Del genio e del bambino

di Kimmy_90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


itachi kakashi


[Warning]

 Questa storia è un prequel / spin-off della long-fiction (very long) "Naruto – I Frutti dell'Oblio", e infatti fa parte della serie "Cristallo di Sale". Per quanto, essendo un prequel, non fa forte riferimento agli avvenimenti di quella storia, si basa sulla società in essa descritta, e questo potrebbe portare qualche difficoltà ai lettori nuovi di questo mondo. Farò comunque in modo che sia fruibile anche a chi non legge I Frutti dell'Oblio, però a volte potrei omettere delle cose. In linea generale consiglio almeno di leggere la prefazione de I Frutti dell'Oblio, e, alla peggio, potete chiedere delucidazioni via posta interna o recensione. Ovviamente l'ideale sarebbe leggere la storia madre, ma dato quanto è lunga, posso capire che preferiate evitare xD








Capitolo 1





Non era quella la prima volta che lo vedeva, no: qualsiasi Magister aveva nozione della sua esistenza.
Certo, però, che a osservarlo così da vicino sembrava tutta un'altra cosa.
Non sapeva bene perché, ma la sua sensazione al riguardo era di stranezza.
Strano.
Ma dopotutto, se non era strano lui, non era strano nulla. Nulla poteva essere strano, al confronto.
Nel paradosso, che fosse anormale era normale.
Altrimenti non si sarebbe spiegato praticamente niente.

Dopo averlo scrutato per qualche istante dalla porta, Kakashi decise di entrare.
Il bambino rimaneva seduto, senza alcun movimento che non fosse il suo stesso respiro: guardava in basso. Aveva un volto femminile, la pelle liscissima e pallida, le labbra sottili e due grandi occhi neri.
Neri in modo inaudito.
E sembrava fragile.
Kakashi si ritrovava con una certa difficoltà a far coincidere quello che quel bambino era con quello che appariva. A vederlo così, veniva in mente una sola possibilità: Philosophus.
Sembrava troppo esile per essere un futuro Custos.
Sembrava troppo esile anche per il Ludus.
O forse, Kakashi pensava così perché quel bambino era piccolo: e lui non aveva avuto spesso a che fare con bambini così piccoli.
Il Rector sorrise.
"Buon giorno."

Itachi scivolò flemmatico giù dalla sedia e si volse verso l'uomo – o forse sarebbe stato meglio dire ragazzo –, portando la mandritta chiusa al petto, in attesa che quello iniziasse il saluto. Nel compiere il gesto, praticamente automatico, il bambino si rallentò: c'era qualcosa che non andava.
Osservò il ragazzo cercando di nascondere la sua perplessità: ma non riuscì a non sollevare un minimo le sopracciglia.
Il bambino si sentiva... squilibrato.
E non serviva essere geniali per capire che quella sensazione di asimmetria derivava dalla benda scura che occultava l'occhio sinistro dell'altro.

Il Rector continuò a sorridere.

Itachi rimaneva immobile, con il pugno al petto, e in attesa. E nell'attesa, continuava a osservare il ragazzo: più osservava quel volto, più la sua parte destra del corpo gli si faceva sempre più pesante.
Alla fine fece un respiro più profondo degli altri, cercando di non farsi trascinare verso il basso da quel peso squilibrato che sembrava materializzarglisi in corpo dal nulla.

Kakashi mise le mani in tasca.

Itachi levò le sopracciglia ancor di più.

"Allora, come ti chiami?"
"Itachi."
"Bene."

Il bambino stava ancora aspettando di poter compiere il saluto, ma Kakashi perseverava con le mani tuffate nelle tasche dei pantaloni scuri.
Dopo altri istanti di silenzio, il Rector tornò a parlare.
"Io mi chiamo Kakashi. Sono stato nominato tuo tutore."
Itachi non mosse un muscolo.
Voleva fare il saluto.
Doveva farlo.
Perché quello non lo salutava?
"Io sono un Rector, comunque. Non so se ne hai mai incontrato qualcuno –– ma tu ormai sei fuori dal sistema, no?"
Il bambino sembrò annuire. Ma non troppo.
"Sei un elemento raro, Itachi. Questo lo sai, vero?"
Annuì con più convinzione.
"Dimmi, quanti anni hai?"
Eppure il suo colletto verde era più che visibile, dal collo a v del maglioncino scuro.
Itachi rispose lo stesso, ignorando deliberatamente il nonsense di quella domanda. "Nove."
"E fra quanti giorni ne compirai dieci?" domandò il Rector, spostando il peso da una gamba all'altra.
Kakashi se ne stava, in piedi, quasi comodo, più che sciolto: Itachi non aveva ancora rilassato un singolo muscolo del suo corpo. Teso come una corda di violino, ma affatto tremante, continuava ad aspettare che l'altro facesse il saluto di rito.
Niente.
Il bambino rimase in silenzio per qualche secondo, facendo due conti: non era una di quelle cose che aveva perfettamente a memoria, il suo compleanno. E per lui, in particolar modo, non aveva poi molto significato: l'età non gli era stata mai e in nessun modo un limite, se non per l'entrata al Ludus.
"Centottantasette giorni."
"Sei mai stato al fronte, Itachi?"
"Una volta."
"Quanto tempo fa?"
"Novantuno giorni fa."
"Per quanto tempo?"
"Sedici giorni."
"Cosa hai fatto?"
"Ricognizione sul campo e lezione."
"Con chi?"
"Un Custos di nome Ebisu."
"Bene."
Itachi rimase silente e immobile. Nella stessa, immutata, posizione. Kakashi lo guardava, forte di un solo, unico occhio sottile e apparentemente stanco. Lasciava che il tempo passasse, che il silenzio si facesse tanto denso da dare fastidio. Sia a lui che al bambino.
Ma a lui solo spettava il diritto di interrompere quel mutismo: Itachi se ne sarebbe rimasto in silenzio per giorni interi, se nessuno lo interpellava.
"Metti giù quel pugno, Itachi. Decido io quando fare il saluto."
Itachi obbedì, ma con la fastidiosa sensazione di chi si è lasciato uno sbadiglio a metà.
"Fra un mese esatto – trenta giorni – andrai sul fronte, per combattere. Da quanto non frequenti le lezioni ordinarie?"
"Da più di un anno. Trecentottantacinque giorni. L'esame di fine anno per la mia terza stella."
"Non hai più le stelle, tu, vero?"
"No."
"Lo sai il perché?"
"Perché sono migliore degli altri."
"Di molto." sottolineò Kakashi. "Quello che voglio, Itachi, è che tu ti renda conto che sei un vettore di estrema importanza per questa Regio. Di bambini come te ne nascono molto pochi: ci servi, Itachi."
Itachi annuì.
"E tu servirai la tua Regio come ti spetta di diritto e di dovere, vero?"
Itachi annuì di nuovo.
"Parla, Itachi."
"Sì, Rector. Servo la Regio come tutti, e poiché posso farlo meglio di molti, lo farò meglio."
Trapelava un certo orgoglio, da quelle parole. L'orgoglio di essere geniali era una cosa buona, ma poteva anche essere un'arma a doppio taglio. Bisognava mettere Itachi a suo agio, ma non convincerlo di essere un dio. Se era migliore degli altri era un puro caso: ciò che importava era come sfruttava le sue capacità per la Regio. Ognuno, nella Regio, faceva al meglio ciò che poteva: lo facevano gli Agricolae, i Mercanti, i Bellatores e i Custodes; la Regio scremava la popolazione, affidando compiti adatti a persone adatte. Ognuno aveva il diritto e il dovere di fare ciò che era stato chiamato a fare. Poco di più, e, soprattutto, niente di meno.
"Bene. Chiamami Kakashi, per cortesia. Sei fuori dalla didattica classica."
"Sì, Kakashi."
Itachi era chiamato a fare moltissimo. Kakashi lo sapeva: lo aveva provato sulla propria pelle, cosa significava essere al di fuori della didattica classica. E Itachi era ancora più piccolo di quanto non lo fosse stato lui quando il suo genio era divenuto cosa ufficiale.
Tsunade non era una sprovveduta, ad affidarglielo.
Decisamente no.
"Allora –" con un respiro profondo, il Rector estrasse le mani dalle tasche e le portò ai fianchi. "Domani il sesto anno inizia le lezioni. Cominciano alla prima ora del mattino, al poligono di tiro, e domani li porto lì per la prima volta, mentre fanno il solito riscaldamento a cui erano abituati gli altri anni. Tu hai mai usato un'arma che non sia un'arma bianca, Itachi?"
"No."
"Ne hai mai vista una?"
"Sì."
"Dove?"
"Al fronte. Coi Custodes."
"Di che tipo?"
"Armi da fuoco, principalmente. Ma anche altre. Molto strane, non saprei dare una buona definizione senza descriverle a fondo."
Kakashi annuì.
"Bene. Domani, alla prima ora del mattino, sarai al mio seguito. Per 'al mio seguito' intendo che dovrai sempre stare in un raggio di massimo tre metri da me, a meno che io non ti ordini di allontanarti. Mi seguirai quando guiderò la fila indiana verso il poligono, e sarai il secondo della fila subito dopo di me. Da dopodomani in poi dovrai essere lì alla prima ora come tutti gli altri ragazzini del sesto anno. Hai capito?"
"Ho capito."
"A te si applicano le stesse identiche regole e punizioni che si applicano alle sei stelle, ma quelle le sentirai domani. In linea preventiva, non parlare con nessuno di loro di armi, del poligono, e di qualsiasi altra cosa loro non conoscano. O distruggi il lavoro di un quinquennio, sappilo."
Itachi annuì. "Non parlerò con nessuno del sesto anno, Kakashi."
Il Rector storse la bocca, lontanamente perplesso. "Non intendevo essere così lapidario." precisò, sospirando.
"Ma dato che non so quali informazioni loro conoscono e quali no, per ridurre al minimo il danno è meglio che io non scambi parola con loro. Non avevo, comunque, alcuna intenzione di farlo."
Kakashi annuì lievemente. D'altronde, cosa poteva dire un bambino di nove anni, geniale, alle sei stelle? Non molto. Non avevano nulla da spartire.
Kakashi se lo ricordava, cosa voleva dire essere al di fuori della didattica: perdere definitivamente quel poco di contatto con altri esseri umani che c'era al Ludus. Iniziare a lasciar scivolare via il concetto di fratellanza.
Essere soli.
Più soli di quanto già non si fosse.
Kakashi tentò di sorridere.
Tsunade era decisamente... Tsunade. Stava dimostrando di gestire quella situazione estremamente anomala ed unica in un modo eccelso. Non passava giorno che la stima di Kakashi nei confronti della Philosophus non si accrescesse.
"Va bene, Itachi. Fai pure come preferisci."
Solo allora Kakashi si decise a portare il pugno destro al petto: batté, poi aprì la mano, e con il palmo batté più forte. "Ignis Regionibus."
"Patriae Frates, Fati Frates!" rispose Itachi, a voce alta e ripetendo il gesto del Rector con forte convinzione.
Kakashi sentì i colpi potenti, e solo allora, nel suono che il corpo così apparentemente fragile di Itachi produceva sotto quei colpi alla cassa toracica, si rese realmente conto di quanta energia compressa contenesse quel bambino.
Nel saluto vedi la persona, aveva sempre pensato Kakashi.
E Itachi gli era presentato in quel saluto: piccolo, potente, un po' orgoglioso della sua posizione, e decisamente devoto. Devoto sembrava proprio la parola adatta da usare: Itachi era rispettoso, trapelante ordine ed educazione – educazione del Ludus.
Devoto ed educato.
E un po' solo.
Come tutti loro.
"Prima di lasciarti andare, Itachi, voglio chiederti una cosa."
Il bambino annuì.
"Cosa vuoi fare da grande?"













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*compare da una nube di fumo* ciao gentaglia :D
non guardatemi così, da bravi. lo so che sono fuori di testa.

Mi mancavano tanto questi personaggi in questo mondo che alla fine non ho resistito – e dato che l'ideuzza mi è venuta un po' a caso... perché no? Avverto sin da subito che non garantisco niente sulle sorti di questa specie di spin-off / prequel. Non dovrebbe stare oltre i 10 capitoli, e comunque sapete abbastanza bene come va a finire la storia. Quindi mi diletterò nello scriverla, e cercherò di finirla, ma non lo prendo come impegno sacrosanto com'era stato per i Frutti dell'Oblio.

Spero che gradiate.
Ah, per la cronaca, facendo due conti qui Kakashi si aggira sui 20 anni, per quello saltello dall' "uomo" al "ragazzo". Inoltre il titolo è volutamente ambiguo nei riferimenti, un po' come in "About a boy" che non si capisce chi è effettivamente il 'boy'. Qui la cosa è quadrivalente xD

E' molto interessante questa parte della storia. In fin dei conti è uno dei punti più rilevanti, no? :)










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Capitolo 2
*** 2 ***


2

Capitolo 2




'Cosa vuoi fare da grande?'
Era una domanda.

Almeno lo sembrava.

Itachi rimase immobile dov'era, forse ancora più immobile di quanto non fosse stato sino ad allora. Teneva lo sguardo incollato su Kakashi, in un'espressione di totale perdimento: il giovane Rector si ritrovò, a disagio, con quegli occhi neri addosso – che parevano improvvisamente essersi fatti vivi.
Itachi non capiva assolutamente quella domanda.
Nessuno, al Ludus, avrebbe potuto capire a fondo quella domanda.
Ma Itachi sembrava seriamente sgomento nel non capirla, e sebbene continuasse a mantenere un volto imperturbabile, dal suo sguardo pareva gli fosse mancato il fiato ed il terreno sotto i piedi.
Kakashi storse le labbra.
Forse aveva fatto una domanda stupida.
Forse aveva fatto una mossa stupida. Va bene ch'era geniale, ma non così al di fuori dalla 'didattica classica', pensò il Rector. Si strinse nelle spalle, in un gesto di noncuranza.
"Non importa, Itachi, non serve che mi rispondi adesso." cercò di parare il colpo.
Itachi non mutava espressione. A momenti Kakashi poteva dire di sentire l'elaborare della sua testa.
"Dai, lascia stare. Se vorrai un giorno mi risponderai, non c'è fretta. Oppure puoi non rispondermi per niente."
Ma il bambino non dava segno alcuno.
Alla fine schiuse le labbra sottili, e si pronunciò: "Io servirò sempre la Regio.", concluse.
Ed ora il suo sguardo pareva cercare supporto a quella sua affermazione.
E' la risposta giusta, no? – chiedeva.
Kakashi sorrise lievemente.



***


Nei primi giorni in cui Itachi si mescolò al sesto anno, composto di ragazzini undicenni, dodicenni ed un paio di tredicenni, sembrò uno di loro. Non fosse stato per la statura, e sorvolando sul suo essere taciturno – non troppo notabile, in fin dei conti, dato che non c'era molto da parlare al poligono di tiro –, sarebbe passato per uno delle sei stelle.
Ma Itachi non aveva stelle, e questo iniziò a notarsi fin troppo presto.
Kakashi accettò la cosa con un certo disappunto, e con disappunto verso se stesso scoprì di provare disappunto.
Le mani ai fianchi, l'alba di fronte e un centinaio di ragazzini intenti a sparare, il Rector sospirò. Itachi, poco più in là, sparava con la calibro 45 assieme a tutti gli altri: era un'arma potente, la calibro 45, una pistola vissuta ed ormai perfezionata oltre ogni limite, che i Bellatores prendevano in mano appena a sedici anni, dopo anni di tirocinio con calibri minori. Ai ragazzini del Ludus, futuri Custodes e Philosophi, veniva data a undici-dodici anni, senza che mai avessero visto una pistola in vita loro: in meno di cinque giorni quei ragazzini imparavano ad usarla meglio dei Bellatores. Così era e così doveva essere.
A Itachi la calibro 45 venne data in mano a nove anni.
Itachi, in due giorni, sparava con un'agilità sconcertante ed una mira più che sorprendente.
Itachi era sproporzionato, piccolo per quell'arma, e ad ogni colpo Kakashi vedeva la fatica che faceva per trattenere il rinculo.
Itachi sudava il doppio degli altri.
E per bilanciare, senza che nessuno gliel'avesse suggerito, alternava le due mani in un esercizio di perfetta ambidestria.
Intanto, di giorni ne erano passati dieci.
Kakashi sospirò nuovamente, levando la mano di modo che i ragazzini smettessero di fare fuoco.
"Basta così. Andate a fare colazione. Itachi, vieni qui."
I ragazzini, sfiatati, obbedirono – sciamando via. Quando Itachi raggiunse Kakashi, il Rector si flesse sulle ginocchia e lo fissò negli occhi. Il bambino, ormai, si era abituato allo sguardo dell'unico occhio del ragazzo, ma ancora mal sopportava l'asimmetria quando questo lo scrutava per minuti e minuti di fila. Esattamente come stava accadendo ora.
Ad un certo punto Kakashi levò indice e medio verticali, e li mosse davanti al volto del bambino. "Segui le dita."
Itachi seguì le dita.
Il Rector sospirò per l'ennesima volta. Si sporse ancora più in avanti, aprendo per bene le palpebre di Itachi e scrutandone gli occhi: prima uno, poi l'altro.
"Bene. Andiamo a mangiare?"
Itachi annuì lievemente.
I due si incamminarono verso il refettorio.


"Questo pomeriggio andremo nella SubSphaera."
Itachi annuì da dietro la tazza di latte caldo.
Kakashi aggrottò le sopracciglia perplesso. "Sei già stato nella SubSphaera?"
Il bambino posò la tazza e si pulì le labbra per rispondere. "Solo per prendere l'Effluxum, Kakashi."
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, guardandosi attorno. La mensa era praticamente vuota – potevano parlare liberamente, lì. Itachi lo aveva capito dopo qualche giorno, che si ostinavano ad arrivare al refettorio in ritardo per non avere gli studenti del Ludus nella sala a rischiare di origliare conversazioni che non avrebbero dovuto sentire per anni. Ma non era solo quello, in realtà: Kakashi vedeva lo sfinimento sul volto di Itachi ogni mattina, e, memore di cosa significava fare il triplo di quel 'tantissimo' che già fa uno studente del Ludus, aveva deciso che era meglio dare al bambino modo di riposare – piuttosto che rischiare di vederlo, un giorno, crollare sfinito a terra senza alcun preavviso.
A Kakashi era successo.
Aveva undici anni ed era al fronte da mesi: gli facevano fare di tutto, sfruttando ogni istante di calma per continuare ad addestrarlo. Dormiva tre ore al giorno.
Finché non crollò. Letteralmente.
Non era stata un'esperienza carina.
"Sei stanco, Itachi?" domandò il Rector, ripensando a quell'evento.
Itachi fece di no, tornando a bere il latte.
"Ti sei riposato abbastanza?"
Il bambino fece di sì.
Kakashi sprofondò nella sedia, afferrando la sua mela ed iniziando a prenderla a morsi.

"Buongiorno – !" tuonò, qualche minuto di silenzio dopo, una voce potente e femminile.
Kakashi sussultò, voltandosi sconcertato verso Tsunade, che si era appena buttata sulla sedia accanto a lui, lasciando cadere violentemente le braccia sul tavolo.
"Cos'è questa fiacca?" domandò la donna, in camice da Medicus, osservando i due.
Itachi, flemmatico, si limitò ad alzare i gomiti dalla tavola per non subire il contraccolpo, scrutando Tsunade da dietro la tazza.
"Kakashi, ti ho fatto una domanda." insistette lei.
"Non saprei bene cosa rispondere, Tsunade." si limitò a dire il ragazzo, storcendo le labbra. "Cosa ti porta qui?"
"Controllo." rispose lapidaria.
"Controlli..?"
"Sì, e Noto che non state facendo Niente."
"Stiamo facendo colazione, Tsunade." rispose il ragazzo, con lieve ovvietà.
Era piuttosto difficile per lui bilanciare il rispetto che provava per Tsunade con il suo temperamento belligerante ed esplosivo. Kakashi era convinto di stare facendo la cosa giusta, con Itachi: doveva resistere ai continui attacchi della donna, che avrebbe voluto vedere la sua creatura fiorire nel minor tempo possibile. Il Globus non aspettava altro, d'altronde.
"Sai che ora è, Kakashi?" domandò la donna, retorica.
"Siamo nella seconda ora del mattino." rispose quello, placido.
"Già." ringhiò Tsunade. "Le lezioni sono iniziate, e voi state facendo colazione."
"Non ti preoccupare, Tsunade. Adesso andiamo a fare lezione anche noi."
"Il fatto che Itachi non frequenti le lezioni collettive non significa che non debba rispettare gli orari, Kakashi – " questa volta la donna sembrava più soffiare che ringhiare: "Dieci giorni e già mi sto pentendo di avertelo affidato."
Kakashi guardò il soffitto con il suo unico occhio, per poi tornare verso la donna "Per favore, Tsunade, fidati di me."
"Fidati di me? Ma senti come parli, Rector dei miei stivali?"
Itachi notò Kakashi sembrare farsi più piccolo.
La cosa lo lasciò perplesso.
"Domando scusa, Tsunade. Però –"
"Però?" lo interruppe lei.
Il ragazzo sospirò.
"Anche se è un genio, è un essere umano. Ha bisogno dei suoi tempi, non possiamo strapazzarlo. E poi con la mensa vuota si può parlare senza dover sempre controllare che non ci siano altri allievi ad origliare."
La donna si esibì in un mph decisamente infastidito. Poi, di colpo, si sporse sul tavolo, avvicinandosi al bambino. Itachi poggiò immediatamente la tazza non appena vide quella incombere su di lui.
"Avvicinati, tu."
Itachi si sporse lievemente in avanti, con un fare piuttosto titubante. Kakashi, mentre osservava la scena con l'occhio sopravvissuto, si portò una mano alla benda scura.
"Non toccare." Lo ammonì la donna, notando il suo gesto con la coda dell'occhio. Il ragazzo fece ricadere il braccio lungo il fianco, levando nuovamente l'occhio sano al soffitto.
"Sì, Medicus." mormorò quello, trattenendo un sorrisetto divertito.
"Allora, come va? Fermo." La donna si mise ad esaminare gli occhi di Itachi, estraendo una piccola torcia dalla tasca del camice e puntandogliela addosso.
Itachi si lasciava strapazzare cercando di non dar fastidio al Medicus in visita improvvisata – ad esempio, chiudendo gli occhi quando veniva investito dalla luce della lampadina. Itachi conosceva Tsunade: gli ronzava attorno da un paio d'anni, ormai. La donna ce l'aveva principalmente con i suoi occhi, e il bambino non aveva un'idea chiara del perché.
L'unica cosa che sapeva era che vedeva molto meglio degli altri.
E tutti se n'erano accorti.
"Guarda in alto."
Itachi guardò in alto.
"Guardami negli occhi, adesso."
Itachi la guardò negli occhi.
"Bene."
Bene, pensò Itachi.
"Prima che lo porti al fronte devo fargli una visita completa."
"Va bene." rispose Kakashi
"Mi serve un giorno intero."
"Va bene."
"Inizia a portarmi un po' più di rispetto, Kakashi." sibilò, tagliente.
"Io ti rispetto, Tsunade." rispose il ragazzo, pacato.
"Sì. Certo." Con la stessa irruenza con cui era comparsa, la donna si alzò per andarsene. "Ragazzino, fai in modo che io abbia dei validi motivi per fidarmi di te, se vuoi che mi fidi." Continuò, verso il Rector "Andate a fare qualcosa di produttivo."
"Va bene, Tsunade."
Itachi scrutò il tutore, sul quale volto continuava a comparire un fantasma di sorriso. Di colpo si sentì qualcosa sulla testa, per poi realizzare che era la mano della donna intenta a scompigliargli i capelli. Prima che potesse voltarsi a guardarla, quella si era già incamminata verso l'uscita della mensa, a passi talmente lunghi che pareva stare fluttuando sul terreno, in volo.
Kakashi si alzò dalla sedia, facendo cenno al bambino di seguirlo.
"Andiamo a fare qualcosa di produttivo."


***

Andarono a fare qualcosa di produttivo.

Facevano solo cose produttive, per quello che riguardava Kakashi. Che doveva passare il tempo a prestare attenzione alle incursioni di Tsunade, intenta più che mai a sorvegliare la sua creatura da vicino.
Il salone d'addestramento della SubSphaera, la parte interrata della Sphaera, era caratterizzato dalla quasi assenza di luce. Lì Kakashi doveva far allenare Itachi assieme ai ragazzini del Secondo Ciclo – che avevano dai dodici ai quattordici anni: sparavano, combattevano, ed iniziavano a fare simulazioni di azioni sul campo. Tutto nel semibuio.
Quella era la punta della piramide sociale del Ludus, almeno per quanto riguardava gli studenti: era l'ultimo passo per diventare Custodes – a livello nominale, già lo erano: da lì, i ragazzini andavano in guerra. E lì, nella SubSphaera, vivevano i Custodes.
Quello era il loro mondo.
No, non era quello.
Il Fronte lo era.
Quello era un passaggio, dall'infanzia all'età adulta, dallo studio all'applicazione – per i Custodes, da una battaglia all'altra, per riposarsi e riprendersi prima di tornare ai confini.
Kakashi voleva bilanciare i vari allenamenti di Itachi con le lezioni teoriche ed un giusto riposo – dovendo anche addestrare, di mattina, le sei stelle al poligono di tiro.
Non era facile.
Iniziava a domandarsi se sarebbe riuscito a fare tutto.
E se sarebbe riuscito a farlo bene.
Ma lui era Kakashi.
Doveva riuscire a fare tutto, e a farlo molto bene.

Scesero nella SubSphaera quel pomeriggio: il Rector ci mise un po' a riabituare gli occhi a quella minima luce che c'era nell'enorme salone, mentre Itachi non riusciva a vedere altro che nero.
Nero.
Nero.
Nero.
"Non vedo niente, Kakashi." non si stava lamentando, si limitava a comunicare al ragazzo la sua situazione.
"Segui me."
"Va bene."
L'unica cosa che poteva vedere Itachi erano macchie azzurrine che si muovevano nella sala. E quella più vicina, Kakashi, che sembrava rilucere con più forza delle altre.
Camminarono attraverso il salone: più il tempo passava, più il bambino iniziava ad abituarsi al buio, ed alle macchie azzurrognole iniziavano a sovrapporsi le immagini di persone.
Custodes.
"Jiraiya." chiamò Kakashi.
Un uomo si avvicinò a loro. Un uomo che, più si avvicinava, più diventava grande – in tutto: statura e lucenza.
Itachi si era sempre domandato cosa fosse quella luce azzurrognola che, a comando, riusciva a vedere sprigionarsi dalle persone. Dopo aver visto gente d'ogni sorta, dai bambini più piccoli a Kakashi, aveva iniziato a farsi un'idea al riguardo.
"Salve, Kakashi." tuonò l'uomo, in una voce profonda. "Che fai qui? Problemi con le consegne che mi hai passato l'anno scorso?"
Kakashi lo guardò di traverso.
"Il bambino di Tsunade."
Jiraiya sembrò levare le sopracciglia, sconvolto. "... Cosa?"
"Itachi." Specificò, prima che il Custos che aveva di fronte iniziasse a farsi idee inadatte.
"Ah, già, quello. Mi sembrava, Tsunade non ha figli – " mormorò, più fra sé e sé che rivolto al Rector " non ha il tempo di fare figli – e anche se fosse... e comunque le avevo chiesto..." abbassò il tono di voce progressivamente, sino a tacere.  "Il bambino, Itachi." riesplose, di colpo. "Già alla SubSphaera lo portate? Tsunade mi aveva detto di averlo affidato a te."
"Sì."
"Lo portano al fronte qualche giorno prima dei miei, vero?"
Il ragazzo annuì. "Ce l'hanno già portato."
"Ma non come Custos."
Solo allora l'uomo, altissimo e con una chioma albina d'esagerata lunghezza, calò lo sguardo verso Itachi. "Mi sembra un po' fragilino." commentò infine.
"Un buon motivo per non darlo ancora in tutorato a te."
Jiraiya incrociò le braccia al petto, continuando a scrutare il bambino.
"Sei fragilino?" gli chiese.
Itachi, ch'era il più serio fra i tre, rispose atono: "No."
Per qualche strano motivo tutta quella serietà e distinzione accumulata in un nanetto del genere non suscitò alcuna ilarità nell'uomo.
"Vedremo."
"Deve allenarsi anche qui, ma io non possiedo ancora il dono dell'ubiquità." fece il Rector, metodico.
"E..?"
"E quindi non uccidermelo nelle due ore in cui non veglio su di lui. Sai quanto è importante per la Regio."
"Me lo stai scaricando?" domandò l'uomo, scocciato.
"Tu non sei un fan dei geni, vero?"
"No. Basta vedere te. Io sono venuto su molto meglio seguendo il percorso tradizionale."
"Così vuole il Globus. Prenditela con loro."
"No, me la prendo con te che me lo sbatti qua giù dopo – quanto? Un mese al poligono?"
"Dieci giorni."
"Dieci giorni? Scordatelo, te lo ammazzano."
"E' Itachi." specificò Kakashi. "Dì, perché non vai a dire direttamente a Tsunade che glielo ammazzano? Vedi poi che fine fai."
"Già... Ehi, bambino."
"Sì." Fece Itachi, sull'attenti.
Jiraiya tacque, scrutandolo attraverso la penombra della SubSphaera.
Itachi, nel mentre, aveva ascoltato. Più che ascoltato, aveva guardato: era molto più interessante. Aveva notato le chiazze azzurrine che emanavano i due oscillare ed espandersi man mano che parlavano, a seconda del tono di voce e di ciò che dicevano. E non solo: aveva notato che, se quella di Kakashi era molto luminosa, quella di Jiraiya era a dir poco poderosa.
La sua tesi era praticamente confermata: quella che vedeva era energia, chiaramente un qualcosa connesso alla persona e al suo animo. Più era luminosa, più uno era... 'forte' era un termine inadatto. Energetico era l'unica cosa adatta da dire, per quanto male suonasse.
Interessante, pensò Itachi.
"Ti rispedisco al mittente appena ne ho voglia, sappilo. Qui sotto si fanno le cose serie, non è il parco giochi di sopra."
"Sì." si limitò a rispondere il bambino.
"A te si applicano le stesse regole di quelli del secondo ciclo. Siamo chiari?"
"Sì."
"Le conosci le regole?"
"Sì."
"Gliele hai dette tu, Kakashi?"
"Sì." rispose il ragazzo. "Per non rischiare, sai com'è con te."
Jiraiya schioccò la lingua sul palato, passando lo sguardo dal Rector al bambino.
Il bambino di Tsunade.
La sua creatura. La Philosophus aveva scommesso anni di studi su di lui. Era un... prototipo...? No, di più. Era la chiave per il futuro.
Itachi doveva funzionare.
Ancora non capivano se il fatto che fosse un genio era connesso o meno al potere che Tsunade gli aveva instillato ed alla caratteristica genetica che gli permetteva di ospitarlo – quegli occhi, di cui molti pochi conoscevano il potere, e di cui comunque si sapeva molto poco: solo lui, Itachi, sapeva davvero cosa vedeva, come vedeva, cosa cambiava. E forse non aveva ancora ben chiaro che era merito di Tsunade se poteva farlo.
Itachi doveva funzionare – si ripeteva Jiraiya nella mente.
Farò funzionare Itachi, concluse.
"Ha un'arma?"
"Per ora usa la calibro 45, non ne ha provate altre."
"Intendi dargliene una? E' il tuo lavoro, dopo tutto."
Kakashi si strinse nelle spalle. "Non so."
"Non sai. Complimenti."
"Fagli usare quello che vuoi, qui giù, Jiraiya. Dobbiamo capire ancora a fondo cosa può fare – e in che modo può farlo meglio. Di sicuro, un suo punto di forza è la mira."
"La mira." ripeté Jiraiya.
I due tacquero, Itachi sempre intento, sull'attenti, a scrutarli dal basso.
"Andate via, adesso. Itachi, ti voglio qui alla prima ora del mattino, ogni giorno, finché non partirai."
"Sì."
"A meno che io non ti lanci fuori a calci."
"Sì."
"Piantala di dire ."
Itachi annuì, imperturbabile.
















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Per chi mi conosce, sa che aggiornamenti così repentini sono dovuti alla mia produzione che ha un ritmo di esponenziale decrescente X°D quindi durerà per poco.
Mi sto divertendo anche ad aprofondire Jiraiya e Tsunade, specialmente nel loro rapporto, che ne i Frutti dell'Oblio avevo solo accennato e diciamo che 'traspariva' ogni tanto, ma non era mai stato ben chiarito. Anche perchè la società che ho costruito mi fornisce un paio di spiragli carini per approfondire quali possono essere i rapporti fra adulti nella loro posizione in un mondo del genere.
*si stropiccia le mani* oh sìsì, mi divertirò molto. Io. Voi non so <.<' ma spero di sì :) magari non 'divertirvidivertirvi', ma aprezzare.. u.u'' vedremo.

@Rekichan:
^^' spero di non deluderti, davvèr >.<' fra l'altro volevo proprio presentarla come Chrismast PresentO per i miei fidi seguaci (?), ma mi sembrava pretestuoso xD poi non saprei nemmeno bene come poter segnalare meglio questa storia ai vecchi lettori oltre a metterla nella stessa serie e scriverlo nell'intro... apparte mettersi a fare spam violento, ma non mi piace molto come idea.
Bhe, buona lettura u.u' sperando sia effettivamente buona. Non ho mai scritto un prequel. Non ho mai Pensato di avere Occasione di scrivere un Prequel, dato che necessita di un se-pre-quel come condizione necessaria e non sufficiente X°D

Gente, la fisica mi sta rendendo una persona orribile. Devo iniziare a scrivere store su The Big Bang Theory. Che poi non capirebbe nessuno.
X°D

Dopo questo svarione, vi saluto del tutto.
Bhaibhai :D







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Capitolo 3
*** 3 ***


tre


Capitolo 3




" 'Il bambino di Tsunade.'   Fa un po' impressione, a sentirlo così."
La Philosophus non scostò di un millimetro lo sguardo, incollato alle carte che stava esaminando. Jiraiya, poggiato con le braccia incrociate alla porta dell'ambulatorio, osservava quasi divertito la donna.
"Vai via, Jiraiya. Devo fargli almeno dieci esami, oggi — e mi manchi solo tu tra i piedi."
"Devo parlare con Kakashi."
"Aspettalo fuori dall'ambulatorio. Mi distrai."
L'uomo storse le labbra, scuotendo il capo. "Va bene, come vuoi." Si scostò, voltandosi per aprire la porta. Tsunade sbuffò, chiudendo il fascicolo di Itachi.
"Jiraiya." lo chiamò, prima che questo riuscisse a varcare la soglia. "Ne parliamo dopo."
Il Custos levò le sopracciglia, perplesso. "Ah. Ne parliamo?" Domandò, quasi stesse omettendo un 'ma davvero?' sarcastico.
"No, ho cambiato idea." rispose inacidita la donna, fulminandolo con lo sguardo. "Sparisci, Agricola."
Jiraiya si chiuse la porta dietro le spalle, con un ghigno divertito. "Mai quanto te."
"Jiraiya!" ringhiò quella — "Ancora un insulto e giuro che ti denuncio! Vediamo se ti ricordi ancora che sapore hanno le frustate!"
L'uomo non rispose, allontanandosi lungo il corridoio.


A furia di camminare su e giù, nel disperato tentativo di evitare la porta dell'ambulatorio da cui era appena fuggito, Jiraiya finì per incrociare Itachi e Kakashi all'entrata della palazzina. Il bambino procedeva affianco al ragazzo mantenendo, con il passo più lungo e rapido possibile, l'andatura che gli imponeva il tutore: nonostante camminasse velocemente, non mostrava alcun disagio e manteneva il busto sempre perfettamente verticale ed immobile.
"Salve, Jiraiya."
Il Custos fece un vago cenno con la testa.
"Lo porto da Tsunade e arrivo, così parliamo con calma."
"Hu-uh."
Kakashi si incamminò verso le scale, per poi rendersi conto che Jiraiya non li stava seguendo.
"Non vieni?"
"No."
Kakashi fece spallucce, riprendendo ad avanzare verso le scale.
C'era qualcosa di strano, in quella situazione. Subito dopo quell'alzata di spalle, il ragazzo si sentì sporco: non sapeva dire perché, aveva solo questa fastidiosissima sensazione addosso, che gli sembrava lo ungesse. Pensoso, si limitò a fare entrare Itachi nell'ambulatorio salutando Tsunade, che impegnata com'era non lo calcolò nemmeno di striscio: trascinò il bambino dentro la stanza e gli disse di spogliarsi.
Kakashi, tuffando le mani nelle tasche delle braghe scure, scese lentamente i gradini, scivolando sullo spigolo per puro diletto. La sua testa era ancora intenta a capire cosa fosse quella sensazione di fastidio che lo aveva pervaso.
"Come va?" domandò il ragazzo, non appena fu abbastanza vicino a Jiraiya.
Quello aggrottò le sopracciglia, perplesso. Poi sbuffò.
"Il bambino è un prodigio. Ovviamente."
"Sta dietro a quelli del secondo ciclo?"
"Li ha già superati. Ma non è solo merito suo, no: sono i suoi occhi. Altro che buona mira. E' come se sapesse dove mirare prima ancora di vedere l'obbiettivo. Mi fa impressione."
"E' anche intelligente." precisò Kakashi, appoggiandosi al muro. Jiraiya lo emulò, schiaffandosi con un tonfo sordo sul muro candido. Era tutto bianco, nelle palazzine della zona ospedaliera. Candido e silenzioso, immerso nel verde.
Tsunade faceva la bella vita, a stare lì tutto il tempo.
"Sì, è intelligente. Sa elaborare strategie al volo. Mi vien da pensare che, con un elemento del genere, forse si abbia avuto più fortuna che giudizio. Brillante e portato per la mutazione – le due cose possono anche essere connesse, ma non troppo."
"Quindi posso passarlo a te, una volta che è sul fronte."
"No. Non ho tempo per tenere d'occhio un bambino. Non mi piacciono i bambini. Me lo passerai quando avrà compiuto almeno dodici anni."
"A dodici anni non avrà più bisogno di un tutore."
"Appunto."
Il ragazzo si portò una mano alla nuca, scrutando con la coda dell'occhio Jiraiya. "Non posso stargli dietro tutto il tempo."
"Non devi, Kakashi. Si sa arrangiare come tutti gli altri."
"Non è certo solo per quello che Tsunade e il Globus fanno in modo che ci sia sempre qualcuno a tenerlo d'occhio. E' per vedere come evolve la mutazione."
"Oh, più o meno ho capito come funziona. Te l'ho detto, è una specie di preveggenza. Dev'essere così, altrimenti le sue azioni non si spiegano. Ovviamente la sua sottile intelligenza aiuta – non mi preoccuperei troppo, in fondo."
Kakashi tacque, assimilando l'informazione con una certa difficoltà.
Una cosa era vedere: vedere bene, vedere oltre.
Una cosa era prevedere.
Era un prodigio. Incredibilmente utile. Perfettamente sfruttabile.
Tattica pura.
Sembrava quasi barare.
Wow, si lasciò sfuggire il ragazzo, nei suoi pensieri sgomenti.
"Non possiamo dire niente finché non vediamo come reagisce all'adrenalina della battaglia." dichiarò infine, accettata, a fatica, la notizia.
"Allora vedi come reagisce all'adrenalina della battaglia, e poi lascialo volare libero. E' bravo. Dannatamente bravo. Sa arrangiarsi. Tu ti sei arrangiato."
Kakashi abbassò il capo, scrutando il terreno.
"Sì. Io non avevo una mutazione, però. E avevo comunque dei tutori."
"Esatto. Tutori. Non un Rector sbarbatello che ti faceva da ombra e una Medicus che ti placca ogni qual volta è possibile per farti una visita medica itinerante."
Kakashi non sapeva decidere quale parte del discorso lo infastidisse di più. Optò per la più banale.
"Sono Rector da tre anni. L'età non conta, mi pareva."
"Sei uno sbarbatello – " rincarò quello " – ma non è questo il punto. Gli stai troppo addosso. Finisce di addestrarsi con quelli del secondo ciclo, esce dalla SubSphaera e si mette ad aspettare te. Immobile sulla soglia."
"Perché gli ho detto di fare così."
"Hai sbagliato."
"L'Ignis Umbra mi ha ordinato di stargli addosso. E Tsunade ha rincarato la dose."
"Lascia stare l'Ignis Umbra, con la storia del nipote sta perdendo la testa."
"Lascio perdere anche Tsunade?" domandò il ragazzo, retorico. "Ho ancora un istinto di conservazione, io."
"... e fai bene ad averlo." Jiraiya si staccò dal muro con un colpetto di reni, sbuffando. "Kakashi, cerca di non farlo diventare uno di quelli che ha paura di vivere. E' ancora abbastanza sicuro di sé, ma giuro che al fronte ci manca solo un nano abituato alla scorta."
Kakashi parve pensarci su.
Jiraiya aveva ragione. Gli stavano troppo addosso. Tutti.
E nel stare tutti troppo addosso a Itachi, iniziavano a starsi addosso l'un l'altro – finendo così com'erano ora: a parlare di un bambino.
Di un bambino importante.
Che iniziava a diventare il centro principale dei loro pensieri.
Il Rector annuì. "Hai ragione. Faccio solo un danno, così. Ma volevo evitare che fosse strapazzato come hanno strapazzato me – è controproducente e basta, l'ho provato sulla mia pelle."
"Lo strapazzeranno molto di più di quanto non abbiano fatto con te. E lui dovrà rispondere sempre meglio. Perché è Itachi. Fine."
"Rischiano di ammazzarlo. Sul serio."
"Non devi dirlo a me."
"Non dovrei dirlo e basta."
I due tacquero.
Lo sporco si incollava a Kakashi come non mai: pesava sulla sua pelle, tirava, lo infastidiva.
Era lo sporco di chi, abituato ad essere metodico e formale, scivolava lentamente nella trappola dell'interesse nei confronti di un altro essere umano. Nella preoccupazione.
Nella comparazione.
Non andava bene.
No.
Decisamente no.
Doveva uscirne prima di perdere quella personalità precisa e perfettamente funzionante che il Ludus gli aveva forgiato addosso, che aveva fatto di lui uno dei più giovani Rectores che si fossero mai visti — e che, se non avesse avuto la sciagura di perdere un occhio in battaglia, lo avrebbe già visto parigrado di Jiraiya.
Al top.
Si portò la mano al volto, inciampando inevitabilmente nella benda scura che occultava il suo non-occhio sinistro.
"Non toccare."
Il ragazzo evitò di sussultare a quel grido, sfiatando. Tsunade comparve dalle scale, le mani nelle tasche del camice, lo sguardo scocciato interamente rivolto a lui.
"Non ho alcuna – ripeto – alcuna intenzione di far curare un'infezione causata da un Agricola che non è capace di non toccarsi la benda – hai capito?"
"E' rimarginata da anni, Tsunade."
"Chi è il Medicus? Eh? Chi è, ragazzino?"
Mentre Tsunade era intenta a strillare contro Kakashi, Itachi comparve da dietro di lei, superandola.
Correva.
"E tu muoviti. Non posso farti l'encefalogramma sotto sforzo se non mi fai un minimo di sforzo – ALZA QUELLE GAMBE! Rapido, Itachi!"
Il bambino, in maglietta e calzoncini neri, sfilò scalzo davanti a Jiraiya e Kakashi, accelerando ed annuendo alle urla di Tsunade.
"Sbaglio o è di pessimo umore?" mormorò il ragazzo, avvicinandosi all'uomo. Questo lo guardò di sottecchi, scocciato.
"Sbagli." rispose Jiraiya. "E' solo lievemente alterata."
"... bene."
"Voi due – venite qui, subito." li richiamò la donna, autoritaria.
I due non si sognarono nemmeno da lontano di obbiettare, avvicinandosi a lei.
"Allora, qualche genio qui presente ha avuto la brillante idea di spiegare a Itachi perché vede macchie azzurrine e prevede le azioni altrui?"
"... no?" fece Kakashi, perplesso.
"No?"
"No." chiarì Jiraiya.
"No. Bene. Allora Itachi sa fare due più due. Si è accorto di avere qualcosa di strano – ed era anche ora."
"Tu sapevi che poteva prevedere azioni altrui?" domandò il Rector, vedendo che quella sembrava più che abituata all'idea che lui ancora andava accettando e studiando.
Tsunade assottigliò gli occhi e le labbra, stizzita: "No, ragazzino. Instillo mutazioni genetiche a un genio del Ludus completamente a caso, senza avere la più Pallida idea di quale potrebbe essere la reazione del suo organismo – ovviamente! Che fortuna che non sia morto sul colpo!"
"Potevi anche dirmelo." parò lui.
"No, non potevo – e adesso taci, prima che mi venga voglia di farti del male. Dobbiamo organizzare questi ultimi dieci giorni."
"Dobbiamo?" domandò sarcastico Jiraiya. "Dacci le direttive del Globus e fine."
Tsunade storse le labbra. "Le direttive del Globus sono piuttosto generiche. Qualcosa del tipo 'prima è pronto, meglio è'. Jiraiya, se giù alla SubSphaera ha finito gli addestramenti utili, portalo alle tue lezioni con gli strateghi."
"Con le toghe rosse? Un bambino di nove anni? No."
"NO?"
"... Sì." modificò la risposta in contro – "Ma mi riservo di rispedirlo al mittente."
"Piantala di trattarlo come un decerebrato, Jiraiya. E' un genio. Non ti darà nemmeno il tempo di abituarti alla sua presenza che mostrerà quanto le tue lezioni gli siano inutili ed obsolete."
"Va bene, va bene."
Sentirono i passi di Itachi avvicinarsi, rapidi e saltati: tap tap tap tap tap tap – la carne nuda, già fattasi callosa per gli allenamenti del genere, che batteva sul pavimento di marmo.
I tre si zittirono, osservandolo attraversare il corridoio.
"Fai le scale." gli disse Tsunade, mentre passava loro davanti.
"Le ho fatte." rispose, cercando di non ansimare, il bambino.
"Falle di nuovo. Su e giù, tutti i piani, correre!"
Itachi continuò a correre.
"E vai più veloce, Itachi!"
Itachi accelerò.

Più veloce, Itachi.
Già.
Itachi correva.
Via, lungo il corridoio, e poi verso le scale – gradino dopo gradino, passo, passo, passo, giro: altra rampa, su.
Su.
Su.
Essere stanco, essere sudato, avere ogni singolo muscolo palpitante era una condizione che ormai s'era fatta normale. Era più il tempo che passava con il fiatone che quello in cui respirava normalmente, era più il tempo in cui i suoi muscoli erano tesi che quello in cui si rilassavano.
Perché lui era Itachi.
E dato che poteva, Itachi doveva.
E dato che Itachi doveva, in fondo Itachi voleva.
Quello era lui, ciò che si era definito, ciò che avevano definito: uno dei rarissimi bambini che esulano dal tradizionale percorso del Ludus, che riescono ad essere superiori all'elite stessa, e volano oltre qualsiasi altro studente.
Avrebbe fatto grandi cose, gli aveva detto Tsunade: gli aveva passato la mano sul capo corvino e lo aveva lasciato a mettersi i vestiti da attività fisica, per andare a correre per i test sotto sforzo.
Itachi si era cambiato ed aveva corso.
Itachi correva. Saliva gradini. Saliva gradini. Attraversava il corridoio dell'ultimo piano, e poi scendeva, rapido come una scheggia, sino a tornare al piano terra e passare nuovamente davanti ai suoi maestri e alla donna.
"Alt."
Itachi si fermò di colpo, a qualche metro da loro, sotto ordine del Medicus. Lei lo fissò negli occhi, che il bambino rivolgeva sempre, immobili, al suo interlocutore. Tsunade studiava ogni suo singolo movimento, ogni suo battito di ciglia, analizzandolo per valutare quanto potesse essere provato.
Tutti studiavano Itachi.
Il bambino sentiva i loro occhi, fissi ed insistenti, intenti a scrutare ed elaborare: ogni volta che si trovava sotto quell'inquisizione, lui rispondeva drizzando un po' di più la schiena e rallentando un po' di più il respiro, per sostenerle quegli sguardi con la forza che loro s'aspettavano da lui.
A Tsunade il bambino non sembrò affatto stanco.
E Itachi non era stanco.
No. Aveva fatto solo un po' di movimento: il suo cuore era più che abituato. Il cuore di tutti i bambini del Ludus era più che abituato, e il suo lo era a maggior ragione: non appena aveva smesso di correre, il suo respiro si era adeguato alle condizioni di normalità, e non fosse stato per un vaghissimo rossore e qualche goccia di sudore, poteva parere non si fosse mosso d'un millimetro – fresco come appena alzato dal letto.
"Scatti."
Itachi scattò.
"Progressivi!" specificò la donna, non appena lo vide arrivare in fondo al corridoio.
Itachi si flesse per terra, toccando il pavimento, e poi lanciandosi a correre verso dove era venuto: percorse di scatto un quarto del corridoio, si flesse, toccò il pavimento e tornò indietro; si flesse di nuovo verso il terreno e, rialzandosi, si lanciò verso la metà.
"Secondo me saresti stata un ottimo Magister." mormorò Kakashi, osservando il bambino correre con una rapidità inadatta alla sua statura.
"Ovviamente. Ma sono molto più brava a fare il Medicus."
Videro le gote di Itachi iniziare a farsi purpuree.
"Non starai rallentando, vero?"
"No." sfiatò il bambino.
Il Rector fece scivolare l'occhio verso Tsunade, scrutandone il profilo da sotto la palpebra stanca. Era una bella donna, nonostante iniziasse ad avere una certa età. Sarebbe diventata una grande vecchia, pensò il ragazzo: magari un membro del Summus Globus. Tsunade ne sarebbe stata capace. Sul suo volto c'era un'espressione rara, più adatta al fronte, per quel che ne sapeva lui: una soddisfazione che si allargava, si spandeva e la avvolgeva. Come la soddisfazione di chi ha vinto una battaglia e torna all'accampamento con buone notizie.
Il Medicus manteneva gli occhi sul bambino, e gli dedicava uno sguardo denso e compiaciuto.
Kakashi, che sarà pure stato uno sbarbatello, sapeva di saper valutare in fretta le persone: riconosceva gesti, comportamenti, espressioni che gli lasciavano intuire facilmente caratteri e vocazioni. E vide la scommessa di Tsunade brillare negli occhi ambrati intenti a seguire i movimenti di Itachi: aveva speso anni per fare in modo che quel bambino potesse possedere quel dono, quella vista prodigiosa e preveggente che stava mostrando di saper sfruttare al meglio. Era giunta l'ora dei risultati.
Che sembravano splendenti.
Se Itachi si fosse comportato bene al fronte, le sorti della guerra sarebbero cambiate – a partire dal primo giorno in cui il bambino avrebbe messo piede in battaglia.
Su e giù per il corridoio, rosso in volto e finalmente iniziante ad avere un fiatone serio, correva rapido e agile il loro Deus ex Machina.
L'opera maxima di Tsunade di lì a dieci giorni sarebbe stata pronta per il collaudo definitivo.
Sul volto della donna si spandeva lento ed inesorabile un sorriso d'orgoglio puro.



***



Itachi non aveva fatto una piega quando Kakashi gli aveva detto che lo avrebbe aspettato in mensa anziché alla SubSphaera.
E perché mai avrebbe dovuto?  Il bambino si limitava ad obbedire a qualsiasi cosa gli dicessero di fare. Era Kakashi quello che aveva ecceduto nello stargli vicino, volendosi assicurare che non lo maltrattassero troppo.
Ma la colazione con Itachi – quella no, non era disposto ad eliminarla. E se lo vedeva stanco, la faceva durare anche molto più del dovuto: aveva deciso così. D'altronde, sapeva valutare le persone, si ripeteva: e quindi sapeva valutare anche il bambino. Poteva aver sbagliato a stargli troppo addosso, ma non in modo così drastico.
Itachi lo osservava dall'altro lato del tavolo, la tazza vuota davanti a lui, in attesa di direttive.
"Ti senti pronto?" domandò il Rector, per spaccare il silenzio.
Itachi rimase silente a lungo, elaborando.
In quei giorni, Kakashi stava scoprendo la sua capacità sconcertante di fare domande controverse.
"Credo di sì."
"Credi?"
"Sì." annuì.
Era interessante, fare domande controverse. Dopo il primo impatto traumatico, il Rector iniziava a farne un'arte propria, che si mostrava sorprendentemente utile: ogni volta che chiedeva qualcosa di strano, Itachi si srotolava come un tappeto, mostrando, dietro a risposte costruite in modo più che meccanico, tutta l'incertezza che si addiceva ad un bambino di nove anni.
"Ti ricordi quando ti ho chiesto cosa vuoi fare da grande?"
Itachi annuì. Kakashi lo vide irrigidirsi, e rispondere in fretta: "Servire la Regio."
"Giusto." sospirò il ragazzo, poggiandosi con le braccia incrociate al tavolo. "Te l'avevo domandato perché – e questo lo sai – gli studenti del Ludus possono diventare sia Custodes che Philosophi."
Itachi annuì di nuovo.
"E ognuno serve la Regio a modo suo." continuò Kakashi. "Ora, tu sei un genio, quindi non hai limitazioni tecniche. Potresti diventare sia l'uno che l'altro."
Il bambino annuì per l'ennesima volta: vigile e attento, sembrava stare raccogliendo dati per elaborare una strategia.
Esatto.
Una strategia per dare la risposta corretta.
Ai suoi occhi tutto era un test. Tutto era esame, per Itachi: ed era vero.
Per questo, quando Kakashi si era lasciato scappare una stupida curiosità dettata dalla sua personale simiglianza con il bambino, quello sembrava essere andato in crisi: Itachi cercava una risposta giusta ad una domanda che, in realtà, di risposte giuste non ne aveva.
"Ma diventerai un guerriero, Itachi."
E il bambino si rilassò, sereno.
L'occhio di Kakashi si alternava ai due pozzi scuri ch'erano quelli del bambino. In fondo, anche il Rector avrebbe reagito così, all'epoca, se gli avessero chiesto direttamente cosa voleva fare. Allora, senza aver coscienza di poter prendere una decisione del genere, si era limitato a fare al meglio quello che gli riusciva meglio e che faceva più volentieri: questo, per lui, voleva dire combattere – e quindi da bambino aveva combattuto; voleva dire stare all'aperto, e quindi da bambino era stato all'aperto. Fuggiva al fronte ogni volta che poteva, perché lì era a suo agio.
E così era stato un Custos intraprendente e incredibilmente abile.
Lui e il suo stupido occhio avevano distrutto un potenziale enorme – o forse, ne avevano generato uno nuovo.
La morale era che Kakashi non aveva mai scelto direttamente: e questo aveva funzionato benissimo. Anche le sei stelle che addestrava non sceglievano: si limitavano a propendere. Era lui, poi, che diceva al responsabile dei Rectores chi faceva meglio cosa, chi propendeva in che direzione, ed in che modo.
E così ognuno serviva la Regio al meglio delle sue possibilità. E della sua volontà.
Era talmente perfetto come meccanismo che lo aveva capito solo adesso, nonostante ne avesse fatto parte fin dal principio, prima da un lato e poi dall'altro della barricata.
"Sarai un grande guerriero, Itachi. Un Custos degno di questo nome."
Itachi annuì.
Sarebbe stato un grande guerriero.
Sarebbe stato un Custos degno di questo nome.
Il bambino vide il ragazzo sorridergli.
Avrebbe fatto grandi cose, dicevano.
Perché lui era Itachi, dicevano.

E dato che Itachi poteva, allora Itachi faceva.








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[NDA]

Ssì, eccoci qui, siamo tornati sullo svarione introspettivo che più mi si addice.
Anche se, devo dire, man mano che scrivo questa storia mi rendo conto che è piuttosto diversa da quello che era I Frutti dell'Oblio. Nei toni, principalmente. Oh, bhe, se fosse uguale in fondo non sarebbe interessante, però mi sto scoprendo in uno stile molto strano: mi riconosco ma non mi riconosco del tutto. 
Vabè, il giudizio al riguardo spetta a voi, se volete esprimerlo – io continuo a farmi un po' di pippe mentali, intanto xD

Sto adorando Tsunade e Jiraiya. Li sto scoprendo, e in un certo senso capendo. Ai laik'it. Ai Hop Iù Tuu.
xD
Invece a Itachi ci sto ancora girando un po' attorno. Ma ci siamo quasi, fra poco entriamo per direttissima nella sua testa.
e fra parentesi: awww <3  xD




Risposte, risposte, risposte. (e ovviamnte denghiu, denghiu, denghiu)

@ Ubalda [a.k.a. LaGrenouille  copiaeincollato U_U]
Gha o,o non puoi lasciarmi così, con la suspànce, a premere morbosamente ricarica per vedere cos'ha da dire lady-ti-bacchetto-sullo-stile-e-spulcio-tutti-i-tuoi-errori-mbwah-ah-ah per un pomeriggio intero, accidenti a te o_o

@ Killuale
Buongiorno! Ciao :D
Piacere che tu segua così volentieri questo mio enorme svarione ^^' e spero che questo prequel sia all'altezza delle aspettative, perchè Boh, nescio. In realtà ho deciso di fare questo prequel su Itachi (e compagnia) proprio perchè ha avuto un ruolo così fondamentale nell'altra storia ^^ avevo voglia di esplorarlo un altro po'.
Bhe, spero che il capitolo sia di suo gradimento U_U'''  :)

@Sakura
Eh, qui sono un po' tutti inquietanti, ma come dire, "qualcuno è più inquietante degli altri" xD questo Itachi mi piace così, inquietante – ma in modo puro, non in modo cinico come è nell'anime Gaara o cose del genere. Almeno spero trasparisca qualcosa del genere. xD
vabè, alla prossima :)








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Capitolo 4
*** 4 ***


4


Capitolo 4



I ragazzini che studiavano per stratega erano due – un maschio e una femmina, a voler essere pignoli: osservavano Itachi da almeno trenta centimetri più in alto, con sguardi che s'alternavano, seppure ben mascherati, fra lo sconcerto e la meraviglia.
Lui cercava di non prestar loro attenzione.
Non che la cosa gli riuscisse del tutto: se i suoi occhi scuri erano incollati su Jiraiya, le sue orecchie si mantenevano tese ad analizzare i respiri dei due. Itachi era attento, vigile. Itachi era il meglio, e quindi avrebbe dovuto essere il meglio anche ai loro occhi.
In piedi, sull'attenti, i tre ascoltavano l'insegnante.
Una delle due toghe rosse tossì.
"Prima ancora di lavorare su tutte le tecniche standard, dovete saper elaborare con la vostra testa."
La voce del Custos era sempre elevata, e sembrava infrangersi contro le pareti della stanza, relativamente piccola. L'uomo si muoveva lungo una carta appesa alla parete, raffigurante i confini fra l'Ignis Regio e la Ventii Regio: a nord, scura, regnava una macchia nera di terra inesplorata. Itachi la osservava incuriosito, concentrandosi sulla scritta bianca che albergava sopra tutto quell'oblio: Hic Sunt Daemones.
"Quindi, voi due, cercate di memorizzare da soli entro una quarantina di giorni i due tomi che vi ho dato. Non è nulla di complicato, solo questione di memoria – non vale la pena sprecare tempo ad insegnarvelo. Quando avrete le basi, potremo lavorarci sopra e fare i sottili."
I due annuirono.
"E dato che per qualche giorno abbiamo ospiti, ci concentreremo sulla palaestra."
I due annuirono.
Itachi li vide andare a mettersi verso il centro della stanza, l'uno di fronte all'altro. Jiraiya si avvicinò al bambino, le braccia incrociate.
"Tu presta attenzione. Ho cinque giorni per ficcarti in testa tutto quello che posso, quindi non sperare nella mia clemenza. Sarà un incubo."
Itachi annuì.
I due ragazzini portarono le braccia avanti sino ad incrociarle con quelle dell'altro, come due spade. Lasciando il peso su di una gamba flessa, incrociarono anche le due tibie libere.
Quella che iniziarono sembrava una danza, insensata, aritmica, mostruosamente lenta, di cui l'occhio e la mente poco allenati non avrebbero potuto comprendere l'utilità.
"L'hai già fatta una cosa del genere, vero, Itachi?"
Quello annuì in modo minimale. "Ma non così lenta."
"Anche loro l'hanno fatta veloce. Infatti – Hayate! Se intendi dirigere un esercito in quel modo, sappi che stai mandando tutti a suicidio."
Il ragazzino si immobilizzò, fissando Jiraiya. "Yugao, colpiscilo quando puoi colpirlo, o ci stiamo prendendo in giro." continuò l'uomo "Devo tirare fuori di nuovo la bacchetta? Tre giorni mi sembravano sufficienti per il rodaggio. Forza."
La ragazzina, la mano tesa, parve rifilare una stilettata al ventre dell'altro, infilandosi fra quel fittissimo intreccio di braccia in un modo che pareva impossibile.
Hayate tossì, sfiatando.
"Continuate. Allora, bambino: una regio assomiglia molto a un corpo, e un corpo a una regio. A metà fra i due ragazzini c'è il fronte, su cui combattono le prime linee e le avanscoperte: mani, braccia, gomiti, gambe, ginocchia e via dicendo. Ogni giuntura dirige la sua parte e tutta la parte gerarchicamente inferiore: la spalla controlla anche gomito, polso, dita; ognuna di queste deve saper agire sia indipendentemente che dipendentemente. La testa pensa, e va difesa con massima priorità. Il resto del corpo dev'essere a sua volta inattaccabile. La gamba su cui poggiano tutto il peso è potenza economica, sta a te avere un ottimo equilibrio e difenderlo."
Itachi annuì.
"Hayate, rallenta."
La ragazzina sferrò nuovamente un colpo all'altro, questa volta molto più in basso.
Hayate mormorò qualcosa, tossendo.
"Più fai la palaestra, più scopri che la parte più importante del corpo in realtà è lo snodo dei fianchi, perché è quello che sta veramente dirigendo le danze, che controlla il tuo equilibrio, il tuo peso, e che permette al resto del corpo la maggiore mobilità. Non lo usi direttamente, perché non attacca ne' difende – ma guida. Gli strateghi devono avere coscienza dell'importanza di questo punto, perché loro sono il bacino della regio – ma non basta: devono sapere anche controllare tutti gli altri snodi, averli presenti, gestirli. Ogni arto può attaccare e difendere, e deve farlo contemporaneamente: tappare i buchi che permettono al nemico di aggredire il corpo centrale e intanto sfruttare ogni buco della difesa nemica per massimizzare l'offensiva. Se sai fare bene la palaestra, sei a metà strada per diventare un ottimo stratega."
Itachi osservava la danza delle due toghe rosse, riconoscendo una concentrazione densa nel loro volto, serio.
"I migliori Custodes sono quasi al pari degli strateghi. I Philosophi devono fare la palaestra lentamente per imparare a pensare e sentire, e poi ripeterla all'infinito per mantenere la testa sempre attiva; noi, appena abbiamo imparato a farla, dobbiamo velocizzarla il più possibile per imparare a prendere decisioni importanti in tempi estremamente brevi. Ma prima bisogna farla lenta, perché quello che avete fatto da bambini nelle lezioni di arti marziali è semplice esercizio di scioltezza e contiene pochi dei principi fondanti della palaestra. Hai capito?"
Itachi annuì.
"Guardami negli occhi."
Il bambino, che sino ad allora era rimasto incollato con lo sguardo sulle due toghe rosse, si voltò verso l'uomo che incombeva al suo fianco. Jiraiya scrutò le sue iridi, che s'erano fatte d'un colore intenso: scarlatte, incendiate, sature in modo impressionante – e fra tutto quel rosso, due virgole nere svettavano, prepotenti.
Il Custos sembrò sbuffare.
"Prova tu. Con Yugao, Hayate accelera troppo. Forza."

Itachi ci mise un po' di tempo ad equilibrarsi e capire come funzionava il gioco: Yugao, metodica ed imperturbabile, non faceva altro che colpire il bambino in continuazione, mentre Jiraiya lo impostava a suon di colpi di bacchetta, rigida e sottile, che ogni tanto rifilava anche alla ragazzina.
"Gomiti stretti, Itachi, chiudi – non è una difesa, è un colabrodo. Hayate, spero per te che tu stia guardando perché non intendo ripetere di nuovo certe correzioni banali."
"Sì, Jiraiya."
Sulla la camicia bianca di Itachi, già grondante sudore, compariva ogni tanto qualche macchiolina rosata che indicava i punti in cui Jiraiya aveva ripetutamente colpito il bambino. Nonostante riuscisse a prevedere con facilità la mossa successiva di Yugao, Itachi non riusciva ad intercettarla in modo efficace. Almeno, non all'inizio. Col fiato sempre più grosso e la fronte sempre più madida, imparava, a volte sconcertato dal non riuscire a capire esattamente come fosse possibile che un colpo dell'altra andasse a buon fine.
"Stai sprecando energia, non devi fare fatica, Itachi." lo ammoniva quello, abbaiando, raddrizzandogli la schiena con un colpetto secco e sibilante.
Itachi annuiva, respirando a fatica.
Gli occhi brucianti.

Quando la lezione finì, Itachi dovette togliersi la camicia, ormai tinta di rosa in modo quasi uniforme. Con gli indumenti in mano si avviò verso l'uscita della stanza, per risalire la SubSphaera sino all'uscita.
Era un dolore strano, quello che aveva addosso. Non ho aveva mai sperimentato prima: si era fatto male in mille modi, negli allenamenti, ma nessuno gliene aveva mai fatto intenzionalmente. Una cosa era combattere contro qualcun altro, una cosa era subire bacchettate su bacchettate, senza poter reagire.
Socchiuse gli occhi, infiammati tanto da aver reso scarlatto anche lo sclero: si erano rivelati del tutto inutili – almeno all'inizio. La cosa lo aveva turbato.
Aveva imparato che i suoi occhi lo aiutavano a prevenire, anticipare: ma con le regole della palaestra, con quei movimenti lenti ed elaborati, prevedere le mosse altrui gli era stato del tutto inutile.
Si sedette per terra, mentre costringeva il respiro a rallentare: non ne voleva sapere, continuava a scuoterlo, assetato d'aria.
Col torace nudo ed irritato, il freddo dell'aria esterna fungeva da antidolorifico. Soffiava un vento lieve, ma composto da aghi gelati: dopo un primo momento di sollievo, la temperatura iniziò a fare il suo effetto.
Tremante e sfiatato, Itachi strizzò gli occhi, che gli parevano stare per prendere fuoco.
Chinò la testa, ciocche di capelli fradice e gelide che gli si ammassavano sul volto arrossato.
Per la prima volta nella sua vita, Itachi si sentiva incapace.
Non in modo cronico, non ancora: ma la sensazione era quella di chi inciampa nel bel mezzo della corsa.
E gli occhi bruciavano tanto da far sembrare il succo di limone un'alternativa più che preferibile: iniziavano a lacrimare in modo preoccupante, goccia dopo goccia, calda sul volto infreddolito.
Si passò una mano sul volto, cercando di alzarsi, a fatica.
Davanti a lui si stendeva il piazzale del Ludus, vuoto, che nella sesta ora del giorno vedeva praticamente ogni singola persona impegnata a insegnare, imparare o elaborare qualcosa.
Dallo spiraglio minimo fra le palpebre che il bruciore agli occhi gli consentiva di mantenere, il bambino si scrutò le braccia, osservando le ferite e i lividi bluastri.
Mezzo accecato, drizzando la schiena il più possibile e frenando il cuore ancora agitato, si diresse a memoria verso il refettorio, per la cena.



***


Kakashi vide una creatura comparire dalla porta, neanche fosse un fantasma.
Avanzò lento, fino a sedersi di fronte al ragazzo.
Che inclinò la testa, scrutandone il busto nudo e livido.
Era un piccolo straccio ambulante: gli occhi gonfi, lucidi di lacrime.
Uno dei due aveva esagerato, pensò il Rector. Se Itachi o Jiraiya, non lo avrebbe mai saputo nessuno.
Avvolti dal silenzio ridondante della mensa vuota, i due tacquero. Kakashi infilò una mano nella tasca, estraendone una boccetta che fece scivolare sul tavolo, fino al bambino.
"Pensi che non sappiamo che i tuoi occhi funzionano meglio di quelli degli altri?" chiese il Rector, retorico.
Itachi fece un piccolo 'no' con la testa, scrutando, per quanto la cosa gli fosse possibile, la boccetta.
"Non sforzarli troppo, o i risultati sono questi."
Itachi annuì.
"E' collirio, quello – devi far cadere le gocce direttamente dentro gli occhi, dall'alto. Me lo ha dato Tsunade. Usalo, ti farà bene."
Itachi annuì. Afferrò la boccetta e inclinò la testa per mettere il collirio, cercando di non apparire troppo maldestro nel compiere gesti che non gli erano familiari.
"Hai pianto?" domandò il Rector, quasi a bruciapelo.
"Il bruciore agli occhi me li fa lacrimare." rispose il bambino, ignorando qualunque altro senso potesse avere quella domanda.
Kakashi sorrise. "Jiraiya te le ha date, eh?"
"Sì."
"E com'è andata la lezione?"
"Mediocre."
Il ragazzo levò le sopracciglia a quella risposta del tutto inaspettata.
"D'altronde, prima o poi doveva succedere, che trovassi qualcosa di non ovvio. Domani andrà meglio, sei uno che impara in fretta."
Il bambino annuì, posando il collirio sul tavolo. Iniziava già a sentire un sollievo non indifferente: andava molto meglio.
Kakashi continuava a scrutarlo dal suo occhio stanco, cercando di capire a cosa pensava: il bambino, per quanto gonfio e malconcio, manteneva una maschera quasi insondabile. Eppure notava un certo turbamento, ben nascosto, dato forse dall'aver vissuto un piccolo fallimento – dimostrato dalle steccate di Jiraiya.
Da che ne sapeva lui, era normale uscire dalle prime lezioni con l'uomo in quelle condizioni – se non peggio.
Per quello era restio ad affidarglielo.
"Vuoi riposare?"
Itachi fece di no con la testa.
"Non ne ho bisogno. Il collirio basta."
No, Itachi non glie l'avrebbe data vinta.
Lui era Itachi.
Qualche livido non era nulla, in confronto a Itachi.
E poi il fronte lo attendeva: lì sarebbe stato peggio.
"Bene."
Silenzio.
"Kakashi."
Il ragazzo squadrò il bambino, che sembrava starsi lanciando per la prima volta in un discorso iniziato da solo.
"Dimmi."
"Non mi piacciono le punizioni corporali."
"Sono fatte apposta per non piacere – così gli studenti fanno in modo da riceverne il meno possibile, e quindi migliorano."
Silenzio.
Il bambino lo guardò fisso, muto.
E Silenzio.
Itachi non aveva mai subito punizione di sorta.
Era una cosa nuova.
Era una cosa che non faceva minimamente parte di lui. Sino ad allora.
Ma faceva parte del Ludus – e quanto faceva parte del Ludus. Itachi l'aveva vista da fuori: aveva sentito di frustate, aveva visto schiene in fiamme.
Ma era una cosa che non l'aveva mai toccato.
Di cui lui non si era minimamente curato – aveva altro a cui pensare, aveva altro da fare, doveva fare economia di tempo e di potenza mentale.
Silenzio.
Non l'aveva mai capita.
Silenzio.
Sino ad ora.
"Hai ragione, Kakashi. Farò in modo da non riceverne più. In questo modo imparerò anche più in fretta, e servirò meglio la Regio. Sì. Servirò sempre meglio la Regio."
E da qualche parte, sul muso malconcio del bambino, Itachi vide un muscolo stendersi leggermente nel tentativo di un lieve sorriso.















_______________________________________

[NDA]

Salve D:
Mi verrebbe da dire... ma come sono melodrammatica! Ma no, più che melodrammatico, termine sbagliatissimo, direi Cervellotica.
Per chi è interessato, consiglio: tenete bene a mente quel "sempre meglio" di Itachi.

Mi sono incastrata a trovare due di Konoha da mettere a studiare per stratega e che avessere un'età decente, oltre che una certa propensione. Non so se qualcuno di voi se li ricorda (yugao dovrebbe essere di un filler poi), ma mi da' fastidio continuare a non dare nomi a personaggi e non voglio mettere dentro OC casuali. Comunque li ho ringiovaniti di qualche anno...

Apparte ciò, mi scuso per la prima parte del capitolo, che immagino sarà noiosissima, ma io mi sono divertita a scrivere. Anzitutto perchè mi piace continuare a ficcare il naso nei meccanismi e nella didattica del Ludus, e poi perchè quello che ho descritto è un (rielaborato) esercizio della mia arte marziale, il Wing Tsung (un figlio del Kung Fu): quello che ho descritto, per chi ne mastica, è un Chi Sao libero fatto lentamente. Se cercate sul tubo trovate tonnellate di video al riguardo, però sono tutti didattici e in supervelocità, mentre si usa anche farlo lentamente. Non pensate che mi sia inventata io tutta la storia delle similitudini corpo/nazione, perchè sono antichissimi concetti cinesi – penso che se ne trovino alcuni, oltre che nei libri seri sulle arti marziali, ne "l'arte della guerra" di Sunzi Bingfa (parliamo di roba piuttosto vecchia, eh), che è mmmolto affine ai meccanismi del Ludus (e ai meccanismi di molte dittature storiche, guardacaso prendono sempre tutti da lì, sia le cose buone che le cattive). Tanto per fare un esempio, citiamo "Punirne uno per educarne cento" o "Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere" <- questa la dedico al mio Itachi <3 X°D

Bene, finito lo svarione, spero che il capitolo vi sia piaciuto, penso che la parte veramente interessante stia nella seconda metà ^^'



RISPONDIAM!
[cacchio, quattro recensioni e pure consistenti D: shock]

@Ubalda
Ehi, guarda che me l'hai detto tu di chiamarti come preferisco U_U'
Sono felice che ti piaccia Tsunade, anche a me piace molto come esce... e mi sono esaltata tantissimo a farle fare il medico/mamma *Non Toccare!*, perchè ce la vedo proprio.
*Itachi si lecca i gomiti*
Ehi, stai attenta agli ordini che dai agli automi xD
RE: PS: sì, sto studiando per febbraio e sono in panico, infatti.
Vedrai alla fine del mese, tre capitoli al giorno, se va avanti così. XD


@wari
Grazie :) sono sempre sconvolta quando scopro che qualcun'altro si è messo a leggere TUTTI i frutti dell'oblio, SAPENDO che sono 45 capitoli... spero che questo pseudofinto prequelspinoff continui a soddisfare ^^'


@killuale
ha-ah! te ne sei accorta XD
non è una storia romantica e non ci sarà romanticismo, ma trafficare su quei due mi entusiasma tantissimo... si vedrà.


@vivvinasme
si, hai ragione, in effetti la narrazione si associa abbastanza al protagonista XD sono curiosa di vedere cosa combinerò, perchè un po' mi inquieta. Kakashi mi è sempre piaciuto, ho cercato di caratterizzarlo nei 'frutti' (come li chiamate voi xD) un po' come uno psicologo–mercante (rector, ambasciatore, torturatore), e qui mi piacere vedere come ha scoperto appieno la sua vocazione. ^^'



bon, saluti, solenni ringraziamenti, ci vediamo nel prossimo capitolo...
ah, a proposito..
10 capitoli massimo?
Ah. Ah. Ah.
Dai, facciamo che mi metto un limite di 15.
Come al solito sto sbrodolando tutta la storia in tutte le direzioni possibili, si allarga come un blob. *sigh*.
















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Capitolo 5
*** 5 ***


5





Capitolo 5




Jiraiya si chiuse la porta dietro le spalle, senza nemmeno accendere la luce della stanza. Tenne la mano sul pomello, inspirando tanto da guadagnare altri dieci centimetri sulla sua imponente statura.
E poi sbuffò.
"Stupida donna."


Poco dopo, con esattamente sei minuti di anticipo, Itachi aprì di uno spiraglio la porta della stanza, che, buia, sembrò fagocitare la poca luce proveniente dal corridoio. Il bambino scivolò nella fenditura, mentre cercava di abituare gli occhi all'oscurità.
"Ignis Regionibus."
"Patriae Frates. Fati Frates."
Itachi vedeva Jiraiya principalmente come una grande macchia di luce azzurrognola.
Rimasero in silenzio per lungo tempo, attendendo gli altri due: il Custos osservava il bambino, studiandone i contorni mal definiti nell'ombra.
Finché, senza alcun preavviso ne' motivazione, l'uomo accese la luce: Itachi rimase accecato, costretto a chiudere gli occhi violentati dall'improvviso lampo.
"I tuoi occhi saranno anche una cosa grandiosa, Itachi, ma se non li proteggi a dovere non te ne fai niente."
Quello, le palpebre due fessure puntate verso il pavimento e una smorfia che gli costringeva il volto, annuì.
Jiraiya parve scuotere il capo.
Appena riuscì a riabituare la vista, Itachi levò il mento verso l'uomo, drizzando le spalle: le sue pupille si piantarono sulla bacchetta che Jiraiya serrava nella mano, con una presa lievissima.
La scrutò a lungo.
E continuò a scrutarla.
Finché non distolse lo sguardo.
    Oggi avrebbe combattuto contro la bacchetta.
Sì.
    Oggi Itachi aveva un nemico.



Fare la palaestra con Hayate si rivelò essere impossibile.
Itachi non riusciva a stargli dietro. Non ne comprendeva minimamente i movimenti. Se riusciva a prevedere qualcosa, era già troppo tardi.
Eppure Hayate sembrava molto meno pratico di Yugao, considerata la quantità di bacchettate che gli rifilava Jiraiya.
Anche se, fra i tre, Itachi era quello che sanguinava.
"Rallenta, agricola!"
Stack.
Hayate, colpito, si immobilizzava per cercare di riprendere a muoversi lento, le braccia e la gamba libera tre serpenti sfuggevoli e pressanti.
Il ragazzo tossiva.
Itachi sudava.
E la bacchetta continuava ad avventarsi su di loro.
"Su con la schiena, non ti ingobbire!"
Itachi rizzava la colonna vertebrale, inspirando.
"Stai solido su quella gamba, controlla cosa succede, non farlo entrare."
Itachi si fletteva, espirava, sbuffava sotto l'ennesimo colpo che Hayate gli rivolgeva al plesso solare.
"Forza, Itachi, ascolta."
Itachi ascoltava.
I muscoli tesi vibravano per lo sforzo, nel tentativo di muoversi in una coordinazione innaturale.
"Hayate, chiudi i gomiti – Itachi, deve anche indicarti la strada verso la quale colpire, oltre che farti vedere tutto il petto a portata di colpo? Colpiscilo!"
Itachi colpiva – ma Hayate lo bloccava prima che potesse arriva in fondo all'attacco. Jiraiya bacchettava prima l'uno, poi l'altro.
"Hayate, accelera ancora una volta, e la palaestra la fai con me, e la fai veloce, e giuro che ti uccido. Non. Accelerare."
Stack.
"Hff." tossì.
E sudore, e sangue, e bruciore, e testa che cerca di capire e non capisce.
E quando capisce, un gesto dell'altro smentisce.
Respiri lenti e profondi.
Un colpo.
Un altro.
Stack.
"Chiudi i gomiti."
Itachi chiuse i gomiti.
"Tieni la testa indietro."
Itachi indietreggiò col capo.
"Sciolto."
Sciolto.
Inspirare lentamente, la spalla che avanza, l'altra che retrocede.
Espirare lentamente, blocco: mossa sbagliata. Torna indietro.
Stack.
Senza farti ammazzare.
Eppure adesso pareva che avesse più senso.
I gomiti chiusi, Itachi, chiudi i gomiti, sì. Inspirare, non tremare, preciso, calmo, sciolto.
Trova i buchi in cui infilarti, controlla il fronte.
Stack.
Eppure adesso pareva che avesse ancora più senso.
E sudore, e sangue, la camicia che tornava ad essere rosa.
E gli occhi in fiamme.
Itachi non aveva distaccato lo sguardo da Hayate per un solo istante, continuando a fissarlo dritto negli occhi.
Prevedere non serviva.
Non bastava.
Più capiva, a fatica, come funzionava, come sentire e come comportarsi, più cercava di comprendere come poter coordinare i suoi occhi ai suoi muscoli. La mente di Itachi elaborava doppio, costringendo gli occhi a sforzi sempre maggiori: aguzzava la vista, non sapeva nemmeno ben come, ma sforzava – cercando di prevedere sempre più in anticipo, ancora prima.
Stack.
E il fiato iniziava a farsi pesante.

Jiraiya non aveva pietà.
Non doveva averne, e non intendeva averne. Ad ogni colpo che rifilava agli studenti, cercava morboso un miglioramento che non sempre vedeva. Quello che non poteva ignorare, però, era la fatica che trapelava dal volto del bambino: non pensava che ci si potesse concentrare così tanto, quasi ignorando il resto del mondo, come canalizzando ogni singolo sforzo di ogni singola cellula di corpo e mente verso l'unico proposito di riuscire.
Riuscire.
Itachi, a metà mattina, iniziava a farlo.
Il Custos iniziava a riconoscere i movimenti classici della palaestra, quelli che tutti prima o poi scoprono perché sono inevitabilmente i più funzionali: flessuosi, lenti, precisi al millimetro.
Hayate, che si costringeva alla lentezza, faceva sì fatica – ma era tutta un'altra cosa.
Tsunade avrebbe potuto avere ragione, in fondo.
Tre giorni, e le lezioni di Jiraiya sarebbero state del tutto inutili a quel bambino, che inspirava ed espirava fremendo nel controllo che imponeva al suo corpo.

Itachi stava per sentire l'esasperazione incombere.
Sapeva che stava migliorando.
Se ne rendeva conto.
Ma si rendeva conto che non era abbastanza: la bacchetta era sempre lì, pronta a fargli del male non appena una stupida distrazione l'aveva vinta sulla sua testa.
Doveva smetterla di distrarsi.
Focalizzò.
Continuava a focalizzare.
Cosa diceva la pelle, le braccia, a contatto con quelle dell'altro? Hayate stava andando un po' più a destra. Poi cambiava.
Sì, Itachi stava riuscendo a controllarlo.
Ma non bastava.
Sapeva che non bastava.

Quello che sentì dopo fu una cosa particolarmente strana.
Forse, notò, l'aveva già provata.
Ma se n'era quasi dimenticato.
Per un istante, minuscolo, non vide più. Non che i suoi occhi fossero diventati ciechi: la sua mente, in qualche modo, smise di elaborare. L'immagine arrivava, la testa non la interpretava.
Itachi parve sconcertato, e si lasciò colpire da Hayate.
Poi, vide di nuovo.
Vide chiaro.
E vide meglio.
Hayate si lasciò colpire da Itachi.
Una volta.
Due volte.
Tre volte.
Il ragazzino tossì.

Jiraiya vide Itachi tentennare, e poi partire addosso ad Hayate con una precisione netta che pareva il frutto d'un calcolatore.
Non sbagliava un colpo.
Qualunque azione facesse Hayate, Itachi colpiva.
Gli schemi classici della palaestra, quegli stessi che l'uomo aveva visto poco prima, erano spariti.
Durati forse un'ora.
Itachi non aveva più schemi.
Semplicemente, faceva sempre la cosa giusta al momento giusto.
Cosa diamine era successo?

Adesso andava bene, pensò Itachi.
Sì, adesso andava decisamente meglio.
Ma non bastava.
Non si distese un secondo: continuò con la stessa convinzione di prima, ignaro di quello che era successo ai suoi occhi.

Jiraiya si sporse leggermente verso i due, osservando lo sguardo del bambino.
Aggrottò le sopracciglia.
Nel rosso, scarlatto e vivido, delle iridi che si ritrovava Itachi quando attivava il potere iniettatogli da Tsunade, Jiraiya scorse non più due, ma tre virgole scure.
Mosse mezzo passo indietro, pensoso.

Hayate tossì.

"Non usare i tuoi occhi, Itachi."
Itachi non rispose, il volto attraversato da perplessità sgomenta.
Come faceva a non usare i suoi occhi?
Lui era i suoi occhi.
Va bene, Itachi.
Non usare gli occhi.
Il bambino chiuse le palpebre.
"Non ho detto non guardare, agricola."
Itachi riaprì gli occhi.
Come faceva a non guardare?
Era talmente concentrato che 'spegnere' i suoi occhi sembrava impossibile.
Ci provò.

Jiraiya vide le iridi del bambino scurirsi, tendendo al loro colore naturale, nero e profondo.
La cosa non durò nemmeno un secondo: come Hayate, resosi conto che Itachi si era distratto, scovò un buco nella sua difesa in cui poter infilare la mano per colpirlo, gli occhi di Itachi ridivennero rossi e il bambino contrastò l'aggressione con l'ennesimo movimento apparentemente insensato eppure perfettamente funzionale che Jiraiya gli vedeva compiere da qualche decina di minuti a quella parte.
Il Custos flesse i margini delle labbra all'ingiù, schiudendole in un ringhio di fastidio.
Levò il braccio, e neanche la bacchetta fosse una frusta di metri e metri di lunghezza, colpì con violenza la mano destra di Itachi.
"Ah!"

'Ah', Itachi?
'Ah'?

Il colpo fu talmente potente che tutto il braccio del bambino vibrò, scosso.
Nel punto del colpo spiccava un lungo taglio, sanguinante, ed un rossore si spandeva a vista d'occhio sulla cute.
Itachi aveva fatto 'Ah'.
Se Itachi aveva fatto 'Ah', non doveva essere stato esattamente piacevole, anzi, doveva aver fatto piuttosto male - pensò Yugao, che osservava la palaestra dei due.
Anche Hayate sembrava dello stesso avviso, osservando perplesso il bambino.

'Ah', Itachi?

Itachi aveva visto quella dannatissima asticella, rigida e sottile, arrivargli addosso.
Con una fatica inenarrabile, aveva evitato di intercettarla, subendo il colpo.
Ma Itachi aveva detto 'Ah'.
E questo non andava bene.
Il bambino, tremante, non mosse un arto, cercando di continuare l'esercizio.
Si costrinse a spegnere gli occhi.

Jiraiya taceva, osservando il bambino.

Hayate, non ricevendo più ordini, dovette continuare.
All'iniziò lo colpì.
Poi smise, notando che la mano del bambino si stava gonfiando in modo piuttosto preoccupante, e che, di fatto, non la stava usando.
Quando smise, Jiraiya lo bacchettò.
E allora continuò.

Gli occhi di Itachi erano lucidi d'una sofferenza intima mescolata a quella fisica.
L'unica informazione che riceveva dalla mano era dolore. Dolore. Dolore. Non riusciva nemmeno più a capire in che posizione fossero le dita: oltre il polso, il suo corpo faceva solo male.
Nient'altro.
Il resto era sconforto.
Lo sconforto di essere stato privato di ciò che gli riusciva meglio: vedere.
E che quel vedere bene, per Jiraiya, fosse un errore.
In questo modo, pensò Itachi, avrebbe sempre sbagliato.
Ma cosa c'era di sbagliato nel vedere meglio degli altri?
Itachi non capiva.
Non cercava di capire.
Doveva assecondare il maestro.
Fine.
E questo lo stava portando ad una profonda disperazione.

Jiraiya era un cinico, ma non aveva passato la sua vita sul fronte per niente.
Vedeva e capiva.
Non era come Kakashi, forse, ma rimaneva un essere umano che riconosceva certi comportamenti di altri esseri umani.
E Itachi, fino a prova contraria, era della sua stessa specie.
Il bambino, completamente perso, continuava l'esercizio praticamente con un arto solo, usando la destra solo per chiudere la difesa ed aiutare la sinistra. Sudato, insanguinato, costretto a non usare ne' gli occhi, ne' una mano poiché malconcia, Itachi era di nuovo in difficoltà.
A Jiraiya iniziò a salire qualcosa di lontanamente riconducibile ad un senso di colpa.
Scrutò la bacchetta, domandandosi di che materiale fosse effettivamente fatta.
Era rigida, minimamente elastica, leggera.
Il Custos s'era aspettato che si rompesse, con quel colpo violento.
E invece no.
Itachi, dopo quel 'Ah' esalato quasi per sbaglio, era ridivenuto muto e concentrato nel suo esercizio, in cui ora doveva faticare ancora di più.
Ma Hayate ce l'ebbe semplice solo per poco: il bambino ritrovò gli schemi che aveva scoperto poco prima, quelli che Jiraiya e qualunque altro stratega conoscevano come le loro tasche, e iniziava a sfruttarli al meglio.
Dannazione, pensò l'uomo.

"Basta così."

I due sciolsero l'intreccio di braccia in cui avevano combattuto, alla moviola, sino ad allora, muovendo qualche passo indietro.
"Potete andare."
Yugao annuì assieme agli altri due.
Itachi si mosse lento verso il maglione che aveva posato all'angolo della stanza, passandosi la mancina sul volto, sugli occhi, sui capelli fradici. Jiraiya lo osservò, la testa impigliata in pensieri contraddittori.
Aveva fatto bene?
Aveva fatto male?
Era pur sempre il bambino di Tsunade.
Oh, diamine.
Tsunade.
Continuò ad osservare i movimenti tremanti e distrutti di Itachi, che pareva un fantasma.
Aveva rinunciato definitivamente ad usare la mano destra.
Jiraiya aveva ben che intuito il perché.
Tsunade lo avrebbe ucciso.
Ma prima ancora, lo avrebbe odiato in un modo profondo e violento.
Itachi si chiuse la porta dietro le spalle, lasciando Jiraiya da solo.



La mano gli faceva male in un modo feroce.
Se la guardò, notando che era più che insanguinata. Ma non era certo il sangue il problema, no.
Doveva essere successo qualcos'altro.
Fermo fuori dalla subsphaera, poggiò per terra il copriveste, cercando di avvolgere il maglione attorno al salsicciotto gonfio ch'era diventata la mandritta.
La cosa non gli riuscì particolarmente bene.
Si sedette per terra, passandosi per l'ennesima volta il braccio sano sui capelli corvini ed impregnati di sudore, cercando di portare indietro le ciocche filiformi. Si passò la mano sul volto, tirò sul naso, inspirò, espirò.
E disfò il macello che aveva combinato, ricominciando da capo.
L'infermeria era lontana.
Avrebbe fatto in tempo ad andarci?
Anche gli occhi imprecavano, ma il collirio che aveva messo prima della lezione lo aiutava molto. Avrebbe dovuto metterne altro, ma, al momento, la sua principale preoccupazione era la mano.
Kakashi lo aspettava al refettorio.
Non poteva fare aspettare Kakashi.
Ma nona poteva nemmeno non fare curare la mano. Ne andava della sua salute: la salute di un Custos influisce sul suo rendimento e sulla sua utilità, quindi era fondamentale dovere dei Custodes – e di tutti gli studenti del Ludus – prestare massima attenzione alla propria salute.
Senza sognarsi di sfociare nell'ipocondria, ovviamente. Pena qualche frustata, tanto per far capire cose significa 'stare male'.
Traballante, il corpo invaso dalle endorfine che cercavano di attenuare gli stimoli del dolore, Itachi si rimise in piedi, avvolto dal dilemma.
Guardò prima verso il refettorio, poi verso l'infermeria, completamente altrove.
Cercò di fare qualche conto.
"Ehi, tu."
La voce tonante di Jiraiya lo fece voltare, prima rintanando con un fremito la testa nelle spalle, poi costringendosi a stirare la schiena, dritto e fiero, come lo volevano loro.
Jiraiya lo vide malconcio.
Lo vide piccolo ed esile come lo aveva visto nella SupSphaera.
E lo scoprì spaventato.
"Vieni qui."
Itachi si avvicinò.
Jiraiya si flesse sulle gambe, snodando il groviglio che aveva fatto con il maglione. Estrasse da una tasca della divisa una benda, e, con una certa inaspettata grazia, si mise a fasciargli la mano. Itachi, stanco e tremante, osservava i gesti del Custos con una curiosità perplessa – studiando con attenzione il modo in cui eseguiva la fasciatura.
"Devi andare in infermeria. Perché stai ancora qui fuori?" domandò poi l'uomo, levandosi in piedi.
"Kakashi mi aspetta in refettorio."
"Lascia stare Kakashi, la tua salute vale molto di più del suo tempo."
Itachi annuì.
Il Custos tacque, osservando il bambino.
Strinse le labbra.
Poi fece un cenno col capo, incrociando le braccia. "Su, muoviti. Andiamo."
Itachi raccolse il maglione e il copriveste, seguendolo.
"Tsunade mi ammazza."
Dal basso, Itachi levò gli occhioni scuri sull'uomo, interrogativo.


"Sei stato bravo, Itachi." fece Jiraiya, mentre ancora camminavano – forse oltre la metà strada.
Il bambino continuò ad avanzare, senza dire nulla o fare nessun cenno.
Il Custos lo osservò dall'alto, perplesso.
Scostò lo sguardo sfiatando.
Itachi inziò a sentire la soddisfazione pervaderlo.



***



Il rumore delle sberle di Tsunade era sempre una cosa tanto curiosa quanto cruenta.
Non era un semplice 'sciaff', no. Era qualcosa di più.
L'impronta della mano, scarlatta, riempiva metà della faccia d Jiraiya, che rimaneva immobile, gli occhi socchiusi.
"Gli hai rotto la mano! LA MANO! La mano DESTRA! Razza di agricola! – macchè! SEI UN COGLIONE, JIRAIYA! Un COGLIONE!"
"Mi spiace..." mormorò quello. 
"Ti spiace?" urlò la donna, la cui voce che trascendeva l'ira e andava ben oltre a quel semplice sentimento.
Jiraiya si ritrovò un'altra impronta in faccia, corredata dal rumore stopposo che produceva Tsunade quando iniziava a prenderlo a schiaffi.
Saranno stati anni che non lo prendeva a schiaffi.
E di solito ne tirava uno alla volta.
"Ti avevo detto che..."
"No! Sono io la Philosophus, mi hai sentito? Io! COME TI SALTA IN MENTE DI ROMPERE UNA MANO A ITACHI? COME?!"
E tre.
Jiraiya inspirò a denti stretti, riconoscendo che iniziava a fare seriamente male.
"Non l'ho fatto apposta."
"Non dire idiozie! So benissimo come la pensi, piantala di raccontare storie! Se hai un problema con quel bambino, tientelo per te, razza di vecchio immaturo che non sei altro!"
"Cosa, scusa?" pontificò quello, stringendo le sopracciglia per la stilettata ricevuta.
"So benissimo che i genietti ti irritano, Jiraiya, sono affari tuoi, è inaudito che un Custos non faccia il proprio lavoro con un minimo di giudizio e oggettività!"
Jiraiya osservava Tsunade con sguardo inorridito e sconcertato per le parole, secondo lui, più che deliranti della donna.
"Anni, anni ed anni di lavoro rovinati per colpa di una stupida gelosia che si addice più ad un bambino del primo anno che ad un Custos di prim'ordine come te!"
"Oh – Tsunade, piantala."
Tsunade si zittì, le labbra strette in due linee sottili, osservandolo con la chiara intenzione di fargli venire un ictus lì per lì.
Rimasero in silenzio.
"Non farti più vedere." sibilò infine la donna.
Jiraiya schiuse la bocca, attonito.
"Ma..."
"Ho detto di non farti più vedere."
"Tsunade –"
"Mi hai rovinato la vita, Jiraiya, in un modo incredibilmente stupido."
"Io –"
"Sparisci."
"Senti..."
"No."
"No?"
"Esci immediatamente da questa stanza."
"No."
"No?"
"No."
"Ti ammazzo, Jiraiya."
"Bene. Fallo."





Qualche centinaio di metri più in giù, Itachi scrutava Kakashi, seduto di fronte a lui nel vagone dell'Effluxum.
La mandritta del bambino era stretta in un'ingessatura minimale, avvolta sul carpo, che riusciva a lasciargli libero il polso.
Kakashi lo guardava a sua volta, inespressivo.
L'Effluxum avanzava silente, facendo sfilare la roccia che sosteneva dell'altipiano del Ludus attorno a loro.
"Kakashi." fece il bambino, rompendo il tenue silenzio.
"Dimmi."
"Non riuscirò a fare molto, con una mano sola."
Kakashi sorrise.
"Faremo in modo che tu faccia il massimo possibile."
"Faremo?"
"Io e te."
"Ah."
"E' normale che i Custodes si feriscano. Sono sicuro che non sarà un grande impedimento, per te. Tanti Custodes combattono anche se impossibilitati."
"Dunque anche tu combatti al fronte?"
Il ragazzo storse le labbra, sospirando. "No, io non sto al fronte."
"E quindi ci sono situazioni in cui non si può combattere."
"Ovviamente."
"Gli occhi sono importanti."
"Sì."
Itachi osservò l'occhio, affaticato, di Kakashi.
"Ognuno fa al meglio quello che può fare meglio. Ci sono Custodes che con un occhio solo rimangono al fronte; io rendevo meglio al Ludus."
Itachi annuì.
















_________________________________________________________________________

[NDA]

Eccomi u.u
Jiraiya e Tsunade....
Non lo so.
Mi stanno sfuggendo di mano.
Li adoro. xD
Ma Jiraiya mi sa sempre più di OOC, non riesco proprio a farlo focalizzare.



Replies.

@Vivvi
oh, le tue recensioni lunghe sono una cosa meravigliosa, ma non serve che ti struggi, eh ^^' Sono felice che tu abbia 'visualizzato' Itachi post allenamento, perchè era proprio ciò che volevo succedesse.. volevo farlo vedere, ecco. vabè xD sono una flashata.

@Wari
cerca di non farti prendere troppo la mano on Patriae Frates Fati Frates, che poi finisce male xD
Già io non son ben messa xDDDDDD
Ah, benvenuta nel 'giro', per la serie. xD

@Killuale
Sì, quando inizioa a superare la prospettiva dei 20 taglio xD ma dovrei farcela entro i 15 dai xD anche un po' di meno.

@Ubalda
"Sembra accennare a quello che accadrà ne I Frutti dell'Oblio. 'Sembra'.. Diciamo che ce l'hai messo apposta! XD"
 ... ma è ovioh! Scusae se non ho detto, ma pensavo che è ovioh! [cit professore di chimica.] sìì, metà del divertimento sta nel lanciare hints di cose viste nei FdO :D Jiraiya che insegna agli strateghi, come era avvenuto con Shikamaru, le mappe che Ovviamente vedono solo gli strateghi e nessun altro... infatti Itachi la scruta perchè non l'ha mai vista xD
Genma mi sta antipatico, btw. Brutto.
*ha come la sensazione di aver appena persona una lettrice.*
Hayate è più divertente con la tosse xD e rientrava nel range d'età, Genma è più grande.
E poi Genma mi ricorda Genma Saotome. xD [ranma, papà di ranma, panda.]


Grazie a tutti – belli e brutti –, al prossimo capitolo.
Ah, tanto per: il 18 ho lo scritto di chimica.
Quindi nulla toglie che il prossimo capitolo sia Domani.
o STANOTTE.

XD




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Capitolo 6
*** 6 ***


6




Capitolo 6




Al fronte c'era la sabbia.
E c'era il sole, che picchiava sulla sua testa come un martello sull'incudine.
Itachi sapeva benissimo che il fronte era fatto così, ma questo non toglieva che la cosa gli provocasse un certo fastidio, che si costringeva a sopprimere mentre scrutava l'orizzonte con i suoi occhi scarlatti.
Si flesse, inspirando: i sei enormi Bellatores dietro di lui lo imitarono, trattenendo il respiro.
Il bambino levò la canna della pistola che serrava nella mano sana, facendo loro cenno di aspettare.
E di tenersi pronti.
Lì, sull'orizzonte che riusciva a stento a vedere, intuiva la presenza di qualcosa. Non riusciva a scorgere molto lontano: ciò nonostante, l'alone azzurrino estremamente sottile che si celava dietro l'ultima duna gli dava molto a cui pensare.
E sospettare.
Fece scivolare in un guizzo lo sguardo verso il bracciale, per poi ritornare a scrutare l'orizzonte: gli altri gruppi di Custodes e Bellatores li circondavano, arretrati, facendo del suo manipolo la punta dello spillo che stava per infilzare la Ventii Regio. Assottigliò le palpebre, indicando con la mano ingessata una zona di fronte a loro.
"Non ancora."
Non ancora.
I Bellatores video il bambino inginocchiarsi, quasi stesse cercando di nascondersi in mezzo al mare di sabbia ch'era quel dannato deserto.
Si inginocchiarono a loro volta.
Ora iniziavano a vedere anche loro le sagome dei teli bianchi – il Nemico, che, lontano, avanzava.
Si erano accorti di loro?
No: non si erano accorti di loro. Itachi lo sentiva benissimo, perché la loro intenzione era lineare, perfettamente omogenea, interamente direzionata ad un piano premeditato: nessuna improvvisazione, nessun sospetto, nessun gesto che suggerisse niente.
Uno dei Bellatores strinse la mano sul fucile a ripetizione che gli pendeva dal collo: slittò di un millimetro sulla sabbia, teso.
"Non ancora." rimarcò il bambino.
La sua voce iniziava ad essere troppo acuta persino per loro, abituati, nel tempo, ad avere perennemente a che fare con Custodes dodicenni. Il Bellator deglutì, annuendo meccanicamente.
"Tre."
Puntellarono le piante dei piedi, pronti ad avere una buona presa sulla sabbia.
"Due."
Si equilibrarono, allargando quel tanto le gambe da consentir loro di non sbandare.
"Uno."
Inspirarono.
"Adesso."
Scattarono in avanti all'ordine di Itachi, pronunciato in tono esageratamente tranquillo.

Il bambino si lasciò superare da tre di loro, per restare nel centro del manipolo, mentre le armi già sputavano pallottole. Metodico, lui premeva il grilletto senza un ritmo preciso: il ritmo è viscerale, dato dallo spirito, mentre Itachi agiva di testa. Ne vedeva uno, ne scrutava il capo, sparava.
Fuoco.
E poi un altro.
Fuoco.
E un altro ancora.
No, non ora.
Ora.
E Fuoco.
Uno alla volta.
In modo inesorabile.
Le urla dei Bellatores, dei bianchi e degli altri gruppi di guerrieri vibravano, fastidiosi, nel silenzio della sua mente.


***


Kakashi arrivò a bordo di un carro da mercante, trainato da due robusti cavalli color pece e seguito da una manciata di altri carrozzoni. Scese mentre questo ancora si muoveva, lento, inerpicando sulla sabbia con una certa fatica.
Levò una mano verso la piccola figurina nera che aveva tutta l'aria di essere Itachi.
Il bambino, circondato dai suoi Bellatores intenti a curarsi le ferite, teneva la pistola stancamente puntata alla tempia di un guerriero del vento, seduto sulla sabbia.
Il Rector lo scrutò interessato, facendo poi scorrere lo sguardo sul campo di battaglia.
"Abbiamo preso circa il venti percento di territorio in più di quello che era l'obbiettivo." sentenziò Itachi, quasi inadeguatamente professionale.
Kakashi annuì, le mani ai fianchi.
"Del mio gruppo stanno tutti bene. A occhio, direi che meno di dieci caduti fra le nostre schiere è una buona stima. Ho –" sembrò qui rimangiarsi la parola " – Abbiamo preso un prigioniero, dev'essere uno dei generali."
'Abbiamo', aveva detto.
Che concetto curioso.
Persino i Bellatores avevano scoccato un'occhiata perplessa al bambino. Noncuranti, erano subito tornati alle fasciature.
"Bene."
Il prigioniero rimaneva muto, lo sguardo inchiodato sulla sabbia.
Kakashi si flesse, per andare a guardalo in faccia. Quello, giustamente, gli negò lo sguardo.
Facevano sempre così, i prigionieri.
Avrebbe parlato, si disse il ragazzo. Era un po' che non si dava all'estrazione di informazioni: le occasioni di fare prigionieri si erano notevolmente ridotte, negli ultimi anni. Ora, con Itachi e il suo incredibile metodo – oltre che capacità di trovare sempre i capitani, o generali, o come diavolo li chiamassero loro, nella mandria di teli bianchi senza mai sbagliare un colpo –, Kakashi ricominciava ad avere pane per i suoi denti.
Morino si sarebbe divertito, pensò.
Era il quarto prigioniero che il bambino gli portava.
Come un gatto che offre i topi al padrone.
"Eh, umiliante essere presi da un nanetto del genere, eh?" fece il Rector, verso il bianco. Quello tacque.
"Non ti preoccupare, questo è bravo. Avrebbe potuto prendere anche me." Tornò ad issarsi in piedi, richiamando, con un cenno di mano, i suoi guerrieri. "Portatelo al sicuro e interrogatelo."
Sul volto del bianco si dipinse un'espressione di ira disgustata.
"Così va la vita, compare."
"Compare un caz... – ."
Il prigioniero non ebbe il tempo di finire d'inveire: i Bellatores di Kakashi lo strattonarono per sollevarlo, e, compatti attorno a lui, se lo portarono verso le tende che stavano venendo issate.
"Sono sempre scurrili, i bianchi. Espressioni che ho sentito solo da loro o dagli agricolae. Sconcertante."
Itachi cercò di interpretare, a fatica, quelle parole.
"Vai a riposarti. Ben fatta."
Il bambino annuì.




***


Quella sera, mentre il freddo vento del deserto s'insinuava fra le tende del nuovo avamposto, Kakashi portò un Custos abilitato a medico da campo da Itachi, per togliergli il gesso. Quando, finalmente, il bambino poté tornare a muovere le dita, si sentì libero e leggero. Con un lontano sorriso compiaciuto osservava le articolazioni sgranchirsi, i tendini tirare le ossa, e la mano, finalmente, funzionare.
La prima cosa che fece fu chiudere il pugno e portarlo al petto, battendo: finalmente poteva fare un saluto come si deve.
Kakashi lo osservava, pensoso.

Con tanto di mano rotta, Itachi era stato un prodigio.
Bravo.
Bravo.
Dannatamente Bravo.
In una ventina di giorni avevano fatto più progressi di quelli che avevano fatto in un anno intero. I bianchi venivano schiacciati, terrorizzati, mentre la voce di quel bambino che si muoveva come una macchina inarrestabile e incapace di sbagliare si spandeva fra tutte e due le fazioni.
Tsunade, dal Ludus, gioiva.

Il Rector si ritrovò con lo sguardo di Itachi, scuro e fisso, piantato addosso.
"Che hai?"
Il bambino non fece un cenno, continuando a scrutarlo.
Dopo un silenzio perplesso, il ragazzo rincarò: "Tutto bene?"
"Sì."
"E allora?"
"Allora cosa?"
"Perché mi fissi così?"
Itachi parve contrito.
"Stavo aspettando che dicessi qualcosa."
"Del tipo?"
Itachi iniziava ad essere visibilmente a disagio.
"Ordini." fece, sfiorando un tono retorico.
Kakashi notò l'inflessione con una certa sorpresa. Di solito Itachi non aveva inflessione.
Bhe, tutti crescono, prima o poi.
"Dormi."
Il bambino aggrottò le sopracciglia, poco convinto.
"Intendevo, sul lungo termine."
"Vedremo."
Sorprendentemente, Itachi non parve affatto soddisfatto di quella risposta.



***


Tre giorni dopo, Kakashi portò a Itachi due pistole affusolate, leggere e relativamente piccole, se confrontate alla calibro 45.
Il bambino le osservò incuriosito, soppesandole, mentre ancora cercava di riacquistare la totale mobilità della mandritta.
"Queste due non sono armi, sono gioielli. Sembrano pensate per te."
Itachi mirò, in lontananza. Tenerle in mano gli provocava una sensazione strana. Troppo leggere, si disse.
"Proiettili sottili come aghi, esplodenti e intinti nel veleno. Solo chi ha una mira perfetta come te può usarla: devi colpire sempre in fronte, o negli occhi, o al collo. Così, i colpi saranno incredibilmente efficaci. Altrimenti, è come non averle."
Itachi annuì.
"Non serve ricaricarle spesso, ma ti conviene avere sempre qualche scorta di munizioni dietro. Ah, ed è perfettamente automatica."
Itachi annuì di nuovo.
"Tieniti la calibro 45. Non sai mai quando può servirti."
Il bambino annuì per l'ennesima volta, risistemando le pistole nelle fondine che aveva agganciato alla cintola.
"Grazie, Kakashi."
'Grazie?'
Itachi iniziava a dire cose piuttosto inusuali.
"Sono le tue armi, in dotazione dalla regio."
"Certo."
"Non mi devi ringraziare." rimarcò il Rector.
"Ah. Va bene."
Forse, pensò fra sé e sé, era per causa del suo essere al di fuori dal sistema. Non essere abituato a ricevere armi. Nessuna iniziazione.
Solo persone che danno cose, fanno cose, addestrano, assistono.
"Ah – Itachi, fra qualche giorno arriverà Jiraiya con quelli del secondo ciclo."
"A questo fronte?"
"Così hanno deciso."
"Bene."
"Prenderai ordini da lui, come arriverà. Fossi in te mi risposerei."
Itachi non parve rasserenato da quel suggerimento.
Anzi.
"Domani c'è un altro sfondamento." comunicò.
"Programmato da..?" domandò Kakashi, perplesso.
"Genma, se non ricordo male. Della squadra H3."
Kakashi rimase in silenzio.
Il bambino, di fronte a lui, lo scrutava con il volto di chi attende una risposta.
Senza ben sapere quale fosse, in realtà, la domanda.
Doveva decidere lui cosa far fare a Itachi? si domandò, sgomento. E con altrettanto sgomento si rese conto che la conversazione che aveva appena sostenuto si addiceva di più a quella con un quattordicenne, che con un bambino di nove anni.
C'era, comunque, una cosa che lo differenziava dai neo Custodes: in un modo o nell'altro, Itachi sembrava stesse chiedendo un permesso.
Certo, Kakashi era il suo tutore.
In un modo o nell'altro, aveva potere su di lui.
Ma quanto?
Si ricordava cosa aveva detto il Custos che lo aveva portato la prima volta sul campo di battaglia, a qualche giorno dalla sua prima vittoria: questo è il tuo posto, Kakashi. Il tuo lavoro. La tua vita. Sta a te decidere, e a te soltanto.
Cosa fare.
Dove andare.
Era un discorso assurdo, all'interno di una gerarchia rigida come quella dei Custodes: ma era vero.
Un Custos doveva sapere quando fermarsi. Quando ricominciare. Dove guidare il suo manipolo, che strada prendere, che disposizione scegliere.
Oltre agli ordini dei superiori, la libertà d'azione era massima e dovuta.
Non erano le guide dei Bellatores per niente.
Erano le guide per guidare.
Itachi doveva imparare anche questo.
Il che significava, come aveva predicato Jiraiya tempo prima, smettere di tenerselo sempre sotto la propria ala da chioccia turbata.
"Bene." disse infine, facendo per uscire dalla tenda.
Itachi non emise un suono, osservando le spalle di Kakashi che sparivano oltre il lembo della tenda da campo.


***


Jiraiya bussò.
Già lì ebbe il sospetto che non fosse stata un'idea furba.
La porta si aprì, strattonata con foga: una chioma bionda comparve, intenta a scrutarlo dal basso.
Tsunade non disse una parola.
"Ciao."
"Hu–uh." fece la donna, che lo fissava con l'aria di chi sta aspettando che un discorso finisca il prima possibile.
Un discorso che, poi, non era nemmeno iniziato.
Jiraiya ebbe la pessima idea di prenderla alla lontana.
"Sei ancora arrabbiata, vero?"
"Sei sagace."
"Bene... Kakashi ha detto che gli hanno tolto il gesso."
"Lo so."
"Sta benissimo."
"Lo so."
"Bene."
"Benissimo."
"Io parto domani."
"Bene."
"Kakashi me l'ha appioppato."
"Non te l'ha appioppato Kakashi, te l'ha affidato il Globus."
Acidità che sgorgava da ogni sillaba.
Non si può contraddire il Globus.
Anche se Tsunade era dell'idea che, forse, per evitare che l'agricola lì di fronte gli sfasciasse di nuovo la creatura, contraddirlo poteva essere una cosa fattibile.
"Senti..."
"Niente discorsi strani, Jiraiya. Hai finito?"
"No."
"Allora esprimiti in modo rapido e conciso. Sto lavorando come una bestia."
"Dagli interrogatori iniziano ad emergere conferme di quanto hanno riportato le spie. Adesso che torna al Ludus, Kakashi si darà al Laniatus, di modo da poter avere fonti attendibili – ma la realtà che emerge è quella: i bianchi hanno davvero catturato un demone. Ed ora che il potere di Itachi è cristallino agli occhi di tutti, stanno accelerando le cose. Non so bene come. Ma la cosa si fa seria."
Tsunade aggrottò le sopracciglia, sfiatando.
"Gira voce da molto tempo del demone. Non riesco a capire se è una reazione a Itachi o un'idea quasi contemporanea. Mi informerò."
"Ho detto a Kakashi di riferire tutto a te."
"Tutto quello che può riferire."
"Immagino che il Globus sia abbastanza intelligente da pensare che se c'è una persona che deve sapere cosa sta succedendo, sei tu."
"Bene."
"Bene."
Cadde il silenzio.
Jiraiya aveva l'impressione che, non appena si fosse staccato dallo stipite, quella porta si sarebbe chiusa.
E probabilmente non l'avrebbe rivista per mesi e mesi. E mesi. E mesi.
Chissà, magari anni.
"Tsunade, mi..."
"Ti spiace, sì, va bene, lo so. Questo non cambia le tue azioni. Fai in modo che non si ripetano. Anche il Globus era piuttosto seccato."
"Lo so."
La sua schiena lo sapeva benissimo.












____________________________________________________________________________________


Che dite, è corto?
Ma mi serve così.
:3

Noto che avete apprezzato Jiraiya e Tsunade almeno come li ho apprezzati io xD Infatti continuo a dilettarmici.
Thadaaaah, i demoniii :D
E Itachi inizia già a fare cose strane. Approfondiremo nel prossimo capitolo cosa sta succedendo.


@Ubalda
La bacchetta è di titanio rivestito di tipo lacca o plastichetta o qualcosa del genere.
Lo dico per esperienza, il titano in mano sembra plastica – peccato che si comporti in modo totalmente diverso X°D non dico che mi sia successa una scena simile, ma... un'ispirazione l'ho avuta, lo ammetto.
Ah, ho messo Genma.
Pura comparsata.
Contenta?
xD
Tanto per dare i nomi alle persone di contorno....

@Vivvi
Eh, povero Jiraiya, lui fa solo il suo lavoro. Per certe cose non è affatto adattabile, quello è il metodo, che tu abbia nove o quindici anni, lui lo applica xD d'altronde è così che funziona.
La reazione di Tsunade mi sembra calibrata per Tsunade, diciamo. Quella che, soprattutto, ogni tanto sfocia nell'antiprofessionale in toto. Jiraiya avrà spaccato una mano al bambino prodigio, ma lei sta eccedendo da qualche altra parte ^^ sì, devo ammettere che vedere l'incapacità di schierarsi mi soddisfa xD mi pare coerente, di fatto qui non c'è niente di giusto o sbagliato, quindi il lettore non dovrebbe proprio essere capace di schierarsi – per lo meno, in modo totale ed incondizionato.
Questo ovviamente secondo la mia visione malata e perversa delle cose.
xD


@wari.
eh, ma poveri disgraziati, mettiti nei loro panni xD così è. Sì, maltrattamento di minori.
E' vero.
Facciamo un saltino indietro di 150 anni? Maltrattamento di minori penso sia un'espressione che potrebbero capire quanto potrebbero capire il concetto di Reality Show XDDD
Così è.
Triste la vita.
E, vabè – è anche un po' colpa mia che sono cinica.
Non nascondiamoci dietro un dito.
*fugge*


@Killuale
... pazza <___<'''' dopo che non mi salta fuori che mi diventi la new fuhrer per colpa mia, eh U___ù''''''''''''''











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Capitolo 7
*** 7 ***


7


Capitolo 7



I ragazzini del secondo ciclo, Custodes in piena iniziazione, erano arrivati da nord: d'altronde, i fronti meridionali erano decisamente saturi.
Kakashi li osservava, stanchi per la marcia ma ancora immacolati e lindi.
C'era una cosa che non tornava, al Rector.
Una cosa piuttosto fastidiosa: era talmente evidente che non riusciva a non pensarci.
Come diamine gli era saltato in mente di portare i novellini al fronte di Itachi?
Era il più caldo di tutti. Poteva succedere qualsiasi cosa, lì: Itachi li stava schiacciando, i bianchi erano furiosi e sviliti, gli altri fronti erano stati ben che rinforzati – ma, supponeva, se avessero dovuto farsi aggressivi, lo avrebbero fatto lì.
O forse no?
Certo l'idea di perdere più leve del necessario in modo altamente stupido non entusiasmava nessuno.
E allora perché non lasciarli a nord, dove c'era la calma necessaria ad abituarli al fronte, senza rischiare che facessero danni?
Il Rector si portò una mano dietro la nuca, pensoso.
Jiraiya, mastodontico, gli si avvicinò nella penombra del tendalino.
"Dov'è Itachi?" domandò, sistemandosi i guanti bianchissimi.
Kakashi fece scivolare lo sguardo sulle mani dell'uomo, quasi si fosse ricordato solo in quel momento che, in realtà, i Custodes avevano miriadi di gradi, sino a quello del candore immacolato.
Com'era che gli avevano detto? Il guanto più scuro obbedisce a quello più chiaro.
Semplicissimo.
E lui era arrivato al bianco sporco.
"Stanno facendo sfondamento, mi sembra che le cose durino più del previsto."
Jiraiya si accigliò. "Lo hai mandato in missione prima delle consegne?"
"Non l'ho mandato, ci è andato." sottolineò il Rector.
"Uh."
Jiraiya parve incapace di emettere altro suono al riguardo. Osservò Kakashi, domandandosi cosa fosse successo in quei giorni. Magari, si disse compiaciuto, lo sbarbatello aveva deciso di seguire il suo consiglio.
"Gli ho dato le armi personali." comunicò il ragazzo all'uomo, osservando i ragazzini del secondo ciclo che andavano organizzandosi poco più in là. "Non mi sembra un'idea geniale affollare questo fronte. Itachi basta e avanza."
"... Prego?"
Kakashi si strinse nelle spalle. "Gli saranno solo d'impedimento."
"Bada a come parli, ragazzino. Dall'essere un prodigio al lavorare in solitaria ne passa. Nemmeno io lavoro in solitaria. La sua presenza non esclude quella del secondo ciclo."
"Ma tu non sei un prodigio." rincarò Kakashi.
"Se tu stessi zitto sarebbe un'ottima idea."
Kakashi annuì.
"Lasciami fare il mio lavoro."
"Certo. Posso solo chiedere quanti ne avete stimati di perdere?"
"Sei."
"Sei?"
"Sei."
"E' tantino, sei."
"E' un periodo particolare. Come vedi, non ci sono nemmeno tanti Bellatores."
"Mh – è vero."
"E' solo per quello. Ma i risultati saranno incredibili. Ora vai a fare i tuoi giochini psicologici al Ludus, da bravo. Morino ti aspetta."
In qualche modo, il volto pacioso di Kakashi sembrò illuminarsi.
Oh, sì.
Morino.
Il Laniatus.
Le torture.
Adesso si cominciava a ragionare.
"Spero che ci reincontreremo." Kakashi salutò Jiraiya. "Non farti ammazzare." 
"Mph."



***



Il bambino salutò Jiraiya, il visetto sporco e la divisa tagliuzzata qua e là. Nella tenda, bollente per il sole che picchiava, una decina di Custodes fra i sedici e i vent'anni giungeva a portare il resoconto dell'ultimo sfondamento. Itachi, in mezzo, era come un cespuglio di rose in mezzo ai platani.
Davanti a loro, impettito e stanco, Genma fece rapporto. Itachi ascoltò con attenzione le parole del Custos, cercando di cogliere le sfumature del lessico che usava, netto e conciso, per poter adeguare il suo.
Ma, in realtà, non è che fosse poi così diverso. Anzi.
Lui avrebbe esposto la situazione quasi con le stesse parole. Fu su quel 'quasi' che si concentrò, mentre ascoltava il resoconto di Genma.
Cos'era quel 'quasi'?  Cos'era quel poco, quel 'praticamente' che gli mancava per essere definitivamente un Custos?
Doveva capirlo.
Jiraiya portò gli occhi annoiati sul bambino, osservandolo.
Ha solo nove anni, si ripeteva l'uomo.
Eppure pareva decisamente a suo agio: era innegabile. Itachi sguazzava. Sguazzava in quel mondo di attacchi, manipoli, Bellatores, caduti e feriti. L'uomo storse le labbra, additandolo.
"Tu."
Itachi annuì.
"Con gli iniziandi."
Il bambino lo scrutò, immobile.
"Quelli del secondo ciclo. I ragazzini. Sono squadre da tre Custodes e sei Bellatores. Prendi i tuoi e vai da loro, fatti una squadra e organizzatevi."
... per fare che? – fu il pensiero che scappò alla sua testa.
"Muoviti."
Per organizzarsi, concluse.
Ovvio.
"Sì."
Mosse qualche passo indietro, e uscì dalla tenda.
I Custodes rimasti, fra cui Genma e Jiraiya, sembrarono osservare l'apertura da cui era scomparso, meditabondi.
"Jiraiya, se posso dire una cosa..."
"Non dirla."
Genma corrugò la fronte, interdetto.
"Quel cosino è un fenomeno, è uno spreco fra gli inziandi."
"Genma, per quale oscuro motivo ti ostini a chiedermi di parlare se poi parli lo stesso?"
Gli altri Custodes, leggermente malconci, osservarono i due. A dirla tutta, quello di cui avevano bisogno era un po' di dannato riposo: perché diamine Genma si dilungava?
"Andate, andate."
Si dileguarono senza un rumore, osservandosi fra di loro per la caccia al buco nell'ombra in cui rintanarsi.
"Allora?"
Genma si voltò nuovamente verso Jiraiya.
"Ho detto, un fenomeno."
"Appunto. Lasciami fare il mio lavoro, Genma."
"Ha gli stessi Bellatores da più di venti giorni!"
Jiraiya si strinse nelle spalle. "Io ne ho tenuti anche per un anno intero."
"Ma lui sta in seconda linea – e si butta in prima – ed è un nano! Dico, gli iniziandi ne perdono almeno uno, nella prima missione. I suoi a stento si feriscono."
Il taglio che, sul volto di Jiraiya, aveva sostituito le sue labbra, fremette.
"Sì, un genio, appunto. Fra gli iniziandi. Deve imparare a perdere."
"Ma il terreno che abbiamo guadagnato..."
"Lo perderemo fra altri venti giorni. Non farti ingannare, Genma. Sono solo sconvolti, i bianchi: ma non li abbiamo battuti."
Quello parve sospirare.
"Lasciami fare il mio lavoro."
"A me serviva."
"Pazienterai per qualche altra manciata di giorni."
Genma non pareva molto rallegrato all'idea.
Gli era bastato così poco per abituarsi alla precisa, meccanica ed infallibile presenza di Itachi, che adesso vederselo togliere da sotto il naso per finire con gli iniziandi – gli iniziandi! – sembrava un dispetto direzionato a lui e lui soltanto.
"Quando avrai le condizioni per un assalto in cui la sua presenza sarà assolutamente indispensabile, me lo dirai. Valuteremo e vedremo. Per ora, lì sta e lì rimane, finché non impara."
Ma tanto, Itachi imparava in fretta.


***


"Io sono Hana."
La ragazzina sorrideva in un modo che al bambino pareva del tutto innaturale. Era un sorriso largo, estasiato, quasi divertito.
Poi il sorriso cadde.
Il volto di Hana ridivenne serio, ridivenne un volto da Ludus – ma non era ancora un volto da fronte.
Itachi sembrava perplesso.
"Chi è il grado più alto?" domandò, facendo scivolare gli occhi sui guanti degli altri, inesorabilmente neri.
Hana si strinse nelle spalle. "Jiraiya?"
"Uh."
Organizzatevi, aveva detto Jiraiya.
Itachi scrutava quella ragazzina, di una spanna abbondante più alta di lui, i capelli castani sottili raccolti in una coda da cavallo.
Allora.
Ok.
Bisognava organizzarsi.
"Jiraiya ha detto di organizzarsi."
"Sì, sì. Anche se, a parte le squadre, non sappiamo bene che fare. Aspettiamo ordini, intanto."
Aspettiamo ordini.
E continuiamo ad aspettare ordini.
"Va bene." Itachi si volse indietro, osservando i suoi Bellatores in attesa, poco più in là.
"Quello è il mio manipolo." disse, indicandoli.
"Sono belli grossi." commentò quella, osservando i sei uomini dal volto duro e solcato dalle cicatrici. Si voltò a sua volta, scrutando i ragazzi che avevano loro. La corporatura era quella, ma, certo, l'aria vissuta dei Bellatores di Itachi era impagabile.
"Io sono solo. Spero che non sia un problema."
"Non vedo perché debba esserlo!" fece quella, quasi ridendo. "Allora, allora. Noi abbiamo le squadre fino alla J. Vuoi la K?"
"... K e basta?"
Hana fece una faccia che per Itachi non aveva assolutamente senso. Sembrava schifata, perplessa, offesa e scocciata. Metà di questi stati d'animo Itachi non li conosceva – e non riusciva a tradurre. Ma, a dirla tutta, Hana era solo enfaticamente perplessa.
"E basta, sì." fece, ovvia. "Perché, scusa?"
"Le squadre dei Custodes hanno anche i numeri." fece Itachi, mimando a stento una scrollata di spalle.
"K2 va bene?"
"Perchè 2?"
"Perché no?"
Il bambino rimase interdetto e senza parole per qualche istante.
Logica.
Logica.
Dove diavolo è finita la logica?
"Ohi, tutto bene?"
"Sì."
"Lo vuoi questo numero o no?"
"No che non lo voglio – ti stavo solo rispondendo."
"Ah. Ok."
Hana rimbalzò sulle punte dei piedi, per poi voltare le spalle al bambino. "Allora segnati sulla K!" fece, rallegrata, mentre si allontanava da lui.
Itachi cercò di riprendere fiato.





Il deserto donava una notte spalmata dal silenzio.
L'aveva vissuta addosso, l'aveva sempre notata.
Silenzio e gelo.
Itachi si sistemò sulla sabbia, sbattendo le palpebre, gli occhi dall'iride scarlatta puntati sull'orizzonte che si perdeva nel buio.
Silenzio e gelo.
Era sempre la stessa atmosfera, si fosse di guardia, si stesse dormendo o si fosse nel bel mezzo di un assalto – o, meglio ancora, un attimo prima.
Silenzio e gelo.
Itachi inspirò.
Itachi espirò.
Proteso in avanti, fissava. Ogni tanto usava il visore, alternandolo ai suoi occhi prodigiosi.
Era bravo, Itachi.
Nel Silenzio e nel Gelo.
Fino ad ora era andato tutto bene.
Mano rotta, mano guarita.
Ma, comunque, bravo. Sì. Bravo.
Ma non abbastanza.
Itachi tendeva le orecchie.
Assimilava.
Doveva essere perfetto.
Sarebbe stato perfetto.
Era una rincorsa alla perfezione.
Itachi correva.
Itachi stava correndo.
A Itachi il fiato non mancava mai.
E poi...

E poi.

Itachi stringeva le palpebre.
E poi 'ci si doveva organizzare'.
E poi c'era un assalto.
E poi un altro.
E un altro ancora.
E poi si contavano i morti.
E i feriti.
E poi era in mezzo agli inziandi.

Per ordine di Jiraiya.

Itachi era all'erta.
Jiraiya lo metteva in difficoltà. Sapeva che lo metteva in difficoltà. Perché era Jiraiya, e lui era Itachi.
In un qualche modo il bambino era convinto che fosse pressante dovere di Jiraiya metterlo in difficoltà.
E, in qualche modo, era così.
Quindi all'erta, Itachi.
Adesso che è arrivato Jiraiya, le cose saranno ancora più difficili.
E poi saranno ancora più difficili.
E poi saranno ancora più difficili.
Finché non ce la farai.

Diventerai perfetto, Itachi.
Esattamente come dovresti essere.

E poi.

E poi...

"Cambio!"
Itachi saltò. Si rotolò sulla sabbia, con un colpo di reni si alzò tirando un calcio all'ombra che aveva squillato una parola che lui, colto dall'adrenalina, non aveva nemmeno ascoltato.
Hana schivò solo per metà il colpo del bambino, ritrovandoselo avvolto al collo con il palmo della mano pronto a conficcarle il setto nasale dritto dritto nel cervello.
Che astio, quando Itachi non si accorgeva di qualcosa.
Hana era morta.
No, non era morta.
Ma se fosse stata un bianco, sarebbe morta.
Itachi la lasciò andare, cercando di drenare l'adrenalina dalle vene.
"Non urlare." si limitò a dire, lasciandole in mano il visore per andare a dormire.
Hana, immobile, sentiva il cuore in testa.
Hana non aveva ancora combattuto.
Hana era arrivata lì serena, per un banale cambio di guardia.
Mentre Hana ancora cercava di riprendere il controllo del corpo, paralizzato dal terrore di sentirsi addosso quella cosa leggera ma chiaramente letale nei suoi gesti perfettamente misurati, Itachi scivolava dentro la tenda, alla ricerca del sonno.
Quando riuscì a farlo, Hana si voltò lentamente, scrutando la scia immaginaria che aveva lasciato il bambino muovendosi.
Hana non era pronta.
Non era affatto pronta, si disse.

Ecco perché ha nove anni, pensò la ragazzina.
Ecco perché i suoi Bellatores sono così vissuti.
Perché Itachi è vissuto.
Perché Itachi è pronto.
Perché era già pronto molto tempo prima.

Hana espiro, incrociando le gambe e portando il visore agli occhi.
Lo shock se n'era andato, così com'era comparso.

Che forza, quel tappo – pensò.


















_____________________________________________________________

Ragazzi, scusate, ma non trovavo nessuno da sbattere fra i ragazzini del secondo ciclo... quindi ho anzianizzato Hana di un paio d'anni per far tornare i conti. Sorry. E poi è un personaggio che mi diverte. xD [era la mamma di un mio pg in un gdr, ma questi sono dettagli. xD].
Comuque.... KISHIMOTO, CHE TI HAN FATTO DI MALE I VENTENNI!? Oh, ma non è possibile o,o la fascia 19-22, per lo meno nella prima serie, è vuota. Non riesco a trovarne uno T_T halp T^T'

Bhe, insomma, spero che non ve la siate presa per questo arrangiamento. >.<'

Questo era un capitolo dedicato ai Bellatores.
O meglio, a come sono visti i Bellatores.
Ovviamente me ne sono resa conto solo alla fine.
Ma a me succede sempre così.




PS.
Quindici capitoli.
Ho detto, quindici capitoli.
QUINDICI.
CAPITOLI.
QUINDIICIIII
CAPITOLIIIIIIIIIIIIIII!!!

*autoconvincimento fail*

No, davvero. 15.
Anzi, <15.

>_________________<**** giuro T______________T



@Vivvi
sì, in effeti questa 'nuova' caratterizzazione forse l'ho lanciata con troppa fretta, non so... *perplessa*. Però mi piace. E spero che non fagociti troppo il personaggio, in realtà è solo la sua reazione al fronte.
Almeno spero.
Tsunade e Jiraiya <3
XD
Grazie ancora per seguire,  e per i complimenti... *redtoviolet* >//<' [che beota che sono, ammettiamolo].

@Killuale
Ahbon xD menomale.
Esperimenti di coppiaggio... bene, sono felice gradiate. xD cioè non sono una persona da pairin, ma mi sa che in realtà ci sono scivolata... è che, vabè. Sono semplicemente... Giusti, in questa storia.
Anche se sono molto diversi, lo so...

@Hanil
oddio, ma quanto tempo xD ciao *_*
Sì, boh, non so se è OOC – chissà com'era da bambino, poi? Nel senso, nello scrivere di Itachi la prima cosa che mi sono chiesta è: ma come fa uno a diventare un superninja da bambino? Come si comportava? Come faceva, come reagiva?

A dirla tutta, la maggiore ispirazione per TUTTO il complesso dei ragazzini-guerrieri nasce dalla mia fondamentale inquietudine riguardo tutta la serie di Naruto: com'è possibile che ci siano ninja-bambini, che combattono a 12 anni, ma anche 7-8 se sono geniacci?
Nel manga è una cosa fatta un po' così, ma di fatto la trovo terrorizzante. Certo, è un manga, lo adoro, anche se ha molte parte serie e belle è uno shounen e quindi un po' un giocattolo... però, insomma. Che cosa strana.

E' così che ho cercato di trattare Itachi, aggiungendo il fatto che nel Ludus è tutto ancora più freddo, asociale e distaccato, senza amicizie nè parentado. Ed eccolo qui.
Eccolo anche un po' al di fuori dei minimi rapporti che intrattengono i ragazzini che diverranno Custodes, e dei Custodes stessi, che in realtà si parlano, a volte litigano, e pure s'insultano – a modo loro.
Non so.
A me piace.
Ma ammetto che è molto strano.


@Utgarda
correto.... U__U classico caso in cui stai pensando a tre costruzioni diverse per la stessa frase e quello che ne viene fuori è... quello.
brrr.
grazie della segnalazione. xD
Quella del gatto che porta i topi al padrone l'adoro. M'è venuta per caso, proprio vedendo l'immagine in testa mentre scrivevo del prigioniero – e poi ho pensato: Cacchio, ma è Vero, D:
I 'jinchuuriki' compariranno sì, diciamo più a livello teorico che altro, ma vanno menzionati per storicità. Ammetto che sarebbe figo mandare Itachi a catturare Kyuubi, ma è incoerente con quanto avevo scritto nei FdO xD ma qualcosa dovrò raccontare, perchè alla fine Itachi c'entra sempre qualcosa...
in quindici capitoli.
Sì.
Quindici, Capitoli.
Come al solito ho la battuta finale pronta, ma devo percorrere la strada per agganciarla... e in mezzo ci sarà un po' di tutto, demoni compresi.
Per non parlare di Sasuke.






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Capitolo 8
*** 8 ***


8



Capitolo 8



I dieci gruppetti di iniziandi (più uno) erano stati piazzati da Jiraiya al margine del fronte, verso nord — quasi al limite con l'avamposto successivo, di modo che non intralciassero: piccole masse di puntini neri che ogni tanto comparivano nel deserto giallo. Formichine, che ad ogni alba e ad ogni tramonto si spostavano, si davano il cambio, si riposavano — e, nel mentre, sorvegliavano.
A Itachi quella posizione stava scomoda: arretrato, messo da parte, non riusciva a controllare i movimenti degli aloni azzurri dei nemici – che, ormai, non vedeva più.
Attendeva.
Che accadesse qualcosa.
Giorno dopo giorno, con calma, con noia.
Tanta, infinita noia.
Ogni tanto Jiraiya si rifaceva vivo, parlando dai bracciali dei ragazzini: andate un po' più a ovest, tornate un po' più a est – spostatevi, giratevi, state attenti.
Ma la realtà era che non succedeva nulla.
E dunque Noia.
"Mi sto avvicinando!"
Ma non era tanto la noia ed essere fuori dall'ordinario di Itachi, quanto quella situazione di quotidianità a lui del tutto estranea, quasi rubata agli iniziandi.
E la socializzazione.
"Sono vicina!"
Che traeva massima espressione nella ragazzina chiamata Hana.
"Shhht." le intimò il silenzio.
"Dobbiamo fare cambio, Itachi."
"Fra otto minuti."
"Vabè – otto più, otto meno. Come vanno le cose, qui?"
Itachi manteneva gli occhi sulle dune, placido.
"Non succede niente. Quando succederà qualcosa, lo saprai."
Hana si sedette per terra, accanto lui.
"Quindi non intendi muoverti entro i prossimi otto minuti?"
"Sette. No. Non posso."
"Ma ci sono qua io – vai dagli altri, così poi mi raggiungono."
"No."
Hana storse le labbra. Duro come il metallo, il bambino. Sarà stata la trentesima volta che quella conversazione si ripeteva, identica.
Sospirò.
Itachi tacque, continuando a fissare l'orizzonte da dietro il visore.
Storse anche lui le labbra.
Poi parve mordersele.
E, infine, cedette.
"Perché dai sempre il cambio in anticipo?" le chiese, il tono che cercava di nascondere la sua curiosità dettata dall'incomprensione di quello strano atteggiamento.
"Perché mi annoio. Così posso parlare un po' con te – dato che non ti schiodi mai dalla tua postazione prima del dovuto."
"Ma voi siete in tre. Puoi parlare con gli altri due."
"Oh, ma se dove noi siamo in tre mi annoio io, immagino che tu, da solo, ti starai sciogliendo dalla noia."
Il bambino tacque, studiando quell'ultima frase.
Hana lo guardò con un vago sorriso.
Era un bambino curioso, Itachi. Non sapevi mai quando finiva di comportarsi da Custos vissuto e iniziava ad assumere atteggiamenti decisamente più adatti alla sua età. Tipo quel modo colpevole che aveva di rivolgersi a lei, anche solo per chiedere delucidazioni. Mica era sua superiore: fra parigradi si ha il pieno diritto di farsi domande e di rispondersi – non era un guanto bianco, lei.
Forse Itachi non aveva ben chiaro il concetto di parigrado.
"Però il protocollo dice che devi essere qui ad una certa ora, né prima, né dopo. Invece sei sempre fuori orario. Di minuti."
"Oh, via, qualche minuto non conta nulla."
Itachi tacque, osservando la ragazzina con uno sguardo che nascondeva uno stupore sgomento: non mosse gli occhi, il volto racchiuso una maschera di porcellana, silente.
Hana iniziò a rendersi conto di aver detto una cosa stupida: in effetti, in un minuto si fanno parecchie cose. E Itachi aveva tutta l'aria di sapere benissimo quante cose possono succedere, quanti rischi si possono correre, quante volte puoi sfiorare la morte, in un minuto. In un secondo. In battaglia il tempo era una cosa fondamentale: Hana lo sapeva, glielo avevano sempre insegnato.
Ma non pensava che fare da vedetta marginale potesse essere una cosa assimilabile alla battaglia. Non sino ad allora.
L'espressione di Itachi iniziò a farle cambiare idea.
"Non sono d'accordo." fece infine il bambino, voltandosi. "Ciao."
Hana rimase perplessa, zittita da quel saluto piovuto dal cielo: lo vide allontanarsi, occultato dai quattro torrioni ch'erano i suoi Bellatores, sempre ben disposti attorno al bambino.
Pensosa, si portò il visore agli occhi.
In realtà, otto minuti passano in fretta.



E così andava avanti, da giorni.
La noia era una brutta bestia. Itachi si rendeva conto di essere quello che la sapeva amministrare meglio, del plotone, nonostante non fosse mai stato annoiato in tutta la vita che ricordava.
Aveva un che di logorante, la noia. Spegneva.
E così, per rimanere accesi, gli iniziandi chiacchieravano.
Il che significava che si distraevano.
E ciò non era bene.
Ma anche la noia fa distrarre. Fa vagare la mente, lascia il tempo di pensare a cose di cui non ci si era mai curati prima.
La noia dava modo ad Itachi di notare come il collo della divisa gli provocasse un certo fastidio, a causa della sabbia che vi si insinuava dentro. Con la noia Itachi scopriva che il vento faceva cambiare il profilo delle dune, e che, di giorno in giorno, riusciva ad accorgersi della differenza dei loro profili, in costante mutamento.
La noia stava anche iniziando a far sì che Itachi trovasse quel posto sempre più fastidioso, e, fra un nesso logico e l'altro, gli permetteva di ricondurre parte del suo disagio a Jiraiya.
Infastidito, notava come — di fatto — il Custos lo avesse mandato ad annoiarsi.
Cosa voleva Jiraiya da lui?
Se voleva vederlo faticare, non era certo quello il posto adatto: il bambino non faceva niente, se non subire il sole sulla testa di giorno e il freddo del deserto di notte.
Come poteva Jiraiya pensare che un'esperienza del genere lo migliorasse? Era inutile.
O forse no?
Forse era proprio la Noia, il nemico che gli aveva mandato incontro.
O, peggio ancora, la Disattenzione che questa a lungo andare provocava.
Perché è facile rimanere vigili per ore, o per uno o due giorni: ma quando i giorni iniziano a farsi mesi, l'attenzione si affievolisce, la routine prende il sopravvento e il corpo e la mente si aspettano che ogni giorno sia uguale a quello precedente.
Era quello che doveva imparare ad amministrare Itachi?
Non chiacchierare troppo con gli iniziandi poteva essere un buon approccio. Assieme al mantenersi vigili. Anche se Hana era un po' più insistente degli altri, Itachi sapeva dosare le parole, e distribuire l'attenzione fra l'orizzonte e i discorsi completamente casuali che intratteneva. E che tendeva a far cadere il prima possibile.
Era quello, il problema?
O no?

Questi pensieri gli scappavano sempre più spesso, nel deserto di noia. Si insinuavano nella sua testa, e, lenti ma costanti, si spandevano, allagandogli la mente: ogni volta una pozza più grande.
Ed era allora che, al culmine del meta discorso cui andava incontro, abbassava la guardia, distraendosi più che mai.

Rapido, Itachi rimise a fuoco gli occhi, che si erano ritrovati ad osservare il nulla.
Stai attento, Itachi.
Vigile, Itachi.
Vigile.
Il vento della notte gli rosava le guance. Dietro di lui, sentiva i respiri dei Bellatores farsi sempre più pesanti e lenti.
"Mancano ancora settantasei minuti."
Dava loro il tempo, cercando così di svegliarli dal torpore in cui cadevano inevitabilmente. Quelli annuivano, tornando a respirare normalmente.
Itachi chiuse le palpebre, attivando i suoi occhi scarlatti.
Settantasei minuti.
Settantacinque.
E poi avrebbe potuto dormire.
Almeno, dormendo, faceva qualcosa.
Dormiva.
Che pensieri idioti, Itachi.
Settantaquattro.
E il nulla. Nulla. Nulla.
Nulla.
Settantatré.
Ma non illuderti, Itachi. Non è routine. Non sarà sempre così. Convincitene.
Prima o poi qualcosa accadrà.
Anche se questo posto, questo buio, questo silenzio – altro non fanno che dare l'impressione che il mondo sia fermo, rallentato, in cui le dune si alzano e si abbassano stanche come le onde del mare.
E poi, di colpo, Qualcosa.
Itachi corrugò la fronte, stringendo gli occhi per aguzzare la vista.
Sì.
Qualcosa.
Era stato qualcosa.
Lo aveva visto. Lo aveva intuito.
Era successo qualcosa, era passato qualcosa – o, meglio, qualcuno.
L'orizzonte rimaneva però buio e immobile.
Il bambino si voltò leggermente, cercando di fare due conti: qualunque cosa fosse stata, era più a sud di lui. Osservò di nuovo, attento: nulla.
Un falso allarme.
Un falso allarme?
Mai dare nulla per scontato, Itachi. Si mise a trafficare con il bracciale, aprendo la comunicazione radio verso gli altri.
"Qui squadra K – squadra E, ho visto qualcosa davanti a voi."
La radio tacque, se non per il suo eterno grattare.
"Qui squadra E. Nulla."
"Nulla?" domandò Itachi, apparendo sconcertato.
"Nulla, ho detto. Buona notte."
Itachi si passò la lingua sulle labbra, pensoso. Che fare?
Posò lo sguardo sul bracciale.
Itachi sapeva di aver visto qualcosa. Itachi era più che certo che lì ci fosse qualcuno. Era così, Itachi? Sì, era così. Itachi ne era certo. Si fidava ciecamente dei suoi occhi, Itachi. I suoi occhi gli avevano detto 'attento'. Gli avevano suggerito una strategia: allontanati.
Perché ci sono. Sai che ci sono, Itachi.
Dietro a quella maledetta duna davanti alla squadra E.
"Squadra E, è dietro la duna davanti a voi."
La radio continuò a grattare, in segno di silenzio.
"K, qui non vedo niente."
"Guarda meglio."
Silenzio. Silenzio sfregato, quasi gratuggiato. Un silenzio lungo: un silenzio scocciato.
In quel silenzio Itachi continuò a guardare: una paura infastidita iniziava a prendergli le viscere. Se lui aveva intuito qualcosa, quel qualcosa era considerevolmente vicino. Non sotto il suo naso, ma sicuramente a portata di proiettile: sia che questo fosse della Ventii Regio che dell'Ignis Regio.
Non andava bene.
"Senti un po', K, di giuro che qui non c'è nulla. Dai, è normale vedere robe che non ci sono – sapessi quante ne ho viste io! Resisti, e poi vedi di farti una dormita potente. Notte."
Notte.
Itachi si morse le labbra.

E se fosse stato vero?
Se si fosse inventato tutto?
Era per quello che lo aveva mandato lì, Jiraiya? Per farsi logorare l'animo dall'inattività, sino a cedere alle piccole allucinazioni?
E sì che gli altri dicevano che era normale, farsi ingannare dai propri sensi ogni tanto. Ma non lui. Non Itachi.
O sì?
Non poteva far muovere un intero plotone per qualcosa che credeva di aver visto. I Custodes, quelli veri, quelli come Genma credevano a quello che diceva di vedere. Gli avrebbero creduto anche ora, si disse il bambino.
Forse perché loro sapevano del suo potere, e gli iniziandi no.
Gli iniziandi lo vedevano come un iniziando qualsiasi. Piccolo, ma iniziando. Parigrado.
Itachi venne percorso da una minuscola scarica di fastidio.
Rimaneva l'atroce problema della possibilità di sbagliare.
Bivio, Itachi.
Bivio.
Se fai muovere un plotone per nulla rischi di mettere in pericolo il resto del fronte, perché i bianchi se ne accorgerebbero subito e penserebbero ad un'aggressione.
Se non reagisci però in tempo ad un attacco, i tuoi occhi saranno stati del tutto inutili – e ci saranno dei morti. 
Allora, Itachi?
Che cosa intendi fare?

Itachi continuava a mordersi le labbra, lo sguardo incollato sulla zona sospetta.
Sessantasei minuti.
E il dubbio.
Sessantacinque minuti.
E il dubbio.
Il tempo che scorre. Il dubbio che sedimenta.
"Itachi."
La radio aveva una voce squillante, nonostante sussurrasse. Hana. Sul canale privato, notò.
"Sì."
"Ma cos'è che hai visto?"
"... qualcosa."
"Qualcosa cosa?"
"Qualcosa."
"Qualcosa di alto, di basso, di magro, di grosso, di brutto, di nero, di giallo...?"
"Qualcosa dotato di intenzione."
"... prego?"
La radio di Hana si zittì: Itachi, circa un chilometro più a nord, pensava.
La ragazzina attese.
E attese.
"Hana, siete tutti e tre svegli?"
"Sì."
"Dammi il cambio."
"Eh?"
"Fra un'ora uno di voi dovrebbe venire qua a darmi il cambio mentre dormo, no?"
"Sì, ma non noi. Uno della squadra B."
"Vieni tu, sei più vicina. E non portarti tanti Bellatores. Tre. Massimo quattro."
Itachi otto-minuti-in-anticipo-non-seguono-il-protocollo stava stravolgendo le carte in tavola – almeno, a vederla dagli occhi incuriositi di Hana.
"Va bene."
"Io vado a controllare."

Hana vide Itachi dirigersi verso la zona che aveva indicato alla radio. Si muoveva con gesti che le parevano lentissimi, ma avanzava con sorprendente velocità. I Bellatores lo circondavano, apparendo come massi che rotolavano sulla sabbia.
La ragazzina controllava ripetutamente il bracciale, osservando gli spostamenti del puntino che indicava la squadra K – ed attendendo che questa si pronunciasse.
Che cosa curiosa, però, che Itachi avesse deciso di fare quella cosa così strana e al di fuori dalle regole.
Hana aveva l'impressione che il bambino sapesse esattamente cosa stava facendo.
O almeno, sperava che fosse così.
Se no, non sarebbe assolutamente riuscita a capire quel comportamento.


Davanti a Itachi qualcosa voleva aggredire.
Qualcosa si preparava, qualcosa fremeva. Tendeva – anzi, tendevano – verso il centro del fronte, dove stavano gli accampamenti.
Il bambino non poteva vederlo in faccia, questo qualcosa: ma ne intuiva l'alone azzurro, l'identità molteplice, e iniziava a sentirne anche il rumore, man mano che si avvicinava.
Doveva decidere cosa fare.
Immediatamente.
Perché il qualcosa era quasi pronto a scattare.
"Hana."
Hana scattò a sedere come sentì la voce del bambino sussurrare dall'altoparlantino del bracciale.
"Trovato qualcosa?"
"Sì."
"Cosa?"
"Non lo so."
"Eh?"
"Se gli vado incontro adesso, lo prendo in contropiede."
"Non sai cos'è?"
"Penso che sia un plotone di bianchi. Fra i cento e i trecento. Ma non posso dire che sia una stima corretta."
"Vuoi andare da solo in mezzo a trecento bianchi?!"
Itachi dovette coprire con la mano il bracciale, dato che Hana stava per mettersi a strillare.
"Sht."
Hana tacque.
"Si muoveranno verso sud. Vogliono prendere l'accampamento."
"Sei sicuro?"
"Sì."
Sì, adesso Itachi era sicuro.
"Tenetevi pronti."
"Avverti Jiraiya, se mirano a loro."
"Siamo qui per evitare proprio queste cose." Itachi pareva lapidario.
"Bhe, meglio che sappia."
"Allora avvertilo tu. Se facciamo un buon lavoro, all'accampamento non se ne accorgeranno nemmeno, di cosa è successo."
Improvvisamente, Hana realizzò cosa stava per succedere.
La guerra.
O meglio: la battaglia.
Sotto il suo naso.
"Itachi, aspetta."
"Non ho molto tempo, potrebbero partire da un momento all'altro. Prestate attenzione."
"Non siamo pronti!"
"Siatelo. Contatta gli altri, siamo sulla linea privata."
La radio di Hana si ammutolì del tutto: comunicazione interrotta. Lo sguardo della ragazzina tornò al visore, cercando la figurina nera di Itachi: ma non la trovò.
Il cuore iniziò a salirle lungo la gola.

Itachi strisciava. Le armi in pugno, i Bellatores acquattati al suo fianco e dietro di lui.
Doveva fare in fretta. Doveva fare un lavoro pulito.
Ucciderne il più possibile nel minor tempo possibile, disorientarli, e poi trascinarli verso il plotone.
In fin dei conti, era lui che volevano, no?
Era talmente ovvio che pensarlo sembrò legittimo anche a Itachi.
Sparò.
E un bianco cadde.
Iniziò a far volare a raffica gli aghi avvelenati che erano i suoi proiettili: doveva essere preciso, incredibilmente preciso.
Uno, due, tre, quattro.
Avanzando verso di loro.
Cinque, sei, sette, otto.
Comparendo prima che iniziassero a cercarlo.
Nove, dieci, undici, dodici.
Essendo visibile prima che lo vedessero.
Tredici, quattordici, quindici, sedici.
Lasciando quindi libera la visuale ai Bellatores.
Diciassette.
Diciotto.
Fuoco dei Bellatores.
Silenzioso come solo un assassino sa essere, Itachi li aveva decimati prima ancora che loro si rendessero conto che esisteva un problema.
Il resto fu rumore. Tanto, tanto rumore.





























______________________________________________________________________________________

Quindici... capitoli...
Mbhè, dai.
Casomai... potrei scivolare verso i sedici.
*fugge dalla pioggia di insulti*
Ma no, dai. Tecnicamente sono oltre la metà.  Tecnicamente. E' il finale che temo tirerà moltissimo la cosa per le lunghe. Cercherò di succindermi...
oppure scriverò un quindicesimo capitolo di millemila righe. Ecco.
Anzi! Idea!
Camufferò il sedicesimo da 'epilogo'.
A tutti piacciono gli epiloghi!
Vero? xDDD
No, dai. Se per i FdO la gara era Concludere, qui la gara è Contenersi.
Capito, pandi? CONTENERSI!
Oh, là.

Grazie come al solito per l'incredibile seguito. E per i vari tentativi per convincermi al contenimento.
T_T'








@Genoveffa [tanto per non essere ripetitivi]
onestamente...onestamente...onestamente... no U_U'
è un dettaglio che ho sempre avuto ben chiaro, quello dei guanti, ed anzi mi sembra una cosa geniale [modestia a palate!]: le mani sono sempre bene in vista e basta notare che è il guanto dell'altro più chiaro del proprio per non avere dubbi sul fatto che bisogna obbedirgli o, detta in modo migliore, aspettarsi ordini da lui. Certo, magari per daltonici/presbiti/miopi/ipovedenti la cosa è problematica, ma i Custodes sono selezionati apposta per non avere problemi del genere U__ù' ho approfittato del ricordo di Kakashi per ricordarlo al lettore, dato che adesso che stiamo sul fronte i guanti, e quindi i gradi, tornano ad essere elementi – se non importanti – da citare. In più, Kakashi si è lasciato un po' sfuggire la cosa di testa perchè, causa occhio mancante, è stato definitivamente costretto a lasciare il fronte, e inizia ad avvertire i sintomi della lontananza. Ricordiamoci che non restierà mezzo cieco per sempre... e mi sembrava interessante rimarcare su questa cosa. E, sì, per la questione Laniatus... è uno dei pochi modi che ha per rendersi utile che non sia fare il Rector, quindi lo rallegra xD – apparte qualche rara ambasciata, ma è ancora troppo giovincello per farne tantissime.
In realtà Kakashi non ha capito la crudeltà del Laniatus finchè non l'ha propinato a Naruto: ora come ora lo trova un divertimento e basta. Mi ricorda un po' le SS, anche se a livello più viscerale e meno cinico, diciamo più sui soldati che sulle SS, robe del genere "devo farlo, lo faccio, è divertente, il nemico è un nemico, così va il mondo, è normale, naturale, ovvio." L'idea è quella.
Ricordiamoci che è di un Custos che stiamo parlando.

Ammetto che mi sono rotolata dal ridere all'immaginare te che immagini me [che non ci siam mai vista in faccia ma SON DETTAGLI XD] che faccio facepalm ricordandomi della questione dei guanti XDDDD ma 'stavolta non c'entro, giuro xD in compenso non sai quante cose ho dovuto rivedere, tipo.. perchè quando è andato Naruto al fronte erano in 84 e invece qui ne ho messi 30 (per la serie: OPS), come son fatti circa gli accampamenti, come gestiscono le squadre, se sono giusta coi tempi didattici – anche se in realtà l'iniziazione non è esattamente a 'data fissa'... etcetera etcetera etcetera.
XD

Torniamo a Genma: io mi affeziono automaticamente a tutti i personaggi che incontro, non c'è storia! E' terribile! Per quello devo stare attenta a non farne comparire troppi, se no vedi che da 15 i capitoli ridiventano 45 xD anche ad Hana mi sto affezionando, e comunque mi piace buttare un occhio nella testolina degli altri. Per quanto riguarda Genma, quello che mi ha interessato di più era la sua visione del "Gli era bastato così poco per abituarsi alla precisa, meccanica ed infallibile presenza di Itachi, che adesso vederselo togliere da sotto il naso per finire con gli iniziandi – gli iniziandi! – sembrava un dispetto direzionato a lui e lui soltanto.", mi dà anche modo di far vedere com'è visto Itachi dagli altri e come, comuqnue, pensano i Custodes – quelli veri... ^^




@Killuale
eh, Hana, Hana... sì, il classico esempio che un buon Custos non deve necessariamente essere una macchinetta. Un po' come Kiba, d'altronde. Ma senza superpotere. Cerco di mantenerla un po' più moderata, ma ugualmente socievole. ^^'




@Vivvi
cinematica........ [osserva con faccia da D: il suo libro di dinamica] – cinematica, tu dici, eh.
XD apparte le relazioni con la fisica, bhe, devo dire che è un signor complimentone *w* grazie ^_^ penso che sia la cosa migliore che possa succedere, riuscire a far vedere la scena nella testa del lettore ^^ denghiu ^^



@Hanil.
ma certo che non gli passa per la testa di fare altro. xD
non lo so, è come se a me passasse per la testa di mettermi la maglietta al posto dei pantaloni e le mutande in testa. E' talmente illogico e insensato che pare pure fortemente sbagliato...! e dire che in realtà una mutanda è un cappello con due buchi.... XD



@wari
:D anche a me piace tanto quel dialogo.
Povero Itachi. E' stato abbastanza traumatico, per lui. ^^'
buona strisciata.xD






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Capitolo 9
*** 9 ***


nove

Capitolo 9



Jiraiya non avrebbe mai smesso di guardarlo in quel modo.
Ormai Itachi l'aveva capito. O credeva di averlo capito: perché qualunque cosa facesse, qualunque miglioramento raggiungesse, lo sguardo torvo, serio e infastidito di Jiraiya non se ne andava. Non se ne sarebbe mai andato.
Il Custos lo aveva sottratto dalla tenda ospedaliera, trascinandolo sino alla postazione di comando. Il bambino lo aveva seguito mezzo zoppicante, ma ben cauto nel far notare la sua lieve disabilità - dovuta alle ferite che si era procurato qualche giorno prima.
Ora i due si fissavano negli occhi, l'uno di fronte all'altro: davanti all'imponenza di Jiraiya, Itachi doveva costringersi a mantenere la spalle larghe e la schiena dritta, onde evitare di venir fagocitato dalla sua ombra.
L'uomo serrava le braccia al petto, le gambe larghe, statuario.
"Voglio un resoconto più che dettagliato di quello che è successo."
Le labbra del bambino parvero storcersi.
O forse no.
"Attimo dopo attimo. Secondo dopo secondo. Ogni singolo movimento."
Itachi iniziò a raccontare.


***

In cima all'altipiano del Ludus, Tsunade sorrideva, estasiata.
Due buone notizie in un sol giorno sono evento più unico che raro.
Quella mattina, la separazione della seconda mutazione: prodigio. Tanti nuovi piccoli Itachi, tanti nuovi bambini e ragazzini pronti a portare nei loro geni talenti che, più andava avanti nella ricerca, più scopriva potevano essere diversificati a seconda del soggetto e della mutazione.
Grandi cose, Tsunade, Grandi cose.
Seguiva la seconda buona notizia: la dimostrazione biologica della possibilità di fare quello che voleva fare.
Quello che doveva fare.
Oh, no: Tsunade non si sarebbe mai e poi mai lasciata superare dagli alchimisti della Ventii Regio - così li chiamava, lei, gli pesudoscienziati che procedevano per enormi colpi di fortuna.
Se loro avevano impiantato un demone nel ventre di una donna, per farlo rinascere uomo, allora Tsunade avrebbe fatto di meglio: avrebbe piantato il demone direttamente nell'uomo.
Nel bambino.
In un bambino del Ludus, che avrebbe gestito e controllato quel potere come un Custos, che si sarebbe comportato come un Custos, che avrebbe seguito tutte le regole dei Custodes. In questo modo, avrebbero avuto pieno controllo della bestia che si portava appresso.
Non come quelli della Ventii Regio, che, da che apprendeva dalle spie, erano costantemente terrorizzati da quello che poteva fare il loro bambino-demone.
La formazione del Ludus, unita alla scienza, mescolate nel potere di un demone.
Ecco cosa avrebbe fatto l'Ignis Regio.
Ora che sapeva che si poteva fare, non rimaneva altro che farlo.


***


Rimasero nel silenzio, mentre Jiraiya sembrava stare ripassando, nella sua testa, ciò che aveva appena detto Itachi.
L'agguato dei bianchi, l'intuizione del bambino, l'attacco singolo da parte del suo gruppo e poi l'aggressione di tutto il plotone.
Itachi rimaneva immobile, attendendo una qualsiasi reazione dell'uomo.
Che non reagiva.
Agguato, attacco, aggressione.
Agguato, agguato sventato. Battaglia.
Le mosse di Itachi, le mosse che avrebbe fatto lui.
"Tredici Bellatores andati."
Itachi annuì.
"Tredici." ripeté l'uomo, sbuffando. "Tredici Bellatores in meno - su?"
"Una sessantina abbondante."
"Quindi..."
"Il venti percento circa."
"Il venti percento di perdite. Contro circa duecento bianchi."
"Sì."
"Abbiamo un rapporto di perdite di circa..."
"Circa diciassette volte di meno."
"Come ti pare, come risultato?"
Itachi levò le sopracciglia osservando Jiraiya.
Doveva deciderlo lui se era un buon risultato o meno, no?
...no?
"Allora?" grugnì l'uomo.
"Buono."
"...buono?" gli fece eco, scettico.
"Considerate le condizioni e le perdite potenziali totali, è buono. Molto buono."
"Nella peggiore delle ipotesi avrebbero potuto sfondare tutto il fronte - questo è vero. Quindi, Itachi, tu dici che è un buon risultato?"
L'ansia mormorava qualcosa, nelle sue vene.
Non che la conoscesse, l'ansia. Era una delle mille nuove facce che aveva incontrato negli ultimi giorni: qualcosa che gli si rotolava dentro, insistente, maligna, con l'unico intento di farlo traballare.
"Sì." mormorò, più insicuro che mai.
Jiraiya tacque.
Vedere Itachi insicuro era qualcosa di tanto gratificante quanto sconfortante.
Non sapeva più nemmeno lui per cosa stava tifando.
Schioccando la lingua sul palato, si costrinse a ricordarsi qual'era il suo compito: migliorare quel nano. Non doveva né fare il tifo per lui, né remargli contro. Che diavolo ti prende, Jiraiya? Sei subdolo come un agricola, quando ti ci metti.
"E' un ottimo risultato, Itachi." disse infine, sciogliendo la cappa di tensione che aveva avvolto il bambino. "E' andata bene."
Itachi si rilassò, mentre il Custos prendeva a camminare meditabondo lungo la tenda.
"E' andata molto bene, Itachi. Un'ottima strategia, attuata anche dal fastidioso scetticismo di certi tuoi compagni. Non ti sei imposto - perché non ti puoi imporre, ma ti sei limitato a portare delle prove convincenti. Anche se andarle a cercare è stato pericoloso e avventato: ma hai avvertito un altro gruppo, avevi chi ti guardava le spalle. Ti sei mosso bene - avresti potuto mettere in pericolo la vita dell'intero plotone, se solo tu avessi fatto un passo falso. Un solo. Passo. Falso."
Gli occhi neri del bambino lo seguivano, su e giù per la tenda, avidi di capire dove volesse andare a parare.
"Il fronte è fatto così: devi saper prendere decisioni in fretta, valutare i pro e i contro. Massimo risultato con il minimo sforzo, mai rischiare troppo, mai troppo poco. Sempre e solo conoscendo le tue capacità. Non sei andato a fare l'eroino che da solo distrugge un intero plotone - ogni tanto compaiono, idioti del genere. Fare tutto e solo quello che bisogna fare, mai strafare, mai sottostimare. Anche se non hai fatto molti esami del Ludus, questo lo hai imparato."
Jiraiya si fermò in uno degli angoli della tenda: si flesse, andando ad aprire un borsone che giaceva sulla sabbia. Si risollevò: dalle le sue mani guantate di bianco pendeva della stoffa grigiastra.
Si rimise di fronte ad Itachi, mostrandogli, serrati fra indice e medio, il paio di guanti.
"Guanto più chiaro comanda guanto più scuro."
La soddisfazione iniziava a fluire nel corpo del bambino, come acqua gelida e dissetante.
"Per un'operazione del genere meriteresti di fare tre salti di grado in un colpo solo."
Perché sei Meglio, Itachi.
E continui ad esserlo. Continui a distinguerti. Sarai sempre il Meglio.
"Ma io ti conosco."
Itachi si sentì come se, a metà di un balzo, qualcuno gli avesse afferrato la caviglia e lo avesse richiamato violentemente a terra.
"Non guardarmi così."
Così come?
Sconvolto?
"Quanti Bellatores abbiamo perso, in questa battaglia?"
"Tredici."
"Tredici Bellatores morti."
"Sì."
"E tu, Itachi?"
"Io..?"
"Quanti Bellatores hai perso, Itachi?"
"Nessuno."
"Nessuno?"
"Nessuno."
Jiraiya strinse i guanti grigiastri nella mano, a pugno.
"Nessuna perdita." sibilò il Custos. "Nessuna."
E il bambino iniziò ad inspirare, le labbra dischiuse.
"Sei qui da mesi, ormai, e non hai subito nessuna perdita. Questo sarebbe passabile se tu fossi un iniziando."
Il controsenso del discorso iniziava a pestare la testa a Itachi, che non riusciva a seguirlo. Nessuna perdita.
Nessuna.
Perdita.
Possibile che in quelle due parole potesse nascondersi un problema?
Un fallimento?
Nessuna perdita stava a significare Nessuna Perdita. Nessun morto. Nessun errore.
Perfezione.
Lo sguardo di Jiraiya non sembrava assolutamente dello stesso avviso.
"Puoi non subire nessuna perdita se non fai niente tutto il giorno, Itachi. Puoi non subire nessuna perdita se stai nelle retrovie. Se sei solo di vedetta."
Ovvio, pensava Itachi.
"Ma tu sei uno dello sfondamento. Prima linea, spesso primissima. Sei un Custos da punta dello spilo, da cima del plotone. Ti sei dimostrato essere da avanscoperta, quasi da missione suicida. Nella palaestra, tu sei il direttore del braccio, Itachi: tu stai avanti. Stai sempre avanti. Vedi bene grazie a i tuoi occhi, prevedi, e quindi riesci sempre a farla franca, riuscendo a portare con te informazioni, vittorie e prigionieri. Ma io mi domando, Itachi: anche se tu sei un genio, com'è possibile, dimmi, com'è anche solo lontanamente pensabile che per mesi e mesi tu, nelle situazioni di massimo pericolo, non abbia subito Nessuna Perdita?"
Itachi rimase zitto come un sasso, travolto dalla voce dello scetticismo.
Jiraiya era scettico. Era perplesso.
Sembrava che, in un certo senso, nemmeno gli credesse.
Accuse su accuse volavano da quel discorso che tuonava direttamente dalla voce dell'uomo, e gli si riversava addosso con una violenza inaudita.
Diceva: sbagli.
Itachi non sbagliava mai. O quasi.
E se lo faceva, lo correggevano.
Glielo dicevano subito, non dopo mesi.
E se sbagliava, se ne accorgeva. Si rendeva conto che qualcosa non andava.
Ora, invece, le accuse colpivano in modo diretto una delle sue più profonde convinzioni: un suo punto di forza diventava un ostacolo.
Com'era stato per i suoi occhi nella palaestra, ora lo era il suo non subire perdite sul fronte.
Sbagliato.
Com'era possibile che non subire perdite fosse sbagliato?
"Non ci arrivi, vero?"
"Sono bravo." concluse Itachi, con un tono che nemmeno lui pensava di poter avere: infastidito nel profondo, quel 'bravo' si ergeva a sua difesa come un muro.
"No." fu la secca risposta di Jiraiya al riguardo.
Itachi vacillò nell'anima.
"Dimmi, quali sono le ferite che hai riportato nell'ultima battaglia?"
"Qualche escoriazione e contusione, tre tagli, una strisciata di proiettile al braccio ed una al polpaccio."
"Da quanto sei in osservazione alla tenda ospedaliera?"
"Due giorni."
"Prognosi?"
"Almeno altri tre giorni di riposo e cinque in osservazione."
Le parole rotolavano dalle labbra del bambino, fuoriuscendo rapide, frastornate, perplesse. Ad ogni sillaba pronunciata evocava la stessa domanda: qual'è il problema?
"E i tuoi Bellatores?"
"... Non lo so di preciso, ma credo siano ferite analoghe."
"Analoghe."
Qual'è il problema?
"Sì."
Jiraiya serrò le labbra, abbozzando un lontano divertimento malcelato nel sentire quella risposta chiaramente infastidita. Lenta ma inesorabile, l'umanità di Itachi gli si srotolava addosso, scivolando dalle mani del bambino, distruggendo, pian piano, la figura della macchina perfetta, del genio costruito su base analitica.
"E' stato Genma a farmelo notare, che non perdi mai un Bellator."
Un genio del genere non sarebbe mai sopravvissuto.
Un genio del genere non era mai esistito: c'era qualcosa di sbagliato, le ferite di Itachi a dimostrarlo.
Non andavano bene i geni analitici, al fronte.
Serviva istinto. Serviva fare le cose senza pensare.
Serviva abbattere tante cose, prima di diventare Custodes. Custodes veri.
Non era il meccanico che vinceva. Era l'animale.
L'animale ben istruito.
Due cose erano fondamentali nell'animale: l'obbedienza alla gerarchia del branco e l'istinto di sopravvivenza. Coerentemente misurati l'uno rispetto all'altro, a seconda del caso.
"A Genma era parsa una cosa fenomenale - sappilo. Ma io ti conosco, Itachi. E tu hai un problema, il classico problema di quelli come te: ti mancano le basi. Hai corso troppo in fretta. Se Genma vede un Custos che non perde mai un Bellator, ci vede un dio. Io ci vedo un bambino che non ha assolutamente capito qual'è il suo compito."
Non solo sbagliava, dunque.
Non capiva.
Non aveva capito.
E la terra lo fagocitava.
"Tu ti sei ferito sin troppo, Itachi. Non troppo rispetto alla pericolosità della tua missione, ma troppo rispetto ai tuoi Bellatores. Tu e i tuoi guerrieri siete due cose distinte: se portate tutti lo stesso genere di ferite, qualcosa è andato storto. E dato che loro sono dei veterani, non sono loro a sbagliare, ma tu."
"Dove ho sbagliato?" parve sbottare, per quanto la voce era flebile e sempre - pensava Jiraiya - così fastidiosamente infantile.
"Tu hai protetto i tuoi Bellatores."
Le sopracciglia di Itachi conversero.
"E la peggior cosa è che evidentemente non te ne rendi conto."
Conversero ancora.
"O forse sì?"
Itachi tacque.



***

Morino era un ragazzo robusto quasi quanto un Bellator - una cosa molto strana, specialmente per le mansioni che svolgeva. Per quanto fosse un Custos che al fronte si faceva desiderare, era indubbiamente più portato al rituale della tortura.
Il Laniatus era la sua perla.
Non che l'avesse inventato lui, ma per qualche strano motivo aveva imparato a prepararlo in un modo che ne potenziava parecchio gli effetti, riuscendo a non ammazzare il torturato. Morino sapeva dosare non solo la polverina del Laniatus nell'acqua, ma sapeva calcolare esattamente quale fosse il limite fra esasperazione e pazzia. Sapeva far soffrire i prigionieri senza farli uscire di testa, sapeva torturarli senza ucciderli. Vedeva, sentiva, percepiva benissimo quali erano i limiti dell'uno e dell'altro, e sempre, sempre, sempre li tangeva, li sfiorava, li carezzava senza mai superarli realmente.
Morino era un torturatore nato. Nessuno dei suoi prigionieri era mai morto né si era ridotto ad essere definitivamente incapace di intendere e di volere. Faceva le cose con una precisione degna d'un artigiano.
La tortura era la sua merce.
Kakashi si limitava a prelevare le informazioni in un modo altrettanto fruttuoso.
Morino produceva, Kakashi vendeva.

"Vedi, voi bianchi non siete portati al suicido: non fa parte della vostra cultura, e questo noi lo sappiamo."
La preda di Itachi rantolava, gli occhi che parevano poter esplodere da un momento all'altro.
"Eppure le nostre prigioni, che ospitano voi bianchi, sono decisamente ben attrezzate per evitare i suicidi."
Kakashi, inginocchiato di fronte al torturato che ansimava raggomitolato a terra, distribuiva lo sguardo fra quello e Morino, seduto a cavalcioni di una sedia poco più in là.
"Prova a chiederti perché."
Morino teneva il palmo aperto rivolto verso Kakashi, osservando i tremori del prigioniero con occhio clinico e concentrato.
"Siete gente a cui piace vivere. Siete gente egoista, che antepone la propria vita a quasi tutto. Eppure, quando arrivate qui, dopo i soliti discorsi del 'io non parlerò mai' e 'non mi potrete mai sottomettere' crollate."
Morino chiuse lentamente il pugno.
"Perché questo è un incubo, e hai solo due modi per uscirne: parlare o morire. Parla o muori, bianco. Parla o muori."
Quello non faceva né l'una né l'altra cosa: tremava e basta, gorgogliando.
"Il problema è che noi non ti lasceremo morire tanto facilmente. Quindi parla, bianco, e finirà tutto. In solo istante. Chi è il Rosso? Cosa fa? Cosa può fare?"
Morino fece un cenno col capo: Kakashi, scocciato, dovette spruzzare l'antidoto nella gola del prigioniero - facendo pure forza per potergli aprire la bocca.
Quello iniziò a tossire, rotolandosi, e in qualche secondo, stranito, riprese a respirare normalmente.
Kakashi si flesse sul prigioniero stravolto, afferrandogli il muso nella mano per costringerlo a guardarlo in faccia.
"Chi è il Rosso?"
L'altro sembrava ancora stare contemplando il fatto di essere vivo.
"Cosa fa? Quanto ne sapete, voialtri? Niente? Oh - no, voi lo sapete. Questo si vede dallo sguardo. Non è difficile vedere che nascondete le cose, siete così dannatamente incapaci. Allora?"
Morino osservava il proprio bracciale, contando i secondi.
"Chi è il Rosso, cosa fa?"
"Noi..." rantolò quello
"CHI E' IL ROSSO E COSA FA."
"Non... ho alcuna.. intenzione.."
"Non hai alcuna intenzione di passare altre due ore nello stato in cui eri prima, vero?"
Morino dondolava il capo, continuando a contare.
"Guarda che io mi diverto, bianco. Fosse per me andremmo avanti all'infinito."
Il prigioniero non si mosse. Iniziò a respirare lentamente, lo sguardo perso nel vuoto.
Kakashi lo vide.
Lo sguardo in cui iniziavano a prendere in considerazione l'idea della morte.
"Morino, tienilo fermo. Quinto round. Ogni volta un po' di più, è così che funziona, agricola. Finché non parli."
Il prigioniero sussultò. I due lo presero con forza, facendo cenno ad altri tre Custodes presenti nello stanzino di aiutarli. I cinque, tenendogli il capo ben saldo, lo issarono per potergli tuffare la testa in una bacinella che sembrava essere ripiena d'acqua.
"No!"
In cinque fecero fatica a tenerlo.
"No! No!"
E lo rituffarono nel Laniatus.
Quello, dimenandosi contro loro cinque, altro non fece che sprecare ossigeno - avvicinando sempre di più il momento in cui il suo corpo lo avrebbe tradito costringendolo a respirare quell'acqua corrotta, che gli avrebbe bruciato i polmoni per le due ore successive senza permettergli né di respirare, né di pensare - ma soltanto di farsi malleare la mente, sconvolta, dalle parole alternativamente irate e suadenti di Kakashi.
"La storia dei suicidi mi lascia sempre perplesso, Kakashi."
"Oh, funziona benissimo. Dopo secoli continuano a non credere al fatto che i loro prigionieri qui si suicidino. Lo sanno, ma non ci credono. Quando lo scoprono sulla loro pelle rimangono assolutamente shockati, iniziano a rivalutare molte cose. E' comodo."
"Troppo agricolae per capire che è meglio ammazzarsi prima di rischiare d'essere una fuga di notizie ambulanti."
"Sono bianchi."
"Già."



***



"Sono cose che avresti dovuto imparare - che gli iniziandi imparano. Anzi, sentono."
Itachi era rigido: ascoltava le parole del Custos, sull'attenti, fissandone il busto.
"Dato che non puoi assimilarle nel modo normale, nel modo più naturale e che ha sempre funzionato con generazioni e generazioni di Custodes, dovrai impararle - ascoltare la mia lezione e mettere in pratica come se queste nozioni facessero parte di te. Puoi essere lo stratega più fenomenale del mondo, ma sul campo sei un Custos, questo è il tuo posto. E il Custos, senza le basi, non può sopravvivere. Le tue ferite a testimoniarlo. Non puoi permetterti di ferirti così, Itachi. A meno che il resto del gruppo non sia defunto, tu non puoi, mai e poi mai, permetterti di ferirti così gravemente, rischiando di essere colpito da due pallottole e tre lame - che sono più che sicuro tu abbia schivato solo grazie ai tuoi occhi. Un Custos normale sarebbe morto, con il tuo comportamento. I tuoi occhi non possono essere un compensativo alla tua disciplina: i tuoi occhi devono essere qualcosa di più. Finché ti limiterai ad usarli in questo modo, sarà come non averli. Ora come ora, in battaglia rendi poco più di un Custos qualsiasi - e sai perché? Perché anzi che usare i tuoi occhi per fare meglio, li usi per sopravvivere. E questo non va bene."
Il bambino non mutava espressione. Non muoveva uno solo dei muscoli del volto. Non spostava gli occhi dal busto dell'uomo, non spostava il peso sull'una o sull'altra gamba.
Ascoltava.
Imparava.
Doveva imparare.
Se non lo avesse fatto, non avrebbe mai e poi mai potuto migliorare - ancora e ancora.
Ostacoli, miriadi di ostacoli mai notati prima, mai incontrati prima, che si ergevano davanti a lui.
Improvvisamente si ritrovava a dover scavalcare muri.
"Ora, apri le orecchie e assimila nel minor tempo possibile, ragazzino."
"Sì."
"Il Custos è il Custode. E' la guida. E' la testa. E' il collegamento fra Philosophi e Bellatores. Il tramite. Senza di noi, la Regio crolla. Siamo il collante. Siamo gli semidei, i Philosophi sono gli dei, il Belltores sono gli uomini. Sii semidio. Agisci da semidio. Combatti da semidio: sarà l'uomo a proteggerti, ad aiutarti nel farti riuscire, a combattere per te – perché è il suo compito. I Bellatores sono i nostri guerrieri, loro servono noi. E' il loro posto nella regio, e nel sottrarglielo tu gli stai mancando di rispetto: a loro spetta difendere te, e non viceversa. Loro devono mantenerti in vita, perché tu sei infinitamente più importante di loro. La tua vita vale interi plotoni di Bellatores, perché i Bellatores, da soli, sono persi. Loro hanno bisogno di noi e dei nostri ordini, noi abbiamo bisogno di loro e della loro protezione. Così funziona la regio. Questi sono i nostri ruoli. Tu hai il tuo, loro il loro. Non. Scambiarli."
Itachi avrebbe scavalcato tutti i muri che c'erano da scavalcare.
Socchiuse gli occhi, ripetendosi in testa il discorsi di Jiraiya, parola per parola, una, due, troppe volte.
"Hai capito?"
Riaprì le palpebre, levando gli occhi scuri sull'uomo.
"Sì."
"Dimostramelo."
Il volto di Itachi si fece interrogativo.
"Non verrai promosso di alcun grado finché uno dei tuoi Bellatores non morirà per proteggerti. Finché continuerai a riportare le loro stesse ferite, finché tratterai i tuoi Bellatores come fossero Custodes, non esisterà azione prodigiosa che tu possa compiere affinché io ti liberi dei tuoi guanti neri: neri saranno e neri rimarranno, perché rappresentano esattamente quello che sei: un novellino."
Non era complicato, per lui, salire il muro - per quanto alto fosse. Il vero problema era lasciarsi cadere da quelle altezze vertiginose.
Chiudere gli occhi e fidarsi del proprio corpo.
In caduta libera.
"Sì, Jiraiya."



Hana vide Itachi scivolare fuori dalla tenda di Jiraiya ancora mezzo acciaccato, lo sguardo insolitamente basso e il passo stanco.
Più che perplessa dalla visione, si guardò attorno - ed una volta appurato di poter svicolare via senza infrangere alcuna regola, fluttuò verso il bambino, affiancandolo.
"Ehi."
"Ciao."
"Com'è andata?"
Itachi continuò a camminare, senza rispondere.
".... non me lo vuoi dire?"
"No, semplicemente non capisco la domanda. Com'è andata cosa?"
"Quello che era. Il colloquio con Jiraiya. Ti vedo giù - ecco, mi preoccupavo. Ero abbastanza convinta ti avrebbero promosso. Ti hanno promosso? Se non promuovono te, qui siamo destinati tutti ad essere guanti neri a vita."
"Non credo funzioni così. Comunque non mi hanno promosso - perché pensi avrebbero dovuto?"
Hana aggrottò le sopracciglia, perplessa.
"Beh, hai fatto un'azione degna di nota, direi. Mezzo plotone ti deve la vita."
"Non in quel senso - voglio dire, tu sai quando arrivano le promozioni, o cosa serve per essere promossi?"
".. no?"
"No?"
"No."
"Però pensavi mi promuovessero. Come mai?"
"Lo sospettavo."
"Ma nessuno ti ha detto che qualcuno sarebbe stato promosso. O sì?"
"Beh.. no."
"Ah."
Hana rimase interdetta, ritrovatasi in un discorso che non si era decisamente aspettata. Che significava? C'erano altre possibilità? Sarebbe stato divertente avere un nano come Itachi a comando.
Insolito, ma divertente.
Itachi continuava a camminare lungo l'accampamento, apparentemente senza meta alcuna.
"Dove stiamo andando?"
"Sto andando a pensare, Hana. Mi farebbe piacere che tu non venissi con me."
"Ah. Come preferisci. Non volevo importunarti, scusa."
"Non mi hai importunato."
"Bene. Non ti hanno promosso, allora?"
"No."
"Ah. Questa gavetta sarà infinita..."
"Hana..."
"Adesso me ne vado, scusa. Ti lascio pensare."
"Volevo chiederti una cosa."
Itachi si fermò, ed Hana con lui. Il bambino si mordeva le labbra - lo aveva già visto fare così, lei: tipico di quando si metteva a fare domande. Non era abituato a chiedere cose, nemmeno le più stupide. Ogni volta che chiedeva vaghe delucidazioni, sembrava stesse trascendendo ogni regola dell'universo.
"E' tanto importante la promozione, secondo te?"
"...sì?" rispose lei, perplessa.
Ok, questa non era una delle classiche domande di routine di Itachi. Questa era una domanda strana.
"Per servire la regio al meglio bisogna farsi promuovere."
La ragazzina aggrottò le sopracciglia, portando le mani ai fianchi.
"Direi di sì. Cioè, più alto è, meglio è. No?"
"Sì, direi di sì."
Itachi fissò Hana, dal basso, rimuginando. Il volto di bambino rimaneva volto di bambino. La voce di bambino rimaneva voce di bambino. I grandi occhi da bambino rimanevano grandi occhi da bambino.
Le parole, però, si facevano strane.
Il tono scendeva, si acquattava in un sussurro.
Hana si sentì piccola.
Itachi si scoprì ad avere un tremendo bisogno di Kakashi.












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Sono tornata ^^ dopo la sessione d'esami...
non ho molti commenti da fare u.u se non che un bel giro di laniatus ci sta sempre bene, anche se so che è terribile. Giusto per rinfrescare la memoria.

ciau u.u'

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Capitolo 10
*** 10 ***


10


Capitolo 10




Solo tre giorni prima Tsunade s'ergeva spavalda: potente, capace, astuta. Tsunade poteva fare tutto, e intendeva assolutamente farlo. Regnava incontrastata: altro che Globus o Ignis Umbra, era lei, e lei sola, il vero cuore della regio. Quello che poteva fare non lo faceva nessuno: nessun altro sapeva farlo. Al di sopra di tutto e di tutti, tre giorni prima Tsunade camminava sul tetto del mondo.
Gli esperimenti procedevano.
Le tecnologie progredivano, gli ingegneri elaboravano.
La squadra era partita alla caccia della volpe.
Il suo laboratorio era tappezzato di fogli e schemi: i libri s'impilavano sul pavimento, le tastiere e i touch screen si consumavano. Tutta la tecnologia della regio era rinchiusa lì: dall'elettromagnetico al nucleare, dal biologico al chimico. Tutto per Tsunade.
Gli occhi ridotti a due fessure contornate da gonfi aloni verdastri, salutò Jiraiya con voce squillantemente stravolta. Quello, dalla tenda beige, le parlò: dal Ludus al Fronte, il suono delle loro voci attraversò una decina di antenne ripetitrici lungo tutta la regio.
"Come va la mia bestiola?" domandò la donna, raggiante nel suo disfacimento.
Il Custos non mancò di notare la voce rauca ed esausta.
"Da quant'è che non dormi?"
"Che t'importa, Jiraiya? Dimmi di Itachi."
"Ho sentito che ne stai progettando altri, di bambini come Itachi." non pareva particolarmente rincuorato: Tsunade era di tutt'altro avviso.
"Esatto." rispose, sorridendo. "Mutazioni su mutazioni, una cosa assolutamente meravigliosa. Più vado avanti e più ne scopro - ora piantala e dimmi di Itachi, non devi farti gli affari miei."
Jiraiya espirò, rassegnato.
"Itachi va male."
Tsunade non colse. Grugnì qualcosa - d'altronde, che Jiraiya ce l'avesse con lui era cosa risaputa. Per l'uomo il bambino andava male a prescindere.
"Lascialo in pace. Sono sicura che va alla grande, è inutile che continui a cercare difetti su difetti dove non ce ne sono."
"E' un bravo guerriero, Tsunade."
"Visto?"
"Ma un pessimo Custos."
La donna soffiò fra i denti. "Certo, solo Jiraiya è un ottimo Custos, vero? Se fosse per te dovrei prendermi e clonarti - solo così saresti soddisfatto dei tuoi iniziandi."
Jiraiya si fece forza per sorvolare sul punzecchiamento delirante di Tsunade.
"Itachi non è un iniziando. E' questo il punto."
"Ah, sì?"
"Senti, sono stati giorni piuttosto strani - perché non vai a dormire e ne riparliamo dopo?"
"Cosa? No! Sono io che ti ho fatto la domanda, e tu ora mi risponderai, razza d'insubordinato! Che ha Itachi che non ti gira, eh? Troppo piccolo? Troppo veloce? Troppo sveglio? Troppo bravo?"
Jiraiya sospirò.
Era successo una ventina di anni prima: una scena piuttosto simile, specialmente nei toni. Erano al refettorio, si ricordò Jiraiya - d'altronde, uno dei pochi luoghi in cui Custodes e Philosophi s'incontravano. In quell'occasione, Jiraiya rivedeva Tsunade dopo tre anni: ebbe qualche difficoltà a riconoscerla, malconcia com'era. E lui che andava lamentandosi delle condizioni al fronte...
Sveglia da almeno dieci giorni se non per i collassi che le imponeva il proprio corpo, la ragazza stava finendo di studiare per l'ammissione ai ricercatori biologico-medici.
O qualcosa del genere - il Custos non aveva mai ben capito né saputo come funzionasse esattamente la faccenda.
Sta di fatto che Tsunade non vedeva altro che libri da mesi, e, prossima ad un'esaminazione, stava per crollare.
Ci parlò civilmente per circa venti minuti: poi la stanchezza ebbe la meglio, e lei iniziò a divagare. In un modo che Jiraiya non comprese mai, finirono a litigare: perplesso, il refettorio osservava un assurdo battibecco che si concluse con uno schiaffo decisamente ben assestato.
Jiraiya aveva guardato la schiena di Tsunade allontanarsi, e, con l'impronta della sua mano stampata in faccia, l'unica cosa cui era riuscito a pensare era che Tsunade stava indubbiamente male.
Ecco cosa pensava ora Jiraiya: Tsunade stava male.
Ma questa volta un motivo per litigare c'era. Uno serio, uno decisamente fondante.
"Allora?"
E Jiraiya non avrebbe potuto non sostenere le sue tesi. Sia perché non intendeva abbandonarle, sia perché erano sin troppo evidenti – ne andava della carriera della donna, e quindi della sua vita.
"Ascolta..."
Avrebbe dovuto dare una pessima notizia ad una persona che non ne aveva assolutamente bisogno.
Tsunade avrebbe accusato il colpo.
Lo avrebbe accusato in modo violento.
Molto probabilmente Jiraiya si accingeva a tagliare definitivamente quel poco di legame che era rimasto fra loro.
"Qualche giorno fa Itachi ha condotto un'operazione memorabile, questo lo riconosco. Il problema, Tsunade..."
E Jiraiya spiegò.
Il problema, Tsunade, è che tu sei una che ha fretta.
Che vuole tutto e subito.
E non ce la puoi sempre fare, Tsunade.
Ogni cosa a suo tempo.

La storia dei Bellatores era strana, forse fastidiosa.
Non fu quello a pugnalare al cuore la donna.
Fu il fatto che Itachi non mangiava da tre giorni.


***


Hana inclinò la testa, seduta, osservando il bambino. Che la ignorò.
Allora inclinò la testa dall'altra parte.
Ma non cambiò nulla.
"Guarda che fra un po' devo andare." disse la ragazzina.
"Vai."
"Ma – sono venuta a prenderti, non è che posso tornare indietro a mani vuote!"
"Chi te lo ha ordinato?" domandò Itachi, affatto retorico: si chiedeva davvero chi potesse essere stato. Genma?
Hana aggrottò le sopracciglia.
"Che t'importa? Vieni, se no ti lasciano qui."
"Va benissimo. Se non mi ordinano di muovermi, io non mi muovo."
"Oh, ma che ti prende, maledizione?"
"Sto pensando."
"Tu pensi troppo!" la ragazzina si levò in piedi, sbuffando. "Ti si fonderà il cervello."
"Buona missione."
"Accidenti a te!"
Non riusciva a fare l'offesa con quel nano.
Aveva un che di mistico, in quello sguardo contemplatore che si portava addosso da qualche giorno. Qualcosa di davvero innaturale.
Sembrava quasi... vecchio.
Hana lasciò la tenda, rinunciando a recuperare quello che sarebbe potuto essere un compagno da contendersi. Itachi non la guardò – Itachi pensava.


***

La voce di Tsunade si arrese definitivamente alla stanchezza che la opprimeva.
"Prova anche solo a omettere una singola cosa, un singolo avvenimento, o gesto..."
"Ti ho detto tutto, Tsunade. Tutto."
"Lo hai maltrattato, lo hai ferito, prima al fisico e poi all'animo. Non ti bastava avere nel tuo plotone un genio come lui? No. Dovevi fare di testa tua. Cosa gli hai fatto?"
"Niente."
"Sei un ometto, Jiraiya. Non vali niente."
Jiraiya tacque.
Come insulto era nuovo. Forse era per questo che tagliava: più che d'insulto, sapeva di convinzione.
"Ora tu rimedierai. A qualunque cosa tu abbia fatto, tu rimedierai. Inventati un modo – non puoi farmi questo, Jiraiya. Non puoi. Non te lo permetto."
"Ti giuro che..."
"Non mi interessa!" la donna sbottò.
Jiraiya serrò le labbra, in attesa della valanga d'urla che un ringhio del genere solitamente preannunciava.
Ma Tsunade non fece niente. Respirò, limitandosi a riflettere.
"Ti manderò Kakashi. Lui è più bravo di te, per queste cose – non l'ho scelto per caso, come tutore. Itachi è un bambino, ha bisogno del polso e della sottigliezza di un Rector, degli educatori veri, non di un Custos attempato che si atteggia a dio del fronte."
"Tu cosa intendi fare?"
"Sono nel bel mezzo di almeno sei progetti. Non posso fermarmi, mi manca tanto così. Specialmente per la volpe."
"Tsunade, sei stanca."
"Cosa pensi, che io abbia bisogno della tua ipocrisia? Mi hai messo tu in questa dannata situazione, adesso lasciami fare il mio lavoro. Se Kakashi fallisce, subentro io. Non possiamo permetterci di perdere un elemento come Itachi. E questo vale anche per te, Jiraiya: mettitelo bene in testa, quel bambino e quelli che verranno rivoluzieranno la nostra regio. E la volpe sarà il colpo finale. Ne abbiamo bisogno, Jiraiya. Disperatamente – o verremo schiacciati dai bianchi."
Il Custos non fiatò, mentre la voce della donna si stemperava.
"Come vuoi." asserì infine.
"Esatto. Come voglio. Jiraiya, ora la tua priorità è Itachi. Kakashi avrà carta bianca. Hai capito?"
"Sì."
"Sono un tuo superiore, Jiraiya."
"Certo."
"Carta bianca."
"Carta bianca per Kakashi."
"Adesso lasciami lavorare.".
Dal bracciale di Jiraiya giunse solo il rumore grattato del silenzio radio. Rimase immobile qualche istante, la testa svuotata.
Poi si alzò.


Itachi, seduto al margine della tenda dove dormiva, si vide precipitare una razione davanti al naso: per un pelo riuscì a non sussultare. Jiraiya, in piedi al suo fianco, lo osservava da almeno un metro e mezzo più in alto.
Il bambino si voltò verso l'uomo, osservandolo interrogativo.
"Qual'è il tuo problema, eh?" ringhiò quello, a denti serrati "Cosa ti fa pensare di avere diritto di non mangiare? Forse non sono stato sufficientemente chiaro riguardo la tua importanza nelle milizie?"
Itachi non rispose: lo sguardo perso, sembrava non comprendere bene di cosa stesse parlando. Quello che comprendeva, però, era che Jiraiya pareva seriamente alterato - ovvero, alterato sul serio. La voce lontanamente incrinata, agitata, domata con difficoltà nel tono fermo e possente che manteneva costantemente il Custos.
"Rispondimi."
Non aveva più niente dei suoi modi autoritari, netti e misurati, visceralmente professionali. Sembrava non fosse nemmeno più lo stesso uomo, tanto la mimica del suo volto era cambiata: da nulla, ora esplodeva in una smorfia per Itachi assolutamente indecifrabile.
"Non intendevo non mangiare."
"Non intendevi non mangiare?" ripeté quello, schernendolo attonito. "Prego?"
"Credo di essermene dimenticato."
"Tu Credi?"
"Io credo."
Se Jiraiya esplodeva, Itachi rimaneva lineare, tranquillo, atono.
Itachi pensava.
"Mangia."
"Sì."
Il bambino si sporse verso l'involucro che quello gli aveva lanciato, e, tranquillo ed imperturbabile, si mise a mangiare.
"Che diamine ti è preso, ragazzino?" tornò a ringhiare il Custos, flettendosi ad incombere su di lui. "Si può sapere? Non sei capace di accettare una critica che sia una? Dove pensi di andare, comportandoti in questo modo, eh? Ti dovrebbero prendere a frustate, razza di agricola!"
Fra un morso e l'altro, Itachi osservava il Custos perdere ogni ritegno.
Era inutile che Tsunade gli dicesse che lo aveva ferito, dannazione a lei: i Custos sono ferite ambulanti, sono feriti per definizione, crescono sulle loro cicatrici. Così funziona. Se quel genietto era un debole, non era un problema né suo, né tanto meno della donna, che non aveva alcun potere al riguardo.
Era solo del Sistema che si ostinava a volerlo fare volare con ali che non aveva ancora imparato ad usare.
"Hai intenzione di fare qualcosa o il tuo piano era di lasciarti morire di fame, eh?"
"Non era mia intenzione."
"No?"
"Stavo pensando."
Le labbra dell'uomo si arricciarono, inacidite.
Stava pensando.
Jiraiya prese ufficialmente in odio il bambino.
Stava pensando.
Da che mondo precipitava?
"Tu non sei degno di essere un Custos."
"Lo so."
La risposta del bambino, calma e cosciente, fece fremere di stupore l'uomo.
"Ma meno ancora hai diritto di sprecare tutto quello che la regio ha investito su di te lasciandoti morire di fame."
"Lo so. Non intendevo farlo."
"Prova a saltare un solo pasto, da oggi in poi, e ti caccerò il cibo direttamente giù per la gola."
"Sì."
Jiraiya aveva sì preso ufficialmente in odio il bambino, ma a partire da quel discorso iniziò a provare una strana inquietudine in sua presenza. Non riusciva a capirlo. Non ci era mai riuscito, incapace di collocarlo negli schemi chiari e saldi della gerarchia della regio.
Nemmeno decidendo di mandare tutto in fumo aveva ottenuto una reazione sensata.
Aveva appena rischiato di turbarlo in modo definitivo, e lui non aveva fatto una piega.
E allora perché non aveva mangiato, quei tre giorni?
Perché aveva smesso di proporsi per missioni, o di fare qualsiasi altra cosa non fosse chiaramente obbligatoria?
Jiraiya non lo capiva.
E per questo lo odiava.
E per questo lo temeva.


Passò due giorni appiccicato ad Itachi, senza perderlo di vista un solo secondo, mai a meno di due metri da lui. Dicendogli di mangiare quando doveva mangiare, dicendogli di dormire quando doveva dormire – in pratica, ordinandogli come vivere.
Quando vide Kakashi aggirarsi per l'accampamento, si limitò ad andarsene. Si prese e si allontanò, lasciando Itachi da solo.
Kakashi si vide Jiraiya venire incontro: fece per parlare, ma venne interrotto dal fatto che l'uomo non lo stava guardando negli occhi. Ed, infatti, quello si limitò a camminare. Oltrepassò Kakashi e continuò nella sua avanzata senza degnare d'uno sguardo il Rector.
Bene, pensò ironicamente il ragazzo.
Si strinse mentalmente nelle spalle e si avvicinò alla tenda da cui aveva visto uscire il Custos.
"Buondì."
Itachi levò lo sguardo sul Rector, sorpreso. Poi realizzò: se quanto aveva detto Jiraiya era vero, la sua condotta era stata pessima. Kakashi, in quanto suo tutore, era stato indubbiamente mandato per controllare cosa stesse combinando.
O qualcosa del genere.
Com'era che non ci aveva pensato?
Al bambino pareva di stare perdendo pezzi di ragionamento per strada, troppo stanco nel seguire i suoi pensieri per prestare attenzione a tutto il resto.
"Salve, Kakashi."
Kakashi si stiracchiò, andando poi a trafficare con il suo bracciale. E poi si sedette di fronte al bambino.
Lo trovò un po' cresciuto.
"Come va?"


***


La testa di Tsunade era divisa in tre.
Da una parte le mutazioni.
Dall'altra la volpe.
Dalla terza, Itachi.
Per quanto al momento non potesse metter mano sul bambino in alcun modo, dovendo star dietro alle altre due sue preoccupazioni, era proprio quello il suo pensiero predominante.
Itachi, che s'insinuava fastidioso come un ruscello nella sua mente, continuava a distrarla, ed iniziava a farle provare l'angoscia.
La donna strizzò le palpebre, cercando di concentrarsi.
Intanto, le cattive notizie si ammassavano. La squadra incaricata di indagare sul demone volpe inciampava continuamente in difficoltà: la foresta nord si stava dimostrando più intricata del previsto. E, se il trend della sua fortuna continuava su quella linea, molto probabilmente catturare la volpe si sarebbe rivelato molto più complicato di quanto pensavano.
Per questo passava le notti a sistemare apparecchi artificiali di contenimento, lasciando le giornate per testare i rami delle mutazioni. Ma, per quanto riguardava le mutazioni, il discorso iniziava a farsi complicato. Soprattutto a causa di Itachi.
Se Itachi falliva, tutto il progetto delle mutazioni falliva.
E lei non poteva permetterselo.


***

"Non credo di essere un buon Custos, Kakashi."
"Quindi va male?"
"E' possibile."
Il Rector osservava con minuzia i movimenti del volto di Itachi. Liscia come la porcellana, avrebbe detto, la pelle si muoveva attorno ai muscoli in un modo nuovo. Per quanto Itachi fosse abbastanza inespressivo, c'era una mimica diversa sul suo viso, che gli dava un'aria piuttosto diversa da quella che ricordava. Itachi era una piccola macchinetta funzionale, precisa e ligia al dovere: davanti all'occhio di Kakashi, invece, c'era l'ombra di una persona che andava definendosi. C'era qualcosa di più di quello che c'era sempre stato. C'era paura e insoddisfazione, fastidio, volontà, e una lontana combattività ancestrale che sembrava veramente aver difficoltà a farsi strada.
"Dunque, credo tu abbia una vaga idea di perché mi han mandato qui." Fece il ragazzo, sistemandosi a gambe incrociate. "Vero?"
"Abbastanza. Immagino sia perché va male."
Le parole di Itachi scivolavano calme e imponderate. Era come se una parte della sua testa, quella che aveva sempre governato le cose da dire, si fosse velocizzata.
"Quasi." rispose, pensoso.
"Quasi?"
Sembrava una piccola fontanella. Ecco cosa sembrava.
"Il motivo principale è stato il tuo digiuno. Non l'hanno apprezzato, direi. Non è stata una trovata furba."
Itachi tacque, osservandolo. Vide il volto di Kakashi contrirsi istantaneamente, per poi tornare alla sua espressione abituale di seria tranquillità.
Kakashi sapeva che ai ragazzini fa bene parlare: parlando, chiariscono le idee, e si definiscono.
Strappato alle sue sessioni di tortura, si era appena reso conto di una cosa abbastanza sconvolgente: si parla ai ragazzini, ai bambini, come si parla ai torturati.
Aveva sentito lo stesso tono, per quanto più tenue, nelle sue parole. Aveva notato la stessa struttura del discorso.
Si era appena reso conto che nella saletta di tortura e nella SubSphaera, sostanzialmente, aveva sempre fatto la stessa cosa. Sia dall'una che dall'altra parte, senza distinzioni reali.
Inspirò, cercando di non badare troppo a quell'illuminazione: qualunque cosa facesse, funzionava, e questo era il punto importante. Dunque, avrebbe dovuto fare in modo che funzionasse e basta, senza soffermarsi sui metodi.
"Io non mi ero reso conto di non stare mangiando."
Il Rector levò le sopracciglia, lontanamente incredulo.
"Non ti eri reso conto di non stare mangiando?"
"No."
"Questo è male, Itachi. Perché?"
Il bambino flesse leggermente la schiena, osservando il terreno, pensoso.
"Non è normale." rispose infine.
"Il tuo corpo ti sta dicendo che non gli serve il cibo."
"Il mio corpo non vuole continuare. Credo."
"Continuare cosa?"
"Questo. Ma la mia mente?"
Kakashi faticava a seguire il dire del bambino.
"La tua mente cosa diceva?"
"La mia mente pensava. Ho pensato, Kakashi. Ho pensato tanto. Jiraiya mi ha dato molto a cui pensare."
"E dunque?"
"Jiraiya ha detto che non devo proteggere i Bellatores. Jiraiya ha ragione. Lo so che non si devono proteggere i Bellatores, Kakashi – eppure l'ho fatto lo stesso, senza rendermene conto. Così come non mi sono reso conto di non mangiare. C'è qualcosa che sfugge al mio controllo, Kakashi, e non capisco cos'è. Più cerco di controllare tutto, meno riesco a gestire."
Kakashi lo ascoltò. Optò per ascoltare, lasciando che fosse lui a condurre il discorso: un discorso che, chiaramente, stava covando da giorni.
"E' normale non riuscire a gestire tutto. Ci sono cose che non devi gestire, devi fare e basta. Fare senza rendertene conto."
"Lo ha detto anche Jiraiya, qualcosa del genere. Quindi è lì che fallisco? Nella parte di me che non controllo direttamente?"
"Possibile. perché me lo chiedi?"
"Io devo diventare migliore, Kakashi. Devo capire dove sbaglio. Jiraiya sa dirmi quali sono i miei errori, ma non sa spiegarmi perché li commetto. Devo capirlo da solo. Ma non ci riesco."
"E' a questo che hai pensato?"
"Sì."
"Hai capito qualcosa?"
"No."
Itachi si aggirava, spaesato, nei meandri della sua stessa mente. Cercava di capire qualcosa che nessuno aveva mai capito: perché ci si comporta in un determinato modo.
Kakashi non lo sapeva. Sapeva solo qual'era il modo per far sì che ci si comportasse nel modo corretto: il Ludus. Il Ludus aveva sempre funzionato.
Anche con lui. Aveva fatto fatica, ma aveva funzionato.
Perché Itachi si incastrava così tanto?
"Lo sai qual'è l'unico modo per migliorare?"
Il bambino non rispose.
"Non cercare di capire come fare. Ma fare. Finché non funziona. Anche se capisci come fare, questo non significa che poi tu sia in grado di farlo. Mentre se sei in grado di fare qualcosa, è assolutamente inutile comprendere come l'hai fatto. E' roba da Philosophi, non ci tange."
"Jiraiya ha detto che devo perdere almeno un Bellator, per poter essere un Bravo Custos."
"Indubbiamente non lo perderai stando qui a pensare."
"Dunque io devo andare a combattere affinché uno dei miei cada?"
Vista così, suonava innaturale.
"Non è quello in concetto, Itachi."
"E allora qual'è?"
"Tu devi dare la possibilità ai tuoi Bellatores di proteggerti."
"E dunque di morire?"
Kakashi corrugò le sopracciglia, interdetto.
"Hai mai fatto la palaestra, Itachi?"
"Sì."
"Con Jiraiya, vero?"
"Sì."
"Tu chi sei, nella palaestra?"
"Sono la guida del braccio."
"Bene. Chi guida il braccio?"
Il bambino parve riflettere, studiando per bene la situazione.
"Il gomito?"
"E la spalla."
"Gomito e spalla."
"E' una buona metafora, Itachi, è per questo che usiamo la palaestra: tu sei gomito e spalla. I tuoi Bellatores sono il resto. Tu stai combattendo a gomitate, o, peggio ancora, pensi di poter combattere solo con la spalla. Così non fai il tuo lavoro, Itachi. Non puoi lasciare il resto del braccio indietro, fa male a te, fa male a lui, e metti a rischio il resto del corpo."
Nuovamente silenzio.
Itachi digerì.
"Lasciati andare, Itachi. Devi solo combattere, non fare altro."
"Ma io ho sempre combattuto. E' questo quello che non capisco – ho combattuto bene, ma ho combattuto male."
"Non dovrai capirlo."
Già.
Itachi storse le labbra, avendo intuito cosa intendeva Kakashi.
"Finché non perderò un Bellator, avrò combattuto male. Ma anche se lo perdessi, non significa che avrò combattuto bene."
"Infatti non erano queste le condizioni esatte che aveva imposto Jiraiya per la tua promozione. Quali erano, Itachi?"
"Finché riporterò le stesse ferite dei miei Bellatores, finché li tratterò come Custodes, manterrò i guanti neri."
"Non ti ha detto di andare a far morire un Bellator. Ti ha detto di andare a fare il Custos. I Bellatores muoiono, Itachi. E anche i Custodes. Così come i bambini del Ludus vengono bocciati e frustati. Così funziona la regio."
"... così funziona la regio."

Rimasero in silenzio, lo sguardo basso, intenti a pensare.

Itachi sembrava rinfrancato. Sembrava che Kakashi lo avesse preso e tirato fuori dal buco in cui era andato stupidamente a cacciarsi.
Non pensare troppo, Itachi. Non cercare di capire.
Se no è questa la fine che fai.
Ecco qual'era stato il messaggio portato dall'ambasciatore.
Ma non solo.

"Itachi, se vuoi continuare a migliorare, non puoi farti fermare da queste cose."
"... non lo farò più."
"Ma soprattutto, non puoi sognarti di digiunare. Mai."
"Mai."
"La tua vita è un immenso bene per la regio. Saresti come un traditore a rubargliela."

Itachi non voleva rubare la propria vita alla regio.
Lo sapeva.
Ne era certo.
Eppure aveva cercato di farlo. In qualche modo. In qualche improbabile modo, aveva cercato di farlo. Senza rendersene conto.

"Hai capito?"
"Certo."

Aveva avuto bisogno di Kakashi, se ne rendeva conto. E Kakashi era lì.
A liberarlo. Sì, liberato: Itachi si sentiva più leggero, sentiva la sua testa più fluente, i pensieri meno incastrati, meno densi.
Inspirò, annuendo.
Non ci pensare, Itachi.
Fai.
Questo era il messaggio, che il bambino abbracciò e fece rapidamente suo.
Perché erano stati tre giorni da incubo.
Tre giorni passati a chiedersi come fare per perdere un Bellator, o, peggio ancora, per non perderlo.
Sino a chiedersi Perché premesse così tanto la vita di un Bellator.
Che aveva di importante?
Niente.
Eppure importava.
No, non a lui.
Itachi era destinato a fare grandi cose. Non poteva farsi fermare dalla vita di un Bellator.
Non poteva sprecare i suoi occhi per un Bellator.

Kakashi vide il volto del bambino distendersi.
'Tutore', lo chiamavano.
Lui aveva la pessima sensazione di aver sforato un po' troppo la linea del Tutore.
Ma Tsunade gli aveva dato carta bianca, e quello era il suo modo di lavorare, anche se leggermente più azzardato del solito.
L'importante era che avesse funzionato.


                Ma perché, Itachi, curarsi della vita di un Bellator?








___________________________________


Oilà!
Bene, ci sono U_U Ecco il primo, piccolo strappo di Itachi. Bene. 4 capitoli per concludere.
Ce la posso fare.
Sono schifosamente di fretta, quindi non uccidetemi se non rispondo alle vostre meravigliosamente lunghe e telepatiche recensioni. Vi ringrazio tanto T^T casomai facco il reply una per una appena riesco U_U'
comunque, a livello generale...
Piantatela di leggermi nel pensiero T_T oppure sto diventando preveibile? Vabè che la storia è fissata, però... T_T
e lasciatemi in pace Hana, ecco, solo quello. Hana non si tocca. Povera, Piccola Hana. <3

Ciau :)





















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Capitolo 11
*** 11 ***





Capitolo 11



Leggera saliva la sabbia nell'aria bollente.
Dapprima si smuoveva, lieve, iniziando a danzare e levitare, con grazia - guidata dalla naturalezza dell'oggetto che non si cura affatto di stare infrangendo i principi primi della fisica, ma si limita ad obbedire a quella forza che, dal nulla, gli dona le ali.
Galleggiava, risaliva lenta - come le bolle di vapore nell'acqua: più il tempo passava, più smuoveva impetuosa. E quando la sabbia pareva finalmente bollire nell'aria, aggressiva e fiera, ecco che s'alzava un rumore, lieve, lontano: una risata infantile, quasi ancora un vagito, o poco di più. Poco durava: moriva in gola, un isto, uno solo, prima che il suono di uno schiaffo secco ne punisse la nascita, l'esistenza sola.

Allora la sabbia cadeva: inanimata, ritornava parte del deserto rovente.
Il fruscio dei granelli carezzava le dune, sino al rinnovato silenzio, sordo, ovattato - anche il vento, ivi, taceva.

Ricominciamo, diceva poi una voce.

E così era da anni, nel deserto più profondo e denso della regione del vento.


***


Dalla fossa dell'avamposto, schiacciata contro la parete che donava l'unico lembo d'ombra in tutto l'accampamento, Hana manteneva fisso ed immobile lo sguardo su Itachi. Il bambino fissava lontano, l'occhiata lunga - palesemente ben più lunga del normale: sul volto liscio e rotondo non compariva nemmeno l'idea di un pensiero, di un cruccio.
Era curioso come Itachi non riuscisse assolutamente ad abbronzarsi, a dispetto degli altri. Certo, sul collo si intravedeva la linea di demarcazione fra la parte di pelle esposta al sole, più scura, e quella protetta dalla divisa; ma ciò nonostante il bambino rimaneva candido, quasi perlaceo, rilucente sotto i raggi del sole del mezzodì.
Fa caldo, pensava la ragazzina.
Diamine, quanto fa caldo.

Ma nulla sembrava turbare Itachi.
Assolutamente più nulla.

Hana espirò, socchiudendo gli occhi.
Devi lasciar perdere, si continuava a ripetere. E' a un altro livello. Non lo puoi capire.
Nemmeno lui si capisce.

Ancora tre giorni.

E il sole picchiava.


***


Il silenzio era rotto unicamente dalle fronde mosse dal loro incedere, lento e a tratti titubante nella selva da cui, a stento, traspariva il sole. I fiati degli uomini, regolari, si addossavano l'un l'altro, producendo un rumore quasi notturno: respiri silenti, pochi movimenti, e il silenzio.
Il silenzio invadeva le loro menti, mentre gli occhi cercavano di distinguere forme e colori nell'eterno susseguirsi di verde e marrone, di legno e foglie, e liane, e un fiore ogni tanto, svampito.
Uno dei Custos deglutì.
Il manipolo si immobilizzò, le mani salde sulle proprie armi.
Il silenzio, nella foresta, stava diventando talmente intenso da tramutarsi in uno stridio martellante che penetrava le loro orecchie, tese, vigili, attente - anche troppo.
Non c'era più nulla, attorno a loro. Ogni essere vivente che avesse l'opportunità di farlo se n'era andato da parecchio tempo. Neanche il vento, nella foresta così fitta, riusciva ad entrare: neanche un alito, se non quelli del loro fiato, smuoveva l'aria o le foglie.

L'adrenalina punge sulla lingua, quando salti.
Metallica, acida.

Un boato acuto e greve al contempo li investì, lanciandoli a terra e scuotendo il terreno. Ringhiò potente e breve, comparendo dal nulla, sparendo nell'abisso del silenzio.

Quando il primo di loro riaprì gli occhi, un insetto fremeva vicino al suo orecchio.
Si voltò sul terreno fangoso, di terra e di sangue.
Si rialzò a fatica, troppo rintronato per capire quale parte del suo corpo era intera e quale no.
Un fischio lontano, e il fruscio di una fronda. Cinguettava, lassù.

Quanto tempo era passato?
Quanto tempo era rimasto disteso, inerme, sul fondo di quella foresta ostile?

Espirò.

E più riacquistava tutti i suoi sensi, più si rendeva conto che il suo era l'unico respiro umano rimasto.



***


Non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a lui da quando era comparso il Rector, suo tutore, a fargli la predica. Perché doveva essere una predica, quella che gli aveva fatto. Magari anche corredata da qualche frustata – sarebbe stato più che logico, nella sua mente.
Da allora, Itachi sembrava essere solo.
E' perché – si ripeteva Hana – io ero l'unica che andava ad importunarlo, e adesso che non ci va più nessuno...
Inutile darsi tanta pena: Itachi era sempre stato solo – educato solo, combatteva solo, decideva da solo – mangiava solo. Se non gli si andava vicino, restava solo. E, detto in grande onestà, non è che sembrasse soffrire tanto quella solitudine. O almeno, non cercava di porvi rimedio in alcun modo – ed anzi, spesso alla ragazzina la sensazione che dava Itachi era quella di essere infastidito da lei.
Sensazione, chiaro.
Cosa realmente pensasse il bambino...
Hana scosse il capo – era frustrante rendersi conto che un bambino di nove anni era diventato, da giorni, praticamente l'unico pensiero che le aleggiava in testa. Ripercorreva circolarmente gli stessi ragionamenti, senza giungere mai a un punto, senza mai concludere nulla – ritrattando, ripensando, ponderando senza scopo alcuno.
"Mmh" – mormorò a se stessa, schioccando poi la lingua sul palato e prendendo la calibro 45 fra le mani – tanto che far qualcosa che non fosse pensare al Povero Piccolo Itachi: questa era l'immagine, chiaramente distorta, lo sapeva, che andava costruendosi. Che sciocca, Hana. Che sciocca.

Qualcosa, di fatto, era realmente cambiato nel bambino. L'immagine della solitudine le era arrivata solo dopo, solo nell'ultimo periodo – e questo voleva dire che qualcosa, qualche piccola cosa, che ora c'era mentre prima non c'era, le aveva indotto questa sensazione.

Strofinò il calcio della pistola, notando, con fastidio, un granello di sabbia che si era incastrato nella scanalatura fra l'una e l'altra metà dell'arma.
"Hana."
La ragazzina ignorò il suono che le aveva infastidito le orecchie, rimanendo, imperterrita, a cercare con minuzia di pulire il maledetto granello.
"Hana!"
"Sht!"
"Ma che Sht, agricola! Jiraiya si sta avvicinando, mettiti in fila!"
La ragazzina sussultò, rimettendo rapidamente l'arma nella fodera e andando a prendere posto.


***


Il sole tangeva la linea dell'orizzonte, ondulata, pronto a sparire dietro di essa. Da quell'angolazione la luce era quasi accecante, il sole ancora forte nonostante filtrato dall'aria tersa del deserto. Itachi doveva guardare di lato, o obliquamente, per poter osservare cosa avveniva in quella direzione: gli occhi socchiusi, cercava costantemente il punto buono, abbastanza vicino da poter vedere, abbastanza lontano da non ferire gli occhi.
Era uno degli infiniti esercizi che da giorni si costringeva a fare, memore, per quanto riguardava questo in particolare, di quanto Jiraiya gli aveva fatto notare nello stanzino degli aspiranti Philosophi: i suoi occhi non erano perfetti, doveva prestare attenzione. Doveva allenarli – quelli, e se stesso. E si allenava, in continuazione, ogni momento era buono, ogni evento era un'occasione da sfruttare per tenere sempre la mente occupata, per avere sempre qualcosa a cui pensare – qualcosa che non fossero Loro.
Loro, i Bellatores, che sostavano due metri più indietro: grossi, immobili, attendevano ordini o lo svilupparsi degli eventi.
Ma il sole calava, e poco accadeva.
Non doveva pensare, non doveva considerare – doveva agire, e basta.
E migliorare.

Per questo, da giorni, Itachi era solo: solo con i suoi esercizi, le sue attenzioni, il suo obiettivo: diventare migliore, essere migliore. Di tutti? Oh, no, questo non aveva importanza.
Ed anzi, era piuttosto semplice.
No, Itachi doveva essere migliore di se stesso, del sé del giorno prima, dell'ora prima, del minuto prima.
Un istante dopo l'altro, Itachi doveva erigersi, uscire dalla fossa, costruirsi, fare, non pensare, Itachi: fai, sii, agisci. Non ti curar di Loro.
Non pensare a Loro.

Due metri, fra lui e Loro. Da giorni.
Lo sguardo lontano.
Non li guardare.
Non osservare le loro cicatrici sul corpo, segno di mille battaglie, vinte o perse – ma da cui, in un modo o nell'altro, erano usciti vivi.

Il sole scomparve – la notte camminava sulla sabbia, non linea netta, ma quasi, nell'atmosfera così poco umida, secca.

Itachi sbatté leggermente le palpebre.


***

Hana varcò le porte scorrevoli dell'Effluxum, cercando, rapida, un posto dove potersi finalmente sedere in santa comodità. Sprofondò nel sedile, la colonna vertebrale aderente all'imbottitura – ah, sì: che diamine, Questo voleva dire stare Seduti. Espirò, rumorosa, i muscoli che le si rilassarono improvvisamente in corpo, lasciandola lì, molle, a godere della sua Comodità meritata.
"Due perdite – " tuonò la voce di Jiraiya, intento a camminare per il corridoio, un foglio di carta in mano, incombente, al solito. Hana non ci badò troppo, impegnata a riappropriarsi della sensazione del tatto, di cui si era vilmente sbarazzata nei giorni precedenti, quando questo non sapeva dargli nessun altro messaggio che non fosse 'hai sabbia dappertutto, sei sudata, fa caldo, appiccicoso – fastidio, fastidio, fastidio'.
"Inutile ribadire che non è stato merito vostro perderne così pochi rispetto alle stime iniziali – dato che, senza Itachi, l'intero plotone sarebbe stato dimezzato. Non voglio mai più vedere niente del genere, non potete sognarvi di farvi parare il fondo schiena da un Custos – il fatto che uno con l'esperienza di Itachi fosse nel gruppo degli iniziandi era pura coincidenza. Avete giocato sporco, con la balia – Itachi vale come Genma, per voi. E a me non piacciono gli iniziandi che dipendono dai Custodes – significa che l'annata è alquanto scadente."
Hana manteneva gli occhi socchiusi: da tutto il discorso, l'unica parola che aveva realmente colto era stata 'Itachi'. Riaprì le palpebre, guardandosi attorno, la schiena rizzata per vedere meglio: dov'era Itachi?
"Non avete idea di quanto vorrete morire nei prossimi mesi – o per lo meno, se i Rectores si degneranno di seguire le mie direttive."
L'astio serpeggiava nelle parole dell'uomo.
Di Itachi nessuna traccia.
Ovvio.
Itachi era Già un Custos – lo aveva detto Jiraiya or ora. Anche se non lo era, per via dei guanti – che Hana ricordava ancora essere neri.
Tralasciò la serie di incoerenze. Tanto era tutto incoerente, a prescindere.
"Se quando vi riprendo vi ritrovo ancora così dannatamente Incapaci, giuro che mi invento un modo per farvi diventare Agricolae per direttissima."
Le labbra si Hana si storsero, disgustate.
"Piuttosto mi ammazzo –" si lasciò sfuggire, in un fiato.
"Ottima idea." Jiraiya parve quasi sputare quelle ultime parole, prima di oltrepassare la porta dello scompartimento.

 
***

Tsunade inspirò. E continuò a farlo.
Inspirò mentre elaborava, pensiero dopo pensiero, attimo dopo attimo, strategie, idee, qualunque cosa.
Tsunade espirò.
Lenta.
Sperando che l'aria nei suoi polmoni potesse non finire mai: perché, alla fine di quel suo gesto, quando avrebbe sputato l'ultima molecola di anidride carbonica rimastele nelle vie aeree, avrebbe dovuto dire qualcosa.
Qualcosa di molto chiaro, di molto efficace, di risolutivo.
E lei, quella cosa, non aveva la più pallida idea di che potesse essere.

Quanti Custodes ancora da perdere, per guadagnare il demone?
Quanto ancora rischiare?

Lo sguardo del Custos davanti a lei era lo specchio dell'attesa, bramosa, della tattica risolutiva. Lui credeva ciecamente in ciò che sentenziava Tsunade.
Era Tsunade che iniziava ad avere i suoi dubbi.

Ma quei dubbi dovevano sparire – e, se non lo facevano loro, ci pensava l'espressione pacata, inespressiva e statuaria del Sommo che la scrutava da poco dietro il guerriero: le mani congiunte, rugose, il volto immobile.
Lui, invece, sapeva.
Sapeva che Tsunade avrebbe trovato una soluzione.

Non esisteva alternativa.

Gran cosa è la speranza – nel disastro, essa può essere tradita. Per quello nell'Ignis Regio s'è disimparato da secoli a sperare – non porta alcuna garanzia. Pochi ancora – infantili, forse – osano far rilucere gli occhi sperando che qualcosa possa avvenire.
Il Globus non spera.
Il Globus pretende. Senza fretta, senza affanno: il Globus si limita a sapere che quel qualcosa avverrà, perché è un tuo problema farlo avvenire, e, se non avviene, non sarà più un tuo problema, per un miliardo di motivi che è meglio non affrontare in modo diretto.
Infinite sono le strade del Globus.
Dunque Tsunade pretende.
Tsunade sa che c'è un modo. Deve esserci. Perché così vuole il Globus. Perché così vuole lei – si convince.

Abbassa il capo, in quello che sembra un cenno d'assenso.

"Faremo così", inizia.

















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:) sono tornata...
non ho molto da dire, al momento. Sono parecchio rintronata... spero che il capitolo non sia troppo lento – purtroppo le mie ultime letture mi hanno influenzata tantissimo, l'ho decisamente notato. Comunque anche se Appare lento è ciò che doveva essere e rientra perfettamente nella linea dei 15.
Un saluto a chi ancora si ricorda che esisto e che esiste questa "fic" :) ciao!








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