Shattered mirror

di fiammah_grace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** On the other side of the mirror. ***
Capitolo 2: *** You haven't the right to be her ***
Capitolo 3: *** The truth that I didn't want to know ***
Capitolo 4: *** Everything burn ***



Capitolo 1
*** On the other side of the mirror. ***


On the other side of the mirror, I want to go back.






Non  mi appartenevano molte cose di quel mondo.


No, in verità non mi apparteneva proprio nulla.


Quell’ambiente così immenso, questi abiti sfarzosi, la gente che ora mi circonda…


Niente.


Tutti non sono che al di la di uno specchio, dove, a riflettersi con loro, è solo la mia immagine.


Dietro lo specchio tutto si muove, e vedo me stessa lì immersa. Ma la mia mente, il mio cuore…il mio vero cuore, è altrove.


Sono seduta in un angolo ormai buio, in un posto di cui non farò mai parte.


Di questa me stessa, quella me stessa dall’altra parte dello specchio, nessuno si chiederà più.


Tutti da oggi vedranno solo il mio riflesso in questo specchio fasullo. Il riflesso di Rukia, tra poco Rukia Kuchiki.






Una ragazza dai folti capelli neri aprì debolmente gli occhi. Ciò che si presentò dinanzi al suo sguardo non fu che il nero. Il nero di una notte che non voleva passare e che minuto dopo minuto appesantiva il suo spirito. Era ormai la settima volta che alzava le palpebre e rimaneva ferma, con i suoi occhi blu spalancati, a fissare il soffitto.
In realtà non c’era una precisa immagine sulla quale erano puntate le sue attenzioni. Rimaneva semplicemente ferma, con le dita incrociate fra di loro all’altezza dello stomaco, in quel buio nero che pian piano le faceva focalizzare i lineamenti essenziali dell’arredamento di quella stanza sproporzionatamente grande per lei.
Girò appena lo sguardo, scrutando per l’ennesima volta l’ambiente.
Una stanza vuota, ingombrata unicamente da una specchiera, una cassettiera e dal futon sul quale era sdraiata. Il tutto immerso in uno spazio infinito, smisurato per quei pochi arredi. Sentiva sulla sua schiena il freddo del pavimento, e nonostante ci fosse abituata date le sue umili origini, in quel momento era insopportabile. Gelido, agghiacciante…
Strinse i pugni e sentì la sua morbida pelle bianca essere diventata rigida e gelata. Quasi come se il sangue avesse smesso di scorrere sul suo corpo, e i suoi arti avessero già preso ad irrigidirsi. Le sue labbra erano pallidissime, e pian piano cominciò a tremare…sempre più forte.
Improvvisamente una lacrima rigò il suo viso. Una goccia sgorgata dai suoi occhi, che racchiudeva tutte le sue paure e le tensioni di quell’istante.
Arrivò sullo spigolo delle sue labbra, e bastò che potesse assaggiarne appena il gusto salmastro che la sua bocca si contorse in ghigno che fece scatenare dalla sua gola un grido disperato, che si disperse rompendo il silenzio di quella notte buia.

“Aaaaaaaaaaah……!!!!”

Subito le porte della sua stanza si aprirono e delle persone dall’aspetto assolutamente sconosciuto la afferrarono per i posi e per le caviglie. Istintivamente la ragazza cominciò a dimenarsi, lasciando che i capelli le inondassero il viso mentre si bagnavano nelle sue lacrime, appiccicandosi sulla sua pelle.
Uno di questi la afferrò per la mascella e le avvicinò un bicchiere facendo per costringerla a bere. Lei serrò la bocca, ma le dita premettero così forte sull’osso che non riuscì in nessun modo ad opporsi, così fu costretta ad ingerire quel liquido, mentre quelle persone la tenevano ancora ferma e le alzavano appena il collo. Quando ebbe ingoiato fino all’ultima goccia, la lasciarono e lei prese ad ansimare fortemente, spaventata. Guardò con gli occhi smarriti e pieni di agitazioni le loro figure che adesso pian piano si allontanavano piegando il capo.
La ragazza dai capelli neri sentì il sudore scorrerle sulla fronte e la testa girarle, fino a costringersi a sorreggersi sui gomiti. Non riuscì a sostenere il suo peso, così si accasciò battendo forte la testa sul cuscino. Sentì freddo, sempre più freddo…
Girò la testa e mentre distingueva le lunghe sagome delle ombre che trafiggevano la penetrante luce giallognola delle lanterne accese, la sua vista si annebbiò e perse conoscenza.
Non prima che sentisse delle voci chiamare qualcuno, in un subbuglio insolito da udire in quella casa.

“Cosa è successo?” pronunciò una voce dal tono asciutto.

“Signore…”






Cosa è successo…



Cosa…



….è…



…successo…?






La vita che non volevo.
Una vita agiata, in una famiglia nobile e ricca. Una vita che non potevo rifiutare.

Che però…non lo volevo.


---


“Signorina?”

“Uh?”

La giovane ragazza dai capelli scuri aprì gli occhi.
Era ormai giorno. I raggi del sole filtravano tra i vetri delle finestre, dalle quali poteva vedersi un bellissimo cielo limpido. L’aria soffiava appena, accarezzando dolcemente la sua pelle in un tocco davvero piacevole, rappresentando soprattutto la nottataccia appena trascorsa. Sentiva infatti ancora gli occhi pesanti, ed un fastidioso amaro in bocca.
Un sapore che ormai aveva imparato a riconoscere già dopo la prima notte che aveva trascorso in quel luogo.

La giovane donna seduta di fianco a lei si sollevò e chiuse la finestra temendo che il vento potesse infastidire la ragazza appena svegliata.
La ragazza dai capelli neri la seguì con gli occhi e quasi avrebbe voluto implorarle di lasciarla aperta, ma le parole le sfuggirono completamente, così quel soffio che accarezzava il suo viso si disperse e la abbandonò lasciando sola definitivamente.

“Perdonatemi, ma avevo avuto ordine di svegliarvi presto. Vogliate alzarvi, vi ho preparato il bagno e gli abiti che potrete indossare questa mattina.”

Quella donna doveva essere sicuramente più grande di lei, eppure la trattava con una riverenza tediosa, quasi incomprensibile, rappresentando che questo atteggiamento era rivolto verso una ragazza considerevolmente più giovane di lei. Proveniente dal Rukongai per di più.
Con tutte le probabilità scorreva più sangue nobile nelle sue di vene, che era solo una servitrice, che in lei, che non aveva mai visto neanche da lontano il mondo aristocratico delle famiglie nobili.

Sollevò il busto e sentì leggermente la testa pulsare, probabilmente ancora per la overdose di tranquillanti che le avevano buttato in gola.
Ebbe appena il tempo per mettersi più dritta, che subito le mani della donna toccarono l’apertura del suo yukata, che aprì delicatamente facendo per sfilarglielo.
Nonostante non fosse ancora una ragazza sviluppata, e il suo primo accenno di seno fosse ancora di piccole dimensioni, la giovane dai capelli scuri bloccò la donna e strinse i lembi dell’abito attorno a se.
Subito la serva ritrasse le mani e con un gesto lento piegò il capo in segno di sottomissione.

“Le chiedo perdono. Non intendevo essere impudente. Vogliate darmi il vostro abito, così che possa poi accompagnarvi nella vasca.”

La ragazza sgranò gli occhi di fronte tanta costernazione.
Non le piaceva essere guardata così, come se ad ogni passo falso, avrebbe inferto cinquanta frustate.
Abbassò il viso, e seppur titubante, si costrinse a far scivolare il vestito dalle sue spalle. Levò via la cintura e permise alla donna di avvicinarsi di nuovo per coprirla con un sottile panno di lino leggero. Si alzò e si posizionò dentro la vasca fatta portare appositamente nella stanza per lei.
Ancora una volta la donna le si avvicinò e, nonostante ebbe di nuovo il fortissimo impulso di fermarla, lasciò che lei la aiutasse a lavarsi. Sentì l’acqua calda della brocca che aveva riempito scivolare sulle sue spalle ripetutamente, bagnandole le punte dei capelli che arrivavano sulle spalle. Poi prese una quantità maggiore d’acqua e la fece scorrere anche sulla sua testa, bagnandola completamente. Sentì un leggero solletico per le gocce d’acqua che dal suo capo scorrevano sulla sua schiena.
Nonostante il bagno fosse caldo e rilassante, non riuscì a sciogliere i nervi. Strinse le mani fra di loro all’altezza del petto, sollevando allo stesso tempo le gambe, cercando di proteggere ancora le sue parti intime visto che in verità nessuno mai le aveva fatto il bagno prima di allora.
La serva sembrò non curarsene minimamente, concentrata sui suoi capelli, intenta a sciogliere i suoi nodi.
Strinse i denti, sperando che finisse il prima possibile.
Reprimere e continuare a reprimere il suo male e i suoi turbamenti era l’unica soluzione che al momento riusciva a farle mantenere un certo auto controllo.
La sua mente le sfuggiva, perché dove era, era un mondo che non le apparteneva minimamente.

Osservò la sua immagine riflessa nello specchio mentre la donna le allacciava un nuovo kimono dal colore molto delicato.
Fece passare i lembi del kimono e li strinse con forza nell’obi, che decorò con un fiore sul lato, oltre che con il tipico fiocco dietro la schiena. Le aggiustò le maniche, adagiandogliele lungo il vestito, dopodichè prese a tamponarle i capelli, e a pettinarli con una attenzione addirittura fastidiosa.
Dopo averli sistemati, li acconciò con un fermaglio floreale molto particolare, di un colore a metà fra il rosa e il giallo, dal quale cadeva una lunga ciocca di capelli che le arrivava oltre le spalle. Gliela sistemò, movimentando quei capelli finti che incidentalmente corrispondevano al suo stesso colore, poggiandole poi sulle spalle un michiyuki dall’aria molto preziosa. Dopodichè piegò di nuovo la testa e si allontanò dalla stanza facendo portare via tutto l’occorrente che aveva utilizzato per prepararla.

La giovane rimase ancora ferma davanti allo specchio, vedendo riflessa la sua immagine così diversa. Con i capelli fintamente lunghi, ben sistemati, che cascavano sulla sua spalla raccolti un una coda di cavallo. Il vestito elegante e prezioso certamente non tipico per una ragazza del suo rango, nonché un sogno per qualsiasi ragazzina romantica.

Qualsiasi persona, al suo posto, avrebbe pensato di vivere un sogno.

“Rukia.”

Si voltò all’istante, come presa da uno spavento, nell’udire quella voce dai toni bassi, eppure così altisonante, che la richiamava alle sue spalle.
Vide dietro di se la distinta figura, in un kimono elegante e scuro, di Ginrei Kuchiki.
Era un uomo alto, dal portamento fiero ed altolocato. Nonostante la sua tarda età, conservava una postura perfetta, nonché uno sguardo agonistico e autorevole.
Il viso era segnato da delle profondissime rughe, e i capelli erano lunghi e completamente bianchi. Nonostante i suoi baffi coprissero buona parte della bocca, era sicura che sotto di essi si celava un’espressione di disgusto e disapprovazione.
Dopotutto, non poteva sperare in uno sguardo migliore già così presto.
Così abbassò gli occhi rifiutandosi di continuare a farsi del male così, visto che solo incrociare quegli occhi le sembrava come avere una lama infilzata in gola, e si voltò di nuovo verso lo specchio.

“E’ così che credi si ci comporti e si ci presenti di fronte il capofamiglia Kuchiki?” disse lui con un tono pacato e dispotico.

La ragazza non se ne curò, e si limitò ad abbassare ancora di più lo sguardo.

“Chiedo scusa.”

L’uomo continuò a fissarla dall’alto verso il basso attraverso lo specchio, visto che solo da questo poteva vederle il viso, dato che lei gli dava spudoratamente le spalle.
Osservò la sua piccola costituzione. Sembrava gracile, e non aveva per niente l’aria di una nobile donna, ne tanto meno sembrava degna di riuscire a portare il nome del suo clan. Il clan dei Kuchiki. Si rifiutava anche solo di pensare che oramai presto sarebbe divenuta un membro della sua famiglia.
La cocciutaggine di suo nipote non aveva freni.
Avrebbe macchiato ancora una volta l’onore della sua casa attraverso quella indegna ragazzina raccolta dal Rukongai sulla quale non sapevano in realtà proprio niente, se non un nome.
Un nome e una somiglianza a lei
Una somiglianza impressionante, certo.

Ma non un dato concreto.

Chi era dunque? Era solo un nome. Rukia.
Una ragazzina che sarebbe stata erede di un grande patrimonio, carica di grandi onori e responsabilità. Questo solo perché le somigliava.
Era qualcosa di inaudito. Assurdo da credere che potesse succedere proprio nel suo casato, sul quale aveva investito tutta la sua vita.
Per di più la ragazza conservava quel comportamento sfrontato e rozzo tipico della gente non aristocratica. Non era mai cresciuta nell’alta borghesia, non sarebbe mai diventata una di loro.
Era giovane, ma decisamente troppo grande per imparare.
Si chiese se fosse ancora possibile cambiare le cose, dato che neanche la ragazza in questione sembrava dimostrare un minimo di riconoscenza. Anzi, se poteva dimostrare malessere, o disapprovazione, non sembrava crearsi troppi problemi.

“Signore, mi spieghi perché sono qui.”

L'uomo la guardò intensamente mantenendo la sua postura perfettamente eretta e quel suo sguardo sprezzante. Strinse impercettibilmente gli occhi prima di risponderle.

“Desidero che, quando ti rivolgi ad un membro della mia famiglia, usi le parole Nobile Kuchiki.”

“Come desidera.” Rispose quasi in un sussurro la ragazza abbassando di nuovo lo sguardo.

Ogni sua parola, ogni suo gesto…sembrava come se tutto quello che faceva o che avrebbe fatto sarebbe stato giudicato e corretto nel caso. Il suo modo di parlare, il suo portamento, i suoi gusti…era come se da adesso in avanti tutto sarebbe passato sotto esame. E il bello era che il più delle volte i suoi sforzi per migliorarsi non erano compresi da quegli occhi impenetrabili, ne da nessun altro con cui avesse avuto a che fare fino a quel momento.
Chiuse gli occhi. Sperava con tutta se stessa di svegliarsi, e che tutto non fosse mai accaduto in realtà. Poi si riguardò nello specchio.
Lei era lì.
Lei era per davvero lì.

“Riformula la tua domanda, adesso.”

“Mi chiedevo perché sono qui…nobile Kuchiki.”

Il nobile Ginrei annuì, poi fece qualche passo verso di lei, ma non sembrava avere alcuna intenzione di parlare.
Rukia sospirò in silenzio. Dopotutto se lo aspettava. Nessuno l’aveva mai degnata di una risposta soddisfacente fino a quel momento.

“Stasera saranno completati gli atti con i quali entrerai a far parte della famiglia a tutti gli effetti. Ti basti sapere questo, al momento.”

La risposta più probabile che si poteva aspettare.

La ragazza si mise in piedi.
Sistemò meglio l’allacciatura del mickiyuki sul collo e lentamente si girò verso il capo clan della famiglia Kuchiki, guardandolo con uno sguardo a metà deluso, a metà saccente, alzando le sopraciglia.
Pur sapendo che assumendo quell’espressione l’avrebbe sicuramente fatto adirare, non le venne proprio di mostrarsi diversamente.
Meritava delle risposte. Anche vaghe. Ma le meritava visto che, apparentemente senza motivo, la sua vita era stata sconvolta dalla famiglia Kuchiki, che da un lato sembrava averla voluta accogliere a tutti i costi, dall’altra era come se la guardassero sempre con disgusto.
L’uomo notò quell’espressione, che chiaramente poco gradì, e non fece che riconfermare l'opinione che aveva su quella ragazza. Per questo non la degnò della sua attenzione. Le diede le spalle e raggiunse la soglia del fusuma. Pronunciò solo poche parole prima di sparire completamente dalla sua vista.

“Manderò la servitù a prenderti per raggiungerci quando Byakuya sarà di ritorno.”

La ragazza dai capelli neri sgranò gli occhi nell’udire quel nome.

Il fusuma si chiuse e rimase nuovamente da sola.


Byakuya Kuchiki…

…Il signor Byakuya Kuchiki.



In verità aveva potuto vederlo solo in poche occasioni.
Quando era venuto per lei all’accademia degli shinigami e quando era entrata in quella casa la prima volta.
Ricordava ancora nitidamente quell’uomo dai capelli neri, lunghi fino alle spalle, con quei tratti molto giovani e delicati. Il suo portamento altolocato, a tratti persino agghiacciante, eppure attraente. Lo aveva visto soltanto per poche manciate di secondi, mentre sfilava elegantemente, non curante, lasciando sgomento in coloro che incrociavano il suo sguardo.
Sapeva diffondere sulla sua figura un’aura distinta ed inavvicinabile anche in coloro che gli lanciavano appena uno sguardo.
Per dir la verità era molto curiosa di rivederlo. Per quanto ne aveva saputo, era stato lui a volere questa adozione. Chissà cosa c’entrasse in realtà lei con lui.
Si sentì inquieta. Erano troppe le cose che non sapeva e così tanti i dubbi che l’affliggevano.
Ed il vero problema era che sarebbe stata completamente sola a combattere per riuscire a vivere quella che sarebbe diventata la sua nuova vita, fra pochi istanti. Pochissimi.

Erano giorni ormai che non pensava ad altro, neppure la notte la preservava da questi pensieri.
In poco più di una settimana la sua vita era stata sconvolta, ed aveva perso tutto.

Tutto...

Chiuse gli occhi, abbandonandosi ai suoi ricordi. All'immagine di quella che prima di allora era la sua vita. A quelle strade povere e mal frequentate che però avevano accompagnato la sua infanzia.

Il rukongai...

Da quanto aveva memoria la sua vita era cominciata proprio li.

Il rukongai non era certo il migliore dei posti dove abitare. Anime erranti che vagavano disorientate per gli stretti e labirintici distretti della Soul Society, in attesa di trovare qualsiasi cosa che, in qualche modo, le facesse sentire parte di quel mondo.
Un amico, un parente…qualcosa…
Invece, nella maggior parte dei casi, l’unica possibilità era quella di radunarsi con il maggior numero di persone possibili e ricominciare assieme una nuova vita, per non sentirsi più soli.
Da qual momento in poi, in effetti, il rukongai non diventava più un posto tanto orribile.
Questo era accaduto anche a Rukia e, da quando aveva cominciato a vivere per chi amava, quello squallido distretto settantotto sembrava essere diventato un ambiente più felice.
Era dura, era dura per un gruppo di sei o sette ragazzini vivere da soli, sopportare il disprezzo di occhi indiscreti, e intanto sopravvivere in quelle strade malfamate e piene di sofferenza. Ma in qualche modo ce la facevano e così erano volati via i primi anni di adolescenza.
Questo finché un giorno non le capitò di vedere uno di loro per la prima volta.
Finché, tra le strade polverose e le capanne logore non le capitò di vedere uno di quei famosi uomini vestiti di nero. Vederne uno al rukongai, e in particolar modo nel distretto settantotto, era un qualcosa che Rukia identificava perfettamente con la parola ‘irripetibile’.
Al rukongai era davvero difficile trovare una persona in grado di spiegare esattamente chi fossero gli uomini vestiti di nero. In verità, nella maggior parte dei casi, venivano attribuite loro parole di disprezzo e di sdegno.
Uno sdegno che traspariva dalle parole e dagli occhi di chi aveva avuto modo di sapere di chi o cosa si stesse parlando.
Rukia non sapeva cosa fossero esattamente e non si era mai chiesta effettivamente cosa accadesse tra gli uomini in nero dentro la seiretei. Ma vederne uno le illuminò gli occhi e, a sua sorpresa, non ebbe affatto l’impressione che si aspettava.
Ne aveva sentito parlare così male…eppure lo shinigami su quel trasporto le era sembrata una persona gentile.
Le aveva mostrato un sorriso e una cordialità che le erano stati rivolti così poco nella sua vita, in quella sfrenata lotta di sopravvivenza che lei e i suoi amici dovevano affrontare ogni giorno.
Il sorriso e l’eleganza di quel dio della morte le fecero credere che non tutti fossero meschini e crudeli. Che, forse, nella corte delle anime pure ci fosse spazio anche per la gente per bene, che cerca di migliorare il suo status per proteggere a sua volta chi, uno status, non sa nemmeno cosa sia.
Quel lungo abito nero non le mostrò più inquietudine da quel giorno. Al contrario, divenne fonte centrale dei suoi pensieri.

“Renji, diventiamo shinigami.”

È questo quello che aveva detto, un giorno, al suo più caro amico. Lottare, correre, sopravvivere…non poteva durare all’infinito. Divenire shinigami avrebbe significato per loro una vita migliore. E forse, sarebbero diventati come quel dio della morte che si faceva largo nel rukongai.
All’inizio sembrava un gioco, all’inizio erano in tanti fra loro a studiare sui libri di testo, ad allenarsi nel concentrare il reiatsu e nel controllare i poteri…ma alla fine erano rimasti solo in due.
Rukia e Renji si allenarono per anni e anni ottenendo risultati giorno dopo giorno. In molti, in quello stesso periodo, avevano provveduto nel farsi allenare dai migliori maestri della Soul Society e di utilizzare qualunque altro mezzo per entrare assolutamente in quella graduatoria così selettiva.
Rukia e Renji non potevano far affidamento su nient’altro che la loro forza di volontà. Conquistando con le loro uniche forze le piccole vittorie di ogni allenamento.
Anche se spesso non era sufficiente rispetto agli altri…
Però loro due…lei…ce la stava facendo da sola.
Questo le faceva credere di essere migliore di quegli aristocratici dietro le mura della seiretei, i cui alti voti non avrebbero mai avuto lo stesso significato dei risultati ottenuti da lei e i suoi amici.

“Non demordere! Noi ce la metteremo tutta! Loro non lo sanno, perchè nessuno di loro può nemmeno immaginare quello che abbiamo vissuto noi…”

Erano queste le parole di Rukia.
Erano queste le parole che ripeteva una continuazione a Renji.
Era grazie a queste parole che era riuscita ad andare avanti e ad arrivare all’accademia per shinigami.
Studio, delusioni, soddisfazioni, perdite, vittorie, solitudine…
Spesso era stato frustrante.
Ma divenire shinigami avrebbe rappresentato una vita migliore per lei e per coloro che avrebbe potuto aiutare.
E così le lacrime e la rabbia venivano prontamente cancellate in onore di quel obbiettivo che l’aveva spinta a studiare ininterrottamente, a sacrificare tutta se stessa per raggiungere un traguardo che per una del rukongai come lei era un sogno ad occhi aperti. Un obiettivo che, se avesse raggiunto, non avrebbe equiparato lo stesso sudore di nessun altro.

Questo finché non arrivò l’esame finale per il diploma…

Questo finché non chiuse la porta della sua stanza nell’accademia…

Questo finché non raggiunse l’aula e le si parò davanti un destino pronto a deviare il corso degli eventi.

Cosa le sarebbe accaduto, invece, se fosse entrata in aula?
Avrebbe ottenuto il diploma e dopo lunghi addestramenti, forse, sarebbe entrata nella seiretei e, chissà? Sarebbe potuta diventare uno shinigami sul serio? Un obiettivo semplice dopotutto, ma che per una come lei, che aveva sudato tutto nella vita, avrebbe significato tutto ciò che non poteva significare per chi, invece, aveva già il posto pronto ancora prima del diploma.

Da quanto aveva memoria era nata e vissuta nel rukongai. Da quanto aveva memoria, era sempre stata sola. Da quanto aveva memoria, sapeva che la sua unica certezza era chi le era rimasto accanto per tutto quel tempo, abbattendo così tutti assieme quella tristezza e solitudine che accumulava un po’ tutti quelli del rukongai.

Quella possibilità, quella di vivere la sua vita come aveva premeditato, i suoi progetti, i suoi sogni, ciò per cui aveva lottato, le sue piccole vittorie personali...

Tutto...

Tutto fu stroncato violentemente da una parola che non avrebbe mai potuto dimenticare: la nobiltà.
Quella stessa nobiltà che, con la potenza cui disponeva, le impose di cancellare la vita vissuta fino a quel momento promettendole sfarzo, diploma e un posto di lavoro tra le tredici brigate nella corte degli spiriti puri.
Il tutto ad un unico prezzo. 
Ad un primo impatto, nel vedere quel uomo così alto, dai lunghi capelli sottili e dall’abbigliamento elegante, non riuscì proprio a credere che il suo stile di vita sarebbe andato proprio in quella direzione.

Però non esisteva più la possibilità che lei potesse vivere normalmente la sua vita come aveva premeditato.
Vivere la vita di quella giovane orfana del rukongai che era riuscita con le sue sole forze a divenire una shinigami.

Ora aveva solo la possibilità di onorare a testa alta il grande privilegio che gli aveva offerto un nobile chiamato Byakuya Kuchiki, mentre i suoi occhi vitrei e glaciali le trafiggevano l’anima.


“Ce l’hai fatta rukia!”

“Il clan Kuchiki è una delle principali famiglie della nobiltà!”

“Hai fatto centro! Se vieni presa in un posto del genere, puoi rimbecillirti nell’ozio! Mi chiedo che genere di cibo mangino i nobili!”

“Wow, dannazione…sono invidioso!! Oh, diavolo. Ti faranno diplomare immediatamente? Sono così invidioso da sentirmi incazzato! Incredibile, Rukia! Questo si che è fare centro!”



“Arigatou….Renji.”






La ragazza corrucciò la fronte, con l'immagine ancora fissa nella sua memoria di un passato che non sarebbe più tornato.
Di quel giorno che aveva cambiato la sua vita per sempre.


Dopo pochi minuti, alcuni membri della servitù tornarono da lei e la accompagnarono lungo i portici che contornavano casa Kuchiki, affacciati su un ampio giardino curato nei minimi dettagli.
Il prato ben tagliato, il terriccio battuto per far strada ai numerosi sentieri che portavano ad ogni angolo di esso, circoscrivendo il laghetto che spezzava tutto quel verde assieme ai numerosi alberi di ciliegio non ancora in fiore.
Spostò più volte lo sguardo verso quell’ambiente e si chiese se avesse potuto chiedere di visitarlo liberamente dopo la riunione, però forse non era il caso esprimersi al momento. Date le circostanze, sembrava come se tutti preferissero che lei rimanesse muta e ferma nella sua stanza per tutto il tempo a sua disposizione, per non arrecare fastidi in alcun modo, e se fosse stata inanimata sarebbe stato anche meglio.
Mentre avanzava affiancata dai domestici, improvvisamente rallentò il passo.
I suoi occhi si posizionarono su una figura in lontananza che camminava leggiadra dalla sua parte opposta.
Il Kimono elegante scuro, l’haori bianco che ampliava le sue spalle, legato sotto il collo da una spilla color oro dalla quale scendevano dei pendenti, e il Keinsekan fra i capelli.
Sentì il cuore pulsare e le sue gambe si immobilizzarono immediatamente.
Lui stava raggiungendo la stessa sala dove lei era diretta, e di lì a poco si sarebbero incrociati.
Lui, Byakuya Kuchiki.
Sentì un nodo in gola. Le venne quasi la tentazione di annunciare di non sentirsi nelle condizioni di uscire tanta l’ansia che solo vedere quell’immagine le aveva provocato.

“Signorina, è tutto a posto?”

Guardò di nuovo nella direzione dove aveva scorto il nipote di Ginrei Kuchiki. Si era appena inoltrato nella stanza che tra pochi passi avrebbe raggiunto anche lei, non degnandola nemmeno di uno sguardo. Eppure lui doveva certamente sapere che anche lei era diretta lì. Chissà perché aveva preferito avanzare da solo e entrare separatamente da lei.

“Sì…sì…”scosse appena la testa rassicurando i collaboratori familiari che si erano fermati con lei e riprese a camminare con loro.

Era assurdo agitarsi così.
Questo era un giorno molto importante e doveva rimanere serena. Perché, dopo questo incontro, sarebbe diventata a tutti gli effetti Rukia Kuchiki. Non si tornava più indietro.

Le fu aperto lo shoji e si ritrovò nuovamente all’interno della casa, in una stanza libera e vuota come le altre, nella quale emergevano i massicci e preziosi mobili di ciliegio posti sulla parete di fronte a lei, che sembravano contenere i fascicoli della famiglia Kuchiki forse.
Sentì la porta scorrevole chiudersi dietro di se ed ebbe un attimo di sbandamento. Ritornò velocemente a perlustrare quella stanza, quando una voce richiamò la sua attenzione.

“Rukia, prendi posto.”

Immediatamente si inginocchiò, unendo le caviglie fra di loro e cercando di rimanere nella posizione più composta possibile, data la sua agitazione.
Sbirciò davanti a se, ed oltre alla figura di Ginrei Kuchiki, di fronte a lei c’era proprio lui, Byakuya.
Abbassò lo sguardo cercando di non incrociare per nessun motivo i suoi occhi.
Era una presenza imponente che sembrava riuscire ad atterrirla e metterla in soggezione anche con pochissimi gesti.
Più che il capofamiglia, era proprio il nipote che la intimoriva di più. Forse per il fatto che fino a quel momento non le aveva mai dato alcuna attenzione, ne attraverso una parola ne uno sguardo.
Questo la faceva sentire indesiderata. Una sensazione certo non piacevole.

Allora perchè aveva voluto adottarla?

“Rukia” la voce di Girei spezzò quel silenzio.

Aveva come sempre uno sguardo serio, probabilmente perché inquietato dalla strana piega che stava prendendo la sua famiglia. Una piega verso la quale mostrava palesemente di essere contrariato. Sembrò infatti costringersi a parlare di famiglia coinvolgendola.
Sollevò appena le labbra e parlò da sotto i suoi grigi baffi.

“Da oggi in avanti sarai un membro del casato Kuchiki, una delle quattro famiglie nobili della Soul Society. Spero tu sia al corrente di questo tuo grande privilegio, nonché dei grandissimi doveri cui dovrai fronteggiare.”

La ragazza riuscì solo a fare un debolissimo cenno con la testa, non distogliendo lo sguardo dalle sue mani premute fortemente contro le sue ginocchia. Privilegio… sapeva che l’avrebbe sottolineato. Sapeva che era questo quello che non gli andava giù.

“Devi giurare, Rukia Kuchiki, che non permetterai mai il disonore della famiglia Kuchiki. Che terrai alto il nome che da oggi accompagnerà il tuo.”

Si sentì tremare. Quell’atmosfera, quei paroloni che sembravano pieni di aspettative e responsabilità di cui non ne aveva idea, le stavano facendo crescere quello stato di ansia che l’accompagnava da quando aveva messo piede in quella stanza.
Alzò appena lo sguardo e si accorse che gli occhi dei presenti erano tutti puntati su di lei. Assunse uno sguardo impaurito, e per qualche motivo i suoi occhi scelsero di cercare quelli del ragazzo dai capelli neri, che la guardava a sua volta.
Era la prima volta che si guardavano così. I loro occhi erano puntati l’uno sull’altro e lei non riuscì in nessun modo a distogliere lo sguardo da quell’uomo. Le sembrò quasi come se le mancasse l’aria, come se avesse potuto affondare nel profondo di quegli occhi grigi.

“Rukia, devi promettere.”

La voce di Girei tuonò in quella stanza. Nonostante il suo tono fosse basso e controllato, aveva sempre comunque un’impronta imperativa che riscuoteva timore anche semplicemente proferendo un piccolo comando.
Rukia così piegò profondamente la testa fino a toccare la fronte con le ginocchia. Strinse i denti, dopodichè si fece forza nel cercare di parlare nel miglior modo possibile.

“Sì. Io mi impegnerò nel rispettare queste volontà, nel nome della vostra famiglia. Signor…" si corresse "Nobile Kuchiki. E…” alzò appena lo sguardo verso il giovane erede della famiglia, ma si ripiegò immediatamente concludendo la frase. “ ...e…nobile Kuchiki Byakuya.”

Una volta pronunciate queste parole, vide la figura longilinea di Byakuya mettersi in piedi e fare per abbandonare la stanza.
Subito la ragazza si girò seguendolo con lo sguardo mentre andava via, chiedendosi se avesse sbagliato qualcosa.
Si morse le labbra e suo malgrado fu costretta a rivolgersi al signor Ginrei, che la osservava sprezzante come suo solito.
Lui fece un piccolo cenno e chiuse gli occhi.

“Adesso puoi andare.”

La ragazza dai capelli scuri non se lo fece ripetere, così fece un piccolo inchino, dopodichè si alzò e quasi sgattaiolò via da quella stanza.
Ginrei Kuchiki sospirò, chiedendosi come avrebbero fronteggiato questa imbarazzante situazione, provando sdegno anche solo a pensare che quella ragazza si sarebbe presentata da adesso in avanti come una Kuchiki.
Intanto Rukia aveva già oltrepassato la soglia dello shoji e si poggiò ansimante su di esso mentre faceva per chiuderla.
Ispirò ed espirò più volte prima di riprendere controllo sulla sua mente.
Quell’ambiente…bastava che si girasse intorno per sentirsi smarrita. Aveva paura, paura di quello che sarebbe stato il suo futuro.


“Ah! Ah! Che invidia! Sarai adottata da una famiglia nobile? Non ci posso credere! Ti invidio proprio, Rukia!”




Maledetto stolto!
Perché…perché dovevi fingerti felice per me?!

Grazie…grazie per averlo fatto.

Pur sapendo benissimo che non potremmo più vederci adesso, mi hai incoraggiata verso una vita migliore.

Perché sei mio amico, Renji.


Però…


Però…




Proprio perchè sei mio amico, avresti dovuto leggere nei miei occhi che…non…

Non lo so!
Non sono pronta!



Ho paura di cambiare!

 

La mia vita, le mie lotte quotidiane, le nostre promesse, le nostre aspettative, i nostri sogni…

 

Io…
Io ci credevo ed avrei voluto che le cose, seppur così difficili, continuassero così.

 

Non sono pronta ad un cambiamento così drastico.





“Bravissima, Rukia! Sono felice per te!”


Adesso…
Io sono sola. Completamente sola.
Cosa devo fare?!

 

Renji…
Renji!! Vienimi a prendere!!

 

Qualcuno mi dica che tutto questo è uno sbaglio!!




Uno sbaglio che non potevo rifiutare.




Non potevo per rispetto di tutta la gente del Rukongai che sogna ad occhi aperti una vita come quella che avrò io.
Ma è davvero questa la felicità a cui si aspira nella vita?



Io non voglio tutto questo.

Ne sono grata.
Ne sono grata, accidenti!!



Però…ho paura.


Signor Byakuya…perché è venuto a prendermi?!
Perché mi hai prelevato dalla vita che conducevo e mi hai messo nelle condizioni di accettare? Perché lo sapevate che non potevo rifiutare.



Perché?!!




Improvvisamente si sentì girare forte la testa. Poggiò una mano sulla fronte come per cercare di sorreggersi. Fece qualche passo, ma camminava a stento, così si inginocchiò a terra. Era totalmente priva di forze. Incapace di muoversi. La sua testa pulsava sempre di più, e i suoi occhi presero a lacrimare senza che lo volesse.
Tutto cominciò a girare vorticosamente. Poggiò le mani sul freddo pavimento, come per afferrarsi da qualche parte, fino ad infilare le unghie. Sentì i residui di quella passerella in legno sfregarsi fra le sue dita che presero a sanguinare debolmente, ma lei non sentì alcun dolore. Sentiva solo tutto così confuso.
Lanciò un ultimo sguardo al giardino. Così bello, elegante, curato. Avrebbe voluto visitarlo, un vero peccato. Dopodichè svenne.


---


“E’ molto debole. Nonostante sia giovane e piena di energie, ha bisogno assolutamente di rimettersi in forze. Intanto consiglierei di tenere sotto controllo la sua alimentazione e farla riposare il più possibile.”

La ragazza dai capelli neri aprì debolmente gli occhi.
La sua vista era completamente appannata, riusciva a stento a distinguere i colori presenti in quella stanza. Girò più volte lo sguardo cercando di orientarsi, ma era ancora molto debole.
Le sue attenzioni si focalizzarono su due persone che parlavano di fianco a lei. Erano due voci maschili.
Dischiuse appena la bocca, poi cominciò a muovere le dita delle mani cercando di riprendersi dal sonno.

“La ringrazio.”

“Ci mancherebbe, signor Kuchiki. Dunque, un’ultima cosa. Vorrei dirle che …oh? Si è svegliata?”

Il ragazzo dai capelli scuri si girò verso di lei e costatò che, come aveva appena proclamato il medico di famiglia, gli occhi della giovane erano aperti.
Rukia sbandò quando si rese finalmente conto di essere probabilmente svenuta e che ad essere lì con lei era proprio Byakuya.
Cercò di alzarsi ma la testa ancora le doleva, così fu costretta a riabbandonarsi sul futon, limitandosi a guardarlo sentendosi smarrita ed in imbarazzo.

“Per qualsiasi cosa, signore, sono a sua disposizione.”

Byakuya fece un piccolo cenno di ringraziamento abbassando soavemente il capo, dopodichè lascio che l’uomo si allontanasse dalla stanza, in modo da rimanere solo con il nuovo e giovanissimo membro della sua famiglia.
La guardò con uno sguardo gelido, che non lasciava trasparire alcuna emozione. La ragazza non riuscì in nessun modo a divincolarsi da quegli occhi, esattamente come quando era successo prima, quando avevano ufficializzato la sua adozione.
Fu lui a distogliere lo sguardo, e, come libera da quel vincolo, Rukia si sentì di nuovo padrona del suo corpo. Avvicinò di più a se le coperte, coprendosi fin sulla bocca. Non voleva che la vedesse con solo addosso il bianco e sottile hadajuban.
Sbirciò di nuovo in direzione di Byakuya, che intanto sembrava star prendere parola, così si girò di nuovo all’istante, puntando le sue attenzioni sul soffitto attraverso uno sguardo in verità poco convincente.

“Anche questa notte non hai dormito.”

La ragazza deglutì. Non sapeva assolutamente cosa rispondere. Si limitò solo a cercare in ogni modo di sembrare seria e composta ai suoi occhi inquisitori.

“Preferirei tu non ti trascurassi. Se c’è invece qualcosa che ti disturba...”

“No! Non c’è assolutamente niente che…” pronunciò di getto, e solo mentre le parole uscivano dalla sua bocca si accorse di averlo bruscamente interrotto mentre parlava. Si sentì subito un’emerita stupida. Come poteva dimenticare così facilmente di essere al cospetto di un membro di una delle famiglie nobili?
Cercò di porre rimedio al suo irrispettoso modo di agire, sperando che le sue scuse bastassero.

“Perdonatemi, Nobile Byakuya Kuchiki.”

Byakuya assunse uno sguardo ancora più serio, e non continuò più a parlare. Questo mise ancora più distanza fra i due, che rimasero fermi e muti per diverso tempo. O per lo meno fu questa l’impressione della ragazza dai capelli neri, che si sentiva terribilmente sconvolta.
Guardò di nuovo verso di lui.
La sua postura era perfetta. La schiena dritta, e le mani congiunte sulle sue gambe, inginocchiate sui suoi talloni. Certe volte non riusciva neanche a guardarlo tanto gli sembrava distante. Il suo sguardo divenne pian piano cupo e girò la testa dall’altra parte.
Lui invece puntava ancora i suoi occhi su di lei. La guardò intensamente e dopo quel lungo e frustrante silenzio riprese la parola.

“Suppongo che ‘fratello’ sia più che sufficiente, adesso.”

Rukia subito scattò, rivolgendoglisi sorpresa.

“Che cosa?”

Il ragazzo la guardò in qualche modo incuriosito da quel modo di fare ai suoi occhi un po’ strano della ragazza. Comunque decise di ribadire il concetto, comprendendo la sua confusione.

“Non chiamarmi più Nobile Byakuya. Non è appropriato. Sono tuo fratello maggiore adesso.”

Rukia tentennò prima di riuscire a parlare. Le sue labbra tremavano e non era sicura di dare una buona impressione con quello sguardo pietrificato.
Sentì il viso caldo e in realtà fu indecisa se parlare o no.

“Non…non posso…io, nobile Bya...Fra…fratello..?” cercò di correggersi come lui le aveva chiesto, ma la parola "fratello" davvero le uscì a stento. Non poteva chiamarlo così. Non...

Byakuya abbassò lo sguardo.
Premette una mano sulla sua gamba e fece per alzarsi. Così leggiadramente si mise in piedi e rimase a osservarla dall’alto.

“Riposa. Più tardi ti farò portare la cena.” Detto questo, si allontanò da lei e uscì dalla stanza.

Rukia rimase incantata ad osservarlo mentre lui andava via. Con il vestito che si muoveva ad suo passo e l’haori che ondeggiava assecondando i suoi leggeri movimenti, contornando la sua figura longilinea dal portamento sicuro e nobile. Il suo sguardo rimase fisso anche dopo che lui se n’era andato e non riuscì proprio a distogliere i suoi occhi dalla sua immagine che ancora rimaneva proiettata nella sua mente in maniera nitida.
Il nobile Byakuya racchiudeva tutto questo dentro di se. Ed era assolutamente capace di ammaliarla. Anche solo dopo una banale conversazione di cortesia.
Lui era ciò che più si avvicinava al suo concetto di irraggiungibilità ed eleganza. Le sembrava addirittura impossibile che tutto questo si trovasse per davvero davanti ai suoi occhi.


---


“Come non posso riprendere i miei allenamenti?”

La giovane Rukia Kuchiki scattò in piedi di fronte l’uomo ben distinto che da li a qualche giorno sarebbe stato il suo educatore.
L’uomo aggiustò i rotondi occhialini sul naso, nauseato dalla poca grazia della ragazza. Vissuto sempre negli ambienti borghesi, non era per niente abituato al modo di comportarsi certamente più spontaneo di una ragazzina del Rukongai. Per pregiudizio, inoltre, vedeva più facilmente il male che il bene in lei. Per di più, il vocio sull’adozione di quella ragazza nella nobile famiglia Kuchiki già stava facendo il suo corso, ed erano ormai diversi i pettegolezzi in giro su di lei, cose che certo non stuzzicavano solo le persone di rango medio-basso, ma forse più gli altolocati, che amavano tenere in vita i loro discorsi da salotto con notizie di questo genere.

“Le ho già detto, signorina Kuchiki, che ci sono diverse cose che dobbiamo riguardare della sua educazione. Per questo il signor Kuchiki Ginrei ha disposto che dovrà sospendere tutte le sue altre attività, intanto.”

Era già la seconda volta che le rispondeva in quel modo. Credeva forse che fosse stupida?
Rukia aveva compreso che, avendo da sempre vissuto per le strade di periferia, certo non aveva innato quel modo di fare regale tipico di un qualsiasi membro nato in una famiglia nobile. Però perché addirittura dare tale disposizione?
Dal canto suo, l’istruttore riprese a parlare, sempre guardandola con la puzza sotto il naso.

“E me lo lasci dire, avremo molto su cui lavorare. Ora mi rendo conto che le valutazioni del signore erano del tutto corrette.”

“Certo. Perchè lui non mi può vedere, no?” rispose lei fra se, alzando le sopraciglia e deformando le labbra in una sorta di smorfia.

Non seppe cosa la trattenne nell’uscire ed andarsene da quella stanza. Sapeva perfettamente che era stato Ginrei Kuchiki a parlare a quel modo di lei e a dare tutte le disposizioni per trasformarla in una ragazza nobile, facendola passare intanto per una rozza.
Che lui non la sopportasse, oramai era chiaro ai suoi occhi. Rifiutava di vederla come un membro della famiglia, come una futura erede del suo casato. Ancora adesso, se parlava dei Kuchiki, faceva ben attenzione a non coinvolgerla e a farla sentire comunque in disparte. Non che lei lo volesse, però quella situazione non era stata voluta da lei. Quindi tanto astio stava cominciando a trovarlo irritante.

“Tanto per cominciare, ad esempio, dovrebbe unire meglio i suoi piedi.”

Disse lui improvvisamente, colpendole le gambe con una piccola e sottile bacchetta di legno, cominciando a girare attorno a lei come una iena.
Rukia non abbassò lo sguardo e lo seguì con gli occhi facendogli capire palesemente la sua disapprovazione. Strinse i pugni e cercò di trattenersi. Quello sguardo saccente ed irritante...sperò in cuor suo che non mettesse troppo alla prova la sua pazienza, perchè se no sapeva glielo avrebbe fatto levare lei. Tuttavia al momento si limitò a lasciare quei pensieri tali, e assecondò il volere del maestro unendo i piedi.

“Adesso si inginocchi, prego.”

Ricambiò ancora una volta il suo sguardo provocatorio, ma continuò a tenere serrata la bocca. Piegò le ginocchia e lentamente scese sul pavimento poggiandosi su di un cuscino di velluto rosso.

“Come immaginavo, ha i movimenti di un elefante, signorina Kuchiki.”

“Io non ho mai visto un elefante inginocchiarsi su un cuscino, signore.” Sussurrò di nuovo, e l’insegnate si voltò verso di lei avendo colto appena qualche parola.

“Come, scusi?”

“Oh, niente.” Disse lei con fare arrogante, guardandolo con un’espressione da santarellina. L’uomo capì che la ragazza lo stava deridendo così rispose anche lui a suo modo, con l’intento di farle abbassare la testa.

“Credo che le nostre lezioni dovranno addirittura raddoppiare visto che non sapete dare un freno neanche alla vostra lingua.” Fece una pausa guardandola attraverso i vetri delle lenti sperando di metterla in soggezione. “Stia dritta adesso, e cerchi di rendere i suoi movimenti più naturali, armonici…”

La ragazza mosse appena le spalle, cercando di posizionarsi bene, ma non ebbe il tempo nemmeno di assumere una qualche posizione che subito l’uomo quasi le urlò contro.

“E’ un completo disastro, ma si guardi. Dritta, si sistemi con fare aggraziato.”

“Ma io non mi sono neanche mossa..!”

“Forza, non ci vuole mica tutta una giornata per posizionarsi correttamente.”

“Le sto dicendo…”

Prima che potesse completare la frase, l’uomo la colpì di nuovo.

“Si muova, non ho tutto il tempo. Mi sa che dovrò informare il nobile Kuchiki che lei non si impegna, signorina. Altro che una settimana, con lei mi sa…”

“Adesso basta!!!”


---


In casa Kuchiki cominciò ad esserci un subbuglio davvero insolito.
I servitori correvano da una parte all’altra, allarmati, non sapendo bene come comportarsi. Il caos sembrò calmarsi con l’arrivo di Ginrei Kuchiki, che casualmente quel giorno non si era allontanato dalla sua abitazione. Fece prontamente convocare Rukia nella sua stanza di lavoro, e si sentì altamente mortificato e disonorato quando si ritrovò la giovane ed il suo istruttore davanti agli occhi.

“Lei…Lei…è una squilibrata, mi perdoni signor Kuchiki! Ma è letteralmente impazzita. Sono…sono scioccato da tale insolenza.”

Disse il maestro portandosi più volte un fazzoletto sulla bocca, per pulirsi dal sangue ancora appiccicato sulla faccia, che fino a pochi attimi prima fuoriusciva fresco dal suo labbro superiore.

Ginrei guardò accigliato Rukia. La ragazza non ricambiò il suo sguardo, perfettamente consapevole che non le avrebbero lasciato spiegare la sua versione dei fatti.
Dal suo punto di vista, la ragazza sapeva di aver sbagliato a colpirlo. Non che ci volesse molto a capirlo. Però quell’uomo, se così poteva definirlo, aveva turbato la sua psiche e ripetutamente aveva messo a prova la sua pazienza in meno di un quarto d’ora. Se l’aveva colpito era solo perché se l’era cercata. Doveva già ritenersi fortunato visto che nel Rukongai reagiva per molto meno, visto che doveva badare da sola a se stessa.

“Sono costernato. L’avevo informata del carattere della ragazza, che adesso, sono sicuro, porgerà le sue scuse.” Intervenne di nuovo Ginrei mantenendo un tono una postura ferma. Portò lo sguardo verso Rukia e notando l’espressione assente e non curante della giovane, alzò leggermente i toni. “Rukia. Porgi immediatamente le tue scuse.”

Rukia continuò a sostenere la sua posizione, imperterrita. Non le importava cosa avrebbero pensato di lei.
L’insegnate allora riprese parola, come se già non avesse fatto abbastanza per mal disporla.

“Signore, so bene che la colpa non è vostra.
E’ questa gente del Rukongai che non sa quando abbassare la testa. Sembra strano data lo loro posizione, ma è proprio così. Eppure dovrebbero rivalutare questo loro modo di fare date le condizioni in cui…”

“La smetta!”

Il silenzio piombò in quella stanza.
Tutti rimasero inorriditi nel vedere la ragazza agire in quel modo, in presenza del capofamiglia per di più.

“Come si permette a parlare così di cose che non conosce nemmeno?! Lei non sa nulla! A noi non importa cosa pensa. Piuttosto dovrebbe essere lei a rivalutare la sua posizione!”

La ragazza, presa da una forte scarica di adrenalina, aveva perso il controllo. Cominciò a tremare ed urlò contro quel uomo, che invece si definiva dotto ed istruito, non curante delle conseguenze, sotto gli occhi attoniti dei presenti.
Mentre stava ancora pronunciando la sua frase, sentì il fusuma alle sue spalle strisciare. Il rumore impercettibile di quei passi, l’aria che appena si muoveva…una presenza che ormai riconosceva a distanza, anche solo attraverso il semplice respiro.
Si voltò e spalancò gli occhi alla vista di Byakuya Kuchiki.
Era vestito di scuro, come al solito, avvolto nella sua lunga sciarpa bianca, e la guardava con quei suoi occhi intransigenti ed irraggiungibili.
Rimase immobile, tremante, incapace di riorganizzare i suoi pensieri. L’unica cosa che dopo qualche secondo riuscì a fare fu un profondo inchino verso di lui.

“No-nobile Bya…nobile Byakuya!” si morse le labbra. Proprio non le venne di dire ‘fratello’. Non ci riusciva nonostante lui glielo avesse espressamente chiesto. Byakuya sembrò farci caso, e per un attimo sembrò anche infastidito nell’essere stato chiamato così. Questo rattristò ancora di più Rukia, già mortificata della pessima figura fatta proprio davanti a lui.

“Cosa succede?”  chiese lui asciutto, con quella sua voce calda e pacata, severa ed autoritaria. Una voce che la seduceva e l’atterriva allo stesso tempo.

La ragazza alzò gli occhi verso di lui, mentre il giovane dai capelli neri li rivolgeva a sua volta a suo nonno, che lo ricambiò serio per poi scuotere la testa con disapprovazione.

“Rukia, puoi andare.”

Rukia rivolse due occhi molto sconfortati verso Ginrei Kuchiki, che le aveva appena ordinato di allontanarsi dalla stanza.
Si sentì profondamente mortificata. Sapeva che adesso avrebbero parlato di lei, e ne avrebbero parlato male. Chiuse gli occhi.
Si piegò di nuovo, dopodichè raggiunse il fusuma e li lasciò soli.
Non appena mosso qualche passo, già vide l’ombra del nobile Byakuya prendere posto, e la voce del suo istruttore prendere parola.
Istintivamente aumentò il passo per allontanarsi più velocemente. Non voleva sentire cosa avessero da dire, non voleva sapere cosa avrebbero detto su di lei a Byakuya. Così velocemente si inoltrò per i corridoi della casa, non sapendo di preciso dove dirigersi.
Era in quella abitazione da pochissimi giorni, non sapeva già orientarsi in quegli spazi immensi, così arrivò fino in giardino e si sedette sull’orlo di una delle fontane di marmo li posta, lasciando che lo schizzo dell’acqua la colpisse di tanto in tanto. Il rumore di quello scroscio l’aiutò a sentirsi meglio, e i suoi nervi presero finalmente a rilassarsi almeno un po’.

Riaprì gli occhi.
C’era un bellissimo profumo di erba tagliata in giro. La temperatura dell’aria era perfetta quel giorno, ed un lieve venticello rinfrescava quel leggero tepore che sentiva su di se.
Certo che, visto la dì, quel posto non era poi tanto male. Visto da quella prospettiva, sembrava un luogo incantato, la classica abitazione in cui chiunque sognerebbe di vivere. Solcate le sue mura, invece, si avvertiva immediatamente la pesantezza delle persone che ci abitavano e delle regole sulle quali vertevano. Però, fuori, c’era una calma rilassante e piacevole. Un silenzio dolce, che non le portava alcuna inquietudine, e anzi, la trasportava in una dimensione di assoluto benessere.
Rimase lì senza controllare il tempo che trascorreva, senza importarsi di nulla.
Se ci fosse riuscita, quello sarebbe stato il suo rifugio. Dopotutto, non le sembrava molto chiedere una stanza che affacciasse sul giardino. Magari quando le cose sarebbero andate meglio. Intanto voleva godere di quell’attimo quanto più le sarebbe stato concesso.
Distrattamente prese a guardare di nuovo verso la casa.
Chissà se un giorno sarebbe riuscita a sentirsi parte di loro. Era così difficile abituarsi a qualcosa di così estraneo.
Adesso aveva una casa, una famiglia, ricchezza e portava l’alto nome dei Kuchiki. Quelle persone le avevano donato una nuova vita, un vita che non aveva meritato, le era stata donata. Per questo, nonostante i suoi turbamenti, doveva cercare di moderarsi ed essere molto, molto più riconoscente verso di loro. In cuor suo lo era per davvero. Ma i suoi dubbi e le sue paure erano troppe per far si che manifestasse apertamente i suoi sentimenti.
All'improvviso i suoi occhi si puntarono di nuovo sulla figura del ragazzo dai capelli neri, che passeggiava parecchi metri distante da lei sulla passerella che contornava il giardino.
Camminava con la sua solita fierezza, sfilando con una eleganza imparagonabile, facendo oscillare il lungo kimono nero.
Ogni volta che lo vedeva aveva un attimo di vertigini ed il suo cuore cominciava a pulsare. Rimase immobile, seguendolo incantata con gli occhi, non sbattendo le palpebre neanche per un momento, finché lui non svoltò un angolo e sparì dalla sua vista. Solo allora riprese coscienza e si rimise di scatto in piedi.
Era solo adesso, era la sua occasione per scusarsi per il suo comportamento.
Chissà cosa gli avevano detto quel insulso maestro e il nobile Ginrei per demolirla ancora di più. A loro però non dava troppa importanza. Se c’era qualcuno di cui però le importava il giudizio, era proprio lui, Byakuya.
Sicuramente lui avrebbe tenuto molto più in alto il giudizio e le parole di suo nonno, tuttavia Rukia almeno a lui voleva dare delle spiegazioni. O se non quelle, almeno mostrarsi sinceramente mortificata per come l’aveva trovata. Non era necessario che le desse ragione, ma solo che guardasse i suoi occhi sinceri.
Girò lo stesso angolo da dove aveva visto sparire il ragazzo, ma non lo vide. Subito si allarmò facendosi prendere dal panico. Perlustrò il lungo corridoio di corsa. Il nobile Byakuya non poteva averlo percorso tutto così velocemente, eppure era sparito. Subito corrucciò la faccia e si sentì infinitamente stupida per aver desistito prima di raggiungerlo. Si era immobilizzata a guardarlo ed adesso chissà quando le sarebbe ricapitata l’occasione di rivederlo in quella stessa giornata. Perché parlargli dopo sarebbe stato insensato.
Abbassò lo sguardo. Forse, dopotutto, era meglio così. Almeno non avrebbe rischiato di sembrare patetica.
Prese così a ciondolare per il corridoio, strascinandosi quasi.
Sì, perché in verità ci era rimasta davvero male. Sembrava che tutto andasse storto.
Girò vagamente lo sguardo.
Quella zona della casa era assolutamente vuota. Forse non era il caso rimanere lì. Così fece dietro fronte, intenta a ritornare sulla sua fontana. Meglio rimanere lì, che richiudersi in quella sua vuota e triste stan…za.

Mentre formulava i suoi pensieri, fece qualche passo indietro verso un fusuma lasciato appena semi chiuso. Quando era passata prima non ci aveva proprio fatto caso. Sbirciò istintivamente dentro. Dopotutto Rukia era solo una giovane ragazza, che si lasciava attirare da tutto in quella casa, per il suo spirito di fondo molto curioso. Buttò appena un occhio ed impallidì quando focalizzò la figura di Byakuya Kuchiki li dentro.

Sgranò gli occhi e fu assolutamente incapace di distogliere lo sguardo.
Si inginocchiò lentamente e rimase lì ad osservarlo per quel poco che si vedeva da quella fessura. La stanza era grande, libera, e arredata unicamente da un tavolino basso al centro, un futon più grande del suo, di colore blu e decorato con dei delicati ricami su tinta. Intravide anche dei mobili color mogano, ma non si vedeva bene a dire la verità.
Ad un certo punto il ragazzo si posizionò in una zona della stanza a lei più visibile e fu allora che si accorse che lui era nudo.
Arrossì di colpo.
In verità non era nudo, era solo col petto scoperto, ma data la giovane età della bruna, non le era mai capitato di vedere un ragazzo svestito. Per di più non un ragazzo qualsiasi.
Lo vide lentamente raccogliere l’hadajuban dal letto e coprirsi le ampie spalle. Come immaginava, il nobile Byakuya aveva un corpo bellissimo, allenato, e seppur fosse molto magro, i muscoli erano ben evidenti e abbastanza scolpiti. Quel suo sguardo serio a tratti malinconico, poi, lo rendevano decisamente affascinante. Deglutì quando si girò col busto verso di lei, facendole vedere più nitidamente i pettorali. Lui continuò a vestirsi non accorgendosi di lei e, sempre con movimenti molto lenti, chiuse delicatamente il sottile hadajuban, per poi indossare il kimono.
Avvicinò le mani al copricapo che abitualmente aveva fra i capelli. Lo smontò facilmente e lo sfilò via, facendo ritornare al loro posto le ciocche di capelli che intanto si erano scomposte. Non essendosi ancora specchiato, aveva qualche ciocca ancora fuori posto, seppur comunque i suoi capelli fossero sempre in ordine poiché liscissimi. Però rappresentando come era solito vederlo, bastarono quei pochi fili di capelli alzati a dargli un’aria diversa.
Già pensava che fosse un bel ragazzo, ed era innegabile visti i lineamenti regolari. Ma fu allora che si rese conto di trovarlo veramente…bello.
Si sentì ancora più accaldata. Cosa stava pensando? Quell’uomo…quell’uomo le aveva detto lui stesso di voler essere chiamato da lei ‘fratello’. Per di più abitavano sotto lo stesso tetto, lui era un ragazzo nobile, un Kuchiki, per di più nipote di suo nonno. Non doveva assolutamente pensare cose di questo genere.
Anche se…

Riprese ad osservarlo.

Anche se era bello. Non c’era null’altro da aggiungere. Non c'era niente di male a pensarlo.

Si accorse improvvisamente che era scesa un po’ di ombra su di lei. Si voltò lentamente pensando che il cielo si fosse oscurato per via delle nuvole, ma subito si accorse di aver completamente frainteso.
Si pietrificò quando si accorse di avere dietro di se l’imponente figura di Ginrei Kuchiki.
Aveva le mani congiunte sotto le maniche del kimono, e la guardava con uno sguardo sprezzante e indagatore. La ragazza si sentì morire e fu sicura che le sue labbra divennero completamente pallide. Sentì il cuore in gola e rimase lì, immobile, incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Ginrei, vedendola inginocchiata di fronte la stanza di suo nipote, strizzò gli occhi e le parlò laconico.

“Cosa stai facendo qui?”

La ragazza deglutì.
Cosa poteva mai rispondergli? Tremando, si alzò e gli rivolse appena uno sguardo pieno di sgomento. Dopodichè, in preda al panico, piegò appena la testa in segno di costernazione e scappò via allontanandosi dalla sua vista con una velocità incredibile.

Che…Che figura ci aveva fatto! Cosa…cosa avrebbe pensato?
E se…e se l’avesse detto a Byakuya?!

Si fermò inorridendo solo ad immaginare una prospettiva del genere. Già il nobile Ginrei Kuchiki aveva la sua “bella” opinione su di lei. Se si ci aggiungeva anche questo?
Scosse la testa. Non voleva neanche pensarci!
Così, con il cuore ancora a mille, sgattaiolò nella sua stanza e si butto sul futon maledicendo tutte le stupidaggini che stava facendo, tutte le cose che stava sbagliando, questa sua nuova vita che non l’apparteneva. Girò lo sguardo e si vide ancora lì, riflessa in quel grande specchio che non faceva che perseguitarla.
Guardò sprezzante la sua figura, con le lacrime agli occhi e colmi di malinconia e rabbia. Non poteva restare lì, era tutto troppo più grande di lei. Non ce l’avrebbe mai fatta! Come avrebbe mai potuto diventare una di loro? Non ne aveva le qualità, non aveva le competenze, non aveva assolutamente nulla. Aveva però i suoi sogni, la sua forza d'animo e i suoi amici...perchè? perchè le sue uniche certezze non si riflettevano con lei in quello specchio? Perchè doveva vedere una se stessa che non riconosceva e che non avrebbe mai riconosciuto? Quella Rukia non era lei. Dove aveva lasciato i suoi sogni? Dove era finito il suo mondo? Era giovane, ma non così tanto da ricominciare proprio tutto.
In un attimo di rabbia, cominciò a battere con le mani ripetutamente sullo specchio, facendolo vibrare ad ogni colpo, fino a quando si cominciarono a creare delle crepe. Non si fermò e continuò a colpirlo, finché si spaccò e dovette ritirare la mano sanguinante, che prese a pulsarle dal dolore, con una grossa scheggia ancora conficcata nel palmo.
Gemette, portando la mano sul petto e sorreggendola con l'altra. Cominciò a piangere più intensamente, le sue labbra presero a tremare fra i singhiozzi, non solo per il dolore fisico. Il suo lamento divenne così forte che i domestici dovettero affacciarsi per controllare cosa fosse successo. Si allarmarono quando videro lo specchio frantumato, e centinaia si schegge attorno alla giovane Kuchiki, con la mano e il kimono sporco di sangue. Le vennero vicino, ma lei non permise loro di avvicinarsi, dimenandosi istericamente. Così questi l'afferrarono di nuovo, intenzionati a somministrarle per l'ennesima volta quei disgustosi calmanti. Rukia era così irrequieta che dimenticò il dolore e fece per scappare via, ma fu subito bloccata da uno dei servi, più massiccio rispetto agli altri, che la prese per la vita e la sollevò da terra facilmente.

"Lasciatemi! Lasciatemi...!! Sigh...sigh..."

"Vogliamo solo curare la sua ferita, si calmi."

"Basta...bas...ta......."

Continuò a singhiozzare. Le avvicinavano alla bocca quell'intruglio e fu costretta ancora una volta ad ingerirlo. Sentì i suoi occhi pesanti e la sua testa leggera.

"Nobile Byakuya..."

Non seppe perchè, ma volle pronunciare il suo nome.
Le si parò nella sua mente la sua figura aristocratica e distinta. Voleva vederlo.
Voleva...

Chiuse gli occhi.

"Signore!"

"Lasciateci soli."

Rukia sentì di nuovo il pavimento sotto i suoi piedi. Aprì appena gli occhi, e si accorse che i servi l'avevano lasciata. Un po' intontita per l'effetto del medicinale, cercò di mettersi bene in piedi, e fu allora che vide di fronte a se il ventre di un uomo vestito di scuro.
Alzò lo sguardo riconoscendo quel kimono e impallidì vedendo Byakuya Kuchiki.
Lui la guardava con severità. Aveva saputo da Ginrei che l'aveva spiato mentre si vestiva?

Le si avvicinò e lei chiuse istintivamente gli occhi aspettandosi un rimprovero da parte sua, cosa che però non avvenne.
Infatti il ragazzo le sollevò il braccio ed osservò la ferita che aveva sul palmo della mano. La ragazza rimase senza parole, incantata mentre lui scrutava il taglio e la scheggia ancora conficcata in esso.
Osservò il suo viso e per la prima volta rimase a guardarlo da vicino, palpitando ad ogni suo tocco, ad ogni respiro che sentiva soffiare sulla pelle della sua mano vicinissima a lui.
Il ragazzo poi prese la scheggia fra due dita e con fermezza la levò via, costringendo Rukia a levare via la mano dalla sua per il dolore lancinante infertole. Subito però si scusò per la sua impulsività e riallungò la mano verso di lui, costernata.
Byakuya la osservò per diverso tempo, soffermandosi sopratutto sul suo vestito imbrattato di sangue. Mosse appena le sottili labbra, schiudendole, poi portò una mano dietro le caviglie della ragazza e con un gesto veloce la sollevò da terra, portandola fra le sue braccia. Rukia portò le mani sul petto e arrossì violentemente. Quando lui ricambiò il suo sguardo, abbassò il viso sperando che lui non si accorgesse del suo stato d'animo. Il suo cuore cominciò a palpitare forte.
Abbandonò involontariamente la testa sul suo petto, forse per effetto del calmante, e sentì il cuore di Byakuya battere regolarmente. Era un suono dolce, che la tranquillizzò completamente.
Byakuya rimase in silenzio, trasportando la ragazza in una stanza più sicura dove farla medicare, rivolgendole di tanto in tanto i suoi occhi ed osservandola mentre pian piano lei si abbandonava su di lui e cominciava a chiudere le palpebre ancora inumidite dalle lacrime.
Quell'apparenza debole, quel viso innocente e quella pelle così pallida...rimembrava in lui ricordi che non pensava di poter toccare così con mano.
Gli sembrava quasi di rivivere tutto quello che aveva passato, attraverso un'estranea ragazzina che insopportabilmente non faceva che ricordargli
lei.

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Capitolo 2
*** You haven't the right to be her ***





Capitolo 2. You haven’t the right to be her.




Un nuovo inizio, un nuovo giorno. Non sono tanto diversa da ieri, in questo specchio continuo a non vedere che un riflesso.
Però, qualcosa è cambiato dopotutto.


Erano passati diversi giorni dalla sua adozione nella famiglia Kuchiki.
Rukia era seduta sulla soglia dello shoji di camera sua che collegava all’esterno. Accarezzata dalla leggera brezza di primo mattino, si sentì finalmente libera. L’aria fresca che soffiava sul suo viso sembrava la stessa che sentiva quando nel Rukongai, al mattino presto, si recava vicino al fiume per trovare qualche attimo di quiete, e pensare. Riconosceva la dolcezza di quel soffio ed il suo tenue profumo.
Forse, dopotutto, non era poi così lontana se poteva raggiungerla fin lì.
Il suo sguardo si perse nelle luci che pian piano cambiavano colore, dando spazio a tinte più luminose che proiettavano, per contrasto con la grande fonte di luce del sole che pian piano ergeva, ombre ancora più nette sulle cose.
I suoni erano delicati, silenziosi, ma bastava chiudere gli occhi per sentire il dolce mormorio del vento che scuoteva le foglie, l’erba del prato umido, l’acqua, il cui scroscio la rilassava completamente.
Aprì debolmente gli occhi. Questa volta il sole era più intenso e tutto sembrava sul giallo.
A quell’ora del mattino era come se il tempo scorresse più velocemente. Quasi come se volesse che il suo spettatore godesse per poco tempo di quell’atmosfera, proprio perché doveva rimanere magica.
Proprio perché doveva riuscire ad incantare chi riusciva a svegliarsi presto.
Un attimo prima il cielo era ancora scuro, e l’attimo dopo già era tinto di un celeste chiarissimo, contornato da un orizzonte arancione che rimandava al tramonto.
Se tutto il giorno fosse stato così, nessuno avrebbe più fatto caso alla bellezza del silenzio, e all’unicità dei colori che pian piano cominciavano a risplendere nel buio.
Fu felice che il nobile Byakuya proprio la sera prima le avesse dato quella stanza che affacciava sul giardino.
Si era ritrovata spesso a pensare di chiedere questa cortesia, ma non le si era mai presentato il momento opportuno. Eppure, di sua iniziativa, era stato lui stesso ad annunciarle che poteva scegliere la stanza che più preferiva, indicandole fra quelle che affacciavano sul giardino.
Per un attimo si era chiesta come avesse mai potuto intuire questo suo piccolo capriccio. Non credeva di essere mai stata evidente.
Abbassò lo sguardo e prese ad osservare distrattamente la sua mano fasciata, adagiata sulle sue gambe.
Se la muoveva, sentiva ancora le fitte del dolore di quella ferita provocatole dalla scheggia di vetro dello specchio che lei stessa aveva frantumato. L’accarezzò debolmente, ma anche un delicato gesto come quello bastò a farla sussultare.
Chissà perché, invece, quando era stato lui a toccarla, non aveva provato alcun dolore.
Anzi. Il ricordo di quel piacevole tocco sulla sua pelle bastava a farle sentire delle vibrazioni per tutto il corpo.
Ricordava ancora nitidamente il viso impenetrabile del nobile Byakuya che osservava la sua ferita dopo l’accurata visita del medico di famiglia. Lui era sempre gelido e noncurante, eppure fu sicura che fosse preoccupato per lei. Le aveva chiesto distrattamente perché lo aveva fatto, e lei non aveva saputo rispondergli. Si era solo limitata a sorridergli. Perché poi? Perché gli aveva sorriso proprio in quel momento? In realtà era semplicemente felice che lui fosse lì, a chiedersi qualcosa su di lei, anche se per pochi minuti.
Il fatto di essere stata nei suoi pensieri per quel piccolo lasso di tempo l’aveva fatta sentire insolitamente felice e quella stessa emozione la pervadeva tutt’ora, rievocando quel momento, fino a disegnarle sul volto quella medesima contentezza.
Eppure lo conosceva da così poco.
Lui, nonostante quel temperamento glaciale, in qualche modo era diventato il suo pilastro. Nonostante lo vedesse poco, nonostante avessero poco a che fare l’uno con l’altra, nonostante si incontrassero di raro in quella grande e lussuosissima villa. Lui era diventato il suo unico scoglio e in questo buio immenso dove doveva rintracciare pian piano le linee della sua vita, vedeva nitido il suo profilo, i suoi occhi.
Non c’era un motivo. Era così e per questo aveva deciso di provarci. Di provarci per davvero ad essere un Kuchiki.
Non sarebbe stato facile ricominciare tutto, ma avrebbe almeno tentato.
Ancora di più questa era l’occasione buona perché il nobile Ginrei Kuchiki si era allontanato di casa proprio la sera prima. Non le era stato detto il motivo della sua partenza, ma sapere che non ci sarebbe stato per qualche giorno la sollevò non poco visto che in quella casa tutti non facevano che tenerle gli occhi addosso. Tranne Byakuya.
Quel pensiero l’intristì di colpo.
Byakuya era l’unica persona alla quale avrebbe volentieri dato conto, eppure era il più lontano di tutti. Si chiedeva spesso perché.
Scosse velocemente la testa.
Adesso erano soli in casa, Byakuya di certo non si sarebbe allontanato visto che avrebbe dovuto curare gli affari di famiglia da solo. Sarebbe stata la sua occasione per cominciare a stringere un qualche legame con lui. Chissà, magari avrebbero persino scoperto di andare d’accordo.
Così si alzò e prese a scegliere da sola i vestiti da indossare. Ancora non le andava giù che fosse lavata, vestita e acconciata da degli estranei. Forse anche per questo aveva preso a svegliarsi presto, così da farsi trovare già pronta in camera.
Lasciò velocemente la stanza, quindi, per dirigersi nel bagno di quell’ala della casa. Si guardò appena intorno, la casa sembrava deserta in quella zona. Probabilmente perché era riservata alle stanze da letto e alla servitù non era permesso avvicinarvisi prima di un certo orario. Non ci stette a pensare troppo, comunque, e sgattaiolò per i corridoi attenta a non far rumore. Girò appena lo sguardo in direzione della stanza di Byakuya.
Dal fusuma non illuminato, dedusse che la stanza fosse ancora al buio. Probabilmente lui stava dormendo.
Sentì una strana morsa al cuore pensando al nobile Byakuya steso sul suo futon, con un viso rilassato, che dormiva nella penombra. Deglutì cercando di distogliere la sua mente da un’immagine simile, ma non le fu facile. Che lo volesse o meno, il ragazzo dai capelli neri riscuoteva non poca curiosità in lei.
Aprì il futon che conduceva nel bagno e, ancora prima di entrare, tirò via la cintura che teneva fermo lo yukata, che fece scivolare dalle sue spalle fino a lasciarlo cadere per terra. Prima di entrare nell’ofuro si osservò nello specchio e questa volta non pensò a nulla.
Si sedette sullo sgabello e prese ad insaponarsi velocemente. Aveva cominciato improvvisamente a sentirsi nervosa. Questo ogni volta che vedeva la sua immagine.
Massaggiò le sue spalle, per scendere pian piano sul petto, poi sul ventre.
Lentamente riprese ad avere dei movimenti più delicati. Un leggero brivido le trapasso l’intero corpo e fu costretta a stringere le spalle fra loro.
Forse era rimasta seduta sullo sgabello troppo a lungo e stava prendendo freddo, così si buttò addosso l’acqua calda.
Espirò bruscamente per cacciare l’acqua che inevitabilmente era scivolata sul suo viso. Stropicciò gli occhi portando poi la mano sui capelli per buttarli all’indietro. Sentì questi sfiorarla appena all’altezza delle scapole. Quando erano bagnati, i suoi capelli potevano considerarsi lunghi, sfortuna era che una volta asciugati tendessero sempre a gonfiarsi, e quindi a ricadere a malapena sulle spalle. Non che non le piacessero, ma vedersi diversi qualche volta è interessante. E in quel senso, immaginarsi con i capelli lunghi e lisci le dava una certa impressione. Positiva.
Si sciacquo più volte prima di immergersi nella vasca d’acqua calda per rilassarsi. Rimase lì per diversi minuti, lasciando che le sue braccia galleggiassero a pelo d’acqua.
I capelli erano morbidi sulle sue spalle, le cui ciocche più lunghe ricadevano sul seno. Il suo viso cominciava pian piano a farsi paonazzo, ma non ci fece troppo caso perché calore a parte stava bene.
Chiuse gli occhi.
Poteva dire che quello era stato il bagno più bello e rilassante della sua vita. Nel Rukongai non aveva la possibilità di fare tanta attenzione alla sua igiene date le sue precarie condizioni, ma nel suo piccolo coglieva ogni occasione per riuscire a immergersi da qualche parte e darsi una sistemata.
Ma mai aveva fatto il bagno in un ofuro. Un ofuro poi così elegante e spazioso, davvero degno di una famiglia nobile. Era in situazioni come queste che rimpiangeva i suoi amici. Non era giusto che lei fosse lì. Non era giusto che lei avesse tutto questo e loro no. Per di più senza alcuno specifico motivo.
Fu quando un violento raggio di sole si proiettò improvvisamente nell’acqua che la ragazza riprese coscienza.
Si girò di scatto e dalla piccola finestra posta in alto nella stanza, si accorse che il cielo era luminosissimo. Spalancò gli occhi incredula. Doveva alzarsi immediatamente!
Così si mise in piedi ed annodò un asciugamano addosso. Come una stupida non si era portata alcun cambio, così raccolse da terra lo yukata col quale aveva dormito e si affacciò sul corridoio sperando di poter raggiungere camera sua indisturbata.
Come temeva, la casa era completamente illuminata. Dovevano essere in piedi tutti oramai. Strinse i denti, maledicendo la sua stupidità nell’essere rimasta a mollo così tanto tempo, dopodichè si inoltrò fuori percorrendo il corridoio più velocemente che poteva. I piedi nudi e ancora bagnati non le permisero un’andatura disinvolta, così non poté essere veloce come avrebbe voluto.
Si voltò appena verso la stanza di Byakuya. Il futon era aperto. Sbirciò appena dentro con la coda dell’occhio e non vedendolo dedusse che doveva essere in piedi anche lui. Si affrettò quindi a superare la sua stanza, voleva evitare di incontrarlo proprio ora.
Girò l’angolo e mentre si diresse nella sua stanza si accorse che anche il suo futon era aperto. Subito storse il naso sicura che dentro fossero già entrate le cameriere per mettere in ordine. Sospirò pazientemente, ma una volta oltrepassata appena la soglia dovette ricredersi immediatamente.
Byakuya Kuchiki era lì.
Il suo cuore prese a battere velocemente, le sue gambe si immobilizzarono e i suoi occhi si pietrificarono alla sua vista. Il ragazzo guardava distrattamente fuori, completamente immerso nei suoi pensieri, ma lei era più che sicura che, con un simile reiatsu, lui avesse già avvertito la presenza della giovane ancora prima che lei entrasse.
Strinse a se ancora più fortemente l’asciugamano. In verità questo era abbastanza lungo e la copriva dal petto fin oltre alle ginocchia.
Ma era proprio il fatto di essere ancora bagnata e soprattutto di non avere niente addosso oltre quello, ed essere quindi praticamente mezza nuda davanti a lui a preoccuparla. Portò una mano dietro la schiena, cercando di alzare quanto più possibile l’asciugamano anche lì. In verità cominciò a sentirsi decisamente stupida e, proprio quando Byakuya cominciò a voltarsi verso di lei, istintivamente sbandò di colpo e si fece ancora più paonazza di prima, mentre i suoi capelli cominciavano ad arruffarsi asciugandosi al vento.
Byakuya sembrò guardarla con curiosità, ma velocemente le sue attenzioni ritornarono verso lo shoji aperto, dimenticandosi quasi di lei. Fu allora che Rukia con determinazione entrò nella stanza e prese ad afferrare velocemente il primo yukata che ebbe a portata di mano. Lo mise sulle spalle, infilando le braccia nelle maniche e lo allacciò velocemente in vita, provvedendo dopo a tirare giù l’asciugamano.

“N-nobile Byakuya…tu, cosa…cosa ci fai qui?!” disse mentre metteva in azione il suo piano di vestirsi senza svestirsi.

“Dalla finestra aperta, ero sicuro tu fossi in piedi. Vestiti, dopodichè vieni da me.” Disse asciutto non rivolgendole alcuno sguardo.

“Io posso venire subito se vuoi. Sono già…” Lui la guardò dritto negli occhi, interrompendo così il suo discorso.

Il nobile Byakuya sapeva comunicare anche con un solo sguardo e da quel gesto sembrava volerle far capire di preparasi come si deve. Fu quando però i suoi occhi scesero leggermente più in basso che Rukia capì veramente. Seguendo i suoi occhi infatti, si rese conto che il sottile tessuto dello yukata si era bagnato in diversi punti dato che il suo corpo era ancora umido quando l’aveva indossato. Visto poi che sotto, per la fretta, non aveva indossato nulla, e il colore del suo vestito fosse un delicato rosa confetto, si vedevano abbastanza nitidamente, da sotto il tessuto, le forme del suo corpo che, seppur acerbo, era comunque il corpo di una giovane donna.
Così strinse subito le mani sul petto e prese a fissare imbarazzatissima il pavimento non sapendo se o cosa dire.
Per lei il nobile Byakuya era un estraneo dopotutto.
Come si era permesso di guardarla in maniera tanto spudorata?
Per di più quell’espressione divertita, che si intravedeva a malapena sul suo volto, ma che ai suoi occhi era più che evidente date le circostanze, cominciò ad irritarla notevolmente. Dovette trattenersi nel non reagire in nessun modo.

“Potrei essere lasciata da sola adesso?” disse usando per la prima volta un tono più nervoso nei confronti di Byakuya.

Il ragazzo si limitò ad annuire, le diede le spalle e sfilò via allontanandosi leggiadramente da quella stanza.
In quel momento, la soavità dei movimenti di Byakuya fu qualcosa di così fastidioso, e fu capace solo di guardarlo con un’espressione alterata e perplessa.

Che tipo di persona era quel ragazzo?
Era distaccato, freddo, aristocratico nei modi…e poi se la rideva sotto i baffi di fronte il suo imbarazzo?!

Aggrottò le sopraciglia ancora innervosita e tremendamente confusa, dopodichè chiuse violentemente il fusuma e prese ad asciugarsi e vestirsi come si doveva.
Più tardi, una volta pronta, si fece coraggio e si presentò davanti la camera del nobile Byakuya come lui le aveva chiesto, con l’intenzione al momento di non alludere a ciò che era successo poco prima.
Non aveva neanche voglia di pensarci più di tanto, anche se il cuore le batteva forte alla sola idea che lui avesse potuto dir qualcosa in merito. Il sol pensiero le faceva venir voglia di girare i tacchi e far finta di aver dimenticato la sua richiesta di venire lì. Tuttavia oramai era troppo tardi, lui sicuramente si era già accorto della sua presenza. Tanto valeva mostrarsi disinvolta. Cominciare in questo modo la loro convivenza da soli, senza la presenza del nonno, era inappropriato. Aveva già deciso che almeno con lui voleva partire bene e per questo doveva approfittarne fintanto che erano soli in casa. Dopotutto Byakuya non sembrava tanto più grande di lei. Forse era già maggiorenne, ma in fin dei conti quattro o cinque anni di differenza non erano poi molti. Chissà che quindi lui non si sarebbe lasciato andare un po’ con lei, allontanando da se quella maschera impenetrabile che lui indossava costantemente.
Chinò appena la testa, poi alzò la mano e con le nocche batte delicatamente sul fusuma generando dei rintocchi appena udibili, ma che bastarono per far sì che dall’altra parte venisse risposta. Pochi istanti e infatti Rukia sentì la calda voce di Byakuya che l’invitava ad entrare.
La ragazza dai capelli neri deglutì, infilò la mano nell’apertura della porta e la tirò per poi entrare appena sulla soglia. Non osò proseguire di più, non sapeva mai bene come comportarsi in quella famiglia così attaccata a determinati clichè che lei non sapeva se e quando sarebbe mai riuscita ad imitare.
Prese a guardarsi intorno. La stanza aveva già avuto modo di scrutarla quella volta in cui si era incantata ad osservarlo di nascosto in camera sua, ricordava con un certo imbarazzo, però ufficialmente era quella la prima volta che vi entrava. Era ampia, spaziosa, ben arieggiata ed ordinata. La stanza che esattamente si ci aspettava.
Byakuya era di spalle e, come suo solito, non si voltò neanche per assicurarsi che fosse lei.
La sua schiena era lunga e dritta, e nonostante questo suo aspetto esile, le sue spalle sapevano trasmettere forza ed imponenza. Il nobile Byakuya doveva essere un abile combattente, ne era certa.

“Siediti, Rukia.”

La ragazza annuì con la testa e si inginocchiò velocemente rimanendo a guardarlo. Lui parlava sempre molto lentamente, per questo non era mai in grado di capire quando prendesse parola o no.
Il silenzio tuttavia durò a lungo e per questo si sentì in dovere di dire qualcosa. Byakuya intanto chinò appena il capo cominciando a fare per posizionarsi di fronte a lei e parlare, ma la ragazza era così profondamente agitata da non accorgersene. Tanto che prese a parlare a raffica convinta che spettasse a lei rompere il ghiaccio in qualche modo.

“E’ davvero una splendida giornata! Stamattina ne ho approfittato per allenarmi, spero di non aver arrecato disturbo. Il giardino è davvero bello! Non l’ho neanche ringraziata per la stanza, la vista è davvero magnifica. Noto che anche la sua affaccia qui. Oh! Ehm…ho appreso che il nobile Ginrei è fuori per qualche giorno, spero sia…”

Si fermò notando la faccia attonita del nobile Byakuya.

Lui infatti sembrava aver assunto per la prima volta un qualche tipo di espressione. Sembrava piuttosto perplesso di quanto la ragazza fosse capace di parlare, e di argomenti quasi decisamente sconnessi fra loro per giunta.
In verità non la stava guardando con rimprovero, ma con un genuino stupore. Tuttavia il suo viso era da sempre abituato ad non esprimere mai chiaramente ciò che sentiva davvero.
Così si limitò solo a riposizionarsi di fronte a lei e a nascondere un lieve ghigno che ai suoi occhi avrebbe potuto essere inteso in modo dispregiativo.
Da parte sua, Rukia invece si sentì terribilmente mortificata non sapendo di preciso dove aver sbagliato. Certo, in verità vedere Byakuya guardarla con quella faccia le aveva fatto salire il cuore in gola e il viso le si era fatto di colpo bollente. E non perché pensava di aver fatto una brutta figura, ma perché per lei era strano identificare in lui situazioni normali come lo stupore, la rabbia, gioia, ecc…
Lo vedeva ancora da lontano, come un personaggio di un libro del quale non conosceva ancora le sfaccettature. Ed il primo incontro con una di queste sapeva lasciarle il segno, anche se erano appena impercettibili come le sue.
Era successo anche quando l’aveva guardata la prima volta negli occhi quando era andata con lui e Ginrei Kuchiki a discutere brevemente sulla sua adozione qualche giorno prima.
Ritornò velocemente al presente. Chiuse gli occhi e gli porse le sue scuse tutto d’un fiato.

“Mi dispiace nobile Byakuya! Forse ho parlato troppo.”

Strinse gli occhi più che poteva. In qualche modo quel gesto l’aiutò a scaricare la tensione. Si ritrovò involontariamente a stringere il kimono nei i pugni delle mani all’altezza delle ginocchia.
Improvvisamente si sentì appena sfiorare il mento. Guidata da quel leggero tocco, alzò il viso e si ritrovò davanti gli splendidi occhi grigio-blu del ragazzo dai capelli neri. Le sue dita erano delicate, la toccavano appena, eppure emanavano una energia che sembrava premere direttamente sulla sua volontà.
Lui rimase composto, seduto normalmente di fronte a lei, con il braccio teso mentre la guardava profondamente. Lei restò a perdersi nel suo viso incapace di guardare altrove, estasiata che fosse lui ad averla voltata verso di se.
Lo vide muovere lentamente le labbra e parlare con quel tono profondo e basso, eppure autoritario, che da un lato temeva, dall’altro considerava assolutamente seducente.

“Ti prego, non essere così tesa.” Le disse mantenendo con quel suo modo di fare serio ed impenetrabile.

Rukia, ancora persa nei suoi tratti, cercò di tornare padrona di se. Così eliminò quei suoi occhioni sbarrati e smarriti, recuperando un’espressione più normale e naturale.

“Bene.”

Annuì lui compiaciuto, allontanando lentamente la mano dal viso della ragazza, che per poco non sussultò poiché presa ancora fortemente dai suoi sentimenti.
Un leggero tocco del nobile Byakuya era capace di fare questo. Aveva sentito delle forti vibrazioni scorrerle per tutto il corpo fino a scaricarsi a terra. Delle vibrazioni così forti che avrebbero fatto sbandare il corpo intero se fosse stata giusto leggermente meno padrona di se. Si chiese se il ragazzo fosse consapevole di poter suscitare simili sentimenti nelle persone che lo circondavano. Oppure chissà se succedeva soltanto a lei, ma non credeva. Era un ragazzo giovane ed affascinate, chi mai avrebbe potuto essere indifferente ad un suo sguardo o ad un suo tocco?
Lo vide adagiare la sua candida mano sulle gambe e da quella sua espressione posata e seria si chiese se invece non stesse fantasticando troppo e magari stesse solo sognando.
Per lei quell’attimo era durato un lunghissimo minuto, era stato così solo per lei? Probabilmente sì. Lui era naturale e frigido come il solito. Per lui non era successo assolutamente niente.

“Dovresti venire con me al gotei. Sarebbe il caso tu cominciassi a prender posto li.”

“Al gotei?” lo interruppe presa alla sprovvista. “Suo nonno ha ordinato che io avrei dovuto ricevere prima delle lezioni di educazione. Non credevo che invece…”

“Vuoi diventare una shinigami? Allora dobbiamo cominciare a muoverci, Rukia. E per quanto riguarda la tua educazione, studierai anche quello. Una cosa non esclude l’altra.”

“Certo.” Annuì lei trovando più che ovvie le sue parole. Si chiedeva solo quando avrebbe trovato il tempo di studiare se allo stesso tempo avrebbe anche lavorato come shinigami.

“Seguimi.” Le ordinò alzandosi per primo e dirigendosi verso la soglia della porta.

Rukia lo imitò immediatamente e prese a camminare dietro di lui. Visto da così vicino, Byakuya era decisamente alto. In verità lei già di suo era una ragazza piuttosto bassina, anche per la sua età, quindi se già normalmente lui era prominente, vicino a lei lo era ancora di più. Si sentì leggermente in imbarazzo nel dover alzare addirittura tutta la testa per potergli vedere il viso. Lei gli arrivava a malapena al petto, forse era il caso di imparare ad indossare delle scarpe alte.
Sorrise appena, divertita dal pensare una cosa del genere. Vide Byakuya rivolgerle appena uno sguardo avendo notato l’espressione vivace della ragazza che subito si giustificò.

“Chiedo scusa. E’ solo che notavo quanto siete alto.”

Il ragazzo dietro i suoi occhi vitrei e glaciali, fu di nuovo sorpreso dello strano modo di interloquire di Rukia. Byakuya Kuchiki era un uomo abituato fin da giovane a parlare in modo serio e non confidenziale. Discorsi vaghi, incentrati sul più e il meno non erano mai stati il suo forte per questo. Gli era stato insegnato ad esprimersi sempre con fare tecnico. Difficilmente le persone con cui si era trovato ad avere a che fare erano mai state intenzionate invece a stabilire un rapporto con lui, se non davvero poche.
Per questo rimase in silenzio, non curandosi di dare una risposta alla giovane nuova entrata della sua famiglia. Si limitò solo a rallentare il passo per farle capire che preferiva che lei gli camminasse di fianco, anziché vederla seguirlo alle sue spalle.

[…]

La mattinata passò in fretta. In verità Rukia non aveva capito bene il perché il nobile Byakuya l’avesse portata con se al lavoro. Le aveva fatto conoscere della gente, ma oltre al sentirsi tremendamente perduta fra tutti quei corridoi che caratterizzavano il gotei, non le era rimasto altro.
Si buttò energicamente sul futon in preda alla stanchezza e la testa le pulsava da impazzire.
Le prime ore era stato anche piacevole osservare il ragazzo dai capelli neri mentre dirigeva il lavoro di suo nonno, capitano della sesta compagnia, e mentre compilava quelle carte che in accademia aveva imparato a riconoscere anche lei.
Persino in quel contesto, dove emergevano altri shinigami di nobili origini appartenenti a famiglie altolocate, lui sapeva ergersi al di sopra di loro e circondarsi di un’eleganza inequiparabile. Quasi come se facesse parte del suo stesso dna a differenza degli altri nobili che invece davano l’aria di essere decisamente impostati.
Lui invece era naturale, disinvolto, un vero principe dal sangue blu. Sì, Byakuya era quanto di più si avvicinava alla figura di un principe. Un principe silenzioso ed aristocratico, tetro ed irraggiungibile, bello ed attraente.
Si sollevò dal futon e guardò fuori dallo shoji. Era ancora giorno ma oramai il cielo stava pian piano lasciando spazio alla sera.
Mancavano però ancora molto tempo per cena. Si chiese se avesse potuto chiedere di uscire per qualche ora. Così si alzò e andò in giro per casa cercando Byakuya, ma stranamente non lo vide in giro. Percorse il corridoio che portava alla sua stanza e quando si rese conto di star girando invano, si rivolse ad una cameriera che stava uscendo proprio adesso dalla sua stanza.

“Scusi, Byakuya dov’è?”

“B-byakuya?” sobbalzo quasi offendendosi per il fatto che la ragazza lo avesse spudoratamente chiamato per nome. “Il signor Kuchiki mi ha detto di non voler essere disturbato. E’ nell’ofuro in questo momento.”

Detto questo riprese le sue faccende e fece per lasciare quell’ala della casa, ma la giovane dai capelli neri la fermò tempestivamente.
La donna si voltò mostrandosi visibilmente infastidita di essere distratta continuamente dai suoi lavori.

“Sa per caso se lui disapproverebbe se io facessi giusto due passi nelle vicinanze?”

“Non so come potrei esserle d’aiuto, signorina. Comunque non ne vedo il motivo.”

Disse più per levarsela di torno.
Per qualche motivo Rukia aveva destato l’antipatia di molte persone in quella casa. Forse perché era una ragazzina del rukongai, o chissà, magari perché a loro modo di vedere sembrava già prendersi molte confidenze. Generalmente Rukia ci faceva caso, ma questa volta era troppo presa dalla voglia di uscire da sola per badare ai toni dei suoi domestici. Così le sorrise raggiante e scappò via.

“Grazie! Ditegli allora che sarò presto di ritorno se chiede di me.”

Era ancora abbastanza frastornata per l’intensa mattinata, l’unica cosa che in quel momento l’avrebbe aiutata a sentirsi meglio non era poggiarsi su un letto, bensì un po’ d’aria fresca. Inoltre non era mai andata in giro per il Seiretei, per questo già l’idea la trovava emozionante di suo. Tanto da farle dimenticare la stanchezza ed ogni tipo di malessere.
Così infilò un kimono blu scuro decorato con dei piccoli fiori, legandolo in vita con un obi rosso scuro, e una volta indossate le ciabatte, uscì di casa. Impiegò un po’ prima di abbandonare definitivamente l’abitazione. Il giardino era così immenso da non essere percorribile in meno di qualche minuto. Per di più la sua bellezza di quando risplendeva sotto le luci del tramonto era paradisiaca, e non riusciva a non distrarsi quando, percorrendo quei sentieri, incrociava i bellissimi alberi di ciliegio, i cespugli in fiore, e sentiva quel bellissimo profumo di erba. Arrivata al cancello di ingresso, rivolse un’ultima volta lo sguardo verso di esso.
Da lontano era ancora più bello. Le macchie di colore si confondevano fra di loro donando un’aria mistica e fiabesca a quel posto. Chi l’avrebbe mai detto che un posto simile sarebbe diventato la sua casa.
Guardò dinanzi a se. La strada era leggermente in salita. Chissà che camminando in quella direzione non sarebbe riuscita ad ammirare la casa anche dall’alto. Senza pensarci troppo prese a percorrere quella strada, mentre lentamente le luci del tramonto facevano spazio a quelle più scure della notte. Vide cominciare a sbucare dal cielo le prime stelle.
Rimase estasiata da tale vista.
Di tanto in tanto sbirciava le altre ville che sorgevano tra le colline e costatò che era tutto quel quartiere che in generale era curato e pittoresco, anche se la villa Kuchiki rimaneva senz’altro quella più vistosa ed elegante.
Più si perdeva in quel paesaggio e più pensava a quanto fossero profondamente diversi il rukongai ed il sereitei.
Si chiese se mai anche i suoi amici avessero potuto vedere ciò che stavano ammirando i suoi occhi. Magari un giorno li avrebbe rivisti, e li avrebbe tutti ospitati a casa sua. Forse un weekend in cui sarebbe stata sola in casa, perché sapeva che difficilmente i Kuchiki avrebbero approvato un’iniziativa simile. Anche se qualche simpatia per la gente del rukongai dovevano averla. Dopotutto l’avevano adottata, e se l’avevano fatto voleva dire che non tutti quelli della nobiltà erano poi così intolleranti come sembrava.
Si guardò in giro. Essendo la prima volta che percorreva quelle vie, voleva evitare di allontanarsi troppo. Si sedette ai piedi di un albero posto di fianco a lei e riprese ad ammirare silenziosamente tutto.
La sua mente cominciò a svuotarsi completamente. La serenità di quel paesaggio stava entrando a far parte di lei ed il forte desiderio di godere a pieno quel momento cominciò a palpitare forte. L’unica cosa che le mancava era qualcuno con cui godere di tutto questo.
Si mise in piedi, alzò un braccio ed afferrò il primo ramo che fu in grado di raggiungere e si tirò su incastrando il piede nel tronco. Ripeté questo movimento finché non arrivò abbastanza in alto e si sedette.
Poggiò la testa contro il tronco e pur volendo tenere lontano dalla sua mente ogni tipo di pensiero, la solitudine non faceva che affliggerla.
Certo, nel rukongai non aveva tutto questo, però…

Però…aveva i suoi amici.

Persone che la conoscevano.

Persone che le volevano bene.

Tutto questo le mancava…le mancava fortemente.

Improvvisamente sentì un reiatsu a lei fortemente familiare.
Balzò in piedi e sperando di scorgere in qualche modo la sua presenza. Chiuse gli occhi cercando di concentrarsi e dall’intensità dell’energia sembrava che lui fosse nel boschetto li nelle vicinanze.
In preda all’emozione, saltò giù dall’albero e prese a seguire l’energia spirituale che aveva sentito.

Era lui, era sicura che fosse lui. Dopotutto non era più tardi delle otto, chissà che non fosse venuto ad allenarsi li su ordine dell’accademia. Dopotutto lei, essendo stata adottata dai Kuchiki, aveva abbandonato la scuola per gli shinigami. Ma regolarmente avrebbe dovuto frequentarla ancora.
Sì, per questo doveva essere per forza lui.

“Renji? Renji? Sei tu, brutto stolto?” disse cercando di non sorridere troppo mentre oramai aveva raggiunto il bosco e vi si era già inoltrata dentro.

Avanzò di molto e solo quando tutto cominciò a farsi decisamente più buio rallentò il passo. Strinse le braccia fra di loro per via della forte umidità e prese a guardarsi intorno frastornata.

“Renji?”

Ripeté più volte il suo nome, ma non sentiva più neanche la sua energia. Cominciò a chiedersi se non avesse immaginato tutto, ma si rimproverò subito. Era il suo reiatsu, ne assolutamente convinta. Doveva smetterla di essere così dubbiosa. Così strinse i pugni e cercò in qualche modo di orientarsi, ma la luce scarseggiava sempre di più e cominciò a temere di essersi perduta oramai.
I suoi occhi blu scuro erano fissi sull’ambiente circostante, e nonostante cercasse di non badarci, il cuore le pulsava fortissimo assieme al suo senso di inquietudine che man mano che avanza andava aumentando. Ad un certo punto decise che l’unica cosa da farsi oramai era tornare indietro. Se anche fosse stato davvero Renji, oramai lo aveva perduto. Così si girò al contrario e ripercorse a ritroso la strada che aveva fatto, ma velocemente si rese conto che qualcosa non tornava.

“C’erano tutti questi cespugli spinosi qui? Accidenti…”

Sbandò e dovette inginocchiarsi a terra quando qualcosa la ferì ad un piede.

“Maledizione!”

Disse massaggiandosi il piede e costatando che usciva del sangue sul tallone.
Era buio enon vedeva più niente.
Era andata sempre dritto, la strada doveva essere giusta per forza, non aveva camminato poi molto. Così si rimise in piedi e cercò di ignorare il dolore, ma ogni piccolo ostacolo presente sul terreno comportava delle profonde fitte sulla ferita, tuttavia cercò di farsi coraggio pensando che non doveva essere lontana. Il suo cuore ormai le si stava facendo implacabile e non seppe fin quanto sarebbe riuscita ad ignorare il panico che la stava assalendo irrefrenabile.
Non aveva paura. Era l’ incertezza del nero, il timore del niente sul quale stava marciando. I suoi occhi non bastavano, la luce lunare non l’aiutava. Dove diavolo era finita?
Un punto di riferimento! Un qualsiasi punto di riferimento!
Gli alberi scorrevano veloci al suo passo che, seppur zoppicante, si faceva sempre più veloce. I rami sbattevano sul suo viso, ma lei non curante continuò ad avanzare. Sarebbe arrivata da qualche parte, per forza sarebbe dovuta approdare in una qualsiasi zona se avesse percorso sempre la stessa direzione. Doveva tenere duro, non poteva rimanere lì.
Strinse i denti e cercò di aumentare il passo ancora di più. Voleva andare via. Via assolutamente. Era troppo buio, troppo scuro, non vedeva nulla, se non i cespugli che si facevano sempre più fitti, sempre più…!!

“Ah!!”

Urlò d’istinto quando si accorse di essere sull’orlo di un dirupo.
Osservò il vuoto di quel precipizio e non seppe come riuscì a non cadde giù. Allacciò le braccia al tronco di un albero spezzato per riacquistare l’equilibrio e una volta riacquistato il controllo, lentamente scivolò fino a terra, sfinita dalla paura.
Strinse gli occhi sperando di non piangere.
Aveva paura, era sporca, graffiata, i piedi le dolevano, i suoi occhi pulsavano, e tremava.

“Dove diavolo sono…” sussurrò fra se. “Dove diavolo sono?!”

Il vento soffiava fortemente scuotendole i capelli ormai totalmente scomposti ed impastati di terra e foglie. L’aria era frigida, in una distesa che sembrava dimenticata, infossata nella selva incolta ed abbandonata. Non c’era nessuno. Ed era completamente sola.
Di nuovo.

Era corsa lì perché una parte di lei desiderava rivedere i suoi amici, ma ancora di più voleva riassaporare la libertà.
La libertà di una vita sofferta, ma che era sua.
Pensava di averla placata, pensava di averla domata. Invece quella voglia era viva come non mai, e senza che se ne accorgesse, l’aveva portata lontana da casa. Un istinto curioso, il suo, che l’aveva portata a perdersi in un bosco tetro e buio.
Aprì debolmente gli occhi.
Stranamente la paura cominciò ad abbandonarla. Era stanca, davvero molto. Forse per questo aveva smesso di pensare troppo all’improvviso. Il suo cuore si calmò e lentamente si sdraiò sulla terra, sempre poggiata su quel secco tronco.
Si chiese se il nobile Byakuya si fosse già accorto della sua assenza…magari aveva mandato qualcuno a cercarla. Intanto avrebbe passato sicuramente lì la notte. Quella prospettiva non la turbò come aveva immaginato.
Tornò ad osservare il paesaggio circostante e sotto il chiaro della luna quel precipizio che prima l’aveva spaventata a morte, adesso sembrava quasi bello. Tutto era tornato più quieto. Era davvero possibile provare piacere e timore per una stessa cosa, e cambiare giudizio a differenza di pochi minuti?
In verità non volle chiederselo. Si lasciò solo andare al sonno che si faceva sempre più pesante.

“Ehi! C’è qualcuno li?”

Rukia sbandò a quella voce. Si alzò col busto e portò una mano davanti agli occhi quando una luce la colpì in pieno viso.

“Ragazza, che ci fai qui?!” tuonò la voce sgraziata di un uomo che sembrava un cacciatore, o un taglialegna. Non sembrava ostile, comunque. Anzi, sembrava guardarla con seria preoccupazione. Le si avvicinò e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.

“Mi…mi sono perduta!” rispose lei mentre si rimetteva in piedi, faticando sui talloni feriti.

L’uomo la osservò e si rese conto dei sui graffi un po’ su tutto il corpo.

“Chi sei?” le chiese dolcemente.

In un primo momento la ragazza dai capelli neri non seppe se rispondergli, tuttavia la sua bocca parlò prima che la sua mente prendesse a funzionare come doveva. Così, con gli occhi spalancati ed una voce frastornata, gli rispose.

“R-Rukia. Rukia Kuchiki, signore.” Aggiunse.

“Kuchiki? Bene, posso riportarti a casa. Conosco bene la strada.” Le porse di nuovo la mano, ma la ragazza si ritrasse non sapendo se effettivamente poteva fidarsi di lui. Così l’anziano signore cercò in qualche modo delle parole per confortarla. “Non deve aver timore di me. Ho servito la sua casa per molti anni. Mi occupavo del giardino fino ad un anno fa.”

Sorrise e quell’espressione buona le comunicò fiducia. Avrebbe dovuto rifiutare, sarebbe stato meglio allontanarsi da qualsiasi sconosciuto.
Lo sapeva.
Però il suo istinto la portò a scegliere di seguirlo. Non c’era un motivo, sapeva che fosse del tutto imprudente. Ma lo fece.
Qualche volta esperienze del genere si trasformavano in tragedie, tragedie spesso irreversibili. Ma questa volta Rukia fu fortunata perché aveva incontrato davvero una brava persona che la riportò realmente davanti la villa Kuchiki.
Era notte fonda, ma non riusciva a farsi un’idea di che ora si fosse fatta esattamente. Camminava col cuore che batteva forte, sconvolta per quel che era accaduto. Quando cominciò a vedere da lontano quella casa, luminosa negli splendidi colori delle luminarie accese, non si rassicurò stranamente. Si sentì ancora più inquieta.
Arrivati nei pressi dell’ingresso, girò appena lo sguardo e vide da lontano la figura eretta e composta di Byakuya Kuchiki sul ciglio dello shoji.
Era vestito con un kimono dai diversi toni sull’azzurro, e sulle spalle un haori in tinta.
Anche l’uomo lo vide e gli fece un live cenno con la mano, poi guardò la ragazza.

“Bene, siamo arrivati. Stia attenta la prossima volta.”

Rukia si chinò con tutto il busto verso di lui.
Intanto anche il nobile Byakuya si era avvicinato assieme ad alcuni membri della servitù, ben attenti ad osservare la scena.

“La ringrazio con tutto il cuore di avermi riportato a casa! Grazie.”

Non era ancora pratica di quale fosse il giusto atteggiamento di un nobile di fronte un ringraziamento di vero cuore. Pensava di doversi mostrare contenuta, ma le venne naturale rivolgergli un sincero e largo sorriso.
Mentre risollevava la testa e gli mostrava la sua espressione felice, l’uomo sembrò osservarla bene per la prima volta.
La luce della lanterna in mezzo ad un bosco non era certamente ottimale, ma quella emanata dalla dimora dei Kuchiki gli permise di guardare attentamente il viso della giovane, e quando lo fece, sembrò quasi terrorizzarsi, spalancando gli occhi e prendendo a tremare.
Lo vide muovere le labbra e sembrare come sull’orlo di un collasso. Per questo l’espressione di Rukia cambiò radicalmente e si fece preoccupata.

“E’ tutto…a posto?”

“Lei…non è possibile. N-nobile Hisana! Lei…”

“Hisana?” ripeté non capendo.

“Rukia.”

La ragazza si voltò verso Byakuya.
Anche l’uomo rivolse due occhi perduti verso il giovane Kuchiki, come se cercasse in lui delle risposte. Ma Byakuya lo sdegnò e, al contrario, quasi lo trafisse con gli occhi, con uno sguardo che sembrava addirittura volerlo uccidere. Rukia ancora non lo aveva mai visto così e quasi ebbe paura di lui.

“Chiedo perdono. Sono lieto di esservi stato utile. Signore, signorina Kuchiki, arrivederci.”

Detto questo si dileguò ancora più confuso e frastornato di come era prima. Rukia lo osservò mentre si allontanava, disturbata e terribilmente confusa. Si rivolse a Byakuya, e mentre faceva per girarsi verso di lui, si accorse che era già sparito.
Si voltò indietro e lo vide inoltrarsi in casa.
Cosa era successo?
Perché aveva reagito così?
Infischiandosene dei collaboratori familiari che le stavano mettendo sulle spalle un michiyuki e già facevano per controllarle le ferite, Rukia corse verso il giovane ereditario del casato Kuchiki e gli si parò davanti. Gli mostrò un’espressione corrucciata e contrariata per quel modo di fare assolutamente sgarbato verso chi le aveva salva la vita, e per la prima volta gli parlò con quella schiettezza e determinazione che contraddistingueva il suo carattere nel rukongai.

“Nobile Byakuya! Quell’uomo mi ha messo in salvo! Ero in pericolo per colpa della mia imprudenza e lui mi ha aiutato! Perché ti sei comportato così?!” strinse i pugni.

Il ragazzo dai capelli neri la guardò infastidito e rimase a guardarla dall’alto verso il basto con gli occhi stretti a fessura. Come suo solito, tuttavia, le girò la faccia e fece per rigare dritto.
Come sempre, lei non era meritevole di una risposta. Era entrata a far parte di quella famiglia, ma nessuno aveva intenzione di considerarla tale. Nessuno voleva mai darle delle spiegazioni.
Tutti questi pensieri affollarono la sua mente, e in un attimo di disperazione e rabbia, urlò di nuovo il suo nome come per implorargli una reazione, una qualsiasi reazione. Così allungò il braccio e prima che lui si muovesse, lo affermò per la manica del kimono.

“Nobile Byakuya!”

Byakuya si voltò di scatto, e le rivolse due occhi di ghiaccio che la fecero sbandare.
Aveva ottenuto la sua reazione. Il nobile Kuchiki aveva cambiato espressione e lo aveva visto guardarla con odio e disprezzo.
Aveva alzato solo un po’ la voce, ma quel tono grave su di lui era capace di immobilizzare chiunque fosse lì vicino. Sia Rukia che la servitù, infatti, rimasero impietriti, incapaci di dire o fare qualsiasi cosa.
Tutto sembrava essersi bloccato. Il vento, gli sguardi, i pensieri…tutto, prima che lui distogliesse lo sguardo non vincolando più con i suoi occhi temibili i presenti.
Chiuse gli occhi come per recuperare lucidità, poi li riaprì e guardò nel vuoto. Rukia intanto si sentì sprofondare. Non seppe assolutamente cosa dire.

“Devi chiamarmi ‘fratello’, Rukia. Non voglio ripetertelo.”

Detto questo si dileguò entrando in casa.
Rukia si sentì mancare. Una volta che lui fu scomparso dalla vista di tutti, i domestici le si avvicinarono e l’accompagnarono in camera sua e cominciarono i preparativi per medicarla.
La sua mente rimase annebbiata per tutta la sera, mentre un solo nome echeggiava dentro di lei.

Hisana…

Chi era questa donna?

Chi era questa persona, il cui solo nome era stato capace di alterare tutti quella notte?

E poi cosa significava quella risposta?
‘Fratello’?
Perché proprio ora Byakuya aveva ribadito che doveva chiamarlo così?
Cosa c’entrava con il loro discorso?

[…]

“Cosa gli è saltato in testa?”

“Nominare la nobile Hisana…sa bene quanto turbi ancora il signor Kuchiki Byakuya.”

Byakuya si sdraiò sul suo fusuma. La sua stanza era immersa del silenzio e nel buio più immenso. Non era aperta alcuna finestra, alcuna fonte di luce entrava in quella stanza. In quel momento l’oscurità era l’unica cosa che sembrava ancora aiutarlo a non vedere niente, neanche i suoi pensieri.
Girò appena gli occhi verso la porta e prese ad osservare la debolissima luce che filtrava da sotto il fusuma. Sentiva perfettamente le voci dei suoi domestici che bisbigliavano fra di loro cercando di non disturbarlo. Pensavano forse non li sentisse.
Si voltò completamente, dando le spalle alla porta e chiuse gli occhi.
Immagini e ricordi cominciarono a prender forma nella sua mente.
Il profumo del suo giardino in fiore, il cielo azzurro, la sua voce, i suoi occhi, la sua pelle…

Era tutto così vero…

Era tutto ancora così vivo e reale. Gli sembrava di porte ancora toccare tutto con mano.

Dopotutto…era passato solo poco più di un anno da allora.




[Un anno prima]




“Nobile Byakuya! Nobile Byakuya!”

Una giovane ragazza dai capelli neri corse agitando delicatamente una mano, con i lembi del kimono stretti nell’altra in modo da agevolare i suoi movimenti. Aveva la pelle candida e dei profondissimi occhi azzurri. Il suo kimono era di un delicatissimo rosa, decorato con dei fiori bianchi, stretto in un obi color verde acquamarina, abbinato con un michiyuki dello stesso colore.
Alla sua voce, un ragazzo dall’aspetto aristocratico si girò verso di lei e le rivolse appena un debole sorriso, colmo però della gioia di vederla.

“Ancora non riesco a capire perché insisti a chiamarmi così, Hisana.”

“Perché? Come dovrei chiamarti?” gli chiese mentre sistemava delle rose bianche sulla scrivania dove il ragazzo stava lavorando. Prese poi a spuntarle e pulirle dalle foglie e dalle spine più grosse.

“Byakuya, suppongo.” Disse lui con fare ovvio.

La ragazza ridacchiò.

“Ci proverò allora. Tienimela per favore, Byakuya!” disse marcando la parola Byakuya quasi come a prenderlo in giro, con fare affettuoso naturalmente, mentre gli porse una rosa.

Il giovane l’afferrò fra le dita e gliela sorresse mentre lei continuava a pulirla.
Era estasiato ogni volta che la vedeva.
Il suo sorriso, il suo modo di fare, la sua voce…Hisana era capace di prendere il meglio di lui ed un suo solo sguardo riusciva a trasmettergli la serenità ed il più assoluto benessere. Era delicata, candida, esattamente come quella rosa.
Era la persona più bella e speciale che avesse mai incontrato nella sua vita. Una vita fatta di rinunce, di obbedienza, di rigorosità, disciplina, durezza.
Lei era la sua porta verso quel qualcosa che era sempre mancato nella sua vita. Il calore. Quel calore immenso che solo un animo come il suo era capace di trasmettere.
E lui?
Era capace di trasmettere quel calore a sua volta verso di lei? Non era bravo con i sentimenti, ma dietro al suo sguardo sperava sempre che la ragazza potesse leggere in qualche modo l’amore che ricambiava con tutto se stesso.

“Ahi!”

A quell’urlo di dolore Byakuya subito si sporse verso di lei.
Osservò allarmato la sottile mano della ragazza, dalla quale scendeva una piccola goccia di sangue.

“Accidenti! Non preoccuparti, nobile Byakuya. Mi sono soltanto punta.”

Disse sorridendo e ispezionando il piccolo taglio, ma il ragazzo la precedette e le prese la mano con la sua. Portò il suo dito tagliato verso le sue labbra e con un gesto delicato lo mise in bocca, assaporando il suo sangue ed insistendo con la lingua sulla parte tagliata che localizzò senza troppi problemi.
Hisana rimase ad osservarlo senza smettere di sorridergli ed una parte di lei si sentì in imbarazzo. Adorava sentire Byakuya. Il suo contatto, la sua vicinanza. Però non ci era abituata. Era una ragazza molto semplice e bastava davvero poco ad emozionarla. Per di più un ragazzo come lui…
Byakuya era un uomo riservato e molto taciturno. Però vedeva la sua dolcezza, la sua sensibilità, e sapeva quanto fosse profondo in realtà, e quanto gli imponessero invece le sue responsabilità.
E poteva dire con estrema sicurezza di stimarlo e di essere felice di averlo al suo fianco.
Chiuse gli occhi.

“Nobile Byakuya, adesso basta. Sai bene quanto ci osservino tutti.”

“Lascia che guardino.” Disse continuando a tenere la sua mano vicina a se.

A quelle parole Hisana gli si avvicinò e gli sfiorò il viso con l’altra mano.

“Sono fiorite altre rose da quella parte. Vieni, sono assolutamente stupende.”

Byakuya la tirò verso di se, ed anziché assecondarla, posò le sue labbra sulle sue. Le massaggiò delicatamente, non approfondendo di più il bacio. Si limitò a volerla sentire vicino a se, a voler toccare appena le sua morbida bocca.
La ragazza lo lasciò fare e lasciò che fosse lui a dirigere ogni movimento. Sentiva la delicatezza di quando si premeva contro di lei, assolutamente piacevole ed intensa, assieme alla passionalità che invece cercava di contenere. I suoi baci erano un attimo di soavità che la portavano via completamente.
Quando lui si fermò appena, lei si scostò lentamente e rimase a guardarlo specchiandosi nei suoi bellissimi occhi grigi.

“Nobile Byakuya…grazie.”


Grazie…


Grazie…


Grazie, mi dici.

Hisana…


Dovrei essere io a ringraziarti per quello che mi hai dato, per quello che hai saputo fare di me in così poco tempo.
Sono stato felice.
Per un piccola grande parentesi della mia vita ho conosciuto la felicità.
Ed è stato grazie a te.

Il mio potere, le mie ricchezze, invece, non hanno potuto aiutarti.

Io non ho potuto offrirti più di ciò che avevo.
Tu invece…hai fatto molto di più.


Molto…



Byakuya riaprì gli occhi.
Si voltò di nuovo verso il fusuma e questa volta non filtrava alcuna luce. Dovevano essere tutti a dormire oramai.

Si riabbandonò fra le coperte e gli tornò in mente il viso arrabbiato di Rukia.

Era per questo che voleva che lei non lo chiamasse così.
Era per questo che doveva chiamarla “fratello”.

Perché ogni volta che lei lo guardava negli occhi e lo chiamava nobile Byakuya, la sua mente si confondeva e non riusciva più a mentire a se stesso.
Non lo voleva, ma non poteva negare che la loro somiglianza fosse così impressionante.
Perché..?
Perché Hisana gli aveva chiesto questo?
L’aveva adottata con estremo amore e rispetto verso di lei, ma allora non sapeva quanto lei gli avesse chiesto in realtà.
Rukia era davvero identica ad Hisana.
Soltanto esteticamente, in verità.
Bastava guardare lo sguardo e il tipo di espressione di Rukia perché già le vedesse completamente diverse.
Però i lineamenti…il tutto…non poteva non riportagli alla mente il ricordo della donna che aveva amato.
L’unico modo che aveva per superare il suo passato ed andare avanti in qualche modo era allontanare tutto quello che gli ricordava Hisana.
Ma paradossalmente la cosa che più gliela riportava alla mente era qualcuno che non poteva allontanare.

Nonostante fossero estremamente diverse.

Non poteva ignorarla.
Non poteva tacere.

Ma lo avrebbe fatto.
Perché lo aveva promesso.


La sua vista lo disturbava. Il solo saperla a poche stanze più in la dalla sua lo tormentava.
Lui aveva il diritto di stare da solo con i suoi ricordi. Di stare solo con il suo dolore.
Per questo lei non doveva essere li.

Perché Rukia Kuchiki non era Hisana.

Non sarebbe mai stata Hisana.

Per questo non aveva il diritto di somigliarle, anche se solo esteticamente.



[…]



Vi ringrazio tantissimo per le splendide recensioni che mi avete lasciato. Scusate l'enorme attesa, ma ho diverse long fic da portare avanti, per cui spesso per me è difficile gestirmi il tempo. Se a questo addiziono anche i miei studi... Per questo voglio dirvi che l'aggiornamento sarò lento. Suppongo che più di un capitolo al mese non riuscirò ad aggiornare. Anche perchè è una fanfiction per la quale mi sto applicando molto, perchè sto trattando di due personaggi, Byakuya e Rukia, che mi piacciono molto assieme. In un contesto poi che nel manga mi ha sempre incuriosita.
Spero continuerete a seguirmi.^^

Gargonne: Essendo tu la mia prima recensitrice, non ti dico come stavo a mille quando ho letto il tuo commento.
Si prova sempre un po' di ansia quando si riceve un giudizio e...ti ringrazio davvero! La tua recensione mi è piaciuta tantissimo perchè ha puntualizzato degli aspetti che ci tenevo fossero gli elementi forza del primo capitolo: le emozioni. Mentre scrivevo cercavo io stessa di immergermi in una situazione di ansia per riuscire a descrivere i pensieri di Rukia, i suoi atteggiamenti, ciò che c'era attorno a lei, in modo che il lettore le sentisse almeno minimamente sulla sua pelle. Ed il fatto che le scene da me descritte, l'ultima dello specchio sopratutto, si possa quasi vedere, guarda...mi ha rempito di gioia.
E' soddisfacente leggere nei commenti dei lettori ciò che ti premeva far emergere, per cui sono davvero stata felice di leggere le tue parole. Grazie^^

Xazy: Sono felicissima che nell'insieme la fanfic risulti scorrevole. Sono molte pagine di lettura e temevo risultasse pesante. Ma non sono riuscita a tagliare nulla perchè per me quelle scene insieme assumevano un preciso significato. Quindi sono contenta di apprendere dal tuo commento che sia riuscita a renderla piacevole.
Ho voluto essere elegante e precisa nelle descrizioni e sono lieta che sia qualcosa che ti abbia colpito. Le tue parole mi hanno dato tanta soddisfazione^^ Per non parlare del fatto che trovi IC i personaggi protagonisti di questa storia. Parlare di Byakuya è facile e difficile allo stesso tempo. Non sai mai se sbilanciarti, se osare di più, oppure no. Per cui sto sempre molto attenta. Per quanto riguarda Rukia, la immagino molto dubbiosa, anche spaventata, di questo nuovo mondo in cui dovrà vivere e che la sconvolgerà chiaramente. Come darle torto. I vari flashback presenti in bleach fanno capire come il contesto in cui ha vissuto probabilmente abbia pesato molto su di lei. Per questo mi è venuto naturale descriverla così. Anche se in questo capitolo ho cercato di renderla più dinamica perchè comunque è quella la Rukia che mi piace di più^^ Grazie per avermi recensita!

Valeluce: oh, che piacere vederti^^ Sono stata così felice di leggere un tuo commento! E' importante sostenerci noi fan ByaRuki XD Al di la di come personalmente immaginiamo questo punto del passato di Rukia, mi fa piacere leggere che al momento l'elaborazione ti sia piaciuta. E sopratutto che tu sia soddisfatta. Guarda, è una parola importante perchè io tengo molto che i miei lettori siano prima di tutto soddisfatti di ciò che leggono. E questo rende soddisfatta anche me!^^ Sempre rimamendo in tema, sono stata contenta di leggere che la mia Rukia sia a "tutto tondo" (anche io uso molto questa parola XD). La psicologia mi affascina e per questo cerco sempre di riportarla nelle mie storie, per cui sapere che è uno dei punti forza, mi rende entusiasta! Hai centrato in pieno anche quando hai parlato delle descrizioni, dei particolari a cui do importanza, perchè era davvero mia intenzione descrivere atmosfere ed ambienti in un certo modo. E il fatto che comunque tutto ciò non appesantisca il testo è importante perchè una fic può anche essere stra-elaborata, ma deve essere prima di tutto piacevole da leggere.

Grazie per aver ricambiato la mia recensione^^


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Capitolo 3
*** The truth that I didn't want to know ***


Ecco il terzo capitolo della mia fanfiction ByaRuki. In verità all'inizio non sapevo se renderla una ByakuyaxRukia a tutti gli effetti. Alla fine, anche incoraggiata dai vostri commenti che non hanno guardato male a loro come coppia, ho deciso di lasciarmi andare.
A me come pairing piacciono, spero quindi che riuscirò a rendere un quadro credibile su di loro con questo lavoro, dato che è un pairing molto frainteso secondo me.
Questa fanfic comunque è anche per i non fan di questo pairing. Amo la storia di Byakuya e Rukia ed è principalmente quella la cosa che voglio presentare con questa storia.
Ringrazio coloro che hanno rencensito il capitolo precendente, Garconne e Crim_Noemi01, i cui commenti mi hanno incoraggiato tantissimo a continuare.
Sto infatti cercando di non perdere il ritmo ed impegnarmi nella stesura della storia. E' un lavoro faticoso che mi ruba molto tempo. Quindi sapere che qualcuno mi segue mi rende davvero felice. Grazie davvero!^^
Rispondendo a Noemi, sono felice che trovi la mia byaruki una fic che rispetti l'IC dei personaggi. E' difficile e due personaggi come loro vanno trattati con riguardo e attenzione, come notavi anche tu. Però sinceramente per me questo è il bello delle fanfiction. Analizzare i caratteri e il modo di fare dei personaggi di cui si vuole parlare e valutare se ciò che poi hai scritto è credibile o verosimile. Se no per me non ci sarebbe sfizio. Per me è importante "entrare nel personaggio", quindi il fatto che ci sia riuscita mi ha davvero resa contenta! Grazie!
Rispondendo invece a Garconne, sono lusingata dal tuo commento. Scrivere un libro sarebbe un sogno per me, e leggere le tue parole mi ha fatto emozionare, davvero. Ti ringrazio. Scrivere è un impegno e leggere che ti piaccia il mio stile, che sto cercando di rendere quanto più accurato possibile, mi gratifica pienamente!
Parlando invece del difficile rapporto di Byakuya e Rukia...prescindere da Hisana è pressoché impossibile. Cioè, Rukia ed Hisana sono quasi identiche esteticamente. Sarebbe inverosimile se la loro somiglianza non disorientasse almeno un po' Byakuya. Però questo sarebbe solo un momento iniziale secondo me. Cioè, per me Byakuya non rivede, in Rukia, Hisana. Sarebbe uno sbandamento iniziale, ma le ragazze limitano la loro somiglianza solo al livello estetico. Perchè poi sono quasi completamente diverse, almeno per come la vedo io. Trovo il rapporto di Byakuya e Rukia così intrigante!! E concordo con te col dire quanto Byakuya sia bello! Se immaginato più giovane poi...*_*
Io sono completamente affascinata da questo personaggio! *-*
Caso aggiungo? Un saluto anche a tutti coloro che leggono e che leggeranno la mia storia!

Fiammah_Grace





CAPITOLO 3. The truth that I didn’t want to know.




“Credo che questo colore le stia davvero bene.”

Una delle sarte della famiglia Kuchiki prese a camminare intorno alla giovane ragazza dai capelli neri continuando ad imbastirle il vestito addosso, in modo che le misure fossero perfette.
Di li a pochi giorni sarebbe tornato Ginrei Kuchiki ed avrebbero organizzato una discreta cena di famiglia proprio per l’occasione.
In verità “discreta” non era la parola più adatta. Da come i preparativi fossero partiti una settimana prima del suo ritorno, Rukia già comprendeva che non sarebbe stata una serata normale. Anche quello che i Kuchiki definivano un evento semplice aveva sembianze fastose. Non che la cosa la sorprendesse più di tanto, ma l’idea di partecipare ad un evento simile le faceva battere il cuore. Se già quotidianamente tutti si aspettavano così tanto da lei, chissà davanti buona parte della famiglia cosa sarebbe successo. Spesso non si sentiva all’altezza, e non era solo un’impressione.
Quel mondo non poteva già far parte di lei. Davanti ai suoi occhi scorrevano ancora le vie del rukongai. Si aspettava ancora di aprire gli occhi un giorno ed accorgersi  che in realtà quello che le stava accadendo fosse tutto un sogno. Era tutto così inverosimile, era stato tutto così affrettato.
Tutto era cambiato della sua vita.
Lentamente stese il braccio in orizzontale, in modo che la donna lavorasse meglio, e questa prese a cucire diversamente sulle maniche, adagiando la stoffa sul suo esile corpo, ingombrato dal lungo tessuto.

“Io farei scendere un po’ di più le maniche. Cosa ne dice? Lunghe le trovo molto eleganti.”

Come invece succedeva raramente, accanto a lei aveva finalmente una persona un po’ più loquace.
Era una giovane donna semplice e che sorrideva almeno. Purtroppo era lei che invece aveva la testa altrove.
Si girò appena per rivolgere uno sguardo alla grande specchiera, per dare almeno un po’ di soddisfazione alla donna che si stava applicando davvero molto per il kimono che avrebbe indossato quella cena. Era di un bel rosso, molto avvitato, il che rendeva la sua figura minuta insolitamente longilinea. Le decorazioni sfumavano su diverse tinte, e il piccolo strascico faceva in modo che si aprisse leggermente all’altezza delle ginocchia. Naturalmente in maniera molto contenuta. Era giusto che fosse così, incontrava i suoi parenti per la prima volta ed era meglio non dare nell’occhio, soprattutto se per una cosa come l’abbigliamento. Aveva già sperimentato sulla sua pelle come fosse facile dare nell’occhio nel mondo della nobiltà. Ancora non poteva dimenticare l’atteggiamento irriguardoso del suo insegnante, che l’aveva messa nelle condizioni di reagire, nonostante si stesse impegnando davvero molto a moderare il suo comportamento impetuoso e determinato. La donna intanto le scese il kimono sulle spalle e le si rivolse cordialmente.

“Secondo me dovrebbe indossarlo così.”

“La ringrazio. Mi piace molto come sta venendo, e questo colore è stupendo.” Disse cominciando a trovarsi in verità davvero bene con quel kimono.Non si era mai vista così.

“Mi permetta di dire che le dona. Sarà pronto in un paio di giorni. Ora le faccio vedere come legare i capelli.”

Le si mise alle spalle e Rukia osservò i suoi movimenti nello specchio. Le raccolse i capelli dietro la nuca in uno chignon non troppo stretto, lasciando che cadessero le ciocche più lunghe, che adaggiò sul dito e fece per arricciarle leggermente. Con un fermaglio poi fermò provvisoriamente l’acconciatura.

“Ecco. Giusto per dare l’idea. Va solo messa un po’ a punto.”

Rukia si guardò intensamente. Si trovava così diversa.
Non era mai stata così elegante, così ben curata. E bisognava contare che il vestito era ancora imbastito.
Si trovava…bella.
Rukia era una bella ragazza. La sua pelle era chiarissima e gli occhi di un blu profondo decisamente insolito da vedere su di una ragazza dai capelli così neri. Tuttavia per via del suo fisico immaturo e della sua altezza al di sotto della media, spesso si ritrovava a sottovalutarsi, dimenticando che i tratti facciali fosse importanti in una persona. Però vedersi con quel bel kimono, e quell’acconciatura,  non si sentì di sbagliare pensando che stesse bene. E che, almeno in quel momento, fosse bella. Anche se continuava a non riconoscersi in tutti i suoi aspetti in quel riflesso. Si guardava intensamente, perdendosi nella sua figura, ma non ritrovava ancora se stessa.
Mentre distrattamente continuava a fissarsi nello specchio, vide accanto a se nel riflesso la prestante figura di Byakuya, con il kenseikan fra i capelli, in un bel kimono candido.
Si girò di scatto verso di lui.

“Nobile Bya…!” si interruppe. “Nobile Fratello.” Abbassò il viso. Provava una strana morsa al cuore quando lo chiamava così.

Sentiva che da quell’episodio qualcosa era cambiato.

In verità, erano un paio di giorni che i due non si parlavano neanche, per dirla tutta.

Il mattino dopo la sua piccola avventura nel bosco, Rukia si era recata presto in camera di Byakuya. Si era sentita in dovere di chiarire con lui in qualche modo. Così, con la scusa di portargli la colazione, avrebbero potuto ristabilire un po’ di confidenza.
Aveva bussato al suo fusuma, dopodichè, senza aspettare la sua risposta, aveva fatto scorre la porta.

Fratello, buongiorno.”

Quella era la prima volta che lo aveva chiamato così. Si era imposta di farlo, per fargli capire che aveva ascoltato le sue parole la sera prima.
Byakuya era seduto sul suo futon ancora fra le coperte. Lo yukata era leggermente scomposto all’altezza del petto, tant’è che la ragazza provò in ogni modo a distogliere il suo sguardo da lui. Non era il caso che dopo averlo chiamato “fratello” si mettesse in imbarazzo così davanti a lui. Perciò, coraggiosamente, gli si era avvicinata porgendogli un vassoio con su sopra una tazza di the tiepido, assieme a qualche biscotto.

“Ti ho portato la colazione. E’ un the alla pesca. Spero ti piaccia.” Disse cercando di metterlo a suo agio.

Il ragazzo però non aveva proferito alcuna parola. Era rimasto a guardarla silenziosamente, senza darle alcuna attenzione.
Rukia dedusse che probabilmente non avesse capito le sue intenzioni, così fece un profondo respiro. Doveva parlargli.

“Mi dispiace per quanto è successo ieri. Probabilmente ti ho fatto preoccupare. Ti assicuro che non ero fuggita di casa. Avevo solo pensato di fare due passi da sola. Sono davvero dispiaciuta che invece le cose siano andate a quel modo.” Aveva parlato lentamente, sperando che il nobile Byakuya comprendesse ed accettasse le sue scuse. Non voleva che lui ce l’avesse con lei. Tuttavia Byakuya continuava a mantenere il suo silenzio. Lo vide alzare la tazza vicino alle sue labbra e sorseggiare appena.
Lo osservò attentamente, non perdendosi nessun suo movimento. Sperava di vedere nei suoi gesti almeno una qualche risposta, ma ciò non avvenne. Non aveva però nessuna intenzione di andar via senza aver capito cosa lui pensasse, così provò di nuovo a rimettere l’argomento.

“Quell’uomo che mi ha riportata qui è stato molto gentile con me. Ha detto che lavorava per voi, si prendeva cura del giardino.”

Byakuya annuì appena, ma sembrava comunque del tutto disinteressato a parlare con lei.
Rukia sospirò di nuovo. Quel ragazzo aveva un carattere difficile. Non riusciva a capire se fosse arrabbiato, se invece fosse stanco o semplicemente irritato dalla sua presenza in quel momento. Perché era questo che avvertiva e che l’angosciava. Il fatto di sentirsi rifiutata da lui. Non sapeva perché, ma era una sensazione forte, asfissiante, che cercava di contenere, ma che non riusciva più ad ignorare. Soprattutto dalla scorsa notte. Era stato tutto così evidente da non poter fraintendere. Sperava però che potesse almeno far qualcosa per migliorare la situazione, ma le parole non le venivano. Per di più non lo conosceva abbastanza per capirlo da uno sguardo. Il nobile Byakuya sembrava non avere alcuna intenzione di farsi conoscere, nonostante volesse essere chiamato ‘fratello’ da lei.
Per questo sarebbe toccato a lei scoprire il suo cuore.
E qualcosa le diceva che era ‘lei’ la causa di tutto.

“Nobile Byakuya, cioè, nobile fratello.” Si corresse velocemente e fu allora che Byakuya le rivolse finalmente il suo sguardo. “Posso… posso farti una domanda?”

Il giovane dai capelli neri annuì di nuovo, ma forse sarebbe stato più saggio da parte di Rukia se avesse deciso di deviare l’argomento al momento. Si era perfettamente accorta che ci fosse un che di proibito attorno a quella persona, ma la sua curiosità l’aveva portata ad essere imprudente, e a non cogliere dai gesti del fratellastro il disagio di parlare di quell’argomento.

“Chi è Hisana?”

Chiese tutto di getto, trafiggendo il nobile Byakuya che spalancò gli occhi e sembrò come essere stato colpito da un nemico invisibile. Non lo aveva mai visto cambiare in qualche modo la sua espressione, e quel primo impatto fu molto significativo per lei.  Lui rimase a fissare il vuoto per qualche attimo, poi le rivolse i suoi occhi freddi facendole gelare il sangue. Tutavia si mantenne distaccato e, al contrario della sua reazione iniziale, con calma spostò il vassoio dalle gambe e lentamente di mise in piedi, sotto gli occhi attoniti di Rukia che ancora non aveva ricevuto alcuna risposta. Lo vide sistemare lo yukata e fare per lasciare la stanza. A quel punto la ragazza subito balzò in piedi, decisa a voler parlare con lui. Era inutile serbare rancore. Se aveva sbagliato qualcosa voleva che lui glielo dicesse apertamente. Non sopportava più il suo silenzio.

“Byakuya! Non so cosa sia successo, però questa donna c’entra con me, non è vero?!” disse alzando il tono della voce.

Improvvisamente le vennero le lacrime agli occhi. Si morse le labbra. Non voleva scoppiare a piangere così. Forse inconsciamente aveva toccato un tasto dolente. Anche se non sapeva chi fosse questa persona, sentiva che stava finalmente giungendo a qualcosa che avrebbe cambiato le cose. Ed in verità non sbagliava.
Byakuya unì i piedi e non avanzò più. Rimase con la mano poggiata al fusuma come se incerto se girarsi verso di lei o proseguire.

“Perchè non possiamo parlarne?” disse lei tremando con la voce. Odiava quando le succedeva. Odiava che la sentisse parlare in quel modo ridicolo. Ma trattenersi le divenne sempre più difficile.

Il ragazzo girò appena gli occhi verso di lei e, dopo un silenzio che sembrò durare un’eternità, le disse frigido.

“Non parlarmi mai più in questa maniera.”

Così se n’era andato.

Così ancora una volta aveva deviato l’argomento.

Così, quel muro di cui lui si circondava, era diventato ancora più spesso. Ed il loro…forse ancora più invalicabile.

Il nobile Byakuya la detestava, e non le avrebbe consentito di chiarire.

La sua occasione di rimanere sola con lui ed approfittarne per conoscersi un po’, senza l’assidua presenza di suo nonno, l’aveva del tutto sprecata.

Ed il peggio era che non sapeva neanche come.

Riaprì gli occhi. Lo vide ancora riflesso nello specchio assieme a lei.
Lei, elegante con quell’abito prezioso col quale si sentiva bella. Eppure vicino a lui sembrava che niente potesse avere un significato.
Più che salutarlo, non le venne di fare altro. Così abbassò il viso e aspettò che fosse lui ad abbandonare la stanza.
Inaspettatamente però fu la sarta ad intervenire e a irrompere quel lungo silenzio.

“Buongiorno signor Kuchiki. Cosa ne dite? Non è graziosa la signorina?”

Rukia alzò lo sguardo di colpo, ed assieme a lei, Byakuya fece lo stesso. Sembrava essere stato stranamente attirato dalle parole della giovane sarta. Infatti lo vide scrutarla attentamente, quasi come se la stesse osservando soltanto adesso.
La ragazza dai capelli neri deglutì e si sentì lentamente il viso in fiamme. Vedere il ragazzo osservarla a quel modo la fece per un attimo andare in estasi. La sola idea che potesse trovarla carina le fece battere il cuore così forte che per poco non sentì di perdere l’equilibrio e cadere dallo sgabello sul quale era in piedi.  Lo vide muovere le labbra e schiuderle appena. Ogni suo gesto, ogni suo piccolo movimento, era un qualcosa di così attraente per la giovane Rukia che si pietrificava totalmente ogni volta.

“Sì, è molto bella.”

Detto questo, soavemente abbandonò la stanza. Rukia rimase a guardarlo ancora attraverso lo specchio, incapace di dire, fare o pensare qualsiasi cosa. Era un’emozione strana, a lei del tutto sconosciuta. Nella sua vita non si era mai sentita così.

“Si ritenga fortunata. Il signore non si sbilancia mai. Credo che lei gli sia veramente piaciuta.”

A quella constatazione, la ragazza andò definitivamente in escandescenza e goffamente prese a dimenarsi sperando invece di gesticolare disinvoltamente.

“Ah…sì? Bene…e infatti è un bel kimono. Davvero bello! Wow! Sei una sarta davvero dotata! Non c‘è che dire!”

La donna si mise a ridere.

“Ha detto che siete bella. Non che il vestito è bello.”

“Ah…”

Fu allora che Rukia non seppe che dire. Fortuna fu che la signora si rimise a lavoro e la loro conversazione si interruppe lì.
Non sapeva perché le importava.  
Non sapeva perché bastasse che la guardasse per sentirsi così. Emozioni forti le trapassavano tutto il corpo, e sentiva che ogni suo sguardo, ogni sua parola, erano segni importanti per lei. Come facesse lui a far sentirla così? Come era possibile ciò? In fin dei conti lo conosceva da così poco. Non sapeva nulla della famiglia Kuchiki, e ancor meno di lui, Byakuya. Inoltre era un ragazzo del tutto disinteressato a stabilire rapporti umani. Era molto serio, distaccato. Byakuya Kuchiki era cresciuto in un mondo che era completamente diverso dal suo.  Rukia avrebbe potuto abituarcisi, ma non sarebbe mai divenuta come loro.  Cosa quindi avrebbe mai potuto comprendere di una persona così?
La sua vicinanza le faceva provare piacere, e per qualche motivo la lacerava pensare che non avrebbe mai compreso il suo mondo.  In verità, infatti, tutto questo le portava più inquietudine che piacere a pensarci bene. Perché desiderava conoscerlo, e poi…quando poi erano l’uno di fronte all’altra, sentiva l’angoscia sfiancarla, dilaniarla, frammentare la sua anima. Byakuya era capace di far sussistere tutto ciò. Ed alla fine tremava. Tutto si faceva vorticoso, e sembrava non avere alcuno sbocco, alcuna via d’uscita.
Poi improvvisamente la guardava e le diceva cose che la sorprendevano e spesso la sviavano completamente. Eppure tutto ciò non faceva che far crescere il suo desiderio di conoscerlo. Nonostante adesso lui la evitasse.
Nonostante sembrasse che ogni piccola cosa sembrasse poter demolire tutto.
Ogni piccola cosa sembrava un passo in avanti, eppure c’era dietro un mondo e delle verità alle quali non poteva arrivare. Non così. Non se Byakuya continuava a chiudersi e a fuggire da tutto quello che poteva portare a scoprire il suo velo, a togliere quei tendoni di un passato che non poteva essere cambiato.
Intanto, poche stanze più avanti, il giovane e presto ereditario del casato Kuchiki, avanzava per i corridoi. La luce colpiva la sua figura longilinea ogni volta che passava davanti gli shouji di casa, lasciati aperti per far arieggiare, per poi tornare nell’ombra una volta superati. Il suo sguardo era dritto dinanzi a se. Non era perso in alcun particolare di quella enorme casa. I suoi occhi impescrutabili che raramente ricambiavano le persone e ciò che lo circondava.
Da un po’ di tempo tutto era diventato così arduo. La sua capacità di mantenere il sangue freddo di fronte ciò che gli aveva da sempre serbato la vita sembrava essere giunta al limite. Ma doveva continuare a combattere perché per nulla al mondo avrebbe infranto la sua promessa. Si fermò di colpo e puntò il viso dietro di se, verso la direzione dove, più avanti, era situata colei che era diventata da poco sua sorella. Era stato difficile tirare avanti da solo. In qualche modo, se c’era qualcuno in casa con lui, aveva modo di distrarsi e pensare ad altro. Adesso che invece erano stati da soli in questa lunghissima settimana, quasi tirava un sospiro di sollievo che presto il suo nobile nonno sarebbe rientrato. Nulla sarebbe cambiato in verità, tuttavia anche lui certe volte aveva bisogno di degli appigli ai quali afferrarsi. Eppure, nonostante questo, provava un forte senso di amarezza. Perché Rukia non c’entrava affatto. Si rendeva perfettamente conto che fosse una ragazza come le altre, non provava nulla di strano nei suoi riguardi. Anzi, poteva dire anche che fosse tutt’altro che spiacevole la sua presenza li. Nonostante il suo aspetto esile e minuto, era una ragazza con carattere, chiaramente al momento intimorita da loro. Quel poco tempo che passavano assieme non era abbastanza da potergli permettere di capire come fosse, però non erano affatto negativi i suoi sentimenti nei suoi riguardi, nonostante preferisse mostrarsi distaccato con lei. Il suo viso era vispo, vivace, diverso dalle donne che aveva conosciuto, poiché il più delle volte cresciute nella nobiltà, ed abituate a mostrarsi in un certo modo. Rukia aveva invece una spontaneità che aveva visto raramente e questo lo incuriosiva non poco dato che lui non aveva mai avuto la possibilità di essere così. Il suo carattere era stato plasmato sulla base di rigide e rigorose regole, che aveva abbracciato e fatto divenire parte di se. Così tanto che quello che un tempo sentiva ingabbiarlo, adesso era una solida base senza la quale per lui sarebbe stato impossibile andare avanti. Erano la sua trappola pirandelliana. Al di fuori delle sue barriere, dei cavilli che regolavano la famiglia Kuchiki da generazione, gli sarebbe mancato persino il respiro. Aveva imparato a nuotare nel suo mare e allo stesso tempo vivere nel mondo al di fuori di esso. La mente di Byakuya Kuchiki era una vera e propria trappola cinese, dove in verità bastava un piccolo pezzo fuori posto per cominciare a far vacillare tutto. Per questo doveva stare attento. Erano già tanti i frammenti che erano andati oltre la sua struttura. Non doveva permettere che riaccadesse. Lo aveva giurato…e lo aveva fatto soprattutto a se stesso.
Sarebbe stato un degno erede del suo casato. Era questa la sua maggiore ambizione. Lo scopo della sua esistenza.
Rukia non avrebbe rappresentato un ennesimo fallimento. Prima che cominciasse qualcosa, preferiva chiudere subito le porte ed andare avanti per la sua strada.
Non avrebbe potuto sostenere il peso di ulteriori umiliazioni.
Tutti si sarebbero accorti della sua incredibile somiglianza alla sua nobile e dolce Hisana, e sapeva che avrebbero pensato a lui. Invece lui si sarebbe mostrato composto e noncurante, perché della loro somiglianza non gli importava nulla. Non avrebbe permesso quindi che invece importasse a qualcun altro. Non voleva dare modo a nessuno di pensarci.
Era consapevole che doveva rimanere sulle sue per non sbottare.
Era consapevole che si sarebbe dovuto mantenere distaccato per non far giungere pettegolezzi.
Voleva recuperare la regolarità della sua vita. Una regolarità che invece stranamente non aveva mai fatto parte di lui, nonostante in apparenza Byakuya Kuchiki era l’uomo rigoroso e rispettoso delle regole per eccellenza. In verità, i fatti erano ben diversi. E lui ne era consapevole. Questo bastava.
Eppure…
Riportò il suo sguardo dinanzi a se. Si spostò di fronte al fusuma che fece scorrere delicatamente. Si inginocchiò di fronte a un tavolino basso e prese a smistare delle carte che aveva precedentemente esaminato.
Eppure…qualcosa di lei lo attraeva. E il motivo non era Hisana.
Ma nessuno lo avrebbe mai capito. Sarebbe stato un ennesimo fallimento, un’ennesima inflazione alle sue regole.
Era impuro. Una cosa del genere era indegna.
Era più appropriato annegare tutto nell’oblio. Pensieri del genere dovevano abbandonarlo, prima che per davvero qualcosa cominciasse.

[…]

La villa era perfettamente pulita ed in ordine. Già normalmente era curatissima, per questo vederla invece pronta per ricevere degli ospiti era uno spettacolo unico. Le luci illuminavano tutta la casa, e il giardino risplendeva ancora di più sotto le luminarie in stile antico che lo contornavano. Era stata liberata la stanza più grande della casa, che affacciava sul lato più bello del giardino, quello che affacciava sul viale degli alberi di ciliegio, che davano un che di romantico con lo sfondo della sera che pian piano scendeva. In questo modo lo spazio sembrava come essersi triplicato, e se già quella stanza sembrava enorme, adesso era come una sala.
Ginrei Kuchiki era rientrato in casa proprio qualche minuto prima. Byakuya era stato il solo a salutarlo, nonostante anche Rukia si fosse precipitata per accoglierlo. Era suo dovere, dopotutto. Ma le era stato negato, per permettergli di sistemarsi con calma per la festa. Così, nonostante fosse corsa li per salutarlo, era rimasta invece sola accanto a Byakuya.
La giovane con i capelli neri, ancora vestita per casa, con un delicato yukata color lilla, era rimasta incantata nel vedere il nobile Byakuya che invece era già pronto. I suoi capelli erano lisci come il solito, e si posavano appena sulle sue spalle. Il suo viso aveva qualcosa di ancora più regale e nobile. Fece scendere il suo sguardo che si posò sul bellissimo kimono nero di un tessuto che lo fasciava in tutto il corpo, stretto in un obi rosso sangue che su di lui figurava splendidamente, ed impreziosito dal lungo haori legato sul collo da un delicato gioiello di famiglia. Il nero era un colore che gli donava particolarmente, già quando lo vedeva vestito da shinigami lo pensava, ma adesso era completamente diverso. Se prima pensava fosse un ragazzo elegante per natura, averlo visto preparato invece era tutt’altra cosa. Il nobile Byakuya curava molto il suo aspetto, ed in occasione di un piccolo ricevimento era più che chiaro che avesse raffinato ancora di più il suo aspetto, cosa che Rukia in verità non credeva possibile. Non credeva che lui potesse rendersi ancora più bello e distinto. Almeno per quanto riguardava il suo aspetto, aveva forse una visione decisamente troppo idilliaca di lui, ma ciò non negava che fosse per davvero la nobiltà incarnata. Per questo si era sentita leggermente ridicola quando, dopo averlo visto così, abbassando gli occhi aveva notato invece che lei era scalza, con un semplice yukata addosso, i capelli pettinati appena e il viso pulito, per niente truccato.
Era stato imbarazzante e si era sentita di colpo così  inappropriata. Tanto che addirittura aveva pensato che lui avesse potuto guardarla con disapprovazione. In verità Rukia non sapeva che questo era un suo aspetto da cui Byakuya era attratto, essendo invece abituato alla nobiltà. La semplicità, per contrasto quindi, era qualcosa che lui non conosceva. Ma dal canto suo, Rukia voleva dare il massimo per non deludere le aspettative di nessuno, almeno quella sera. Doveva darsi da fare e cercare di costruire quella personalità che stava esercitando da alcune settimane. Doveva mostrarsi non una Rukia educata e ben vestita. No. Dove essere un Kuchiki.  Così era corsa in camera sua e aveva lasciato che l’acconciassero e la rendessero come doveva essere una degna donna di quella famiglia.
Il kimono era pronto. Ora che lo aveva addosso, con tutti gli ornamenti che si usano portarvi, emanava un’eleganza che persino lei fu sorpresa di vedere a se stessa. Ancora di più di quando era imbastito, e già rendeva molto all'ora. La manica scendeva fino all’imboccatura delle ginocchia, con un drappeggio elegante e molto delicato. Le decorazioni fatte a mano erano magnifiche.  Non aveva mai visto infatti un lavoro del genere, così accurato, o almeno mai da così vicino. Si estendeva sulle maniche, sul petto e sulla schiena. Erano vistose, con tinte molto splendenti, eppure non osavano troppo. Rukia era abbastanza interessata al disegno ornamentale, per questo fu letteralmente rapita dal livello di particolari a cui arrivavano quei disegni, che contrastavano con la bellissima tinta di rosso del kimono. Una volta strettole l’obi, le tirarono i capelli esattamente come la sarta le aveva consigliato di fare. Questa volta sistemandoli e fissandoli con prodotti specifici, ornandola con dei fermacapelli particolari che avevano l’aria di essere molto costosi. Provava una strana morsa al cuore quando le venivano dati quei gioielli. Erano un qualcosa di eccessivo per lei. Non si sentiva degna, non era abituata ad ostentare tanto, ed era normale dopotutto.
Una volta passata al trucco, oramai non era più se stessa. La ragazza che vedeva riflessa era una giovane donna dai capelli neri, gli occhi blu, elegante, che tutto sembrava se non una ragazzina raccolta dal rukongai. Si chiese dietro quei fronzoli se ci fosse lei per davvero.
Tuttavia non aveva tempo per pensarci. Era calata la sera, la sua recita stava per cominciare. Dove andare tutto bene, era essenziale per avere la definitiva approvazione della famiglia Kuchiki. Così si alzò lentamente, stando attenta a non rovinare già subito l’acconciatura, sotto gli occhi attoniti della servitù. Per la prima volta si accorse che questi la guardavano con disapprovazione.
Si perse nei loro sguardi per qualche attimo, decisamente disorientata. Non si era mai accorta che effettivamente quella era gente come lei. Solo che lei tutto ad un tratto aveva ottenuto quanto più non poteva auspicare nella sua vita. Chiaro che la odiassero. Tuttavia non indugiò e lasciò la sua stanza per raggiungere la sala che era stata preparata per gli ospiti che avrebbe conosciuto tra poco come i suoi parenti.
Si affacciò appena e rimase sorpresa di trovare già tutti lì. Deglutì. Quanto tempo ci aveva impiegato a prepararsi? Si guardò attorno, ma non vide nessuno di familiare. La prima cosa da farsi era trovare il nonno. Era lui a cui era dedicato questo rinfresco, quindi era giusto che al momento dedicasse le sue attenzioni a lui. Inoltre era anche curiosa di vedere la sua reazione nel vederla così. L’aveva sempre guardata con sospetto, sdegnando le sue origini, anche se non l’aveva mai detto apertamente, ma si vedeva. Era chiaro che non avesse grosse aspettative su di lei, che la ritenesse lontana dalla sua famiglia. Ora invece era preparata come una principessa. Era sicura che l’avrebbe guardata con occhi diversi. Così avanzò nella stanza, cacciando fuori la sua determinazione e sfrontatezza. Non si lasciò intimidire, ma camminò normalmente fra quelle persone, finché poi non lo vide.
E accanto a Ginrei…c’era  lui.
Lo guardò allargando gli occhi, ma da sola si ricompose e si rivolse al nobile Ginrei.

“Buonasera e bentornato dal suo viaggio, Nobile Kuchiki. Sono davvero felice di rivederla.” Disse con fare molto sicuro e naturale, contenendo il tono, accompagnando il tutto con un piccolo inchino, lasciando che i capelli le finissero leggermente sul viso.

Ginrei la osservò attentamente, quasi come preso alla sprovvista. La scrutò per qualche istante prima di rivolgerlesi.

“Rukia.” Disse con quel suo solito tono inespressivo, ma che lei sapeva fosse pieno di sorpresa.

Rukia rimase li ad osservarlo, non aggiungendo altro. Preferì lasciare che fossero altri a prendere parola. Intanto non si era accorta che chi era rimasto più folgorato dalla sua improvvisa entrata in scena era  proprio Byakuya. Il suo sguardo inespressivo era sempre lo stesso, ma chi lo conosceva poteva vedere il leggero sgomento che trapelava dai suoi occhi. Rimase a fissarla a lungo, senza che lei se ne accorgesse poiché troppo impegnata a rimanere composta agli occhi dei presenti che ben presto l’avrebbero giudicata.
Byakuya non riuscì a staccare il suo sguardo da lei, che ai suoi occhi si presentava così… diversa. Gli capitava raramente di non avere un perfetto controllo sulle sue emozioni. Generalmente anche nei momenti di stupore riprendeva immediatamente il controllo di sé, ma questa volta, se non avesse avuto di suo un viso dall’espressione seria ed irraggiungibile, avrebbe avuto la tipica faccia di chi ha visto qualcosa di sovrannaturale. E per lui, provare una sensazione simile anche se per giusto un minuto, era un’eccezione inconsueta ed assolutamente anomala. Per una volta le stava finalmente mostrando palesemente le sue attenzioni, alle quali sfuggiva visibilmente, e persino Ginrei Kuchiki ad un certo punto se ne accorse, guardando appena suo nipote con la coda dell’occhio.  A rimanere ignara di ciò, fu paradossalmente l’unica persona che avrebbe tanto desiderato ricevere le attenzioni del Nobile Byakuya per una volta: Rukia. Che intanto prese a salutare le persone che le si rivolgevano, curiose di sapere chi fosse.
Presero a guardarla con serio sospetto, quasi allarmati, e anche se non lo diedero a vedere, Rukia era sicura che tutti la stessero scrutando per lo stesso motivo. I loro occhi erano strani, e alcuni presero anche a bisbigliare fra di loro. Fu quando sentì appena le parole “…somiglia incredibilmente…” che sbandò, e tempestivamente Byakuya prese parola.

“Lei è Rukia. Kuchiki Rukia. La ragazza che, come avrete saputo, fa parte della mia famiglia adesso.” Disse con una punta di arroganza, rivolgendosi giusto ai pochi coi quali stava precedentemente parlando, prima che Rukia li interrompesse quando era arrivata.

Rukia non lo aveva mai visto così. Sembrava proprio aver voluto dare di proposito una sferzata ai presenti, per irrompere nei loro pensieri e toglier ogni dubbio ai loro pettegolezzi. In fin dei conti, se lei si sentiva a disagio, il problema doveva essere condiviso anche da lui che quelle persone le conosceva e sapeva perfettamente cosa avessero potuto pensare di una ragazzina povera adottata senza un perché in una delle famiglie più altolocate della Soul Society. Capì dunque perché Byakuya l’avesse fatto. Per mettere le carte in tavola e presentare quella che era la realtà che questi avrebbero dovuto accettare. Il solo pensiero, però, la faceva star male. Si sentiva comunque come in un covo di arpie, pronte a cogliere un suo passo falso per divorarla. I loro visi, alcuni inespressivi, altri fin troppo costruiti, la inquietavano. Ed il bello era che tutti lo facessero con una disinvoltura a dir poco spaventosa. Significava questo diventare nobili?

“Molto piacere, felici di averla qui, allora.” Rispose improvvisamente uno fra loro, ma c’era qualcosa di strano nelle sue parole.

Qualcosa che la lasciò inquieta, come se già non lo fosse. Perché d’improvviso nulla sembrava più al suo posto? Sapeva che l’atmosfera sarebbe stata questa, si era già preparata psicologicamente, e per dirla tutta, le cosa stavano andando meglio di come si aspettasse. Si sentì però di colpo tutti gli occhi addosso, il suo cuore prese a palpitare forte. Fu un’atmosfera strana, che andava crescendo e non riuscì a comprendere. Ma le parlava, e le diceva che qualcosa non quadrava. Tuttavia doveva rimanere composta, seria. Non avrebbe permesso che Byakuya o Ginrei si vergognassero di lei.
Eppure una parte di lei era pronta a scommettere sul reale motivo di tutto questo.
Un nome echeggiava nella sua mente, e il sospetto che si trattasse proprio di questo era forte. Il solo pensiero però la struggeva, nonostante non sapesse neanche chi fosse questa persona che sembrava rassomigliarle tanto. Per questo cercò di rasserenarsi, non avrebbe mandato tutto a monte in questo modo. Così cortesemente rispose al nobile che aveva ricambiato il suo saluto.

“Il piacere è mio.”

Detto questo dovette allontanarsi per qualche attimo. Lentamente, avanzando poco alla volta per non rendere palese il fatto che avesse bisogno di una boccata d’aria, raggiunse lo shoji, che era aperto, e solcò appena la sua soglia. Tirò un sospiro di sollievo e rimase per qualche istante ferma a guardare la luna. La notte era scesa davvero velocemente, in qualche modo questo la tranquillizzò. Voleva dire che la serata non doveva essere poi ancora così lunga. Rivolse il suo sguardo di nuovo dentro la sala. C’era molta gente, erano per davvero tutti dei parenti? Si ritrovò a guardare le altre donne come erano vestite. Se prima si era trovata eccessiva, ora notava come quelle persone erano come lei, se non ancora più eleganti. Per loro tutto questo doveva essere normale, esattamente come per il nobile Byakuya. Dopotutto, era lei la pecora nera di quella famiglia, ora. Non c’era quindi nulla di cui sorprendersi, in fin dei conti.
Avanzò qualche passo verso il giardino. Quella casa era assolutamente stupenda di notte. Avrebbe volentieri passeggiato lungo il viale costeggiato dagli alberi di ciliegio che risplendevano nel nero del cielo, ma non era il caso. Ciò però non le impedì di avvicinarsi al tronco di uno di questi e adagiarvisi vicino. Se non fosse stata così ingombrata da quel kimono, e soprattutto nel bel pieno di una festa di famiglia, si sarebbe arrampicata sui suoi rami per ammirare la casa dall’alto.
Improvvisamente qualcosa si accese nella sua testa. Si guardò in giro, ed effettivamente non c’era nessuno li ad osservarla in quel momento. Avrebbe almeno potuto raggiungere i rami più bassi. Ci era abituata, non avrebbe rovinato il kimono. Così sfilò i sandali, aprì la gonna facendo uscire completamente le gambe e si arrampicò velocemente sul primo ramò che riuscì a raggiungere. Mentre saliva facendo leva sulle braccia, un ramoscello le si incastrò fra i capelli, che infatti, mentre fece per tirarsi su, le sfilò l’acconciatura allentandola di poco. Questo improvviso piccolo incidente l’allarmò. Infatti subito portò una mano sulla testa cercando di capire le gravità del danno, staccando un braccio dal ramo sul quale si stava arrampicando. Questo le fece perdere un po’ l’equilibrio, e allo stesso tempo una voce alle sue spalle non l’aiutò a riprendere lucidità. Infatti sentì qualcuno chiamarla, e girandosi appena per costatare chi fosse, scivolò col piede e per poco non cadde giù dall’albero.
Byakuya Kuchiki le si avvicinò, osservandola dal basso con i suoi soliti occhi inespressivi.

“Rukia, cosa stai facendo li?”

“Oh? Bya…Byakuya!”

La ragazza cercò di ricomporsi. Portò immediatamente una mano sull’imboccatura delle gambe sperando con tutta se stessa che tutto fosse al suo posto. Si chiese cosa le fosse venuto in mente quando aveva deciso di arrampicarsi su quel maledetto albero. Byakuya però non sembrava così turbato nel vederla la sopra, infatti le si avvicinò di più ed allargò le braccia. Rukia rimase ad osservarlo per qualche istante senza capire. Vedendola ancora in piedi sul quel ramo, allacciata al tronco, il giovane dai capelli neri ondeggiò lievemente la testa, alzando le sopraciglia.

“Scendi.” Disse con fare disinvolto, non abbassando le braccia. Solo allora Rukia capì ed arrossì di colpo. Il nobile Byakuya voleva prenderla fra le braccia?! Sbatté le palpebre velocemente, dopodichè si inginocchio e cominciò a fare per scendere da sola. Byakuya la guardò con disapprovazione, non accettando che la ragazza non si facesse aiutare. Così, quando ella scese giusto un po’ di più, fu lui stesso a sfiorarle il polpaccio e a farla scivolare su di lui. Il suo modo di muoversi vincolò la giovane Rukia ai suoi gesti, che si lasciò trascinare fra le sue braccia con fare naturale, in un gioco che era lui a gestire completamente. La ragazza rabbrividì al suo contatto, e anche se la tenne vicino a se solo per pochi istanti, non poté in nessun modo trattenere il suo stato d’animo, che cominciò a sfuggirle del tutto.
Lui si piegò, permettendole di adagiare i piedi per terra, così la giovane lentamente si staccò la lui e recuperò gli geta. Prese a riposizionare nella maniera giusta la gonna del kimono, per fortuna almeno quello era stato legato talmente stretto che le fu facile farlo tornare come prima. Mentre era piegata per risistemarsi, Byakuya le arrivò dietro le spalle e le mise le mani sui capelli, al che la ragazza si voltò di scattò verso di lui presa alla sprovvista. Fu un movimento veloce e inaspettato persino per lui, che infatti se la ritrovò a pochi centimetri dal suo viso, ritrovando davanti a sé quei suoi enormi occhi che lo fissavano sgomentati. Vide la ragazza allargare leggermente le labbra, come per dire qualcosa, ma subito si tirò indietro, imbarazzata nel sentire il respiro del ragazzo. Premette le mani sulle spalle del fratello e si allontanò da lui, facendo di tutto poi per non incrociare più i suoi occhi.
Il moro si risollevò col busto, ma a differenza di lei, non traspariva alcuno sgomento sul suo viso. Anzi. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe potuto dire che sembrava divertito addirittura. Imperterrita, poi, le si avvicinò di nuovo e prese a sfilarle alcuni fermagli che aveva in testa. Rukia vide danzare all’altezza dei suoi occhi le maniche del kimono del giovane Kuchiki, e di fronte a lei, il suo busto che si muoveva assecondando i movimenti delle sue braccia che maneggiavano i suoi capelli.
Byakuya le raccolse di nuovo i ciuffi nel fermaglio, e così la sua pettinatura fu finalmente in ordine come lo era prima. Quando si allontanò da lei, provò quasi un brivido di freddo. La sua vicinanza le provocava calore, quasi come se in quel momento le avesse dato un caldo abbraccio. Cosa che non era, le aveva solo sistemato l’acconciatura che si era sfatta mentre era salita sull’albero di ciliegio, ma era stato ugualmente stupendo. Sorrise leggermente in preda all’emozione, stando attenta a non darlo a vedere.  Byakuya continuò ad osservarla silenziosamente, incuriosito dai strani modi di quella ragazza. In breve tempo poi ritornò alla domanda che le aveva fatto precedentemente.

“Cosa stavi facendo lassù?”

Rukia alzò il viso e lo guardò dritto negli occhi, cosa che in verità trafisse il nobile Byakuya. Pochi osavano guardarlo con così tanta schiettezza ed intensità. Eppure lei lo fece con una spontaneità assolutamente naturale che neanche lui usava avere spesso con gli altri.

“ Volevo solo rimanere seduta lì qualche minuto. Ecco…” fece una piccola pausa. “…in verità è tutto così complicato per me. Forse volevo solo stare da sola per qualche momento.”

Non seppe perché, ma gli era stata sincera. Omettendo gran parte delle sue reali preoccupazioni, ma gli aveva detto la verità. Per un attimo si chiese se Byakuya avesse potuto comprendere ciò, ma furono le sue parole stesse a rispondere prima che lei potesse formulare qualsiasi ipotesi. Infatti inaspettatamente lui riprese a parlare, e forse per la prima volta si trovarono coinvolti in un discorso che avesse a che fare con loro personalmente.

“Non pensare che questi sentimenti siano inconsueti in una serata del genere. A lungo andare si ci abitua, ma è stato così per tutti.  Non devi preoccuparti. La cosa migliore è non finire nell’amo, non dar loro modo di capire.” Disse rivolgendo gli occhi altrove, non incrociandoli con la sua interlocutrice, che però attirò ugualmente la sua attenzione facendo qualche passo verso di lui e guardandolo con fare sorpreso.

“Quindi anche tu ti senti così, qualche volta, nobile fratello?”

Il ragazzo tirò su le spalle, poi la guardò appena prima di rispondere.

“Non si ci estranea mai completamente a queste cose. Ma non darci troppo peso, comunque.” Disse concludendo il discorso. Da parte di Rukia fu una novità assoluta vedere Byakuya parlare di sé, anche se in maniera velata. Per la prima volta la sua figura nobile ed altolocata, si sostituì con quella di un ragazzo che alla fine, come lei, provava dei sentimenti, impostava la sua personalità per essere all’altezza di quel mondo dove le apparenze erano fondamentali. Per la prima volta se ne accorse. Nonostante fosse una cosa assolutamente normale, fu una sorpresa vederlo improvvisamente in maniera diversa da come era sempre stato ai suoi occhi.
In quei pochi minuti, capì che voleva conoscerlo. Voleva sinceramente arrivare a comprendere quel ragazzo che stava cambiando la sua vita. Non importava che lui glielo impedisse. Tutto d’un tratto il fatto che lui l’avesse allontanata quando lei aveva cercato di capire chi fosse Hisana, la donna che quella notte aveva infranto quel po’ che stavano cominciando a costruire, si cancellò. Voleva ricominciare daccapo. Non voleva più rinunciare a lui così presto.
Lentamente Byakuya si girò dandole le spalle e fece per ritornare nella sala. Si voltò appena per invitare la ragazza a seguirlo, fu allora che lei si appigliò alla manica del suo kimono e la strinse fra le dita per trattenerlo. Lo guardò così intensamente che i suoi occhi determinati e forti riuscirono a farlo voltare, e a costringerlo a guardarla a sua volta. Non gli era mai capitato in verità che qualcuno riuscisse a fare una cosa del genere con lui. La cosa lo spiazzò li per li. Infatti rimase fermo, incantato a guardarla.

“Fratello, volevo dirti una cosa. Una cosa che avrei dovuto fare molto prima.” si interruppe per riprendere fiato. Nonostante la sua determinazione, non era mai facile per lei parlargli. “Volevo ringraziarti. Grazie per ciò che stai facendo per me.”

Detto questo chinò il capo, e lentamente fece scivolare via le sua sottili dita dal lembo del vestito.

“Nonostante io non possa sapere perché l’hai fatto, volevo che tu lo sapessi.”

Byakuya sgranò gli occhi in maniera appena percettibile, ma abbastanza per far si che Rukia se ne accorsesse.
Dopotutto non era importante che sapesse a tutti i costi la verità. Ciò che le stava accadendo, ciò che stava cambiando per sempre la sua vita, era tutto così grande. Ma sentiva che il modo giusto per affrontare le cose era non arrendersi. Ce la poteva fare, lo leggeva negli occhi del nobile Byakuya, che non la odiava. Adesso le era chiaro, finalmente.
Perché l’avesse voluta con sé nella sua casa, da cosa fosse stato scaturito tutto questo, sarebbe venuto dopo. Ora al primo posto c’era altro.
Ma tutto era destinato a cambiare. Niente sarebbe stato come prima. Se le cose fossero andate diversamente forse avrebbe potuto credere davvero in tutto questo. Tuttavia il destino gioca scherzi crudeli a volte, e non sempre è possibile tornare indietro una volta apprese certe consapevolezze.
Byakuya e Rukia entrarono dentro casa e si mischiarono tra la folla. Nonostante lo sdegno palese di molti dei conoscenti dei Kuchiki, la ragazza riuscì a rimanere a testa alta. La sua grinta non era andata perduta. Non la accettavano, non l’avrebbero mai accettata. Lo leggeva nei loro occhi. Ma non sperava certo in qualcosa di tanto diverso. Finché sarebbero stati solo i loro sguardi a ferirla, poteva farcela. Non poteva fare a meno di mettercela tutta. Per lui.
Si fecero lentamente le undici la sera. Gran parte degli ospiti aveva lasciato la casa. Rukia si era intrattenuta con loro finché era stato possibile, ma i loro discorsi le sfuggivano completamente. Era improponibile per lei comprenderli a pieno, così ad un certo punto, stufa e stanca, si inoltrò dentro casa, intenta ad andare in bagno per rinfrescarsi un po’.
Dopo avrebbe annunciato la sua intenzione di andare a dormire. Si sarebbe intrattenuta giusto fino alla mezzanotte magari. Mentre avanzava per i corridoi, la sua attenzione fu attirata dalle voci di alcune persone che in silenzio discutevano fra loro. La loro voce risuonava abbastanza nitidamente, e anche se non avesse voluto, fu impossibile non sentire le loro parole, che non facevano che accennare a lei. A quanto fosse ridicola l’adozione di una ragazza come lei nella loro famiglia. A come Ginrei Kuchiki avesse potuto permettere una cosa del genere a suo nipote Byakuya, nonostante quello che gli avesse già chiesto pochi anni addietro. Quelle parole la trafissero. Cosa aveva chiesto Byakuya a suo nonno? Perché stavano parlando male di lui? Il suo cuore prese a battere forte ed ogni cosa crollò quando sentì le loro ultime parole.

“E’ ridicolo da parte sua portarsi in casa una ragazzina del genere solo per consolazione.”

“Per consolazione?”

“Per quale motivo se no.  E’ pressoché identica a sua moglie. Ma così facendo non farà che portare disonore in questa casa.”

“Eppure è un giovane così posato, non lo avrei detto che avesse causato così tanti problemi…”

“Già, è sempre così, perché vedi…”

Le loro voci cominciarono a farsi come echi lontani. Non seppe se fu la sua mente a non voler più sentire niente, oppure loro che si fossero allontanati. La sua mente andò nel pallone. Si ritrovò apaticamente a girovagare per i corridoi, con lo sguardo perso nel vuoto, nel buio della notte. Non accese infatti nessuna luce. In qualche modo l’oscurità la stava aiutando a non ragionare, a non voler capire. Ma la sua mente pian piano stava arrivando ad una verità che avrebbe cambiato le cose. Per sempre.
Improvvisamente si fermò. Girò lentamente lo sguardo e si accorse di essere arrivata nella zona riservata alle stanze da letto. Si girò con tutto il corpo e riconobbe quella stanza. La stanza del nobile Byakuya.
Come se posseduta da una forza estranea a se stessa, posò le mani sul fusuma e lo fece scorrere. Nonostante il buio, la bianca luce della luna illuminava i contorni di quella stanza, vuota e perfettamente ordinata. Entrò dentro e il suo corpo prese a muoversi senza il suo controllo. Si ritrovò a guardare la stanza, e a cercare qualcosa. Ispezionò i mobili, ma pian piano si rese conto di essere pressoché ridicola a frugare così. Così si sedette sul letto di Byakuya e rimase lì, immobile, in silenzio.
Non c’era alcun rumore, sembrava essere entrata in una dimensione parallela. Si estraniò completamente da tutto e da tutti. Chiuse gli occhi. Anche se il suo cuore batteva inspiegabilmente forte, sentiva di stare bene li dentro. Perse ogni cognizione del tempo, e rimase lì senza sapere effettivamente quanto fosse passato o se magari la stessero cercando di la. Ma non le importava. In quel momento non esisteva nulla. Voleva che la lasciassero stare in pace tutti. Non voleva sapere più niente.
Alzò lo sguardo e si chiese come doveva essere Byakuya da solo in quella stanza. Era finalmente se stesso almeno li? Si sentiva come lei quando nella notte era tutto così buio ed oscuro? Girò il viso e distrattamente prese a guardare l’ambiente da quella prospettiva. Era una stanza così vuota. Si chiese come mai non ci fosse nulla di personale. Ne un souvenir, ne una foto personale, ne di famiglia…
Solo allora notò un mobile abbastanza schiacciato al muro, di un colore molto chiaro che quasi si mimetizzava alla parete. Si alzò e senza che lo volesse realmente lo aprì. Era vuoto, non c’era assolutamente niente dentro se non piccoli oggetti, conservati lì giusto per non tenerli in giro. Ma gli occhi non potevano sfuggire all’unica cosa realmente in evidenzia li dentro. L’unica cosa che splendeva fra quegli oggetti. Una cornice. Una cornice semplice, il cui riflesso era confuso da quello della luna proveniente dalle sue spalle, e che nascondeva il viso della persona ritratta. Rukia si avvicinò di più, facendo ombra su di essa e fu allora che la vide.

Hisana.

Il tempo sembrò fermarsi di nuovo. La donna il cui volto era stampato, indelebile, sulla carta fotografica conservata in quella cornice, era una donna poco più grande di lei, e che aveva straordinariamente quasi il suo stesso viso. Per un attimo ebbe un colpo. Si chiese cosa ci facesse una foto del genere in quell’armadio, nella stanza di Byakuya e…improvvisamente ricordò.


“N-nobile Hisana..?! E’…è impossibile. Siete proprio voi?”


“Hisana?”


“Nobile fratello, chi è Hisana?”


“Certo che le assomiglia incredibilmente.”


“Perché sono qui?”


“Nobile Byakuya?”


“E’ pressoché identica a sua moglie…!”


Sua moglie…


Sua moglie…


Hisana…


“E’ ridicolo da parte sua portarsi in casa una ragazzina del genere solo per consolazione.”
    

Quest’ultimo ricordo la fece scattare. Agitò il braccio, che buttò contro il mobile e per poco non fece cadere tutto a terra. Si accasciò a terra e prese a tremare. Non voleva che la sua mente traesse le conclusioni. Non voleva sapere! Perché stava accadendo?
Non voleva neanche entrare in quella stanza! Perché lo aveva fatto?!
Aveva appena ringraziato Byakuya per ciò che stava facendo per lei. Aveva deciso di voler impegnarsi, senza più voler sapere tutto ad ogni costo. Voleva solo conoscerlo! Voleva solo sapere…

“Rukia.”

La ragazza si voltò di scattò. Solo quando le lacrime le arrivarono sull’orlo della bocca si accorse di aver pianto.

Alzò lo sguardo e vide dinanzi a sé l’imponente figura di Ginrei Kuchiki.
Strinse gli occhi. Non era la persona giusta da avere li in quel momento. Era tutto sbagliato. Voleva stare sola, non era nelle condizioni di inventare una scusa credibile, ne poteva parlare sinceramente a quell’uomo che l’aveva disprezzata dal primo momento in cui era entrata in quella casa.
Stranamente però l’anziano rimase in silenzio e non proferì parola, ne le rivolse alcuno sguardo disgustato. Se ne sorprese, ma non ci fece troppo caso. La sua mente era completamente sconvolta. Completamente confusa, piena di dubbi e paure che in realtà non volevano risposte, ma le reclamavano a gran voce. Era tutto così assurdo.
Ginrei le si avvicinò e la invitò a ricomporsi e rimettersi in piedi. Rukia ubbidì, ma rimase con lo sguardo perso nel vuoto e non lo ricambiò per nessun motivo. Non ne aveva la voglia, ne la forza.

“Vuoi chiedermi qualcosa, Rukia?”

A quella domanda, la sua bocca parlò senza che le parole filtrassero prima per la ragione. Parlò, anche se fuggiva da quelle risposte. Parlò, consapevole che questa volta Ginrei Kuchiki le avrebbe risposto.

“Lei è Hisana vero, nobile Kuchiki?” disse apaticamente.

“Sì, Rukia.”

“Nobile Kuchiki…perché sono qui?”

Quella domanda…oramai era passato moltissimo tempo da quando gliel’aveva rivolta la prima volta. Quasi un mese forse. Non era nemmeno diventata un Kuchiki a tutti gli effetti allora, ed adesso invece era lì, a riproporgliela, e qualcosa era cambiato profondamente da quel tempo. Ginrei la guardò profondamente, dopodichè rivolse il suo sguardo verso quella foto, mantenendo la sua postura autorevole.

“La nobile Hisana Kuchiki è la defunta moglie di mio nipote, Byakuya.”

Rukia rimase immobile di fronte a lui, ferma a fissare il pavimento, incapace di far nulla.

“Tu, le somigli molto.” Concluse, dopodichè rimase in silenzio anche lui.

La ragazza allargò appena le labbra. Non sapeva se desiderava parlare per davvero. Ma le carte oramai erano scoperte, la partita doveva continuare. Le sue risposte stavano giungendo.

Eppure…

“E’ per questo che sono qui?”

Eppure…

“Sì.”

Eppure avrei voluto…non saperlo.

Cosa ci faceva li? Perchè era divenuta un membro di quella casa?
Tutto questo era accaduto per un motivo del tutto estraneo a lei. Qualcosa che la riguardava, ma solo lontanamente. Perché in verità lei non c’entrava niente con quella famiglia. Era un’estranea. Una completa estranea.

Per quale motivo i suoi sogni erano stati stroncati? Per quale motivo aveva dovuto abbandonare tutto? Quale era stata la causa che aveva cancellato il suo mondo?

Niente.


Lei era lì, c’era e basta.
Non c’era una spiegazione.
Non c’era un vero motivo che potesse far quadrare le cose.

Lei…le somigliava soltanto.

Somigliava soltanto ad una donna che non conosceva, e che non avrebbe mai conosciuto.
Eppure tutti non facevano che paragonarle.



E lei?

Nessuno si era mai domandato di lei?!
Anche lei era un essere umano!
Dannazione! Non era una copia, non era una visione.

Le sua vita, il suo cuore, il suo mondo…

Era tutto reale!

Ed invece…

Invece era stata trattata come un sogno.

Nessuno aveva pensato a lei. Nessuno lo aveva mai fatto. Nessuno aveva mai pensato ai suoi di sogni.
Era stata adottata…così! Questo SOLO perché somigliava a Hisana.




“Rukia?”

“V-va bene così. Mi scusi.” detto questo sgattaiolò via, raggiungendo il fusuma.

“Non devi dire niente di tutto questo a Byakuya. Tuttavia credevo fosse giusto che tu lo sapessi.” Irruppe Ginrei con un tono molto serio e pacato.

Rukia non lo rispose. Rimase ferma per qualche istante, poi riprese a correre.
Intanto Ginrei Kuchiki raggiunse di nuovo gli ultimi ospiti rimasti ancora in casa. Si rivolse a loro ringraziandoli per la calorosa serata, e li informò che Rukia si era ritirata nella sua stanza poiché stanca e bisognosa di riposo. Gli invitati annuirono e pian piano se ne andarono lasciando finalmente soli i membri di quella casa.
Byakuya guardò suo nonno, il quale però non lo ricambiò e si ritirò nella sua stanza. Il giovane dai capelli neri rimase a guardarlo con sospetto per qualche attimo, dopodichè scosse la testa e lo seguì, per andare a dormire anche lui.

[…]

Non so come trascorse quella notte.
Ricordo il buio, il riflesso della luna che tingeva la stanza di blu. Non so se ho pianto. Non so quali siano stati i miei ultimi pensieri prima di chiudere gli occhi. Ricordo solo che improvvisamente mi sono svegliata, e mi sono accorta di aver dormito. E tutto era così confuso. Era accaduto veramente? Sarebbero cambiate le cose? Inizialmente ho pensato che andasse bene così. Che ce l’avrei fatta a guardarlo in viso e non pensarci. Mi ero illusa che tutto fosse normale. Non avevo fatto i conti con tante cose. Perchè improvvisamente mi sono accorta che tutto ciò che mi circondava aveva cominciato a disgustarmi.
Ero arrabbiata. Non era giusto.
Ci avevo provato.
Solo il cielo sa quanto davvero mi stessi applicando per diventare parte di quella famiglia, quanto tenessi a piacergli in qualche modo. Ed invece era andato tutto in frantumi.
Non mi piaceva. Non andava bene. Non volevo che tutto continuasse così.
La mia recita avrebbe dovuto continuare comunque?
Ero alla resa dei conti...dovevo scegliere.
Il mio riflesso mi guarda. Mi domanda "perchè non scappi via?"
Mi diceva che da qualche parte c'ero ancora. Mi supplicava di non lasciarla morire, quella vecchia parte di me. Sapevo cosa fare, eppure non ho mai trovato la forza per farlo. Nonostante il mio istinto mi richiamasse a gran voce, una forza estranea mi diceva che oramai era questo il mio posto.
Che dovevo continuare.
Così la mai coscienza, seppur inquieta, mi ha portata a scegliere.
Ancora oggi non so se ho fatto la scelta giusta.

Le prime luci dell'alba picchiarono violentemente sugli occhi di Rukia Kuchiki. La ragazza alzò lentamente le palpebre, corrugando la fronte, dopodiché si decise finalmente ad alzarsi. Sollevò il busto e ancora assonnata cercò di sistemare i capelli, che erano completamente davanti alla sua faccia. Si aprì un varco scostando le ciocche che pendevano sulla fronte e prese a guardarsi intorno. La stanza era già illuminatissima. Il suo kimono rosso era buttato su una sedia, assieme agli altri pezzi che lo componevano, e i fermagli che l'avevano decorata come una principessa ora erano invece sparsi sulla sulla scrivania in posizioni del tutto casuali. Quando si era svestita la sera prima aveva buttato tutto via senza nemmeno curarsi di dove finissero. Il suo umore era a pezzi, proprio non ce la faceva neanche a rievocare le ultime ore. Portò una mano sulla spalla e sentendola nuda cercò il lembo dello yukata per tirarlo su e coprirsi. Poi si alzò. La giornata doveva cominciare. Si diresse verso lo shoji, lo aprì e lasciò che la leggera brezza del mattino la cullasse e sopratutto l'aiutasse a cacciare via ogni pensiero. Almeno per adesso, voleva rimanere rilassata, in uno spazio bianco dove ogni cosa restasse sospesa in una dimensione estranea alla sua. Questo non era possibile per sempre. Ma non credeva di chiedere troppo se le fosse stato concesso appena qualche minuto. Il fato però era del tutto contrario alle sue volontà. Infatti una collaboratrice domestica entrò nella sua stanza e chiese il permesso di aiutarla a vestirsi. Rukia la guardò estraniata e lasciò che la donna facesse ciò che le era stato ordinato. Oramai l'imbarazzo aveva cominciato ad abbandonarla. Non le sembrava più così strano che fosse vestita. Era incredibile quanto fosse cambiata in così poco tempo. La donna passò per ultimo ai capelli, che tornarono abbastanza lisci nonostante li avesse portati legati tutta la serata. Dopodiché spalanco tutte le finestre e cominciò con le ordinarie pulizie. La ragazza dai capelli neri a quel punto abbandonò la stanza e percorse il corridoio. Ultimamente le avevano portato sempre la colazione in camera, perchè proprio oggi invece non era stato così? Forse era destino che lo vedesse...
Infatti, pochi istanti, ed arrivò nella sala da pranzo e lo vide. Con lo yukata usato per la notte ancora addosso, i capelli lisci, liberi dal Keinseikan, e lo sguardo tipico di chi si era svegliato da poco. Lo guardò e qualcosa cominciò a muoversi dentro di lei. Inizialmente fu panico, poi tensione, poi lentamente tutto questo cominciò a cambiare, e sentì solo amaro in bocca, che la portò a provare rabbia.
Doveva però trattenersi. Non voleva mettersi nelle condizioni di dovergli qualche spiegazione. Così camminò verso di lui, cercando di rendere il suo sguardo quanto più vago possibile. Byakuya si accorse quasi subito di lei. Alzò il viso mostrandole i suoi occhi grigi, che a quell'ora del mattino sfumavano su tinte molto chiare per la grande quantità di luce, e posò le bacchette aspettando che lei prendesse posto.
Rukia si inginocchiò, mettendosi di fronte a lui. Mantenne il suo viso basso, non accorgendosi che in realtà il ragazzo si fosse già accorto del suo strano stato d'animo. Infatti arricciò le sopracciglia, ma non ottenendo così le sue attenzioni, si decise a rivolgerlesi.

"Non si saluta, stamattina?" disse serio, con fare provocatorio. Sapeva perfettamente che non fosse intenzione di Rukia mancargli di rispetto, ma era l'unico modo che conosceva per smuoverla al momento.

"Buongiorno, nobile fratello." disse in tutta risposta lei, alterandolo profondamente. Byakuya, però , pur cogliendo la provocazione, preferì evitare discussioni almeno di primo mattino. Ritornò quindi al suo riso, tuttavia quel viso serio e tutto quel silenzio cominciò a non piacergli. Così posò tutto e le si rivolse nuovamente.

"Rukia..."

"E' tutto a posto, fratello." ribadì la ragazza, marcando molto sulla parola 'fratello'. Dopotutto era quello che voleva. Erano fratelli adesso. Il caro nobile Byakuya non aveva niente su cui fantasticare.
Il ragazzo non gradì per niente quel tono, infatti tempestivamente le alzò il viso con la punta delle dita e la costrinse  a guardarlo negli occhi.


"Mi sembra di averti già detto di non parlarmi così."

"Sì, hai ragione." Rukia trovò terribilmente irritante che la toccasse in quel momento. Le sue sottili dita fecero rabbrividire la sua pelle, e l'adrenalina scorse dal suo mento giungendo in tutte le parti del suo corpo, facendone risentire la sua espressione, che mostrava in pieno tutto il suo disgusto. Si alzò così di scatto fuggendo a quel contatto e si allontanò immediatamente.

"Mangerò dopo." detto questo si allontanò dalla stanza, muovendosi con passo pesante. Non si accorse però che Byakuya l'aveva seguita tempestivamente, infatti la fermò per il polso e la voltò verso di sé, con un gesto veloce quanto improvviso che la lasciò senza parole. Rukia in verità era molto piccola ed esile di costituzione, quindi non era difficile muoverla verso di sé, anche usando il minimo della forza. Fatto sta che comunque ai suoi occhi quello apparì come un atteggiamento violento, infatti cercò di divincolarsi dalla sua presa. Il ragazzo però non si lasciò intimorire, ed anzi, l'avvicinò ancora di più a sé, facendola sentire atterrita.

"Dunque, vuoi spiegare perchè stai facendo così?" disse calmo, eppure le sue parole sembravano volerla trafiggerla da parte a parte. La ragazza si morse le labbra e lo guardò negli occhi con uno sguardo a metà arrabbiato, a metà impaurito.

"No."

Il suo cuore prese a battere forte. Per la prima volta ritrovarsi vicino al nobile Byakuya le fece davvero paura. Ma non volle soccombere. Non aveva voglia di dargliela vinta, ne comunque gli si sarebbe confidata. Sapeva già dal principio che chiedergli di Hisana o sulla sua adozione erano tutte mosse sbagliate con lui. Così come usare la violenza era una tattica sbagliata con lei, invece. Così mosse il braccio più bruscamente, ma Byakuya rimase immobile, quasi come se neanche avvertisse i tentativi di divincolarsi della ragazza.

"No?" ripeté lui sussurrando quasi.

Non lo sopportava quando parlava così, c'era qualcosa che la turbava. Eppure le sue labbra, il suo viso... era bello quando la guardava a quel modo. Intenso, sensuale, seppur devastante. Sembrava tutto così contraddittorio. Il suo corpo palpitava forte, non capiva cosa volesse farle comprendere. Dovette per forza allontanare gli occhi da lui per non cedere. Non riusciva a reggere il suo sguardo, non ora che era così provata. La sua espressione si fece più cupa, le sue labbra si serrarono.

"No." ribadì soltanto.

Byakuya rimase a guardarla per diverso tempo. I suoi occhi la scrutavano e sembravano poter raggiungere  ogni parte di lei. Sentiva il suo corpo irrigidito, eppure vibrare al suo sguardo. Erano tante le emozioni che percorrevano la ragazza dai capelli neri. Sentiva di scoppiare da un momento all'altro, senza sapere neanche quale sarebbe stata effettivamente la sua reazione in un'eventualità simile. Ma cercò in ogni modo di trattenersi. La ragione questo le diceva. Le imponeva di non mollare e rimanere sulle sue. Improvvisamnete però tutte le sue ansie assunsero sembianze diverse. La vicinanza del nobile Byakuya non le sembrò più ostile. Nonostante quegli occhi che la trafiggevano, e la sua mano che l'aveva bloccata, tutto ciò le sembrava insolitamente invitante. Il suo corpo cominciò a desiderare quello che la ragione le stava vietando, svelando pensieri profondi che andava nascondendo alla sua mente. Ma non ebbe il tempo di pensarci oltre, perchè proprio in quell'istante il nobile Byakuya la lasciò andare. Allentò le dita e la divincolò dalla sua presa. Si rimise dritto col busto e le diede le spalle. Rimase fermo per qualche attimo, e Rukia rimase ad osservare immobile la sua schiena, mentre la sua mente era ancora in preda al panico. Il ragazzo buttò il suo sguardo un'ultima volta verso di lei prima di scomparire dalla sua vista.
Rukia abbassò la testa, i capelli le inondarono completamente il viso. Passò una mano fra essi, dopodiché sospirò.
Era facile intuire per lei che, oramai, tra lei e Byakuya fosse finita definitivamente.

Passò tutto l'arco della giornata, e non si incontrarono neppure per i corridoi di casa.

Tutto era tornato come al solito.
Lei con la sua vita, lui con la sua. Ognuno distante, se non anche disinteressati, l'uno verso l'altra. Era tutto così strano...

La notte giunse velocemente.
Uscì dal bagno e il suo unico desiderio era concludere velocemente quella giornata, che era stata così noiosa e fredda. Il calore rimastole addosso dopo il bagno l'avrebbe aiutata a distendersi meglio, almeno sperava. Mentre passeggiava sulla passerella all'esterno della casa, balzò quando ad un tratto si ritrovò Byakuya davanti agli occhi. Non si erano incontrati per tutta la giornata, proprio ora doveva succedere?

Sembrava assopito, aveva infatti gli occhi chiusi e il suo corpo era abbandonato sullo shoji chiuso alle sue spalle. Si chiese se fosse meglio girare i tacchi ed andarsene, il suo istinto le diceva che approcciarsi proprio ora non era la cosa più giusta. Inoltre non era più neanche sicura dei suoi sentimenti. Qualcosa era cambiato, Byakuya non era più lo stesso ai suoi occhi. Ora come ora evitarlo era la soluzione che la faceva stare meglio. Tanto non avrebbero potuto affrontare l'argomento. Il signor Ginrei stesso le aveva fatto promettere di non dirgli nulla, ma lo aveva già capito da sola in realtà. Anche da una parte voleva che lui lo sapesse che lei era oramai a conoscenza della verità sulla sua adozione. Mentre fece per andare via, la voce bassa e profonda di Byakuya la richiamò nel silenzio. Si girò stentatamente.

"Dimmi, fratello."

Byakuya chiuse nuovamente gli occhi e le fece cenno di avvicinarsi.

"Vieni quì."

Rukia, seppur contrariata, lo assecondò. Non ne aveva per niente voglia, la sua mente era ancora così confusa e offuscata da mille pensieri da non permetterle di avere un completo controllo di se, ma lo fece. In fin dei conti però abitavano sotto lo stesso tetto, quindi forse era meglio così. Sarebbe rimasta giusto qualche istante, ma non riponeva grandi speranze sul chiarire in qualche modo. Oramai non ne aveva più voglia neanche lei. Mentre si sedette, provò una strana sensazione. Stare accanto al nobile Byakuya in quelle condizioni le fece provare un curioso rimescolio all'imboccatura dello stomaco.
Aveva il viso stanco, e i suoi capelli scendevano disordinatamente sul viso come raramente glieli vedeva. A confronto di lui, si sentiva così piccola. Seduta, le sue spalle a malapena gli arrivavano al petto. Chissà...probabilmente la vedeva addirittura come una bambina. Si voltò verso di lui, sperando che dicesse giusto qualche parola, in modo che dopo avrebbe potuto andarsene presto. Invece si ritrovò vicino il volto di un Byakuya dormiente, adagiato con la testa sul muro. Subito sgranò gli occhi. Si mise in ginocchio e si avvicinò a lui per costatare se dormisse.


"Fratello? Byakuya?"

Il ragazzo non rispose al suo richiamo, così lo toccò appena sulle spalle, ma non ebbe il coraggio di scuoterlo. Lasciò quindi perdere e si rimise seduta. Si sentì decisamnete strana. Non sapeva se andare, se provare a svegliarlo, oppure se rimanere lì. Perchè? Perchè dopotutto era bello poter stare li a guardarlo. Inconsciamente fece scivolare la testa verso di lui, e lentamente si poggiò sul suo caldo petto. Chiuse gli occhi. Se solo le circostanze fossero state diverse, ora non proverebbe così tanta rabbia e angoscia verso questo mondo che lui le aveva imposto. Però non lo odiava. Dentro di sé sentiva qualcosa che le diceva che non rivedeva Hisana in lei. Altrimenti non si sarebbe comportato così con lei. Nonostante le somigliasse, c'era dell'altro. Qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto capire. Qualcosa che si sentiva sulla pelle. Ma doveva rimanere celato. Perchè comunque lei rimaneva sua sorella adesso.
Si scostò leggermente da lui, rimanendo però poggiata con la mano sul suo busto. Sollevò la testa e lo guardò intensamente in viso. Gli si avvicinò di più, allungando il collo. Le sue labbra si inumidirono, si mossero, e schiudendosi, lentamente giunsero sulle sue. Sentì appena il suo labbro inferiore, e per un istante volle scappare via. Tuttavia desistì, e continuò ad avvicinarglisi, fino a premersi completamente contro la sua bocca. Lui era fermo, doveva dormire veramente. Le sue labbra rimasero immobili al suo contatto, ma andava bene così. Non era pronta ad affrontare una cosa simile, e anzi, non credeva fosse neanche possibile dato chi erano. Ma se fosse rimasta solo a guardarlo, d'ora in avanti, non c'era niente di male, infondo. Non sarebbe successo nulla fra loro, e questo sarebbe stato il loro solo piccolo segreto. Vero, nobile fratello ?

[...]

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Capitolo 4
*** Everything burn ***



Probabilmente il prossimo capitolo sarà quello che chiuderà questa fanfiction.
Dico probabilmente perché, seguendo la cronologia degni eventi che mi sono prefissata di inserire, dovrebbe essere così. Ma la mia mente galoppa quando scrivo, ancora di più quando ciò riguarda personaggi a me cari come Byakuya e Rukia.
Non sono poche, infatti, le scene che ho inserito in questo capitolo e che non avevo immaginato precedentemente.
Son fatta così!^^
Spero che io stia continuando a trattare i personaggi protagonisti in modo IC,  è una cosa alla quale tengo molto, anche adesso che le cose stanno andando avanti ed ho dovuto “osare” un po’ di più se volevo avviare a trattare  la coppia.
L’idea di ambientare la storia,  ad un certo punto, nel “futuro” l’avevo fin dall’inizio, poiché non immagino che una ByaRuki potrebbe concretizzarsi nelle circostanze passate o attuali del manga.
La descrizione presente nel mezzo della storia , che avvia questo flash nel futuro, fa chiaramente riferimento agli eventi narrati in Bleach che riguardano Byakuya e Rukia.
Mi riferisco quindi  alla loro lontananza, come siano divenuti due estranei in casa, la storia di Rukia con Kaien, e poi l’esecuzione , che li ha portati a sconvolgere tutto con il ritornare sui suoi passi di Byakuya.
Questa prima parte della fanfic è stata volta a giustificare la frase che Rukia stessa pronunciò prima della sua esecuzione a Renji, ovvero che già sapeva che Byakuya non avrebbe fatto nulla per aiutarla. E quindi perché accetta la sua condanna.
Ho voluto spiegare il tutto tramite questa storia , e le milioni di sfaccettature che possono essere interpretate.
Io ne ho trattata qualcuna durante i capitoli già scritti, e spero che il mio discorso non sia uscito troppo contorto nel complesso.
Ho provato a  fuoriuscire il discorso durante tutta la fanfic fino ad ora.
Questo capitolo, fino a metà,  è solo il culmine, per poter poi permettere a me di trattare la ByakuyaxRukia in maniera “realistica” adesso, diciamo.
Dopo aver premesso le tante cose che dovevano essere tenute presenti, prima di trattarli come un pairing.
Spero di essere riuscita nell’intento.
Un’ultima cosa. L’ho già scritto durante il capitolo, ma lo ripeto anche qui.
In questo nuovo contesto, ambientato “dopo gli eventi di Bleach”, immaginatevi una Rukia di diciannove anni, ed un Byakuya sui trent’anni grossomodo.
Ho visto che lo scorso capitolo ha avuto molte visualizzazioni, spero mi farete sapere come sto continuando.
Ora vi lascio al nuovo capitolo.
Ci vediamo al prossimo aggiornamento. Grazie a coloro che mi sostengono e che mi sosterranno. Vi auguro un buon anno nuovo !!   

Grace


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CAPITOLO 4.  Everything burn



Un uomo il cui desiderio è essere qualcosa di diverso da se stesso, riesce invariabilmente a diventare ciò che vuole. Questa è la punizione. Coloro che vogliono una maschera devono indossarla.
[Oscar Wilde]


Il gotei era già in piena attività lavorativa. Gli shinigami nelle loro scure divise giravano da una parte all’altra impegnati ognuno nei loro diversi compiti, non badando neanche alla splendida giornata di quella mattina che illuminava ogni singolo angolo di quell’imponente struttura sotto un limpido cielo azzurro. Tra quel via vai, una ragazza dai capelli folti e neri era adagiata su una panca, assorta nei suoi pensieri, confondendosi anch’ella fra le anime nelle vesti nere di shinigami. I suoi occhi erano volutamente rivolti al pavimento, e sembrava voler rimanere in disparte. I capelli lentamente le scivolarono sul viso, chiudendolo quasi un sipario, e fu a quel punto che ella alzò delicatamente gli occhi. Cominciò a scrutare l’ambiente intorno e a osservare i volti e le espressioni degli shinigami che passavano. Molti non si curavano affatto di lei, e in verità Rukia Kuchiki preferiva che fosse così. Odiava quando, passando, leggeva negli occhi di chi la guardava una qualche nota che le facesse intendere che l’avesse riconosciuta nel neo membro della famiglia Kuchiki. Sapeva infatti di non essere benvoluta da molti shinigami che avevano studiato sodo per entrare a far parte del gotei. Lei invece? Byakuya l’aveva portata con sé e l’aveva direttamente inserita in quel contesto. Lei si era applicata ed aveva ripreso gli studi, ma solo per soddisfazione personale, perché a fatti non ne avrebbe avuto alcun bisogno.
La famiglia Kuchiki era abbastanza potente da poterle assicurare un posto di lavoro.
Sospirò. Comprendeva di conseguenza perfettamente i sentimenti di chi le era intorno. Non era per niente assurdo che in molti la guardassero con disapprovo. Non era per niente incomprensibile che parlassero alle sue spalle. Nonostante avesse voluto urlare al mondo quanto tutto questo le facesse male, e quali fossero invece le reali circostanze. I suoi sentimenti di amore, rispetto, eppure di sofferenza verso quella famiglia che da un lato le aveva dato tutto, e dall’altro le aveva negato la sua vita. Portò una mano sul viso, il sole aveva cominciato a mandare raggi nella sua direzione, così dovette ripararsi in qualche modo. In verità non le dispiaceva poter alzare finalmente il viso, non più avvolto nell’ombra dei suoi pensieri, ma alla luce del calore solare.
Fu in quel momento che, mentre passavano altri shinigami, qualcuno parve indicarla vistosamente ed essere prontamente azzittito dal suo collega che gli era di fianco. Rukia quasi sbandò. Non era ancora abituata ad esser indicata a quel modo, e quelle parole che non riuscì a sentire, ma intuì perfettamente, la fecero abbuiare. Preferiva nettamente quando riusciva a rimanere in disparte, almeno quando le circostanze erano quelle attuali.
A differenza dei suoi parenti, aveva persino rifiutato di indossare gioielli di famiglia, che invece persone come Byakuya ostentavano senza alcun problema, fieri di rappresentare chi fossero, e determinati a voler farsi riconoscere nel loro titolo di famiglia nobile.
Questo non solo per non farsi riconoscere, ma anche perché non faceva parte di lei avere tante ricchezze.
Ritornò a guardare in direzione dello shinigami che l’aveva indicata, oramai si era mescolato tra la folla, non era più in grado di distinguerlo. Dentro di sè però sentiva una forte consapevolezza, ovvero che quella probabilmente fosse una delle persone più oneste li dentro, dietro quei volti ipocriti che pensavano esattamente la stessa cosa su di lei. 
Perché lei non era certo come Byakuya o come tutti i membri del casato Kuchiki. No. Lei era un’anima proveniente dal rukongai e adottata. Quel rispetto che i Kuchiki si erano guadagnati a lei non apparteneva. Lei era solo il cagnolino grato, e per questo sentiva di doversi tenere quelle critiche, o almeno fintanto che avesse potuto dimostrare il suo valore. Con la sua bravura e la sua prontezza nel lavoro di shinigami avrebbe dimostrato quanto invece Rukia Kuchiki fosse qualcuno, e non solo una povera fortunata. Perché a differenza di molti, lei era sì stata agevolata e anzi, aveva avuto molto di più di quanto potesse auspicare nella vita. Ma le sue ambizioni non si sarebbero fermate a questo. Aveva già ottenuto tutto ciò che da bambina aveva desiderato ardentemente di raggiungere, ma non per questo si sarebbe sentita già finita. La sua lotta sarebbe appena cominciata, nel momento nel quale avrebbe potuto dimostrare chi fosse e quanto valesse sul campo. Anche se aveva lavorato meno degli altri per arrivare fin li, non voleva dire che non potesse essere uno di loro. E chissà, magari sarebbe riuscita persino a farsi conoscere.
La solitudine la stava lacerando, il fatto di essere giudicata senza che nessuno la conoscesse era devastante, ed il bisogno di essere compresa si faceva sempre più vivo e forte. Ma quell’oppressione era destinata ancora una volta a tornare dentro di se. Al momento l’unica cosa da fare era cercare di reagire in qualche modo, anche se da sola.
Era questo il suo attuale scopo della vita. Se non poteva più lottare per affermarsi professionalmente, voleva almeno costruire il suo mondo per quel che restava di esso. Era una shinigami e avrebbe lavorato come una shinigami, e su questo nessuno avrebbe dovuto avere nulla da ridire.
Almeno in questo i Kuchiki non sarebbero centrati un bel niente.
Ad un tratto qualcuno attirò nuovamente le sue attenzioni. Uno shingami di rango superiore chiamò a raduno tutti i membri della divisione tredici, alla quale era stata assegnata, al momento come un semplice shinigami.
Si alzò e si diresse in quella direzione, mischiandosi fra gli altri membri che accorsero allo stesso tempo, pronti al lavoro, esattamente come lei.

Intanto sopraggiunse la sera. Quel tiepido tepore del giorno, venne lentamente sostituendosi con la brezza della notte, che oscurò il cielo più in fretta che negli altri giorni.
La villa Kuchiki era immersa nelle splendide luci giallognole delle luminarie appese sulle pareti, che contornavano gran parte della casa evidenziandone la grandiosa struttura imponente e nobile. Attorno ad essa il giardino aveva assunto delle tinte scure, spezzate dal delicatissimo rosa degli alberi di ciliegio in fiore, caratteristici di quella casa per la loro cura e bellezza, le cui fronde erano appena cullate dal lieve venticello alzatosi da pochissimi minuti.
Regno assoluto di tanta magnificenza era un sacrale silenzio che si infondeva fin nei meandri più sperduti dell’abitazione, se tale poteva essere definita. Perché la villa della famiglia Kuchiki, più che una casa, era il fulcro di una tradizione nobile secolare tramandata di generazione in generazione. Dove le rigide regole che la governavano erano in realtà quelle che vi vivevano, sovrane assolute ed immutabili.
Assorto in una di quelle stanze, isolato nei suoi pensieri fra le quattro mura di una stanza vuota, il giovane uomo dai capelli neri, futuro capofamiglia, era seduto a tavolino, illuminato dalla sola luce fioca di una candela accesa oramai da molto. La cera aveva preso a colare deformandone la conformazione e riducendola più della sua metà. Il ragazzo però non la curò per niente e rimase eretto a meditare. Nei suoi occhi erano materializzati pensieri ed immagini nelle quali si abbandonava, ragionandoci ore della sua giornata, perdendo ogni cognizione del tempo.  Ad un certo punto tutto si spense e quell’atmosfera fu completamente spezzata dal fruscio del fusuma, che era stato aperto improvvisamente.

“Fratello?”

Byakuya lentamente girò lo sguardo, non voltandosi, mantenendo eretto il busto e il capo in avanti; ma con gli occhi scrutò la figura alle sue spalle. La ragazza, mostrandosi vogliosa di parlare e di renderlo partecipe, ma al contempo forzatamente contenuta per non sbilanciarsi più del dovuto temendo di essere maleducata, lo guardò con i suoi occhi luminosi e mosse appena le sottili labbra.

“Sono a casa, volevo solo dirti questo.”

L’uomo rimase fisso a guardarla con la coda dell’occhio per qualche istante, dopodichè riposizionò lo sguardo dritto dinanzi a sé, e si richiuse nel silenzio. Solo dopo parlò.

“Non voglio essere disturbato.” Disse con voce bassa, ma solenne, ma che bastò come sempre nel spezzare il cuore della giovane Rukia Kuchiki, che ancora una volta si sentì respinta da colui che invece avrebbe dovuto essere un fratello per lei.
La bruna abbassò il viso, e quasi tempestivamente richiuse il fusuma, non volendo incombere in ulteriori rimproveri da parte sua.
Non era più frustante come quando lo era all’inizio, ma essere rifiutata a quel modo da lui era un qualcosa a cui nessuno che avesse vissuto quella situazione avrebbe potuto sorvolare. Incrociare quegli occhi, quella imponenza, reggere un tale sguardo o le sue parole, che anche se poche e dal tono debole, erano come un proiettile, che sapeva esattamente dove colpire, per poi separarsi in mille pezzi in più nelle viscere al fine di uccidere. Era questo che sentiva ogni qual volta lo vedeva.
In tutto questo nutriva un profondo rispetto e ammirazione per lui. Era un uomo eccezionale, che nonostante la giovane età era all’altezza di un casato che sicuramente esigeva molto da lui. Per di più nutriva un profondo affetto per lui, che oramai stava diventando un familiare anche per lei, anche se i suoi sentimenti erano ancora così confusi. Considerare alla sua età un ragazzo adulto come fratello, così, di punto in bianco, era pressappoco impossibile. Sentiva però un calore verso di lui, dovuto in parte alla riconoscenza per ciò che comunque aveva ricevuto da quella famiglia e di cui lui era il fautore assoluto. Ma non solo.
A quel punto Rukia si fermo immobilizzando i piedi a terra.
Lui doveva senz’altro sapere che lei adesso fosse a conoscenza della verità sulla sua adozione. Non era un caso, ne era sicura, se era stato proprio da quel giorno che Byakuya si era chiuso ancora di più in se stesso, disinteressandosi quasi completamente di lei. Non che prima avessero un rapporto, ma credeva che lui avesse più una personalità solitaria che un menefreghismo nei suoi riguardi. Invece la giovane ragazza dai capelli neri si era ritrovata completamente sola, priva del calore che invece avrebbe dovuto avere una famiglia. Circondata da ricchezza e magnificenza, ma priva di tutto il resto.
Si poggiò con la schiena contro la parete e guardò il cielo costellato di stelle che si intravedeva attraverso le fronde degli alberi del giardino.
Non poteva fare ancora a meno di chiedersi perché. Spesso il sospetto che lui la odiasse era davvero forte, ma se almeno fosse stato così, avrebbe potuto farsene una ragione. Il vero problema era che lui non le faceva capire nulla.
Non le faceva mancare niente, amministrava la casa, si prendeva cura di lei e tutto. Ma in compenso erano due estranei che vivevano sotto lo stesso tetto. Fino a che punto ciò poteva dipendere dalla sua personalità chiusa? Era certa che ci fosse dell’altro. Il motivo della sua somiglianza alla sua defunta moglie, Hisana, non era un motivo abbastanza valido per giustificare la sua adozione in quella famiglia. Ma lo era per spiegare il perché di quel comportamento, anche se la risposta non le piaceva.
Il nobile Byakuya la odiava forse proprio per questa sua somiglianza con quella donna?
Eppure anche in un’ipotesi del genere, molte cose discordavano dalla realtà, e molte altre domande si congiungevano.
Al momento l’unica realtà presente ai suoi occhi era questa. Che lui di lei non se ne importasse proprio.

Altrove, il nobile Byakuya dall’irruzione in quella stanza della sorellastra non era riuscito a riprendere il filo del flusso dei suoi pensieri, che si oramai disperso nel mare della sua mente. Il suo aspetto era composto e regale, in scalfibile come sempre. Il suo sguardo tuttavia era l’unica cosa che lo tradiva. Normalmente il suo viso era del tutto neutro ed apatico, molto severo ed autorevole. Il tutto trapelato da due occhi grigi, di ghiaccio. Questa volta invece Byakuya Kuchiki era visibilmente turbato. Era da un po’ che ogni cosa, che un tempo regolava la sua vita e metteva legge al suo comportamento, aveva cominciato a vacillare e sempre più spesso non era più in grado di dominare se stesso. Cercava in tutti i modi di non venire a mancare a nulla di ciò che potesse aspettarsi da un membro del clan Kuchiki, ma più passava il tempo e più si rendeva conto di quante fossero le situazioni che condizionavano in maniera differente la sua vita.  Differente da come avrebbe dovuto essere. Mantenere un comportamento prestigioso era il minimo che potesse essere richiesto ad un uomo nobile. In pratica sarebbe anche potuto apparire ciò che voleva essere, ma dentro di se vigeva un mare burrascoso, non possibile da calmare alle circostanze attuali.
Il ragazzo alzò la testa. I lunghi capelli neri adagiati sulle spalle si mossero insieme al lieve movimento del suo capo, e si spostarono sottili e appena distribuiti sulle ampie spalle coperte dall’haori. La stanza vuota rappresentava perfettamente lo stato di solitudine che albergava nel suo cuore, una solitudine dovuta al fatto di essere costretto a chiudersi e non rivelare alcun turbamento o preoccupazione che in realtà lo affliggeva. Perché la sua immagine non doveva venire mai a mancare.
Il suo essere rappresentante di un nobile casato esigeva delle pretese cui era stato abituato di non mancare mai, in nessuna circostanza. Eppure la vita continuava a metterlo alla prova, e lui doveva continuare a ingoiare, a chiudersi in una continua solitudine, sperando di reggere sempre. Gli si figurò nella mente l’immagine di Rukia, e a quel punto la sua espressione diventò più rabbiosa e il suo cuore prese a palpitare più forte. Non voleva soccombere ai cui sentimenti, non poteva. Aveva giurato a se stesso che dopo l’adozione della giovane, non avrebbe mai più violato le sue leggi, sia della Soul Society, che della sua famiglia. Aveva giurato che mai più lo scandalo o il disonore avrebbe toccato il suo casato. Per questo Rukia doveva stargli lontano. Provava più di una semplice tenerezza nei riguardi della ragazza. La sua tenacia nel diventare una di loro, spesso il suo temperamento impulsivo rispetto quello di uno come lui, aveva più volte smosso qualcosa dentro di lui. La vedeva alzarsi presto, allenarsi con la zanpakuto, con il kido, per poi subito indossare le vesti di nobil donna e partecipare alle lezioni che le aveva imposto per la sua educazione. Con le sue forze la vedeva cercare di inserirsi nel gotei, senza che lei sapesse che in realtà per lei fosse già stato tutto deciso. La osservava quando perdeva le staffe e reagiva, o quando invece cercava di contenersi sperando di aver fatto la scelta giusta e di diventare così pian piano una degna Kuchiki. Quando poi la vedeva sola con se stessa, vestita in modo più grossolano, con le gambe accavallate in modo non curante, e il viso chino coperto dai folti capelli neri, la ragazza assumeva un’immagine a lui assolutamente nuova da vedere addosso una donna, e questo lo affascinava completamente. Gli piaceva vedere in lei cose che non aveva mai visto in altre persone, ma non voleva affezionarsi a lei per questo. Non doveva permettere che i suoi sentimenti maturassero in direzioni a lui poi incontrollabili. Ancora di più perché erano imparentati e a tutti gli effetti lei era riconosciuta dalla società come sua sorella minore. Qualunque altra situazione si fosse aggiunta al loro rapporto, doveva essere ben lontana dall’amore.
Per lei doveva essere formalmente un fratello, ma sostanzialmente un pilastro del casato Kuchiki e nient’altro, per questo doveva tenere in alto la sua autorevolezza e mostrarsi distante con tutte le sue forze. Nulla doveva evolvere.
Piegò così le gambe e si alzò. Solo allora, guardandosi in giro, notò che la debole luce della candela che aveva acceso nel tardo pomeriggio ora era quasi completamente spenta, e la cera completamente sciolta. La penombra gli fece accorgere di quanto la sua vista si fosse sforzata fino a quel momento, così portò delicatamente le mani sull’imboccatura del naso cercando di rilassare la mente. Riaprì gli occhi, dopodichè, leggiadro, abbandonò la stanza.
Si ritrovò in giardino, le cui tinte andavano tutte sul blu notte, e fu in quel momento che si chiese quanto tempo avesse passato effettivamente chiuso in quella stanza. Continuò la sua perlustrazione e rientrando in casa si accorse che anche le luci dentro fossero spente. Si guardò intorno, riflettendo su quanto fosse desolata quella notte, priva di alcun rumore. Si ritrovò a girovagare, distratto da quei pensieri in verità non troppo felici. Neppure uno come lui trovava piacevole tanto silenzio, addirittura inquietante sotto molti aspetti. L’unica cosa da fare probabilmente era dormire, rimanere ancora in piedi non stava facendo altro che alimentare il suo stato d’animo che non era dei migliori quel giorno. Così si avviò verso la zona notte, dove erano sistemate le stanze da letto, e fu in quel frangente che un lieve sospiro attirò la sua attenzione.
Fu un sussurro così debole che li per li si chiese se lo avesse sentito per davvero. Fece qualche passo indietro e si affacciò oltre un fusuma lasciato aperto. Da questo intravide lo shoji spalancato, attraverso il quale poteva ammirarsi lo splendido cielo stellato, e una luna grandissima e bianca. Entrò appena nella stanza, la sua pelle illuminata da quella luce si fece ancora più candida, e i suoi occhi si dilatarono quando vide che seduta fuori c’era l’unico membro che animava quella casa.
Rukia era seduta sulla passerella di legno che contornava l’intera villa Kuchiki, alle sue spalle lo shoji aperto dal quale era uscita per poter ammirare quella notte. Fu in quel momento che Byakuya si accorse di quanto fosse luminosa quella notte, a differenza di quell’oscurità e desolazione che aveva avvertito una volta uscito dalla stanza in cui si era rinchiuso per gran parte della sera. Si chiese come avesse potuto non far caso a una luna così bella. Ammaliato da tale candore, lentamente il suo sguardo andò a posarsi sulla ragazza dai capelli neri, che non si era accorta della sua presenza. Mosse appena un passo, ma improvvisamente le viscere gli si contorsero e lo costrinsero a rimanere sulla sua postazione. Poggiò una mano sulla parete e rimase lì, immobile ad osservare la ragazza assorta anch’ella nei suoi pensieri. La vide muoversi, portare le gambe sul petto e stringerle. Osservò il colore del suo yukata, violaceo con delle decorazioni rosa pallide, che esaltava la sua pelle bianca in quell’atmosfera così suggestiva. Il suo sguardo si addolcì per qualche attimo che però non durò a lungo.
Infatti si girò e ritornò sui suoi passi, era per davvero stanco. Non poteva resistere a quell’immagine e rimanere fermo e immobile. Sapeva che nel profondo non ci sarebbe stato nulla di male, tuttavia erano i suoi precetti che non gli permettevano di muovere il passo.
Per il resto, la notte passò abbastanza velocemente nel momento nel quale chiuse gli occhi e il sonno dominò la sua mente.
Tutto era destinato a passare, ed in effetti era proprio su questo che contava Byakuya Kuchiki. Non sapeva però che non tutto può essere guarito, per così dire, dal tempo. Soprattutto nel campo dei sentimenti, le situazioni vanno generalmente chiarite e non lasciate al tempo, oppure un giorno ci si sarebbe potuti sorprendere di quanto questo passasse e di quanto le cose non cambiassero affatto.
Byakuya Kuchiki si sentiva in colpa di amare sua sorella.
Si sentiva in colpa perché lei rappresentava “la promessa” fatta a sua moglie. Perché era la sorella di quest’ultima. Si sentiva in colpa per la promessa fatta ai suoi padri. Eppure in realtà, in tutto questo, Rukia c’entrava ben poco.
La ragazza dai capelli neri era solo la spettatrice innocente che si era vista piombare addosso questa realtà da accettare, senza sapere nulla dei suoi effettivi legami con tutto ciò.
Motivi che lui non le avrebbe mai rivelato, perché lo aveva promesso.
Promesso…promesso…
Queste parole lo assillavano. Quante erano le cose che doveva tener in conto. Quanto ci fosse dietro ogni parola, ogni sguardo di Byakuya Kuchiki. Era una persona di principio, abituato a onorare i suoi compiti e la parola data. Giurare davanti ai suoi avi, promettere a sua moglie…erano un qualcosa che pesavano nella psicologia del ragazzo.
Anche la dove si preparava ad aprirsi un sipario differente dalle circostanze che allora gli si presentarono e che gli fecero fare ciò. Ma la sua tenacia consisteva proprio in questo.
Nel mantenere in alto ciò che fosse e che fosse tenuto ad essere, al di sopra delle circostanze.
Non avrebbe importato il resto, perché non avrebbe permesso mai più che il suo onore venisse di nuovo macchiato. Anche a costo di sacrificare ciò che fosse giusto. Rukia si collocava proprio nel mezzo, inconsapevole, di tutto questo. Negli anni passati assieme l’aveva vista sorridere per poi richiudersi in se stessa timorosa, fino a perdere ormai del tutto la voglia di stabilire un qualsiasi rapporto con lui.
Gli anni lentamente avevano scorso, portando con sé il flusso degli avvenimenti che intanto avevano caratterizzato l’esistenza della ragazza. L’avevano tradita promettendole speranze che invece furono destinate a cadere prima ancora che riuscissero a rialzarla. Prima fu lo stesso Byakuya,  poi ancora il suo primo amore… ed in tutto questo, colui che avrebbe dovuto esserle accanto, non lo aveva fatto. Se non come fratello maggiore, come familiare avrebbe dovuto sorreggerla di fronte alle difficoltà che spietate si erano scagliate contro una ragazzina il cui unico sogno era di alzarsi in quel distretto del rukongai e lottare per essere qualcuno nella vita. Il nobile Byakuya invece non le era rimasto accanto, e questo perché dei precetti glielo avevano vietato. Perchè la ragazza doveva tenersi lontano dalla sua vita, dove quel peso che aveva da sostenere sulle sue spalle, e che dopo la morte di suo nonno andò ad appesantirsi sempre di più, lo stava lacerando fino ad annullare quale fosse in verità ciò che avrebbe voluto e dovuto seguire. Rukia, in tutto questo, dove era collocata dunque per il giovane oramai capofamiglia Kuchiki?
La giovane dai capelli neri era nel suo cuore, emarginata in uno spazio lontano che ad un certo punto fu irraggiungibile anche per lui, che le era vicino ma in una concezione del tutto illogica da parte di una mente che non fosse quella di Byakuya Kuchiki.
Ed era così che erano passati cinquant’anni.
Cinquant’anni nel silenzio e nel tetro più assoluto in cui il ragazzo aveva visto mantenere le sue promesse, ma al contempo lentamente spegnersi l’entusiasmo di quella giovane ragazza che con tutte le sue forze invece aveva cercato di  far sopravvivere, ed essere insieme all’altezza del nome che adesso portava.
Da ragazzina che l’aveva ammaliato col suo modo di essere semplice e rozzo, almeno per come avrebbe dovuto essere una signora d’alta classe, si era trasformata in una giovane donna più preparata alla vita.  Resistere alle tante situazioni intercorse fra i due, aveva finito col distruggere quel po’ col quale erano partiti, ed era così che erano divenuti due estranei, Byakuya e Rukia.
Due fratelli solo di nome, così lontani che persino di fronte la morte, in virtù dei principi da rispettare, non portarono il giovane nobile a opporsi, quasi come se in realtà  quella fosse una parentesi che volesse chiudere una volta per tutte.
Dal canto suo, anche per la ragazza dai capelli neri era oramai chiara la psiche del fratellastro, ai suoi occhi disinteressato completamente a lei. Era consapevole che lo spazio dedicato a lei fosse insignificante di fronte al suo nome di Kuchiki. Per questo non aveva mai riposto tante speranze nell’aiuto del ragazzo. In alcuna occasione.
Eppure Byakuya nel suo cuore era continuato a rimanere segregato in quella dimensione che lei costruì da giovane. Una dimensione di odio ed amore la cui collocazione non esisteva effettivamente. Una realtà spiegabile solo per chi avesse vissuto la loro storia.
Vivere quest’angoscia ogni giorno li aveva portati a essere quello che solo pochi avrebbero potuto intendere, e cambiare le cose era un’ipotesi lontana se non inverosimile, se non fossero accadute le circostanze che invece sconvolsero la loro vita dopo cinquant’anni, finalmente.
Alla luce del tempo trascorso e di tutto ciò che era stato negato e distrutto, a cosa era valso quello che invece tutto quello per cui lui, Byakuya Kuchiki, aveva lottato?
Il castello lentamente era crollato. In così tanti anni erano accadute così tante cose, eppure niente allo stesso tempo.
I giorni erano scorsi, e il tempo era passato, bruciando tappe importanti che avrebbero dovuto percorrere assieme.
Tutto era rimasto sconvolto, e l’unica cosa da farsi dopo essere stati così lontani, era ricongiungersi finalmente.


Cinquant’anni dopo circa… [Dopo gli eventi del manga]



Chi sei?


Tu mi sfuggi.


Mi perseguiti.


La tua immagine mi sfianca.


Non so cosa sei, non so cosa dovresti essere.
Vedo una nebbia, un fumo bianco che avvolge tutto ciò che conosco.
Pian piano muta.
Dietro di esso vedo delle ombre.
Mi sembra di riconoscerle, ma non ne sono più certa. Non ora che non so neanche più chi sono.


Cosa c’è? Hai paura? Forza, alzati. Alzati e combatti. Abbi il coraggio di guardarmi negli occhi.

Ho paura.


Guardami!


Rukia Kuchiki aprì gli occhi. Deboli, intimoriti, non aveva per davvero la volontà di farlo. Si guardò in torno. Era tutto bianco. Si voltò dietro di se e si sentì smarrita. Era come se fosse sospesa nel cielo, fra le nuvole, in una foschia fredda e umida dove non era lasciato alcuno spazio neppure a un angolo d’azzurro del cielo. Tutto quel bianco cominciò a farle mancare il respiro, era spaventoso, asfissiante. Voleva andare via. Abbassò il viso e solo allora si accorse che i suoi piedi non toccavano da alcuna parte. Presa dal panico, mosse le gambe e sperò con tutta se stessa di andare via da quel posto. Nonostante si muovesse, tuttavia, aveva la sensazione di essere sempre nello stesso luogo. Quasi come se i suoi sforzi di camminare, correre, non rispondessero e ciò che stesse sotto i suoi piedi, non scorresse ai suoi passi. Si ritrovò così a muoversi sempre più forte, sempre di più, fino a sentirsi sfinita. Solo l’aria era a muoversi sotto i suoi piedi, perché nonostante quella corsa, era rimasta ferma sempre nello stesso punto. Stanca, il ritmo cominciò a calare e lentamente perse ogni speranza di continuare a scappare. Si fermò. Strinse le mani sulle spalle e pregò con tutta se stessa.

“Kuchiki Rukia. Ti sei decisa a fermarti, finalmente.”

Una voce dolce e soave richiamò la sua attenzione. Era un po’ disturbata poiché probabilmente proveniva da lontano, eppure all’orizzonte non vide nessuno. Sgranò meglio gli occhi e quell’ombra che aveva visto in precedenza cominciò a prendere forma. Era una figura candida, addirittura angelica. Eppure fisicamente sembrava rassomigliarle.
Le sembrò come guardarsi in uno specchio, ma più quella figura le si avvicinava, più sentiva l’ansia crescere.

“Kuchiki Rukia, perché?”

Rukia corrucciò la faccia non capendo. Gli occhi di quella donna sembravano infinitamente tristi. Erano enormi e luminosi, come se fossero colmi di lacrime.

“Perché cosa?” chiese appena, ma con determinazione mettendosi sulla difensiva.

“Kuchiki Rukia, perchè stai correndo?”

In quell’istante qualcosa mutò.
Improvvisamente l’aria si fece più fredda, e quel chiarore che la donna aveva portato con la sua apparsa, sparì del tutto. Rukia sgranò gli occhi ma fu troppo tardi prima che comprese di avere le mani della ragazza che le somigliava attorno al collo.

“A…Aiuto!!” urlò già quasi senza respiro, specchiandosi in due occhi iniettati di sangue che la trafiggevano aspettando che crollasse. “Co…s sta…” la mente cominciò ad annebbiarsi, la vista a cedere. Era sull’orlo del collasso.

Era finita.

“VuOi morIre, kUchIKi RUkiA?

La sua testa sembrò essere sull’orlo di scoppiare, gli occhi le pulsavano, le sue mani cominciarono a cedere.

No…

Non voglio morire….!

Non voglio morire!

Perché?

Perché lo stai facendo?!

Mi chiedi perché?

Perché sei tu che lo vuoi…

Vero, Kuchiki Rukia?

No…


No..!!

Non sentì più dolore. Le dita di quella sottile mano pallida superarono le sue più alte aspettative di forza e non riuscì a bloccarle. Oramai avevano preso la meglio su di lei e i suoi tempi di reazione non erano riusciti a salvarla. L’aria non aveva più raggiunto il suo cervello, non le avrebbe permesso di riottenere il controllo.
Così esse continuarono a triturarle il collo, mentre lei oramai aveva già perso la ragione. La sua bocca era aperta, e assaporava ciò che le ricordava l’aria…

Aria…aria…aria…

Aiuto!!

“Signorina Rukia?!”

“Aiuto!!”

“Signorina Kuchiki?!”

Sbarrò gli occhi.

La prima cosa che fece fu tirare un profondo respiro. Subito distinse l’ambiente, era nella sua stanza. Tutto quel candore che prima la stava soffocando era scomparso. E quell’ombra che stava cercando di ucciderla…era un sogno?
Rimase più di qualche istante sdraiata sul fusuma, mentre i servi si avvicinavano preoccupati.

“Signorina, è tutto a posto?”

“Perdonatemi, è stato solo un incubo.” Rukia Kuchiki finalmente sorrise, felice che si fosse svegliata.

Era da molto tempo che non le capitava di avere incubi. Si chiese il perché il quel sogno, ma probabilmente era il caso dimenticarsene. Non era sicura neanche se le due figure sognate fossero entrambe lei, o magari si trattasse di Hisana data la loro impressionante somiglianza, ma tutto al più erano solo le sue inutili angosce che talvolta assumevano forme assurde se non ridicole. Spesso aveva sentito dire che sognare la morte significava “cambiamento”, ed in effetti parecchie cose erano mutate negli ultimi anni, soprattutto a riguardo di lei e la fantomatica Hisana, la cui immagine l’aveva perseguitata per cinquant’anni, senza sapere neanche chi fosse.
Ora invece le cose erano diverse. Conosceva il suo “perché” tanto agognato, la sua connessione con tutto quelle che le fosse accaduto, ed era sincera quando diceva di voler profondamente bene a sua sorella.
Non aveva avuto la possibilità di conoscerla, ma nel suo cuore era come se facesse parte di lei in qualche modo. E sentiva di volerle bene.
No, stranamente non aveva provato alcun tipo di odio, niente, assolutamente niente.
Nonostante sapesse chi fosse stata lei in realtà. Era stata abbandonata da lei, forse sarebbe stato normale provare del risentimento. Ma niente di tutto questo la affliggeva. Non perché fosse una persona buona. Semplicemente il suo cuore era in pace. Anzi, sapere la verità finalmente aveva cambiato in positivo la sua vita, e si sentiva molto più fiduciosa e serena.
Perché adesso le cose avevano un senso. Finalmente.

Si avvicinò allo specchio.
Rukia aveva oramai diciannove anni umani. Fisicamente non era cambiata molto. Era sempre bassa, le sue forme restavano ancora ridicolmente poco sviluppate, come sempre suo malgrado, e i suoi grandi occhi blu ed espressivi erano sempre gli stessi che la caratterizzavano.
Nel suo viso però qualcosa era cambiato.
E non era solo per i suoi capelli che erano giusto un po’ più lunghi, rispetto com’era stata solita portarli per cinquant’anni. Le davano indubbiamente un aspetto più raffinato ed adulto per certi versi, quella lunghezza oltre le spalle, ma non era solo quello.
No. Era maturata, era più grande. Il suo sguardo, finalmente tornato fiero e determinato, era la prova di ciò.

“Renji è già qui?” disse tamponando gli occhi con un asciugamano umido, che riappoggiò sul vaso colmò d’acqua gentilmente sorrettole dai domestici.

“Sì, signorina, sta aspettando di sotto.” Le risposero cortesi, porgendole i vestiti.

“Ditegli che vengo subito.” Da sola la ragazza spostò lo yukata dalle sue spalle e si vestì ordinariamente con un semplice kimono per uscire.
Una volta pronta, si avvicinò al fusuma e fece per abbandonare la stanza, ma la cameriera la fermò.

“Signorina Rukia, e Byakuya?”

“Ditegli che sono uscita.” Detto questo, Rukia lasciò la stanza definitivamente, e velocemente si diresse verso il salotto dove era stato fatto accomodare il suo amico di vecchia data, nonché compagno da una vita, Abarai Renji.

“Buongiorno.” Esclamò la bruna introducendosi all’amico dai capelli fulvi, assumendo quel tipico tono rauco di chi si era svegliato da poco. Il ragazzo, udendo la voce dell’amica, mosse il capo nella sua direzione, allargò le labbra ed alzò le sue curiose sopraciglia a forma di saetta.

“Oh, eccoti! Sonno pesante, nanerottola?”

“Vuoi che ti saluti con un bel calcio in faccia, eh, Renji?” rispose lei a tono, scherzando, ma non che Rukia Kuchiki non lo avesse fatto per davvero se minimamente provocata. Era così che si comportava con gli amici, in maniera molto diretta.

“Oh, oh! Siamo nervosi già a primo mattino?” esordì Renji in tutta risposta, alzandosi in piedi, quasi a volerle far notare quanto fosse più grande e grosso rispetto a lei. Rukia alzò un sopraciglio ma non lo curò, portò una mano sulle tempie e scrollò la testa.

“Andiamo, non voglio far troppo tardi.” Detto ciò, quasi lo strattonò via di casa, e insieme abbandonarono villa Kuchiki e furono ben presto tra le vie del Sereitei, diretti al Gotei.
La giornata era mite e tiepida, ed era da qualche giorno che Renji e Rukia avevano preso l’abitudine di avviarsi insieme al lavoro, almeno nei giorni la settimana in cui i loro orari avevano delle coincidenze. La loro era una curiosa amicizia. Non si erano sentiti per così tanti anni, eppure una volta ripresi i contatti fu come se nulla fosse cambiato dai tempi in cui erano entrambi due ragazzini. Anche se magari non lo dicevano, erano entrambi sorpresi di questo. Dopotutto però non aveva alcuna importanza. Poter parlare liberamente con una persona cara era una sensazione che era mancata profondamente nella vita di Rukia. Anche adesso che con il nobile fratello le cose erano migliorate, comunque quella sensazione di calore e vicinanza le era ancora estranea, poiché l’aveva perduta per così tanto tempo che adesso era addirittura strano ritrovarla con tanta naturalità. In effetti, riportando alla mente Byakuya, ogni giorno si rendeva conto di quanto fossero cambiate le cose tra di loro. In verità a fatti sembravano entrambi quelli di sempre. Lui continuava a essere serio e distaccato, però talvolta lo aveva visto più umano e più interessato a lei. Questo in più di un’occasione l’aveva messa a disagio in verità.
Non era per niente abituata ad averlo vicino. Anche se abitavano sotto lo stesso tetto da anni, non avevano mai raggiunto alcun grado di confidenza, e se negli anni si era abituata a chiamarlo fratello, non era certo perché fossero tali. 
Questo le faceva sentire una strana morsa al cuore, una sensazione in verità che Byakuya aveva sempre provocato in lei, ma che credeva di essere riuscita a domare. E invece la vedeva riaccendersi con più ardore addirittura, ancora di più adesso forse proprio perché lo vedeva più spesso. Deglutì, e cercò di non mostrare il suo disagio all’amico, che per di più era anche il luogotenente di Byakuya, quindi non le andava di parlare di questo proprio a lui.
Naturalmente invece era Renji a raccontarle sempre del Capitano, certe volte non accorgendosi che in quel momento Rukia ne avesse fin sopra i capelli di sentire parlare di lui anche a lavoro. Anche il solo accennare al ragazzo dai sottili capelli neri le provocava delle curiose sensazioni, ma che voleva tenere a bada. Tuttavia ciò non era sempre possibile se tutto non faceva che ricordarglielo.

“Ehi, Rukia, guarda che ci siamo!”

La ragazza fu catapultata nel presente e si girò di scatto verso Renji.

“Siamo arrivati? Bene… ci vediamo dopo!”

Rukia subito si voltò e quasi scappando si allontanò dalla vista dell’amico che istintivamente tese una mano verso di lei, ma la ragazza era già troppo lontana. Rimase a osservarla per un bel pezzo, portando una mano sui capelli tirati nel suo solito  codino stretto. Era una donna alquanto strana, e la cosa più curiosa era che nella sua vita lei fosse fra le persone più “normali”. Rise fra sé, dopodiché si avvio verso il sesto dipartimento, la sua divisione di appartenenza.
Altrove, Rukia era finalmente giunta alla sua postazione e fu felice per una volta che il capitano Ukitake li tenesse impegnati praticamente tutta la mattina. Aveva assolutamente bisogno di scaricare la sua energia in qualcosa, ed ora come ora tante carte da mettere a posto andavano benissimo.
Passò il tempo, molto piacevolmente in verità, e sul tardi mentre rimetteva gli ultimi fascicoli al loro posto, una circolare col timbro della sesta divisione attirò la sua attenzione. Controllò la firma, ed era del luogotenente, Abarai Renji. La lesse distrattamente, tanto per dare un’occhiata, ma impallidì quando lesse il suo nome indicato tra le righe. Avvicinò a sé i fogli, non comprendendo. Era stata assegnata a una missione con la divisione sei e quell’imbranato non le aveva detto nulla?
Si sentì adirare. Parlavano di tante stupidaggini, poteva anche informarla! Fu però quando lesse più attentamente che capì di più. Infatti, era richiesta la firma anche dei rispettivi capitani delle due divisioni, sia la sesta che la tredici. Ciò voleva dire che senza l’autorizzazione di Byakuya, questa era pura carta straccia. Le si strinse il cuore riflettendo su quanto avessero ancora influenza su di lei le pretese del fratello, che non faceva che controllarla. Probabilmente era stato stesso lui a richiedere una sua autorizzazione quando si parlasse di lei. Riposizionò la carta fra gli altri fascicoli, dopodichè abbandonò la stanza annunciando il suo rientro a casa ai colleghi. Era stanca e voleva continuare il suo lavoro a casa, nel calore della sua stanza. Così prese in braccio il materiale ed andò.
Una volta arrivata, era giunta oramai la sera inoltrata. Sbirciò dentro ma la casa sembrava essere assolutamente vuota. Si diresse nello studio, dove Byakuya aveva l’abitudine di rinchiudersi quando non voleva essere disturbato, ma non vi era, così realizzò di essere sola in casa. Fece un sospiro di sollievo e ne approfittò per mettersi comoda e con calma finire il suo lavoro.
Fece prima tappa in camera sua, scese gli hakama, e rimase col kimono che le arrivava all’altezza di metà coscia. Si rimboccò le maniche e, dopo aver chiesto alla servitù di preparare il bagno, si mise subito al lavoro. Seppur stanca, le riuscì molto piacevolmente dedicarsi a questo. La concentrazione per una buona ora non le venne per nulla a mancare, nonostante avesse alle spalle tutta una giornata lavorativa al Gotei. La notte scese velocemente, e quasi non si accorse di quanto buio si stesse facendo. Fu quando una luce si accese improvvisamente che si accorse di essere stata china su quei fogli nell’oscurità. Sbandò quando, voltandosi, si accorse che ad aver acceso la luce era stato proprio suo fratello, probabilmente appena tornato.

“F-fratello! Sei tornato adesso?” chiese sinceramente sorpresa.

Byakuya la guardò con un viso assonnato, alzò appena le sopraciglia, dopodichè andò inaspettatamente a posizionarsi di fianco a lei.
Rukia rimase con gli occhi sbarrati, fissi ad osservarlo. Suo fratello non era certo quel tipo di persona che si avvicinava tanto per passare un po’ di tempo assieme, o per salutarsi, quindi quell’atteggiamento quasi la spiazzò. Dovette però subito mutare la sua espressione per non destar sospetto o indurre Byakuya a chiederle qualcosa, così ritornò a concentrarsi sulle sue carte. Stette china per diversi secondi, ma le sue attenzioni si erano oramai del tutto allontanate da quei compiti assegnatoli. Con la cosa dell’occhio sbirciò verso il ragazzo. Prima verso le sue gambe perfettamente inginocchiate, poi il suo sguardo salì percorrendo tutto il suo corpo perfettamente eretto, ma quando arrivò al viso, subito riportò lo sguardo dinanzi a sé perché anche lui la stava guardando. Aveva, infatti, incrociato i suoi occhi e la cosa era stata abbastanza imbarazzante visto che aveva cercato di spiare nella sua direzione e non farsi vedere. E invece lui se n’era accorto perfettamente. Si sentì morire e fu sicura che il suo viso fosse diventato paonazzo. Odiava sentire la sua faccia così calda, e al contempo le mani così fredde. Erano emozioni che non sopportava e si chiedeva perché si sentisse così proprio con lui. Intanto Byakuya allungò leggiadramente una mano, coperta dal candido guanto annodato sul dito medio, e sfilò alcune delle carte sulle quali Rukia stava lavorando. Rukia alzò subito la testa di fronte quel gesto e lo guardò sgomentata, mentre il respiro si era fermato nei polmoni costringendola in una posa alquanto rigida.

“E’ su questi, che stai lavorando?”

Rukia dovette ripensare alle sue parole più volte prima di connettere e conferire ad esse il loro significato. Agitatamente, poi annuì confermandogli quanto dedotto. Byakuya a quel punto non le dedicò più alcuno sguardo, e prese a esaminare una parte di quelle carte che la ragazza si era portata dal gotei. Rukia rimase esterrefatta. Suo fratello stava davvero lavorando assieme a lei, per aiutarla? Sentì un nodo in gola e le venne naturale cercare di far desistere suo fratello, visibilmente stanco.

“Lascia! Me ne posso occupare io, fratello. Davvero.” Intervenne dunque cortese Rukia. Il ragazzo tuttavia non si smosse minimamente e non le dedicò alcuna attenzione.

“Non darti pensiero.” Rispose lui solamente, laconico, rimanendo sulle sue, non scostando gli occhi dal foglio.

Rukia decise di non insistere. Conosceva abbastanza suo fratello da sapere quando era nella possibilità di farlo desistere, oppure no, nel fare qualcosa. Così ritornò anche lei ai suoi fogli e cercò di riprendere la concentrazione, quanto più potesse. Proprio in quel momento cominciò a sentire il peso della stanchezza. Gli occhi presero a bruciarle e dovette stringere i denti più volte per cercare di non sbadigliare. Eppure fino a quel momento si era sentita molto energica. Alzò il viso per la prima volta verso l’orologio appeso sulla parete e sbarrò gli occhi costatando che fosse oramai giunta la mezzanotte.  In quel momento sbirciò subito in direzione di Byakuya, e si chiese come mai il ragazzo avesse fatto quell’ora. Guardando però il suo viso completamente preso dalla lettura di un modulo, le parole si strozzarono in gola, non permettendole alcun tipo di reazione. Rimase con la testa girata verso di lui per un lunghissimo minuto, non riuscendo a distogliere lo sguardo e non pensando assolutamente a nulla. Fu dopo un po’ che si ricompose e ritornò con lo sguardo chino, ma la sua curiosità la portò a girare nuovamente gli occhi verso il fratello, e senza apparentemente un motivo, si disegnò un sottile sorriso sulle sue labbra. Stesso lei non capi esattamente cosa le prendesse, ma cominciò a palpitarle il cuore nel petto, così forte che per un attimo temette che lui potesse sentirlo. Così allungò una mano su di esso e premette leggermente. Fu allora che anche Byakuya finalmente scostò gli occhi da quei fascicoli. Inizialmente assorti e stanchi, le sue pupille si girarono verso di lei con un movimento veloce che quasi la fece sbandare. Istintivamente la ragazza si fece di pietra, incastrando la testa fra le spalle, e rimase immobile a fissarlo anche lei a sua volta, non sapendo cosa gli prendesse. Bastava un singolo movimento di Byakuya per far attirare la sua attenzione. Non era facile da spiegare, ma lui sapeva farsi comprendere a modo suo, e a lungo andare atteggiamenti insignificanti agli occhi degli altri, per chi lo conosceva divenivano dei veri e propri messaggi da codificare. Rukia non possedeva la loro chiave di lettura, ne credeva esistesse qualcuno che comprendesse fino in fondo i suoi atteggiamenti, ma aveva imparato a capire quali erano i segnali un po’ diversi dal solito. In questi casi, preferiva aspettare una sua mossa, anche se spesso l’attesa era così straziante da indurla più volte a chiedere lei stessa cosa succedesse. Cosa che in verità accadde anche questa volta. Infatti, dopo appena pochi secondi, la ragazza dai capelli neri schiuse le sottili labbra rosee e con un filo di voce si rivolse al fratello, non smettendo mai di rivolgergli i suoi grandi occhi cobalti.

“C’è qualcosa che ti turba…fratello?”

Byakuya rispose con un silenzio alla sua domanda, come succedeva spesso del resto.
La sua figura composta, inginocchiata con lei di fronte al tavolino a lavorare, e il suo viso a stento rivolto verso di lei comunicava un’immagine imponente seppur Byakuya non fosse un uomo grosso. Il contrasto del vestito scuro degli shinigami, e i suoi lunghi capelli neri, con la sua pelle bianca, in quel momento ebbe un effetto maggiore su di lei, e quasi le sembrò una figura spettrale. Non era qualcosa di negativo, ma trasmetteva un fascino nefasto e seducente. Il nobile Byakuya, illuminato dai raggi lunari, era inquietante e poetico insieme. Sembrava fuoriuscire da un libro illustrato. La magia di quell’atmosfera fu interrotta quando lui divincolò lo sguardo e ripose il pennino nel calamaio.

“Sei stata assegnata a una ispezione con la mia divisione.” Disse improvvisamente. Rukia ricordò subito del fascicolo trovato sulla scrivania di un ufficio del suo dipartimento, per cui subito informò il fratello di esserne a conoscenza.

“Sì. Avevo notato una circolare nella quale era stato richiesto il tuo consenso per farmi partecipare alla spedizione. Ti ringrazio per aver acconsentito.” Disse cogliendo ciò che probabilmente Byakuya voleva essere detto da lei. Sapeva quanto lui la controllasse, e anche se spesso lo trovava insopportabile, adesso sapeva perché lo facesse. Era giusto, quindi, che gli esprimesse gratitudine.
Fu sorpresa però quando si accorse che, al contrario, il fratello fosse rimasto fermo a guardarla con un’espressione che, in gergo Byakuya Kuchiki, poteva essere interpretata come sguardo confuso. Lui alzò le ciglia e piegò appena la testa, e i suoi sottili capelli assecondarono questo suo lento movimento.

“La mia firma era una richiesta puramente formale. Non era certo per consentire a te di andare oppure no. Ad ogni modo, non era questo ciò di cui volevo informarti. Non è di mia competenza. Le opportune indicazioni ti saranno date dal tuo capitano, il signor maestro Ukitake. Sappi che sono stato assegnato alla stessa unità anch’io.”

Rukia lì per lì non seppe a cosa dare importanza per primo. Se al fatto che questa volta Byakuya non avesse pilotato sul suo lavoro, se avesse detto una delle farsi più lunghe che gli avesse mai sentito dire, pur nella loro assoluta formalità, o se all’ultima frase, ovvero che lui sarebbe venuto con lei in quella equipe. Poi riflette meglio.
Che cosa aveva appena sentito?! Byakuya e lei…in una stessa missione?
Sbarrò gli occhi ancora di più di come già non fossero, tanto che sentì la pelle tirare sulla fronte, e la sua bocca si rimpicciolì tanto da temere che potesse sparire. Deglutì appena e parlò senza che le parole filtrassero prima per la sua mente, e che quindi si materializzassero nella forma tipica degli standard della famiglia Kuchiki. Gli parlò, infatti, come non succedeva da anni, in una maniera alquanto informale, che però non sembrò seccare per nulla il fratellone.

“Tu…vieni con me?”

“Esattamente.” Rispose lui tranquillo, con uno sguardo a dir la verità un po’ saccente, in confronto all’inespressività che caratterizzava il suo volto.

“E tu non c’entri niente?” insistette lei imperterrita, non rendendosene conto. Ma il ragazzo non vi fece troppo caso, ed anzi. Portò le nocche delle dita sulla bocca e continuò quella conversazione. Sembro addirittura divertito, si poteva dire.

“No.” Disse secco, con fare assolutamente placido e rilassato.

“Sì?”

“Sì.” Riconfermò lui rimanendo col mento poggiato sul dorso della mano, specchiandosi negli occhi di lei, che lo guardavano increduli e sbigottiti. Vedendola così confusa e alquanto dubbiosa, il ragazzo sorrise appena, intenerito in qualche modo. Ma la sua espressione rimase celata sotto le dita affusolate della sua mano. Così si alzò e le diede un paio di colpetti sulla testa, spostandole appena la folta chioma nera.

“Vai  a dormire, si è fatto tardi.” Detto questo, in pochi secondi sparì, lasciandola senza parole. Solo più tardi la ragazza sentì il viso infuocarsi, e non seppe se stesse scoppiando di rabbia per quel viso perfetto ed insopportabile del capofamiglia Kuchiki quando si comportava così, oppure se fosse per davvero confusa e stanca.
Ad ogni modo, dopo si alzò anche lei, e lentamente si diresse nella sua stanza. Si coricò e rimase per diversi minuti, prima di addormentarsi, ad osservare il soffitto, così buio da confondersi con l’infinito informe dell’ombra. Puntò gli occhi su quest’immagine indefinita per molto tempo senza neanche rendersene conto, finché il sonno sopraggiunse e crollò.

[…]

“Questo è tutto, ci vediamo domani. Oh! Kuchiki!”

Rukia, che si era già incamminata verso il suo ufficio, si girò in direzione del capitano Ukitake che l’aveva chiamata una volta finito il discorso sulla spedizione alla quale avrebbe partecipato assieme ad alcuni dei suoi compagni della tredicesima divisione.
Aveva loro illustrato ogni dettaglio, e sembrava una consueta ispezione in un bosco nelle vicinanze del rukongai. Niente di particolarmente pericoloso, sarebbero stati via soltanto pochi giorni, e la partenza era prevista già per l’indomani. Si riposizionò dritta unendo i piedi e guardò il signor Ukitake, con la sua aria malaticcia e indebolita che purtroppo non lo abbandonava mai, e purtroppo non per la sua effettiva età, che comunque era avanzata. Questo in verità le portava sempre un profondo dispiacere perché era una persona alla quale era particolarmente affezionata per i suoi modi gentili e molto garbati. Quella sua debolezza dovuta alle non ottimali condizioni di salute la intristivano profondamente, ancora di più se costatava che era abituale vederlo sempre così.

“Capitano, mi dica.” Disse prontamente al suo richiamo.

“Nulla d’importante. Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto per te.”

Rukia quasi si sorprese di quelle parole, ma cercò di non prendere a fantasticarci troppo. Si limitò ad annuire e basta. Intanto il Capitano continuò a parlare.

“Tu ti occuperai della zona ovest. Troverai tutto il materiale dove ho già indicato agli altri. In più, vorrei tu ti occupassi dei resoconti una volta che sarete tutti rientrati.”

“Certo. Me ne occuperò io.” affermò lei, dopodiché cercò il consenso del signor Ukitake per poter andare via.  Così lasciò la stanza, sentendosi in verità un po’ inquieta. Aveva avuto la netta sensazione che non l’avesse trattenuta per quello. Una parte di lei pensò che fosse preoccupato, altrimenti non le avrebbe chiesto se fosse tutto a posto per lei. Lui era stato anche il maestro di suo fratello, e se le sue preoccupazioni fossero causate proprio da lui? Si fermò un attimo, scuotendo energicamente la testa. Erano solo assurdità quelle che ultimamente le passavano per la mente, solo perchè era visibilmente agitata, più di come lo era di solito, nel lavorare in così stretto contatto con lui. Aveva già conosciuto Byakuya nelle sue vesti di capitano. Chi più di lei aveva familiarizzato con la sua figura alla luce di cinquant’anni di convivenza. Tuttavia non era mai stato il suo capitano, e lui era stato quello scelto per quella spedizione. Non era una novità per lei obbedire ai suoi ordini, ma mai come quella volta si sentì a disagio in verità. Forse era proprio dovuto al fatto che adesso che le cose erano finalmente cambiate tra di loro. Stavano lentamente riacquistando una vicinanza che prima non avevano mai avuto. Questo le creava più di una confusione. Per lei era difficile descrivere i suoi sentimenti per Byakuya, così come era impossibile dar loro un’identificazione più precisa. Sapeva solo che esclusivamente un uomo come lui era capace di farla sbandare e farle dimenticare ogni altro tipo di preoccupazione, facendole smuovere qualcosa dentro che descriveva come agitazione, ma non si trattava solo di quello. Tuttavia preferiva non ricercare una risposta. Non ora che aveva tutt’altro a cui badare come i preparativi per la ormai prossima partenza.
Il giorno in questione venne ben presto. Aveva avuto poco modo di rivedere Byakuya a casa. L’unico momento in cui era riuscita ad incrociarlo era stato verso il tramonto, quando oramai le luci stavano cominciando ad abbassarsi, tinteggiando il cielo di arancione. Aveva visto la sua ombra proiettarsi sul prato e così era corsa in giardino sperando di scambiare qualche battuta con lui prima di partire, ma lui era completamente immerso negli allenamenti. Era rimasta a guardarlo per qualche minuto, mentre le ombre avvolgevano sempre più prepotentemente la sua figura, che voltandosi, di tanto in tanto veniva colpita dagli ultimi e luminosissimi raggi solari che facevano intravedere il suo viso pallido, e i suoi capelli di una tinta castana. Un’immagine diversa dato che i suoi erano completamente neri, senza alcun riflesso di altro colore. Aveva preferito comunque allontanarsi e lasciarlo fare, ma era più che sicura che lui l’avesse vista e se aveva ritenuto opportuno non interrompersi, a lei in fin dei conti andava bene. D’altro canto, cosa avrebbero avuto da dirsi?
Così lo rivide la mattina della partenza, esattamente come tutti gli altri, nelle vesti di capitano. Mischiata con gli altri shinigami, si chiese se effettivamente lei fosse come tutti gli altri per lui.  Nella folla dei suoi compagni e quelli di altre divisioni, si sentiva come uno dei tanti, e il nobile Byakuya, infatti, non mostrava alcun tipo di trattamento diverso per lei. Neanche uno sguardo di chi con gli occhi voleva dirti di averti notato fra tutti. Non che in verità se lo aspettasse o lo volesse, ma una parte di lei per qualche motivo era sempre attenta ai suoi atteggiamenti, se si mostrasse interessato a lei,  almeno ogni tanto, come sorella.
Camminarono a lungo, procedendo con un passo moderato. In effetti, erano in perfetto orario con la tabella di marcia. Mentre avanzavano, Rukia si mostrò disinvolta con i suoi compagni, e quasi non badò più al fratello, che invece non l’aveva persa di vista un solo attimo. Era un’abilità di Byakuya Kuchiki quella di apparire tutto ciò che in realtà non fosse.
Era indubbiamente cambiato e recentemente si apriva di più agli altri, seppur nei suoi standard. Tuttavia per quanto riguardava i suoi sentimenti o i suoi pensieri, preferiva comunque che nessuno vedesse oltre il suo sguardo, e faceva di tutto perché questo non mutasse. Non perchè non volesse essere compreso, ma perché preferiva così. Non c’era neanche un motivo effettivo oramai. Forse la sua educazione o il suo tipo di carattere lo avevano portato a prediligere la distanza dagli altri, ma lui non se n’era mai fatto un problema. Era qualcosa di così normale da venirgli del tutto spontaneo nella maggior parte dei casi. Casi che non prevedevano la sorella adottiva, per la quale cercava di mostrarsi più disinvolto, ma davvero non riusciva. Manifestare i suoi sentimenti era sempre stato il suo limite, e nel momento nel quale apriva appena uno spiraglio, era subito pronto a richiuderlo poiché impaurito che la porta potesse improvvisamente spalancarsi del tutto.
Non era sicuro di volerlo, e la cosa lo metteva in allarme agli albori, e così preferiva rimanere distaccato. Era in quella dimensione che il capofamiglia Kuchiki e capitano della sesta divisione del gotei aveva imparato a vivere, e seppure agli occhi degli altri fosse difficile immaginarsi ed immedesimarsi nella sua mente, per lui tutto scorreva così naturale che non vedeva altro modo di concepire le cose.
Questo finché non veniva messo alla prova, ovviamente. Di recente si era aperto a nuovi orizzonti, ma il cammino per cambiare le sue abitudini era lungo, ma non così impossibile.
Arrivati a destinazione, tutti posarono i loro effetti sul terreno secco, e presero a montare le tende. Si era già fatta sera, ma nessuno era stanco. Erano tutti shinigami addestrati, una lunga camminata non era un problema per nessuno di quel livello.
Byakuya si ritirò nella sua tenda e Rukia lo vide sparire oltre il sipario, con una punta di amarezza dentro. Ritornò poi al fuoco che era stato acceso dagli altri shingami e col quale lei si stava riscaldando.

“Ordini dal capitano Ukitake! Coloro che fanno parte della tredicesima compagnia devono proseguire a sud. Rinfrescatevi, poi partite subito per l’ispezione.”

Uno shingami della sua compagnia che, in effetti, conosceva di vista, si era alzato ed aveva annunciato le volontà del loro capitano, verso le quali Byakuya non mostrò alcuna obbiezione, essendo rimasto in disparte.
Rukia non seguì i suoi compagni e si diresse ad ovest come invece il signor Ukitake le aveva detto. Assieme a lei si avviarono altri shinigami, ai quali probabilmente aveva conferito lo stesso ordine. La loro si rivelò un’ispezione infruttuosa, dato che di hollow non vi fu neanche l’ombra, ma d’altra parte era meglio così. Voleva dire che quella zona era abbastanza tranquilla. In fin dei conti quella non era mai stata una zona troppo infestata, quindi era sollevante sapere che continuasse ad esserlo.
Mentre continuavano i consueti controlli, Rukia si spostò sulla terra ferma. Trovava inutile continuare ad ispezionare dall’alto, avrebbe dato un’occhiata anche giù. Girovagò per diversi minuti, ma non avvertì alcun reiatsu, a parte quello dei suoi compagni. Ad un certo punto qualcosa la pizzicò appena sulle spalle, e lei si girò così di scatto che la cosa che l’aveva toccata quasi non ebbe il tempo di vedere quel movimento. Se quel qualcosa non fosse stato Byakuya Kuchiki ovviamente. L’uomo era conosciuto per la sua velocità, infatti si era scansato senza alcun minimo sforzo da quel inaspettato attacco, che al contrario aveva atterrito la povera Rukia, che si sentì il cuore in gola per ciò che aveva cercato di fare al nobile fratello. Subito si piegò in due, facendo cascare i capelli neri tutti davanti al viso.

“Chiedo scusa, fratello! Ho reagito d’istinto!” disse lei, sentendo il viso infuocarsi sempre di più. Tuttavia Byakuya non la curò, e, anzi, la superò continuando a camminare come se nulla fosse.

“Byakuya?!” esclamò Rukia alzando appena gli occhi e vedendolo andare via. Costatando che fosse quasi fuori dal suo campo visivo, si riposizionò dritta, non badando se la forma dei suoi capelli fosse ritornata al suo posto, e gli corse incontro.

“Fratello, hai scoperto qualcosa?” chiese camminandogli di fianco e cercando di interpretare la sua presenza lì.  Ma lui non rispose e continuò ad avanzare, quasi come se non gli avesse parlato affatto. Rukia rimase ad osservarlo e non comprese per nulla perchè lui si comportasse così. Tuttavia le parole non le vennero, ne le pareva il caso criticarlo nel bel mezzo di una ispezione, così si limitò a guardarlo con disapprovo, e se lui avesse colto, sarebbe stato lui a parlare. Ciò tuttavia non avvenne, così si ritrovarono a camminare assieme, in silenzio, avvolti nella foschia sempre più fitta del bosco.
Fu una strana atmosfera, nella quale la ragazza dai capelli neri non seppe dire come si sentisse. Da una parte si sentiva inspiegabilmente a suo agio, dall’altra avrebbe voluto dire molte cose, ma puntualmente, quando era con lui, l’agitazione le impediva di essere disinvolta come avrebbe voluto. Questo generava in lei una dicotomia che cominciava lentamente a turbarla, non rendendola più in grado di godere con serenità quel momento. Byakuya, sbirciando nella direzione della giovane ragazza, si accorse del leggero turbamento che la stava assalendo. Rallentò il passo, quasi come se avesse voluto darle il tempo di parlare, ma la ragazza parve non accorgersene per nulla, ed infatti si ritrovò a camminare poco più dietro di lei. Per provocazione, Byakuya fermò i piedi e resto immobile a guardarla, aspettando che lei si accorgesse di lui, cosa che quando avvenne in cuor suo lo divertì, ma che a Rukia non piacque per niente. La ragazza fu visibilmente irritata da quel comportamento infantile, poiché ancora non conosceva tutte le sfaccettature del ragazzo dai capelli neri, quindi non sapeva mai come prenderlo. Però i suoi improvvisi sbalzi d’umore stavano cominciando a darle sui nervi e, se in precedenza aveva sempre cercato di non farci caso, adesso stava diventando davvero insopportabile. Già era difficile reggere l’atmosfera pesante che solo la presenza di un Kuchiki sapeva attirare a se e su chi gli era intorno. Lui poi prendeva anche a confonderla facendola sentire così stupida. Corrucciò la fronte e si imbronciò, non importandosi affatto di avere un atteggiamento irrispettoso. Si voltò di spalle verso di lui e gli parlò ad alta voce.

“Fratellone, ci siamo fermati per qualche motivo?” disse non trattenendo il tono irritato.

Byakuya non rispose neanche questa volta, facendola innervosire ancora di più. Si voltò di scatto, sperando di non dover insistere ulteriormente con lui, ma non appena i suoi occhi guardarono alle sue spalle, si accorse che lui era sparito. Sgranò gli occhi incredula. Non aveva sentito assolutamente alcun rumore, ed era lì, pochi istanti prima. Dove era andato senza neanche chiamarla? Si lasciò prendere dal panico, ma fu un attimo veloce, poiché se lo ritrovò di nuovo dinanzi a sé non appena riportò il busto nella posizione corretta. Sbandò quando si ritrovò il naso contro il suo petto, e fu sicura di essersi fatta di tutti i colori lì per lì, mentre si era accorta che con uno shunpo velocissimo le si era parato davanti.

“Ma che razza di scherzi sono?” esclamò a malapena, potendo solo in questo modo far fuoriuscire tutto lo sgomento che le provocava quel ragazzo che più passava il tempo e meno riusciva ad interpretare. Byakuya dal canto suo la immobilizzò per il braccio quando lei fece per allontanarsi da lui, trattenendola.

“Byakuya…cosa fai?” disse non guardandolo negli occhi, rimanendo immobile a fissare il suo petto coperto dal kimono scuro, con il sottile braccio fra le sue mani che la teneva stretta a sé. Sentì il cuore palpitare forte e tutte quelle emozioni, che già da prima della loro partenza avevano cominciato a turbarla, di colpo precipitarono tutto di un botto sulla sua pelle. Sentì delle trepidazioni forti che prima non aveva mai provato. Percepiva solo il suo corpo desiderare la vicinanza del ragazzo, e quello sfiorarsi appena le sembrò così atroce da sopportare, che o avrebbe dovuto allontanarsi del tutto, oppure buttarsi fra quelle braccia. E invece fu costretta in questa morsa, dove non sapeva per davvero dove scappare. Byakuya non fece nulla per farla sentire più a suo agio. Anzi, rimase immobile come lei, con il viso rilassato, impossibile da interpretare, e gli occhi grigi fissi nel vuoto, mentre lentamente piegava la testa per avvicinarsi a lei. La ragazza dai capelli neri sentì il fiato del ragazzo soffiare appena fra i suoi capelli. Lo percepì a stento, ma bastò per farla agitare ancora più ulteriormente. Improvvisamente milioni di pensieri affollarono la sua mente, riflessioni negative su ciò che stava accadendo fra di loro. Verità che per entrambi sarebbe convenuto non sapere o addirittura non ammettere. Loro erano fratelli adesso, e lei era la sorella della sua defunta moglie. L’aveva adottata. Ciò che stava succedendo, ciò che in verità era sempre stato, non doveva venir fuori. Sarebbe stato incontrollabile. A maggior ragione ora che le cose erano migliorate tra loro, non valeva la pena distruggere tutto. Cosa ne sarebbe stato di loro se fosse venuta alla luce una cosa del genere? Era meglio tener tutto celato, così come lo era stata per cinquant’anni. Rukia da sempre aveva sentito forti emozioni per lui. Byakuya non era mai stato un fratello. Era un ragazzo distante col quale aveva convissuto per tanti anni senza che ci fosse stato alcun tipo di relazione fra loro. E tutto questo aveva dovuto ponderarlo in pochi mesi dopo la sua adozione. Quell’ uomo aveva cambiato la sua vita, e lei era rimasta folgorata da lui. Ma tutto era già finito. Era finito nel momento nel quale aveva giurato a se stessa che sarebbe diventata un membro di quella famiglia. Aveva sfiorato le sue labbra e lì, in quel momento, era finito tutto. Inoltre lui non si era mai mostrato interessato a lei in nulla, se non se rispettasse i suoi obblighi e mantenesse un comportamento dignitoso. Ultimamente invece ciò era cambiato, e la sua vicinanza aveva cominciato a rompere quegli schemi che invece aveva imparato a far suoi.
Da giovane dovette guardarsi allo specchio e frantumare ogni cosa. Ogni suo ricordo, ogni speranza, ogni cosa che fosse stata. E aveva dovuto pian piano riprendere i cocci e dar loro una forma nuova. Ora stava andando di nuovo tutto in frantumi. Ciò che era stato costruito con volontà ed impegno, ma con il senso della frustrazione e della devozione, adesso rivendicava ciò che era stato perduto, e questo non riguardava soltanto lei.
Anche da parte di Byakuya più di qualcosa era cambiato da quando era tornato sui suoi passi, durante la esecuzione di Rukia pochi anni addietro. Ed adesso che dovevano ricominciare daccapo, stava fuoriuscendo ciò che era rimasto congelato ed incatenato per moltissimi anni, anche se sconveniente per entrambi. E la cosa più strana era che, Byakuya, che aveva sconvolto il mondo dell’allora giovane Rukia, adesso fosse colui che lo stava sconvolgendo nuovamente. Dopo che lei aveva lottato per farsene una ragione, per vivere nella sua nuova realtà, dove lui era suo fratello maggiore, e non il nobile Byakuya.
Così la bruna premette violentemente sull’addome del ragazzo e si allontanò di colpo, riuscendo ad approfittare di un momento di abbandono del ragazzo.

“B-Byakuya…” Rukia era paralizzata. Era partita pronta per dire molte cose, per rimproverare il suo comportamento, e invece dalle sue labbra era uscito solo quel nome in modo ridicolmente tremolante. Byakuya rimase ad osservarla, comprendendo l’angoscia e la confusione della giovane ragazza. Tuttavia questa volta non indugiò. In verità era pronto a voler chiarire con lei, ed era un qualcosa che mirava a fare già da molto tempo. Inizialmente aveva deciso di desistere, ma poi si era reso conto che qualcosa era cambiato nel suo cuore, e con tutte le probabilità non era più disposto a mentire. Se lei avesse rifiutato, era perfettamente lucido per accettarlo, ma per una volta nella sua vita voleva mettere le carte in tavola e scoprire il suo mazzo. Il dopo non avrebbe avuto importanza.

“…Non…non va bene, fratello.” Rukia puntualizzò su quell’ultima parola, e Byakuya ci fece prontamente caso. “Non…” insistette lei imbarazzatissima, non sapendo per niente cosa dire o come parlare. La sua bocca si asciugò del tutto e la sua mente non rispose. Byakuya le si avvicinò, mosse una mano verso di lei ma, mentre era arrivata fino a sfiorarle il viso, la ritirò. Non volle toccarla. Rukia osservò attentamente tutta la scena, immobile come se fosse diventata una bambola di cera. Byakuya si girò di spalle facendo ondeggiare la lunga sciarpa bianca e l’haori da capitano, dopodiché, con un veloce passo lampo, sparì dalla sua vista, dicendole appena poche parole.

“L’ispezione per oggi è finita. Torna all’accampamento.”

Le foglie ai suoi piedi si alzarono da terra accompagnando il movimento scattante col quale lui era andato via. Una volta dileguato, Rukia cadde sulle ginocchia, atterrita. Non sapeva che svolta stesse prendendo la sua vita. Non sapeva cosa fare, non sapeva se ragionarci, oppure fosse meglio preservare la sua mente da quei pensieri turbolenti. La cosa che la spiazzò di più fu accorgersi dopo cinquant’anni di amarlo ancora.

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