Shattered mirror di fiammah_grace (/viewuser.php?uid=76061)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** On the other side of the mirror. ***
Capitolo 2: *** You haven't the right to be her ***
Capitolo 3: *** The truth that I didn't want to know ***
Capitolo 4: *** Everything burn ***
Capitolo 1 *** On the other side of the mirror. ***
On the other side of the mirror, I want to go
back.
Non
mi appartenevano molte cose di quel mondo.
No, in verità non mi apparteneva proprio nulla.
Quell’ambiente così immenso, questi abiti
sfarzosi, la gente che ora mi circonda…
Niente.
Tutti non sono che al di la di uno specchio, dove, a riflettersi con
loro, è solo la mia immagine.
Dietro lo specchio tutto si muove, e vedo me stessa lì
immersa. Ma la mia mente, il mio cuore…il mio vero cuore,
è altrove.
Sono seduta in un angolo ormai buio, in un posto di cui non
farò mai parte.
Di questa me stessa, quella me stessa dall’altra parte dello
specchio, nessuno si chiederà più.
Tutti da oggi vedranno solo il mio riflesso in questo specchio fasullo.
Il riflesso di Rukia, tra poco Rukia Kuchiki.
Una ragazza dai folti capelli neri aprì debolmente gli
occhi. Ciò che si presentò dinanzi al suo sguardo
non fu che il nero. Il nero di una notte che non voleva passare e che
minuto dopo minuto appesantiva il suo spirito. Era ormai la settima
volta che alzava le palpebre e rimaneva ferma, con i suoi occhi blu
spalancati, a fissare il soffitto.
In realtà non c’era una precisa immagine sulla
quale erano puntate le sue attenzioni. Rimaneva semplicemente ferma,
con le dita incrociate fra di loro all’altezza dello stomaco,
in quel buio nero che pian piano le faceva focalizzare i lineamenti
essenziali dell’arredamento di quella stanza
sproporzionatamente grande per lei.
Girò appena lo sguardo, scrutando per l’ennesima
volta l’ambiente.
Una stanza vuota, ingombrata unicamente da una specchiera, una
cassettiera e dal futon sul quale era sdraiata. Il tutto
immerso in uno spazio infinito, smisurato per quei pochi arredi.
Sentiva sulla sua schiena il freddo del pavimento, e nonostante ci
fosse abituata date le sue umili origini, in quel momento era
insopportabile. Gelido, agghiacciante…
Strinse i pugni e sentì la sua morbida pelle bianca essere
diventata rigida e gelata. Quasi come se il sangue avesse smesso di
scorrere sul suo corpo, e i suoi arti avessero già preso ad
irrigidirsi. Le sue labbra erano pallidissime, e pian piano
cominciò a tremare…sempre più forte.
Improvvisamente una lacrima rigò il suo viso. Una goccia
sgorgata dai suoi occhi, che racchiudeva tutte le sue paure e le
tensioni di quell’istante.
Arrivò sullo spigolo delle sue labbra, e bastò
che potesse assaggiarne appena il gusto salmastro che la sua bocca si
contorse in ghigno che fece scatenare dalla sua gola un grido
disperato, che si disperse rompendo il silenzio di quella notte buia.
“Aaaaaaaaaaah……!!!!”
Subito le porte della sua stanza si aprirono e delle persone
dall’aspetto assolutamente sconosciuto la afferrarono per i
posi e per le caviglie. Istintivamente la ragazza cominciò a
dimenarsi, lasciando che i capelli le inondassero il viso mentre si
bagnavano nelle sue lacrime, appiccicandosi sulla sua pelle.
Uno di questi la afferrò per la mascella e le
avvicinò un bicchiere facendo per costringerla a bere. Lei
serrò la bocca, ma le dita premettero così forte
sull’osso che non riuscì in nessun modo ad
opporsi, così fu costretta ad ingerire quel liquido, mentre
quelle persone la tenevano ancora ferma e le alzavano appena il collo.
Quando ebbe ingoiato fino all’ultima goccia, la lasciarono e
lei prese ad ansimare fortemente, spaventata. Guardò con gli
occhi smarriti e pieni di agitazioni le loro figure che adesso pian
piano si allontanavano piegando il capo.
La ragazza dai capelli neri sentì il sudore scorrerle sulla
fronte e la testa girarle, fino a costringersi a sorreggersi sui
gomiti. Non riuscì a sostenere il suo peso, così
si accasciò battendo forte la testa sul cuscino.
Sentì freddo, sempre più freddo…
Girò la testa e mentre distingueva le lunghe sagome delle
ombre che trafiggevano la penetrante luce giallognola delle lanterne
accese, la sua vista si annebbiò e perse conoscenza.
Non prima che sentisse delle voci chiamare qualcuno, in un subbuglio
insolito da udire in quella casa.
“Cosa è successo?” pronunciò
una voce dal tono asciutto.
“Signore…”
Cosa
è successo…
Cosa…
….è…
…successo…?
La vita che non volevo.
Una vita agiata, in una famiglia nobile e ricca. Una vita che non
potevo rifiutare.
Che però…non lo volevo.
---
“Signorina?”
“Uh?”
La giovane ragazza dai capelli scuri aprì gli occhi.
Era ormai giorno. I raggi del sole filtravano tra i vetri delle
finestre, dalle quali poteva vedersi un bellissimo cielo limpido.
L’aria soffiava appena, accarezzando dolcemente la sua pelle
in un tocco davvero piacevole, rappresentando soprattutto la
nottataccia appena trascorsa. Sentiva infatti ancora gli occhi pesanti,
ed un fastidioso amaro in bocca.
Un sapore che ormai aveva imparato a riconoscere già dopo la
prima notte che aveva trascorso in quel luogo.
La giovane donna seduta di fianco a lei si sollevò e chiuse
la finestra temendo che il vento potesse infastidire la ragazza appena
svegliata.
La ragazza dai capelli neri la seguì con gli occhi e quasi
avrebbe voluto implorarle di lasciarla aperta, ma le parole le
sfuggirono completamente, così quel soffio che accarezzava
il suo viso si disperse e la abbandonò lasciando sola
definitivamente.
“Perdonatemi, ma avevo avuto ordine di svegliarvi presto.
Vogliate alzarvi, vi ho preparato il bagno e gli abiti che potrete
indossare questa mattina.”
Quella donna doveva essere sicuramente più grande di lei,
eppure la trattava con una riverenza tediosa, quasi incomprensibile,
rappresentando che questo atteggiamento era rivolto verso una ragazza
considerevolmente più giovane di lei. Proveniente dal
Rukongai per di più.
Con tutte le probabilità scorreva più sangue
nobile nelle sue di vene, che era solo una servitrice, che in lei, che
non aveva mai visto neanche da lontano il mondo aristocratico delle
famiglie nobili.
Sollevò il busto e sentì leggermente la testa
pulsare, probabilmente ancora per la overdose di tranquillanti che le
avevano buttato in gola.
Ebbe appena il tempo per mettersi più dritta, che subito le
mani della donna toccarono l’apertura del suo yukata, che
aprì delicatamente facendo per sfilarglielo.
Nonostante non fosse ancora una ragazza sviluppata, e il suo primo
accenno di seno fosse ancora di piccole dimensioni, la giovane dai
capelli scuri bloccò la donna e strinse i lembi
dell’abito attorno a se.
Subito la serva ritrasse le mani e con un gesto lento piegò
il capo in segno di sottomissione.
“Le chiedo perdono. Non intendevo essere impudente. Vogliate
darmi il vostro abito, così che possa poi accompagnarvi
nella vasca.”
La ragazza sgranò gli occhi di fronte tanta costernazione.
Non le piaceva essere guardata così, come se ad ogni passo
falso, avrebbe inferto cinquanta frustate.
Abbassò il viso, e seppur titubante, si costrinse a far
scivolare il vestito dalle sue spalle. Levò via la cintura e
permise alla donna di avvicinarsi di nuovo per coprirla con un sottile
panno di lino leggero. Si alzò e si posizionò
dentro la vasca fatta portare appositamente nella stanza per lei.
Ancora una volta la donna le si avvicinò e, nonostante ebbe
di nuovo il fortissimo impulso di fermarla, lasciò che lei
la aiutasse a lavarsi. Sentì l’acqua calda della
brocca che aveva riempito scivolare sulle sue spalle ripetutamente,
bagnandole le punte dei capelli che arrivavano sulle spalle. Poi prese
una quantità maggiore d’acqua e la fece scorrere
anche sulla sua testa, bagnandola completamente. Sentì un
leggero solletico per le gocce d’acqua che dal suo capo
scorrevano sulla sua schiena.
Nonostante il bagno fosse caldo e rilassante, non riuscì a
sciogliere i nervi. Strinse le mani fra di loro all’altezza
del petto, sollevando allo stesso tempo le gambe, cercando di
proteggere ancora le sue parti intime visto che in verità
nessuno mai le aveva fatto il bagno prima di allora.
La serva sembrò non curarsene minimamente, concentrata sui
suoi capelli, intenta a sciogliere i suoi nodi.
Strinse i denti, sperando che finisse il prima possibile.
Reprimere e continuare a reprimere il suo male e i suoi turbamenti era
l’unica soluzione che al momento riusciva a farle mantenere
un certo auto controllo.
La sua mente le sfuggiva, perché dove era, era un mondo che
non le apparteneva minimamente.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio mentre la
donna le allacciava un nuovo kimono dal colore molto delicato.
Fece passare i lembi del kimono e li strinse con forza
nell’obi, che decorò con un fiore sul lato, oltre
che con il tipico fiocco dietro la schiena. Le aggiustò le
maniche, adagiandogliele lungo il vestito, dopodichè prese a
tamponarle i capelli, e a pettinarli con una attenzione addirittura
fastidiosa.
Dopo averli sistemati, li acconciò con un fermaglio floreale
molto particolare, di un colore a metà fra il rosa e il
giallo, dal quale cadeva una lunga ciocca di capelli che le arrivava
oltre le spalle. Gliela sistemò, movimentando quei capelli
finti che incidentalmente corrispondevano al suo stesso colore,
poggiandole poi sulle spalle un michiyuki dall’aria molto
preziosa. Dopodichè piegò di nuovo la testa e si
allontanò dalla stanza facendo portare via tutto
l’occorrente che aveva utilizzato per prepararla.
La giovane rimase ancora ferma davanti allo specchio, vedendo riflessa
la sua immagine così diversa. Con i capelli fintamente
lunghi, ben sistemati, che cascavano sulla sua spalla raccolti un una
coda di cavallo. Il vestito elegante e prezioso certamente non tipico
per una ragazza del suo rango, nonché un sogno per qualsiasi
ragazzina romantica.
Qualsiasi persona, al suo posto, avrebbe pensato di vivere un sogno.
“Rukia.”
Si voltò all’istante, come presa da uno spavento,
nell’udire quella voce dai toni bassi, eppure così
altisonante, che la richiamava alle sue spalle.
Vide dietro di se la distinta figura, in un kimono elegante e scuro, di
Ginrei Kuchiki.
Era un uomo alto, dal portamento fiero ed altolocato. Nonostante la sua
tarda età, conservava una postura perfetta,
nonché uno sguardo agonistico e autorevole.
Il viso era segnato da delle profondissime rughe, e i capelli erano
lunghi e completamente bianchi. Nonostante i suoi baffi coprissero
buona parte della bocca, era sicura che sotto di essi si celava
un’espressione di disgusto e disapprovazione.
Dopotutto, non poteva sperare in uno sguardo migliore già
così presto.
Così abbassò gli occhi rifiutandosi di continuare
a farsi del male così, visto che solo incrociare quegli
occhi le sembrava come avere una lama infilzata in gola, e si
voltò di nuovo verso lo specchio.
“E’ così che credi si ci comporti e si
ci presenti di fronte il capofamiglia Kuchiki?” disse lui con
un tono pacato e dispotico.
La ragazza non se ne curò, e si limitò ad
abbassare ancora di più lo sguardo.
“Chiedo scusa.”
L’uomo continuò a fissarla dall’alto
verso il basso attraverso lo specchio, visto che solo da
questo poteva vederle il viso, dato che lei gli dava
spudoratamente le spalle.
Osservò la sua piccola costituzione. Sembrava gracile, e non
aveva per niente l’aria di una nobile donna, ne tanto meno
sembrava degna di riuscire a portare il nome del suo clan. Il clan dei
Kuchiki. Si rifiutava anche solo di pensare che oramai presto sarebbe
divenuta un membro della sua famiglia.
La cocciutaggine di suo nipote non aveva freni.
Avrebbe macchiato ancora una volta l’onore della sua casa
attraverso quella indegna ragazzina raccolta dal Rukongai sulla quale
non sapevano in realtà proprio niente, se non un nome.
Un nome e una somiglianza a lei…
Una somiglianza impressionante, certo.
Ma non un dato concreto.
Chi era dunque? Era solo un nome. Rukia.
Una ragazzina che sarebbe stata erede di un grande patrimonio, carica
di grandi onori e responsabilità. Questo solo
perché le somigliava.
Era qualcosa di inaudito. Assurdo da credere che potesse succedere
proprio nel suo casato, sul quale aveva investito tutta la sua vita.
Per di più la ragazza conservava quel comportamento
sfrontato e rozzo tipico della gente non aristocratica. Non era mai
cresciuta nell’alta borghesia, non sarebbe mai diventata una
di loro.
Era giovane, ma decisamente troppo grande per imparare.
Si chiese se fosse ancora possibile cambiare le cose, dato che neanche
la ragazza in questione sembrava dimostrare un minimo di riconoscenza.
Anzi, se poteva dimostrare malessere, o disapprovazione, non sembrava
crearsi troppi problemi.
“Signore, mi spieghi perché sono qui.”
L'uomo la guardò intensamente mantenendo la sua
postura perfettamente eretta e quel suo sguardo sprezzante. Strinse
impercettibilmente gli occhi prima di risponderle.
“Desidero che, quando ti rivolgi ad un membro della mia
famiglia, usi le parole Nobile Kuchiki.”
“Come desidera.” Rispose quasi in un sussurro la
ragazza abbassando di nuovo lo sguardo.
Ogni sua parola, ogni suo gesto…sembrava come se tutto
quello che faceva o che avrebbe fatto sarebbe stato giudicato e
corretto nel caso. Il suo modo di parlare, il suo portamento, i suoi
gusti…era come se da adesso in avanti tutto sarebbe passato
sotto esame. E il bello era che il più delle volte i suoi
sforzi per migliorarsi non erano compresi da quegli occhi
impenetrabili, ne da nessun altro con cui avesse avuto a che fare fino
a quel momento.
Chiuse gli occhi. Sperava con tutta se stessa di svegliarsi, e che
tutto non fosse mai accaduto in realtà. Poi si
riguardò nello specchio.
Lei era lì.
Lei era per davvero lì.
“Riformula la tua domanda, adesso.”
“Mi chiedevo perché sono qui…nobile
Kuchiki.”
Il nobile Ginrei annuì, poi fece qualche passo verso di lei,
ma non sembrava avere alcuna intenzione di parlare.
Rukia sospirò in silenzio. Dopotutto se lo aspettava.
Nessuno l’aveva mai degnata di una risposta soddisfacente
fino a quel momento.
“Stasera saranno completati gli atti con i quali entrerai a
far parte della famiglia a tutti gli effetti. Ti basti sapere questo,
al momento.”
La risposta più probabile che si poteva aspettare.
La ragazza si mise in piedi.
Sistemò meglio l’allacciatura del mickiyuki sul
collo e lentamente si girò verso il capo clan della famiglia
Kuchiki, guardandolo con uno sguardo a metà deluso, a
metà saccente, alzando le sopraciglia.
Pur sapendo che assumendo quell’espressione
l’avrebbe sicuramente fatto adirare, non le venne proprio di
mostrarsi diversamente.
Meritava delle risposte. Anche vaghe. Ma le meritava visto che,
apparentemente senza motivo, la sua vita era stata sconvolta dalla
famiglia Kuchiki, che da un lato sembrava averla voluta accogliere a
tutti i costi, dall’altra era come se la guardassero sempre
con disgusto.
L’uomo notò quell’espressione, che
chiaramente poco gradì, e non fece che riconfermare
l'opinione che aveva su quella ragazza. Per questo non la
degnò della sua attenzione. Le diede le spalle e raggiunse
la soglia del fusuma. Pronunciò solo poche parole prima di
sparire completamente dalla sua vista.
“Manderò la servitù a prenderti per
raggiungerci quando Byakuya sarà di ritorno.”
La ragazza dai capelli neri sgranò gli occhi
nell’udire quel nome.
Il fusuma si chiuse e rimase nuovamente da sola.
Byakuya Kuchiki…
…Il signor Byakuya Kuchiki.
In verità aveva potuto vederlo solo in poche occasioni.
Quando era venuto per lei all’accademia degli shinigami e
quando era entrata in quella casa la prima volta.
Ricordava ancora nitidamente quell’uomo dai capelli neri,
lunghi fino alle spalle, con quei tratti molto giovani e delicati. Il
suo portamento altolocato, a tratti persino agghiacciante,
eppure attraente. Lo aveva visto soltanto per poche manciate di
secondi, mentre sfilava elegantemente, non curante, lasciando sgomento
in coloro che incrociavano il suo sguardo.
Sapeva diffondere sulla sua figura un’aura distinta ed
inavvicinabile anche in coloro che gli lanciavano appena uno sguardo.
Per dir la verità era molto curiosa di rivederlo.
Per quanto ne aveva saputo, era stato lui a volere questa adozione.
Chissà cosa c’entrasse in realtà lei
con lui.
Si sentì inquieta. Erano troppe le cose che non sapeva e
così tanti i dubbi che l’affliggevano.
Ed il vero problema era che sarebbe stata completamente sola a
combattere per riuscire a vivere quella che sarebbe diventata la sua
nuova vita, fra pochi istanti. Pochissimi.
Erano giorni ormai che non pensava ad altro, neppure la notte la
preservava da questi pensieri.
In poco più di una settimana la sua vita era stata
sconvolta, ed aveva perso tutto.
Tutto...
Chiuse gli occhi, abbandonandosi ai suoi ricordi. All'immagine di
quella che prima di allora era la sua vita. A quelle strade povere e
mal frequentate che però avevano accompagnato la sua
infanzia.
Il rukongai...
Da quanto aveva memoria la sua vita era cominciata proprio li.
Il rukongai non era certo il migliore dei posti dove abitare.
Anime erranti che vagavano disorientate per gli stretti e labirintici
distretti della Soul Society, in attesa di trovare qualsiasi cosa che,
in qualche modo, le facesse sentire parte di quel mondo.
Un amico, un parente…qualcosa…
Invece, nella maggior parte dei casi, l’unica
possibilità era quella di radunarsi con il maggior numero di
persone possibili e ricominciare assieme una nuova vita, per non
sentirsi più soli.
Da qual momento in poi, in effetti, il rukongai non diventava
più un posto tanto orribile.
Questo era accaduto anche a Rukia e, da quando aveva cominciato a
vivere per chi amava, quello squallido distretto settantotto sembrava
essere diventato un ambiente più felice.
Era dura, era dura per un gruppo di sei o sette ragazzini vivere da
soli, sopportare il disprezzo di occhi indiscreti, e intanto
sopravvivere in quelle strade malfamate e piene di sofferenza. Ma in
qualche modo ce la facevano e così erano volati via i primi
anni di adolescenza.
Questo finché un giorno non le capitò di vedere
uno di loro per la prima volta.
Finché, tra le strade polverose e le capanne logore non le
capitò di vedere uno di quei famosi uomini vestiti di nero.
Vederne uno al rukongai, e in particolar modo nel distretto
settantotto, era un qualcosa che Rukia identificava perfettamente con
la parola ‘irripetibile’.
Al rukongai era davvero difficile trovare una persona in grado di
spiegare esattamente chi fossero gli uomini vestiti di nero. In
verità, nella maggior parte dei casi, venivano attribuite
loro parole di disprezzo e di sdegno.
Uno sdegno che traspariva dalle parole e dagli occhi di chi aveva avuto
modo di sapere di chi o cosa si stesse parlando.
Rukia non sapeva cosa fossero esattamente e non si era mai chiesta
effettivamente cosa accadesse tra gli uomini in nero dentro la
seiretei. Ma vederne uno le illuminò gli occhi e, a sua
sorpresa, non ebbe affatto l’impressione che si aspettava.
Ne aveva sentito parlare così male…eppure lo
shinigami su quel trasporto le era sembrata una persona gentile.
Le aveva mostrato un sorriso e una cordialità che le erano
stati rivolti così poco nella sua vita, in quella
sfrenata lotta di sopravvivenza che lei e i suoi amici dovevano
affrontare ogni giorno.
Il sorriso e l’eleganza di quel dio della morte le fecero
credere che non tutti fossero meschini e crudeli. Che, forse, nella
corte delle anime pure ci fosse spazio anche per la gente per bene, che
cerca di migliorare il suo status per proteggere a sua volta chi, uno
status, non sa nemmeno cosa sia.
Quel lungo abito nero non le mostrò più
inquietudine da quel giorno. Al contrario, divenne fonte centrale dei
suoi pensieri.
“Renji, diventiamo shinigami.”
È questo quello che aveva detto, un giorno, al suo
più caro amico. Lottare, correre,
sopravvivere…non poteva durare all’infinito.
Divenire shinigami avrebbe significato per loro una vita migliore. E
forse, sarebbero diventati come quel dio della morte che si faceva
largo nel rukongai.
All’inizio sembrava un gioco, all’inizio erano in
tanti fra loro a studiare sui libri di testo, ad allenarsi nel
concentrare il reiatsu e nel controllare i poteri…ma alla
fine erano rimasti solo in due.
Rukia e Renji si allenarono per anni e anni ottenendo risultati giorno
dopo giorno. In molti, in quello stesso periodo, avevano
provveduto nel farsi allenare dai migliori maestri della Soul Society e
di utilizzare qualunque altro mezzo per entrare assolutamente in quella
graduatoria così selettiva.
Rukia e Renji non potevano far affidamento su nient’altro che
la loro forza di volontà. Conquistando con le loro uniche
forze le piccole vittorie di ogni allenamento.
Anche se spesso non era sufficiente rispetto agli altri…
Però loro due…lei…ce la stava facendo
da sola.
Questo le faceva credere di essere migliore di quegli aristocratici
dietro le mura della seiretei, i cui alti voti non avrebbero mai avuto
lo stesso significato dei risultati ottenuti da lei e i suoi amici.
“Non demordere! Noi ce la metteremo tutta! Loro non lo sanno,
perchè nessuno di loro può nemmeno immaginare
quello che abbiamo vissuto noi…”
Erano queste le parole di Rukia.
Erano queste le parole che ripeteva una continuazione a Renji.
Era grazie a queste parole che era riuscita ad andare avanti e ad
arrivare all’accademia per shinigami.
Studio, delusioni, soddisfazioni, perdite, vittorie,
solitudine…
Spesso era stato frustrante.
Ma divenire shinigami avrebbe rappresentato una vita migliore per lei e
per coloro che avrebbe potuto aiutare.
E così le lacrime e la rabbia venivano prontamente
cancellate in onore di quel obbiettivo che l’aveva spinta a
studiare ininterrottamente, a sacrificare tutta se stessa per
raggiungere un traguardo che per una del rukongai come lei era un sogno
ad occhi aperti. Un obiettivo che, se avesse raggiunto, non avrebbe
equiparato lo stesso sudore di nessun altro.
Questo finché non arrivò l’esame finale
per il diploma…
Questo finché non chiuse la porta della sua stanza
nell’accademia…
Questo finché non raggiunse l’aula e le si
parò davanti un destino pronto a deviare il corso
degli eventi.
Cosa le sarebbe accaduto, invece, se fosse entrata in aula?
Avrebbe ottenuto il diploma e dopo lunghi addestramenti, forse, sarebbe
entrata nella seiretei e, chissà? Sarebbe potuta diventare
uno shinigami sul serio? Un obiettivo semplice dopotutto, ma che per
una come lei, che aveva sudato tutto nella vita, avrebbe significato
tutto ciò che non poteva significare per chi, invece, aveva
già il posto pronto ancora prima del diploma.
Da quanto aveva memoria era nata e vissuta nel rukongai. Da quanto
aveva memoria, era sempre stata sola. Da quanto aveva memoria, sapeva
che la sua unica certezza era chi le era rimasto accanto per tutto quel
tempo, abbattendo così tutti assieme quella tristezza e
solitudine che accumulava un po’ tutti quelli del rukongai.
Quella possibilità, quella di vivere la sua vita come aveva
premeditato, i suoi progetti, i suoi sogni, ciò per cui
aveva lottato, le sue piccole vittorie personali...
Tutto...
Tutto fu stroncato violentemente da una parola che non avrebbe mai
potuto dimenticare: la nobiltà.
Quella stessa nobiltà che, con la potenza cui disponeva, le
impose di cancellare la vita vissuta fino a quel momento promettendole
sfarzo, diploma e un posto di lavoro tra le tredici brigate nella corte
degli spiriti puri.
Il tutto ad un unico prezzo.
Ad un primo impatto, nel vedere quel uomo così
alto, dai lunghi capelli sottili e
dall’abbigliamento elegante, non riuscì proprio a
credere che il suo stile di vita sarebbe andato proprio in quella
direzione.
Però non esisteva più la possibilità
che lei potesse vivere normalmente la sua vita come aveva premeditato.
Vivere la vita di quella giovane orfana del rukongai che era riuscita
con le sue sole forze a divenire una shinigami.
Ora aveva solo la possibilità di onorare a testa alta il
grande privilegio che gli aveva offerto un nobile chiamato Byakuya
Kuchiki, mentre i suoi occhi vitrei e glaciali le trafiggevano
l’anima.
“Ce l’hai fatta rukia!”
“Il clan Kuchiki è una delle principali famiglie
della nobiltà!”
“Hai fatto centro! Se vieni presa in un posto del genere,
puoi rimbecillirti nell’ozio! Mi chiedo che genere di cibo
mangino i nobili!”
“Wow, dannazione…sono invidioso!! Oh, diavolo. Ti
faranno diplomare immediatamente? Sono così invidioso da
sentirmi incazzato! Incredibile, Rukia! Questo si che è fare
centro!”
“Arigatou….Renji.”
La ragazza corrucciò la fronte, con l'immagine ancora fissa
nella sua memoria di un passato che non sarebbe più tornato.
Di quel giorno che aveva cambiato la sua vita per sempre.
Dopo pochi minuti, alcuni membri della servitù tornarono da
lei e la accompagnarono lungo i portici che contornavano casa Kuchiki,
affacciati su un ampio giardino curato nei minimi dettagli.
Il prato ben tagliato, il terriccio battuto per far strada ai numerosi
sentieri che portavano ad ogni angolo di esso, circoscrivendo il
laghetto che spezzava tutto quel verde assieme ai numerosi alberi di
ciliegio non ancora in fiore.
Spostò più volte lo sguardo verso
quell’ambiente e si chiese se avesse potuto chiedere di
visitarlo liberamente dopo la riunione, però forse non era
il caso esprimersi al momento. Date le circostanze, sembrava come se
tutti preferissero che lei rimanesse muta e ferma nella sua stanza per
tutto il tempo a sua disposizione, per non arrecare fastidi in alcun
modo, e se fosse stata inanimata sarebbe stato anche meglio.
Mentre avanzava affiancata dai domestici, improvvisamente
rallentò il passo.
I suoi occhi si posizionarono su una figura in lontananza che camminava
leggiadra dalla sua parte opposta.
Il Kimono elegante scuro, l’haori bianco che ampliava le sue
spalle, legato sotto il collo da una spilla color oro dalla quale
scendevano dei pendenti, e il Keinsekan fra i capelli.
Sentì il cuore pulsare e le sue gambe si immobilizzarono
immediatamente.
Lui stava raggiungendo la stessa sala dove lei era diretta, e di
lì a poco si sarebbero incrociati.
Lui, Byakuya Kuchiki.
Sentì un nodo in gola. Le venne quasi la tentazione di
annunciare di non sentirsi nelle condizioni di uscire tanta
l’ansia che solo vedere quell’immagine le aveva
provocato.
“Signorina, è tutto a posto?”
Guardò di nuovo nella direzione dove aveva scorto il nipote
di Ginrei Kuchiki. Si era appena inoltrato nella stanza che tra pochi
passi avrebbe raggiunto anche lei, non degnandola nemmeno di uno
sguardo. Eppure lui doveva certamente sapere che anche lei era diretta
lì. Chissà perché aveva preferito
avanzare da solo e entrare separatamente da lei.
“Sì…sì…”scosse
appena la testa rassicurando i collaboratori familiari che si erano
fermati con lei e riprese a camminare con loro.
Era assurdo agitarsi così.
Questo era un giorno molto importante e doveva rimanere serena.
Perché, dopo questo incontro, sarebbe diventata a tutti gli
effetti Rukia Kuchiki. Non si tornava più indietro.
Le fu aperto lo shoji e si ritrovò nuovamente
all’interno della casa, in una stanza libera e vuota come le
altre, nella quale emergevano i massicci e preziosi mobili di ciliegio
posti sulla parete di fronte a lei, che sembravano contenere i
fascicoli della famiglia Kuchiki forse.
Sentì la porta scorrevole chiudersi dietro di se ed ebbe un
attimo di sbandamento. Ritornò velocemente a perlustrare
quella stanza, quando una voce richiamò la sua attenzione.
“Rukia, prendi posto.”
Immediatamente si inginocchiò, unendo le caviglie fra di
loro e cercando di rimanere nella posizione più composta
possibile, data la sua agitazione.
Sbirciò davanti a se, ed oltre alla figura di Ginrei
Kuchiki, di fronte a lei c’era proprio lui, Byakuya.
Abbassò lo sguardo cercando di non incrociare per nessun
motivo i suoi occhi.
Era una presenza imponente che sembrava riuscire ad atterrirla e
metterla in soggezione anche con pochissimi gesti.
Più che il capofamiglia, era proprio il nipote che la
intimoriva di più. Forse per il fatto che fino a quel
momento non le aveva mai dato alcuna attenzione, ne attraverso una
parola ne uno sguardo.
Questo la faceva sentire indesiderata. Una sensazione certo non
piacevole.
Allora perchè aveva voluto adottarla?
“Rukia” la voce di Girei spezzò quel
silenzio.
Aveva come sempre uno sguardo serio, probabilmente perché
inquietato dalla strana piega che stava prendendo la sua famiglia. Una
piega verso la quale mostrava palesemente di essere contrariato.
Sembrò infatti costringersi a parlare di famiglia
coinvolgendola.
Sollevò appena le labbra e parlò da sotto i suoi
grigi baffi.
“Da oggi in avanti sarai un membro del casato Kuchiki, una
delle quattro famiglie nobili della Soul Society. Spero tu sia al
corrente di questo tuo grande privilegio, nonché dei
grandissimi doveri cui dovrai fronteggiare.”
La ragazza riuscì solo a fare un debolissimo cenno con la
testa, non distogliendo lo sguardo dalle sue mani premute fortemente
contro le sue ginocchia. Privilegio… sapeva
che l’avrebbe sottolineato. Sapeva che era questo quello che
non gli andava giù.
“Devi giurare, Rukia Kuchiki, che non permetterai mai il
disonore della famiglia Kuchiki. Che terrai alto il nome che da oggi
accompagnerà il tuo.”
Si sentì tremare. Quell’atmosfera, quei paroloni
che sembravano pieni di aspettative e responsabilità di cui
non ne aveva idea, le stavano facendo crescere quello stato di ansia
che l’accompagnava da quando aveva messo piede in quella
stanza.
Alzò appena lo sguardo e si accorse che gli occhi dei
presenti erano tutti puntati su di lei. Assunse uno sguardo impaurito,
e per qualche motivo i suoi occhi scelsero di cercare quelli del
ragazzo dai capelli neri, che la guardava a sua volta.
Era la prima volta che si guardavano così. I loro occhi
erano puntati l’uno sull’altro e lei non
riuscì in nessun modo a distogliere lo sguardo da
quell’uomo. Le sembrò quasi come se le mancasse
l’aria, come se avesse potuto affondare nel profondo di
quegli occhi grigi.
“Rukia, devi promettere.”
La voce di Girei tuonò in quella stanza. Nonostante il suo
tono fosse basso e controllato, aveva sempre comunque
un’impronta imperativa che riscuoteva timore anche
semplicemente proferendo un piccolo comando.
Rukia così piegò profondamente la testa fino a
toccare la fronte con le ginocchia. Strinse i denti,
dopodichè si fece forza nel cercare di parlare nel miglior
modo possibile.
“Sì. Io mi impegnerò nel rispettare
queste volontà, nel nome della vostra famiglia.
Signor…" si corresse "Nobile Kuchiki.
E…” alzò appena lo sguardo verso il
giovane erede della famiglia, ma si ripiegò immediatamente
concludendo la frase. “ ...e…nobile Kuchiki
Byakuya.”
Una volta pronunciate queste parole, vide la figura longilinea di
Byakuya mettersi in piedi e fare per abbandonare la stanza.
Subito la ragazza si girò seguendolo con lo sguardo mentre
andava via, chiedendosi se avesse sbagliato qualcosa.
Si morse le labbra e suo malgrado fu costretta a rivolgersi al signor
Ginrei, che la osservava sprezzante come suo solito.
Lui fece un piccolo cenno e chiuse gli occhi.
“Adesso puoi andare.”
La ragazza dai capelli scuri non se lo fece ripetere, così
fece un piccolo inchino, dopodichè si alzò e
quasi sgattaiolò via da quella stanza.
Ginrei Kuchiki sospirò, chiedendosi come avrebbero
fronteggiato questa imbarazzante situazione, provando sdegno anche solo
a pensare che quella ragazza si sarebbe presentata da adesso in avanti
come una Kuchiki.
Intanto Rukia aveva già oltrepassato la soglia dello shoji e
si poggiò ansimante su di esso mentre faceva per chiuderla.
Ispirò ed espirò più volte prima di
riprendere controllo sulla sua mente.
Quell’ambiente…bastava che si girasse intorno per
sentirsi smarrita. Aveva paura, paura di quello che sarebbe stato il
suo futuro.
“Ah!
Ah! Che invidia! Sarai adottata da una famiglia nobile? Non ci posso
credere! Ti invidio proprio, Rukia!”
Maledetto stolto!
Perché…perché dovevi fingerti felice
per me?!
Grazie…grazie
per averlo fatto.
Pur
sapendo benissimo che non potremmo più vederci adesso, mi
hai incoraggiata verso una vita migliore.
Perché sei mio amico, Renji.
Però…
Però…
Proprio perchè sei mio amico, avresti dovuto leggere nei
miei occhi che…non…
Non lo so!
Non sono pronta!
Ho
paura di cambiare!
La
mia vita, le mie lotte quotidiane, le nostre promesse, le nostre
aspettative, i nostri sogni…
Io…
Io ci credevo ed avrei voluto che le cose, seppur così
difficili, continuassero così.
Non
sono pronta ad un cambiamento così drastico.
“Bravissima, Rukia! Sono felice per te!”
Adesso…
Io sono sola. Completamente sola.
Cosa devo fare?!
Renji…
Renji!! Vienimi a prendere!!
Qualcuno
mi dica che tutto questo è uno sbaglio!!
Uno
sbaglio che non potevo rifiutare.
Non
potevo per rispetto di tutta la gente del Rukongai che sogna ad occhi
aperti una vita come quella che avrò io.
Ma è davvero questa la felicità a cui si aspira
nella vita?
Io non voglio tutto questo.
Ne sono grata.
Ne sono grata, accidenti!!
Però…ho paura.
Signor
Byakuya…perché
è venuto a prendermi?!
Perché mi hai prelevato dalla vita che conducevo e mi hai
messo nelle condizioni di accettare? Perché lo sapevate che
non potevo rifiutare.
Perché?!!
Improvvisamente si sentì girare forte la testa.
Poggiò una mano sulla fronte come per cercare di
sorreggersi. Fece qualche passo, ma camminava a stento, così
si inginocchiò a terra. Era totalmente priva di forze.
Incapace di muoversi. La sua testa pulsava sempre di più, e
i suoi occhi presero a lacrimare senza che lo volesse.
Tutto cominciò a girare vorticosamente. Poggiò le
mani sul freddo pavimento, come per afferrarsi da qualche parte, fino
ad infilare le unghie. Sentì i residui di quella passerella
in legno sfregarsi fra le sue dita che presero a sanguinare debolmente,
ma lei non sentì alcun dolore. Sentiva
solo tutto così confuso.
Lanciò un ultimo sguardo al giardino. Così bello,
elegante, curato. Avrebbe voluto visitarlo, un vero peccato.
Dopodichè svenne.
---
“E’ molto debole. Nonostante sia giovane e piena di
energie, ha bisogno assolutamente di rimettersi in forze. Intanto
consiglierei di tenere sotto controllo la sua alimentazione e farla
riposare il più possibile.”
La ragazza dai capelli neri aprì debolmente gli occhi.
La sua vista era completamente appannata, riusciva a stento a
distinguere i colori presenti in quella stanza. Girò
più volte lo sguardo cercando di orientarsi, ma era ancora
molto debole.
Le sue attenzioni si focalizzarono su due persone che parlavano di
fianco a lei. Erano due voci maschili.
Dischiuse appena la bocca, poi cominciò a muovere le dita
delle mani cercando di riprendersi dal sonno.
“La ringrazio.”
“Ci mancherebbe, signor Kuchiki. Dunque, un’ultima
cosa. Vorrei dirle che …oh? Si è
svegliata?”
Il ragazzo dai capelli scuri si girò verso di lei e
costatò che, come aveva appena proclamato il medico di
famiglia, gli occhi della giovane erano aperti.
Rukia sbandò quando si rese finalmente conto di essere
probabilmente svenuta e che ad essere lì con lei era proprio
Byakuya.
Cercò di alzarsi ma la testa ancora le doleva,
così fu costretta a riabbandonarsi sul futon, limitandosi a
guardarlo sentendosi smarrita ed in imbarazzo.
“Per qualsiasi cosa, signore, sono a sua
disposizione.”
Byakuya fece un piccolo cenno di ringraziamento abbassando soavemente
il capo, dopodichè lascio che l’uomo si
allontanasse dalla stanza, in modo da rimanere solo con il nuovo e
giovanissimo membro della sua famiglia.
La guardò con uno sguardo gelido, che non lasciava
trasparire alcuna emozione. La ragazza non riuscì in nessun
modo a divincolarsi da quegli occhi, esattamente come quando era
successo prima, quando avevano ufficializzato la sua adozione.
Fu lui a distogliere lo sguardo, e, come libera da quel vincolo, Rukia
si sentì di nuovo padrona del suo corpo. Avvicinò
di più a se le coperte, coprendosi fin sulla bocca. Non
voleva che la vedesse con solo addosso il bianco e
sottile hadajuban.
Sbirciò di nuovo in direzione di Byakuya, che intanto
sembrava star prendere parola, così si girò di
nuovo all’istante, puntando le sue attenzioni sul soffitto
attraverso uno sguardo in verità poco convincente.
“Anche questa notte non hai dormito.”
La ragazza deglutì. Non sapeva assolutamente cosa
rispondere. Si limitò solo a cercare in ogni modo di
sembrare seria e composta ai suoi occhi inquisitori.
“Preferirei tu non ti trascurassi. Se
c’è invece qualcosa che ti disturba...”
“No! Non c’è assolutamente niente
che…” pronunciò di getto, e solo mentre
le parole uscivano dalla sua bocca si accorse di averlo bruscamente
interrotto mentre parlava. Si sentì subito
un’emerita stupida. Come poteva dimenticare così
facilmente di essere al cospetto di un membro di una delle
famiglie nobili?
Cercò di porre rimedio al suo irrispettoso modo di agire,
sperando che le sue scuse bastassero.
“Perdonatemi, Nobile Byakuya Kuchiki.”
Byakuya assunse uno sguardo ancora più serio, e non
continuò più a parlare. Questo mise ancora
più distanza fra i due, che rimasero fermi e muti per
diverso tempo. O per lo meno fu questa l’impressione della
ragazza dai capelli neri, che si sentiva terribilmente sconvolta.
Guardò di nuovo verso di lui.
La sua postura era perfetta. La schiena dritta, e le mani congiunte
sulle sue gambe, inginocchiate sui suoi talloni. Certe volte non
riusciva neanche a guardarlo tanto gli sembrava distante. Il suo
sguardo divenne pian piano cupo e girò la testa
dall’altra parte.
Lui invece puntava ancora i suoi occhi su di lei. La guardò
intensamente e dopo quel lungo e frustrante silenzio riprese la parola.
“Suppongo che ‘fratello’
sia più che sufficiente, adesso.”
Rukia subito scattò, rivolgendoglisi sorpresa.
“Che cosa?”
Il ragazzo la guardò in qualche modo incuriosito da quel
modo di fare ai suoi occhi un po’ strano della ragazza.
Comunque decise di ribadire il concetto, comprendendo la sua confusione.
“Non chiamarmi più Nobile Byakuya.
Non è appropriato. Sono tuo fratello maggiore
adesso.”
Rukia tentennò prima di riuscire a parlare. Le sue labbra
tremavano e non era sicura di dare una buona impressione con quello
sguardo pietrificato.
Sentì il viso caldo e in realtà fu indecisa se
parlare o no.
“Non…non posso…io, nobile
Bya...Fra…fratello..?” cercò di
correggersi come lui le aveva chiesto, ma la parola "fratello"
davvero le uscì a stento. Non poteva chiamarlo
così. Non...
Byakuya abbassò lo sguardo.
Premette una mano sulla sua gamba e fece per alzarsi. Così
leggiadramente si mise in piedi e rimase a osservarla
dall’alto.
“Riposa. Più tardi ti farò portare la
cena.” Detto questo, si allontanò da lei e
uscì dalla stanza.
Rukia rimase incantata ad osservarlo mentre lui andava via. Con il
vestito che si muoveva ad suo passo e l’haori che ondeggiava
assecondando i suoi leggeri movimenti, contornando la sua figura
longilinea dal portamento sicuro e nobile. Il suo sguardo rimase fisso
anche dopo che lui se n’era andato e non riuscì
proprio a distogliere i suoi occhi dalla sua immagine che ancora
rimaneva proiettata nella sua mente in maniera nitida.
Il nobile Byakuya racchiudeva tutto questo dentro di se. Ed era
assolutamente capace di ammaliarla. Anche solo dopo una banale
conversazione di cortesia.
Lui era ciò che più si avvicinava al suo concetto
di irraggiungibilità ed eleganza. Le sembrava addirittura
impossibile che tutto questo si trovasse per davvero davanti ai suoi
occhi.
---
“Come non posso riprendere i miei allenamenti?”
La giovane Rukia Kuchiki scattò in piedi di fronte
l’uomo ben distinto che da li a qualche giorno sarebbe stato
il suo educatore.
L’uomo aggiustò i rotondi occhialini sul naso,
nauseato dalla poca grazia della ragazza. Vissuto sempre negli ambienti
borghesi, non era per niente abituato al modo di comportarsi certamente
più spontaneo di una ragazzina del Rukongai. Per
pregiudizio, inoltre, vedeva più facilmente il male che il
bene in lei. Per di più, il vocio sull’adozione di
quella ragazza nella nobile famiglia Kuchiki già stava
facendo il suo corso, ed erano ormai diversi i pettegolezzi in giro su
di lei, cose che certo non stuzzicavano solo le persone di rango
medio-basso, ma forse più gli altolocati, che amavano tenere
in vita i loro discorsi da salotto con notizie di questo genere.
“Le ho già detto, signorina Kuchiki, che ci sono
diverse cose che dobbiamo riguardare della sua educazione. Per questo
il signor Kuchiki Ginrei ha disposto che dovrà sospendere
tutte le sue altre attività, intanto.”
Era già la seconda volta che le rispondeva in quel modo.
Credeva forse che fosse stupida?
Rukia aveva compreso che, avendo da sempre vissuto per le strade di
periferia, certo non aveva innato quel modo di fare regale tipico di un
qualsiasi membro nato in una famiglia nobile. Però
perché addirittura dare tale disposizione?
Dal canto suo, l’istruttore riprese a parlare, sempre
guardandola con la puzza sotto il naso.
“E me lo lasci dire, avremo molto su cui lavorare. Ora mi
rendo conto che le valutazioni del signore erano del tutto
corrette.”
“Certo. Perchè lui non mi può vedere,
no?” rispose lei fra se, alzando le sopraciglia e deformando
le labbra in una sorta di smorfia.
Non seppe cosa la trattenne nell’uscire ed andarsene da
quella stanza. Sapeva perfettamente che era stato Ginrei Kuchiki a
parlare a quel modo di lei e a dare tutte le disposizioni per
trasformarla in una ragazza nobile, facendola passare intanto per una
rozza.
Che lui non la sopportasse, oramai era chiaro ai suoi occhi. Rifiutava
di vederla come un membro della famiglia, come una futura erede del suo
casato. Ancora adesso, se parlava dei Kuchiki, faceva ben attenzione a
non coinvolgerla e a farla sentire comunque in disparte. Non che lei lo
volesse, però quella situazione non era stata voluta da lei.
Quindi tanto astio stava cominciando a trovarlo irritante.
“Tanto per cominciare, ad esempio, dovrebbe unire meglio i
suoi piedi.”
Disse lui improvvisamente, colpendole le gambe con una piccola e
sottile bacchetta di legno, cominciando a girare attorno a lei come una
iena.
Rukia non abbassò lo sguardo e lo seguì con gli
occhi facendogli capire palesemente la sua disapprovazione. Strinse i
pugni e cercò di trattenersi. Quello sguardo saccente ed
irritante...sperò in cuor suo che non mettesse troppo alla
prova la sua pazienza, perchè se no sapeva glielo avrebbe
fatto levare lei. Tuttavia al momento si limitò a lasciare
quei pensieri tali, e assecondò il volere del maestro unendo
i piedi.
“Adesso si inginocchi, prego.”
Ricambiò ancora una volta il suo sguardo provocatorio, ma
continuò a tenere serrata la bocca. Piegò le
ginocchia e lentamente scese sul pavimento poggiandosi su di un cuscino
di velluto rosso.
“Come immaginavo, ha i movimenti di un elefante, signorina
Kuchiki.”
“Io non ho mai visto un elefante inginocchiarsi su un
cuscino, signore.” Sussurrò di nuovo, e
l’insegnate si voltò verso di lei avendo colto
appena qualche parola.
“Come, scusi?”
“Oh, niente.” Disse lei con fare arrogante,
guardandolo con un’espressione da santarellina.
L’uomo capì che la ragazza lo stava deridendo
così rispose anche lui a suo modo, con l’intento
di farle abbassare la testa.
“Credo che le nostre lezioni dovranno addirittura raddoppiare
visto che non sapete dare un freno neanche alla vostra
lingua.” Fece una pausa guardandola attraverso i vetri delle
lenti sperando di metterla in soggezione. “Stia dritta
adesso, e cerchi di rendere i suoi movimenti più naturali,
armonici…”
La ragazza mosse appena le spalle, cercando di posizionarsi bene, ma
non ebbe il tempo nemmeno di assumere una qualche posizione che subito
l’uomo quasi le urlò contro.
“E’ un completo disastro, ma si guardi. Dritta, si
sistemi con fare aggraziato.”
“Ma io non mi sono neanche mossa..!”
“Forza, non ci vuole mica tutta una giornata per posizionarsi
correttamente.”
“Le sto dicendo…”
Prima che potesse completare la frase, l’uomo la
colpì di nuovo.
“Si muova, non ho tutto il tempo. Mi sa che dovrò
informare il nobile Kuchiki che lei non si impegna, signorina. Altro
che una settimana, con lei mi sa…”
“Adesso basta!!!”
---
In casa Kuchiki cominciò ad esserci un subbuglio davvero
insolito.
I servitori correvano da una parte all’altra, allarmati, non
sapendo bene come comportarsi. Il caos sembrò calmarsi con
l’arrivo di Ginrei Kuchiki, che casualmente quel giorno non
si era allontanato dalla sua abitazione. Fece prontamente convocare
Rukia nella sua stanza di lavoro, e si sentì altamente
mortificato e disonorato quando si ritrovò la giovane ed il
suo istruttore davanti agli occhi.
“Lei…Lei…è una squilibrata,
mi perdoni signor Kuchiki! Ma è letteralmente impazzita.
Sono…sono scioccato da tale insolenza.”
Disse il maestro portandosi più volte un fazzoletto sulla
bocca, per pulirsi dal sangue ancora appiccicato sulla faccia, che fino
a pochi attimi prima fuoriusciva fresco dal suo labbro superiore.
Ginrei guardò accigliato Rukia. La ragazza non
ricambiò il suo sguardo, perfettamente consapevole che non
le avrebbero lasciato spiegare la sua versione dei fatti.
Dal suo punto di vista, la ragazza sapeva di aver sbagliato a colpirlo.
Non che ci volesse molto a capirlo. Però
quell’uomo, se così poteva definirlo, aveva
turbato la sua psiche e ripetutamente aveva messo a prova la sua
pazienza in meno di un quarto d’ora. Se l’aveva
colpito era solo perché se l’era cercata. Doveva
già ritenersi fortunato visto che nel Rukongai reagiva per
molto meno, visto che doveva badare da sola a se stessa.
“Sono costernato. L’avevo informata del carattere
della ragazza, che adesso, sono sicuro, porgerà le sue
scuse.” Intervenne di nuovo Ginrei mantenendo un tono una
postura ferma. Portò lo sguardo verso Rukia e notando
l’espressione assente e non curante della giovane,
alzò leggermente i toni. “Rukia. Porgi
immediatamente le tue scuse.”
Rukia continuò a sostenere la sua posizione, imperterrita.
Non le importava cosa avrebbero pensato di lei.
L’insegnate allora riprese parola, come se già non
avesse fatto abbastanza per mal disporla.
“Signore, so bene che la colpa non è vostra.
E’
questa gente del Rukongai che non sa quando abbassare la testa. Sembra
strano data lo loro posizione, ma è proprio così.
Eppure dovrebbero rivalutare questo loro modo di fare date le
condizioni in cui…”
“La smetta!”
Il silenzio piombò in quella stanza.
Tutti rimasero inorriditi nel vedere la ragazza agire in quel modo, in
presenza del capofamiglia per di più.
“Come si permette a parlare così di cose che non
conosce nemmeno?! Lei non sa nulla! A noi non importa cosa pensa.
Piuttosto dovrebbe essere lei a rivalutare la sua posizione!”
La ragazza, presa da una forte scarica di adrenalina, aveva perso il
controllo. Cominciò a tremare ed urlò contro quel
uomo, che invece si definiva dotto ed istruito, non curante delle
conseguenze, sotto gli occhi attoniti dei presenti.
Mentre stava ancora pronunciando la sua frase, sentì il
fusuma alle sue spalle strisciare. Il rumore impercettibile di quei
passi, l’aria che appena si muoveva…una presenza
che ormai riconosceva a distanza, anche solo attraverso il semplice
respiro.
Si voltò e spalancò gli occhi alla vista di
Byakuya Kuchiki.
Era vestito di scuro, come al solito, avvolto nella sua lunga sciarpa
bianca, e la guardava con quei suoi occhi intransigenti ed
irraggiungibili.
Rimase immobile, tremante, incapace di riorganizzare i suoi pensieri.
L’unica cosa che dopo qualche secondo riuscì a
fare fu un profondo inchino verso di lui.
“No-nobile Bya…nobile Byakuya!” si morse
le labbra. Proprio non le venne di dire ‘fratello’.
Non ci riusciva nonostante lui glielo avesse espressamente chiesto.
Byakuya sembrò farci caso, e per un attimo
sembrò anche infastidito nell’essere stato
chiamato così. Questo rattristò ancora di
più Rukia, già mortificata della pessima figura
fatta proprio davanti a lui.
“Cosa succede?” chiese lui asciutto, con
quella sua voce calda e pacata, severa ed autoritaria. Una voce che la
seduceva e l’atterriva allo stesso tempo.
La ragazza alzò gli occhi verso di lui, mentre il giovane
dai capelli neri li rivolgeva a sua volta a suo nonno, che lo
ricambiò serio per poi scuotere la testa con
disapprovazione.
“Rukia, puoi andare.”
Rukia rivolse due occhi molto sconfortati verso Ginrei Kuchiki, che le
aveva appena ordinato di allontanarsi dalla stanza.
Si sentì profondamente mortificata. Sapeva che adesso
avrebbero parlato di lei, e ne avrebbero parlato male. Chiuse gli occhi.
Si piegò di nuovo, dopodichè raggiunse il fusuma
e li lasciò soli.
Non appena mosso qualche passo, già vide l’ombra
del nobile Byakuya prendere posto, e la voce del suo istruttore
prendere parola.
Istintivamente aumentò il passo per allontanarsi
più velocemente. Non voleva sentire cosa avessero da dire,
non voleva sapere cosa avrebbero detto su di lei a Byakuya.
Così velocemente si inoltrò per i corridoi della
casa, non sapendo di preciso dove dirigersi.
Era in quella abitazione da pochissimi giorni, non sapeva
già orientarsi in quegli spazi immensi, così
arrivò fino in giardino e si sedette sull’orlo di
una delle fontane di marmo li posta, lasciando che lo schizzo
dell’acqua la colpisse di tanto in tanto. Il rumore di quello
scroscio l’aiutò a sentirsi meglio, e i suoi nervi
presero finalmente a rilassarsi almeno un po’.
Riaprì gli occhi.
C’era un bellissimo profumo di erba tagliata in giro. La
temperatura dell’aria era perfetta quel giorno, ed un lieve
venticello rinfrescava quel leggero tepore che sentiva su di se.
Certo che, visto la dì, quel posto non era poi tanto male.
Visto da quella prospettiva, sembrava un luogo incantato, la classica
abitazione in cui chiunque sognerebbe di vivere. Solcate le
sue mura, invece, si avvertiva immediatamente la pesantezza delle
persone che ci abitavano e delle regole sulle quali vertevano.
Però, fuori, c’era una calma rilassante e
piacevole. Un silenzio dolce, che non le portava alcuna inquietudine, e
anzi, la trasportava in una dimensione di assoluto benessere.
Rimase lì senza controllare il tempo che trascorreva, senza
importarsi di nulla.
Se ci fosse riuscita, quello sarebbe stato il suo rifugio. Dopotutto,
non le sembrava molto chiedere una stanza che affacciasse sul giardino.
Magari quando le cose sarebbero andate meglio. Intanto voleva godere di
quell’attimo quanto più le sarebbe stato concesso.
Distrattamente prese a guardare di nuovo verso la casa.
Chissà se un giorno sarebbe riuscita a sentirsi parte di
loro. Era così difficile abituarsi a qualcosa di
così estraneo.
Adesso aveva una casa, una famiglia, ricchezza e portava
l’alto nome dei Kuchiki. Quelle persone le avevano donato una
nuova vita, un vita che non aveva meritato, le era stata donata. Per
questo, nonostante i suoi turbamenti, doveva cercare di moderarsi ed
essere molto, molto più riconoscente verso di loro.
In cuor suo lo era per davvero. Ma i suoi dubbi e le sue paure erano
troppe per far si che manifestasse apertamente i suoi sentimenti.
All'improvviso i suoi occhi si puntarono di nuovo sulla figura del
ragazzo dai capelli neri, che passeggiava parecchi metri distante da
lei sulla passerella che contornava il giardino.
Camminava con la sua solita fierezza, sfilando con una eleganza
imparagonabile, facendo oscillare il lungo kimono nero.
Ogni volta che lo vedeva aveva un attimo di vertigini ed il suo cuore
cominciava a pulsare. Rimase immobile, seguendolo incantata con gli
occhi, non sbattendo le palpebre neanche per un momento,
finché lui non svoltò un angolo e
sparì dalla sua vista. Solo allora riprese coscienza e si
rimise di scatto in piedi.
Era solo adesso, era la sua occasione per scusarsi per il suo
comportamento.
Chissà cosa gli avevano detto quel insulso maestro e il
nobile Ginrei per demolirla ancora di più. A loro
però non dava troppa importanza. Se c’era qualcuno
di cui però le importava il giudizio, era proprio lui,
Byakuya.
Sicuramente lui avrebbe tenuto molto più in alto il giudizio
e le parole di suo nonno, tuttavia Rukia almeno a lui voleva dare delle
spiegazioni. O se non quelle, almeno mostrarsi sinceramente mortificata
per come l’aveva trovata. Non era necessario che le desse
ragione, ma solo che guardasse i suoi occhi sinceri.
Girò lo stesso angolo da dove aveva visto sparire il
ragazzo, ma non lo vide. Subito si allarmò facendosi
prendere dal panico. Perlustrò il lungo corridoio di corsa.
Il nobile Byakuya non poteva averlo percorso tutto così
velocemente, eppure era sparito. Subito corrucciò la faccia
e si sentì infinitamente stupida per aver desistito prima di
raggiungerlo. Si era immobilizzata a guardarlo ed adesso
chissà quando le sarebbe ricapitata l’occasione di
rivederlo in quella stessa giornata. Perché parlargli dopo
sarebbe stato insensato.
Abbassò lo sguardo. Forse, dopotutto, era meglio
così. Almeno non avrebbe rischiato di sembrare patetica.
Prese così a ciondolare per il corridoio, strascinandosi
quasi.
Sì, perché in verità ci era rimasta
davvero male. Sembrava che tutto andasse storto.
Girò vagamente lo sguardo.
Quella zona della casa era assolutamente vuota. Forse non era il caso
rimanere lì. Così fece dietro fronte, intenta a
ritornare sulla sua fontana. Meglio rimanere lì, che
richiudersi in quella sua vuota e triste stan…za.
Mentre formulava i suoi pensieri, fece qualche passo indietro verso un
fusuma lasciato appena semi chiuso. Quando era passata prima non ci
aveva proprio fatto caso. Sbirciò istintivamente dentro.
Dopotutto Rukia era solo una giovane ragazza, che si lasciava attirare
da tutto in quella casa, per il suo spirito di fondo molto curioso.
Buttò appena un occhio ed impallidì quando
focalizzò la figura di Byakuya Kuchiki li dentro.
Sgranò gli occhi e fu assolutamente incapace di distogliere
lo sguardo.
Si inginocchiò lentamente e rimase lì ad
osservarlo per quel poco che si vedeva da quella fessura. La stanza era
grande, libera, e arredata unicamente da un tavolino basso al centro,
un futon più grande del suo, di colore blu e decorato con
dei delicati ricami su tinta. Intravide anche dei mobili color mogano,
ma non si vedeva bene a dire la verità.
Ad un certo punto il ragazzo si posizionò in una zona della
stanza a lei più visibile e fu allora che si accorse che lui
era nudo.
Arrossì di colpo.
In verità non era nudo, era solo col petto scoperto, ma data
la giovane età della bruna, non le era mai capitato di
vedere un ragazzo svestito. Per di più non un ragazzo
qualsiasi.
Lo vide lentamente raccogliere l’hadajuban dal letto e
coprirsi le ampie spalle. Come immaginava, il nobile Byakuya aveva un
corpo bellissimo, allenato, e seppur fosse molto magro, i muscoli erano
ben evidenti e abbastanza scolpiti. Quel suo sguardo serio a tratti
malinconico, poi, lo rendevano decisamente affascinante.
Deglutì quando si girò col busto verso di lei,
facendole vedere più nitidamente i pettorali. Lui
continuò a vestirsi non accorgendosi di lei e, sempre con
movimenti molto lenti, chiuse delicatamente il sottile hadajuban, per
poi indossare il kimono.
Avvicinò le mani al copricapo che abitualmente aveva fra i
capelli. Lo smontò facilmente e lo sfilò via,
facendo ritornare al loro posto le ciocche di capelli che intanto si
erano scomposte. Non essendosi ancora specchiato, aveva qualche ciocca
ancora fuori posto, seppur comunque i suoi capelli fossero sempre in
ordine poiché liscissimi. Però rappresentando
come era solito vederlo, bastarono quei pochi fili di capelli alzati a
dargli un’aria diversa.
Già pensava che fosse un bel ragazzo, ed era innegabile
visti i lineamenti regolari. Ma fu allora che si rese conto di
trovarlo veramente…bello.
Si sentì ancora più accaldata. Cosa stava
pensando? Quell’uomo…quell’uomo le aveva
detto lui stesso di voler essere chiamato da lei
‘fratello’. Per di più abitavano sotto
lo stesso tetto, lui era un ragazzo nobile, un Kuchiki, per di
più nipote di suo nonno. Non doveva assolutamente pensare
cose di questo genere.
Anche se…
Riprese ad osservarlo.
Anche se era bello. Non c’era null’altro da
aggiungere. Non c'era niente di male a pensarlo.
Si accorse improvvisamente che era scesa un po’ di ombra su
di lei. Si voltò lentamente pensando che il cielo si fosse
oscurato per via delle nuvole, ma subito si accorse di aver
completamente frainteso.
Si pietrificò quando si accorse di avere dietro di se
l’imponente figura di Ginrei Kuchiki.
Aveva le mani congiunte sotto le maniche del kimono, e la guardava con
uno sguardo sprezzante e indagatore. La ragazza si sentì
morire e fu sicura che le sue labbra divennero completamente pallide.
Sentì il cuore in gola e rimase lì, immobile,
incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Ginrei, vedendola inginocchiata di fronte la stanza di suo nipote,
strizzò gli occhi e le parlò laconico.
“Cosa stai facendo qui?”
La ragazza deglutì.
Cosa poteva mai rispondergli? Tremando, si alzò e gli
rivolse appena uno sguardo pieno di sgomento. Dopodichè, in
preda al panico, piegò appena la testa in segno di
costernazione e scappò via allontanandosi dalla sua
vista con una velocità incredibile.
Che…Che figura ci aveva fatto! Cosa…cosa avrebbe
pensato?
E se…e se l’avesse detto a Byakuya?!
Si fermò inorridendo solo ad immaginare una prospettiva del
genere. Già il nobile Ginrei Kuchiki aveva la sua
“bella” opinione su di lei. Se si ci aggiungeva
anche questo?
Scosse la testa. Non voleva neanche pensarci!
Così, con il cuore ancora a mille, sgattaiolò
nella sua stanza e si butto sul futon maledicendo tutte le stupidaggini
che stava facendo, tutte le cose che stava sbagliando, questa sua nuova
vita che non l’apparteneva. Girò lo sguardo e si
vide ancora lì, riflessa in quel grande specchio che non
faceva che perseguitarla.
Guardò sprezzante la sua figura, con le lacrime agli occhi e
colmi di malinconia e rabbia. Non poteva restare lì, era
tutto troppo più grande di lei. Non ce l’avrebbe
mai fatta! Come avrebbe mai potuto diventare una di loro? Non ne aveva
le qualità, non aveva le competenze, non aveva assolutamente
nulla. Aveva però i suoi sogni, la sua forza d'animo e i
suoi amici...perchè? perchè le sue uniche
certezze non si riflettevano con lei in quello specchio?
Perchè doveva vedere una se stessa che non riconosceva e che
non avrebbe mai riconosciuto? Quella Rukia non era lei. Dove aveva
lasciato i suoi sogni? Dove era finito il suo mondo? Era giovane, ma
non così tanto da ricominciare proprio tutto.
In un attimo di rabbia, cominciò a battere con le mani
ripetutamente sullo specchio, facendolo vibrare ad ogni colpo, fino a
quando si cominciarono a creare delle crepe. Non si fermò e
continuò a colpirlo, finché si spaccò
e dovette ritirare la mano sanguinante, che prese a pulsarle dal
dolore, con una grossa scheggia ancora conficcata nel palmo.
Gemette, portando la mano sul petto e sorreggendola con l'altra.
Cominciò a piangere più intensamente, le sue
labbra presero a tremare fra i singhiozzi, non solo per il dolore
fisico. Il suo lamento divenne così forte che i domestici
dovettero affacciarsi per controllare cosa fosse successo. Si
allarmarono quando videro lo specchio frantumato, e centinaia si
schegge attorno alla giovane Kuchiki, con la mano e il kimono sporco di
sangue. Le vennero vicino, ma lei non permise loro di avvicinarsi,
dimenandosi istericamente. Così questi l'afferrarono di
nuovo, intenzionati a somministrarle per l'ennesima volta quei
disgustosi calmanti. Rukia era così irrequieta che
dimenticò il dolore e fece per scappare via, ma fu subito
bloccata da uno dei servi, più massiccio rispetto
agli altri, che la prese per la vita e la sollevò da terra
facilmente.
"Lasciatemi! Lasciatemi...!! Sigh...sigh..."
"Vogliamo solo curare la sua ferita, si calmi."
"Basta...bas...ta......."
Continuò a singhiozzare. Le avvicinavano alla bocca
quell'intruglio e fu costretta ancora una volta ad ingerirlo.
Sentì i suoi occhi pesanti e la sua testa leggera.
"Nobile Byakuya..."
Non seppe perchè, ma volle pronunciare il suo nome.
Le si parò nella sua mente la sua figura aristocratica e
distinta. Voleva vederlo.
Voleva...
Chiuse gli occhi.
"Signore!"
"Lasciateci soli."
Rukia sentì di nuovo il pavimento sotto i suoi piedi.
Aprì appena gli occhi, e si accorse che i servi l'avevano
lasciata. Un po' intontita per l'effetto del medicinale,
cercò di mettersi bene in piedi, e fu allora che vide di
fronte a se il ventre di un uomo vestito di scuro.
Alzò lo sguardo riconoscendo quel kimono e
impallidì vedendo Byakuya Kuchiki.
Lui la guardava con severità. Aveva saputo da Ginrei che
l'aveva spiato mentre si vestiva?
Le si avvicinò e lei chiuse istintivamente gli occhi
aspettandosi un rimprovero da parte sua, cosa che però non
avvenne.
Infatti il ragazzo le sollevò il braccio ed
osservò la ferita che aveva sul palmo della mano. La ragazza
rimase senza parole, incantata mentre lui scrutava il taglio e la
scheggia ancora conficcata in esso.
Osservò il suo viso e per la prima volta rimase a guardarlo
da vicino, palpitando ad ogni suo tocco, ad ogni respiro che sentiva
soffiare sulla pelle della sua mano vicinissima a lui.
Il ragazzo poi prese la scheggia fra due dita e con fermezza la
levò via, costringendo Rukia a levare via la mano dalla sua
per il dolore lancinante infertole. Subito però si
scusò per la sua impulsività e
riallungò la mano verso di lui, costernata.
Byakuya la osservò per diverso tempo, soffermandosi
sopratutto sul suo vestito imbrattato di sangue. Mosse appena le
sottili labbra, schiudendole, poi portò una mano dietro le
caviglie della ragazza e con un gesto veloce la sollevò da
terra, portandola fra le sue braccia. Rukia portò le mani
sul petto e arrossì violentemente. Quando lui
ricambiò il suo sguardo, abbassò il viso sperando
che lui non si accorgesse del suo stato d'animo. Il suo cuore
cominciò a palpitare forte.
Abbandonò involontariamente la testa sul suo petto, forse
per effetto del calmante, e sentì il cuore di Byakuya
battere regolarmente. Era un suono dolce, che la
tranquillizzò completamente.
Byakuya rimase in silenzio, trasportando la ragazza in una stanza
più sicura dove farla medicare, rivolgendole di tanto in
tanto i suoi occhi ed osservandola mentre pian piano lei si abbandonava
su di lui e cominciava a chiudere le palpebre ancora inumidite dalle
lacrime.
Quell'apparenza debole, quel viso innocente e quella pelle
così pallida...rimembrava in lui ricordi che non pensava di
poter toccare così con mano.
Gli sembrava quasi di rivivere tutto quello che aveva passato,
attraverso un'estranea ragazzina che insopportabilmente non faceva che
ricordargli lei.
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Capitolo 2 *** You haven't the right to be her ***
Capitolo
2. You
haven’t the right to be her.
Un
nuovo inizio, un nuovo giorno. Non sono tanto diversa da ieri, in
questo specchio continuo a non vedere che un riflesso.
Però,
qualcosa è cambiato dopotutto.
Erano
passati diversi giorni dalla sua adozione nella famiglia Kuchiki.
Rukia
era seduta sulla soglia dello shoji di camera sua che collegava
all’esterno. Accarezzata dalla leggera brezza di primo
mattino, si sentì finalmente libera. L’aria fresca
che soffiava sul suo viso sembrava la stessa che sentiva quando nel
Rukongai, al mattino presto, si recava vicino al fiume per trovare
qualche attimo di quiete, e pensare. Riconosceva la dolcezza di quel
soffio ed il suo tenue profumo.
Forse,
dopotutto, non era poi così lontana se poteva raggiungerla
fin lì.
Il
suo sguardo si perse nelle luci che pian piano cambiavano colore, dando
spazio a tinte più luminose che proiettavano, per contrasto
con la grande fonte di luce del sole che pian piano ergeva, ombre
ancora più nette sulle cose.
I
suoni erano delicati, silenziosi, ma bastava chiudere gli occhi per
sentire il dolce mormorio del vento che scuoteva le foglie,
l’erba del prato umido, l’acqua, il cui scroscio la
rilassava completamente.
Aprì
debolmente gli occhi. Questa volta il sole era più intenso e
tutto sembrava sul giallo.
A
quell’ora del mattino era come se il tempo scorresse
più velocemente. Quasi come se volesse che il suo spettatore
godesse per poco tempo di quell’atmosfera, proprio
perché doveva rimanere magica.
Proprio
perché doveva riuscire ad incantare chi riusciva a
svegliarsi presto.
Un
attimo prima il cielo era ancora scuro, e l’attimo dopo
già era tinto di un celeste chiarissimo, contornato da un
orizzonte arancione che rimandava al tramonto.
Se
tutto il giorno fosse stato così, nessuno avrebbe
più fatto caso alla bellezza del silenzio, e
all’unicità dei colori che pian piano cominciavano
a risplendere nel buio.
Fu
felice che il nobile Byakuya proprio la sera prima le avesse dato
quella stanza che affacciava sul giardino.
Si
era ritrovata spesso a pensare di chiedere questa cortesia, ma non le
si era mai presentato il momento opportuno. Eppure, di sua iniziativa,
era stato lui stesso ad annunciarle che poteva scegliere la stanza che
più preferiva, indicandole fra quelle che affacciavano sul
giardino.
Per
un attimo si era chiesta come avesse mai potuto intuire questo suo
piccolo capriccio. Non credeva di essere mai stata evidente.
Abbassò
lo sguardo e prese ad osservare distrattamente la sua mano fasciata,
adagiata sulle sue gambe.
Se
la muoveva, sentiva ancora le fitte del dolore di quella ferita
provocatole dalla scheggia di vetro dello specchio che lei stessa aveva
frantumato. L’accarezzò debolmente, ma anche un
delicato gesto come quello bastò a farla sussultare.
Chissà
perché, invece, quando era stato lui a toccarla, non aveva
provato alcun dolore.
Anzi.
Il ricordo di quel piacevole tocco sulla sua pelle bastava a farle
sentire delle vibrazioni per tutto il corpo.
Ricordava
ancora nitidamente il viso impenetrabile del nobile Byakuya che
osservava la sua ferita dopo l’accurata visita del medico di
famiglia. Lui era sempre gelido e noncurante, eppure fu sicura che
fosse preoccupato per lei. Le aveva chiesto distrattamente
perché lo aveva fatto, e lei non aveva saputo rispondergli.
Si era solo limitata a sorridergli. Perché poi?
Perché gli aveva sorriso proprio in quel momento? In
realtà era semplicemente felice che lui fosse lì,
a chiedersi qualcosa su di lei, anche se per pochi minuti.
Il
fatto di essere stata nei suoi pensieri per quel piccolo lasso di tempo
l’aveva fatta sentire insolitamente felice e quella stessa
emozione la pervadeva tutt’ora, rievocando quel momento, fino
a disegnarle sul volto quella medesima contentezza.
Eppure
lo conosceva da così poco.
Lui,
nonostante quel temperamento glaciale, in qualche modo era diventato il
suo pilastro. Nonostante lo vedesse poco, nonostante avessero poco a
che fare l’uno con l’altra, nonostante si
incontrassero di raro in quella grande e lussuosissima villa. Lui era
diventato il suo unico scoglio e in questo buio immenso dove doveva
rintracciare pian piano le linee della sua vita, vedeva nitido il suo
profilo, i suoi occhi.
Non
c’era un motivo. Era così e per questo aveva
deciso di provarci. Di provarci per davvero ad essere un Kuchiki.
Non
sarebbe stato facile ricominciare tutto, ma avrebbe almeno tentato.
Ancora
di più questa era l’occasione buona
perché il nobile Ginrei Kuchiki si era allontanato di casa
proprio la sera prima. Non le era stato detto il motivo della sua
partenza, ma sapere che non ci sarebbe stato per qualche giorno la
sollevò non poco visto che in quella casa tutti non facevano
che tenerle gli occhi addosso. Tranne Byakuya.
Quel
pensiero l’intristì di colpo.
Byakuya
era l’unica persona alla quale avrebbe volentieri dato conto,
eppure era il più lontano di tutti. Si chiedeva spesso
perché.
Scosse
velocemente la testa.
Adesso
erano soli in casa, Byakuya di certo non si sarebbe allontanato visto
che avrebbe dovuto curare gli affari di famiglia da solo. Sarebbe stata
la sua occasione per cominciare a stringere un qualche legame con lui.
Chissà, magari avrebbero persino scoperto di andare
d’accordo.
Così
si alzò e prese a scegliere da sola i vestiti da indossare.
Ancora non le andava giù che fosse lavata, vestita e
acconciata da degli estranei. Forse anche per questo aveva preso a
svegliarsi presto, così da farsi trovare già
pronta in camera.
Lasciò
velocemente la stanza, quindi, per dirigersi nel bagno di
quell’ala della casa. Si guardò appena intorno, la
casa sembrava deserta in quella zona. Probabilmente perché
era riservata alle stanze da letto e alla servitù non era
permesso avvicinarvisi prima di un certo orario. Non ci stette a
pensare troppo, comunque, e sgattaiolò per i corridoi
attenta a non far rumore. Girò appena lo sguardo in
direzione della stanza di Byakuya.
Dal
fusuma non illuminato, dedusse che la stanza fosse ancora al buio.
Probabilmente lui stava dormendo.
Sentì
una strana morsa al cuore pensando al nobile Byakuya steso sul suo
futon, con un viso rilassato, che dormiva nella penombra.
Deglutì cercando di distogliere la sua mente da
un’immagine simile, ma non le fu facile. Che lo volesse o
meno, il ragazzo dai capelli neri riscuoteva non poca
curiosità in lei.
Aprì
il futon che conduceva nel bagno e, ancora prima di entrare,
tirò via la cintura che teneva fermo lo yukata, che fece
scivolare dalle sue spalle fino a lasciarlo cadere per terra. Prima di
entrare nell’ofuro si osservò nello specchio e
questa volta non pensò a nulla.
Si
sedette sullo sgabello e prese ad insaponarsi velocemente. Aveva
cominciato improvvisamente a sentirsi nervosa. Questo ogni volta che
vedeva la sua immagine.
Massaggiò
le sue spalle, per scendere pian piano sul petto, poi sul ventre.
Lentamente
riprese ad avere dei movimenti più delicati. Un leggero
brivido le trapasso l’intero corpo e fu costretta a stringere
le spalle fra loro.
Forse
era rimasta seduta sullo sgabello troppo a lungo e stava prendendo
freddo, così si buttò addosso l’acqua
calda.
Espirò
bruscamente per cacciare l’acqua che inevitabilmente era
scivolata sul suo viso. Stropicciò gli occhi portando poi la
mano sui capelli per buttarli all’indietro. Sentì
questi sfiorarla appena all’altezza delle scapole. Quando
erano bagnati, i suoi capelli potevano considerarsi lunghi, sfortuna
era che una volta asciugati tendessero sempre a gonfiarsi, e quindi a
ricadere a malapena sulle spalle. Non che non le piacessero, ma vedersi
diversi qualche volta è interessante. E in quel senso,
immaginarsi con i capelli lunghi e lisci le dava una certa impressione.
Positiva.
Si
sciacquo più volte prima di immergersi nella vasca
d’acqua calda per rilassarsi. Rimase lì per
diversi minuti, lasciando che le sue braccia galleggiassero a pelo
d’acqua.
I
capelli erano morbidi sulle sue spalle, le cui ciocche più
lunghe ricadevano sul seno. Il suo viso cominciava pian piano
a farsi paonazzo, ma non ci fece troppo caso perché calore a
parte stava bene.
Chiuse
gli occhi.
Poteva
dire che quello era stato il bagno più bello e rilassante
della sua vita. Nel Rukongai non aveva la possibilità di
fare tanta attenzione alla sua igiene date le sue precarie condizioni,
ma nel suo piccolo coglieva ogni occasione per riuscire a immergersi da
qualche parte e darsi una sistemata.
Ma
mai aveva fatto il bagno in un ofuro. Un ofuro poi così
elegante e spazioso, davvero degno di una famiglia nobile. Era in
situazioni come queste che rimpiangeva i suoi amici. Non era giusto che
lei fosse lì. Non era giusto che lei avesse tutto questo e
loro no. Per di più senza alcuno specifico motivo.
Fu
quando un violento raggio di sole si proiettò
improvvisamente nell’acqua che la ragazza riprese coscienza.
Si
girò di scatto e dalla piccola finestra posta in alto nella
stanza, si accorse che il cielo era luminosissimo. Spalancò
gli occhi incredula. Doveva alzarsi immediatamente!
Così
si mise in piedi ed annodò un asciugamano addosso. Come una
stupida non si era portata alcun cambio, così raccolse da
terra lo yukata col quale aveva dormito e si affacciò sul
corridoio sperando di poter raggiungere camera sua indisturbata.
Come
temeva, la casa era completamente illuminata. Dovevano essere in piedi
tutti oramai. Strinse i denti, maledicendo la sua stupidità
nell’essere rimasta a mollo così tanto tempo,
dopodichè si inoltrò fuori percorrendo il
corridoio più velocemente che poteva. I piedi nudi e ancora
bagnati non le permisero un’andatura disinvolta,
così non poté essere veloce come avrebbe voluto.
Si
voltò appena verso la stanza di Byakuya. Il futon era
aperto. Sbirciò appena dentro con la coda
dell’occhio e non vedendolo dedusse che doveva essere in
piedi anche lui. Si affrettò quindi a superare la sua
stanza, voleva evitare di incontrarlo proprio ora.
Girò
l’angolo e mentre si diresse nella sua stanza si accorse che
anche il suo futon era aperto. Subito storse il naso sicura che dentro
fossero già entrate le cameriere per mettere in ordine.
Sospirò pazientemente, ma una volta oltrepassata
appena la soglia dovette ricredersi immediatamente.
Byakuya
Kuchiki era lì.
Il
suo cuore prese a battere velocemente, le sue gambe si immobilizzarono
e i suoi occhi si pietrificarono alla sua vista. Il ragazzo guardava
distrattamente fuori, completamente immerso nei suoi pensieri, ma lei
era più che sicura che, con un simile reiatsu, lui avesse
già avvertito la presenza della giovane ancora prima che lei
entrasse.
Strinse
a se ancora più fortemente l’asciugamano. In
verità questo era abbastanza lungo e la copriva dal petto
fin oltre alle ginocchia.
Ma
era proprio il fatto di essere ancora bagnata e soprattutto di non
avere niente addosso oltre quello, ed essere quindi praticamente mezza
nuda davanti a lui a preoccuparla. Portò una mano dietro la
schiena, cercando di alzare quanto più possibile
l’asciugamano anche lì. In verità
cominciò a sentirsi decisamente stupida e, proprio quando
Byakuya cominciò a voltarsi verso di lei, istintivamente
sbandò di colpo e si fece ancora più paonazza di
prima, mentre i suoi capelli cominciavano ad arruffarsi asciugandosi al
vento.
Byakuya
sembrò guardarla con curiosità, ma velocemente le
sue attenzioni ritornarono verso lo shoji aperto, dimenticandosi quasi
di lei. Fu allora che Rukia con determinazione entrò nella
stanza e prese ad afferrare velocemente il primo yukata che ebbe a
portata di mano. Lo mise sulle spalle, infilando le braccia nelle
maniche e lo allacciò velocemente in vita, provvedendo dopo
a tirare giù l’asciugamano.
“N-nobile
Byakuya…tu, cosa…cosa ci fai qui?!”
disse mentre metteva in azione il suo piano di vestirsi senza svestirsi.
“Dalla
finestra aperta, ero sicuro tu fossi in piedi. Vestiti,
dopodichè vieni da me.” Disse asciutto non
rivolgendole alcuno sguardo.
“Io
posso venire subito se vuoi. Sono già…”
Lui la guardò dritto negli occhi, interrompendo
così il suo discorso.
Il
nobile Byakuya sapeva comunicare anche con un solo sguardo e da quel
gesto sembrava volerle far capire di preparasi come si deve. Fu quando
però i suoi occhi scesero leggermente più in
basso che Rukia capì veramente. Seguendo i suoi occhi
infatti, si rese conto che il sottile tessuto dello yukata si era
bagnato in diversi punti dato che il suo corpo era ancora umido quando
l’aveva indossato. Visto poi che sotto, per la fretta, non
aveva indossato nulla, e il colore del suo vestito fosse un delicato
rosa confetto, si vedevano abbastanza nitidamente, da sotto il tessuto,
le forme del suo corpo che, seppur acerbo, era comunque il corpo di una
giovane donna.
Così
strinse subito le mani sul petto e prese a fissare imbarazzatissima il
pavimento non sapendo se o cosa dire.
Per
lei il nobile Byakuya era un estraneo dopotutto.
Come
si era permesso di guardarla in maniera tanto spudorata?
Per
di più quell’espressione divertita, che si
intravedeva a malapena sul suo volto, ma che ai suoi occhi era
più che evidente date le circostanze, cominciò ad
irritarla notevolmente. Dovette trattenersi nel non reagire in nessun
modo.
“Potrei
essere lasciata da sola adesso?” disse usando per la prima
volta un tono più nervoso nei confronti di Byakuya.
Il
ragazzo si limitò ad annuire, le diede le spalle e
sfilò via allontanandosi leggiadramente da quella stanza.
In
quel momento, la soavità dei movimenti di Byakuya fu
qualcosa di così fastidioso, e fu capace solo di guardarlo
con un’espressione alterata e perplessa.
Che
tipo di persona era quel ragazzo?
Era
distaccato, freddo, aristocratico nei modi…e poi se la
rideva sotto i baffi di fronte il suo imbarazzo?!
Aggrottò
le sopraciglia ancora innervosita e tremendamente confusa,
dopodichè chiuse violentemente il fusuma e prese ad
asciugarsi e vestirsi come si doveva.
Più
tardi, una volta pronta, si fece coraggio e si presentò
davanti la camera del nobile Byakuya come lui le aveva chiesto, con
l’intenzione al momento di non alludere a ciò che
era successo poco prima.
Non
aveva neanche voglia di pensarci più di tanto, anche se il
cuore le batteva forte alla sola idea che lui avesse potuto dir
qualcosa in merito. Il sol pensiero le faceva venir voglia di girare i
tacchi e far finta di aver dimenticato la sua richiesta di venire
lì. Tuttavia oramai era troppo tardi, lui sicuramente si era
già accorto della sua presenza. Tanto valeva mostrarsi
disinvolta. Cominciare in questo modo la loro convivenza da soli, senza
la presenza del nonno, era inappropriato. Aveva già deciso
che almeno con lui voleva partire bene e per questo doveva
approfittarne fintanto che erano soli in casa. Dopotutto Byakuya non
sembrava tanto più grande di lei. Forse era già
maggiorenne, ma in fin dei conti quattro o cinque anni di differenza
non erano poi molti. Chissà che quindi lui non si sarebbe
lasciato andare un po’ con lei, allontanando da se quella
maschera impenetrabile che lui indossava costantemente.
Chinò
appena la testa, poi alzò la mano e con le nocche batte
delicatamente sul fusuma generando dei rintocchi appena udibili, ma che
bastarono per far sì che dall’altra parte venisse
risposta. Pochi istanti e infatti Rukia sentì la calda voce
di Byakuya che l’invitava ad entrare.
La
ragazza dai capelli neri deglutì, infilò la mano
nell’apertura della porta e la tirò per poi
entrare appena sulla soglia. Non osò proseguire di
più, non sapeva mai bene come comportarsi in
quella famiglia così attaccata a determinati
clichè che lei non sapeva se e quando sarebbe mai riuscita
ad imitare.
Prese
a guardarsi intorno. La stanza aveva già avuto modo di
scrutarla quella volta in cui si era incantata ad osservarlo di
nascosto in camera sua, ricordava con un certo imbarazzo,
però ufficialmente era quella la prima volta che vi entrava.
Era ampia, spaziosa, ben arieggiata ed ordinata. La stanza che
esattamente si ci aspettava.
Byakuya
era di spalle e, come suo solito, non si voltò neanche per
assicurarsi che fosse lei.
La
sua schiena era lunga e dritta, e nonostante questo suo aspetto esile,
le sue spalle sapevano trasmettere forza ed imponenza. Il nobile
Byakuya doveva essere un abile combattente, ne era certa.
“Siediti,
Rukia.”
La
ragazza annuì con la testa e si inginocchiò
velocemente rimanendo a guardarlo. Lui parlava sempre molto lentamente,
per questo non era mai in grado di capire quando prendesse parola o no.
Il
silenzio tuttavia durò a lungo e per questo si
sentì in dovere di dire qualcosa. Byakuya intanto
chinò appena il capo cominciando a fare per posizionarsi di
fronte a lei e parlare, ma la ragazza era così profondamente
agitata da non accorgersene. Tanto che prese a parlare a raffica
convinta che spettasse a lei rompere il ghiaccio in qualche modo.
“E’
davvero una splendida giornata! Stamattina ne ho approfittato per
allenarmi, spero di non aver arrecato disturbo. Il giardino
è davvero bello! Non l’ho neanche ringraziata per
la stanza, la vista è davvero magnifica. Noto che anche la
sua affaccia qui. Oh! Ehm…ho appreso che il nobile Ginrei
è fuori per qualche giorno, spero sia…”
Si
fermò notando la faccia attonita del nobile Byakuya.
Lui
infatti sembrava aver assunto per la prima volta un qualche tipo di
espressione. Sembrava piuttosto perplesso di quanto la ragazza fosse
capace di parlare, e di argomenti quasi decisamente sconnessi fra loro
per giunta.
In
verità non la stava guardando con rimprovero, ma con un
genuino stupore. Tuttavia il suo viso era da sempre abituato ad non
esprimere mai chiaramente ciò che sentiva davvero.
Così
si limitò solo a riposizionarsi di fronte a lei e a
nascondere un lieve ghigno che ai suoi occhi avrebbe potuto essere
inteso in modo dispregiativo.
Da
parte sua, Rukia invece si sentì terribilmente mortificata
non sapendo di preciso dove aver sbagliato. Certo, in verità
vedere Byakuya guardarla con quella faccia le aveva fatto salire il
cuore in gola e il viso le si era fatto di colpo bollente. E non
perché pensava di aver fatto una brutta figura, ma
perché per lei era strano identificare in lui situazioni
normali come lo stupore, la rabbia, gioia, ecc…
Lo
vedeva ancora da lontano, come un personaggio di un libro del quale non
conosceva ancora le sfaccettature. Ed il primo incontro con una di
queste sapeva lasciarle il segno, anche se erano appena impercettibili
come le sue.
Era
successo anche quando l’aveva guardata la prima volta negli
occhi quando era andata con lui e Ginrei Kuchiki a discutere brevemente
sulla sua adozione qualche giorno prima.
Ritornò
velocemente al presente. Chiuse gli occhi e gli porse le sue scuse
tutto d’un fiato.
“Mi
dispiace nobile Byakuya! Forse ho parlato troppo.”
Strinse
gli occhi più che poteva. In qualche modo quel gesto
l’aiutò a scaricare la tensione. Si
ritrovò involontariamente a stringere il kimono nei i pugni
delle mani all’altezza delle ginocchia.
Improvvisamente
si sentì appena sfiorare il mento. Guidata da quel leggero
tocco, alzò il viso e si ritrovò davanti gli
splendidi occhi grigio-blu del ragazzo dai capelli neri. Le sue dita
erano delicate, la toccavano appena, eppure emanavano una energia che
sembrava premere direttamente sulla sua volontà.
Lui
rimase composto, seduto normalmente di fronte a lei, con il braccio
teso mentre la guardava profondamente. Lei restò a perdersi
nel suo viso incapace di guardare altrove, estasiata che fosse lui ad
averla voltata verso di se.
Lo
vide muovere lentamente le labbra e parlare con quel tono profondo e
basso, eppure autoritario, che da un lato temeva, dall’altro
considerava assolutamente seducente.
“Ti
prego, non essere così tesa.” Le disse mantenendo
con quel suo modo di fare serio ed impenetrabile.
Rukia,
ancora persa nei suoi tratti, cercò di tornare padrona di
se. Così eliminò quei suoi occhioni sbarrati e
smarriti, recuperando un’espressione più normale e
naturale.
“Bene.”
Annuì
lui compiaciuto, allontanando lentamente la mano dal viso della
ragazza, che per poco non sussultò poiché presa
ancora fortemente dai suoi sentimenti.
Un
leggero tocco del nobile Byakuya era capace di fare questo. Aveva
sentito delle forti vibrazioni scorrerle per tutto il corpo fino a
scaricarsi a terra. Delle vibrazioni così forti che
avrebbero fatto sbandare il corpo intero se fosse stata giusto
leggermente meno padrona di se. Si chiese se il ragazzo fosse
consapevole di poter suscitare simili sentimenti nelle persone che lo
circondavano. Oppure chissà se succedeva soltanto a lei, ma
non credeva. Era un ragazzo giovane ed affascinate, chi mai avrebbe
potuto essere indifferente ad un suo sguardo o ad un suo tocco?
Lo
vide adagiare la sua candida mano sulle gambe e da quella sua
espressione posata e seria si chiese se invece non stesse fantasticando
troppo e magari stesse solo sognando.
Per
lei quell’attimo era durato un lunghissimo minuto, era stato
così solo per lei? Probabilmente sì. Lui era
naturale e frigido come il solito. Per lui non era successo
assolutamente niente.
“Dovresti
venire con me al gotei. Sarebbe il caso tu cominciassi a prender posto
li.”
“Al
gotei?” lo interruppe presa alla sprovvista. “Suo
nonno ha ordinato che io avrei dovuto ricevere prima delle lezioni di
educazione. Non credevo che invece…”
“Vuoi
diventare una shinigami? Allora dobbiamo cominciare a muoverci, Rukia.
E per quanto riguarda la tua educazione, studierai anche quello. Una
cosa non esclude l’altra.”
“Certo.”
Annuì lei trovando più che ovvie le sue parole.
Si chiedeva solo quando avrebbe trovato il tempo di studiare se allo
stesso tempo avrebbe anche lavorato come shinigami.
“Seguimi.”
Le ordinò alzandosi per primo e dirigendosi verso la soglia
della porta.
Rukia
lo imitò immediatamente e prese a camminare dietro di lui.
Visto da così vicino, Byakuya era decisamente alto. In
verità lei già di suo era una ragazza piuttosto
bassina, anche per la sua età, quindi se già
normalmente lui era prominente, vicino a lei lo era ancora di
più. Si sentì leggermente in imbarazzo nel dover
alzare addirittura tutta la testa per potergli vedere il viso. Lei gli
arrivava a malapena al petto, forse era il caso di imparare ad
indossare delle scarpe alte.
Sorrise
appena, divertita dal pensare una cosa del genere. Vide Byakuya
rivolgerle appena uno sguardo avendo notato l’espressione
vivace della ragazza che subito si giustificò.
“Chiedo
scusa. E’ solo che notavo quanto siete alto.”
Il
ragazzo dietro i suoi occhi vitrei e glaciali, fu di nuovo sorpreso
dello strano modo di interloquire di Rukia. Byakuya Kuchiki era un uomo
abituato fin da giovane a parlare in modo serio e non confidenziale.
Discorsi vaghi, incentrati sul più e il meno non erano mai
stati il suo forte per questo. Gli era stato insegnato ad esprimersi
sempre con fare tecnico. Difficilmente le persone con cui si era
trovato ad avere a che fare erano mai state intenzionate invece a
stabilire un rapporto con lui, se non davvero poche.
Per
questo rimase in silenzio, non curandosi di dare una risposta alla
giovane nuova entrata della sua famiglia. Si limitò solo a
rallentare il passo per farle capire che preferiva che lei gli
camminasse di fianco, anziché vederla seguirlo alle sue
spalle.
[…]
La
mattinata passò in fretta. In verità Rukia non
aveva capito bene il perché il nobile Byakuya
l’avesse portata con se al lavoro. Le aveva fatto conoscere
della gente, ma oltre al sentirsi tremendamente perduta fra tutti quei
corridoi che caratterizzavano il gotei, non le era rimasto altro.
Si
buttò energicamente sul futon in preda alla stanchezza e la
testa le pulsava da impazzire.
Le
prime ore era stato anche piacevole osservare il ragazzo dai capelli
neri mentre dirigeva il lavoro di suo nonno, capitano della sesta
compagnia, e mentre compilava quelle carte che in accademia aveva
imparato a riconoscere anche lei.
Persino
in quel contesto, dove emergevano altri shinigami di nobili origini
appartenenti a famiglie altolocate, lui sapeva ergersi al di sopra di
loro e circondarsi di un’eleganza inequiparabile. Quasi come
se facesse parte del suo stesso dna a differenza degli altri nobili che
invece davano l’aria di essere decisamente impostati.
Lui
invece era naturale, disinvolto, un vero principe dal sangue blu.
Sì, Byakuya era quanto di più si avvicinava alla
figura di un principe. Un principe silenzioso ed aristocratico, tetro
ed irraggiungibile, bello ed attraente.
Si
sollevò dal futon e guardò fuori dallo shoji. Era
ancora giorno ma oramai il cielo stava pian piano lasciando spazio alla
sera.
Mancavano
però ancora molto tempo per cena. Si chiese se avesse potuto
chiedere di uscire per qualche ora. Così si alzò
e andò in giro per casa cercando Byakuya, ma stranamente non
lo vide in giro. Percorse il corridoio che portava alla sua stanza e
quando si rese conto di star girando invano, si rivolse ad una
cameriera che stava uscendo proprio adesso dalla sua stanza.
“Scusi,
Byakuya dov’è?”
“B-byakuya?”
sobbalzo quasi offendendosi per il fatto che la ragazza lo avesse
spudoratamente chiamato per nome. “Il signor Kuchiki mi ha
detto di non voler essere disturbato. E’ nell’ofuro
in questo momento.”
Detto
questo riprese le sue faccende e fece per lasciare quell’ala
della casa, ma la giovane dai capelli neri la fermò
tempestivamente.
La
donna si voltò mostrandosi visibilmente infastidita di
essere distratta continuamente dai suoi lavori.
“Sa
per caso se lui disapproverebbe se io facessi giusto due passi nelle
vicinanze?”
“Non
so come potrei esserle d’aiuto, signorina. Comunque non ne
vedo il motivo.”
Disse
più per levarsela di torno.
Per
qualche motivo Rukia aveva destato l’antipatia di molte
persone in quella casa. Forse perché era una ragazzina del
rukongai, o chissà, magari perché a loro modo di
vedere sembrava già prendersi molte confidenze. Generalmente
Rukia ci faceva caso, ma questa volta era troppo presa dalla voglia di
uscire da sola per badare ai toni dei suoi domestici. Così
le sorrise raggiante e scappò via.
“Grazie!
Ditegli allora che sarò presto di ritorno se chiede di
me.”
Era
ancora abbastanza frastornata per l’intensa mattinata,
l’unica cosa che in quel momento l’avrebbe aiutata
a sentirsi meglio non era poggiarsi su un letto, bensì un
po’ d’aria fresca. Inoltre non era mai andata in
giro per il Seiretei, per questo già l’idea la
trovava emozionante di suo. Tanto da farle dimenticare la stanchezza ed
ogni tipo di malessere.
Così
infilò un kimono blu scuro decorato con dei piccoli fiori,
legandolo in vita con un obi rosso scuro, e una volta indossate le
ciabatte, uscì di casa. Impiegò un po’
prima di abbandonare definitivamente l’abitazione. Il
giardino era così immenso da non essere percorribile in meno
di qualche minuto. Per di più la sua bellezza di quando
risplendeva sotto le luci del tramonto era paradisiaca, e non riusciva
a non distrarsi quando, percorrendo quei sentieri, incrociava i
bellissimi alberi di ciliegio, i cespugli in fiore, e sentiva quel
bellissimo profumo di erba. Arrivata al cancello di ingresso, rivolse
un’ultima volta lo sguardo verso di esso.
Da
lontano era ancora più bello. Le macchie di colore si
confondevano fra di loro donando un’aria mistica e fiabesca a
quel posto. Chi l’avrebbe mai detto che un posto simile
sarebbe diventato la sua casa.
Guardò
dinanzi a se. La strada era leggermente in salita. Chissà
che camminando in quella direzione non sarebbe riuscita ad ammirare la
casa anche dall’alto. Senza pensarci troppo prese a
percorrere quella strada, mentre lentamente le luci del tramonto
facevano spazio a quelle più scure della notte. Vide
cominciare a sbucare dal cielo le prime stelle.
Rimase
estasiata da tale vista.
Di
tanto in tanto sbirciava le altre ville che sorgevano tra le colline e
costatò che era tutto quel quartiere che in generale era
curato e pittoresco, anche se la villa Kuchiki rimaneva
senz’altro quella più vistosa ed elegante.
Più
si perdeva in quel paesaggio e più pensava a quanto fossero
profondamente diversi il rukongai ed il sereitei.
Si
chiese se mai anche i suoi amici avessero potuto vedere ciò
che stavano ammirando i suoi occhi. Magari un giorno li avrebbe
rivisti, e li avrebbe tutti ospitati a casa sua. Forse un weekend in
cui sarebbe stata sola in casa, perché sapeva che
difficilmente i Kuchiki avrebbero approvato un’iniziativa
simile. Anche se qualche simpatia per la gente del rukongai dovevano
averla. Dopotutto l’avevano adottata, e se
l’avevano fatto voleva dire che non tutti quelli della
nobiltà erano poi così intolleranti come sembrava.
Si
guardò in giro. Essendo la prima volta che percorreva quelle
vie, voleva evitare di allontanarsi troppo. Si sedette ai piedi di un
albero posto di fianco a lei e riprese ad ammirare silenziosamente
tutto.
La
sua mente cominciò a svuotarsi completamente. La
serenità di quel paesaggio stava entrando a far parte di lei
ed il forte desiderio di godere a pieno quel momento
cominciò a palpitare forte. L’unica cosa che le
mancava era qualcuno con cui godere di tutto questo.
Si
mise in piedi, alzò un braccio ed afferrò il
primo ramo che fu in grado di raggiungere e si tirò su
incastrando il piede nel tronco. Ripeté questo movimento
finché non arrivò abbastanza in alto e si sedette.
Poggiò
la testa contro il tronco e pur volendo tenere lontano dalla sua mente
ogni tipo di pensiero, la solitudine non faceva che affliggerla.
Certo,
nel rukongai non aveva tutto questo, però…
Però…aveva
i suoi amici.
Persone
che la conoscevano.
Persone
che le volevano bene.
Tutto
questo le mancava…le mancava fortemente.
Improvvisamente
sentì un reiatsu a lei fortemente familiare.
Balzò
in piedi e sperando di scorgere in qualche modo la sua presenza. Chiuse
gli occhi cercando di concentrarsi e
dall’intensità dell’energia sembrava che
lui fosse nel boschetto li nelle vicinanze.
In
preda all’emozione, saltò giù
dall’albero e prese a seguire l’energia spirituale
che aveva sentito.
Era
lui, era sicura che fosse lui. Dopotutto non era più tardi
delle otto, chissà che non fosse venuto ad allenarsi li su
ordine dell’accademia. Dopotutto lei, essendo stata adottata
dai Kuchiki, aveva abbandonato la scuola per gli shinigami. Ma
regolarmente avrebbe dovuto frequentarla ancora.
Sì,
per questo doveva essere per forza lui.
“Renji?
Renji? Sei tu, brutto stolto?” disse cercando di non
sorridere troppo mentre oramai aveva raggiunto il bosco e vi si era
già inoltrata dentro.
Avanzò
di molto e solo quando tutto cominciò a farsi decisamente
più buio rallentò il passo. Strinse le braccia
fra di loro per via della forte umidità e prese a guardarsi
intorno frastornata.
“Renji?”
Ripeté
più volte il suo nome, ma non sentiva più neanche
la sua energia. Cominciò a chiedersi se non avesse
immaginato tutto, ma si rimproverò subito. Era il suo
reiatsu, ne assolutamente convinta. Doveva smetterla di essere
così dubbiosa. Così strinse i pugni e
cercò in qualche modo di orientarsi, ma la luce scarseggiava
sempre di più e cominciò a temere di essersi
perduta oramai.
I
suoi occhi blu scuro erano fissi sull’ambiente circostante, e
nonostante cercasse di non badarci, il cuore le pulsava fortissimo
assieme al suo senso di inquietudine che man mano che avanza andava
aumentando. Ad un certo punto decise che l’unica cosa da
farsi oramai era tornare indietro. Se anche fosse stato davvero Renji,
oramai lo aveva perduto. Così si girò al
contrario e ripercorse a ritroso la strada che aveva fatto, ma
velocemente si rese conto che qualcosa non tornava.
“C’erano
tutti questi cespugli spinosi qui? Accidenti…”
Sbandò
e dovette inginocchiarsi a terra quando qualcosa la ferì ad
un piede.
“Maledizione!”
Disse
massaggiandosi il piede e costatando che usciva del sangue sul tallone.
Era
buio enon vedeva più niente.
Era
andata sempre dritto, la strada doveva essere giusta per forza, non
aveva camminato poi molto. Così si rimise in piedi e
cercò di ignorare il dolore, ma ogni piccolo ostacolo
presente sul terreno comportava delle profonde fitte sulla ferita,
tuttavia cercò di farsi coraggio pensando che non doveva
essere lontana. Il suo cuore ormai le si stava facendo implacabile e
non seppe fin quanto sarebbe riuscita ad ignorare il panico che la
stava assalendo irrefrenabile.
Non
aveva paura. Era l’ incertezza del nero, il timore del niente
sul quale stava marciando. I suoi occhi non bastavano, la luce lunare
non l’aiutava. Dove diavolo era finita?
Un
punto di riferimento! Un qualsiasi punto di riferimento!
Gli
alberi scorrevano veloci al suo passo che, seppur zoppicante, si faceva
sempre più veloce. I rami sbattevano sul suo viso, ma lei
non curante continuò ad avanzare. Sarebbe arrivata da
qualche parte, per forza sarebbe dovuta approdare in una qualsiasi zona
se avesse percorso sempre la stessa direzione. Doveva tenere duro, non
poteva rimanere lì.
Strinse
i denti e cercò di aumentare il passo ancora di
più. Voleva andare via. Via assolutamente. Era troppo buio,
troppo scuro, non vedeva nulla, se non i cespugli che si facevano
sempre più fitti, sempre più…!!
“Ah!!”
Urlò
d’istinto quando si accorse di essere sull’orlo di
un dirupo.
Osservò
il vuoto di quel precipizio e non seppe come riuscì a non
cadde giù. Allacciò le braccia al tronco di un
albero spezzato per riacquistare l’equilibrio e una volta
riacquistato il controllo, lentamente scivolò fino a terra,
sfinita dalla paura.
Strinse
gli occhi sperando di non piangere.
Aveva
paura, era sporca, graffiata, i piedi le dolevano, i suoi occhi
pulsavano, e tremava.
“Dove
diavolo sono…” sussurrò fra se.
“Dove diavolo sono?!”
Il
vento soffiava fortemente scuotendole i capelli ormai totalmente
scomposti ed impastati di terra e foglie. L’aria era frigida,
in una distesa che sembrava dimenticata, infossata nella selva incolta
ed abbandonata. Non c’era nessuno. Ed era completamente sola.
Di
nuovo.
Era
corsa lì perché una parte di lei desiderava
rivedere i suoi amici, ma ancora di più voleva riassaporare
la libertà.
La
libertà di una vita sofferta, ma che era sua.
Pensava
di averla placata, pensava di averla domata. Invece quella voglia era
viva come non mai, e senza che se ne accorgesse, l’aveva
portata lontana da casa. Un istinto curioso, il suo, che
l’aveva portata a perdersi in un bosco tetro e buio.
Aprì
debolmente gli occhi.
Stranamente
la paura cominciò ad abbandonarla. Era stanca, davvero
molto. Forse per questo aveva smesso di pensare troppo
all’improvviso. Il suo cuore si calmò e lentamente
si sdraiò sulla terra, sempre poggiata su quel secco tronco.
Si
chiese se il nobile Byakuya si fosse già accorto della sua
assenza…magari aveva mandato qualcuno a cercarla. Intanto
avrebbe passato sicuramente lì la notte. Quella prospettiva
non la turbò come aveva immaginato.
Tornò
ad osservare il paesaggio circostante e sotto il chiaro della luna quel
precipizio che prima l’aveva spaventata a morte, adesso
sembrava quasi bello. Tutto era tornato più quieto. Era
davvero possibile provare piacere e timore per una stessa cosa, e
cambiare giudizio a differenza di pochi minuti?
In
verità non volle chiederselo. Si lasciò solo
andare al sonno che si faceva sempre più pesante.
“Ehi!
C’è qualcuno li?”
Rukia
sbandò a quella voce. Si alzò col busto e
portò una mano davanti agli occhi quando una luce la
colpì in pieno viso.
“Ragazza,
che ci fai qui?!” tuonò la voce sgraziata di un
uomo che sembrava un cacciatore, o un taglialegna. Non sembrava ostile,
comunque. Anzi, sembrava guardarla con seria preoccupazione. Le si
avvicinò e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.
“Mi…mi
sono perduta!” rispose lei mentre si rimetteva in piedi,
faticando sui talloni feriti.
L’uomo
la osservò e si rese conto dei sui graffi un po’
su tutto il corpo.
“Chi
sei?” le chiese dolcemente.
In
un primo momento la ragazza dai capelli neri non seppe se rispondergli,
tuttavia la sua bocca parlò prima che la sua mente prendesse
a funzionare come doveva. Così, con gli occhi spalancati ed
una voce frastornata, gli rispose.
“R-Rukia.
Rukia Kuchiki, signore.” Aggiunse.
“Kuchiki?
Bene, posso riportarti a casa. Conosco bene la strada.” Le
porse di nuovo la mano, ma la ragazza si ritrasse non sapendo se
effettivamente poteva fidarsi di lui. Così
l’anziano signore cercò in qualche modo delle
parole per confortarla. “Non deve aver timore di me. Ho
servito la sua casa per molti anni. Mi occupavo del giardino fino ad un
anno fa.”
Sorrise
e quell’espressione buona le comunicò fiducia.
Avrebbe dovuto rifiutare, sarebbe stato meglio allontanarsi da
qualsiasi sconosciuto.
Lo
sapeva.
Però
il suo istinto la portò a scegliere di seguirlo. Non
c’era un motivo, sapeva che fosse del tutto imprudente. Ma lo
fece.
Qualche
volta esperienze del genere si trasformavano in tragedie, tragedie
spesso irreversibili. Ma questa volta Rukia fu fortunata
perché aveva incontrato davvero una brava persona che la
riportò realmente davanti la villa Kuchiki.
Era
notte fonda, ma non riusciva a farsi un’idea di che ora si
fosse fatta esattamente. Camminava col cuore che batteva forte,
sconvolta per quel che era accaduto. Quando cominciò a
vedere da lontano quella casa, luminosa negli splendidi colori delle
luminarie accese, non si rassicurò stranamente. Si
sentì ancora più inquieta.
Arrivati
nei pressi dell’ingresso, girò appena lo sguardo e
vide da lontano la figura eretta e composta di Byakuya Kuchiki sul
ciglio dello shoji.
Era
vestito con un kimono dai diversi toni sull’azzurro, e sulle
spalle un haori in tinta.
Anche
l’uomo lo vide e gli fece un live cenno con la mano, poi
guardò la ragazza.
“Bene,
siamo arrivati. Stia attenta la prossima volta.”
Rukia
si chinò con tutto il busto verso di lui.
Intanto
anche il nobile Byakuya si era avvicinato assieme ad alcuni membri
della servitù, ben attenti ad osservare la scena.
“La
ringrazio con tutto il cuore di avermi riportato a casa!
Grazie.”
Non
era ancora pratica di quale fosse il giusto atteggiamento di un nobile
di fronte un ringraziamento di vero cuore. Pensava di doversi mostrare
contenuta, ma le venne naturale rivolgergli un sincero e largo sorriso.
Mentre
risollevava la testa e gli mostrava la sua espressione felice,
l’uomo sembrò osservarla bene per la prima volta.
La
luce della lanterna in mezzo ad un bosco non era certamente ottimale,
ma quella emanata dalla dimora dei Kuchiki gli permise di guardare
attentamente il viso della giovane, e quando lo fece, sembrò
quasi terrorizzarsi, spalancando gli occhi e prendendo a tremare.
Lo
vide muovere le labbra e sembrare come sull’orlo di un
collasso. Per questo l’espressione di Rukia cambiò
radicalmente e si fece preoccupata.
“E’
tutto…a posto?”
“Lei…non
è possibile. N-nobile Hisana!
Lei…”
“Hisana?”
ripeté non capendo.
“Rukia.”
La
ragazza si voltò verso Byakuya.
Anche
l’uomo rivolse due occhi perduti verso il giovane Kuchiki,
come se cercasse in lui delle risposte. Ma Byakuya lo sdegnò
e, al contrario, quasi lo trafisse con gli occhi, con uno sguardo che
sembrava addirittura volerlo uccidere. Rukia ancora non lo aveva mai
visto così e quasi ebbe paura di lui.
“Chiedo
perdono. Sono lieto di esservi stato utile. Signore, signorina Kuchiki,
arrivederci.”
Detto
questo si dileguò ancora più confuso e
frastornato di come era prima. Rukia lo osservò mentre si
allontanava, disturbata e terribilmente confusa. Si rivolse a Byakuya,
e mentre faceva per girarsi verso di lui, si accorse che era
già sparito.
Si
voltò indietro e lo vide inoltrarsi in casa.
Cosa
era successo?
Perché
aveva reagito così?
Infischiandosene
dei collaboratori familiari che le stavano mettendo sulle spalle un
michiyuki e già facevano per controllarle le ferite, Rukia
corse verso il giovane ereditario del casato Kuchiki e gli si
parò davanti. Gli mostrò un’espressione
corrucciata e contrariata per quel modo di fare assolutamente sgarbato
verso chi le aveva salva la vita, e per la prima volta gli
parlò con quella schiettezza e determinazione che
contraddistingueva il suo carattere nel rukongai.
“Nobile
Byakuya! Quell’uomo mi ha messo in salvo! Ero in pericolo per
colpa della mia imprudenza e lui mi ha aiutato! Perché ti
sei comportato così?!” strinse i pugni.
Il
ragazzo dai capelli neri la guardò infastidito e rimase a
guardarla dall’alto verso il basto con gli occhi stretti a
fessura. Come suo solito, tuttavia, le girò la faccia e fece
per rigare dritto.
Come
sempre, lei non era meritevole di una risposta. Era entrata a far parte
di quella famiglia, ma nessuno aveva intenzione di considerarla tale.
Nessuno voleva mai darle delle spiegazioni.
Tutti
questi pensieri affollarono la sua mente, e in un attimo di
disperazione e rabbia, urlò di nuovo il suo nome come per
implorargli una reazione, una qualsiasi reazione. Così
allungò il braccio e prima che lui si muovesse, lo
affermò per la manica del kimono.
“Nobile
Byakuya!”
Byakuya
si voltò di scatto, e le rivolse due occhi di ghiaccio che
la fecero sbandare.
Aveva
ottenuto la sua reazione. Il nobile Kuchiki aveva cambiato espressione
e lo aveva visto guardarla con odio e disprezzo.
Aveva
alzato solo un po’ la voce, ma quel tono grave su di lui era
capace di immobilizzare chiunque fosse lì vicino. Sia Rukia
che la servitù, infatti, rimasero impietriti, incapaci di
dire o fare qualsiasi cosa.
Tutto
sembrava essersi bloccato. Il vento, gli sguardi, i
pensieri…tutto, prima che lui distogliesse lo sguardo non
vincolando più con i suoi occhi temibili i presenti.
Chiuse
gli occhi come per recuperare lucidità, poi li
riaprì e guardò nel vuoto. Rukia intanto si
sentì sprofondare. Non seppe assolutamente cosa dire.
“Devi
chiamarmi ‘fratello’, Rukia. Non voglio
ripetertelo.”
Detto
questo si dileguò entrando in casa.
Rukia
si sentì mancare. Una volta che lui fu scomparso dalla vista
di tutti, i domestici le si avvicinarono e l’accompagnarono
in camera sua e cominciarono i preparativi per medicarla.
La
sua mente rimase annebbiata per tutta la sera, mentre un solo nome
echeggiava dentro di lei.
Hisana…
Chi
era questa donna?
Chi
era questa persona, il cui solo nome era stato capace di alterare tutti
quella notte?
E
poi cosa significava quella risposta?
‘Fratello’?
Perché
proprio ora Byakuya aveva ribadito che doveva chiamarlo così?
Cosa
c’entrava con il loro discorso?
[…]
“Cosa
gli è saltato in testa?”
“Nominare
la nobile Hisana…sa bene quanto turbi ancora il signor
Kuchiki Byakuya.”
Byakuya
si sdraiò sul suo fusuma. La sua stanza era immersa del
silenzio e nel buio più immenso. Non era aperta alcuna
finestra, alcuna fonte di luce entrava in quella stanza. In quel
momento l’oscurità era l’unica cosa che
sembrava ancora aiutarlo a non vedere niente, neanche i suoi pensieri.
Girò
appena gli occhi verso la porta e prese ad osservare la debolissima
luce che filtrava da sotto il fusuma. Sentiva perfettamente le voci dei
suoi domestici che bisbigliavano fra di loro cercando di non
disturbarlo. Pensavano forse non li sentisse.
Si
voltò completamente, dando le spalle alla porta e chiuse gli
occhi.
Immagini
e ricordi cominciarono a prender forma nella sua mente.
Il
profumo del suo giardino in fiore, il cielo azzurro, la sua voce, i
suoi occhi, la sua pelle…
Era
tutto così vero…
Era
tutto ancora così vivo e reale. Gli sembrava di porte ancora
toccare tutto con mano.
Dopotutto…era
passato solo poco più di un anno da allora.
[Un
anno prima]
“Nobile
Byakuya! Nobile Byakuya!”
Una
giovane ragazza dai capelli neri corse agitando delicatamente
una mano, con i lembi del kimono stretti nell’altra in modo
da agevolare i suoi movimenti. Aveva la pelle candida e dei
profondissimi occhi azzurri. Il suo kimono era di un delicatissimo
rosa, decorato con dei fiori bianchi, stretto in un obi color verde
acquamarina, abbinato con un michiyuki dello stesso colore.
Alla
sua voce, un ragazzo dall’aspetto aristocratico si
girò verso di lei e le rivolse appena un debole sorriso,
colmo però della gioia di vederla.
“Ancora
non riesco a capire perché insisti a chiamarmi
così, Hisana.”
“Perché?
Come dovrei chiamarti?” gli chiese mentre sistemava delle
rose bianche sulla scrivania dove il ragazzo stava lavorando. Prese
poi a spuntarle e pulirle dalle foglie e dalle spine
più grosse.
“Byakuya,
suppongo.” Disse lui con fare ovvio.
La
ragazza ridacchiò.
“Ci
proverò allora. Tienimela per favore, Byakuya!”
disse marcando la parola Byakuya quasi come a prenderlo in giro, con
fare affettuoso naturalmente, mentre gli porse una rosa.
Il
giovane l’afferrò fra le dita e gliela sorresse
mentre lei continuava a pulirla.
Era
estasiato ogni volta che la vedeva.
Il
suo sorriso, il suo modo di fare, la sua voce…Hisana era
capace di prendere il meglio di lui ed un suo solo sguardo riusciva a
trasmettergli la serenità ed il più assoluto
benessere. Era delicata, candida, esattamente come quella rosa.
Era
la persona più bella e speciale che avesse mai incontrato
nella sua vita. Una vita fatta di rinunce, di obbedienza, di
rigorosità, disciplina, durezza.
Lei
era la sua porta verso quel qualcosa che era sempre mancato nella sua
vita. Il calore. Quel calore immenso che solo un animo come il suo era
capace di trasmettere.
E
lui?
Era
capace di trasmettere quel calore a sua volta verso di lei? Non era
bravo con i sentimenti, ma dietro al suo sguardo sperava sempre che la
ragazza potesse leggere in qualche modo l’amore che
ricambiava con tutto se stesso.
“Ahi!”
A
quell’urlo di dolore Byakuya subito si sporse verso di lei.
Osservò
allarmato la sottile mano della ragazza, dalla quale scendeva una
piccola goccia di sangue.
“Accidenti!
Non preoccuparti, nobile Byakuya. Mi sono soltanto punta.”
Disse
sorridendo e ispezionando il piccolo taglio, ma il ragazzo la
precedette e le prese la mano con la sua. Portò il suo dito
tagliato verso le sue labbra e con un gesto delicato lo mise in bocca,
assaporando il suo sangue ed insistendo con la lingua sulla parte
tagliata che localizzò senza troppi problemi.
Hisana
rimase ad osservarlo senza smettere di sorridergli ed una parte di lei
si sentì in imbarazzo. Adorava sentire Byakuya. Il suo
contatto, la sua vicinanza. Però non ci era abituata. Era
una ragazza molto semplice e bastava davvero poco ad emozionarla. Per
di più un ragazzo come lui…
Byakuya
era un uomo riservato e molto taciturno. Però vedeva la sua
dolcezza, la sua sensibilità, e sapeva quanto fosse profondo
in realtà, e quanto gli imponessero invece le sue
responsabilità.
E
poteva dire con estrema sicurezza di stimarlo e di essere felice di
averlo al suo fianco.
Chiuse
gli occhi.
“Nobile
Byakuya, adesso basta. Sai bene quanto ci osservino tutti.”
“Lascia
che guardino.” Disse continuando a tenere la sua mano vicina
a se.
A
quelle parole Hisana gli si avvicinò e gli sfiorò
il viso con l’altra mano.
“Sono
fiorite altre rose da quella parte. Vieni, sono assolutamente
stupende.”
Byakuya
la tirò verso di se, ed anziché assecondarla,
posò le sue labbra sulle sue. Le massaggiò
delicatamente, non approfondendo di più il bacio. Si
limitò a volerla sentire vicino a se, a voler toccare appena
le sua morbida bocca.
La
ragazza lo lasciò fare e lasciò che fosse lui a
dirigere ogni movimento. Sentiva la delicatezza di quando si premeva
contro di lei, assolutamente piacevole ed intensa, assieme
alla passionalità che invece cercava di contenere. I suoi
baci erano un attimo di soavità che la portavano via
completamente.
Quando
lui si fermò appena, lei si scostò lentamente e
rimase a guardarlo specchiandosi nei suoi bellissimi occhi grigi.
“Nobile
Byakuya…grazie.”
Grazie…
Grazie…
Grazie,
mi dici.
Hisana…
Dovrei
essere io a ringraziarti per quello che mi hai dato, per quello che hai
saputo fare di me in così poco tempo.
Sono
stato felice.
Per
un piccola grande parentesi della mia vita ho conosciuto la
felicità.
Ed
è stato grazie a te.
Il
mio potere, le mie ricchezze, invece, non hanno potuto aiutarti.
Io
non ho potuto offrirti più di ciò che avevo.
Tu
invece…hai fatto molto di più.
Molto…
Byakuya
riaprì gli occhi.
Si voltò di nuovo verso il fusuma e questa volta non
filtrava alcuna luce. Dovevano essere tutti a dormire oramai.
Si
riabbandonò fra le coperte e gli tornò in mente
il viso arrabbiato di Rukia.
Era
per questo che voleva che lei non lo chiamasse così.
Era
per questo che doveva chiamarla “fratello”.
Perché
ogni volta che lei lo guardava negli occhi e lo chiamava nobile
Byakuya, la sua mente si confondeva e non riusciva più a
mentire a se stesso.
Non
lo voleva, ma non poteva negare che la loro somiglianza fosse
così impressionante.
Perché..?
Perché
Hisana gli aveva chiesto questo?
L’aveva
adottata con estremo amore e rispetto verso di lei, ma allora non
sapeva quanto lei gli avesse chiesto in realtà.
Rukia
era davvero identica ad Hisana.
Soltanto
esteticamente, in verità.
Bastava
guardare lo sguardo e il tipo di espressione di Rukia perché
già le vedesse completamente diverse.
Però
i lineamenti…il tutto…non poteva non riportagli
alla mente il ricordo della donna che aveva amato.
L’unico
modo che aveva per superare il suo passato ed andare avanti in qualche
modo era allontanare tutto quello che gli ricordava Hisana.
Ma
paradossalmente la cosa che più gliela riportava alla mente
era qualcuno che non poteva allontanare.
Nonostante
fossero estremamente diverse.
Non
poteva ignorarla.
Non
poteva tacere.
Ma
lo avrebbe fatto.
Perché
lo aveva promesso.
La
sua vista lo disturbava. Il solo saperla a poche stanze più
in la dalla sua lo tormentava.
Lui
aveva il diritto di stare da solo con i suoi ricordi. Di stare solo con
il suo dolore.
Per
questo lei non doveva essere li.
Perché
Rukia Kuchiki non era Hisana.
Non
sarebbe mai stata Hisana.
Per
questo non aveva il diritto di somigliarle, anche se solo esteticamente.
[…]
Vi
ringrazio tantissimo per le splendide recensioni che mi avete lasciato.
Scusate l'enorme attesa, ma ho diverse long fic da portare avanti, per
cui spesso per me è difficile gestirmi il tempo. Se a questo
addiziono anche i miei studi... Per questo voglio dirvi che
l'aggiornamento sarò lento. Suppongo che più di
un capitolo al mese non riuscirò ad aggiornare.
Anche perchè è una fanfiction per la
quale mi sto
applicando molto, perchè sto trattando di due personaggi,
Byakuya e Rukia, che mi
piacciono molto assieme. In un contesto poi che nel manga mi ha sempre
incuriosita.
Spero
continuerete a seguirmi.^^
Gargonne: Essendo tu
la mia prima recensitrice, non ti dico come stavo a mille quando ho
letto il tuo commento.
Si prova sempre un po' di ansia quando si riceve un giudizio e...ti
ringrazio davvero! La tua recensione mi è piaciuta
tantissimo perchè ha puntualizzato degli aspetti che ci
tenevo fossero gli elementi forza del primo capitolo: le emozioni.
Mentre scrivevo cercavo io stessa di immergermi in una situazione di
ansia
per riuscire a descrivere i pensieri di Rukia, i suoi atteggiamenti,
ciò che c'era attorno a lei, in modo che il lettore le
sentisse almeno minimamente sulla sua pelle. Ed il fatto che le scene
da me descritte, l'ultima dello specchio sopratutto, si possa
quasi vedere, guarda...mi ha rempito di gioia.
E' soddisfacente leggere
nei commenti dei lettori ciò che ti premeva far emergere,
per cui sono davvero stata felice di leggere le tue parole. Grazie^^
Xazy: Sono
felicissima che nell'insieme la fanfic risulti scorrevole. Sono molte
pagine di lettura e temevo risultasse pesante. Ma non sono riuscita a
tagliare nulla perchè per me quelle scene insieme assumevano
un preciso significato. Quindi sono contenta di apprendere dal tuo
commento che sia riuscita a renderla piacevole.
Ho voluto essere
elegante e precisa nelle descrizioni e sono lieta che sia qualcosa che
ti abbia colpito. Le tue parole mi hanno dato tanta soddisfazione^^ Per
non parlare del fatto che trovi IC i personaggi protagonisti di questa
storia. Parlare di Byakuya è facile e difficile allo stesso
tempo. Non sai mai se sbilanciarti, se osare di più, oppure
no. Per cui sto sempre molto attenta. Per quanto riguarda Rukia, la
immagino molto dubbiosa, anche spaventata, di questo nuovo mondo in cui
dovrà vivere e che la sconvolgerà chiaramente.
Come darle torto. I vari flashback presenti in bleach fanno
capire come il contesto in cui ha
vissuto probabilmente abbia pesato molto su di lei. Per questo
mi è venuto naturale descriverla così. Anche se
in questo capitolo ho cercato di renderla più dinamica
perchè comunque è quella la Rukia che mi piace di
più^^ Grazie per avermi recensita!
Valeluce:
oh, che
piacere vederti^^ Sono stata così felice di leggere un tuo
commento! E' importante sostenerci noi fan ByaRuki XD Al di la di come
personalmente immaginiamo questo punto del passato di Rukia, mi fa
piacere
leggere che al momento l'elaborazione ti sia piaciuta. E sopratutto che
tu sia soddisfatta. Guarda, è una parola importante
perchè io tengo molto che i miei lettori siano prima di
tutto soddisfatti di ciò che leggono. E questo rende
soddisfatta anche me!^^ Sempre rimamendo in tema, sono stata contenta
di leggere che la mia Rukia sia a "tutto tondo" (anche io uso molto
questa parola XD). La psicologia mi affascina e per questo cerco sempre
di riportarla nelle mie storie, per cui sapere che è uno dei
punti forza, mi rende entusiasta! Hai centrato in pieno anche quando
hai parlato delle descrizioni, dei particolari a cui do importanza,
perchè era davvero mia intenzione descrivere atmosfere ed
ambienti in un certo modo. E il fatto che comunque tutto ciò
non appesantisca il testo è importante perchè una
fic può anche essere stra-elaborata, ma deve essere prima di
tutto piacevole da leggere.
Grazie
per aver ricambiato la mia recensione^^
|
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Capitolo 3 *** The truth that I didn't want to know ***
Ecco
il terzo capitolo della mia fanfiction ByaRuki. In verità
all'inizio non sapevo se renderla una ByakuyaxRukia a tutti gli
effetti. Alla fine, anche incoraggiata dai vostri commenti che non
hanno guardato male a loro come coppia, ho deciso di lasciarmi andare.
A me come pairing piacciono, spero quindi che riuscirò a
rendere un quadro credibile su di loro con questo lavoro, dato che
è un pairing molto frainteso secondo me.
Questa fanfic comunque è anche per i non fan di questo
pairing. Amo la storia di Byakuya e Rukia ed è
principalmente quella la cosa che voglio presentare con questa storia.
Ringrazio coloro che hanno rencensito il capitolo precendente,
Garconne e Crim_Noemi01, i cui commenti mi hanno incoraggiato
tantissimo a continuare.
Sto infatti cercando di non perdere il ritmo ed impegnarmi nella
stesura della storia. E' un lavoro faticoso che mi ruba molto tempo.
Quindi sapere che qualcuno mi segue mi rende davvero felice. Grazie davvero!^^
Rispondendo a Noemi, sono felice che trovi la mia byaruki una fic che rispetti l'IC dei personaggi. E' difficile e due personaggi come loro vanno trattati con riguardo e attenzione, come notavi anche tu. Però sinceramente per me questo è il bello delle fanfiction. Analizzare i caratteri e il modo di fare dei personaggi di cui si vuole parlare e valutare se ciò che poi hai scritto è credibile o verosimile. Se no per me non ci sarebbe sfizio. Per me è importante "entrare nel personaggio", quindi il fatto che ci sia riuscita mi ha davvero resa contenta! Grazie!
Rispondendo invece a Garconne, sono lusingata dal tuo commento. Scrivere un libro sarebbe un sogno per me, e leggere le tue parole mi ha fatto emozionare, davvero. Ti ringrazio. Scrivere è un impegno e leggere che ti piaccia il mio stile, che sto cercando di rendere quanto più accurato possibile, mi gratifica pienamente!
Parlando invece del difficile rapporto di Byakuya e Rukia...prescindere da Hisana è pressoché impossibile. Cioè, Rukia ed Hisana sono quasi identiche esteticamente. Sarebbe inverosimile se la loro somiglianza non disorientasse almeno un po' Byakuya. Però questo sarebbe solo un momento iniziale secondo me. Cioè, per me Byakuya non rivede, in Rukia, Hisana. Sarebbe uno sbandamento iniziale, ma le ragazze limitano la loro somiglianza solo al livello estetico. Perchè poi sono quasi completamente diverse, almeno per come la vedo io.
Trovo il rapporto di Byakuya e Rukia così intrigante!!
E concordo con te col dire quanto Byakuya sia bello! Se immaginato più giovane poi...*_* Io sono completamente affascinata da questo personaggio! *-*
Caso aggiungo? Un saluto anche a tutti coloro che leggono e che leggeranno la mia storia!
Fiammah_Grace
CAPITOLO 3.
The truth that I didn’t want to know.
“Credo
che questo colore le stia davvero bene.”
Una
delle sarte della famiglia Kuchiki prese a camminare intorno alla
giovane ragazza dai capelli neri continuando ad imbastirle il vestito
addosso, in modo che le misure fossero perfette.
Di
li a pochi giorni sarebbe tornato Ginrei Kuchiki ed avrebbero
organizzato una discreta cena di famiglia proprio per
l’occasione.
In
verità “discreta” non era la parola
più adatta. Da come i preparativi fossero partiti una
settimana prima del suo ritorno, Rukia già comprendeva che
non sarebbe stata una serata normale. Anche quello che i Kuchiki
definivano un evento semplice aveva sembianze fastose. Non che la cosa
la sorprendesse più di tanto, ma l’idea di
partecipare ad un evento simile le faceva battere il cuore. Se
già quotidianamente tutti si aspettavano così
tanto da lei, chissà davanti buona parte della famiglia cosa
sarebbe successo. Spesso non si sentiva all’altezza, e non
era solo un’impressione.
Quel
mondo non poteva già far parte di lei. Davanti ai suoi occhi
scorrevano ancora le vie del rukongai. Si aspettava ancora di aprire
gli occhi un giorno ed accorgersi che in realtà
quello che le stava accadendo fosse tutto un sogno. Era tutto
così inverosimile, era stato tutto così
affrettato.
Tutto
era cambiato della sua vita.
Lentamente
stese il braccio in orizzontale, in modo che la donna lavorasse meglio,
e questa prese a cucire diversamente sulle maniche, adagiando la stoffa
sul suo esile corpo, ingombrato dal lungo tessuto.
“Io
farei scendere un po’ di più le maniche. Cosa ne
dice? Lunghe le trovo molto eleganti.”
Come
invece succedeva raramente, accanto a lei aveva finalmente una persona
un po’ più loquace.
Era
una giovane donna semplice e che sorrideva almeno. Purtroppo era lei
che invece aveva la testa altrove.
Si
girò appena per rivolgere uno sguardo alla grande
specchiera, per dare almeno un po’ di soddisfazione alla
donna che si stava applicando davvero molto per il kimono che avrebbe
indossato quella cena. Era di un bel rosso, molto avvitato, il che
rendeva la sua figura minuta insolitamente longilinea. Le decorazioni
sfumavano su diverse tinte, e il piccolo strascico faceva in modo che
si aprisse leggermente all’altezza delle ginocchia.
Naturalmente in maniera molto contenuta. Era giusto che fosse
così, incontrava i suoi parenti per la prima volta ed era
meglio non dare nell’occhio, soprattutto se per una cosa come
l’abbigliamento. Aveva già sperimentato sulla sua
pelle come fosse facile dare nell’occhio nel mondo della
nobiltà. Ancora non poteva dimenticare
l’atteggiamento irriguardoso del suo insegnante, che
l’aveva messa nelle condizioni di reagire, nonostante si
stesse impegnando davvero molto a moderare il suo comportamento
impetuoso e determinato. La donna intanto le scese il kimono sulle
spalle e le si rivolse cordialmente.
“Secondo
me dovrebbe indossarlo così.”
“La
ringrazio. Mi piace molto come sta venendo, e questo colore
è stupendo.” Disse cominciando a trovarsi in
verità davvero bene con quel kimono.Non si era mai vista
così.
“Mi
permetta di dire che le dona. Sarà pronto in un paio di
giorni. Ora le faccio vedere come legare i capelli.”
Le
si mise alle spalle e Rukia osservò i suoi movimenti nello
specchio. Le raccolse i capelli dietro la nuca in uno chignon non
troppo stretto, lasciando che cadessero le ciocche più
lunghe, che adaggiò sul dito e fece per arricciarle
leggermente. Con un fermaglio poi fermò provvisoriamente
l’acconciatura.
“Ecco.
Giusto per dare l’idea. Va solo messa un po’ a
punto.”
Rukia
si guardò intensamente. Si trovava così diversa.
Non
era mai stata così elegante, così ben curata. E
bisognava contare che il vestito era ancora imbastito.
Si
trovava…bella.
Rukia
era una bella ragazza. La sua pelle era chiarissima e gli occhi di un
blu profondo decisamente insolito da vedere su di una ragazza dai
capelli così neri. Tuttavia per via del suo fisico immaturo
e della sua altezza al di sotto della media, spesso si ritrovava a
sottovalutarsi, dimenticando che i tratti facciali fosse importanti in
una persona. Però vedersi con quel bel kimono, e
quell’acconciatura, non si sentì di
sbagliare pensando che stesse bene. E che, almeno in quel momento,
fosse bella. Anche se continuava a non riconoscersi in tutti i suoi
aspetti in quel riflesso. Si guardava intensamente, perdendosi nella
sua figura, ma non ritrovava ancora se stessa.
Mentre
distrattamente continuava a fissarsi nello specchio, vide accanto a se
nel riflesso la prestante figura di Byakuya, con il kenseikan fra i
capelli, in un bel kimono candido.
Si
girò di scatto verso di lui.
“Nobile
Bya…!” si interruppe. “Nobile
Fratello.” Abbassò il viso. Provava una strana
morsa al cuore quando lo chiamava così.
Sentiva
che da quell’episodio qualcosa era cambiato.
In
verità, erano un paio di giorni che i due non si parlavano
neanche, per dirla tutta.
Il
mattino dopo la sua piccola avventura nel bosco, Rukia si era recata
presto in camera di Byakuya. Si era sentita in dovere di chiarire con
lui in qualche modo. Così, con la scusa di portargli la
colazione, avrebbero potuto ristabilire un po’ di confidenza.
Aveva
bussato al suo fusuma, dopodichè, senza aspettare la sua
risposta, aveva fatto scorre la porta.
“Fratello,
buongiorno.”
Quella
era la prima volta che lo aveva chiamato così. Si era
imposta di farlo, per fargli capire che aveva ascoltato le sue parole
la sera prima.
Byakuya
era seduto sul suo futon ancora fra le coperte. Lo yukata era
leggermente scomposto all’altezza del petto,
tant’è che la ragazza provò in ogni
modo a distogliere il suo sguardo da lui. Non era il caso che dopo
averlo chiamato “fratello” si mettesse in imbarazzo
così davanti a lui. Perciò, coraggiosamente, gli
si era avvicinata porgendogli un vassoio con su sopra una tazza di the
tiepido, assieme a qualche biscotto.
“Ti
ho portato la colazione. E’ un the alla pesca. Spero ti
piaccia.” Disse cercando di metterlo a suo agio.
Il
ragazzo però non aveva proferito alcuna parola. Era rimasto
a guardarla silenziosamente, senza darle alcuna attenzione.
Rukia
dedusse che probabilmente non avesse capito le sue intenzioni,
così fece un profondo respiro. Doveva parlargli.
“Mi
dispiace per quanto è successo ieri. Probabilmente ti ho
fatto preoccupare. Ti assicuro che non ero fuggita di casa. Avevo solo
pensato di fare due passi da sola. Sono davvero dispiaciuta che invece
le cose siano andate a quel modo.” Aveva parlato lentamente,
sperando che il nobile Byakuya comprendesse ed accettasse le sue scuse.
Non voleva che lui ce l’avesse con lei. Tuttavia Byakuya
continuava a mantenere il suo silenzio. Lo vide alzare la tazza vicino
alle sue labbra e sorseggiare appena.
Lo
osservò attentamente, non perdendosi nessun suo movimento.
Sperava di vedere nei suoi gesti almeno una qualche risposta, ma
ciò non avvenne. Non aveva però nessuna
intenzione di andar via senza aver capito cosa lui pensasse,
così provò di nuovo a rimettere
l’argomento.
“Quell’uomo
che mi ha riportata qui è stato molto gentile con me. Ha
detto che lavorava per voi, si prendeva cura del giardino.”
Byakuya
annuì appena, ma sembrava comunque del tutto disinteressato
a parlare con lei.
Rukia
sospirò di nuovo. Quel ragazzo aveva un carattere difficile.
Non riusciva a capire se fosse arrabbiato, se invece fosse stanco o
semplicemente irritato dalla sua presenza in quel momento.
Perché era questo che avvertiva e che
l’angosciava. Il fatto di sentirsi rifiutata da lui. Non
sapeva perché, ma era una sensazione forte, asfissiante, che
cercava di contenere, ma che non riusciva più ad ignorare.
Soprattutto dalla scorsa notte. Era stato tutto così
evidente da non poter fraintendere. Sperava però che potesse
almeno far qualcosa per migliorare la situazione, ma le parole non le
venivano. Per di più non lo conosceva abbastanza per capirlo
da uno sguardo. Il nobile Byakuya sembrava non avere alcuna intenzione
di farsi conoscere, nonostante volesse essere chiamato
‘fratello’ da lei.
Per
questo sarebbe toccato a lei scoprire il suo cuore.
E
qualcosa le diceva che era ‘lei’ la causa di tutto.
“Nobile
Byakuya, cioè, nobile fratello.” Si corresse
velocemente e fu allora che Byakuya le rivolse finalmente il suo
sguardo. “Posso… posso farti una
domanda?”
Il
giovane dai capelli neri annuì di nuovo, ma forse sarebbe
stato più saggio da parte di Rukia se avesse deciso di
deviare l’argomento al momento. Si era perfettamente accorta
che ci fosse un che di proibito attorno a quella persona, ma la sua
curiosità l’aveva portata ad essere imprudente, e
a non cogliere dai gesti del fratellastro il disagio di parlare di
quell’argomento.
“Chi
è Hisana?”
Chiese
tutto di getto, trafiggendo il nobile Byakuya che spalancò
gli occhi e sembrò come essere stato colpito da un nemico
invisibile. Non lo aveva mai visto cambiare in qualche modo la sua
espressione, e quel primo impatto fu molto significativo per
lei. Lui rimase a fissare il vuoto per qualche attimo, poi le
rivolse i suoi occhi freddi facendole gelare il sangue. Tutavia si
mantenne distaccato e, al contrario della sua reazione iniziale, con
calma spostò il vassoio dalle gambe e lentamente di mise in
piedi, sotto gli occhi attoniti di Rukia che ancora non aveva ricevuto
alcuna risposta. Lo vide sistemare lo yukata e fare per lasciare la
stanza. A quel punto la ragazza subito balzò in piedi,
decisa a voler parlare con lui. Era inutile serbare rancore. Se aveva
sbagliato qualcosa voleva che lui glielo dicesse apertamente. Non
sopportava più il suo silenzio.
“Byakuya!
Non so cosa sia successo, però questa donna
c’entra con me, non è vero?!” disse
alzando il tono della voce.
Improvvisamente
le vennero le lacrime agli occhi. Si morse le labbra. Non voleva
scoppiare a piangere così. Forse inconsciamente aveva
toccato un tasto dolente. Anche se non sapeva chi fosse questa persona,
sentiva che stava finalmente giungendo a qualcosa che avrebbe cambiato
le cose. Ed in verità non sbagliava.
Byakuya
unì i piedi e non avanzò più. Rimase
con la mano poggiata al fusuma come se incerto se girarsi verso di lei
o proseguire.
“Perchè
non possiamo parlarne?” disse lei tremando con la voce.
Odiava quando le succedeva. Odiava che la sentisse parlare in quel modo
ridicolo. Ma trattenersi le divenne sempre più difficile.
Il
ragazzo girò appena gli occhi verso di lei e, dopo un
silenzio che sembrò durare un’eternità,
le disse frigido.
“Non
parlarmi mai più in questa maniera.”
Così
se n’era andato.
Così
ancora una volta aveva deviato l’argomento.
Così,
quel muro di cui lui si circondava, era diventato ancora più
spesso. Ed il loro…forse ancora più invalicabile.
Il
nobile Byakuya la detestava, e non le avrebbe consentito di chiarire.
La
sua occasione di rimanere sola con lui ed approfittarne per conoscersi
un po’, senza l’assidua presenza di suo nonno,
l’aveva del tutto sprecata.
Ed
il peggio era che non sapeva neanche come.
Riaprì
gli occhi. Lo vide ancora riflesso nello specchio assieme a lei.
Lei,
elegante con quell’abito prezioso col quale si sentiva bella.
Eppure vicino a lui sembrava che niente potesse avere un significato.
Più
che salutarlo, non le venne di fare altro. Così
abbassò il viso e aspettò che fosse lui ad
abbandonare la stanza.
Inaspettatamente
però fu la sarta ad intervenire e a irrompere quel lungo
silenzio.
“Buongiorno
signor Kuchiki. Cosa ne dite? Non è graziosa la
signorina?”
Rukia
alzò lo sguardo di colpo, ed assieme a lei, Byakuya fece lo
stesso. Sembrava essere stato stranamente attirato dalle parole della
giovane sarta. Infatti lo vide scrutarla attentamente, quasi come se la
stesse osservando soltanto adesso.
La
ragazza dai capelli neri deglutì e si sentì
lentamente il viso in fiamme. Vedere il ragazzo osservarla a quel modo
la fece per un attimo andare in estasi. La sola idea che potesse
trovarla carina le fece battere il cuore così forte che per
poco non sentì di perdere l’equilibrio e cadere
dallo sgabello sul quale era in piedi. Lo vide muovere le
labbra e schiuderle appena. Ogni suo gesto, ogni suo piccolo movimento,
era un qualcosa di così attraente per la giovane Rukia che
si pietrificava totalmente ogni volta.
“Sì,
è molto bella.”
Detto
questo, soavemente abbandonò la stanza. Rukia rimase a
guardarlo ancora attraverso lo specchio, incapace di dire, fare o
pensare qualsiasi cosa. Era un’emozione strana, a lei del
tutto sconosciuta. Nella sua vita non si era mai sentita
così.
“Si
ritenga fortunata. Il signore non si sbilancia mai. Credo che lei gli
sia veramente piaciuta.”
A
quella constatazione, la ragazza andò definitivamente in
escandescenza e goffamente prese a dimenarsi sperando invece di
gesticolare disinvoltamente.
“Ah…sì?
Bene…e infatti è un bel kimono. Davvero bello!
Wow! Sei una sarta davvero dotata! Non c‘è che
dire!”
La
donna si mise a ridere.
“Ha
detto che siete bella. Non che il vestito è bello.”
“Ah…”
Fu
allora che Rukia non seppe che dire. Fortuna fu che la signora si
rimise a lavoro e la loro conversazione si interruppe lì.
Non
sapeva perché le importava.
Non
sapeva perché bastasse che la guardasse per sentirsi
così. Emozioni forti le trapassavano tutto il corpo, e
sentiva che ogni suo sguardo, ogni sua parola, erano segni importanti
per lei. Come facesse lui a far sentirla così? Come era
possibile ciò? In fin dei conti lo conosceva da
così poco. Non sapeva nulla della famiglia Kuchiki, e ancor
meno di lui, Byakuya. Inoltre era un ragazzo del tutto disinteressato a
stabilire rapporti umani. Era molto serio, distaccato. Byakuya Kuchiki
era cresciuto in un mondo che era completamente diverso dal
suo. Rukia avrebbe potuto abituarcisi, ma non sarebbe mai
divenuta come loro. Cosa quindi avrebbe mai potuto
comprendere di una persona così?
La
sua vicinanza le faceva provare piacere, e per qualche motivo la
lacerava pensare che non avrebbe mai compreso il suo mondo.
In verità, infatti, tutto questo le portava più
inquietudine che piacere a pensarci bene. Perché desiderava
conoscerlo, e poi…quando poi erano l’uno di fronte
all’altra, sentiva l’angoscia sfiancarla,
dilaniarla, frammentare la sua anima. Byakuya era capace di far
sussistere tutto ciò. Ed alla fine tremava. Tutto si faceva
vorticoso, e sembrava non avere alcuno sbocco, alcuna via
d’uscita.
Poi
improvvisamente la guardava e le diceva cose che la sorprendevano e
spesso la sviavano completamente. Eppure tutto ciò non
faceva che far crescere il suo desiderio di conoscerlo. Nonostante
adesso lui la evitasse.
Nonostante
sembrasse che ogni piccola cosa sembrasse poter demolire tutto.
Ogni
piccola cosa sembrava un passo in avanti, eppure c’era dietro
un mondo e delle verità alle quali non poteva arrivare. Non
così. Non se Byakuya continuava a chiudersi e a fuggire da
tutto quello che poteva portare a scoprire il suo velo, a togliere quei
tendoni di un passato che non poteva essere cambiato.
Intanto,
poche stanze più avanti, il giovane e presto ereditario del
casato Kuchiki, avanzava per i corridoi. La luce colpiva la sua figura
longilinea ogni volta che passava davanti gli shouji di casa, lasciati
aperti per far arieggiare, per poi tornare nell’ombra una
volta superati. Il suo sguardo era dritto dinanzi a se. Non era perso
in alcun particolare di quella enorme casa. I suoi occhi impescrutabili
che raramente ricambiavano le persone e ciò che lo
circondava.
Da
un po’ di tempo tutto era diventato così arduo. La
sua capacità di mantenere il sangue freddo di fronte
ciò che gli aveva da sempre serbato la vita sembrava essere
giunta al limite. Ma doveva continuare a combattere perché
per nulla al mondo avrebbe infranto la sua promessa. Si
fermò di colpo e puntò il viso dietro di se,
verso la direzione dove, più avanti, era situata colei che
era diventata da poco sua sorella. Era stato difficile tirare avanti da
solo. In qualche modo, se c’era qualcuno in casa con lui,
aveva modo di distrarsi e pensare ad altro. Adesso che invece erano
stati da soli in questa lunghissima settimana, quasi tirava un sospiro
di sollievo che presto il suo nobile nonno sarebbe rientrato. Nulla
sarebbe cambiato in verità, tuttavia anche lui certe volte
aveva bisogno di degli appigli ai quali afferrarsi. Eppure, nonostante
questo, provava un forte senso di amarezza. Perché Rukia non
c’entrava affatto. Si rendeva perfettamente conto che fosse
una ragazza come le altre, non provava nulla di strano nei suoi
riguardi. Anzi, poteva dire anche che fosse tutt’altro che
spiacevole la sua presenza li. Nonostante il suo aspetto esile e
minuto, era una ragazza con carattere, chiaramente al momento
intimorita da loro. Quel poco tempo che passavano assieme non era
abbastanza da potergli permettere di capire come fosse, però
non erano affatto negativi i suoi sentimenti nei suoi riguardi,
nonostante preferisse mostrarsi distaccato con lei. Il suo viso era
vispo, vivace, diverso dalle donne che aveva conosciuto,
poiché il più delle volte cresciute nella
nobiltà, ed abituate a mostrarsi in un certo modo. Rukia
aveva invece una spontaneità che aveva visto raramente e
questo lo incuriosiva non poco dato che lui non aveva mai avuto la
possibilità di essere così. Il suo carattere era
stato plasmato sulla base di rigide e rigorose regole, che aveva
abbracciato e fatto divenire parte di se. Così tanto che
quello che un tempo sentiva ingabbiarlo, adesso era una solida base
senza la quale per lui sarebbe stato impossibile andare avanti. Erano
la sua trappola pirandelliana. Al di fuori delle sue barriere, dei
cavilli che regolavano la famiglia Kuchiki da generazione, gli sarebbe
mancato persino il respiro. Aveva imparato a nuotare nel suo mare e
allo stesso tempo vivere nel mondo al di fuori di esso. La mente di
Byakuya Kuchiki era una vera e propria trappola cinese, dove in
verità bastava un piccolo pezzo fuori posto per cominciare a
far vacillare tutto. Per questo doveva stare attento. Erano
già tanti i frammenti che erano andati oltre la sua
struttura. Non doveva permettere che riaccadesse. Lo aveva
giurato…e lo aveva fatto soprattutto a se stesso.
Sarebbe
stato un degno erede del suo casato. Era questa la sua maggiore
ambizione. Lo scopo della sua esistenza.
Rukia
non avrebbe rappresentato un ennesimo fallimento. Prima che cominciasse
qualcosa, preferiva chiudere subito le porte ed andare avanti per la
sua strada.
Non
avrebbe potuto sostenere il peso di ulteriori umiliazioni.
Tutti
si sarebbero accorti della sua incredibile somiglianza alla sua nobile
e dolce Hisana, e sapeva che avrebbero pensato a lui. Invece lui si
sarebbe mostrato composto e noncurante, perché della loro
somiglianza non gli importava nulla. Non avrebbe permesso quindi che
invece importasse a qualcun altro. Non voleva dare modo a nessuno di
pensarci.
Era
consapevole che doveva rimanere sulle sue per non sbottare.
Era
consapevole che si sarebbe dovuto mantenere distaccato per non far
giungere pettegolezzi.
Voleva
recuperare la regolarità della sua vita. Una
regolarità che invece stranamente non aveva mai fatto parte
di lui, nonostante in apparenza Byakuya Kuchiki era l’uomo
rigoroso e rispettoso delle regole per eccellenza. In
verità, i fatti erano ben diversi. E lui ne era consapevole.
Questo bastava.
Eppure…
Riportò
il suo sguardo dinanzi a se. Si spostò di fronte al fusuma
che fece scorrere delicatamente. Si inginocchiò di fronte a
un tavolino basso e prese a smistare delle carte che aveva
precedentemente esaminato.
Eppure…qualcosa
di lei lo attraeva. E il motivo non era Hisana.
Ma
nessuno lo avrebbe mai capito. Sarebbe stato un ennesimo fallimento,
un’ennesima inflazione alle sue regole.
Era
impuro. Una cosa del genere era indegna.
Era
più appropriato annegare tutto nell’oblio.
Pensieri del genere dovevano abbandonarlo, prima che per davvero
qualcosa cominciasse.
[…]
La
villa era perfettamente pulita ed in ordine. Già normalmente
era curatissima, per questo vederla invece pronta per ricevere degli
ospiti era uno spettacolo unico. Le luci illuminavano tutta la casa, e
il giardino risplendeva ancora di più sotto le luminarie in
stile antico che lo contornavano. Era stata liberata la stanza
più grande della casa, che affacciava sul lato
più bello del giardino, quello che affacciava sul viale
degli alberi di ciliegio, che davano un che di romantico con lo sfondo
della sera che pian piano scendeva. In questo modo lo spazio sembrava
come essersi triplicato, e se già quella stanza sembrava
enorme, adesso era come una sala.
Ginrei
Kuchiki era rientrato in casa proprio qualche minuto prima. Byakuya era
stato il solo a salutarlo, nonostante anche Rukia si fosse precipitata
per accoglierlo. Era suo dovere, dopotutto. Ma le era stato negato, per
permettergli di sistemarsi con calma per la festa. Così,
nonostante fosse corsa li per salutarlo, era rimasta invece sola
accanto a Byakuya.
La
giovane con i capelli neri, ancora vestita per casa, con un delicato
yukata color lilla, era rimasta incantata nel vedere il nobile Byakuya
che invece era già pronto. I suoi capelli erano lisci come
il solito, e si posavano appena sulle sue spalle. Il suo viso aveva
qualcosa di ancora più regale e nobile. Fece scendere il suo
sguardo che si posò sul bellissimo kimono nero di un tessuto
che lo fasciava in tutto il corpo, stretto in un obi rosso sangue che
su di lui figurava splendidamente, ed impreziosito dal lungo haori
legato sul collo da un delicato gioiello di famiglia. Il nero era un
colore che gli donava particolarmente, già quando lo vedeva
vestito da shinigami lo pensava, ma adesso era completamente diverso.
Se prima pensava fosse un ragazzo elegante per natura, averlo visto
preparato invece era tutt’altra cosa. Il nobile Byakuya
curava molto il suo aspetto, ed in occasione di un piccolo ricevimento
era più che chiaro che avesse raffinato ancora di
più il suo aspetto, cosa che Rukia in verità non
credeva possibile. Non credeva che lui potesse rendersi ancora
più bello e distinto. Almeno per quanto riguardava il suo
aspetto, aveva forse una visione decisamente troppo idilliaca di lui,
ma ciò non negava che fosse per davvero la
nobiltà incarnata. Per questo si era sentita leggermente
ridicola quando, dopo averlo visto così, abbassando gli
occhi aveva notato invece che lei era scalza, con un semplice yukata
addosso, i capelli pettinati appena e il viso pulito, per niente
truccato.
Era
stato imbarazzante e si era sentita di colpo così
inappropriata. Tanto che addirittura aveva pensato che lui avesse
potuto guardarla con disapprovazione. In verità Rukia non
sapeva che questo era un suo aspetto da cui Byakuya era attratto,
essendo invece abituato alla nobiltà. La
semplicità, per contrasto quindi, era qualcosa che lui non
conosceva. Ma dal canto suo, Rukia voleva dare il massimo per non
deludere le aspettative di nessuno, almeno quella sera. Doveva darsi da
fare e cercare di costruire quella personalità che stava
esercitando da alcune settimane. Doveva mostrarsi non una Rukia educata
e ben vestita. No. Dove essere un Kuchiki. Così
era corsa in camera sua e aveva lasciato che l’acconciassero
e la rendessero come doveva essere una degna donna di quella famiglia.
Il
kimono era pronto. Ora che lo aveva addosso, con tutti gli ornamenti
che si usano portarvi, emanava un’eleganza che persino lei fu
sorpresa di vedere a se stessa. Ancora di più di quando era
imbastito, e già rendeva molto all'ora. La manica scendeva
fino all’imboccatura delle ginocchia, con un drappeggio
elegante e molto delicato. Le decorazioni fatte a mano erano
magnifiche. Non aveva mai visto infatti un lavoro del genere,
così accurato, o almeno mai da così vicino. Si
estendeva sulle maniche, sul petto e sulla schiena. Erano vistose, con
tinte molto splendenti, eppure non osavano troppo. Rukia era abbastanza
interessata al disegno ornamentale, per questo fu letteralmente rapita
dal livello di particolari a cui arrivavano quei disegni, che
contrastavano con la bellissima tinta di rosso del kimono. Una volta
strettole l’obi, le tirarono i capelli esattamente come la
sarta le aveva consigliato di fare. Questa volta sistemandoli e
fissandoli con prodotti specifici, ornandola con dei fermacapelli
particolari che avevano l’aria di essere molto costosi.
Provava una strana morsa al cuore quando le venivano dati quei
gioielli. Erano un qualcosa di eccessivo per lei. Non si sentiva degna,
non era abituata ad ostentare tanto, ed era normale dopotutto.
Una
volta passata al trucco, oramai non era più se stessa. La
ragazza che vedeva riflessa era una giovane donna dai capelli neri, gli
occhi blu, elegante, che tutto sembrava se non una ragazzina raccolta
dal rukongai. Si chiese dietro quei fronzoli se ci fosse lei per
davvero.
Tuttavia
non aveva tempo per pensarci. Era calata la sera, la sua recita stava
per cominciare. Dove andare tutto bene, era essenziale per avere la
definitiva approvazione della famiglia Kuchiki. Così si
alzò lentamente, stando attenta a non rovinare
già subito l’acconciatura, sotto gli occhi
attoniti della servitù. Per la prima volta si accorse che
questi la guardavano con disapprovazione.
Si
perse nei loro sguardi per qualche attimo, decisamente disorientata.
Non si era mai accorta che effettivamente quella era gente come lei.
Solo che lei tutto ad un tratto aveva ottenuto quanto più
non poteva auspicare nella sua vita. Chiaro che la odiassero. Tuttavia
non indugiò e lasciò la sua stanza per
raggiungere la sala che era stata preparata per gli ospiti che avrebbe
conosciuto tra poco come i suoi parenti.
Si
affacciò appena e rimase sorpresa di trovare già
tutti lì. Deglutì. Quanto tempo ci aveva
impiegato a prepararsi? Si guardò attorno, ma non vide
nessuno di familiare. La prima cosa da farsi era trovare il nonno. Era
lui a cui era dedicato questo rinfresco, quindi era giusto che al
momento dedicasse le sue attenzioni a lui. Inoltre era anche curiosa di
vedere la sua reazione nel vederla così. L’aveva
sempre guardata con sospetto, sdegnando le sue origini, anche se non
l’aveva mai detto apertamente, ma si vedeva. Era chiaro che
non avesse grosse aspettative su di lei, che la ritenesse lontana dalla
sua famiglia. Ora invece era preparata come una principessa. Era sicura
che l’avrebbe guardata con occhi diversi. Così
avanzò nella stanza, cacciando fuori la sua determinazione e
sfrontatezza. Non si lasciò intimidire, ma
camminò normalmente fra quelle persone, finché
poi non lo vide.
E
accanto a Ginrei…c’era lui.
Lo
guardò allargando gli occhi, ma da sola si ricompose e si
rivolse al nobile Ginrei.
“Buonasera
e bentornato dal suo viaggio, Nobile Kuchiki. Sono davvero felice di
rivederla.” Disse con fare molto sicuro e naturale,
contenendo il tono, accompagnando il tutto con un piccolo inchino,
lasciando che i capelli le finissero leggermente sul viso.
Ginrei
la osservò attentamente, quasi come preso alla sprovvista.
La scrutò per qualche istante prima di rivolgerlesi.
“Rukia.”
Disse con quel suo solito tono inespressivo, ma che lei sapeva fosse
pieno di sorpresa.
Rukia
rimase li ad osservarlo, non aggiungendo altro. Preferì
lasciare che fossero altri a prendere parola. Intanto non si era
accorta che chi era rimasto più folgorato dalla sua
improvvisa entrata in scena era proprio Byakuya. Il suo
sguardo inespressivo era sempre lo stesso, ma chi lo conosceva poteva
vedere il leggero sgomento che trapelava dai suoi occhi. Rimase a
fissarla a lungo, senza che lei se ne accorgesse poiché
troppo impegnata a rimanere composta agli occhi dei presenti che ben
presto l’avrebbero giudicata.
Byakuya
non riuscì a staccare il suo sguardo da lei, che ai suoi
occhi si presentava così… diversa. Gli capitava
raramente di non avere un perfetto controllo sulle sue emozioni.
Generalmente anche nei momenti di stupore riprendeva immediatamente il
controllo di sé, ma questa volta, se non avesse avuto di suo
un viso dall’espressione seria ed irraggiungibile, avrebbe
avuto la tipica faccia di chi ha visto qualcosa di sovrannaturale. E
per lui, provare una sensazione simile anche se per giusto un minuto,
era un’eccezione inconsueta ed assolutamente anomala. Per una
volta le stava finalmente mostrando palesemente le sue attenzioni, alle
quali sfuggiva visibilmente, e persino Ginrei Kuchiki ad un certo punto
se ne accorse, guardando appena suo nipote con la coda
dell’occhio. A rimanere ignara di ciò,
fu paradossalmente l’unica persona che avrebbe tanto
desiderato ricevere le attenzioni del Nobile Byakuya per una volta:
Rukia. Che intanto prese a salutare le persone che le si rivolgevano,
curiose di sapere chi fosse.
Presero
a guardarla con serio sospetto, quasi allarmati, e anche se non lo
diedero a vedere, Rukia era sicura che tutti la stessero scrutando per
lo stesso motivo. I loro occhi erano strani, e alcuni presero anche a
bisbigliare fra di loro. Fu quando sentì appena le parole
“…somiglia
incredibilmente…” che
sbandò, e tempestivamente Byakuya prese parola.
“Lei
è Rukia. Kuchiki Rukia. La ragazza che, come avrete saputo,
fa parte della mia famiglia adesso.” Disse con una punta di
arroganza, rivolgendosi giusto ai pochi coi quali stava precedentemente
parlando, prima che Rukia li interrompesse quando era arrivata.
Rukia
non lo aveva mai visto così. Sembrava proprio aver voluto
dare di proposito una sferzata ai presenti, per irrompere nei loro
pensieri e toglier ogni dubbio ai loro pettegolezzi. In fin dei conti,
se lei si sentiva a disagio, il problema doveva essere condiviso anche
da lui che quelle persone le conosceva e sapeva perfettamente cosa
avessero potuto pensare di una ragazzina povera adottata senza un
perché in una delle famiglie più altolocate della
Soul Society. Capì dunque perché Byakuya
l’avesse fatto. Per mettere le carte in tavola e presentare
quella che era la realtà che questi avrebbero dovuto
accettare. Il solo pensiero, però, la faceva star male. Si
sentiva comunque come in un covo di arpie, pronte a cogliere un suo
passo falso per divorarla. I loro visi, alcuni inespressivi, altri fin
troppo costruiti, la inquietavano. Ed il bello era che tutti lo
facessero con una disinvoltura a dir poco spaventosa. Significava
questo diventare nobili?
“Molto
piacere, felici di averla qui, allora.” Rispose
improvvisamente uno fra loro, ma c’era qualcosa di strano
nelle sue parole.
Qualcosa
che la lasciò inquieta, come se già non lo fosse.
Perché d’improvviso nulla sembrava più
al suo posto? Sapeva che l’atmosfera sarebbe stata questa, si
era già preparata psicologicamente, e per dirla tutta, le
cosa stavano andando meglio di come si aspettasse. Si sentì
però di colpo tutti gli occhi addosso, il suo cuore prese a
palpitare forte. Fu un’atmosfera strana, che andava crescendo
e non riuscì a comprendere. Ma le parlava, e le diceva che
qualcosa non quadrava. Tuttavia doveva rimanere composta, seria. Non
avrebbe permesso che Byakuya o Ginrei si vergognassero di lei.
Eppure
una parte di lei era pronta a scommettere sul reale motivo di tutto
questo.
Un
nome echeggiava nella sua mente, e il sospetto che si trattasse proprio
di questo era forte. Il solo pensiero però la struggeva,
nonostante non sapesse neanche chi fosse questa persona che sembrava
rassomigliarle tanto. Per questo cercò di rasserenarsi, non
avrebbe mandato tutto a monte in questo modo. Così
cortesemente rispose al nobile che aveva ricambiato il suo saluto.
“Il
piacere è mio.”
Detto
questo dovette allontanarsi per qualche attimo. Lentamente, avanzando
poco alla volta per non rendere palese il fatto che avesse bisogno di
una boccata d’aria, raggiunse lo shoji, che era aperto, e
solcò appena la sua soglia. Tirò un sospiro di
sollievo e rimase per qualche istante ferma a guardare la luna. La
notte era scesa davvero velocemente, in qualche modo questo la
tranquillizzò. Voleva dire che la serata non doveva essere
poi ancora così lunga. Rivolse il suo sguardo di nuovo
dentro la sala. C’era molta gente, erano per davvero tutti
dei parenti? Si ritrovò a guardare le altre donne come erano
vestite. Se prima si era trovata eccessiva, ora notava come quelle
persone erano come lei, se non ancora più eleganti. Per loro
tutto questo doveva essere normale, esattamente come per il nobile
Byakuya. Dopotutto, era lei la pecora nera di quella famiglia, ora. Non
c’era quindi nulla di cui sorprendersi, in fin dei conti.
Avanzò
qualche passo verso il giardino. Quella casa era assolutamente stupenda
di notte. Avrebbe volentieri passeggiato lungo il viale costeggiato
dagli alberi di ciliegio che risplendevano nel nero del cielo, ma non
era il caso. Ciò però non le impedì di
avvicinarsi al tronco di uno di questi e adagiarvisi vicino. Se non
fosse stata così ingombrata da quel kimono, e soprattutto
nel bel pieno di una festa di famiglia, si sarebbe arrampicata sui suoi
rami per ammirare la casa dall’alto.
Improvvisamente
qualcosa si accese nella sua testa. Si guardò in giro, ed
effettivamente non c’era nessuno li ad osservarla in quel
momento. Avrebbe almeno potuto raggiungere i rami più bassi.
Ci era abituata, non avrebbe rovinato il kimono. Così
sfilò i sandali, aprì la gonna facendo uscire
completamente le gambe e si arrampicò velocemente sul primo
ramò che riuscì a raggiungere. Mentre saliva
facendo leva sulle braccia, un ramoscello le si incastrò fra
i capelli, che infatti, mentre fece per tirarsi su, le sfilò
l’acconciatura allentandola di poco. Questo improvviso
piccolo incidente l’allarmò. Infatti subito
portò una mano sulla testa cercando di capire le
gravità del danno, staccando un braccio dal ramo sul quale
si stava arrampicando. Questo le fece perdere un po’
l’equilibrio, e allo stesso tempo una voce alle sue spalle
non l’aiutò a riprendere lucidità.
Infatti sentì qualcuno chiamarla, e girandosi appena per
costatare chi fosse, scivolò col piede e per poco non cadde
giù dall’albero.
Byakuya
Kuchiki le si avvicinò, osservandola dal basso con i suoi
soliti occhi inespressivi.
“Rukia,
cosa stai facendo li?”
“Oh?
Bya…Byakuya!”
La
ragazza cercò di ricomporsi. Portò immediatamente
una mano sull’imboccatura delle gambe sperando con tutta se
stessa che tutto fosse al suo posto. Si chiese cosa le fosse venuto in
mente quando aveva deciso di arrampicarsi su quel maledetto albero.
Byakuya però non sembrava così turbato nel
vederla la sopra, infatti le si avvicinò di più
ed allargò le braccia. Rukia rimase ad osservarlo per
qualche istante senza capire. Vedendola ancora in piedi sul quel ramo,
allacciata al tronco, il giovane dai capelli neri ondeggiò
lievemente la testa, alzando le sopraciglia.
“Scendi.”
Disse con fare disinvolto, non abbassando le braccia. Solo allora Rukia
capì ed arrossì di colpo. Il nobile Byakuya
voleva prenderla fra le braccia?! Sbatté le palpebre
velocemente, dopodichè si inginocchio e cominciò
a fare per scendere da sola. Byakuya la guardò con
disapprovazione, non accettando che la ragazza non si facesse aiutare.
Così, quando ella scese giusto un po’ di
più, fu lui stesso a sfiorarle il polpaccio e a farla
scivolare su di lui. Il suo modo di muoversi vincolò la
giovane Rukia ai suoi gesti, che si lasciò trascinare fra le
sue braccia con fare naturale, in un gioco che era lui a gestire
completamente. La ragazza rabbrividì al suo contatto, e
anche se la tenne vicino a se solo per pochi istanti, non
poté in nessun modo trattenere il suo stato
d’animo, che cominciò a sfuggirle del tutto.
Lui
si piegò, permettendole di adagiare i piedi per terra,
così la giovane lentamente si staccò la lui e
recuperò gli geta. Prese a riposizionare nella maniera
giusta la gonna del kimono, per fortuna almeno quello era stato legato
talmente stretto che le fu facile farlo tornare come prima. Mentre era
piegata per risistemarsi, Byakuya le arrivò dietro le spalle
e le mise le mani sui capelli, al che la ragazza si voltò di
scattò verso di lui presa alla sprovvista. Fu un movimento
veloce e inaspettato persino per lui, che infatti se la
ritrovò a pochi centimetri dal suo viso, ritrovando davanti
a sé quei suoi enormi occhi che lo fissavano sgomentati.
Vide la ragazza allargare leggermente le labbra, come per dire
qualcosa, ma subito si tirò indietro, imbarazzata nel
sentire il respiro del ragazzo. Premette le mani sulle spalle del
fratello e si allontanò da lui, facendo di tutto poi per non
incrociare più i suoi occhi.
Il
moro si risollevò col busto, ma a differenza di lei, non
traspariva alcuno sgomento sul suo viso. Anzi. Se non lo avesse
conosciuto, avrebbe potuto dire che sembrava divertito addirittura.
Imperterrita, poi, le si avvicinò di nuovo e prese a
sfilarle alcuni fermagli che aveva in testa. Rukia vide danzare
all’altezza dei suoi occhi le maniche del kimono del giovane
Kuchiki, e di fronte a lei, il suo busto che si muoveva assecondando i
movimenti delle sue braccia che maneggiavano i suoi capelli.
Byakuya
le raccolse di nuovo i ciuffi nel fermaglio, e così la sua
pettinatura fu finalmente in ordine come lo era prima. Quando si
allontanò da lei, provò quasi un brivido di
freddo. La sua vicinanza le provocava calore, quasi come se in quel
momento le avesse dato un caldo abbraccio. Cosa che non era, le aveva
solo sistemato l’acconciatura che si era sfatta mentre era
salita sull’albero di ciliegio, ma era stato ugualmente
stupendo. Sorrise leggermente in preda all’emozione, stando
attenta a non darlo a vedere. Byakuya continuò ad
osservarla silenziosamente, incuriosito dai strani modi di quella
ragazza. In breve tempo poi ritornò alla domanda che le
aveva fatto precedentemente.
“Cosa
stavi facendo lassù?”
Rukia
alzò il viso e lo guardò dritto negli occhi, cosa
che in verità trafisse il nobile Byakuya. Pochi osavano
guardarlo con così tanta schiettezza ed
intensità. Eppure lei lo fece con una spontaneità
assolutamente naturale che neanche lui usava avere spesso con gli altri.
“
Volevo solo rimanere seduta lì qualche minuto.
Ecco…” fece una piccola pausa.
“…in verità è tutto
così complicato per me. Forse volevo solo stare da sola per
qualche momento.”
Non
seppe perché, ma gli era stata sincera. Omettendo gran parte
delle sue reali preoccupazioni, ma gli aveva detto la
verità. Per un attimo si chiese se Byakuya avesse potuto
comprendere ciò, ma furono le sue parole stesse a rispondere
prima che lei potesse formulare qualsiasi ipotesi. Infatti
inaspettatamente lui riprese a parlare, e forse per la prima volta si
trovarono coinvolti in un discorso che avesse a che fare con loro
personalmente.
“Non
pensare che questi sentimenti siano inconsueti in una serata del
genere. A lungo andare si ci abitua, ma è stato
così per tutti. Non devi preoccuparti. La cosa
migliore è non finire nell’amo, non dar loro modo
di capire.” Disse rivolgendo gli occhi altrove, non
incrociandoli con la sua interlocutrice, che però
attirò ugualmente la sua attenzione facendo qualche passo
verso di lui e guardandolo con fare sorpreso.
“Quindi
anche tu ti senti così, qualche volta, nobile
fratello?”
Il
ragazzo tirò su le spalle, poi la guardò appena
prima di rispondere.
“Non
si ci estranea mai completamente a queste cose. Ma non darci troppo
peso, comunque.” Disse concludendo il discorso. Da parte di
Rukia fu una novità assoluta vedere Byakuya parlare di
sé, anche se in maniera velata. Per la prima volta la sua
figura nobile ed altolocata, si sostituì con quella di un
ragazzo che alla fine, come lei, provava dei sentimenti, impostava la
sua personalità per essere all’altezza di quel
mondo dove le apparenze erano fondamentali. Per la prima volta se ne
accorse. Nonostante fosse una cosa assolutamente normale, fu una
sorpresa vederlo improvvisamente in maniera diversa da come era sempre
stato ai suoi occhi.
In
quei pochi minuti, capì che voleva conoscerlo. Voleva
sinceramente arrivare a comprendere quel ragazzo che stava cambiando la
sua vita. Non importava che lui glielo impedisse. Tutto d’un
tratto il fatto che lui l’avesse allontanata quando lei aveva
cercato di capire chi fosse Hisana, la donna che quella notte aveva
infranto quel po’ che stavano cominciando a costruire, si
cancellò. Voleva ricominciare daccapo. Non voleva
più rinunciare a lui così presto.
Lentamente
Byakuya si girò dandole le spalle e fece per ritornare nella
sala. Si voltò appena per invitare la ragazza a seguirlo, fu
allora che lei si appigliò alla manica del suo kimono e la
strinse fra le dita per trattenerlo. Lo guardò
così intensamente che i suoi occhi determinati e forti
riuscirono a farlo voltare, e a costringerlo a guardarla a sua volta.
Non gli era mai capitato in verità che qualcuno riuscisse a
fare una cosa del genere con lui. La cosa lo spiazzò li per
li. Infatti rimase fermo, incantato a guardarla.
“Fratello,
volevo dirti una cosa. Una cosa che avrei dovuto fare molto
prima.” si interruppe per riprendere fiato. Nonostante la sua
determinazione, non era mai facile per lei parlargli. “Volevo
ringraziarti. Grazie per ciò che stai facendo per
me.”
Detto
questo chinò il capo, e lentamente fece scivolare via le sua
sottili dita dal lembo del vestito.
“Nonostante
io non possa sapere perché l’hai fatto, volevo che
tu lo sapessi.”
Byakuya
sgranò gli occhi in maniera appena percettibile, ma
abbastanza per far si che Rukia se ne accorsesse.
Dopotutto
non era importante che sapesse a tutti i costi la verità.
Ciò che le stava accadendo, ciò che stava
cambiando per sempre la sua vita, era tutto così grande. Ma
sentiva che il modo giusto per affrontare le cose era non arrendersi.
Ce la poteva fare, lo leggeva negli occhi del nobile Byakuya, che non
la odiava. Adesso le era chiaro, finalmente.
Perché
l’avesse voluta con sé nella sua casa, da cosa
fosse stato scaturito tutto questo, sarebbe venuto dopo. Ora al primo
posto c’era altro.
Ma
tutto era destinato a cambiare. Niente sarebbe stato come prima. Se le
cose fossero andate diversamente forse avrebbe potuto credere davvero
in tutto questo. Tuttavia il destino gioca scherzi crudeli a volte, e
non sempre è possibile tornare indietro una volta apprese
certe consapevolezze.
Byakuya
e Rukia entrarono dentro casa e si mischiarono tra la folla. Nonostante
lo sdegno palese di molti dei conoscenti dei Kuchiki, la ragazza
riuscì a rimanere a testa alta. La sua grinta non era andata
perduta. Non la accettavano, non l’avrebbero mai accettata.
Lo leggeva nei loro occhi. Ma non sperava certo in qualcosa di tanto
diverso. Finché sarebbero stati solo i loro sguardi a
ferirla, poteva farcela. Non poteva fare a meno di mettercela tutta.
Per lui.
Si
fecero lentamente le undici la sera. Gran parte degli ospiti aveva
lasciato la casa. Rukia si era intrattenuta con loro finché
era stato possibile, ma i loro discorsi le sfuggivano completamente.
Era improponibile per lei comprenderli a pieno, così ad un
certo punto, stufa e stanca, si inoltrò dentro casa, intenta
ad andare in bagno per rinfrescarsi un po’.
Dopo
avrebbe annunciato la sua intenzione di andare a dormire. Si sarebbe
intrattenuta giusto fino alla mezzanotte magari. Mentre avanzava per i
corridoi, la sua attenzione fu attirata dalle voci di alcune persone
che in silenzio discutevano fra loro. La loro voce risuonava abbastanza
nitidamente, e anche se non avesse voluto, fu impossibile non sentire
le loro parole, che non facevano che accennare a lei. A quanto fosse
ridicola l’adozione di una ragazza come lei nella loro
famiglia. A come Ginrei Kuchiki avesse potuto permettere una cosa del
genere a suo nipote Byakuya, nonostante quello che gli avesse
già chiesto pochi anni addietro. Quelle parole la
trafissero. Cosa aveva chiesto Byakuya a suo nonno? Perché
stavano parlando male di lui? Il suo cuore prese a battere forte ed
ogni cosa crollò quando sentì le loro ultime
parole.
“E’
ridicolo da parte sua portarsi in casa una ragazzina del genere solo
per consolazione.”
“Per
consolazione?”
“Per
quale motivo se no. E’ pressoché
identica a sua moglie. Ma così facendo non farà
che portare disonore in questa casa.”
“Eppure
è un giovane così posato, non lo avrei detto che
avesse causato così tanti problemi…”
“Già,
è sempre così, perché
vedi…”
Le
loro voci cominciarono a farsi come echi lontani. Non seppe se fu la
sua mente a non voler più sentire niente, oppure loro che si
fossero allontanati. La sua mente andò nel pallone. Si
ritrovò apaticamente a girovagare per i corridoi, con lo
sguardo perso nel vuoto, nel buio della notte. Non accese infatti
nessuna luce. In qualche modo l’oscurità la stava
aiutando a non ragionare, a non voler capire. Ma la sua mente pian
piano stava arrivando ad una verità che avrebbe cambiato le
cose. Per sempre.
Improvvisamente
si fermò. Girò lentamente lo sguardo e si accorse
di essere arrivata nella zona riservata alle stanze da letto. Si
girò con tutto il corpo e riconobbe quella stanza. La stanza
del nobile Byakuya.
Come
se posseduta da una forza estranea a se stessa, posò le mani
sul fusuma e lo fece scorrere. Nonostante il buio, la bianca luce della
luna illuminava i contorni di quella stanza, vuota e perfettamente
ordinata. Entrò dentro e il suo corpo prese a muoversi senza
il suo controllo. Si ritrovò a guardare la stanza, e a
cercare qualcosa. Ispezionò i mobili, ma pian piano si rese
conto di essere pressoché ridicola a frugare
così. Così si sedette sul letto di Byakuya e
rimase lì, immobile, in silenzio.
Non
c’era alcun rumore, sembrava essere entrata in una dimensione
parallela. Si estraniò completamente da tutto e da tutti.
Chiuse gli occhi. Anche se il suo cuore batteva inspiegabilmente forte,
sentiva di stare bene li dentro. Perse ogni cognizione del tempo, e
rimase lì senza sapere effettivamente quanto fosse passato o
se magari la stessero cercando di la. Ma non le importava. In quel
momento non esisteva nulla. Voleva che la lasciassero stare in pace
tutti. Non voleva sapere più niente.
Alzò
lo sguardo e si chiese come doveva essere Byakuya da solo in quella
stanza. Era finalmente se stesso almeno li? Si sentiva come lei quando
nella notte era tutto così buio ed oscuro? Girò
il viso e distrattamente prese a guardare l’ambiente da
quella prospettiva. Era una stanza così vuota. Si chiese
come mai non ci fosse nulla di personale. Ne un souvenir, ne una foto
personale, ne di famiglia…
Solo
allora notò un mobile abbastanza schiacciato al muro, di un
colore molto chiaro che quasi si mimetizzava alla parete. Si
alzò e senza che lo volesse realmente lo aprì.
Era vuoto, non c’era assolutamente niente dentro se non
piccoli oggetti, conservati lì giusto per non tenerli in
giro. Ma gli occhi non potevano sfuggire all’unica cosa
realmente in evidenzia li dentro. L’unica cosa che splendeva
fra quegli oggetti. Una cornice. Una cornice semplice, il cui riflesso
era confuso da quello della luna proveniente dalle sue spalle, e che
nascondeva il viso della persona ritratta. Rukia si avvicinò
di più, facendo ombra su di essa e fu allora che la vide.
Hisana.
Il
tempo sembrò fermarsi di nuovo. La donna il cui volto era
stampato, indelebile, sulla carta fotografica conservata in quella
cornice, era una donna poco più grande di lei, e che aveva
straordinariamente quasi il suo stesso viso. Per un attimo ebbe un
colpo. Si chiese cosa ci facesse una foto del genere in
quell’armadio, nella stanza di Byakuya
e…improvvisamente ricordò.
“N-nobile
Hisana..?! E’…è impossibile. Siete
proprio voi?”
“Hisana?”
“Nobile
fratello, chi è Hisana?”
“Certo
che le assomiglia incredibilmente.”
“Perché
sono qui?”
“Nobile
Byakuya?”
“E’
pressoché identica a sua moglie…!”
Sua
moglie…
Sua
moglie…
Hisana…
“E’
ridicolo da parte sua portarsi in casa una ragazzina del genere solo
per consolazione.”
Quest’ultimo
ricordo la fece scattare. Agitò il braccio, che
buttò contro il mobile e per poco non fece cadere tutto a
terra. Si accasciò a terra e prese a tremare. Non voleva che
la sua mente traesse le conclusioni. Non voleva sapere!
Perché stava accadendo?
Non
voleva neanche entrare in quella stanza! Perché lo aveva
fatto?!
Aveva
appena ringraziato Byakuya per ciò che stava facendo per
lei. Aveva deciso di voler impegnarsi, senza più voler
sapere tutto ad ogni costo. Voleva solo conoscerlo! Voleva solo
sapere…
“Rukia.”
La
ragazza si voltò di scattò. Solo quando le
lacrime le arrivarono sull’orlo della bocca si accorse di
aver pianto.
Alzò
lo sguardo e vide dinanzi a sé l’imponente figura
di Ginrei Kuchiki.
Strinse
gli occhi. Non era la persona giusta da avere li in quel momento. Era
tutto sbagliato. Voleva stare sola, non era nelle condizioni di
inventare una scusa credibile, ne poteva parlare sinceramente a
quell’uomo che l’aveva disprezzata dal primo
momento in cui era entrata in quella casa.
Stranamente
però l’anziano rimase in silenzio e non
proferì parola, ne le rivolse alcuno sguardo disgustato. Se
ne sorprese, ma non ci fece troppo caso. La sua mente era completamente
sconvolta. Completamente confusa, piena di dubbi e paure che in
realtà non volevano risposte, ma le reclamavano a gran voce.
Era tutto così assurdo.
Ginrei
le si avvicinò e la invitò a ricomporsi e
rimettersi in piedi. Rukia ubbidì, ma rimase con lo sguardo
perso nel vuoto e non lo ricambiò per nessun motivo. Non ne
aveva la voglia, ne la forza.
“Vuoi
chiedermi qualcosa, Rukia?”
A
quella domanda, la sua bocca parlò senza che le parole
filtrassero prima per la ragione. Parlò, anche se fuggiva da
quelle risposte. Parlò, consapevole che questa volta Ginrei
Kuchiki le avrebbe risposto.
“Lei
è Hisana vero, nobile Kuchiki?” disse
apaticamente.
“Sì,
Rukia.”
“Nobile
Kuchiki…perché sono qui?”
Quella
domanda…oramai era passato moltissimo tempo da quando
gliel’aveva rivolta la prima volta. Quasi un mese forse. Non
era nemmeno diventata un Kuchiki a tutti gli effetti allora, ed adesso
invece era lì, a riproporgliela, e qualcosa era cambiato
profondamente da quel tempo. Ginrei la guardò profondamente,
dopodichè rivolse il suo sguardo verso quella foto,
mantenendo la sua postura autorevole.
“La
nobile Hisana Kuchiki è la defunta moglie di mio nipote,
Byakuya.”
Rukia
rimase immobile di fronte a lui, ferma a fissare il pavimento, incapace
di far nulla.
“Tu,
le somigli molto.” Concluse, dopodichè rimase in
silenzio anche lui.
La
ragazza allargò appena le labbra. Non sapeva se desiderava
parlare per davvero. Ma le carte oramai erano scoperte, la partita
doveva continuare. Le sue risposte stavano giungendo.
Eppure…
“E’
per questo che sono qui?”
Eppure…
“Sì.”
Eppure
avrei voluto…non saperlo.
Cosa
ci faceva li? Perchè era divenuta un membro di quella casa?
Tutto
questo era accaduto per un motivo del tutto estraneo a lei. Qualcosa
che la riguardava, ma solo lontanamente. Perché in
verità lei non c’entrava niente con quella
famiglia. Era un’estranea. Una completa estranea.
Per
quale motivo i suoi sogni erano stati stroncati? Per quale motivo aveva
dovuto abbandonare tutto? Quale era stata la causa che aveva cancellato
il suo mondo?
Niente.
Lei
era lì, c’era e basta.
Non
c’era una spiegazione.
Non
c’era un vero motivo che potesse far quadrare le cose.
Lei…le
somigliava soltanto.
Somigliava
soltanto ad una donna che non conosceva, e che non avrebbe mai
conosciuto.
Eppure
tutti non facevano che paragonarle.
E lei?
Nessuno
si era mai domandato di lei?!
Anche
lei era un essere umano!
Dannazione!
Non era una copia, non era una visione.
Le sua
vita, il suo cuore, il suo mondo…
Era
tutto reale!
Ed
invece…
Invece
era stata trattata come un sogno.
Nessuno
aveva pensato a lei. Nessuno lo aveva mai fatto. Nessuno aveva mai
pensato ai suoi di sogni.
Era
stata adottata…così! Questo SOLO
perché somigliava a Hisana.
“Rukia?”
“V-va
bene così. Mi scusi.” detto questo
sgattaiolò via, raggiungendo il fusuma.
“Non
devi dire niente di tutto questo a Byakuya. Tuttavia credevo fosse
giusto che tu lo sapessi.” Irruppe Ginrei con un tono molto
serio e pacato.
Rukia
non lo rispose. Rimase ferma per qualche istante, poi riprese a
correre.
Intanto
Ginrei Kuchiki raggiunse di nuovo gli ultimi ospiti rimasti ancora in
casa. Si rivolse a loro ringraziandoli per la calorosa serata, e li
informò che Rukia si era ritirata nella sua stanza
poiché stanca e bisognosa di riposo. Gli invitati annuirono
e pian piano se ne andarono lasciando finalmente soli i membri di
quella casa.
Byakuya
guardò suo nonno, il quale però non lo
ricambiò e si ritirò nella sua stanza. Il giovane
dai capelli neri rimase a guardarlo con sospetto per qualche attimo,
dopodichè scosse la testa e lo seguì, per andare
a dormire anche lui.
[…]
Non
so come trascorse quella notte.
Ricordo
il buio, il riflesso della luna che tingeva la stanza di blu. Non so se
ho pianto. Non so quali siano stati i miei ultimi pensieri prima di
chiudere gli occhi. Ricordo solo che improvvisamente mi sono svegliata,
e mi sono accorta di aver dormito. E tutto era così confuso.
Era accaduto veramente? Sarebbero cambiate le cose? Inizialmente ho
pensato che andasse bene così. Che ce l’avrei
fatta a guardarlo in viso e non pensarci. Mi ero illusa che tutto fosse
normale. Non avevo fatto i conti con tante cose. Perchè
improvvisamente mi sono accorta che tutto ciò che mi
circondava aveva cominciato a disgustarmi.
Ero
arrabbiata. Non era giusto.
Ci
avevo provato.
Solo
il cielo sa quanto davvero mi stessi applicando per diventare parte di
quella famiglia, quanto tenessi a piacergli in qualche modo. Ed invece
era andato tutto in frantumi.
Non
mi piaceva. Non andava bene. Non volevo che tutto continuasse
così.
La
mia recita avrebbe dovuto continuare comunque?
Ero
alla resa dei conti...dovevo scegliere.
Il
mio riflesso mi guarda. Mi domanda "perchè non scappi via?"
Mi
diceva che da qualche parte c'ero ancora. Mi supplicava di non
lasciarla morire, quella vecchia parte di me. Sapevo cosa fare, eppure
non ho mai trovato la forza per farlo. Nonostante il mio istinto mi
richiamasse a gran voce, una forza estranea mi diceva che oramai era
questo il mio posto.
Che
dovevo continuare.
Così
la mai coscienza, seppur inquieta, mi ha portata a scegliere.
Ancora
oggi non so se ho fatto la scelta giusta.
Le
prime luci dell'alba picchiarono violentemente sugli occhi di Rukia
Kuchiki. La ragazza alzò lentamente le palpebre, corrugando
la fronte, dopodiché si decise finalmente ad alzarsi.
Sollevò il busto e ancora assonnata cercò di
sistemare i capelli, che erano completamente davanti alla sua faccia.
Si aprì un varco scostando le ciocche che pendevano sulla fronte e prese a guardarsi intorno. La stanza era
già illuminatissima. Il suo kimono rosso era buttato su una
sedia, assieme agli altri pezzi che lo componevano, e i fermagli che l'avevano decorata come una principessa ora erano invece sparsi sulla
sulla scrivania in posizioni del tutto casuali. Quando si era svestita
la sera prima aveva buttato tutto via senza nemmeno curarsi di dove
finissero. Il suo umore era a pezzi, proprio non ce la faceva neanche a
rievocare le ultime ore. Portò una mano sulla spalla e
sentendola nuda cercò il lembo dello yukata per tirarlo su e
coprirsi. Poi si alzò. La giornata doveva cominciare. Si
diresse verso lo shoji, lo aprì e lasciò che la
leggera brezza del mattino la cullasse e sopratutto l'aiutasse a
cacciare via ogni pensiero. Almeno per adesso, voleva rimanere
rilassata, in uno spazio bianco dove ogni cosa restasse sospesa in una
dimensione estranea alla sua. Questo non era possibile per sempre. Ma
non credeva di chiedere troppo se le fosse stato concesso appena
qualche minuto. Il fato però era del tutto contrario alle
sue volontà. Infatti una collaboratrice domestica
entrò nella sua stanza e chiese il permesso di aiutarla a
vestirsi. Rukia la guardò estraniata e lasciò che
la donna facesse ciò che le era stato ordinato. Oramai
l'imbarazzo aveva cominciato ad abbandonarla. Non le sembrava
più così strano che fosse vestita. Era
incredibile quanto fosse cambiata in così poco tempo. La
donna passò per ultimo ai capelli, che tornarono abbastanza lisci
nonostante li avesse portati legati tutta la serata.
Dopodiché spalanco tutte le finestre e cominciò
con le ordinarie pulizie. La ragazza dai capelli neri a quel punto
abbandonò la stanza e percorse il corridoio. Ultimamente le
avevano portato sempre la colazione in camera, perchè
proprio oggi invece non era stato così? Forse era destino
che lo vedesse...
Infatti,
pochi istanti, ed arrivò nella sala da pranzo e lo vide. Con
lo yukata usato per la notte ancora addosso, i capelli lisci, liberi
dal Keinseikan, e lo sguardo tipico di chi si era svegliato da poco. Lo
guardò e qualcosa cominciò a muoversi dentro di
lei. Inizialmente fu panico, poi tensione, poi lentamente tutto questo
cominciò a cambiare, e sentì solo amaro in bocca,
che la portò a provare rabbia.
Doveva
però trattenersi. Non voleva mettersi nelle condizioni di
dovergli qualche spiegazione. Così camminò verso
di lui, cercando di rendere il suo sguardo quanto più vago
possibile. Byakuya si accorse quasi subito di lei. Alzò il
viso mostrandole i suoi occhi grigi, che a quell'ora del mattino sfumavano su
tinte molto chiare per la grande quantità di luce, e posò le bacchette aspettando che lei
prendesse posto.
Rukia
si inginocchiò, mettendosi di fronte a lui. Mantenne il suo
viso basso, non accorgendosi che in realtà il ragazzo si
fosse già accorto del suo strano stato d'animo. Infatti
arricciò le sopracciglia, ma non ottenendo così
le sue attenzioni, si decise a rivolgerlesi.
"Non
si saluta, stamattina?" disse serio, con fare provocatorio. Sapeva
perfettamente che non fosse intenzione di Rukia mancargli di rispetto,
ma era l'unico modo che conosceva per smuoverla al momento.
"Buongiorno,
nobile fratello." disse in tutta risposta lei, alterandolo
profondamente. Byakuya, però , pur cogliendo la provocazione, preferì evitare discussioni almeno di
primo mattino. Ritornò quindi al suo riso, tuttavia quel
viso serio e tutto quel silenzio cominciò a non piacergli. Così
posò tutto e le si rivolse nuovamente.
"Rukia..."
"E'
tutto a posto, fratello." ribadì la ragazza, marcando molto
sulla parola 'fratello'. Dopotutto era quello che voleva. Erano
fratelli adesso. Il caro nobile Byakuya non aveva niente su cui
fantasticare.
Il ragazzo non gradì per
niente quel tono, infatti tempestivamente le alzò il viso con la punta delle dita e
la costrinse a guardarlo negli occhi.
"Mi
sembra di averti già detto di non parlarmi così."
"Sì,
hai ragione." Rukia trovò terribilmente irritante che la toccasse
in quel momento. Le sue sottili dita fecero rabbrividire la sua pelle,
e l'adrenalina scorse dal suo mento giungendo in tutte le parti del suo
corpo, facendone risentire la sua espressione, che mostrava in pieno
tutto il suo disgusto. Si alzò così di scatto fuggendo a quel contatto e
si allontanò immediatamente.
"Mangerò
dopo." detto questo si allontanò dalla stanza, muovendosi
con passo pesante. Non si accorse però che Byakuya l'aveva
seguita tempestivamente, infatti la fermò per il polso e la
voltò verso di sé, con un gesto veloce quanto
improvviso che la lasciò senza parole. Rukia in verità era
molto piccola ed esile di costituzione, quindi non era difficile
muoverla verso di sé, anche usando il minimo della forza.
Fatto sta che comunque ai suoi occhi quello apparì come un
atteggiamento violento, infatti cercò di divincolarsi dalla
sua presa. Il ragazzo però non si lasciò
intimorire, ed anzi, l'avvicinò ancora di più a
sé, facendola sentire atterrita.
"Dunque,
vuoi spiegare perchè stai facendo così?" disse
calmo, eppure le sue parole sembravano volerla trafiggerla da parte a
parte. La ragazza si morse le labbra e lo guardò negli occhi
con uno sguardo a metà arrabbiato, a metà
impaurito.
"No."
Il
suo cuore prese a battere forte. Per la prima volta ritrovarsi vicino
al nobile Byakuya le fece davvero paura. Ma non volle soccombere. Non
aveva voglia di dargliela vinta, ne comunque gli si sarebbe confidata.
Sapeva già dal principio che chiedergli di Hisana o sulla
sua adozione erano tutte mosse sbagliate con lui. Così come
usare la violenza era una tattica sbagliata con lei, invece.
Così mosse il braccio più bruscamente, ma Byakuya
rimase immobile, quasi come se neanche avvertisse i tentativi di
divincolarsi della ragazza.
"No?"
ripeté lui sussurrando quasi.
Non
lo sopportava quando parlava così, c'era qualcosa che la
turbava. Eppure le sue labbra, il suo viso... era bello quando la
guardava a quel modo. Intenso, sensuale, seppur devastante. Sembrava tutto così contraddittorio. Il suo corpo palpitava forte, non capiva cosa volesse farle comprendere. Dovette per forza allontanare gli occhi da lui per non cedere. Non riusciva a reggere il suo sguardo, non ora che era così provata. La
sua espressione si fece più cupa, le sue labbra si
serrarono.
"No."
ribadì soltanto.
Byakuya
rimase a guardarla per diverso tempo. I suoi occhi la scrutavano e
sembravano poter raggiungere ogni parte di lei. Sentiva il
suo corpo irrigidito, eppure vibrare al suo sguardo. Erano tante le
emozioni che percorrevano la ragazza dai capelli neri. Sentiva di scoppiare da un
momento all'altro, senza sapere neanche quale sarebbe stata
effettivamente la sua reazione in un'eventualità simile. Ma
cercò in ogni modo di trattenersi. La ragione questo le
diceva. Le imponeva di non mollare e rimanere sulle sue.
Improvvisamnete però tutte le sue ansie assunsero sembianze
diverse. La vicinanza del nobile Byakuya non le sembrò
più ostile. Nonostante quegli occhi che la trafiggevano, e
la sua mano che l'aveva bloccata, tutto ciò le sembrava
insolitamente invitante. Il suo corpo cominciò a desiderare
quello che la ragione le stava vietando, svelando pensieri profondi che
andava nascondendo alla sua mente. Ma non ebbe il tempo di pensarci
oltre, perchè proprio in quell'istante il nobile Byakuya la
lasciò andare. Allentò le dita e la
divincolò dalla sua presa. Si rimise dritto col busto e le
diede le spalle. Rimase fermo per qualche attimo, e Rukia rimase ad
osservare immobile la sua schiena, mentre la sua mente era ancora in
preda al panico. Il ragazzo buttò il suo sguardo un'ultima
volta verso di lei prima di scomparire dalla sua vista.
Rukia
abbassò la testa, i capelli le inondarono completamente il
viso. Passò una mano fra essi, dopodiché
sospirò.
Era
facile intuire per lei che, oramai, tra lei e Byakuya fosse finita
definitivamente.
Passò
tutto l'arco della giornata, e non si incontrarono neppure per i
corridoi di casa.
Tutto era tornato come al solito.
Lei con la sua vita, lui con la sua. Ognuno distante, se non anche
disinteressati, l'uno verso l'altra. Era tutto così strano...
La
notte giunse velocemente.
Uscì dal bagno e il suo unico desiderio era concludere
velocemente quella giornata, che era stata così noiosa e
fredda. Il calore rimastole addosso dopo il bagno l'avrebbe aiutata a
distendersi meglio, almeno sperava. Mentre passeggiava sulla passerella
all'esterno della casa, balzò quando ad un tratto si
ritrovò Byakuya davanti agli occhi. Non si erano incontrati
per tutta la giornata, proprio ora doveva succedere?
Sembrava
assopito, aveva infatti gli occhi chiusi e il suo corpo era abbandonato
sullo shoji chiuso alle sue spalle. Si chiese se fosse meglio girare i tacchi ed andarsene, il
suo istinto le diceva che approcciarsi proprio ora non era la cosa
più giusta. Inoltre non era più neanche sicura
dei suoi sentimenti. Qualcosa era cambiato, Byakuya non era
più lo stesso ai suoi occhi. Ora come ora evitarlo era la
soluzione che la faceva stare meglio. Tanto non avrebbero potuto
affrontare l'argomento. Il signor Ginrei stesso le aveva fatto
promettere di non dirgli nulla, ma lo aveva già capito da
sola in realtà. Anche da una parte voleva che lui lo
sapesse che lei era oramai a conoscenza della verità sulla
sua adozione. Mentre fece per andare via, la voce bassa e profonda di
Byakuya la richiamò nel silenzio. Si girò
stentatamente.
"Dimmi,
fratello."
Byakuya
chiuse nuovamente gli occhi e le fece cenno di avvicinarsi.
"Vieni
quì."
Rukia,
seppur contrariata, lo assecondò. Non ne
aveva per niente voglia, la sua mente era ancora così confusa e offuscata da mille pensieri da non permetterle di avere un completo controllo di se, ma lo fece. In fin dei conti però abitavano sotto lo stesso tetto, quindi forse era meglio così. Sarebbe rimasta giusto qualche istante, ma non riponeva grandi speranze sul chiarire in qualche modo. Oramai non ne aveva più voglia neanche lei. Mentre si sedette, provò una strana
sensazione. Stare accanto al nobile Byakuya in quelle condizioni le fece provare un curioso rimescolio all'imboccatura dello stomaco. Aveva il viso
stanco, e i suoi capelli scendevano disordinatamente sul viso come
raramente glieli vedeva. A confronto di lui, si sentiva così
piccola. Seduta, le sue spalle a malapena gli arrivavano al petto.
Chissà...probabilmente la vedeva addirittura come una
bambina. Si voltò verso di lui, sperando che dicesse giusto
qualche parola, in modo che dopo avrebbe potuto andarsene presto. Invece si
ritrovò vicino il volto di un Byakuya dormiente, adagiato
con la testa sul muro. Subito sgranò gli occhi. Si mise in
ginocchio e si avvicinò a lui per costatare se dormisse.
"Fratello?
Byakuya?"
Il
ragazzo non rispose al suo richiamo, così lo
toccò appena sulle spalle, ma non ebbe il coraggio di
scuoterlo. Lasciò quindi perdere e si rimise
seduta. Si sentì decisamnete strana. Non sapeva se andare,
se provare a svegliarlo, oppure se rimanere lì.
Perchè? Perchè dopotutto era bello poter stare li
a guardarlo. Inconsciamente fece scivolare la testa verso di lui, e
lentamente si poggiò sul suo caldo petto. Chiuse gli occhi.
Se solo le circostanze fossero state diverse, ora non proverebbe
così tanta rabbia e angoscia verso questo mondo che lui le
aveva imposto. Però non lo odiava. Dentro di sé
sentiva qualcosa che le diceva che non rivedeva Hisana in lei.
Altrimenti non si sarebbe comportato così con lei.
Nonostante le somigliasse, c'era dell'altro. Qualcosa che nessuno
avrebbe mai potuto capire. Qualcosa che si sentiva sulla pelle. Ma
doveva rimanere celato. Perchè comunque lei rimaneva sua
sorella adesso.
Si
scostò leggermente da lui, rimanendo però
poggiata con la mano sul suo busto. Sollevò la testa e lo
guardò intensamente in viso. Gli si avvicinò di
più, allungando il collo. Le sue labbra si inumidirono, si
mossero, e schiudendosi, lentamente giunsero sulle sue.
Sentì appena il suo labbro inferiore, e per un istante volle
scappare via. Tuttavia desistì, e continuò ad
avvicinarglisi, fino a premersi completamente contro la sua bocca. Lui
era fermo, doveva dormire veramente. Le sue labbra rimasero immobili al
suo contatto, ma andava bene così. Non era pronta ad
affrontare una cosa simile, e anzi, non credeva fosse neanche possibile
dato chi erano. Ma se fosse rimasta solo a guardarlo, d'ora in avanti,
non c'era niente di male, infondo. Non sarebbe successo nulla fra loro,
e questo sarebbe stato il loro solo piccolo segreto. Vero, nobile fratello ?
[...]
|
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Capitolo 4 *** Everything burn ***
Probabilmente
il prossimo capitolo sarà quello che chiuderà questa fanfiction.
Dico
probabilmente perché, seguendo la cronologia degni eventi che mi sono
prefissata di inserire, dovrebbe essere così. Ma la mia mente galoppa
quando scrivo, ancora di più quando ciò riguarda personaggi a me cari
come Byakuya e Rukia.
Non
sono poche, infatti, le scene che ho inserito in questo capitolo e che
non avevo immaginato precedentemente.
Son
fatta così!^^
Spero
che io stia continuando a trattare i personaggi protagonisti in modo
IC, è una cosa alla quale tengo molto, anche adesso che le cose
stanno andando avanti ed ho dovuto “osare” un po’ di più se volevo
avviare a trattare la coppia.
L’idea
di ambientare la storia, ad un certo punto, nel “futuro” l’avevo
fin dall’inizio, poiché non immagino che una ByaRuki potrebbe
concretizzarsi nelle circostanze passate o attuali del manga.
La
descrizione presente nel mezzo della storia , che avvia questo flash
nel futuro, fa chiaramente riferimento agli eventi narrati in Bleach
che riguardano Byakuya e Rukia.
Mi
riferisco quindi alla loro lontananza, come siano divenuti due
estranei in casa, la storia di Rukia con Kaien, e poi l’esecuzione ,
che li ha portati a sconvolgere tutto con il ritornare sui suoi passi
di Byakuya.
Questa
prima parte della fanfic è stata volta a giustificare la frase che
Rukia stessa pronunciò prima della sua esecuzione a Renji, ovvero che
già sapeva che Byakuya non avrebbe fatto nulla per aiutarla. E quindi
perché accetta la sua condanna.
Ho
voluto spiegare il tutto tramite questa storia , e le milioni di
sfaccettature che possono essere interpretate.
Io ne
ho trattata qualcuna durante i capitoli già scritti, e spero che il mio
discorso non sia uscito troppo contorto nel complesso.
Ho
provato a fuoriuscire il discorso durante tutta la fanfic fino ad
ora.
Questo
capitolo, fino a metà, è solo il culmine, per poter poi
permettere a me di trattare la ByakuyaxRukia in maniera “realistica”
adesso, diciamo.
Dopo
aver premesso le tante cose che dovevano essere tenute presenti, prima
di trattarli come un pairing.
Spero
di essere riuscita nell’intento.
Un’ultima
cosa. L’ho già scritto durante il capitolo, ma lo ripeto anche qui.
In
questo nuovo contesto, ambientato “dopo gli eventi di Bleach”,
immaginatevi una Rukia di diciannove anni, ed un Byakuya sui trent’anni
grossomodo.
Ho
visto che lo scorso capitolo ha avuto molte visualizzazioni, spero mi
farete sapere come sto continuando.
Ora vi
lascio al nuovo capitolo.
Ci
vediamo al prossimo aggiornamento. Grazie a coloro che mi sostengono e
che mi sosterranno. Vi auguro un buon anno nuovo !!
Grace
-------------------
CAPITOLO 4. Everything burn
Un uomo il cui
desiderio è essere qualcosa di diverso da se stesso, riesce
invariabilmente a diventare ciò che vuole. Questa è la punizione.
Coloro che vogliono una maschera devono indossarla.
[Oscar Wilde]
Il gotei era
già in piena attività lavorativa. Gli shinigami nelle loro scure divise
giravano da una parte all’altra impegnati ognuno nei loro diversi
compiti, non badando neanche alla splendida giornata di quella mattina
che illuminava ogni singolo angolo di quell’imponente struttura sotto
un limpido cielo azzurro. Tra quel via vai, una ragazza dai capelli
folti e neri era adagiata su una panca, assorta nei suoi pensieri,
confondendosi anch’ella fra le anime nelle vesti nere di shinigami. I
suoi occhi erano volutamente rivolti al pavimento, e sembrava voler
rimanere in disparte. I capelli lentamente le scivolarono sul viso,
chiudendolo quasi un sipario, e fu a quel punto che ella alzò
delicatamente gli occhi. Cominciò a scrutare l’ambiente intorno e a
osservare i volti e le espressioni degli shinigami che passavano. Molti
non si curavano affatto di lei, e in verità Rukia Kuchiki preferiva che
fosse così. Odiava quando, passando, leggeva negli occhi di chi la
guardava una qualche nota che le facesse intendere che l’avesse
riconosciuta nel neo membro della famiglia Kuchiki. Sapeva infatti di
non essere benvoluta da molti shinigami che avevano studiato sodo per
entrare a far parte del gotei. Lei invece? Byakuya l’aveva portata con
sé e l’aveva direttamente inserita in quel contesto. Lei si era
applicata ed aveva ripreso gli studi, ma solo per soddisfazione
personale, perché a fatti non ne avrebbe avuto alcun bisogno.
La famiglia
Kuchiki era abbastanza potente da poterle assicurare un posto di lavoro.
Sospirò.
Comprendeva di conseguenza perfettamente i sentimenti di chi le era
intorno. Non era per niente assurdo che in molti la guardassero con
disapprovo. Non era per niente incomprensibile che parlassero alle sue
spalle. Nonostante avesse voluto urlare al mondo quanto tutto questo le
facesse male, e quali fossero invece le reali circostanze. I suoi
sentimenti di amore, rispetto, eppure di sofferenza verso quella
famiglia che da un lato le aveva dato tutto, e dall’altro le aveva
negato la sua vita. Portò una mano sul viso, il sole aveva cominciato a
mandare raggi nella sua direzione, così dovette ripararsi in qualche
modo. In verità non le dispiaceva poter alzare finalmente il viso, non
più avvolto nell’ombra dei suoi pensieri, ma alla luce del calore
solare.
Fu in quel
momento che, mentre passavano altri shinigami, qualcuno parve indicarla
vistosamente ed essere prontamente azzittito dal suo collega che gli
era di fianco. Rukia quasi sbandò. Non era ancora abituata ad esser
indicata a quel modo, e quelle parole che non riuscì a sentire, ma
intuì perfettamente, la fecero abbuiare. Preferiva nettamente quando
riusciva a rimanere in disparte, almeno quando le circostanze erano
quelle attuali.
A differenza
dei suoi parenti, aveva persino rifiutato di indossare gioielli di
famiglia, che invece persone come Byakuya ostentavano senza alcun
problema, fieri di rappresentare chi fossero, e determinati a voler
farsi riconoscere nel loro titolo di famiglia nobile.
Questo non
solo per non farsi riconoscere, ma anche perché non faceva parte di lei
avere tante ricchezze.
Ritornò a
guardare in direzione dello shinigami che l’aveva indicata, oramai si
era mescolato tra la folla, non era più in grado di distinguerlo.
Dentro di sè però sentiva una forte consapevolezza, ovvero che quella
probabilmente fosse una delle persone più oneste li dentro, dietro quei
volti ipocriti che pensavano esattamente la stessa cosa su di
lei.
Perché lei
non era certo come Byakuya o come tutti i membri del casato Kuchiki.
No. Lei era un’anima proveniente dal rukongai e adottata. Quel rispetto
che i Kuchiki si erano guadagnati a lei non apparteneva. Lei era solo
il cagnolino grato, e per questo sentiva di doversi tenere quelle
critiche, o almeno fintanto che avesse potuto dimostrare il suo valore.
Con la sua bravura e la sua prontezza nel lavoro di shinigami avrebbe
dimostrato quanto invece Rukia Kuchiki fosse qualcuno, e non solo una
povera fortunata. Perché a differenza di molti, lei era sì stata
agevolata e anzi, aveva avuto molto di più di quanto potesse auspicare
nella vita. Ma le sue ambizioni non si sarebbero fermate a questo.
Aveva già ottenuto tutto ciò che da bambina aveva desiderato
ardentemente di raggiungere, ma non per questo si sarebbe sentita già
finita. La sua lotta sarebbe appena cominciata, nel momento nel quale
avrebbe potuto dimostrare chi fosse e quanto valesse sul campo. Anche
se aveva lavorato meno degli altri per arrivare fin li, non voleva dire
che non potesse essere uno di loro. E chissà, magari sarebbe riuscita
persino a farsi conoscere.
La solitudine
la stava lacerando, il fatto di essere giudicata senza che nessuno la
conoscesse era devastante, ed il bisogno di essere compresa si faceva
sempre più vivo e forte. Ma quell’oppressione era destinata ancora una
volta a tornare dentro di se. Al momento l’unica cosa da fare era
cercare di reagire in qualche modo, anche se da sola.
Era questo il
suo attuale scopo della vita. Se non poteva più lottare per affermarsi
professionalmente, voleva almeno costruire il suo mondo per quel che
restava di esso. Era una shinigami e avrebbe lavorato come una
shinigami, e su questo nessuno avrebbe dovuto avere nulla da ridire.
Almeno in
questo i Kuchiki non sarebbero centrati un bel niente.
Ad un tratto
qualcuno attirò nuovamente le sue attenzioni. Uno shingami di rango
superiore chiamò a raduno tutti i membri della divisione tredici, alla
quale era stata assegnata, al momento come un semplice shinigami.
Si alzò e si
diresse in quella direzione, mischiandosi fra gli altri membri che
accorsero allo stesso tempo, pronti al lavoro, esattamente come lei.
Intanto
sopraggiunse la sera. Quel tiepido tepore del giorno, venne lentamente
sostituendosi con la brezza della notte, che oscurò il cielo più in
fretta che negli altri giorni.
La villa
Kuchiki era immersa nelle splendide luci giallognole delle luminarie
appese sulle pareti, che contornavano gran parte della casa
evidenziandone la grandiosa struttura imponente e nobile. Attorno ad
essa il giardino aveva assunto delle tinte scure, spezzate dal
delicatissimo rosa degli alberi di ciliegio in fiore, caratteristici di
quella casa per la loro cura e bellezza, le cui fronde erano appena
cullate dal lieve venticello alzatosi da pochissimi minuti.
Regno
assoluto di tanta magnificenza era un sacrale silenzio che si infondeva
fin nei meandri più sperduti dell’abitazione, se tale poteva essere
definita. Perché la villa della famiglia Kuchiki, più che una casa, era
il fulcro di una tradizione nobile secolare tramandata di generazione
in generazione. Dove le rigide regole che la governavano erano in
realtà quelle che vi vivevano, sovrane assolute ed immutabili.
Assorto in
una di quelle stanze, isolato nei suoi pensieri fra le quattro mura di
una stanza vuota, il giovane uomo dai capelli neri, futuro
capofamiglia, era seduto a tavolino, illuminato dalla sola luce fioca
di una candela accesa oramai da molto. La cera aveva preso a colare
deformandone la conformazione e riducendola più della sua metà. Il
ragazzo però non la curò per niente e rimase eretto a meditare. Nei
suoi occhi erano materializzati pensieri ed immagini nelle quali si
abbandonava, ragionandoci ore della sua giornata, perdendo ogni
cognizione del tempo. Ad un certo punto tutto si spense e
quell’atmosfera fu completamente spezzata dal fruscio del fusuma, che
era stato aperto improvvisamente.
“Fratello?”
Byakuya
lentamente girò lo sguardo, non voltandosi, mantenendo eretto il busto
e il capo in avanti; ma con gli occhi scrutò la figura alle sue spalle.
La ragazza, mostrandosi vogliosa di parlare e di renderlo partecipe, ma
al contempo forzatamente contenuta per non sbilanciarsi più del dovuto
temendo di essere maleducata, lo guardò con i suoi occhi luminosi e
mosse appena le sottili labbra.
“Sono a casa,
volevo solo dirti questo.”
L’uomo rimase
fisso a guardarla con la coda dell’occhio per qualche istante,
dopodichè riposizionò lo sguardo dritto dinanzi a sé, e si richiuse nel
silenzio. Solo dopo parlò.
“Non voglio
essere disturbato.” Disse con voce bassa, ma solenne, ma che bastò come
sempre nel spezzare il cuore della giovane Rukia Kuchiki, che ancora
una volta si sentì respinta da colui che invece avrebbe dovuto essere
un fratello per lei.
La bruna
abbassò il viso, e quasi tempestivamente richiuse il fusuma, non
volendo incombere in ulteriori rimproveri da parte sua.
Non era più
frustante come quando lo era all’inizio, ma essere rifiutata a quel
modo da lui era un qualcosa a cui nessuno che avesse vissuto quella
situazione avrebbe potuto sorvolare. Incrociare quegli occhi, quella
imponenza, reggere un tale sguardo o le sue parole, che anche se poche
e dal tono debole, erano come un proiettile, che sapeva esattamente
dove colpire, per poi separarsi in mille pezzi in più nelle viscere al
fine di uccidere. Era questo che sentiva ogni qual volta lo vedeva.
In tutto
questo nutriva un profondo rispetto e ammirazione per lui. Era un uomo
eccezionale, che nonostante la giovane età era all’altezza di un casato
che sicuramente esigeva molto da lui. Per di più nutriva un profondo
affetto per lui, che oramai stava diventando un familiare anche per
lei, anche se i suoi sentimenti erano ancora così confusi. Considerare
alla sua età un ragazzo adulto come fratello, così, di punto in bianco,
era pressappoco impossibile. Sentiva però un calore verso di lui,
dovuto in parte alla riconoscenza per ciò che comunque aveva ricevuto
da quella famiglia e di cui lui era il fautore assoluto. Ma non solo.
A quel punto
Rukia si fermo immobilizzando i piedi a terra.
Lui doveva
senz’altro sapere che lei adesso fosse a conoscenza della verità sulla
sua adozione. Non era un caso, ne era sicura, se era stato proprio da
quel giorno che Byakuya si era chiuso ancora di più in se stesso,
disinteressandosi quasi completamente di lei. Non che prima avessero un
rapporto, ma credeva che lui avesse più una personalità solitaria che
un menefreghismo nei suoi riguardi. Invece la giovane ragazza dai
capelli neri si era ritrovata completamente sola, priva del calore che
invece avrebbe dovuto avere una famiglia. Circondata da ricchezza e
magnificenza, ma priva di tutto il resto.
Si poggiò con
la schiena contro la parete e guardò il cielo costellato di stelle che
si intravedeva attraverso le fronde degli alberi del giardino.
Non poteva
fare ancora a meno di chiedersi perché. Spesso il sospetto che lui la
odiasse era davvero forte, ma se almeno fosse stato così, avrebbe
potuto farsene una ragione. Il vero problema era che lui non le faceva
capire nulla.
Non le faceva
mancare niente, amministrava la casa, si prendeva cura di lei e tutto.
Ma in compenso erano due estranei che vivevano sotto lo stesso tetto.
Fino a che punto ciò poteva dipendere dalla sua personalità chiusa? Era
certa che ci fosse dell’altro. Il motivo della sua somiglianza alla sua
defunta moglie, Hisana, non era un motivo abbastanza valido per
giustificare la sua adozione in quella famiglia. Ma lo era per spiegare
il perché di quel comportamento, anche se la risposta non le piaceva.
Il nobile
Byakuya la odiava forse proprio per questa sua somiglianza con quella
donna?
Eppure anche
in un’ipotesi del genere, molte cose discordavano dalla realtà, e molte
altre domande si congiungevano.
Al momento
l’unica realtà presente ai suoi occhi era questa. Che lui di lei non se
ne importasse proprio.
Altrove, il
nobile Byakuya dall’irruzione in quella stanza della sorellastra non
era riuscito a riprendere il filo del flusso dei suoi pensieri, che si
oramai disperso nel mare della sua mente. Il suo aspetto era composto e
regale, in scalfibile come sempre. Il suo sguardo tuttavia era l’unica
cosa che lo tradiva. Normalmente il suo viso era del tutto neutro ed
apatico, molto severo ed autorevole. Il tutto trapelato da due occhi
grigi, di ghiaccio. Questa volta invece Byakuya Kuchiki era
visibilmente turbato. Era da un po’ che ogni cosa, che un tempo
regolava la sua vita e metteva legge al suo comportamento, aveva
cominciato a vacillare e sempre più spesso non era più in grado di
dominare se stesso. Cercava in tutti i modi di non venire a mancare a
nulla di ciò che potesse aspettarsi da un membro del clan Kuchiki, ma
più passava il tempo e più si rendeva conto di quante fossero le
situazioni che condizionavano in maniera differente la sua vita.
Differente da come avrebbe dovuto essere. Mantenere un comportamento
prestigioso era il minimo che potesse essere richiesto ad un uomo
nobile. In pratica sarebbe anche potuto apparire ciò che voleva essere,
ma dentro di se vigeva un mare burrascoso, non possibile da calmare
alle circostanze attuali.
Il ragazzo
alzò la testa. I lunghi capelli neri adagiati sulle spalle si mossero
insieme al lieve movimento del suo capo, e si spostarono sottili e
appena distribuiti sulle ampie spalle coperte dall’haori. La stanza
vuota rappresentava perfettamente lo stato di solitudine che albergava
nel suo cuore, una solitudine dovuta al fatto di essere costretto a
chiudersi e non rivelare alcun turbamento o preoccupazione che in
realtà lo affliggeva. Perché la sua immagine non doveva venire mai a
mancare.
Il suo essere
rappresentante di un nobile casato esigeva delle pretese cui era stato
abituato di non mancare mai, in nessuna circostanza. Eppure la vita
continuava a metterlo alla prova, e lui doveva continuare a ingoiare, a
chiudersi in una continua solitudine, sperando di reggere sempre. Gli
si figurò nella mente l’immagine di Rukia, e a quel punto la sua
espressione diventò più rabbiosa e il suo cuore prese a palpitare più
forte. Non voleva soccombere ai cui sentimenti, non poteva. Aveva
giurato a se stesso che dopo l’adozione della giovane, non avrebbe mai
più violato le sue leggi, sia della Soul Society, che della sua
famiglia. Aveva giurato che mai più lo scandalo o il disonore avrebbe
toccato il suo casato. Per questo Rukia doveva stargli lontano. Provava
più di una semplice tenerezza nei riguardi della ragazza. La sua
tenacia nel diventare una di loro, spesso il suo temperamento impulsivo
rispetto quello di uno come lui, aveva più volte smosso qualcosa dentro
di lui. La vedeva alzarsi presto, allenarsi con la zanpakuto, con il
kido, per poi subito indossare le vesti di nobil donna e partecipare
alle lezioni che le aveva imposto per la sua educazione. Con le sue
forze la vedeva cercare di inserirsi nel gotei, senza che lei sapesse
che in realtà per lei fosse già stato tutto deciso. La osservava quando
perdeva le staffe e reagiva, o quando invece cercava di contenersi
sperando di aver fatto la scelta giusta e di diventare così pian piano
una degna Kuchiki. Quando poi la vedeva sola con se stessa, vestita in
modo più grossolano, con le gambe accavallate in modo non curante, e il
viso chino coperto dai folti capelli neri, la ragazza assumeva
un’immagine a lui assolutamente nuova da vedere addosso una donna, e
questo lo affascinava completamente. Gli piaceva vedere in lei cose che
non aveva mai visto in altre persone, ma non voleva affezionarsi a lei
per questo. Non doveva permettere che i suoi sentimenti maturassero in
direzioni a lui poi incontrollabili. Ancora di più perché erano
imparentati e a tutti gli effetti lei era riconosciuta dalla società
come sua sorella minore. Qualunque altra situazione si fosse aggiunta
al loro rapporto, doveva essere ben lontana dall’amore.
Per lei
doveva essere formalmente un fratello, ma sostanzialmente un pilastro
del casato Kuchiki e nient’altro, per questo doveva tenere in alto la
sua autorevolezza e mostrarsi distante con tutte le sue forze. Nulla
doveva evolvere.
Piegò così le
gambe e si alzò. Solo allora, guardandosi in giro, notò che la debole
luce della candela che aveva acceso nel tardo pomeriggio ora era quasi
completamente spenta, e la cera completamente sciolta. La penombra gli
fece accorgere di quanto la sua vista si fosse sforzata fino a quel
momento, così portò delicatamente le mani sull’imboccatura del naso
cercando di rilassare la mente. Riaprì gli occhi, dopodichè, leggiadro,
abbandonò la stanza.
Si ritrovò in
giardino, le cui tinte andavano tutte sul blu notte, e fu in quel
momento che si chiese quanto tempo avesse passato effettivamente chiuso
in quella stanza. Continuò la sua perlustrazione e rientrando in casa
si accorse che anche le luci dentro fossero spente. Si guardò intorno,
riflettendo su quanto fosse desolata quella notte, priva di alcun
rumore. Si ritrovò a girovagare, distratto da quei pensieri in verità
non troppo felici. Neppure uno come lui trovava piacevole tanto
silenzio, addirittura inquietante sotto molti aspetti. L’unica cosa da
fare probabilmente era dormire, rimanere ancora in piedi non stava
facendo altro che alimentare il suo stato d’animo che non era dei
migliori quel giorno. Così si avviò verso la zona notte, dove erano
sistemate le stanze da letto, e fu in quel frangente che un lieve
sospiro attirò la sua attenzione.
Fu un
sussurro così debole che li per li si chiese se lo avesse sentito per
davvero. Fece qualche passo indietro e si affacciò oltre un fusuma
lasciato aperto. Da questo intravide lo shoji spalancato, attraverso il
quale poteva ammirarsi lo splendido cielo stellato, e una luna
grandissima e bianca. Entrò appena nella stanza, la sua pelle
illuminata da quella luce si fece ancora più candida, e i suoi occhi si
dilatarono quando vide che seduta fuori c’era l’unico membro che
animava quella casa.
Rukia era
seduta sulla passerella di legno che contornava l’intera villa Kuchiki,
alle sue spalle lo shoji aperto dal quale era uscita per poter ammirare
quella notte. Fu in quel momento che Byakuya si accorse di quanto fosse
luminosa quella notte, a differenza di quell’oscurità e desolazione che
aveva avvertito una volta uscito dalla stanza in cui si era rinchiuso
per gran parte della sera. Si chiese come avesse potuto non far caso a
una luna così bella. Ammaliato da tale candore, lentamente il suo
sguardo andò a posarsi sulla ragazza dai capelli neri, che non si era
accorta della sua presenza. Mosse appena un passo, ma improvvisamente
le viscere gli si contorsero e lo costrinsero a rimanere sulla sua
postazione. Poggiò una mano sulla parete e rimase lì, immobile ad
osservare la ragazza assorta anch’ella nei suoi pensieri. La vide
muoversi, portare le gambe sul petto e stringerle. Osservò il colore
del suo yukata, violaceo con delle decorazioni rosa pallide, che
esaltava la sua pelle bianca in quell’atmosfera così suggestiva. Il suo
sguardo si addolcì per qualche attimo che però non durò a lungo.
Infatti si
girò e ritornò sui suoi passi, era per davvero stanco. Non poteva
resistere a quell’immagine e rimanere fermo e immobile. Sapeva che nel
profondo non ci sarebbe stato nulla di male, tuttavia erano i suoi
precetti che non gli permettevano di muovere il passo.
Per il resto,
la notte passò abbastanza velocemente nel momento nel quale chiuse gli
occhi e il sonno dominò la sua mente.
Tutto era
destinato a passare, ed in effetti era proprio su questo che contava
Byakuya Kuchiki. Non sapeva però che non tutto può essere guarito, per
così dire, dal tempo. Soprattutto nel campo dei sentimenti, le
situazioni vanno generalmente chiarite e non lasciate al tempo, oppure
un giorno ci si sarebbe potuti sorprendere di quanto questo passasse e
di quanto le cose non cambiassero affatto.
Byakuya
Kuchiki si sentiva in colpa di amare sua sorella.
Si sentiva in
colpa perché lei rappresentava “la promessa” fatta a sua moglie. Perché
era la sorella di quest’ultima. Si sentiva in colpa per la promessa
fatta ai suoi padri. Eppure in realtà, in tutto questo, Rukia c’entrava
ben poco.
La ragazza
dai capelli neri era solo la spettatrice innocente che si era vista
piombare addosso questa realtà da accettare, senza sapere nulla dei
suoi effettivi legami con tutto ciò.
Motivi che
lui non le avrebbe mai rivelato, perché lo aveva promesso.
Promesso…promesso…
Queste parole
lo assillavano. Quante erano le cose che doveva tener in conto. Quanto
ci fosse dietro ogni parola, ogni sguardo di Byakuya Kuchiki. Era una
persona di principio, abituato a onorare i suoi compiti e la parola
data. Giurare davanti ai suoi avi, promettere a sua moglie…erano un
qualcosa che pesavano nella psicologia del ragazzo.
Anche la dove
si preparava ad aprirsi un sipario differente dalle circostanze che
allora gli si presentarono e che gli fecero fare ciò. Ma la sua tenacia
consisteva proprio in questo.
Nel mantenere
in alto ciò che fosse e che fosse tenuto ad essere, al di sopra delle
circostanze.
Non avrebbe
importato il resto, perché non avrebbe permesso mai più che il suo
onore venisse di nuovo macchiato. Anche a costo di sacrificare ciò che
fosse giusto. Rukia si collocava proprio nel mezzo, inconsapevole, di
tutto questo. Negli anni passati assieme l’aveva vista sorridere per
poi richiudersi in se stessa timorosa, fino a perdere ormai del tutto
la voglia di stabilire un qualsiasi rapporto con lui.
Gli anni
lentamente avevano scorso, portando con sé il flusso degli avvenimenti
che intanto avevano caratterizzato l’esistenza della ragazza. L’avevano
tradita promettendole speranze che invece furono destinate a cadere
prima ancora che riuscissero a rialzarla. Prima fu lo stesso
Byakuya, poi ancora il suo primo amore… ed in tutto questo, colui
che avrebbe dovuto esserle accanto, non lo aveva fatto. Se non come
fratello maggiore, come familiare avrebbe dovuto sorreggerla di fronte
alle difficoltà che spietate si erano scagliate contro una ragazzina il
cui unico sogno era di alzarsi in quel distretto del rukongai e lottare
per essere qualcuno nella vita. Il nobile Byakuya invece non le era
rimasto accanto, e questo perché dei precetti glielo avevano vietato.
Perchè la ragazza doveva tenersi lontano dalla sua vita, dove quel peso
che aveva da sostenere sulle sue spalle, e che dopo la morte di suo
nonno andò ad appesantirsi sempre di più, lo stava lacerando fino ad
annullare quale fosse in verità ciò che avrebbe voluto e dovuto
seguire. Rukia, in tutto questo, dove era collocata dunque per il
giovane oramai capofamiglia Kuchiki?
La giovane
dai capelli neri era nel suo cuore, emarginata in uno spazio lontano
che ad un certo punto fu irraggiungibile anche per lui, che le era
vicino ma in una concezione del tutto illogica da parte di una mente
che non fosse quella di Byakuya Kuchiki.
Ed era così
che erano passati cinquant’anni.
Cinquant’anni
nel silenzio e nel tetro più assoluto in cui il ragazzo aveva visto
mantenere le sue promesse, ma al contempo lentamente spegnersi
l’entusiasmo di quella giovane ragazza che con tutte le sue forze
invece aveva cercato di far sopravvivere, ed essere insieme
all’altezza del nome che adesso portava.
Da ragazzina
che l’aveva ammaliato col suo modo di essere semplice e rozzo, almeno
per come avrebbe dovuto essere una signora d’alta classe, si era
trasformata in una giovane donna più preparata alla vita.
Resistere alle tante situazioni intercorse fra i due, aveva finito col
distruggere quel po’ col quale erano partiti, ed era così che erano
divenuti due estranei, Byakuya e Rukia.
Due fratelli
solo di nome, così lontani che persino di fronte la morte, in virtù dei
principi da rispettare, non portarono il giovane nobile a opporsi,
quasi come se in realtà quella fosse una parentesi che volesse
chiudere una volta per tutte.
Dal canto
suo, anche per la ragazza dai capelli neri era oramai chiara la psiche
del fratellastro, ai suoi occhi disinteressato completamente a lei. Era
consapevole che lo spazio dedicato a lei fosse insignificante di fronte
al suo nome di Kuchiki. Per questo non aveva mai riposto tante speranze
nell’aiuto del ragazzo. In alcuna occasione.
Eppure
Byakuya nel suo cuore era continuato a rimanere segregato in quella
dimensione che lei costruì da giovane. Una dimensione di odio ed amore
la cui collocazione non esisteva effettivamente. Una realtà spiegabile
solo per chi avesse vissuto la loro storia.
Vivere
quest’angoscia ogni giorno li aveva portati a essere quello che solo
pochi avrebbero potuto intendere, e cambiare le cose era un’ipotesi
lontana se non inverosimile, se non fossero accadute le circostanze che
invece sconvolsero la loro vita dopo cinquant’anni, finalmente.
Alla luce del
tempo trascorso e di tutto ciò che era stato negato e distrutto, a cosa
era valso quello che invece tutto quello per cui lui, Byakuya Kuchiki,
aveva lottato?
Il castello
lentamente era crollato. In così tanti anni erano accadute così tante
cose, eppure niente allo stesso tempo.
I giorni
erano scorsi, e il tempo era passato, bruciando tappe importanti che
avrebbero dovuto percorrere assieme.
Tutto era
rimasto sconvolto, e l’unica cosa da farsi dopo essere stati così
lontani, era ricongiungersi finalmente.
Cinquant’anni dopo
circa… [Dopo gli eventi del manga]
Chi
sei?
Tu mi sfuggi.
Mi perseguiti.
La tua immagine mi
sfianca.
Non
so cosa sei, non so cosa dovresti essere.
Vedo
una nebbia, un fumo bianco che avvolge tutto ciò che conosco.
Pian
piano muta.
Dietro
di esso vedo delle ombre.
Mi
sembra di riconoscerle, ma non ne sono più certa. Non ora che non so
neanche più chi sono.
Cosa c’è? Hai
paura? Forza, alzati. Alzati e combatti. Abbi il coraggio di guardarmi
negli occhi.
Ho
paura.
Guardami!
Rukia Kuchiki
aprì gli occhi. Deboli, intimoriti, non aveva per davvero la volontà di
farlo. Si guardò in torno. Era tutto bianco. Si voltò dietro di se e si
sentì smarrita. Era come se fosse sospesa nel cielo, fra le nuvole, in
una foschia fredda e umida dove non era lasciato alcuno spazio neppure
a un angolo d’azzurro del cielo. Tutto quel bianco cominciò a farle
mancare il respiro, era spaventoso, asfissiante. Voleva andare via.
Abbassò il viso e solo allora si accorse che i suoi piedi non toccavano
da alcuna parte. Presa dal panico, mosse le gambe e sperò con tutta se
stessa di andare via da quel posto. Nonostante si muovesse, tuttavia,
aveva la sensazione di essere sempre nello stesso luogo. Quasi come se
i suoi sforzi di camminare, correre, non rispondessero e ciò che stesse
sotto i suoi piedi, non scorresse ai suoi passi. Si ritrovò così a
muoversi sempre più forte, sempre di più, fino a sentirsi sfinita. Solo
l’aria era a muoversi sotto i suoi piedi, perché nonostante quella
corsa, era rimasta ferma sempre nello stesso punto. Stanca, il ritmo
cominciò a calare e lentamente perse ogni speranza di continuare a
scappare. Si fermò. Strinse le mani sulle spalle e pregò con tutta se
stessa.
“Kuchiki
Rukia. Ti sei decisa a fermarti, finalmente.”
Una voce
dolce e soave richiamò la sua attenzione. Era un po’ disturbata poiché
probabilmente proveniva da lontano, eppure all’orizzonte non vide
nessuno. Sgranò meglio gli occhi e quell’ombra che aveva visto in
precedenza cominciò a prendere forma. Era una figura candida,
addirittura angelica. Eppure fisicamente sembrava rassomigliarle.
Le sembrò
come guardarsi in uno specchio, ma più quella figura le si avvicinava,
più sentiva l’ansia crescere.
“Kuchiki
Rukia, perché?”
Rukia
corrucciò la faccia non capendo. Gli occhi di quella donna sembravano
infinitamente tristi. Erano enormi e luminosi, come se fossero colmi di
lacrime.
“Perché
cosa?” chiese appena, ma con determinazione mettendosi sulla difensiva.
“Kuchiki
Rukia, perchè stai correndo?”
In
quell’istante qualcosa mutò.
Improvvisamente
l’aria si fece più fredda, e quel chiarore che la donna aveva portato
con la sua apparsa, sparì del tutto. Rukia sgranò gli occhi ma fu
troppo tardi prima che comprese di avere le mani della ragazza che le
somigliava attorno al collo.
“A…Aiuto!!”
urlò già quasi senza respiro, specchiandosi in due occhi iniettati di
sangue che la trafiggevano aspettando che crollasse. “Co…s sta…” la
mente cominciò ad annebbiarsi, la vista a cedere. Era sull’orlo del
collasso.
Era finita.
“VuOi morIre,
kUchIKi RUkiA?
La sua testa
sembrò essere sull’orlo di scoppiare, gli occhi le pulsavano, le sue
mani cominciarono a cedere.
No…
Non voglio
morire….!
Non voglio
morire!
Perché?
Perché lo
stai facendo?!
Mi chiedi perché?
Perché sei tu che
lo vuoi…
Vero, Kuchiki
Rukia?
No…
No..!!
Non sentì più
dolore. Le dita di quella sottile mano pallida superarono le sue più
alte aspettative di forza e non riuscì a bloccarle. Oramai avevano
preso la meglio su di lei e i suoi tempi di reazione non erano riusciti
a salvarla. L’aria non aveva più raggiunto il suo cervello, non le
avrebbe permesso di riottenere il controllo.
Così esse
continuarono a triturarle il collo, mentre lei oramai aveva già perso
la ragione. La sua bocca era aperta, e assaporava ciò che le ricordava
l’aria…
Aria…aria…aria…
Aiuto!!
“Signorina
Rukia?!”
“Aiuto!!”
“Signorina
Kuchiki?!”
Sbarrò gli
occhi.
La prima cosa
che fece fu tirare un profondo respiro. Subito distinse l’ambiente, era
nella sua stanza. Tutto quel candore che prima la stava soffocando era
scomparso. E quell’ombra che stava cercando di ucciderla…era un sogno?
Rimase più di
qualche istante sdraiata sul fusuma, mentre i servi si avvicinavano
preoccupati.
“Signorina, è
tutto a posto?”
“Perdonatemi,
è stato solo un incubo.” Rukia Kuchiki finalmente sorrise, felice che
si fosse svegliata.
Era da molto
tempo che non le capitava di avere incubi. Si chiese il perché il quel
sogno, ma probabilmente era il caso dimenticarsene. Non era sicura
neanche se le due figure sognate fossero entrambe lei, o magari si
trattasse di Hisana data la loro impressionante somiglianza, ma tutto
al più erano solo le sue inutili angosce che talvolta assumevano forme
assurde se non ridicole. Spesso aveva sentito dire che sognare la morte
significava “cambiamento”, ed in effetti parecchie cose erano mutate
negli ultimi anni, soprattutto a riguardo di lei e la fantomatica
Hisana, la cui immagine l’aveva perseguitata per cinquant’anni, senza
sapere neanche chi fosse.
Ora invece le
cose erano diverse. Conosceva il suo “perché” tanto agognato, la sua
connessione con tutto quelle che le fosse accaduto, ed era sincera
quando diceva di voler profondamente bene a sua sorella.
Non aveva
avuto la possibilità di conoscerla, ma nel suo cuore era come se
facesse parte di lei in qualche modo. E sentiva di volerle bene.
No,
stranamente non aveva provato alcun tipo di odio, niente, assolutamente
niente.
Nonostante
sapesse chi fosse stata lei in realtà. Era stata abbandonata da lei,
forse sarebbe stato normale provare del risentimento. Ma niente di
tutto questo la affliggeva. Non perché fosse una persona buona.
Semplicemente il suo cuore era in pace. Anzi, sapere la verità
finalmente aveva cambiato in positivo la sua vita, e si sentiva molto
più fiduciosa e serena.
Perché adesso
le cose avevano un senso. Finalmente.
Si avvicinò
allo specchio.
Rukia aveva
oramai diciannove anni umani. Fisicamente non era cambiata molto. Era
sempre bassa, le sue forme restavano ancora ridicolmente poco
sviluppate, come sempre suo malgrado, e i suoi grandi occhi blu ed
espressivi erano sempre gli stessi che la caratterizzavano.
Nel suo viso
però qualcosa era cambiato.
E non era
solo per i suoi capelli che erano giusto un po’ più lunghi, rispetto
com’era stata solita portarli per cinquant’anni. Le davano
indubbiamente un aspetto più raffinato ed adulto per certi versi,
quella lunghezza oltre le spalle, ma non era solo quello.
No. Era
maturata, era più grande. Il suo sguardo, finalmente tornato fiero e
determinato, era la prova di ciò.
“Renji è già
qui?” disse tamponando gli occhi con un asciugamano umido, che
riappoggiò sul vaso colmò d’acqua gentilmente sorrettole dai domestici.
“Sì,
signorina, sta aspettando di sotto.” Le risposero cortesi, porgendole i
vestiti.
“Ditegli che
vengo subito.” Da sola la ragazza spostò lo yukata dalle sue spalle e
si vestì ordinariamente con un semplice kimono per uscire.
Una volta
pronta, si avvicinò al fusuma e fece per abbandonare la stanza, ma la
cameriera la fermò.
“Signorina
Rukia, e Byakuya?”
“Ditegli che
sono uscita.” Detto questo, Rukia lasciò la stanza definitivamente, e
velocemente si diresse verso il salotto dove era stato fatto accomodare
il suo amico di vecchia data, nonché compagno da una vita, Abarai Renji.
“Buongiorno.”
Esclamò la bruna introducendosi all’amico dai capelli fulvi, assumendo
quel tipico tono rauco di chi si era svegliato da poco. Il ragazzo,
udendo la voce dell’amica, mosse il capo nella sua direzione, allargò
le labbra ed alzò le sue curiose sopraciglia a forma di saetta.
“Oh, eccoti!
Sonno pesante, nanerottola?”
“Vuoi che ti
saluti con un bel calcio in faccia, eh, Renji?” rispose lei a tono,
scherzando, ma non che Rukia Kuchiki non lo avesse fatto per davvero se
minimamente provocata. Era così che si comportava con gli amici, in
maniera molto diretta.
“Oh, oh!
Siamo nervosi già a primo mattino?” esordì Renji in tutta risposta,
alzandosi in piedi, quasi a volerle far notare quanto fosse più grande
e grosso rispetto a lei. Rukia alzò un sopraciglio ma non lo curò,
portò una mano sulle tempie e scrollò la testa.
“Andiamo, non
voglio far troppo tardi.” Detto ciò, quasi lo strattonò via di casa, e
insieme abbandonarono villa Kuchiki e furono ben presto tra le vie del
Sereitei, diretti al Gotei.
La giornata
era mite e tiepida, ed era da qualche giorno che Renji e Rukia avevano
preso l’abitudine di avviarsi insieme al lavoro, almeno nei giorni la
settimana in cui i loro orari avevano delle coincidenze. La loro era
una curiosa amicizia. Non si erano sentiti per così tanti anni, eppure
una volta ripresi i contatti fu come se nulla fosse cambiato dai tempi
in cui erano entrambi due ragazzini. Anche se magari non lo dicevano,
erano entrambi sorpresi di questo. Dopotutto però non aveva alcuna
importanza. Poter parlare liberamente con una persona cara era una
sensazione che era mancata profondamente nella vita di Rukia. Anche
adesso che con il nobile fratello le cose erano migliorate, comunque
quella sensazione di calore e vicinanza le era ancora estranea, poiché
l’aveva perduta per così tanto tempo che adesso era addirittura strano
ritrovarla con tanta naturalità. In effetti, riportando alla mente
Byakuya, ogni giorno si rendeva conto di quanto fossero cambiate le
cose tra di loro. In verità a fatti sembravano entrambi quelli di
sempre. Lui continuava a essere serio e distaccato, però talvolta lo
aveva visto più umano e più interessato a lei. Questo in più di
un’occasione l’aveva messa a disagio in verità.
Non era per
niente abituata ad averlo vicino. Anche se abitavano sotto lo stesso
tetto da anni, non avevano mai raggiunto alcun grado di confidenza, e
se negli anni si era abituata a chiamarlo fratello, non era certo
perché fossero tali.
Questo le
faceva sentire una strana morsa al cuore, una sensazione in verità che
Byakuya aveva sempre provocato in lei, ma che credeva di essere
riuscita a domare. E invece la vedeva riaccendersi con più ardore
addirittura, ancora di più adesso forse proprio perché lo vedeva più
spesso. Deglutì, e cercò di non mostrare il suo disagio all’amico, che
per di più era anche il luogotenente di Byakuya, quindi non le andava
di parlare di questo proprio a lui.
Naturalmente
invece era Renji a raccontarle sempre del Capitano, certe volte non
accorgendosi che in quel momento Rukia ne avesse fin sopra i capelli di
sentire parlare di lui anche a lavoro. Anche il solo accennare al
ragazzo dai sottili capelli neri le provocava delle curiose sensazioni,
ma che voleva tenere a bada. Tuttavia ciò non era sempre possibile se
tutto non faceva che ricordarglielo.
“Ehi, Rukia,
guarda che ci siamo!”
La ragazza fu
catapultata nel presente e si girò di scatto verso Renji.
“Siamo
arrivati? Bene… ci vediamo dopo!”
Rukia subito
si voltò e quasi scappando si allontanò dalla vista dell’amico che
istintivamente tese una mano verso di lei, ma la ragazza era già troppo
lontana. Rimase a osservarla per un bel pezzo, portando una mano sui
capelli tirati nel suo solito codino stretto. Era una donna
alquanto strana, e la cosa più curiosa era che nella sua vita lei fosse
fra le persone più “normali”. Rise fra sé, dopodiché si avvio verso il
sesto dipartimento, la sua divisione di appartenenza.
Altrove,
Rukia era finalmente giunta alla sua postazione e fu felice per una
volta che il capitano Ukitake li tenesse impegnati praticamente tutta
la mattina. Aveva assolutamente bisogno di scaricare la sua energia in
qualcosa, ed ora come ora tante carte da mettere a posto andavano
benissimo.
Passò il
tempo, molto piacevolmente in verità, e sul tardi mentre rimetteva gli
ultimi fascicoli al loro posto, una circolare col timbro della sesta
divisione attirò la sua attenzione. Controllò la firma, ed era del
luogotenente, Abarai Renji. La lesse distrattamente, tanto per dare
un’occhiata, ma impallidì quando lesse il suo nome indicato tra le
righe. Avvicinò a sé i fogli, non comprendendo. Era stata assegnata a
una missione con la divisione sei e quell’imbranato non le aveva detto
nulla?
Si sentì
adirare. Parlavano di tante stupidaggini, poteva anche informarla! Fu
però quando lesse più attentamente che capì di più. Infatti, era
richiesta la firma anche dei rispettivi capitani delle due divisioni,
sia la sesta che la tredici. Ciò voleva dire che senza l’autorizzazione
di Byakuya, questa era pura carta straccia. Le si strinse il cuore
riflettendo su quanto avessero ancora influenza su di lei le pretese
del fratello, che non faceva che controllarla. Probabilmente era stato
stesso lui a richiedere una sua autorizzazione quando si parlasse di
lei. Riposizionò la carta fra gli altri fascicoli, dopodichè abbandonò
la stanza annunciando il suo rientro a casa ai colleghi. Era stanca e
voleva continuare il suo lavoro a casa, nel calore della sua stanza.
Così prese in braccio il materiale ed andò.
Una volta
arrivata, era giunta oramai la sera inoltrata. Sbirciò dentro ma la
casa sembrava essere assolutamente vuota. Si diresse nello studio, dove
Byakuya aveva l’abitudine di rinchiudersi quando non voleva essere
disturbato, ma non vi era, così realizzò di essere sola in casa. Fece
un sospiro di sollievo e ne approfittò per mettersi comoda e con calma
finire il suo lavoro.
Fece prima
tappa in camera sua, scese gli hakama, e rimase col kimono che le
arrivava all’altezza di metà coscia. Si rimboccò le maniche e, dopo
aver chiesto alla servitù di preparare il bagno, si mise subito al
lavoro. Seppur stanca, le riuscì molto piacevolmente dedicarsi a
questo. La concentrazione per una buona ora non le venne per nulla a
mancare, nonostante avesse alle spalle tutta una giornata lavorativa al
Gotei. La notte scese velocemente, e quasi non si accorse di quanto
buio si stesse facendo. Fu quando una luce si accese improvvisamente
che si accorse di essere stata china su quei fogli nell’oscurità.
Sbandò quando, voltandosi, si accorse che ad aver acceso la luce era
stato proprio suo fratello, probabilmente appena tornato.
“F-fratello!
Sei tornato adesso?” chiese sinceramente sorpresa.
Byakuya la
guardò con un viso assonnato, alzò appena le sopraciglia, dopodichè
andò inaspettatamente a posizionarsi di fianco a lei.
Rukia rimase
con gli occhi sbarrati, fissi ad osservarlo. Suo fratello non era certo
quel tipo di persona che si avvicinava tanto per passare un po’ di
tempo assieme, o per salutarsi, quindi quell’atteggiamento quasi la
spiazzò. Dovette però subito mutare la sua espressione per non destar
sospetto o indurre Byakuya a chiederle qualcosa, così ritornò a
concentrarsi sulle sue carte. Stette china per diversi secondi, ma le
sue attenzioni si erano oramai del tutto allontanate da quei compiti
assegnatoli. Con la cosa dell’occhio sbirciò verso il ragazzo. Prima
verso le sue gambe perfettamente inginocchiate, poi il suo sguardo salì
percorrendo tutto il suo corpo perfettamente eretto, ma quando arrivò
al viso, subito riportò lo sguardo dinanzi a sé perché anche lui la
stava guardando. Aveva, infatti, incrociato i suoi occhi e la cosa era
stata abbastanza imbarazzante visto che aveva cercato di spiare nella
sua direzione e non farsi vedere. E invece lui se n’era accorto
perfettamente. Si sentì morire e fu sicura che il suo viso fosse
diventato paonazzo. Odiava sentire la sua faccia così calda, e al
contempo le mani così fredde. Erano emozioni che non sopportava e si
chiedeva perché si sentisse così proprio con lui. Intanto Byakuya
allungò leggiadramente una mano, coperta dal candido guanto annodato
sul dito medio, e sfilò alcune delle carte sulle quali Rukia stava
lavorando. Rukia alzò subito la testa di fronte quel gesto e lo guardò
sgomentata, mentre il respiro si era fermato nei polmoni costringendola
in una posa alquanto rigida.
“E’ su
questi, che stai lavorando?”
Rukia dovette
ripensare alle sue parole più volte prima di connettere e conferire ad
esse il loro significato. Agitatamente, poi annuì confermandogli quanto
dedotto. Byakuya a quel punto non le dedicò più alcuno sguardo, e prese
a esaminare una parte di quelle carte che la ragazza si era portata dal
gotei. Rukia rimase esterrefatta. Suo fratello stava davvero lavorando
assieme a lei, per aiutarla? Sentì un nodo in gola e le venne naturale
cercare di far desistere suo fratello, visibilmente stanco.
“Lascia! Me
ne posso occupare io, fratello. Davvero.” Intervenne dunque cortese
Rukia. Il ragazzo tuttavia non si smosse minimamente e non le dedicò
alcuna attenzione.
“Non darti
pensiero.” Rispose lui solamente, laconico, rimanendo sulle sue, non
scostando gli occhi dal foglio.
Rukia decise
di non insistere. Conosceva abbastanza suo fratello da sapere quando
era nella possibilità di farlo desistere, oppure no, nel fare qualcosa.
Così ritornò anche lei ai suoi fogli e cercò di riprendere la
concentrazione, quanto più potesse. Proprio in quel momento cominciò a
sentire il peso della stanchezza. Gli occhi presero a bruciarle e
dovette stringere i denti più volte per cercare di non sbadigliare.
Eppure fino a quel momento si era sentita molto energica. Alzò il viso
per la prima volta verso l’orologio appeso sulla parete e sbarrò gli
occhi costatando che fosse oramai giunta la mezzanotte. In quel
momento sbirciò subito in direzione di Byakuya, e si chiese come mai il
ragazzo avesse fatto quell’ora. Guardando però il suo viso
completamente preso dalla lettura di un modulo, le parole si
strozzarono in gola, non permettendole alcun tipo di reazione. Rimase
con la testa girata verso di lui per un lunghissimo minuto, non
riuscendo a distogliere lo sguardo e non pensando assolutamente a
nulla. Fu dopo un po’ che si ricompose e ritornò con lo sguardo chino,
ma la sua curiosità la portò a girare nuovamente gli occhi verso il
fratello, e senza apparentemente un motivo, si disegnò un sottile
sorriso sulle sue labbra. Stesso lei non capi esattamente cosa le
prendesse, ma cominciò a palpitarle il cuore nel petto, così forte che
per un attimo temette che lui potesse sentirlo. Così allungò una mano
su di esso e premette leggermente. Fu allora che anche Byakuya
finalmente scostò gli occhi da quei fascicoli. Inizialmente assorti e
stanchi, le sue pupille si girarono verso di lei con un movimento
veloce che quasi la fece sbandare. Istintivamente la ragazza si fece di
pietra, incastrando la testa fra le spalle, e rimase immobile a
fissarlo anche lei a sua volta, non sapendo cosa gli prendesse. Bastava
un singolo movimento di Byakuya per far attirare la sua attenzione. Non
era facile da spiegare, ma lui sapeva farsi comprendere a modo suo, e a
lungo andare atteggiamenti insignificanti agli occhi degli altri, per
chi lo conosceva divenivano dei veri e propri messaggi da codificare.
Rukia non possedeva la loro chiave di lettura, ne credeva esistesse
qualcuno che comprendesse fino in fondo i suoi atteggiamenti, ma aveva
imparato a capire quali erano i segnali un po’ diversi dal solito. In
questi casi, preferiva aspettare una sua mossa, anche se spesso
l’attesa era così straziante da indurla più volte a chiedere lei stessa
cosa succedesse. Cosa che in verità accadde anche questa volta.
Infatti, dopo appena pochi secondi, la ragazza dai capelli neri schiuse
le sottili labbra rosee e con un filo di voce si rivolse al fratello,
non smettendo mai di rivolgergli i suoi grandi occhi cobalti.
“C’è qualcosa
che ti turba…fratello?”
Byakuya
rispose con un silenzio alla sua domanda, come succedeva spesso del
resto.
La sua figura
composta, inginocchiata con lei di fronte al tavolino a lavorare, e il
suo viso a stento rivolto verso di lei comunicava un’immagine imponente
seppur Byakuya non fosse un uomo grosso. Il contrasto del vestito scuro
degli shinigami, e i suoi lunghi capelli neri, con la sua pelle bianca,
in quel momento ebbe un effetto maggiore su di lei, e quasi le sembrò
una figura spettrale. Non era qualcosa di negativo, ma trasmetteva un
fascino nefasto e seducente. Il nobile Byakuya, illuminato dai raggi
lunari, era inquietante e poetico insieme. Sembrava fuoriuscire da un
libro illustrato. La magia di quell’atmosfera fu interrotta quando lui
divincolò lo sguardo e ripose il pennino nel calamaio.
“Sei stata
assegnata a una ispezione con la mia divisione.” Disse improvvisamente.
Rukia ricordò subito del fascicolo trovato sulla scrivania di un
ufficio del suo dipartimento, per cui subito informò il fratello di
esserne a conoscenza.
“Sì. Avevo
notato una circolare nella quale era stato richiesto il tuo consenso
per farmi partecipare alla spedizione. Ti ringrazio per aver
acconsentito.” Disse cogliendo ciò che probabilmente Byakuya voleva
essere detto da lei. Sapeva quanto lui la controllasse, e anche se
spesso lo trovava insopportabile, adesso sapeva perché lo facesse. Era
giusto, quindi, che gli esprimesse gratitudine.
Fu sorpresa
però quando si accorse che, al contrario, il fratello fosse rimasto
fermo a guardarla con un’espressione che, in gergo Byakuya Kuchiki,
poteva essere interpretata come sguardo confuso. Lui alzò le ciglia e
piegò appena la testa, e i suoi sottili capelli assecondarono questo
suo lento movimento.
“La mia firma
era una richiesta puramente formale. Non era certo per consentire a te
di andare oppure no. Ad ogni modo, non era questo ciò di cui volevo
informarti. Non è di mia competenza. Le opportune indicazioni ti
saranno date dal tuo capitano, il signor maestro Ukitake. Sappi che
sono stato assegnato alla stessa unità anch’io.”
Rukia lì per
lì non seppe a cosa dare importanza per primo. Se al fatto che questa
volta Byakuya non avesse pilotato sul suo lavoro, se avesse detto una
delle farsi più lunghe che gli avesse mai sentito dire, pur nella loro
assoluta formalità, o se all’ultima frase, ovvero che lui sarebbe
venuto con lei in quella equipe. Poi riflette meglio.
Che cosa
aveva appena sentito?! Byakuya e lei…in una stessa missione?
Sbarrò gli
occhi ancora di più di come già non fossero, tanto che sentì la pelle
tirare sulla fronte, e la sua bocca si rimpicciolì tanto da temere che
potesse sparire. Deglutì appena e parlò senza che le parole filtrassero
prima per la sua mente, e che quindi si materializzassero nella forma
tipica degli standard della famiglia Kuchiki. Gli parlò, infatti, come
non succedeva da anni, in una maniera alquanto informale, che però non
sembrò seccare per nulla il fratellone.
“Tu…vieni con
me?”
“Esattamente.”
Rispose lui tranquillo, con uno sguardo a dir la verità un po’
saccente, in confronto all’inespressività che caratterizzava il suo
volto.
“E tu non
c’entri niente?” insistette lei imperterrita, non rendendosene conto.
Ma il ragazzo non vi fece troppo caso, ed anzi. Portò le nocche delle
dita sulla bocca e continuò quella conversazione. Sembro addirittura
divertito, si poteva dire.
“No.” Disse
secco, con fare assolutamente placido e rilassato.
“Sì?”
“Sì.”
Riconfermò lui rimanendo col mento poggiato sul dorso della mano,
specchiandosi negli occhi di lei, che lo guardavano increduli e
sbigottiti. Vedendola così confusa e alquanto dubbiosa, il ragazzo
sorrise appena, intenerito in qualche modo. Ma la sua espressione
rimase celata sotto le dita affusolate della sua mano. Così si alzò e
le diede un paio di colpetti sulla testa, spostandole appena la folta
chioma nera.
“Vai a
dormire, si è fatto tardi.” Detto questo, in pochi secondi sparì,
lasciandola senza parole. Solo più tardi la ragazza sentì il viso
infuocarsi, e non seppe se stesse scoppiando di rabbia per quel viso
perfetto ed insopportabile del capofamiglia Kuchiki quando si
comportava così, oppure se fosse per davvero confusa e stanca.
Ad ogni modo,
dopo si alzò anche lei, e lentamente si diresse nella sua stanza. Si
coricò e rimase per diversi minuti, prima di addormentarsi, ad
osservare il soffitto, così buio da confondersi con l’infinito informe
dell’ombra. Puntò gli occhi su quest’immagine indefinita per molto
tempo senza neanche rendersene conto, finché il sonno sopraggiunse e
crollò.
[…]
“Questo è
tutto, ci vediamo domani. Oh! Kuchiki!”
Rukia, che si
era già incamminata verso il suo ufficio, si girò in direzione del
capitano Ukitake che l’aveva chiamata una volta finito il discorso
sulla spedizione alla quale avrebbe partecipato assieme ad alcuni dei
suoi compagni della tredicesima divisione.
Aveva loro
illustrato ogni dettaglio, e sembrava una consueta ispezione in un
bosco nelle vicinanze del rukongai. Niente di particolarmente
pericoloso, sarebbero stati via soltanto pochi giorni, e la partenza
era prevista già per l’indomani. Si riposizionò dritta unendo i piedi e
guardò il signor Ukitake, con la sua aria malaticcia e indebolita che
purtroppo non lo abbandonava mai, e purtroppo non per la sua effettiva
età, che comunque era avanzata. Questo in verità le portava sempre un
profondo dispiacere perché era una persona alla quale era
particolarmente affezionata per i suoi modi gentili e molto garbati.
Quella sua debolezza dovuta alle non ottimali condizioni di salute la
intristivano profondamente, ancora di più se costatava che era abituale
vederlo sempre così.
“Capitano, mi
dica.” Disse prontamente al suo richiamo.
“Nulla
d’importante. Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto per te.”
Rukia quasi
si sorprese di quelle parole, ma cercò di non prendere a fantasticarci
troppo. Si limitò ad annuire e basta. Intanto il Capitano continuò a
parlare.
“Tu ti
occuperai della zona ovest. Troverai tutto il materiale dove ho già
indicato agli altri. In più, vorrei tu ti occupassi dei resoconti una
volta che sarete tutti rientrati.”
“Certo. Me ne
occuperò io.” affermò lei, dopodiché cercò il consenso del signor
Ukitake per poter andare via. Così lasciò la stanza, sentendosi
in verità un po’ inquieta. Aveva avuto la netta sensazione che non
l’avesse trattenuta per quello. Una parte di lei pensò che fosse
preoccupato, altrimenti non le avrebbe chiesto se fosse tutto a posto
per lei. Lui era stato anche il maestro di suo fratello, e se le sue
preoccupazioni fossero causate proprio da lui? Si fermò un attimo,
scuotendo energicamente la testa. Erano solo assurdità quelle che
ultimamente le passavano per la mente, solo perchè era visibilmente
agitata, più di come lo era di solito, nel lavorare in così stretto
contatto con lui. Aveva già conosciuto Byakuya nelle sue vesti di
capitano. Chi più di lei aveva familiarizzato con la sua figura alla
luce di cinquant’anni di convivenza. Tuttavia non era mai stato il suo
capitano, e lui era stato quello scelto per quella spedizione. Non era
una novità per lei obbedire ai suoi ordini, ma mai come quella volta si
sentì a disagio in verità. Forse era proprio dovuto al fatto che adesso
che le cose erano finalmente cambiate tra di loro. Stavano lentamente
riacquistando una vicinanza che prima non avevano mai avuto. Questo le
creava più di una confusione. Per lei era difficile descrivere i suoi
sentimenti per Byakuya, così come era impossibile dar loro
un’identificazione più precisa. Sapeva solo che esclusivamente un uomo
come lui era capace di farla sbandare e farle dimenticare ogni altro
tipo di preoccupazione, facendole smuovere qualcosa dentro che
descriveva come agitazione, ma non si trattava solo di quello. Tuttavia
preferiva non ricercare una risposta. Non ora che aveva tutt’altro a
cui badare come i preparativi per la ormai prossima partenza.
Il giorno in
questione venne ben presto. Aveva avuto poco modo di rivedere Byakuya a
casa. L’unico momento in cui era riuscita ad incrociarlo era stato
verso il tramonto, quando oramai le luci stavano cominciando ad
abbassarsi, tinteggiando il cielo di arancione. Aveva visto la sua
ombra proiettarsi sul prato e così era corsa in giardino sperando di
scambiare qualche battuta con lui prima di partire, ma lui era
completamente immerso negli allenamenti. Era rimasta a guardarlo per
qualche minuto, mentre le ombre avvolgevano sempre più prepotentemente
la sua figura, che voltandosi, di tanto in tanto veniva colpita dagli
ultimi e luminosissimi raggi solari che facevano intravedere il suo
viso pallido, e i suoi capelli di una tinta castana. Un’immagine
diversa dato che i suoi erano completamente neri, senza alcun riflesso
di altro colore. Aveva preferito comunque allontanarsi e lasciarlo
fare, ma era più che sicura che lui l’avesse vista e se aveva ritenuto
opportuno non interrompersi, a lei in fin dei conti andava bene.
D’altro canto, cosa avrebbero avuto da dirsi?
Così lo
rivide la mattina della partenza, esattamente come tutti gli altri,
nelle vesti di capitano. Mischiata con gli altri shinigami, si chiese
se effettivamente lei fosse come tutti gli altri per lui. Nella
folla dei suoi compagni e quelli di altre divisioni, si sentiva come
uno dei tanti, e il nobile Byakuya, infatti, non mostrava alcun tipo di
trattamento diverso per lei. Neanche uno sguardo di chi con gli occhi
voleva dirti di averti notato fra tutti. Non che in verità se lo
aspettasse o lo volesse, ma una parte di lei per qualche motivo era
sempre attenta ai suoi atteggiamenti, se si mostrasse interessato a
lei, almeno ogni tanto, come sorella.
Camminarono a
lungo, procedendo con un passo moderato. In effetti, erano in perfetto
orario con la tabella di marcia. Mentre avanzavano, Rukia si mostrò
disinvolta con i suoi compagni, e quasi non badò più al fratello, che
invece non l’aveva persa di vista un solo attimo. Era un’abilità di
Byakuya Kuchiki quella di apparire tutto ciò che in realtà non fosse.
Era
indubbiamente cambiato e recentemente si apriva di più agli altri,
seppur nei suoi standard. Tuttavia per quanto riguardava i suoi
sentimenti o i suoi pensieri, preferiva comunque che nessuno vedesse
oltre il suo sguardo, e faceva di tutto perché questo non mutasse. Non
perchè non volesse essere compreso, ma perché preferiva così. Non c’era
neanche un motivo effettivo oramai. Forse la sua educazione o il suo
tipo di carattere lo avevano portato a prediligere la distanza dagli
altri, ma lui non se n’era mai fatto un problema. Era qualcosa di così
normale da venirgli del tutto spontaneo nella maggior parte dei casi.
Casi che non prevedevano la sorella adottiva, per la quale cercava di
mostrarsi più disinvolto, ma davvero non riusciva. Manifestare i suoi
sentimenti era sempre stato il suo limite, e nel momento nel quale
apriva appena uno spiraglio, era subito pronto a richiuderlo poiché
impaurito che la porta potesse improvvisamente spalancarsi del tutto.
Non era
sicuro di volerlo, e la cosa lo metteva in allarme agli albori, e così
preferiva rimanere distaccato. Era in quella dimensione che il
capofamiglia Kuchiki e capitano della sesta divisione del gotei aveva
imparato a vivere, e seppure agli occhi degli altri fosse difficile
immaginarsi ed immedesimarsi nella sua mente, per lui tutto scorreva
così naturale che non vedeva altro modo di concepire le cose.
Questo finché
non veniva messo alla prova, ovviamente. Di recente si era aperto a
nuovi orizzonti, ma il cammino per cambiare le sue abitudini era lungo,
ma non così impossibile.
Arrivati a
destinazione, tutti posarono i loro effetti sul terreno secco, e
presero a montare le tende. Si era già fatta sera, ma nessuno era
stanco. Erano tutti shinigami addestrati, una lunga camminata non era
un problema per nessuno di quel livello.
Byakuya si
ritirò nella sua tenda e Rukia lo vide sparire oltre il sipario, con
una punta di amarezza dentro. Ritornò poi al fuoco che era stato acceso
dagli altri shingami e col quale lei si stava riscaldando.
“Ordini dal
capitano Ukitake! Coloro che fanno parte della tredicesima compagnia
devono proseguire a sud. Rinfrescatevi, poi partite subito per
l’ispezione.”
Uno shingami
della sua compagnia che, in effetti, conosceva di vista, si era alzato
ed aveva annunciato le volontà del loro capitano, verso le quali
Byakuya non mostrò alcuna obbiezione, essendo rimasto in disparte.
Rukia non
seguì i suoi compagni e si diresse ad ovest come invece il signor
Ukitake le aveva detto. Assieme a lei si avviarono altri shinigami, ai
quali probabilmente aveva conferito lo stesso ordine. La loro si rivelò
un’ispezione infruttuosa, dato che di hollow non vi fu neanche l’ombra,
ma d’altra parte era meglio così. Voleva dire che quella zona era
abbastanza tranquilla. In fin dei conti quella non era mai stata una
zona troppo infestata, quindi era sollevante sapere che continuasse ad
esserlo.
Mentre
continuavano i consueti controlli, Rukia si spostò sulla terra ferma.
Trovava inutile continuare ad ispezionare dall’alto, avrebbe dato
un’occhiata anche giù. Girovagò per diversi minuti, ma non avvertì
alcun reiatsu, a parte quello dei suoi compagni. Ad un certo punto
qualcosa la pizzicò appena sulle spalle, e lei si girò così di scatto
che la cosa che l’aveva toccata quasi non ebbe il tempo di vedere quel
movimento. Se quel qualcosa non fosse stato Byakuya Kuchiki ovviamente.
L’uomo era conosciuto per la sua velocità, infatti si era scansato
senza alcun minimo sforzo da quel inaspettato attacco, che al contrario
aveva atterrito la povera Rukia, che si sentì il cuore in gola per ciò
che aveva cercato di fare al nobile fratello. Subito si piegò in due,
facendo cascare i capelli neri tutti davanti al viso.
“Chiedo
scusa, fratello! Ho reagito d’istinto!” disse lei, sentendo il viso
infuocarsi sempre di più. Tuttavia Byakuya non la curò, e, anzi, la
superò continuando a camminare come se nulla fosse.
“Byakuya?!”
esclamò Rukia alzando appena gli occhi e vedendolo andare via.
Costatando che fosse quasi fuori dal suo campo visivo, si riposizionò
dritta, non badando se la forma dei suoi capelli fosse ritornata al suo
posto, e gli corse incontro.
“Fratello,
hai scoperto qualcosa?” chiese camminandogli di fianco e cercando di
interpretare la sua presenza lì. Ma lui non rispose e continuò ad
avanzare, quasi come se non gli avesse parlato affatto. Rukia rimase ad
osservarlo e non comprese per nulla perchè lui si comportasse così.
Tuttavia le parole non le vennero, ne le pareva il caso criticarlo nel
bel mezzo di una ispezione, così si limitò a guardarlo con disapprovo,
e se lui avesse colto, sarebbe stato lui a parlare. Ciò tuttavia non
avvenne, così si ritrovarono a camminare assieme, in silenzio, avvolti
nella foschia sempre più fitta del bosco.
Fu una strana
atmosfera, nella quale la ragazza dai capelli neri non seppe dire come
si sentisse. Da una parte si sentiva inspiegabilmente a suo agio,
dall’altra avrebbe voluto dire molte cose, ma puntualmente, quando era
con lui, l’agitazione le impediva di essere disinvolta come avrebbe
voluto. Questo generava in lei una dicotomia che cominciava lentamente
a turbarla, non rendendola più in grado di godere con serenità quel
momento. Byakuya, sbirciando nella direzione della giovane ragazza, si
accorse del leggero turbamento che la stava assalendo. Rallentò il
passo, quasi come se avesse voluto darle il tempo di parlare, ma la
ragazza parve non accorgersene per nulla, ed infatti si ritrovò a
camminare poco più dietro di lei. Per provocazione, Byakuya fermò i
piedi e resto immobile a guardarla, aspettando che lei si accorgesse di
lui, cosa che quando avvenne in cuor suo lo divertì, ma che a Rukia non
piacque per niente. La ragazza fu visibilmente irritata da quel
comportamento infantile, poiché ancora non conosceva tutte le
sfaccettature del ragazzo dai capelli neri, quindi non sapeva mai come
prenderlo. Però i suoi improvvisi sbalzi d’umore stavano cominciando a
darle sui nervi e, se in precedenza aveva sempre cercato di non farci
caso, adesso stava diventando davvero insopportabile. Già era difficile
reggere l’atmosfera pesante che solo la presenza di un Kuchiki sapeva
attirare a se e su chi gli era intorno. Lui poi prendeva anche a
confonderla facendola sentire così stupida. Corrucciò la fronte e si
imbronciò, non importandosi affatto di avere un atteggiamento
irrispettoso. Si voltò di spalle verso di lui e gli parlò ad alta voce.
“Fratellone,
ci siamo fermati per qualche motivo?” disse non trattenendo il tono
irritato.
Byakuya non
rispose neanche questa volta, facendola innervosire ancora di più. Si
voltò di scatto, sperando di non dover insistere ulteriormente con lui,
ma non appena i suoi occhi guardarono alle sue spalle, si accorse che
lui era sparito. Sgranò gli occhi incredula. Non aveva sentito
assolutamente alcun rumore, ed era lì, pochi istanti prima. Dove era
andato senza neanche chiamarla? Si lasciò prendere dal panico, ma fu un
attimo veloce, poiché se lo ritrovò di nuovo dinanzi a sé non appena
riportò il busto nella posizione corretta. Sbandò quando si ritrovò il
naso contro il suo petto, e fu sicura di essersi fatta di tutti i
colori lì per lì, mentre si era accorta che con uno shunpo velocissimo
le si era parato davanti.
“Ma che razza
di scherzi sono?” esclamò a malapena, potendo solo in questo modo far
fuoriuscire tutto lo sgomento che le provocava quel ragazzo che più
passava il tempo e meno riusciva ad interpretare. Byakuya dal canto suo
la immobilizzò per il braccio quando lei fece per allontanarsi da lui,
trattenendola.
“Byakuya…cosa
fai?” disse non guardandolo negli occhi, rimanendo immobile a fissare
il suo petto coperto dal kimono scuro, con il sottile braccio fra le
sue mani che la teneva stretta a sé. Sentì il cuore palpitare forte e
tutte quelle emozioni, che già da prima della loro partenza avevano
cominciato a turbarla, di colpo precipitarono tutto di un botto sulla
sua pelle. Sentì delle trepidazioni forti che prima non aveva mai
provato. Percepiva solo il suo corpo desiderare la vicinanza del
ragazzo, e quello sfiorarsi appena le sembrò così atroce da sopportare,
che o avrebbe dovuto allontanarsi del tutto, oppure buttarsi fra quelle
braccia. E invece fu costretta in questa morsa, dove non sapeva per
davvero dove scappare. Byakuya non fece nulla per farla sentire più a
suo agio. Anzi, rimase immobile come lei, con il viso rilassato,
impossibile da interpretare, e gli occhi grigi fissi nel vuoto, mentre
lentamente piegava la testa per avvicinarsi a lei. La ragazza dai
capelli neri sentì il fiato del ragazzo soffiare appena fra i suoi
capelli. Lo percepì a stento, ma bastò per farla agitare ancora più
ulteriormente. Improvvisamente milioni di pensieri affollarono la sua
mente, riflessioni negative su ciò che stava accadendo fra di loro.
Verità che per entrambi sarebbe convenuto non sapere o addirittura non
ammettere. Loro erano fratelli adesso, e lei era la sorella della sua
defunta moglie. L’aveva adottata. Ciò che stava succedendo, ciò che in
verità era sempre stato, non doveva venir fuori. Sarebbe stato
incontrollabile. A maggior ragione ora che le cose erano migliorate tra
loro, non valeva la pena distruggere tutto. Cosa ne sarebbe stato di
loro se fosse venuta alla luce una cosa del genere? Era meglio tener
tutto celato, così come lo era stata per cinquant’anni. Rukia da sempre
aveva sentito forti emozioni per lui. Byakuya non era mai stato un
fratello. Era un ragazzo distante col quale aveva convissuto per tanti
anni senza che ci fosse stato alcun tipo di relazione fra loro. E tutto
questo aveva dovuto ponderarlo in pochi mesi dopo la sua adozione.
Quell’ uomo aveva cambiato la sua vita, e lei era rimasta folgorata da
lui. Ma tutto era già finito. Era finito nel momento nel quale aveva
giurato a se stessa che sarebbe diventata un membro di quella famiglia.
Aveva sfiorato le sue labbra e lì, in quel momento, era finito tutto.
Inoltre lui non si era mai mostrato interessato a lei in nulla, se non
se rispettasse i suoi obblighi e mantenesse un comportamento dignitoso.
Ultimamente invece ciò era cambiato, e la sua vicinanza aveva
cominciato a rompere quegli schemi che invece aveva imparato a far
suoi.
Da giovane
dovette guardarsi allo specchio e frantumare ogni cosa. Ogni suo
ricordo, ogni speranza, ogni cosa che fosse stata. E aveva dovuto pian
piano riprendere i cocci e dar loro una forma nuova. Ora stava andando
di nuovo tutto in frantumi. Ciò che era stato costruito con volontà ed
impegno, ma con il senso della frustrazione e della devozione, adesso
rivendicava ciò che era stato perduto, e questo non riguardava soltanto
lei.
Anche da
parte di Byakuya più di qualcosa era cambiato da quando era tornato sui
suoi passi, durante la esecuzione di Rukia pochi anni addietro. Ed
adesso che dovevano ricominciare daccapo, stava fuoriuscendo ciò che
era rimasto congelato ed incatenato per moltissimi anni, anche se
sconveniente per entrambi. E la cosa più strana era che, Byakuya, che
aveva sconvolto il mondo dell’allora giovane Rukia, adesso fosse colui
che lo stava sconvolgendo nuovamente. Dopo che lei aveva lottato per
farsene una ragione, per vivere nella sua nuova realtà, dove lui era
suo fratello maggiore, e non il nobile Byakuya.
Così la bruna
premette violentemente sull’addome del ragazzo e si allontanò di colpo,
riuscendo ad approfittare di un momento di abbandono del ragazzo.
“B-Byakuya…”
Rukia era paralizzata. Era partita pronta per dire molte cose, per
rimproverare il suo comportamento, e invece dalle sue labbra era uscito
solo quel nome in modo ridicolmente tremolante. Byakuya rimase ad
osservarla, comprendendo l’angoscia e la confusione della giovane
ragazza. Tuttavia questa volta non indugiò. In verità era pronto a
voler chiarire con lei, ed era un qualcosa che mirava a fare già da
molto tempo. Inizialmente aveva deciso di desistere, ma poi si era reso
conto che qualcosa era cambiato nel suo cuore, e con tutte le
probabilità non era più disposto a mentire. Se lei avesse rifiutato,
era perfettamente lucido per accettarlo, ma per una volta nella sua
vita voleva mettere le carte in tavola e scoprire il suo mazzo. Il dopo
non avrebbe avuto importanza.
“…Non…non va
bene, fratello.” Rukia puntualizzò su quell’ultima parola, e Byakuya ci
fece prontamente caso. “Non…” insistette lei imbarazzatissima, non
sapendo per niente cosa dire o come parlare. La sua bocca si asciugò
del tutto e la sua mente non rispose. Byakuya le si avvicinò, mosse una
mano verso di lei ma, mentre era arrivata fino a sfiorarle il viso, la
ritirò. Non volle toccarla. Rukia osservò attentamente tutta la scena,
immobile come se fosse diventata una bambola di cera. Byakuya si girò
di spalle facendo ondeggiare la lunga sciarpa bianca e l’haori da
capitano, dopodiché, con un veloce passo lampo, sparì dalla sua vista,
dicendole appena poche parole.
“L’ispezione
per oggi è finita. Torna all’accampamento.”
Le foglie ai
suoi piedi si alzarono da terra accompagnando il movimento scattante
col quale lui era andato via. Una volta dileguato, Rukia cadde sulle
ginocchia, atterrita. Non sapeva che svolta stesse prendendo la sua
vita. Non sapeva cosa fare, non sapeva se ragionarci, oppure fosse
meglio preservare la sua mente da quei pensieri turbolenti. La cosa che
la spiazzò di più fu accorgersi dopo cinquant’anni di amarlo ancora.
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