Cronache dell'Ashar - Centro e Nord => L'amore dopo duemila anni

di kikka_akachan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ashar ***
Capitolo 2: *** Padre ***
Capitolo 3: *** Nuova vita ***
Capitolo 4: *** La Gilda dei Diafani ***
Capitolo 5: *** Esame ***
Capitolo 6: *** Cuore in frantumi ***
Capitolo 7: *** Due anni dopo: un nuovo aiuto ***
Capitolo 8: *** Nahash ***
Capitolo 9: *** Un'idea ***
Capitolo 10: *** Il Rifugio ***
Capitolo 11: *** A casa ***
Capitolo 12: *** Giorno dopo ***
Capitolo 13: *** Maledizione ***
Capitolo 14: *** Quattro chiacchere per la città ***
Capitolo 15: *** Come si rompe la maledizione? ***
Capitolo 16: *** Pronti per la festa? ***



Capitolo 1
*** Ashar ***


Esiste un mondo dove villaggi e città sono divise da foreste e lande deserte, le Lotti Morte, abitate dai Draker, esseri umani che una forza misteriosa ha trasformato in demoni, che attaccano coloro che sono tanto arditi da oltrepassare i loro territori. Questo mondo è una terra chiamata Ashar. Dove uomini, per lavoro, si avventurano nelle Lotti Morte. Le persone affidano loro le proprie “memorie”. Il loro compito è “consegnare”. Consegnare “missive”. Loro sono i “Commercianti”.
Tra essi ci sono anch’io. Mi chiamo Kyar, e divenni Commerciante a sedici anni compiuti, la più giovane del Rifugio, il nostro Quartiere Generale.
Forse è meglio spiegarvi chi sono i Commercianti.
“Viaggiamo di città in città, lontano dalle nostre case, affrontiamo i pericoli del tragitto, per consegnare le preziose missive dei cittadini. Questo è il compito dei Commercianti”.
O almeno, questo è ciò che dice il manuale. Avete capito adesso?
Ad ogni modo, ormai non pratico più questa attività da qualche anno. Volli diventare Commerciante perché uno di loro era mio padre, Rubhio. Be’, mio padre adottivo. Lo sapevo di non essere sua figlia, ma non ci è mai importato di questo piccolo dettaglio. Mi sgridava e mi accudiva. Era diventato in tutto e per tutto mio padre. Era così buono con me, e nel mio profondo sentivo che queste attenzioni erano troppo per me, io che non ero che un’orfanella senza più memoria che lui aveva salvato.
Vi racconto come mi ha incontrato.
All’epoca avevo cinque sei anni…

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Capitolo 2
*** Padre ***


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Dormi così

Su un letto d’erba qui

Dove tutto il dolore sembra lontano

Dormi qui

Un tramonto per coperta

Il vento ti canterà

Una ninna nanna

Tutto il male è lontano

Anche se non è vero

Qualche volta lo sogniamo

Continuavo ripetermi quella canzone in testa mentre cercavo di capire dov’ero. Mi ero svegliata in mezzo al deserto dalla sabbia rossa con un dolore acuto alla nuca, e non avevo più un ricordo, solo quella canzone. Ad un certo punto mi fermai, la bocca arida e la gola secca. Non sapevo dov’ero, non sapevo chi ero. La solitudine mi travolse, mi scosse le spalle in singhiozzi e scese lungo le mie guance in lacrime.

– Ho paura! – singhiozzai. – Madre! Padre! Dove siete?! –. Mi resi conto di ciò che avevo urlato. – “Madre”… “Padre”… Cosa vogliono dire queste parole… – sussurrai.

Sentii il terreno cominciare a tremare. Mi girai di scatto trovandomi faccia a faccia con un gigantesco verme marrone. Sull’estremità che era sbucata dalla sabbia c’era un’apertura molto larga, si spalancò rivelandosi una bocca priva di denti e buia come una caverna e la “cosa” lanciò un grido acuto. Mi tappai le orecchie, quel rumore era insopportabile. L’essere mi caricò e provo ad attaccarmi. Sentii una mano afferrarmi il braccio e lanciarmi via un attimo prima che il mostro potesse prendermi.

– Ma tu guarda se questo Kran non era stato attirato da una mocciosa – esclamò una voce maschile. Chi aveva parlato era un uomo che indossava una giacca di pelle nera lunga fino ai piedi. – Ascoltami bene mocciosa. Scappa e non voltarti – mi ordinò senza guardarmi i faccia. Volevo fare quello che aveva detto, davvero, ma la paura mi aveva paralizzato. Così rimasi lì in piedi, la bocca socchiusa e vedere come quell’uomo avrebbe battuto il mostro.

Il Kran, come lo aveva chiamato lui, tirò indietro la testa e attaccò l’uomo, ma lui fu più rapido. Saltò evitando la bocca della “cosa”, estrasse un pugnale e si preparò al contrattacco. Dal corpo del Kran spuntarono dei tentacoli che avvolsero l’uomo. Lui rise, cosa c’era da ridere in un momento del genere?

– È inutile che cerchi di rubarmi il cuore, stronzo! – urlò. – Non puoi rubarmi ciò che non possiedo!

Con il pugnale riuscì a tagliare i tentacoli che lo avvolgevano, atterrò con il ginocchio sul dorso del Kran e vi appoggiò sopra la mano.

– Nakus! – urlò con voce potente, poi saltò in aria. Il Kran lanciò il suo urlo acuto, prese fuoco e cadde a terra. L’uomo atterrò con grazia sulla sabbia e osservò stoico il corpo dell’animale bruciare. Quando del Kran non rimase che cenere, l’uomo si girò verso di me, aveva il sole alle spalle, quindi non gli vidi il volto. Mi si avvicinò e mi afferrò il braccio.

– Odio i mocciosi che non mi ascoltano. Però devi ritenerti fortunata oggi mi sento particolarmente buono – disse. – Medjin – mormorò.

Allora non sapevo cosa volessero dire quella parola. Appena dopo che lui l’aveva pronunciata, le palpebre mi si fecero pesanti e le gambe molli e caddi sulla sabbia. Non sentivo più né le braccia né le gambe. Stavo morendo?

In fondo la morte non era così male.

 

 

Mossi la mano e, al tatto, percepii la morbidezza delle coperte e del materasso; sentii la freschezza sulla sua fronte e delle gocce scivolarmi lungo le tempie; qualcuno mi aveva appoggiato un panno bagnato sulla testa. Aprii leggermente le palpebre e intravidi il tetto scuro di una stanza, mossi lentamente la testa di lato e vidi il bagliore accecante di una candela, tornai con la testa girata verso l’alto e chiusi gli occhi.

Come?, pensai. Ma io stavo morendo.

Di scatto mi alzai a sedere, procurandomi un bel capogiro. Due mani salde mi afferrarono evitandomi di cadere.

– Fai piano –. La voce di quest’uomo era più dolce e senile di quello che avevo incontrato nel deserto. Misi a fuoco e vidi un uomo seduto su uno sgabello a tre gambe. Aveva una corta barba grigia, lunghi e biondi capelli ingrigiti raccolti in una coda sulla spalla e occhi castani e pieni di calore.

– Gli dei devono volerti molto bene – disse. – È incredibile che tu sia sopravvissuta al Deserto Rosso.

– Dove siamo? Lei chi è? – domandai.

– Prima pensiamo a te. Hai dormito per due giorni interi. Adesso avrai fame –. Mi allungò un vassoio con una ciotola di zuppa, del pane nero e un paio di mele raggrinzite. Sentii il mio stomaco brontolare e cominciai a mangiare con voracità. Ignorai il cucchiaio e bevvi la zuppa direttamente dalla ciotola, divorai le mele con una velocità tale che rischiai di slogarmi la mascella. L’uomo mi allungò una borraccia. L’afferrai e bevvi l’acqua a grandi sorsate, dopodiché gliela restituii.

– È incredibile che una cosina piccola come te possa mangiare così tanto – disse l’uomo ridendo. – Che ci facevi lì nel bel mezzo del nulla, da sola?

Quel “da sola” mi colpì come un pugno sul petto. In quel momento stavo per ingoiare un pezzo di pane, che mi andò di traverso. Mi portai una mano alla gola come gesto che stavo per soffocare.

– Ti è andato di traverso? – mi domandò preoccupato l’uomo. Mi allungò di nuovo la borraccia. – Bevi un po’ d’acqua.

Dopo aver bevuto trassi un sospiro di sollievo.

– Credevo di morire – dissi respirando a pieni polmoni.

– Comunque, il mio nome è Rubhio – si presentò lui. – Tu invece come ti chiami?

Le lacrime mi riempirono gli occhi, i singhiozzi tornarono, la solitudine mi avvolse. – Io… Io… Non lo so – esclamai con la voce rotta dal pianto. – Non so come mi chiamo. Non so chi sono. Non so chi sono i miei genitori. Né da dove vengo.

– Allora questo può spiegare perché ti trovavi nel Deserto Rosso.

Mi passai il dorso della mano sul naso e mi asciugai le lacrime.

– Però, sicuramente, la tua è una famiglia molto agiata.

– Che volete dire?

– Che non è da famiglie modeste vestire i figli con abiti di seta e fili d’oro e mettergli addosso delle spille con pietre preziose.

Osservai la spilla che avevo fissata all’altezza del cuore. Aveva la grandezza di un fagiolo, la forma era di un rombo d’oro le cui assi tenevo al centro una gemma trasparente.

– Raccontami cosa ti è successo nel Deserto Rosso.

Io gli dissi tutto, la lingua mi si era sciolta. Gli narrai del mio risveglio, della canzone, del Kran, dell’uomo che mi aveva salvato.

– Quell’uomo, aveva una Borsa di Xydom?

– Che cos’è?

– Ah già, scusami –. Afferrò una borsa di pelle e me la fece vedere. Era piuttosto chiara, cucita in modo grezzo. – Questa è una Borsa di Xydom.

– Cos’ha di tanto speciale? – gli chiesi.

– Permette di trasportare molte cose, senza che chi la usa senta il peso di ciò che ha messo dentro –. Sorrise. – Come se fosse una borsa della Quarta Dimensione.

Scossi la testa. – No, quell’uomo non aveva alcuna borsa.

– Allora non era un Commerciante. L’unica soluzione è che fosse un Draker.

– Chi sono i Commercianti? E i Draker?

– I Draker sono esseri umani che una forza misteriosa trasforma in demoni. Attaccano coloro che sono così stolti da attraversare le Lotti Morte. I Commercianti sono coloro che attraversano le Lotti Morte per lavoro al fianco dei Veeny, i Compagni di Viaggio. Io sono uno di questi. Sono un Commerciante.

In quel momento saltò su letto un enorme cane dal lungo pelo violetto.

– Questo è Brokl, il mio Veeny.

Brokl di avvicinò a me, mi annusò gli abiti e cominciò a leccarmi la faccia.

– Su Brokl, fa’ il bravo – disse Rubhio. – Lasciala stare.

Il cane scese dal letto e si accovacciò ai piedi del suo padrone.

– Quindi adesso non sai dove andare? – domandò.

Annuii in silenzio. Rubhio si portò una mano al mento e rifletté un istante. Mi guardò in faccia.

– Io ho sempre desiderato avere un figlio – disse con aria sognante. – Te lo chiedo in tutta franchezza. Cosa preferisci? Essere adottata da uno che conosci appena o entrare in uno orfanotrofio?

– Se scegliessi di essere adottata, diventerei sua figlia e avrei un’identità, giusto?

Rubhio annuì sorridendo.

– Preferisco essere adottata.

Brokl cominciò ad abbaiare scodinzolando e saltò di nuovo sul letto per leccarmi la faccia.

– Allora bisogna darti un nome – disse. Pensò un attimo, poi esclamò: – Kyar! Che te ne pare?

– Kyar? – ripetei scostando Brokl.

– Significa “l’illustre”, “la luminosa”. Che ne dici? È un bel nome.

– Ma io non ho nulla di luminoso –. In effetti avevo gli occhi e i capelli non di colore chiaro, ma castano scuro.

– La spilla sì. Se quella non è luminosa ti fido a trovare qualcosa che lo sia.

– Sta bene. Diventerò tua figlia e mi chiamerò Kyar, padre.

 

X marty_odg: odddddioooo!!!! La prima recensione della mia prima storia, che emozione!!!! Ok, ok… probabilmente mi hai già preso per pazza >///<’’ sn contenta che una storia nata dal mio piccolo cervellino bacato (come mi voglio bene) t’incuriosisca. Spero che continuerai a recensire la mia storia xxx e ti kiedo scusa per aver ritardato così tanto nell’aggiornare la storia, ma ho avuto problemi con il pc

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Capitolo 3
*** Nuova vita ***


E fu così che io, Kyar, che sopravvisse al Deserto Rosso, divenni la figlia di Rubhio, il migliore Commerciante che sia mai esistito, secondo me.
Mi portò nella sua casa, l’ultima della Periferia Est della Grande Città, che stava al centro dell’Ashar. Mi piaceva quel luogo, era un posto bellissimo. Era una bella casa, per niente lussuosa, solamente ampia e piena di luce, semplice, circondata da un bellissimo giardino multicolore. Nel primo mese che passai con lui, si era preso dei giorni liberi per farmi ambientare nella Grande Città.
Un giorno scoprii un altro dettaglio della mia vita.
– È meglio che tu ti faccia un bagno – mi disse.
Brokl si accucciò in un angolo della mia camera. Mi tolsi la spilla e rabbrividii, improvvisamente sentii più freddo rispetto a prima. Brokl mi guardò e cominciò a ringhiare piano, come se avesse avuto davanti un nemico.
– Bello, cosa c’è? – gli chiesti avvicinandomi. – Sono io, Kyar.
Lui, per tutta risposta, tentò di azzannarmi una mano. Gridai indietreggiando. Rubhio entrò dalla porta.
– Cos’è successo? – domandò. Poi i suoi occhi si posarono su di me. – Kyar, che cos’hai fatto?
– Non ho fatto niente, padre. Te lo giuro.
– Dico ai capelli. Cos’hai fatto?
Mi avvicinai allo specchio. Brokl aveva annusato l’aria e riconoscendo il mio odore si era calmato. Scrutai il mio volto riflesso e feci un passo indietro. Alcune ciocche di capelli erano diventate verde scuro e anche l’occhio destro era cambiato: l’iride e la pupilla si erano fuse in una sola macchia circolare verde acceso.
– Cosa mi è successo? – domandai a mio padre.
– Non ne sono sicuro, ma credo che sia questo il loro vero colore.
– Allora perché prima erano diversi?
– È possibile che quella spilla sia una Chiusura per nascondere il tuo vero aspetto.
– Perché per nasconderlo?
– Forse hai sangue naiade nelle vene.
– Sangue naiade?
– Per quello che ne so le Naiadi sono creature inavvicinabili che raramente si mostrano agli umani. Non avrei mai creduto che potesse nascere una persona con sangue naiade e umano nelle vene.
– Quindi io sono una Naiade.
– Per me, resti solo Kyar, mia figlia.
Dal quel giorno volli sapere sempre di più sulle Naiadi, e mio padre mi portava tutti i libri che mi servivano. Nei libro più antichi le Naiadi erano descritte come sagge e bellissime, dotate di fascino e grazia. Vivendo nel cuore delle foreste, di rado si mostravano agli occhi mortali, e si diceva che chi le scorgeva ne restava incantato e passava il resto della vita a cercarle. Pur sembrando esseri umani, avevano pelle, capelli e pupille verdi come i prati. Nel corso degli anni però cominciarono ad essere viste in modo assolutamente negativo e furono descritte come esseri demoniaci, peggiori dei Draker. Li immaginavano con la pelle azzurra, i capelli lunghi e verdi, i denti simili a zanne. Dicevano inoltre che i loro piedi assomigliavano agli artigli di un rapace e che divoravano le anime di coloro che erano così stolti da lasciarsi incantare da loro.
Secondo mio padre erano solo ridicole superstizioni. Che era vera solo la prima versione.
Spesso, però, Rubhio era assente, in missione come ogni Commerciante, quindi mi lasciava presso una donna che abitavano vicino alla nostra casa, Lai, e io passavo le giornate a giocare con i suoi figli. Con il passare degli anni iniziai ad abituarmi a restare da sola in casa.
Dopo quasi un anno che Rubhio era diventato mio padre, presi una decisione.
Era estate ed eravamo seduti nel giardino dove tirava una brezza leggera.
– Padre – dissi per richiamare la sua attenzione. – Insegnami a combattere i Draker.
– Perché vorresti imparare a combattere contro di loro? – mi domandò meravigliato.
– Perché imparando a combatterli anch’io diventerò un Commerciante.
– Vuoi diventare un Commerciante?
Annuii. – Lo diventerò senza la Chiusura che mi nasconda l’aspetto. Lo farò con il mio vero aspetto, quello della figlia di una Naiade.
– Sia chiaro però. Io da te mi aspetto il massimo. E come tuo maestro, non sarò indulgente.
– Sì, padre. Non ti deluderò.
E così iniziò il mio addestramento. Fu durissimo, Rubhio non mi risparmiava nulla. L’allenamento cominciò con la spada e, secondo mio padre, ero molto portata per il combattimento corpo a corpo. Schivavo i colpi con molta grazia e attaccavo con grande precisione. È per via del tuo sangue naiade che sei dotata di questa abilità senza un precedente allenamento, diceva mio padre. Man mano che procedevo con gli allenamenti mi sentivo diventare più grande, e più forte. Da parte di Rubhio non ci fu nessun complimento. Solo incoraggiamenti. Ed era un bene. Non potevo permettermi distrazioni.
L'obiettivo che mi ero imposta era molto importante per me, e quasi impossibile.
A causa del terrore che gli abitanti umani dell’Ashar avevano nei confronti delle mie simili.
Passarono così sei anni di duro allenamento nei quali acquisii grandi doti combattive, e ai miei dodici anni mio padre decise di interrompere l’addestramento. Ero a dir poco delusa.
– Ma perché? Non mi sento ancora pronta… Ho forse deluso le tue aspettative, padre?
– Nel modo più assoluto non mi hai dato alcuna delusione, sai che ti stimo molto. Hai appreso molto bene le diverse tecniche. Credo solo che adesso ti servi una prova pratica, per questo verrai con me, a questa consegna.
E queste furono le sue parole. Io ero incredula, fuori di me dalla contentezza. Non mi aspettavo simili risultati, e una simile ricompensa. Chiesi di che si trattava.

X marty_odg: nn c’è mica problema se ritardi con le recensioni. l’importante è che ci siano. Nn si dice forse ‘meglio tardi che mai’? Se t’intriga il mondo, allora aspetta di vedere gli abitanti X3 ah, x nn dimenticarmene, ho letto ‘Atlantis’. Molto, mooolto bello!!! Comunque leggere la tua recensione mi ha reso felice, nn avendo aggiornato la storia per due settimane mi sentivo in colpa... spero che ti piaccia qst capitolo. Arigatou e sayonara

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Capitolo 4
*** La Gilda dei Diafani ***


Partimmo il giorno dopo all’alba. La cosa non mi dispiaceva. Poco prima dell’alba si verificava l’Istant Hour. Il momento più magico della giornata, che vi descriverò in seguito.
Ci occorsero quasi due settimane per trovare quella Radura del Forestiero, zona della Foresta del Nord di cui non avevo mai sentito nominare, e, di conseguenza, trovare questa cosiddetta Gilda dei Diafani, nome ancora più sconosciuto del luogo. E per fortuna non c’era limite al tempo di consegna.
La Foresta del Nord era la foresta più pericolosa dell’intero Ashar. Bestie feroci che potevano sbucare da un momento all’altro, piante carnivore divoratrici di uomini e insetti onnivori grandi come gatti. La notte quasi non chiudevo occhio per paura che un qualche mostro potesse saltare fuori all’improvviso per sbranarmi. E mio padre e Brokl dormivano come se niente fosse. L'ultimo giorno addirittura rischiammo di lasciarci la pelle in quella specie di cimitero di alberi, per fortuna riuscimmo a salvarci e a passare oltre.
Arrivammo alla cosiddetta Radura del Forestiero e, dovevo ammetterlo, era un luogo bellissimo. Una cascatina al centro della radura scrosciava limpida. Mio padre e Brokl avevamo la gola riarsa, poiché la nostra scorta d’acqua era finita. Io invece ero fresca come una rosa, forse per il sangue naiade. Rubhio si avvicinò all’acqua e fece per posarvi le labbra. Anch’io mi ero avvicinata quando mi accorsi che stava arrivando un vecchio con una semplice tunica bianca, però il suo aspetto era maestoso. Non avevo un bell'aspetto, essendo coperta di graffi e da qualche lieve ferita che non ero riuscita ad evitare. Ma sopratutto ero affamata, col solo desiderio di potermi rifocillare. Tuttavia salutai il vecchio che per tutta risposta disse: – Non bevete quell’acqua prima di dire le parole giuste.
Rubhio si bloccò. Il vecchio gli fu accanto e si inginocchiò davanti a lui.
– Voi non siete di queste parti, vero? – domandò. Mio padre annuì. – Allora forse non potete saperlo, ma da queste parti, prima di bere è maglio face così.
Si chinò sull’acqua, soffiò tre volte e disse: – Uno, la Dea figlia della Natura, Due, il Dio figlio della Maledizione, Tre, l’Erede che darà la pace alla Terra –. Poi soffiò ancora tre volte e aggiunse: – Ora potete bere.
Rubhio si rimise in ginocchio e bevve, lo stesso facemmo io e Brokl. Anche il vecchio bevve. Poi ci alzammo. Ma in quel mentre, mio padre si piegò e cadde e terra. Corsi a sorreggerlo. L’uomo era quasi svenuto, una bava verdastra gli usciva dalle labbra.
– Accidenti – esclamò il vecchio. – Forse qualche goccia gli è rimasta in bocca prima che lo fermassi.
Ero disperata, chiamavo mio padre, lo scuotevo, ma questi rimaneva a terra rantolando.
– Portiamolo alla Gilda – disse il vecchio e lo caricò su un mulo. Da dov’è sbucato?
Non mi opposi, camminai tenendo la mano a Rubhio che mi guardava con gli occhi socchiusi.
– Non è nulla, padre, non è nulla – ripetevo cercando di vincere il terrore e il pianto.
Il viaggio durò poco. La torre era vicina. Il vecchio portò mio padre in una stanza davvero piccola. Vi era un semplice letto, un tavolo, una sedia e un piccolo armadio. Solo qualche libro decorava l’ambiente.
Mio padre fu coricato sul letto su cui era steso un materasso imbottito con foglie fresche. L’uomo sudava freddo, la bava continuava ad uscire dalle labbra socchiuse. Non riusciva a parlare e anche lo sguardo diveniva sempre più opaco.
– Che cosa dobbiamo fare, che cosa dobbiamo fare? – domandai disperata.
Il vecchio pensò un attimo, poi si girò verso di me. – Senti, io non so cosa sia successo di preciso, ma so di per certo che è grave. Tu corri nella Grande Sala di Nord, cerca il Mastro Guaritore. Lui è l’unico che può guarire tuo padre.
– Il Mastro Guaritore?
– Sì, ha una ruota blu nella bocca e una doppia croce sotto la lingua.
Uscii dalla stanza e mi diressi verso nord, l’unica direzione dove andava il corridoio. Dopo un po’ il corridoio sbucava in un chiostro. Tornai sui miei passi sino a che non mi accorsi della biforcazione che prima, nella fretta, avevo ignorato. Presi dunque l’altra direzione e arrivai in un’enorme sala dalle gigantesche vetrate blu.
Al primo vecchio che vidi chiesi, col poco fiato che avevo in gola: – Dov’è il Mastro Guaritore?
Lui mi guardò stranito. Dovetti ripetere la domanda una seconda volta alzando la voce per essere finalmente ascoltata e ottenere un – è là – e un gesto del braccio verso una vecchia porta di legno quasi marcio. Entrai, e trovai un uomo molto giovane, poco più di un ragazzo, con un po’ di peluria sopra il labbro e sul mento.
– Siete voi il Mastro Guardiano? – chiesi non nascondendo la mia delusione per non aver trovato qualcosa che assomigliasse a un vecchio saggio.
Per tutta risposta il giovane sorrisa e si avvicinò. Aprì la bocca e indicò il palato. In mezzo alla corona dei denti spiccava una macchia blu circolare. Poi alzò la lingua e vidi una sorta di doppia croce rossa. Mi convinsi e spiegai al giovane ciò che era successo. Il Mastro Guaritore attese la mia ultima parola per alzarsi in piedi e uscire in direzione della stanza del vecchio che stava aiutando mio padre. Arrivati il giovane si avvicinò al letto del padre. Rubhio era pallidissimo e teneva gli occhi chiusi. Il giovane gli soffiò nelle narici e nella bocca, poi gli toccò lo stomaco. Mio padre ebbe un sussulto, una schiuma verde gli uscì dalla bocca. Il Mastro Guardiano gli soffiò nelle orecchie, quindi tracciò nell’aria una spirale, prima da destra verso sinistra, poi nell’altro senso. Dopo poco si girò, mi guardò e sorrise. Rimasi un attimo ferma poi mi avvicinai a Rubhio; era stremato, ma pareva star meglio. Gli occhi erano aperti, il respiro più regolare, il sangue tornava a colorargli il volto.
– Credo che ce la farà – disse il vecchio, e uscì dalla stanza.
Il Mastro Guaritore fece l’atto di andar via. Lo fermai.
– Quanto le devo per aver salvato mio padre?
Lui mi prese la mano e ne baciò le nocche. – Siete troppo bella per pagare i miei umili servigi. Tuttavia mi sentirei ripagato del mio lavoro con un solo vostro sorriso.
Imbarazzatissima, lo accontentai. Il giovane s’inchinò e uscì.
– Mi sa tanto che hai trovato uno spasimante – scherzò mio padre.
Arrossii fino alla punta dei capelli. Rubhio sorrise debolmente. Sembrava improvvisamente invecchiato. Notai la rughe che dagli occhi si allargavano sulle tempie, i peli grigi della barba, la sua stanchezza. Lo vegliai per molte ore della notte finche s’assopì. Al mattino fu mio padre a svegliarmi toccandomi con la mano sul capo. Non ricordavo di essermi addormentata. Mi svegliai quasi vergognosa. Rubhio sorrise debolmente, poi con un filo di voce disse: – Sto meglio, ora però tocca a te. Devi andare dal Gran Sacerdote e consegnargli queste –. Aprì la borsa e tirò fuori una pergamena con il sigillo reale e un’altra molto antica, ingiallita dal tempo. – In questa è richiesto un trattato di pace con la Capitale dell’Ovest, e questa più antica è un dono del Re Avall per fruttare la sospensione delle ostilità.
Trattato di pace con la Capitale dell’Ovest e un dono del re.
– Farò come dici padre.
Entrai nella Grande Sala di Nord e vidi in fondo il vecchio che aveva aiutato mio padre.
– Devo consegnare delle missive al Gran Sacerdote.
Il vecchio mi sorrise. – Dammi pure.
Sbattei gli occhi un paio di volte. – Siete voi?
Il sorriso non scomparve. – Come mi piacciono le sorprese.
Mi riscossi. – Devo consegnarvi un documento e un dono da parte del re Avall.
Mi fece cenno di avvicinarmi. Lo feci e gli diedi le pergamene.
Mi ricordai di una cosa importante. – Dovrebbe firmarmi il modulo di ricevuta.
– Certamente –. La sua firma era elegante e svolazzante. Aprì la prima pergamena e la lesse. – Mi sembra giusto. È ora di finirla con questa stupida rivalità –. Poi la sua attenzione si spostò sull’altra. Strabuzzò gli occhi. – Non è possibile. Questa è la pagina mancante del trattato di Luther, il Sacerdote! Ora lo scritto è completo! Manderò subito una risposta affermativa a Re Avall! Anzi, ci andrò io stesso! –. E uscì dalla stanza lasciandomi a dir poco sconcertata. Ti prego, non dirmi che sono tutti così strani.

X marty_odg: be’, in un certo senso sì, ma nn credo ke lo asfissierò come ha fatto lei. Ad ogni modo nn preoccuparti, recensirò atlantis (sarà il mio incubo serale)… skerzo. T facio i complimenti, mi sembri simpatica e nn sei ancora impazzita nell’eroica impresa d leggere le mie storie nate dai rimasugli di un neurone suicidato. Arigatou e sayonara

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Capitolo 5
*** Esame ***


In quei quattro anni crebbe la mia abilità nel combattimento e nella magia, con l’aiuto del Gran Sacerdote, e crebbe il mio corpo.
Il corpo non era più spigoloso, avevo perso chili, le gambe si erano allungate, i fianchi arrotondati, i seni cresciuti. Persino il mio volto aveva assunto dolcezza, con gli zigomi alti e le lunghe ciglia.
La prima volta che mi vennero le mestruazioni mi spaventai a tal punto che non dormii per tutta la notte. Il giorno dopo mi fasciai strettamente le anche e corsi da Lai, la vicina che mi teneva con sé da piccola. Mi tranquillizzò, mi spiegò cosa mi stava succedendo e mi mandò a casa con una collezione di salviettine nane per quello che accadeva, che chiamava la dimostrazione.
Il grande giorno arrivò alla svelta ed ero pronta. Per questo mi ritrovai in mezzo a una cinquantina di giovani convocati per passare l’esame di idoneità al mestiere di Commerciante. La prova aveva luogo in una delle sale all’aperto del Rifugio. Quel giorno indossai delle semplici brache e un corpetto piuttosto attillato, non trovandone altri puliti, la cui forma fece sorridere in modo lascivo qualche elegantone. Uno di loro, con gli occhi pieni di sicurezza, mi si avvicinò.
– Buongiorno, incantevole fanciulla.
– Buongiorno – risposi educatamente, come mi aveva insegnato mio padre.
– Siete venuta per incoraggiarmi? –. Non attese risposta e continuò. – Dopo l’esame potremo andare in un posticino che conosco.
– In verità – lo interruppi. – Sono qui apposta per tenere l’esame anch’io.
Questa frase riuscì a zittirlo per una manciata di secondi. – Se resterete troppo delusa per la bocciatura contate pure su di me. Sono il figlio del sindaco di Cantherburg. E voi?
– Sono la figlia di Rubhio.
– Non conosco tale nobile. Dov’è la sua villa?
– Non ha una villa, solo una casa nella Periferia Est. È un Commerciante.
Il figlio del sindaco di Cantherburg era sbalordito. – Un semplice Commerciante… E vi hanno dato il permesso di partecipare a questo difficilissimo esame? L’ho intuito subito che eravate davvero dotata –. Fece per avvicinarsi.
– Se è per questo, signore, sono anche una mezza Naiade.
Lui mi guardò, poi scoppiò a ridere. Mi tolsi la spilla e quello si spaventò. – Hanno permesso a un mostro di venire qui? Questo è un esame destinato ai figli di esseri umani!
– Mio padre mi ha raccomandato di discutere soltanto con chi ne sa più di me. Capite perché sono obbligata a interrompere questa conversazione?
Il figlio del primo cittadino di Cantherburg ammutolì per la stizza e poi venne preso da una collera talmente violenta che attirò l’attenzione degli esaminatori.
Si lamentò con loro dell’atteggiamento del mostro che era stato introdotto in quel luogo per errore.
Ma il giovane dovette cambiare tono. Non solo ero stata riconosciuta idonea a sostenere l’esame, ma per di più mi presentavo come allieva del Gran Sacerdote, il più intrattabile dei vecchi sapienti dell’Ashar, temuto dai suoi discepoli così come dai suoi pari. Non si diceva forse che il Gran Sacerdote avesse richiamato all’ordine perfino il Re Neirj, quando gli insegnava la magia?
Ben presto venni considerata come una bestia rara dagli altri candidati. Come aveva fatto quella mezzosangue, appartenente a una famiglia maledetta e sconosciuta, senza fortuna, a guadagnarsi la fiducia del Gran Sacerdote?
Non mi lasciai distrarre dall’incidente.
L’esame si rivelò particolarmente difficile. Bisognava tradurre uno scritto in due lingue antiche dell’Ashar, senza l’aiuto del lessico, nella lingua Dardany, quella corrente. Alcuni candidati si scoraggiarono subito. Altri furono vittime della loro preoccupazione. Presi tempo per riflettere. Piuttosto che torturarmi la memoria, lasciai parlare la mia intuizione.
Ignoravo certe parole, ma ne dedussi il significato in base al contesto. Quando rilessi la traduzione non potei trattenere un sorriso.
I cavalli debbono essere addestrati. Le scimmie domestiche imparano a danzare, i cani ad obbedire. Gli allievi sono per natura ignoranti e indisciplinati. Solo chi lavora ogni giorno e non trascura neanche le mansioni più insignificanti diventa una creatura forte. Un solo giorno di negligenza e seguirà il castigo. L’orecchio dell’allievo è sulla sua schiena. Quando ha assaggiato il bastone, diventa più attento. Comprende che si può progredire solo conversando con i propri maestri. Che queste parole siano comprese con il cuore e siano di giovamento.
In tutta sincerità mi ricordava il metodo d’insegnamento alla Gilda.
Gli esaminatori passarono tra le file per eliminare i candidati insufficienti. Ne rimasero soltanto dieci, tra cui anch’io.
Sia ringraziata la Dea!
Venni pregata di alzarmi in piedi. Dopo una breve attesa, comparvi davanti a una giuria di uomini in età matura.
– Cosa ne pensi del testo che hai tradotto? – chiese uno di loro.
– Secondo il Gran Sacerdote, è buono e giusto. Secondo me è una cosa da barbari.
– Non sei dunque favorevole alle bastonate?
– No. Noi non siamo bestie. Sono crudeltà anche quando sono giustificate.
– E quando, secondo te?
– Quando non si è fatto al meglio il proprio lavoro.
– E sei sicura di averlo fatto?
Mi sentii in trappola. – Ho tentato di essere all’altezza dei miei doveri.
– Tentare non basta. Ci sei riuscita in tutte le occasioni?
Impossibile dare una risposta affermativa. Preferii tacere.
– Il tuo silenzio è eloquente. Riconosci il tuo errore. Quindi ti meriti una bastonata. In ginocchio!
Uno degli esaminatori uscì dalla giuria, con un bastone in mano. Lo guardai dritto negli occhi e poi mi misi inginocchio, in attesa dei primi colpi.
– Sappia che non piangerò, né griderò – sussurrai a denti stretti.
– Alzati – ordinò l’esaminatore. – Il tuo esame è finito.



– Allora com’è andata?
– Non lo so, padre.
– Come non lo sai?
– Ho detto la mia sul tema dell’esame.
Mio padre sospirò. – Non c’è problema. T’impegnerai di più e riproverai l’anno prossimo.



Al tramonto si stava bene in giardino. Stavo stendendo alcuni panni ad asciugare quando Brokl iniziò ad abbaiare rivolto al cielo.
– Cosa c’è, Brokl? –. Mi chinai e lo accarezzai dietro le orecchie. Poi guardai nella direzione in cui puntava. Uno strano uccello deforme volava in modo sghembo. Strinsi gli occhi. Quello era… Un gatto volante?!
No. Era un Keryl. Non si vedevano in quella parte dell’Ashar da quasi trecentocinquant’anni.
Il Keryl perse quota e atterrò nel cesto del bucato dove c’erano ancora dei panni.
Che mira!
Corsi alla cesta e guardai quella strana creatura. Ecco spiegato perché volava così male: una freccia gli aveva trapassato un’ala. Intanto il cane continuava ad abbaiare.
– Calmati Brokl. Non ci farà niente. È svenuto.
Presi il lembo di una coperta e ne strappai una striscia. Tenni ferma l’ala del Keryl, spezzai la freccia e gliela sfilai. Emise un gemito di dolore e gli bendai la ferita con la striscia di stoffa.
Un istante dopo il Keryl si svegliò, si guardò attorno, scattò in posizione d’attacco e ringhiò minaccioso. Brokl assunte la stessa posa.
– Basta Brokl! E tu calmati. Non ti farò alcun male.
– Ho imparato a non fidarmi di voi umani!
Sbattei gli occhi un paio di volte. – Ma tu parli?!
– E tu volevi uccidermi!
Alzai le mani in gesto di difesa. – No, hai frainteso. Io sono tua amica.
– Se sei mia amica perché hai in mano una freccia simile a quella che ho nel… Nel –. Si zittì il suo sguardo passò dalla metà di freccia che avevo in mano al bendaggio dell’ala, e viceversa.
– Te l’ho tolta mentre eri svenuto.
– Quindi invece di uccidermi mi hai medicato?
Annuii con un sorriso.
Madame, chiedo scusa. Il mio nome è Ainon.
– Molto piacere, Ainon. Io sono Kyar e questo è Brokl, il Veeny di Rubhio, mio padre.
Brokl avvicinò il muso al Keryl, lo annusò e gli leccò affettuosamente il muso.
– Animali – sbottò Ainon. – Che schifo.
– Ma anche tu sei un animale. O sbaglio?
Sorvolò l’argomento. – Ti ringrazio infinitamente per avermi medicato. Sono un Keryl d’onore, e sul mio onore, ti seguirò fedelmente per aiutarti e salvare la tua vita, come tu hai fatto con la mia.
– Non ce n’è davvero bisogno.
– Mi sentirei in debito per il resto dei miei giorni se non accetterai.
– Allora ho una proposta da farti.
– Dimmi tutto.
– Facciamo un contratto di lavoro. Diventa il mio Veeny, il mio Compagno di viaggio.
– E sarebbe?
– Se diventerò Commerciante avrò bisogno di un Compagno al mio fianco. Dato che non lo ancora trovato, potesti diventarlo tu e ripagare il tuo cosiddetto debito.
– Per me sta bene.
Gli sorrisi. – Siamo d’accordo –. Allungai l’indice e lui lo strinse nella sua zampetta da gatto.

X marty_odg: x te un bell’applauso ke continui a recensire!!!! Sn contenta ke t sia piaciuto il mio guaritore, ricomparirà nella storia te lo assicuro. L’Istant Hour comparirà fra tre cap, se tt va bene. Ma preeeegooo, mi fa sempre piacere recensire delle storie.

X Laban: Wattaaa!!! 6 la seconda persona ke mi recensisce. E la cosa mi riempie di orgoglio. In effetti scrivo diverse storie da diversi anni, e questa è la prima ke trovo il coraggio di pubblicare >///<

A voi due mie recensitici (esiste questo termine, incredibile!): grazie mille perché mi seguite. Arigatoo e sayoonara

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Capitolo 6
*** Cuore in frantumi ***


Passeggiavo su e giù per la stanza tormentandomi le mani. Sul tavolino sua busta chiusa. L’indirizzo del mittente: Palazzo delle Consegne, il Rifugio, Nocturne Street 187/B, Grande Città Central.
– Che faccio? Che faccio? La apro? Non la apro?
– Sicuramente non si aprirà da sola – mi fece notare Ainon.
– Sono troppo tesa. Tutti i miei sforzi. Ma la mia risposta agli esaminatori. Sicuramente mi hanno bocciata.
– Finché non la apri non lo saprai mai.
Mi fermai davanti alla busta e la presi in mano. – Che faccio allora? La apro?
– Kyar, in questo momento il mio più grande desiderio è quello di strozzarti. O la apri tu o la apro io.
– Va bene, la apro –. Facendo incredibile attenzione, strappai il lato più corto della busta, ci soffiai dentro per aprirla e tirai fuori la lettera. – Ci sarà scritto sicuramente “siamo spiacenti di informarLa”… –. Distesi il foglio e lessi ad alta voce: – Kyar di Grande Città, visti i risultati dell’esame scritto tenutosi il giorno centosedici e come risultato della votazione di sette giudici ufficiali, da questo momento siete formalmente assunta. Siamo lieti di affidarle la carica di porta-missive continentale, ”Commerciante”. Con la presente, la invitiamo a recarsi al Rifugio al più presto possibile dove le saranno consegnate l’uniforme, la borsa di Xydom e l’appropriata arma anti-Draker.
La lettera cadde ai piedi. Cominciai a darmi furiosamente dei pizzicotti al braccio, ripetendomi che non era altro che un sogno.
– Kyar, smettila di torturarti selvaggiamente il braccio! Sei una Commerciante e questa è la realtà!
Strinsi tra le braccia Ainon. – È fantastico! Siamo assunti! Andiamo a dirlo a papà!
– Ma non è andato a fare una consegna?
Io ero già schizzata fuori e correvo a perdifiato verso la Nocturne Street. Entrai nel Palazzo delle Consegne, spalancando la porta di colpo, e corsi da Nadja, l’amica che lavorava alla reception. Aveva una faccia da funerale e stava parlando con un gendarme dai folti baffi biondi.
– Nadja, hai visto mio padre? Devo dargli una grandissima notizia!
– Oh, Kyar. Rubhio è… è… –. Fece il giro del banco e mi abbracciò. – Mi dispiace tantissimo! – esclamò tra le lacrime.
– Mia Dea, Nadja! Mi spaventi.
Mi si avvicinò il gendarme. – Devo dedurre che lei è la signorina Kyar.
Annuii sempre più confusa.
– Mi è triste annunciarle che il Mastro Commerciante, il signor Rubhio, il quale vi ha legalmente adottato, è stato dichiarato deceduto.
Rimasi senza fiato. Gli occhi spalancati dallo spavento. Un sorriso si tirò malamente sul mio volto. – Ma… ma… ma che state dicendo? Non è possibile. Lu… lui… mio padre… è il Mastro Commerciante. Nessuna consegna è troppo difficile per lui.
– Vedi Kyar – disse Nadja. – In questa consegna tuo padre doveva attraversare una Lotte Morta di cui si avevano scarse notizie. È stato aggredito dai Draker. E il suo microchip e quello del suo Veeny sono spariti dalla mappa.
Feci un passo indietro. Sentii distintamente il mio cuore spaccarsi. Andare in frantumi. La mia amica mi si avvicinò mormorando un – mi dispiace tantissimo – che non udii e indietreggiai ancora. Un passo indietro. Un altro. Un altro ancora. Mi girai e corsi fuori. Lì trovai Ainon.
– Trasformati Ainon! Subito!
– Come mai?
– Dobbiamo cercarlo! Dobbiamo cercare mio padre!
Un istante dopo eravamo in volo sulle Lotti Morte. Ainon guardava in bassa movendo il capo a destra e a sinistra. Atterrammo davanti a un bivio.
– La traccia olfattiva si ferma qui – disse.
Saltai a terra. – Tu a destra. Io a sinistra. Dobbiamo trovarlo.
Per l’esattezza non so dire per quanto corsi, fatto sta che mi ritrovai in una radura e ciò che vidi mi fece salire un conato di vomito dalla bocca dello stomaco.
Mio padre era lì, inchiodato a un albero da spine lunghe come pugnali. Una gli era conficcata nella spalla destra, un’altra teneva sollevato il braccio sinistro tenendolo per il polso, altre due tenevano fermi i polpacci. Lo avevano picchiato duramente. Il volto era tumefatto, irriconoscibile, dalle botte un globo oculare era uscito dall’orbita e pendeva per il nervo. Il braccio destro era piegato in un angolo impossibile. La divisa di Commerciante era zuppa di sangue. Non la sollevai; tanto sapevo che gli avevano divorato il busto. Fatto intuibile dai strappi causati dai morsi.
Brokl era accucciato tra le radici dell’albero. Il bel pelo violetto era sporco di sangue secco e fango. La pelle staccata in alcuni punti.
Corsi ai piedi di mio padre e piansi tutte le lacrime che avevo in corpo.
– Ma tu guarda, avevo ragione. C’è un altro umano.
Sapevo che a parlare era stato un Draker. Probabilmente quello che aveva ridotto mi padre così. Afferrai la pistola e mi girai di scatto. Mi aspettai di ritrovarmi davanti un solo demone. Ma erano due.
Con un calcio uno mi fece volare di mano la pistola. Mi massaggiai la mano colpita.
– Non vorrai certo mangiartela. Ci siamo già abbuffati.
– Chi ha mai parlato di fare uno spuntino. In fondo non c’è nessun problema se resta in vita.
Uno mi prese per i polsi e mi fece allontanare dall’albero facendomi sdraiare, l’altro mi tappò la bocca con la mano e fece scivolare i fianchi tra le mie gambe.
– Intorno ci sono solo altri Draker. Se urli non farai altro che attirarli qui.
– Proprio così. Strilla pure – fece quello sul davanti armeggiando con la mia cintura. Lo guardai con le lacrime agli occhi. Ero immobilizzata dallo shock di prima. – Finirai solo per vedertela con più gente.
L’altro rise. – Giusto, giusto. Prendiamocela comoda, abbiamo tempo.
– No che non ne avete.
Ainon mollò un zampata e quello che mi costringeva a terra volò via. Stessa sorte quello che tentava di sfilarmi i pantaloni. Scattai in piedi, agguantai la pistola e li colpii entrambi alla testa.
– Va tutto bene? Ti fa male da qualche parte, Kyar?
Gli abbracciai il muso grande più o meno quanto il mio busto. – No, sto bene. Grazie a te.
Ainon guardò il cadavere di mio padre poi il suo sguardo tornò su di me. – Sono stati loro?
Annuii in silenzio. – Aiutami a tirarlo giù.
Sfilammo le spine dalle ferite e stendemmo mio padre supino, al suo fianco Brokl. Mi sfregai le mani e le appoggiai sul muso del Veeny di Rubhio. Mi concentrai. Dai palmi scaturì un bagliore tenue che inondò il corpo esanime del mio caro amico e le ferite si richiusero. Stessa cosa feci con mio padre. Ma non si chiusero del tutto.
– Maledizione – esclamai. – Non ho abbastanza forza. Non sono abbastanza forte… –. Le lacrime si rompevano silenziose quando colpivano il dorso delle mie mani, tenute serrate così forte che le nocche sbiancarono.
Ainon appoggiò il muso sulla mia spalla. – Usa la mia.
Mi sentii invadere dalla forza del mio amico. Lo guardai con gratitudine. Lo aveva fatto senza che glielo chiedessi. – Grazie.
Finalmente anche mio padre guarì. Con l’aiuto del mio Veeny seppellì i corpi dei miei cari e innalzai una lapide senza scriverci sopra qualcosa.
Non sapevo in che modo avrei potuto ringraziarli per quegli anni che avevo vissuto con loro.



Stavo avanti al Direttore del Rifugio, al Vicedirettore e i sette giudici ufficiali dell’esame. Prima mi avevano dato l’uniforme e le altre cose che ricevevano solitamente i nuovi adepti. Presi solamente gli abiti. L’arma e la borsa li aveva già.
Erano di mio padre.
Indossavo l’uniforme standard, giacca lunga nera, ganci per chiuderla, cappuccio e spalline, e pantaloni di pelle. Ci avevo dato alcuni ritocchi. Sul davanti avevo tagliato la giacca fino alla cintola, avevo rimosso le spalline e lasciato solo un gancio, ai fianchi tenevo la cintura con la fondina alla quale avevo cucito un fodero da pugnale per autodifesa e borchie argentate, oltre che a un pezzo dell’uniforme di mio padre. Al braccio una fascia nera per lutto.
Il Direttore cominciò. – Kyar, sedici anni, risiedente nella Periferia Est, Grande Città. Come ti è stato precedentemente comunicato, sei stata assunta con l’incarico di porta-missive continentale. Congratulazioni –. Mi sorrise. – Da quando è stato fondato il Palazzo delle Consegne, tu sei la prima ragazza che è diventata un Commerciante. Hai realizzato il tuo sogno, eh.
Rimasi un istante in silenzio. – No –. Alzai il capo. – Il mio sogno non è diventare un Commerciante, ma diventarlo ed essere la migliore. Molte persone, comuni persone, sono divisi dai loro cari da un intero continente e, anche se lo vogliono, non possono parlarsi. È per loro che voglio consegnare le “missive”. Per il Mastro Commerciante non esiste una consegna troppo difficile. Sia che sia vero, o soltanto una diceria, io m’impegnerò per diventare un Commerciante così. Il mio sogno è non essere meno di mio padre, il mio sogno è diventare il miglior Mastro Commerciante che ci sia mai stato.
Il Direttore non smise di sorridere. – Davvero un bel sogno, ragazzina.

X marty_odg: e la tua ansia è finita!!! Ho aggiornato la storia!!! Permetto di dire ke mi è dispiaciuto molto dirgli addio, ma nn era abbastanza tragica, e inoltre ero in un momentaneo stato di depressione

X Laban: grazie, grazie, ma basta complimenti, arrossisco >///< lieta che t piacciano i miei cap

X Flamara: davvero troppo gentile. Le vostre recensioni mi riempiono d’infinito orgoglio.

X voi mie recensitici: grazie mille perché mi seguite. Arigatoo e sayoonara

X Alies & gegge_cullenina: grazie infinite x aver messo la mia storia tra le preferite

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Capitolo 7
*** Due anni dopo: un nuovo aiuto ***


Salve, sono FullmoonDarkangel. Questa cosa avrei dovuto dirvela alla fine del prologo, ma ve la dico adesso: i Commercianti sono una mia versione dei letter-bee, come giustamente ha detto Alies, e la prima scena in cui entra Ainon l'ho presa dall'incantesimo del lago (chi lo conosce vede che la somiglianza finisce lì). Mi scuso per non avervelo detto prima e avervi fatto credere che fosse tutta 'farina del mio sacco', tuttavia spero che continuate a leggere Cronache, perché vi dico subito che il lavoro in secondo (forse terzo) piano. Detto ciò mi scuso enormemente, perché l'ultima cosa che voglio è perdere chi segue la mia storia. Grazie per la vostra gentilezza. Ciao.


– Fermiamoci qui per stanotte, Ainon – dissi osservando la locanda.
– C’è ancora abbastanza luce. Possiamo andare avanti un altro paio d’ore.
– Il prossimo villaggio è a tre ore da qui. Preferirei dormire su un letto vero. E magari, consultare la mappa. Non ho proprio voglia di perdermi.
– Conosco a memoria la mappa. Se ti fidi di me, non puoi perderti. Ti fidi di me, vero?
– A dire il vero, non tanto.
Ainon si accasciò sulla mia spalla. – Questa mancanza di fiducia mi ferisce, Kyar. Mi stai ferendo.
– Melodrammatico. Anche tu vorresti un pasto e un letto caldo. Di’ la verità.
– In effetti, non mi dispiacerebbe andare a dormire con la pancia piena.
Mi sistemai la spilla su corpetto, sentii la sensazione di calore che accompagnava la Chiusura. Perfetto. Nascosto il mio aspetto entrai nella locanda e mi diressi verso un posto vuoto. Ainon saltò su una sedia, tirai fuori la testa dal cappuccio e misi la borsa vicino al tavolo, dopodiché mi sedetti anch’io.
– Vuoi dell’arrosto, giusto? – chiesi rivolgendo un sorriso al mio Keryl.
– Oh sì, magari.
Si avvicinò un uomo robusto con un grembiule unto e una splendente calvizia. – che ti porto, ragazza?
– Dello stufato, dell’arrosto, del pane e del sidro.
Lui inarcò il sopracciglio. – Sicura di potertelo permettere?
Feci tintinnare tre monete d’oro sul tavolo. – Queste dovrebbero bastare.
L’uomo le afferrò rapido e se le mise nella tasca del grembiule. – Perfetto.
– Mi raccomando, bello abbondante l’arrosto.
Poco dopo mi ritrovai davanti tutto quello che avevo chiesto, ben abbondante. Presi il piatto con l’arrosto e lo misi davanti ad Ainon. Lui saltò sul tavolo e cominciò a mangiare.
– Gli animali non sono permessi – disse l’oste.
– Sia gentile. Il mio Veeny è piuttosto stanco.
– Allora voi siete una Commerciante?
Voi? Come cambiano velocemente idea gli uomini. – Sì. E molto stanca. Avete delle camere libere?
– Purtroppo no, signora. Siamo al completo.
Maledizione! – Non fa niente!
Tirai fuori dalla borsa la mappa e mi misi a consultarla. – Se domani partiamo presto arriveremo a destinazione entro il pomeriggio.
Ainon sollevò il muso dal piatto. – Uffa, non mi piace svegliarmi presto la mattina.
– Che t’importa? Stai sempre appollaiato sulla mia spalla. Sono io quella che fatica.
– Se ci andassimo volando?
Riflettei un attimo. – Potremmo impiegarci soltanto un pomeriggio.
– Allora si dorme –esclamò Ainon addentando l’arrosto.
Sospirai e ripresi a mangiare.
– Ehi, bambolina! Perché tutta sola?!
Mi girai verso un tavolo dove erano seduti due uomini, i volti rossi e gli occhi lucidi per l’alcool. Uno aveva i baffi, l’altro era di un biondo splendente. – Parlate con me?
– Certo! Non vedo altre bamboline, a parte te – rispose quello coi baffi.
– Perché non vieni a bere con noi? Se la compagnia è splendida, il vino è più buono – esclamò il biondo.
– Non grazie.
– Quanti anni hai? Sei di queste parti?
– Possiamo farti fare un giro turistico che non dimenticherai – disse il biondo lanciandomi uno sguardo ambiguo.
Avevano lo sguardo di chi si domanda come sei nuda o come te la cavi a dare piacere agli uomini. Insomma, volevano solo scopare. In quegli anni il mio favellare s’era un po’ volgarizzato, eh?
– Lasciatemi in pace – sbottai finendo la mia cena.
– Lo vedi, l’hai spaventata. Tutta colpa del tuo muso baffuto.
– Certo che è carina anche arrabbiata.
– Andiamo Ainon –. Presi le mie cose e mi diressi verso la porta.
I due uomini mi bloccarono la strada.
– Senti, carina – sibilò il baffuto. – Noi siamo abituati a prendere quello che ci piace.
– E tra le cose che ci piacciono rientri anche tu – concluse l’altro accarezzandomi il braccio. – Quindi verrai con noi. Con la buone o con le cattive.
Se non gli sputai addosso fu per buona educazione. Arretrai di un passo per sottrarmi alla sua mano, li guardai in cagnesco e Ainon cominciò a ringhiare contro di loro.
– Ah, perdono, perdono – esclamò un’altra voce.
Sentii un braccio circondarmi le spalle, girai lo sguardo e vidi un ragazzo con i capelli neri.
– Perché non mi hai aspettato? Ti avevo detto che ti avrei raggiunto il prima possibile, mio bocciolo di rosa – continuò il giovane.
Avvicinò il suo volto al mio e mi posò sulla guancia un bacio lieve che ardeva. Eh no! Stop! Ferma un minuto! Come si permetteva?!
– Tu chi saresti, di grazia? – gli domandò uno dei due uomini.
– Accompagno la ragazza – rispose. – Voi perché non andate a farvi un giro? – chiese a sua volta schioccando le dita.
I due uomini scattarono sull’attenti, ci diedero le spalle e uscirono dalla locanda a passo di marcia.
– Devi perdonarli. Erano solo ubriachi.
– ‘Mio bocciolo di rosa’? se vuoi fare incetta di ragazze, trova frasi meno melense.
Scostai con malagrazia la sua mano dalla spalla e uscii dalla locando. E quello mi seguii.
– Un grazie sarebbe ben accetto – esclamò.
– Non sono abituata ad essere salvata. Inoltre mi sarei liberata di loro da sola. Non avresti dovuto intrometterti.
– Sì certo. Avrei voluto vedere come avresti fatto dopo, con uno che ti teneva ferma e l’altro che ti violentava.
Gli mostrai il pugnale e la pistola. – So difendermi da sola. Fa parte del mio lavoro.
– Dubito che tu sia in grado di difenderti.
Sbruffone! Decisi di fargli una bella sorpresa e mi tolsi la spilla. Sgranò gli occhi. – Avrei potuto minacciarli di maledirli. Volevi sentirti dire ‘grazie per l’aiuto’? Eccoti accontentato. Ciao.
Rimisi a posto la spilla e mi allontanai. Ainon gli ringhiò contro e volò sulla mia spalla.
– Le donne – sbuffò il ragazzo.



Camminavo spedita per la strada. Che maschilista! Mi portai la mano sulla guancia. Come aveva osato baciarmi? Volevo tornare indietro e dargli una bella lezione per ciò che aveva fatto. Ma una parte di me (cosa a cui non ero per niente abituata) voleva che le labbra del ragazzo si posassero di nuovo su di me.
Sentii un brivido lungo la schiena. Riconobbi la sensazione.
– Hai sentito, Kyar?
Annuii. – Un Draker. E di livello piuttosto alto. Non si è accorto di noi.
– Dobbiamo attirarlo in un vicolo cieco e distruggerlo.
Mi concentrai liberando la mia energia magica. Bene. Si era portato sulle mie tracce. Svoltai un angolo, due. Ormai mi era addosso come un’ombra. Accelerai il passo e lui m’imitò. Ainon spiccò il volo e si librò in alto. Corsi dentro un vicolo e mi fermai a pochi passi dallo steccato che bloccava la strada. Un attimo dopo il Draker mi raggiunse. L’aspetto di quel Draker era più umano di quelli di livello inferiore. Capelli argentati e cortissimi, occhi blu elettrico, barba di due giorni, fisico asciutto, completamente vestito di nero. Sarebbe stato bellissimo, se non fosse stati per quelle zanne talmente lunghe che la bocca non sembrava in grado di contenerle. Rise. Come tutti quelli del suo livello, aveva una voce che mi avvolse come un raggio di luna.
– Hai finito di scappare, gattina? – domandò leccandosi le zanne. – Vieni più vicino. Fatti vedere meglio. Hai un buon odore, tu. Sembri appetitosa.
Ridacchiai. – Finalmente ha abboccato un pesce grosso. Se l’esca è buona, arrivano i pezzi da novanta – dissi tirando fuori la pistola.
– Tu…?
– Tranquillo. Non devi preoccuparti. Fa male solo all’inizio – continuai puntandogli contro l’arma.
– Wow… – sghignazzò il Draker. – Una donna che mi minaccia con una pistola scaccia demoni… Eccitante!
– Sta’ tranquillo, tesoro. Ti farò fuori in maniera assolutamente indolore!
– Il tuo odore è strano. Non sei completamente umana. Perché non chiami il tuo amico?
– Sbaglio o sei intelligente, per essere un demone che abbocca così facilmente? – gli chiesi senza abbassare la pistola. – Ainon!
Al mio richiamo il Keryl atterrò nel vicolo. Aveva già cambiato le sue dimensioni. A quattro zampe già superava i tre metri. Si mise in posizione d’attacco e ruggì. Il Draker non si scompose. Schioccò le dita e dal nulla apparve una rete di ferro che, cadendo dall’alto, imprigionò il mio amico.
– Illuso! – esclamai. – Credi che basti questo per fermarlo?!
– Io non mi fermo mica qui – rispose. – Kiruk!
La rete fu avvolta da scariche elettriche. Ainon ruggì di dolore. Dopo circa un minuto che mi parve infinito, le scariche smisero e il mio Veeny si accasciò al suolo ritornando alla grandezza di un gatto.
– No, Ainon! – gridai rivolgendo la mia attenzione sul mio amico. Quella distrazione mi fu quasi fatale.
Da una fessura vicino ai miei piedi, spuntò una radice, dal diametro di circa una spanna, che mi avvolse come le spire di un serpente immobilizzandomi.
– Io sono un Draker della Rosa – m’informò. Buono a sapersi.
Si avvicinò a me mentre la radice stringeva di più. Cavolo! Quelli della Rosa avevano il controllo anche sulle piante. Il Draker schioccò di nuovo le dita e dalla radice spuntarono delle spine lunghe e affilate come artigli che mi si conficcarono nella carne. Urlai di dolore.
– Sapessi che bell’espressione hai adesso – ridacchiò. – Fammi vedere meglio il tuo bel visino – disse avvicinandomi una mano al volto.
Riuscii a girare il polso e ad appoggiare il palmo sulla radice. – Girey – sussurrai.
La radice esplose. Il Draker fece un salto indietro per salvarsi dall’onda d’urto, e io caddi rovinosamente a terra. Avevo usato poca energia per l’esplosione, ma dopo la perdita di sangue era il massimo che avevo potuto fare. Dei brandelli di radice si animarono e, avvolgendosi intorno ai polsi e alle caviglie, m’immobilizzarono. Il Draker mi si avvicinò di nuovo e appoggiò la mano sulla mia pancia.
– Lenee! – urlò.
Venni avvolta da una raffica di vento, con forza fui sbattuta contro lo steccato spaccandolo. Atterrai su una roccia sporgente a parecchie braccia di distanza da dove mi aveva colpita. Cadendoci sopra, la roccia mi fece un taglio dal polso al gomito, gridai di nuovo. Fu davanti a me in un attimo. Mi osservò dall’alto.
– Ecco perché il tuo odore è diverso – considerò lui. – Sei una Naiade.
Abbassai lo sguardo e vidi la spilla per terra. Il Draker mi prese per il collo e mi sollevò finché non ci ritrovammo faccia a faccia.
– Una Naiade. Il pranzo di un re.
Un ghigno gli solcò il volto da un orecchio all’altro. Spalancò le fauci così tanto che vedevo il fondo della sua gola. Schifo! Avvicinò le zanne alla mia gola, pronto a dilaniarla. Poi qualcosa gli atterrò addosso e io finii per l’ennesima volto a terra.
All’inizio si trattava si trattava di una macchia nera. Quando misi a fuoco vidi lui. Il ragazzo della locanda. A vederlo di schiena, si accavallò nella mia mente il ricordo dell’uomo che anni addietro mi aveva salvato dal Kran. No, impossibile. Era troppo giovane.
– Non preoccuparti, ragazzo. Mi occupo della ragazzina e poi penso a te.
Il ragazzo non disse niente. Estrasse un pugnale e si lanciò all’attacco. Il demone balzò all’indietro giusto in tempo per evitare che la lama del coltello di lui gli tagliasse la gola. Il ragazzo riprovò, ma il Draker gli bloccò il braccio e tentò di azzannargli la mano. L’altro però riuscì a dargli una ginocchiata nello stomaco, e quello rinunciò a morderlo. Il ragazzo strinse la presa sul pugnale e glielo affondò in mezzo agli occhi. Il demone cadde gridando, premendosi le mani sulla ferita. Il sangue scorreva lento tra le sue dita.
– Partita chiusa, stronzo! – gridò il ragazzo sgozzando il Draker da un orecchi all’altro.
Un ultimo grido ancora, poi il demone non fiatò più. Uno spettacolo agghiacciante. Rivolse la sua attenzione su di me. Prima che potessi fare qualcosa, mi si fece incontro e mi afferrò.
– Sei ferita? – chiese senza guadarmi in faccia. Gran maleducato.
Non attese risposta e cominciò a tastarmi. Quando mi toccò la ferita al braccio repressi un gemito di dolore. Lui non si scusò e continuò a controllare che non avessi ferite. Sollevò l’orlo del corpetto per guardarmi anche la pancia, ma gli allontanai il braccio. La pelle sotto la mia mano si flesse in un poderoso muscolo. Che cavolo me ne importava?! Quel tizio stava allungando le mani più del dovuto
– Tieni a posto le mani – dissi.
– Sei ferita? – ringhiò scandendo le parole. E finalmente mi guardò in faccia.
In quel momento mi resi conto di due cose:
Uno; era bellissimo, c’era poco da dire, e anche virile, e sexy, e… e… Insomma, se era un dio, era senza ombra di dubbio un dio della fertilità.
Due; eravamo così vicino che sentivo il suo respiro sul mio volto.
Aveva l’aspetto di un ventenne, i capelli gli incorniciavano il viso incredibilmente bello e attraente, che non era grazioso né aveva alcunché di femmineo. Ma era decisamente mozzafiato, con lineamenti marcati e sensuali, ben rasato e che sembrava essere stato scolpito nella roccia, delle ciocche argentate gli nascondevano gli occhi in modo adorabile, iridi azzurre, quasi bianche, circondate da un sottile bordo nero, pupille lunghe e sottili che ricordavano quelle di una vipera, l’espressione un po’ arrogante. L’effetto austero era rovinato da labbra stupende che invogliavano al bacio. Sembravano fatte apposta per quello, anzi. Sembravano create per fare nefandezze in luoghi tenebrosi. Tutto il lui trasudava forza e autorità. Dal colletto aperto vidi il gioco di ombre delle clavicole e del collo, fatto apposta per essere succhiato.
Cavolo! Ero incredibilmente attratta dalla sua virilità.



L’unico pensiero che aveva in mente era: ‘Che schianto di ragazza!’
Nahash ne aveva viste, e avute, di ragazze e donne. Ma questa era assolutamente più bella di tutte le altre. Alla locanda era sembrata solo una ragazzina arrogante, non l’aveva neanche guardata bene in faccia. Che spettacolo si era perso.
Aveva all’incirca diciotto anni, lineamenti dolci e armoniosi, i capelli marroni striati da quelle insolite ciocche verdi, occhi luminosi e intelligenti, nei quali ci si poteva perdere, ornati da ciglia nere e lunghe.
La sua attenzione si concentrò sulle labbra socchiuse della ragazza. Aveva una bocca molto bella e stava benissimo su quel viso leggermente brunito.
E quel corpo lo mandava fuori di testa.
Era davvero bella. Fu colto dal solito desiderio.
Stava facendo queste considerazioni quando sentì la sua maglia inzupparsi di sangue. Maledizione! La ferite dell’altro scontro si erano riaperte. La vista cominciò ad appannarsi, e le energie a venir meno.
Cadde in avanti ritrovandosi col volto sul petto della ragazza. Dio, com’era morbida, e il profumo della sua pelle lo intossicava, gli faceva venir voglia di affogarcisi.
Era il luogo migliore per morire.

X marty_odg: ah ok vedrò d nn preoccuparmi + x il macabro (in effetti, sn le scene ke mi riescono meglio). Anke a me dispiace molto x il papi il mio senso di colpa è aumantato in modo vergognoso.

X Giulia 91: “scoperto”? mica è un sito archeologico (e mica sn così vecchia). Ke bello ho una nuova recensitrice. Continua a seguire la mia storia. Mi renderesti molto felice. Grazie tante

X voi mie recensitrici: grazie mille perché mi seguite. Arigatoo e sayoonara

X Alies & gegge_cullenina: grazie infinite x aver messo la mia storia tra le preferite

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Capitolo 8
*** Nahash ***


Prima di tutto vorrei dire una cosa a chi segue Cronache.
Sebbene lo abbia già detto lo scorso capitolo, lo ripeto.
Vi chiedo scusa per non avervelo detto prima, nel prologo, come ha detto Alies, ma per il lavoro di Commerciante ho preso spunto (alla faccia dello spunto. Zitta!) al manga Letter-bee, nonché, nella prima scena dove appare Ainon, battute tratte dall’Incantesimo del lago (in questo caso la somiglianza finisce lì). Posso garantire che da questo capitolo il lavoro di Commerciante passerà in secondo, se non in terzo, piano. Quindi vi chiedo scusa per non avervelo detto prima e avervi fatto credere che fosse ‘farina del mio sacco’. Essendo la mia prima ff, ero molto preoccupata se piacervi o no, e non volevo perdere le poche persone che mi recensiscono. Vi garantisco che l’ultima cosa che voglio è deludervi, e se l’ho fatto, l’unica cosa che vi chiedo è smetterla di recensirmi e lasciar stare Cronache, e io smetterò di pubblicare questa ff, se non è quello che vi aspettavate. Detto questo, se non mi perdonate, tornate alla pagina Categorie e sceglietevi un’altra storia, se mi perdonate, leggete questo capitolo, e spero che continuate a leggermi, anche se non me lo merito.
Vi ringrazio di cuore.
FullmoonDarkangel




– Non dovevi portarlo con noi!
– Mi ha salvato la vita, Ainon. Che cosa dovevo fare?
– Sicuramente lasciarlo lì! Era, o no, la sua faccia sul tuo seno?!
– Be’, sì, ma era svenuto. A parte questo gli sono debitrice.
Era un vero piacere litigare con Ainon, lontano da tutti, in una radura, accanto a un falò. Ormai era quasi l’alba e il ragazzo non si era ancora svegliato. Finii di preparare il decotto e ne misi un po’ nel corno, andai dal giovane. Lo avevo steso a terra supino, l’unica posizione che non lo faceva soffrire per le ferite. Adesso il suo volto non era più contratto, come quando gli avevo ricucito i tagli, ma ben rilassato, come quello di un bambino. Beato lui! Io non avevo chiuso occhio per pensare alla sua salute. Dovevo semplicemente dargli da bere quel decotto per ridargli un po’ di energie.
Mi ricordai del suo petto nudo. La profonda piega che divideva i pettorali, lo stomaco simile a un asse di legno che implorava il tocco di una mano di donna, il sentiero di peli color caffè che dall’ombelico scompariva sotto i pantaloni e più cicatrici di un guerriero. Aveva la corporatura liscia e poderosa di un ginnasta elegantemente tonico. I suoi muscoli erano sodi, asciutti e stupendi, e ben definiti in punti in cui non sapevo nemmeno che un uomo potesse avere dei muscoli. In cima alle spalle, sui bicipiti e sugli avambracci. Su torace e sulla schiena. Dal collo fin giù alla gambe.
Scossi la testa. Ecché? Mi si erano risvegliati gli ormoni?!
Mi sedetti sui talloni vicino a lui e gli sollevai la testa, passandogli dietro un braccio, per fargli appoggiare la schiena sulle mie gambe. Il ragazzo sussultò per lo spostamento..
– Perdonami – gli sussurrai. Gli accostai il corno alle labbra e lo sentii mandar giù il liquido. – Bravo. Adagio, devilo adagio.
Quando finì di bere, appoggiai il corno per terra e gli asciugai la bocca. Lui mosse le palpebre e mi strinse forte la mano. Quando la sfiorò, avvertii una strana sensazione, una forza indescrivibile, una pace interiore.
– Continua a non piacermi – brontolò il mio Veeny.
– Piantala con queste storie. Mi sta solamente tenendo la mano.
In quel momento si alzarono il Vento dell’Est e il Vento dell’Ovest. Riconobbi quell’avvenimento.
– L’Istant Hour – sussurrò Ainon.
Il momento in cui la notte e l’alba si fondevano in un unico spettacolo. Sullo sfondo rosato dell’alba s’intravedevano le stelle sella notte e i venti opposti soffiavano all’unisono. Mentre ammiravo quel dispetto degli elementi sentii qualcosa muoversi su mio grembo. Abbassai la sguardo. Il ragazzo si era girato nel sonno fino a fondarsi col volto sul mio seno.
Uno schiaffo a mano aperta interruppe la magia dell’Istant Hour.

Ω



Nahash si portò una mano sulla guancia. Cavolo, colpiva forte la signorina…
La ragazza incrociò le braccia sul seno come protezione. – Come ti sei permesso?! – gridò con le guance rosse. Era bellissima anche quando arrossiva. – Se penso che non ti ho lasciato là! Bel modo di ringraziare, buttandoti dritto sul mio seno!
– Non me n’ero accorto.
– A me sembrava di sì! Dalla tua espressione sembrava che te la stessi godendo! E anche dalla patta dei tuoi pantaloni!
Nahash alzò le mani. – Posso dire, a mia difesa, che stavo dormendo?
Lei girò il volto di lato e sbuffò. La guardò meglio. Gli stivali neri le arrivavano sopra il ginocchio. I pantaloni aderenti disegnavano la dolce sinuosità delle cosce. Il corpetto avvolgeva attillato il ventre piatto e il seno alto e sodo. La stoffa della giacca, leggera, le accarezzava le braccia. Cavolo! Bella. Bellissima.
Il suo stomaco cominciò a brontolare. Ah, ecco. Te pareva.
La ragazza lo guardò di sottecchi e accennò un sorriso. – Hai bisogno di mangiare, o non guarisci – disse allungandogli della carne secca. – Anche se ti ho medicato, solo il corpo può guarire se stesso.
– Tu mi hai…? – Farfugliò Nahash portandosi una mano sul petto. Sotto la stoffa sentì le ferite dei pugnali cucite. – Sei stata tu?
– Be’, mi hai salvata. Era il minimo che potessi fare.
– So che sai usare la magia. Perché hai preferito non usarla?
Lei sorrise imbarazzata. – La verità e che sono negata per le magie curative sugli umani vivi.
– Potrei sapere il mone della stupenda fanciulla che mi ha curato?
La giovane le allungò la mano. – Mi chiamo Kyar.
Lui le strinse la mano e se la portò alle labbra. – Nahash ti ringrazia, mia dolce Kyar. Ti confesso che in tutta la mia vita non ho mai visto nessuna che potesse anche lontanamente eguagliare la tua bellezza.
Sentì per un momento la mano di lei inerte, poi la tolse di scatto. – Al tempo amico, non mi faccio sbaciucchiare la mano dal primo che passa.
Nahash vide subito dopo un gatto turchese con un paio d’ali, un corno rosso, orecchie sproporzionate, occhi completamente neri e una buffa coda. Inarcò il sopracciglio perplesso. – Cos’è? Il tuo cucciolo da compagnia?
Quello per tutta risposta quasi gli azzannò la mano, poi saltò in grembo alla ragazza e gli ringhiò contro. – Cucciolo a chi? Ti faccio notare che ho la bellezza di mille anni!
– Lui è Ainon, un Keryl e mio Veeny. Ed è un tantino geloso di me.
– bene, solo un “tantino” – rise il ragazzo. – Se lo era davvero, potevo dire addio ad una delle mie due teste.
Kyar lo guardò stupita. – Due teste? Quali due teste?
Lui indicò quella sul collo e “quella” tra le gambe.
– Ah – fece lei, poi scoppiò a ridere. Aveva una risata argentina che scendeva dalle orecchie al cuore come miele. – Sai essere disgustoso.
– È un complimento o cosa?

Ω



Era bello vederla preparare le sue robe. Più che altro era bello osservare le sue curve. Di tanto in tanto il loro sguardi s’incontravano e Kyar era rapida a distogliere gli occhi, con un affascinante rossore diffuso sulle guance.
Era pura.
Così pura che aveva già voglia di sporcarla.
Prima di tutto però bisognava liberarsi del gatto. Era già addormentata, ma per maggior sicurezza gli sussurrò nell’orecchio l’incantesimo del sonno.
– Uffa, ma quanto dorme quel pigrone? – sbottò Kyar e fece per andare a svegliarlo.
Ma Nahash la trattenne. – Forse dovresti dormire anche tu. Ti vedo affaticata.
Lei sorrise. – Non preoccuparti. Posso sempre dormire in groppa ad Ainon durante il viaggio.
Nahash si sedette. – Allora siediti con me e parliamo –. Parlarono di svariati argomenti, poi le chiese di punto in bianco: – Sei mai stata innamorata?
La fanciulla abbassò gli occhi. – N… No. P… perché me lo chiedi?
La inchiodò con uno sguardo sensuale. – Perché è strano che un fiore bello come te non abbia mai incontrato l’amore.
Kyar cominciò ad arrossire. – Come mai parli di ciò?
Nahash prese a d avvicinarsi. – Continua a parlare. La tua voce così dolce mi fa ubriacare. Sei davvero il fiore più bello di questo immenso giardino –. Ormai si trovavano quasi a fior di labbra. – Se tu non fossi così bella il mio cuore non sarebbe caduto preda dell’amore –. A un soffio dalla bocca di lei si fermò. – Ti amo –. Fece per baciarla.
Ciò che seguì, accadde in un istante. Il ragazzo si ritrovò supino, con la ragazza seduta a cavalcioni sul suo stomaco e il pugnale di lei puntato alla gola.
– Credevi che non l’avrei capito? – sibilò lei. – Mi hai preso per un’ingenua? Non sei migliore dei due di ieri sera.
Lui rimase impassibile. – Tutto sommato questa posizione non mi dispiace –. Allungò il collo per osservare la curva del seno di lei visibile dalla scollatura. – Da qui si gode una vista niente male –. L’afferrò per le braccia e la trasse più vicina. – Sei davvero bella. E hai un corpo stupendo –, e, accompagnando le parole ai gesti, fece scorrere le mani sulla schiena di Kyar fino a prenderle il sedere tra le mani.
Lei scattò in piedi. – Che cavolo fai, maiale?
Nahash la imitò. – Visto che non gradivi il precedente ho cambiato approccio. Dopotutto sono un uomo raffinato.
– Un uomo raffinato non sbircia nella scollatura di una ragazza, e soprattutto non le mette le mani addosso.
– Se non vado errato, mi devi un favore per averti salvato la vita.
– Ti ho medicato le ferite.
– Non parlo di questa volta. Parlo di dodici anni fa quando ti ho salvato dal Kran.
Kyar lo guardò un attimo con gli occhi sgranati. – Quindi che dovrei fare per cancellare il mio debito?
Gli occhi di lui si fecero scuri dalla lussuria e lanciò un caldo sguardo famelico sul corpo della ragazza, soffermandosi sui seni, che si fecero rigidi. – Sai già cosa voglio da te.
Con indignazione, lei incrociò le braccia sul petto. – A parte quello.
Nahash quasi si mise a ridere. Quasi. – Allora mi sa tanto che ti dovrò seguire finché non cederai.
– Be’, apri bene le orecchie. Io non mi concederò mai ad un essere spregevole come te. Preferirei uccidermi.
La guardò impassibile.
– Tu… tu in realtà non dai nessuna importanza alle donne. Le tue parole mielose servono solo ad ingannare quelle che ti capitano. Ma non credere di poterci riuscire per sempre. Tu consideri le donne come semplici balocchi, e te ne liberi non appena te ne stufi. In realtà tu… –, non finì la frase perché Nahash le si era avvicinato e ora la fissava con un misto di rabbia e desiderio negli occhi.

Ω



– Continua – mi ordinò. Il suo fiato caldo e pulito mi sfiorava le labbra mandandomi brividi di desiderio in tutto il corpo.
Abbassai il volto, rischiavo di essere ipnotizzata da quegli occhi di ghiaccio. Sentivo il coraggio venir meno. – In realtà tu… sai solo odiarle, e io… io…
– Guardami…
Dato che non gli ubbidivo, lui mi prese per il mento e, sollevandomi il volto, mi costrinse a fissare quell’azzurro ghiaccio che erano le sue iridi. – Io non diventerò la prossima tacca della tua cintura… – continua con la bocca asciutta.
Rabbrividii osservando il suo volto avvicinarsi al mio. Poi labbra esigenti coprirono le mie.
Avevo sentito parlare di baci in grado di far cedere le ginocchia a una donna, e quello lo era. Uao!
Senza nemmeno accorgermene, chiusi gli occhi e risposi al bacio. Dotate di volontà propria , le mie braccia gli cinsero le spalle meravigliosamente ampie e dure, mentre le sue mani vagavano sulla mia schiena attirandomi contro un torace perfettamente scolpito. Sentendo il suo tocco ardente sotto la stoffa, gemetti di piacere. Vagamente mi resi conto che mi aveva sospinto contro un albero quando sentii il ruvido della corteccia contro di me.
Staccai la bocca dalla sua non per fermarlo, ma per riprendere fiato dopo il bacio.
Lui rise, mi mordicchiò le labbra e riprese a baciarmi. Spostò la bocca sulle mia guance, la mascella, il collo, spingendomi una gamba tra le cosce. Nuovi brividi di piacere m’invasero quando percepii i suoi muscoli tendersi tra la gambe. Le sue dita si tesero contro la parte bassa della schiena avvicinandomi ai suoi fianchi. Una sua mano scivolò lentamente intorno alla mia cintola per poi cominciare a salire lungo le costole fino ad incontrare un seno. Trattenni il fiato mentre mi apriva il corpetto, allungava un dito all’incavo della gola e tracciava un percorso di cerchi roventi sul busto, giù fino all’ombelico e oltre.
– Cosa stai… –. La domanda finì in un gemito quando sentii la sua lingua dentro l’orecchio.
Entrambe le sue mani andarono alla cintura e cominciarono a slacciarla. Allora tornai in me; scostai le sue mani e lo allontanai. – Che cosa hai in mente di fare, amico?
Lui mi guardò incredulo. – Finire quello che abbiamo iniziato.
– Non credo proprio.
Scrollò le spalle tanto meravigliosamente ampie. – Preferiresti in un cespuglio? O semplicemente qui in terra? –. Si guardò intorno come alla ricerca di altre opzioni. – Però l’albero era una pensata niente male, in effetti. È passato un po’ di tempo da quando ho posseduto una donna su…
– L’unico posto in cui mi possiederai sarà nei tuoi sogni. E ora toglimi le mani di dosso prima che mi arrabbi sul serio.

Ω



Con grande sorpresa, Nahash indietreggiò di qualche passo, ma continuò a guardarle famelico il corpo, mentre Kyar, arrabbiata nera, si riallacciava il corpetto.
– Perché sei arrabbiata?
Lei lo fulminò con gli occhi. O almeno, ci sarebbe riuscita se avesse usato un incantesimo. – Dov’eri quando ho detto che non mi sarei mai concessa ad uno come te?
– E come pagherai il tuo debito?
Finì di riallacciarsi il corpetto e lo guardò malissimo. – Sicuramente in un altro modo. Non userò certo il mio corpo per ripagare qualcosa.
– Neanche per un favore personale?
Chiuse la cintura. – Non faccio questo genere di favori.
– Un’oretta?
– Toglitelo dalla testa.
– Mezz’oretta?
– Neanche.
– Venti minuti?
Kyar si limitò a fissarlo.
– Uffa, e perché no?
– Quando mi concederò ad un uomo, voglio che coinvolga più delle parti necessarie, voglio anche il suo cuore.
Nahash inarcò il sopracciglio. Quando? Questo significava solo che… – Ah, ho capito. Sei ancora vergine.
– E allora?
– Hai paura e donarti a un uomo.
– Non è vero!
– Allora perché?
– Te l’ho appena detto, voglio anche il suo cuore, oltre che a una parte del suo corpo ben in profondità tra le gambe.
– Posso assicurarti che non ti mancherà il cuore.
– Te lo ripeto, io non diventerò la prossima tacca della tua cintura. Non lo diventerò.

X Laban: nn preoccuparti se nn hai recensito prima. Grazie, molto gentile

X Giulia 91: ih, ih, ih, la "bella presenza", vedrai che il racconto si anima!!

X Alies: come hai visto ho aggiunto le scuse all’inizio del capitolo. No, nn finirà in un cassetto.

X voi mie recensitrici: grazie mille perché mi seguite. Arigatoo e sayoonara

X Alies & gegge_cullenina: grazie infinite x aver messo la mia storia tra le preferite

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Capitolo 9
*** Un'idea ***


Raccolsi la borsa e tenni Ainon contro il petto con un braccio. Nahash mi prese l’altro e lo sollevò.
– Cos’hai fatto? – domandò tirandomi su la manica e osservando la benda.
Volevo liberarmi, ma la sua mano era così grande e calda e la sua presa così dolce. Scacciai a forza quei pensieri dalla mente. – Sono affari miei. Non tuoi.
Vidi la benda dissolversi come fumo un istante prima che appoggiasse le labbra sulla pelle e tracciasse la linea della ferita, sfiorandola leggermente. Quando scostò la bocca notai che il braccio era guarito. – Grazie.
– Un altro favore – sussurrò, mentre i suoi occhi seguivano l’incavo della mia gola fino alla scolatura del corpetto.
Mi ritrassi dalla sua presa e mi diressi verso il sentiero che conduceva alla Grande Città, quando sentii il suo braccio intorno alle spalle.
– Ti dispiace mollarmi? – sibilai con nemmeno la metà della freddezza che avrei voluto.
– Dove stai andando?
Sì, complimenti! Risponde alle domande con altre domande che non hanno nesso logico. – Perché vorresti saperlo? –. Almeno le mie sono collegate.
– dovresti essere tu a seguirmi per ripagare i tuoi debiti, ma, data la tua testardaggine, credo che non ascolterai i miei ordini.
– Sono attesa al Rifugio, nella Grande Città.
– Posso venire con te?
Cosa?! – Cosa?!
– Posso venire con te? Per favore…
– Nahash…
– Per favore, per favore…
Sentivo la faccia in fiamme, per la sua vicinanza, per la sua voce, per il suo volto così sorprendentemente vicino al mio. Sospirai. Potrei dire di no a degli occhi così? Vorrei tanto. – Va bene. Se proprio insisti, mi accompagnerai… –. Mi blocco le parole in bocca con un bacio. Lo scostai non appena la sua lingua toccò la mia. – Non provarci mai più!
– Se non posso giacere con te, almeno concedimi dei baci appassionati.
Sorvolai l’argomento. – Muoviamoci. Senza Ainon che ci porta in volo, ci aspetta una lunga marcia.
– Ti porto in volo io.
Rimasi senza fiato quando apparvero sulla sua schiena due enormi ali di falco nere come la notte. Attontita, allungai la mano e le sfiorai, sembravano di pelle.
– Non preoccuparti – mi rassicurò. – Sono resistenti.
– Sono bellissime…
– Sono lieto che lo pensi, ma non sono bellissime –. Il suo sorriso sparì. – Sono maledette.
Prima che potessi fare o udire qualcosa, lui si chinò e mi prese in braccio. Solo allora mi resi conto che, essendo cos’ alto e possente, avrebbe potuto fare quello che voleva con me, e mi sarebbe stato quasi impossibile fermarlo.
Un fremito di paura mi tamburellò per tutto il corpo. E tuttavia, nonostante il pericolo, una parte di me mi diceva che lui non mi avrebbe fatto del male intenzionalmente.
Poi spiccammo il volo, e in un primo spavento, mi aggrappai al suo collo. Mollò la presa sotto le mie ginocchie, così, con un urlo soffocato, mi strinsi di più contro il suo petto. Trattenne il fiato mentre esclamai: – Ma sei impazzito?!
– Per sapere com’era la sensazione di te aggrappata a me – rispose con le labbra contro il miei capelli.
Sbuffai. Che uomo vizioso!
Dopo qualche minuto di silenzio assoluto, mi stufai.
– Senti, visto che il volo sarà lungo, perché non inganniamo il tempo e parliamo?
Nahash mi guardò improvvisamente incuriosito, forse anche un po’ divertito. – Be’, ci sono cose più divertenti da fare con la lingua –. Fissò la scollatura del corpetto. – Come farla passare per l’incavo della tua gola e sui tuoi seni nudi –. Il suo sguardo si spostò verso la zona del mio grembo. – Per non parlare di altri posti dove potrebbe andare.
All’inizio fui esterrefatta, poi, stranamente divertita.
Poi inondata dalla voglia di stenderlo a terra e divorarlo.
Cavolo! Una parte di me stava affogando negli ormoni.
Oh, andiamo! Sei una donna con un cervello… e senza ormoni.
Be’, con uno come lui, potresti permettere agli ormoni di sopraffare il pensiero razionale.
No, no, no! Adesso devo rispondergli per le rime.
– Hai ragione, ci sono altre cose da fare con una lingua… come tagliarla –. Mi presi una certa soddisfazione nel vedere un lampo di sorpresa nei suoi occhi. – Ma a me piace conversare, quindi vedi di essere di compagnia.
Emise un sospiro esacerbato. – D’accordo. Cosa vuoi sapere?
Sorrisi, poi cominciai la mia sequela di domande. Rispose quasi a tutte, ad altre brontolava un – sorvoliamo questa domanda –.
– Hai dove andare nella Grande Città?
Colsi un leggero imbarazzo nei suoi occhi. – In verità, no.
– Nessun amico che ti possa ospitare?
– Non ho amici.
Aveva provato a dare un tono indifferente alla risposta, ma sottosotto sentii una nota di rancore. Non sapevo perché, ma mi veniva voglia di stringerlo e consolarlo. – Bene, allora diciamo che adesso ne hai una. Sarai ospite a casa mia. In questo modo ripagherò anche il mio debito –. Mi guardò con sincero interesse. – Sarò io a servirti. Tutto quello che tu voglia fare la faremo e tutto quello che tu voglia vedere la vedrai.
Inarcò un beffardo angolo della bocca. – Togliti il corpetto.
– Prego?
M’inchiodò con uno sguardo voglioso. – Hai detto che posso vedere tutto quello che voglio vedere e fare tutto quello che voglio fare. Be’, io voglio vedere i tuoi seni nudi e poi far passare la mia lingua…
– Ehi, amico, spegni i bollori! – esclamai. Le gote rosse, il corpo avvampato. – Penso che servano delle regole basilari. Regola uno, non ci sarà niente di quello.
– D’accordo, l’ho capito. Era solo…
– Uno scherzo?
– No, un’idea.
– Un’idea?!

Ω



Kyar chiuse gli occhi e si strinse contro di lui. Nahash capì che si era addormentata. Osservò il suo volto rilassato, teneva le labbra leggermente socchiuse e respirava lentamente e dolcemente. Si fermò in volo, le tirò su il mento e avvicinò il volto a quello della ragazza.
– Io non ci proverei.
A parlare era stato quel gatto, Ainon. Si era svegliato. Maledizione! Non poteva aspettare un altro po’?
– Di te non mi fido, ragazzo – disse cominciando a volare. – Quindi è meglio che sia io a portarvi in volo.
In un battito di ciglio, il gatto aveva raggiunto le dimensioni di un dragon e li portava entrambi in groppa. Quello volava troppo velocemente, si sarebbe senza dubbio raffreddata. Si sfilò la giacca e l’appoggiò sulle spalle di lei.
Era la prima donna che lo rifiutava. Era..
Strano.
Avvilente.
Quasi imbarazzante.
E inoltre, e cosa di grande importanza, le aveva messo addosso un indumento! Non glielo aveva tolto!
Ne contemplò meglio l’aspetto. Il volto ovale, da diavoletto birichino, aveva dei tratti infantili, come il dritto naso leggermente all’insù. Le ciglia lunghe e scure con le punte stranamente bionde, labbra disegnate e sensuali, che imploravano di essere baciate.
Come voleva farlo! Aveva ancore il sapore di quelle labbra sulle sue e la sensazione di quel corpo premuto contro il suo.
Le ciocche sulla fronte si aprivano come un sipario e arrivavano appena oltre gli occhi. I capelli avevano un taglio scalato, dietro lasciavano scoperta la nuca e davanti arrivavano alle clavicole. Le ciocche castano scuro sembravano la corteccia degli alberi e quelle verdi una cascata di liane. Titubante vi passò in mezzo la mano e quelle seriche ciocche gli riempirono il palmo.
Le prese una mano e ne baciò le nocche. Kyar aveva dita lunghe e affusolate e avevano una morbidezza insolita per una che combatteva con un pugnale. Desiderava tanto farsi accarezzare da quelle mani, sentire quelle dita tra i capelli e quelle unghie incidergli la schiena mentre lei urlava al momento dell’orgasmo.
La ragazza si strinse ancor di più contro di lui in un istintiva bisogno di calore. Nahash sentì il corpo farsi duro e caldo all’istante. La sensazione sarebbe stata migliore se fossero stati entrambi nudi. E in un letto.
La strinse meglio tra la braccia.
Quella sarebbe stata la prima volta che avrebbe dovuto convincere una donna a fare l’amore con lui. Tutte le altre erano state ben più felici di appagarlo. E, a giudicare dalla tenacia e dalla testardaggine di Kyar, portarla a letto sarebbe stata un’impresa paragonabile a battere l’esercito di Nabel, il famoso re stratega.
Sì, avrebbe proprio gustato quell’impresa.
Come avrebbe gustato lei. Ogni centimetro di quella dolce pelle da mezza Naiade.

X marty_odg: Bwaaahhh, aaaah!! Nn mi hai abbandonato (abbraccia il monitor in lacrime)! Ehm, riacquisto la dignità perduta (come se fosse lontanamente possibile). Grazie x tti qsti complimenti. Si, hai ragione è pungente, ma tu ke faresti se t ritrovasti tra capo e collo uno trafico come Nahash? Lei nn è cattiva, semplicemente nn si fa mettere i piedi in testa da nessuno.

X Giulia 91: ‘Quindi sappi che sarò sempre una tua fedele recensitrice’. Nn sai quanto mi ha reso felice qsta frase! Grazie, in effetti è abbastanza sconcertante. È una mia abilità creare personaggi maschili niente male. Probabile, nn eliminiamo qsta possibilità, ma lei nn demorde. Gli ormoni nn prevarranno sul pensiero razionale (…forse).

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Capitolo 10
*** Il Rifugio ***


Sentii una mano scuotermi la spalle. – Siamo arrivati.
Mi rigirai, dando un colpo con la mano a un mento. Sentii qualcuno sibilare di dolore.
– Scusa. Non volevo – boccheggiai mezz’addormentata. Aprii gli occhi e vidi Nahash con una mano sulla bocca. – Ah, sei tu. Allora fa niente.
Per tutta risposta mi lanciò un’occhiataccia.
Mi misi in ginocchio. – Sa’, fammi vedere se ti sanguina.
Gli appoggiai le mani sulle guance e cominciai a controllare che il labbro non gli sanguinasse.
– Direi che è tutto a posto – confermai, e allora mi resi conto della nostra vicinanza. E della sua pelle contro la mia.
Cavolo! Ancora un po’ e lo baci.
Ma non posso!
Non puoi o non vuoi?
Non… non… oh, al diavolo!
Mi avvicinai e gli accarezzai la bocca con le labbra, poi mi allontanai di scatto.
Cavolo. Perché l’ho fatto?
Complimenti!
Mi guardò sorpreso, e fu lui ad avvicinarsi e baciarmi. Sentivo i muscoli delle mascelle muoversi sotto le mani mentre le nostre lingue danzavano. A dire il vero la sua esplorava la mia bocca come un vichingo dedito alla devastazione totale.
Come se fossi un’altra persona, allargai le gambe e gli sedetti a cavalcioni in grembo. Lui si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa nella mia bocca. Appoggiò le mani sulla mia schiena all’altezza dei reni, e mi avvicinò a sé, abbastanza per farmi sentire che era contento di essere con me, o almeno che il suo corpo lo era.
Aprì il gancio sotto i seni che teneva chiusa la giacca, m’irrigidii quando la sue mani andarono ai miei fianchi. Mi staccai da lui e mi schiarii la gola, poi scesi a terra.
– Vai alla Torre dei Veeny, Ainon – dissi.
Il Keryl si scrollò di dosso Nahash e volò via, mi diressi verso la strada. Lui mi si mise a fianco e mi bloccò la strada con un braccio.
– Come mai ti sei fermata? Andavi bene.
– È stato un momento di debolezza.
– L’interruzione o…
Quello – tagliai corto.
– Com’è che è stato debolezza?
– Perché nulla di me lo voleva. Credo, forse, solo gli ormoni.
– E come mai è debolezza lasciarsi andare al piacere?
Sorvolai l’argomento. – Tu resta qua.
– Perché?
– Non ho intenzione di portarti al Rifugio. Girerebbero troppe voci.
Mi sorrise. Dea, quanto amavo quel sorriso che metteva in mostra una serie di fossette che gli incidevano lune profonde nelle sue gote abbronzate. – Apri la mano.
Sbuffando la tesi davanti a me. Un attimo dopo ci fu una luce intensa e chiusi gli occhi. Quando li riaprii, Nahash aveva raggiunto le dimensioni degli Spiriti delle Foglie e se ne stava comodo sulla mia mano.
– Così non mi vedranno.
– Se tu fossi invisibile.
– Nascondimi, no?
– E dove, sapientone?
– Un’idea ce l’avrei – rispose osservando la scollatura.
Aprii la borsa e ce lo feci cadere dentro. – Accontentati della classe economica.
Lo sentii sbuffare e non riuscii a non trattenere un sorriso.
Il Rifugio si stagliava con la sua maestosità sulla piazza, si distingueva per le colonne sottili, archi a sesto acuto e rampanti, torrette e guglie, l’imponente portone e il rosone dai vetri multicolore al centro del portico.
– Benvenuto al Rifugio.
Nahash tirò fuori la testa dalla borsa. – Davvero maestoso.
Entrai nel bellissimo atrio e andai incontro alla mia amica Nadja.
– Bentornata Kyar!
– È bello rivederti.
– Allora, la consegna è andata bene?
– Per il meglio. E ho preso qualcosa per te –. Appoggiai sul tavolo un fagotto di carta.
– Oh! – esclamò la mia amica. Aprì il fagotto e i suoi occhi brillarono. – Le ciambelline cremose alle fragole!
– Le tue preferite.
Nadja abbassò lo sguardo.
– Che c’è? Hai cambiato gusti nel giro di due giorni?
– No, ma lo sai.
– Ma andiamo! Sei un figurino.
– Lo ero l’anno scorso. Ed ero così magra. È che mangio perché mi sento sola, ma finché non riuscirò a smettere d’ingozzarmi e quindi a dimagrire, non cuccherò nessuno.
– Sei in un circolo vizioso.
– che ci posso fare se somatizzo?
– Iscriviti al club dei pasticceri. Magari ti fidanzi con un bignè.
– Sei crudele! – sbottò.
Afferrai una ciambellina e mi allontanai. – oppure staccati da quella scrivania e vieni all’Arena dell’Allenamento –. Addentai il dolce e la salutai con un gesto della mano.


Entrai nell’arena e gettai la borsa su un gradone.
– Ehi, piano! – protestò Nahash.
– Scusami. Faccio un po’ d’allenamento, poi andiamo a casa.
Andai a scegliere con quale arma allenarmi.
– Commerciante Kyar.
Mi girai di scatto. – Buongiorno, Direttore.
– Questo è il figlio del sindaco di Cantherburg. È da poco diventato un Commerciante. Gli mostreresti l’Arena?
Colpo allo stomaco. Quel maschilista razzista dell’esame. Inghiottii quel boccone stra-amaro. – Certamente, Direttore.


Kyar aspettò che l’uomo biondo se ne andasse per spegnere il suo sorriso, rivolgere al ragazzo  uno sguardo ostile e dargli le spalle rivolgendo la sua attenzione alle armi appoggiate sul tavolo.
La ragazza si sfilò la giacca, lasciando Nahash a bocca aperta e occhi spalancati. Quel corpetto aveva una scollatura che lasciava la schiena quasi completamente scoperta e che accendeva tutti i sensi. E Kyar aveva la schiena più invitante del mondo.
Il ragazzo le si avvicinò. – Ascolta. Voglio che tu sappia quanto sia onorato di poter apprendere i segreti di questo mestiere da una donna  tanto attraente e lavoratrice –. Puntellò l’avambraccio sul tavolo e le sorrise. Come osava quel bellimbusto provarci con Kyar?! La sua Kyar!
Lei prese un pugnale e gl’inchiodò la manica al tavolo all’altezza del polso. – No. Ascolta tu. Voglio che tu sappia esattamente con chi avrai a che fare. Quante altre donne Commercianti hai visto? –. Bloccato all’altezza del gomito. – Soltanto io. Secondo te come mai? Perché il mestiere di Commerciante è basato su regole vecchie e obsolete. Regole che vietano l’ingresso alle donne in questo ambiente. Eppure io sono qui. Com’è possibile? –. Bloccato all’altezza della spalla. – Perché sono la Commerciante più tosta del Rifugio. Mi sto allenando da anni per migliorare sempre più, e non metterò tutto a repentaglio per aiutare un moccioso la cui vita è stata semplificata dalla condizione sociale e dal fatto che è nato con qualche attributo in più in mezzo alle gambe. Capito?
Il ragazzo annuì pallido. Nahash quasi scoppiò a ridere. Uscì dalla borsa e riprese la sua grandezza naturale. Si avvicinò a Kyar da dietro, mentre lei liberava la manica del poveretto, le avvolse le braccia intorno ai fianchi e le appoggiò una guancia sulla schiena. Lei sobbalzò.
– Quanto è morbida la tua pelle.
Gli afferrò i polsi e tentò di liberarsi. – Lasciami!
Riuscì a sciogliere la sua presa e ad allontanarsi da lui. Gli occhi di Nahash si sciolsero un poco, e mentre la osservava divennero fuoco nel giro di due battiti di cuore. Le si avvicinò e allungò una mano per accarezzarle il volto. Kyar corse dall’altro lato del tavolo.
– Perché mi scappi? – le chiese.
– Perché se fai così mi sembri un maniaco. Per caso ti hanno allevato con infuso di panace?
Inarcò il sopracciglio. – Cos’è la panace?
– Una pianta medicinale. Ha proprietà afrodisiache e l’infuso delle foglie combatte la frigidità.
– Allora tu ne avresti bisogno.


La voce veniva alle mie spalle. Più precisamente fu un sussurro all’orecchio, come le fusa di un gatto. Mi girai di scatto, ritrovandomi a fior di labbra con Nahash. Feci due passi indietro, cozzando con l’anca contro il tavolo.
– Direi più che altro che hai paura di me –. Inarcò quelle sopracciglia scure, sovrastando quegli occhi che mi osservavano con troppo calore.
– Non ho paura di te.
– Allora perché rabbrividisci?
– Io non rabbrividisco! –. Dannazione! C’era l’eco?
Appoggiò la mano sullo spigolo del tavolo, vicino al mio fianco, e  avvicinò il volto al mio. Scartai di lato. –Lo vedi che rabbrividisci.
– Perché non permetto a nessuno di toccarmi.
– Mai?
– Solamente in un combattimento sto a stretto contatto con un uomo.
I suoi occhi si accesero. – Allora combattiamo.
– Ti avverto che nessuno mi ha mai sconfitto.
– Perché i tuoi amici sono dei gentiluomini. Non ti colpirebbero mai.
– Anche tu sei un galantuomo?
– No. Sono un uomo raffinato. Colpisco le donne se mi attaccano, ma non le violento.
Dubitavo che ne avesse bisogno. Se riusciva a eccitare me, che ero la Regina dei Ghiacci, figuriamoci le altre. – Vince chi per primo colpisce il cuore dell’altro.
– Con un’arma?
Strinsi gli occhi. – Con la mano.
Le sue fossette guizzarono in modo lascivo agli angoli della bocca, mentre guardava i miei seni. – Mi va bene.
– Facciamo con un dito.
– Ci sto, e facciamo a scommessa. Se vinco io, tu ballerai per me tutta nuda.
Le mie gote avvamparono. – Ho un’idea migliore. Poniamo regole alla posta in palio.
– Spara.
– Niente cose imbarazzanti. Niente che coinvolga il sesso. Niente che vada contro il mio senso di pudore.
Sbuffò. – Uffa! D’accordo, ma ce l’ha giochiamo al buio.
– Va bene –. Presi un pugnale. – Pronto? –. Attaccai.

 
X Giulia 91: oh, sì se nasconde qualcosa, ma… nn te lo dico!! Al momento. Avrà un passato a dir poco contorto, subito dai suoi genitori. Però andiamo, è carino sfacciato. Assolutamente nooooooo!!!! Nn la lascerò incompiuta sapendo che mi recensite.

X Laban: Eh, già, i compiti… sarebbe + corretto chiamarli “tortura imposta dagli adulti, ma auto-inflitta”. Molto gentile x i complimenti. Kiss kiss    

X marty_odg: persino i + forti hanno punti deboli. Come hai visto anche Kyar è visibilmente attratta da lui. E chi nn lo sarebbe! Cito: “La profonda piega che divideva i pettorali, lo stomaco simile a un asse di legno che implorava il tocco di una mano di donna, il sentiero di peli color caffé che dall’ombelico scompariva sotto i pantaloni e più cicatrici di un guerriero”. Personalmente lo terrei nel mio letto anche se mangiasse ali di pollo unte e bisunte. Credo che vomiterò…

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Capitolo 11
*** A casa ***


Nahash schivò il pugnale di Kyar, per poco non gli tagliava la gola, quella. Sorrise, era davvero molto agile. Non gli capitava spesso che qualcuno andasse così vicino a colpirlo, soprattutto una con un corpicino come quello.

Si sarebbe volentieri fatto pestare da una così, soprattutto se avesse avuto indosso un pel pagliaccetto nero. Eh, già, immaginarsela in intimo e tacchi a spillo lo eccitava da morire, peccato però che lei proprio in quel momento fece per colpirlo in faccia.

Riuscì a bloccarle il polso, ma non si aspettava di certo la ginocchiata che quella gli piazzò tra le costole un istante dopo. Gemette, ma le strinse la mano e la costrinse a lasciargli il pugnale. Dopodiché gli arrivò una potente testata. Ora aveva un terribile dolore alla testa. Per essere una signorina, colpiva come un fabbro.

– Oddea! Scusa, non volevo. Mi sono fatta prendere e…

Nahash approfittò di quell’istante per torcerle il polso, farle eseguire un perfetto casché e puntarle il dito al cuore.

– Ho vinto.

– Ma hai imbrogliato!

– Hai dato regole sulla scommessa, non sulla modalità del duello –. In realtà però pensava a tutt’altro. Al sudore che le colava tra i seni, sotto il corpetto. La voglia di placare l’arsura lo tormentava.

Lei sbuffò e si rimise in piedi. – A proposito per la testata, mi dispiace davvero.

– Non c’è problema, sono abituato a botte più dure.

– Uh, allora insegnami a proteggermi dagli attacchi con la testa, caso mai mi tagliassero le braccia.

Accidenti! Anche sconfitta era assolutamente attraente e intrigante. Sorrise nel guardarla, aveva la fronte sudata e le guance rosse.

Era bellissima.

– Che c’è?

– Niente. Stavo solo notando che sulla fronte hai un segno rosso, per quella famosa testata. Mi chiedevo se ce l’ho anch’io.

Kyar scoppiò a ridere, poi gli si avvicinò e gli osservò la fronte. – Solo un po’, Uni.

Lui inarcò il sopracciglio. – Uni?

Il modo in cui gli sorrise gli creò qualche problema nelle parti basse. – Unicorno. Sembri un unicorno senza più corno –. Gli indicò il tavolo. – Siediti, ti metto un unguento per evitare che ti venga un bernoccolo.

Ubbidì. – A te non serve?

– Sono una testa dura. I bernoccoli non mi vengono così facilmente.

Si perse nella morbidezza di quelle dita che gli spalmavano in fronte una sostanza dall’odore dolciastro. – Ti offendi sempre?

– A volte mi urlo contro.

– Sembri una matta.

– È ciò che dicono le vocine nella mia testa. M’insultano continuamente. Per coprirle canticchio mentalmente.

Era di poco più bassa di lui. Probabilmente coi tacchi sarebbe stata più alta. Chissà perché l’idea gli sembrava terribilmente sexy.

Se la immaginava a letto, sotto di lui, completamente nuda, ma coi tacchi. Quel pensiero lo faceva impazzire.

Da quando fosse diventato feticista non lo sapeva proprio, ma non riusciva più a togliersi quell’immagine dalla mente.

 

Ω

 

M’imbarazzai vedendo come mi guardava. Altri uomini lo avevano fatto, ma la cosa non mi aveva mai fatto effetto. Non capivo perché. Mi faceva sentire in un modo che non avrei mai creduto possibile.

– Sai, guarirebbe prima con un tuo bacio – disse con un sorriso, mettendo in evidenza quelle fossette.

Avvicinai il volto alla sua fronte.

– Ma non lì.

Mi prese il volto tra le mani e si avvicinò a baciarmi le labbra. Il cervello mi andò in pappa. Volevo solamente sentire la morbidezza della sua bocca su di me. Poi, l’incantesimo si ruppe.

– Aaaahhh! – urlò Nadja. – Kyar che sta per baciare un uomo! Alla fine è successo! Si è trovata qualcuno!

Mi allontanai con le guance in fiamme. – Non è come pensi!

La mia amica si avvicinò e spalancò la bocca. – Santo guacamole verde!

– Nadja ti presento Nahash.

– Santo guacamole verde!

Le agitai la mano davanti agli occhi. Non mosse neanche le palpebre. – Nadja?

– Santo gua…

– La smetti?

Fece scorrere gli occhi dalla testa di Nahash fino alla punte dei suoi piedi. – Ma è strafico!

Lui inarcò il sopracciglio. Sembrava scocciato dalla reazione di Nadja. – Ti piacerebbe che aprissi la bocca per esaminare i miei denti, dopo, o preferiresti che mi calassi i pantaloni per la tua ispezione?

Nadja allungò la mano con fare esitante per toccargli il braccio.

– Bu! – esclamò lui, facendole fare un salto all’indietro per lo spavento.

Ridacchiai e la mia amica mi rivolse un’occhiataccia. – Vi siete messi d’accordo per prendervi gioco di me?

– La colpa è tua – risposi. – A tutti da fastidio una che guarda con la bocca spalancata, ed è a un passo dal non trattenere l’inarrestabile salivazione.

Lei mi fece la linguaccia. – Comunque da quanto vi conoscete?

– Da ieri sera – rispose Nahash.

Mi sorrise maliziosa. – Sei procace, bambina.

Questo mi offese. – Non stiamo insieme.

– Amore e sesso non sono la stessa cosa – mi fece notare lui.

Le mie guance si accesero. – Per me sì, lo sai. E se dici così sembra sia andata a letto con te. E dato che non è successo…

– Potresti sempre fargli vedere tutti i completi che ti ho regalato.

I suoi occhi di ghiaccio si piantarono su di me, infiammandomi ogni molecola del corpo. – È un’idea per il mio premio. Una sfilata in intimo, non vedo niente di più eccitante. E non coinvolge il sesso, come da regolamento.

– Ma per me è imbarazzante, e va contro il mio senso di pudore.

– Allora ci penserò.

 

Ω

 

Nahash si guardò intorno. La casa era bellissima.

Muri bianche all’esterno come all’interno; un giardino multi colore con un’altalena ad un albero secolare; una terrazza con pergolati di fiori; una grande sala al pian terreno con divani di paglia e cassapanche di legno di cedro; una scala che conduceva la piano superiore.

Kyar indicò una porta. – Di là c’è la cucina –. Mosse una mano verso il corridoio. – Lì il bagno. E al piano di sopra ci sono le camere da letto e il mio bagno.

Gettò la borsa e la giacca su una cassapanca e si diresse verso la cucina, allora lui trovò la forza per mormorarle un –grazie.

Lei si girò. – Come?

Nahash incollò gli occhi al pavimento. – Grazie per l’ospitalità – ripeté a voce più alta.

Alzando lo sguardo incontrò il volto sorridente di Kyar. – Non sei quel tipo di uomo che dice grazie molto spesso, vero?

Scrollò le spalle.

– Senti, ti va di cenare?

– Certo.

 

Ω

 

Mescolai per l’ultima volta la zuppa, l’odore non era male. Inzuppai un cucchiaio di legno, misi la mano, a coppa sotto di esso e ci soffiai sopra. Lo allungai a Nahash. – Dimmi com’è.

Lui si chinò e aprì la bocca. L’osservai mentre la gustava, come se stesse assaggiando me. – È deliziosa.

– Non c’è troppo sale?

– È perfetta.

Mi mise le mani sui fianchi e mi trasse contro il suo torace possente. Mi prese il labbro inferiore tra i denti, poi me lo accarezzò gentilmente con la lingua. La testa mi girò per quel dolcissimo abbraccio. Il bacio si fece più intenso un attimo prima che mi lasciasse.

– Avevi dell’olio sul labbro – rispose sorridendomi con quelle fossette.

Sentii le guance accendersi. – Avresti potuto dirmelo e basta.

– Vero. Ma il mio modo è migliore.

Scossi la testa. Riempii le tazze e andammo nel soggiorno. Mi sedetti a gambe incrociate su un divano, lui invece s’accomodò a terra.

– Mangi sempre sul divano?

Scrollai la spalle. – Be’, ho un tavolo da pranzo, ma dato che sto da sola tutte le sere, preferisco il divano che sto comoda.

– Vivi da sola?

Annuii.

– Il Keryl non sta con te?

– A lui piace dormire. Quindi per non doversi alzare presto la mattina, preferisce stare alla Torre dei Veeny.

– Hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te.

– Per quello faccio da me.

– Non è la stessa cosa.

– Immagino che nessuno debba essere obbligato a cavarsela da solo, vero?

Lui fece un mezzo sorriso, poi si mise a mangiare.

Quando finimmo la zuppa, risciacquai le tazze e condussi Nahash al piano di sopra.

– Ti mostro dove puoi dormire.

– No.

Mi girai e inarcai il sopracciglio. – No?

– Il mio premio ricordi? Voglio stare con te stanotte.

Temperatura corporea a livelli altissimi. – Cosa?!

– Senza fare niente. Solo dormire e stare…

Gl’interruppi le parole posandogli le dita sulle labbra. – Se stessi in un letto con me, dubito seriamente che faresti qualcosa come dormire, e che conosci fin troppo bene.

Mi baciò i polpastrelli. – Prometto. Sarò buonissimo.

Sapendo che era una pessima idea, mi lascia convincere. – Sarà meglio per te – gli dissi da sopra la spalla, mentre percorrevo il corridoio.

 

Ω

 

Kyar lo portò in una stanza alla fine del corridoio. Un letto a baldacchino era al centro della parete opposta rispetto alla porta, sotto una finestra, ed era al contrario. La testiera non era addossata al muro, ma rivolta al centro della stanza. Vi era appoggiata contro una cassapanca. Un armadio, una cassettiera e una specchiera completavano l’arredamento.

– Ah – fece lei. – Devo controllarti le cuciture. Ti dispiace…?

– No.

Si sfilò la maglia con un solo movimento mentre la ragazza prendeva un panno e ci versava addosso un liquido azzurro.

Passò il tessuto sulle ferite e Nahash si lasciò sfuggire un sibilo.

– Brucia? – gli chiese preoccupata.

– Davvero pochissimo.

– Se brucia troppo dimmelo.

Dopo averle pulite, le cosparse con una sostanza gelatinosa.

– Favorisce la cicatrizzazione.

Infine Kyar si pulì le mai, indietreggiò e l’osservò. Lo sguardo la cadde sui pantaloni sporchi.

– Non avrai intenzione di stare nel mio letto con quello schifo di pantaloni, vero?

Le sorrise malizioso. – Infatti pensavo di toglierli.

Gli schioccò un’occhiataccia. – Non provarci –. Uscì dalla stanza. – Aspettami qui.

 

Ω

 

Non posso permettergli di stare nello stesso letto con me.

Certo che puoi, basta che si cambi.

No che non posso.

Per favore?

Zitta, me stessa, lasciami pensare.

Avevo ancora il pigiama di mio padre nella sua camera da letto, dove conservavo gelosamente tutte le sue cose.

Data l’ampiezza delle spalle di Nahash, ero sicura che la maglia non gli sarebbe mai entrata, ma i pantaloni avevano gli elastici, e anche se non fossero andati bene come lunghezza almeno sarebbero rimasti su.

Mi diressi verso la porta chiusa da più di due anni.

 

Giulia 91:  Uh, spero tu abbia letto la mail ke t ho mandato. Vedrai il prox cap come t appaxionerai (e odierai).

 

marty_odg: Davvero un mostro Kyar. Mo quanto è attratta da lui… anche nn lo da a vedere. Come hai letto ritiene il lasciarsi andare al piacere una debolezza. Però nn vedo l’ora di scrivere quando i freni inibitori salteranno definitivamente e lei si concederà con trasporto. L’ho creata io, ma mi lascia molto delusa… cavolo, le ho dato Nahash e lei nn fa niente! Ke frigida!

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Capitolo 12
*** Giorno dopo ***


Con indosso la camicia da notte, indugiai sulla soglia. Quella era la camera da letto di mio padre. Con la gola che mi si stringeva dal dolore, lottai contro le lacrime che, se non avessi avuto abbastanza forza di volontà, mi sarebbero sgorgate dagli occhi, come un fiume in piena.

Allora, appena sedicenne, ero stata tanto arrogante de credere di essere cresciuta e in grado di fronteggiare qualunque difficoltà la vita mi avesse posto davanti. Mi ero creduta invincibile. Come mi ero illusa bene.

E in meno di un attimo la vita mi era crollata tutt’intorno. La morte di mio padre e di Brokl mi aveva rubato tutto quello che possedevo. Più di tutto, il loro amore incondizionato e il loro sostegno emotivo.

Malgrado la mia fierezza giovanile, non ero preparata a ritrovarmi alla deriva senza nessuna famiglia. Di nuovo.

E anche se erano passati due anni ero ancora in lutto per loro. Profondamente.

‘È meglio aver amato e perduto’, risi amaramente. Che bella menzogna. Avere delle persone che ti amano e si prendono cura di te, poi perderle. Non c’era nulla di peggio.

Incapace di affrontare la loro morte, avevo sigillato questa stanza il giorno stesso in cui divenni Commerciante, e avevo lasciato tutto come si trovava.

Aprendo il cassetto dove mio padre teneva i pigiami, deglutii. Nessuno li aveva toccati da quel giorno in cui li avevo ripiegati e riposti lì dentro.

Perfino ora riuscii a ricordare la risata di Rubhio.

Ancora peggio, mi ricordai del suo amore paterno.

– Oh, padre… – sussurrai, desiderando che la mia famiglia fosse ancora con me.

Desiderando che…

Non lo sapevo. Volevo soltanto qualcosa nella vita che mi facesse guardare con fiducia nel futuro.

Mordendomi il labbro, appallottolai i pantaloni del pigiama e scappai dalla stanza.

– Ecco – dissi, gettandoli a Nahash prima di allontanarmi e rifugiarmi nel giardino sul retro.

Non volevo che mi vedesse in lacrime. Non avrei mostrato la mia vulnerabilità ad un uomo.

Ω

Nahash cambiò i pantaloni che aveva indosso con gli altri, poi seguì Kyar. Lei si era affrettata verso la porta successiva e l’aveva sbattuta alle proprie spalle.

Scese la scale che trovò appena fuori dalla porta e arrivò in un giardino, dove la trovò seduta sul bordo si una fontana, con le gambe raccolte contro il petto.

– Kyar – disse lui avvicinandosi.

Quando la udì piangere s’immobilizzò. Teneva la bocca premuta contro le ginocchia sforzandosi di smorzare i singhiozzi che la squassavano.

Malgrado il suo severo addestramento e secoli si autocontrollo, un’ondata di pietà lo avvolse. La ragazza piangeva come se le si fosse spezzato il cuore.

Questo lo metteva a disagio, e lo rendeva incerto sul da farsi. Serrando i denti, scacciò quelle strane sensazioni. Una cosa che aveva imparato presto nella sua vita era che non veniva nulla di buono dal conoscere a fondo le persone. Dal prendersi cura di loro. Ogni volta che aveva commesso quell’errore, l’aveva pagato caro.

Fu allora che la parole di quella mattina lo colpirono dritto nel petto. Lei lo aveva inquadrato alla perfezione. Non era più che di un essere spregevole che faceva i suoi comodi e se ne andava.

Nahash strinse il pungo finché la nocche non gli si sbiancarono. Non era un animale. Aveva anche dei sentimenti.

Un tempo, almeno.

Prima di poter riflettere sulle proprie azioni, le si sedette a fianco e la trasse a sé cingendola. Kyar gli avvolse le braccia attorno alla vita e si aggrappò a lui come se fosse un’ancora di salvataggio, poi seppellì la faccia contro il suo petto nudo e pianse. Il suo intero corpo era scosso contro quello di Nahash.

Qualcosa di strano si schiuse dentro di lui. Un profondo desiderio per qualcosa a cui non riusciva a dare un nome.

In tutta la sua vita non aveva mai consolato una donna in lacrime. Aveva fatto l’amore più volte di quanto potesse contare, ma non aveva mai tenuto una donna in questo modo. Nemmeno dopo aver fatto sesso.

Anche prima della maledizione non aveva mai mostrato tenerezza. Neanche a sua moglie.

Era sempre stato addestrato fin da quando si ricordava a essere fiero, freddo. Severo.

Suo padre. Un leggendario condottiere che non tollerava alcuna debolezza. Nessuna emozione. Quell’uomo gli aveva dispensato frustate nel corso della sua fanciullezza, insegnandogli a nascondere il dolore. A fare in modo che nessuno lo vedesse soffrire.

Tuttora poteva sentire il morso della frusta di cuoio intrecciato contro la sua schiena nuda, udire il suono che emetteva quando fendeva l’aria, diretta contro la sua pelle. Poteva vedere la derisoria smorfia sul volto di suo padre.

– Mi dispiace – mormorò Kyar contro la sua spalla, riportando i pensieri al presente.

Inclinò la testa verso l’alto per guardarlo. Gli occhi della ragazza erano intensi e luccicanti, e minacciavano di far breccia in un cuore indurito nel corso dei secoli per necessità e volontà.

A disagio, Nahash si scostò da lei. – Ti senti meglio?

Ω

Mi asciugai le lacrime e mi schiarii la gola. Non sapeva cosa avesse spinto Nahash a seguirmi, ma era da tanto che un umano non mi consolava quando piangevo. – Sì – sussurrai. – Grazie.

Lui non disse nulla. Invece dell’uomo tenero che mi aveva tenuta tra le braccia solo un istante prima, c’era di nuovo Mister Statua, il suo intero corpo rigido e freddo.

Traendo un respiro rotto, lo scavalcai. – Non mi sarebbe successo se non fossi stata così stanca. Ho davvero bisogno di andare a dormire.

Sapevo che mi avrebbe seguita, perciò mi diressi di nuovo in camera mia e salii sul letto, dove mi rannicchiai sotto la coperta.

Come previsto, percepii il materasso affossarsi sotto il suo peso un attimo più tardi.

Il mio cuore accelerò i battiti all’improvviso calore del corpo di Nahash accanto a me. Peggio ancora, lui si raggomitolò all’istante contro la mia schiena e mi avvolse un lungo braccio muscoloso intorno alla vita.

– Nahash! – esclamai con una nota ammonitrice nella voce, sentendo la sua erezione premermi contro l’anca. – Penso che sarebbe meglio se tu rimanessi dal tuo lato del letto , e io dal mio.

Lui non m’ascoltò e appoggiò la testa contro la mia, mordicchiandomi lungo l’attaccatura dei capelli. – Pensavo di sollevarti dando sollievo ai tuoi lombi – mi sussurrò all’orecchio, sfiorandomelo con le labbra. Mi ci volle una notevole forza di volontà per non gemere.

Col corpo che avvampava per la vicinanza di lui e l’aroma di sandalo che mi riempiva la testa, arrossii fino alla punta dei capelli. – I miei lombi sono a posto e stanno bene così come stanno.

– Ti garantisco che potrei farli stare molto, molto meglio.

Oh, non avevo dubbi in proposito. – Se non ti comporti bene, ti farò uscire dalla stanza –. Alzai lo sguardo verso di lui e colsi l’incredulità nei suoi occhi.

– Non capisco perché mai dovresti mandarmi via.

– Perché non ho intenzione di avere rapporti sessuali con un uomo che conosco da appena una giornata. Okay?

I suoi occhi di ghiaccio parvero turbati, e infine si ritrasse da me e mi si sistemò accanto.

Feci un profondo respiro mentre cercavo di calmare il mio cuore palpitante e domare il fuoco nel sangue. Dea, era un uomo difficile a cui dire di no.

Pensi davvero di essere in grado di dormire con questo ragazzo steso accanto a te?, mi chiesi. Cos’è, hai una pietra al posto del cervello?

Chiudendo gli occhi recitai la mia noiosa litania. Dovevo andare a dormire. Non c’erano ‘se’ o ‘ma’ al riguardo. E nemmeno affascinati Nahash.

Ω

Lui ammonticchiò i cuscini dietro la schiena e scrutò Kyar. Questa sarebbe stata la prima volta, nella sua vita eccezionalmente lunga, che avrebbe passato la notte con una donna senza fare l’amore con lei.

Era inconcepibile. Nessuna donna l’aveva mai respinto prima.

Lei si girò e lo guardò con gli occhi stanchi. – Io ho il sonno piuttosto pesante, come hai potuto constatare, perciò non preoccuparti di svegliarmi. Buonanotte, Nahash.

– Buonanotte, Kyar – mormorò lui, osservando il modo in cui i suoi soffici capelli si allargavano a ventaglio sul cuscino mentre lei lo stringeva per dormire.

La osservò per un lungo istante con la luce della candela che le tremolava sul viso rilassato.

Riuscì a capire che si era addormentata dalla regolarità del suo respiro. Fu allora che finalmente osò toccarla. Osò tracciare il gentile contorno della sua tenera guancia col polpastrello dell’indice.

Il suo corpo reagì con una violenza tale che si morse il labbro per impedirsi di imprecare. Il fuoco fluì attraversò il suo sangue.

Aveva conosciuto brame lancinanti in tutta la sua vita. Ma mai, mai prima d’ora, aveva provato qualcosa del genere.

Era una concupiscenza così forte, così grezza, che minacciava la sua stessa sanità mentale.

Si ritrasse ancor più da lei; a una distanza tale da non poter percepire il suo dolce odore femminile di latte e albicocca, da non sentire il calore del suo corpo sotto le coperte.

Avrebbe potuto darle piacere per giorni a venire senza posa, ma per lui non risarebbe mai stata pace.

– Che tu sia maledetto, Valeth – ringhiò, pronunciando il nome di colui che l’aveva condannato a questo fato. – Spero che ti stiano dando quello che ti meriti.

La sua rabbia si palco, sospirò e si rese contro che era quello che stavano di certo dando a lui.

Ω

Mi svegliai con una stana sensazione di calore e sicurezza.

All’improvviso sentii un tenero bacio contro le palpebre, come se qualcuno mi stesse sfiorando la ciglia con le labbra. Mani caldi e forti mi accarezzavano i capelli.

La mia mente si schiarì all’istante. Nahash!

Schizzai su velocemente, col risultato di dargli una testata sulle gengive. Lo sentii sibilare dal dolore. Sfregandomi la fronte, aprii gli occhi e lo vidi rivolgermi una feroce occhiataccia.

– Scusami tanto –. Mi misi a sedere. – Mi hai spaventata.

Lui aprì la bocca e tastò col polpastrello del pollice i denti davanti per controllare che non ballassero.

Non riuscii a non notare il guizzo della sua lingua mentre la usava per saggiarli. Fui turbata dalla vista di quei denti dritti e incredibilmente bianchi da cui mi sarebbe piaciuto essere mordicchiata…

– Cosa vuoi per colazione? – gli chiesi distraendomi da quei pensieri.

I suoi occhi si spostarono verso la profonda scollatura della camicia da notte. Seguendo la linea del suo sguardo, mi resi conto che dal modo in cui ero seduta lui poteva vedere tutto.

Comprese quelle imbarazzanti mutandine rosa.

In un batter di ciglia, lui mi trasse a sé e rivendico le mie labbra. Gemetti di piacere nella sua bocca mentre la lingua di Nahash faceva giochi perversi con la mia. La testa mi girò per quel bacio intenso, al caldo respiro di lui che si mischiava al mio. E pensare che non mi erano mai piaciuti i baci.

Mmh… dovevo essere pazza!

Le braccia di lui si strinsero intorno a me. Migliaia di fuochi si sprigionarono per il mio corpo, bruciandomi, spronandomi mentre si raggruppavano e si fondevano nella zona fra le mie gambe dove lo desideravo ardentemente.

Le sue labbra lasciarono le mie, e fece scorrere la lingua sulla pelle, descrivendo un percorso incandescente verso la mia gola, da cui si mosse in cerchi sulla clavicola, sul lobo dell’orecchio, sul collo.

Quell’uomo sembrava conoscere tutte le parti erogene sul corpo di una donna!

E, meglio ancora, sapeva usare la lingua e le mani per massaggiarle tutte per il massimo piacere.

Nahash mi soffiò gentilmente nell’orecchio, mandando ondate di brividi lungo il mio corpo, e quando mi sfiorò l’interno dell’orecchio con la lingua rabbrividii tutta.

I miei seni formicolarono, di gonfiarono e si rassodarono in dure protuberanze che imploravano il suo bacio.

– Nahash – gemetti, incapace di riconoscere la mia voce. La mente voleva che gli dicessi di fermarsi, ma le parole mi restavano bloccate in gola.

C’era così tanto potere nel suo tocco. Una tale magia. Mi faceva soffrire ancora di più.

Mi fece rigirare, premendomi la schiena contro il materasso. Perfino attraverso il pigiama potevo sentire la sua erezione dura e calda contro l’anca, mentre le sue mani mi afferravano le natiche e mi soffiava spasmodicamente nell’orecchio.

– Devi smettere – gli dissi infine, la voce che suonava debole.

– Smettere cosa? – domandò. – Questo? –. La sua lingua mulinò più volte attorno al mio orecchio.

Fui percossa da brividi in tutto il corpo come braci ardenti, ogni centimetro in fiamme. I miei seni si gonfiarono e si fecero ancora più duri contro il suo torace.

– O questo? –. Mosse una mano sotto le mie mutandine per toccarmi dove lo desideravo di più.

Arcuai la schiena contro di lui in risposta alla sua mano tra le gambe.

Oddea! Era incredibile!

Fece passare un dito attorno alla tenere carne pulsante, facendomi avvampare fino in fondo. Mentre le sue dita descrivevano cerchi, titillavano e carezzavano, lui mi massaggiava gentilmente l’esterno col pollice.

Gemetti, gettando la testa all’indietro dall’intensità del piacere. Mi aggrappai a lui mentre le sue dita e la sua lingua continuavano il loro incessante assalto di estasi. Perso il mio autocontrollo, mi strofinai in maniera spudorata contro di lui, cercando ancora di più il suo calore, il suo tocco.

Ω

Nahash chiuse gli occhi, assaporando il profumo del corpo di Kyar sotto il suo, la sensazione di quelle braccia avvolte intorno a lui.

Era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che aveva posseduto una donna. Ad ogni tocco di lingua era un gemito, un tremito di nervi.

Era sua. Poteva percepirla fremere e pulsare intorno alla mano mentre il corpo si dibatteva sotto le sue carezze. E i seni premuto contro il suo petto. Oh, che sensazione meravigliosa.

Entro pochi istanti avrebbe raggiunto l’orgasmo.

Con quel pensiero preponderante in testa, le sfilò la camicetta. Abbassò lo sguardo per poterla vedere in tutta la sua bellezza. I seni sodi e perfetti. Le cui punte erano turgide, rosa e invitanti. Avvicinò il volto e ne prese una in bocca. Si deliziò nella sensazione della pelle arricciata che gli stuzzicava la lingua.

Non riusciva a ricordarsi di una donna con un sapore altrettanto buono. Quel gusto s’impresse nella sua mente, e seppe che non se lo sarebbe mai dimenticato.

E lei era pronta per lui. Era calda, umida e soda, proprio il corpo di donna che preferiva.

Strappò via dalle sue anche il sottile pezzo di tessuto che gli impediva l’accesso alla parte di lei che non vedeva l’ora di esplorare appieno.

E molto più a lungo.

Ω

Udii lo strappo della stoffa, ma non potei fermarlo. La volontà non mi apparteneva più. Ero stata inghiottita da sensazioni talmente intense che volevo solo sollievo.

Dovevo avere sollievo!

Avevo lo stomaco contratto per quella nuova sensazione.

La carezza della lingua di un uomo sui seni.

Nahash scalciò via i suoi pantaloni e mi allargò le cosce con le ginocchia. Col corpo che avvampava di puro fuoco, trattenni il fiato mentre sistemava il suo corpo lungo e tonico tra le mie gambe.

La punta della sua virilità premette la mia parte più intima. Inarcai la anche contro di lui e mi aggrappai alle sue ampie spalle, desiderandolo dentro di me con una disperazione tale da andare oltre ogni comprensione.

All’improvviso squillò la com-key.

A quel suono sobbalzai, la mente che riacquistava all’istante l’autocontrollo.

– Che cos’è? – brontolò Nahash.

Grata per l’interruzione, mi ritrassi dal suo corpo, gli arti che tremavano, ogni mio centimetro di carne in fiamme. – È una comunication key – dissi, prima di chinarmi verso il comodino e afferrare un apparecchio meccanico grande come una carta da gioco. Mi tremava la mano mentre portavo la com-key all’orecchio.

Imprecando, Nahash rotolò su un fianco.

– Oh, Nadja! Grazie al cielo sei tu! –. Com’ero grata che la mia amica sapesse sempre quando era il momento giusto per chiamarmi.

– Che succede? – mi chiese.

– Smettila – esclamai rivolta a Nahash, mentre cominciava a leccarmi sempre più giù fino ai miei glutei nudi. Lo spinsi indietro e misi più distanza tra di noi.

– Ma non ho fatto niente – ribatté Nadja.

– Non tu.

Dall’altra parte cadde un silenzio profondo. Tipo catacomba.

– Ho bisogno di un favore. Dovresti portarmi gli abiti rimasti del tuo ultimo ragazzo e alcune piantine di Velgola.

– Con lui?! –. L’urlo acuto quasi mi perforò il timpano. – Con quel gran fusto di ieri al Rifugio?! Alleluia! Non posso crederci! Vengo subito!

Ω

Kyar mise giù la com-key mentre la lingua di Nahash descriveva un percorso dalle natiche di lei fino alla sua…

– E smettila! – esclamò spingendolo via.

Le scoccò uno sguardo accigliato. – Non ti piace quando faccio questo?

– Non ho detto questo…

Lui le si avvicinò di nuovo e…

La ragazza schizzò fuori dal letto, tirandosi dietro un lenzuolo per coprirsi. – Devo andare a lavoro.

Nahash si puntellò su un braccio e la osservò mentre raccoglieva i pantaloni che si era tolto e glieli gettava. Li afferrò con una mano mentre il suo sguardo vagava su quel corpo, con molta calma. – Perché non ti dai malata?

– E cosa dovrei fare tutto il giorno?

– Pagare il tuo debito, ad esempio.come un’aggraziata pantera che abbandona la posizione accovacciata, spinse via le coperte e si allontanò lentamente dal letto. I pantaloni dimenticati. Il suo membro ancora pienamente eretto. Lei non si mosse ipnotizzata. Le afferrò dolcemente i polsi e la costrinse a mollare il lenzuolo.

– Non abbiamo finito – disse lui con voce bassa e profonda.

– Oh, e invece sì amico! –. Si liberò dalla sua presa e andò a chiudersi a chiave nel bagno, al sicuro.

Serrando i denti, Nahash fu colto dall’istinto improvviso di prendere a testate il muro per la frustrazione. Ma perché mai con lui si comportava in modo così testardo?

Abbassò lo sguardo verso la parte di lui che era ancora ritta come un fuso e imprecò. – E perché tu non ti comporti bene per cinque minuti?

Ω

Nahash scese di sotto e osservò meravigliato la luce solare che entrava dalle finestre. Si ricordò di un tempo in cui non avrebbe mai fatto caso a qualcosa di tanto semplice come una mattina assolata.

Ora, ognuna di esse era un vero dono. Un dono che avrebbe assaporato per tutto il tempo che gli era concesso, finché non fosse stato costretto di nuovo a vivere nelle tenebre.

Col cuore pesante, si diresse in cucina e verso il grosso armadio dove Kyar conservava il cibo. Quando aprì la porta si meravigliò per il freddo all’interno.

Chinandosi, rovistò fino a trovare un melone maturo. Dopo averlo portato sull’isola al centro della cucina, prese un coltello e lo fece a metà. Poi ne tagliò una fetta e se la mise in bocca.

Emise un basso gorgoglio mentre quella piacevole umidità gli sfiorava le papille gustative.

Prima di riuscire a fermarsi, mise da parte il coltello e afferrò il melone cominciando a infilarsene dei pezzi in bocca quanto più in fretta poteva.

Fu solo quando si ritrovò ad artigliare la buccia che si rese conto delle sue azioni.

Nahash s’immobilizzò fissando la mano coperta dal succo del melone, le sue dita accartocciate come gli artigli di una bestia.

Non c’era da stupirsi che si comportasse come un animale: era stato trattato come tale per così tanto tempo che si ricordava a malapena di essere umano.

Disgustato si guardò attorno, lieto che Kyar non avesse assistito alla sua perdita di autocontrollo.

Respirando in modo irregolare, lanciò la buccia del melone nel ricettacolo per l’immondizia, poi si spostò verso il lavandino per sciacquar via quella sostanza dolce e appiccicosa dalle mani.

In quel momento la parte maliziosa del suo cervello lo implorò di prendere Kyar, immergerla nel dolce succo del frutto e poi leccarglielo via.

Appoggiò la fronte nella mano e gli ritornò alla mente come aveva trattato quel bellimbusto all’arena. Come mai non gli aveva piantato un pugnale nel braccio per tutte le volte che aveva cercato di prenderla, era un mistero.

Udì bussare alla porta e poi dei passi rapidi per le scale. Chiudendo il rubinetto, Nahash prese la stoffa asciutta vicino al lavandino e si asciugò mani e faccia.

Mentre tornava al melone, riconobbe la voce di Nadja. – Lui dov’è?

Scosse il capo sentendo quel tono entusiasta. Era quello che si sarebbe aspettato da Kyar.

Le due donne entrarono in cucina e Nadja gli afferrò un braccio. – Amico mio, sei riuscito nell’impresa di deflorare la più frigida che io abbia mai conosciuto.

Kyar appoggiò una busta e un paio di vasetti sull’isola. – Stai prendendo un granchio colossale. L’unica cosa che ha fatto e stato aiutarmi a trovare un pretesto per buttare quelle orribili mutandine rosa.

– Che delusione…

Irritato, tolse il braccio dalla presa di Nadja. – Guarda che in questo momento, lei non sarebbe più vergine se qualcuno non avesse chiamato.

Lei sussurrò a Kyar: – Mi sembra un po’ alterato…

– Be’, vedi di calmarlo –. Prese un pezzo di melone che lui aveva appena tagliato e se lo mise in bocca. – Perché te lo porterai con te oggi.

– Cosa? – chiesero all’unisono Nahash e Nadja.

Inghiottì il boccone. – Be’, non posso certo portarlo con me da Leno, no?

L’amica le rivolse un sorriso malizioso. – Scommetto che può tornarti utile come arma gelosia.

– Non sarebbe molto produttivo.

– Non puoi disdire?

Nahash convenne. Non nutriva alcun desiderio di andare in un qualche posto pubblico.

– Sai che non posso – rispose Kyar. – Inoltre, non penso che Nahash voglia starsene a casa da solo tutto il giorno. Sono certa che gli piacerebbe uscire e vedere la città.

– Preferirei stare qui con te – disse lui.

Perché quello che lui voleva fare davvero era vederla dimenarsi di nuovo sotto di lui, sentire il suo corpo levigato scivolare lungo l’estensione del suo membro e farla urlare di estasi.

Kyar incontrò il suo sguardo e lui vide il desiderio guizzare nelle profondità dei suoi seducenti occhi. In quel momento seppe che era la sua preda. Stava uscendo per evitare di stargli intorno.

Be’, presto o tardi sarebbe tornata.

E allora sarebbe stata sua.

E una volta che gli si fosse arresa, le avrebbe mostrato di che tipo di resistenza e passione era capace un soldato tanuhr addestrato al Nord.

X _Jade_: Eh, cara giada… tutte vogliono sapere la natura delle ali nere (me compresa)… stavo skerzando. Grazie, in effetti mi dicono spesso che sono brava a scrivere (oltre che a disegnare)

X Dust_and_Diesel: visto?! I freni stavano per saltare! Tutta colpa di Nadja! Ma da qui la cosa si fa più interessante (si sfrega le mani con un ghigno satanico)

X Giulia 91: l’angioletto non l’ha fatto… lo trovo più carino diavoletto (al pensiero di lui in pantaloni di pelle, petto nudo, con coda e corna… sbava senza ritegno). Ehm (afferra un fazzoletto e pulisce il Mar di Bava). È ufficiale: tu odi Nadja.

P.S.

La Velgola è una pianta che ho inventato io, con l’elisir con foglie essiccate si curano diverse ferite e malattie, le donne ne mangiano le foglie fresche non restano incinte. Il panace invece esiste davvero.

P.P.S.

Ehm... la descrizione è un po’ troppo esagerata? No, perché non sono riuscita a leggere le condizioni del rosso, quindi non so quali sono i limiti.

P.P.P.S.

I tanuhr sono la popolazione rivale dei mathurh (Naiadi). Si dice che si siano estinti, i tanuhr. Mentre gli umani sono chiamati, in lingua mathurh, teeran.

P.P.P.P.S.

Ah, una dimenticanza: i mathurh non hanno la pelle verde, ma bronzea, o giù di lì. Mi sembravano troppo simili alle ninfe.

P.P.P.P.P.S.

Appello: chi vuole un disegno di Nahash? Ditemelo nelle recensioni e vedo se riesco a inserirlo nel prox cap. Ora ho finito.

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Capitolo 13
*** Maledizione ***


La mattinata sembrò trascinarsi stancamente, mentre mi sorbivo le lezioni di Leno, il Mastro Guaritore, nonché primogenito di Lai. Per quanto cercassi duramente di concentrarmi su ciò che spiegava, era un’impresa troppo ardua per me. Continuavo a vedere brucianti occhi azzurri e a sentire profumo di sandalo.

E quei sorrisi…

Quanto desideravo che Nahash non me li avesse mai rivolti. Proprio i suoi sorrisi potevano essere la mia rovina.

– Ventinove.

Alzai lo sguardo dai miei appunti, su cui stavo scarabocchiando la linea degli occhi di Nahash. – Cosa, Leno?

Dall’altro lato del tavolo, l’appena ventunenne Mastro Guaritore mi guardava visibilmente scocciato. Per la centesima volta, mi resi conto di quanto Leno sembrasse solenne con la tunica blu scura da guaritore, circondato da antichi tomi.

Lui sbuffò. – È la ventinovesima volta che sospiri, lo sguardo perso nel vuoto. Ci deve essere qualcosa d’importante se non presti attenzione alla lezione sulla lingua Naiade.

– Scusami. Non è che abbia dormito molto i questi giorni –. Gli schioccai un’occhiataccia e impallidì per un quarto di secondo. – E poi chiamala ‘lingua mathurh’. Naiade è il nome che hanno rifilato i teeran. Vedi che sto attenta.

Leno mi sorrise. Il suo sorriso si difendeva, ma non era paragonabile a quello di Nahash.

– Trenta. Dev’essere qualcosa di terribilmente importante se sospiri senza rendertene conto.

– Non importante, ma complicato. Terribilmente, assurdamente complicato.

– Guarda, non lo voglio sapere. Ma qualunque cosa sia ti sta distraendo troppo. Che ne dici di tenere da parte qualche argomento per la volta prossima?

– Andata. Anche perché devo lavorare un po’ di più per avere quell’aumento.

– Bene. Allora ci vediamo.

Raccolsi la mia roba e uscii dalla stanza. – Darò i tuoi saluti a Lai.

Uscita dalla torre accesi la com-key e rimasi senza fiato. Nadja aveva chiamato settanta volte. Nessuno scherzo o esagerazione. La chiamai immediatamente.

– Oh, grazie al cielo! –. Cominciò a parlare prime che io proferissi una parola. – Devi portare qui le chiappe e accompagnare a casa il tuo ragazzo. Ora! Immediatamente!

– Non è il mio ragazzo, è…

– Oh, vuoi sapere cos’è?! – domandò con una nota d’isteria nella voce. – È una dannata calamite per estrogeni, ecco quello che è. Alla reception c’è una ressa di donne perfino adesso mentre parliamo. Ho tentato di portarlo a casa, ma è un’impresa titanica tentare di scalfire questa muraglia. Te lo giuro, non ho mai visto niente del genere in tutta la mia vita. Ora porta qui il tuo culetto ben allenato e aiutami!

La com-key si ammutolì di colpo.

E in tutto quel bello sfogo io avevo proferito solo sei (!) parole.

Maledissi la mia sorte, poi saltai in groppa ad Ainon.

– Lo dicevo che facevamo meglio a lasciarlo dov’era – borbottò lui.

 

Ω

 

Non appena entrai nel Rifugio, vidi quello che Nadja intendeva. Dovevano esserci almeno una ventina di donne assiepate attorno a Nahash, e altre che a dozzine la guardavano a bocca aperta passando.

Sì. Non faceva proprio fatica a trovare delle donne. Praticamente gli cadevano ai piedi.

Quelle più vicine a lui stavano sgomitando e spintonando, cercando di catturare la sua attenzione. Ma le più incredibile erano tre donne con le braccia avvolte intorno a lui mentre una quarta stava facendo una foto.

– Oh, grazie – fece le fusa una donna sui trentacinque, mentre toglieva la macchina fotografica dalle mani di quella che aveva scattato.

La cullò sotto il seno, in un modo studiato per attirare l’attenzione di Nahash lì, ma non ne pareva minimamente interessato.

Qualcosa nella sua postura rigida mi faceva sospettare che a lui non importasse un benemerito niente. Ma a suo onore, andava detto che non era apertamente maleducato. Ad ogni modo, il sorriso non raggiungeva i suoi occhi.

– Piacere mio – rispose alle donne.

Le risatine che ne risultarono furono assordanti. Scossi il capo incredula. Donne un po’ di dignità!

D’altra parte, considerando il viso, il corpo e il sorriso di Nahash, anche a me girava la testa ogni volta che mi guardava.

Dunque non potevo far loro una colpa se si comportavano come ragazzine. Almeno che non andassero in coma ormonale.

All’improvviso Nahash guardo oltre l’oceano di ammiratrici in iper-produzione di ormoni per incontrare il mio sguardo.

Il suo sorriso svanì e i suoi occhi si concentrarono su di me come un predatore affamato che ha appena trovato il suo prossimo pasto. Bon appettit. – Se volete scusarmi –. Si fece largo tra la folla di donne per dirigersi dritto spedito verso di me.

Deglutii, notando l’immediata ostilità delle donne che mi lanciavano occhiate torve in massa. Un consiglio, mai mettersi contro delle donne che puntano a un uomo. Sono peggio dei Draker. E se lo dico io…

Ma peggio, fu l’improvvisa ondata di puro desiderio che mi squassò, facendomi battere il cuore all’impazzata. E a ogni suo passo diventava non so quante volte più forte.

– Salve, gattina – sussurrò lui in modo sensuale e profondo. Mi sollevò una mano per darmi un lieve bacio sulle nocche.

Una vigorosa scarica di brividi mi danzò lungo la schiena. E prima che potessi muovermi, mi prese tra le braccia e mi diede un letale bacio focoso.

D’istinto, chiusi gli occhi e gustai il sapore della sua bocca, il suo respiro. La sensazione delle sue braccia che mi tenevano stretta ad un torace duro come la pietra.

Oh, quell’uomo sì che sapeva come baciare! Quello che faceva con le labbra andava oltre ogni spiegazione.

E il suo corpo… Cavolo! Non avevo mai sentito nulla di paragonabile a quei muscoli snelli e tonici che si flettevano attorno a me.

Fu solo quel ‘puttanella’ appena udibile da parte delle donne a rompere questa scena perfetta. Oh, cosa mi tratteneva dal mostrar loro il mio dito medio…

Il semplice fatto che le dita erano affondate in quei serici capelli neri.

– Nahash, ti prego. C’è gente.

– Pensi che me ne importi?

– A me sì!

Ritrasse la testa dalla mia con un basso brontolio. Con le gote incendiate, colsi gli sguardi invidiosi delle donne che a malavoglia si disperdevano. Col volto che mostrava la pienezza del disappunto e della contrarietà, mi lasciò andare e si fece indietro.

– Alleluia! – esclamò Nadja. – Posso quasi sentire di nuovo. Se avessi saputo che bastava questo, l’avrei baciato io.

Le rivolsi un sorriso divertito. – Stavolta, la colpa è tua.

– Perché? –. eseguì un sorriso da santarellina.

Indicai gli abiti del ragazzo con un gesto della mano. – Guarda com’è vestito. Non è assolutamente il caso di portarsi in giro un - come lo hai chiamato ieri? - strafico in calzoncini e maglietta senza maniche più stretta. Cavolo, a cosa stavi pensando?

– Al fatto che oggi ci sono quaranta gradi all’ombra - e non venirmi a dire di mettermi al sole -, con centodieci per cento di umidità. Non volevo che ti schiattasse per un colpo di sole.

– Madamigelle, per favore – intervenne Nahash, mettendosi tra di noi. – Fa fin troppo caldo per discutere su qualcosa di tanto triviale come ciò che indosso al momento –. Fece scorrere lo sguardo famelico e ardente sul mio corpo, poi mi rivolse un sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi donna. – E devo dire che ‘strafico’ suona meglio quando esce dalle tue labbra.

Non badai alle sue parole, poiché era totalmente persa nel suono di quella voce. Come cavolo riusciva a farlo? Come accidentaccio faceva a rendere la sua voce così carica di sensualità?

Era forse il suo accento profondo, marcato, sensuale e musicale?

No, c’era qualcos’altro; ma, per tutte le glorie della Dea, non riuscivo a capire cosa fosse.

Ad essere totalmente sincera, tutto ciò che desideravo al momento era trovare un letto da qualche parte e lasciare che lui facesse con me quello che voleva.

Osservai Nadja e colsi il modo in cui gli fissava con molto, molto interesse le gambe nude e le natiche.

– Lo senti anche tu, vero? – le domandai.

Battendo le palpebre, la mia amica alzò gli occhi. – Che cosa?

– Lui. È come se fosse il pifferaio e noi i topolini ammaliati dalla musica –. Mi voltai e notai il modo in cui le donne lo fissavano, alcune allungavano perfino il collo come le giraffe per vederlo meglio. – Cosa c’è in lui che ci attrae contro la nostra volontà?

Nahash fece una smorfia arrogante. – Contro la vostra volontà?

– Be’, sì. Onestamente non mi piace sentirmi così.

– Così come?

– Incredibilmente attizzata.

– Come una dea?

Annuii, mentre mi si avvicinava di un passo. Non mi toccò, ma del resto non ne aveva bisogno. La sua sola presenza mi soggiogava. Mi stordiva mentre lui fissava il suo sguardo magnetico prima sulle mie labbra, poi sul collo. Avrei giurato di poter già sentire quelle labbra affondate nell’incavo della mia gola.

E quell’uomo non si era neanche mosso.

– Posso dirti cos’è – mi sussurrò, quasi facendo le fusa.

– Un incantesimo, vero?

Scosse il capo, mentre allungava una mano per farmi scorrere con estrema gentilezza un dito lungo la guancia. Serrai gli occhi e un’ondata di feroce desiderio bruciò dentro di me. L’unica cosa che fui in grado di fare fu evitare di voltare la testa e catturare quel dito tra i denti.

Lui si chinò più vicino e strofinò la guancia contro la mia. – È il fatto che so apprezzarti a un livello che gli altri uomini non saranno mai in grado di comprendere.

– È il fatto che ha le chiappe più sode che io abbia mai visto – s’intromise Nadja. – Per non parlare di una voce e di un accento da impazzire.

Scoppiai a ridere all’inatteso commento della mia amica.

Con aria tutt’altro che compiaciuta, Nahash si voltò verso di lei.

– Ma è vero. Quand'è stata l'ultima che abbiamo incontrato un ragazzo così tonico da poter vedere il sangue che pompa nelle vene? Questo, amica mia, è... be', un fusto. Un gran bel fusto –. Poi, serissima in volto, aggiunse: – Domineddio, è il re dei fusti!

Lui si chinò verso di me, i suoi stupendi occhi che mi ustionavano con il loro calore. – Vieni a casa con me, Kyar – mi sussurrò all'orecchio. – Ora. Lascia che ti prenda, ti tolga i vestiti di dosso e ti mostri come gli Eternath intendevano che una donna conoscesse un uomo. Te lo giuro, te ne ricorderai per il resto dell'eternità.

Chiusi gli occhi, il suo profumo che mi riempiva la mente. Il suo fiato mi solleticava il collo, le nostre guance così vicine che avrei giurato si sentire le sue basette che mi sfioravano.

Ogni parte di me voleva arrendersi a lui. Sì, ti prego, sì!

Il mio sguardo scivolò verso la sua spalla. Ai suoi muscoli sodi e scolpiti. All'incavo delle sua gola. Oh, come desideravo far scorrere la lingua su quel tesoro profumato di sandalo che era la sua pelle. Quanto bramavo di scoprire se il resto del corpo aveva un sapore buono come la bocca.

Sarebbe stato stupendo a letto. Non c'era dubbio.

Ma per lui non significavo nulla. Completamente nulla.

– Non posso – mormorai, indietreggiando di un passo.

Gli occhi di Nahash si riempirono di disappunto. Poi si fecero duri, determinati. – Potrai.

Parte del mio cervello sapeva che probabilmente diceva la verità. Ma che probabilmente. Sicuramente.

Quanto a lungo una donna poteva rifiutare un uomo come lui?

Scacciando quel pensiero, mi ricordai che dietro l'arena c'era una cesta piena di vecchie uniformi. Certo non erano all'ultima moda, ma potevano andare. – Dobbiamo trovare dei vestiti della tua misura.

– Che colpa ne ho se è più alto di Joseph di  una testa e due volte più largo di busto? – domandò Nadja. – È stata tua la brillante idea di portarmelo appresso.

Le feci una smorfia. – Bene. Dopo andremo in giro, se hai bisogno di noi.

– D'accordo. Ma fa attenzione.

– A cosa?

Lai indicò Nahash col pollice. – Se le donne gli si avventano contro come una mandria, segui almeno stavolta il mio consiglio e fatti da parte. Ho perso la sensibilità al piede destro a causa dell'ultimo gruppo, e non mi è ancora tornata.

Ridendo, mi diressi verso l'Arena, sapendo che lui mi avrebbe seguita. Infatti, potevo avvertire la sua presenza proprio dietro di me. Il suo fascino era innegabile: riusciva a invadere ogni mio senso e pensiero in modo spaventoso.

Nessuno di noi due disse una parola mentre attraversammo l'arena sotto gli occhi meravigliati di una dozzina di miei colleghi e entrammo nel magazzino, dove c'erano ciò che cercavo e qualche camerino.

– Allora, che stile preferisci? – chiesi puntando all'enorme cesta di uniformi smesse .

– Per quello che ho in mente io, essere nudo funziona meglio.

Sospirai. – Stai cercando di scandalizzarmi?

– Forse devo ammettere che mi piace molto quando arrossisci.

Fece un passo verso di me.

Arretrai, mettendo la cesta fra noi. – Credo che ti ci vorranno almeno quattro paia di pantaloni mentre sei qui.

Stavolta fu lui a sospirare, fissando gli indumenti. – Perché preoccuparsi, quando fra tre settimane me ne sarò andato?

Inarcai il sopracciglio. – Che vuoi dire?

– Non ti ricordi?

– Di cosa?

Lui sospirò e chiuse gli occhi. – Dotato di forza incredibile e coraggio senza eguali, era benedetto dagli Eternath, temuto dai terreni e desiderato da tutte le donne che lo vedevano. Era un uomo che non conosceva legge, non concedeva grazia alcuna. La sua maestria in battaglia e la sua intelligenza superiore rivaleggiavano con quelle di tutti gli eroi leggendari, ed era scritto che nemmeno il potente Eternath della guerra in persona era mai stato in grado di sconfiggerlo. Si diceva inoltre che alla sua nascita l'Eternath della bellezza gli avesse baciato la guancia, assicurandogli per sempre un posto nella memoria dei terreni. Benedetto da quel tocco, crebbe fino a diventare un uomo tanto affascinante che nessuna donna poteva rifiutargli il corpo. Quando si trattava delle arti amatorie non conosceva eguali, il suo vigore era di gran lunga superiore a quello di qualunque terreno. I suoi desideri erano passionali e selvaggi, e nessuna poteva domarlo...

 

Ω

 

O negarsi a lui.

La chioma corvina, gli occhi sfavillanti di un guerriero, si diceva che solo il suo solo aspetto fosse sufficiente a soddisfare le donne, che una volta toccate dalla sua mano venivano accecate dal piacere.

Nessuna poteva resistere al suo fascino.

E così dalla gelosia nacque una maledizione. Una che non poteva essere spezzata.

La sua punizione è la perenne ricerca della propria soddisfazione, senza mai ottenerla. Agognare il tocco di colei che lo evoca e darle sublime e totale piacere e appagamento.

Da luna piena a luna piena, egli giacerà con lei, farà l'amore con lei, finché non sarà di nuovo costretto a lasciare questo mondo.

Ma una volta sperimentato il suo tocco, esso rimarrà impresso nella memoria della sua amante. Nessun altro uomo sarà mai più in grado di soddisfarla. Perché nessun semplice terreno può essere paragonabile a un uomo di cotanta bellezza. Di tale calore, di siffatta intrepida sensualità.

Ecco il dannato.

Nahash il tanuhr.

Donagli una goccia dei tuo sangue sulle ali della mezzanotte nella notte della luna piena. Allora egli verrà da te, e fino al prossimo ciclo di luna piena il suo corpo sarà ai tuoi ordini.

Il suo solo scopo sarà di compiacerti, di servirti.

Di farti godere.

Nelle sue braccia, conoscerai il vero paradiso.

 

Nadja abbassa la pergamena e prende fiato. Sul pavimento il cadavere di una cena, due bottiglie di vino vuote e due calici sul cui fondo giacciono poche gocce del liquido porpora. Nadja, seduta a terra su un ammasso di cuscini, indossa una camicia da notte rosso fuoco che le raggiunge appena la metà coscia. Kyar, stravaccata sul divano, una tunica senza maniche leggerissima e cortissima, tipo blusa, verde smeraldo, le tira una cuscinata, poi ridacchia, la testa annebbiata dal vino.

– Kyarina? – le chiede l'amica, la voce carica di allegria. – Sei ubriaca?

Lei ridacchiò di nuovo. – Forse solo beatamente brilla. Brilla come un brillante.

Nadja ride, le si avvicina e le arruffa i capelli.

– Ehi! Vuoi farmi diventare calva?

– No. Ma così sembri una cucciola. O una che ha appena passato la sua prima notte di fuoco.

Kyar sbuffa. – Ancora con questa storia? Ma sei fissata!

– In realtà è una vendetta per la cuscinata –. Prende la pergamena e la sventola davanti agli occhi dell'amica. – Di', la verità, tu, un uomo come quello che ho letto, come lo ritieni?

Lei ci pensa su, poi sorride. – Un bel bocconcino.

– Sì, sei ubriaca. Non hai mai fatto commenti sul bell'aspetto di un ragazzo. E poi, ammettilo. Tu lo vuoi, questo bel ragazzo.

– Se ti dicessi che lo terrei nel mio letto anche se mangiasse qualcosa di bisunto, mi lasceresti in pace?

– Solo se provi quest'ultimo, brevissimo esperimento.

– Tentare di evocare uno schiavo d'amore? Tu non ci stai con la testa, amica mia.

– Andiamo. La luna piena c'è, la mezzanotte tra pochissimo. Ti prego, fai questo tentativo, poi ce ne andiamo a nanna.

Non le dà tempo di ribattere. Le afferra il polpastrello dell'indice, recupera un spillo dal borsone lì accanto e le punge la carne.

– Ahia!

Rafforza la presa facendo uscire una perla di sangue che fa cadere sulla pergamena. Kyar si porta il dito al labbro. – Sei una violenta e ninfomane.

– Pensa solo che la prossima volta che ti pungi, il dito te lo terrà in bocca questo 'bel bocconcino'.

– Sì, come no.

Ma Nadja non le sta minimamente prestando attenzione. È preoccupata a guardarsi intorno per vedere apparire un bellissimo estraneo tanuhr.

Kyar rotea gli occhi mentre un venticello spira attraverso la finestra aperta, portando un flebile profumo di sandalo con sé. La ragazza si concede un secondo per assaporare il piacevole odore prima che evapori.

All'improvviso c'è un suono sommesso nel cortile anteriore. Un debole fruscio di foglie proveniente dai cespugli.

La giovane guarda da quella parte. Poi il suo lato malvagio ha la meglio. – Oh, mia Dea... Nadja! Guarda là!

L'amica si alza di soprassalto al suo tono eccitato. Poi insieme corrono alla finestra. Un cespuglio si muove come se ci fosse qualcuno dietro.

– Nahash? – alita Nadja.

L'alberello si piega. Un soffio e un miagolio. Un gatto schizza per il cortile.

– Guarda, Nad. È mister Gattone, venuto a salvarmi dall'astinenza! Oh, cosa devo fare per le attenzioni di un tale indesiderato pretendente? Aiutami, svelta, prima che mi uccida con l'allegria.

– Non sei divertente. È stata solo una perdita di tempo.

– E io che ti dicevo? Va là, andiamo a nanna.

 

Ω

 

– No, ti prego. Non me lo dire...

– Tu mi hai evocato. Quindi per le prossime tre settimane sarò...

– Il mio schiavo d'amore...

 

X Dust_and_Diesel: se Nahash non fosse Nahash, non sarebbe Nahash... Sumimasen, è un delirio. Oh, troppo buona, mi farai arrossire.

X Giulia 91: angioletto l'amico lo è ben poco. Be', abbastanza dettagli su Nahash, ma l'avversario non comparirà per un bel po'.

Acc... scusate ma non riesco ad aggiungere l'immagine. sono profondamente dispiaciuta, e pensare che ci avevo messo così tanto a farla *piange senza ritegno**si asgiuga le lacrime* Vabbuò lasciamo stare. scusate ancora

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Capitolo 14
*** Quattro chiacchere per la città ***


Sul volto della giovane si alternavano rossore e pallore, in modo alquanto preoccupante, per un attimo credette che fosse sul punto di svenire. Kyar fece un passo indietro e appoggiò la mano sulla cesta.

– Kyar, va tutto bene?

– No. No, non va tutto bene. Vorrei vedere te nella mia situazione. Tu non ti sei mai trovato uno schiavo d'amore tra i piedi quando non lo si vuole.

Gli occhi si Nahash si spostarono sul grembo di lei. – Più che tra i piedi preferirei tra le gambe.

– Ma la vuoi piantare?! Io ho una vita, una che non include te. Non posso tenerti per tre settimane.

– Se pensi che sia eccitato perché mi hai evocato, ti sbagli di grosso.

– Be', non tutto di te la pensa così –. Lanciò un'occhiataccia esplicita alla patta dei pantaloni.

Abbassando lo sguardo in grembo e guardando il rigonfiamenti dei propri pantaloni, sospirò. – Non sono in grado di controllarlo

– Dunque tu facevi così solamente per via di una maledizione?–. Gli occhi di Kyar si riempirono di lacrime, e di delusione. – In fondo, quale uomo s'interesserebbe a una donna così poco femminile come me?

Si girò e tornò a cercare dei pantaloni. Le si avvicinò e l’avvolse dolcemente con le braccia. – Solo uno stupido può non interessarsi a te.

Lei si liberò dalle sue braccia, si girò e gli mise tra le mani dei pantaloni. – I lombi ti fanno parlare così. Forza, prova questi –. E lo ficcò praticamente a forza nel camerino.

 

Ω

 

Appena dentro Nahash fu assalito su due diversi fronti.

Il primo fu la ristrettezza dello spazio. Non riusciva a muoversi senza colpire o la porta, o lo specchio, o una mensola lì vicino.

La seconda fu lo specchio, e la sua immagine riflessa. Erano praticamente secoli che non faceva i conti con il suo volto, e se ne disgustò. Era identico a quello di suo padre, tranne che per i capelli. L'uomo che gli ha dato la vita era biondo, non moro come lui. E non aveva quella terribile cicatrice che solcava il lato mancino di quell'uomo che lo aveva forgiato come guerriero temuto da tutti.

Passandosi una mano sulla guancia si ricordò di quel giorno alla vigilia dei suoi quattordici anni in cui suo padre lo aveva afferrato per il mento e lo aveva sbattuto a terra. Aveva scalciato e si era dimenato, ma era troppo giovane e debole. Poi suo padre aveva afferrato il coltello e lo aveva portato al suo viso, disegnandogli sul volto una ferita come la propria. E tutto perché aveva scoperto la propria moglie guardare con interesse Nahash.

– Ora vediamo se ti guarderà ancora con lussuria.

La lama lo aveva sfregiato fino all'osso ed era sanguinata per tutta la giornata con un dolore allucinante, poi il giorno dopo era completamente scomparsa, senza alcuna traccia di tessuto cicatrizzale.

Osservandosi si ricordò dell'uomo che era, di ciò che aveva e di ciò che aveva perso. Quel ricordo ridusse in brandelli tutto ciò che era rimasto del suo cuore.

Abbassò lo sguardo verso i pantaloni che aveva lasciato cadere a terra. Perché? Perché Kyar ci teneva così tanto a trattarlo come un essere umano? Aveva vissuto così tanto come un animale, un oggetto scambiato e barattato per due millenni, che trovava quasi insopportabile della gentilezza nei suoi confronti.

Cos'è che la rendeva tanto speciale? Il fatto che era anche lei un ibrido? Che aveva sofferto? Oppure lei era fatta così?

Era un cuore puro che abitava in un mondo di animi egoisti.

Avrebbe tanto voluto incontrarla prima della maledizione. Sarebbe stato un ottimo balsamo per per la sua anima confusa.

Sospirando cominciò a provare i pantaloni.

 

Ω

 

Quasi non credetti ai miei occhi quando lo vidi uscite con quei pantaloni.

Detestavo ammetterlo, ma Nadja aveva ragione, assolutamente ragione. Quell'uomo possedeva i miglior sedere che i pantaloni avessero mai fasciato. Tutto ciò che chiedevo al momento era far passare la mano su quel posteriore e dargli una bella strizzata.

I pantaloni gli calavano leggermente sui fianchi snelli, mentre la maglietta gli enfatizzava le spalle e gli addominali e arrivava appena sotto la vita stretta e tonica, lasciando scoperto un pezzetto dello stomaco piatto.

Salivazione a zero.

Fiamme per tutto il corpo.

Ancora un po' e gli salto addosso.

– Sono accettabili? – chiese.

– Oh, sì, baby – risposi senza fiato.

Mi rivolse quel sorriso malizioso con le fossette.

Feci un giro intorno a lui per controllare che i pantaloni non tirassero o fossero troppo larghi. Quando constatai che gli stavano alla perfezione, controllai la taglia dell'indumento.

Oh, sì, bel sedere... bello davvero...

Distratta da quel didietro così ben fatto, accidentalmente gli sfiorai la pelle delle schiena. Lo sentii scattare e trattenere il respiro.

– Sai, tutto questo sarebbe meglio se fossimo... –. Si girò di scatto e mi ritrovai il bottone della patta tra le dita. – Così.

Scostai le mani. – Ma tutto ciò che faccio, ti fa parare lì?

– Be', sei tu che mi provochi –. Mi trasse a sé e mi baciò con impeto.

– Che fai?

– Mi è venuta voglia di te.

Mi portò nel camerino, chiuse la porta e, sempre baciandomi, mi fece indietreggiare, fino a che non colpii la mensola con la parte bassa della schiena.

Gemetti di sorpresa quando mi sollevò di peso e mi appoggiò sull'asse, facendo scivolare i fianchi tra le gambe.

Si staccò dalla mia bocca. – Kyar, ti voglio. Ora.

Dea, non riuscivo a pensare. La sua vicinanza mi offuscava la mente. – Ainon ti staccherà la testa se ti scopre.

– Ne varrà la pena.

Mi morsi le labbra sentendo il corpo eccitato di Nahash premere contro il mio.

Allungò un dito e liberò la bocca da quella morsa. – No, gattina. Sono io il solo torturatore di quella bella ciliegia.

Tornò alle mie labbra famelico, poi si spostò sul collo, alternandosi con la clavicola. Le sue mani mi strinsero i fianchi, e s'insinuarono sotto la casacca. Una cominciò un saliscendi dall'orlo dei pantaloni alla base della schiena, l'altra cominciò a salire lungo la spina dorsale.

Mi ritrovai contro la mia volontà ad accarezzargli i capelli e a stringergli la spalla con l'altra mano.

Trattenni bruscamente il fiato quando le sue dita cominciarono a giocherellare con il reggiseno senza sganciarlo.

Scostai le mani, gliele appoggiai sul petto e lo allontani. – Basta...

Fece per baciarmi di nuovo.

– No, fermo.

– Cosa c'è?

– Non posso...

– Perché?

– Lo sia. Voglio andare la letto solamente con la persona che amerò. E poi, una notte sola non basta mai. O segui una dieta regolare, o vai in crisi di astinenza.

Giocherellò col bottone tra l'incavo dei seni. – E sarebbe una cosa tanto brutta?

– Sì – risposi con una sicurezza che non avevo

Indietreggiò e alzò le mani. – Va bene. Non ho mai disubbidito a una mia evocatrice.

Scossi la testa e tornai a terra. – Ora ti servono delle maglie, delle scarpe e dell'intimo.

– Intimo?

– Mutande.

– Ma non le voglio. Già ci sono i pantaloni e il tuo intimo a dividermi da ciò che voglio da te.

Attivata modalità imbarazzo. – D... di nuovo?

– Forse non ci fai caso, ma si sente ‘Ti prego, ti prego, prendimi e usa le tue arti peccaminose su di me’. Te lo giuro, il tuo corpo m’implora in modo incredibilmente eccitante.

– O ti dai una calmata, o ti ficco del ghiaccio nei pantaloni.

Sgranò gli occhi. La tua capacità di persuasione è a dir poco incredibile. Mi do una calmata.

– Bene.

Trassi un respiro profondo e usci dal Rifugio per dirigermi verso il quartiere commerciale. Trovammo in fretta ciò che cercavamo.

Nel dirigerci verso casa mi accorsi che Nahash non era dietro di me.

Be’, non feci fatica ad individuarlo. Era stato deviato da un negozio di intimo femminile e stava osservando un negligé nero.

Il mio volto avvampò. Riuscivo quasi a sentire i pensieri lussuriosi della sua mente.

Lo raggiunsi e mi schiarii la gola. – Andiamo?

Lui si girò e mi squadrò molto, molto attentamente. Aveva sicuramente in mente l’immagine di me vestita con quell’intimo. – Saresti mozzafiato con questo addosso.

– Non so se sarei mozzafiato, ma di sicuro avrei freddo.

– Non per molto, te lo garantisco –. Piegò la testa verso di me. – Anche se ti preferisco… al naturale.

L’ormai solito brivido lungo la schiena.

– Non ci posso credere! Kyar, la Frigida, e Nahash, lo Strafico, in atteggiamenti equivoci nel bel mezzo della strada!

Oh no, tutti, ma non lei… – Nad, e il lavoro?

– Ho messo il cartello ‘Torno tra cinque minuti’. Ma per tornare al completino nero, lì dentro ce n’è uno bianco che le donerebbe di più –. Prese Nahash per un braccio e lo portò nel negozio.

A malincuore dovetti seguirli. Nadja gli mostrò un semplice baby-doll bianco tenuto insieme da un nastro tra i seni. Completavano il tutto una giarrettiera e un reggicalze senza cavallo.

– Be’, che te ne pare?

Lui mi lanciò una lenta occhiata e non potei far a meno di afferrare il primo bottone della camicia.

Lo so. Era irrazionale, ma avevo paura che con quello sguardo fosse capace di togliermi di dosso i vestiti.

Mi concentrai su Nad. – Tanto non me lo metterò, quindi finiscila.

Lei mi fece la linguaccia. – Te lo compro lo stesso. Sono più che certa che Nahash riuscirà a fartici entrare.

– A dire il vero, preferirei farcela uscire.

Se le mie guance si fossero scaldate ancora un po’ sarebbero sicuramente esplose.

– A te – esclamò trionfale Nadja allungandomi la busta.

– Grrrr… azie… –. Afferrai le maniglie. – Ti detesto.

– Anch’io ti adoro, Kyarina. Be’, vi saluto. Stanno per scadere i cinque minuti –. Mi abbracciò di slancio, salutò Nahash con un gesto della mano e corse fuori.

Lo sentii ridacchiare. – Certo che la tua amica è proprio strana.

Uscii dal negozio scuotendo la testa, con lui a una passo dietro di me. – Pensa solo che si è trattenuta perché c’eri tu.

– Comunque si vede che vi volete molto bene.

– Già. Lei è come una sorella maggiore per me –. Mi guardai intorno e la mia attenzione si focalizzò sul chiosco dei gelati. – Ti va un gelato?

Lui inarcò il sopracciglio. – Non stati spendendo un po’ troppo per me?

– Figurati.

Comprai per me un cono alla fragola, mentre lui ne scelse uno alla crema. Poi lo portai al parco dove adocchiammo una panchina e ci sedemmo. Dopo qualche minuto mi accorsi che Nahash fissava con bramosia crescente il modo in cui mangiavo il gelato.

– Che c’è?

Lui scosse la testa. – Prova a metterti nei miei panni. Per la maledizione sono costretto a compiacere colei che mi evoca, e tu non ti rendi conto che fai la cosa più comune del mondo, come mangiare, in un modo estremamente provocante. Potrei anche prenderti qui in mezzo alla gente.

– Sei un esibizionista, ti direi.

– E tu sei la donna più scandalosamente sensuale che io abbia mai visto.

Sospirai scuotendo il capo.

– Ora che ci penso – disse richiamando la mia attenzione su di sé. – Se non sbaglio di te non so molto.

Alzai le spalle. – Non mi piace parlare a lungo di me. Sinceramente, m’imbarazza.

Mi guardò un attimo, poi sospirò. – Facciamo così. Tu mi fai una domanda, e io ne faccio una a te. Andata?

– Andata.

– Vai, comincia prima te.

– Com’è stata la tua prima volta?

Mi sorrise malizioso. – Ah. Era questo che volevi sapere, eh? Bambina cattiva.

– Ammetto la mia ignoranza da vergine. Ora puoi rispondere, per favore?

– Avevo quattordici anni.

– E?

– È troppo imbarazzante da ricordare.

– Mi accontenterò.

– Il tuo primo bacio?

– ‘Il mio primo bacio’ cosa?

– Tutto

Rimasi un attimo in silenzio, indecisa se raccontargli tutto o meno. Amen. – Dunque, è cominciato contro la mia volontà…

Rabbrividii per il suo sguardo duro. – Dimmi il nome di quell’uomo e gli gonfio la faccia.

– Allora dovrai dire addio al tuo bel visino.

Mi guardò interrogativo. – Che?

– Il mio primo bacio l’ho dato… ieri… nella foresta… a… te.

Sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere. – Non posso crederci! Il primo bacio a diciotto anni!

– Sì, lo so. Persino una ragazzina farebbe meglio di me. Vuoi prendermi ancora un po’ in giro?

– No, scusa. La tua domanda?

– Qual è il tuo tipo di ragazza?

Mi guardò per un lungo istante. – La ragazza dei miei sogni è qui, davanti ai miei occhi.

– Sì certo. Quelli erano i lombi?

– Okay gattina, chiariamo due cose. Uno, a differenza di quello che credi, io ho due neuroni, uno è collegato alla mia seconda testa, l’altro mi serve per formulare complimenti. Secondo, la maledizione non influenza il neurone dei complimenti. Quindi quando ti faccio un complimento è per mio libero arbitrio. E accettali ‘sti complimenti –. Sorrise. – E poi, quando ti faccio dei complimenti il tuo musetto arrossisce e diventa ancora più carino.

Il silenzio cadde tra noi due.

Fu lui a rompere quello stato. – Dato che ti ho fatto un monologo, ti concedo una seconda domanda.

Distolsi lo sguardo, visibilmente imbarazzata. – Cosa ti piace di me?

– Il carattere. Sei una persona forte e decisa, ma in fondo sei sensibile, e generosa, e sai cosa significa perdere qualcuno. E inoltre hai un visino così bello.

– Va bene.

– Che hai provato quando ti ho baciata?

– Disgusto.

– Questo è offensivo.

– Andiamo. Ho sentito la tua lingua in fondo al palato.

– Ma mi è sembrato che ti piacesse dopo.

Rimasi in silenzio, spiazzata. Quando mi girai Nahash si era pericolosamente avvicinato.

– C… che fai? –. Oh, fantastico! Mi metto anche a balbettare!

– Secondo te? –. Aveva già lasciato cadere il suo cono a terra, e la stessa sorte toccò al mio.

Deglutii. – B... be', te l'ho già detto... se fai così mi sembri un maniaco... –. Di bene in meglio. La voce cominciava ad affievolirsi.

– Io penso che dovresti provare ancora. Magari lo trovi piacevole.

– N... non ti è bastata stamattina? –. Evvai! Scaviamoci la fossa!

– Assolutamente no, anzi credo proprio che stasera ti mostrerò ciò che Nadja ha interrotto.

– Sì, ti piacereb... –. Mi ritrovai impossibilitata a completare la frase, trovandomi le sue labbra premute prepotentemente contro le mie

Lo spinsi - leggermente - sulle spalle e il suo bacio divenne più dolce. La sua lingua mi accarezzò la bocca, in una muta richiesta di aprirsi.

Avrei dovuto dirgli no, avrei dovuto allontanarlo...

E aprii le labbra, permettendogli l'ingresso nella mia bocca. A stento trattenni un gemito nel sentire la sua lingua accarezzare la mia, mentre la sua mano si poggiava sulla mia schiena appena un po' più sopra del sedere. L'altra mano invece andò alla mia nuca, attirando maggiormente la mia testa contro la sua.

Il suo sapore era delizioso. Sapeva di crema e uomo. Oddea, inconsciamente avevo desiderato questo bacio per tutto il giorno. Accidenti a me!

Con un unico, fluido movimento portò le mie gambe sulle sue ginocchia, stringendomi maggiormente a sé. La mano che mi aveva sollevata cominciò a percorrere con dolcezza la linea delle cosce, strappandomi infiniti sospiri.

Si staccò dalle mie labbra. – Adoro sentirti sospirare –. Prese a depositarmi piccoli baci, simili a beccate di colomba, lungo il labbro inferiore. Arrivato all'angolo della bocca, continuò la sua strada sulla guancia e la mascella, fino ad arrivare all'orecchio, che mordicchiò leggermente. Mi scappò un gemito. – Ma preferisco di gran lunga sentirti gemere –. E come il giorno prima e la mattina, la sua lingua cominciò ad accarezzarmi l'interno dell'orecchio.

– Sei... terribile... – mormorai con la voce rotta da ogni suo attento, sensuale, esperto movimento.

La sua bocca scese lungo il mio collo, poi tornò su e di nuovo discese. Un saliscendi innocente con un qualcosa di terribilmente provocante. Cavolo, per lui dare piacere era proprio una sciocchezza, una robetta da niente. Detto in soldoni, era terribilmente bravo.

E prova di questo me l'aveva data questa mattina.

– Kyar? Sei proprio tu?

Allontani Nahash e osservai il ragazzo.

– Yule! – esclamai saltando in piedi e abbracciando il secondogenito di Lai. Come tutti i suoi fratelli aveva i capelli neri del padre e gli occhi azzurri della madre. – Accidenti! Quanto è passato? Un anno?

– Se avessi ritardato il mio arrivo di una settimana, sì.

– Diamine! Sei cresciuto. E più di me accidenti! –. Infatti quando era partito per imparare da un vecchio parente il mestiere di mercante era alto come me, adesso i suoi occhi erano all'altezza delle mie sopracciglia.

– Be', lo stesso si può dire di te. Ormai sei diventata una donna. Se posso, una gran bella donna.

Scoppiai a ridere. – Puoi, puoi. Tu ne hai tutto il diritto. In fondo era con me che facevi il bagno nel fiume.

Arrossì visibilmente. – Certo, fino ai tuoi dodici anni. Poi ne hai computi tredici, e ho scoperto la timidezza.

Nahash tossicchiò. – Vi ricordo che sento.

– Oh, giusto. Nahash, questo è Yule, il mio migliore amico. Yule, lui è Nahash, il mio...

– Fidanzato – concluse, avvolgendomi le spalle con un braccio con fare possessivo

– Be', si era capito. Dovevi essere davvero importante per Kyar, se lei ti lasciava baciarla in pubblico. Lei di norma non la scia mai che gli altri vedano le sue emozioni. S'imbarazzava perfino quando la prendevo per mano.

– Per fortuna con l'età è migliorata.

– Ehi! – sbottai indignata. – Vi ricordo che sento.

– Frena gattina! – rispose Nahash. – Il copyright della frase è mio.

– E che c'entra?

– Sei tu che non hai voluto la comunione dei beni.

– Ma che stai dicendo? Mica siamo sposati?

– Veramente io pensavo un bel matrimonio primavera.

– Cosa?!

– Scusate se mi intrometto – ci fermò Yule. – Anche se è divertente assistere a un quasi divorzio, vi saluto che corro a casa.

– Ma certo –. Gli stampai un bacio sulla guancia. – Fai i miei saluti a Lai. Ah, prima che me ne dimentichi, è incinta.

– Di nuovo?!

Annuii. – Partorirà in settimana.

– Io e i miei genitori avremmo molto di cui parlare. Ciao –. Si girò e si avviò verso la strada.

– Devo essere geloso?

– Del mio promesso sposo? Assolutamente no.

– Il tuo che?!

– Scherzavo. È solo un innocente gioco che facevamo da bambini.

Si portò una mano al cuore, strinse la stoffa e sospirò. – Non farlo mai più. Mi hai fatto venire un infarto.

– Oh, andiamo.

– Ehi, è vero. Ho sempre desiderato essere evocato da una nubile, ma tutte le mie evocatrici erano donne che non vedevano l’ora di regalare al proprio marito un gran paio di corna.

Ridacchiai. – Sei proprio incredibile coi tuoi cambi di umore, ma forse è questo che mi piace di te.

 

Ω

 

Non era facile dire chi dei due fosse più sorpreso dalla confessione di Kyar. Lei distolse lo sguardo rapidamente e le guance si tinsero di un rosso acceso.

Le piaceva… Quelle parole provocarono una reazione decisamente infantile in Nahash. Sentì il bisogno urgente di correre e dire la qualcuno: – Le piaccio, le piaccio.

Per gli Eternath, di che cavolo ritrattava?

Aveva più di duemila anni. L’età per le reazioni di quel tipo era passata da un tantino.

Eppure non poteva negare la soddisfazione e la felicità che sentiva.

 

*rullo di tamburi + squilli di trombe* Ta-daaan!!! Ebbeno si signori & signore, non sono morta! Evviva! Gomennasai (chiedo scusa) x l’increscioso ritardo. La mia chiavetta *singhiozzo* si era smagnetizzata *pianto*. Ho recuperato i dati, ma solo fino all’ultimo salvataggio, quindi ho dovuto riscrivere tutto. Comunque sono riuscita a pubblicare! Evviva! P.S. ai nomi dei vestiti c'è un collegamento

 

X Dust_and_Diesel: Nahash potrebbe essere tante altre cose, ma questa coglie il senso profondo di tutte. E di nuovo Tornado Nadja rompe, ma ringraziamola per il regalo. Quando scoprirai la causa della maledizione… e ciò che dovranno fare (soprattutto Kyar) per scioglierla (NdKyar: che dovrei fare?! NdMe: non te lo dico, detesto fare spoiler) 

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Capitolo 15
*** Come si rompe la maledizione? ***


– Andiamo. Ridimmelo.

– Uffa. Per la centesima volta, no –. Cavoli se l'amico era insistente. Da quando eravamo rientrati aveva cominciato a supplicarmi perché gli ripetessi quella frase.

Non è possibile! Gli avevo detto che mi piaceva! Be', non che mi piaceva lui, ma i suoi cambi di umore. Accidenti a me e alla mia passione per l'imprevedibilità!

Mi aveva supplicato anche quando prendendo le erbe per la mia tisana rilassante, e in questo momento ne avevo davvero bisogno.

Riuscita in quell'ardua impresa, accompagnai Nahash in soggiorno e per tenerlo occupato gli allungai un libro.

Dopo poco lui me lo restituì. – Non so leggerlo questo.

– Oh –. Cavolo perché non ci avevo pensato prima. – Immagino che non insegnassero a leggere ai soldati dei tuoi tempi.

Lui si grattò il mento con noncuranza. – In effetti lo facevano, il problema è che mi hanno insegnato a leggere e scrivere in lingua tanuhr e  lenuht, lingue morte da un bel pezzo.

– E le altre donne che ti hanno evocato, non ti hanno insegnato?

– Kyar guardami –. Allargò le braccia e mi mostrò il proprio corpo tonico. – Sono uno schiavo sessuale, nessuna ha mai pensato che dovessi saper leggere per adempiere al mio dovere.

Sbuffai e afferrai il libro, sfogliai le pagine e gli indicai una frase. – Be', io non sono come quelle donne. Quindi rimboccati le maniche perché non sarò indulgente.

– Mi devo preoccupare?

Gli sorrisi. – Entro tre settimane saprai leggere la lingua Dardany alla perfezione.

– Va bene. Mi preoccupo.

 

Ω

 

– Con-tra-rio! – esclamai. – È già la terza volta che te lo ripeto, zuccone! Non intendo ripetertelo. Vedi di ricordartelo o ti tirerò i capelli.

– Contrario, va bene. E ora voglio un bacio per essere stato così bravo.

– No. Prima leggi tutto correttamente senza un solo errore.

Ormai il tramonto era passato da un pezzo e Nahash aveva fatto non pochi progressi. Per insegnarli a leggere gli ero praticamente addossata contro, appoggiando il braccio sulla sua spalla. Lui leggeva abbastanza bene, aveva un’ottima capacità d’apprendimento. Però soffriva di distrazione cronica.

I suoi occhi si spostavano impazienti dalla pagina alla mia scollatura. Ciò comportava un colpo dritto alla guancia.

Alla fine terminò la letture, non senza nuovi errori, ma richiese lo stesso il suo premio.

– Assolutamente no! Hai fatto troppi errori!

– E dai! Un bacettino sulla guancia, non chiedo altro.

– D'accordo, però tieni gli occhi chiusi.

Lui obbedì. – Non osare tirarmi qualche brutto scherzo.

Ero fermamente convinta a dargli il bacio sulla guancia, ma venni distratta dalle sue stupende labbra. Accidenti a sua madre che gliele aveva fatte così belle!

Prima di riuscire a fermarmi, posai la bocca sulla sua per un istante e tornai velocemente a posto. Nahash sgranò gli occhi. Abbassai lo sguardo, rossa in volto. Sentivo terribilmente caldo.

– Sei sicura di quello che hai bevuto?

Preoccupata. – No.

Scattai in piedi e andai a controllare ciò che avevo usato per la tisana. Quando mi resi conto della realtà, mi afflosciai sulla sedia.

– Che hai bevuto?

– Un infuso fatto con una pianta il cui distillato contiene un alto tasso alcolico, in grado di farti sciogliere completamente la lingua. È volgarmente chiamato Elisir della Verità –. Cominciai a sentire mal di testa e nascosi la testa tra le braccia.

– Come ti senti?

– Male.

Mi aiutò ad alzarmi. – Vieni. Ci mettiamo sul divano.

Appena fui seduta sentii la lingua sciogliersi, ma la mente non riusciva a connettere i pensieri. Poggiai le mani sulle cosce di Nahash e avvicinai il volto al suo.

– Lo sai che hai degli occhi stupendi?

– Dovresti andare a letto. Sei ubriaca.

– Non dire sciocchezze, sono in pieno posc... pose... possesso delle mie facoltà mentali.

– A sentirti e a vederti, direi proprio di no.

– Ma se patri... parti... praticamente non tocco alcolici da quando ti ho evocia... evocato!

– Ascoltami una buona volta.

– Non credere che io non scia... sia in grado di cavarmela da sola! –. Nell'alzarmi scoprii con sorpresa che le gambe rifiutavano di sorreggermi. – Non posso camminare! – esclamai in tono irritato e, non so come, finii per trovare la cosa divertente. Ridere fu il colpo di grazia per il povero e martirizzato equilibrio e lui mi sorresse appena in tempo quando rischiai di finire a sedere a terra, sollevandomi tra le braccia. – Bene, mio schiavo d'amore tanuhr, ti ordino di portarmi a letto – dichiarai in tono solenne.

Non appena Nahash s'avviò per le scale, tutto intorno cominciò a girare in maniera selvaggia e un senso di vertigine mi indusse ad aggrapparmi con forza la suo collo, senza abbandonare la presa anche quando mi ritrovai al sicuro sul letto.

– Vuoi che esca? – mi chiese cercando di allentare la stretta delle mie dita.

– Svestimi tu... –. Notai che i muscoli delle sue spalle non erano più duri sotto le mie mani.

– Senti, non ho intenzione di farlo.

– Ma come? Sono due giorni che non dici altro che vorresti giacere con me e quando ti si presenta l'occasione non ne approfitti. Cavolo, sono praticamente ubriaca e non mi salti addosso come farebbero tutti. Ma che razza di uomo sei?

– Uno che non approfitta di donne ubriache.

Quella frase riuscì a zittirmi.

 

Ω

 

Nahash le sfilò il reggiseno da sotto la maglia e le fece scivolare i pantaloni dalle gambe, cercando di non metterci malizia. E non mancò di notare la stoffa delle mutandine di lei. Riuscì a farla stendere e a rimboccarle le coperte.

– Dormi con me?

Le sorrise e si coricò alla sua destra. Kyar si girò verso di lui e si strinse al suo fianco.

– Sai, Nad dice sempre che io sono una frigida, ma non è vero. Sono esattamente come tutte le donne. Vado in fibrillazione di fronte a due spalle larghe, un bel faccino e a un culetto bello sodo.

– E io che ti facevo meno lasciva.

– La verità è che ho paura. Solamente Nad lo sa. Se lo raccontassi, tutti proverebbero compassione e io non voglio la pietà altrui.

– Sapere cosa?

Lei si morse il labbro e si strinse maggiormente a lui. – Quando mi dissero che mio padre era morto, andai ad accertarmene. Lo trovai e piansi disperatamente per il suo destino. Fu allora che arrivarono due Draker. Uno mi si mise ti dietro e mi costrinse a terra tenendomi per i polsi, l'altro davanti tenendomi la bocca chiusa e i fianchi tra le gambe.

Sentendo quelle parole una strana rabbia inattesa montò dentro di lui e la voce gli uscì come un ringhio. – Ti hanno violentata?

Kyar scosse la testa mentre calde lacrime le solcavano il volto. La strinse maggiormente a sé. – Ainon arrivò in tempo e li uccise. Tuttavia, il pensiero di giacere con un uomo, del suo peso su di me, mi fa ricordare quelle mani che mi tenevano ferme e che cercavano di sfilarmi i pantaloni.

– È questo che ti viene in mente se ti tocco?

– No. È vero, se mi tocchi mi sento strana, ma uno strano bello. Voglio dire, mi piace sentire le tue mani e una parte di me vorrebbe che continuassero a toccarmi, mentre l'altra parte di me vorrebbe staccartele e fartele ingoiare.

Deglutì.

– Comunque è meglio che non m'illuda. Noi siamo completamente diversi. Tu, un affascinante tanuhr di chissà quale epoca, e io, una semplice Commerciante ragazzina. Come una pesciolina che desidera che il passerotto stia al suo fianco.

– Perché non lo può desiderare anche il passerotto?

Lei sbadigliò. – Perché lui può avere di meglio della ridicola pesciolina, non starebbe con lei se non fosse obbligato.

– Come può dirlo se non sa ciò che pensa il passerotto?

Lei cambiò completamente discorso. – Vorrei aiutarti con la maledizione –. Chiuse gli occhi e si addormentò.

 

Ω

 

– Sveglia, gattina! Agile e scattante!

Tirò le tende e lasciò che la forte luce del sole entrasse nella stanza.

– Ma che accidenti ti piglia?!

– Siamo di cattivo umore stamattina, gattina?

– Puoi dirlo forte! Ho una faccia da ubriacone!

– Quindi dovresti fare una doccia.

– No! – esclamai. – Ora mi lasci dormire! –. Mi rannicchiai sul fianco e mi tirai la coperta fin sulla testa.

– Allora non mi lasci altra scelta.

Con uno strattone, tirò via la coperta, mi prese per i fianchi e mi caricò sulla spalla.

Feci quello che qualunque donna avrebbe fatto se un uomo l’avesse presa in braccio come un sacco di patate. Mi dimenai come un’ossessa, tirandogli pugni sulla schiena.

Tuttavia, senza intenzione di fargli male.

– Ehi! Ma dico! Rimettimi giù! Brutto maniaco! Pervertito! Lasciami andare!

Lui si limitò a stringermi maggiormente. – Pervertito e maniaco, in alcuni sensi, direi di sì. Ma brutto proprio no.

Incrociai le braccia e sbuffai. – Che modesto.

Dopo avermi portato in bagno, mi mise nella vasca e aprì il getto d’acqua sopra di me.

– Ehi! È fredda!

– Così sono sicuro che ti sveglierai.

Afferrò il bordo della maglia e iniziò a sollevarla.

Gli presi i polsi. – Sono capace di farmi la doccia da sola, sai.

– Ma se non riuscivi nemmeno ad alzarti –. Mi rivolse un sorriso malizioso. – La verità è che non vuoi che sia io a spogliarti.

L’acqua sembrò diventare più fredda. – Non voglio che tu mi veda nuda.

– Quando arrossisci il tuo musetto diventa ancora più grazioso.

Indubbiamente arrossii di più.

– Prometto, gattina, di comportarmi bene.

– Perché continuo a fidarmi delle tue promesse?

Con dolcezza mi sfilò la maglia, divorandomi con gli occhi, e la gettò sul pavimento, seguita dalle mutandine.

Prese la spugna e la insaponò, poi cominciò a passarmela sul corpo. Cominciò con movenze lente e dolci sulle braccia, poi sui seni, che s’irrigidirono al suo tocco. Mi tirò contro il suo torace e passò la spugna sulla schiena, poi la sua mano scese ai glutei, ma non vi badai.

– Sei fradicio – mormorai.

– T’importa così tanto? Se vuoi mi spoglio.

– Non t’azzardare…

– Sta’ tranquilla.

Indietreggiò e, piegandosi su un ginocchio, spostò la spugna sul mio ventre. Appoggiò la mano sul polpaccio, mi sollevò la gamba e mise sopra il proprio ginocchio il mio piede, ritrovandosi la mia gamba davanti agli occhi. Avvicinò le labbra e mi baciò la pelle, poi iniziò a insaponarmi le gambe.

Staccò la doccia dalla struttura e, sempre con lentezza, m'indirizzò contro il getto d'acqua, sciacquò via accuratamente ogni traccia di schiuma. Le sue dita andarono ai capelli a insaponarmeli, sempre con lentezza e dolcezza.

– Sei davvero utile, tesoro.

– Tesoro?

– Sì?

– Nessuno mi aveva mai chiamato così.

– Perché nessuno sapeva che tesoro sei.

– Guarda che il vero tesoro qui sei tu.

Raccolsi della schiuma e gliela misi intorno alla bocca. – Lo so. Tu al massimo sei una mummia, guarda quanto sei bianco.

Mi spinse contro il muro e mi pizzicò il mento. – Di' un po' ragazzina, con chi credi di avere a che fare?

– Con una mummia. Sei o non sei l'ultimo tanuhr?

– Allora ti mostro la crudeltà tanuhr. Preparati ad essere torturata.

– Non oseresti.

– Tu credi?

Misi il broncio. – Tortureresti una donna bagnata che trema?

Fece scorrere lo sguardo famelico su di me. – Sì, ma in un altro modo.

Schiacciò il proprio corpo contro il mio e le sue labbra coprirono le mie.

– Hai mangiato del miele? – gli chiesi nella bocca.

– Sai, la mia dolcezza stava dormendo – rispose quando le sue labbra si spostarono al mio collo.

– Da quando sei diventato un romantico?

Si raddrizzò e mi guardò negli occhi. – Hai ragione. Allora ti torturo in modo non romantico.

Quando cominciò a farmi il solletico, gridai. – Ah! No! Il solletico non vale!

Mi fece stendere nella vasca continuando la tortura. – Di' che ti arrendi e io la smetto.

– Mai!

– Allora...

Avevo il fiatone e le lacrime che mi pizzicavano gli angoli degli occhi per le risate, ma lui continuava a farmi il solletico. Perché non lo soffriva? Non è giusto.

– Ti arrendi? – domandò, il volto vicino al mio.

– No!

Si avvicinò di più. – Ti arrendi?

– No.

– Ti arrendi? –. Ad ogni parola, le nostre labbra ormai si sfioravano.

– Sì...

Mi rivolse quel sorriso con le fossette. – Ti arrendi in fretta, gattina.

Si mise in piedi, poi tirò su anche me e mi avvolse con un asciugamano. Mi prese in braccio e andammo in camera.

– Bene. Adesso puoi uscire.

Inclinò la testa di lato e mi guardò come un cucciolo che vuole le coccole.

– Che c'è?

– Posso vestirti?

Inarcai il sopracciglio. – Vuoi vestirmi e non svestirmi?

– Per favore...

Ma che cavolo mi prendeva? In fondo mi aveva vista nuda pochi minuti fa, che senso aveva fare la pudica coprendomi con l'asciugamano o mandarlo fuori? Mi misi al centro della stanza e lasciai che il telo s'afflosciasse ai miei piedi. – Non mettermi cose imbarazzanti.

– Allora non so cosa farti indossare.

– Cambio idea?

Andò velocemente al comò. – Scherzavo –. Aprì il cassetto della mia biancheria intima e cominciò a rovistarci dentro.

Sentii uno strano brivido lungo la schiena nel vedere la sua mano tra le mie mutandine. Tirò fuori quelle di seta nera e pizzo che Nadja mi aveva regalato per scherzo e s'inginocchiò ai miei piedi. Osservai la sua testa china, senza fiato ed estasiata.

Appoggiai le mani sulle sue spalle per sostenermi e lasciai che mi vestisse. La stoffa e la sua pelle strusciavano sulle mie gambe fondendo le loro temperature su di me. Aprì i palmi portando al massimo i miei sensi. Quando l'indumento fu a posto, mi prese per i fianchi e affondò le labbra nella morbidezza del ventre.

Tornò al comò e prese il reggiseno a balconcino abbinato. Sollevai le braccia per aiutarlo, le sue dita sfiorarono la carne del seno, che s'irrigidì. Chiuse il gancetto sul davanti e mi accarezzò attraverso la stoffa. Si avvicinò a fece per baciarmi. Feci un passo indietro e gli puntai l'indice sul petto.

– Ora esci.

Nahash abbassò lo sguardo al mio dito e gli colpì il naso. Mi sorrise, mi prese per il mento e mi baciò la fronte.

– Come desideri – mi disse, e uscì dalla stanza.

Era strano, ma mi ero già abituata alla sua presenza. Cavolo, ero già al punto di permettergli la lavarmi e vestirmi. Per quel che mi ha raccontato, Nadja e i suoi numerosi ex facevano così solo dopo un tot di mesi. La differenza era che almeno uno di noi era vestito.

Mentre pensavo a questo, un'altra verità mi venne addosso. Entro tre settimane e lui se ne sarebbe andato, forse anche per sempre.

Una lacrima mi scivolò sulla guancia.

Perché piangi? In fondo è ciò che volevi, che se ne andasse.

Hai detto bene, io 'volevo' che se andasse, ora non lo so.

Cosa non sai?

Non so più se è quello che voglio tuttora.

Amica mia, forse ti stai innamorando.

 

Ω

 

Scesi in cucina e sorrisi nel vederlo intento a tagliare della frutta. Okay, l'amico sapeva anche cucinare.

Ma non ha dei difetti?

Lui si girò e mi sorrise. – Ben arrivata –. Mi porse un pezzetto di fragola. – Tieni.

Aprii la bocca, ma non mi diede il cibo. Approfittò di quel momento per darmi un bacio da farmi girare la testa. Cielo, doveva esistere qualcuno in grado di bronzare una lingua in grado di muoversi così, o fare qualcos'altro - qualunque cosa! - per preservarla. Un tesoro del genere non doveva andare assolutamente andare perduto.

E quelle labbra...

Mmh... non volevo pensare a quelle piacevoli labbra e a ciò di cui potevano essere capaci.

Aprì la mano alla base della mia schiena e mi premette contro la sue anche e il rigonfiamento dei pantaloni. Merzé, quell'uomo aveva una straordinaria fornitura, e tremavo al solo pensiero che liberasse la sua potenza sessuale su di me.

Sarei stata in grado di sopravvivere?

Sentii il mio corpo tendersi mentre il respiro di Nahash mutava. Si stava seriamente lasciando trasportare e iniziai a temere che, se non l'avessi fermato, nessuno di noi due sarebbe riuscito a fermarsi in seguito.

Per quanto detestassi lasciare il suo caldo abbraccio, feci un passo indietro. – Nahash, controllati.

Il suo respiro era affannoso, e lo vidi lottare con sé stesso mentre mi osservava famelico il corpo. – Sarebbe più semplice controllarmi se tu non fossi così dannatamente affascinante.

Ecco un'altra cosa che adoravo di lui. Mi faceva sentire così desiderata, così bella, così... femminile.

Mi sedetti sul ripiano vicino a lui e afferrai una fetta di pesca e, senza pensarci due volte, gliela porsi. La prese in bocca direttamente dalla mano, e leccò via dalle mia dita il dolce succo del frutto. Lasciò la mia mano e mi baciò in piena bocca. Con la lingua mia passò con dolcezza la fetta della pesca. Ricevetti la polpa già masticata con un brivido di sorpresa.

Fu una cosa intima, speciale, sensuale. Meravigliosa.

Nahash si staccò da me e si guardò attorno accigliato. – Sta arrivando.

Inghiottii il boccone. – Chi?

Lui continuò a guardarsi intorno.

Scesi dal ripiano e gli afferrai un braccio. – Chi sta arrivando?

Al centro della cucina apparve un altro uomo, col volto da ragazzino. Aveva il sorriso sulle labbra. – Ci si rivede, fratellino. Quanto tempo è passato?

Nahash pareva tutt'altro che felice. – Mai abbastanza, inutile pezzo di... –. Proruppe in una sequela di improperi che avrebbero fatto impallidire il più bestemmiatore tra i marinai ubriaconi.

Non sapevo per cosa sarei dovuta essere più sorpresa. Per il fatto che era apparso un uomo dal nulla, o per il linguaggio che usava Nahash.

L'uomo non si scompose. – Sai che con una bocca così tu e D'Erom sareste ottimi amici?

D'Erom? L'Eternath dell'oltretomba? Che c'entra?

Eseguì un gelido sorriso. – Vorrei essere suo amico, per poi chiedergli il favore di arrostirti nelle Fiamme della Dannazione, M'Edoc.

Quello è M'Edoc, l'Eternath dell'amore e della lussuria?! E Nahash è suo fratello?! Che sta succedendo?!

M'Edoc rise. – Arrivi tardi. Ci a già pensato tre secoli fa, e non è stato tanto male.

– Perché sei venuto a rompermi dopo duemila anni di evocazioni?

– Sono riuscito a rintracciarti solamente adesso che sei vicino a una fonte di potere  mathurh. Strana la vita, vero? Grazie a coloro che erano una volta nemici del tuo popolo, coi quali non facevi altro che combattere, io e la mamma siamo riusciti a trovarti e a portarti delle notizie.

– Che notizie?

Sospirando, M'Edoc si sedette al tavolo. Prego, fai pure. – Vuoi prima le notizie brutte o le molto brutte?

Nahash si sedette a sua volta. – Oh, fammi pensare. Perché non rendi gaia la mia giornata e cominci con le peggiori per poi migliorare?

Annuì. – D'accordo. La peggiore e che probabilmente la maledizione non potrà mai essere spezzata.

Nahash accolse la notizia meglio di me. Annuì.

Invece io strinsi gli occhi e scrutai M'Edoc. – Come puoi fargli questo? Dea, mio padre ha mosso mari e monti per aiutarmi, e tu stai seduto qui senza nemmeno dirgli 'Mi dispiace'. Ma che razza di fratello sei?

– Kyar – mi rimproverò Nahash, la voce un po' alterata. – Non sfidarlo. Le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili.

– Esatto, mort...

– Tu toccala – disse interrompendolo. – E io prenderò quel coltello che porti al fianco e ti ci strapperò il cuore.

M'Edoc scivolò più distante da lui. – A proposito, hai omesso alcuni importantissimi dettagli.

Lo guardò in cagnesco. – Tipo?

– Tipo il piccolo fatto che hai giaciuto con la Pura di Valeth –. Oh, mamma. Valeth,  l'Eternath della fertilità. Imparentato con M'Edoc e, dannatamente probabile, anche con Nahash. – Numi, a cosa stavi pensando? Non ti sei neanche preso la briga di toglierle la veste del suo ordine quando l'hai presa. Sapevi che una cosa del genere non si può fare. Cosa ti è saltato in mente?

– Se ti ricordi, ero piuttosto incazzato con lui in quel momento.

– Allora avresti dovuto prendere una delle seguaci di mamma. È quello il loro scopo.

– Non fu lei a uccidere mia moglie. Fu Valeth.

Trattenni il fiato a quelle parole. Diceva sul serio?

M'Edoc ignorò la sua ostilità. – Be', Valeth è ancora incavolato per questo. Sembra considerarlo come l'insulto peggiore che tu gli abbia mai fatto.

– Oh, capisco. Il fratellone è arrabbiato con me perché ho osato giacere con la sua vergine consacrata, mentre io dovevo starmene buono e lasciargli uccidere la mia famiglia per un capriccio? –. La furia nel suo tono mi fece venire i brividi. – Ti sei preso la briga di chiedergli perché se la sia presa con loro?

Be', tanto valeva mettersi a urlare che arrabbiato era ancore più fico. Meglio non cedere a quell'istinto. Per il momento.

– Sei pazzo? Per gli inferi, no. Ho menzionato il tuo nome ed è andato su tutte le furie. Ha detto che puoi marcire nelle fiamme per sempre. Ma... mamma ha detto che esiste un modo per rompere la maledizione.

Trattenni il fiato mentre un guizzo di speranza sorgeva sul viso di Nahash. Attendammo entrambi che M'Edoc si spiegasse meglio.

Invece si guardò intorno. – Cavolo. Non credevo che il mondo fosse cambiato di male in pe...

Nahash scoccò le dita davanti agli occhi del fratello. – M'Edoc. Come faccio a rompere la maledizione?

– Tutto nell'universo e ciclico. Così com'è cominciata deve finire. Dato che è stata la Pura a causare la maledizione, solo una donna pura nel corpo e nel nome può aiutarti a spezzarla. Dovrà sacrificarsi per te, e... –. S'interruppe con una risata.

Nahash allungò una mano oltre al tavolo e afferrò la maglia di suo fratello. – E?

Si sottrasse alla sua presa. – Be'... –. Spostò lo sguardo su di me. – Puoi scusarci un attimo?

Incrocia le braccia la petto. – Senti amico, ho intenzione di aiutare Nahash, quindi voglio sapere tutto quello che serve per liberarlo.

– D'accordo –. La sua attenzione tornò su Nahash. – Dopo che la donna pura ti avrà evocato, dovrete andare dove tutto è iniziato e lei dovrà farti riavere la tua anima. Poi, fratellino, fino all'ultimo giorno della tua 'licenza' dovrai trattenerti dall'infilare il tuo cucchiaio nel suo barattolo di marmellata. All'ultima notte la donna pura dovrà farti rinascere come uomo, ossia vi dovrete unire carnalmente prima della mezzanotte e tenere i vostri corpi congiunti fino al sorgere del sole. Se tu ti ritrarrai da lei in qualunque momento, per qualunque motivo, ti trasformerai in falco per il resto dei tuoi giorni. Naturalmente succederà la stessa cosa se non ti unirai a lei prima della mezzanotte.

Tutto qui?! Nient'altro?!

Nahash imprecò e distolse lo sguardo.

– Infatti. Sai quant'è forte la maledizione. Non c'è alcun modo in cui tu possa stare tutto quel tempo senza farti una belle scopata con la tua evocatrice.

– Non è quello il problema. Il problema e trovare una donna pura nel corpo e nel nome.

Col cuore che martellava nervosamente nel petto, guardai M'Edoc. – Cosa vuole dire? Una donna pura nel corpo e nel nome?

Lui fece le spallucce. – In parole povere, è sufficiente che abbia un corpo giovane e incorrotto.

– E avere il nome che significa 'pura'?

– Sì.

– Nahash – dissi guardandolo. – Il mio nome deriva dalla parola mathurh kyalihar, 'purezza'. In lingua mathurh, il mio nome significa 'pura'.

 

Per capirci/1

M'Edoc = Eros/Cupido (senza ali, aspetto da ventenne, niente arco e frecce d'oro)

Valeth = Priapo, dio romano della fecondità sessuale e agricola

Per capirci/2

M'Edoc e Valeth sono fratelli figli dell'Eternath della bellezza (= Afrodite/Venere), Nahash è il loro fratellastro (stessa madre, padre diverso, un tanuhr appunto)

Per capirci/3

La maledizione di Nahash: Valeth è invidioso di Nahash che ha più fama di lui, V. con un astuto stratagemma uccide la famiglia di N., N. arrabbiato va a letto con la Pura di V., V. ancora più arrabbiato maledice N., e vissero per sempre maledetti e scontenti.

 

X Dust_and_Diesel: eh, se non ci fosse nadja non ci sarebbe comicità! Ed ecco la storia della maledizione!!! Sono stata molto crudele lo so… Spero che si capisca abbastanza, dato che è nata per i deliri della febbre (39,4 C°, credevo di bollire), come nahash del resto. Ed ecco perché è così duro, ciuria il fratello gli ha ammazzato la famiglia! E infatti i principi salteranno se vorrà salvare il caro nahash

 

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Okay. È gigantesco, ma... ecco Nahash 

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Capitolo 16
*** Pronti per la festa? ***


Nahash la fissò, con la testa che gli girava mentre nelle orecchie gli risuonavano le sue parole.

Era possibile? Osava crederci?

Osava anche solo sperarci, dopo tutto questo tempo?

– Il tuo nome significa 'pura'? – le chiese incredulo.

– Sì – rispose lei con un lento, incoraggiante sorriso che le compariva sul volto.

M'Edoc gli scoccò un'occhiata canzonatoria. – Be', è pura nel nome ed è giovane, ma...

– È ancora vergine – lo interruppe Nahash. E pensare che si era pure arrabbiato, perché lei non voleva darsi a pratiche intime. Kyar lo aveva salvato dal commettere il terzo errore più grosso della sua vita.

In quel momento avrebbe voluto baciarla.

– Sicuramente perché ti butta fuori dalla stanza a calci nel sedere.

– A dire il vero dividiamo lo stesso letto.

– Cioè, tu stai nello stesso letto con lei ogni notte, e nonostante ciò lei è ancora vergine?

– Più o meno.

Un sorriso spuntò sul volto di suo fratello. – Be', che io sia dannato, o meglio, che tu non lo sia più! Non avrei mai creduto che esistesse una donna capace di starti vicino così a lungo senza…

− M’Edoc – lo interruppe prima che cominciasse l’elenco di tutte le donne con cui era stato. – Hai qualcos’altro da dirmi?

− Solo questo. Il priano funzionerà solo se Valeth non lo viene a sapere. Be’, vado a riferire alla mamma il tutto.

E scomparve

−Davvero lo faresti? – le chiese.

−Mi conosci davvero troppo poco. Non puoi pensare che ogni gentilezza nasconda doppi sensi. Dovresti imparare a fidarti, di me.

Allungò un mano e prese una ciocca dei capelli di Kyar tra le dita. – Tu saresti capace di aiutare perfino il tuo peggiore nemico. Ma non intendevo questo. Vorresti davvero aiutare me, un ‘essere spregievole’? −. Aveva usato le stesse parole con le quali lo aveva definito il loro primo incontro, ma allora perché sembrava essersi offesa lei?

La ragazza prese la sua mano tra le proprie. – Certo che sì. Non posso sopportare che tu debba sempre cavartela da solo. Ti aiuterò, e su questo non si discute.

Nahash allungò l’altra mano e l’appoggiò sulla guancia di lei. – Tu sei una donna fantastica e se ti contrariassi per me sarebbe la fine.

– Decisione molto saggia a parer mio. Allora, da dove cominciamo?

– Direi da Tir'na fo Dorea.

– Tradotto?

– Il Tempio di Dorea, mia madre.

– Perché?

– Fu lì fuori che possedetti la Pura.

– Oh. Aaah! 'Dove tutto è cominciato'! Allora lì troveremo la tua anima!

– Dovrebbe tenerla in custodia mia madre.

– Quanto dista?

– A piedi, direi... una ventina di giorni.

– Che?! Ma io non ho un permesso per quaranta giorni!

– Dimentichi qualcosa...

– Ah! Le ali!

– Direi che in un giorno saremo lì.

– Bene. Dammi qualche minuto per chiedere al Direttore il permesso.

Afferrò la com-key e sparì nella stanza attingua. Digrignò i denti osservando i fianchi di lei ondeggiare ad ogni passo. L'immagine di quel corpo nudo sotto di lui era stampato a fuoco nella sua mente. Si passò una mano tra i capelli sospirando.

Lei non è mia. Già le ruberò una parte preziosa di lei, non posso anche essere così egoista da volerla solo per me.

– Nahash.

Erano quasi duemila anni che non sentiva quella voce. – Non vi sento da venti secoli e ora vi fate vivi nello stesso giorno. Così mi distruggete, Mitril.

L'Eternath, alla quale aveva conquistato innumerevoli città, apparve nella stanza. La semplice veste rossa ondeggiava spinta da una forza invisibile e ad ogni passo scopriva i delicati piedi della donna. I capelli neri raccolti in una corona di boccoli e gli occhi bianchi che brillavano d'innaturale gentilezza.

– Mi manda tua madre.

Lui rise. – Anche adesso non viene di persona e manda qualcuno in sua vece. E io che ho creduto che fosse cambiata.

– Ha saputo che vuoi tentare di rompere la maledizione...

– Ti prego, non dirmi che le importa qualcosa di me.

– La voce dolce divenne leggermente più dura. – Non ti permettere di parlarne così. È tua madre dopotutto.

– E tu non ti permettere di difenderla davanti a me. Che cosa ha fatto per me in questi duemila anni?

– Lei non lo sapeva.

– Vuoi farmi credere che Valeth ha fatto tutto a sua insaputa?

– Certo. E adesso vuole rimediare. Siamo andate a parlare con Zail.

– Z... Zail? –. L'Elin che controllava il destino.

– Se sconfiggi la maledizione, puoi tornare a casa.

– E... e i miei figli?

– Sai bene quanto me che anche noi abbiamo dei limiti.

Certo, loro non davano mai quello che desideravi davvero.

– Però dovrai restare in casa, lasciare il campo di battaglia, altrimenti rischieresti di sconvolgere il corso della storia.

– E dov'è il vantaggio?

– Sarai nel tuo tempo. In un mondo che conosci.

– Sai che scelta.

– Scegli con saggezza, mio generale.

– Nahash.

Alzò lo sguardo. Mitril era sparita, e Kyar lo guardava dall'uscio.

– Con chi parlavi?

Allargò le braccia e abbracciò la stanza. – Da solo.

– Okay. Il Direttore mi ha dato il permesso. Possiamo partire quando vuoi.

– Anche subito.

– Certo –. Si diresse all'ingresso. – Dobbiamo andare a prendere Ainon e poi possiamo partire immediatamente –. Aprì la porta e rimase bloccata.

Nahash la raggiunse alle spalle e vide Nad che li osservava dura in volto. – E voi dove vorreste andare?!

– Al Nord? – domandò esitante Kyar.

– Assolutamente no! Oggi è festa e voi dovete essere presenti –. Gettò un sacco tra le braccia di Nahash. – Tu mettiti questi e tu –, agguantò l'amica per il polso e la trascinò su per le scale, – vieni con me.

– Nahash! Salvami!

– Nahash. Chiudi la porta.

Tra il male e il male minore, scelse di chiudere la porta.

– Traditore!

L'urlo fu attutito dalla porta della stanza della ragazza.

Che ho fatto?

 

Ω

 

– Ti prego, non ti ho mai fatto nulla di male – gemetti.

– Cavolo, sono tre anni che hai l'età per partecipare alla festa. E ora ci andrai.

– Ma ti prego, non puoi farmi questo.

– Fila nella vasca.

– Yes, my lady.

Immersa nella schiuma, vidi Nad tirare fuori gli 'attrezzi'. Cera, strisce di stoffa, pinzette, pettini, spazzola, ferri, trucchi.

Si mise dietro di me, si bagnò le dita e cominciò a scogliere i vari nodi tra i miei capelli.

– Adoro i tuoi capelli, sono così lisci.

– Dici? Io trovo più femminili i capelli ricci, come i tuoi. Poi neanche il colore è granché.

– A me invece piace. Ti rende unica.

Finito il lavoro, passò il pettine tra le varie ciocche tirandole tutte all'indietro.

– Per fare un po' di chiacchiere, che ne pensi di Nahash.

– Oggettivamente, è una bella presenza.

– A questo ci arrivavo anch'io. Voglio sapere che ne pensi, soggettivamente, tu di lui?

Mi sentii le guance inondarsi di calore. – È uno stupido, vuole solo saltarmi addosso ed è un autentico pervertito.

– Però?

– 'Però' cosa?

– Dimmelo tu. Hai finito la frase come se ci fosse un però.

– Non c'è.

– Non prendermi in giro. Ti conosco mascherina. Hai un debole per gli uomini che sanno tenerti testa.

– È vero. Sa tenermi testa, è testardo come me, è dolce, premuroso ed è pieno di sorprese. Per esempio, ieri, accidentalmente, ho bevuto il Siero della Verità e gli ho proposto di farlo.

– E lui ti ha deflorato? – chiese ansiosa.

Giocai con la schiuma. – No. Mi ha messo a letto e mi ha stretta a sé tutta la notte. Poi stamane mi ha tirata giù dal letto e mi ha gettato nella doccia.

– Ah-ha.

– E mi ha lavato lui.

Tu gli hai permesso di vederti nuda e di toccarti?

– Sì.

– Bene, la cosa si fa interessante.

– Uff. Non abbiamo fatto niente. Però abbiamo scoperto come rompere la maledizione.

Quando finii di raccontarle cosa avremmo – avrei, io, medesima, me - fare Nadja spalancò occhi e bocca.

Tu e lui dovrete unirvi carnalmente per tutta la notte?!

– In pratica, sì. E dopo lui se ne andrà.

– Cosa?

– Farà fagotto e mi mollerà subito dopo.

– Ehi, come fai a dirlo?

– Andiamo Nad. L'hai visto. Potrebbe avere tutte le donne del mondo, non vorrebbe mai stare con una come me.

– Ma tu lo vuoi. Ti piace Nahash?

Sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma non le versai. – Disgraziatamente sì.

Nadja mi abbracciò le spalle. – Tu sei la donna migliore del mondo e se lui non lo capisce, allora è dimostrato che gli uomini sono tutti ottusi.

– Grazie Nad.

– Figurati. Sai però che t'invidio.

– Perché vivo con Nahash?

– Quasi. Riesci sempre a cavartela, nessuno ti può piegare o ferire, sei la persona più forte che io conosca. Se un'amica come te non esistesse dovrei inventarmela.

– Ti adoro.

– Anch'io. Forza che stai diventando una prugna cotta.

In piedi, fuori dalla vasca, Nad mi avvolse con un telo e cominciò a far sciogliere la cera.

– Solo le gambe? – domandai esitante.

– Non solo. Anche ascelle, inguine e tutto quello che le tue gambette nascondono.

– Tu. Mi. Vuoi. Morta.

Mi fece sedere sul letto con le gambe tese, mise sul polpaccio la cera, applicò bene bene una striscia e ne afferrò un lembo.

– Pronta? –. non attese risposta e strappò il tutto.

 

Ω

 

Le urla continuarono per quasi due ore. Quando smisero, Nahash cautamente salì le scale e bussò alla porta. Si affacciò la testa di Nadja.

– Ehm... Va tutto bene? È quasi ora di pranzo. Volete qualcosa da mangiare?

– Un'isalatona. Sai farla?

– Certo.

La ragazza chiuse la porta mentre lui si limitò ad andare in cucina e tirare fuori qualche verdura.

Con incredibile abilità cominciò a tagliare l'insalata, i cetrioli e le carote, poi fece il formaggio a cubetti e mise il tutto in tre tazze. Ne prese due, con altrettante forchette, e le portò al piano di sopra. Aprì di nuovo Nadja, prese le porzioni e richiuse subito.

Tornò al piano inferiore e indossò l'abito che era dentro il sacco. Sembrava una divisa militare, solo che era nera con i bottoni argentati. C'era inoltre una striscia di stoffa anch'essa nera, provò più volte a legarsela al collo e alla fine ci rinunciò. Mangiò la sua porzione e si allungò sul divano, chiuse gli occhi e si addormentò quasi subito.

 

Ω

 

– Ehi amico! Sveglia!

Nahash brontolò e aprì prima un occhio, poi l'altro. Sbatté le palpebre per abituarsi alla luce e si mise a sedere.

Nadja era in piedi davanti a lui con addosso una tunica azzurra dalle ampie maniche e i ricci capelli rossi lasciati sciolti. L'abito aveva una scollatura generosa che rivelava quel tanto di pelle lentigginosa da far sognare un uomo ed era stretto sotto i seni, mettendo in evidenza tutte le curve.

– In vena di conquiste? – le chiese.

– Certo, però tu dovrai tener d'occhio un'altra persona –. Andò vicino alle scale e gli fece cenno di seguirla.

Quando la raggiunse, lei alzò la testa ed esclamò: – Dai scendi.

Una dea gli apparve davanti agli occhi e Nadja sogghignò. – Chiudi la bocca che ci entrano le mosche.

 

 

Per capirci: le Elin sono in sintesi le Parche o Moire, che controllano il destino degli uomini

Ho scoperto che vuol dire Nahash, è ebraico e significa 'serpente'. Non è per quel motivo! Okay, per metà lo è...

E dopo mesi di astinenza ritorna!!! perdonatemi, ma lo studio mi risucchia tutta la voglia di fare. Mi sedevo davanti al computer e m'imponevo di finire il cap, scrivevo due righe e piantavo lì.

*folla urlante con forconi e torce* non vogliamo le tue scuse. Vogliamo farti le pelle

*si nasconde dietro N* no, salvami.

Perché dovrei? Mi tratti sempre male.

*presa da un raptus lancia N tra la folla e aumentano così gli stupri delle donne sugli uomini*

*N cerca di salvarsi* non è giusto!! perché a me?!

È il sogno di ogni uomo, no? Tutte le donne che gli cadono ai piedi e che non pretendono nulla da lui se non il suo corpo.

Non il mio. Io voglio una moglie, una casetta bianca, due marmocchi e forse un cane.

… -.-''

va bene, deliri off. Dato che Natale è passato vi auguro buon anno! E non dimenticate l'intimo rosso per un anno di fortuna. Anche Kyar dovrebbe avercelo.

*N col sangue al naso* ha l'intimo rosso?! Dove?! Dove?! Dove?!?!

no! non ce l'ho!

Uff. peccato.

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