New Moon: la storia dal mio punto di vista

di vannagio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Festa ***
Capitolo 3: *** Punti ***
Capitolo 4: *** La fine ***
Capitolo 5: *** Ottobre --> Novembre --> Dicembre --> Gennaio ***
Capitolo 6: *** Il risveglio ***
Capitolo 7: *** Imbrogliona ***
Capitolo 8: *** Amici - prima parte ***
Capitolo 9: *** Amici - seconda parte ***
Capitolo 10: *** Ripetizione ***
Capitolo 11: *** Adrenalina ***
Capitolo 12: *** Terzo incomodo ***
Capitolo 13: *** La radura ***
Capitolo 14: *** Setta ***
Capitolo 15: *** Intruso ***
Capitolo 16: *** Assassino ***
Capitolo 17: *** Famiglia ***
Capitolo 18: *** Pressione ***
Capitolo 19: *** Paride ***
Capitolo 20: *** Ospite ***
Capitolo 21: *** Funerale ***
Capitolo 22: *** Corsa / Volterra / Verdetto ***
Capitolo 23: *** Volo ***
Capitolo 24: *** La verità / Votazione ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***
Capitolo 26: *** Extra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Per la serie...
"Quando vannagio vaneggia!"



by Lea__91



Prologo


Salve a tutti.

Mi chiamo Yvonne Brown.

Un modo semplice per capire chi sono?

Prendete la vostra bellissima copia di Twil…

Come dite?

No, non è una replica, perché?

Ho usato le stesse parole della prima storia?

Beh… lo so! Pensavo che i nuovi arrivati avessero il diritto di sapere chi fossi…

Avete ragione: non posso raccontare tutto da capo, altrimenti facciamo notte!!

Ho un’idea!

Per chi volesse saperne di più sul mio conto, cliccando qui, può trovare il “Prologo” della prima parte della mia storia. Capisco che leggere ventidue capitoli, tutti in una volta, sarebbe un po’ difficile e tedioso, ma consiglio di leggere al meno il prologo, in modo che possiate farvi un’idea di chi io sia…

Bene.

Cominciamo!

La mia vita aveva preso una piega inaspettata dal giorno in cui Manuel era venuto al Ballo di Fine Anno. Era cominciato un altro anno scolastico ed io lo avevo affrontato con grande entusiasmo. Ero riuscita a lasciarmi Edward Cullen alle spalle e…

Che cosa c’è, adesso?

Voi della prima fila! Si, dico proprio a voi.

Solo perché avete già ascoltato la prima parte della storia, questo non vi dà il diritto di fare i saputelli, capito?

Come dite?

Parlate uno per volta, per favore.

Secondo voi dovrei fare un rapido riassunto?

D’accordo… non è una cattiva idea…

I novellini devono sapere che io ho frequentato il liceo di Forks, insieme a Edward Cullen, Bella Swan e tutti gli altri personaggi della saga. Come quasi la stragrande maggioranza delle ragazze, ero follemente innamorata del buon vampiro dai capelli ramati (non corrisposta, ovviamente!).

Per una serie di circostanze, che sono narrate nel prologo della prima parte della storia, avevo scoperto il segreto dei Cullen. In poche parole, ero l’unica umana, a parte Bella, a sapere che i Cullen fossero dei vampiri.

Non vi nascondo che ho svolto un ruolo tutt’altro che marginale nella storia, che tutti voi conoscete come Twilight, rischiando addirittura di lasciarci le penne. Dopo qualche anno, ho incontrato Stephenie Meyer e le ho raccontato tutto. Senza farsi alcuno scrupolo, la scrittrice ha eliminato il mio personaggio, per dare spazio solo a Edward e Bella.

Razza di ingrata!!!

Fortunatamente, con il tempo sono riuscita a guarire da quella patologia, che io stessa ho chiamato “Mal di Cullen”.

Adesso sto insieme ad un ragazzo, di nome Manuel Smith. Lui è uno studente universitario, fa parte di una band e vive a Seattle. Lo avevo conosciuto su internet in una chat e lo consideravo il mio migliore amico. Dopo le mie acrobatiche avventure, grazie anche all’intervento dei Cullen, Manuel ed io ci siamo accorti di provare qualcosa di più della semplice amicizia…

La mia migliore amica è la famosissima Lauren Mallory, ossia mia cugina da parte materna. Inizialmente non ci guardavamo neanche in faccia, ma la comune antipatia verso Bella Swan ha creato un’unione indissolubile tra noi.

So, che le cose potrebbero sembrarvi un tantino confuse, ma vi prometto che, andando avanti con la narrazione, cercherò di essere più chiara.

Ok… adesso posso cominciare, o ci sono altre obbiezioni?

Silenzio di tomba.

Bene!!!

Stavo dicendo?

La mia vita aveva preso una piega inaspettata dal giorno in cui Manuel era venuto al Ballo di Fine Anno. Era cominciato un altro anno scolastico ed io lo avevo affrontato con grande entusiasmo. Ero riuscita a lasciarmi Edward Cullen alle spalle e adesso, vederlo aggirarsi tra i corridoi della scuola, in compagnia di Bella Swan, non mi faceva né caldo né freddo.

È inutile che mi guardate con quell’aria scettica: sto dicendo la verità!

È chiaro che, come ogni normale essere femminile, dotato di occhi e di ormoni facilmente eccitabili, non potevo ignorare la sua innaturale bellezza e il suo indiscutibile fascino. Questo non significa, però, che ne fossi ancora innamorata. Se ammirare un bel ragazzo vuol dire esserne innamorata, allora dovrei essere innamorata anche di Jasper (a mio parere il più bello, dopo Edward), di Emmett, del Dottor Cullen, e di qualsiasi maschio, vampiro e non, di bell’aspetto esistente sul pianeta!

No, signori! Non ero più innamorata di Edward Cullen, ma questo non vuol dire che fossi diventata cieca…

Com’è che si dice?

“Si guarda ma non si tocca!”

“Per caso, ho detto che lo volevo toccare? Mi sembra di no” rispondo io.

Ritornando al discorso…

Bella non sapeva nulla del mio coinvolgimento nelle vicende della primavera precedente, quindi i Cullen ed io ci ignoravamo a vicenda. A dire il vero, i fratelli Cullen che trovavo più simpatici, cioè Rosalie, Emmett e Jasper, non frequentavano più il liceo di Forks, poiché si erano diplomati l’anno prima. Ufficialmente, frequentavano il college a Dartmouth.

Ero felice, non mi sentivo più la sfigata della scuola. Possedevo tutto ciò di cui avevo bisogno: un’amica sincera e fedele, un ragazzo stupendo e una mamma, che lentamente cercava di abituarsi al fatto, che la sua unica figlioletta avesse intavolato una relazione a distanza con un musicista rock, pieno di piercing e tatuaggi.

C’era solo un problema: un’unica nota amara a guastare quell’idillio che era diventato la mia vita.

La lontananza da Manuel.

Adesso che avevo scoperto le gioie di un amore corrisposto, era difficile farsi bastare una chattata o una telefonata! Purtroppo non potevo andare a Seattle, ogni volta che lo desideravo, per via della scuola e non potevo pretendere che Manuel spendesse i suoi pochi risparmi, ogni volta che andavo in crisi di astinenza!

Un altro problema era la gelosia.

Durante l’estate, ero andata a trovare Manuel a Seattle e avevo assistito ad alcune sue esibizioni nei locali e nei pub. Vi assicuro che, vedere tutte quelle ragazze universitarie super fighe, strusciarsi contro di lui come delle gatte in calore, non era il massimo per una liceale (quindi pressappoco una bambina agli occhi di quelle streghe), la cui autostima era già compromessa e che portava ancora l’apparecchio.

Già, proprio così! Non ero ancora riuscita a liberarmi da quell’orrendo strumento di tortura!

Inoltre, essendo stata per parecchi anni la migliore amica e confidente di Manuel, praticamente sapevo tutto di lui, così come lui sapeva tutto di me. Manuel conosceva il mio passato da sfigata, costellato da cotte e scottature; io conoscevo a memoria i nomi di tutte le ragazze, con cui aveva avuto delle storielle, più o meno brevi.

Se da un lato, non avevamo segreti l’uno per l’altra, dall’altro lato mi sentivo perennemente minacciata…

Certo, Manuel era un ragazzo fantastico e non mi dava alcun motivo per dubitare di lui, ma come dice spesso mia madre…

“Tesoro! Mi fido di te. Sono le altre persone a non ispirarmi fiducia!” ripetevo all’infinito, imitando la melodiosa voce di mia madre. A quel punto, solitamente, Manuel scoppiava a ridere e cominciava a prendermi in giro…

Nonostante questo, proprio come Bella, avevo trascorso l’estate più bella della mia vita. Non mi ero fermata un attimo: ero andata a Phoenix per due settimane dalla mia adorata prozia Yvonne; tre settimane a Seattle da Manuel; due settimane in California con Manuel, in occasione del concerto dei Green Day; nelle poche settimane trascorse a Forks, era stato Manuel a farmi visita.

E adesso dovevo resistere fino a Natale, prima di rivederlo… che rabbia!!!!

Che cosa?

Volete sapere quando, esattamente, Manuel ed io ci siamo messi insieme?

Non so se mi va di raccontarlo… sono cose private!

Siete proprio dei gran ficcanaso…

D’accordo, d’accordo, non vi scaldate!!!!

Come molti di voi già sanno, Manuel era venuto a Forks in occasione del Ballo di Fine Anno, decidendo di rimanere per una settimana. Ci divertimmo molto insieme, nonostante Forks non fosse proprio il paese dei balocchi, in materia di svaghi. Non accadde nulla tra noi: eravamo solo due grandi amici, felici di essersi finalmente incontrati e di poter passare del tempo insieme.

Prima di ritornare a Seattle, Manuel mi fece promettere, che sarei andata a fargli visita.

Dovetti litigare per giorni con mia madre per ottenere il permesso, ma alla fine la convinsi. A tranquillizzare mia madre furono soprattutto i genitori di Manuel, i quali, nonostante il figlio scapestrato, le fecero una buona impressione.

Sarei dovuta rimanere a Seattle per una settimana, ma le cose mi sfuggirono completamente di mano…

Luglio del 2005.

Uscimmo ogni sera, andando in giro per locali, insieme ai membri del gruppo di Manuel: Alex il cantante, Tom il chitarrista, Fred il bassista.

Il più delle volte loro si esibivano ed io li ascoltavo, approfittando delle consumazioni gratis che, in quanto amica di un membro del gruppo, mi spettavano di diritto.

Manuel suonava la batteria in maniera eccezionale.

Probabilmente fu proprio durante quelle numerose esibizioni, che mi accorsi di cosa Manuel fosse in realtà: un ragazzo… un ragazzo molto carino… un ragazzo che mi capiva e mi conosceva meglio di chiunque altro e che sapeva come mettermi di buon umore, anche nelle giornate storte.

Stargli accanto mi entusiasmava più del lecito e quando, durante le esibizioni, mi faceva l’occhiolino o mi rivolgeva un rapido sorriso, il mio cuore saltava in aria, come se qualcuno lo avesse svegliato all’improvviso. Parlavamo tanto, di ogni genere di cosa: di quello che avevamo in comune, ma anche di ciò che ci divideva e che spesso ci portava a discutere animatamente. Approfittavamo di quei pochi giorni a nostra disposizione come meglio potevamo, ma più trascorrevo il tempo in sua compagnia, più capivo che qualcosa era cambiato, al meno per me…

All’inizio cercai di non far caso a quei pensieri e di metterli da parte: Manuel era il mio migliore amico e non volevo rovinare il forte legame che ci univa, per delle sensazioni, che non riuscivo a spiegare nemmeno a me stessa. Non capivo quando fosse iniziato tutto ciò. La mia memoria andava a ritroso, analizzando tutte le giornate passate insieme e tentando di trovare una spiegazione a quel rapido cambiamento dei miei sentimenti…

Poi la sera prima del mio ritorno a Forks, tutto cambiò.

Eravamo in un pub. Manuel e gli altri avevano appena finito di esibirsi e stavano smontando gli strumenti. Seduta a un tavolo, sorseggiavo una cola e mangiavo patatine fritte, contemplando la maglietta sudata di Manuel, che gli aderiva perfettamente al torace…

Una ragazza, che non avevo mai visto, entrò e si diresse verso di loro. Sembrava Rosalie in versione umana…

Scambiò qualche parola con Manuel: lui aveva un’espressione meravigliata, forse non si aspettava di incontrarla lì. I suoi occhi vagarono fino a me e poi ritornarono rapidi sulla bionda.

Poco dopo i due scomparvero nel retro del locale.

Il mio stomaco cominciò a lamentarsi, ma non per la fame…

Alex, il cantante del gruppo, si avvicinò a me, ignaro del trambusto che la venuta di quella ragazza aveva suscitato in me.

“Per stasera abbiamo finito: aspettiamo Manuel e poi sloggiamo” annunciò, sorridendo gentile, mentre io continuavo a fissare il punto in cui i due erano scomparsi.

Alex era il più simpatico del gruppo: avevo legato subito con lui, quindi non ebbi difficoltà a chiedergli, ostentando indifferenza, “Dove è andato Manuel?”

“Lilian voleva parlargli…” spiegò lui, alzando le spalle.

“Lilian? Quella è Lilian? Ma non si erano lasciati?” domandai, mentre il mio stomaco continuava a contorcersi.

“La ragazza, ogni tanto, torna alla carica…” spiegò lui, accendendosi una sigaretta.

Serrai i pugni e cercai di trattenere uno strano istinto omicida, che avevo provato solo nei confronti di una persona: Bella Swan.

Aspettammo Manuel nella macchina di Alex per una buona mezz’ora, mentre rimuginavo nel mio brodo.

Finalmente Manuel e Lilian uscirono dal pub. Li vidi abbracciarsi affettuosamente. A stento, trattenni un verso, molto simile al ringhiare di un animale inferocito, o peggio, di un vampiro assetato…

Manuel ci raggiunse. Sembrava allegro, rideva e scherzava con i suoi amici. Io rimanevo in silenzio e mi estraniavo dalla loro allegria, confusa dai sentimenti contrastanti che stavo provando.

Meno male che Jasper non era nei paraggi, altrimenti sarebbe impazzito a causa mia…

Ogni tanto Manuel mi lanciava delle occhiate preoccupate. Probabilmente aveva notato il mio insolito mutismo, ma non chiese spiegazioni per tutto il tragitto in auto.

Quando Alex ci accompagnò a casa, Manuel propose “è una bella serata, ti va di chiacchierare un po’ prima di andare a dormire?”

In effetti, si stava proprio bene: c’era caldo e il cielo era limpido e carico di stelle.

“Va bene” risposi, vincendo la battaglia contro il mio orgoglio, che imponeva di mandarlo al diavolo e chiudermi in stanza.

Seduti sulla panchina, guardavamo le stelle in silenzio, come la sera del Ballo di Fine Anno.

“Perché sei così silenziosa stasera? Di solito devo cucirti la bocca per farti stare zitta!” chiese lui, scrutando il mio viso.

“Niente…” risposi senza guardarlo.

“Ok, sputa il rospo” insistette Manuel serio.

Sbuffai.

“Perché non vuoi dirmi qual è il tuo problema?” chiese, risoluto. Non voleva mollare.

“Non c’è alcun problema!” replicai debolmente.

Che cosa potevo dirgli? Ho scoperto improvvisamente che sei un ragazzo, un ragazzo per cui provo qualcosa e che sono gelosa marcia di te!

Neanche in punto di morte avrei ammesso una cosa del genere.

Manuel sospirò, rassegnato e riprese a guardare le stelle.

“Non mi aspettavo di incontrare Lilian stasera” esclamò pensieroso, continuando a fissare il cielo.

Fantastico!

Ecco un argomento di cui avrei fatto volentieri a meno. La gelosia è una brutta bestia e come tale, ringhiava dentro di me: sembrava un cane rabbioso.

“Non vi siete incontrati per caso: lei è venuta di proposito per parlarti” puntualizzai, guardandolo di traverso. Manuel non sembrò notare l’irritazione nella mia voce.

“È vero… non capisco: quando stavamo insieme, litigavamo continuamente. Adesso che ci siamo lasciati, sembra non avere niente di meglio da fare, che rompere le scatole…” si sfogò lui.

Inarcai il sopraciglio, fissandolo con un’espressione sorpresa e incredula.

Che razza di bugiardo… pensai.

“Perché mi guardi così? Che cosa credevi? Che mi facesse piacere essere perseguitato?”

Manuel era bravo quanto Edward a leggere i miei pensieri.

Risi, fingendo allegria.

“Andiamo… quella tipa sembra una modella! Non dirmi che non ci hai fatto un pensierino, quando stasera l’hai rivista” lo stuzzicai, spinta dal mio innato masochismo.

“No, ti sbagli. Forse prima, quando ancora non la conoscevo, riusciva a stuzzicare la mia fantasia, ma adesso, non sento nessuna attrazione nei suoi confronti” rispose lui. Sembrava sincero, ma non volevo credere alle sue parole.

“Si, certo…” replicai ironica, guadagnandomi un’occhiata furiosa da parte di Manuel.

“Tu dovresti conoscermi…” mi rimproverò.

“Che cosa avete fatto nel retro del locale, allora?” chiesi, incapace di trattenermi. Il mio tono era palesemente accusatorio.

“Abbiamo parlato: le ho spiegato che tra noi è finita e penso che finalmente abbia capito” spiegò lui pazientemente.

“E perché vi siete abbracciati alla fine?” domandai ancora, con voce alterata.

“E tu perché mi stai facendo il terzo grado?” chiese lui di rimando, leggermente irritato.

Distolsi lo sguardo, rossa di rabbia e vergogna.

“Ci stavamo solo salutando…” rispose poi. La sua voce era tornata calma e rassicurante.

Non dissi nulla.

Ero furiosa con me stessa per aver lasciato venir fuori quell’inspiegabile ed improvvisa gelosia.

“Yvonne…?”

Neanche una parola.

Sentì Manuel alzarsi e sedersi più vicino a me. Mi cinse le spalle con un braccio. Il mio cuore cominciò a battere come un matto e fui felice che Manuel non possedesse il super udito di un vampiro.

Continuavo a non guardarlo, spaventata da quello che i miei occhi avrebbero potuto suggerirgli. Il punto era che neanche io sapevo cosa mi stesse succedendo. Ero gelosa, ma non ne avevo motivo. Ero euforica perché lo sentivo così vicino. Desideravo adagiare il capo sul suo petto, ma non osavo farlo. Ciò era assurdo, perché lo avevo fatto molte volte, senza pormi alcun problema.

Non avevo mai pensato a Manuel in quel senso… o forse, mi ero sempre autoimposta a non farlo?

“Yvonne…” sussurrò lui e questa volta fui costretta a voltarmi.

L’intensità del suo sguardo mi spaventò.

“Vuoi sapere perché penso che Lilian non romperà più le scatole?” chiese ed io annuì, troppo incantata dai suoi occhi, per parlare.

“Le ho spiegato che… c’è un’altra… che sono impegnato…”

L’incantesimo si ruppe.

Mi allontanai da lui, ferita ed umiliata.

Ancora una volta mi ero illusa… ero proprio un caso patologico!

Mi alzai di scatto e velocemente raggiunsi la porta d’ingresso, prima che potesse accadere il peggio… scoppiare in lacrime, svegliando tutto il vicinato, ad esempio…

Manuel mi bloccò, afferrandomi per un braccio.

“Lasciami!” gli intimai, ma non mi diede ascolto.

Mi attirò a se e tenendomi stretta a lui, bisbigliò “Sei una stupida Yvonne. Possibile che tu non abbia ancora capito nulla?”

Mi bloccai, cercando di dare un significato alle sue parole. Come al solito, il mio cervello aveva smesso di funzionare.

Gli occhi di Manuel erano fissi sui miei.

Una ciocca dei suoi lunghi capelli castani, mossa dalla brezza estiva, solleticò la mia guancia.

Il suo viso era così vicino al mio che i nostri nasi si sfioravano appena.

“Sto per fare una cosa che potrebbe sconvolgerti, quindi se non vuoi, dimmelo adesso che sono ancora in grado di fermarmi” sussurrò serio, senza togliermi gli occhi di dosso.

La sua voce roca mi provocò un piccolo tuffo al cuore e dei brividi in tutto il corpo. I suoi occhi si spostarono sulle mie labbra e il modo in cui Manuel le fissava mi turbò parecchio. Non riuscì a trovare la forza di parlare.

La verità è che non sapevo che cosa volevo…

“Yvonne?” mi incoraggiò lui.

Non risposi: respiravo a fatica e scrutavo la sua espressione seria e risoluta.

“Chi tace, acconsente…”

Il fruscio di una foglia sarebbe stato più rumoroso in confronto alla sua voce.

Chiusi gli occhi, decisa a non oppormi.

Avvertì le sue labbra posarsi sulla mia bocca, timorose, delicate e leggere, come se Manuel temesse di farmi del male.

Riaprì gli occhi, stupita da quel breve e delicato contatto.

Manuel mi stava osservando: cercava di capire che cosa avesse scatenato in me quel piccolo bacio.

Un uragano! Una tempesta emotiva! Questa era la risposta!

Mi teneva ancora stretta a se, con entrambe le mani sulla mia vita.

“Perché ti sei fermato?” chiesi con un filo di voce, meravigliandomi io stessa di quella domanda, mentre una nuova consapevolezza si faceva strada nella mia mente.

“Cosa?” boccheggiò Manuel, stupito almeno quanto me.

Ma ormai mi era tutto chiaro: quel piccolo bacio non mi era bastato… nemmeno l’amicizia di Manuel era sufficiente… desideravo di più…

Sollevai le braccia e le posai sulle sue spalle, avvinghiandomi a lui, come mai avevo fatto con nessun altro.

Senza indugiare oltre, lo baciai.

Manuel rispose immediatamente al bacio, rafforzando la presa sulla mia vita, facendo aderire i nostri corpi e sollevandomi da terra per alcune frazioni di secondo. Nello stesso tempo, mi aggrappai alle sue spalle, intenzionata a non molarlo mai più.

Ancora oggi, non so dire quando l’amicizia si trasformò in amore, ma francamente, non credo che abbia molta importanza.

In quel momento era impossibile concentrarsi su altre cose che non fossero Manuel, le sue labbra e le sue mani.

Non so quanto tempo rimanemmo lì, sul portico, a baciarci, ma sicuramente non sono affari vostri….

Vi posso solo dire, che la mia permanenza a casa Smith venne prolungata di altre due settimane, con grande dispiacere di mia madre e con immenso piacere mio e di Manuel…

Qualche settimana più tardi, ad agosto, partimmo insieme per la California.

Ritorniamo al presente. Siete stati accontentati, non potete lamentarvi!

Che cosa potrei raccontarvi adesso?

Ci sono precisazioni da fare, prima di dare il via alla seconda parte della mia storia?

Non credo…

Per il momento è tutto!

Sperando che anche questa volta ci sia qualcuno disposto ad ascoltare…

…a presto con la prima puntata, Yvonne Brown.

_________

Nota autore:

Precisazione per i nuovi arrivati.

Questa ff è il seguito di un’altra mia ff, intitolata “Twilight: la storia dal mio punto di vista”. Insieme fanno parte di una serie, chiamata “The Twilight Saga: la saga dal mio punto di vista”. Credo che questa ff possa essere letta anche senza conoscere quella precedente, anche perché, se e quando ci saranno dei riferimenti al primo “volume”, cercherò di spiegarli per coloro i quali non conoscono i fatti antecedenti. Se avete dei dubbi, potete chiedere a me e sarò felice di rispondere…

A tutti color che già mi conoscono, non posso far altro che ringraziarli in anticipo per il loro sostegno (sempre che vogliano concedermelo…)!

Per quanto riguarda il prologo, ha solo un valore introduttivo e volendo ricalcare lo stile del prologo precedente, ho inserito un flash back. Cmq, so che il cambiamento dei sentimenti di Manuel ed Yvonne potrebbe sembrare improvviso, ma ricordate che loro si conoscono da anni. Molto probabilmente se si fossero conosciuti normalmente, sarebbe cominciato tutto prima. Datemi le vostre impressioni!

Come promesso, rispondo qui sotto alle recensioni dell’epilogo…

Per crazyfv: ciao cara. Grazie per i bei complimenti. Sono contenta che la fine ti sia piaciuta! Spero che ti appassionerai anche a questa nuova storia! Baci Vannagio!

Per Tom94: ciao anche a te! Il tuo entusiasmo mi fa davvero piacere! Ti piace Aro? Chiamalo vecchietto!!! Quello ha circa tremila anni!!!! e comunque è già sposato... A quanto pare anche tu hai voglia di unirti al team Manuel... bene, bene!!! Spero di risentirti in questa ff! Bacioni Vannagio! P.S.: forse hai ragione. Il termine "finale" non è molto corretto!!

Per _cory_: grazie anche a te, cara!!! A presto Vannagio!

Per Kumiko_Chan: ti fa strano vedere Yva e Manuel insieme? Cmq anche io mi sono affezionata a Paul, cosa credi? Davvero hai letto le altre ff? Che bello!!! Sono lusingata e commossa! Ti sono piaciute? Fammi sapere... Grazie, grazie mille e per quanto riguarda i tuoi quesiti: basta avere pazienza!!! Baci Vannagio

Per TheDreamerMagic: grazie anche a te per i complimenti. Vedo che la coppia Yva e Manuel ha soddisfatto quasi tutti. meglio così... Spero mi seguirai in questa nuova ff. Per quanto riguarda Lauren... chissà!! Bacioni Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: grazie anche a te, cara!!! anche a me piace molto la coppia Yva-Manuel! Bacioni Vannagio!

Per loli89: grazie anche te!!! Baci Vannagio!

Per XoXo_GossipiGirl: grazie cara, spero che seguirai la nuova ff!

Per Frammento: mi ha fatto tanto piacere leggere la tua recensione. Se alla fine hai deciso di lasciarmi un commento, vuol dire che qualcosa di buono ho fatto e ne sono felice. Inoltre riuscire a coinvolgere una persona che non ha letto i libri e che non li apprezza non penso sia facile, quindi, scusarai l'immodestia, se mi definisco orgogliosa del mio lavoro! Sono contenta che Yvonne ti piaccia come personaggio... anch'io sono un po' stufa di tutte queste eroine super donne (non ho mai visto la signora in giallo, ma è vero che disinnesca bombe?). Non è un caso, se alla fine Yvonne non finisce insieme al vampiro, o al licantropo. é ora di dare un po' di importanza anche agli umani!!!! Cmq... grazie ancora per le belle parole!!!! Spero che vorrai seguire anche il seguito... bacioni, Vannagio!

Per SaphyCullen: grazie cara, per i complimenti. Sono contenta che la mia ff ti sia piaciuta e spero che vorrai seguire anche questo seguito. Grazie ancora, Vannagio!

Per Eky_87: ciao! Grazie mille per i complimenti: mi lusingano molto!!! Caspita! Sei andata a dormire alle quattro del mattino? Spero che non dovevi andare a lavorare o studiare l'indomani, altrimenti mi sento in colpa... Sono contenta che la mia ff sia riuscita ad appassionarti e a coinvolgerti! Penso che sia uno degli obbiettivi più importanti da raggiungere, quando si scrive!! Grazie ancora!!! Spero che anche questa ff possa piacerti! Baci, Vannagio! P.S.: anche io sono dell'87!

Se qualcun altro dovesse recensire l'epilogo, risponderò sempre qui.

Grazie ancora a tutti!

A presto, Vannagio!

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Capitolo 2
*** Festa ***


Festa: ti sembro più vecchia?


Salve ragazzi e ragazze!

Come potete vedere, ho mantenuto la mia promessa.

Prima di cominciare, vorrei puntualizzare una cosa.

Questa volta le citazioni e i riscontri saranno presenti in numero nettamente inferiore rispetto a prima. Questo perché, nel secondo libro, la cara Stephenie Meyer ha cancellato il mio personaggio, come se fossi un semplice scarabocchio di matita, che rovina un bel dipinto. Non c’è traccia di me in New Moon.

Dico questo, non perché voglio lamentarmi della scrittrice, ma soltanto per avvisarvi. In questa parte della storia non potrò offrirvi delle prove, per confermare che il mio racconto sia vero. Quindi avete due possibilità: credermi e ascoltare fino alla fine, senza obbiettare, oppure non credermi e andarvene adesso, prima che io cominci a narrare.

Nessuno vi costringe a rimanere.

“Lauren? Per favore, potresti abbassare il fucile e lasciare libera l’uscita? Grazie…”

Stavo dicendo?

Ah, si!

Nessuno vi costringe a restare, quindi andatevene adesso o rimanete per sempre!

Suona un po’ lugubre, non è vero?

Niente paura!

Il primo capitolo scritto dalla Meyer è incentrato sulla paura di Bella di invecchiare e sulla sua conseguente antipatia verso i compleanni.

Non so se quanto scritto dalla Meyer sia vero o no, poiché in quel periodo i miei contatti con i Cullen erano molto limitati. Certo è che questo primo capitolo non contribuisce a lenire la mia insofferenza nei confronti di Bella.

Stiamo parlando di una ragazza adolescente che odia i compleanni. Vi sembra credibile? A chi non piace ricevere regali? D’accordo, anch’io odio stare al centro dell’attenzione, ma non è possibile che la Meyer consideri veritiera una cosa del genere!

E non dite che sono materialista, per favore, perché altrimenti dovrei cominciare a pensare che siete dei grandi ipocriti.

Per non parlare della paura di invecchiare!

Una normale ragazza neo -diciottenne non pensa: “Oh, mamma! Un giorno morirò. Ti prego Edward, trasformami in vampiro: un giorno è già troppo da sopportare, non voglio diventare due giorni più vecchia di te!”

Una normale, e sottolineo normale, ragazza neo-diciottenne pensa cose del tipo: “Evviva, sono diventata maggiorenne! Il mondo è ai miei piedi!” Si butta sul letto, si strappa i vestiti di dosso e strilla a quel gran fico del suo ragazzo: “Edward fai di me quello che vuoi!”

…lo sentivo: ero più vecchia. Ogni giorno invecchiavo, ma oggi era diverso, peggiore, quantificabile. Avevo diciotto anni. Edward non li avrebbe compiuti mai. Andai a lavarmi i denti e fui quasi sorpresa che il volto riflesso dallo specchio non fosse cambiato. Restai a osservarmi, in cerca dei segni delle prime rughe sulla mia pelle d'avorio. Le uniche visibili erano quelle sulla fronte, ma sapevo che se fossi riuscita a rilassarmi sarebbero sparite… (New Moon, capitolo 1)

Avete letto? È una cosa normale? Sono la sola a credere che a quella ragazza manchi qualche rotella?

Analizziamo per bene i fatti…

Mi chiamo Bella Swan. Sono la ragazza più fortunata dell’universo. Il mio fidanzato è un vampiro alias Dio-Greco-Personificato. Oggi è il mio compleanno. Ho compiuto diciotto anni. Mi sono appena svegliata. Che cosa potrei fare di bello (visto che mi chiamo Bella) oggi? Idea!!! Vado in bagno a vivisezionarsi il viso in cerca di rughe e poi penso proprio che proseguirò con lo "spulciamento" dei capelli… non si sa mai! Qualche capello fifone potrebbe essersi sbiancato dalla paura, vedendo la mia immagine riflessa allo specchio: non lo dite in giro… la mattina sono un vero orrore!!

A quel punto il capello bianco potrebbe rispondere “Perché il resto del giorno no?”

Ma mettiamo da parte gli scleri, altrimenti mi piantate in asso ed io non posso continuare ad insultare Bella…

Ripeto la domanda: è un comportamento normale?

Non so voi… può darsi che sia io quella strana, tutto è possibile nella vita… ma solitamente, quando la mattina del mio compleanno mi metto davanti allo specchio, non mi chiedo se sembro più vecchia. Al massimo mi dico che sono un cesso, spremo qualche brufolo, sfoltisco le sopracciglia, controllo che sulla fronte non ci sia nessun U.F.O (Un Foruncolo Oblungo, da non confondere con gli extraterrestri)… ma sicuramente non mi preoccupo di sembrare più vecchia del mio ragazzo!

E va bene! Edward non compierà mai diciotto anni e Bella è diventata più vecchia di lui di un anno! E che sarà mai?

A parte il fatto che Bella dovrebbe ringraziare tutti i santi del paradiso e interrogarsi sul perché quel miracolo chiamato Edward Cullen abbia scelto proprio lei, invece di lagnarsi inutilmente… ma lo sa Bella quante donne ultraquarantenni si sono sposate con ragazzi venti anni più giovani di loro, senza farsi tutte queste seghe mentali?

Non penso che Demi Moore, ogni volta che si alza al mattino, si faccia venire la cirrosi epatica a furia di rodersi il fegato per la giovane età del suo baby marito, altrimenti non avrebbe sposato un ventenne, no? E non credo neanche che cominci ad andare in escandescenza, ogni volta che qualcuno le augura “Buon compleanno, Demi!”

Per fino la madre di Bella, Reneè, non si è fatta problemi a sposare un uomo, dieci anni più giovane di lei. E che cosa fa Reneè? Si lamenta di quanto sia brutta e vecchia? Assolutamente no: si gode la vita con il suo bel fustacchione-barra-giocatore di baseball. Mi sembra legittimo, dopo diciassette anni di convivenza con una figlia noiosa e vecchia (mentalmente) come Bella!

Le cose sono due…

O Bella è veramente una deficiente e in qualche modo ha contattato la Meyer, costringendola a scrivere queste assurdità (e in questo caso, compatisco la scrittrice), oppure la cara zia Steph ha inventato tutto di sana pianta e allora mi ritengo fortunata di essere stata eliminata dalla storia. Meglio cancellata che venire descritta come una menomata mentale!

Scusate questo mio piccolo sfogo, ma poiché anch’io sono stata una diciottenne, non vorrei che la gente pensasse che tutte le diciottenni di Forks siano come Bella. La Mezza Albina rappresenta un esemplare più unico che raro. Prima o poi, verrà catturata ed esposta allo zoo, come monito a tutte le teenagers. Ai piedi della gabbia, la didascalia dirà: “Unico esemplare di ragazza americana diciottenne, capace di attirare disgrazie ovunque si trovi. Attenzione! Si prega di mantenere una distanza di sicurezza per evitare di essere coinvolti in tali sventure. Fortunatamente tale soggetto è prossimo all’estinzione, che molto probabilmente verrà causata dallo scatenarsi di una delle sopracitate disgrazie”.

Ok, ho esagerato un pochino… a volte mi lascio prendere la mano dall’entusiasmo. Spero di non aver offeso le sostenitrici di Bella, se mai ce ne fosse qualcuna tra il mio pubblico…

Torniamo al racconto…

13 settembre 2005

Compleanno di Bella.

Per me era un giorno come un altro, anche perché solo una ristretta cerchia di persone, di cui non facevo parte, sapeva che Bella compiesse gli anni.

A differenza di Bella avevo fatto un sogno bellissimo: Manuel ed io eravamo i protagonisti e le luci erano rosse…

Non fate quelle facce, tanto lo so che avete capito cosa intendo!

Andai a farmi una doccia per calmare i bollenti spiriti, ma non riuscivo a togliermi dalla mente i suoi baci sulla mia pelle e le sue carezze delicate…

Dio, quanto mi mancava!

Avrei ucciso per correre a Seattle da lui… ma penso che sarei morta prima di compiere il delitto, per mano di mia madre, se solo avessi osato chiederle il permesso di passare un fine settimana da lui.

Quell’estate ero riuscita a sfuggire al controllo di mia madre, ma adesso che la scuola era ricominciata, la sua disciplina ferrea aveva ripreso il sopravvento. Come un cane che stringe tra i denti il suo osso, mia madre non aveva intenzione di mollare la presa su di me.

Dopo una rapida colazione, con il mio fidato maggiolino verde mela, andai a scuola. Il cielo era nuvoloso come sempre.

Lauren mi aspettava al parcheggio.

“Ehi, cugina!” mi salutò, mentre io le sorridevo. Invece di avviarci subito in classe, ci fermammo a chiacchierare un po’.

Pochi minuti più tardi l’inconfondibile trambusto, generato dal pick up Chevy del ’53 di Bella, giunse alle nostre orecchie. Lauren ed io ci voltammo a guardare la scena.

La ragazza scese dal vecchio veicolo e chiuse violentemente la portiera. Una pioggia di scintille e dei sinistri lamenti mi fecero intuire che il povero pick up non gradiva essere trattato in quel modo.

Edward e Alice aspettavano la Mezza Albina accanto alla Volvo del vampiro. Alice aveva in mano un piccolo regalo e con grande entusiasmo, corse incontro a Bella, porgendole il pacchetto.

“Mezza Albina compie gli anni oggi?” chiese Lauren, vedendo il regalo.

“Sembra di si” confermai con un’alzata di spalle.

“Oh, porca paletta! Che razza di sbadata! Ho dimenticato di comprarle il regalo, pensi che si offenderà?” domandò sarcastica lei.

“Credo che sopravvivrà!” risposi io. Lauren sghignazzò sotto i baffi.

Bella raggiunse Edward e cominciarono a scambiarsi le solite effusioni mattutine, mentre Alice ciarlava allegramente e saltellava intorno a loro come una cavalletta impazzita.

Sorrisi.

Ogni volta che li guardavo e mi rendevo conto di quanto la loro unione non mi toccasse minimamente, sorridevo come un ebete. Edward Cullen era un gran bel pezzo di… non potevo negarlo, ma non avevamo niente in comune. Adesso, a mente lucida, me ne rendevo conto.

Nel vederli così felici, provavo solo malinconia ed invidia, perché loro potevano stare sempre insieme, mentre Manuel ed io eravamo costretti a stare lontani. In quelle circostanze cercavo di consolarmi, pensando che dovevo resistere solo per un altro anno.

Ancora un anno e poi sarò libera… pensai.

Libera di mollare quel paese del piffero, quei compagni che mi disprezzavano, che non mi capivano e con i quali sentivo di non poter condividere nulla… libera da mia madre, che se pur a fin di bene, mi opprimeva.

“Andiamo in classe?” disse Lauren, riportandomi al presente.

“Si, certo!”

La prima lezione era biologia e come al solito ci sedemmo all’ultimo banco.

Poco dopo entrò anche Alice, che mi rivolse una strana occhiata. La cosa mi stupì, perché attraverso un tacito accordo, dopo gli aventi dell’anno precedente (ossia lo scontro con James), avevamo deciso di ignorarci. Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che avevamo parlato.

Poco dopo arrivò il professore e decisi di non pensarci. Dopo tutto, la pazzia di Alice non era un mistero per me!

Finita la lezione di biologia, Lauren ed io ci salutammo, dandoci appuntamento a mensa.

“Yvonne?”

Una voce simile al suono di mille campanellini mi costrinse a fermarmi, poco prima di uscire dall’aula. Mi voltai, trovandomi faccia a faccia con il folletto più bello mai esistito sulla faccia della terra.

“Ehm… ciao” dissi, impacciata.

“Yva, so bene quali erano gli accordi, ma concedimi qualche minuto, per favore” cominciò lei, con sguardo quasi supplichevole.

“Spara!” la incoraggiai, senza nascondere una certa curiosità.

“Oggi Bella compie gli anni…” spiegò lei rapidamente, prima che potessi interromperla.

“Auguri!” risposi sarcastica. Lei mi lanciò un’occhiata contrariata, ma non le diedi il tempo di replicare.

“Alice… io sono molto grata a te e a tutta la tua famiglia. Senza di voi, molto probabilmente Manuel ed io… beh… lo sai anche tu…” Fu Alice ad interrompermi questa volta.

“Ho organizzato una festa di compleanno per Bella e vorrei che tu partecipassi”.

La notizia mi turbò un pochino.

Deve esserci una fregatura: perché invitarmi altrimenti? pensai.

“Fammi indovinare: hai visto qualcosa e solo la mia presenza potrà evitare la morte di Edward e Bella?” domandai sarcastica.

“Sei perfida! È un semplice invito, senza secondo fine. Voglio che Bella ti conosca e che sappia che cosa è successo l’anno scorso” spiegò la vampira.

“Vorresti che Bella coprisse che Edward mi ha utilizzato come cavia, per testare il suo autocontrollo? Che ho rubato il primo bacio al suo caro fidanzato-vampiro? Che Edward le ha tenuto nascosto una marea di fatti? Che se non fosse stato per me, James l’avrebbe usata come aperitivo? Alice! Si, seria! Rivelarle una cosa del genere andrebbe bene per un tentato omicidio, non per un compleanno” replicai ironica.

Alice aveva assunto un’espressione dura. Naturale: lei adorava Bella. Era la sua prima vera amica!

“Ci sarà anche Rosalie… sono sicura che le farebbe piacere rivederti, così come al resto della famiglia” insisteva Alice, con tono distaccato.

La fissai per qualche secondo, cercando di capire cosa avesse in mente quel pestifero folletto. Sembrava sincera. In fondo sentivo la mancanza di Rosalie, Emmett e Jasper, ma non potevo cedere…

“Saluta Rosalie e gli altri da parte mia” risposi risoluta, voltandomi verso la porta.

“Potreste diventare grandi amiche, tu e Bella… l’ho visto: dipende solo da una tua decisione” aggiunse infine, prima che potessi andarmene “Non capisco perché tu voglia insistere con questo atteggiamento. Ormai Edward non ti interessa più, perché nutri ancora questo rancore verso di lei?”

“Non è rancore! È semplice antipatia. Edward non centra niente… La simpatia è una cosa di pelle. Chiedilo a Rosalie, sono sicura che lei sarà d’accordo con me*. Ti ringrazio per l’invito, sei stata molto gentile, ma io ho già preso la mia decisione” e così dicendo, me ne andai, lasciando Alice sbigottita e sola nell'aula di biologia.

Non era la prima volta che Alice tentava di convincermi a mettere da parte la mia antipatia verso Bella. Sembrava convinta che tra me e la Mezza Albina sarebbe potuta nascere una grande amicizia. Le previsioni di Alice sbagliavano raramente, ma in quel caso non potevo crederle.

Perché ero così cocciuta?

Edward non era più il motivo di quell’antipatia. Semplicemente non avvertivo il bisogno di aggregarmi al “Club degli allegri amichetti di Bella Swan”. La vedevo come una Mary Sue di pessima categoria e niente mi avrebbe fatto cambiare idea.

Ero invidiosa della sua popolarità? Dell’affetto che sembrava ricevere da tutti, senza un motivo preciso?

Può darsi, ma non credo che fosse un peccato mortale il non voler esser amica di Bella. Stavo benissimo così e sono sicura che anche lei non sentisse la mia mancanza… perché avrebbe dovuto? Non era nemmeno stata capace di memorizzare il mio nome!

Forse era proprio questo a darmi fastidio: per lei ero invisibile. Gli altri studenti mi prendevano in giro, mi rivolgevano occhiate sprezzanti e indifferenti, a volte mi offendevano con parole più o meno volgari, ma lei non mi vedeva… ero invisibile a quegli occhi “cioccolattosi”, come li descrive la Meyer. Mi ignorava senza un motivo preciso e questo mi mandava in bestia.

Vai a capire quello che mi frullava per la testa!

Facendo la fila per il pranzo, incontrai una Lauren di pessimo umore. Era appena scampata ad un agguato di Conner. Il poveretto si era invaghito di lei, dal giorno del Ballo di Fine Anno. Lei lo trova simpatico, ma nulla di più.

“Non ridere! Dovresti aiutarmi, invece di prendermi in giro” diceva lei.

“Perché non gli dai una possibilità?” chiesi, mentre ridevo sotto i baffi. Mi fulminò con gli occhi.

“Certo! Tu ti sei beccata il Musicista Rock, ricoperto di tatuaggi ed io dovrei accontentarmi di…”

“Lauren! Finalmente sono riuscito a raggiungerti. Come mai sei scappata dall’aula così in fretta?”

Conner era apparso improvvisamente alle nostre spalle. Lauren emise un lamento disperato che fortunatamente lui non sentì.

“Aveva molta fame” risposi io per lei, divertita.

“Oh, anch’io! Le lezioni di biologia mi mettono sempre un grande appetito” convenne Conner sorridente “Perché non venite a pranzare con noi?” chiese, indicando il tavolo cui erano seduti Mike e Jessica (la cui storia era finita quasi ancora prima di cominciare), Eric, Tyler, Angela e Ben (ancora innamoratissimi), Edward, Bella ed Alice.

Lauren mi lanciò una muta richiesta d’aiuto…

Purtroppo per lei, Conner mi stava troppo simpatico, quindi feci una gran carognata.

“Oh, ma certo! Sono sicura che Lauren sarebbe molto contenta di unirsi a voi” esclamai sorridente.

Conner sprizzava felicità da tutti i pori, mentre Lauren, pallida come un lenzuolo, mi fissava come se l’avessi pugnalata alla schiena.

“Tu non vieni?” domandò Conner, rivolgendosi a me.

“No… preferisco i tavoli meno affollati” risposi con una finta espressione seria.

Trattenendo a stento le risate, osservai mia cugina venire trascinata da Conner al suo tavolo, mentre lei, a gesti, mi faceva capire che sarei morta dopo una lenta e dolorosissima agonia. Ero spacciata, ne ero consapevole… ma lo avevo fatto per il suo bene: il fine giustifica i mezzi!

Dopo la scuola tornai a casa.

“Mamma!” urlai per segnalare la mia presenza.

“Sono in salotto!” rispose lei. La raggiunsi per salutarla.

“Tesoro, tutto bene a scuola?” chiese lei, con il suo solito sorriso zuccheroso.

Annuì distrattamente, buttandomi sul divano e accendendo il televisore.

“Ha telefonato Manuel” mi comunicò lei, spolverando la credenza. Scattai in piedi, come se fossi stata fulminata.

“Non ti scaldare! Ha detto che sarà a lezione fino alle sei del pomeriggio e che richiamerà lui quando torna a casa” aggiunse mia madre, scuotendo la testa, divertita.

Ti pareva…

Delusa come non mai, mi afflosciai come un palloncino sul divano e ripresi a guardare la televisione senza vero interesse.

Più tardi, mentre mia madre lavorava ai fornelli, decisi di vedere “Giulietta e Romeo”. A scuola stavamo studiando Shakespeare e il professore di letteratura, Mr Berty, ci aveva consigliato di vedere la versione degli anni Sessanta, a suo parere, la migliore.

Ero giunta quasi alla fine del film, quando inspiegabilmente la mia mente tornò indietro…

California, mese di agosto.

Il concerto era finito da qualche ora. Manuel ed io eravamo appena tornati in albergo.

“Sono esausta” esclamai, sbadigliando e dondolando fino alla porta della mia stanza.

I Cullen ci avevano regalato i biglietti per il concerto e pagato le stanze d’albergo. Avete capito bene: due stanze! Sicuramente c’era lo zampino di quel bigotto, verginello di Edward…

Forse era convinto che, avendo lui deciso di non avere alcun tipo di contatto fisico con Bella, anche gli altri dovessero seguire il suo esempio. Povero scemo!!

“Sembri ubriaca…” commentò Manuel, sorridendo.

“Sono solo stanca, non pensavo che andare ad un concerto fosse così faticoso, anche se, ne è valsa la pena: non mi sono mai divertita tanto in vita mia” risposi, appoggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi.

Stavo quasi per addormentarmi, quando non avvertì più il pavimento sotto i piedi.

“Ma cosa…?” domandai allarmata, aprendo gli occhi e guardandomi intorno.

Manuel mi aveva preso in braccio e mi stava portando dentro la mia stanza.

“Mettimi giù: sono troppo pesante” protestai poco convinta.

Lui non rispose. Mi adagiò sul letto, mi tolse le scarpe e mi coprì con il lenzuolo.

“Come sei premuroso” farfugliai, affondando la testa nel morbido cuscino e voltandomi su un fianco. Era difficile tenere gli occhi aperti.

“Buona notte” sussurrò lui, baciandomi sulla fronte.

“Non andare” lo pregai.

Perse qualche secondo a contemplare il mio viso. Chiusi gli occhi, ma quando li riaprì, lui non c’era più. Provai un attimo di smarrimento, ma quando sentì il materasso abbassarsi sotto il peso del suo corpo, mi tranquillizzai subito. Manuel si distese dietro di me, affondando il viso tra i miei capelli e abbracciandomi all’altezza della vita: il suo petto stretto contro la mia schiena e i suoi piedi che accarezzavano i miei, sotto il lenzuolo. Cullata dal ritmo del suo cuore e dal suo respiro profondo e rilassante, mi addormentai senza pensieri.

Mi svegliai qualche ora più tardi e subito notai che mancava qualcosa o qualcuno…

“Manuel?” lo chiamai.

“Sono qui” sussurrò lui. Era seduto sulla poltrona e mi stava fissando intensamente.

“Non riesci a dormire?” chiesi perplessa.

Manuel annuì.

“Come mai?”

Lui sospirò e si passò una mano tra i lunghi capelli. Un gesto che da poco avevo imparato ad associare ad imbarazzo.

Mi misi seduta sul letto e cercai di decifrare la sua espressione. Lui distolse lo sguardo.

“Che cosa è successo?” domandai ancora. Se non riusciva a sorreggere il mio sguardo, la cosa era grave.

Manuel si alzò e si avviò alla porta.

“Perché vuoi andare via?” chiesi allarmata “è colpa mia?”

“Beh… da un certo punto di vista, si…” rispose lui, sempre senza guardarmi, fermandosi davanti alla porta ancora chiusa.

Panico e terrore.

Che cosa avevo fatto di tanto sconvolgente?

Non avrò mica russato? pensai atterrita, portandomi una mano alla bocca.

Forse Manuel notò la mia espressione mortificata, perché si sedette sul bordo del letto, prese la mia mano e sfiorò le mie labbra con le sue.

“Non sentirti in colpa… è solo che… starti così vicino… beh… non ho proprio pensieri casti e puri per la testa in questo momento…” balbettò impacciato.

La stanza era immersa nell’oscurità, vedevo solo il suo profilo, illuminato dalla luce dei lampioni che filtrava attraverso le tapparelle delle persiane. Non so se lui arrossì, ma io avvertì un inconfondibile calore sulle mie guancie.

“Ah… capisco…” farfugliai.

“Scusa…” bisbigliò lui.

“Di cosa? Non c’è niente di male: anch’io a volte mi lascio prendere da certe fantasie, che cosa credi? Solo perché ancora non l’ho fatto, non vuol dire che sono un essere asessuato!” esclamai, rossa in viso.

Di certo lui aveva più esperienza di me in quel campo…

“Fantasie? Che genere di fantasie?” chiese malizioso: i suoi occhi erano di nuovo puntati su di me. Non era più imbarazzato, mentre io desideravo sprofondare sotto terra. La faccia era in fiamme e il cuore batteva forte…

“Non fare il finto tonto” risposi, cercando si sorreggere il suo sguardo.

Alla tenue luce dei neon, vidi le sue labbra incurvarsi in un piccolo sorriso, mentre il desiderio irrefrenabile di assaggiarle si faceva strada prepotentemente dentro di me.

Come se mi avesse letto nel pensiero, Manuel mi baciò ed io non persi tempo a rispondere con passione a quel bacio.

Lui mi stringeva forte a se. Facevo scorrere le mie dita tra i suoi capelli. Sentivo le sue mani insinuarsi sotto la mia maglietta, sfiorare la mia pelle, provocandomi fremiti involontari e brividi caldi.

Poco dopo, non so come, mi ritrovai sdraiata sul letto. Manuel, sopra di me, accarezzava ogni centimetro del mio corpo con le sue labbra…

“Yvonne…”

Le parole sussurrate… la sua bocca contro il mio orecchio… il suo respiro solleticante sul collo… le sue mani ovunque...

“Se vuoi che mi fermi…” farfugliò, ansimando.

“Stai zitto, una buona volta...” risposi e lo baciai ancora…

“YVONNE!!” urlò mia madre.

Saltai in aria.

Mi guardai intorno spaventata.

“è la terza volta che ti chiamo! La cena è pronta” urlò mia madre dalla cucina.

“Ehm… uhm… arrivo!” risposi, balbettando e asciugando il rivolo di bava che veniva giù, copioso dalla mia bocca. Sul video, i titoli di coda annunciavano la fine del film. Sospirando, spensi la televisione e riposi la videocassetta nella custodia.

Il cuore batteva forte per lo spavento e i ricordi. Sentivo caldo…

Devo stare attenta, non posso rievocare certe cose, con mia madre in giro… pensai.

Ma prima di raggiungere mia madre a tavola, le parole con cui Manuel mi aveva dato il buongiorno, la mattina seguente a quella notte, risuonarono nella mia mente…

“…Ti amo Yvonne…”

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Nota di fine capitolo:

*"...La simpatia è una cosa di pelle. Chiedilo a Rosalie, sono sicura che lei sarà d’accordo con me..." con questa frase, Yvonne fa riferimento ad una cosa che Rosalie le aveva detto nella ff precedente, capitolo 20.

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Nota autore:

Allora? Che cosa ne pensate? Non ricordavo che i primi capitoli di New Moon fossero così… noiosi! Forse è la prospettiva di Yvonne a farmeli percepire in questo modo.

Non c’è molto da dire su questo capitolo. Il capitolo della Meyer si svolge soprattutto a casa di Bella e di Edward, quindi ho pensato di aggiungere un altro flash back Manu-Yva, in modo da farvi abituare a questa coppia e a farvela conoscere meglio.

Il prossimo capitolo è ancora peggio del primo, perché si svolge tutto a casa Cullen, quindi ci sarà un altro flash back. Spero che non vi dispiaccia, ma non posso creare capitoli di una sola pagina…

Riguardo le citazioni, penso che abbia detto tutto Yvonne… Inoltre non potrò indicare la pagina precisa, perché ho solo la versione ebook del libro… posso mettere la pagina dell’ebook, ma non credo corrisponda a quello del libro.

Passiamo ai ringraziamenti.

Per _cory_: grazie, cara. Sono felice di ritrovarti anche qui! Baci Vannagio!

Per Kumiko_Chan: ciao!!! Che bello!! Sono contenta che tu legga anche questa ff!!! Grazie per la recensione… allora… vediamo… che dire? Eri scettica riguardo la guarigione di Yva dal “Mal di Cullen”? Puoi tranquillizzarti: non ci saranno ricadute. Sarebbe stato troppo ripetitivo scrivere un’altra ff su questo argomento! Sono felice che la coppia Yva-Manu cominci a piacerti. Possibili complicazioni…? Non so, vedremo! Riguardo Lilian e la sua somiglianza con Rosalie, è un caso. Se non me lo avessi fatto notare tu, non ci avrei fatto caso. Avevo dimenticato il secondo nome di Rosalie e ho descritto questa ragazza, come la versione umana della vampira bionda, solo per far capire che è molto bella. Cmq è vero che a volte la mente gioca scherzi bizzarri. Si vede che l’ho fatto inconsciamente! Per quanto riguarda gli spoiler… beh… ancora le idee non sono molto chiare, sto vagliando diverse ipotesi… per questo non ne ho messi. Ti ringrazio ancora per i complimenti. Bacioni, Vannagio!

Per crazyfv: ciao cara! Sono contenta di rileggerti e sono felice che tu abbia apprezzato il flash back Yva-Manu. Come ti è sembrato quello del nuovo capitolo? Si, lo ammetto. Le saputelle della prima fila siete voi, che avete recensito la mia ff con tanta solerzia! È divertente immaginarvi ascoltare la storia, sedute sulle poltroncine, fare commenti, interrompere Yvonne. Non ho saputo resistere e così vi ho “inserito”!! Grazie per i complimenti! Bacioni, Vannagio!

Per giacale: grazie per la fiducia. Spero di non deluderti! Baci, Vannagio!

Per Tom94: Ehilà!!! Che bello essere di nuovo insieme a voi!!! Sbaglio o Manuel ti piace??? XD Anche io penso che Manuel ed Yva stiano bene insieme, ma hai ragione quando dici che potrebbero esserci delle complicazioni. No, tranquilla! Non voglio un’analisi del testo: le tue recensioni sono perfette così per come sono! Per riprendere il discorso su Aro… hai ragione, ci sono ff davvero stupide, che ridicolizzano Aro e i Volturi in generale. Ce ne sono molte in cui, la protagonista di turno fa innamorare di se Felix, che non si sa bene perché frequenta il liceo o.O… lo stesso accade con Demitri e Alex… stiamo scherzando? Un Volturo che si innamora di un’umana? Mi viene da ridere. cmq anche la Meyer ci ha messo del suo per rovinare questi personaggi! Allo stesso modo, spesso accade che James, sopravvissuto miracolosamente ai Cullen, di punto in bianco decida di cambiare la sua dieta. Naturalmente finisce per perdere la testa anche lui per un’umana… o.O!!!!! Mah!! Assurdo… Va beh… per oggi ho divagato abbastanza! Grazie per la recensione! Bacioni, Vannagio! P.S.: povera Sulpicia!!!!

Grazie a tutti quelli che hanno inserito, anche questa volta, la mia ff tra i loro preferiti e i loro seguiti.

Grazie anche a francef80, francy_m85, meryj, che mi hanno aggiunta alla lista dei loro autori preferiti: come sempre sono lusingatissima!

A presto, Vannagio!

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Capitolo 3
*** Punti ***


Punti: la strega e il ruffiano…


Dopo cena mi ritirai nella mia stanza.

Sdraiata sul letto, guardavo il cellulare ogni due minuti. Ero così nervosa che non avevo nemmeno la pazienza di ascoltare un po’ di musica.

Perché non mi chiama? mi chiedevo continuamente.

Stavo diventando paranoica: non potevo lasciarmi prendere dal panico ogni volta che Manuel tardava a telefonare.

Manuel ha la sua vita, non puoi pretendere che stia attaccato al telefono ventiquattro ore su ventiquattro! ripetevo, rimproverando me stessa.

Ero gelosa e avevo paura di perderlo. Da quella nuova prospettiva, mi pentivo un po’ di aver schernito Edward per il suo comportamento troppo possessivo-barra-iperprotettivo nei confronti di Bella. Adesso potevo comprendere il vampiro.

Era anche vero che, se avessi abitato nella stessa città di Manuel, molto probabilmente non mi sarei trasformata in una pazza, paranoica, nevrotica e insicura.

Fantasticai su come sarebbe stato bello stargli accanto ogni giorno, frequentare le stesse lezioni, uscire la sera insieme, lanciando sguardi assassini e ammonitori a qualunque ragazza che si trovasse nel raggio di un chilometro.

Dopo un’estate tanto intensa, come quella che avevamo passato insieme, era chiaro che sentissi la sua mancanza in modo spropositato.

Fu impossibile impedire alla mia mente di ritornare al ricordo, che mia madre aveva interrotto prima di cena, con la sua angelica voce…

California, agosto.

In California, anche nelle prime ore del mattino, la luce del sole è molto forte: nulla a che vedere con i tenui raggi solari, che a Forks, di tanto in tanto, riescono a superare la fitta coltre di nuvole. Così, quella mattina, venni svegliata dai raggi di sole, che impertinenti e dispettosi, erano riusciti a penetrare attraverso le tapparelle delle persiane e a posarsi sul mio viso.

Non avevo voglia di alzarmi, così mi nascosi sotto il lenzuolo, grugnendo in modo spaventoso, infastidita da tutta quella luce, che aveva turbato il mio sonno.

“Buongiorno” disse Manuel.

Sussultai: non avevo capito che lui fosse già sveglio.

“Che cos’era quel verso così elegante?” chiese poi. Dal tono della sua voce, capì che stava sorridendo.

Che vergogna! pensai, arrossendo mio malgrado. Non risposi, troppo imbarazzata per parlare.

Manuel rise, confermando la mia ipotesi che si stava divertendo alle mie spalle. Tentò di strapparmi di dosso il lenzuolo, ma io cercavo di trattenerlo in tutti i modi.

“Voglio dormire!” mi lamentai.

Manuel continuava a ridere e a tirare, fin quando non ebbe la meglio. Sconfitta, mollai la presa. Il lenzuolo finì sul pavimento, lasciandomi esposta al suo sguardo: sentivo i suoi occhi su di me. Avevo indosso soltanto una maglietta e gli slip. Nonostante quello che era accaduto la notte precedente, non mi sentivo a mio agio in quella situazione. Imbarazzata come sempre, mi rannicchiai in posizione fetale, dandogli le spalle. Manuel non gradiva di venire ignorato, così senza smettere di sghignazzare, cominciò a farmi il solletico.

“Farabutto!” urlai, contorcendomi come un’anguilla.

Alla fine, tra le risate, ancora una volta mi arresi: “D’accordo, d’accordo… non dormo più!”

“Con le buone maniere si ottiene sempre tutto!” esclamò lui contento, sdraiandosi sul letto. Lo abbracciai, adagiando il capo sul suo petto, mentre lui mi cingeva con un braccio.

“Dormito bene?” chiese.

“Divinamente… peccato per il brusco risveglio” risposi, con gli occhi chiusi e sorridendo beata.

Manuel ignorò la mia battuta e cominciò ad accarezzarmi la schiena: ora tracciando con le dita, intricati disegni sulla mia pelle, ora facendo scorrere il dorso della mano su e giù, lentamente, percorrendo la schiena in tutta la sua lunghezza.

Notando che non parlava più, aprì gli occhi e sollevai un po’ la testa per studiare il suo volto. Sembrava sereno, ma pensieroso.

“A che cosa pensi?” chiesi, scrutando i suoi occhi castani.

“A questa notte” rispose lui, accennando un sorriso.

Non potei fare a meno di arrossire. Subito tornai a poggiare il capo sul suo petto e mi concentrai sui colori e le forme dei tatuaggi, che ricoprivano le sue braccia.

“Questa notte… è stato…” lasciò la frase in sospeso, provocandomi un piccolo sussulto.

“Si?” lo incoraggiai, senza guardarlo, spaventata da quello che avrebbe potuto dire. Dopo tutto, era stata la prima volta per me e non potevo essere certa di essere stata all’altezza.

“Non ci sono parole, per descriverlo… sono felice…” continuò lui, mentre le sue dita esploravano la mia schiena.

Sorrisi, aumentando la stretta del mio abbraccio. Improvvisamente, il suo cuore prese a battere più velocemente sotto la mia guancia. Manuel prese un respiro profondo e…

“Credo di amarti, Yvonne” aggiunse in un sussurro.

Se il suo cuore aveva superato i mille chilometri orari, il mio si era fermato del tutto.

Smisi perfino di respirare.

Mi allontanai da lui. Seduta a gambe in crociate sul letto, lo guardavo esterrefatta, mentre Manuel si sedeva di fronte a me.

“Che cosa hai detto?” chiesi, con occhi sbarrati e voce tremante.

“Ti amo Yvonne. Questo ho detto!” rispose lui, serio e risoluto.

Lo fissavo come un idiota, sbattendo le palpebre stupidamente.

“Tu?” e lo indicai con il dito.

“Ami?” e spostai il dito verso di me.

“Me?” boccheggiai, ancora incredula.

“Sei tarda di comprendonio, a quanto pare!” scherzò lui.

Ci volle qualche secondo, affinché l’informazione raggiungesse il cervello. Alla fine riuscì a reagire: gli saltai a dosso e cominciai a baciargli il viso come un’invasata. Ben presto lui prese il controllo della situazione e ribaltò le parti.

Intrappolandomi sotto il suo corpo, Manuel intrecciò i suoi occhi ai miei.

“Ti amo Yvonne”.

Avrei potuto ascoltare quelle tre parole all’infinito. Un piacevole calore si propagò in tutto il mio corpo, partendo dal cuore.

“Anch’io… ti amo…” farfugliai impacciata e felice.

Manuel sorrise e mi baciò…

Tutto il resto è solo un ricordo tanto sfocato quanto indelebile nella mia memoria, fatto di carezze, baci, amore e piacere…

Fui risvegliata dalla suoneria del cellulare: era lui!

Senza indugiare oltre, risposi.

“Pronto, Manuel?” non riuscì a controllare la mia voce, che lasciava trapelare ansia e sconforto.

“Ehi, Yva! Perdonami: ho avuto un imprevisto!” rispose Manuel immediatamente.

“Che cosa è successo?” chiesi preoccupata, pensando subito al peggio: che cosa gli aveva impedito di chiamarmi?

“Niente di grave… Dopo le lezioni ho incontrato Alex…” spiegò lui.

Odiavo quando dovevo estorcergli le informazioni con la pinza…

“E?” lo incoraggiai.

“Alex ha trovato un lavoro” aggiunse.

C’era qualcosa di strano nella sua voce, ma in un primo momento non ci feci caso.

“Grandioso! Sono contenta per lui!” esclamai sinceramente allegra.

“Già… grandioso…”

Il tono cupo della voce mi suggeriva che Manuel non era altrettanto contento di quella novità.

“Dov’è il problema?” domandai perplessa.

“Alex ha trovato un lavoro a New York. Parte questo sabato” spiegò lui con tono funereo.

“Oh…” non riuscì ad aggiungere altro.

Alex era il migliore amico di Manuel: insieme avevano fondato la band. Erano molto legati, quasi come due fratelli.

“E vi molla così? Senza preavviso?” chiesi indignata “e dire che lo trovavo simpatico!”

“Vuoi dargli torto? Non posso chiederli di rinunciare a quel lavoro. La band non va tanto bene…” replicò lui, a difesa dell’amico, senza abbandonare quel tono di voce abbattuto.

“Ma se vi esibite quasi ogni sera!” replicai, decisa a non dimostrarmi altrettanto clemente e comprensiva nei confronti di Alex.

“è vero, ma ci pagano una miseria… Alex ha una fidanzata… pensa al suo futuro…”

Manuel non se la sentiva di rimproverare il suo amico. Mi dispiaceva molto per lui: sapevo quanto Manuel ci tenesse alla sua band e alla sua musica.

“E cosa avete intenzione di fare? Sciogliere la band?” chiesi preoccupata.

“Per questo motivo non ti ho chiamato subito: dopo aver incontrato Alex, sono andato a parlare con Tom e Fred. Abbiamo deciso di cercare un altro cantante. Spero solo di riuscirci entro questo finesettimana, altrimenti saremo costretti ad annullare tutte le serate che avevamo in programma!” rispose lui scoraggiato.

“Sono sicura che troverete qualcuno” lo rassicurai, triste e sinceramente dispiaciuta.

“Lo spero…” mugugnò lui.

“Su con la vita St. Jimmy! Solitamente sono io quella che si lagna in continuazione!” esclamai per mettergli allegria…

Rise, ma anche attraverso il telefono, sentivo che si trattava di una risata forzata.

“Se fossi qui, sceglierei te come cantante” rispose lui, cercando di suonare allegro.

“Ma se sono una frana!” protestai scherzosa.

“Non è vero!” replicò lui convinto.

“Ruffiano…”

“Strega…”

“I tuoi dolci complimenti mi commuovono…” risposi, emettendo finti singhiozzi.

“Mi manchi!” esclamò improvvisamente Manuel con passione.

“Anche tu… non sai quanto” risposi, rabbuiandomi improvvisamente. Dopo qualche attimo di silenzio, Manuel tornò alla carica “Davvero! Secondo me, saresti perfetta nella nostra band…”

“Avanti… adesso basta: non mi piace quando mi prendi in giro” risposi.

“Non ti prendo in giro: ricordi quella mattina a Seattle, nel mio garage? Te la sei cavata egregiamente!”

Come dimenticare?

Seattle, luglio 2005.

Era passato qualche giorno dal nostro primo bacio…

Manuel era in garage: stava sistemando gli strumenti, in attesa che i suoi amici arrivassero per provare le loro canzoni.

“Sei sicuro che non vi do fastidio, se rimango qui a guardare?” chiesi, seduta su una vecchia poltrona.

Manuel, alla batteria, sfogava la sua energia sulle bacchette.

Era molto bravo, ma compativo i suoi genitori che erano costretti a sentire quei ritmi incalzanti e frenetici tutto il santo giorno.

“Scherzi? Perché dovresti dare fastidio?” chiese, senza perdere il ritmo.

“Non so… magari ai tuoi amici non piace avermi intorno…” risposi titubante.

“Ma se ti adorano! A volte penso che tu gli piaccia più di quanto gli piaccia io” replicò lui, infilandosi le bacchette in tasca e alzandosi.

Lo guardai mentre afferrava una vecchia chitarra e cominciava a pizzicare le corde, accennando una melodia familiare… era così sexy, quando si concentrava sulla musica…

“La riconosci?” domandò, distraendomi dalle mie fantasie.

“Come potrei non riconoscerla? Smoke On The Water” risposi, sorridendo.

Cominciai a canticchiare distrattamente, seguendo la melodia.

Dopo alcuni minuti, Manuel smise di suonare e prese a fissarmi intensamente, inarcando un sopraciglio.

“Che cosa c’è?” chiesi, intimorita da quello sguardo serio.

“Perché non mi hai mai detto che sapevi cantare?” domandò. Da come mi guardava, sembrava che gli avessi fatto un grande torto.

“Cosa? Smettila! Non ti vergogni a prenderti gioco di una povera sfigata? Ed io che stavo già cominciando a preoccuparmi…” risposi, scuotendo la testa seccata.

Manuel sbuffò. Mi prese per mano, mi costrinse a seguirlo fino al microfono e accese l’amplificatore.

“Canta!” ordinò, mentre cominciava a suonare le prime note della canzone.

“Manuel… io…” protestai debolmente.

“Canta!” ripeté.

Era impossibile ribattere: quando Manuel si mette in testa una cosa, niente e nessuno può fargli cambiare idea.

Timidamente, cominciai a canticchiare. Le guancie si erano colorate di rosso, ne ero certa. Il cuore batteva forte per l’imbarazzo e la mia voce era un sussurro.

“Andiamo… tira fuori la voce, ragazza!” mi esortò lui, dopo un affondo di chitarra particolarmente assordante.

Annuì , chiusi gli occhi e respirando profondamente, cercai di vincere la vergogna.

Pochi minuti dopo, spinta da non so quale frenesia, cantavo a gran voce, accompagnata dal suono metallico della chitarra elettrica. Se avessi visto la scena dall’esterno, molto probabilmente, non sarei riuscita a riconoscere me stessa.

Provai una strana sensazione: l’imbarazzo era sparito… c’era sola la musica in quel momento… tutto il resto non esisteva… mi lasciai trasportare dalle note e dalle sensazioni che esse suscitavano in me. Il microfono in mano e il sorriso di Manuel mi incoraggiavano ad andare avanti senza timore.

C’era qualcosa di liberatorio nel cantare, fregandosene di tutte le persone che all’esterno avrebbero potuto ascoltare. Mi sentivo libera… era la stessa sensazione che provavo, quando, chiusa nella mia stanza, con la musica a tutto volume, cominciavo a cantare e saltare come una pazza.

Poi la canzone terminò: le ultime note risuonarono all’interno del garage, fino ad estinguersi del tutto. Mi sentivo leggera, allegra, euforia. Quasi, quasi avevo voglia di rifarlo…

“Wow! Sei stata grande! Sto prendendo in considerazione l’idea di buttare fuori Alex dalla band e prendere te come cantante” si complimentò lui alla fine.

“Non esagerare: ho steccato parecchie volte” minimizzai.

“Che vuoi che sia? Alex stona in continuazione” rispose lui, alzando le spalle e posando la chitarra.

“Secondo me, sei bravissima!” aggiunse con voce roca, dopo essersi portato a due centimetri di distanza dalla mia bocca.

“Ruffiano…” sussurrai.

“Strega…” replicò lui.

Le nostre labbra si stavano già sfiorando…

“Pensavo che questo garage fosse adibito alle prove di una rock band, non agli incontri amorosi di Manuel!” esclamò Tom, divertito.

Manuel ed io ci allontanammo di scatto, presi alla sprovvista.

“Delicato come un elefante! Non ti vergogni? Hai interrotto un momento topico” lo rimproverò Fred, con finta severità.

“Ehm… da quanto tempo siete lì?” domandai, terrorizzata dal solo pensiero che loro potessero aver assistito al mio piccolo spettacolo.

“Più o meno dal: Sto prendendo in considerazione l’idea di buttare fuori Alex dalla band e prendere te come cantante” rispose Fred, sghignazzando, mentre Alex assumeva una finta espressione offesa e indignata.

“Già… ma ti abbiamo sentita cantare mentre parcheggiavamo la macchina. Non male, piccola!” continuò Tom, facendomi l’occhiolino.

Voglio morire! pensai, reprimendo l’istinto di scappare.

“Manuel? Se vuoi, aspettiamo fuori. Quanto tempo vi occorre? Quindici, venti minuti?” disse Alex, scatenando le risate degli altri. Quella battuta di pessimo gusto, mi costrinse a distogliere lo sguardo.

“Ragazzi… dateci un taglio…” li avvertì Manuel, notando il mio imbarazzo.

“Sul serio… non c’è problema… basta dirlo, no?” continuava Alex, ridendo “Se vuoi… AIHA!!”

Mi voltai a guardare che cosa avesse scatenato quell’urlo di dolore: Manuel aveva scagliato una delle sue bacchette contro Alex, colpendolo in piena fronte.

“Cazzo! Quanto sei suscettibile! Non si può nemmeno scherzare? Se mi resta il segno, giuro che ti ammazzo” si lamentava Alex, massaggiandosi la fronte, mentre tutti noi eravamo piegati in due dalle risate.

“Alex è proprio unico: non sarà più la stessa cosa senza di lui” disse Manuel, riportandomi al presente.

“Non ti abbattere… io sono fiduciosa: troverai qualcun altro!” la mia voce era sicura e decisa e parve tranquillizzarlo.

Parlammo fino a mezzanotte inoltrata, poi ci augurammo la buona notte a vicenda.

Naturalmente, la mattina dopo, pagai a caro prezzo l’essere andata tardi a letto. Non sentì la sveglia suonare e se non fosse stato per mia madre, molto probabilmente avrei continuato a dormire ancora per qualche ora.

Mi preparai in fretta e furia, presi due biscotti al volo e in sella al mio fidato destriero, maggiolino verde, mi precipitai a scuola, preoccupata di fare tardi. Come al solito Lauren mi aspettava, appoggiata al cofano della sua auto.

“Buongiorno!” la salutai sbadigliando.

“Hai fatto le ore piccole al telefono, per caso?” chiese lei. Ormai Lauren mi conosceva bene.

Annuì, continuando a sbadigliare in modo indecente e camminando insieme a lei verso l’aula di biologia.

La prima cosa che notai in aula, fu l’assenza di Alice. Non era la prima volta che un Cullen saltasse una lezione. Ciò capitava soprattutto durante le giornate soleggiate, ma quel giorno il cielo era coperto. Fui colta da una strana sensazione, che mi accompagnò per tutta la durata della lezione, tanto che non prestai ascolto né alle chiacchiere di Lauren, che si lamentava di Conner, né al professor Banner che parlava di Mendel e della genetica.

A mensa, seduta con Lauren, osservavo Edward, che come al solito condivideva il tavolo con Bella e la compagnia di Jessica. Alice non c’era. Avevo sperato che avesse saltato soltanto la prima ora, ma a quanto pare le mie speranze erano del tutto vane.

Spinta da quell’irritante presentimento che non mi aveva ancora abbandonato, fissavo Edward. Aveva una strana espressione sul viso. Non saprei definirla a parole. Guardava fisso il suo piatto, sbriciolando barrette di cereali e parlava con Bella in modo automatico, senza lasciar trasparire nessuna emozione sul suo viso. Poi ricordai di aver già visto quell’atteggiamento in Edward, quando la primavera precedente, a causa del segugio James, era stato costretto a separarsi da Bella. Vedevo dolore, sofferenza, senso di colpa, frustrazione.

Non capivo quale potesse essere la causa di un tale cambiamento di umore. Dal giorno in cui James era stato ucciso, non lo avevo più visto così triste. Ero convinta che fosse felice e che avesse tutto ciò di cui aveva bisogno: l’amore di Bella. Non era ciò che desiderava? E allora perché sembrava così… infelice?

Ecco la parola magica! Infelice… il suo volto era intriso di infelicità! Non so perché, ma quella parola fece scattare qualcosa nella mia mente, ma non riuscivo a capire cosa… era come se quella parola dovesse ricordarmi un fatto… un avvenimento, ma più cercavo di comprendere di cosa si trattasse, più diventava difficile tirarlo fuori dai meandri della mia memoria.

Sapevo che Edward era un tipo a dir poco melodrammatico, ma che cosa poteva essere successo?

Poi osservando con più attenzione, notai che Bella aveva un braccio fasciato.

Era capitato qualcosa? Le aveva fatto del male? L’aveva aggredita e ora si sentiva in colpa?

No, è assurdo…

Tante domande… nessuna risposta.

Il giorno dopo trascorse all’incirca allo stesso modo.

Alice non si fece vedere a scuola. Edward appariva ancora più infelice del giorno prima. Bella si era accorta di quel cambiamento?

A mensa, Lauren prese posto accanto a me.

“E Conner? Pensavo pranzassi con lui, oggi?” chiesi non nascondendo un ghigno maligno.

“Non so come tu sia riuscita a incastrarmi anche questa volta, ma una cosa è certa: me la pagherai cara. Ad ogni modo, Bella ha chiesto a Jessica di fare delle foto. Se permetti, non mi va di posare per il suo album di fotografie…” rispose lei disgustata da quell’idea.

Ma la mia attenzione era nuovamente tornata su Edward e Bella.

“Hai notato niente di strano in… Edward?” domandai titubante. Lauren mi rivolse un’occhiata stranita.

“Non starai avendo una specie di ricaduta, vero?” chiese lei, sospettosa.

“No, tranquilla… è solo che… guardalo! Sembra… infelice!” spiegai. Di nuovo, ebbi come la sensazione che quella parola dovesse significare qualcosa per me…

Lauren diede una rapida occhiata ad Edward, poi tornò a fissare me.

“Cullen è sempre stato un tipo strano… oggi è solo un po’ più strano del solito!” minimizzò Lauren, con un’alzata di spalle.

Non ero convinta…

Al termine delle lezioni, tornai a casa.

Ero così concentrata nelle mie divagazioni mentali, che passai davanti a mia madre, senza salutarla.

“Ciao, anche a te!” esclamò lei, indignata. Mi voltai a guardarla, sbattendo più volte le palpebre, prima di capire quale fosse il problema.

“Oh… Scusa, mamma! Ero soprapensiero…” farfugliai.

Mi squadrò per qualche secondo, poi improvvisamente il suo viso si fece allegro.

“Non fa niente, capita a tutti! E comunque sono troppo contenta per tenere il broncio!” esclamò, con un sorriso a trentadue denti.

Meno male… oggi sarà una giornata tranquilla, pensai.

Poi notai che mia madre continuava a fissarmi, come se fosse in trepidante attesa di qualcosa…

“Ehm... perché sei così contenta da non riuscire a tenere il broncio?” domandai, sapendo che era proprio questa domanda, la cosa che mia madre aspettava.

“Si è liberato un posto alla scuola elementare della riserva. Ho presentato domanda e sono stata assunta come insegnante! Non è grandioso?” esultò, allegra.

“Auguri!” risposi, abbracciando mia madre, con sincero entusiasmo.

“Grazie, tesoro! Qualche spicciolo in più ci farebbe comodo, soprattutto in previsione della tua iscrizione al college…” continuò mia madre. Aveva ripreso il controllo delle sue emozioni, ma quel sorriso soddisfatto e compiaciuto continuava a stazionare sulle sue labbra.

Solo adesso, mi rendo conto di non avervi mai parlato del lavoro di mia madre: una piccola lacuna che colmerò subito.

Lynett Brown è una maestra di scuola elementare. Fino a quel momento aveva insegnato nella scuola elementare di Forks, ma adesso, come avete senz’altro letto, avrebbe lavorato anche nella scuola elementare della riserva di La Push.

“Sei sicura di poter gestire le due scuole? Non ci saranno accavallamenti di orario?” chiesi, mostrandomi interessata per non ferire i suoi sentimenti.

“Ho già risolto tutto. La Push dista solo quindici chilometri, non sarà complicato. Tu pranzi a scuola, quindi posso permettermi di rincasare un po’ più tardi… e poi… mi annoio a casa, quando non ci sei” spiegò lei, tornando a fare ciò che aveva interrotto, cioè stendere i calzini ad asciugare.

Sorrisi.

La mia mamma: così dura ed intransigente, ma al tempo stesso dolce e affettuosa.

Quest’estate l’avevo trascurata parecchio e lei aveva sentito molto la mia mancanza. Dopo la morte di mio padre, avevamo vissuto da sole, facendoci compagnia a vicenda. Non era abituata a dovermi condividere con qualcuno. Forse era la gelosia, il vero motivo della sua diffidenza nei confronti di Manuel.

Senza aggiungere altro, mollai lo zaino su una sedia e la aiutai ad appendere i calzini sullo stendi-abiti.

Il giorno seguente, la situazione non era migliorata, anzi, a dirla tutta, era peggiorata. Solo un cieco non poteva accorgersene.

Edward e Bella apparivano freddi, lontani, distaccati. Non li avevo mai visti così. Non avevano mai avuto problemi ad esternare la loro relazione di fronte agli altri compagni: sempre pronti a scambiarsi gesti di affetto e di amore. Ma adesso…

Bella era preoccupata e lanciava occhiate ansiose al suo ragazzo, come se temesse il peggio. Edward si accorgeva appena di lei, o per lo meno, faceva di tutto per dare questa impressione.

Possibile che…?

Mi rifiutavo di credere che la loro storia stesse per finire… loro che affermavano di provare un amore sincero e indissolubile… Edward che era andato contro tutte le regole del suo mondo, lottando contro la sua stessa natura per amore di Bella… volevano farmi credere che fossero in procinto di lasciarsi?

No, non lo accetto! Non ci credo!

Non riuscivo a capire perché la cosa mi stesse tanto a cuore… non solo... mi infastidiva, mi toglieva l’appetito, mi ossessionava!

Ci ho quasi rimesso le penne per far si che quei due rimanessero insieme, magari è questo il motivo di tanto interessamento da parte mia.

Poteva esser una spiegazione…

L’aura cupa, carica di infelicità che circondava Edward e Bella, arrivò fino a me, condizionando in negativo tutto il resto della mia giornata.

Anche oggi abbiamo trasmesso, ragazzi!

Lo so… la puntata è terminata in modo un po’ brusco, ma mi farò perdonare la prossima volta: è una promessa!

Che cosa? Volete altri flash back?

Siete proprio ingordi di pettegolezzi, non è così?

Come?

Non se ne parla proprio! Se volete vedere un film porno, vi consiglio una videoteca…

Per chi mi avete preso?

A presto, profondamente indignata dalla vostra richiesta, Yvonne.

_____________________

Nota autore:

Salve a tutti!

Questo è un capitolo di passagio… di preparazione al prossimo… Nonostante questo, spero che sia stato di vostro gradimento. Purtroppo il capitolo della Meyer era esclusivamente ambientato nella sera del compleanno di Bella. Quindi per non scrivere un capitolo troppo breve ho aggiunto due flash back. Inoltre, sempre per evitare che il capitolo diventasse troppo corto, ho incluso nel secondo capitolo i tre giorni successivi alla festa di compleanno, anche se questi sarebbero dovuti andare nel terzo. Lo so che certe precisazioni sembrano inutili, ma ci tengo ad essere precisa.

Non credo che sia molto da aggiungere… passiamo ai ringraziamenti.

Per crazyfv: ciao cara. Sono contenta che i flash back ti piacciano. In questo capitolo ne ho inserito due, sei contenta? Per quanto riguarda le fantasie di Yva… se una ragazza fissa il vuoto con guardo assente, mentre sbava in modo indecente, beh… penso che una mamma possa intuire l’argomento delle fantasie della figlia, no? XD Yva ringrazia le sue spettatrici per i complimenti! Grazie per la recensione. Bacioni, Vannagio!

Per loli89: ciao! Grazie per i complimenti! Anche io sono contenta che le mie lettrici la pensino come me su Bella (sempre meglio che venire linciati…) cmq riguardo la tua domanda, non posso dirti nulla, ma ti consiglio di portare pazienza… le tue domande troveranno risposta! Grazie ancora, bacioni! Vannagio!

Per Themis: ciao e grazie per la recensione. New Moon era uno dei miei preferiti della Saga, però è vero che i primi capitoli sono un po’ noiosetti. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Si, la mamma di Yva è un mito… anche io l’adoro! (ma ci sarà un personaggio che non mi piace?XD) Grazie ancora! Baci Vannagio!

Per OnLu: ciao cara! Sono contenta che tu abbia deciso di recensire. In realtà non credo che Yva fosse un’illusa nel primo libro… anche se non riusciva a dire di no ai Cullen, lei ha sempre saputo che Edward non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti. Però hai ragione nel dire che Yva è cambiata: è un po’ più sicura e determinata. Grazie per la recensione. Baci Vannagio!

Per Midao: ciao anche a te. Non preoccuparti se non puoi recensire spesso… quindi sei passata dal Team Paul al Team Manuel? Mi fa piacere che i flash back ti piacciano. Mi sono detta che sarebbe stato interessante vedere come è nata questa coppia… non posso garantire che ci siano sempre però (i flash back, intendo). Grazie per i complimenti. Bacioni, Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: Ciao, cara! Un'altra fan di Manuel? Bene, bene! Cmq… ti capisco benissimo: anche a me capita spesso che internet non funzioni e quando capita vado in escandescenza! Per quanto riguarda Bella… è una pazza: poco ma sicuro! Grazie per la recensione. Bacioni, Vannagio!

Per Tom94: allora… inanzi tutto: ciao, carissima! Per quanto riguarda il sondaggio sulla “scemenza” di Bella, dico Quaranta (in una scala da zero a dieci, mi sembra ovvio…) Siccome mi sembra che ho dedicato anche troppo spazio a Sua Scemenza nel capitolo precedente, mi fermo qui! Per quanto riguarda Manuel… anche in questo caso, non c’è molto da aggiungere, credo… i fatti parlano da soli! Yva è sempre Yva e come tale, a volte capita che la sua mente divaghi in modo incontrollato… non importa che il centro dei suoi pensieri sia un vampiro, un licantropo o un umano. Il risultato è lo stesso: sguardo vitreo e bava in quantità industriale! Passiamo ad Alice… il suo gesto era a fin di bene, lo devo ammettere. Lei vorrebbe che Yva si sentisse parte della famiglia e vorrebbe dire la verità a Bella (cosa che secondo me sarebbe giusta: se il mio ragazzo mi nascondesse certe cose mi incacchierei parecchio). Purtroppo però, Alice sbaglia nei modi: si propone sempre con il titpico atteggiamento da so-tutto-io e ciò non aiuta Yva a fidarsi di lei e della sua buona fede… Spero di non averti confuso le idee! Grazie per i complimenti. Bacioni, Vannagio!

Grazie a tutti!

A presto Vannagio!

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Capitolo 4
*** La fine ***


La fine: esistono due individui più stupidi di Edward e Bella?


Buongiorno ragazzi!

In programma per voi, c’è una puntata carica di eventi e molto lunga, quindi vi consiglio di mettervi comodi. Spero solo di non annoiarvi!

Se dovete andare in bagno, andateci ora, perché non ho intenzione di interrompere il racconto per i vostri porci comodi.

Posso cominciare?

Bene!

Dove eravamo rimasti?

Erano passati tre giorni dal compleanno di Bella Swan e come vi ho già raccontato nella precedente puntata, avevo notato lo strano comportamento di Edward e l’assenza di Alice a scuola.

La sera del terzo giorno, dopo cena, ero al telefono con Manuel.

“Yva, si può sapere che hai? Ti sento pensierosa, assente…” mi chiese lui preoccupato.

“Scusa, ero soprapensiero…” mi giustificai, ricollegando il cervello all’orecchio.

“Stai ancora pensando a quei due?” domandò lui. Non sembrava irritato, ma neanche molto entusiasta del fatto che non prestassi attenzione alle sue parole, per colpa della “coppia quasi scoppiata”. Avevo confidato a Manuel i miei dubbi su Edward e Bella.

“Si…” ammisi, di mala voglia, temendo la sua reazione. Manuel sospirò e dopo alcuni secondi, parlò con voce calma e pacata.

“Perché ti crei tanti problemi? Se Edmund e Bella si stanno lasciando, non sono affari tuoi” esclamò lui.

“Hai ragione. Non so perché questa storia mi stia tanto a cuore, ma è più forte di me: non riesco a non pensarci…” spiegai, affranta, lasciandomi cadere sul letto, stremata.

“Può succedere a tutti: non tutte le storie sono fatte per durare in eterno. Il tempo passa, gli interessi cambiano e anche i sentimenti possono mutare…” continuò Manuel.

Un brivido freddo attraversò la mia schiena e un indecifrabile senso di panico e ansia si impossessò di me.

“Perché dici questo?” chiesi allarmata, mettendomi seduta. Fortunatamente Manuel rise e ciò scacciò via le mie paure in un batter d’occhio.

“Non stavo parlando di noi, sciocchina!” rispose lui, continuando a ridere della mia stupidità e insicurezza. Di nuovo mi sdraiai sul letto. Sospirai e mi passai una mano tra i capelli.

“La lontananza da te mi fa male: la mia paranoia peggiora di giorno in giorno” dissi, vergognandomi di me stessa.

“Credi che io non ne soffra? Cerco di non pensarci, nella speranza che in questo modo il tempo passi più in fretta” replicò lui con tono solenne, anche se potevo sentire un sorriso compiaciuto disegnarsi sulle sue labbra.

Per lui era facile parlare: non correva alcun pericolo, visto che era pressoché improbabile che un altro ragazzo ci provasse con me. All’infuori di Lauren non avevo altri amici, mentre lui ogni sera si esibiva in un locale diverso e conosceva molte persone…

Prima che la paranoia e la gelosia avessero la meglio, chiesi “Cambiamo argomento? Che cosa stavi dicendo?”

Non ero dell’umore adatto per affrontare un discorso del genere e non volevo rovinare la serata a Manuel con la mia idiozia, che in quel momento avrebbe potuto gareggiare con la scempiaggine di Bella Swan. Manuel non se lo fece ripetere due volte.

“Abbiamo trovato il degno sostituto di Alex!” annunciò trionfante.

Fortunatamente, la buona notizia riuscì a scacciare rapidamente il mio cattivo umore.

“Cosa? Fantastico! Chi è? Racconta!” lo esortai, entusiasta.

“Si chiama Andrea…” rispose lui, con uno strano tono di voce, che definirei titubante e timoroso. La cosa mi stranì, ma non mi feci scoraggiare.

“Non ti fare pregare… racconta tutto: è bravo?” chiesi, euforica.

“Beh… si… è molto… brava” rispose lui imbarazzato.

Adesso avrete un’idea precisa, di quanto delirante fosse la mia gelosia…

Brava… È strano come un’unica parola possa riuscire a metterti K.O. in pochi secondi. Rimasi in silenzio per alcuni istanti, cercando di incassare il colpo. Era come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco, che mi aveva tolto il fiato.

“Ehm… Yvonne?” mi chiamò Manuel, preoccupato.

Calma… calma… mi ripetevo, respirando profondamente e chiudendo gli occhi. Non dire niente di stupido o imbarazzante…

Non potevo lasciare che la mia assurda gelosia prendesse il sopravvento.

“Giusto! Andrea… avevo dato per scontato che fosse un ragazzo…” farfugliai, nel vano tentativo di suonare naturale.

Manuel rimase in silenzio, in attesa che l’uragano si scatenasse, ma ormai ero riuscita a riprendere il controllo. Quando parlai, la mia voce sembrava sincera.

“Sono contenta per voi: in questo modo non sarete costretti ad annullare le vostre serate, giusto? Te lo avevo detto che non dovevi preoccuparti e che avreste trovato un sostituto… o meglio… sostituta…” dissi, tutto di un fiato, sfoderando un sorriso falso, come se Manuel potesse vedermi.

Potrei giurare di aver sentito Manuel tirare un sospiro di sollievo…

“Anche noi siamo molto soddisfatti! È stato Alex a presentarcela: Andrea è una compagna di corso della sua ragazza. È bravissima: dovresti sentirla! Ha un’estensione vocale pazzesca e molti anni di canto alle spalle. Ha frequentato un conservatorio. Sa suonare la chitarra… Da un po’ di tempo a questa parte, stavo pensavo di aggiungere un’altra chitarra alla band. Due piccioni con una fava: cantante e chitarrista! Grandioso, non trovi?” chiese infine.

Deglutì rumorosamente, ripetendo a me stessa, che l’eccessivo entusiasmo di Manuel fosse dovuto esclusivamente al fatto che fosse riuscito a salvare la sua band dalla rovina…

“Certo… stupendo… non vedo l’ora di conoscerla…” balbettai, mentre serravo le dita intorno al cellulare. Se fossi stata una vampira, lo avrei frantumato in mille pezzi.

No… se fossi una vampira, a quest’ora avrei già dissanguato Andrea… pensai, digrignando i denti.

“Anche lei vorrebbe conoscerti” rispose Manuel allegro, del tutto ignaro della mia reazione.

“Ah, davvero? Le hai parlato di me?” domandai, nascondendo il mio scetticismo e ribollendo di rabbia. Nella mia mente contorta, comparve una scena raccapricciante: Manuel rideva malignamente di me in compagnia di una ragazza bellissima… Scossi la testa per scacciare quei pensieri assurdi.

“Certo! È molto simpatica, sono sicura che andrete d’accordo!” rispose lui raggiante.

Se terrà i suoi artigli lontano dal mio ragazzo, non avremo nessun problema! pensai serrando i pugni. Ora basta, Yvonne: controllati! Non ti accorgi di quanto sei ridicola? mi rimproveravo.

“Ne sono convinta anch’io, amore! Ma il suo ragazzo non avrà problemi a vederla in compagnia di altri tre baldi giovani?” chiesi, con voce falsa e ostentando indifferenza.

“No, non ha un ragazzo” rispose lui, molto ingenuamente.

Ti pareva… ringhiò il mostro verde dentro di me.

“Sono contenta per la band. Certo è un peccato che Alex debba andare via… non c’è speranza che rinunci a quel lavoro?” domandai. Infondo… la speranza è l’ultima a morire, no?

“No, purtroppo no… ma non è un problema. A quanto pare Andrea era una nostra fan accanita. Conosce a memoria tutti i nostri pezzi. Una fortuna pazzesca, non trovi?”

“Altro che!” risposi prontamente, mentre nella mia mente prendeva corpo l’immagine di tante oche che si strusciavano contro il mio Manuel.

Chissà quale di quelle gatte in calore era Andrea…

Parlammo ancora per qualche ora, mentre io cercavo di tenere a bada l’istinto di scappare a Seattle e prendere a schiaffi la presunta cantante. Per fortuna Manuel non si accorse di nulla.

Ero una stupida a reagire in quel modo… adesso, me ne rendo conto…

Dopo aver salutato Manuel, era ancora presto per andare a dormire, così mi infilai sotto le coperte, accesi il lettore cd e comincia a leggere un libro: “Intervista col vampiro” di Anna Rice. Era la terza volta che lo leggevo, ma non mi stancava mai.

Per coloro i quali hanno ascoltato la storia precedente…

Avevo detto che la mia passione per le storie di vampiri era scemata, dopo l’incontro con James. La verità è che, con il tempo, la paura era passata e quindi ero ritornata a leggere libri sui bevitori di sangue e a seguire le mie serie televisive preferite.

Gran parte della stanza era immersa nell’oscurità. Cullata da Jeff Buckley che cantava una straziante “Grace” in sotto fondo, leggevo alla tenue luce della baciour. Ero giunta al punto in cui Louis e Claudia si erano addentrati nelle rovine di un convento, nel quale si presupponeva abitasse un antico vampiro.

Ero così concentrata nella lettura e tesa per la suspense del momento, che, quando le ante della finestra si aprirono, emettendo un sinistro cigolio, non potei fare a meno di urlare e saltare in aria. Meno male che con la musica, mia madre non poteva sentire nulla…

Guardai la finestra, con occhi sbarrati.

Sono sicura di averla chiusa, pensai con il cuore in gola.

Se pur riluttante e tremante, mi alzai e mi avvicinai alla finestra, lentamente. Avevo l’impressione che ogni mio passo producesse un rumore assordante. Mi affacciai alla finestra e…

…non c’era nessuno: solo gli alberi, le stelle e una leggera brezza serale, che mi fece provare brividi di freddo. Mi strinsi nelle spalle, sfregandomi le braccia e poi chiusi la finestra.

Ridendo di me stessa e sicura di essermi fatta suggestionare dal libro, mi voltai.

Non ebbi il tempo di capire cosa stesse succedendo: una mano fredda e liscia come il marmo serrò la mia bocca, precludendomi la possibilità di gridare; l’altra mano afferrò i miei polsi per impedirmi di dimenarmi. Anche se in preda al panico, sapevo bene che cosa mi avesse aggredito: un vampiro!

“Yva, sono io, Edward!” disse il vampiro, soffiando le parole nel mio orecchio.

Il mio cuore galoppava per lo spavento. Respiravo a fatica, ma avevo ripreso il controllo. La sua voce e il suo odore, terribilmente familiare, mi avevano ridato la lucidità. Edward, capendo che lo avevo riconosciuto, mi lasciò andare. Mi allontanai da lui, toccandomi il petto all’altezza del cuore: sembrava un tamburo impazzito.

“Dio! Edward! Volevi farmi morire, per caso? Il vampiro perde il pelo ma non il vizio, non è così? Possibile che tu non abbia ancora imparato il significato della parola porta?” lo rimproverai, con tono acido e stizzito.

“Scusa… non era mia intenzione spaventarti” si giustificò lui.

“Già… non è mai tua intenzione, ma puntualmente riesci a farmi venire un infarto!” mi lamentai, guardandolo in cagnesco. “Si può sapere che cosa ci fai qui?” chiesi infine. Dopo tutto era pur sempre un vampiro, che si era introdotto nella mia stanza dalla finestra, dico bene?

Il vampiro non rispose subito. Aspettando che cominciasse a parlare, lo osservai con più attenzione. Quell’espressione infelice non aveva ancora abbandonato il suo volto.

Per l’ennesima volta, la parola infelice fece scattare qualcosa dentro di me…

Edward intanto si era seduto sulla sedia della mia scrivania e si guardava i piedi con espressione corrucciata.

“Sono venuto a salutarti. Ho pensato fosse giusto, dopo tutto quello che hai fatto per me e la mia famiglia… sarebbero venuti anche gli altri, ma penso che cinque vampiri ammassati nella tua stanza non sarebbero passati inosservati” rispose lui, posando i suoi occhi ambrati su di me e accennando un sorriso forzato.

Lo fissai per circa due minuti senza dire nulla.

Sicuramente ho capito male pensai.

“Hai capito benissimo” rispose lui, serio.

“Come sarebbe a dire? Ve ne state andando? Tu vai via?” chiesi, con occhi sbarrati per lo stupore.

“In realtà gli altri si sono già trasferiti… io me ne andrò stanotte ” chiarì Edward, che non riusciva a più sostenere il mio sguardo.

“E Bella?” la domanda era sorta spontaneamente. Edward non mosse un muscolo nell’udire quel nome. Come se non avessi detto nulla, cominciò a parlare con ritmo lento e automatico.

“Ti ho spiegato come funziona: non possiamo rimanere troppo tempo in un posto. Carlisle dimostra trent’anni e deve dichiararne trentatre…”

“Smettila con queste cazzate, Edward! Rispondi alla mia domanda: che fine farà Bella?” chiesi furiosa, interrompendolo bruscamente e scandendo le parole. Sempre con quella voce smorta, Edward cercò di spiegare.

“L’ho già messa in pericolo troppe volte: lei non potrà mai fare parte del mio mondo…”

Lo interruppi di nuovo.

“Stai scherzando, non è vero? Perché proprio adesso? Perché non siete andati via questa primavera, dopo James? Che cosa è successo?” cercavo di non urlare, per paura che mia madre potesse sentirci, ma la rabbia era difficile da domare.

Non potevo credere che i miei sospetti fossero fondati…

Allo stesso tempo non capivo perché mi fossi infuriata in quel mondo. Che importanza aveva per me? Ero dispiaciuta per Bella? Sapevo solo che ero incazzata: tremendamente incazzata!

“Sono stato debole ed egoista. Non avevo la forza di andarmene e lasciarla libera. Ma adesso ho aperto gli occhi. Durante la festa di compleanno c’è stato un incidente… Bella si è tagliata e… Jasper per poco non l’ha aggredita…”

Vidi i suoi pugni serrarsi, mentre i muscoli degli avambracci si contraevano per lo sforzo di imporsi l’autocontrollo. Il suo viso era una maschera di sofferenza.

“Per questo aveva il braccio fasciato a scuola?” chiesi.

Lui annuì, puntando il suo sguardo furioso su una pantofola abbandonata al centro della stanza.

“Edward… posso capire che tu non voglia che Bella venga aggredita da uno dei tuoi familiari… che doverla proteggere da tuo fratello sia…” fu lui ad interrompermi, questa volta.

“Non si tratta solo di questo, Yvonne… mi sono reso conto che, nonostante il tempo passato accanto a lei, nonostante gli avvenimenti di questa primavera, desidero ancora il suo sangue…” e rivolse nella mia direzione i suoi occhi ardenti per la sete, che quel ricordo aveva scatenato. “Non importa quanto io la ami: non appena ho avvertito l’odore del suo sangue, non ho potuto far altro che immaginare i mille modi in cui avrei potuto assaporarlo… certo… ho mantenuto il controllo, sono riuscito a mascherare le mie emozioni davanti a lei, ma il mostro era là… in agguato… che mi incitava a prenderla in quel momento, in tutte le maniere possibili… non posso permettere che la sua vita venga messa, ancora una volta, in pericolo dalla mia stessa esistenza” terminò il racconto con un basso brontolio, che sgorgava impetuoso dal suo petto.

Rabbrividì, involontariamente: gli occhi di Edward erano ancora fissi su di me, assetati e folli. Nonostante il timore, mi costrinsi a parlare, sapendo che questo lo avrebbe distratto dai suoi istinti…

“E quindi… tu e Bella ne avete parlato e siete arrivati alla conclusione che il gioco non vale la candela? Avete deciso di lasciarvi, è così?” domadai.

Edward non rispose. La sua faccia seria e sofferente tornò a fissare la mia pantofola, come se rappresentasse un'ancora di salvezza per lui.

“Edward?” lo incoraggiai. Qualcosa mi suggeriva che la sua risposta mi avrebbe fatto incazzare ancora di più.

“Lei non avrebbe mai accettato la mia partenza…” sussurrò. Lo sguardo fisso sulla pantofola.

“Che cosa significa questo? Non starai pensando di andartene senza dirle niente, vero?” la mia sembrava una minaccia, ma che cosa avrei mai potuto fare ad un vampiro?

“Certo che no! Le ho fatto credere che… che non la amo più… che non è la persona giusta per me…” balbettò lui. Sembrava quasi in procinto di piangere.

“E lei ci ha creduto?” chiesi scioccata.

“Si… e non ho dovuto faticare molto per convincerla, devo ammettere” rispose lui. Cercò di sorridere, ma non ci riuscì.

Non potevo crederci: quella piccola idiota, senza cervello, aveva creduto a quell’assurda bugia. Come si poteva essere così ottusi? È proprio vero che Dio prima li fa e poi li accoppia: esistono due individui più stupidi di Edward e Bella? Bastava uno sguardo per accorgersi dell’amore che Edward provava per quella nullità: ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo movimento, ogni suo pensiero era finalizzato a rendere Bella felice, a proteggerla e lei… lei… aveva accettato quella menzogna senza batter ciglio? Aveva lasciato che se ne andasse senza lottare?

“Edward: vai immediatamente da lei e raccontale la verità!” esclamai, con un tono di voce così serio che lo costrinse a spostare lo sguardo dalla pantofola al mio viso.

“No!” rispose lui risoluto.

“Soffrirà tantissimo! Non puoi prendere una decisione così dolorosa da solo. In una coppia le cose si affrontano insieme. Come puoi scegliere per tutte e due: lei ha il diritto di conoscere le tue ragioni e i tuoi veri sentimenti. Dovete discuterne!” mi trattenevo a stento dall’urlare.

Ancora una volta mi chiesi per quale motivo me la stavo prendendo tanto…

“Non è vero: dipende solo da me… devo essere forte abbastanza da lasciarla libera. Lei comincerà una nuova vita con qualcuno di più adatto. Ci riuscirà, ne sono certo: gli umani dimenticano in fretta… tu ci sei riuscita…”

“Edward, te l’ho già detto una volta: tu non capisci un cazzo delle persone! Che cosa centro io in questa situazione? Io mi sono rassegnata e poi ho avuto Manuel… ma Bella… come puoi…?” non riuscivo ad articolare frasi di senso compiuto a causa della rabbia.

“Pensavo non ti importasse si lei…” mi interruppe lui.

Era vero: non mi importava di Bella…

Scrutai il suo sguardo infelice e poi finalmente compresi tutto. Un ricordo si fece strada nella mia mente…

“Tu me lo avevi promesso” sussurrai senza staccare i miei occhi dai suoi “Mi avevi promesso che saresti stato felice! Ricordi?” chiesi a denti stretti. La scena era ancora limpida nella mia mente: l’aeroporto di Seattle… un addio… la confessione del mio amore… una promessa che mi avrebbe consolato, almeno in parte…*

“No, ricordi male: avevo detto che ci avrei provato” mi corresse lui. Il suo volto era gelido e freddo come una lastra di ghiaccio.

Era questo il motivo del mio accanimento? Una semplice promessa non mantenuta? Com’ero stupida… davvero stupida… Un ragionamento stupido e irrazionale… dopo tutto, sono solo un’umana, no?

“Ora basta! Questa situazione è ridicola!”

Infuriata, corsi verso la porta della mia stanza, ma Edward mi bloccò il passaggio, materializzandosi tra me e l’uscita.

“Non lo farai!” esclamò minaccioso. Aveva letto le mie intenzioni nella mente.

“E invece si! Andrò da Bella a raccontarle quanto sei idiota. Vuoi impedirmelo? Che cosa vuoi fare? Uccidermi?” lo sfidai a testa alta.

“Non mi dai altra scelta…” sussurrò e prima che potessi fare qualcosa, mi fu addosso. Avvertì una leggera pressione sulla nuca… poi… il nulla.

Più tardi…

“Yvonne? Yvonne? Tesoro… svegliati!”

Lentamente aprì gli occhi. Mia madre era china su di me.

“Che cosa è successo?” chiesi ancora confusa.

“Ti sei addormentata con il lettore cd acceso, come al solito” spiegò mia madre, accarezzandomi il viso.

Non ricordavo di essermi sdraiata sul letto, eppure ero lì, sotto le coperte. Mi guardai intorno… il libro che stavo leggendo era poggiato sulla scrivania, come se fossi stata io a posarlo, con il segnalibro tra le pagine. Mi passai una mano tra i capelli e mi alzai. Studiai la stanza: mia madre mi guardava preoccupata. Non c’era traccia di Edward… improvvisamente i ricordi tornarono a galla.

“Devo andare da Bella Swan!” urlai, superando mia madre e correndo alla porta.

“Che cosa? Yvonne aspetta! Non puoi andare da Bella!” urlava mia madre, mentre mi seguiva attraverso le scale “Bella è scomparsa!”

Mi fermai di botto e la guardai, stupita. “Che cosa?”

“Charlie Swan ha trovato un biglietto: sembra che Bella sia andata a fare una passeggiata nel bosco con Edward Cullen, ma non è ancora rientrata a casa. Hanno provato a contattare i Cullen, ma non risponde nessuno. All’ospedale dicono che si sono trasferiti. Stanno organizzando un gruppo di ricerche. Vado lì a vedere se hanno bisogno di una mano, per questo motivo ti ho svegliato” spiegò mia madre.

“Vengo con te!” annunciai, infilandomi le scarpe.

“No, cara! Sono le dieci di sera… potrebbe volerci tutta la notte…” tentò di convincermi mia madre.

“Ho detto che vengo con te!” replicai e non ci fu modo di farmi cambiare idea.

Poiché abitavamo nella stessa zona di Bella Swan, ci incamminammo a piedi. Intorno alla casa di Bella si era riunito tutto il vicinato: curiosi e pettegoli, i vicini cercavano di carpire nuove e succulente informazioni. C’erano diverse auto della polizia posteggiate sul ciglio della strada: sicuramente i colleghi di Charlie erano venuti per aiutarlo nelle ricerche. La macchina del Dottor Gerandy era parcheggiata sul vialetto. Tra la folla riconobbi il Signor Newton, suo figlio Mike e il Signor Weber, il padre di Angela.

Alcune persone avevano delle torce in mano: sembravano pronte ad iniziare le ricerche. Charlie Swan era tra questi. Il suo volto era trasfigurato dalla paura e dall’angoscia. Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato: era un brav’uomo. Si poteva sempre contare su di lui e proprio per questo motivo tanta gente era accorsa in suo aiuto. Stava parlando con un uomo sulla sedia a rotelle: dall’aspetto esteriore capì subito che si trattava di un abitante di La Push. Mia madre li raggiunse, per chiedere come poteva rendersi utile.

Adesso che ero lì, non sapevo cosa fare. In realtà era stata la rabbia nei confronti di Edward a spingermi ad andare, ma mi rendevo conto che non potevo fare niente in quella situazione. Ero quasi sul punto di chiamare mia madre, per dirle che sarei tornata a casa, quando tre figure, alte e massicce, attirarono la mia attenzione.

Strizzai gli occhi per metterli a fuoco… (non mi ero ancora decisa ad andare dall’oculista).

Era davvero lui?

“PAUL!” urlai, prima che potessi rendermi veramente conto di quello che avevo fatto.

Lui si voltò nella mia direzione e quando i suoi occhi si posarono su di me, lessi stupore e meraviglia sul suo volto. Sembrava indeciso... guardò uno dei due ragazzi che aveva accanto: sembrava il più grande dei tre e aveva un’aria vagamente familiare. Quel tipo fece un cenno con il capo, come se gli avesse concesso il permesso di allontanarsi dal gruppo e Paul, con tre rapide falcate, mi raggiunse.

Naturalmente i novellini non sanno che tra Paul e me c’è stata una quasi storia. Eravamo usciti una sera, ci eravamo baciati, ma poi lui non si era più fatto vedere. Dopo un mese, venne a casa mia, dicendomi che non potevamo frequentarci…**

“Yvonne! Che cosa ci fai qui?” chiese lui stupito.

“Potrei farti la stessa domanda” risposi. Ero troppo meravigliata per mostrarmi imbarazzata.

“Billy Black è un amico di Charlie Swan e ha chiesto a Sam, Jared e me di dare una mano” spiegò indicando l’uomo sulla sedia a rotelle.

Ma non seguì la sua mano. Ero troppo impegnata ad osservare i suoi due amici: li avevo già visti. Jared era un compagno di scuola di Paul, mentre l’altro, Sam, lo avevo incontrato alla spiaggia di La Push, quando insieme a Lauren, Bella e tutti gli altri suoi amichetti, ero andata a First Beach. Non capivo, come tre ragazzi appena maggiorenni potessero essere d’aiuto in quella situazione.

“E tu?” chiese Paul.

“Abito qua vicino, mia madre voleva dare una mano all’Ispettore Swan” spiegai, tornando a studiare il suo volto.

“Ah, già! Lo avevo dimenticato…” rispose vago.

I suoi occhi non erano più così tristi come quel giorno che mi aveva scaricato. Adesso sembravano rassegnati...

Continuammo a guardarci a vicenda per qualche altro secondo, poi Sam lo chiamò: “Paul! Dobbiamo andare!”

“Arrivo!” rispose lui e tonando a fissare me, disse “Mi aspettano… Torna a casa, Yvonne. È meglio…” e si allontanò.

La rabbia si impossessò di me la seconda volta nello stesso giorno: prima Edward, che si comportava come un deficiente; adesso Paul, che cercava di dirmi cosa dovevo fare… aveva solo un anno più di me.*** Perché lui doveva fare la parte del figo, che corre in aiuto della donzella in pericolo ed io invece dovevo tornare a casa? Testarda e cocciuta, rimasi lì con mia madre.

Passarono molte ore. La gente del vicinato tornò alle proprie case. Mia madre si era insediata a casa Swan per preparare caffè e bevande calde, per coloro i quali erano impegnati nelle ricerche. Ogni tanto qualcuno tornava indietro per farsi dare il cambio.

Lo devo ammettere: ero preoccupata per Bella. Il bosco non era un luogo adatto per un’imbranata cronica come lei. Conoscendo il tipo, era fortunata se si limitava ad inciampare in una radice e a rompersi una gamba...

Ironia della sorte: Edward se ne era andato per proteggerla e tenerla lontana dai guai e quale risultato aveva ottenuto? Che Bella si era buttata a capofitto nel pericolo, perdendosi nel bosco!

Complimenti, Edward! Spero che tu sia soddisfatto! pensai.

Erano le tre del mattino. Seduta sui gradini del portico di casa Swan, stavo morendo dal freddo, poiché per la fretta di uscire da casa, non avevo preso nemmeno una giacca. Stavo maledicendo il mio innato masochismo, quando udì delle voci… mi alzai… tra gli alberi cominciarono ad intravedersi delle luci: le torce! Finalmente, dalla boscaglia, emersero delle persone. Charlie, alla testa del gruppo, trasportava faticosamente un fagotto…

“L’hanno trovata!” urlai, voltandomi verso la porta di casa. Mia madre e tutte le altre persone, che erano dentro, accorsero fuori.

“Fate largo!” esclamò Sam, con tono autoritario. Automaticamente, mi feci da parte.

Charlie stringeva la figlia tra le sue braccia con fare protettivo, sussurrandole parole dolci. Il suo volto era un misto di sollievo e ansia. Sam teneva la porta d’ingresso aperta per permettergli di entrare. Il dottor Gerandy li seguì subito dopo. Tutti entrarono in casa, al seguito di quel piccolo corteo. Sembrava una specie di parata, o peggio, un funerale: mi vennero i brividi.

Paul e Jared si fermarono sulla soglia di casa Swan a parlare con Sam. Preferì aspettare fuori, facendo finta di non notare le occhiate che i tre mi rivolgevano di tanto in tanto.

Certe volte, anch’io li fissavo di nascosto: erano così simili… grossi… enormi… c’era qualcosa in loro che mi suggeriva: pericolo! Sam si comportava come se fosse il loro capo e stentavo a credere che un tipo come Paul potesse sottostare ad un atteggiamento del genere. Tutti e tre indossavano dei semplici bermuda e delle magliette a maniche corte. Che cosa volevano dimostrare? Che erano dei duri? Come facevano a non sentire freddo? Io stavo morendo assiderata!

Mezz’ora dopo, stanca ed infreddolita, passeggiavo avanti e indietro in strada, cercando di riscaldarmi e di tenermi sveglia.

Edward, sei un idiota! pensai irritata. Tra lui e Bella, non so chi si meriti il premio per “il più grande babbeo dell’universo”. Solo Edward poteva complicarsi l’esistenza in questo modo… Dannato vampiro!

Mentre continuavo ad insultare Edward mentalmente, chiedendomi dove si fosse cacciato e se mai sarebbe tornato, Mike Newton mi passò davanti senza degnarmi di uno sguardo. Si stava dirigendo alla sua auto. Per quanto lo trovassi ripugnante, decisi di corrergli dietro. Se stava tonando a casa, poteva darmi un passaggio. Ero troppo stanca per tornare a casa a piedi, da sola e sicuramente mia madre avrebbe perso ancora molto tempo.

“Mike?” lo chiamai. Mi fermai a due passi sa lui. “Potresti darmi un passaggio? Abito qui vicino. Non dovrai fare strada in più…”

Lui mi guardò con un’aria di sufficienza e poi disse “Stai scherzando, vero? Io dare un passaggio a te, la sfigata della scuola? Sei proprio tutta scema…” e scoppiò a ridere.

Ok, ero io l’imbecille della situazione: pensare che Mike potesse dimostrare un minimo di gentilezza nei miei confronti? Dovevo essere impazzita tutta in una volta!

“Vai a farti...”

“Che cosa stavi dicendo, Brown? Non ho capito bene” mi interruppe lui, avvicinandosi a me, minacciosamente.

“Credo che volesse dire: vai a farti fottere!” esclamò qualcuno alle mie spalle.

Mike divenne rosso come un pomodoro, mentre fissava quel qualcuno dietro di me. Sembrava terrorizzato. Senza dire una parola, si infilò dentro l’auto, con la coda tra le gambe e andò via.

Mi voltai verso il mio “salvatore”, anche se avevo già riconosciuto la sua voce...

Paul.

Con le braccia incrociate sul petto e un ghigno compiaciuto stampato sulla faccia, osservava la macchina di Mike allontanarsi.

“Non era necessario che intervenissi. Me la potevo cavare benissimo da sola” esclamai stizzita.

“Prego, non c’è di che! Non è necessario che ti spertichi in ringraziamenti!” replicò lui. Non era arrabbiato, penso che si stesse divertendo.

“Newton è un rammollito. Non mi avrebbe fatto niente con tutta quella gente intorno. E anche se fossi stata da sola… ho affrontato di peggio” spiegai, pensando a James.

“Davvero?” mi chiese lui, scettico ed incredulo allo stesso tempo.

“Come sta Bella?” chiesi, cambiando discorso.

“è sotto shock. Non è ferita. Il dottor Gerandy ha assicurato che si riprenderà presto. Sam ha detto che l’ha trovata rannicchiata per terra tra i cespugli. Non faceva altro che ripetere “Non c’è più” o qualcosa del genere. Dice di essersi persa, ma credo che centri uno dei Cullen… Lo sapevi che sono andati via?” domandò infine.

“Si, lo so… Bella stava insieme a Edward Cullen… ti ricordi di lui? Lo hai incontrato a casa mia, quella sera che…”

Entrambi distogliemmo lo sguardo, imbarazzati.

… quella sera che eravamo usciti insieme e che ci eravamo baciati, stavo per dire.

Stupida, stupida, stupida!

Poco dopo fu Paul a riprendere la parola.

“Ehm… tu stai bene? Quel tipo… Manuel…” farfugliò, impacciato.

“Si… lui… si…” balbettai, incerta su quello che era più appropriato dire. Non avevo voglia di combinarne un’altra delle mie.

Si sollevò una folata di vento e non potei fare a meno di rabbrividire.

“Senti freddo?” chiese lui, inarcando il sopraciglio.

“Si… come una stupida sono uscita senza giacca. Avevo chiesto a quel cogl… ehm… imbecille di accompagnarmi a casa, perché non mi reggo in piedi” spiegai, sfregandomi le braccia nel tentativo di scaldarmi.

Senza dire una parola, Paul mi avvolse le spalle con un suo braccio. Proprio come quel sabato, sulla ruota paronimica, Paul era rovente. Vecchi ricordi si fecero largo nella mia mente…

“Va meglio?” sussurrò.

“Si… grazie…” risposi, impacciata e rossa in volto, deviando lo sguardo sull’asfalto.

“Se vuoi, ti accompagno a casa… non mi dispiace fare due passi” propose, gentilmente. Sentivo i suoi occhi adosso, ma io non osavo guardarlo.

“Ma… i tuoi amici?” sussurrai.

“Possono resistere due minuti senza di me… e poi lo hai detto tu, che non ti reggi in piedi, no? Hai bisogno di qualcuno che ti afferri al volo” rispose. Finalmente trovai il coraggio di guardalo: aveva sfoderando il suo tipico sorriso canzonatorio.

Ero indecisa se accettare o no.

Le sue parole… il tono della sua voce… il modo in cui mi guardava… la sua pelle rovente a contatto con la mia… non era un bene continuare su quella via. Da un lato non volevo creare situazioni imbarazzanti e il comportamento di Paul era abbastanza ambiguo; dall’altro lato stavo morendo di freddo e di sonno.

Andiamo Yvonne! È stato lui a troncare, no? Di che cosa ti preoccupi? mi dissi.

Alla fine vinse la voglia di dormire e rannicchiarmi sotto le calde coperte del mio letto. Avvertì mia madre e mi incamminai insieme a Paul.

Poco dopo…

“Adesso sto bene, grazie” dissi, scrollandomi di dosso il suo braccio. Non potevo dire di sentire caldo, ma quel contatto mi dava fastidio, mi imbarazzava, mi sembrava invadente. Paul non commentò. Era assorto in chissà quale pensiero.

“Mi dispiace Yvonne…” disse improvvisamente.

“Come?” chiesi, presa di sorpresa.

“Mi dispiace… per tutto… Accidenti! Sto facendo la figura dell’idiota, non è vero?” chiese, passandosi una mano sulla faccia. Capì subito a cosa si stava riferendo.

“Paul… è acqua passata, ormai. Non ha senso rimuginarci sopra. Non ce l’ho più con te… non poteva funzionare, lo hai detto tu, no? È così e basta” lo rassicurai, anche se in cuor mio mi stavo ancora chiedendo, quali fossero le reali motivazioni, che lo avevano spinto a troncare. Aveva saputo dire soltanto: “Sono troppo pericoloso… potrei farti del male”.

“Davvero? Non mi odi?” domandò, fissandomi intensamente con i suoi profondi occhi neri.

“Sarebbe impossibile odiarti, Paul. Sei un bravo ragazzo, ne sono convinta… sto bene, non devi sentirti in colpa… Manuel… beh… lui è fantastico e…” mi fermai, notando che era diventato rigido come un pezzo di legno.

“Paul?” lo chiamai, sfiorandogli il braccio con la mano. Ancora una volta mi meravigliai di quanto fosse calda la sua pelle. Non era una cosa normale.

Grazie a quel breve contatto, Paul si rilassò e tirando fuori un ghigno beffardo, riprese a scherzare “Un po’ mingherlino il tuo amichetto, a dire il vero…”

Lo guardai accigliata, mentre lui fissava la strada.

“Paul! In confronto a te anche un lottatore di sumo sembrerebbe mingherlino!” lo presi in giro e lui scoppiò a ridere. Da quanto tempo non sentivo quella specie di latrato?

“è vero! Non puoi capire quanto sia divertente guardare i mocciosi, che scappano a gambe levate a causa di una semplice occhiataccia…” raccontò, continuando a ridere.

Risi anch’io, ripensando alla faccia di Mike.

Arrivammo davanti alla porta di casa.

“Eccomi qua. Sana e salva” esclamai, guardando ovunque, ma stando bene attenta a non posare lo sguardo sui suoi occhi.

“Mi ha fatto piacere rivederti, Yvonne” disse Paul, sincero. Ancora una volta, ebbi la certezza che mi stesse fissando intensamente.

“Anche a me, Paul”.

Era vero...

“Buona notte” dissi, rivolgendogli un rapido sorriso.

Infilai la chiave nella serratura, aprì la porta, ma non ebbi nemmeno il tempo di mettere un piede dentro casa, che Paul mi bloccò mettendo una mano sulla mia spalla. Mi rifiutavo di girarmi verso di lui. Perché doveva comportarsi in quel modo? Era stato lui a voler troncare, non io! E non poteva pretendere che dopo mezz’anno…

“Yvonne…” sussurrò, facendomi voltare come se fossi una bambola di pezza. Poggiò entrambi le mani sulle mie spalle e incatenò i suoi penetranti occhi neri ai miei.

Deglutì, mio malgrado, osservando la sua espressione indecifrabile.

“Paul… ascolta…” cominciai, ma lui non mi diede il tempo di completare la frase.

“Promettimi una cosa: non andare in giro da sola per i boschi, va bene? È pericoloso… molto pericoloso…” mi chiese, con un’espressione seria in viso.

Ricominciai a respirare. Avevo quasi pensato che lui stesse per…

“Yvonne? Te lo chiedo per piacere!” disse, interrompendo i miei pensieri farneticanti.

“Chi potrei incontrare? Il lupo cattivo?” cercai di scherzare. A quanto pare la mia battuta non era tanto divertente, perché Paul non rise.

“Yvonne! Non sto scherzando. Promettimelo!” ripeté preoccupato.

Perché mi faceva quella richiesta? Che cosa poteva accadermi nel bosco? Pensava che fossi sciocca come Bella Swan? Il bosco non era tanto pericoloso, a meno che, non ci fosse un vampiro dagli occhi rossi nei paraggi… ma anche ammesso che ci fosse, questo Paul non poteva saperlo, giusto?

Studiai i suoi profondi occhi neri, tristi e rassegnati: fui presa da un dubbio…

E se invece lui sapesse dell’esistenza dei vampiri? Dopo tutto a La Push ci sono diverse leggende sui così detti Freddi… forse, come Sam, anche lui ci crede adesso?

Decisi di accontentarlo.

“Va bene… non ti preoccupare. Non vado particolarmente matta per il trekking” lo rassicurai, sorridendo.

Lui parve rasserenarsi. Le sue mani erano ancora salde sulle mie spalle.

“Ti ringrazio” rispose. I suoi occhi non si staccavano dai miei. Non accennava a lasciarmi libera dalla sua morsa.

“Ehm… Paul… adesso dovrei rientrare” sussurrai.

“Oh, si… scusa…” balbettò, allontanandosi da me di qualche passo. Gli sorrisi e alzai la mano in segno di saluto.

“Buona notte… spero di rivederti presto, viso pallido!” Mi fece l’occhiolino e con il suo tipico sorriso canzonatorio, stampato su quella faccia da schiaffi, si allontanò, dirigendosi verso casa Swan.

Chiudendomi la porta alle spalle, tirai un sospiro di sollievo.

Te le vai a cercare tutte tu, non è vero, Yvonne Brown?

________________

Note capitolo:

*“una promessa che mi avrebbe consolato, almeno in parte”: per chi volesse saperne di più, può leggere la parte finale del capitolo 19, della ff precedente.

**“dopo un mese, venne a casa mia, dicendomi che non potevamo frequentarci”: alla fine del capitolo 20, potete trovare la parte in cui Paul scarica Yvonne, mentre il capitolo 15 è interamente dedicato alla sera in cui Yvonne e Paul sono usciti insieme.

***“aveva solo un anno più di me”: ero convinta che Paul fosse più grande di Jacob, ma l’altro giorno, rileggendo New Moon, ho scoperto che invece i due sono coetanei. Ignorando ciò che la Meyer ha scritto, continuerò sulla linea presa nella prima ff: Paul ha un anno in più di Yvonne, cioè diciannove anni.

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Nota autore:

un capitolo molto lungo, me ne rendo conto, ma mi dispiaceva dividerlo in due parti. Spero che vi sia piaciuto lo stesso.

Non ci sono precisazioni da fare, quindi passo subito ai ringraziamenti.

Per crazyfv: ciao, cara! Mi spiace averti deluso, ma il tuo timore era fondato: Manuel ha scelto un’altra ragazza. Il bello è che, quando tu hai postato la tua recensione, io avevo già scritto il capitolo, quindi a quanto pare è vero che tra noi c’è una connessione mentale XD. Sarebbe bello se Yva entrasse a far parte della band di Manuel, ma non è possibile, visto he lei vive a Forks e lui a Seattle… sono contenta che i flash back ti siano piaciuti… vedrò di aggiungerni altri in futuro! Grazie per la recensione e i complimenti. Bacioni, Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: ciao cara! Grazie per i complimenti, sei molto gentile! Cmq non credo che la mamma di Yva sarebbe molto contenta se sua figlia lasciasse la scuola per seguire una rock band! Ti pare? (e non avrebbe tutti i torti…). Per quanto riguarda Edward e Bella, ho sempre pensato che le motivazioni di Edward fossero un po’ fiacche e comunque Bella che si beve la fesseria che lui non la ama più, è proprio una cosa pazzesca, a parer mio… Quando ho letto la prima volta New Moon, ero lì che pensavo: quanto sei idiota, Bella? Non lo vedi che ti sta raccontando un sacco di bufale? Ma lei naturalmente non mi ha dato retta! XD Cmq… grazie ancora! Baci Vannagio!

Per _cory_: ciao cara! Sono contenta che i capitoli ti siano piaciuti. Grazie per i complimenti… si, la tua intuizione riguardo La Push è corretta!!!! Bacioni Vannagio!

Per Midao: ciao anche a te!! Non sei l’unica a desiderare che Yva entri nella band… ma purtroppo non è possibile. La tua supposizione riguardo la nuova cantante era corretta… sono stata troppo scontata… :( Come ho detto già a cory, hai detto bene: il nuovo lavoro della mamma di Yva servirà per avvicinarla a La Push… cmq… grazie per i complimenti. Sono contenta che fino adesso la storia non vi annoi e che non sia troppo pesante: se dovesse diventarlo, avvertitemi!!! Grazie ancora! Bacioni, Vannagio!

Per Kumiko_Chan_: sono contenta che la coppia Yva-Manu cominci a piacerti… ma adesso che Paul ha fatto la sua entrata teatrale in scena, credo che la tua vecchia passione per lui, possa risorgere, correggimi se sbaglio! Per quanto riguarda la cantante mancante, hai avuto la tua risposta: dimmi cosa ne pensi… Sono contenta che la parte con la mamma di Yva ti piaccia… è vero che lei è severa, ma mica è così perché è cattiva e sadica… si preoccupa per la figlia… mi sembra una cosa più che normale! Ah! I microscopi… bei tempi… chissà che non lo inserisca in futuro… Ti piace Jesus of Suburbia? Anche a me, molto… nove minuti di buona musica!!!! Grazie mille! Bacioni Vannagio!

Grazie a tutti quelli che hanno inserito la mia ff tra i preferiti e i seguiti!

A presto, Vannagio!

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Capitolo 5
*** Ottobre --> Novembre --> Dicembre --> Gennaio ***



Nota autore:
Se leggendo, avrete la sensazione che manchi qualche pezzo, non temete: tutto calcolato!!!

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Ottobre --> Novembre --> Dicembre --> Gennaio: il giorno in cui conobbi una persona speciale!


Ben trovati ragazzi e ragazze!

Fino a questo momento, anche nella prima parte della mia storia, ho sempre seguito il filo cronologico imposto dalla Meyer. Oggi, sono costretta a fare un’eccezione. Dopo la partenza dei Cullen si verifica un salto temporale di quattro mesi. Con il capitolo “Il risveglio” la narrazione riprende dal venerdì, 16 gennaio 2006. Ho deciso invece di cominciare il racconto, da qualche giorno prima a quella data, ossia dal lunedì, 12 gennaio 2006.

Volete sapere perché?

Quel giorno si verificò un fatto molto importante per me. Naturalmente la Meyer lo ha totalmente eliminato dalla storia, perciò ho pensato che fosse giusto, dargli la dovuta rilevanza e dedicargli un’intera puntata.

Cominciamo!

Lunedì, 12 gennaio 2006.

Quella mattina, la macchina di mia madre aveva fatto i capricci e alla fine, aveva deciso di scioperare, così mi era toccato farle da tassista. Ero andata a prenderla alla scuola di La Push. Poiché le lezioni pomeridiane del liceo di Forks terminavano prima, rispetto a quelle della scuola della riserva, ero arrivata con un abbandonante anticipo. Avevo preferito posteggiare la macchina sul ciglio della strada, per evitare il caos che, sicuramente, si sarebbe creato al suono della campana. Lo stesso edificio, infatti, ospitava tutte le classi, dall’asilo fino all’ultimo anno di superiori. Questo avrebbe comportato un intasamento all’uscita dal parcheggio della scuola, che ci avrebbe fatto perdere molto tempo.

Per questi motivi, quel pomeriggio, mi trovavo nell’abitacolo del mio maggiolino verde mela: le cuffie del lettore mp3 nelle orecchie, gli occhi chiusi, la testa abbandonata contro lo schienale del sedile anteriore. Il finestrino abbassato faceva entrare la fredda aria invernale, che raggelava il mio viso e scompigliava i capelli. Nonostante il freddo, non lo chiusi: volevo rimanere sveglia e cosciente.

Ad un certo punto, cominciò una canzone che sarei stata in grado di riconoscere tra mille. In realtà le conoscevo tutte a memoria, ma quella, in particolare, era inconfondibile: Good Riddance dei Green Day*.

Essendo una masochista per natura, mi costrinsi ad ascoltarla. Il dolore al cuore era insopportabile ed aumentava ad ogni nota, ma ero convinta che da quella sofferenza avrei potuto trarre la forza necessaria per andare avanti… Purtroppo l’inizio del ritornello mandò a quel paese tutti i buoni propositi. Aprì gli occhi e con violenza, mi strappai le cuffie dalle orecchie, scagliando il lettore mp3 contro il cruscotto.

Sospirai e mi abbandonai nuovamente contro lo schienale del sedile. Guardai l’orologio. Sospirai di nuovo. Mancavano ancora quaranta minuti al temine delle lezioni. Decisi di scendere dall’auto e fare una passeggiata, nella speranza che il tempo passasse in fretta.

Mi ero allontanata dalla macchina di una ventina di metri, quando udì dei lamenti. Sembrava un animale in agonia.

Mi guardai intorno: la strada era deserta, non c’era anima viva, ma continuavo a sentire quei lamenti, ai quali si erano aggiunti delle risate sguaiate.

Cercai di capire da quale direzione provenissero quei suoni, fin quando non notai che la strada, davanti a me, svoltava a sinistra verso il bosco. Mi incamminai, seguendo la strada. La mia curiosità mi spingeva a proseguire vincendo il buon senso, che invece mi avvertiva di stare attenta. Il mio cuore aveva cominciato a battere più velocemente: risuonava come un tamburo, mentre i lamenti e le risate si facevano più forti.

Proprio come avevo previsto, la strada terminava ai margini del bosco. Ma non fu quel particolare ad attirare la mia attenzione. L’istinto mi disse di acquattarmi, per non farmi vedere.

Nella penombra creata dagli alberi, un uomo enorme stava prendendo a calci qualcosa. L’individuo era immenso: alto circa due metri e largo altrettanto. Sembrava una specie di gigante. Non erano solo le dimensioni a richiamare quell’immagine, ma anche la cattiveria che gli si leggeva sul viso. Rideva in modo inquietante, pronunciando frasi senza senso, almeno per me…

“Così impari a non pagarmi, piccolo bastardo! Volevi fregarmi, non è vero?” così dicendo, sferrò un altro calcio contro il sacco informe che giaceva nel fango. Ma a quel punto un lamento mi costrinse ad osservare meglio quella cosa. Quando finalmente la misi a fuoco, sussultai portandomi una mano alla bocca: era una persona!

L’orrore e il panico causati da quella scena raccapricciante minacciarono di sopraffarmi.

Che cosa dovevo fare? Non potevo affrontare quell’energumeno, ma non potevo permettere che continuasse a picchiare quel poveretto. Cominciai ad indietreggiare lentamente, senza perdere di vista il gigante. Con il cuore in gola, cercavo di camminare senza far rumore: l’illogicità creata dalla paura mi faceva temere che il gigante potesse udire il rimbombare del mio cuore nel petto. Fortunatamente non si accorse di me e quando fui abbastanza lontana, cominciai a correre. In pochi secondi raggiunsi la mia auto. Afferrai il cellulare e composi il 911: chiamare la polizia era l’unica soluzione.

“Merda!” esclamai quasi subito.

Batteria scarica.

Frustrata come non mai, lanciai il cellulare sul sedile dell’auto e cominciai a guardarmi intorno: non c’era nessuno cui potessi rivolgermi.

Stavo prendendo in considerazione l’idea di entrare nella scuola per chiedere aiuto, quando il rumore di un’auto che parcheggiava mi distrasse dai miei pensieri. Si trattava di una piccola utilitaria. Senza perdere altro tempo, le corsi incontro. Alla guida c’era una ragazza: sicuramente era un’indigena del luogo, ma in quel momento non c’era tempo per analizzare il suo aspetto nei minimi dettagli.

“Stai bene?” chiese lei, aggrottando la fronte. Vedendomi arrivare, era scesa dall’auto.

“Nel bosco… c’è un tizio che sta picchiando una persona… hai un cellulare? Dobbiamo chiamare la polizia!” esclamai, respirando a fatica.

La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Prese il suo telefonino, me lo mise in mano e corse via.

“Dove vai?” urlai sbigottita e terrorizzata.

“Tu chiama la polizia, io cerco di distrarlo!” mi rispose, quando ormai aveva svoltato l’angolo.

è impazzita?

Che cosa aveva intenzione di fare? Non aveva speranze contro quel mostro. Non potevo lasciarla andare da sola, così le corsi dietro: volevo fermarla, ma arrivai troppo tardi. Vidi la ragazza afferrare una pietra e lanciarla contro il gigante: lo colpì sulla schiena.

Dopo aver emesso un urlo rabbioso, l’uomo si voltò lentamente verso di noi. Il suo viso era intriso di malvagità. Nel vederci, la sua faccia venne attraversata da stupore e meraviglia. Tale espressione, però, venne scacciata rapidamente da un ghigno divertito.

Tremai involontariamente, mentre impietrita, osservavo la scena.

“Lascialo in pace!” urlò la ragazza con voce ferma.

Nonostante il momento critico, non potei fare a meno di ammirare il coraggio, che quella ragazza stava dimostrando: io tremavo come una foglia e sentivo le gambe cedere ogni minuto di più. Come riusciva lei ad apparire così calma?

“Guarda, guarda che bel bocconcino… credo proprio che dovrò insegnarti le buone maniere, fiorellino!” esclamò l’uomo, con voce perfidamente gentile. Con poche ma lunghe falcate, raggiunse la ragazza, la quale indietreggiò di qualche passo, nonostante il suo viso manteneva un’espressione seria e risoluta.

“Ti avverto: abbiamo chiamato la polizia!” disse la ragazza.

L’individuo rise, come se lei avesse raccontato una barzelletta molto divertente.

Oh mio dio… non riuscivo a tenere le mani ferme, tanto forte era il fremito del mio corpo. Stringevo ancora tra le dita il cellulare della ragazza. Come una stupida avevo ignorato il suo ordine e non avevo telefonato alla polizia.

Tutti i miei pensieri vennero bloccati: vidi la mano dell’uomo sollevarsi in aria…

Non potei trattenere un urlo, quando il suo braccio sferzò l’aria per colpire il volto della ragazza… Chissà come, non fu lei a cadere per terra...

Non credevo ai miei occhi: spostai lo sguardo dall’uomo, che giaceva sul suolo, alla ragazza, che stava contemplando il suo pugno, con espressione stupita. Era stata lei a colpirlo? Non potevo crederci. Quell’uomo era tre volte più grosso di lei: dove aveva trovato la forza? A giudicare dalla sua faccia, nemmeno la ragazza riusciva a spiegarselo.

Ma in quel momento non potevamo temporeggiare. Ci precipitammo entrambe verso la persona, immobile sul fango. Si trattava di un ragazzino, non dimostrava più di quattordici anni. Il suo viso era una maschera di sangue ed ematomi.

“Mi senti? Resta sveglio, capito?” disse la ragazza, scrollandolo gentilmente per non fargli male.

“Ha bisogno di un dottore” esclamai, spaventata dallo sguardo vitreo del ragazzo.

La ragazza annuì e chiese “Dobbiamo sollevarlo e portarlo fino alla macchina: pensi di riuscire a reggerlo?”

“Certo!” confermai.

Faticosamente riuscimmo a metterlo in piedi. Il ragazzo era sveglio ma sotto shock: si lasciò maneggiare come una bambola di pezza.

“Come hai fatto?” sussurrai, ansimando per lo sforzo di mantenere in piedi il ragazzo. Mi riferivo al pugno che aveva messo al tappeto il gigante.

“Ci credi se ti dico che non ne ho idea?” rispose, mentre si passava un braccio del ragazzo sulle spalle.

Non le risposi: ero troppo impegnata a non urlare per il terrore.

“Dovete credete di andare voi tre?” chiese una voce orrendamente maligna.

“Era troppo bello per essere vero” bisbigliai atterrita, mentre il gigante si stagliava di fronte a noi in tutta la sua enorme presenza. A quanto pare il pugno non era stato molto efficace.

“Reggilo” sussurrò la mia compagna di sventure, la quale mollò la presa sul ragazzo e a passo incerto si avvicinò al gigante.

Voleva ripetere il miracolo?

L’uomo sghignazzava e squadrava la ragazza con sguardo poco rassicurante. Ancora una volta non potei fare niente, se non assistere alla scena, con occhi sbarrati per la paura.

Prima che lei riuscisse a sollevare il pungo, lui la colpì sul volto con una violenza tale da farla volare per alcuni metri. La poverina cadde a terra e non si rialzò…

“NO!” urlai disperata.

L’uomo si voltò nella mia direzione e cominciò ad avvicinarsi verso di me. Il ragazzino tremava come una foglia, proprio come me, che inutilmente cercavo di trovare un modo per uscire da quella bruttissima situazione. Non potevo correre: non sarei riuscita a muovere nemmeno un passo a causa del peso del ragazzino, che gravava interamente sulla mia schiena.

L’uomo si stava avvicinando: i suoi passi rimbombavano come i rintocchi di un orologio, che stanno annunciando l’approssimarsi della fine.

Pensa, Yvonne, pensa! mi dissi, ma il mio cervello era vuoto per via del panico. Lanciai un’occhiata al mostro, non poteva essere definito in un altro modo: i suoi occhi malvagi erano puntati su di me.

In quel momento mi resi conto che avevo un’unica ancora di salvezza…

Comincia a gridare con quanto fiato avevo in gola. Sentivo la mia gola bruciare per lo sforzo, mi mancava l’aria, ma nulla mi avrebbe convinto a smettere, nemmeno l’enorme mano dell’uomo, che era sul punto di colpirmi.

“Stai zitta!” urlò lui.

Chiusi gli occhi, pronta a ricevere il colpo…

… ma questo non arrivò mai.

Smisi di gridare, ma non ebbi il coraggio di aprire gli occhi. Avvertì solo un tonfo ed un urlo di dolore. Le mie gambe tremavano per la paura e lo sforzo di sorreggere il ragazzino.

Finalmente riuscì a trovare la volontà per sbirciare…

Non è possibile!

Sbarrai gli occhi…

L’uomo era disteso supino per terra. Paul era seduto cavalcioni su di lui.

Cercai di chiamarlo, ma scoprì che parlare mi procurava dolore. Urlare a squarcia gola non mi aveva fatto bene. Paul serrava le mani intorno alle braccia del delinquente, che cercava di liberarsi.

“Ti avevamo avvertito: dovevi lasciare La Push e invece ti ritrovo qui, a spacciare anfetamina e picchiare ragazzini?” chiese qualcuno, con tono serio e minaccioso.

Era Sam, accanto a lui c’era Jared. Fissavano l’uomo con uno sguardo terrificante, fatto di rabbia, odio e disprezzo. Il delinquente sembrava terrorizzato e spostava i suoi occhietti malvagi dal viso di Paul a quello di Sam e Jared.

“Ti prego Sam. Posso spaccargli la faccia?” ringhiò Paul, sfoderando un ghigno che non aveva nulla da invidiare a quello dello spacciatore in quanto a cattiveria. Quasi non riconobbi la sua voce: roca, ruvida, assomigliava a quella di una bestia inferocita. Ringhiava e mostrava i denti all’uomo, che giaceva ancora sotto di lui, mentre il suo corpo era scosso da fremiti violenti.

“Calma, Paul… sarà la polizia ad occuparsi di lui” rispose Sam. Il suo tono non ammetteva repliche: Paul chiuse gli occhi, respirò profondamente e il tremore del suo corpo si calmò. Sembrava addirittura dispiaciuto, come se il suo amico lo avesse privato di un bel giocattolo.

Poi lo sguardo di Sam si spostò su di me.

“Jared, porta il ragazzo all’ospedale” disse senza togliermi gli occhi di dosso. Un brivido di paura mi attraversò la schiena. Lo shock era tale che quasi non mi accorsi di Jared, che con grande delicatezza, prese il ragazzino in braccio, senza alcuno sforzo. Poi, velocemente, corse verso la strada.

Ero così scioccata, stupita e spaventata, che non riuscivo a chiedere spiegazioni: continuavo a fissare Sam, Paul e lo spacciatore, senza muovere un muscolo. Era come se mi fossi congelata sul posto.

“Brutti stronzi… vi credete dei super eroi, vero? Tre contro uno… siete proprio molto forti!” gracchiò il delinquente a terra, con tono ironico.

Se non altro era coraggioso…

“Parli proprio tu, che picchi ragazzini e ragazze? Vigliacco che non sei altro: dovrei staccarti le braccia a morsi!” ringhiò Paul ad un centimetro dalla sua faccia. Faceva davvero paura. Non era rimasto niente del ragazzo dolce e allegro che avevo incontrato a First Beach. Osservando il suo volto deformato dalla rabbia e dalla furia, ripensai ad Edward e a quando aveva lasciato che il suo lato malvagio venisse a galla…**

“Paul… ci penso io, adesso!” intervenne Sam.

Riluttante Paul si alzò, sollevando da terra lo spacciatore, come se fosse un bambino di otto anni e non un uomo alto due metri. Sam lo afferrò per un braccio e nonostante l’uomo cercasse di liberarsi in tutti i modi, la presa di Sam rimase salda.

Impietrita, continuavo ad osservare la scena con occhi sbarrati. Solo quando Paul si avvicinò a me, riuscì a trovare la forza per indietreggiare. Era solo un riflesso involontario, dettato dallo shock del momento, ma sul volto di Paul comparve un’espressione ferita e preoccupata.

“Yvonne… stai tranquilla, non ti faremo del male… Stai bene? Sei ferita? Ti ha toccato?” chiese, senza nascondere una certa ansia nella voce. I suoi occhi percorsero tutto il mio corpo in cerca di indizi che potessero dirgli se stessi bene oppure no.

Non risposi. La gola mi faceva ancora male e comunque non ero in grado di articolare frasi di senso compiuto.

“Quella puttanella è la tua ragazza? Non mi dispiacerebbe farci un giro, sai?” urlò il delinquente, ridendo.

Paul si voltò di scatto verso l’uomo. Nonostante la velocità del gesto, vidi chiaramente la furia vendicativa sul suo volto.

“Paul, no!” urlò Sam, ma Paul non diede segno di averlo sentito. Afferrò lo spacciatore per il collo e lo scaraventò ai miei piedi.

Urlai ed indietreggiai ancora una volta.

Prima che l’individuo potesse rialzarsi, Paul gli fu addosso. Afferrandolo per i capelli, lo costrinse a rivolgere il viso verso di me.

“Chiedi scusa!” ringhiò Paul. L’uomo tremava e provai pena per lui. Ero terrorizzata… perché Paul era diventato così violento? Stentavo a riconoscerlo…

“Chiedi scusa!” urlò nuovamente, tirando i capelli dell’uomo, che si lasciò scappare un gemito di dolore. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, nonostante lo desiderassi ardentemente.

“Paul, adesso basta!” esclamò Sam severo.

“Ho. Detto. Chiedi. Scusa!” scandì ancora Paul, ringhiando.

“Scusa” farfugliò lo spacciatore, ansimando e tremando.

A quel punto Paul lo sollevò da terra e lo colpì in faccia con un pugno, che lo fece girare su se stesso, prima di cadere a terra. Dal naso usciva parecchio sangue.

“Paul… calmati!” esclamò Sam per l’ennesima volta. Paul era inginocchiato e mi dava le spalle. Vedevo la sua schiena alzarsi e abbassarsi ritmicamente per il fiatone. Tremava in modo spaventoso.

“Calmati… fratello” esclamò ancora Sam, poggiano una mano sulla spalla dell’amico. C’era qualcosa di autoritario nella sua voce. Finalmente il corpo di Paul si fermò. Non osava guardarmi… forse si vergognava della sua reazione.

“Che spettacolo interessante: Sam e i suoi scagnozzi che giocano a fare i vigilantes!”

Solo in quel momento, sentendo la sua voce, mi ricordai della ragazza, che tanto coraggiosamente aveva affrontato l’energumeno. Era seduta a terra e guardava con superbia e arroganza Sam e Paul.

“Leah… per favore… non è il momento” rispose Sam, sospirando. Gli occhi fissi sul terreno.

Si conoscono? mi chiesi, studiando le loro espressioni.

“Scusa, non era mia intenzione interrompere la tua missione di salvataggio” replicò lei sarcastica. I suoi occhi sprezzanti non perdevano di vista Sam, che invece faceva di tutto per non guardarla.

“Non puoi fare a meno di sputare veleno, vero Lee-Lee?” ringhiò Paul, facendomi sussultare.

“Non. Chiamarmi. Così” scandì la ragazza. I suoi occhi lanciavano saette, ma il volto rimaneva impassibile.

Paul sfoderò un sorriso canzonatorio davvero irritante. “Noi giochiamo a fare i vigilantes, ma tu? Come giustifichi il tuo comportamento?” Con quella domanda, Paul si guadagnò un’occhiata omicida da parte di Leah.

“Dovevo lasciar morire quel ragazzino?” chiese lei digrignando i denti.

“Dovevi limitarti a chiamare la polizia! Poteva farti del male sul serio… e se non fossimo arrivati in tempo? È stato per caso che abbiamo sentito Yvonne gridare!” intervenne Sam, che finalmente rivolse gli occhi neri nella direzione della ragazza. Questa volta era lui a tremare…

“Non sono problemi tuoi, non più… faccio quel che mi pare e se questo comporta affrontare uno spacciatore…” alzò le spalle, con fare strafottente “…non sono affari tuoi!” concluse, provando ad alzarsi. Vacillò un po’. Notando che non riusciva a poggiare il piede, corsi in suo aiuto, sorreggendola.

Nel frattempo Sam aveva ripreso il controllo di se stesso.

“Leah, hai bisogno di un passaggio” non era una domanda ma un’affermazione.

“Non accetto un passaggio da te!” in bocca a Leah, quella frase sembrava un insulto.

“Non puoi guidare con quella caviglia: credo sia slogata…” insistette Sam, sospirando pesantemente. Leah stava per ribattere, quando decisi di intervenire.

“Posso accompagnarla io!” gracchiai. Incredibile come una frase così corta potesse causarmi tanto dolore alla gola.

“Grazie” rispose Sam.

Leah sbuffò infastidita.

“Paul, ci vediamo da Emily a cena” disse Sam. Sentì il corpo di Leah sussultare, nell’udire quella frase.

Quando Sam fu andato via, trascinandosi dietro lo spacciatore ancora privo di sensi, Leah ed io ci avviammo alle nostre auto. Paul ci seguiva, mantenendo una certa distanza.

A giudicare dalla grande folla, che fluiva lenta, fuori dai cancelli della scuola, le lezioni dovevano essere terminate. A confermare la mia ipotesi, fu la vista di mia madre accanto al maggiolino verde. Si guardava intorno spaesata, sicuramente si stava chiedendo che fine avessi fatto. Quando mi vide arrivare, il suo volto fu attraversato da un’ombra di terrore.

“Che cosa è successo? Dove eri finita?” strillò, venendomi incontro e lanciando occhiate perplesse a Leah e Paul.

“Mamma… è una storia lunga, ti spiego a cena, d’accordo? Devo accompagnare questa ragazza perché da sola non può guidare. Prendi la mia macchina e torna a casa” dissi a mia madre, ad un tono di voce basso: l’unico che mi fosse consentito dalla gola che bruciava.

“E tu come farai a tornare a Forks?” chiese, pallida e sconvolta.

“La riaccompagno io, signora! Non si preoccupi” si offrì Paul, alle mie spalle. Mia madre non sembrava contenta di quella soluzione: aveva già visto Paul, ma in quel momento il ragazzo indossava solo un paio di bermuda e nient’altro… non mi serviva il potere di Edward per sapere cosa mia madre stesse pensando.

“Mamma… non preoccuparti… è tutto a posto” tentai di rassicurarla. Lei studiò il mio volto ancora per qualche secondo, poi salì sul mio maggiolino verde e partì.

Aiutai Leah a sedersi sul sedile del passeggero della sua auto. La ragazza non aveva più fiatato, da quando aveva avuto quello strano scambio di battute con Sam. Doveva esserci stato qualcosa tra loro, ne ero quasi certa.

Chiusi lo sportello e mi accorsi di un ragazzino che mi stava fissando con aria perplessa. “E tu chi sei?” chiese.

Leah fu più veloce a rispondere: “Sali in macchina, moscerino”.

Il ragazzino le lanciò uno sguardo furente e brontolando si accomodò sul sedile posteriore.

Poi Leah si rivolse a me “Ti presento una gran rottura di scatole: mio fratello Seth”.

“Posso sapere cosa sta succedendo, adesso?” chiese Seth, sporgendo la testa dal sedile posteriore.

“No!” rispose secca lei. Il ragazzino sbuffò e si abbandonò al sedile, incrociando le braccia al petto e assumendo un’aria imbronciata. Era comico il modo in cui litigavano.

“Yvonne?” mi chiamò Paul, prima che mi sedessi dal lato del guidatore. Mi avvicinai a lui, cercando di nascondere quel timore, causato in parte dalla sua reazione violenta, che ancora non mi aveva abbandonato del tutto.

“Sei in grado di guidare?” chiese preoccupato.

“Si…” risposi senza guardarlo negli occhi.

“Yvonne… mi spiace che tu abbia visto quel particolare lato del mio carattere… ma…” non sapeva come giustificarsi.

“Ne parliamo dopo…” lo interruppi. Non ero pronta ad affrontare quell’argomento, sotto lo sguardo di Leah e del fratello. Inoltre era difficile per me pensare che quel Paul, così premuroso e imbarazzato, fosse lo stesso ragazzo che, poco prima, aveva minacciato di staccare le braccia ad uno spacciatore.

“Ci vediamo a casa di Leah” disse Paul.

Annuì perdendomi nell’oscurità di quei profondi occhi neri. Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò. Corse via verso il bosco.

In macchina, Seth non la smetteva di parlare.

“Uno spacciatore? Wow!!! Non è giusto: perché devo perdermi sempre il meglio delle cose!” si lamentò lui, sinceramente dispiaciuto.

“Un uomo che picchia un ragazzino e tua sorella sarebbe una cosa bella?” chiese Leah, acida ed evidentemente irritata dall’entusiasmo del fratello.

“No… ma avrei voluto vedere i Protettori in azione!” rispose lui, con sgurado sognante. Leah alzò gli occhi al cielo.

“Protettori?” ripetei, aggrottando la fronte.

“è così che si fanno chiamare Sam e i suoi scagnozzi” spiegò Leah, che guardava la strada con un’espressione dura ed indecifrabile.

Avrei voluto fare altre domande, ma eravamo già arrivati a casa Clearwater. Il pick up nero di Paul era posteggiato davanti alla casa e il ragazzo stava parlando con un uomo, che si rivelò essere il padre di Leah e Seth. Paul lo aveva messo al corrente dell’accaduto, perché non appena ci vide, corse verso di noi e aiutò la figlia ad uscire dalla macchina.

“Grazie… Yvonne…” disse Leah.

“Grazie a te…” risposi, accennando un sorriso, ma le sue labbra rimasero rigide. Il suo volto era privo di qualsiasi emozione.

“Ciao Yvonne!” mi salutò Seth, allegramente.

Li guardai entrare in casa, mentre Paul si accostava a me.

“Non ci fare caso: Leah si comporta così con tutti” disse, fissando anche lui il terzetto.

“Che cosa è successo tre lei e Sam?” chiesi, poi.

“Stavano insieme…” rispose e il suo volto si oscurò.

“Stavano? Vuol dire che si solo lasciati? Perché?” la mia solita curiosità invadente mi spingeva a fare tante domande.

Paul sospirò.

“è una lunga storia… andiamo… ti accompagno a casa, prima che tua madre cominci a pensare che io ti abbia rapito” disse Paul. Aveva volontariamente cambiato discorso, ma non protestai.

Il viaggio di ritorno verso Forks fu molto stressante.

Entrambi provavamo molto imbarazzo per la situazione. Erano passati quattro mesi dal giorno che ci eravamo rivisti a casa di Bella Swan e l’ultima volta che ero salita sul quel pick up, Paul mi aveva tenuto per mano, dandomi baci di tanto in tanto***.

I ricordi erano molto vivi nella mia memoria e non riuscivo a reprimerli. Come se non bastasse, Paul era a torso nudo. La vista del suo enorme torace non aiutava a scacciare l’imbarazzo. Cercavo di mantenere lo sguardo fisso sulla strada, ma ogni tanto l’occhio cascava dove non doveva…

“Non senti freddo?” domandai, rossa in volto.

Paul tirò fuori il suo sorriso canzonatorio.

“No… sto bene…” rispose con tono non curante.

Ecco di nuovo quel silenzio imbarazzante.

“Hai avuto notizie del ragazzo?” domandai impacciata, poco dopo.

“Ho parlato con Sam. Jared lo ha portato all’ospedale. Se la caverà, ma i dottori lo vogliono tenere sotto osservazione per qualche giorno” raccontò.

Annuì, mentre la mia mente cercava un nuovo argomento di cui voler parlare.

“Così… ti diverti a fare il super eroe?” chiesi improvvisamente, nel tentativo di intavolare una conversazione.

Paul sorrise.

“Proteggiamo la nostra terra…” rispose con tono enigmatico.

Gli lanciai uno sguardo scettico e perplesso. Poi ricordai la parola che Seth aveva usato per riferirsi a loro: Protettori

“Proteggere da cosa?” domandai, senza smettere di scrutare il suo viso.

“Da qualunque cosa possa minacciare la nostra comunità” rispose lui con un’alzata di spalle.

“Vale a dire? Persone come quello spacciatore?”

Anche… quel tipo viene dalla riserva di Makah. Spacciava anfetamina tra i ragazzi…**** ha ignorato i nostri avvertimenti e adesso ha avuto quel che si merita” spiegò lui, evidentemente compiaciuto.

“Non dovrebbe essere la polizia ad occuparsi di questo genere di cose? Insomma… che cosa siete? Dei vigilantes? Dei vendicatori in bermuda?” chiesi, sarcastica.

“Ci occupiamo di quello che la polizia non riesce a gestire…” rispose lui. Il suo volto era diventato serio. Il sorriso era sparito.

“Stai dicendo che le forze dell’ordine non fanno il loro dovere?” non volevo desistere dal fare domande. Volevo capire in che cosa Paul si fosse cacciato… forse si trattava di una sorta di guerra tra bande?

“No, sto solo dicendo che ci sono minacce che le forze dell’ordine non può affrontare, perché sono troppo grandi e pericolose…” spiegò Paul visibilmente irritato.

“E tre ragazzini sarebbero la soluzione al problema?” lo schernì, ma lui non parve gradire la mia battuta.

“Ci sono cose che non sai… cose che non conosci…” Adesso digrignava i denti e i suoi occhi mi scrutavano sprezzanti.

In quel momento la macchina si fermò di fronte a casa mia. Eravamo arrivati e non me ne ero resa conto.

“Paul…” cercai di parlare, ma lui mi interruppe.

“No, Yvonne… non fare altre domande, perché non posso rispondere…” I suoi occhi, una volta dolci e allegri, adesso erano duri e freddi.

“Che cosa è successo, Paul? Che cosa ti ha cambiato in questo modo? Da dove viene tutta questa violenza? Ero convinta che fossi un ragazzo innocuo e gentile, ma oggi… se non fosse stato per Sam… avresti ucciso quell’uomo… te l’ho letto negli occhi…” sussultai nell’udire le mie stesse parole.

“Pensi che lui avrebbe avuto pietà di te, di Leah e di quel ragazzino?” chiese, infuriato. Lo vidi serrare il pugno. Un fugace tremore lo scosse.

“Questo non ti da il permesso di togliere una vita” replicai con tono accorato.

“Infatti non l’ho fatto…” ringhiò lui, mentre il tremore aumentava. Non sapendo del pericolo cui stavo andando incontro, continuai a parlare.

“Paul… oggi mi hai salvato la vita e non posso far altro che ringraziarti… ma ho bisogno di risposte…” la mia voce aveva assunto un tono implorante, ma le mie parole riuscirono a farlo infuriare ancora di più.

“Che differenza fa? Tu sei felice… stai insieme a quel tipo, no?”

Una fitta dolorosa attraversò il mio cuore, mentre Paul continuava a parlare con voce alterata. Si tratteneva a stento dall’urlare.

“Che cosa ti importa di me? Le cose non sono cambiate, Yvonne! Il discorso che ti ho fatto questa primavera vale ancora: non possiamo frequentarci… in nessun modo, capisci?” chiese, mentre dolore, rabbia e odio si concentravano sul suo viso.

“Capisco…” sussurrai, ferita dalla durezza delle sue parole.

Scesi dall’auto e senza voltarmi entrai in casa. Lottai per non guardare attraverso le tende, ma udì ugualmente il pick up sgommare e partire a tutta velocità.

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Nota di fine capitolo:


*“Good Riddance dei Green Day”: è la canzone che Manuel e Yva hanno ascoltato al Ballo di Fine Anno, nella precedente ff. Per chi volesse saperne di più, può leggere il capitolo 21.
**“ripensai ad Edward e a quando aveva lasciato che il suo lato malvagio venisse a galla”: anche questo è un riferimento alla ff precedente, quando Edward, perse le tracce di James, si era infuriato a tal punto da lasciar trasparire il suo lato malvagio (capitolo18).
***“l’ultima volta che ero salita sul quel pick up, Paul mi aveva tenuto per mano, dandomi baci di tanto in tanto”: Yvonne si riferisce alla serata in cui erano uscita con Paul. Dopo il bacio, lui l’aveva riaccompagnata a casa con il suo pick up (capitolo 15).
****"quel tipo viene dalla riserva di Makah. Spacciava anfetamina tra i ragazzi": l'idea dello spacciatore l'ho presa dal capitolo sette di New Moon. Quando Jacok e Bella vanno a provare le moto e vedono Sam e gli altri ragazzi tuffarsi dalla scogliera, il giovane Black racconta: << C'era un tizio che veniva dalla riserva di Makah, uno grosso, che metteva paura. Be', girava voce che il tizio spacciasse anfetamina ai ragazzi, così Sam Uley e i suoi lo hanno cacciato via >>.

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Nota autore:

Lo so, siete molto confusi in questo momento, ma vi assicuro che con i prossimi capitoli le cose diventeranno più chiare, come ha già assicurato Yvonne!

Adesso anche Leah è entrata in ballo. Non potevo non inserirla… come vi pare questo capitolo? Vi è piaciuto? Fatemi sapere!

Ringraziamenti:

Per C4rm3l1nd4: ciao cara! Grazie per i complimenti. Concordo con te riguardo ciò che hai detto a proposito di Bella. Davvero pensavi che Paul stesse per baciare Yva? Allora ho raggiunto il mio obbiettivo:P! Cmq per quanto riguarda Andrea… dovrai aspettare ancora un po’ per avere un risposta… Grazie ancora!!! Bacioni, Vannagio!

Per _cory_: ciao cara!! Noto con piacere che torni a fare le tue previsioni catastrofiche XDD… cmq Edward è il solito idiota, quindi non poteva comportarsi altrimenti… in effetti, la scena è un po’ comica e non ti nascondo che anche io ho sorriso, immaginando Yvonne che sveniva per colpa di Edward. Lei aveva ritenuto possibile intervenire, ma non aveva fatto i conti con la super forza del vampiro!! Per quanto riguarda la tua domanda su Sam, Jared e Paul e le occhiate che lanciavano ad Yvonne, si, è come hai detto tu: hanno sentito l’odore di vampiro. Grazie per la recensione! Bacioni, Vannagio!

Per crazyfv: sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto. Ho voluto fare una descrizione delle ricerche, perché la Meyer ne aveva fatto solo un accenno. Riguardo a Paul che terrorizza Mike, è stato troppo divertente, anche perché personalmente, odio quell’inetto biondino! (non si era capito, starai pensando…). Rosalie che minaccia Andrea? Vedremo... Grazie per i complimenti. A presto… bacioni, Vannagio!

Per Kumiko_Chan: ciao cara! Comincio subito col dire che ho la bocca cucita riguardo Andrea (che novità, starai pensando). Riguardo la tua domanda, posso rispondere almeno in parte, perché lo avevo già accennato nella precedente ff. Yvonne racconta la sua storia, mentre frequenta l’università… per il resto, dovrai aspettare… mi spiace, ma non posso fare favoritismi… Ti aspettavi Rosalie e non Edward? Non era male come idea, in realtà… ma la tentazione di far infuriare Yva contro Edward era troppo grossa!! Sapevo che la parte con Paul ti sarebbe piaciuta. Cosa pensi di questo capitolo? Spero che sia stato di tuo gradimento!!! Cmq… spero che la versione di greco sia andata bene… Bacioni e grazie per i complimenti! Vannagio! P.S.: i Green Day hanno vinto un Grammy per il miglior album rock dell’anno (*me fa i salti di gioia e urla come una demente*). Lo so, non te ne frega un piffero… ma non fa niente!!!

Per Frammento: ciao! Sono contenta che tu abbia recensito di nuovo e sono contenta che la mia storia ti piaccia a tal punto da leggerla prima delle altre. Sono molto lusingata! Cercherò sempre di aggiornare costantemente… non voglio causare la tua rabbia!!! Grazie ancora, se hai tempo recensisci ancora, renderesti felice una povera ragassuola! Bacioni, Vannagio!

Grazie a coloro i quali hanno aggiunto la mia ff trai preferiti e i seguiti!

A presto Vannagio!

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Capitolo 6
*** Il risveglio ***


Il risveglio: andare avanti e resistere!


Bentornati miei cari ragazzi e mie care ragazze!

Come promesso, oggi riprenderò il filo cronologico imposto dalla Meyer.

Siete comodi?

Bene: si comincia!

Venerdì, 16 gennaio 2006.

La sveglia suonò alle sette in punto. Nonostante il sonno e la voglia di rimanere sotto le calde coperte, riuscì a trovare la forza di alzarmi. Mi diressi verso la finestra e la aprì: una ventata di aria gelida mi travolse, facendovi rabbrividire.

Guardai il cielo: una vecchia abitudine, retaggio del passato. Quando ero invaghita di Edward Cullen, infatti, prima di andare a scuola, osservavo il cielo per assicurarmi che fosse nuvoloso: solo in quel caso avrei avuto l’assoluta certezza che lui sarebbe andato a scuola.

Anche quella mattina il cielo era coperto di nuvole cariche di pioggia, ma sapevo che non avrei incontrato né Edward né Alice, così come era capitato nei giorni successivi alla loro partenza e, molto probabilmente, come sarebbe accaduto in futuro.

Idiota! pensai.

Nei primi anni in cui i Cullen erano arrivati a Forks, mi ero infatuata di Edward, elevandolo a essere perfetto. In seguito, avevo avuto modo di conoscerlo veramente e avevo capito che quel vampiro era tutto, fuorché perfetto. Così mi ero innamorata del vero Edward: egoista, prepotente ed ipocrita. Adesso che non ero più innamorata di lui, adesso che lui era scappato via, Edward Cullen era definitivamente caduto dal piedistallo, che io stessa gli avevo costruito. Ero convinta che, nell’eventualità che Edward fosse tornato a Forks, egli non avrebbe più esercitato su di me la stessa attrazione e lo stesso fascino di prima. Finalmente lo vedevo per quello che era…

…un emerito imbecille! Un grandissimo coglione!

Come altro potresti essere definito? Avevi trovato il vero amore e te ne sei andato? Per cosa? Per crogiolarti nel tuo dolore? Per passare l’eternità nell’autocommiserazione? Avevi la possibilità di essere felice… è proprio vero, quel che si dice: Dio dà il pane a chi non ha i denti!

Ormai del tutto lucida, chiusi le ante della finestra e dopo una breve visita al bagno, mi trascinai fino alla cucina.

“Buongiorno, Tesoro! Dormito bene?” chiese mia madre, mentre mi sedevo accanto a lei per fare colazione.

“Come al solito” risposi con un’alzata di spalle. Guardavo fisso la mia tazza di cereali ma percepivo su di me l’occhiata a raggi x di mia madre.

“Sono orgogliosa di come stai reagendo a questa situazione…” esclamò lei seria, mentre io mi ostinavo a non ricambiare il suo sguardo “Se penso a quello che sta passando Charlie Swan con sua figlia… sei sempre stata una ragazza forte e sono sicura che ne verrai fuori…” continuò lei, posando la sua mano calda sulla mia.

“Bella è solo una rammollita, come puoi pensare di paragonare tua figlia a lei? Sono una Brown, per dio!” esclamai, imitando la voce indignata di mia madre e cercando di apparire allegra e smorzare i toni pesanti di quella deprimente conversazione.

Invece di rimproverarmi, come faceva di solito quando parlavo male di una persona o nominavo il nome di dio invano, Lynett tagliò una grossa fetta di torta al cioccolato, che aveva preparato la sera precedente e la mise sul mio piatto.

“Hai bisogno di zuccheri e di energie” esclamò, come se il suo gesto necessitasse una giustificazione.

Dieci giorni… erano passati dieci giorni… a me sembravano un’eternità… pensai, ma poi scuotendo la testa, mi obbligai a concentrarmi su altre questioni, come la verifica di letteratura...

Mentre salivo in auto, il cellulare squillò, ma lo ignorai. Sapevo bene chi fosse e se non avevo risposto fino a quel momento, nulla mi avrebbe convinto a farlo adesso.

Arrivai in anticipo a scuola. Camminando nel parcheggio, notai Bella Swan intenta a leggere un libro con un’espressione concentrata.

…tirai fuori dallo zaino il libro di matematica. Lo aprii alla pagina della lezione del giorno e cercai di capirci qualcosa… (New Moon, capitolo 4)

La oltrepassai, spostando lo sguardo altrove e mi incamminai verso l’aula di biologia, con le cuffie del lettore mp3 nelle orecchie. La classe era vuota. Presi posto al mio banco e poggiai stancamente il mento sul palmo della mano. Fissavo la parete dietro la cattedra: un calendario con l’immagine di un lupo grigio era l’unico ornamento.

Chissà perché, la mia mente andò a Paul…

Avevo pensato molto a lui nei giorni successivi al nostro litigio…

Era il termine adatto? Forse era più corretto definirla “discussione” o “divergenza di idee”?

Strinsi il pugno.

Ma quali idee… non vuole dirmi nulla! Su che diavolo dovrebbero “divergere” le nostre opinioni, se non si fida abbastanza da raccontarmi che cosa gli è successo?

I Protettori…

Leah ne aveva parlato quasi con disgusto… Seth sembrava adorarli… loro si comportavano come dei giustizieri… e Paul era dannatamente criptico…

“…non fare altre domande, perché non posso rispondere…”

Il modo in cui lo aveva detto… sembrava quasi che fosse impedito da qualcosa o qualcuno a parlare. Forse stavo correndo troppo con la fantasia, ma la mia curiosità non mi permetteva di lasciar perdere il problema. Dovevo sapere, dovevo trovare delle risposte…

Ma chi poteva aiutarmi?

Paul era stato chiaro: non poteva frequentarmi… in nessun modo… aveva detto. Questo precludeva una possibile amicizia? Avevo sempre pensato che le sue magre giustificazioni fossero solo una scusa per troncare, per mollarmi. Ma questo non spiegava perché non potessimo essere dei semplici amici. Voleva forse dire che non ero io il vero motivo del suo allontanamento? Stava dicendo la verità, affermando che lui era pericoloso e che rischiava di farmi del male? Dopo aver visto la sua reazione nei confronti dello spacciatore, certo, non si poteva dire che Paul fosse innocuo!

“… non possiamo frequentarci…”

Anche in questo caso sembrava un impedimento, non una libera scelta. Possibile che Sam glielo avesse proibito? Per quale motivo? Sam non sembrata una cattiva persona. Quel giorno ci aveva salvato e aveva dimostrato di avere a cuore la salute di Leah, anche se non stavano più insieme.

Forse… forse Leah… sapeva qualcosa. Se era stata la ragazza di Sam…

Si, lei sa! Ne sono convinta. Devo parlare con lei.

A quel punto Lauren si sedette accanto a me, riportandomi alla realtà. Non mi ero accorta che la classe si fosse riempita. Solo una sedia era rimasta libera: quella di Alice.

Lauren si comportò come se il mio posto fosse vuoto ed io feci lo stesso, anche se ogni tanto le lanciavo occhiate furtive. Aveva tagliato i capelli: un taglio cortissimo, molto simile a quello di Demi Moore nel film “Ghost”, con la differenza che mia cugina era bionda.

…Riconobbi Lauren a malapena. Aveva accorciato la sua chioma, color grano: adesso aveva un taglio da maschietto, tanto corto da scoprirle la nuca. Strano da parte sua. Mi chiesi il perché di quella scelta… (New Moon, capitolo 6)

Quel taglio le donava molto, sebbene non lo avesse scelto di sua spontanea volontà. Conoscevo bene il motivo di quel nuovo look, ma non erano cose di cui dovevo preoccuparmi… non più.

Mi mancava la sua amicizia, ma quando pensavo alle circostanze che ci avevano fatto litigare, la rabbia tentava di sopraffarmi ogni volta. Anche in quel momento, serrai i pugni e rivolsi l’attenzione al professore, provando ad ignorarla.

L’ora di biologia passò lentamente. Al suono della campanella, fui la prima ad uscire dall’aula e senza perdere tempo, come se stessi partecipando ad una corsa e avessi gli avversari alle calcagna, raggiunsi la classe di trigonometria.

Bella fu l’ultima ad entrare, guadagnandosi un’occhiataccia da Mr Varner. La fissai intensamente mentre si sedeva accanto a Jessica, con il suo solito atteggiamento assente.

Jessica fece finta di non notare la sua compagna di banco: proprio come Lauren e me, anche loro due non si rivolgevano la parola.

Che ironia!

Bella ed io condividevamo una sorte simile. Nonostante ciò, non mi sentivo solidale nei suoi confronti. Mai come in quel periodo, avevo provato tanta antipatia nei confronti della Mezza Albina. A dire la verità… erano passati quattro mesi dalla partenza dei Cullen e non c’era giorno in cui non desiderassi pestare a sangue Bella Swan.

La Swan era diventata una specie di zombie, presente fisicamente e assente mentalmente. Perfino in uno stato comatoso, sarebbe apparsa più viva! Non aveva contatti con nessuno. Anche se sedeva sempre al tavolo di Jessica & Co., aveva tagliato i ponti con tutti. Non parlava, se non per rispondere alle domande dei professori. Non usciva da casa, se non per andare a scuola o a lavorare al negozio dei Newton. A mensa fissava il vuoto: gli occhi vitrei, lo sguardo assente. Il tempo le scorreva addosso e nemmeno se ne rendeva conto. Era diventata perfino più asociale di me!

Non ero preoccupata per lei, sia chiaro, ma il suo atteggiamento mi dava molto fastidio, non lo accettavo e non lo concepivo.

Non era la prima ragazza a soffrire per amore e non sarebbe stata nemmeno l’ultima: perché doveva lasciarsi andare in quel modo? Orgoglio e dignità non erano vocaboli presenti nel suo dizionario?

Inizialmente il suo comportamento aveva destato molti pettegolezzi. Si diceva che fosse impazzita e che mancava poco al suo internamento in manicomio… Jessica era quella più fantasiosa in merito a questo argomento.

Con il passare del tempo, però, nessuno fece più caso a Bella Swan e al suo bizzarro atteggiamento. Gli studenti e perfino i professori la ignoravano, non sapendo come comportarsi di fronte a tanta passività… Bella Swan era passata dall’essere la ragazza più popolare e chiacchierata della Fork’s High School, a quella meno considerata, dopo di me… quel primato spettava ancora a me, ovviamente!

Ma la cosa che più mi faceva imbestialire era il suo arrendersi, il suo accettare passivamente quella situazione. Se era davvero così innamorata, perché non aveva fatto nulla? Perché non li aveva cercati? Perché aveva lasciato che Edward se ne andasse senza protestare?

Niente… non faceva niente… era diventata un guscio vuoto… dubitavo che riuscisse ancora a provare qualche emozione.

Dio! Quanto la odiavo!

Bella si comportava come se tutto ciò che la circondava non esistesse. I suoi occhi erano offuscati da una fitta nebbia, che si diradava solo in caso di necessità: un guscio, spesso ed invisibile, la proteggeva e la isolava dal resto del mondo.

Troppo comoda come soluzione: sfuggire al dolore, sottrarsi all’evidenza dei fatti, alienarsi per non provare più nulla! Bella aveva deciso di smettere di vivere… no, non sto parlando di suicidio… Bella andava avanti per forza di inerzia. Era come una pallina su una superficie piana: se inclini il piano, la pallina si metterà in movimento grazie alla forza di gravità, ma se il piano e fermo e orizzontale, non vedrai mai la pallina cominciare a muoversi di sua spontanea volontà, a meno che non riceva una sollecitazione dall’esterno. Anche in questo caso, però, terminata la sollecitazione esterna, la pallina smetterà di muoversi.

Oh, cavolo! Sembra una lezione di fisica!

Ciò che intendevo dire è che Bella aveva perso la voglia di vivere…

Ed era questo che detestavo!

Non puoi lasciarti andare, per qualcuno che ti ha abbandonato. Per quanto innamorato tu possa essere, per quanto dolore tu possa provare, bisogna resistere, stringere i denti e dimostrare a se stessi di potercela fare da soli e con le proprie forze.

Ecco perché la mia reazione era stata diversa… non ero la tipa da farmi sopraffare dagli eventi. Stavo cercando di lasciarmi tutto alle spalle, anche se ero sola più che mai. Una volta a settimana, andavo in palestra: non per mantenere la linea... era un modo per sfogare la rabbia repressa. La domenica mattina, andavo a fare jogging, anche se ero una schiappa: ogni dieci minuti mi veniva il fiato corto ed ero costretta a fare una pausa di venti minuti. Che Pappa Molla! Mi ero buttata a capo fitto nella musica e nella lettura di ogni genere di libro. Stavo perfino progettando l’apertura di un forum sui vampiri.

Certo, soffrivo in silenzio: la ferita era ancora aperta dal momento che erano trascorsi solo dieci giorni, ma almeno cercavo di fare qualcosa per distrarmi, per dare un senso alle mie giornate.

L’inerzia… la nebbia… il guscio protettivo… la pallina sul piano inclinato… lasciarsi morire dentro per un’altra persona… non erano cose che facevano per me. Non era nel mio stile! Sarei andata avanti, con le buone o con le cattive!

Che cosa era successo? Volete saperlo?

Spiacente: non è ancora venuto il tempo di raccontarlo…

La lezione di trigonometria passò lenta e fui contentissima quando il professor Varner terminò cinque minuti prima del previsto.

Raccogliendo i miei libri, notai che Bella stava parlando con Jessica.

Miracolo!

Probabilmente lo stava pensando anche Jessica, a giudicare dalla sua espressione: un misto tra stupore e irritazione.

“A dir la verità, volevo chiederti se ti andrebbe di... venire al cinema con me, stasera... ho davvero bisogno di una serata tra amiche” stava dicendo Bella. Parlava con il tipico tono di chi ha imparato una filastrocca a memoria.

A chi voleva darla a bere? pensai, sicura che la sua fosse solo una farsa… molto probabilmente era stato Charlie a costringerla sotto minaccia e non sarebbe stata la prima volta, stando ai pettegolezzi che le vicine riferivano a mia madre.

“E perché lo chiedi a me?” domandò Jessica, aspra e diffidente.

“Sei la prima a cui penso, quando ho bisogno di un'amica” rispose Bella.

Per poco non scoppiai a ridere. Bella non aveva mai visto Jessica come un’amica, o al meno, non dopo aver conosciuto Alice. Quell’affermazione fu la conferma che il suo era solo un ripiego per fare stare buono Charlie.

Vidi il viso di Jessica addolcirsi e decisi di uscire dall’aula prima che cominciasse la sviolinata.

Alla fine delle lezioni, veloce come un fulmine mi precipitai nel parcheggio.

Tornai a casa. Mia madre era ancora a scuola. Le lasciai un biglietto nel quale la informavo che sarei uscita per qualche ora, di non preoccuparsi e che sarei tornata per cena.

Partì alla volta di La Push. La mia meta? Casa Clearwater.

Quindici minuti dopo, mi trovavo sotto il portico della casa di Leah. La mano, sollevata in aria, attendeva che mi decidessi a suonare il campanello. Ero nervosa. Come avrei intavolato il discorso? Mi avrebbe aiutata?

Finalmente trovai il coraggio per suonare il campanello.

Per mia fortuna, fu proprio Leah ad aprire la porta.

“Ciao!” la salutai, con un sorriso forzato e imbarazzato.

“Ciao…” rispose lei.

Il suo volto era una maschera di cera: nessuna emozione. I suoi occhi, dal taglio vagamente orientale, mi scrutavano impassibili. Non mi invitò ad entrare.

Cominciamo bene… pensai scoraggiata.

“Ehm… disturbo?” farfugliai cercando di sostenere il suo sguardo indecifrabile.

“Dipende…” rispose lei, secca.

Bene… molto bene… ancora un po’ di cortesia da parte sua e morirò per overdose da zuccheri, pensai sarcastica.

“Avrei bisogno di chiederti delle informazioni” cominciai, decidendo che era inutile girarci intorno.

“Riguardo a cosa?” domandò lei, sospettosa, alzando un sopraciglio.

Finalmente un’espressione! Cominciavo a temere che avesse esagerato con il botulino!

“I Protettori…” sussurrai, arrossendo. Leah si irrigidì all’istante nell’udire quella parola.

“E perché sei venuta a chiederlo proprio a me?” domandò. Il volto freddo e duro come ghiaccio.

Come se tu non lo avessi già capito… pensai.

“Paul mi ha accennato che tu e Sam…”

“Mi spiace, non posso esserti utile!” sbottò, interrompendomi con tono brusco. Mi chiuse la porta in faccia, lasciandomi lì, come una stupida, a fissare la vernice scrostata della porta.

Imprecai a bassa voce.

Purtroppo per Leah, non era nel mio carattere arrendermi alla prima sconfitta. Suonai di nuovo il campanello, più volte e a lungo, fin quando non tornò ad aprirmi.

“Perché insisti? Che cosa pretendi da me? Non so niente!” domandò con voce alterata e sguardo assassino.

E con questa siamo a tre espressioni: un repertorio davvero ricco. Lo conosce il significato della parola “sorriso”?

“Non si tratta di mera curiosità personale, io sono preoccupata per Paul!” risposi con tono risoluto, sorreggendo il suo sguardo.

Leah studiò il mio volto, assumendo un’espressione stupita e allo stesso tempo scettica.

Eccone un’altra! Beh… allora non sei così impassibile come vorresti far credere, vero?

“Ho notato lo strano comportamento di Paul: troppo premuroso… troppo educato nei tuoi confronti… di solito è più… come dire? Grezzo e rude con le persone. E poi… il modo in cui ha difeso il tuo onore, costringendo lo spacciatore a scusarsi…” lasciò la frase in sospeso, fissandomi con aria sarcastica e appena appena divertita.

Se non altro potevo vantare il merito di aver incrinato la mitica maschera di imperscrutabilità di Leah Clearwater!

Trovava così assurda l’idea che uno come Paul provasse interesse per un cesso come me?

Certo, lei era molto bella e attraente: la pelle liscia, priva di qualsiasi imperfezione, dal colore bronzeo, quasi dorato; quei capelli lunghi, lisci e neri; i denti bianchissimi. Sicuramente aveva un bellissimo sorriso, ma da quello che potevo vedere, non lo sfoggiava spesso. Inoltre, la maschera di indifferenza che indossava induriva i lineamenti del suo viso e sminuiva la sua bellezza.

Era alta quanto me, ma il suo fisico era tutta un’altra storia: slanciato, snello ed atletico. Sotto i vestiti si notavano i muscoli asciutti che non stonavano sul suo corpo di ragazza. Al contrario, esso appariva armonioso nelle sue forme. Quante ore di palestra faceva per mantenersi così in forma?

Chissà come mai, i ragazzi e le ragazze di La Push assomigliano a degli atleti, pronti per partecipare ad una competizione olimpica! Sarà l’aria di mare… pensai stizzita.

Provai molta invidia nei confronti di quella bellezza così esotica e sperai che l’andare in palestra mi avrebbe aiutato a migliorare un po’ il mio fisico…

Certo, come no! Prima vado in palestra e poi mi strafogo di cioccolato: un successo assicurato!

Intanto Leah mi aveva fatto entrare e condotto nel piccolo salotto: mi fece sedere sul divano, mentre lei si accomodò su una poltrona. Non sapevo che cosa le avesse fatto cambiare idea, ma ne fui contenta.

“I tuoi genitori non ci sono?” chiesi guardandomi intorno un po’ spaesata.

“No, lavorano… mio fratello Seth è a scuola” rispose lei, che aveva rindossato la sua maschera impassibile. “Ascolta Yvonne... non credo che potrò esserti d’aiuto: non so molto”.

“Vedrò di accontentarmi” risposi, accennando un sorriso, imbarazzato.

Leah sospirò e si lasciò andare contro lo schienale della poltrona. Chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte con la mano sinistra.

“Che cosa vuoi sapere?” chiese senza aprire gli occhi.

“Tu che cosa sai? Paul fa tanto il misterioso. Ha detto che non possiamo frequentarci e che non può rispondere alle mie domande, come se qualcuno glielo impedisse e poi… è cambiato… c’è qualcosa di diverso in lui. Vorrei capire a che cosa è dovuto tutto ciò. Centra Sam? Gli ha fatto il lavaggio del cervello?” chiesi in fine.

Leah scosse la testa e continuò a tenere gli occhi chiusi.

“No, non credo che dipenda da Sam” rispose con voce spenta.

“Come fai ad esserne certa?” domandai impaziente.

“Sam è stato il primo. Si è comportato nello stesso identico modo” rispose seria. Non feci domande, ma attesi che Leah continuasse il suo racconto.

“Andava tutto bene tra noi, ma poi… una sera… Sam è scomparso per due settimane. Non rispondeva alle chiamate e nessuno sapeva dove si fosse cacciato. Sua madre ed io abbiamo chiamato la polizia e la forestale, ma era come se si fosse volatilizzato nel nulla”.

Leah fece una piccola pausa. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma la vidi serrare la mascella, come se stesse cercando di mantenere il controllo. Mi vergognai della mia curiosità che la stava costringendo a ripercorrere un periodo buio del suo passato…

Dopo alcuni minuti, Leah riprese a parlare con voce atona e priva di emozione.

“Poi un giorno è ricomparso: sembrava che avesse passato le pene dell’inferno, ma non seppe dare una spiegazione plausibile alla sua scomparsa. Mi accorsi subito che mi nascondeva qualcosa: lo sentivo distante, come se tra noi si fosse creato un muro. Mi allontanava e mi evitava. Era sempre esausto, come se passasse tutte le notti in piedi. A volte spariva per giorni e pretendeva che io non facessi domande: mi diceva che dovevo fidarmi di lui. Ma come facevo a fidarmi se lui stesso non aveva fiducia in me e mi nascondeva la verità?”

Sulla fronte di Leah comparve una ruga: nonostante cercasse di non farlo vedere, era evidente che soffriva molto.

“Paul e Jared?”domandai.

La mia voce era diventata un sussurro. Non volevo apparire indelicata e avevo paura che la mia interruzione potesse farla infuriare… Leah si limitò ad aprire gli occhi e a fissarmi intensamente.

“A loro è capitata la stessa cosa. Prima Paul in primavera e poi Jared in estate. Anche loro sono scomparsi per molti giorni. Una volta riapparsi, si sono uniti a Sam e hanno fondato questa specie di banda. Sembrano convinti che il loro compito sia difendere la tribù, per questo si fanno chiamare Protettori” spiegò Leah.

“Ma non c’è nessuno che trovi questa cosa strana? Pensavo che ci fosse una specie di consiglio che regolasse le vostre faccende… o mi sbaglio? ” domandai curiosa, sporgendomi in avanti.

“Oh, si! Certo, che c’è: il consiglio degli anziani!” esclamò, con una smorfia.

“E non fanno nulla? Non si oppongono?”

Una risata amara proruppe dal petto di Leah.

“Sam partecipa alle riunioni. Gli anziani, compreso mio padre, lo prendono molto sul serio!” rispose, mentre il suo volto veniva attraversato da un’ombra di tristezza.

“Tuo padre?” chiesi, aggrottando la fronte.

“Si… mio padre fa parte degli anziani” spiegò Leah pazientemente.

Caspita! Un padre che adora l’ex-ragazzo della figlia. Non deve essere molto divertente!

“Si comportano come un branco di fanatici: sono convinti che le leggende della nostra tribù siano vere. Idioti… un branco di idioti, grandi, grossi e vecchi che credono a delle storielle per spaventare i bambini” continuava Leah. Adesso sul suo volto leggevo disprezzo.

Si riferiva alle leggende cui Edward, una volta, mi aveva accennato.

Se quello che Leah ha detto è vero, allora significa che sia gli anziani, sia i Protettori credono all’esistenza dei vampiri!

“Ma la domanda principale rimane!” esclamai “Che cosa ha prodotto questo cambiamento? Non ricordi nessun particolare. Possibile che sia successo tutto all’improvviso? Non hai notato nulla, prima? Magari qualcuno che Sam frequentava…”

Leah aggrottò la fronte, persa nei ricordi.

“No… niente! La sera prima che scomparisse, Sam era venuto a cenare a casa mia. Sembrava tranquillo… ricordo che aveva la febbre…”

“Cosa?” domandai alzandomi di scatto. Leah mi lanciò un’occhiata perplessa.

“Niente di importante… quella sera ero convinta che Sam avesse la febbre: la sua temperatura corporea era altissima e non è più scesa ad un livello normale. Più volte l’ho pregato di farsi visitare da un dottore, ma lui mi assicurava di stare bene…” raccontò lei.

Per un attimo il rigido autocontrollo di Leah vacillò e sul suo volto comparve una smorfia di dolore e sofferenza. Potevo comprendere la difficoltà nel ricordare quel periodo della sua vita, nonostante non conoscessi la sua storia. Anch’io stavo attraversando un momento difficile.

“è colpa del cambiamento di Sam se vi siete lasciati?” domandai.

Leah sussultò. Poi rivolse i suoi occhi neri e glaciali nella mia direzione. La sua maschera di impassibilità era tornata intatta a coprire il suo bel viso.

“No!” rispose lapidaria.

“Ma… allora?”

“Non sono affari tuoi!” rispose fredda.

Mi insultai mentalmente per la mancanza di tatto che avevo dimostrato. La mia sofferenza non mi dava il diritto di fare domande indiscrete. Infondo ero un’estranea per Leah. Che cosa pretendevo? Che mi confidasse i suoi sentimenti?

“Non volevo…” bisbigliai, abbassando lo sguardo.

“Ho risposto alle tue domande… ti prego di andartene, adesso!” mi interruppe bruscamente.

“Hai ragione. Ti ringrazio e scusa la mia invadenza”.

Più tardi, in macchina, il mio cervello lavorava frenetico cercando di elaborare tutti quei dati.

Che cosa avevo scoperto di utile?

Non molto… a parte quella strana febbre che aveva colpito sia Sam sia Paul, prima di scomparire. Era una coincidenza? O doveva considerarsi un sintomo?

La modalità era la stessa: il ragazzo sparisce per giorni, poi ritorna visibilmente cambiato e si unisce all’allegra comitiva… Che cosa capitava in quei giorni? E perché gli anziani assecondavano questi eventi? Erano loro la causa di tutto? Di cosa si trattava? Una specie di setta che attirava giovani e ignari ragazzi verso qualcosa di oscuro? Si trattava veramente di qualcosa di negativo? In fondo, questi fantomatici Protettori sembravano agire in buona fede, no?

“Dannazione!” imprecai, furiosa.

Ancora domande senza risposta!

Quella sera, distesa nel mio letto, ripensai a Leah.

Chissà cosa è successo…

Un’altra ragazza che soffriva per amore…

Forse dovrei presentare Leah a Bella, così quella stupida Oca Mezza Albina smetterebbe una buona volta di comportarsi come un’ameba in coma!

Il cellulare cominciò a squillare.

Sospirai pesantemente. Presi il cellulare e guardai il display…

Dieci giorni e insiste ancora…

Esitai qualche secondo, ma poi staccai la chiamata e spensi il cellulare.

No! Devo resistere!!!

Nonostante i buoni proposi, passai diverse ore a piangere silenziosamente, prima di addormentarmi.

_____________________

Nota autore:

odio questo capitolo. Non mi piace… non è un tentativo di strapparvi dei complimenti, ma odio questo capitolo. Non succede nulla: è solo un ammasso di sproloqui mentali… ho perso tempo a scriverlo perché avevo già in mente gli eventi dei capitoli successivi e quindi, invece di scrivere questo, ho cominciato a battere giù spezzoni dei capitoli successivi. Sono stata sul punto di cancellarlo tutto e cominciare da capo, ma poi mi sono detta che un gesto così impulsivo sarebbe servito solo a raddoppiare la mia agonia… così mi sono trattenuta.

Ho cercato di descrivere lo stato d’animo di Leah attraverso gli occhi di Yva, che non sa cosa è successo veramente. Non so se ci sono riuscita. Leah cerca di nascondere i suoi sentimenti dietro l’indifferenza. Il dolore l’ha resa dura, fredda e acida verso gli altri. È un personaggio complesso spero di non sminuirlo. Il suo racconto l’ho estrapolato in parte da New Moon, in parte da Eclipse.

Sono profondamente insoddisfatta: spero di fare meglio nei prossimi aggiornamenti.

Passiamo ai ringraziamenti.

Per crazyfv: Ciao cara! Fai bene a essere triste per Yvonne, ma non posso ancora dirti cosa è successo. Certo, in questo capitolo ci sono molte allusioni, che lette con attenzione potrebbero fare intuire la verità… Grazie per i complimenti. Sono contenta che la reazione di Paul sia risultata credibile. La Meyer, tramite Jacob, ci dice che Paul è molto impulsivo e che fatica a mantenere il controllo… per questo motivo ho optato per questo tipo di reazione. Hai avuto ragione! Yva sta cercando di venire a capo del mistero che circonda i Protettori, ma è ancora in alto mare… Non sono io ad aver accesso alle foto di Edward, ma Yva ;). Cmq sono contenta che ti siano piaciute!!! Grazie ancora! Bacioni, Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: ciao carissima! Si, è vero! Paul è molto impulsivo, ma non cattivo. I licantropi sono impulsivi per natura e Paul lo è ancora di più di un normale licantropo. Mi spiace che questo capitolo non soddisfi a pieno la tua sete di conoscenza, ma spero che il prossimo possa chiarire qualcosa… Grazie per i complimenti. Baci, Vannagio!

Per Razorbladekisses: ciao! Grazie per i bellissimi complimenti. Sono contenta che la mia storia si riuscita ad appassionarti al punto tale da leggerla tutta di un fiato. Leggere recensioni come la tua mi fa stare bene e spero che, andando avanti, la storia possa continuare ad appassionarti. Grazie ancora! Baci, Vannagio!

Per Astarte92: ciao anche a te! Grazie per la recensione. Sono contenta che la mia ff ti sia piaciuta, però non voglio avere sulla coscienza il tuo rendimento scolastico XD!! Ti ringrazio per i complimenti. Purtroppo non ritengo che questo capitolo sia all’altezza degli altri… ma mi farò perdonare con il prossimo! Baci, Vannagio!

Per Melody Potter: grazie per i complimenti. Spero che continuerai a seguire. Baci, Vannagio!

Per Eky_87: ciao! Sono felice di ritrovarti anche qui! Grazie per i complimenti. Non sei l’unica che spera nella possibile coppia Yva/Paul, ma purtroppo la mia bocca è cucita. Puoi chiedere alle altre lettrici: non rivelo nulla, loro lo sanno bene!!! Ancora grazie… Baci, Vannagio.

Per Kumiko_Chan_: sei un po’ confusa riguardo i sentimenti di Yva? Anche dopo aver letto questo capitolo? Cmq… se hai compreso il riferimento della canzone “Good Riddance” e il legame con Manu-Yva, allora non dovrebbe risultare difficile intuire cosa sia successo… in questo capitolo ci sono diverse allusioni celate… se hai ancora dei dubbi, fammelo sapere: proverò a rispondere nel limite del possibile… Come hai potuto vedere, il capitolo non si è aperto con Lauren. Posso chiederti cosa te lo ha fatto pensare? Per quanto riguarda Leah, anche a me piace molto come personaggio: anche lei, come Bella, è stata abbandonata dall’amore della sua vita, però non si è lasciata andare. Ha cercato di andare avanti. Certo, è diventata antipatica e acida, ma sfido chiunque ad essere di buon umore in una situazione come la sua! Sono contenta che le foto del vero Ed ti siano piaciute!!! Grazie per la recensione. Baci, Vannagio! P.S.: posso venire a fare ginnastica da te? XD

Grazie a tutti i silenti lettori, che seguono e preferiscono la mia ff.

Grazie anche ad elvira910 e YesYes che mi hanno inserita tra i loro autori preferiti!

A presto, Vannagio!

P.S.: Sono preoccupata per Tom94… tutto bene?

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Capitolo 7
*** Imbrogliona ***


Imbrogliona: le due eterne sfigate…


Quel sabato pomeriggio ero andata a First Beach - la spiaggia di La Push - per fare un po’ di jogging. Il cielo era nero e prometteva pioggia, ma mia madre non aveva protestato. Era diventata leggermente più permissiva nei miei confronti. Forse voleva evitare che mi trasformassi in “Bella-Zombie 2: La Vendetta”.

Correvo lungo la spiaggia già da un’oretta, munita di tuta e scarpe da ginnastica. La mia resistenza era migliorata: anziché dieci minuti, mi fermavo ogni quindici minuti. Che passi da gigante!

Esausta, mi lasciai cadere sulla sabbia umida. Inspirai profondamente l’aria salmastra e gelida, che entrava nei polmoni come una lama affilata. Il respiro era affannoso e il cuore batteva forte per lo sforzo. Faceva molto freddo, ma non mi dava fastidio: ero accaldata per la corsa.

Molto probabilmente ero l’unica pazza che andava a fare jogging a fine gennaio, ma non mi importava. Non lo facevo per mantenermi in forma. Era un modo per scaricare le energie represse. Mi piaceva ascoltare la musica e adeguare il ritmo della corsa a quello della batteria di Tre Cool*. In quei momenti mi concentravo solo sulle mie gambe e sulla melodia che mi entrava nel cervello, svuotandolo da ogni pensiero e brutto ricordo.

Sdraiata sulla sabbia, osservavo il tetto di nuvole che mi sovrastava e che minacciava di scatenare l’inferno.

Chissà cosa si prova a correre sotto la pioggia”, mi chiesi.

Improvvisamente qualcuno agitò una mano davanti ai miei occhi per attirare la mia attenzione. Sussultai e mi alzai di scatto, mettendomi seduta: era Leah Clearwater, che mi osservava con aria perplessa. A causa della musica a tutto volume, non l’avevo sentita arrivare.

“Ecco perché non rispondevi alle chiamate!” esclamò lei, quando tolsi le cuffie del lettore mp3 dalle orecchie. “Temevo ti fossi sentita male”.

“Stavo solo riprendendo fiato” risposi, meravigliata dalla sua comparsa. Tra tutte le persone che potevo incontrare, Leah era l’ultima che mi sarei aspettata di vedere.

“Ti piace correre?” domandò, sedendosi accanto a me. Il suo volto era imperscrutabile, come il giorno prima, ma c’era qualcosa di diverso. Perché si dimostrava così socievole? Non era più arrabbiata con me?

“È un nuovo hobby: l’ho scoperto di recente. E tu? Cosa ci fai qui?” chiesi di rimando. La solita curiosità…

“Ogni tanto vengo qua a pensare, per stare un po’ da sola” spiegò, guardando l’oceano grigio e agitato. Dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse “Mi spiace per ieri: mi sono comportata un po’ da stronza.”

“Oh, non ti preoccupare. Ho conosciuto stronzi ben peggiori…” scherzai per alleggerire l’atmosfera.

Il volto di Leah rimase rigido, come se non avesse sentito la mia battuta.

“L’argomento Sam non è uno dei miei preferiti” disse, rivolgendo i suoi glaciali occhi neri nella mia direzione e ricambiando il mio sguardo perplesso e serio: “Non sono la tipa che chiede scusa facilmente, quindi ritieniti fortunata!”

L’accenno di un ghigno sarcastico increspò le sue labbra.

“Ti capisco Leah: è normale che tu non ne voglia parlare. Ieri mi sono comportata in modo molto indiscreto” risposi, annuendo.

Udendo le mie parole, il suo sguardo si fece ironico.

“Tu comprendi quello che provo? Non credo proprio…” disse, mentre una risata amara si spegneva troppo presto.

“Non sei l’unica a soffrire per amore” replicai seria.

“Vuoi davvero paragonare la tua cotta per Paul alla mia storia con Sam?” domandò. Adesso sembrava arrabbiata e offesa, come se avessi bestemmiato.

“Non sto parlando di Paul… mi riferivo al mio ragazzo… o meglio… ex - ragazzo…” risposi, concentrando la mia attenzione sulle alghe essiccate che danzavano sulla spiaggia seguendo il ritmo scandito dal vento. Provai a ignorare la fitta al cuore.

“Ex - ragazzo? ” chiese Leah. Voleva suonare disinvolta, ma non riuscì a nascondere un sussulto e la curiosità.

“Beh… sì…” confermai impacciata.

Leah non disse nulla. Studiava il mio viso in silenzio con espressione indecifrabile. Sapevo che era in trepidante attesa di ascoltare il mio racconto, ma non mi incitò a parlare e molto probabilmente, se mi fossi rifiutata di raccontare la mia storia, non avrebbe insistito.

Improvvisamente venni travolta dalla necessità di raccontare tutto. Era un bisogno viscerale, che mi procurava quasi un dolore fisico, tanto che mi stupii di non averlo notato prima.

Tutto ciò non aveva senso: ne avevo discusso con mia madre e con Lauren, prima del nostro litigio, eppure sentivo l’assurda necessità di confidarmi con quella ragazza, per me a tutti gli effetti un’estranea.

Così cominciai a parlare. Le parole fluivano fuori dalla mia bocca senza alcun problema, come se non avessero aspettato altro per giorni.

Contemporaneamente, la cassaforte segreta in cui nascondevo tutto ciò che mi faceva stare male si aprì, liberando il ricordo di quell’orribile giorno.


Seattle, gennaio 2006.

Come stabilito con mia madre, ero andata a passare l’ultima settimana di vacanze natalizie a casa di Manuel. Mancava un giorno al mio ritorno a Forks.

“Buongiorno Yvonne! Dormito bene?” mi chiese la Signora Smith, o meglio, Kitty, come preferiva essere chiamata.

“Benissimo, grazie” risposi, sorridendole gentilmente. I genitori di Manuel erano due persone squisite e con sua madre, Kitty, avevo instaurato subito un’ottima intesa.

“Vuoi fare colazione? Ti preparo qualche frittella?” domandò, ricambiando il sorriso.

“No, grazie… mi chiedevo solo dove fosse Manuel”. Erano le undici del mattino e trovavo strano che non mi avesse svegliato come faceva di solito.

“È in garage: credo che stia aspettando gli altri della band per le prove” mi informò Kitty.

“È vero! Avevo dimenticato l’esibizione di stasera. Manuel ha trascurato a causa mia”.

Il mio era un pensiero ad alta voce, ma Kitty cercò di tranquillizzarmi: “Non preoccuparti, Yva. I ragazzi sono abbastanza bravi da permettersi qualche giorno di riposo”.

Sorrisi, riconoscente. Kitty era una persona alla mano. Più che una mamma, somigliava a una buona amica. Inoltre non sembrava essere affetta da quella strana patologia che portava le mamme a chiamare tutti gli esseri viventi - di età inferiore ai trent’anni - ‘caro’, ‘cara’, ‘tesoro’ e così via…

Mi diressi al garage, impaziente di dare il buongiorno a Manuel.

Un buongiorno con i fiocchi! pensai, ridendo.

A quel punto, però, delle voci mi distrassero dalle mie fantasie.

Sono già arrivati? mi chiesi un po’ delusa. La cosa mi sembrava strana. Solitamente Tom non era il tipo da farsi vivo prima di mezzogiorno.

Stavo quasi per entrare, quando la voce di Andrea - la cantante del gruppo - mi indusse ad accostarmi dietro la porta, senza farmi vedere.

“Andiamo, Manu! Non può continuare così! Esigo che tu prenda una decisione una buona volta” stava dicendo lei con voce alterata.

“Andrea… per favore…” si lamentò debolmente Manuel.

“Per favore, cosa? Vuoi che me ne vada? Vuoi che lasci il gruppo? Dillo! Voglio sentirlo uscire dalla tua bocca!”

Sì, diglielo Manuel… diglielo che non hai bisogno di lei, pensai disperata, mentre il battito cardiaco cominciava ad aumentare in velocità.

In quel frangente tutti i motivi che mi avevano portato a odiare Andrea - fin dal primo giorno che l’avevo incontrata - si palesarono nella mia mente. L’abbigliamento succinto in stile gotico, il corpo mozzafiato da modella, l’aria di superbia e arroganza con cui mi guardava - come se fossi un insetto -, gli abbracci e l’atteggiamento troppo amichevole cui si lasciava andare con Manuel in mia presenza, le frecciatine che solo una ragazza poteva cogliere…

“Non intendevo questo, ma…”

“Niente ma, Manuel! Ti ho fatto capire mille volte, in mille modi diversi, quello che provo per te. Voglio che tu chiarisca, una volta per tutte, questa situazione” lo interruppe Andrea furiosa.

“Non c’è niente da chiarire” replicò Manuel.

Proprio così, strega! Lui è mio e…

“Niente? Questo lo chiami niente?” chiese Andrea.

A quel punto calò un silenzio pesante, che veniva intramezzato solo dal battito del mio cuore. Qualcosa dentro di me mi suggeriva di non aprire la porta, perché quello che avrei visto non mi sarebbe piaciuto. Purtroppo lo spirito profondamente masochista di cui ero provvista mi spinse ad andare avanti.

Con mani tremanti diedi una leggera spinta alla porta, la quale si aprì lentamente, senza emettere alcun rumore.

Il respiro si bloccò… probabilmente anche il mio cuore.

Avrei voluto gridare, ma qualcosa mi aveva bloccato la gola e me lo impediva.

Poi fu come se il soffitto della casa mi crollasse addosso ed io stessi cercando di sorreggerlo con tutte le mie forze… era così pesante… e la prospettiva di farsi travolgere e perdersi nell’oblio così allettante... ma a quanto pareva il mio corpo era molto più forte della mia mente, perché non svenni. Rimasi cosciente e vigile - anche troppo per i miei gusti -, sarebbe stato molto meglio se fossi crollata a terra, stecchita, sotto le macerie.

Manuel era seduto su quella vecchia poltrona sfondata, dove più volte mi ero accucciata durante le prove del gruppo. La testa abbandonata contro lo schienale. Gli occhi chiusi.

Andrea era seduta a cavalcioni su di lui. Le dita si insinuavano tra i lunghi capelli di Manuel… quei capelli che fino a qualche ora prima avevo accarezzato nello stesso modo.

Si stavano baciando in un modo a dir poco lascivo.

Lei indossava una di quelle minigonne cortissime, che le avevo visto a dosso molte volte in quella settimana e che lasciava ben poco all’immaginazione.

Vidi la mano di quell’arpia scendere giù, sfiorare il torace di Manuel in modo sensuale e arrivare fino alla cintura.

Mi venne da vomitare, ma riuscii a trattenere il conato di vomito. Mi aggrappai allo stipite della porta come se stessi precipitando nel vuoto. In quel momento non sapevo se desiderassi morire all’istante o procurare le morte di chi stava straziando il mio cuore. Se solo avessi avuto i denti di un vampiro…

Con grande forza di volontà, ritornai sui miei passi. Attraversai la cucina e mi diressi direttamente alla mia stanza. Kitty mi chiese che cosa fosse successo - sicuramente stavo piangendo… non ricordo - ma non le prestai attenzione.

Una volta raggiunta la mia stanza, presi il borsone, lo riempii con le mie cose e - ignorando Kitty ancora una volta, mi precipitai all’esterno della casa.

Tom e Fred avevano appena parcheggiato l’auto.

“Yva… cosa…?”

“Fred, mi serve un passaggio all’aeroporto” esclamai con voce stranamente ferma e autoritaria.

“Ma…?” tentò di protestare lui.

“Niente domande. Rispondi: sì o no!” lo fermai, mentre avvertivo le lacrime rigare il mio volto.

“Io… ma… Manuel…”

“Ho capito. Prendo un taxi” lo interruppi, ma prima che potessi muovere un passo, mi fermò.

“No, aspetta! Preferisco accompagnarti io. Non voglio che ti accada qualcosa”.

Quando Fred mise in moto la macchina, udii alle mie spalle qualcuno che ci chiamava.

“YVA! FRED! FERMATEVI!”

Fred mi lanciò un’occhiata perplessa, come se fosse indeciso da quale parte stare.

“Manuel è tuo amico e posso comprendere la tua indecisione, ma se non parti entro due secondi, giuro che non rispondo più delle mie azioni” lo minacciai, tenendo gli occhi fissi sul parabrezza.

Molte ore più tardi, mi trovavo sull’aereo per Port Angeles con il cuore in frantumi. L’immagine di Andrea avvinghiata al mio Manuel mi ossessionava. E man mano che passavano i minuti, invece di affievolirsi e sfocarsi, quell’immagine diventava sempre più nitida e si arricchiva di nuovi particolari. Le calze a rete, lo smalto nero, il nuovo piercing di Manuel, il top scollato, i riccioli di Andrea che accarezzavano la guancia di Manuel…

Il dolore era insopportabile: era come se qualcuno mi avesse pugnalato alla schiena, infierendo selvaggiamente sul mio corpo.

La cosa peggiore era che in quel momento di disperazione non riuscivo a non desiderare le sue mani, le sue braccia, le sue labbra… desideravo che il mio Manuel mi abbracciasse, mi stringesse al petto, cullandomi e confortandomi con parole dolci.

Ma il mio desiderio non poteva essere esaudito, perché la persona che mi stava facendo soffrire, era l’unica che non avrebbe mai dovuto farlo… lui non era più mio, non mi voleva più, aveva preferito un’altra a me.

Chissà da quanto tempo andava avanti quella storia, senza che lui avesse il coraggio di dirmi la verità.

A quel punto mi infuriai con me stessa. Come potevo compatirlo dopo quello che aveva fatto? Come potevo amarlo lo stesso?

Quel dolore non aveva nulla a che fare con ciò che avevo provato rinunciando a Edward. Lui era sempre stato qualcosa di impossibile e irraggiungibile per me… ma Manuel… lui era mio, era stato il mio amico, il mio confidente, il mio ragazzo, il mio primo vero amore, la mia prima volta…

Non significava nulla per lui?


Tornai improvvisamente alla realtà, quando qualcosa di freddo e bagnato cadde sulla punta del mio naso.

Avevo raccontato tutto. Naturalmente non avevo usato gli stessi toni melodrammatici del mio ricordo, ciononostante non osavo guardare Leah in faccia. Rivelare ogni cosa - senza essere interrotta da sciocchi commenti - era stato tremendamente liberatorio, ma al tempo stesso imbarazzante. Temevo le sue parole: sia mia madre che Lauren non si erano astenute dall’esprimere il loro parere, quando avevo riferito loro l’accaduto. Non che fosse una cosa sbagliata ricevere delle critiche o dei giudizi, ma in quell’istante non volevo un parere obbiettivo e distaccato, desideravo solo comprensione.

Un silenzio carico di significati cadde tra noi. Stranamente quel silenzio non era imbarazzante: ogni parola sarebbe stata inutile e superflua e forse anche Leah lo stava pensando, per questo motivo non parlava.

Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere. Rivolsi gli occhi chiusi al cielo, lasciando che la pioggerellina mi bagnasse il viso. In lontananza si udivano cupi brontolii. Sarebbe stato saggio cercare riparo, ma non ne avevo voglia.

“Sam mi ha lasciata per mia cugina Emily” disse improvvisamente Leah, spezzando il silenzio che ci avvolgeva.

Come fulminata da quella rivelazione, portai i miei occhi su quelli della ragazza. Leah aveva indossato la sua solita maschera impassibile.

Emily… ho già sentito questo nome… pensai.

Frugando nella memoria, le parole di Sam tornarono prepotentemente a galla.

“… Paul, ci vediamo da Emily a cena…”

Proprio come aveva fatto Leah con me, attesi in silenzio che lei cominciasse a raccontare la sua storia.

“Un fine settimana di qualche anno fa, mia cugina Emily era venuta a farmi visita dalla riserva di Makah in occasione del mio compleanno. Ero così felice… Emily era la mia migliore amica, la sorella che non avevo mai avuto ed ero impaziente di farle conoscere Sam, l’amore della mia vita”.

Un ghigno sarcastico attraversò il suo volto nel pronunciare quelle ultime parole. Venne però spazzato velocemente da un velo di sofferenza. Non potei fare a meno di notare che Leah parlava al passato, come se Emily non ci fosse più. Forse per Leah era così… forse per lei Emily era come morta…

Una volta riacquistato l’autocontrollo sulle sue emozioni, Leah proseguì il racconto.

“La sera del mio compleanno mi trovavo a tavola con la mia famiglia. Emily sedeva accanto a me. Aspettavamo Sam per cenare. Come al solito era in ritardo. In quel momento, però, non mi importava. Ero felice: tutte le persone cui tenevo più di ogni altra cosa al mondo erano riunite intorno a quel tavolo. Mancava solo Sam e poi il quadro sarebbe stato completo”.

Leah guardava fisso l’oceano. Le onde si infrangevano contro gli scogli. I lunghi capelli neri, scompigliati dal vento, le sferzavano il viso ma lei non sembrava accorgersene. La pioggia continuava a scendere lentamente. Presto si sarebbe trasformata in un vero e proprio acquazzone.

“Quando finalmente Sam entrò in casa, gli corsi incontro raggiante e gli buttai le braccia intorno al collo. Inizialmente non mi resi conto che le sue braccia non avevano ricambiato il mio abbraccio. Sollevai lo sguardo verso il suo viso ma i nostri occhi non si incontrarono: con espressione sbigottita, Sam fissava un punto alle mie spalle. Mi voltai per capire cosa lo avesse sconvolto e mi si agghiacciò il cuore”.

Leah si fermò un attimo. Prese un respiro profondo e continuò a parlare. Tentava di reprimere le sue emozioni. Voleva far credere agli altri che quella storia non la toccasse più. Si era nascosta dietro a una maschera di impassibilità, ma era evidente che Leah era lontana dall’aver dimenticato.

“Sam stava fissando Emily e lei ricambiava lo sguardo. Qualcosa dentro di me si incrinò nel vedere quella scena. L’aria era elettrica. Sam ed Emily continuavano a scrutarsi a vicenda, come se tra loro si fosse instaurato uno strano canale di comunicazione dal quale io e tutti gli altri eravamo stati esclusi. Poi Emily abbassò gli occhi sul suo piatto arrossendo e anche Sam parve risvegliarsi”.

Ascoltavo la storia di Leah inorridita. Potevo intuire cosa fosse successo dopo, ma disperatamente mi aggrappavo all’insensata speranza che mi stessi sbagliando.

“Per tutta la serata cercai di convincermi che ero paranoica, una stupida, e che non potevo essere gelosa di mia cugina, della mia migliore amica, di mia sorella. Feci finta di non vedere quanto Sam si sforzasse di non ignorarmi. Sì, proprio così! Sam - il mio fidanzato - si sforzava di non ignorare me, la sua ragazza! Ma era inutile: i suoi occhi eludevano i miei e finivano sempre con il posarsi su di lei. Ogni volta che lo sorprendevo a fissarla, distoglieva lo sguardo imbarazzato. Parlavo con lui ma non mi ascoltava. Anche Emily era visibilmente sconvolta, ma cercava di non darlo a vedere”.

Leah serrò i pugni e con grande forza d’animo si costrinse a continuare il suo racconto.

“Guarda caso - dopo quella sera -, mia cugina decise di prolungare la sua permanenza a La Push. Cercavo di rimuovere la serata dalla mia mente. Non potevo dubitare di Sam. Non potevo dubitare di Emily… che idiota!”

Un sorriso forzato comparve sul volto della ragazza.

“Un giorno - ero appena tornata da scuola - li trovai sul portico di casa. Insieme. Mano nella mano. Mi stavano aspettando. Finimmo per litigare furiosamente - o meglio -, ero io quella più aggressiva. Sam non aveva nemmeno il fegato di guardarmi in faccia. Emily piangeva come una fontana. Vederla in quello stato mi fece incazzare ancora di più. Come osava lei piangere? Se c’era una persona che aveva il diritto di piangere, quella ero io!”

Leah si fermò un attimo, come se si aspettasse da me una risposta ma era chiaro che si trattava solo di una domanda retorica.

“Li accusai di tradimento. Mia cugina provò ad avvicinarsi a me, per spiegare. La schiaffeggiai con tutta la forza che avevo in corpo e la spinsi, facendola cadere per terra. Sam corse in suo aiuto ma Emily si scostò da lui. Piangendo, prese la macchina e scappò via. Sam la inseguì.
“Mi rinchiusi nella mia stanza per giorni. Non volevo parlare con nessuno e non ebbi loro notizie per un po’ di tempo. Non che mi importasse di sapere che fine avessero fatto… per me potevano anche morire”.

Sussultai nel sentire quelle parole. Era una cosa tremenda da dire, ma potevo biasimare Leah? Soprattutto sapendo che anch’io avevo pensato una cosa del genere?

“Poi un giorno venni a sapere che mia cugina era stata aggredita da un orso. La notizia mi turbò parecchio. Nonostante quello che loro mi avevano fatto, nonostante avessi desiderato la loro sofferenza, volevo ancora bene a Emily. Ero così preoccupata per lei, che mi sentivo pronta a perdonarla. Mia sorella era ferita gravemente e aveva bisogno di me, diamine!”

Un’ultima pausa, prima di quella che - sicuramente - sarebbe stata la conclusione della storia.

“Emily non scoprì mai che ero andata a trovarla. Sbirciai attraverso la porta della sua stanza e vidi un Sam distrutto dal dolore, con il capo chino sul ventre di Emily. Lei gli accarezzava i capelli con la mano sana e gli sussurrava parole di conforto. Assurdo! Emily - ferita e sfregiata - stava consolando Sam! Quel giorno capii che Sam non sarebbe stato mai più mio. Lo avevo perso per sempre”.

La pioggia nascondeva le mie lacrime e forse anche quelle di Leah, mentre la sua voce rauca si spegneva e l’unico suono udibile era quello dei tuoni, dell’acqua che continuava a cadere incessantemente e dell’oceano furioso.

Senza dire nulla mi alzai e le porsi una mano. Leah non chiese spiegazioni. Afferrò la mia mano e si rimise in piedi. Correndo, ci avviammo alla mia auto per ripararci dalla pioggia, anche se ormai ci aveva inzuppato completamente. All’interno dell’abitacolo aspettammo che smettesse di piovere, ascoltando in silenzio la radio. Nessuno delle due aveva voglia di parlare, né tanto meno di tornare a casa.

Quando finalmente la pioggia cominciò a diminuire fino a cessare del tutto, Leah chiese: “Ti va di tornare alla spiaggia?”

Annuii

Passeggiammo avanti indietro per diverse ore, parlando di tutto quello che ci veniva in mente, ma evitando accuratamente un determinato argomento.

Eravamo sedute su un tronco abbandonato sulla spiaggia, quando fummo raggiunte da due ragazzi. Formavano una strana coppia, perché erano molto diversi l’uno dall’altro. Uno era slanciato e molto alto. Portava i capelli lunghi fino alle spalle. Non era mingherlino ma sfigurava in confronto all’amico. Questo - nonostante la statura bassa e tarchiata - sfoggiava un fisico prorompente. La maglietta sembrava esser sul punto di scoppiare sotto la pressione dei quei pettorali esageratamente gonfiati. I suoi capelli erano cortissimi, quasi rasati.

Insomma… Stanlio e Olio in versione “schianto da paura”.

Deve esserci qualcosa che non va qui a La Push. Come fanno a esser tutti così incredibilmente… lasciamo perdere…

“Ehi Leah!” esclamò quello più alto, alzando una mano in segno di saluto.

“Ciao, Embry” rispose lei, senza scomporsi. La sua faccia non faceva trapelare nulla come al solito. Non sembrava né seccata né entusiasta di vederli.

Se solo riuscissi anch’io ad apparire così impassibile… ma è dannatamente difficile, soprattutto di fronte a questi due… lasciamo perdere…

“Vi siete fatte beccare dall’acquazzone a quanto pare!” notò il ragazzo più basso, indicando i nostri abiti ancora zuppi.

Leah alzò le spalle con il suo solito fare strafottente.

“La solita simpaticona. Ti ha morso una tarantola, per caso? Perché non ci presenti?” chiese Embry in tono sarcastico.

Era la seconda volta che vedevo qualcuno rivolgersi a Leah in quel modo. Prima Paul e poi Embry. Quell’atteggiamento non mi piaceva. Forse Leah non era la ragazza più simpatica del mondo, ma questo non dava loro il diritto di comportarsi come se Leah fosse in torto… non era stata lei a tradire Sam!

“Yvonne” mi presentai con voce atona. Avevo perso interesse per quei due.

“Embry e Quil” disse Leah, indicandoli con un gesto annoiato della mano.

“Wow, che freddo glaciale! Formate proprio una bella coppia voi due!” sghignazzò Quil e provai l’impulso di afferrare qualcosa e sbatterglielo in testa. Forse Leah era abituata a quel tipo di battute, perché non si scompose.

“Mai quanto voi!” rispose Leah, sorridendo sardonicamente “A quando il matrimonio?”

I due ragazzi arrossirono violentemente, ma non si arrabbiarono.

“Sei di Forks, vero?” domandò Embry. Quando annuii, mostrandomi sospettosa, lui aggiunse “In questo periodo le ragazze di Forks sembrano essere attratte da La Push. Jacob Black ha appena rimorchiato la figlia dell’Ispettore Swan. Li abbiamo trovati a confabulare nel garage dei Black…”

La notizia mi colse di sorpresa, ma riuscii a nascondere il mio stupore.

Bella esce con Jacob Black? L’ameba si è risvegliata dal coma? Impossibile!

“Parlavano di aggiustare delle moto e di lezioni di guida, ma credo che fosse solo una scusa per incontrarsi… cioè… il piccolo Jake è cotto a puntino, ma lei… beh… se non altro è proprio un gran bel bocconcino!” esclamò Quil. Quasi, quasi mi aspettavo che cominciasse a sbavare come un lupo affamato da un momento all’altro.

Ecco un altro che spasima per Bella. Avrà mai fine quest’agonia?

Leah si alzò di scatto e senza dire una parola cominciò a camminare.

Embry, Quil ed io fissammo con aria sbigottita la folta chioma di Leah ondeggiare sulla sua schiena, mentre la ragazza si allontanava.

“Leah! Dove diavolo…?” incominciò Embry, ma lei lo interruppe bruscamente.

“Scusami, ma non sono interessata a spettegolare sulla vita sentimentale di un poppante come voi” e così dicendo, continuò ad allontanarsi.

“È proprio suonata…” disse Quil, senza preoccuparsi di abbassare la voce a un livello basso.

“Nah… secondo me le brucia che qualcuno possa essere felice e lei no” replicò Embry, con l’aria di chi sembra essere un esperto del campo.

Stavo per vomitare.

Maschi! Chiunque li abbia inventati meriterebbe la sedia elettrica! pensai rabbiosa.

Senza salutare, mi alzai.

“Te ne vai anche tu?” chiese Embry.

“A mai più rivederci!” risposi senza voltarmi, prima di raggiungere Leah.

“Tutto bene?” le chiesi poi, preoccupata.

“Sì, alla grande” rispose lei, con gli occhi puntati di fronte a sé e un tono di voce privo di espressività.

“Perché sei scappata così? È per qualcosa che hanno detto quei due idioti?” domandai.

“No, non hanno detto nulla di particolare. Sopporto a mala pena la presenza delle altre persone. E poi… il loro atteggiamento - l’atteggiamento di tutti quanti -, le occhiate, le allusioni… c’è chi mi considera pazza e isterica come Quil… chi dice che sono invidiosa marcia come Embry… ma tutti - proprio tutti - pensano che stia esagerando, che debba porre fine a questa “tragicommedia”, come la chiamano loro. Credono che dovrei lasciarmi tutto alle spalle, come se non avessi il diritto di soffrire per tutto il tempo che desidero!” spiegò Leah, mentre i suoi occhi scintillavano di rabbia.

Intanto eravamo arrivate alla mia auto.

“Hai bisogno di tempo! Quello che Sam ed Emily ti hanno fatto…”

“Ma a te è capitata quasi la stessa cosa, no? Eppure tu non sei come me. Tu sembri… normale. Probabilmente hanno ragione loro!” mi interruppe lei, portando lo sguardo a terra.

“No, Leah. Ogni persona è diversa dalle altre. Ognuno di noi reagisce in modo diverso. Non pensare che non stia soffrendo. Mi tengo occupata, per questo motivo ho cominciato a crearmi nuovi passatempi come fare jogging a metà gennaio. Non sto bene, ma cerco di... guarire. Non dare retta agli altri. Devi elaborare la questione a modo tuo e impiegarci tutto il tempo necessario”.

Alla luce di quella profonda riflessione, mi chiesi se quel discorso valesse anche per Bella Swan. Forse ero stata troppo dura nel giudicare l’ameba.

Leah si fissava i lacci delle scarpe senza parlare.

“Vuoi un passaggio a casa?” le chiesi infine.

“No, faccio una passeggiata” rispose con un’alzata di spalle.

“Ok, come vuoi”.

Non sapendo cosa fare o dire, aprii lo sportello della mia auto. Prima che potessi salire Leah mi chiamò: “Yvonne?”

“Sì?”.

“Grazie…” sussurrò, fissandomi con espressione grave.

“Grazie a te” risposi, accennando un sorriso e questa volta Leah ricambiò.

“Se ti venisse voglia di farmi visita un giorno di questi… non crearti problemi” aggiunse lei, avvicinandosi al finestrino, quando ormai avevo messo in moto l’auto.

La strada era diventata un vero acquitrino a causa dell’acquazzone: fango e acqua formavano un cocktail mortale. Per questo motivo stavo guidando molto piano e tenevo saldamente il volante. La minima distrazione poteva rivelarsi fatale, mandandomi fuori dalla carreggiata o contro un albero. La strada attraversava il bosco e non c’era un’abitazione nel raggio di dieci chilometri. Se mi fosse capitato qualcosa, ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo prima che qualcuno mi trovasse.

Brava Yvonne! Questi sì che sono pensieri appropriati per…

“CAZZO!!!!” urlai.

Incollai il piede al freno, sterzai a sinistra e la macchina fece un breve testa coda, fermandosi proprio di traverso, in mezzo alla strada.

Respiravo a fatica. Il cuore sembrava volesse scoppiare. Le mani erano ancorate al volante, come se rappresentasse la mia boa di salvataggio.

“Che cazzo era?” urlai, in preda all’isteria.

Quella era una domanda molto azzeccata. Poco prima che tentassi di emulare la protagonista femminile di “Fast And Furios”, qualcosa era uscita rapidamente dal bosco, aveva attraversato la strada, per poi scomparire nuovamente tra gli alberi. Avevo mancato quella strana creatura per pochissimo.

Sembrava un… orso? No… era troppo veloce… forse un cavallo? Sono sicura che fosse un animale… un animale grigio… ma era enorme!

Le mani mi tremavano ancora, ma con grande forza di volontà, riuscii a parcheggiare la macchina sul ciglio della strada.

Ero ancora molto agitata, così scesi dall’auto, sperando che l’aria fresca della sera aiutasse a calmarmi. Appoggiata con la schiena alla fiancata della macchina, mi sfregavo le braccia come per auto-consolarmi. Ero scossa da un leggero tremore, dovuto non al freddo, ma allo spavento. Osservavo il punto del bosco nel quale l’animale era scomparso.

Chissà perché, mi avvicinai al confine creato dagli alberi e strizzai gli occhi.

Non c’era niente… o forse…

Mi era parso di vedere qualcosa… senza riflettere decisi di addentrarmi tra gli alberi e gli arbusti del bosco. Non mi rendevo realmente conto che quell’animale avrebbe potuto aggredirmi o - peggio ancora - divorarmi in un sol boccone.

Dopo alcuni minuti e graffi più o meno profondi, raggiunsi la cosa che aveva attratto la mia attenzione.

Una giacca?

Il colore rosso sgargiante spiccava contro il verde del bosco, perciò l’avevo notata. Mi chinai per esaminarla meglio: era molto sporca, lacerata in più punti e macchiata di qualcosa di scuro che al tatto era appiccicoso. Portai le dita al naso: ruggine, ferro…

Sangue fresco!

Inorridita, scattai in piedi come una molla e indietreggiai di qualche passo.

A quel punto il sangue era l’ultimo dei miei problemi…

Due grandi occhi neri mi scrutavano a pochi centimetri dai miei.

Sentivo il suo fiato caldo sul viso.

Un lupo… un gigantesco lupo dal manto grigio - il cui muso arrivava all’altezza del mio volto - mi stava fissando con intensità. Non avevo mai visto un lupo da vicino, ma ero certa che un lupo normale non fosse così… enorme!

Sto per fare la fine del proprietario della giacca, pensai.

La voglia di urlare e scappare era fortissima, ma il buon senso e il mio impeccabile istinto di autoconservazione mi consigliarono di rimanere immobile. Il cuore batteva freneticamente, pompando il sangue a tutta velocità nelle vene. Il mio petto si alzava e abbassava rapidamente e a nulla valsero i tentativi di calmare il respiro affannato.

Il lupo continuava a studiarmi, mentre il suo naso sfiorava quasi il mio.

Naso? Perché non ti preoccupi della bocca e delle zanne che sicuramente troverai al suo interno?

Il lupo sembrava non dare peso ai fremiti che scuotevano il mio corpo e all’odore di paura che molto probabilmente stavo emanando. Poi vidi il suo capo cominciare ad abbassarsi impercettibilmente e…

Ci siamo! Fra poco scoprirò cosa ha provato Cappuccetto Rosso nel venire mangiata dal lupo cattivo…

Ma non fu così. Il lupo afferrò con la bocca un lembo del mio cappotto e cominciò a strattonarmi con grande delicatezza. Ero ancora troppo terrorizzata per capire che cosa stesse succedendo. Solo quando il lupo - con l’ennesima spinta - mi fece avanzare di qualche passo in direzione della mia auto, compresi le sue reali intenzioni.

“Vuoi… vuoi che torni alla mia macchina?” balbettai incredula.

Il lupo guaì, poggiò il capo sulla mia schiena e mi spinse in avanti.

“Quindi... non vuoi… mangiarmi… o chissà cosa, vero?” domandai con voce tremante.

Il lupo sbuffò, esasperato.

Idiota! I lupi non sbuffano!pensai.

Il lupo emise un verso, che somigliava molto allo sbuffare esasperato di un umano.

Mi diede un’altra spinta, premendo gentilmente la grossa testa contro la mia schiena.

“Ok… ho capito… vado…” sussurrai.

Devo essere impazzita: parlo con un lupo gigante! Forse sono già morta… pensai, ma il cuore che rimbombava all’interno della mia gabbia toracica mi suggeriva che ero ancora viva e vegeta.

Avanzavo verso la strada e anche se non avevo il coraggio di voltarmi indietro, sapevo che il lupo mi stava seguendo come una specie di scorta.

Stai calma, stai calma. Se avesse voluto ucciderti, lo avrebbe già fatto, tentavo di rassicurarmi, mentre tremavo come una foglia al vento.

Quando finalmente raggiunsi il ciglio della strada, mi voltai. Il lupo era rimasto nel bosco e mi osservava con i suoi profondi occhi neri.

E adesso… dovrei salutarlo? Yvonne sei proprio una deficiente! È un animale! Che cosa vuoi che gliene importi?

“Ehm… io… salirei in macchina, se non è un problema per te!” balbettai, torturandomi le mani.

Il lupo continuava a fissarmi. Il suo sguardo mi ricordava qualcosa.

“Ehm… ciao… e… la prossima volta… guarda a destra e sinistra prima di attraversare!”

Ok, è confermato: Yvonne Brown ha avuto un esaurimento nervoso!

Titubante e tremante, entrai in macchina, feci scattare le sicure e quando rivolsi nuovamente lo sguardo al lupo, quello non c’era più.

Guardare a destra e sinistra prima di attraversare?

Scoppiai a ridere e piangere contemporaneamente, dando libero sfogo a tutta l’isteria e alla paura, che lo spirito di sopravvivenza mi aveva costretto a trattenere in presenza del lupo.

Ci vollero diversi minuti, prima che riuscissi a calmarmi quel tanto che bastava per mettere in moto l’auto e guidare fino a casa.

________________

Nota di fine capitolo:

*Tre Cool: nome del batterista del gruppo musicale “Green Day”.

________________

Nota autore:

Ecco a voi il nuovo capitolo! Che ne pensate? È stato difficile da scrivere. Non tanto perché non sapessi cosa scrivere (era tutto fissato nella mia mente)… è stato difficile cercare di esprimere le emozioni di Yvonne ed Leah, che si sono trovate in una situazione simile, reagendo in modo diverso. Non so come sia il risultato, anche perché, mentre con Yvonne ormai ho acquisito la giusta familiarità, Leah rappresenta un punto interrogativo e non so ancora come trattarla. Per quanto riguarda il lupo grigio… penso che abbiate capito tutti chi sia, no? XD Altre precisazioni! Secondo quanto scritto dalla Meyer, l’incontro di Bella con Quill ed Embry avviene nel capitolo 6 “Amici”. Io invece li ho inseriti nel capitolo “Imbrogliona” per dividere meglio gli eventi, altrimenti il prossimo capitolo sarebbe divenuto lungo trenta pagine! Se avete dubbi, chiedete: io risponderò nel limite del possibile! Un’ultima domanda… ma nessuno di voi si chiede che cosa è successo tra Lauren e Yva?????????

Ringraziamenti.

Per C4rm3l1nd4: Ciao cara! Grazie per la recensione. Alla fine hai indovinato. Tutta colpa di Andrea! Condivido a pieno le tue perplessità riguardo Edward e Bella. Grazie ancora per i complimenti. Fammi sapere come ti è sembrato questo capitolo! Baci, Vannagio!

Per Eky_87: Grazie per i complimenti! Sono felice che il cap precedente ti sia piaciuto. Sei curiosa di sapere se e quando Yva scoprirà la verità su Paul? Beh… posso dirti che l’incontro con il lupo le spianerà la strada per svelare il mistero ;) Cmq… chi è che chiama Yvonne? Pensavo fosse chiaro… anche in questo caso sono muta come una tomba!! Riguardo il litigio tra Manul ed Yva, non ti era sfuggito nulla. Avevo soltanto eclissato, momentaneamente, il fatto, per creare un po’ di suspence e per prepararvi all’accaduto. Infatti, essendo costretta a seguire il filo cronologico di New Moon, non ho potuto raccontare il fatto mentre si verificava. Quindi ho deciso di posticiparlo a questo capitolo e narrarlo con l’espediente del flash back. Non so se sono stata chiara. Cmq se vuoi dei chiarimenti riguardo a questo capitolo o a quelli precedenti, chiedi pure! Potremmo dire che in parte il tuo desiderio di “rivedere” Paul è stato esaudito, anche se era in forma di lupo… cmq… non temere: nei prossimi capitoli sarà più presente! Baci, Vannagio!

Per crazyfv: ciao cara! Grazie per i complimenti. In effetti è come dici tu: il capitolo precedente serviva a “preparare” a incassare il duro colpo. Mi spiace di averti lasciata in questa “lenta agonia”, come la chiami tu, ma adesso il segreto è svelato. Come ti pare questo capitolo? Pensi che sia riuscita a rendere bene la nostra cara Leah? A dire la verità mi sono intristita un po’ a scrivere del giorno in cui Sam ha avuto l’imprinting con Emily… così come mi sono intristita scrivendo di Manuel ed Andrea. Ero così dispiaciuta per Yvonne, che quasi quasi mi era venuta voglia di far comparire Edward per confortarla un pochino… Me la immaginavo singhiozzare tra le bianche braccia di Edward, che le accarezzava i capelli e le lasciava leggeri baci sulla fronte… ma naturalmente non sarebbe stato credibile… che pazza che sonoXD. Cmq non credo ci sia altro da aggiungere sulla mia pazzia! Bacioni, Vannagio!

Per Astarte92: ciao! Grazie per la recensione e per gli apprezzamenti sul capitolo precedente. In effetti, hai proprio ragione. Avevo una voglia matta di passare avanti, ma intanto dovevo costringermi a scrivere quel capitolo… cmq spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Fammi sapere! Baci, Vannagio!

Per Midao: felice di rileggerti! XD Grazie per la recensione. Si, è così! Il capitolo precedente era preparatorio a questo… Avevi ragione: Manuel ed Yva non stanno più insieme per colpa di Andrea. Per quanto riguarda le riflessioni su Edward… non vederci doppi significati… in realtà Yvonne è arrabbiata con Edward, perché le aveva promesso di essere felice e non ha mantenuto la promessa. Inoltre lei soffre a causa di Manuel e ritiene impossibile che due persone, come Edward e Bella, che potrebbero essere felici e amarsi per l’eternità, si sono allontanate senza un motivo preciso. Per questo dice: Dio da il pane a chi non ha i denti. Edward e Bella avevano trovato l’amore e se lo sono lasciati sfuggire, mentre Yvonne che lo cerca disperatamente non lo trova! Spero che adesso le cose siano più chiare! Possibile ritorno di fiamma tra Yva/Paul…? Chi vivrà, vedrà! Baci e grazie ancora! Vannagio!

Per Melody Potter: grazie per i complimenti! Baci, Vannagio!

Grazie a tutti i lettori silenziosi che seguono e preferiscono la mia ff.

Grazie anche a Eky_87, che mi ha inserita tra i suoi autori preferiti!

A presto, Vannagio!

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Capitolo 8
*** Amici - prima parte ***


Amici – prima parte: nella tana del lupo!


Sabato sera…

Ero incazzata nera!

Volete sapere perché?

Dopo l’incontro del terzo tipo con il lupo gigante, ero andata alla polizia. La creatura si era dimostrata mansueta nei miei confronti, ma non riuscivo a togliermi dalla testa la giacca insanguinata. Il pensiero che, da qualche parte nel bosco, ci fosse un uomo ferito, o peggio ancora, morto, mi tormentava. Non sapevo se fosse stato il lupo ad aggredire il proprietario della giacca, ma pensavo che fosse dovere di ogni onesta cittadina andare dalla polizia in casi come quelli.

Naturalmente mi sbagliavo!

Per mia grande sfortuna, l’Ispettore Swan era già tornato a casa, quando arrivai al distretto di polizia e i suoi colleghi mi trattarono come una pazza isterica…

Ok! Ammetto che blaterare di lupi giganti, strillando come un’invasata, non faceva una buona impressione, da un punto di vista puramente obiettivo… ma mettetevi nei miei panni: mi ero trovata a pochi centimetri dalle zanne appuntite di un lupo misura extralarge… ero anche troppo tranquilla per i miei gusti!

Fu solo per rispetto del buon’anima di mio padre, se non mi arrestarono per oltraggio a pubblico ufficiale… secondo me i poliziotti sono troppo suscettibili!

Come ciliegina sulla torta, a casa, fui costretta a subire la ramanzina di mia madre. Cercai di spiegarle il motivo del mio ritardo, ma lei non voleva ascoltare le mie ragioni. Continuava a ripetere di quanto si fosse spaventata, dato che non rispondevo al cellulare, di come il mio comportamento l’avesse delusa e bla, bla, bla…

In condizioni normali, mi avrebbe messo in punizione per circa centocinquant’anni, ma la paura che potessi trasformarmi in una brutta copia di Bella-Zombie persisteva ancora e la indusse a concedermi la grazia. Dovetti prometterle, che mai più avrei tardato, senza avvertirla.

Dopo cena, mi isolai nella mia stanza a guardare la televisione. Facevo zapping, mentre imprecavo mentalmente contro la stupidità delle persone e la sfiga, che continua a perseguitarmi.

Sul decimo canale, stava cominciando “Underworld”, un film che avevo visto già una volta. Non era uno dei miei preferiti, ma non facevano nient’altro di interessante. Cercavo di concentrarmi sulle immagini e di ascoltare i dialoghi, ma la mia mente era lontana da quella stanza: stava ripercorrendo il pomeriggio appena trascorso.

La conversazione con Leah…

Raccontarle tutto era stato fin troppo facile per me. Ero contenta di essermi aperta con lei. Anche se non la conoscevo bene, sentivo che Leah poteva capirmi… entrambe avevamo bisogno di aiuto e forse potevamo darcelo a vicenda.

L’incontro… o per meglio dire… lo scontro con il lupo gigante…

Improvvisamente due profondi occhi neri fecero capolino nella mia mente.

Ormai la paura era passata e rimaneva solo la curiosità.

Come era possibile che esistesse un animale così grosso? Si trattava di una mutazione genetica?

A quel punto, però, la mia attenzione si focalizzò sul film. I miei occhi erano stati attratti da una scena: un uomo che si trasformava in un licantropo.

Più che licantropo, assomiglia ad un lupo… un lupo troppo cresciuto… pensai.

Improvvisamente nella mia testa, si accese una lampadina!

Un lupo gigante…

Fu come essere folgorata!

Ricordo di essermi paralizzata sul posto per almeno cinque minuti: non mossi un muscolo, gli occhi erano fissi sullo schermo e non battevo ciglio. Avevo l’impressione che anche il respiro si fosse fermato.

No… non può essere… non può trattarsi di un… no… è assurdo!

Più provavo a convincermi di quanto folle fosse quell’idea, più quel pensiero si radicava nel mio cervello.

Licantropo… era davvero un licantropo? Ho davvero incontrato un licantropo?

Tornai a guardare il televisore, come se potesse dirmi la verità. Il film era giunto ad una delle tante scene di combattimento tra vampiri e lycans.

Vampiri contro licantropi…

Che cosa mi ricordava questo?

E poi, anche la seconda lampadina mentale si accese, destando ricordi e portandomi indietro nel tempo…

Primavera 2005.*

“Avanti, Edward! Non fare il misterioso. Avevi promesso che avresti risposto a tutte le mie domande!” protestai, mentre, sdraiata comodamente sul divano di pelle nera di Edward con le braccia dietro la testa e le gambe accavallate, fissavo la schiena del vampiro. Edward si trovava davanti ad una delle immense vetrate della sua camera e contemplava il bosco attraverso il vetro.

“Non credo sia corretto dirti cosa loro siano…” rispose lui.

“Perché? Raccontandomi del patto, lo hai già violato: non capisco perché tu debba farti tutti questi scrupoli proprio adesso!” replicai, cercando di trovare una scappatoia.

“Beh… tecnicamente, la tregua prevede che i Quileutes mantengano il segreto sulla nostra vera natura, mentre noi dobbiamo limitarci a non mordere nessuno e a tenerci lontani dalle loro terre… non c’è nessuna regola che mi vieti di svelarti il loro piccolo segreto” spiegò il vampiro.

“E allora dov’è il problema? Mi hai già detto che siete nemici mortali: due razze destinate a combattersi per l’eternità… ma cosa sono i Quileutes? Se riescono a tenere testa a dei vampiri, immagino che siano ben equipaggiati…” ipotizzai, sperando di riuscire ad ottenere qualche informazione in più.

“è così… o al meno… lo era… non credo che esistano ancora creature come loro. Gli ultimi, che ho incontrato, erano quelli con i quali abbiamo stipulato la tregua” spiegò lui pazientemente, senza tradirsi.

Sbuffai infastidita.

“Tu è la tua stupida morale! Si può sapere a chi ti ispiri? Stefan Salvatore, per caso?” chiesi irritata.

Edward si voltò così velocemente che non ebbi il tempo di registrare il suo movimento. Arrossì violentemente e il mio cuore perse un colpo, quando mi ritrovai a fissare i suoi incredibili occhi magnetici.

Era impossibile abituarsi a Edward Cullen.

“Chi sarebbe questo Stefan Salvatore?” domandò incuriosito, senza distogliere lo sguardo dal mio viso.

Lo odiavo quando si comportava in quel modo. Lo faceva di proposito per confondermi e mettermi in imbarazzo.

“Non… non hai mai letto Il diario del vampiro di Lisa J. Smith?” chiesi, balbettando. Lui scosse il capo e quando ripresi il controllo della mia voce, aggiunsi “Uno dei protagonisti di questo libro è un vampiro, che si chiama Stefan Salvatore”.

Gli occhi dorati di Edward continuavano a scrutarmi, senza nascondere curiosità. Mi incantai nell’osservare la perfezione dei lineamenti del suo viso.

“E perché mi chiedi se mi sono ispirato a lui?” domandò ancora, inarcando un sopraciglio, dato che ero troppo impegnata ad ammirarlo, per ricordare che avevo lasciato il discorso a metà. Le sue parole mi portarono brutalmente alla realtà.


“Stefan Salvatore è un vampiro che cerca di vivere tra gli umani. Frequenta il liceo, nonostante abbia circa cinquecento anni. Si nutre di sangue animale, perché non vuole uccidere persone innocenti. Potrebbe avere qualsiasi ragazza ai suoi piedi, ma si innamora perdutamente di una diciassettenne.
È tremendamente noioso come te. Non fa altro che dire: è colpa mia… sono un mostro… devo fare la cosa giusta… sarebbe meglio se andassi via…” storsi la bocca, come se avessi ingoiato qualcosa di disgustoso “Davvero non hai mai letto questo libro? Sembra quasi che la Smith stesse pensando a te quando ha scritto di Stefan” aggiunsi alla fine, inclinando la testa e strizzando gli occhi per metterlo meglio a fuoco.

Un sorriso sghembo increspò le labbra di Edward e il mio cuore si fermò di nuovo nell’ammirare tanto splendore.

“Fammi indovinare: questo Stefan ti piace parecchio…” disse, con sguardo malizioso.

Che razza di bastardo!

“Niente affatto! Il mio cuore appartiene a suo fratello Damon. Lui si, che è un vero vampiro!” esclamai, sghignazzando.

Il sorriso scomparve dal viso di Edward.

Avrei voluto godermi quella piccola vittoria ancora un po’e mettere il dito nella piaga, ma decisi di riportare la conversazione dove più mi interessava.

“Suvvia, Edward! Dammi almeno un indizio” la mia voce suonava quasi implorante.

Il vampiro tornò a contemplare il paesaggio e a darmi le spalle.

“Non ci sono solo vampiri… esistono altre figure mitologiche che vivono là fuori, in tutta tranquillità, all’insaputa degli ignari esseri umani!”

“Tutto qui? Questo sarebbe un indizio?” mi lamentai “Sai una cosa? Credo che d’ora in avanti ti chiamerò Edward Salvatore… ti si addice! Oppure… che ne pensi di Stefan Cullen? E di Stefard? Forse è meglio Edfan” esclamai, sarcastica.

“Sono creature molto antiche, nate per dare la caccia ai vampiri come noi e proteggere il loro popolo…” disse, ignorando le mie battute di pessimo gusto. Sapevo che lo stavo irritando e la cosa non mi dispiaceva.

“Non ho intenzione di aggiungere altro!” annunciò in modo grave, come se stessimo parlando di chissà quale segreto di stato, estremamente top-secret. Dal tono secco della sua voce, capì che insistere sarebbe stato del tutto inutile.

Improvvisamente tornai al presente.

“… nate per dare la caccia ai vampiri come noi e proteggere il loro popolo…”

…Protettori…

“…proteggiamo la nostra terra…” la voce di Paul rimbombava nella mia testa, insieme a quella di Leah: “…sembrano convinti che il loro compito sia difendere la tribù, per questo si fanno chiamare Protettori…”

…nemici mortali, due razze destinate a combattersi per l’eternità…

…vampiri contro licantropi…

Potevo sentire il rumore prodotto dagli ingranaggi arrugginiti del mio cervello, che tentava di elaborare tutte le informazioni in mio possesso.

Spensi la televisione e mi rannicchiai sotto le coperte.

è impossibile… Paul non può essere un… oddio! Non riesco nemmeno a pensarlo! Forse sono pazza… eppure… quel lupo gigante…

Ancora una volta, i profondi occhi neri della creatura comparvero nella mia mente e non mi stupì di notare quanto assomigliassero a quelli di Paul…

Gli occhi vedono quello che vogliono vedere… pensai, ma ormai il collegamento era stato fatto ed era tremendamente difficile credere che fosse tutto frutto della mia sconfinata immaginazione.

“Non ci sono solo vampiri… esistono altre figure mitologiche che vivono là fuori, in tutta tranquillità, all’insaputa degli ignari esseri umani!” aveva detto Edward.

Se esistono i vampiri, perché non dovrebbero esistere anche i licantropi? mi chiesi.

Saltai giù dal letto e cominciai a passeggiare avanti indietro per la stanza.

Non è questo il problema, risposi, posso accettare l’esistenza di mostri e creature leggendarie, ma sono in grado di sopportare l’idea che Paul sia un… licantropo?

Domanda da un milione di dollari!

Beh… l’anno scorso eri perdutamente innamorata di un vampiro, non vedo dove stia la difficoltà nell’essere amica di un licantropo! mi dissi poco dopo.

Percorrevo la stanza a grandi passi. Avevo una terribile emicrania e sembrava che la testa fosse sul punto di scoppiare. Mi distesi sul letto, chiusi gli occhi e cominciai a massaggiarmi le tempie, sperando che il dolore si attenuasse. Sospirai pesantemente.

Questa situazione deve essere affrontata di petto. Non ci sono altre soluzioni: domani afferrerò il toro per le corna... o meglio… il lupo per le orecchie! Paul dovrà darmi delle risposte, che gli piaccia o no!

Quella notte dormì poco e male. I miei sogni erano popolati da creature di ogni genere, ognuna delle quali si rivelava, essere una persona di mia conoscenza: Edward un vampiro, Paul un licantropo, Lauren una strega, mia madre una sirena, Mike Newton un troll di montagna, Jessica Stanley un’arpia, mio padre un fantasma…

Quando la sveglia suonò alle nove del mattino, stavo fissando il soffitto da circa un’ora. Avevo dormito solo quattro ore e naturalmente non mi sentivo riposata per niente.

Dopo aver fatto colazione e una veloce doccia, presi la macchina e mi diressi a La Push, ignorando le domande di mia madre.

Questa è la volta buona che mi spedisce in collegio, pensai.

Non ero mai stata a casa di Paul, ma avevo preso il suo indirizzo dall’elenco telefonico. Trovare l’abitazione fu abbastanza semplice. Scendere dall’auto e convincermi a suonare il campanello fu, invece, una vera sfida contro me stessa, che vinsi solo dopo mille ripensamenti e tentennamenti.

Ero terrorizzata. Sapevo che Paul non mi avrebbe mai fatto del male, ma si trattava di un licantropo! L’ho già detto più volte, ma non mi stancherò mai di ripeterlo: io non sono Bella Swan. Magari, lei sarà felice di buttarsi tra le braccia di mostri con denti affilati, ma io no! E se ricordate la mia reazione, nel venire a conoscenza della natura vampiresca dei Cullen**, allora converrete che il mio comportamento è perfettamente in linea con me stessa.

Per questo motivo, quando la mamma di Paul, una signora dal viso tondo e affabile, mi invitò ad entrare, non potei fare a meno di pensare…

Eccomi qui, nella tana del lupo!


Provavo una spiacevole sensazione, come se fossi in trappola… non era una sensazione logica, perché la porta d’ingresso era alle mie spalle, quindi la via d’uscita era a portata di mano.
Stavo per affrontare Paul… tra non molto, la mia mera e confutabile ipotesi si sarebbe trasformata in cruda realtà. Man mano che passavano i minuti, il momento si avvicinava sempre di più e le possibilità di tirarmi indietro diminuivano velocemente. Forse era questo il motivo per cui mi sentivo in trappola: stavo andando incontro a qualcosa di inevitabile… presto avrei attraversato la linea di non ritorno!

Durante la notte insonne, che era appena trascorsa, avevo preparato un discorso eloquente e ben articolato. Purtroppo, quando Paul fece la sua apparizione nell’ingresso, con addosso dei semplici bermuda scoloriti e una maglietta senza maniche, il mio cervello si svuotò completamente e le poche parole di senso compiuto che ricordavo si bloccarono in gola.

Paul mi guardava con un’espressione stupita. Non si aspettava una visita da parte mia, dato che la nostra ultima conversazione non era stata del tutto amichevole.

“Ciao” sussurrò, impacciato, mentre sulla sua faccia compariva un grosso punto interrogativo.

“Ciao” fu l’unica cosa che riuscì a farfugliare.

Ero spaventata a morte e non sapevo da dove cominciare. Il mio cuore, come al solito, aveva intrapreso la sua folle corsa verso l’infarto. Racimolai quel poco di coraggio che mi rimaneva e tentando di non distogliere lo sguardo dal viso del ragazzo, dissi “Paul… io… ho bisogno di parlarti”.

“Dimmi” esclamò lui, incrociando le braccia muscolose al petto. Improvvisamente lo stupore era scomparso dal suo volto, per lasciare posto ad una finta indifferenza.

Fantastico! Un licantropo indisponente è proprio quello di cui avevo bisogno! pensai.

Il sarcasmo era la mia arma di difesa e decisi di usarla.

“Prego Yvonne, accomodati! Oh, grazie Paul, quanto sei gentile!!!” esclamai, lanciandogli un’occhiata contrariata.

Prendere in giro un possibile licantropo non era una mossa molto intelligente, ma con Paul il sarcasmo aveva sempre funzionato… almeno fino a quel momento!

A quanto pareva, però, la trasformazione in lupo gigante gli aveva fatto perdere il senso dell’umorismo, perché il volto di Paul rimase impassibile.

“Era un modo carino per farti capire che vorrei parlarti in privato, lontano da orecchie indiscrete…” gli feci notare, irritata dal suo comportamento.

Senza commentare la mia battuta, Paul mi fece segno si seguirlo. Mi condusse all’esterno della casa, fino ad un vecchio capannone, che ospitava una piccola barca a remi.

“Allora?” domandò, sedendosi su un vecchio scatolone e lanciandomi un’occhiata ansiosa.

Rimasi in piedi e cominciai a camminare avanti e indietro, proprio come avevo fatto la sera prima, nella mia stanza. Paul seguiva ogni mio movimento e la cosa non mi metteva a mio agio.

Come potevo introdurre l’argomento?

Carina la barca! Mi piacerebbe farci un giro. A proposito… ho scoperto che tu sei un licantropo!

No… decisamente no!

“Yvonne?”

Mi fermai davanti a Paul, che non smetteva di fissarmi. Sembrava nervoso, adesso.

“Io… io…” balbettai.

Il cuore tamburellava all’interno del mio petto. Mi torturavo le mani sudate e le gambe tremavano in maniera incontrollata, tanto che dovetti sedermi su un vecchio copertone, per evitare di cadere per terra.

“Tu, cosa?” mi incitò lui, alzando un sopraciglio. Sbaglio, o era un sorrisetto compiaciuto, quello che avevo intravisto sul suo viso?

“Yvonne… calmati per favore! Non ti mangio mica!” esclamò lui, sghignazzando.

Oh… carina questa! pensai, facendo una smorfia.

Improvvisamente, però, mi resi conto di una cosa…

Che diavolo…? Prima mi tratta come se fossi un’estranea e adesso comincia a scherzare come se nulla fosse? È una prerogativa delle creature mitologiche l’essere affetti da continui sbalzi di umore?

“Ascolta, Yvonne! Se sei venuta a parlare di quello che ci siamo detti l’ultima volta… sappi che non è necessario! Mi sono comportato male con te, non avrei dovuto alzare la voce. Quel farabutto ti aveva quasi aggredita… io ero ancora un po’ scosso e…”

“Paul!” lo interruppi “Non sono venuta per discutere di questo…”

Lui si immobilizzò immediatamente, come se gli avessi dato uno schiaffo.

“Ma allora…?”

“So tutto! Ho scoperto tutto, Paul!” risposi a brucia pelo, trattenendo il fiato, in attesa di una sua reazione.

Era stato come togliersi un cerotto: un gesto rapido ed estremamente doloroso, ma adesso che avevo sputato il rospo, sentivo di poter gestire la conversazione.

O al meno era quello che credevo…

Paul impallidì per una frazione di secondo. Si ricompose subito e invece di ritornare ad ostentare indifferenza, cercò di buttare la questione sul ridicolo.

“Oh, cavolo! Questa proprio non ci voleva! Sai tutto! Come farò adesso?” poi, assumendo un’aria da cospiratore, bisbigliò “Ti prego solo di non dire nulla a mia madre: non sarebbe felice di scoprire che suo figlio possiede un’intera collezione di film porno, nascosta sotto un’asse del pavimento!”

Una reazione prevedibile, la sua. Nonostante questa consapevolezza, mi irritai lo stesso.

“Paul! Smettila di scherzare. È una cosa seria” esclamai con tono grave e risoluto. La mia paura si era tramutata in determinazione.

“Davvero? Il punto è che io non ho idea di che cosa tu stia parlando. Quindi, potresti essere così gentile da illuminarmi?” chiese sarcastico, anche se non sembrava più tanto divertito quanto prima.

“So che cosa sei…” dissi, non riuscendo a mantenere ferma la voce.

Paul si lasciò sfuggire un sussulto. Senza attendere una sua replica, aggiunsi, sussurrando “Tu… sei… un… licantropo…”

Silenzio di tomba.

Stranamente avevo preso il controllo del mio corpo: il cuore batteva ad un ritmo normale, le mani erano ancora sudate, ma le gambe non vacillavano più. Mi chiesi da dove derivasse tutto quell’autocontrollo, ma non trovai una risposta.

Al contrario di me, Paul appariva sconvolto.

Ci guardammo per diversi minuti, senza dire nulla. Leggevo paura, frustrazione, insicurezza e rabbia sul suo viso. Avrei dovuto dire qualcosa per rassicurarlo, ma non riuscivo a trovare delle parole appropriate.

“Ti… ti rendi conto… di quanto suoni assurdo ciò che… che hai detto?” chiese, balbettando.

Solo in quel momento, mi accorsi che le sue spalle avevano cominciato a tremare e una vocina, dentro la mia testa, mi consigliò di stare attenta e non farlo arrabbiare.

Paul respirava in modo affannoso e il tremore del corpo stava aumentato inesorabilmente. Anche se Paul non aveva ancora confermato la mia ipotesi, sapevo di aver indovinato. La sua reazione era sufficiente come prova.

“Eri tu, ieri sera, non è così? Il lupo grigio… eri tu…” sussurrai.

I fremiti del suo corpo aumentarono ancora. Paul strinse i denti e serrò i pugni, ma non rispose.

Bella mossa, Yvonne! Complimenti!

Chiusi gli occhi, presi un bel respiro profondo e poi riaprendoli, mi alzai e mi sedetti accanto a lui. Posai una mano sul suo pugno bollente, ancora chiuso. Cercai di parlare nel modo più pacato possibile: Paul doveva calmarsi a tutti i costi. Me lo diceva l’istinto, anche se non sapevo perché.

“Paul… non… io… non devi avere paura…”

Brava, Yvonne! Sei un genio!

“Infatti! Non sono io quello che dovrebbe essere terrorizzato in questo momento!” ringhiò lui tra i denti, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, mentre il tremore non accennava a calmarsi.

“Non mi fai paura” dissi.

“Ah, no?” chiese lui con tono sarcastico e scettico.

“No! Sei sempre tu, Paul: un po’ più burbero, forse, ma pur sempre tu!” continuai.

La situazione non stava migliorando: invece di calmarlo, le mie parole lo facevano infuriare sempre di più.

“Vattene a casa, Yvonne!” sibillò, allontanando la sua mano dalla mia.

“Non credo sia necessario…” mi azzardai a replicare.

“Ti sbagli!” urlò lui, alzandosi e rifugiandosi nell’angolo opposto del capannone.

Non osai seguirlo. La voce nella mia testa mi diceva che era meglio mantenere le distanze.

“Devi credermi! A me non importa. Sei un licantropo, e allora? Non credo sia stata una tua scelta e comunque hai il compito di proteggere la tua comunità dalle creature malvagie. Me lo hai detto tu, ricordi? Non sei cattivo e non mi fai paura” spiegai.

Nulla, di quello che potevo dire, riusciva a tranquillizzarlo.

Forse dovevo solo stare zitta e aspettare che si calmasse.

O forse dovresti scappare, prima che succeda qualcosa di irreparabile!

“Yvonne… te lo ripeto solo un’altra volta! Torna. A. Casa.” scandì lui a denti stretti.

Si era inginocchiato a terra, aveva portato le mani alla testa e si dondolava avanti e indietro, nel tentativo di recuperare il controllo di se stesso.

Vederlo in quello stato mi sconvolse. Un leggero timore si fece largo nel mio cuore e un brivido freddo attraversò la mia schiena.

“Affermi di non essere spaventata, ma puzzi di paura!” ringhiò lui.

Sussultai nell’udire quelle parole.

In quell’istante, tutta la determinazione e tutto il coraggio che ero riuscita a raccogliere poco prima crollarono come un castello di carte. La consapevolezza, che lui potesse fiutare la mia paura, non faceva altro che destabilizzarmi ancora di più e di certo, non aiutava a calmarmi.

“Non resisterò ancora a lungo. Che cosa aspetti ad andare via?” domandò lui, disperato.

“Che… che cosa succede se…?” non riuscì a completare la domanda: si era formato un nodo in gola, che mi impediva di usare la bocca in modo appropriato.

“Pensavo che tu avessi capito tutto!” mi schernì, rivolgendo i suoi occhi neri e furiosi nella mia direzione “Credevi che fossi un cagnolino da compagnia, Yvonne? Mi dispiace di averti dato questa impressione, ieri sera… ma non è così! Sono pericoloso, molto pericoloso!”

“No…” sussurrai, scuotendo la testa energicamente, mentre automaticamente indietreggiavo di qualche passo.

“Lo vedi? È evidente! Tu hai paura di me… ti terrorizzo… ti disgusto…” esclamò Paul, il cui corpo era ancora scosso da fremiti involontari.

“No…” ripetei per la disperazione, in preda al panico.

“E INVECE SI!” urlò.

Accadde tutto molto velocemente.

Paul si alzò in piedi, buttò la testa indietro e un verso spaventoso proruppe dal suo petto: sembrava il ringhiare di una bestia feroce. Lo vidi piegarsi in avanti, mentre uno spasmo violento lambiva il suo corpo.

All’improvviso udì uno strappo e poi… Paul esplose!

Al posto della pelle bronzea comparve una pelliccia grigia e scura, mentre i brandelli dei suoi vestiti, volteggiavano in aria, come coriandoli.

Paul non c’era più, adesso: un enorme lupo ringhiava minaccioso contro di me. Mostrava i denti e i suoi occhi, neri come l’inchiostro, mi fissavano rabbiosi.

Non mossi un muscolo: il terrore mi aveva paralizzato e al tempo stesso, aveva acuito i miei sensi. Udivo ogni battito del mio cuore, ogni respiro affannoso, ogni rantolo prodotto dal mio petto.

“Paul…” lo implorai, ma il lupo non voleva calmarsi.

L’animale mosse un primo passo verso di me. Non riuscivo a spostarmi… sarei morta senza opporre resistenza?

Improvvisamente, un ululato lontano ruppe la bolla di tensione, rabbia e terrore dal quale eravamo avvolti. Il lupo si arrestò sul posto e volse il muso appuntito verso l’uscita del capannone. Contemplò per alcuni istanti il piccolo pezzetto di bosco, che si intravedeva da quel punto. Poi, posò lo sguardo su di me e capì che non correvo più alcun pericolo. Paul si era calmato: aveva smesso di ringhiare e i suoi occhi trasmettevano solo tristezza…

Emise un piccolo guaito e si precipitò fuori dal capannone, sparendo tra gli alberi della boscaglia.

Mi afflosciai a terra, come se il mio corpo fosse privo di tutte le sue ossa. Ci vollero diversi minuti, prima che riuscissi a calmarmi e a rimettermi in piedi. Non piangevo, ma non si poteva certo dire che stessi bene. Ero distrutta: la paura e la tensione avevano esaurito tutte le mie energie.

Ciononostante, raggiunsi la mia macchina abbastanza velocemente. Mi guardavo intorno, spaventata all’idea che il lupo potesse tornare e completare l’opera che aveva lasciato in sospeso.

Guidavo ma non avevo la più pallida idea di dove stessi andando…

La mia mente era affollata da mille pensieri e riguardavano tutti un’unica persona: Paul.

Ero stata una sciocca, una stupida. Mi ero lasciata guidare dalla curiosità, senza riflettere veramente. Avrei dovuto affrontare la questione in modo ponderato: l’idea che Paul potesse reagire male, non mi aveva sfiorato minimamente. E adesso, a causa mia, Paul si trovava chissà dove, a colpevolizzarsi per quello che era successo. Frequentando Edward Cullen, avevo acquisito una certa esperienza in fatto di creature sovrannaturali, che hanno la tendenza ad auto-commiserarsi e caricarsi di tutte le colpe possibili e immaginabili!

Ero preoccupata per lui, ma al tempo stesso l’idea di avvicinarmi a Paul mi faceva tremare di paura…

Provavo disgusto vero me stessa e la mia reazione… non avevo mai pensato a me come ad un’ipocrita, ma in quel momento non esisteva un’altra parola che potesse descrivermi in modo migliore.

In passato non avevo mai desiderato di allontanarmi da Edward, nemmeno quando aveva perso il controllo su se stesso e messo in mostra il suo lato malvagio. Eppure, anche se mi odiavo per questo, sapevo che avrei fatto di tutto, piuttosto che ritrovarmi ancora una volta faccia a faccia con quel lupo gigante.

Ipocrita!

Idiota!

Diedi un pugno al volante e accolsi con favore il dolore procurato alla mano…

Meriterei di peggio…

Non mi resi conto di aver fermato la macchina, né tanto meno di dove mi trovassi, fin quando qualcuno non picchiettò sul vetro del finestrino della mia auto.

“Yvonne! Che cosa è successo? Stai bene?”

Una Leah, dalla faccia profondamente perplessa, studiava il mio volto, in attesa di una risposta.

Era incredibile. Avevo guidato fino a casa Clearwater senza nemmeno accorgermene.

“Allora?” continuò la ragazza “Non ho tutta la giornata a disposizione. Hai intenzione di alzare quel culo dal sedile o devo farti scendere con la forza?”

Quel tono rude mi stupì parecchio, ma al tempo stesso riuscì a scuotermi: era proprio quello di cui avevo bisogno!

Presi l’ennesimo respiro profondo di quella mattinata, aprì lo sportello e saltai giù dalla macchina.

______________________

Nota di fine capitolo:


*Primavera, 2005: nella ff precedente, Edward porta Yvonne a casa Cullen. Per saperne di più, leggete la seconda metà del capitolo 9 e la prima metà del capitolo 10;
**“…la mia reazione, nel venire a conoscenza della natura vampiresca dei Cullen…”: vedere parte finale del prologo della ff precedente.

__________________________

Nota autore:

Cari lettori e care lettrici!

Mi spiace per il leggero ritardo, ma le lezioni stanno per cominciare e penso che non riuscirò a postare più di una volta alla settimana.

Ma andiamo subito al nuovo capitolo.

Non so cosa abbiate provato voi nel leggerlo, ma io ne sono rimasta scioccata. Il mio progetto era leggermente diverso, ma ad un certo punto, i personaggi hanno cominciato ad agire da soli. Paul ha iniziato a perdere il controllo, senza che me ne rendessi conto, mentre Yvonne, tanto abituata a frequentare vampiri, a quanto pare non ha retto tanto bene l’incontro con il licantropo. Cmq non temete. Le cose si sistemeranno presto. Yvonne è un po’ confusa al momento… ma farà presto chiarezza.

Per quanto riguarda il paragone tra Stefan Salvatore e Edward Cullen… spero che i fan non se la prendano. Il mio riferimento era mirato a far notare come la storia della Meyer, tanto apprezzata per il suo essere innovativa, alla fin fine non è poi tanto nuova! Fatemi sapere che cosa ne pensate…

Ringraziamenti.

Per Melody Potter: grazie, cara. Mi spiace se non ho aggiornato subito. Baci Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: ciao cara! Grazie per i complimenti. Si, il lupo era Paul. Come ti sembra questo capitolo? Fammi sapere. Per quanto riguarda il litigio tra Lauren e Yva, dovrai aspettare ancora un po’ per conoscere la verità! Grazie ancora. Bacioni Vannagio!

Per Eky_87: Grazie per i complimenti e non ti scusare per lo sfogo, contro Manuel. È del tutto comprensibile. Sono contenta che tu apprezzi il mio Paul. Certo, oggi non ha fatto sfoggio del suo lato migliore, ma il poveretto ha qualche difficoltà a controllarsi! Avremo modo di conoscere meglio Leah e il suo modo di pensare… Per quanto riguarda il problema Lauren… dovrai aspettare un pochino… Grazie ancora! Bacioni, Vannagio!

Per Midao: grazie per la recensione. Cmq, sei l’unica delle ragazze che hanno recensito a voler concedere a Manuel una possibilità… su un punto hai perfettamente ragione: Yvonne non ha dato a Manuel la possibilità di spiegarsi. Per conoscere la versione di Manuel e che cosa è successo tra Lauren e Yva dovrai aspettare, mi spiace. In questo momento Yva ha altri problemi!!! Grazie ancora. Bacioni, Vannagio!

Per Frammento: carissima! Si, in effetti, ho proprio buttato un’esca, posticipando il momento della rivelazione riguardante Manuel. Sei rimasta delusa dal comportamento del nostro batterista, vero? Anche io un po’… ma non ti abbattere, d’accordo? Un confornto tra la “mia” Rose e Leah? Oh, mio dio! Così mi fai venire l’ansia da prestazione XD!!! A proposito… ma a te la “mia” Rosalie era piaciuta? Grazie per la recensione. Bacioni Vannagio!

Per Astarte92: ciao! Sono contenta che il modo di deliniare Leah ti sia piaciuto. Beh… è vero! Yva fa amicizia con i personaggi “meno simpatici”. Ciò nasce dalla voglia di dare spazio a dei personaggi che nella saga vengono un po’ messi da parte… grazie per la recensione. Bacioni, Vannagio!

Per crazyfv: ciao carissima! Addirittura le lacrime? Non stai esagerando? Cmq anche io mi sono divertita a scrivere la scena del bosco. Devo dire però che adesso le cose si sono un po’ complicate… contro la mia volontà, però!!! È tutta colpa di Paul ed Yva! Hanno fatto tutto loro XD. Grazie per i complimenti. Sono contenta di essere riuscita a coinvolgerti… Fammi sapere cosa pensi del nuovo capitolo! Bacioni, Vannagio!

Per Razorbladekisses: ciao. Anche io sono sconvolta per quello che è successo tra Manuel e Yva… cmq, Paul non ha avuto l’imprinting con Yva, altrimenti avrebbe potuto raccontarle tutto senza problemi! Anche a me da fastidio come le persone trattino Leah… lo avevo notato in eclipse e BD e non l’ho mai potuto sopportare! Grazie mille. Bacioni, Vannagio!

Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la mia ff tra i preferiti e i seguiti! Grazie anche a Ebbi che mi ha inserita tra i suoi autori preferti! A presto, Vannagio!

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Capitolo 9
*** Amici - seconda parte ***


Amici - seconda parte: time out!


Mi trovavo nella stanza di Leah Clearwater.

Da circa mezz’ora, me ne stavo accucciata su una poltroncina di vimini, reggendo una tazza di cioccolata calda e fissando il vuoto davanti a me. Immersa nei miei pensieri, ero vagamente consapevole di avere addosso lo sguardo imbronciato di Leah.

“Ora basta! Sto perdendo la pazienza! Si può sapere che cosa ti è successo?” mi chiese irritata, all’improvviso.

Una domanda semplice per una risposta difficile.

In quel momento avrei voluto confidarmi con lei, raccontarle tutto, ma non potevo!

Leah aveva tutto il diritto di conoscere la verità riguardo la natura licantropesca del suo ex-fidanzato, ma non spettava a me rivelargliela. Inoltre, volevo risolvere i miei problemi. Poi, con la mente più lucida, avrei pensato a cosa fosse più giusto per Leah.

Capendo che non avevo intenzione di rispondere, Leah sbuffò infastidita.

“Non ho tutta la giornata, devo scrivere un saggio per il professore di letteratura!” esclamò Leah.

Spostai lo sguardo sul suo viso e, un po’ per curiosità, un po’ per cercare di sviare il discorso, chiesi “Vai a scuola? Pensavo che fossi già diplomata. Non sei un anno più grande di me?”

Un ghigno divertito attraversò il viso di Leah.

“Non sono mai stata una studentessa modello” confessò, sorridendo.

Se aprite il libro di New Moon al capitolo sei, vedrete che anche la Meyer ha fatto un piccolo accenno all’età di Leah.

…Leah frequentava la mia stessa classe ma aveva un anno più di me… (New Moon, capitolo sei)

“Ho dovuto ripetere il terzo anno, perché i miei professori non condividevano la mia idea di…” si interruppe bruscamente e indossando di nuovo la maschera imbronciata, domandò “Ma questo che diavolo centra? Non cambiare discorso! Sputa il rospo e racconta!”

Maledizione! Ero quasi riuscita a distrarla, pensai.

Ancora una volta non risposi.

Leah sembrava aver raggiunto il limite di sopportazione ma, invece di esplodere, respirò profondamente e chiese “Che ne dici se io faccio le domande e tu rispondi solo con un si o con un no?”

Silenzio.

“Chi tace acconsente!” esclamò.

Si lasciò cadere sul letto e incrociando le braccia dietro la testa, cominciò con l’interrogatorio.

“Allora… si tratta di un ragazzo?” la sua voce era priva di emozione.

Chissà se i miei problemi le interessavano veramente o lo faceva solo per dovere.

“Si” risposi, tentando di evitare in tutti i modi il suo sguardo indagatore.

“Manuel?” chiese secca.

“NO!” risposi con troppa enfasi.

“Paul?” domandò ancora, senza fare una piega alla mia reazione.

Sospirai pesantemente.

“Si…” ammisi in un sussurro.

Leah si mise a sedere a gambe incrociate sul letto e cominciò a scrutarmi con un’espressione così seria, da fare venire i brividi.

“Sei andata a parlargli, non è così?” colsi una leggera sfumatura nella sua voce, solitamente atona e monocorde.

Feci una smorfia. Leah era fin troppo intuitiva per i miei gusti. Ciononostante le risposi sinceramente: “Si”.

“E lui ti ha mandato a quel paese!” concluse, senza distogliere i suoi glaciali occhi neri dai miei. Sulla sua fronte si era formata una piccola ruga di disapprovazione.

“Non è una domanda…” replicai, restia ad ammettere il mio fallimento.

“Hai ragione, scusa. Ti ha mandato a quel paese?” chiese, assumendo un’espressione sarcastica.

Sembrava divertirsi, adesso. Beh… non si poteva certo dire che Leah Clearwater si annoiasse in mia compagnia!

“In un certo senso…” bisbigliai, rigirando il cucchiaio nella cioccolata ormai fredda.

Una mezza verità era meglio di una bugia, non credete anche voi?

“Yvonne!” esclamò improvvisamente Leah.

Si alzò dal letto, si posizionò di fronte a me e allargando le braccia, chiese “Che diavolo ti aspettavi? Che Paul ti accogliesse a braccia aperte? Che ti raccontasse tutta la verità? Stavo insieme a Sam da anni, tuttavia, non sono mai riuscita ad estorcergli un’informazione, che sia una!”

Mi guardava incredula, in attesa che dicessi qualcosa.

“A queste domande non posso rispondere con un si o con un no…” dissi, consapevole che l’avrei fatta infuriare.

“Piantala di fare l’idiota!” esclamò, alzando la voce.

“E va bene! Sono stata una stupida, ok? È questo che vuoi sentire?”

Anche la mia voce adesso era alterata. Non perché fossi arrabbiata con Leah, ma perché sapevo che lei aveva perfettamente ragione.

“No, certo, che no” rispose lei, parlando con tono più pacato.

Ritornò a sedersi sul letto, ravvivando i lunghi capelli corvini. Poi, posando nuovamente lo sguardo serio su di me, disse “Vuoi il mio parere? Lascia perdere Paul. Non hai bisogno di una storia problematica con un ragazzo che si comporta come se facesse parte dei servizi segreti”.

“Non è come pensi tu. Non sono andata a parlare con Paul, perché sono interessata a lui. Sono preoccupata… vorrei aiutarlo…” replicai, triste.

“Lo so che non avevi un secondo fine, ma è evidente che c’è… o che ci sia stato… qualcosa tra di voi… e di qualsiasi cosa si tratti non ti farà bene! Hai lasciato Manuel poco più di dieci giorni fa e anche se sei brava a gestire la situazione, più di quanto lo sia io, non significa che tu stia bene. Me lo hai detto tu ieri, ricordi?”

Ci fissammo a vicenda per alcuni secondi. Non sapevo cosa dire.

“Hai bisogno di prenderti del tempo e pensare a te stessa” aggiunse infine, accennando un sorriso.

Forse Leah aveva ragione. Non sapeva tutta la verità, ma aveva comunque centrato il cuore del problema: avevo bisogno di tempo, per schiarirmi le idee, per metabolizzare ciò che avevo scoperto su Paul, per mettere ordine nella mia vita.

In pochi giorni avevo dovuto affrontare molti cambiamenti: la troncatura con Manuel, il litigio con Lauren, la verità su Paul.

Dovevo temporeggiare per riflettere. Solo allora avrei potuto affrontare Paul ed eventualmente aiutarlo.

Avevo bisogno di una pausa: time out!

Ricambiare il sorriso di Leah fu molto difficile.

Passamo il resto della mattinata a scrivere il suo saggio di letteratura. Era un argomento che avevo già affrontato a scuola, così la aiutai, dato che Leah aveva perso del tempo prezioso a causa mia.

Arrivò l’ora di pranzo e con essa, anche il momento di tornare a casa. Mia madre era stata fin troppo clemente in questi giorni: non volevo sfidare ulteriormente la sorte.

A casa, la giornata passò lenta e monotona. Dedicai il pomeriggio ai compiti, senza riuscire a concentrarmi seriamente. La mia mente tornava sempre a Paul e a quello che era successo quella mattina.

La paura era momentaneamente svanita, anche se l’idea di rivedere il lupo gigante mi faceva tremare ancora.

Come puoi essere così ipocrita? Hai frequentato un’intera famiglia di vampiri senza battere ciglio… mi rimproveravo.

Provai a mettere a confronto il vampiro con il licantropo, per capire quale dei due fosse più pericoloso.

Beh… so poche cose sui licantropi, ma se dovessi esprimere un parere, così… su due piedi… direi che vampiro e licantropo sono più o meno sullo stesso piano in quanto a pericolosità.

E allora perché stai reagendo in questo modo? mi chiesi accigliata.

Perché Edward e gli altri membri della sua famiglia non hanno mai provato ad aggredirmi!

Beh… forse Jasper ci aveva fatto un pensierino… uno o due volte al massimo… ma era riuscito a trattenersi.

Vuoi dire che secondo te Paul è cattivo?

No, cattivo, no…

…imprevedibile, irascibile, facilmente irritabile e fuori controllo, si!

Dopo tutto dovevo aspettarmelo, no? I Cullen avevano alle spalle decenni di esperienza e ferrea disciplina, mentre Paul era un licantropo da… da quanto tempo? Pochi mesi? Un anno, al massimo?

Non potevo giudicarlo male, solo perché ero stata così sconsiderata da affrontare un licantropo, senza sapere a cosa stessi andando incontro.

Affermazioni molto nobili, ma la paura rimane, mi schernì una vocina impertinente.

Scossi la testa per scacciarla.

Mi serve tempo: time out!

Poco prima di cena, ero assorta negli esercizi di trigonometria, quando il cellulare cominciò a squillare. Saltai in aria per lo spavento e guardai con odio e disprezzo l’oggetto infernale che mi aveva causato un mezzo infarto.

Chi poteva essere?

Non c’erano molte possibilità: Lauren era fuori discussione, Paul non si poteva nemmeno prendere in considerazione, non avevo altri amici… poteva trattarsi solo di Manuel.

Il mio stomaco brontolò e il cuore perse un battito.

Afferrai il cellulare bruscamente, come se in quel modo potessi fare del male a Manuel. Stavo per staccare la chiamata, ma all’ultimo istante mi accorsi che non era Manuel a telefonare: era Leah Clearwater!

È vero! Ci siamo scambiate i numeri di cellulare questa mattina!

Lo avevo dimenticato…

“Pronto, Leah?” risposi, senza nascondere stupore.

“Perché tutta questa meraviglia? Non credevi che fossi in grado di usare un cellulare o non sai leggere il mio nome sul display?” chiese sarcastica.

“Non mi aspettavo una tua chiamata, ecco tutto!” spiegai, sorridendo.

“Mi sto annoiando a morte, quindi ho pensato: perché non rompere le scatole a Yvonne?”

Sembrava di buon umore, anche se diceva di annoiarsi.

“Sei a casa?” domandai curiosa.

“No, mi trovo dai Black con la mia famiglia. Billy ci ha invitato per cena. Ci sono anche l’Ispettore Swan e sua figlia!” raccontò lei, con tono non curante.

“Oh… adesso capisco perché ti annoi!” scherzai, commiserando Leah per la sorte avversa.

Essere costretta a sopportare Bella Swan per una serata intera: avevo già la pelle d’oca!

“La conosci?” chiese vagamente interessata.

“Di più… non la sopporto!” risposi, digrignando i denti.

“Mah… a parte il fatto che non ha aperto bocca da quando è arrivata e che Jacob Black le scodinzola dietro come un cane rincoglionito… non mi sembra così tremenda!” replicò Leah, ridendo.

“Se desideri continuare questa conversazione, ti consiglio di non parlare bene di Bella Swan!” la minacciai scherzosamente.

Leah stava ridendo! Incredibile!

“Da dove deriva tutto questo buon umore?” chiesi, non riuscendo a trattenermi.

“Niente di particolare… mio padre in questi giorni è stato poco bene, ma stasera sembra più sereno. Sta cercando di mangiare gli spaghetti con il ragù di Billy Black, senza farsi scoprire da mia madre! Fosse per lei, mio padre si nutrirebbe solo di verdure bollite!” raccontò, sghignazzando sotto i baffi.

“Sono contenta che tuo padre si senta meglio” dissi sincera.

Nessuno meglio di me poteva capirla… perdere il proprio padre era una cosa che non auguravo a nessuno!

Continuammo a chiacchierare fin quando mia madre non mi chiamò per la cena.

Che cosa dite? Volete delle prove in merito a questa telefonata?

Nessun problema! Basta che prendiate nuovamente il capitolo sei di New Moon.

…Quando entrammo [Leah] era al telefono e non si staccò un attimo dalla cornetta… (New Moon, capitolo sei)

E ancora.

…Sue provocò il marito rinfacciandogli i suoi problemi di colesterolo e tentando, inutilmente, di indurlo a mangiare verdure e insalate… (New Moon, capitolo sei)

Contenti?

La mattina dopo mi alzai alla buon’ora.

“Buongiorno cara, dormito bene?” mi salutò mia madre con il suo solito sorriso a trentadue denti.

“Si, abbastanza…” risposi sbadigliando.

Considerando gli avvenimenti del giorno prima, il mio sonno era stato anche troppo tranquillo. Intanto, qualcos’altro aveva attirato la mia attenzione.

Il sorriso di mia madre era diverso…

Strizzai gli occhi per scandagliarlo da cima a fondo.

Non si trattava del suo solito sorriso di facciata, quello che sfoggiava davanti ai vicini e i colleghi di lavoro per salvare le apparenze… era un sorriso sincero… radioso… solare.

Mia madre sprizzava felicità da tutti i pori come quando, mesi prima, aveva ottenuto il nuovo lavoro nella scuola della riversa di La Push.

“Ci sono novità?” chiesi, trapassandola con un’occhiata sospettosa che avevo ereditato proprio da lei.

“No, perché?” domandò mia madre, eludendo il mio sguardo e riponendo eccessiva concentrazione nel riempirsi la tazza di caffè.

“Perché sei così allegra?” domandai.

Se solo possedessi il potere di Edward! pensai.

“è una bella giornata!” rispose lei, continuando a sorridere come un ebete.

“Mamma! Piove a dirotto!” le feci notare, inarcando il sopraciglio.

“Yvonne, non perdere tempo o arriverai tardi a scuola” e prima che potessi replicare, si rifugiò nel bagno, con la scusa che doveva prepararsi per andare a lavoro.

Qui gatta ci cova!

In macchina rimuginai sull’atteggiamento di mia madre per tutto il tragitto fino a scuola.

Mi nasconde qualcosa…

Sussultai, terrorizzata.

“Perché Yva reagisce così?”, vi starete chiedendo...

L’ultima volta che mia madre mi aveva tenuto nascosto qualcosa lo aveva fatto per un motivo ben preciso: farmi una sorpresa. Purtroppo per me, le sorprese di mia madre non sono mai state molto azzeccate!

Non ci credete? State a vedere, allora…

Qualche anno fa.

Avevo lottato strenuamente con mia madre per ottenere il permesso di comprare un'auto. Ero stufa di dipendere da lei per spostarmi da casa e di prendere l’autobus per andare a scuola. Così avevo lavorato sodo, durante i mesi estivi, per racimolare i soldi necessari.

Finalmente avrei avuto una macchina tutta mia!

Un giorno, ero appena tornata da scuola e notai uno strano veicolo verde, posteggiato sul vialetto di casa, che bloccava completamente il passaggio.

Mi stavo guardando intorno, per individuare il proprietario e cantargliene quattro, quando mia madre saltò fuori dal travicolo in questione, urlando “SORPRESA!”

Potete immaginare la mia reazione: rimasi agghiacciata!

“Non è stupendo? Alla tua età ho sempre desiderato di possederne uno così!” strillò mia madre, tutta contenta.

Con grande sforzo di volontà riuscì ad indirizzare lo sguardo verso il veicolo.

“Che cosa sarebbe questo... coso?” balbettai inorridita.

La mia domanda non riuscì a scalfire l’entusiasmo di mia madre.

“Ma è ovvio, no? Un maggiolino… come quello del film!*” spiegò lei, al settimo cielo.

Ah… è una macchina! Ecco spiegate le ruote. Adesso devo solo scoprire perché si trova posteggiata sul nostro vialetto e il nome dell’imbecille che l’ha colorato in quel modo, pensai sarcastica.

Il mio stomaco protestò per il disgusto.

Non sarà per caso la MIA nuova macchina, vero?

“Nuova” per modo di dire, ovviamente.

Mia madre mi guardava in attesa che dicessi qualcosa.

Avrei voluto fare tante cose in quel momento: urlare di rabbia, insultare mia madre, prendere a calci quell’aggeggio color verde mela, scappare… ma non feci nulla di tutto ciò. Mi sforzai di sorridere e ringraziai mia madre per il bellissimo regalo.

Non mi sembrava di pretendere molto: volevo la possibilità di scegliere da SOLA la macchina con la quale sarei andata a scuola, sotto gli occhi di TUTTI i miei compagni!

Non chiedevo mica la luna e nemmeno una Ferrari… ma qualcosa che assomigliasse a un’auto, si!

Mia madre aveva fatto di testa sua, come sempre del resto.

Adesso capite perché dico che la sfiga mi perseguita?

Adesso capite perché tremo al pensiero, che mia madre abbia una sorpresa in serbo per me?

Ma torniamo al racconto principale…

Le lezioni della mattina erano passate abbastanza velocemente. Gli esercizi di trigonometria si erano rivelati tutti sbagliati, ma non mi disperavo. Ero lucidamente consapevole di avere pochissime probabilità di superare l’esame. I piagnistei erano inutili e la mia ignoranza nel campo della matematica senza limiti!

Stavo pranzando da sola e ogni tanto lanciavo delle occhiate a Lauren, che era seduta con Jessica e il resto della comitiva. C’era anche Bella: sembrava essersi svegliata dallo stato comatoso in cui si era trovata fino a qualche giorno prima. Era merito del piccolo Jacob Black? Parlava con Angela e Mike, come se nulla fosse successo. A giudicare dalla sua espressione, Lauren stava spettegolando con Jessica.

Poco prima del suono della campana, le vidi alzarsi per dirigersi in classe. Passarono davanti al mio tavolo senza rivolgermi uno sguardo.

Mi sentivo in uno di quei film per teenagers, dove il classico gruppo di cheerleaders/ragazze popolari evitano la sfigata di turno. Solitamente la sfigata finisce con l’entrare nel gruppo delle cheerleaders, guadagnandosi la loro amicizia e spopolando tra la popolazione studentesca e maschile… ma naturalmente non era il mio caso!

“Alleluia. Bella è tornata” stava mormorando Lauren con espressione tutt’altro che contenta. Angela rivolse a Bella un sorriso gentile per rassicurarla.

“Che giorno è oggi?” chiese la Swan.

“Il 19 gennaio” rispose Angela, ma non riuscii più a captare il resto della conversazione, perché ormai il gruppo era troppo lontano.

Lauren mi mancava più di quanto riuscissi ad ammettere e il suo comportamento nei miei confronti mi faceva stare male.

Dannazione! diedi un pungo sul tavolo, attirando l’attenzione dei pochi ragazzi rimasti in sala mensa.

Sono io quella che dovrebbe sentirsi offesa, non lei!

E i ricordi riaffiorarono prepotentemente…

Qualche giorno dopo la fine delle vacanze natalizie.

Lauren ed io stavamo pranzando nella mensa scolastica. Mia cugina aveva deciso che quella sera saremmo andate al cinema.

Dico aveva deciso e non avevamo deciso, perché non ero dell’umore adatto per vedere un film. A dirla tutta, non avevo voglia di fare niente. Fosse stato per me, sarei rimasta a letto per tutto il resto della mia vita.

Naturalmente Lauren non era la tipa che si faceva scoraggiare da un no o da un comportamento apatico, quindi ciarlava a ruota libera, proponendo film da vedere. Era il suo modo per tirarmi su di morale e non farmi pensare troppo a Manuel.

“Che ne dici del film sulla Presidentessa degli Stati Uniti?” chiese addentando un pezzo di pizza al salame.

“Uhm…” mugugnai, mentre contemplavo il mio hamburger.

“Preferisci un film d’azione?” chiese ancora.

Ignorando la sua domanda sollevai lo sguardo verso l’entrata della sala mensa.

“Pericolo in vista!” annunciai, sfoderando il primo sorriso di quella giornata.

Conner si stava avvicinando a grandi passi. Quel ragazzo mi faceva una gran tenerezza, forse perché mi ricordava me stessa: imbranato, un po’ sfigato e disperatamente infatuato… per questo motivo, probabilmente, mi ero presa a cuore la sua causa e cercavo di spingere Lauren verso di lui. Dopo i tragici avvenimenti, mi sentivo molto solidale nei suoi confronti e una piccola parte di me credeva che, aiutando lui, avrei aiutato anche me stessa.

“Oh, no! Nascondimi!” mi implorò Lauren, cercando di coprirsi il viso con la lattina di aranciata.

“Troppo tardi…” sussurrai, poco prima dell’arrivo di Conner.

“Ciao ragazze! Come va?” chiese lui, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Anche se la domanda era stata rivolta ad entrambe, Conner aveva gli occhi puntati su Lauren, la quale, invece, sembrava essere troppo presa dai resti della sua pizza per notarlo.

“Tutto bene, Conner. E tu?” domandai, visto che Lauren non dava segno di voler rispondere. Lo ignorava in un modo sfacciato e la cosa mi irritava parecchio.

Conner sorrise riconoscente e rispose “Benissimo, grazie. Questo finesettimana compio gli anni e sto organizzando una festa e beh… mi stavo chiedendo se…”

Gli occhi del ragazzo andarono a posarsi sul pavimento. Arrossì e si grattò la testa: si vedeva lontano un miglio che era in imbarazzato.

Nel frattempo Lauren continuava a fare finta che Conner fosse invisibile.

“Si?” lo incoraggiai, sorridendo.

Conner prese un respiro profondo e chiese, tutto di un fiato, “Vi andrebbe di venire? Ci saranno tutti gli studenti del nostro anno… o quasi…”

Conner aveva il fiatone e guardava Lauren con aria speranzosa.

Anch’io stavo fissando mia cugina, ma con un’espressione un tantino diversa… le pestai un piede sotto il tavolo, mentre con lo sguardo la ammonivo severamente.

“Ahia!” urlò lei, lanciandomi un’occhiata omicida.

“Che cosa ne pensi, Lauren?” chiesi, ostentando una voce mielosa.

Se avesse potuto, mia cugina mi avrebbe uccisa. Per mia fortuna c’erano troppi testimoni intorno a noi. Lauren spostò i suoi acquosi occhi celesti dal mio viso a quello di Conner e con tono antipatico e sgarbato, disse “Spiacente Conner: sono impegnata!”

Tornò a fissare il suo piatto, ma il ragazzo non sembrava voler mollare.

“Non puoi rimandare il tuo impegno?” domandò con voce lamentosa, quasi supplichevole.

Lauren ritornò a fissarlo intensamente. I suoi occhi facevano paura.

Oh, no… Lauren… per favore, non farlo. Conner non se lo merita! pensai afflitta, ma ormai era troppo tardi.

“Vuoi sapere perché non verrò alla tua festa? Perché sei un perdente e uno sfigato ed io non frequento gli sfigati!” esclamò Lauren, con voce alterata.

Quelle parole mi fecero ribollire il sangue.

“È vero, siamo andati al ballo insieme, ma questo non ti da il diritto di rompere le scatole continuamente. Solo l’idea di starti vicino mi fa venire la pelle d’oca. Hai capito? Smettila di importunarmi. Tu non mi piaci. Lasciami in pace e sparisci!” urlò infine.

Conner aveva la faccia di chi era stato appena investito da un treno, mentre Lauren tornò a mangiare il suo trancio di pizza come se nulla fosse successo.

Per quanto mi riguardava, ero quasi più sconvolta di Conner. Non riuscivo a credere che Lauren avesse detto quelle cose orribili…

Quasi non mi accorsi di Conner che correva fuori dalla mensa.

“Dove stai andando?” chiese Lauren meravigliata, vedendomi in piedi.

“In classe” risposi gelida e senza aggiungere altro, la lasciai sola.

“Ehi! Ragazzina!”

Un richiamo e una brusca pacca sulla spalla mi riportarono al presente. Il bidello mi guardava perplesso, mentre io sbattevo le palpebre stupidamente.

“La campana è suonata da un pezzo” gracchiò l’uomo, spazientito.

Come se fossi seduta sui carboni ardenti, saltai in piedi e mi precipitai in aula, maledicendo per l’ennesima volta la mia cattiva sorte.

Bene, ragazzi e ragazze!

Per oggi basta così…

Ci vediamo presto, la vostra Yvonne.

____________________________

Nota di fine capitolo:

*“Un maggiolino… come quello del film!”: mi riferisco al film “Un maggiolino tutto matto” di Robert Stevenson del 1969.

_______________________

Nota autore:

Bene… anche questo capitolo è cominciato come volevo e finito come mi ha imposto Yvonne…

Volevo far riconciliare Paul e Yva subito, ma poi Leah ci ha messo lo zampino, dicendo che Yva ha bisogno di tempo, che deve riflettere… così, come al solito hanno fatto tutti di testa loro…

Per favore… non chiamate l’ambulanza: sono ancora sana di mente… forse…

Cmq il racconto su Lauren non è ancora finito. Non penserete mica che sia finita qui, vero? Litigare per colpa di Conner sarebbe stupido… diciamo che è stato il fatto scatenante…

Non credo ci sia altro da aggiungere, quindi passo ai ringraziamenti.

Per C4rm3l1nd4: ciao cara! Ti ho scioccata con il cap precedente, vero? Ma non temere… Paul e Yva si chiariranno… prima o poi XDDD. Sono contenta di averti lasciata senza parole! Grazie per i complimenti. Bacioni, Vannagio!

Per Frammento: allora… in questo capitolo si intravede il carattere di Leah, dimmi come ti sembra… sono un po’ nervosa però! Riguardo il tuo discorso sugli umani, sono d’accordo su quello che hai detto, ma non mi sbilancio più di tanto perché sai bene come la penso sugli spoiler! Le tue recensioni mi mettono sempre allegria! Cmq… ho letto e risposto tramite e-mail alla recensione che hai postato nella ff sulla nuova generazione (Harry Potter). Ti ringrazio tanto per le belle parole! Bacioni, Vannagio!

Per Eky_87: cara, non temere: la nostra Yvonne si riprenderà presto. Dalle un po’ di tempo! E credo che nel prossimo capitolo, salvo cambiamenti improvvisi, Yva e Paul avranno la possibilità di parlare. Ritieniti fortunta per questa anticipazione! Cmq grazie per la recensione e i complimenti. Baci, Vannagio!

Per crazyfv: non c’è cosa più bella per me di sentire che le mie lettrici si facciano coinvolgere dalla mia ff. Sono contenta di essere riuscita a rendere palpabile la tensione tra Yva e Paul… purtroppo, in questo capitolo Paul non si è visto, ma nel prossimo ci sarà! Grazie per i complimenti e per le recensioni sempre puntuali! Baci, Vannagio!

Per Sailormoon81: mi ha fatto molto piacere ricevere la tua recensione. Quando ho notato il tuo nome nella lista delle seguite, ho sbirciato nel tuo profilo e ho visto che hai pubblicato un romanzo! Quindi immagina il mio stupore e la mia contentezza nel leggere il tuo commento. Mi sento lusingata dal fatto che tu abbia avuto la pazienza di leggere e addirittura recensire la mia umile ff. Grazie, grazie, grazie! Sono pienamente d’accordo su quello che hai detto riguardo Paul e Leah. Non posso che essere contenta del fatto che i “miei” personaggi ti piacciano. Ti ringrazio anche per avermi fatto notare gli errori… riguardo il passato remoto, non lo sapevo… una lacuna che fortunatamente tu hai colmato. Invece per la punteggiatura, cerco di starci attenta di solito… vorrà dire che raddoppierò l’attenzione! Ti prego di farmi notare altri errori, non farti scrupoli! Grazie ancora, Vannagio!

Per Midao: grazie per i complimenti. Si, in effetti, mi piace dare spazio ai personaggi meno approfonditi, non tanto perché è più facile gestirli, ma per una sorta di giustizia… non mi va che la Meyer li abbia snobbati in questo modo! Per quanto riguarda Manuel… ci vuole un po’ di pazienza… ma tornerà, stai tranquilla! Bacioni, Vannagio!

Per Kumiko_Chan_: ehi! Cominciavo a temere che ti fossi stancata di me, sai? Cmq come al solito le tue recensioni sono bellissime! Le cose tra Paul e Yva si risolveranno presto, non temere. È vero, Manuel e Yva non si sono più sentiti da quel giorno, ma non è ancora finita del tutto… anche loro devono affrontarsi, prima di decidere definitivamente… per quanto riguarda Lauren, in parte ho svelato il mistero, ma manca ancora un pezzo! Leah… Leah… non so se sia abbastanza IC. La Meyer la descrive sempre incaxxata con tutti e tutto, ma io non riesco a descriverla sempre così… è possibile che pensi perennemente a Sam? Ci sarà qualche attimo della sua vita in cui non ci pensa, no? Fammi sapere quello che pensi! Infine… accenni al padre di Yva: servono a ricordare al lettore che Yva è orfana di padre e, forse, più avanti, potrebbero servive ad altro… ma non mi sbilancio! XD Grazie per la recensione. Baci e bentornata! Vannagio!

Grazie anche a tutti i silenti lettori!

A presto, Vannagio!

P.S.: per caso qualcuno di voi sa dirmi in quale occasione Leah e Seth si sono trasformati per la prima volta in licantropi? O al meno indicarmi dove trovare questa informazione? Ho una vaga idea di come sia andata, ma voglio esserne certa!

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Capitolo 10
*** Ripetizione ***


Ripetizione: gli oscuri e misteriosi intrecci del destino.


Quello stesso lunedì, tornai a casa di pessimo umore.

Dopo la pausa pranzo, infatti, ero stata rimproverata dal professore di fronte all’intera classe per essere arrivata in ritardo e Mike Newton non aveva mancato di ridermi in faccia per tutto il tempo.

Mi rifugiai nella mia stanza, prima che mia madre potesse fare domande indiscrete. Mi lasciai cadere sul letto a faccia in giù. Una vena aveva cominciato a pulsare, provocandomi un dolore fastidiosissimo alla testa. Ero esausta, ma non si trattava di una stanchezza fisica. Era colpa della mia vita che stava andando letteralmente a rotoli.

Ricordare il litigio con Lauren mi aveva fatto naufragare in un mare di disperazione, dal quale cercavo di salvarmi disperatamente. Stavo facendo del mio meglio per nuotare e rimanere a galla, ma i miei tentativi sembravano inutili.

Voglio morire, pensai.

Leah diceva che avevo reagito meglio di lei a quella situazione ma io non ne ero convinta… all’improvviso, l’idea di diventare un’ameba e di estraniarmi dal resto del mondo, come aveva fatto la Swan, non mi sembrava più così malvagia.

Chissà, magari la Mezza Albina è più furba di Leah e me: forse ha ragione lei…

Il cellulare cominciò a squillare ma cercai di ignorarlo.

Purtroppo quel suono insistente e petulante mi fece cadere in uno strano stato di trance. E come accadeva spesso in quel periodo, la mia mente tornò indietro nel tempo.

Lo stesso giorno in cui Lauren aveva umiliato Conner…

Ero appena tornata a casa. Mia madre non c’era: sicuramente si trovava ancora a scuola.

Anche quel giorno, ero di pessimo umore a causa di Lauren. Non era la prima volta che la vedevo maltrattare verbalmente qualcuno, ma questa volta la situazione era diversa.

Fino a quel momento i destinatari dei suoi insulti erano stati persone che se lo erano meritato, mentre Conner non aveva fatto nulla di male: l’unica “colpa” di cui si era macchiato era avere una grande cotta per Lauren.

Il mio risentimento, però, non era dovuto esclusivamente a Conner. Le parole di mia cugina avevano colpito anche me.

Sfigato e perdente.

In Conner vedevo me stessa…

In Lauren vedevo coloro i quali mi avevano definito nello stesso modo per diversi anni…

Per questo motivo, ero stata ignorata e snobbata, neanche avessi la lebbra.

Avevo sempre saputo che Lauren non era una santa, ma credevo che, in fondo, fosse diversa da Jessica, Mike e tutti gli altri.

A quanto pareva la mia capacità di giudizio aveva fatto cilecca. Ancora una volta.

Improvvisamente qualcuno suonò il campanello.

Aperta la porta d’ingresso, non potei fare a meno di pensare: Lupus in fabula!

Una Lauren perplessa stava studiando il mio volto, in attesa che facessi qualcosa.

“Ciao” mi salutò incerta.

Non le risposi: lasciai la porta spalancata, per farle capire che poteva entrare. Andai in cucina, consapevole che Lauren mi stesse seguendo: sentivo i suoi occhi perforarmi la schiena. Cominciai a prepararmi un panino, senza dire una parola o degnarla di uno sguardo. Ero intenzionata a farle capire che l’aveva combinata grossa e avrei preteso da lei un sincero pentimento.

“Che cosa è successo?” chiese Lauren preoccupata.

Con la coda dell’occhio, mi accorsi che stava seguendo ogni mio gesto con la massima attenzione.

“Niente” risposi secca, mentre spalmavo il burro d’arachidi su un lato del panino.

Doveva capire da sola quale fosse il problema.

“Oggi sei scappata senza salutarmi…” tentò di nuovo.

Sperava di ottenere qualche indizio e decisi che uno potevo concederglielo.

“Non eri tu quella a cui non piaceva frequentare sfigati e perdenti?” domandai, parlando con tono freddo e distaccato.

Chiusi il barattolo del burro di arachidi e posai il coltello nella lavastoviglie. Poi mi voltai verso di lei e attesi una sua reazione, senza toccare il panino. Mi era passata la fame o forse non l’avevo mai avuta e avevo preparato il panino solo per tenere impegnate le mani.

“Di che diavolo stai parlando?” chiese subito, sgranando gli occhi. Sembrava stupita.

“Lauren, con me non attacca. Lo sai benissimo a cosa mi riferisco!” replicai, irritata, fulminandola con lo sguardo.

“È per quello che ho detto a Conner?” domandò ancora lei. Adesso lo stupore era scomparso dal suo viso.

“Guarda un po’! Hai indovinato” confermai sarcastica “Era proprio necessario umiliarlo in quel modo?”

“È solo colpa tua!” dichiarò improvvisamente.

“Mia? Colpa mia?” per la meraviglia avevo alzato la voce di un’ottava “Ti rendi conto di quello che stai blaterando? Non ti ho mica minacciato con un fucile!” mi difesi, gesticolando in modo sconnesso.

Lauren sembrava convinta di essere nel giusto. Mi guardava negli occhi con un’espressione seria, quasi arrabbiata.

“Se avessi speso le tue energie per comportarti da vera amica, piuttosto che provare a combinarmi un appuntamento con quel…” la interruppi bruscamente.

“Con quel... cosa? Perdente, sfigato, fesso?”

Quelle parole bruciavano dentro di me come fiamme vive.

“Si, penso questo di Conner. Sono stronza e superficiale, non faccio altro che sputare veleno sulle persone che non sopporto e la mia più grande passione è il pettegolezzo. Questa sono io, questa è Lauren Mallory, che ti piaccia o no” disse Lauren, il cui volto era ormai sconvolto dalla rabbia.


“Tu mi conosci bene, ormai. Avresti dovuto intuire che incoraggiare Conner avrebbe portato me a reagire in quel modo… dovevo trovare un espediente per liberarmene!
“Sei stata sleale nei miei confronti. Sapevi che lui non mi piaceva, ma hai preso ugualmente le parti di un estraneo, quando invece dovevi aiutare me. Conner ha pagato le conseguenze delle tue azioni. Insomma, Yvonne… chi ti credi di essere? Un’agenzia matrimoniale?”

Lauren aveva la tipica espressione dell’amica ferita.

In fondo non aveva tutti i torti, ma i miei errori non potevano giustificare il suo atteggiamento. Inspirai profondamente per recuperare un po’ di calma e dissi: “Ok, forse ho sbagliato, ma dovevi proprio prendertela con Conner? Non potevi…?”

“Vogliamo parlare di persone che non meritano comportamenti simili?” questa volta era stata Lauren ad interrompere me “Bene! Che mi dici di Manuel?”

Nell’udire quel nome, la sorpresa mi prese in contropiede, lasciandomi senza fiato. Ci volle qualche attimo prima che potessi recuperare l’uso della parola.

“Che cosa centra Manuel in questo discorso?” balbettai, poco dopo.

“Oh, per favore Yvonne! Centra, eccome se centra. Ti stai comportando come una bambina dell’asilo!” esclamò lei, furiosa e rossa in viso.

“Come? Forse hai bisogno che ti rinfreschi la memoria…” insinuai, sarcastica, guardandola in cagnesco.

“Non è necessario, grazie! Me lo hai raccontato così tante volte che, neanche se fossi colta da Alzheimer precoce, potrei dimenticarlo. Yvonne, stai commettendo un grosso errore!”affermò alla fine, lasciandomi basita.

Ancora una volta, per alcuni secondi non riuscii ad emettere alcun suono. Stavo tentando di decifrare il significato delle sue parole: stai commettendo un grosso errore.

IO!!! IO? Stavo commettendo un errore? IO?!

Il mio cervello era andato in corto circuito.

“Sei pazza!” riuscii ad urlare.

La rabbia cresceva ad ogni secondo… il viso si tingeva di rosso… e mi sentivo pericolosa in quel momento. Lauren doveva stare molto attenta a come parlava…

“Non gli hai dato il tempo di parlare, di spiegarsi... capisco che in quel momento fossi sconvolta, ma adesso è venuto il tempo di affrontarlo, di ascoltare ciò che Manuel ha da dirti. Telefona a tutte le ore: questo vorrà dire qualcosa, non credi? Forse si è pentito…” spiegò lei, cercando di modulare la voce: forse aveva intuito il mio stato d’animo.

Ma ormai avevo raggiunto il limite di sopportazione. Non riuscivo a credere alle mie orecchie: Lauren aveva veramente detto qualcosa a proposito di Manuel o lo avevo solo immaginato?

“E tu mi parli di slealtà? Ti lamenti se prendo le parti di Conner, mentre tu ti auto-nomini avvocato del Diavolo? E poi sarei io quella che non si comporta da buona amica?”

Era come se fossi stata tradita un’altra volta: la mia migliore amica prendeva le difese di quel…

“Sei ingiusta Yvonne!” esclamò Lauren, bloccando i miei pensieri.

“Io, ingiusta?” urlai, incredula.

Ogni cosa di quella conversazione mi sembrava assurda: le frasi… le parole… e perfino la punteggiatura!

“Si, ingiusta! Ti consolo, ascolto le tue pippe mentali su Manuel e Andrea senza mai lamentarmi, cerco di distrarti dai tuoi problemi… ma quando è stata l’ultima volta che abbiamo parlato di me? Mi hai mai chiesto se c’è qualche ragazzo che mi piace? Se ho una cotta per qualcuno? Se ho voglia di fare un po’ di shopping? Sono stufa di ascoltare i tuoi piagnistei, sono veramente stufa!” affermò alla fine, battendo il pugno sul piano della cucina e scoccandomi un’occhiata furente.

“Ti sei stancata di sorbirti i problemi di una sfigata?” chiesi, infervorata. La mia era una domanda retorica: conoscevo già la risposta.

“Non penso questo di te e lo sai bene” rispose lei, digrignando i denti.

“Davvero? Ma è quello che pensi di Conner, no? Perché dovrebbe essere diverso per me?” domandai, sfoggiando un sorriso amaro.

“Perché? Conner è una nullità… tu sei mia cugina!” esclamò Lauren, esasperata. Lo aveva detto come se fosse una cosa ovvia.

“Ma prima non era così. Prima mi evitavi, mi ignoravi…” le rinfacciai con il tono di voce più duro e freddo di cui ero capace. “Ammettilo: non vedi l’ora di scaricarmi e tornare dalla tua adorata e popolare Jessica”.

Adesso che ero riuscita a dirlo ad alta voce, sembrava che non ci fosse verità più grande di quella.

Lauren rimase un attimo in silenzio a fissarmi intensamente.

“è questa la considerazione che hai di me, dopo un anno di amicizia?” chiese, con voce improvvisamente calma.

Non risposi.

Mantenni lo sguardo incollato sul suo. I suoi occhi azzurri erano carichi di disprezzo e lanciavano saette nella mia direzione.

“Sai che cosa ti dico? Hai ragione… sei una sfigata! Una sfigata che non è capace di avere amici o di tenersi stretto il proprio ragazzo! Mi spiace solo di aver perso tutto questo tempo con te. Dovevo rendermene conto prima” dichiarò infine con voce tremante.

Quelle parole ebbero lo stesso effetto di una stilettata al cuore, con l’unica differenza che ero ancora viva. Purtroppo.

“Bene” esclamai improvvisamente, riuscendo a stento a trattenere le lacrime “Meglio tardi che mai”.

La condussi fino all’ingresso e le aprii la porta, come se fosse un ospite di riguardo. Attesi sulla soglia di casa, fin quando Lauren non fu salita sulla macchina. Poi, come un automa, camminai fino alla mia stanza. Chiusi la porta a chiave e cominciai a piangere.

Il giorno dopo, all’ora di pranzo, Conner attese Lauren all’ingresso della mensa. Di fronte all’intera scuola, riuscì ad appiccicarle una gomma da masticare tra i capelli, dimostrando a tutti di non essere così sfigato e perdente, come pensava mia cugina.

A nulla valsero i tentativi di Jessica e Angela di staccarle la gomma dai capelli e Lauren fu costretta a ricorrere al parrucchiere.

…[Lauren] aveva accorciato la sua chioma, color grano: adesso aveva un taglio da maschietto, tanto corto da scoprirle la nuca. Strano da parte sua. Mi chiesi il perché di quella scelta. Si era ritrovata una gomma da masticare tra i capelli? Li aveva venduti? I bersagli dei suoi soliti commenti acidi l'avevano aspettata all'uscita della palestra e rapata a zero?… (New Moon, capitolo sei)

Le emozioni che provai in quella circostanza erano contrastanti: da un lato avrei voluto allontanare Jessica e occuparmi personalmente di mia cugina, consolandola come tante volte lei aveva fatto con me; dall’altro lato le parole di Lauren risuonavano nella mia mente, prepotenti e forti come non mai, accendendo rabbia e rancore.

Lauren non era più affar mio, adesso! Dovevo mettermelo bene in testa.

Il cellulare riprese a squillare ed io ritornai al presente. Continuava a suonare, come a volermi fare un dispetto.

Guardai il display.

Era lui.

Come al solito, staccai la chiamata e spensi il cellulare, mentre calde lacrime bagnavano il mio volto.

***

La settimana trascorse molto lentamente ma riuscii ad arrivare incolume a venerdì. Purtroppo non ebbi la stessa fortuna nei due giorni successivi.

Venerdì sera, infatti, subito dopo cena, un conato di vomito annunciò l’arrivo della famigerata influenza allo stomaco. Molti studenti del liceo di Forks ne erano rimasti vittima. Naturalmente, con la fortuna che mi ritrovavo, come potevo sperare di farla franca?

E siccome si dice che le disgrazie non vengono mai da sole… l’influenza aveva deciso di abbattersi su di me per tutto il weekend. Con tanti giorni che aveva a disposizione, proprio quelli in cui non andavo a scuola doveva scegliere?

Ma chi sono io per mettere in discussione gli oscuri e misteriosi intrecci del destino?

Passai la notte del venerdì e tutto il sabato a vomitare nel secchio che mia madre, con tanta premura, aveva sistemato accanto al letto.

Mangiai solo qualche fetta biscottata che, neanche a dirlo, finì nel secchio insieme alla bile e bevvi solo qualche bicchiere di acqua, in modo da rimanere in vita e accontentare mia madre.

A proposito di mia madre…

Nonostante tutto era sempre di buon umore.

Cominciai a sospettare che la sua improvvisa clemenza nei miei confronti non fosse dovuta esclusivamente alla paura che facessi la fine di Bella… c’era dell’altro, ne ero quasi certa. Mercoledì sera era uscita con alcune colleghe di lavoro: forse aveva fatto nuove amicizie…

Nel frattempo, tra un conato e l’altro, ebbi modo di pensare molto a Paul e a quanto esagerata ed ipocrita fosse stata la mia reazione.

Era passata una settimana dal nostro incontro-quasi-scontro e mi chiedevo…

Che cosa starà facendo?

È arrabbiato?

Mi odia?

Si sente in colpa per quello che è successo?

Lo rivedrò ancora?

Troverò mai il coraggio di affrontarlo di nuovo?

Sapevo di doverlo fare. Non potevo lasciare la questione in sospeso… quel pensiero mi strappò un sorriso: tra Paul e me c’erano sempre state delle questioni in sospeso...*

E, inaspettatamente, il ricordo delle sue labbra calde e morbide sulle mie riaffiorò prepotente, portando con se, brividi e sensazioni molto piacevoli. Purtroppo, o per fortuna, quei pensieri poco opportuni vennero scacciati velocemente dall’ennesimo conato di vomito.

Domenica mattina mi svegliai con la sensazione di stare meglio e in effetti, era così.

Mi sentivo molto debole, visto che non avevo mangiato niente, il mio viso era più pallido di quello di Mezza Albina Swan e le occhiaie intorno agli occhi mi facevano assomigliare ad un vampiro assetato, ma non vomitavo più: questa era senz’altro una cosa positiva!

A pranzo mi mantenni sul leggero: non volevo traumatizzare il mio povero stomaco, che lentamente si stava riprendendo.

Per la restante parte della giornata, rimasi a letto, facendo i compiti: l’indomani sarei tornata a scuola.

La solita sfortuna!

Tra tutti i momenti che potevo scegliere per guarire, qual era il peggiore secondo voi?

Il giorno della verifica di trigonometria, naturalmente. Tempismo perfetto!

Sospirai rassegnata. Mr Varner non avrebbe mai accettato come giustificazione una ridicola storia su notti passate a vomitare, a causa di una presunta influenza allo stomaco… ero spacciata. Non avevo speranze.

Più tardi…

Avevo rinunciato a studiare… o meglio… avevo scaraventato il libro di trigonometria contro la parete, dopo il ventesimo esercizio non riuscito e stavo guardando la televisione, quando mia madre entrò nella mia stanza.

“Wow!” esclamai con un fischio ammirato.

“Ti piace?” chiese lei, ruotando su se stessa, mentre arrossiva come una quindicenne.

“Sei bellissima mamma!” le assicurai.

Le sue guancie si tinsero nuovamente di rosso e sul viso comparve un timido sorriso.

Poche volte le avevo visto indossare un abito del genere: nero ed elegante, fasciava e slanciava il suo corpo snello, esaltando le curve appena accennate. Una semplice scollatura a barca dava al vestito un tocco retrò, che si addiceva perfettamente a mia madre. La gonna arrivava al ginocchio e dietro, si apriva in uno spacco molto pudico, che sembrava voler dire: sono una donna timorata di Dio.

“Che impressione ti faccio?” domandò ancora, mentre si mordicchiava un labbro per il nervosismo.

“Madre di famiglia, affabile e rispettabile di giorno! Donna focosa e passionale di notte!” esclamai sghignazzando.

“Yvonne!!” mi rimproverò lei, ma invece della solita espressione scioccata e disgustata, un sorriso bonario le attraversò il viso.

Chi sei tu? E che ne hai fatto di mia madre? pensai stupita.

“Ma è così mamma! Credevo che dovessi andare al ristorante con le tue colleghe di lavoro, non a rimorchiare in un pub per single!” risposi, divertita.

“Lo sai che non tollero questo linguaggio… e poi… non prendermi in giro” replicò mia madre, rivolgendo gli occhi al pavimento e arrossendo di nuovo.

Dopo alcuni istanti di silenzio, però, il suo lato materno ebbe la meglio.

Riportò lo sguardo serio e preoccupato su di me e chiese: “Sei sicura che posso lasciarti da sola?”

Era circa la duecentesima volta che me lo domandava quel giorno. Aveva la tipica espressione ansiosa e combattuta, che le avevo visto un’infinità di volte, come quando da bambina ero andata in gita scolastica. Mi aveva guardato salire sul pullman della scuola, con la faccia del genitore che non riesce a decidersi tra cosa sia più giusto fare: lasciare libero il proprio figlio o afferrarlo e riportarlo a casa, dove senz’altro sarebbe stato più al sicuro?

“Mamma! Non voglio ripeterlo più: passa una bella serata!” esclamai con tono sicuro.

“E se ti sentissi di nuovo male? Ti sei appena ripresa…” protestò lei, ma un clacson di auto ci comunicò che le sue amiche erano arrivate e che per mia madre era ora di andare.

Ci guardammo ancora per qualche minuto, poi le dissi: “Non farle aspettare!”

Mia madre mi rivolse un sorriso triste, come se il senso di colpa la stesse uccidendo. Si avvicinò a me, mi diede un bacio sulla fronte e mi abbracciò forte.

“Ti voglio bene, Yvonne!” sussurrò, mentre affondava il viso nei miei capelli.

“Anch’io mamma” balbettai, meravigliata da quell’insolita dimostrazione di affetto.

“Non stare alzata fino a tardi, mi raccomando! Ti ho preparato la cena: è in frigo. Devi solo riscaldarla. Pensi di potercela fare da sola?” chiese, mentre aveva già raggiunto la porta e mi fissava in modo apprensivo.

“Mamma! Ho diciotto anni, non sono più una bambina!” esclamai, alzano gli occhi al cielo e sospirando esasperata.

“Hai ragione…” convenne lei.

Sorrise e dopo un’ultima occhiata preoccupata, uscì dalla stanza.

Udii la porta di casa aprirsi e chiudersi velocemente.

Bene Yvonne! Perfino tua madre ha una vita sociale migliore della tua. Sei proprio una sfigata!

***

Il mio stomaco cominciò a brontolare.

Vedo che ti sei ripresa! pensai, rivolgendomi alla pancia, che in quei due giorni mi aveva dato parecchio filo da torcere.

In effetti, avevo molta fame e così, nonostante le vertigini, dovute alla stanchezza e alla spossatezza fisica, riuscii a mettermi in piedi.

Mossi qualche passo verso la porta, quando un grattare insistente alle mie spalle attirò la mia attenzione.

Mi fermai all’istante e attesi.

Ancora quel rumore…

Sembrava un ramo che raschiava contro il vetro della finestra, ma quel giorno non c’era vento e cosa ancora più importante, non c’era alcun albero accanto a quel lato della casa.

Per un breve e folle istante, credetti fosse Edward, ma durò poco: sapevo che era impossibile.

Il mio cuore cominciò a battere più velocemente del normale. Facendomi coraggio, mi voltai lentamente, perché non volevo morire di infarto…

“PAUL!” gridai all’improvviso, mentre una sagoma fin troppo familiare, dietro il vetro della finestra, mi faceva cenno di lasciarlo entrare.

Corsi (si fa per dire) ad aprire le ante.

“Che ci fai qui?” domandai, senza nascondere lo stupore e facendo finta di non notare che Paul fosse in bilico sul cornicione.

“Ne parliamo dopo, ok? In questo momento sono impegnato a non cadere!” rispose lui sarcastico, ma il sorriso scomparve velocemente nel vedere la mia espressione combattuta.

“Ti prometto che farò il bravo: niente lupi giganti!” esclamò serio.

Posso fidarmi? mi chiesi titubante.

Dopo qualche secondo di indecisione, mi feci da parte, permettendogli così di scavalcare il davanzale.

La stanza sembrava improvvisamente più piccola a causa di Paul, che la riempiva con la sua immensa mole. Solo in quel momento, quando i suoi occhi si fissarono su di me, scrutandomi dalla testa ai piedi, mi resi conto di tre cose importantissime e al tempo stesso sconvolgenti…

Primo: ero in pigiama e non portavo il reggiseno.

Secondo: era da venerdì che non facevo una doccia e i miei capelli erano spettinati, appiccicosi e unti.

Terzo: mi trovavo nella mia stanza, da sola, in condizioni spaventose, in compagnia di un pericoloso licantropo, nonché schianto da far paura e baciatore eccezionale.

Se avessi potuto, mi sarei vaporizzata all’istante.

Arrossii immediatamente e vinsi l’istinto di scappare via, solo perché non volevo che Paul si infuriasse con me. Conoscevo troppo bene le conseguenze dei suoi scatti d’ira.

“Che cosa ti è successo? Stai male?” mi chiese improvvisamente, spezzando il silenzio.

Protese una mano verso la mia guancia, accarezzandola gentilmente. Non arretrai, grazie al mio fermo autocontrollo, ma devo ammettere che il calore della sua mano ebbe la forza di tranquillizzarmi e allentare la tensione che irrigidiva il mio corpo.

“Sei pallida come un lenzuolo” costatò, incatenando i suoi occhi ai miei.

“Ho avuto l’influenza” sussurrai appena “Ma adesso sto bene”.

“Non si direbbe” replicò lui, serio.

Lentamente allontanò la mano dal mio viso ed iniziò a guardarsi intorno come se fosse in cerca di qualcosa.

Mentre lui studiava l’ambiente, io ebbi l’occasione di respirare profondamente e trovare il coraggio di chiedere nuovamente: “Che cosa ci fai qui, Paul?

Lui non rispose. Stava scandagliando la mia stanza come un metaldetector. Il suo atteggiamento stava cominciando ad irritarmi. Buttai la prudenza alle ortiche e mi lasciai andare al solito sarcasmo, anche per nascondere la vergogna di trovarmi in pigiama di fronte ad un dio fatto e finito.

“Potresti avere la cortezza di rispondere? E poi si può sapere perché sei entrato dalla finestra? Che cosa avete contro le porte, voi creature sovrannaturali? Vi fanno antipatia o è una semplice mania di protagonismo? Una bella entrata ad effetto e più interessante del monotono suonare il campanello?”

Ok… ero entrata in modalità: blatera e ciancia come una macchinetta impazzita!

Con quelle parole sconnesse, ottenni l’attenzione di Paul, che adesso mi fissava con il suo tipico sorriso canzonatorio.

“Perché? Ricevi molte visite da parte di altre creature sovrannaturali?” scherzò, ma non appena vide il mio volto sbiancare ulteriormente, l’allegria si trasformò in rabbia e gli occhi si illuminarono di comprensione.

“Chi altro è entrato qui?” chiese, con voce tremante e alterata.

Dannata parlantina!

Il suo corpo cominciò a tremare ed io non potei fare a meno di arretrare.

“Paul… avevi promesso…” bisbigliai, impaurita, cercando di darmi un contegno e non peggiorare la situazione.

Non so se furono le mie parole o il tono in cui avevo parlato a calmarlo, fatto sta che dopo un respiro profondo, Paul riuscì a recuperare il controllo su di se.

“Scusa” sussurrò, fissando i piedi e stringendo i pugni.

“Figurati!” risposi, ricominciando a respirare e ringraziando mentalmente tutti i santi del paradiso.

“È stato Sam ad insistere. Fosse stato per me, non sarei mai venuto” esordì Paul, fissando il piccolo scorcio di cielo che si intravedeva dalla finestra.

Ci rimasi malissimo: non pretendevo che Paul smaniasse dalla voglia di vedermi, ma arrivare a dire una cosa del genere…

Che cosa ti aspettavi? Dopo quello che è successo, è già tanto che si sia lasciato convincere da Sam!

“Perché sei venuto, allora?” chiesi, con tono acido e stizzito.

Yvonne?Hai mai sentito il modo di dire “Faccia da Poker”? Edward Cullen non ti ha insegnato nulla?

Paul parve intuire il mio stato d’animo. Portò i suoi profondi occhi neri su di me e rispose: “Sam voleva essere certo che tu non andassi a spifferare ai quattro venti il nostro piccolo segreto e poi…” esitò un attimo e fissando un punto alle mie spalle, continuò “E poi, crede che un confronto possa essere costruttivo per entrambi”.

Sembrava imbarazzato e la cosa mi confortò parecchio, perché io stavo letteralmente avvampando.

“Non è da te dare retta agli altri” gli feci notare, cercando di suonare naturale ed indifferente.

“Anche volendo, non mi sarei potuto opporre” spiegò lui e il suo viso si oscurò.

Quindi era così: Sam aveva costretto Paul a venire qua. Paul non aveva potuto far altro che obbedire, nonostante desiderasse trovarsi in un altro posto.

Come dargli torto?

“Dì a Sam che può stare tranquillo: manterrò il segreto” lo rassicurai “Volendo essere onesti: chi mi crederebbe? Mi rinchiuderebbero in un manicomio se cominciassi a blaterare di lupi mannari” aggiunsi, per smorzare la tensione.

Un fugace sorriso attraversò le labbra di Paul, il quale però non commentò la mia battuta.

“Per quanto riguarda il confronto… beh… dipende anche da te… sei disposto a rispondere alle mie domande, adesso?” chiesi, rossa come un pomodoro, abbassando lo sguardo.

“Non è un problema: Sam mi ha dispensato dall’obbligo di tenere la bocca chiusa” rispose, freddo ed indifferente.

Sam, Sam e ancora Sam! Che diavolo me ne importava di quello che credeva, diceva o faceva Sam? A me importava di Paul e di quello che lui pensava!

Naturalmente mi guardai bene dal rendere Paul partecipe del mio pensiero: non sarei riuscita a mantenere calmo il tono della voce e non volevo stuzzicare il precario autocontrollo di Paul.

“Ma che cosa è Sam? Da come ne parli, sembra che ti comandi a bacchetta?” domandai, invece.

“Credo, che Capo Branco sia il termine più corretto, se si vuole descrivere Sam” rispose lui, serio.

Teneva gli occhi fissi su di me: forse stava aspettando di vedere come avrei reagito a quell’informazione.

Secondo voi? Come avrei dovuto prenderla?

Ero appena stata informata che Sam era il capo branco di un branco di licantropi…

Una cosa normalissima… capita tutti i giorni, a voi no?

Chiusi gli occhi e dilatai le narici per inspirare quanta più aria possibile.

“Sto morendo di fame: ti va di mangiucchiare qualcosa?” chiesi, tutto di un fiato, riaprendo gli occhi.

Ci fissammo per un lunghissimo ed intenso minuto, senza muovere un muscolo.

Poi finalmente Paul sorrise e facendomi l’occhiolino, esclamò: “Si, perché no! Non mi tiro mai indietro quando si tratta di mangiare o fare a botte con qualcuno!”

“Meno male che non ho optato per la seconda alternativa, allora!” replicai seria, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Scoppiammo a ridere come due bambini.

“Ho sempre saputo che eri una tipa tosta” commentò Paul, dandomi una pacca sulle spalle, mentre insieme scendevamo le scale, diretti alla cucina.

Avevamo rotto il ghiaccio, ma adesso veniva la parte più difficile: chiarirsi!

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Nota di fine capitolo:

*“tra Paul e me c’erano sempre state delle questioni in sospeso”: riferimento alla ff precedente. A tal proposito vedere la parte finale del capitolo 12, quando Yvonne va a trovare Paul alla scuola della riserva e il capitolo 15, poco prima del bacio.

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Nota autrice:

Salve ragazzi e ragazze!

Anche il mistero di Lauren è stato svelato. Non ho molto da aggiungere sull’argomento Lauren/Yva, ma mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate voi…

Per quanto riguarda Paul… so che vorreste uccidermi per aver interrotto il capitolo sul più bello, ma il capitolo era già molto lungo e diaciamoci la verità… certe volte mi piace lasciarvi con il fiato sospeso.

Credo di aver detto tutto, quindi come consuetudine, passo ai ringraziamenti.

Per _cory_: ciao cara! Grazie per la recensione e grazie per aver risposto alla mia domanda. Purtroppo nei libri non c’è scritto nulla riguardo le modalità della trasformazione dei fratelli Clearwater e anche io ero indecisa sulle due versioni che hai fornito tu. Mi atterrò a quello che dice Wikipedia… grazie ancora e spero che continuerai a recensire. Bacioni Vannagio!

Per miseichan: ciao carissima! Sono contenta che tu ti sia rimessa in pari, ma non farti troppi problemi: l’importante è che tu legga la mia storia. Se ci metti un po’ di tempo in più non fa niente! Grazie per i compliementi. Fammi sapere cosa ne pensi di questo capitolo. Bacioni Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: ciao cara! Ti è piaciuta la parte del maggiolino? Sono contenta perché mi sono divertita molto a scriverla. Che cosa ne pensi di Lauren adesso? Ti sta ancora antipatica? Fammi sapere. Grazie per i complimenti. Bacioni Vannagio.

Per crazyfv: ciao cara! Tranquilla, non ti preoccupare: prenditi il tempo che ti serve… sono d’accordo con te riguardo la pausa. Yvonne ha avuto una settimana per riflettere, vedremo se questa “pausa di riflessione” le ha fatto bene oppure no. Riguardo la mamma di Yva, sono curiosa di sapere che cosa pensi, ma aspetterò… Non sono d’accordo con quello che dici su Lauren… ha tanti difetti, è vero… ma non è cattiva… cmq, come sempre, ti ringrazio per la recensione. Bacioni Vannagio!

Grazie a coloro i quali hanno seguito e preferito la mia ff.

A presto, Vannagio!

P.S.: grazie ad asheptus che mi ha inserita tra i suoi autori preferiti.

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Capitolo 11
*** Adrenalina ***


Adrenalina: sottobosco ed erba fresca…


Proporre a Paul di mangiare qualcosa era stata un’ottima idea. Il ragazzo era una buona forchetta e da quello che potevo vedere, avere la pancia piena lo metteva di buon umore. Stava spazzolando il piatto come un lupo affamato.

Ok! Pessima scelta di parole…

“Non avevi detto di stare morendo di fame?” chiese lui, indicando con un cenno del capo il mio piatto ancora pieno.

Feci una smorfia, fissando con desiderio l’ultimo pezzo di hamburger, che Paul stava addentando. Poi rivolsi un’occhiata contrariata al petto di pollo tristemente scondito, con contorno di patate lesse, che aspettava di essere mangiato.

Maledissi l’influenza allo stomaco e cercando di celare il mio disappunto, risposi “Mi è passata!”

Paul scoppiò in una fragorosa risata. Si alzò dalla sedia e continuando a sghignazzare, aprì il frigorifero con assoluta nonchalance, contemplandone il contenuto come se fosse un’opera d’arte.

“Prego… fai pure come se fossi a casa tua!” esclamai sarcastica, alzando gli occhi al cielo “A mia madre verrà un colpo quando scoprirà che il frigorifero è vuoto: ancora non so come giustificherò l’improvvisa scomparsa di tutte le provviste della settimana”.

Sospirai rassegnata, sperando che il buon umore di mia madre reggesse ancora per qualche giorno.

“Puoi sempre dirle che hai dovuto sfamare un piccolo, indifeso cucciolo smarrito” rispose Paul, ridendo della sua stessa battuta.

“Piccolo? Indifeso?” chiesi, inarcando un sopraciglio e lanciandogli un’occhiata scettica.

“Quanto sei pignola!” replicò Paul, che stava addentando una mela.

Con una mano afferrò una sedia, la collocò di fronte a me e ci si sedette sopra. Eravamo così vicini, che le nostre ginocchia si sfioravano appena. A causa di quel contatto, mi irrigidii all’istante. Paul se ne accorse: il suo volto, infatti, si incupì improvvisamente ed una ruga di preoccupazione disegnò un piccolo solco sulla sua fronte, altrimenti liscia e levigata.

“Ti faccio così tanta paura?” domandò a bruciapelo, fissando su di me il suo sguardo serio e penetrante.

Non era Paul a spaventarmi ma il lupo che si celava dentro di lui.

“Un po’” risposi evasiva.

Non era necessario possedere il potere di Edward per capire che il ragazzo non aveva creduto alle mie parole.

“Per favore, non rifilarmi cazzate…” mi ammonì con tono serio.

Rivolsi gli occhi al mio piatto, imbarazzata e impacciata come una bambina di cinque anni che è stata appena colta in fallo, mentre, forchetta alla mano, giocherellavo con gli avanzi della mia poco invitante cena.

“Yvonne… non ti farei mai del male, lo sai, vero?” chiese, sussurrando.

Non sembrava arrabbiato, ma la sua voce lasciava trapelare tristezza e un pizzico di disperazione.

Ancora non riuscivo a guardarlo in faccia.

“Noi licantropi siamo creature istintive. Le emozioni forti, soprattutto la rabbia, possono prendere il sopravvento e farci perdere il controllo… ma te lo giuro… preferirei strozzarmi con le mie mani, piuttosto che torcerti un capello!” esclamò con impeto, stringendo il pugno.

Aveva parlato senza esitare, tenendo gli occhi fissi su di me: anche se non lo stavo guardando, avvertivo addosso il suo sguardo pesante come un macigno, mentre mi studiava da cima a fondo.

“So che le mie parole potrebbero sembrare in contraddizione con quello che è successo la scorsa settimana ma… quel giorno… mi hai preso in contropiede. Sei comparsa alla mia porta, dicendo di aver scoperto il mio segreto. E poi… nel capanno… eri così spaventata, mi guardavi come se fossi un mostro e in quel momento sentivo di esserlo davvero…” si interruppe bruscamente, perché il suo corpo aveva cominciato a tremare.

Si era alzato per mettere distanza tra di noi - forse temeva di non riuscire a mantenere il controllo - ma prima che potesse compiere un solo passo, lo afferrai per un braccio. Sarebbe stato impossibile per me trattenerlo, questo è ovvio, ma il significato del mio gesto era chiaro: non andare, resta! Paul ubbidì, ma il tremore non era cessato. Vedevo le sue spalle sussultare ad intervalli di tempo sempre più brevi.

Toccava a me adesso: dovevo vincere la mia paura e rassicurarlo. Così, ignorando il battito accelerato del mio cuore e il respiro affannoso, quasi quanto quello di Paul, presi la sua mano tra le mie. Puntai lo sguardo sulle nostre dita intrecciate e con voce incerta sussurrai: “È vero, ero spaventata… e lo sono anche adesso. Sarebbe stupido negarlo…”

Il tremore aumentava inesorabilmente, tuttavia mi costrinsi ad andare avanti “…ma non ho mai creduto che tu fossi un mostro e mai lo penserò. Ne sono certa, perché quel giorno nel bosco… ricordi? Sei stato così dolce, gentile. Hai cercato di proteggermi, non è così? Come potrei pensare che tu sia cattivo?”

Mi accorsi che i fremiti stavano diminuendo, ma non volevo cantare vittoria troppo presto.

“Eppure hai paura…” bisbigliò Paul tra i denti.

Sollevammo lo sguardo contemporaneamente, fissandoci per alcuni istanti. La stretta della sua mano intorno alla mia si era fatta più forte.

“Paul, mettiti nei miei panni… come avresti reagito al mio posto? Ho solo bisogno di tempo per assimilare la cosa” risposi, cercando di mantenere fermo il tono della voce. Con il pollice accarezzavo il dorso della sua mano che era grande e calda, proprio come la ricordavo.

Il suo corpo sobbalzò ancora una volta, poi finalmente Paul si calmò del tutto.

Ci guardammo a lungo, ognuno perso nello sguardo dell’altro.

“Questo significa che devo starti lontano fino a nuovo ordine?” domandò Paul. Gli occhi fissi su di me, la fronte corrucciata in attesa di una risposta.

La sua domanda mi colse di sorpresa. Non capivo che cosa intendesse dire, quindi diedi voce alla mia perplessità: “Come?”

“Insomma… se non volessi avermi tra i piedi per un po’, lo capirei… spero solo che non si tratti di troppo tempo…” spiegò lui, arrossendo impercettibilmente.

Paul che arrossisce? Adesso le ho viste proprio tutte!

“Aspetta un attimo! Tu… ma…” non riuscivo a formulare una frase di senso compiuto. Respirai profondamente e finalmente trovai le parole giuste: “Ero convinta che tu non volessi vedermi! Mi hai detto che non potevamo frequentarci… in nessun modo… e poi… non era stato Sam a costringerti a venire qua, stasera?”

Purtroppo non fui capace di nascondere l’irritazione che quei ricordi avevano suscitato.

Paul sussultò, come colto di sorpresa e ad occhi sgranati, disse: “Non… io… non volevo venire perché pensavo che tu mi odiassi, che provassi disgusto per me… non volevo rivedere il tuo volto sconvolto dalla paura, non sarei riuscito a reggerlo. E riguardo a quello che ti ho detto la scorsa primavera… l’ho fatto perché non volevo coinvolgerti e perché non potevo rivelarti il mio segreto. Adesso è diverso. Adesso che sai tutto, non c’è motivo di stare lontani… sempre che tu voglia avere a che fare con un licantropo dal pessimo carattere, è ovvio…”concluse, arrossendo di nuovo e cercando di evitare i miei occhi in tutti i modi.

“Sciocco lupo!” esclamai, sorridendo “Certo, che possiamo vederci… però… vacci piano con me, ok?”

Senza rendermene conto, mi ritrovai avvolta dalle sue braccia calde e forti e a respirare il suo profumo intenso e penetrante, che sapeva di sottobosco ed erba fresca.

Come non detto! pensai.

Avvampai come il mio solito. Nonostante l’imbarazzo e un pizzico di paura, mi lasciai stringere, infischiandomene di quella piccola parte della mia coscienza che, assumendo i toni della voce di Leah, bisbigliava: è evidente che c’è qualcosa tra di voi… e di qualsiasi cosa si tratti non ti farà bene!

Al diavolo! pensai.

Ero troppo contenta di aver chiarito con Paul, per preoccuparmi delle conseguenze che quel gesto avrebbe potuto avere in futuro.

Che importava se lui era un licantropo? Il terribile episodio del capanno era lontano anni luce ormai ed io, confortata dal suo caloroso abbraccio, inebriata dal suo profumo, ero certa che mai più Paul avrebbe perso il controllo in mia presenza.

Mi aggrappai alle sue spalle per sentirlo più vicino.

Si, era sempre lui, Paul: il ragazzo allegro e un po’ rompiscatole che avevo conosciuto in spiaggia appena un anno prima.

Ero stata una stupida a giudicarlo male: stupida ed ipocrita.

Non c’era alcun motivo di avere paura.

Troppo presto, ci allontanammo l’uno dall’altro. Paul sfoggiava un sorriso smagliante, che mi riportò indietro nel tempo con la mente e che mi fece sorridere a mia volta.

“Allora… che cosa vuoi sapere?” chiese improvvisamente Paul, senza smettere di sorridere.

Corrugai la fronte, perplessa.

“Avevi detto che volevi farmi delle domande… quindi… spara!” esclamò Paul, in risposta alla mia muta domanda.

Non sapevo se prenderlo sul serio oppure no. Infine decisi di approfittare di quel momento, prima che Paul cambiasse idea, così chiesi la cosa che più mi premeva sapere: “Quando… quando ti sei trasformato… per la prima volta?”

La mia voce aveva tremato un po’ verso la fine della domanda, ma Paul non sembrava esserne turbato.

“Pensavo che lo avessi capito da sola. È accaduto tutto la sera che siamo usciti insieme. Ricordi che la temperatura del mio corpo era elevata e che pensavi avessi la febbre?” domandò infine, assumendo un’aria seria e solenne. Nel frattempo la sua mano si era posata sulla mia come a voler aiutare la mia memoria: era bollente.

“è una caratteristica da licantropi?” domandai.

Paul annuì e aggiunse: “La febbre è il primo sintomo. Dopo esser tornato a casa, ho incontrato Sam. In quei giorni me lo ritrovavo sempre in mezzo ai piedi, come se mi stesse pedinando. In effetti, era così: Sam aveva capito che la mia trasformazione era vicina, così mi teneva d’occhio. Non voleva che mi trovassi da solo nel momento cruciale…”

Mentre Paul raccontava, nella mia mente appariva l’immagine di un lupo nero, seduto in mezzo alla strada, che guarda il pick-up di Paul…*

Non me lo ero immaginato, allora!

“Sam ed io siamo stati sempre in buoni rapporti, ma quando quella sera me lo sono ritrovato davanti per l’ennesima volta… quando ho incrociato il suo strano sguardo enigmatico, che sembrava volermi trapassare da parte a parte… non ci ho visto più. Dentro di me è scattato qualcosa. Mi sono infuriato senza una vera ragione… sentivo ribollirmi il sangue nelle vene e… beh… un attimo dopo ero un lupo. Per fortuna c’era Sam con me. Si è trasformato immediatamente e mi ha spiegato ogni cosa, prima che potessi perdere le staffe del tutto…”

Paul era completamente assorto nel suo racconto. L’espressione impassibile del suo viso non mi permetteva di decifrare le emozioni, che sicuramente lo stavano scuotendo dall’interno. Stava provando le stesse sensazioni di allora? Soffriva ancora?

“Come ha fatto ha spiegarti tutto in poco tempo? Potete parlare quando siete in forma di lupi?” domandai, troppo curiosa per trattenermi.

“No. Quando siamo in forma di lupo, le nostre menti sono collegate. Possiamo leggere i pensieri dei nostri fratelli: non esistono segreti tra di noi. Quella sera Sam mi ha lasciato libero accesso a tutti i suoi ricordi e alle informazioni di cui era in possesso...” spiegò Paul.

Strizzava gli occhi, fissando un punto lontano nel vuoto e gesticolava, cercando di rendere più comprensibili argomenti che, invece, erano molto complessi.

Intano, ascoltavo con attenzione, rapita dalle sue parole.

Chissà come ci si sente a condividere i propri pensieri con altre persone… nessun segreto… nessuna privacy…

Ehi! Aspetta un attimo! Io lo so che cosa si prova… lo so, grazie ad Edward!

Scossi la testa, ridendo mentalmente della mia stupidità, quando un’altra domanda venne a stuzzicare la mia curiosità.

“Perché non mi hai chiamata il giorno dopo?” chiesi improvvisamente.

Ero consapevole di quanto la mia domanda suonasse infantile e inadeguata in un momento come quello, ma era stato l’orgoglio di ragazza ferita a impormela.

Paul sfoderò il migliore sorriso beffardo del suo repertorio.

“Hai mai visto un lupo usare un cellulare? Un po’ difficile centrare i tasti quando al posto delle mani ti ritrovi zampe grosse come zampogne, non credi?” rispose sarcastico.

Sussultai, spalancando la bocca e assumendo un’espressione che non mi dava un’aria molto intelligente.

“Ci ho messo due settimane per ritornare alla forma umana. E dopo… il mio autocontrollo era pari a zero. Ho dato parecchio filo da torcere a Sam nel primo periodo. Non potevo avvicinarmi a nessuno: era troppo pericoloso” raccontò Paul, ignorando la mia espressione sbigottita.

“Capisco…” farfugliai, provando un po’ di vergogna.

“Credimi Yvonne! Avrei voluto raccontarti tutto, ma non potevo. È proibito rivelare il nostro segreto agli altri: nemmeno la mia famiglia conosce la verità. Inoltre, quando Sam da un ordine, è impossibile disobbedire… è un suo particolare potere… per via del fatto che è il… Capo Branco” aggiunse infine.

“è tremendo!” esclamai scioccata da quella rivelazione.

“Beh… si… ma Sam cerca di usarlo il meno possibile. Non vuole essere un dittatore” si precipitò a difenderlo.

A quanto pare la lealtà incondizionata verso il Capo Branco è un’altra caratteristica da lupi, pensai contrariata.

“Quindi… mi hai allontanata per non mettermi in pericolo e perché Sam ti aveva vietato di raccontarmi la verità? È così?” chiesi, guardandolo dritto in faccia.

“Si” una risposta secca, data senza vacillare. Ciononostante captai qualcosa negli occhi di Paul. Che non mi stesse dicendo tutta la verità? Che ci fosse dell’altro?

“Accidenti è tardi!” esclamò Paul improvvisamente, distraendomi dai miei pensieri.

“Tardi per cosa?”chiesi incuriosita.

“Stasera abbiamo organizzato una piccola festicciola di benvenuto” rispose lui, sorridendo bonariamente.

“Benvenuto per chi?”

“Non penso che tu lo conosca… Embry Call... si è trasformato in licantropo una settimana fa.”

Embry? Ho già sentito questo nome…

“Due giorni fa, per la prima volta, è tornato in forma umana. Ha stoffa il marmocchio: lo devo ammettere!” esclamò con aria compiaciuta “Quando un nuovo fratello si unisce al branco, per tradizione, ci tuffiamo in mare dalla scogliera più alta di La Push. Poi facciamo un falò sulla spiaggia… sempre che il fratello in questione sia in grado di controllarsi. Il falò in mio onore è stato rimandato di un mese a causa del mio pessimo carattere!” aggiunse, ridendo di gusto a quel ricordo.

“Aspetta un attimo! Che cosa hai detto? Vi buttate da una scogliera?” chiesi, sgomenta, credendo e sperando di aver sentito male.

“Stai tranquilla! Non ci facciamo male: siamo molto resistenti!” mi tranquillizzò lui, dandomi un buffetto sulla guancia.

Sbuffai, affondando la faccia tra le mani.

Troppe informazioni!

“é stato Sam ad inventare questa… chiamiamola usanza…” continuò Paul, tornando serio.

“Davvero?” domandai, riportando lo sguardo sorpreso su di lui.

“Sam pensa che lasciarsi cadere nel vuoto ha un che di… liberatorio. Le paure, il dolore, la rabbia, i problemi rimangono a terra e per alcuni infiniti attimi ti senti leggero e… libero! Sam aveva escogitato questo espediente per trovare un po’ di serenità, quando era solo e doveva farsi carico di tutte le responsabilità…” spiegò ancora Paul.

Il suo volto si era oscurato, come se quell’argomento avesse riportato a galla brutti ricordi.

“Embry ha già fatto il… grande salto?” domandai per distrarlo. Non mi piaceva vederlo triste.

Paul ritornò immediatamente al presente e sorridendo, annuì.

“Questa mattina: è stato divertente. Anche se abbiamo dovuto insistere un po’ per convincere quel pivello!” sghignazzò.

…in quel momento mi accorsi di quattro sagome su uno spuntone di roccia, un po’ troppo vicine allo strapiombo. Da lontano non capivo quanti anni potessero avere, ma diedi per scontato che fossero uomini. Malgrado l’aria gelida, indossavano soltanto bermuda. […] Guardai affascinata il terzo ragazzo che prendeva la rincorsa e saltava, tuffandosi, più in alto degli altri due. A mezz'aria, scuoteva le braccia e scalciava, come un paracadutista acrobatico. Sembrava totalmente libero: senza pensieri, assolutamente irresponsabile… (New Moon, capitolo sette)

“Devo proprio andare, Yvonne. Embry non me lo perdonerà mai se farò tardi al falò in suo onore…” disse Paul, guardandomi con aria dispiaciuta.

“Ma ho ancora un sacco di domande da farti!” piagnucolai, come una bambina che è stata privata del suo giocattolo.

“Perché non vieni con me?” chiese lui, cogliendomi di sorpresa.

Aveva un’espressione speranzosa dipinta sul viso, ma io non mi sentivo ancora pronta per un evento del genere.

“Non credo che… sia il caso… affrontare un branco di licantropi… insomma… e poi mia madre… sai com’è fatta…” farfugliai, impacciata. Temevo che potesse offendersi.

“Hai bisogno di tempo: messaggio ricevuto!” esclamò Paul, tornando a sorridere.

Tirai un sospiro di sollievo.

Lo accompagnai fino alla porta d’ingresso e ci fermammo sul portico per scambiarci gli ultimi saluti. Il vento gelido mi sferzava il viso, facendomi rabbrividire. Solo in quel momento mi accorsi di essere ancora in pigiama. Mi strinsi nelle spalle e cercai di frenare i brividi di freddo che scuotevano il mio corpo.

Stare fuori in pigiama, dopo due giorni di influenza? Mossa molto astuta, complimenti Yvonne!

“Non so quando potremo rivederci. Sam ci tiene sempre impegnati, roba da lupi… ma ti prometto che mi farò sentire” disse Paul, riprendendo la conversazione. I suoi occhi neri assomigliavano a due pozzi profondissimi nei quali era troppo semplice cadere.

“Non scomparirai un’altra volta, vero?” domandai sarcastica, guardandolo di traverso.

“Te lo prometto!” rispose, ponendo la mano destra sul cuore e assumendo una finta aria solenne.

“Ricorda: non vale incrociare le dite!” lo avvertii, severa.

“Oh… intendi in questo modo?” chiese con un ghigno lupesco stampato sulle labbra, mostrando le dita incrociate della mano sinistra.

Sbuffai e gli diedi uno scappellotto sulla spalla. L’unico risultato che ottenni fu di farmi male, mentre Paul non lo notò nemmeno. Mi massaggiai la mano dolorante, irritata dall’inefficacia del mio “colpo”.

“Scusa… ho la pellaccia dura” sussurrò Paul, prendendo la mano contusa e accarezzandola delicatamente.

Non risposi. Rossa in volta e tremendamente imbarazzata, tenevo lo sguardo fisso a terra.

Ma Paul non era il tipo che si scoraggiava facilmente. Intrappolò il mio mento tra le dita della mano libera e mi costrinse a sollevare il viso, in modo che i nostri occhi potessero intrecciarsi gli uni agli altri.

“Adesso entra in casa o starai di nuovo male… sei troppo pallida per i miei gusti” disse, senza muovere un muscolo o distogliere lo sguardo dal mio.

“Sono felice che tutto si sia aggiustato tra noi…” bisbigliai, arrossendo ancora una volta e capendo troppo tardi che quella frase poteva suonare un po’ ambigua.

Solo la frase? E tutta la situazione no?

“Anch’io, Yvonne” rispose lui.

Sentire la sua voce roca e ruvida come la lingua di un gatto pronunciare il mio nome, mentre il profumo e il calore del suo corpo mi avvolgevano, mi provocò una serie di brividi lungo la schiena. Deglutii a fatica e mi sforzai di sorridere.

Ci guardammo per alcuni secondi.

Occhi negli occhi.

Era una mia impressione o il viso di Paul si stava avvicinando lentamente al mio?

Entrai nel panico, ma non ebbi la capacità di reagire.

Paul mi tratteneva.

Non potevo oppormi o forse… non volevo?

Chiusi gli occhi e un attimo dopo avvertii qualcosa di caldo e morbido sfiorarmi la guancia.

“Buona notte!” sussurrò Paul a pochi centimetri dal mio orecchio.

La guancia era in fiamme e il cuore batteva a mille.

Un’altra ventata di aria fredda mi investì, facendomi tornare lucida.

Aprii gli occhi giusto in tempo per vedere Paul correre via e scomparire tra la vegetazione.

***

La settimana successiva passò abbastanza velocemente.

Paul aveva detto la verità. Era sempre impegnato con il branco e non aveva il tempo di venirmi a trovare. Mi telefonava quasi ogni sera ma non potevamo chiacchierare a lungo.

Ero molto confusa.

Da un lato sapevo di amare ancora Manuel, nonostante tutto. Dall’altro lato, però, non potevo negare di provare attrazione per Paul… un’attrazione che era rimasta sopita per un anno e che adesso stava riemergendo prepotentemente.

Avevo bisogno di parlare con qualcuno. Il problema era “con chi”!

L’unica persona che si avvicinava ad una confidente era Leah, ma non potevo raccontarle nulla. Se le avessi detto del rappacificamento tra Paul e me, avrei dovuto fornirle anche un resoconto dettagliato della nostra chiacchierata. E se Leah avesse anche solo intuito che ero a conoscenza del segreto dei Protettori, la ragazza avrebbe fatto di tutto per costringermi a sputare il rospo.

Avevo promesso a Paul che avrei tenuto la bocca chiusa ma, allo stesso tempo, ero convinta che Leah avesse il diritto di conoscere la verità.

Che bordello!

Perché non potevo avere un’amica con la quale essere del tutto sincera?

Forse perché ti invischi sempre in situazioni che non ti riguardano?

In realtà Leah aveva notato un netto miglioramento nel mio umore, ma era una ragazza che (a differenza mia) sapeva quando farsi gli affari suoi. Inoltre non le piaceva dare soddisfazione alle persone, motivo per cui non mi avrebbe mai fatto una domanda diretta, neanche sotto tortura.

Leah continuava a nascondere tutte le sue emozioni sotto una maschera impenetrabile: a volte era davvero difficile capire cosa stesse provando o pensando.

Quel sabato mattina proposi a Leah di andare alla spiaggia di La Push per fare un po’ di jogging. Non fu facile convincerla, ma dopo diversi tentativi ci riuscii.

Più tardi…

“Forza! Muoviti, pappa molla!” mi esortò Leah, dieci metri avanti a me.

Tra un respiro affannoso e l’altro, chiesi “Sicura che questa sia la prima volta in cui ti cimenti nel jogging?”

“Uffa! Quante volte te lo devo ripetere? Si!” rispose lei, accelerando e facendomi letteralmente mangiare la sabbia.

“E pensare che ho dovuto trascinarti con la forza!” urlai, irritata.

Mi fermai, incapace di compiere un altro passo. Piegata in due per la fatica, premevo il fianco dolorante: ogni volta che inspiravo l’aria, era come se i polmoni venissero attraversati da uno sciame di api impazzite. Mi lasciai cadere sulla sabbia, incurante di tutto e tutti.

Ero completamente sudata e la sabbia si era appiccicata ovunque. Tra una cotoletta impanata e me, non c’era alcuna differenza.

Com’ero patetica!

Leah invece sembrava aver trovato il suo elemento.

Veloce, agile e scattante, si muoveva con la grazia di un ghepardo. Era bellissima. Se fossi stata un ragazzo, probabilmente avrei cominciato a sbavare, ammirandola mentre correva a tutta velocità lungo la riva, schizzando i passanti.

Da dove la prende tutta questa energia? mi chiesi.

Stavamo correndo da due ore: io avevo fatto dieci pause, lei nemmeno una.

Finalmente, qualche minuto dopo, Leah si accorse che ero rimasta indietro: fece dietro-front, in pochi secondi mi raggiunse e si sdraiò accanto a me.

Il petto di Leah si alzava e abbassava velocemente, scandendo un ritmo frenetico e ipnotico. Sul suo volto non leggevo stanchezza, soltanto grande soddisfazione.

“Grazie Yvonne!” esclamò improvvisamente.

Mi girai su un fianco e fissandola con aria stupita, chiesi “Per cosa?”

“Per avermi portata con te! Hai ragione: correre è grandioso. Il vento tra i capelli, il cuore che pulsa e pompa il sangue nelle vene, l’aria fredda e pungente nei polmoni, la terra sotto i piedi, le immagini sfocate che sfrecciano tutte intorno a te… sembra quasi che il mondo svanisca… ti concentri solo sulle gambe e non pensi ad altro. È fantastico!” spiegò la ragazza, che fissava il cielo plumbeo, con una strana luce negli occhi.

Sorrisi, felice di averla distratta dai suoi problemi. Purtroppo Leah non stava passando un bel periodo.

“Come sta tuo padre?” chiesi poco dopo.

A causa della scuola e dell’influenza non ci eravamo viste spesso, ma al telefono avevo capito, grazie ai suoi silenzi e alle sue risposte monosillabiche, che le cose non stavano migliorando.

“Ieri è andato all’ospedale: una visita di routine” rispose Leah, con voce atona e monocorde. Il suo volto si era incupito improvvisamente.

“E che cosa hanno detto i medici?” domandai preoccupata.

“Non lo so. Mio padre non vuole dirci niente per non farci preoccupare. Non fa altro che ripetere: va tutto bene!” rispose lei, mentre una smorfia scalfiva lievemente l’imperscrutabilità del suo viso.

“Andrà tutto bene” dissi, cercando di rassicurarla. Mi rendevo conto di quanto suonassero scontate e vuote quelle parole, ma non ero riuscita a trovare nulla di più adatto da dire in quella circostanza.

“Tutto bene… ” ripeté lei a bassa voce “Si… forse.”

Il suo volto aveva perso, ancora una volta, ogni espressività.

Tornammo a correre lungo la spiaggia. Non parlammo più, se non per incitarci a vicenda.

Beh… diciamo che era lei ad esortare me, visto che Leah sembrava instancabile, mentre io mi accasciavo al suolo, ogni dieci minuti.

Durante la corsa, però, mentre cercavo di tenere il passo, mi chiedevo se stessi facendo tutto il possibile per lei.

Mi sentivo così inutile ed impotente.

Forse aveva ragione Lauren.

Forse ero così concentrata su me stessa, che tutto il resto passava in secondo piano.

Forse ero soltanto una stupida egoista, cui non importava un fico secco delle sofferenze altrui.

“Insomma, Yvonne! Vuoi darti una mossa?” urlò Leah in lontananza.

“Arrivo!” gridai in risposta, allontanando quei pensieri tristi.

Tornai a casa per l’ora di pranzo.

Ero distrutta. Non c’era parte del mio corpo che non mi facesse male. L’acido lattico accumulatosi nei muscoli stava avendo il suo doloroso effetto.

Questa è la prima è l’ultima volta che vado a correre con quella pazza di Leah! pensai, mentre mi buttavo sul divano del salotto e faticosamente iniziavo a togliermi le scarpe.

“Ciao Tes… OH, MIO DIO! Alzati subito da quel divano!” urlò mia madre, comparsa all’improvviso.

Per lo spavento scattai in piedi e voltai freneticamente la testa, prima a destra e poi a sinistra, per capire cosa avesse indotto mia madre a gridare in quel modo.

“Mamma! Mi ha fatto prendere un colpo! Perché ti sei messa ad urlare?” chiesi, dopo essermi accertata che non ci fosse niente di pericoloso e sconvolgente in giro.

“Sei tutta sporca di sabbia ed io ho passato tutta la mattinata a pulire il soggiorno!” si lamentò, lanciandomi una delle sue occhiate che sembrava voler dire: metti le pattine ai piedi o giuro che ti scanno!

“Diavolo, mamma! Potevi anche dirmelo gentilmente” mi lamentai, ricominciando a respirare regolarmente.

“Non imprecare e corri a fare la doccia. Il pranzo è quasi pronto… e per favore… cerca di non seminare sabbia da per tutto!” esclamò mia madre, esasperata, mentre usciva dal salotto.

Sbuffai e a passo pesante mi diressi verso le scale.

“Ah… tesoro?”

La testa bionda di mia madre fece capolino dalla porta della cucina.

Prima mi striglia a dovere e poi mi chiama “tesoro”, pensai inacidita.

“Si, Signora Jekyll?” risposi sarcastica, sfidandola con lo sguardo a ribattere.

Mia madre fece finta di non aver sentito la battuta.

“Devi promettermi una cosa: quando vai a La Push, cerca di stare lontana dal bosco…” disse fissandomi con un’espressione molto ansiosa.

Il tono grave della sua voce mi spinse a tornare seria.

“è successo qualcosa?” domandai incuriosita e leggermente preoccupata.

“Oggi ha telefonato la zia Sarah. Stamattina ha incontrato l’Ispettore Swan. A quanto pare la storia dell’orso gigante è vera. Ci sono stati degli avvistamenti…” raccontò.

Il suo volto grondava preoccupazione.

“Stai tranquilla mamma. Non mi avvicinerò al bosco” dissi, sfoggiando un sorriso rassicurante, che riuscì a tranquillizzarla immediatamente.

La donna annuì soddisfatta e tornò ai fornelli.

Poco dopo, sotto il getto dell’acqua calda, ripensai alle parole di mia madre.

Paul e gli altri devono stare attenti! Non c’è persona o ragazzo che non affermi di aver visto il famigerato orso gigante.

Non capisco! È così difficile agire in segreto? In tre anni i Cullen non hanno mai destato sospetti, mentre loro, in poco meno di sei mesi, hanno gettato la popolazione nel panico!

Licantropi!

Mi ripromisi di parlarne con Paul quella sera stessa.

L’ultima cosa che desideravo era una folla di gente impazzita che cominciasse a setacciare il bosco, armata di fiaccole, in perfetto stile film dell’orrore.

______________________

Nota di fine capitolo:

*“…l’immagine di un lupo nero, seduto in mezzo alla strada, che guarda il pick-up di Paul.”: riferimento alla parte finale del capitolo 15, in cui Yvonne, tornata a casa dopo l’uscita con Paul, scorge dalla finestra della sua stanza un lupo nero.

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Nota autore:

Non so se ritenermi soddisfatta di questo capitolo…

Da un lato mi piace molto, dall’altro sento che manca qualcosa. Forse è troppo statico. Certo, non potevo liquidare la faccenda Paul-Yvonne con due semplici parole, ma forse ho esagerato un po’ troppo con i dialoghi. Fatemi sapere…

La situazione si complica, perché se è vero che Paul e Yva hanno fatto pace, non possiamo dimenticare che la nostra eroina è confusa riguardo i suoi sentimenti.

La parte finale con Leah serve a dare un po’ di spazio al rapporto di amicizia tra le due ragazze. Anche qui, Yva si trova ad un bivio: tenere il segreto o essere fedele a Leah e rivelarle tutto?
Ho pensato che a Leah potesse piacere fare jogging, visto che nei libri della Meyer la ragazza si vanta di essere il licantropo più veloce del branco.

Il piccolo dialogo con la madre voleva essere un tentativo di stemperare la tensione, non so se ci sono riuscita. Inoltre volevo riallacciarmi al libro, visto che nel capitolo “Adrenalina”, Charlie raccomanda alla figlia di non avventurarsi nel bosco.

Ripeto non sono soddisfatta…

Passiamo ai ringraziamenti… che è meglio!

Per TheDreamerMagic: ciao cara! Che bello rileggere le tue recensioni! Non preoccuparti, non è necessario scusarsi! Si, è vero. Yva non sta attraversando un periodo molto felice, ma non temere… non amo i finali tragici... Riguardo la madre, come al solito non posso rivelare niente, ma non dovrete aspettare tanto per conoscere la verità! Come hai potuto vedere Paul si è controllato. Come ti pare questo capitolo? Ti soddisfa? Grazie per la recensione! Bacioni, Vannagio!

Per C4rm3l1nd4: ciao cara! Lauren e Yva hanno sia torto, sia ragione. Come dici tu, si tratta di orgoglio e quando c’è di mezzo l’orgoglio è difficile ammettere di aver sbagliato… staremo a vedere cosa accadrà! Ti è piaciuta la parte con Paul? Spero di si e che non sia stata eccessivamente lunga e noiosa. Per quanto riguarda la madre… acqua in bocca! Grazie per la recensione. Bacioni, Vannagio.

Per asheptus: ciao cara!!! Tranquilla, non c’è problema. Cmq sono contenta che tu abbia trovato il tempo di recensire! Wow, da quello che ho potuto capire, ne hai per tutti, non è così? Lauren, Manuel e perfino Paul che per il momento è apprezzato da quasi tutte le lettrici! XD cmq… alla fine si è comportato bene il lupacchiotto, non credi? Grazie ancora per la recensione. Baci, Vannagio! P.S.: grazie anche per il commento che hai lasciato nella one-shot su Leah Clearwater XD.

Per crazyfv: ciao carissima! Allora… riguardo il litigio tra Lauren e Yva mi trovo perfettamente d’accordo con te e sono contenta che adesso ti sia ricreduta un pochino su Lauren. Manuel… ti chiedo solo di avere pazienza. Paul… alla fine ha spiegato il motivo del suo atteggiamento: penso che lo possiamo scusare, non è così? :P Lynett… vorrei risponderti, ma lo sai come la penso sugli spoiler… cmq, come ho già detto, non dovrete aspettare tanto per conoscere la verità! Grazie per la recensione. Bacioni anche a te, Vannagio!

Per Midao: Allora? Che te ne pare di questo capitolo? Le tue domande hanno trovato risposta? Sei l’ultima irriducibile sostenitrice di Manuel… chissà se la tua fiducia sarà premiata… staremo a vedere! Su Yva e Lauren sono d’accordo con te. Sono felice che voi lettrici abbiate capito anche il punto di vista di Lauren. Preferisci Leah come amica? Ma chi ha detto che l’una escluda l’altra? Grazie per la recensione. Bacioni, Vannagio!

Grazie a tutti quelli che seguono e preferiscono la mia ff.

A presto Vannagio.

P.S.: ho pubblicato una One-Shot su Leah Clearwater. Si chiama: C’era una volta un Lupo Grigio e una piccola Lupacchiotta. Di solito non mi faccio pubblicità… però se avete voglia di leggerla, mi farebbe piacere.

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Capitolo 12
*** Terzo incomodo ***


Terzo incomodo: Mr Golfino Naturale


Erano passate due settimane.

Quel sabato mattina mi ero svegliata più tardi del solito. La sera precedente, infatti, avevo fatto le ore piccole davanti al computer, per sistemare la grafica del mio forum sui vampiri.

Tenui raggi solari si intrufolavano nella stanza, attraverso le tendine di pizzo bianco e promettevano una giornata serena e soleggiata, come non se ne vedevano da mesi.

Raggomitolata in posizione fetale sotto le coperte, i miei occhi vagarono per la stanza, fin quando non si posarono sul calendario.

Quando finalmente il mio cervello, intorpidito dal sonno, riuscì a decifrare gli strani geroglifici che si riferivano ai giorni del mese di febbraio, mi lasciai sfuggire un gemito di sofferenza. Cacciai la testa sotto il cuscino e cominciai a rivolgere silenziose imprecazioni contro la mia sfiga. Che volete farci? Era il mio passatempo preferito…

A voler essere sinceri, una volta tanto, il destino non era stato così crudele nei miei confronti. Quell’anno, infatti, l’odiata festività era caduta di sabato e non in un giorno di scuola.

Avete mai passato un San Valentino da single?

E avete mai passato un San Valentino da single, per giunta a scuola, in mezzo ad una miriade di adolescenti in balia degli ormoni?

Se la vostra risposta è affermativa, allora comprenderete il mio stato d’animo e il sollievo che provai nel costatare che, per una volta da quando frequentavo il liceo, avrei potuto far finta che quello fosse un giorno come un altro.

So che la mia reazione potrebbe apparire esagerata e infantile. In fondo si tratta solo di una sciocca festa, inventata per far spendere soldi a degli idioti, che credono di essere innamorati…

Ma provate a spiegarlo ad un’adolescente con una vita sentimentale pressoché inesistente e gravi difficoltà nel socializzare; circondata da oche starnazzanti che, pur essendo delle imbecilli patentate, ricevono più fiori loro, di una salma nel giorno del suo funerale; lucidamente consapevole che non otterrà nemmeno un garofano appassito; perseverante nello sperare che quell’anno possa essere diverso… che finalmente qualcuno possa accorgersi di lei; delusa nello scoprire che, alla fine, non cambierà nulla e che lei rimarrà sola, ignorata e non amata… ancora una volta.

Se provaste a spiegare a questa ragazza, che San Valentino è solo una festa commerciale, che l’adolescenza è uno stadio della vita, difficile ma passeggero, che prima o poi anche lei troverà qualcuno di speciale, sareste fortunati se la suddetta ragazza si limitasse a ridervi in faccia. Perché io, ai miei tempi, sarei stata molto più violenta!

Il succo della questione è che odiavo il giorno di San Valentino con tutta me stessa.

Chi mi conosceva bene – ed erano veramente in pochi – sapeva che in quella particolare occasione il mio umore era pessimo e il minimo accenno a quella festa del cavolo avrebbe decretato la sua fine.

Come un automa, mi diressi in cucina. Presi posto a tavola e mi versai il latte nella tazza.

Mentre afferravo il pacco di cereali, mi resi conto, però, che qualcosa non quadrava... come se mancasse un particolare fondamentale…

Dove si è cacciata la mamma? pensai improvvisamente, guardandomi intorno.

Da che mondo è mondo, quando la mattina entravo in cucina per fare colazione, mia madre mi aveva sempre accolto con il consueto “Buongiorno tesoro!” e un sorriso smagliante sulle labbra.

Prima di all’ora non ci avevo dato molto peso, ma adesso che questo “rituale” era venuto meno, ne avvertivo la mancanza. Mi sentivo spaesata e capii quanto quel gesto di affetto, terribilmente scontato, riuscisse ad infondermi sicurezza… una sicurezza che in quel momento non stavo provando.

“Mamma?” chiamai, con tono incerto.

Forse sta dormendo… ipotizzai, ma dando uno sguardo all’orologio, mi resi conto che ciò era impossibile. Mia madre aveva l’abitudine di alzarsi con le galline.

Cominciai a perlustrare la casa, in cerca di indizi, come un segugio a caccia.

“Mamma?” chiamai ancora.

Salii le scale e raggiunsi la sua camera da letto. Mi accostai alla porta socchiusa e…

“Suvvia, non essere sciocco!” stava esclamando mia madre, colta da un attacco di ridarella cronica.

Senza rendermene conto, tirai un sospiro di sollievo.

È tutto a posto! mi dissi.

Per un terribile istante avevo temuto il peggio…

“No, non credo che stasera potrò uscire… come perché? Lo sai bene… ne abbiamo già parlato! Su, non fare il bambino…” diceva mia madre, tra una risata e l’altra.

Mi irrigidii all’istante.

Improvvisamente desiderai non essermi mai alzata da quella stramaledettissima sedia. Cercando di non fare rumore, tornai al piano di sotto, in cucina, decisa a dimenticare quella strana conversazione.

Il resto della giornata passò senza che si verificassero eventi eclatanti.

Mia madre non fece alcun accenno alla telefonata ed io mi guardai bene dal fare domande. In quell’occasione avevo accantonato la mia proverbiale curiosità: meno sapevo, meglio era!

Dopo aver fatto i compiti, dedicai il mio tempo libero ai miei interessi: musica, lettura e internet. Chiacchierai al telefono con Leah, scoprendo che anche lei non nutriva una grande passione per la festa di San Valentino – chissà perché non ero stupita si sentirlo…

Paul non si fece sentire e ne rimasi un po’ delusa. Fui tentata di telefonarlo, ma poi mi convinsi che se non aveva chiamato, allora probabilmente era impegnato con il branco e così lasciai perdere.

Sembrava che quella giornata fosse destinata a terminare in modo scontato e noioso - proprio come avevo sperato e desiderato - ma naturalmente mi sbagliavo di grosso.

“Yva! Guarda che cosa ho trovato!” esclamò mia madre, irrompendo nella stanza, mentre ero concentrata sullo schermo del computer.

Le rivolsi un’occhiata scocciata e contrariata per avermi disturbato, ma l’irritazione si trasformò in stupore e sgomento, quando vidi ciò che lei reggeva tra le mani.

“Dove… dove l’hai trovata?” chiesi balbettando, senza staccare gli occhi da una rosa rossa, che mia madre mi stava porgendo.

“Ero uscita per spazzare il portico… qualcuno l’ha lasciata sulla panca… per te” spiegò lei, rivolgendomi un’occhiata maliziosa.

“Per me?” ripetei, incredula e scettica “Come… come fai ad esserne così certa?” domandai, mentre con dita tremanti, reggevo il sottile gambo della rosa, facendo attenzione a non pungermi.

“Perché c’era un biglietto…” rispose lei, sfoggiando un sorriso sornione e porgendomi un piccolo cartoncino rettangolare.

Nell’afferrarlo, rischiai di stracciarlo a causa dell’eccessiva foga.

Il bigliettino recava due semplici parole stampate: Per Yva.

***

Passò un’altra settimana e l’ammiratore segreto, come lo chiamava mia madre, era rimasto segreto a tutti gli effetti. In realtà i miei sospetti ricadevano su una persona, ma non avevo prove e sicuramente non ero così stupida da porre a Paul una domanda diretta.

Quel venerdì, Sam diede a Paul una giornata libera. Mi propose di andare insieme alla spiaggia di La Push dopo la scuola ed io accettai con entusiasmo, poiché non ci vedevamo da molto tempo.

Il pomeriggio trascorse tranquillo. Paul era esausto. Aveva delle enormi e spaventose occhiaie: più che un licantropo somigliava ad un vampiro abbronzato. Mi sentii in colpa. A mio parere avrebbe dovuto approfittare di quel giorno di libertà per riposare, invece di perdere tempo con me, ma Paul non volle sentire ragioni.

Come promesso, il ragazzo rispose a tutte le domande che gli ponevo e raccontò tutto.

Scoprii che in realtà Paul non era un vero lupo mannaro…

“Allora sei un mutaforma, come Sam Merlotte!”* esclamai dopo quella rivelazione.

“Chi?” mi chiese lui, perplesso.

“Niente, lascia perdere…” risposi, ridendo della sua espressione basita.

Paul mi spiegò che era stata la presenza dei Cullen… o meglio… dei succhiasangue, ad aver scatenato la loro trasformazione in licantropi.

“Ma adesso che sono andati via…”

“Quando certi ingranaggi vengono messi in moto, è difficile fermarli e poi ci sono altre sanguisughe in giro” rispose lui, prima che potessi completare la domanda.

Così, con mio grande orrore, venni a sapere che tra i boschi di Forks si aggiravano due vampiri: un maschio e una femmina ed era a causa loro se il branco era stato tanto occupato in quelle settimane.

Ma anche Paul aveva delle domande da pormi: come avevo scoperto il suo segreto? Cosa sapevo dei Cullen?

Raccontai tutto, sorvolando sulla mia cotta adolescenziale per Edward e altri piccoli dettagli… come la mia quasi morte per mano di James.**

Paul non parve gradire il mio racconto: secondo lui, un’umana che entra volontariamente nel covo di una sanguisuga non può avere tutte le rotelle a posto…

“Grazie del complimento!” esclamai sarcastica e accigliata.

Ma Paul mi stupì positivamente, dimostrando di essere abbastanza padrone di se stesso.

“Quindi il piccolo succhiasangue ha infranto il patto!” esclamò lui alla fine, con un ghigno soddisfatto.

Anche se riusciva a mantenere un certo autocontrollo, non era tenuto a riferirsi ai Cullen in modo educato… ovviamente.

“Prima di tutto, il piccolo succhiasangue di cui stai parlando ha più di cento anni… secondo, ti ho già spiegato che Edward non ha infranto il patto: non mi ha raccontato nulla del vostro segreto…” precisai.

Non volevo che a causa mia si verificasse una sorta di incidente diplomatico tra creature sovrannaturali e fortunatamente, dopo diversi battibecchi, Paul parve convincersi della veridicità delle mie parole.

Ma c’era un altro argomento che volevo affrontare con Paul…

Leah.

“Non se ne parla nemmeno!” esclamò Paul, scattando in piedi, quando gli proposi di svelare il segreto alla ragazza.

“Leah è mia amica e non voglio mentirle: dopo quello che Sam le ha fatto passare, ha il diritto di conoscere la verità” replicai, arrabbiata.

“Pensi che Sam non si senta in colpa?” rispose lui furente.

Mi meravigliai nel notare quanto la questione gli stesse a cuore.

“Non sto dicendo questo, ma Leah ha sofferto molto e soffre tuttora. Se le tenessi nascosta una cosa del genere, si sentirebbe nuovamente tradita…” spiegai, sperando di riuscire a convincerlo.

“Non spetta a me decidere…” protestò lui debolmente.

“Allora promettimi che ne parlerai a Sam!” lo interruppi, assumendo un tono supplichevole.

Paul si limitò ad annuire, mentre dandomi le spalle, fissava intensamente il mare burrascoso.

***

Finii per cenare a casa di Paul.

I suoi genitori erano simpatici e cordiali e tutto sommato, nonostante l’imbarazzo iniziale, trascorsi una bella serata. La mamma di Paul era un tipo molto loquace e mi sottopose ad una specie di interrogatorio, mirato a scoprire che tipo di legame ci fosse tra me e suo figlio.

Dopo cena, Paul ed io salimmo nella sua stanza, non prima di aver promesso a sua madre che avremmo lasciato la porta aperta. Naturalmente avvampai per la vergogna, mentre Paul, anche lui rosso come un pomodoro, rimproverava la donna e le lanciava occhiate cariche di rancore e risentimento.

La stanza di Paul era piccola e spartana: un letto, un armadio e una scrivania piuttosto malridotta. C’era una sola finestra, che si affacciava sul bosco. Le pareti erano tappezzate di poster dei Metallica, la band preferita di Paul. Un vecchio stereo impolverato, ma ancora funzionante, campeggiava su una mensola imbarcata. La scrivania era sepolta sotto un cumolo di cianfrusaglie, costituito prevalentemente da cd dalle custodie consumate, alcuni libri pieni di orecchie, martelli, pinze, cacciaviti e altri utensili di ogni genere.

“Perdona il disordine…” si scusò lui, cercando inutilmente si dare una rapida sistemata al letto disfatto e liberando l’unica sedia disponibile dai vestiti smessi.

“Figurati!” risposi, sorridendo e dedicando grande attenzione ad ogni dettaglio.

“Il fatto è che… mia madre si è stufata di stare dietro al mio disordine e quindi…” lasciò in sospeso la frase, rivolgendo un’occhiata sconsolata alla stanza che, nonostante gli sforzi, rimaneva caotica e disordinata.

“Paul… sei entrato nella mia camera da letto dalla finestra, quando ero in pigiama, dopo due giorni passati a vomitare e ti preoccupi per un po’ di disordine? Con me non sono necessari certi formalismi” lo rassicurai, ridendo del suo imbarazzo e roteando gli occhi.

Paul mi rivolse un sorriso tirato. Poi, passandosi una mano sulla nuca, sospirò e si sedette sul letto. Feci altrettanto, senza smettere di studiare l’ambiente circostante.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto senza sapere cosa dire, poi improvvisamente Paul esclamò: “Mi sei mancata in queste settimane”.

“Anche tu…” sussurrai impacciata, distogliendo lo sguardo.

La sua mano andò a posarsi sulla mia e come sempre, la temperatura elevatissima della sua pelle mi causò brividi caldi sulla schiena. Il mio cuore aveva già cominciato la sua folle corsa.

Paul mi stava fissando intensamente: lo sapevo bene, anche se non osavo alzare gli occhi verso di lui.

“Yvonne…” cominciò, ma venne interrotto dalla suoneria impertinente del mio telefonino.

Saltai in aria e per riflesso incondizionato, ritrassi la mano dalla sua. Paul sbuffò infastidito.

“Non rispondi?” chiese Paul, notando che non avevo ancora preso il cellulare dalla tasca dei jeans.

Scossi la testa imbarazzata: sapevo bene chi era e non avrei risposto, né ora né mai.

“Potrebbe essere tua madre o… il tuo… ragazzo…” ipotizzò Paul, balbettando alla fine. Lo vidi tremare leggermente.

Solo in quel momento mi resi conto che Paul non conosceva gli ultimi sviluppi della mia storia con Manuel.

Finalmente il cellulare smise di squillare e il silenzio avvolse la stanza, come un velo invisibile ma consistente.

“Paul… io… Manuel… non stiamo più insieme” bisbigliai, rivolgendo alla punta delle mie scarpe, più attenzione del dovuto.

“Come?” farfugliò lui, ad occhi sgranati. La sua voce si era alzata di un'ottava. Smise subito di tremare e la sua mano rovente tornò ad intrappolare la mia. “Quando?” domandò ancora, mentre lo stupore tardava ad abbandonare il suo volto.

Scossi nuovamente la testa, facendogli capire che non volevo parlarne. Sentivo gli occhi pizzicare e volevo evitare di scoppiare in lacrime davanti a Paul. Non era giusto e nemmeno dignitoso.

Non so se lui riuscì a cogliere i sottointesi del mio silenzio, ma senza fiatare, mi attirò a se, avvolgendomi in un caldo abbraccio.

Nascondevo il viso nell’incavo del suo collo e lottavo disperatamente contro l’impulso di mettermi a piangere, respirando profondamente, stringendo i pugni e mordendomi le labbra. Pian piano, concentrandomi sul battito cardiaco di Paul, regolare ma un po’ accelerato, riuscii a dominare le mie emozioni.

Dopo parecchie indecisioni, Paul si decise a parlare.

“Yvonne…” ma, ancora una volta, venne interrotto…

Un ululato forte e tremendamente vicino ci fece sussultare. Mi allontanai da lui, senza volerlo veramente.

“Cazzo!” si lasciò sfuggire Paul.

A giudicare dal suo volto, quel richiamo doveva avere un significato ben preciso: pericolo!

Paul corse alla finestra e poggiando le mani sul davanzale, si sporse all’esterno. Fissava l’oscurità con espressione seria e preoccupata, come se fosse capace di scorgere qualcosa a chilometri di distanza.

Un altro ululato ruppe il silenzio che ancora una volta si era creato.

“E così la mia serata libera è andata a farsi fottere!” esclamò all’improvviso.

Sospirò rassegnato e si rivolse a me.

“è un’emergenza… ” spiegò, sinceramente dispiaciuto.

Annuii, senza aggiungere altro.

“Purtroppo devo andare adesso. Preferisci aspettarmi qui o vuoi che dica a mio padre di accompagnarti?” chiese lui, sorridendo gentilmente.

Nessuna delle due proposte mi allettava…

Forse capendo il motivo della mia esitazione, Paul continuò “L’ululato proveniva dalle vicinanze della casa di Billy Black. Posso portarti con me fino a lì… poi ti lascerò il mio pick-up e proseguirai da sola fino a casa… te la senti?”

“Ma tu…?”

“Verrò a prendere il pick-up quando avrò risolto la questione” rispose, anticipando la mia domanda.

“D’accordo” acconsentii, senza nascondere un po’ di timore, di fronte a tutta quella risolutezza.

Dieci minuti più tardi, avevamo raggiunto la casa di Billy Black.

Ciò che vidi mi lasciò senza fiato…

“Resta in macchina!” ordinò Paul, prima di scendere dall’auto.

“E chi si muove!” esclamai, mentre ad occhi sbarrati, osservavo la scena attraverso il vetro del parabrezza.

Un gigantesco lupo dal pelo rossiccio, cercando di farsi piccolo piccolo, stava uscendo dalla porta d’ingresso della casa dei Black. Respirava affannosamente e si muoveva in modo impacciato, come se non sapesse come usare le sue zampe. Dal suo petto sgorgavano piccoli guaiti disperati… assomigliavano ai singhiozzi di una persona.

Può un lupo piangere?

Al seguito del lupo c’era Billy Black, che tentava di darsi un contegno e far fronte a quella situazione tanto delicata, ma il suo viso scavato lasciava trasparire tanto sconcerto e preoccupazione.

Tra la boscaglia intravedevo delle grandi sagome scure, che supposi essere Sam e gli altri membri del branco.

Con un po’ di incertezza e titubanza, il lupo dal pelo rossiccio raggiunse gli altri, con i quali poco dopo scomparve nell’oscurità. Paul, che fino a quel momento era rimasto in disparte, adesso stava parlando con Billy. Mi concentrai sulle mie mani, per lasciare un po’ di privacy ai due.

Poco più tardi Paul si avvicinò all’auto, aprì la portiera e aiutandomi a scendere, disse: “Allora, Yvonne. Come stabilito, tornerai a casa con il mio pick-up… verrò a prenderlo più tardi. Lascia le chiavi nel quadro”.

Ero ancora un po' confusa da quello che avevo visto. Lanciavo occhiate nervose a Billy, che fissava con espressione vacua il punto del bosco in cui il lupo rossiccio era scomparso. Sembrava dieci anni più vecchio. Poi rivolgendomi a Paul, chiesi farfugliando “Quel lupo… quel lupo… era…”

“Jacob Black” concluse Paul per me “Devo andare: Jacob ha bisogno di tutto l’aiuto possibile” spiegò dopo, senza staccare i suoi occhi neri e penetranti dai miei.

Ancora una volta mi limitai ad annuire, troppo intimidita dal suo sguardo così serio e profondo.

“Stai attenta, per favore. Guida dritto fino a casa e non fermarti. Non farmi stare in pensiero” mi raccomandò lui.

Feci sì con la testa.

Il ragazzo accennò un sorriso triste. Poi con delicatezza estrema, racchiuse il mio viso tra le sue mani e posò sulla mia fronte un bacio tanto leggero quanto bollente.

Rimasi a guardarlo correre verso il bosco, mentre un leggero fremito percorreva il suo corpo. Ma prima che potessi scorgere la figura del lupo, Paul era già stato inghiottito dalla vegetazione.

Billy Black spinse la carrozzella fin dentro casa, senza darsi la pena di salutarmi o rivolgermi una semplice occhiata.

Il telefono, all’interno della casa, stava squillando.

…Afferrai la cornetta e composi il numero. Lo lasciai squillare parecchio. Forse Billy dormiva. Forse avevo sbagliato numero. Ci riprovai. All'ottavo squillo, quando stavo per riattaccare, Billy rispose… (New Moon, capitolo nove)

***

Come promesso, guidai fino a casa senza fermarmi… non che avessi voglia di fare una sosta, soprattutto se nel bosco si aggiravano due crudeli vampiri dagli occhi rossi.

Parcheggiai l’auto sul ciglio della strada e lasciai le chiavi del pick-up nel quadro, sperando che nessun ladro di auto si aggirasse nei dintorni.

In casa regnavano il silenzio e l’oscurità. Molto probabilmente, mia madre stava già dormendo e quindi cercai di muovermi silenziosamente e di raggiungere l’interruttore della luce senza inciampare.

Dopo diversi tentativi infruttuosi, riuscii ad accendere le luci.

“Yva!” esclamò mia madre facendomi letteralmente saltare in aria. Per poco non toccai il soffitto.

“Mamma! Quante volte ti ho detto che non devi farmi spaventare in questo modo. Prima o dopo mi farai venire un infarto” la rimproverai, mentre il cuore tamburellava impazzito nel mio petto.

“Scusa cara… non volevo” si scusò lei, mentre annodava la cintura della vestaglia e scendeva velocemente le scale.

“Stavi dormendo? Ti ho svegliata?” chiesi, notando che i suoi capelli, solitamente acconciati in modo impeccabile, adesso erano arruffati e spettinati.

Mi lasciai cadere sul divano. Ero esausta e provata dagli ultimi sviluppi. Adagiai la testa contro lo schienale del divano e attesi una risposta da mia madre.

“Ehm… si e no…” rispose lei in modo evasivo “Ma come mai sei tornata così presto? È successo qualcosa?” domandò poco dopo, come se volesse cambiare argomento.

“Paul ha avuto un imprevisto…” spiegai, sbadigliando e stiracchiandomi.

“Mi spiace, cara! Hai mangiato? Ti preparo un panino?” chiese ancora, sorridendo.

Le lanciai un’occhiata stranita. Sembrava nervosa: giocherellava con la cintura della vestaglia e le guancie erano leggermente arrossate.

Purtroppo ero troppo stanca per indagare sulle stranezze di mia madre, così risposi “No… vado a letto. Sono distrutta”.

“Sei sicura, tesoro? Perché non ci sto niente a…”

Cominciai a salire le scale, senza prestare attenzione alle proteste di mia madre e mi diressi verso il bagno.

Avevo già una mano sulla maniglia della porta del bagno, quando questa si aprì.

Per alcuni secondi il mio cervello si rifiutò di registrare e decifrare l’immagine che avevo davanti e se foste stati al mio posto, probabilmente anche voi avreste avuto qualche problema…

Poi, riprendendo fiato, riuscii a sussurrare qualcosa come: “Oh, mio dio!”

Un uomo, fermo e immobile come una statua, mi stava fissando: sulla sua faccia era disegnata un’espressione di puro terrore. Sarebbe stato del tutto nudo se non fosse stato per un paio di boxer, fortunatamente neri e un paio di calzini che facevano pan-dan.

Il petto era completamente ricoperto da quello che, in un primo momento, avevo scambiato per un golfino, ma che in realtà si era rivelata… peluria…

Repressi a stento un conato di vomito.

Il tizio in questione aveva gli occhi fuori dalle orbite e a giudicare dal colore della faccia, aveva smesso di respirare.

Continuammo a fissarci per alcuni interminabili secondi, l’uno di fronte all’altro. Poi, vagamente consapevole della presenza di mia madre che piagnucolava scuse di ogni genere, veloce quasi quanto un vampiro, mi fiondai nella mia stanza. Mi chiusi la porta alle spalle, ma sfortunatamente mia madre trovò il modo per intrufolarsi dentro.

“Yvonne… per favore… non giungere a considerazioni affrettate: non è come sembra…” blaterava mia madre, sul punto di una crisi isterica.

Passeggiavo avanti e indietro per la stanza, passandomi stancamente una mano sulla faccia, mentre mia madre mi veniva dietro, cianciando cose assurde.

“Non è come sembra? Mamma! C’è un uomo mezzo nudo in corridoio!” replicai infuriata, gesticolando nervosamente e sovrastandola con la mia altezza.

“Io… pensavo che tu tornassi più tardi… io…” cercò di giustificarsi “Mi spiace… ti prometto che non accadrà più…”

Grosse lacrime scendevano dai suoi occhi azzurri, che adesso apparivano ancora più acquosi del normale.

“Mamma!” esclamai esasperata “Ma che cosa stai dicendo? Sei liberissima di fare quello che vuoi… ma potevi avvertirmi, non ti pare?” chiesi infine, alzando gli occhi al cielo.

Mia madre si ammutolì all’istante e la bocca si spalancò per lo stupore.

“Non… non sei arrabbiata?” balbettò incredula.

“Certo! Sono furiosa… sono arrabbiata, perché hai permesso che mi trovassi a faccia a faccia con l’indecente biancheria intima di…”

“Trevor” mi venne in aiuto lei, tenendo gli occhi bassi, come una bambina pentita.

“Trevor” ripetei, sospirando pesantemente.

“Ad ogni modo… gli dico che deve andare via” farfugliò tristemente mia madre, avviandosi verso la porta.

“Mamma, non dire sciocchezze! Può rimanere… basta che non facciate troppo rumore” replicai, evitando il suo sguardo e trattenendo a stento una risata isterica.

“Yvonne!” mi rimproverò lei, accigliata e rossa in volto.

Come se non avessi capito che cosa stessero facendo prima che li interrompessi!

Finalmente sola, mi lascia cadere sul letto.

La solita emicrania rischiava di farmi esplodere il cervello, ma ero troppo pigra e stanca per andare a prendere un analgesico. Inoltre ero terrorizzata all’idea di rivedere Mr Golfino-Naturale!

Senza nemmeno andare in bagno, mi infialai rapidamente il pigiama e mi rannicchiai sotto le coperte. Rivolsi un’occhiata alla rosa, che avevo ricevuto a San Valentino e che avevo fatto essiccare.

Con tutti questi imprevisti, non ho avuto l’occasione di scoprire se è stato Paul a regalarmela, pensai.

Infine il mio sguardo si posò sulla foto che mi ritraeva tra le braccia dei miei genitori. Concentrandomi sugli occhi castani di mio padre, così simili ai miei, pensai: Sta' tranquillo! Ci penso io a lei!

Qualche minuto più tardi, ero sprofondata in un sonno senza sogni.

***

La mattina dopo mi svegliai con la testa pensate, segno che l’emicrania non se n’era andata del tutto.

Erroneamente passai davanti allo specchio e non potei fare a meno di emettere un gemito, di fronte a quell’orrore. Passai una mano tra i capelli, cercando di sistemarli ma l’unico risultato che ottenni fu quello di arruffarli ancora di più.

Nel tentativo di rimuovere quell’immagine orrenda dalla mia mente, mi affacciai alla finestra: la macchina di Paul non c’era più. Sperai vivamente che fosse stato lui a portarla via e non qualche ladro. Più che altro temevo per la vita dell’ipotetico ladro…

Avevo completamente dimenticato ciò che era successo la sera precedente, ma purtroppo, arrivata in cucina, dovetti affrontare la dura realtà dei fatti: Trevor!

Vederlo indossare la vestaglia rosa antico di mia madre non gli fece guadagnare punti ai miei occhi.

Almeno non è mezzo nudo… pensai, con una smorfia e un tantino sollevata.

Trevor non si era ancora accorto di me, così, al fine di evitare incidenti vari, mi schiarii la voce per segnalare la mia presenza. L’uomo, sussultando leggermente, mi rivolse un’occhiata terrorizzata, molto simile a quella che gli avevo visto la sera precedente.

“Buon-buon-buon-giorno!” balbettò lui, mentre le sue guancie si coloravano di rosso.

“Ciao” mugugnai di mala voglia, sedendomi al tavolo.

“Ho-ho-ho preparato la colazione” disse lui “Vu-vu-vuoi un po’ di caffè?”

“No… grazie… preferisco latte e cereali” risposi e Trevor, con fare molto servizievole, mi porse la brocca del latte e la scatola dei cereali.

Trevor rimase in piedi, appoggiando la schiena alla balaustra della cucina e reggendo in una mano la tazza di caffè. I suoi occhi vagavano per la stanza, senza mai posarsi sui miei.

“Dov’è mia madre?” chiesi ad un certo punto.

Il suo sguardo saettò sul mio per un attimo, poi tornò a fissare il vaso che si trovava al centro del tavolo.

“Sta fa-fa-facendo un-una doccia”.

Ma… perché balbetta?

“Mi-mi-mi dispiace per ieri sera…” farfugliò lui, tenendo gli occhi rigorosamente bassi.

Era imbarazzato per quello che era successo la sera prima, naturalmente.

Se io mi ero sentita sprofondare, non riuscivo nemmeno ad immaginare cosa avesse provato lui nel trovarsi semi nudo, di fronte alla figlia diciottenne della sua… cosa diavolo erano? Fidanzati? Compagni?

“Non ti preoccupare… non sei il primo uomo mezzo nudo che vedo…”

Ma che cazzo sto dicendo!

Avrei voluto tagliarmi la lingua. Affondai il viso tra le mani, disperata, continuando ad insultare la mia mente bacata.

Poi facendomi coraggio, bisbigliai a Trevor: “Evita di raccontare questa cosa a mia madre, ok? Lei è un tipo un po’…?”

“A-ansioso…” concluse Trevor per me.

Lo fissai per alcuni secondi, strizzando gli occhi.

“Stai tranquilla… te-te-terrò la bocca chiusa… una tomba… il tuo se-se-segreto morirà con me” esclamò infine, annuendo tra se e se, ma stando bene attento a non guardarmi.

Inquietante… pensai scuotendo la testa.

“Ah, eccovi qui!” esclamò, allegra, mia madre, che era appena entrata in cucina, vestita di tutto punto e avvolta da una nuvola di profumo.

Con naturalezza, scoccò un bacio sulla guancia a me e uno a fior di labbra a Trevor, il cui viso si tinse immediatamente di rosso. Sapevo che la spensieratezza di mia madre era fittizia e che in realtà era più imbarazzata di Trevor e me messi insieme.

“Stavo pensando…” cominciò lei “Che ne direste se andassimo fuori, tutti e tre insieme, per pranzo?” domandò mia madre, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi smaglianti.

No… questo è troppo!

Scattai in piedi tanto velocemente, che la sedia si ribaltò producendo un rumore assordante. Sotto lo sguardo allibito di mia madre e quello impaurito di Trevor, dissi “Spiacente! Ho promesso a Leah che avrei pranzato da lei oggi!”

E prima che qualcuno potesse replicare, corsi a rinchiudermi nella mia stanza, fin quando non fui assolutamente sicura, che i due schizzati del piano di sotto fossero usciti.

***

Più tardi a casa Clearwater, Leah era letteralmente piegata in due dalle risate.

Le avevo raccontato del fatale incontro con Trevor: l’amico di mia madre - come l’avevo ribattezzato in mancanza di una definizione più consona.

“Non ridere, Leah!” le rimproverai, accigliata.

“Scusa… ma è troppo divertente!” replicò lei, mentre si asciugava le lacrime.

“Non capisco che cosa ci trovi in lui… hai presente il protagonista del film “Quarant’anni vergine”? Ecco, proprio lui!” spiegai, incrociando le braccia al petto e assumendo un’aria imbronciata.

“Allora spero per tua madre, che Trevor non sia vergine!” esclamò Leah seria.

Dopo alcuni secondi, scoppiammo a ridere, senza ritegno.

________________

Nota di fine capitolo:

*“Sam Merlotte”: personaggio della Saga di Sookie Stockhouse, capace di trasformarsi in qualsiasi animale egli abbia visto. Solitamente assume la forma di un cane.
**“ come la mia quasi morte per mano di James”: riferimento al capitolo 19 della ff precedente, in cui Yvonne viene aggredita da James.

_________________

Nota autore:

Anche questo capitolo è terminato.

Spero che la sua eccessiva lunghezza non vi turbi. Credo che sia anche un pochino frammentato, ma non potevo fare altrimenti, dovendo inserire molte scene. Non mi andava di dividerlo in due…

Che ne pensate?

Per la parte sulla trasformazione di Jacob, ho preso spunto da un brano extra di New Moon “Being Jacob”.

Riguardo allo sproloquio su San Valentino, mi sono ispirata un po’ alla mia esperienza…

Avevate tutte ragione sulla madre di Yvonne… adesso sarei curiosa di sapere che tipo di uomo vi eravate immaginate per la nostra Lynett. Mi sono divertita a scrivere questo capitolo: l’incontro con Trevor mi frullava in testa già da un po’ di tempo XD.

Fatemi sapere le vostre impressioni, mi raccomando.

Ringraziamenti.

Per crazyfv: ciao cara! Grazie per la recensione. Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto. Purtroppo non posso anticiparti nulla sul presunto imprinting di Paul, mi spiace! Anche io penso che Yva dovrebbe dire tutto a Leah, ma la questione è delicata… in quanto a Lauren, beh… io la adoro, quindi ti posso assicurare che non sparirà dalla vita di Yva! Bacioni e grazie ancora! Vannagio.

Per C4rm3l1nd4: ciao anche a te! Grazie per le belle parole. Sono felice di sapere che tutti voi abbiate apprezzato il capitolo precedente. Purtroppo per Yva è difficile dimenticare Manuel. Non esiste un interruttore per spegnere i sentimenti. Scusa se ti ho fatto venire fame XD. Bacioni e a presto, Vannagio!

Per TheDreamerMagic: Ehi! Ciao! Grazie mille per la recensione! Come le altre, avevi ragione sul segreto della mamma di Yvonne. Che ne pensi di Trevor? Io lo trovo tenerissimo XDDD Cmq fammi sapere! Bacioni, Vannagio!

Per _cory_: ciao! Non preoccuparti… l’importante è che tu continui a seguire… grazie per la recensione! Bacioni, Vannagio.

Per asheptus: carissima! È bello leggere le tue recensioni, mi sono mancate! XD Cmq per adesso non ci saranno imprinting… ma non dico altro! La mamma di Yvonne ha un amico, hai proprio indovinato. Che ne pensi? Anche a me piace molto Leah, anche se cercare di entrare nella sua testa e provare a capire come dovrebbe reagire in certe situazioni è difficile! Grazie mille per la recensione. Bacioni, Vannagio!

Per sailormoon81: ciao cara! Non preoccuparti se non sei costante nel recensire, anche se non ti nascondo che mi fa molto piacere leggere i tuoi commenti. La tua analisi sul rapporto Yva-Leah è perfetta. Ancora sono indecisa su come far comportare la nostra “eroina”… forse farò decidere a lei stessa… Supponi bene: Lauren ritornerà in scena, basta avere un po’ di pazienza! Per quanto riguarda le correzioni, non mi danno fastidio, anzi… io voglio migliorare! Ti ringrazio per avermi fatto notare anche questa volta alcuni errori. A proposito di questo, ci credi se ti dico che per il “Di’” ero andata a controllare su internet? Il sito che avevo trovato riportava entrambe le versioni (Dì e Di’). Non ci si può fidare nemmeno di internet, per scrivere qualcosa di decente! Cmq grazie ancora e alla prossima. Vannagio! P.S.: continua pure con le correzioni XD.

Grazie a tutti coloro, che seguono e preferiscono la mia ff.

A presto, Vannagio!

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Capitolo 13
*** La radura ***


Dedico questo capitolo ad Agathe.
Probabilmente capirà da sola il perché di questa dedica leggendo il capitolo, ma per essere più chiara, spiegherò tutto nella nota finale.
Buona lettura!

____________________________

La radura: a volte ritornano…


La campanella suonò annunciando la fine delle lezioni.

Camminavo in direzione del parcheggio, facendo finta di non notare gli occhi azzurri di Lauren che mi seguivano attraverso la folla di studenti, che si stava riversando fuori dall’edificio scolastico.

Che diavolo ha da guardare? mi chiedevo irritata.

Jessica le stava sussurrando qualcosa all’orecchio con aria maliziosa e Lauren ascoltava svogliatamente, come se fosse solo marginalmente interessata al misterioso argomento.

Incurvai le spalle e spostai lo sguardo altrove.

Bella Swan stava entrando nel suo pick-up, dopo essere riuscita, miracolosamente, a non scivolare in una pozzanghera.

Individuato il mio maggiolino verde, accelerai il passo: dovevo allontanarmi da quel posto il più presto possibile.

Pochi metri mi distanziavano dall’auto, così cominciai a scavare tra le cianfrusaglie accumulate nella tasca esterna dello zaino, in cerca delle chiavi. Impegnata com’ero in quella pericolosa missione esplorativa, non mi accorsi subito del ragazzo appoggiato alla fiancata destra del maggiolino.

“Ciao Yva!” mi salutò una voce arrochita dalle troppe sigarette… una voce che conoscevo troppo bene e che mai mi sarei aspettata di ascoltare in quella circostanza, nel parcheggio della mia scuola.

Alzai gli occhi e le chiavi, che avevo appena trovato, finirono per terra. Il rumore metallico da esse prodotto rimbombò nelle mie orecchie come un tuono che squarcia il cielo. Trattenni il respiro per alcuni interminabili secondi, mentre il ritmo del mio cuore aumentava come un tamburo impazzito.

Quel viso… quegli occhi… quei capelli… i piercing… i tatuaggi…

Era uguale a come lo avevo visto l’ultima volta… a come lo avevo sognato in quelle settimane. Portava la stessa maglietta di quel terribile giorno…

Il primo istinto fu di corrergli incontro, buttargli le braccia al collo e stringerlo con tutta la forza di cui ero capace. Fortunatamente la ragione prevalse sul cuore e riuscii con uno sforzo immane a rimanere ferma.

“Che cosa ci fai tu qui?” chiesi in un sussurro affannoso, mentre tentavo di riprendere fiato. Desideravo urlare, ma non ne ero capace.

“Sai come si dice… se Manometto non va dalla montagna…”

“Vattene!” esclamai gelida, interrompendolo bruscamente.

Finalmente tutta la rabbia, l’odio e il disprezzo che provavo nei suoi confronti vennero a galla prepotentemente. L’adrenalina scorreva veloce nel mio sangue, rendendomi lucida. Raccolsi le chiavi da terra e senza guardarlo in faccia mi fiondai in macchina, ad una velocità pazzesca. Stavo per mettere in moto, quando il rumore di una portiera che si apre e si chiude velocemente mi fece sussultare. Mi voltai verso il sedile del passeggero e…

“Scendi. Subito. Dalla. Mia. Auto” sibilai, guardandolo in cagnesco e digrignando i denti.

Purtroppo la minaccia non sortì l’effetto sperato. Manuel mi fissava con un’espressione così risoluta da incutermi timore.

“Dobbiamo parlare” esclamò lui, serio.

“Non ho niente da dirti” replicai, sputando le parole come se fossero intrise di veleno. Guardavo dritto davanti a me e serravo i pugni intorno al volante, come se fossi in grado di sbriciolarlo.

“Beh… io si!”

Manuel non desisteva. Sembrava deciso a tormentarmi a vita.

“Non mi importa!”

Era vero. Non avevo nessuna intenzione di ascoltarlo. Volevo solo che lui sparisse dalla faccia della terra e che la smettesse di perseguitarmi.

“Yva…”

Quel sussurro mi fece sussultare, ma lo sconcerto durò poco. Stava cambiando tattica: era passato dal tono deciso e sicuro a quello supplichevole e pentito. Ma non sarebbe riuscito ad intenerirmi…

“Sto lottando con tutta me stessa per non prenderti a schiaffi seduta stante, quindi per favore… scendi dalla mia auto” lo avvertii, dilatando le narici come un toro inferocito.

“Lasciami spiegare…” mi implorò lui.

Con la coda dell’occhio notai che la sua mano si era sollevata in aria in direzione della mia. Trattenni ancora una volta il fiato, indecisa su come comportarmi, ma poi all’ultimo instante, Manuel ci ripensò e la mano tornò al suo posto. Tirai un sospiro di sollievo.

“Che cosa c’è da spiegare, Manuel?” chiesi, sempre senza guardarlo.

“Devi sapere com'è andata veramente” rispose lui, con tono di voce pacato.

“Non sono interessata, grazie. Mi sono fatta un’idea precisa e mi basta!” esclamai sarcastica.

“Non ti è mai sorto il dubbio che, forse, l’idea che ti sei fatta è quella sbagliata?” domandò Manuel. Stava cominciando ad alterarsi anche lui.

Nella speranza che questo potesse farlo infuriare, gli risi in faccia e con un sorriso tanto finto quanto gelido, chiesi: “Credi che io sia così stupida da bermi le tue cazzate?”

“Sono venuto qua a posta per te, dannazione!” urlò lui, dando un pugno al cruscotto.

Mi voltai di scatto nella sua direzione. Gli occhi castani lanciavano fiamme e anche i miei non dovevano essere da meno. Sembrava che il mio corpo stesse andando a fuoco per la rabbia.

“Se pensi che la tua improvvisa comparsa possa farmi cambiare idea, vuol dire che non mi conosci abbastanza” esclamai dura e risoluta.

“E se tu pensi che un no come risposta possa fermarmi, beh… allora sei tu quella che non mi conosce a sufficienza” replicò lui, mentre mi attraversava da parte a parte con lo sguardo.

“Che cosa è successo? Andrea ti ha lasciato? O ti sei stancato anche di lei?” lo schernii.

“Yva…”

Ecco di nuovo il tono supplichevole, che mi fece incazzare ancora di più.

“No, Manuel! Non voglio sentire, né tanto meno parlare con te. Vattene o giuro che mi metto ad urlare!” lo minacciai.

“Yva…”

“Mi metto ad urlare!” ringhiai, riportando le mani sul volante, come se fosse una sorta di sostegno al quale aggrapparmi e dal quale trarre la forza necessaria.

Forse Manuel prese sul serio il mio bluff, perché lo sentii sospirare pesantemente. Aprì lo sportello della vettura e prima di uscire, disse “Non mi arrendo tanto facilmente e tu lo sai!”

Mi morsi la lingua per impedire a me stessa di voltarmi nella sua direzione e fissarlo nel mentre si allontanava. Quando convenni che era passato abbastanza tempo, misi in moto la macchina e partii. Solo in quel momento mi accorsi della rosa rossa, abbandonata sul sedile del passeggero.

***

Entrai in casa, sbattendo la porta.

Mia madre e Trevor guardavano la televisione in salotto. Non li salutai e non li degnai di uno sguardo. Mi fiondai sulle scale e non risposi a mia madre, quando con voce allarmata chiese: “Yva, cosa è successo?”

Spalancai la porta della mia stanza violentemente. Poi, a passo di marcia, raggiunsi la scrivania, afferrai la rosa essiccata che avevo ricevuto per San Valentino e le feci fare la stessa fine dell’altra – ossia un bel volo nel bidone dell’immondizia.

Come se fossi in preda ad un attacco di follia, aprii il cassetto del comodino e lo svuotai sul letto. Ne sparpagliai il contenuto sul copriletto, fin quando non trovai quello che stavo cercando: il bigliettino che era stato allegato alla rosa di San Valentino.

Prima dell’esecuzione, gli concessi un’ultima occhiata.

Per Yva.

Ero stata una stupida a non capire subito.

Avrei dovuto intuire che non era stato un regalo di Paul, perché lui non ha mai usato quel diminutivo, pensai.

Una lacrima bagnò il cartoncino, prima che lo riducessi in mille pezzi e lo buttassi nel cestino insieme ai resti della rosa.

In quel momento mia madre entrò nella stanza. I suoi occhi sgranati mi fissavano intensamente, tentando di capire cosa fosse successo. Infine, quando ormai la mia vista era offuscata dalle lacrime, senza fare domande, corse ad abbracciarmi.

Qualche ora dopo, reggevo tra le mani una tazza di cioccolata calda, seduta sul divano del salotto. Mia madre mi accarezzava i capelli affettuosamente, sussurrando parole dolci di tanto in tanto.

Dovevo trovarmi in uno stato davvero pietoso se mia madre mi permetteva di bere la cioccolata sul divano. Di solito il salotto era off-limits, quando si trattava di mangiare o bere cose appiccicose ed estremamente facili da versare sulla stoffa bianca.

“Trevor è andato via?” chiesi per interrompere quel silenzio imbarazzante.

“Aveva degli impegni” lo giustificò lei.

Un sorriso forzato attraversò il mio volto.

“Di’ la verità: non aveva voglia di assistere alla crisi isterica di una diciottenne pazza” esclamai sarcastica.

“Pensava che avessimo bisogno di un po’ di privacy” rispose lei sorridendo.

“Non è così tonto come sembra, allora!” commentai.

“Yvonne!” mi rimproverò lei accigliata.

“Stavo scherzando, mamma!” la rassicurai, roteando gli occhi, esasperata.

“Trevor è un uomo dal cuore d’oro. Non devi soffermarti all’apparenza!” aggiunse mia madre, arrossendo leggermente.

Non era la prima volta che glielo sentivo dire... mia madre era molto presa da quell’individuo, ma non sapevo se provasse per lui gli stessi sentimenti che aveva provato e che provava ancora per mio padre.

Per quanto mi riguardava, Trevor era ancora sotto esame. Sapevo poco di lui: lavorava alle poste e viveva a Forks; aveva una figlia che frequentava la scuola elementare di La Push e che viveva nella riserva con l’ex-moglie di Trevor.

Ero diffidente. Quel Trevor era così strano e così diverso dagli uomini che mia madre aveva frequentato in precedenza… non che fossero molti… due al massimo. In entrambi i casi, le storie si erano concluse entro il primo anno.

“Mi spiace di aver rovinato il tuo appuntamento” dissi, fissando lo sguardo sulla tazza di cioccolata.

“Non dire sciocchezze, tesoro. Tu sei la cosa più importante per me: tutto il resto passa in secondo piano quando si tratta di mia figlia” rispose, continuando ad accarezzarmi i capelli, “ Ti va di parlare di quello che è successo?”

“No… non ti offendere, ma non me la sento” risposi, provando un po’ di vergogna e senso di colpa.

“Capisco… ma sappi che io ci sarò sempre per te” esclamò lei, sfiorandomi la guancia con il dorso della sua mano liscia e calda.

Le sorrisi riconoscente e adagiai il capo sulla sua spalla, lasciando che mi cingesse in un abbraccio affettuoso e rassicurante.

***

Quel sabato passai il pomeriggio a casa di Leah.

Le raccontai dell’incontro con Manuel e Leah reagì in modo del tutto inaspettato.

Con mia cugina Lauren era stato sempre molto semplice prevedere le sue reazioni: in una situazione come quella, ad esempio, in principio avrebbe esternato indignazione, attribuendo a Manuel ogni genere di insulti e di epiteti poco lusinghieri. Infine Lauren sarebbe passata alla seconda fase, spiegandomi come avessi sbagliato nel reagire in modo così impulsivo e irrazionale.

Leah invece era una persona molto più complessa. La conoscevo da troppo poco tempo per comprendere fino in fondo la sua mentalità e quindi prevederne le azioni.

Quando terminai il mio racconto, la ragazza rimase in silenzio per parecchi minuti. Appoggiata al davanzale della finestra, guardava il cielo e mi dava le spalle.

“Leah?” la chiamai in un sussurro.

Lentamente la ragazza si voltò, guardandosi intorno, come se per un attimo avesse dimenticato dove si trovava. Si sedette sulla poltroncina di vimini, incrociò le braccia al petto con atteggiamento protettivo e solo in quel momento portò i suoi glaciali occhi neri su di me.

Rabbrividii sotto quello sguardo così intenso.

“Avrei reagito nello stesso identico modo al tuo posto” esordì lei, facendomi sussultare, “Forse sarei stata ancora più violenta e irrazionale…”

La sua espressione mi diceva che non stava mentendo.

“Sai, Yvonne? Sono combattuta…” disse poi.

“Come?” chiesi, perplessa.

“La parte più egoista, invidiosa e cinica di me ti direbbe che hai fatto benissimo. Che devi tenere duro, mandare al diavolo Manuel e calpestarlo come solo un lurido verme si meriterebbe…”

“Ma?”

C’è sempre un ma in questo genere di conversazioni.

“Nessun ma!” rispose lei.

La guardai stranita, tentando di dare un significato alle sue parole.

“Condividere una sorte comune con qualcun altro mi fa stare un po’ meglio, mi fa sentire meno sola. Se ti dicessi di fare la cosa giusta, me ne pentirei amaramente…” spiegò Leah, mentre studiava il mio volto, forse in cerca di un dettaglio che potesse suggerirle i miei pensieri.

“Ammetto che un discorso del genere non mi mette in buona luce”, continuò lei. La sua faccia era tornata ad essere la maschera di cera di sempre. “Ma questa è la verità! Una parte di me vorrebbe che tu rimanessi sola… due eterne sfigate che si tengono compagnia a vicenda… un po’ inquietante, in effetti…” aggiunse, sogghignando tra sé e sé.

“E l’altra parte di te che cosa farebbe, invece?” domandai, rapita da quel complicato ragionamento che allo stesso tempo mi lasciava esterrefatta.

“Il lato più razionale e corretto di me ti direbbe che il tuo comportamento è comprensibile, ma che adesso è venuto il momento di concedere a Manuel la possibilità di spiegarsi” rispose lei con un’alzata di spalle.

Il suo sopraciglio destro ebbe un piccolo sussulto, come se quell’eventualità non le mettesse allegria.

“Tu non sei stata tanto comprensiva nei confronti di Sam” replicai, in tono vagamente accusatorio.

“E infatti mi trovo qui, a sperare che tu non segua il mio consiglio. Ti sembra una scelta di vita sana?” chiese lei, guardandomi dritta negli occhi.

Distolsi lo sguardo, imbarazzata.

Non sapevo cosa pensare.

Mi ero aspettata parole diverse da parte di Leah, invece il suo discorso era molto simile a quello che mi aveva portato a litigare con Lauren. Le due ragazze, se pur in modo differente, mi avevano dato lo stesso consiglio…

Che stessi sbagliando tutto?

Il rumore dei pneumatici sul ciottolato mi distrasse dai miei pensieri.

Leah andò a guardare dalla finestra e poi tornando a sedersi, disse: “È solo mio padre che torna dalla pesca con Charlie”.

Non commentai.

“Yvonne…”

“Posso andare in bagno?” chiesi, interrompendola bruscamente.

Lei annuii seria ed io mi fiondai a tutta velocità, fuori dalla stanza.

In bagno, diedi una rinfrescata al viso, sperando che l’acqua fredda potesse aiutarmi a pensare in modo coerente.

Era davvero così indispensabile affrontare Manuel? Che cosa poteva dirmi di così importante?

Forse…

No, non dovevo illudermi! Non dovevo farmi fregare una seconda volta.

Forse… un giorno… parleremo… Manuel ed io da soli… ma deciderò io il quando e il dove, pensai risoluta. Non avevo nessuna intenzione di sottostare alle sue imboscate.

Feci passare cinque minuti e finalmente uscii dal bagno, un po’ più serena e decisa di quando ne ero entrata. Mi diressi alle scale per tornare da Leah e chiederle scusa per la mia “fuga” improvvisa.

Ma una voce mi bloccò sul posto…

“Ciao Sam. Qual buon vento?” chiese il padre di Leah.

Udii una porta chiudersi e lo strisciare sul pavimento di sedie che vengono spostate.

“Beh… ci sono due notizie: una buona e una cattiva…” rispose Sam.

Le voci provenivano dalla cucina. Non osai avvicinarmi di più, perché sapevo che essendo un licantropo dai sensi molto sviluppati, Sam avrebbe potuto sentirmi.

“Prima quella buona” esclamò Harry, sospirando pesantemente.

“Ne abbiamo preso uno” disse Sam, senza nascondere una nota di trionfo nella voce.

Per poco non mi lasciai sfuggire un’esclamazione di stupore.

“Intendi…”

“Si!” confermò Sam serio.

In quei giorni, Paul ed io ci eravamo sentiti solo al telefono, perché il branco era sempre occupato a dare la caccia ai due vampiri, che mietevano vittime tra gli escursionisti. Non fu difficile per me capire di cosa stessero parlando i due uomini. Inoltre sapevo che il padre di Leah era un membro influente del consiglio degli anziani e che, in quanto tale, era a conoscenza del segreto di Sam.

“La femmina?” domandò Harry.

“Purtroppo continua a sfuggirci: sembra avere un talento naturale per seminare gli avversari, ma non è questa la notizia cattiva… Bella Swan ci ha visto!” disse infine Sam.

Harry Clearwater si lasciò sfuggire un'imprecazione poco elegante e ci volle tutto il mio autocontrollo per impedire che facessi altrettanto.

“Che cosa è successo?” chiese il padre di Leah. Dalla sua voce potevo intuire quanto quella notizia lo avesse scosso.

“Eravamo in perlustrazione nel bosco. Abbiamo avvertito una scia: si trattava del maschio. Seguendo la puzza, siamo arrivati in una radura e indovina chi faceva compagnia al succhiasangue?”

“Bella?” domandò Harry sconvolto.

“Già… l’abbiamo salvata per miracolo” raccontò il capobranco.

“Che diavolo ci faceva nel bosco?”

“Jacob ha accennato qualcosa a proposito di un posto che la ragazza voleva ritrovare… non so dirti di più” raccontò ancora Sam.

“Sei sicuro che il succhiasangue non fosse amico dei Cullen? Perché se così fosse, il patto…”

“No…”, lo interruppe Sam, “Dalle parole che si sono scambiati lui e Bella, era chiaro che non facesse parte del clan del Dottore”, garantì il licantropo, “Ma dovresti tenere d’occhio gli Swan e assicurarti che Bella non sospetti di nulla” concluse, infine.

“Più facile a dirsi che a farsi. Non passa giorno che Bella non telefoni a Billy per avere notizie di Jacob. La scorsa settimana Charlie mi ha chiamato qui a casa e sono sicuro che sia stata sua figlia a costringerlo. Quella ragazza conosce la verità sui Cullen e l’esistenza del patto. Non ci metterà molto a comporre il puzzle” disse Harry con tono severo.

A quanto pareva, dopo la trasformazione, Jacob era stato costretto ad evitare Bella proprio com’era capitato a Paul.

“Pensi che non lo sappia? Jacob diventa sempre più indisciplinato… vorrebbe raccontare la verità a Bella. Non gli sta bene che la ragazza di Paul…”

“Abbassa la voce… è di sopra con Leah!” lo ammonì Harry.

“Cosa? Ti ricordo che Yvonne progetta di raccontare tutto a Leah!” esclamò Sam, indignato.

“Che cosa dovrei fare? Il mio cuore non è più quello di una volta e sai bene come la penso riguardo a mia figlia… tutti questi segreti non fanno bene alla salute!” replicò irritato Harry.

A quel punto decisi che avevo origliato abbastanza.

Mentre salivo le scale, per tornare in camera di Leah, pensai a quello che avevo appena sentito: venni invasa da disgusto e rancore nei confronti di Sam.

A che osa serviva tutta quella segretezza?

Leah era circondata da persone che le mentivano… me compresa. Mi odiavo per quello che le stavo facendo. Avevo fatto una promessa a Paul, è vero, ma Leah era mia amica. Come potevo tradirla, dopo l’aiuto che lei mi stava dando?

Non c’era altra soluzione: dovevo parlare con Sam di persona!

Ma quei pensieri vennero completamente spazzati via, nel preciso istante in cui misi piede all’interno della stanza di Leah.

“Quante volte ti devo dire che non voglio che tocchi le mie cose?” stava urlando Leah, contro il fratello Seth.

“Le tue cose? Non mi pare che su questo lettore CD ci sia scritto il tuo nome” rispondeva a tono Seth, il cui volto, solitamente gentile e allegro, adesso era rosso come un pomodoro per la rabbia. “Nel caso non lo ricordassi, questo lettore e di tutte e due: papà ce lo ha regalato per Natale”.

“Sei solo un piccolo bugiardo! Subdolo e bugiardo! Nel caso lo avessi dimenticato, avevamo concordato che io avrei tenuto il lettore, visto che tu avevi ricevuto uno stereo nuovo per il compleanno!” replicò Leah, altrettanto rossa in faccia e altrettanto arrabbiata.

“Ah! Sarei io il bugiardo? È una battuta?” chiese sarcasticamente Seth.

“Ehm… ragazzi? Non vi sembra di esagerare?” intervenni timidamente.

I due fratelli Clearwater si zittirono all’istante, rivolgendo i loro sguardi furiosi nella mia direzione. Se fossi stato un cagnolino, sarei scappata via con la coda tra le gambe e le orecchie abbassate.

Leah chiuse gli occhi e ansimando come un bufalo impazzito, intimò al fratello di uscire dalla stanza. Seth gli fece una linguaccia, che lei fortunatamente non vide e se ne andò, sbattendo la porta, in modo così violento che quella per poco non uscì dai cardini.

“Non hai idea di quanto tu sia fortunata ad essere figlia unica!” esclamò infine Leah, lasciandosi cadere sul letto, esausta.

***

Erano le undici e mezzo di sera.

Mia madre era andata al cinema con Trevor ed io ammazzavo il tempo, lavorando al mio forum sui vampiri.

Lo avevo chiamato “Fangtasia: accesso libero ad umani e non”*. Naturalmente non mi aspettavo che si registrassero anche dei vampiri. Era un titolo spiritoso, che avevo lo scopo di suscitare curiosità nei visitatori e spingerli a registrarsi. Solo una persona come me, che sapeva dell’esistenza di creature sovrannaturali, poteva coglierne la sottile ironia.

In realtà non era molto frequentato. Certo, trovavo un po’ patetico perdere tempo su un forum che frequentavo quasi sempre e solo io, ma almeno mi impediva di rodermi il fegato con i miei problemi.

Quella sera stavo modificando un post dedicato ad Anna Rice. Mi accorsi di aver scritto in modo errato il nome di un personaggio, così decisi di controllare sul libro “Intervista col Vampiro” per esserne certa.

Avevo letto molte volte quel libro, ma non lo toccavo dalla notte in cui Edward era venuto nella mia stanza per salutarmi.

Troppo pigra per usare una sedia, mi arrampicai sugli scaffali della libreria e afferrai il libro in questione. Nel modo di scendere, però, persi l’equilibrio. Istintivamente lasciai andare il volume, in modo da avere le mani libere e caddi a quattro zampe sul pavimento.

Seratina tranquilla, vero Yvonne? pensai, rimettendomi in piedi e controllando che non mi fossi ferita mani e ginocchia.

Poi lanciai un’occhiata al libro: giaceva per terra e cadendo si era aperto ad una pagina in cui era stato messo un foglietto di carta. Inizialmente pensai ad un segna-libro, ma quando mi inginocchiai per guardarlo meglio, mi accorsi che si trattava di un biglietto.

In caso di necessità, chiamami a questo numero…
Edward.

Lessi più volte il messaggio, incredula. Edward mi aveva lasciato il suo recapito telefonico!

In caso di necessità… recitava il foglietto.

Nel caso la sua bella commettesse qualche sciocchezza, voleva dire…

Pirla, pensai quasi subito.

Chiusi il libro con violenza, immaginando di colpire la testa di quello stupido vampiro.

Mi mancava solo un vampiro con le sue manie ossesive-barra-iperprotettive! Adesso sì, che sono pronta per il manicomio!

Insomma! Se voleva tenere d’occhio la sua tanto amata ex-fidanzata, perché non rimaneva qui a Forks?

Coglione!
Come se non avessi altro a cui pensare…
Quanto vorrei cantargliene quattro a quel vecchio decrepito di un centenario!

Mi bloccai all’istante.

Ma io posso! pensai euforica.

Corsi a recuperare il libro e con crescente frenesia, sfogliai velocemente le pagine fin quando non trovai il biglietto. Afferrai il cellulare e composi il numero.

Il telefono cominciò a squillare.

Man mano che passavano i minuti, però, l’entusiasmo del momento cominciò a scemare, lasciando il posto a nervosismo e disagio.

Che diavolo dovrei dirgli?

La chiamata venne staccata improvvisamente e non potei fare a meno di provare un po’ di sollievo.

Chiusi per la seconda volta il libro di Anna Rice, decisa a dimenticare quel numero di telefono e il cellulare cominciò a squillare. Per lo spavento saltai in aria.

Devo decidermi a cambiare suoneria, pensai mentre, con sguardo attonito, fissavo il display sul quale era comparso il numero di Edward.

Con mani tremanti risposi.

“Pro-pronto” balbettai.

“Yva? Sei tu? È successo qualcosa? Come sta Bella? Che cosa ha fatto? Perché non parli? Avanti, vuoi farmi morire?”

“I vampiri non muoiono, Edward!” gli feci notare, interrompendolo. Picchiettavo le dita sul piano della scrivania e fissavo il vuoto con un sopraciglio inarcato.

Ci fu qualche attimo di silenzio e ci avrei scommesso il mio maggiolino verde, Edward stava cercando di sondare i miei pensieri attraverso il telefono…

Chissà se è possibile? mi chiesi.

Feci una prova…

Edward sei un coglione!

Nessuna reazione.

Non esiste un esser più inutile di te.

Silenzio.

Fai pena perfino come vampiro, pensai infine, ma giacché non avevo ottenuto alcun risultato, ne dedussi che Edward non era capace di leggere il pensiero attraverso il telefono.

“Si può sapere perché mi hai telefonato?” domandò lui serio e preoccupato, rompendo il silenzio e distraendomi dalle mie congetture.

“Avevo voglia di rivivere i bei momenti passati insieme…” risposi, ridendo sotto i baffi. “A proposito, perché mi hai staccato la chiamata?” chiesi poco dopo.

“Non ci crederai, ma il tuo sarcasmo da strapazzo mi è mancato parecchio… e per rispondere alla tua domanda, ho pensato che tua madre non avrebbe gradito di avere un’interurbana sulla bolletta”, rispose Edward.

“Interurbana? Dove ti trovi?” domandai curiosa.

“A Rio…” rispose lui, tornando cupo e malinconico.

“E bravo Edward! Ci stiamo dando alla pazza gioia, non è così? Ammettilo: le brasiliane sono più interessanti delle Mezze Albine!” lo presi in giro, ridendo.

“Yva!” intervenne lui, “Te lo chiederò una volta soltanto, poi spegnerò il cellulare: perché mi hai telefonato?”

Lo avevo fatto infuriare.

Bene, un poco a ciascuno, non fa male a nessuno, pensai.

“Vuoi sapere perché ti ho chiamato? Per farti un cazziatone, ecco perché!” esclamai, lasciando che tutta l’irritazione covata per mesi venisse fuori. “Per chi mi hai preso? Per il tuo centro informazioni? Che cosa pensi che io sia? Le pagine gialle per le Mezze Albine Cerebrolese? Se sei tanto curioso di sapere come sta la tua ex, e sottolineo, ex - fidanzata, torna a Forks e scoprilo con i tuoi occhi!”

Terminata la mia arringa, mi accorsi di avere il fiato grosso e la gola secca.

“Noto una certa irritazione nella tua voce” replicò lui, all’apparenza divertito.

Nella mia mente comparve l’immagine della sua marmorea faccia da poker.

“Ed io noto con piacere che il tuo senso dell’umorismo è nettamente migliorato…” risposi a tono, ghignando soddisfatta.

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Edward scoppiò a ridere.

Sentire nuovamente quella risata, melodiosa come il suono di un’arpa, mi riportò indietro nel tempo con i ricordi. Risi anch’io, contagiata da quel suono così armonioso, che ammaliava anche a distanza di chilometri e attraverso un telefono.

“Non ti facevo così allegro. Ti immaginavo nascosto in un buco polveroso, sepolto tra ratti e ragni, intento a piangerti addosso come solo tu sei capace di fare” dissi poco più tardi.

“Ci sei andata vicina. È la prima risata in cinque mesi” rispose lui, tornando improvvisamente serio e triste.

A quanto pareva, al contrario del suo umorismo, gli sbalzi di umore non erano migliorati per niente.

“Edward…” ma venni interrotta prima che potessi aggiungere qualche altra cosa.

“Bella sta bene?” domandò lui con voce fredda e distaccata.

Che cosa dovevo raccontargli? Che la sua ex-ragazza era caduta in depressione? E che per questo motivo aveva cominciato a frequentare un licantropo adolescente?

“Diciamo di si…” farfugliai.

“Allora non abbiamo altro da dirci” disse Edward duro.

“Ma…” mi interruppe un’altra volta.

“Mi ha fatto molto piacere sentirti, dico davvero, ma non chiamarmi più, se non è assolutamente necessario!”

“Aspetta!” provai a fermarlo.

“Addio, Yva!”

Tu, tu, tu, tu, tu…

Aveva chiuso la conversazione. Come sempre, Edward aveva fatto di testa sua…

Pirla!
Stupido pirla, senza speranze!

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Nota di fine capitolo:
*“Fangtasia: accesso libero ad umani e non”: il termine “Fangtasia” è preso dalla Saga di Sookie Stockhouse ed è il nome di un locale gestito da vampiri. Essendo Yvonne una fan della saga, ho pensato che andasse bene come nome per il suo forum.

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Nota autore:

Prima di tutto, scusate il ritardo! Sono stata colta dal classico blocco della fanwriter. Diventa sempre più difficile scrivere un capitolo che sia all’altezza della situazione. Detto questo, la mancanza di ispirazione non era dovuta a questo capitolo in particolare, ma alla storia nel suo insieme. Ma non voglio annoiarvi con i miei problemi, quindi passiamo avanti.

Ho dedicato questo capitolo a CriCri88, perché è merito suo se ieri ho scritto questo capitolo. Mi ha dato l’idea per la telefonata tra Edward e Yva e con le sue parole mi ha irrorato la voglia di scrivere. Perciò… grazie CriCri88! Spero che il capitolo non sia così insulso, da indurti ad offenderti per la dedica…

Andiamo al capitolo.

Manuel è tornato e come ha già detto lui, non si arrenderà tanto facilmente. Non c’è molto da aggiungere!

Volevo spendere qualche parola in più riguardo al discorso di Leah (“ma anche no”, starete dicendo voi, ma lo faccio lo stesso). Non so se sono riuscita a rendere chiaro il suo ragionamento. A volte può capitare che quando ci sentiamo tristi e vediamo persone felici e spensierate, proviamo un po’ invidia nei loro confronti. Una piccolissima parte di noi vorrebbe che anche loro fossero tristi. In questo modo non ci sentiremmo così tristi e soli. So che può sembrare un pensiero cattivo, ma in realtà, secondo me, ciò deriva dal desiderio di essere compresi e capiti. Fatta questa lunghissima premessa, a mio parere, è così che si sente Leah, ogni volta che vede una coppia felice e innamorata. In Yvonne ha trovato un’amica e una compagna di sventure, perciò ha paura che, se Yvonne ritrovasse la sua felicità, lei ritornerebbe ad essere sola ed incompresa. Non so quanto questo possa essere IC con il personaggio, ma in fin dei conti la Meyer non ci dice tantissimo su di Leah. Come dice Yvonne stessa, Leah è un personaggio complesso ed io sto imparando a conoscerlo passo passo, insieme alla protagonista.

La litigata tra Leah e Seth sembra un po’ messa lì a casaccio, ma in realtà è funzionale a ciò che accadrà in seguito.

La telefonata tra Edward e Bella è pensata per far sorridere (mi piaceva un sacco prendere in giro Edward attraverso Yvonne, nella ff precedente),ma chissà… in futuro potrebbe serire…

Infine, vi consiglio vivamente di non perdere il prossimo capitolo, perché ho il sospetto che piacerà molto a voi lettrici ed eventuali lettori. Ho già detto troppo…

Ringraziamenti.

Per asheptus: grazie per la recensione. Sono contenta che la parte con Trevor ti sia piaciuta, mi sono divertita molto a scriverla XD. Purtroppo come hai potuto sicuramente leggere, non è stato Paul a regalare la rosa a Yva, ma Manuel. Inoltre non sono stati i vampiri ad interrompere la serata di Paul ed Yva, ma la trasformazione di Jacob. Forse non sono stata abbastanza chiara nel capitolo precendente, se è così, chiedo scusa. Grazie per tutti i complimenti e scusa per il ritardo! Baci, vannagio.

Per miseichan: grazie anche a te. Sono contenta che il capitolo ti sia piciuto. Fa sempre piacere ricevere recensioni così entusiastiche. Che cosa ne pensi di questo nuovo capitolo? Fammi sapere e ancora grazie. Baci, vannagio.

Per Frammento: grazie per la velocissima recensione XD. Allora… non sei la sola a temere l’avvento di Rachel (mi fa piacere che ti tieni informata), ma purtroppo non posso dare anticipazioni, anche perché in questo periodo la mia zucca è al quanto confusa. Il chiarimento con MeatlBoy è vicino, un pochino di pazienza, please! Riguardo Leah… mi sta venendo l’ansia da prestazione XDDDDDD. Grazie ancora! Baci, vannagio.

Per C4rm3l1nd4: grazie mille anche a te, carissima. Sono contenta che l’incontro con Trevor ti abbia divertito. Tranquilla, Yva riuscirà a superare il trauma velocemente, o almeno lo spero... XD Riguardo la rosa, avevi indovinato. Non è stato Paul ma Manuel! Tu a chi avevi pensato? Grazie ancora per i complimenti! Alla prossima… baci, vannagio!

Per TheDreamerMagic: grazie per la recensioe e i complimenti. Come avrai senz’altro capito da sola, è stato Manuel a regalare la rosa a Yva… anche a me piace molto Paul, ma non posso rispondere alle tue domande (lo so, sono sadica, ma non odiatemi per favore!). Sono contenta che la parte di Trevor ti sia piaciuta. Anche a me Trevor fa molta simpatia… è nato spontaneamente! Grazie ancora! Baci, vannagio.

Per crazyfv: ciao cara! Perdono il tuo ritardo, se tu perdoni il mio, ok? Scherzo ovviamente. Non farti problemi… va bene? XD Sono felice che il capitolo precedente ti sia piaciuto. Hai visto “quarant’anni vergine”? Beh… non preoccuparti non sono così cattiva da far fare la ceretta a Trevor XDDDDD. Si, Trevor non è un don Giovanni… è un tipo introverso, timido, un po’ sfigato e quindi, per certi versi, simile a Yvonne, solo che lei ancora non se n’è accorta XDD. Grazie ancora e alla prossima. Baci, vannagio.

Grazie anche a coloro che si limitano a leggere, preferire, ricordare e seguire, la mia ff.

A presto, vannagio.

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Capitolo 14
*** Setta ***


Setta: non aver paura!


I giorni successivi trascorsero tranquilli: non ricevetti telefonate da vampiri deficienti, visite di licantropi impulsivi e non subii imboscate da ex-ragazzi fedifraghi.

Il mercoledì seguente, però, appena tornata da scuola, Paul mi chiamò al cellulare. Quella sera, alla spiaggia di La Push, si sarebbe tenuto il falò di benvenuto in onore di Jacob, che era l’ultimo arrivato nel branco.

Ero indecisa se accettare o meno l’invito. Il ricordo della conversazione che avevo origliato a casa di Leah era ancora vivo nella mia memoria, ma l’idea era stuzzicante… senza contare che avevo promesso a me stessa di affrontare Sam di persona. Forse con la pancia piena, il Capo Branco si sarebbe mostrato più disponibile ad ascoltare le mie ragioni. Alla fine dopo mille ripensamenti decisi di andare. Inutile dire che Paul ne fu entusiasta.

Mia madre non fece tante storie a riguardo. Da quando aveva conosciuto Trevor, era diventata molto permissiva nei miei confronti e ciò non poteva che giocare a mio favore. Inoltre, non aveva dimenticato la mia reazione in seguito alla comparsa di Manuel, quindi, forse, sperava che un’uscita tra amici mi avrebbe giovato.

Certo, se avesse saputo che i suddetti amici fossero in realtà dei giganteschi lupi affamati, non credo che sarebbe rimasta dello stesso avviso…

Paul venne a prendermi verso le otto di sera con il suo pick-up. Ero molto nervosa e intimorita perché non sapevo cosa aspettarmi da quella serata. Sebbene Paul mi tenesse sempre informata sull’attività del branco, non avevo mai avuto il coraggio di chiedergli cosa pensassero i suoi fratelli di me e del nostro complicato e poco definito rapporto. Inoltre ero un viso pallido, una specie d’intrusa, che aveva scoperto il loro segreto con inganni e sotterfugi…

Quando Paul ed io arrivammo alla spiaggia e raggiungemmo il luogo stabilito per l’incontro, non potei fare a meno di sospirare pesantemente e irrigidirmi come un pezzo di legno. Forse Paul si accorse del mio stato d’animo, perché mi prese per mano e mi rivolse un sorriso rassicurante.

Il folto gruppo di persone non era composto soltanto dai membri del branco, come avevo immaginato. C’erano anche Billy Black, Harry Clearwater – il quale mi lanciò un’occhiata molto eloquente – e un uomo anziano, che mi fu presentato come Quil Ateara.
Domandai a Paul quale scusa usasse Harry Clearwater per giustificare alla famiglia quelle uscite serali. Paul mi rispose con tre parole: “Consiglio della tribù”.
E se non mi credete, prendete il capitolo undici di New Moon e leggete…

…[Charlie] chiamò di nuovo Harry per chiedergli se i Black fossero fuori città. Harry gli rispose di avere incontrato Billy al consiglio della tribù mercoledì sera e di non averlo sentito parlare né di viaggi né di trasferte…

Accoccolata contro il petto di Sam, c’era una ragazza. Anche se era la prima volta che la vedevo, capii subito di chi si trattava. I tre profondi tagli che le attraversavano la parte destra del viso non lasciavano spazio a dubbi o perplessità.
Era Emily, la cugina di Leah, la ragazza che le aveva soffiato il fidanzato!
Nonostante il volto sfregiato, la somiglianza tra le due ragazze era impressionante.
Fui contenta di essere stata preparata a questo incontro, perché in caso contrario non sarei riuscita a rimanere impassibile di fronte a quelle cicatrici.
Li guardavo mentre si scambiavano tenere effusioni e contemporaneamente mi chiedevo come riuscissero a convivere con il senso di colpa. Ciò che mi sconcertava di più era vedere come Harry, il padre di Leah, non battesse ciglio di fronte a quello spettacolo.

Ma Emily ed io non eravamo le uniche ragazze del gruppo. Jared era in compagnia della sua fidanzata, Kim. I due non si toglievano gli occhi di dosso nemmeno per un secondo. Non avevo mai visto un tale livello di adorazione… forse potevano superarlo soltanto gli sguardi da pesce lesso, che Edward e Bella si scambiavano a vicenda.

Ragazze Lupo, era questo il termine che Emily usava per definire Kim e se stessa…

A dispetto dei miei timori, venni accolta con entusiasmo e trattata come una del branco. Ero un po’ spaesata da quella calorosa accoglienza, anche perché non ero sicura di ricambiare la simpatia che loro sembravano provare per me.

“Ne è passato di tempo!” mi salutò Embry sorridendo, riferendosi alla volta in cui lo avevo incontrato sulla spiaggia insieme a Leah. Gli sorrisi timida, salutandolo con un cenno del capo.
Anche Jared mi salutò con enfasi e credendo di non essere visto, ammiccò in direzione di Paul.
Le ragazze si dimostrarono molto cordiali con me, così come i tre anziani.
L’unico che non sembrava in vena di festeggiamenti era Jacob. Se ne stava seduto su un tronco, con lo sguardo fisso sulle fiamme e quando qualcuno provava a parlargli, si limitava a rispondere con dei grugniti.
Ogni tanto lanciava occhiate sprezzanti a Paul e me e non era difficile capire cosa stesse pensando. Probabilmente si chiedeva perché io fossi a conoscenza del loro segreto e Bella no. Non potevo che essere d’accordo con lui: tutta quella segretezza per me era un’assurdità.

Nonostante ciò, passai una piacevole serata, ridendo dei litigi giocosi tra Jared, Embry e Paul e ascoltando le affascinanti leggende dei Quileute. Mangiai talmente tanto da suscitare ammirazione in Paul e Jared, che a quanto pare non avevano mai incontrato una ragazza capace di ingozzarsi come un facocero.

Trascorsero diverse ore.

Emily e Kim chiacchieravano allegre con gli anziani. Jared ed Embry si contendevano l’ultimo panino. Sam era rimasto da solo, davanti al fuoco.

Ora o mai più!, pensai.

Mi alzai, decisa ad affrontarlo, ma prima che potessi muovere un passo in avanti, Paul mi afferrò per un braccio, trattenendomi e costringendomi a tornare seduta. Lo fulminai con lo sguardo, ma lui non si fece intimorire.

“Credimi, non è il momento adatto” disse il licantropo. Il tono della sua voce non ammetteva repliche. Paul sapeva quali erano le mie intenzioni, perché gliene avevo parlato prima di arrivare alla spiaggia.

Diedi un’altra occhiata a Sam: fissava il vuoto, con aria pensierosa, come se fosse angustiato dai suoi stessi pensieri. Aprii la bocca per parlare, ma Paul mi precedette.

“Non questa sera, per favore. Avrai l’occasione per parlargli, ma non stasera”.

“Me lo prometti?” chiesi. La mia domanda suonava quasi come una supplica.

Lui annuì serio, senza battere ciglio.

Consapevole di non avere altra scelta, sospirai e accasciandomi contro una roccia, sollevai il viso verso il cielo, stranamente sgombro dalle nuvole. Mi persi nella contemplazione delle stelle: cercavo di individuare alcune delle costellazioni che, quando ero bambina, mio nonno mi aveva insegnato a riconoscere. Per questo motivo non mi accorsi subito di avere addosso lo sguardo insistente di Paul.

“Che cosa c’è?” domandai, studiando la sua espressione indecifrabile.

“Ti andrebbe di fare una passeggiata?” chiese a sua volta lui.

“D’accordo” risposi, mentre lui si metteva in piedi e mi porgeva la mano. La afferrai e mi feci tirare su, con un unico, energico strattone.

***

Camminavamo lungo la battigia da un po’ di tempo. Avevamo parlato del più e del meno, ma nonostante cercassi si simulare naturalezza, sentivo nascere in me una certa inquietudine. Era come se stesse per accadere qualcosa. Il tipico nervosismo, dovuto all’attesa, mi procurava imbarazzo e mi rendeva impacciata nei gesti e nei movimenti.

Stanchi di camminare avanti e indietro, incuranti dell’umidità, ci sistemammo su un lembo di spiaggia riparato dal vento. Rimasi seduta, mentre Paul si sdraiò accanto a me, con le braccia incrociate dietro la testa.
Guardavo il mare agitato e nero come il petrolio e tentavo di dare una spiegazione a quel nervosismo che non voleva abbandonarmi.

“Non mi hai mai detto che cosa è successo tra te e… coso…” esordì lui, cogliendomi di sorpresa. Prima di rispondere, rimasi qualche secondo in silenzio, come a voler trovare le parole giuste. Paul attese pazientemente che rispondessi.

“Non lo intuisci da solo?” chiesi poi, rivolgendogli uno sguardo carico di sottointesi.

Paul studiò il mio volto, senza capire. Poi, quando finalmente parve comprendere la mia allusione, sgranò gli occhi e sussurrò: “Non avrà per caso…?”

“Si” lo interruppi, riportando lo sguardo sulle onde, che si infrangevano contro gli scogli e di cui potevo intravedere soltanto la spuma, a causa dell’oscurità. Il suono da esse prodotto era ipnotico e sembrava volesse cullarmi.

“Vuoi che gli dia una bella lezione?” chiese improvvisamente lui.

“Cosa?” domandai a mia volta, stupita, voltandomi di scatto verso il ragazzo.

L’inconfondibile ghigno lupesco attraversò il suo viso, quando rispose: “Potrei raggiungere Seattle in poche ore…”

“Paul…” lo interruppi nuovamente, scuotendo la testa divertita.

“Dico sul serio: non ci sono solo svantaggi nell’essere un licantropo!” insisteva Paul.

“E quali sarebbero questi vantaggi?” chiesi, ridendo.

“Beh… spaventare a morte il bastardo che ti sta facendo soffrire, ad esempio!”, poi tornando serio, “Come ha potuto farti una cosa del genere?”

“Parli così perché non hai visto Andrea…”

Paul si alzò a sedere e poggiando una mano sulla mia spalla, con delicatezza mi fece girare verso di lui.

“Non potrei mai farti una cosa del genere” esclamò con impeto.

“Non puoi saperlo” replicai tristemente, evitando il suo sguardo offeso.

“Guardami”, disse in tono autoritario, “Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi!”

Non potei fare a meno di obbedire. Scrutai quegli occhi neri e profondi, come una notte senza stelle, cercando di trovare una risposta alla sua domanda.

“Non lo so, Paul… io… non lo so…” balbettai infine, abbassando nuovamente lo sguardo, imbarazzata.

“Lo sai invece… ma non vuoi ammetterlo perché hai paura…” mi corresse Paul. Parlava in modo freddo e distaccato.

“Forse hai ragione, ma vorresti darmi torto? Ti chiedo solo di…”

“No!” intervenne lui. Non aveva urlato, ma quel tono di voce pacato e allo stesso tempo fermo e deciso mi fece rabbrividire. Ritornai a fissarlo intensamente e lui riprese a parlare: “Sono stanco di fare il bravo ragazzo. Mi sono fatto da parte quando pensavo di essere troppo pericoloso per te. Ho aspettato pazientemente quando stavi con quel… individuo. Ho rispettato la tua scelta, quando hai preteso del tempo per abituarti alle novità. Ma adesso… non c’è più niente che ci divide e non puoi chiedermi di aspettare ancora”.

“Paul…” farfugliai, deglutendo a vuoto.

“Non parlare…” bisbigliò lui.

Per diversi minuti non facemmo altro che scrutarci a vicenda: i suoi occhi mi incantavano, impedendomi di rivolgere lo sguardo altrove.
Come se avesse paura di farmi del male, Paul sfiorò appena la mia fronte in una carezza leggera, con le sue dita calde. Queste seguirono i contorni del lato destro del mio viso, come se lo stessero esplorando: zigomo… guancia… labbra… mento…
Le sentii scivolare sul collo come una brezza calda e delicata, fin quando la sua mano non si soffermò sulla nuca. Così, con una leggerissima pressione, egli invitò il mio viso ad avvicinarsi al suo, che, a sua volta, si stava muovendo verso di me, lentamente.
Inizialmente ero troppo ammaliata per oppormi. Nell’ultimo istante, però, quando le nostre labbra stavano per sfiorarsi, mi resi conto di quello che stava accadendo e mi ritrassi di qualche centimetro, spaventata.
Ci bloccammo così, a pochi passi dalla meta: la sua mano destra tra i capelli mi impediva di indietreggiare ulteriormente; quella sinistra sulla guancia mi invitava a ritornare sulle sue labbra.
I nostri fiati si mischiavano… il calore e l’odore della sua pelle mi confondevano…
Incerti… indecisi… titubanti… ci studiavamo a vicenda, guardandoci negli occhi e rivolgendo occhiate fugaci alle nostre bocce, leggermente dischiuse.
Attendevamo entrambi con trepidazione che l’altro facesse qualcosa.

“Non aver paura, Yvonne” sussurrò lui, a fior di labbra.

Chiusi gli occhi, con la mente libera da ogni pensiero, ripercorsi l’irrisoria distanza che ci separava e lo baciai.

Non so dire con precisione cosa provai… ero troppo confusa e disorientata per pensare in modo coerente. Dapprima fu un bacio timido, quasi impacciato, ma ben presto i ricordi si fecero largo nella mia mente e il bacio si trasformò in qualcosa di più passionale e travolgente. Quello che ricordo bene è l’improvvisa consapevolezza di quanto avessi desiderato quel momento negli ultimi giorni.

La mano sinistra di Paul prese ad accarezzarmi il braccio, percorrendone la lunghezza fino al gomito. Lenta e inesorabile raggiunse il fianco, dove si soffermò per qualche secondo. Poi, improvvisamente, cinse la mia vita, facendomi aderire al suo petto roccioso e mi trascinò con sé sulla sabbia.

Distesa parzialmente su di lui, continuavo a baciarlo, mordicchiandogli il labbro inferiore e facendo scorrere le dita sulle sue spalle larghe e forti. Le sue mani si insinuavano maliziose sotto la maglia, provocandomi dei brividi che non avevano niente a che fare con il freddo.

Dopo diversi minuti, mi allontanai di qualche centimetro dal suo viso, ammirando i suoi occhi neri, che adesso brillavano, illuminati da una nuova luce.
Paul sorrise, abbagliandomi.
Sorrisi anch’io. Poggiai i gomiti sul suo torace, affondai il mento nel palmo delle mie mani e continuai a fissarlo con aria pensierosa.

“A cosa pensi?” chiese, ricambiando lo sguardo e scostando una ciocca ribelle dal mio viso.

“Ad Emily e Kim” risposi. La sua espressione preoccupata mi fece sorridere. “Posso considerarmi anch’io una Ragazza Lupo, adesso?” chiesi poi tornando a fissarlo, seria.

“Se lo vorrai, si!” rispose lui. Il suo viso si rabbuiò: forse temeva un rifiuto?

“Uhm… dipende…” risposi, accarezzandomi il mento, come se stessi vagliando tutte le possibilità.

“Da cosa?” chiese lui allarmato.

“Non mi cresceranno i peli ovunque, vero?” domandai sarcastica.

La paura lasciò spazio a stupore e sbigottimento, fin quando le sue labbra non si allargarono in un bellissimo sorriso canzonatorio.

“Non so… conosci il detto? Donna baffuta, sempre piaciuta!” esclamò lui divertito.

Lo colpii sul mento, fingendomi offesa, poi scoppiammo a ridere ed insieme cominciammo ad arrotolarci nella sabbia come due bambini.

***

Paul ed io stavamo insieme!
Ero così felice che sarei stata capace di urlarlo al mondo intero e invece non potevo… o meglio… non potevo raccontarlo all’unica amica che mi era rimasta. Leah non sapeva ancora nulla. Temporeggiavo, sperando che Paul mantenesse la sua promessa, ossia farmi parlare con Sam.

Due giorni dopo la sera del falò, con mio grande stupore, Paul si fece trovare nel parcheggio della mia scuola accanto al maggiolino verde. In un primo momento ebbi una spiacevole sensazione di déjà-vu, ma il suo magnifico sorriso a trentadue denti scacciò via ogni brutto ricordo.
Mentre gli correvo incontro e mi fiondavo tra le sue braccia, infischiandomene di dettagli insignificanti come dignità e contegno, non riuscii a non gongolare nel notare gli sguardi scioccati ed invidiosi che le ragazze mi rivolgevano.

“Che cosa ci fa qui?” chiesi, dopo un bacio tutt’altro che casto.

“Non sono libero di andare a trovare la mia ragazza all’uscita della scuola?” domandò sghignazzando.

“Sii serio, una buona volta!” lo rimproverai giocosamente.

“Sam ha acconsentito a parlarti!” rispose lui.

“Alleluia! L’uomo del monte ha detto si!*” esclamai sarcastica, scatenando le risate di Paul. “Quando?” chiesi ancora.

“Anche adesso, a casa di Jacob”.

“Come mai lì?” domandai, inclinando la testa, curiosa.

“La madre di Sam non sa niente di licantropi e compagnia bella, quindi casa di Sam non va bene. Inoltre Emily potrebbe turbarsi ascoltando discorsi su Leah, quindi…”

“Strano che Sam non si sia posto alcun problema, quando si trattava di turbare Leah!” commentai sprezzante, interrompendolo. Ma Paul non mi ascoltava, troppo interessato ad una ciocca svolazzante dei miei capelli.

“Non essere dura con lui…” replicò sorridendo, come se la mia rabbia fosse qualcosa di divertente.

Quel comportamento mi irritò parecchio, così puntai il mio dito accusatore contro il suo torace e dissi: “E tu smettila di difenderlo sempre e comun…” venni zittita da un bacio, senza che potessi – o volessi – oppormi. Poco dopo Paul si staccò da me e sghignazzando, aggiunse: “Non mi piace litigare con te!”

***

La casa di Jacob era simile a quella di Paul: piccola e accogliente ma leggermente più disordinata. La mancanza di una donna si vedeva e si sentiva: la Signora Black era venuta a mancare anni prima e le sorelle di Jacob, Rachel e Rebecca, erano andate via da La Push, una per studio, l’altra per amore… o almeno… questo mi era stato raccontato da Paul in macchina.

Quando entrai nell’abitazione, Sam, Jared, Embry e Billy erano seduti intorno al tavolo del soggiorno. Appoggiato alla parete, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo imbronciato, c’era Jacob. Mi osservava in silenzio con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

Li salutai ad uno ad uno e Sam mi fece cenno di sedermi. Per dimostrarmi il suo appoggio, Paul prese posto accanto a me.

“Credo… non sia necessario spiegare perché sono qui, giusto?” farfugliai, deglutendo a fatica. Sotto il tavolo, la mano calda di Paul si posò sul mio ginocchio. Respirai profondamente e mi sentii subito meglio.

“Yvonne, capisco il tuo punto di vista, capisco che ti senta in colpa, ma non possiamo svelare il nostro segreto a Leah. È la regola!” esordì Sam. Mi guardava dritto negli occhi, ma sul suo viso non leggevo antipatia o seccatura. Forse stava prendendo la discussione sul serio? Lo speravo…

Nonostante ciò, decisi di dire quello che pensavo, senza censure: “A me sembra che qui si usino due pesi e due misure”.

“Che cosa intendi?” chiese Sam pacatamente, come un insegnante che esorta l’alunno a formulare meglio la domanda.

“Emily e Kim conoscono la verità. Perché per me, Leah o… Bella dovrebbe essere diverso?” domandai esitante. Registrai un movimento in fondo alla stanza, laddove si trovava Jacob. Era una carognata da parte mia tirare in ballo Bella, ma speravo di portare qualche membro del branco dalla mia parte. Sam mi fulminò con lo sguardo: aveva capito il mio gioco.

Paul, accanto a me, si irrigidì all’improvviso. Forse stavo esagerando? Forse stavo stuzzicando il cane che dorme? Fissai Sam, ma mi parve abbastanza tranquillo.

“È complicato…” rispose evasivo il Capo Branco.

“L’apparenza inganna: non sono così stupida!” replicai seria. Embry si lasciò scappare una risatina, ma nessuno sembrò farci caso.

In quel momento, il telefono di casa Black cominciò a squillare, rompendo il silenzio che si era creato. Senza dire una parola, Billy andò a rispondere.

“Pronto?” domandò. Dopo qualche secondo, disse “Non è in casa”.

Improvvisamente l’atmosfera si fece densa come un budino. A quanto pareva, non fui la sola ad intuire chi fosse l’autrice della telefonata. Jacob mosse un passo in avanti ma un’occhiata da parte di Sam bastò a fermarlo.

“È uscito con gli amici” disse ancora Billy, con voce atona. Si guardò intorno, come a cercare manforte. Jacob serrava i pugni e fissava la cornetta del telefono, come se anelasse raggiungerla.

“No”, un attimo di esitazione da parte dell’uomo, “Non credo sia con Quil, oggi”.

Paul mi lanciava occhiate ansiose ma io non ne compresi il significato.

Intanto Jacob camminava avanti e indietro: ricordava molto un feroce animale in gabbia.

“Si, è uscito con Embry” confermò Billy, guardando Sam e scrollando le spalle come a volersi scusare.

“Certo, certo nessun problema” e senza tanti complimenti riagganciò la cornetta.

“Non si arrenderà: non potete giocare a nascondino per sempre” esclamai seria e risoluta, spostando lo sguardo da Jacob a Sam.

“Teniamo Bella Swan fuori da questa discussione” replicò lui. Notai un velo di irritazione nella sua voce.

“E perché?” si intromise Jacob, altrettanto alterato. Avevo raggiunto il mio scopo, ma non riuscii a rallegrarmene, perché mi accorsi subito che il corpo del ragazzo era scosso da fremiti involontari. La situazione non si stava mettendo per niente bene!

“Jacob”, lo richiamò all’ordine Sam, “Ne abbiamo già parlato… non possiamo spifferare la verità al primo che capita, come se nulla fosse”.

“Ma non stiamo parlando di una persona qualunque! Leah è figlia di un anziano della tribù ed è stata la tua fidanzata!” esclamai, cercando di far leva sui ricordi di Sam.

“E Bella sa delle sanguisuga…” aggiunse Jacob, avvicinandosi a me di qualche passo, come a voler sottolineare da quale parte si fosse schierato. Fortunatamente aveva smesso di tremare e osservava i suoi fratelli con sguardo speranzoso.

“Non si tratta di un semplice capriccio. Noi siamo pericolosi” rispose Sam, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie come se soffrisse di mal di testa.

“Ancora con questa storia? Non vi sembra di esagerare? Siete un po’ irascibili, è vero, ma fino adesso non si è fatto male nessuno, no?” domandai, con una scrollata di spalle.

Paul aumentò la stretta sul mio ginocchio e notai che i volti dei presenti si erano fatti improvvisamente pallidi. L’attenzione di tutti era focalizzata su Sam. Il silenzio si fece inquietante…
La faccia di del Capo Branco aveva assunto le sembianze di una maschera di cera. Ricordava molto Leah, in quel momento.

Poi, rivolgendosi a Paul, egli chiese: “Non glielo hai detto? Pensavo che Yvonne fosse stata informata dei rischi cui sta andando incontro, frequentandoti”.

“Detto cosa?” feci eco immediatamente. Nessuno voleva decidersi a rispondere, nemmeno Paul, il cui sguardo era piantato a terra.

“Detto cosa?” ripetei, spaventata.

“Di Emily…” sussurrò Jared in tono grave.

“Cosa c’entra Em…?”

Ma non fu necessario terminare la domanda.

“Oh, mio dio” esclamai con un filo di voce, portandomi una mano alla bocca e sgranando gli occhi.

“Adesso comprendi la gravità della situazione?” domandò Sam stancamente. Sembrava improvvisamente più vecchio.

Non riuscii a trovare qualcosa di appropriato da dire, anche perché un familiare rombo di motore attirò la nostra attenzione.

“E lei!” esultò Jacob. Probabilmente aveva riconosciuto il caratteristico rumore del pick-up.

Billy andò a guardare alla finestra. Dopo qualche secondo, tirò le tende con un gesto brusco e rivolgendosi a tutto il gruppo, esclamò: “Bella Swan!”.

“Ti pareva…” commentò Embry, roteando gli occhi, esasperato.

“È chiaro che non si beve più le cazzate di Billy” aggiunse Jared serio.

“È venuta per me” intervenne Jacob. Non so dire cosa stesse provando il ragazzo in quel momento. Ansia? Preoccupazione? Dolore? Speranza?

“Andiamo fuori… tutti!” esclamò Sam in tono autoritario.

E come se si fossero messi d’accordo, i cinque licantropi si alzarono contemporaneamente dai loro posti e si diressero alla porta. Prima di uscire, Paul mi rivolse un sorriso forzato.

A me non rimase altro da fare che spiare da dietro le tende.

***

Me ne stavo seduta sul divano dei Black, circondata dalle braccia di Paul.

Era passata circa mezz’ora da quando Sam, Jared, Embry e Paul erano rientrati in casa, lasciando a Jacob e Bella la possibilità di parlare da soli.

Billy faceva finta di guardare la TV, ma ogni tanto lo sorprendevo a fissare la porta d’ingresso. I suoi pensieri erano tutti rivolti al figlio.
Sam e Jared parlottavano a bassa voce. Anche volendo origliare, non avrei capito cosa si stessero dicendo, perché usavano una lingua sconosciuta, probabilmente il quileute.
Embry si era addormentato sulla sedia. Chissà da quanto non dormiva il poveretto!
Con la coda dell’occhio, studiai il volo di Paul. Anche lui aveva profonde occhiaie sotto gli occhi…

Dannati succhiasangue!

Intanto i miei pensieri tornavano continuamente a ciò che avevo appena scoperto. Non era stato un orso a ferire Emily, ma Sam... quei tagli profondi che le sfiguravano il viso non erano opera di un animale, ma di qualcosa di più pericoloso… un licantropo!

Quel giorno… nella rimessa delle barche… poteva capitare a me… pensai.

Rabbrividii involontariamente.

Forse Paul interpretò quel tremore come dei brividi di freddo, perché aumentò la stretta intorno alle mie spalle, in modo da scaldarmi meglio.

Mentre aspettavamo il ritorno di Jacob, il telefono squillò ancora una volta. Fu nuovamente Billy a rispondere, ma né io, né gli altri prestammo attenzione alla conversazione.

L’arrivo di Bella Swan aveva gettato un velo di apatia e malinconia su tutti noi. Mi sentivo stanca e spossata, come se avessi fatto chissà quale sforzo fisico. Desideravo ardentemente tornare a casa e addormentarmi tra le calde coperte del mio letto. In fondo… com’è che si dice? La notte porta consiglio!

Billy agganciò la cornetta, farfugliando qualcosa su Charlie Swan, ma proprio in quel momento, Jacob rientrò in casa, chiudendosi violentemente la porta alle spalle. Rivolgemmo i nostri sguardi allarmati al ragazzo, il quale, senza dire una parola, scomparve velocemente dietro una porta.

Nessuno osava dire o fare qualcosa, ma essendo curiosa per natura, mi alzai e tornai alla finestra, stando bene attenta a non farmi vedere da Bella… o meglio… dalla ragazza che doveva essere Bella, ma che in quel frangente non le assomigliava affatto.
Per la prima volta provai pena per la Mezza Albina: ferma e immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le guancie bagnate dalle lacrime, fissava la porta con speranza e aspettativa, come se fosse certa che, da un momento all’altro, Jacob sarebbe tornato da lei. Ricordava molto la Bella-abbandonata-da-Edward e mi chiesi cosa provasse per il giovane licantropo. Lo amava? Aveva dimenticato il vampiro? O sentiva solo un profondo affetto per Jacob?
Aveva cominciato a piovere e in pochi minuti Bella divenne fradicia. Il vento soffiava forte, scompigliandole i capelli, che erano già appesantiti dall’acqua, ma lei non si muoveva: continuava ad aspettare con gli occhi sbarrati, fissi sulla porta.

Scossi la testa, sospirano e rivolgendomi a tutti gli altri, dissi: “Non vuole andarsene e sta piovendo a catinelle…”

“Ci penso io” intervenne Billy.

L’uomo aveva un’espressione diversa, adesso. Sembrava provare compassione per Bella, o magari, era soltanto dispiacere e sofferenza nel vedere il figlio così infelice. Rivolse alla ragazza poche parole e chissà come, la convinse ad andarsene.

La Meyer risolve così l’enigma: …“Bella, ha appena chiamato Charlie. Gli ho detto che stai per tornare a casa”. Il suo sguardo era pieno di compassione.
E quella compassione, in qualche modo, fu il colpo di grazia. Non replicai. Mi voltai come un automa e salii sul pick-up…
(New Moon, capitolo undici)

Rimasi a fissare la pioggia che cadeva giù, per un po’ di tempo, fin quando non avvertii le braccia di Paul stringermi da dietro. Posò un bacio delicato tra i miei capelli e poi chiese gentilmente: “Che cosa vuoi fare adesso?”

Ci pensai su un attimo.

Parlare con Sam era fuori discussione: ero sicura che il Capo Branco non fosse più in vena di affrontare l’argomento Leah. Era inutile rimanere…

A dire la verità, ero io a sentirmi tremendamente inutile ed insignificante. Il mio tentativo era fallito miseramente e non ero riuscita a risolvere un bel niente. Il classico buco nell’acqua!

Mi voltai, abbracciai Paul in cerca di conforto e affondando il capo nell’incavo del suo collo, bisbigliai: “Portami a casa”.

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Nota di fine capitolo:
“L’uomo del monte ha detto sì”: riferimento ad un noto spot pubblicitario, dedicato ad un succo di frutta.

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Nota autore:

Ciao a tutti!

Questa volta sono stata più veloce ad aggiornare. Volevo farmi perdonare per il ritardo dello scorso capitolo.

Allora? Che cosa ne pensate di questo capitolo?

Non so se la parte del bacio possa piacervi. È molto rallentata, lo so, ma ho pensato che dopo tredici capitoli di attesa, non potevo liquidare la scena con due parole, giusto? Spero di non averla resa ridicola.

Mi sono accorta che in questa ff c’è più storia di Yvonne e meno Twilight, rispetto alla prima ff. La seconda parte del capitolo, infatti, serve a riallacciarsi alla storia originale. Il dialogo al telefono tra Billy e Bella avviene veramente in New Moon (se volete, potete controllare). Invece ho preferito non trascrivere il confronto tra Jacob e Bella, perché lo ritenevo abbastanza superfluo, dato che è una parte che voi, fan di Twilight, conoscete abbastanza bene. Se ho sbagliato, prendendo questa decisione, fatemi sapere.

Non credo ci sia altro da aggiungere, quindi passo ai ringraziamenti.

Per C4rm3lind4: Mi fai arrossire! Non riesco a credere che la scena Manuel/Yva ti abbia coinvolto così tanto! Certo, mi fa piacere sentirlo, ma sono ancora incredula, anche perché pensavo che quella parte non fosse riuscita tanto bene. La telefonata di Edward è stata divertente da scrivere, quindi sono contenta che ti sia piaciuta XD. Grazie per i complimenti. A volte penso che esageriate un pochino… bacioni Vannagio.

Per Midao: sapevo che questo capitolo ti sarebbe piaciuto, visto che sei l’unica ad apprezzare ancora Manuel. Ma è possibile che un mio personaggio riesca a coinvolgere tanto? Manuel ci tiene a Yva, questo è chiaro ormai, ma adesso che Yva si è buttata a capofitto nella storia con Paul, che cosa succederà? Immagini bene, riguardo al litigio tra Leah e Seth. La scena del cap precedente è, diciamo, preparatoria. Penso anch’io che l’idea della telefonata di Edward sia molto azzeccata, ringrazio ancora CriCri88. Cmq, non devi preoccuparti. Forse tarderò a postare ancora, in futuro, ma non ho nessuna intenzione di abbandonare Yva! XD Grazie mille, Vannagio.

Per asheptus: grazie anche a te per i complimenti e per la recensione. Come ormai si sarà capito, non nutro molta simpatia verso Edward e certi suoi atteggiamenti, per questo motivo, mi piace ridicolizzarlo un po’. Naturalmente non voglio offendere le sue fan… Mi spiace per te e del fatto che tu sia triste in questo periodo. Spero che tu possa ritrovare presto il tuo equilibrio… non vorrei aver suscitato brutti ricordi con i discorsi del cap precedente, se è così, chiedo scusa: non potevo sapere! Per il litigio tra Seth e Leah ho attinto dalla mia esperienza di sorella maggiore (anch’io ho un fratello più piccolo e capita di litigare per sciocchezze di ogni tipo!). Grazie ancora! Bacioni, Vannagio!

Per crazyfv: ciao cara! Ringrazio anche a te per le belle parole. Sono felice che abbiate compreso lo stato d’animo di Leah. Ci tengo molto a rendere credibile questo personaggio. Riguardo alla scena Yva/Manuel… addirittura la tachicardia? Non starai esagerando? E dire che ero convinta che la scena non fosse un granché… Grazie ancora! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Baci, Vannagio.

Per sailormoon81: ciao! Ogni volta che ricevo una tua recensione, provo un po’ di ansia. Ma quando le leggo, mi ritrovo a “galleggiare” soddisfatta per qualche oretta! Grazie per i complimenti. Cerco di migliorarmi nello scrivere e sono contenta di sentire che, poco alla volta, ci riesco! Inoltre sono strafelice di sapere che la “mia” Leah convinca come personaggio. È sempre difficilissimo rendere le sue parole e le sue reazioni credibili e IC. Da un lato cerco di attenermi a quello che dice la Meyer, dall’altro ho paura di cadere nella macchietta… Insomma, i tuoi commenti sono una bellissima ricompensa per i miei sforzi. Infine ti dico che il litigio tra Leah e Seth è preparatorio allo "sbranamento" vero e proprio. Grazie mille! Baci, Vannagio!

Grazie a tutti coloro che seguono e preferiscono la mia ff.

A presto, Vannagio.

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Capitolo 15
*** Intruso ***


Intruso: porca paletta!


Avevo chiesto a Paul di riaccompagnarmi a casa, ma prima di esaudire quel desiderio, il mio ragazzo doveva adempiere i suoi doveri di Protettore. Sam e il resto del branco - ad eccezion fatta di Jacob che era ancora rinchiuso nella sua stanza - stavano organizzando i turni di pattuglia per quella notte. Discutevano sul portico di casa Black, incuranti del freddo, del vento e della pioggia.
Il loro comportamento mi irritava parecchio. Di che cosa avevano paura? Che origliassi la loro importantissima conversazione e andassi a spifferare i loro piani di caccia-al-vampiro a chicchessia? Temevano che facessi il doppiogioco?

Idioti! pensai accigliata.

Ero seduta sul divano dei Black e il mio piede si agitava nervoso ed impaziente, tamburellando sul pavimento. Contemporaneamente, lanciavo occhiate contrariate alla porta d’ingresso, dietro la quale sapevo esserci i lupacchiotti.

Billy fissava con sguardo vitreo la tv, accesa su un canale sportivo. Mi ignorava, o magari si era dimenticato della mia presenza. Forse era semplicemente preoccupato per il figlio…

Ma allora perché non va a parlargli? mi chiesi.

A quel pensiero i miei occhi vagarono per il soggiorno, fin quando non si posarono sulla porta della stanza di Jacob.

Sicuramente suo padre lo conosce a sufficienza da sapere che per il momento preferisce restare da solo, pensai.

Mi dispiaceva per Jacob, soprattutto perché in lui rivedevo Paul. Finalmente potevo comprendere che cosa avesse provato il mio ragazzo a starmi lontano a causa di quelle leggende, che erano divenute realtà.

Incredibile! Un altro aspetto in comune con Bella Swan, pensai storcendo la bocca in una smorfia.

Proprio com’era accaduto a Paul, infatti, Sam aveva usato l’ordine Alpha per impedire a Jacob di raccontare la verità a Bella.

Devo ringraziare Edward: se il vampiro non mi avesse dato certe informazioni, starei ancora barcollando nel buio e Paul ed io non staremmo insieme adesso.

Per una volta il verginello piagnucoloso aveva fatto qualcosa di utile!

Chissà se ne ha parlato anche con Bella… beh… in tal caso le basterebbe fare due più due per arrivare alla verità! pensai, scrollando le spalle.

Ma quando mai Mezza Albina Swan ha saputo usare il cervello? mi chiesi poco dopo. Se non fosse stato per Jacob, sarebbe ancora convinta che Edward è il figlio illegittimo di Superman o dio sa solo cosa…
Aspetta un attimo… Jacob?

E finalmente, la soluzione ai problemi del giovane lupacchiotto si manifestò nella mia mente, saltellando allegra come una cavalletta troppo esaltata.

Con la coda dell’occhio, osservai Billy, che stava ancora guardando la tv e continuava a fingere che fossi un oggetto d’arredamento.
Dalle voci, che arrivavano ovattate alle mie orecchie a causa del vento e della pioggia, capii che i ragazzi non sarebbero rientrati per il momento...

Dovevo agire in fretta!

Adocchiai una penna, dimenticata su un tavolinetto accanto al divano e cercando di suonare naturale, chiesi a Billy: “Ehm… posso andare in bagno?”

“Fai pure: si trova in fondo al corridoio!” rispose lui, senza staccare lo sguardo dallo schermo.

“Grazie” farfugliai, troppo concentrata sulla mia missione per mantenere la voce sufficientemente ferma.

Mi alzai e passai accanto al tavolinetto, dove si trovava la fantomatica penna. La afferrai, sperando che non fosse scarica e camminando un po’ troppo svelta per un occhio attento, raggiunsi il bagno.

Non posso crederci! Avevo giurato che mai e poi mai mi sarei invischiata un’altra volta nelle faccende sentimentali di Bella Swan e invece che cosa faccio? Mi chiudo nel bagno del suo “spasimante” per permetterle di chiarirsi con il suddetto ragazzo? Devo essermi rincretinita in un colpo solo!.

Sbuffai infastidita, mentre chiudevo a chiave la porta del bagno.

Mi serviva qualcosa su cui scrivere… avevo solo due alternative: il rotolo di carta igienica o una rivista di cruciverba. Optai per la seconda, ne strappai una pagina e scrissi il mio messaggio:

Bella possiede tutte le informazioni necessarie per arrivare alla verità.
Gliele hai date tu, ricordi? Le serve soltanto un piccolo aiutino...
Yvonne.

Non avevo abbastanza spazio per redigere un tema, quindi sperai che Jacob non fosse così tonto da non capire che cosa intendessi.

Edward mi aveva spiegato che era stato il giovane Black a raccontare a Bella delle leggende sui licantropi e sui vampiri. Contavo sul fatto che, una volta rispolverati i vecchi ricordi, Bella avrebbe messo insieme tutti i pezzi del puzzle. Certo, fidarsi di una tale menomata mentale era un azzardo, ma per quanto mi riguardava, avevo fatto anche troppo!

Tirai lo sciacquone per non destare sospetti e uscii dal bagno. Mi guardai intorno: la via era libera! Raggiunsi la porta della camera di Jacob, feci passare il bigliettino sotto di essa e con fare innocente ritornai in soggiorno.

Non potevo comunicare direttamente la mia idea a Jacob. I suoi amici avrebbero potuto sentirci e se Sam avesse intuito il mio piano, avrebbe usato l’ordine Alpha per impedire a Jacob di portarlo a termine.

Billy non si era mosso: si trovava ancora davanti alla tv e sembrava non essersi accorto di nulla.
Sorrisi soddisfatta.

Alla fine tutti quegli anni passati a seguire “Alias”* sono serviti a qualcosa!

***

Poco più tardi, mi trovavo in macchina con Paul, davanti al vialetto di casa. Non scesi subito dall’auto. Rimanemmo qualche minuto in silenzio, fissando la strada attraverso il parabrezza. Avevo una domanda da porgli e lui lo aveva intuito. Tuttavia temporeggiavo, temendo una sua reazione negativa.

Alla fine, però, non ressi più alla tensione che si era venuta a creare tra noi e così, facendomi coraggio, chiesi: “Perché non mi hai detto che era stato Sam ad aggredire Emily?”

Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, quindi concentrai la mia attenzione su un filo, che era sfuggito alla cucitura dell’orlo della giacca a vento.

“Avevo paura che scappassi via da me terrorizzata…” rispose lui, con voce fredda e distaccata.

Mi voltai verso di lui. Paul continuava a guardare dritto davanti a sé, fermo e immobile come una statua. L’unico movimento percepibile era l’alzarsi e l’abbassarsi del suo torace, dovuto al respiro irregolare e incespicante.

“Quel giorno nel capanno... se non fossi riuscito a controllarmi…”, esitò un istante, “Non venirmi a dire che non ci hai pensato anche tu, stasera!” esclamò infine, serrando la mascella e girandosi verso di me. I suoi occhi sembravano volermi trapassare, tanto era intenso il suo sguardo.

Non potevo e non volevo mentirgli, anche se la verità non era piacevole da ascoltare.

“In effetti, sì! Ci ho pensato” ammisi, intrecciando i miei occhi ai suoi.

“E allora?” chiese lui, trattenendo il respiro.

“E allora, cosa?”, ripetei seria e decisa, “Tu sei un licantropo e ormai l’ho accettato. Ci sono dei rischi nel starti accanto e ho accettato anche questo. Mi fido di te. Non c’è altro da aggiungere”.

Adesso Paul mi fissava ad occhi sgranati. L’espressione triste e preoccupata aveva lasciato il posto a stupore e sbigottimento. Sembrava quasi che non avesse colto il significato delle mie parole.

“Ti chiedo solo un favore”, aggiunsi, “Cerca di essere sempre sincero con me. Non sarò indistruttibile come un licantropo o un vampiro, ma non sono così fragile come si potrebbe pensare”.

“Te lo prometto”, acconsentì lui sorridendo. I suoi occhi erano illuminati dalla stessa luce che gli avevo visto la sera del falò, quando ci eravamo baciati. “Sei un tipo tosto - tendo a dimenticarlo a volte - ma è proprio questo che mi piace di te!” esclamò infine.

“Vuoi dire che non stai con me per la mia straordinaria bellezza?” domandai, fingendomi offesa.

Paul ridacchiò allegro.

“Stai eludendo la mia domanda!” gli feci notare, inarcando il sopraciglio.

Non ottenni mai una risposta, perché Paul si avventò sulle mie labbra come un lupo affamato e per i dieci minuti successivi, non mi permise di lasciare l’abitacolo del suo pick-up.

Dio, se sa baciare questo ragazzo!

***

Ancora palesemente frastornata e intontita – per non dire leggermente arrapata – dall’eccessiva dose di… Paul che mi era stata somministrata fino a qualche minuto prima, mi diressi verso la cucina.

Un invitante profumino si propagava in tutto l’ambiente. Il mio stomaco brontolò felice, preparandosi a gustare gli ottimi manicaretti di mia madre, la quale poteva avere tutti i difetti di questo mondo, ma sicuramente sapeva cucinare da dio!

L’orologio e lo stomaco mi dicevano che era arrivata l’ora di cena, quindi mi aspettavo di trovare mia madre, intenta a cucinare. Ma come accadeva già da un po’ di tempo, le mie previsioni si rivelarono del tutto sbagliate.

Quando entrai in cucina, infatti, venni accolta dal sorriso smagliante di colei-che-mi-aveva-messa-al-mondo, che in quel momento sedeva tranquilla a tavola e dal balbettante saluto di Trevor, che indossava il grembiule da cucina di mia madre e lavorava ai fornelli come un forsennato.

Dico io: era pretendere troppo venire informata in anticipo sul giorno e l’ora degli appuntamenti di quei due piccioncini?

“Yvonne, cara! Ti stavamo aspettando, la cena è quasi pronta!” esclamò mia madre, “Trevor si è offerto di cucinare al posto mio, non è un tesoro?” spiegò infine. Gli occhioni azzurri avevano assunto la forma di due cuoricini ed erano tutti per Trevor.

L’uomo non stava ricambiando lo sguardo: era troppo impegnato a non far bruciare l’arrosto. Ero quasi certa, a giudicare dalla sua espressione, che si fosse pentito di essersi proposto come cuoco.

Contemplai lo sguardo adorante che mia madre gli dedicava e che la faceva assomigliare ad una gatta in calore ed emisi un gemito di disapprovazione.

Spero solo di non dare la stessa impressione, quando sono con Paul…

Poco dopo stavamo cenando.

Trevor era seduto a capo tavola, mia madre alla sua sinistra, mentre io sedevo di fronte a lei, alla destra dell’uomo.

“Tesoro, è tutto squisito! Cucini bene quasi quanto me!” squittì entusiasta mia madre.

L’uomo sorrise timidamente.

“Credimi, Trevor! Questo è il miglior complimento che otterrai da Lynett Brown” commentai, ridendo sotto i baffi.

“Spiritosa!” sbuffò mia madre.

In realtà l’arrosto di Trevor non era niente male, ma come mia madre, non ero mai stata propensa a dare soddisfazione alle persone.

Intanto Trevor appariva leggermente intimorito: provai un po’ di compassione per lui. Affrontare due Brown contemporaneamente, non era il massimo cui si potesse ambire!

“Allora, Yvonne! Racconta! Come hai passato il pomeriggio?” chiese mia madre, fingendo di essere più interessata alla sua fetta di arrosto che alla mia risposta.

In realtà la sua domanda andava tradotta: voglio sapere dove sei stata e che cosa hai fatto con Paul. E non pensare nemmeno per un secondo di mentirmi perché tanto me ne accorgerei!

“Niente di speciale… sono stata con Paul ed alcuni suoi amici” risposi evasiva, simulando una tranquillità che non mi apparteneva.

“Sbaglio o c’è qualcosa tra voi due?” domandò lei, trapassandomi con il suo solito sguardo a raggi x.

Ma va!? Davvero? Non me ne ero accorta!

Non le risposi.

Chiesi a Trevor di porgermi il sale, comportandomi come se non avessi capito che era in atto un interrogatorio alla CSI Miami.

Il povero e mal capitato Trevor lanciava occhiate ansiose, ora verso mia madre, ora verso di me. Mangiava in silenzio la sua razione e i suoi occhi leggermente sgranati cercavano, invano, di mantenersi fissi sul piatto.
Era solo questione di tempo: qualche altro minuto e sarebbe scappato via, sfondando la finestra della cucina…

“Non capisco perché tu debba fare la misteriosa con me” protestò mia madre, che quando si metteva in testa una cosa, non c’era modo di farla smettere.

“Semplice: non sono affari tuoi!” replicai irritata, stringendo il pugno intorno al coltello. Trevor, che mi rivolgeva uno sguardo nervoso, a quanto pare se ne era accorto.

“Sono tua madre, mi preoccupo per te!” esclamò lei, indignata e ferita allo stesso tempo.

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.

“State insieme?” chiese ancora, sporgendosi in avanti verso di me, come se volesse annullare la distanza e il tavolo che ci separavano.

“Oddio!” esclamai disperata, affondando il viso nelle mani.

“Vi siete baciati?”

“Mamma!!!!”

Stavamo raggiungendo il limite!

Trevor tossicchiò imbarazzato: si stava rendendo conto con che tipo di pazze avesse a che fare?

“Che c’è!?” chiese lei, con aria da santarellina.

“Ti sembrano domande da fare? Dove si è cacciato il tuo pudore?” la rimproverai, rossa come un pomodoro.

“E tu perché reagisci in questo modo?” chiese esasperata.

Poi qualcosa cambiò sul suo volto. “Aspetta un attimo”, bisbigliò mentre un’ombra di terrore scendeva sui suoi occhi azzurri, “Oh mio dio!”, si portò una mano alla bocca e assunse un’espressione inorridita, “Non avrete per caso…”

“MAMMA!” urlai, interrompendola prima che potesse dire qualcosa di davvero imbarazzante.

“Oh… è così, non è vero?” strillò lei.

“Mamma, per favore, smettila!”.

Adesso sì, che avevamo raggiunto il limite! Ma che dico? Raggiunto? Lo avevamo doppiato più volte, già da parecchio tempo, ormai!

“Tu e Paul avete…”, cominciò mia madre alzandosi dal posto e additandomi come se fossi un alieno, “Voi... avete…”

“PORCA PALETTA!”

Ci voltammo verso Trevor, che con quella strana – diciamo anche ridicola – esclamazione, aveva interrotto quel penoso teatrino, attirando la nostra attenzione su di sé.

Lo fissai scioccata per venti secondi, prima di rendermi conto di quello che era successo: Trevor aveva fatto cadere un bicchiere per terra, versandosi sulla camicia il vino rosso, la cui tonalità era molto simile a quella delle sue guancie.

“So-sono un vero imbranato!” si scusò lui, prodigandosi a raccogliere i pezzi di vetro sparsi sul tappeto. Mia madre lo rassicurò, dicendogli di non preoccuparsi e corse su per le scale, per cercare un cambio.

“Chi-chissà perché ca-capitano tutte a me…”, balbettò lui, rivolgendomi uno dei suoi timidi sorrisi.

Non sapendo che cosa si aspettasse da me, sorrisi anch’io.

Che uomo bizzarro, pensai.

Mia madre tornò con una maglia pulita e mentre Trevor andava a cambiarsi, cominciò a pulire il disastro. Aveva completamente dimenticato il nostro battibecco. Grazie al provvidenziale incidente, per il resto della serata, mia madre non tornò più sull’argomento Paul.

Forse l’incidente non era stato del tutto accidentale…

***

Mi sentivo esausta ma non riuscivo ad addormentarmi.
Dopo il pomeriggio a casa Black e la cena a dir poco adrenalinica che avevo trascorso in compagnia di mia madre e Trevor, mi ero trasformata in un fascio di nervi. I muscoli erano tesi come corde di violino. Non riuscivo a rilassarmi. Mi rigirai più volte nel letto, finendo col creare un groviglio di lenzuola e coperte che ben presto mi resero impossibile qualsiasi altro movimento.
Decisi di leggere un libro, sperando che mi avrebbe aiutato a calmarmi.

Avevo già divorato un terzo del volume, quando Paul bussò alla mia finestra, procurandomi un coccolone.

Senza riflettere, mi alzai per andare ad aprire la finestra. Naturalmente il mio nome non sarebbe stato Yvonne Brown, se non mi fossi resa ridicola in qualche maniera.
Infatti, non avendo fatto i conti con il groviglio di lenzuola di cui vi ho accennato prima, caddi sul pavimento come una pera cotta, inciampando nelle mie stesse coperte.

La solita sfigata!

Due grandi mani calde mi afferrarono per le braccia, rimettendomi in piedi come se fossi una bambola.

“Prima cosa: ti consiglio di non lasciare la finestra socchiusa, il Lupo Cattivo è sempre in agguato!”. Paul ridacchiò ed io sbuffai, alzando gli occhi al cielo. “Seconda cosa: capisco che tu muoia dalla voglia di riabbracciarmi, ma non devi prenderla alla lettera!” mi schernì infine, ridendo fragorosamente, tanto che ebbi paura che mia madre si fosse svegliata.

Irritata e imbarazzata per la brutta figura, cercai di liberarmi dalla sua stretta, ma ovviamente ogni tentativo era del tutto inutile.

“Lasciami andare, brutto lupo cattivo!” protestai debolmente.

Abbassai lo sguardo e solo allora mi resi conto che indossavo il mio solito pigiama di Mickey Mouse…

Mah bene! Peggio di così non poteva andare!

“Lasciarti andare? Ti sei già stancata di me?” alitò sul mio orecchio con tono malizioso, facendomi rabbrividire.

Stavo per replicare, ma non ne ebbi il tempo, perché ancora una volta venni zittita dalle labbra calde e carnose di Paul.
Mettermi a tacere con un bacio stava diventando un vizio, ma questa volta c’era qualcosa di diverso…
La sua lingua si insinuò immediatamente nella mia bocca, esplorandola con frenesia, tracciandone i contorni come a volerla assaporare. Mi abbandonai a quel bacio profondo e travolgente, lasciando che le possenti braccia di Paul mi stringessero contro il suo petto caldo e accogliente.
Le mie mani finirono tra i suoi capelli, mentre quelle di Paul scorrevano velocemente sulla mia schiena… su e giù… lasciando scie infuocate che ustionavano la mia pelle anche attraverso la camicia.
Nonostante la lucidità diminuisse inesorabilmente, percepivo qualcosa di diverso in Paul. Il modo in cui mi toccava… mi stringeva… mi baciava… sembrava impaziente, nervoso, rude, quasi prepotente nei modi.
Le sue mani si fermarono sui fianchi. La presa si fece improvvisamente più salda, al punto da farmi male. Mi lasciai sfuggire un gemito di dolore ma Paul non se ne curò. Senza troppi complimenti mi sollevò dal pavimento, raggiunse velocemente il letto e mi fece distendere sulle coperte disfatte.
Con un gesto frettoloso ed impacciato si tolse la maglietta, lanciandola contro la parete con stizza ed irritazione, quando dopo diversi tentativi, finalmente, riuscì a sfilarsela di dosso.
Ero un po’ confusa, che cosa stava succedendo?
Ma ancora una volta le mie facoltà mentali vennero messe a dura prova, quando Paul si distese su di me, disegnando sulla mia pelle invisibili linee bollenti con labbra e lingua.
Si reggeva su un gomito, per non gravare sul mio corpo e con la mano libera, bisticciava con i bottoni della camicetta del mio pigiama, arrivando perfino a ringhiare. Quando riuscì a sbottonarla, inarcai la schiena, per aiutarlo a togliermela.
Ma Paul si faceva sempre più impaziente e nervoso. Sembrava non sapere cosa fare e a cosa dare la precedenza. Nell’incertezza tentava di fare tutto contemporaneamente: baciava… accarezzava… leccava… senza mai soffermarsi su un punto ben preciso.
Stava diventando ansioso: la mano tremante si era infilata sotto la mia schiena, per slacciarmi il reggiseno.

“Come diavolo si toglie quest’affare?” si lamentò. La sua voce suonava rabbiosa.

“Lascia che ti aiuti” sussurrai, provando a sollevarmi, ma Paul non me lo permise.

“Faccio da me, grazie!” ruggì lui, lottando ancora contro i gancetti.

Il fiato caldo e irregolare sul collo e i brividi che scuotevano il suo corpo mi misero in allerta.

“Paul? Che cosa c’è?” domandai, accarezzandogli gentilmente una spalla.

“Niente…” grugnì lui, ancora impegnato nell’ardua impresa di slacciare il reggiseno. Lo sentii imprecare a bassa voce.

“Ok, adesso basta!” esclamai allarmata.

Feci pressione sul suo torace e lui, senza opporre resistenza, mi liberò dal suo corpo, distendendosi accanto a me e sospirando pesantemente.
Mi misi a sedere a gambe incrociate sul letto e lo osservai per parecchi minuti in silenzio. Paul teneva lo sguardo fisso sul soffitto, come se si vergognasse di qualcosa.

“Paul, quel è il tuo problema?” domandai a bassa voce.

Non rispose.

“Paul…”

“Nessun problema” sussurrò lui. Si alzò a sedere e sempre senza guardarmi in faccia, si passò una mano sulla nuca. Era a disagio, ma non ne capivo il motivo.

“Non mentirmi, per favore” lo pregai, cercando di interpretare la sua espressione.

Si torturava le mani, come un bambino pentito che ha commesso una marachella. Dopo diversi minuti di silenzio, prese un respiro profondo, serrò il pugno destro e con un filo di voce, esordì: “È tutta colpa di Jared!”

“Jared?” ripetei sorpresa.

Paul era molto imbarazzato: si prese il volto tra le mani, come a voler creare un muro immaginario tra di noi.

“Stasera abbiamo parlato e…” lasciò in sospeso la frase.

“E?” lo esortai, ormai al limite della sopportazione.

Che diavolo gli era preso? Perché si comportava in questo modo? Dove era finito il Paul spavaldo e sicuro di sé?

“Beh…”, sospirò per l’ennesima volta, “Jared mi ha fatto notare che tu, avendo avuto una storia con un altro ragazzo, probabilmente… sarai abituata ad avere…” faticava a trovare le parole giuste. Avrei voluto aiutarlo, ma non capivo dove volesse arrivare. “…ad avere… come dire? Una relazione… completa…”

Avvampai immediatamente, quando afferrai il significato dell’espressione relazione completa. Distolsi lo sguardo e concentrandomi sulla maglietta di Paul che giaceva abbandonata sul pavimento, balbettai: “Oh… beh… si… insomma…”.
Parlare con Paul del mio rapporto con Manuel non era certo tra i programmi che avevo in mente per la serata. “Credo che sia… normale per una coppia, no? A parte qualche caso eccezionale - ogni riferimento a Edward Cullen era puramente casuale - È una cosa naturale… anche tu avrai…”

“No, io no!” mi interruppe lui.

“Cosa?”

Finalmente i nostri sguardi si incrociarono. Paul era l’imbarazzo fatto persona: nonostante la carnagione scura, il rossore del suo viso era ben visibile.

“Io… non ho mai… hai capito, no?” farfugliò alla fine.

“Oh… si…”

Non sapevo cosa dire: mi sentivo una stupida.

“Ecco, vedi… nell’ultimo anno sono stato troppo impegnato ad fare il licantropo per dedicarmi a certe… attività e prima di conoscere te, ho avuto delle storielle, ma non sono mai durate così a lungo da arrivare fino a quel… punto” raccontò lui, che riusciva a stento a sostenere il mio sguardo.

“Non devi giustificarti, Paul”, lo rassicurai impacciata, “Ma non capisco cosa c’entri questo discorso con…” venni interrotta ancora una volta.

“Jared ha ipotizzato che tu, essendo già andata… oltre, ti aspettassi determinate cose da me e che dovevo darmi da fare per… accontentarti…” spiegò lui, rosso di vergogna.

“E quindi sei corso qui per dimostrare ai tuoi fratelli, di essere migliore di Manuel?” chiesi, non sapendo se sentirmi offesa da quella situazione assurda, ridere della reazione di Paul o sotterrarmi per l’imbarazzo.

“No! Volevo dimostrare a me stesso di essere alla tua altezza!” mi corresse lui, studiando il mio viso con espressione seria.

Scoppiai a ridere. Paul mi guardava allibito: se non avessi smesso subito, mi avrebbe mandato a quel paese, ne ero certa. Così cercando di trattenere le risate, mi spiegai: “Scusa Paul, non sto ridendo di te, ma di quello che hai appena detto! Alla mia altezza? Ti sei guardato allo specchio di recente? Potresti avere tutte le ragazze di questo pianeta, eppure stai con me, che in quanto ad aspetto fisico… beh… non ricordo affatto una top-model!”

“A me non piacciono le top-model, sono troppo magre…” intervenne lui. Il tipico sorriso canzonatorio campeggiava sul suo bel viso, segno che Paul si stava tranquillizzando.

“Non cambiare discorso!” lo ammonii. Anche se non riuscii a trattenere un sorriso compiaciuto: il mio ragazzo aveva appena detto che mi preferiva ad una top-model, era una bella soddisfazione, no?

“Il punto è che…”, Paul stava di nuovo balbettando, ma ormai l’imbarazzo era scemato quasi del tutto, “Mi sono innervosito… ho cominciato a ripensare alle parole di Jared e ad immaginare te insieme a Manuel…”

Ok, non sono sicura di voler sentire altro!

“Ed è stato allora che hai cominciato a litigare con il mio reggipetto?” domandai in tono sarcastico, per non fare vedere quanto adesso fossi io quella imbarazzata.

“Non prendermi in giro!” mi rimproverò lui, accigliato.

“Era solo un modo per alleggerire la tensione”, mi difesi, roteando gli occhi, “Paul, mi stai dipingendo come se fossi un’esperta del… settore, ma ti assicuro che poco fa ero agitata almeno quanto te!”

“Davvero?”

Mi rivolse un’occhiata scettica.

“Ovvio! Pensi sia facile per me reggere il confronto con il tuo fisico assolutamente… perfetto?” domandai, mostrandomi incerta sull’ultima parola. “Perfetto” era un eufemismo in quel caso. Mi persi un attimo nella contemplazione dei suoi muscoli irrimediabilmente arrapanti.

“Tu sei bellissima!” esclamò lui, risvegliandomi dalle mie fantasie. Poggiò una mano calda sulla mia guancia e sfiorò la mia bocca con la sua.

“Sei molto carino, Paul” lo ringraziai arrossendo. “Le mie paure sono identiche alle tue. Stiamo insieme da tre giorni, non dobbiamo affrettare gli eventi. Accadrà nel momento giusto e tu… beh… sono certa che mi farai impazzire” farfugliai con un filo di voce.

Naturalmente, dopo un’affermazione di quel tipo, non potei fare a meno di avvampare come una scolaretta.

Ci fissammo negli occhi per alcuni istanti, poi Paul esclamò: “Sono un idiota”.

“Finalmente te ne sei reso conto!” convenni io, ridendo.

“Mi sono lasciato influenzare da Jared, che molto probabilmente voleva prendersi gioco di me… sono proprio un pivellino!” disse, scuotendo la testa indispettito dalla sua stessa reazione.

Lo abbracciai, lasciando qualche bacio affettuoso sulla sua spalla calda e morbida.

“Ti va di rimanere con me stanotte? Solo a dormire, sia chiaro!” precisai.

Paul sorrise, ormai del tutto tranquillo e sereno.

“Solo se ti metti qualcosa addosso: sarò un pivellino, ma pur sempre un pivellino preda degli ormoni. Se a questo aggiungi la mia natura di lupo dagli appetiti al quanto spropositati, ti accorgerai che non è un’accoppiata vincente!” esclamò lui, lasciando scivolare lo sguardo sul mio corpo.

Avvampai come il mio solito, nel ricordarmi che ero ancora in reggiseno e pantaloni. Afferrai frettolosamente la camicia del pigiama e stando bene attenta a non guardarlo in faccia, mi rivestii.
Adesso che non era lui a provare imbarazzo, Paul ghignava soddisfatto.

Ecco il lupo spavaldo e sicuro di sé! Mi chiedevo dove si fosse cacciato, pensai ridendo tra me e me.

Mi infilai sotto le coperte e gli feci cenno di fare altrettanto.

“Scherzi? La mia temperatura corporea raggiunge i quarantadue gradi, vuoi farmi scoppiare?” domandò lui, inarcando un sopraciglio.

“Hai ragione!” convenni.

Feci cadere le coperte per terra, sotto il suo sguardo perplesso.

“A cosa servono le coperte, quando si ha a disposizione una stufa vivente?”

Paul scosse la testa divertito, ma non parve eccessivamente disgustato dall’idea di dormire nel mio letto. Si distese accanto a me, circondandomi le spalle con il braccio sinistro. Mi accoccolati sul suo petto e chiusi gli occhi, finalmente davvero rilassata.

“Buona notte, Yvonne” sussurrò lui, baciandomi i capelli.

“Sogni d’oro” gli augurai, sbadigliando in modo indecente.

Qualche minuto più tardi eravamo entrambi nel mondo dei sogni.

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Nota di fine capitolo:
*“Alias”: serie televisiva statunitense, che ha come protagonista Sydney Bristow (Jennifer Garner), un agente doppiogiochista della CIA.

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Nota autore:

Ok, niente lapidazione per favore.
Sono già abbastanza rossa di vergogna per questo capitolo… non mi capita spesso di scrivere di scene spinte… certo, è chiaro che non c’è niente di sconvolgente in quello che ho scritto, soprattutto se consideriamo gli standard di efp, ma io mi vergogno lo stesso, quindi andateci piano.

Allora…

Ero indecisa se inserire questa scena o meno. Non appena ho avuto l’idea di far fare a Paul una visitina a Yva nella sua stanza, in piena notte, nella mia mente contorta è nata questa… chiamiamola “cosa”. Poi però mi sono posta delle domande. Ma Paul è davvero così insicuro? È credibile che sia un verginello in stile Edward?
Ci ho pensato e ripensato e alla fine la risposta è stata: sì!
Riguardando i capitoli precedenti e anche la prima ff, vi renderete conto anche voi che Paul (o almeno quello da me descritto) vorrebbe apparire sicuro si sé, spiritoso, spavaldo - la maggior parte delle volte ci riesce e anche bene - ma infondo e anche un po’ insicuro. Lo si vede quando chiede a Yvonne di uscire per la prima volta, quando ha paura che lei lo consideri un mostro, perfino dopo il bacio sulla spiaggia, teme che lei possa rifiutarlo…
Ci tengo a creare dei personaggi che siano coerenti con se stessi e con quanto abbiano fatto e detto in precedenza, quindi spero di esserci riuscita.
Inoltre, per una volta ho voluto sfatare lo steriotipo della ragazza vergine che si dona ad un ragazzo esperto e sciupa femmine.

Non c’è molto da aggiungere.
Sicuramente avrete capito che, grazie al suggerimento di Yvonne, Jacob si introdurrà nella stanza di Bella, aiutandola a ricordare le informazioni che già possiede sui licantropi, ma che la smemorata ha dimenticato. Ma è inutile stare qui a tergiversare, no? La storia la conscete meglio di me, giusto?

Ringraziamenti.

Per TheDreamerMagic: ciao cara! Sei stata in gita? Beata te! Spero che ti sia divertita a dovere! Non preoccuparti per Manuel… andando contro la mia indole anti-spoiler, ti dico che nel prossimo capitolo avrà modo di spiegarsi XD. Sono contenta che Trevor e mamma Lynett ti stiano simpatici. Bella, come senz’altro avrai capito, è molto vicina a scoprire la verità, Leah purtroppo dovrà aspettare! Grazie per i complimenti e a presto. Baci, Vannagio.

Per crazyfv: ciao carissima! Sono contenta che il capitolo precedente ti abbia soddisfatto. Mi fa piacere sapere che la scena del bacio non sembrasse ridicola. In questi casi è facile cadere nel banale e questo è il mio maggior timore. Insomma, voglio far appassionare i lettori, non farli ridere a crepapelle per le idiozie che scrivo! XD Ti ricordi della pubblicità dell’uomo del monte? Ti stimo sorella! Noi due siamo sempre connesse! Dammi il cinque virtualmente! XD Va, beh… scleri a parte, fammi sapere cosa ne pensi del nuovo capitolo. Grazie mille! Baci, Vannagio.

Per Dackota: che bello, una nuova lettrice! Sono al settimo cielo!!!! Ti ringrazio per i complimenti e per le belle parole. Sono arrossita, non scherzo! Concordo con tutto quello che hai detto su Edward e Bella. All’inizio ero una fan accanita di questa coppia, ma poi leggendo e rileggendo, mi sono resa conto di tutti i loro difetti e di certe assurdità dei loro caratteri che non potevano passare inosservati. Diciamo che Yvonne fa un po’ lo stesso percorso. Prima è innamorata pazza di Edward, poi lo conosce bene e scopre che non è tutto oro quel che luccica (nel caso del vampivergine, letteralmente!). Una volta liberatami dei para occhi, mi sono accorta di tutti i bellissimi personaggi che la Meyer ha inventato e.. ahimè… trascurato! (mi riferisco a Leah, Rosalie, Jasper, Emmett, i lupacchiotti, i volturi ecc.). Detto questo, ti ringrazio ancora una volta. Spero che continuerai a seguire. Baci Vannagio. P.S.: Lunga vita ai Green Day!!!

Per Beatriz Aldaya: Sono onoratissima di ricevere la tua prima recensione! Davvero lusingata! Non ho parole! Grazie mille! Ti dico subito che le recensioni lunghe non mi dispiacciono affatto, quindi continua pure a scrivere papiri, se ti va XD! Sono sempre felice di conoscere persone che non amano in modo incondizionato Edward e Bella… mi fa sentire meno sola :). Per quanto riguarda Manuel, ti anticipo che nel prossimo capitolo comparirà nuovamente, don’t worry. Ti svelo un segreto… anch’io mi sono un po’ invaghita di lui… XD Per quanto riguarda la pronuncia del nome in teoria sarebbe “Mànuel” ma chiamolo pure come ti pare, senza farti problemi. D’altronde io il nome Paul lo pronuncio “Paul” e non “Pool” come è in realtà: sei in buona compagnia! Leah… anch’io la adoro, più scrivo di lei, più mi ci affeziono! (hai letto la mia one-shot su Leah? E ti è piaciuta? *me veramente felice*). Per quanto riguarda Trevor, Mr Golfino Naturale, mi è venuto così puccioso che è impossibile non volergli bene fin da subito! Grazie ancora per la recensione. Continua a commentare, a me non può che fare piacere. Bacioni, Vannagio.

Grazie a chariss che mi ha inserita tra i suoi autori preferiti.

Grazie anche a coloro i quali seguono, preferiscono e ricordano la mia ff.

A presto, Vannagio.

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Capitolo 16
*** Assassino ***


Assassino: timori infondati?


Venni svegliata dal tocco leggero di dita calde sulla mia guancia.

“Buongiorno” mi salutò una voce familiare.

Aprii gli occhi, pronta a richiuderli a causa della luce, ma non fu così. Alzai leggermente il capo per dare un’occhiata alla finestra e con mio grande stupore, notai che il cielo era ancora scuro. Soltanto all’orizzonte si intravedevano delle linee discontinue di un azzurro più tenue.

“Ma che ore sono?” chiesi stropicciandomi gli occhi assonnati e rannicchiandomi nuovamente contro il petto di Paul.

“Molto presto” rispose lui, continuando ad accarezzarmi il viso, “Mi spiace averti svegliato, ma il dovere mi chiama e non volevo che al tuo risveglio ti ritrovassi sola nel letto” spiegò Paul.

“Fammi indovinare: il branco?” domandai sbadigliando.

“Devo dare il cambio a Jared. Mi ha sostituito per il turno di stanotte” chiarì il licantropo.

“Gentile da parte sua” ridacchiai, aumentando la stretta del mio abbraccio, come se questo potesse impedirgli di andarsene.

Naturalmente il mio sforzo fu del tutto vano, perché Paul si liberò dalle mie braccia con grande facilità e si mise in piedi.
Dopo aver trascorso la notte avvolta dal calore del suo corpo, lo sbalzo di temperatura fu a dir poco traumatico. Non potei fare a meno di rabbrividire per il freddo improvviso. Paul se ne accorse subito e così recuperò le coperte, che si trovavano ancora sul pavimento e con fare affettuoso mi coprì.

“Credo che andrò a trovare Leah oggi” dissi mentre lui si sedeva sul bordo del letto.

Paul si fece improvvisamente serio.

“Stai tranquillo, non le racconterò del vostro piccolo problema peloso*, se è questo che ti preoccupa” lo rassicurai sorridendo.

Ma il ragazzo non dava segno di essersi rilassato. Sembrava assorto in chissà quali congetture. Finalmente chiese: “Continui a pensare che sia giusto raccontarle tutto, non è vero?”.

“Certo!” esclamai con impeto. Poi mettendomi anch’io a sedere sul letto e studiando la sua espressione corrucciata, domandai: “Tu no?”

Paul non rispose.

“Sei d’accordo con Sam? Credevo che stessi dalla mia parte” continuai, sperando che si decidesse a spiegare.

“Ieri sera, quando dovevi parlare con Sam, ti ho sostenuto perché sei la mia ragazza ma… sì, è così: secondo me Sam ha ragione. Il nostro compito è proteggere la tribù e questo viene prima di tutto!”

“Anche di noi?” domandai incredula, guardandolo dritto negli occhi.

Ancora una volta non ottenni nessuna risposta.

“Se non avessi scoperto la verità da sola, non avresti fatto nulla per aiutarmi a capire?” chiesi ancora, sempre più sbigottita. “Avresti rinunciato alla possibilità di stare insieme a me?”

“Non fraintendermi, Yvonne. Sono felicissimo che tu abbia scoperto il mio segreto…”

“Mi sembra un ragionamento un po’ ipocrita, Paul” lo interruppi bruscamente, accigliata.

“Non posso ignorare i miei doveri verso la comunità. Devi rendertene conto e tentare di comprendere il nostro punto di vista. Anche Jacob dovrà mettersi il cuore in pace, prima o poi” replicò lui, portandosi accanto alla finestra.

Si voltò verso di me e per qualche secondo ci fissammo a vicenda, senza aggiungere altro. Il suo sguardo era severo e indecifrabile, la mia mente confusa e assediata da brutti pensieri.
Poi Paul saltò giù dalla finestra ed io, ormai troppo sveglia per riaddormentarmi, passai le poche ore che mi separavano dall’alba a rimuginare sulle parole del mio ragazzo.

***

Dopo aver fatto colazione, nonostante fosse ancora presto, presi il maggiolino verde e mi diressi verso casa di Leah. Dopo lo scambio di battute con Paul avevo bisogno di vedere una faccia amica. Certo, non potevo raccontarle niente, ma almeno avrei trovato una distrazione dai miei problemi.

Il ragionamento di Paul mi aveva preso in contropiede.

Se non avessi avuto abbastanza curiosità e intuito a quest’ora sarei ancora sola come un cane, pensavo, Se non avessi avuto le informazioni necessarie, Paul ed io non ci saremmo mai messi insieme.

Nonostante il dolore, che diceva di aver provato nel periodo in cui era stato costretto ad evitarmi, Paul aveva candidamente affermato che sarebbe stato pronto a tenermi lontana per sempre pur di essere fedele al suo branco. Era come se avesse detto che non avrebbe mai lottato per me, che non ero abbastanza importante per lui da trasgredire quelle stupide regole.

Che cosa significava tutto ciò? Non mi voleva abbastanza bene? Non teneva a me, quanto io tenevo a lui?

Mi ero quasi fatta sbranare da un licantropo per arrivare alla verità, per aiutarlo, per riavvicinarmi a lui. Avevo accettato la sua natura da lupo superando le mie parole e lui? Pretendeva che comprendessi il suo stupido punto di vista?

“La tribù viene prima di tutto!” aveva detto.

E quindi?

Nella scala delle sue priorità quale posto occupavo? Pretendevo troppo? Ero egoista a pensarla in questa maniera?

Stavo guidando su un sentiero sterrato, quando le mie seghe mentali furono interrotte da tre figure alte e massicce, che erano sbucate all’improvviso dal bosco.
Accostai l’auto, uscii dall’abitacolo, appoggiai la schiena alla carrozzeria del maggiolino e tenendo le braccia incrociate sul petto, attesi che i tre ragazzi mi raggiungessero.

“Che ci fai qui?” chiese Paul preoccupato. Sam e Jacob lo affiancavano.

“Stavo andando da Leah. Ne abbiamo parlato qualche ora fa, ricordi?” risposi con un tono di voce più freddo del solito, alludendo alla nostra discussione rimasta in sospeso. Paul si irrigidì, forse notando il mio atteggiamento a dir poco glaciale. Probabilmente anche gli altri due lupi avevano capito che qualcosa non andava, perché lanciavano occhiate perplesse nella nostra direzione.

“Yvonne…”

“È successo qualcosa?” domandai, interrompendo Paul in modo sgarbato e rivolgendomi a Sam.

“Sembra che qualcuno abbia dato un piccolo suggerimento a Jacob e adesso Bella sa tutto di noi!” rispose Sam con uno sguardo che era a metà tra il divertito e l’irritato. Forse sperava di allontanare la bufera che stava per scatenarsi su Paul e me.

Sorrisi, guardando Jacob.

Beh… finalmente qualcuno che sa come usare il cervello!, pensai soddisfatta.

Il ragazzo sorrise a sua volta, ammiccò nella mia direzione e mimò un “grazie” con le labbra. Poi aggiunse: “Il tuo lupacchiotto non ha gradito il nostro piccolo complotto. Ha dato di matto per un po’ e sono stato costretto a lasciargli un ricordino” raccontò Jacob, sghignazzando.

Quando qualche tempo fa sono andata al cinema per vedere New Moon, sono scoppiata a ridere di fronte alla scena di Bella che schiaffeggia Paul.
Se fosse andata veramente così, dubito che la Mezza Albina ne sarebbe uscita illesa… probabilmente non ne sarebbe uscita viva!
Paul sopportava a mala pena che gli si urlasse contro, figuriamoci venire preso a schiaffi!

Ma ritorniamo al mio racconto…

Dopo quello che il mio ragazzo aveva detto nella mia stanza, non mi stupivo della sua reazione. Il piccolo Black aveva osato violare proprio quelle regole che per Paul erano tanto importanti.
Ma la cosa che mi diede molto cui pensare fu costatare che Jacob non si era fatto alcuno scrupolo, quando si era trattato di disobbedire all’ordine del suo Capo Branco. Aveva colto al volo il mio suggerimento ed era corso da Bella. Paul non avrebbe mai fatto una cosa del genere per me… lo aveva affermato lui stesso!
Ed era proprio questo a darmi fastidio.

Rivolsi al lupo in questione un’occhiata sprezzante e solo allora notai sul suo avambraccio un taglio sanguinante, che velocemente si stava rimarginando.

Ecco che cosa intendeva Jacob per “ricordino”!

Aprite il libro al capitolo quattordici e vedrete che non sto mentendo.

… Alzai lo sguardo e lo vidi esaminare assieme a Embry un graffio sbiadito sull'avambraccio di Paul. […] Osservai il graffio sul braccio di Paul. Era strano, sembrava vecchio di settimane…

“Era proprio necessario scannarvi a vicenda? Voi lupi non sapete discutere in modo civile?” domandai accigliata.

“Mi sono difeso. Non è colpa mia se Paul è una schiappa nel combattere!” rispose Jacob ridendo malignamente.

A giudicare dal buon umore del ragazzo, ipotizzai che Bella Swan avesse accolto bene la buona nuova.

Tipico della Mezza Albina gettarsi tra le braccia di mostri dotati di zanne e artigli senza battere ciglio. Ma siamo sicuri che sia Edward il masochista della situazione**?

“Attento a come parli, ragazzino. Combattevo contro i succhiasangue quando tu eri ancora impegnato a spremerti i foruncoli sul mento!” esclamò Paul ringhiando.

“Vuoi la rivincita?” chiese Jacob, il quale sorridendo sornione aveva cominciato a tremare in modo minaccioso.

Non capivo se stessero facendo sul serio o se il loro fosse solo un gioco molto stupido e molto infantile.

Conoscendoli… la seconda che hai detto***! dissi a me stessa.

“Ok, ok… adesso dateci un taglio, per piacere. Voglio parlare con Bella e francamente non ho voglia di perdere altro tempo ad impedire che vi facciate a pezzi a vicenda” intervenne Sam.

Nell’udire le sue parole, sia Paul sia Jacob smisero immediatamente di bisticciare e annuirono ubbidienti.

Lupi! Anzi, no… maschi!!! pensai scuotendo la testa.

Poi, ritornando sulle parole di Sam, chiesi con aria stupita: “Parlare con Bella?”

“La ragazza ha delle informazioni sulla sanguisuga cui diamo la caccia. Si chiama Victoria e sta cercando di arrivare a Bella: una sorta di vendetta” raccontò Jacob, precedendo il Capo Branco nel rispondermi.

“Victoria?”

Non può essere…

Sbiancai improvvisamente e mi sentii come se venisse meno il terreno sotto i piedi. Paul intuì subito che qualcosa non andava. Mi afferrò per un braccio, forse temendo che non riuscissi a reggermi in piedi e con voce impregnata di panico, chiese: “Che cosa c’è? La conosci anche tu?”

Respirai profondamente, cercando di scacciare i brutti ricordi: due crudeli occhi rossi che mi inchiodavano fissandomi, dita bianche e fredde che si stringevano intorno alla mia gola, un alito tanto fresco quanto inquietante sul mio volto… in una parola: James!****

“Yvonne!” mi richiamò al presente Paul scuotendomi leggermente.

“Sì, la conosco… ma solo per sentito dire” balbettai in risposta e cominciai a raccontare brevemente quello che sapevo su James, Victoria e Laurent. Durante il mio racconto, Paul venne scosso più volte da fremiti involontari e la sua stretta intorno al mio braccio si faceva sempre più forte.

Nonostante la nostra discussione, mi dispiaceva che il licantropo fosse venuto a sapere in quel modo del mio coinvolgimento nella faccenda di James. Non glielo avevo mai raccontato, perché conoscendo il suo scarso autocontrollo, non volevo che si arrabbiasse inutilmente. Per me era una faccenda superata, o al meno così credevo. Certo, non potevo sapere che Victoria si aggirasse nei dintorni in cerca di vendetta.

“Forse dovresti venire con noi. Potresti essere in pericolo anche tu” disse Sam, dopo aver ascoltato in silenzio.

“Non credo sia necessario” risposi sicura di me.

“Spero che tu stia scherzando!” esclamò Paul, fissandomi con sguardo terrorizzato e al tempo stesso sconcertato.

“Niente affatto!”, replicai, “Victoria non mi ha mai vista. Anche se James le avesse raccontato di me, non avrebbe modo di trovarmi. Non ha sentito il mio odore e non sa dove abito. Dubito che James avesse scoperto il mio nome” spiegai pazientemente.

“Non credo di voler correre il rischio” insisteva Paul cocciuto.

“Ed io non credo di volere un branco di energumeni in bermuda che mi fanno da scorta!” replicai accigliata.

Paul rivolse uno sguardo esasperato ai suoi due compari per cercare appoggio. Sam sospirò pesantemente e guardando Paul con l’espressione di chi chiede scusa, disse: “Non possiamo costringere Yvonne ad accettare il nostro aiuto”.

“Perfetto! Grazie tante!” esclamò Paul furibondo e lasciando andare il mio braccio parecchio indolenzito, scomparve nel bosco senza degnarmi di uno sguardo o di un saluto.

Stavo per risalire in macchina, inviperita dall’atteggiamento di quello che avrebbe dovuto essere il mio ragazzo, quando Sam mi fermò.

“Non prendertela. Parlerò io con Paul. La vostra discussione lo ha destabilizzato un po’, ma si calmerà presto” cercò di tranquillizzarmi.

Con le creature sovrannaturali è impossibile avere un po’ di privacy, pensai stizzita.

“Inoltre… volevo dirti che ho ripensato a quello che mi hai detto su Leah. Credo che, in fin dei conti, tu abbia ragione” continuò il Capo Branco, catturando immediatamente la mia attenzione.

Trattenni il respiro in attesa che il ragazzo proseguisse con il discorso.

“Voglio essere io a parlarle, ma prima devo sbarazzarmi della sanguisuga in modo da avere la lucidità e la tranquillità necessarie per affrontare l’argomento con Leah” spiegò Sam, guardandomi dritto negli occhi, forse in cerca di comprensione.

La tribù prima di tutto, ripetei mentalmente.

“Ti chiedo di aspettare un po’. Se ti prometto che le dirò tutta la verità, mi dai la tua parola che terrai la bocca chiusa per il momento?” chiese infine lui, con espressione speranzosa.

Avrei preferito che Sam non temporeggiasse ulteriormente, ma era il massimo che potevo ottenere da lui ed ero certa che non stesse mentendo: glielo leggevo in faccia.

Forse una parte di Sam voleva ancora bene a Leah e si sentiva in colpa per quello che le aveva fatto.

Decisi di concedergli il beneficio del dubbio e mi limitai ad annuire.

***

Che la giornata fosse iniziata per il verso sbagliato, me ne ero resa conto fin dal primo momento. Sperare che si raddrizzasse era del tutto inutile. Lo capii entrando nella camera di Leah.

La ragazza stava rifacendo il letto, o almeno così volevo credere. Ad una prima occhiata, infatti, sembrava che Leah fosse più interessata a distruggerlo. E dal modo in cui prendeva a pugni il cuscino, scuoteva il copriletto e dava calci al materasso, sembrava che ci stesse riuscendo.

“Ciao” mormorai, sperando vivamente di non diventare la sua prossima valvola di sfogo.

Come da copione Leah non rispose. Si limitò a grugnire come un animale inferocito.

“Se preferisci, torno più tardi” bisbigliai impaurita, seguendone i movimenti frettolosi e spazientiti.

Come se fosse stata fulminata, Leah si voltò verso di me. I suoi occhi mi fissavano intensamente e si strinsero in una smorfia che poco donava alla loro bellezza.
Senza spiccicare una parola, si precipitò a chiudere la porta alle mie spalle. Con grande rapidità, sfrecciò da un lato all’altro della stanza, raggiunse la poltroncina di vimini e la trascinò al centro della stanza.
A quel punto mi afferrò per il braccio – che era già abbastanza provato dalla presa ferrea di Paul - e mi costrinse a sedermi sulla poltrona. Non ebbi possibilità di oppormi o fare alcunché.
Infine Leah si sdraiò sul letto e solo in quel momento si lasciò andare ad un sospiro liberatorio.

“Ehm… se hai bisogno di uno psicologo, c’è sempre l’elenco telefonico!” esclamai, cercando di fare del sarcasmo.

Come accadeva spesso, Leah rimase impassibile di fronte alla mia battuta.

“Ho litigato con mio fratello” esordì lei, fissando il soffitto.

“Come mai?” chiesi.

“Le solite cazzate: quel moscerino non vuole capire che non deve toccare le mie cose” spiegò lei, con voce insolitamente infervorata.

Sapevo che i due fratelli non facevano altro che litigare per la maggior parte del tempo, ma non credevo che l’attuale stato d’animo di Leah fosse dovuto a Seth.
Solitamente il viso di Leah era una maschera indecifrabile e la sua voce non lasciava mai trasparire delle emozioni.
Adesso, invece, sembrava che la ragazza fosse sul punto di scoppiare. Gli occhi sbarrati ricordavano quelli di un toro inferocito. Teneva le labbra serrate, come se qualcuno la stesse costringendo a parlare contro la sua volontà.

“Non per farmi gli affari tuoi, ma… è successo qualcosa in questi giorni?” mi azzardai a domandare.

Leah non aveva mai gradito le invasioni nella sua privacy. Era sempre stata lei a decidere quando raccontare i fatti che la riguardavano e quando accadeva ciò, si comportava come se mi stesse facendo una concessione e non una confidenza.

“L’altro ieri ho visto Sam ed Emily al supermercato” rispose in un fiato.

Ecco spiegato il letto semidistrutto!

“E… ti trovi in queste condizioni… da due giorni?” domandai preoccupata.

Inizialmente mi chiesi perché non mi avesse chiamata, ma poi ricordai a me stessa che Leah non era il tipo di persona che ammetteva di aver bisogno di aiuto e tanto meno lo domandava.
Mi sentii in colpa per averla trascurata. Paul mi aveva distratto dai miei doveri di amica.

“No, certo che no! Ma qualche minuto fa, mio fratello è stato così carino da ricordarmi l’accaduto” rispose, stringendo i pugni e digrignando i denti.

“Capisco” abbassai lo sguardo, contemplando le mie mani che si torturavano a vicenda.

Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti. Aspettavo che arrivasse la famosa concessione, cioè che Leah si decidesse a raccontare.

“Ricordi quando hai incontrato Manuel nel parcheggio della scuola?” chiese finalmente, volgendo lo sguardo verso di me.

Scrutava il mio volto con i suoi occhi nerissimi. Solitamente li definivo freddi come una notte d’inverno, ma quel giorno erano ardenti. Bruciavano di un inquietante fuoco nero che era reso ancora più profondo dalle lunghissime ciglia scure.

“Vagamente…” scherzai cercando di eludere quello sguardo così intenso. Ovviamente, sperare di strapparle un sorriso era pura follia.

“Vederli insieme è stato tremendo!”, esclamò improvvisamente, “Sono passati diversi anni e ancora non riesco a…” si bloccò per deglutire e forse cacciare indietro le lacrime.

Rimasi in attesa che continuasse. Con Leah bisognava essere pazienti.

Nel frattempo il senso di colpa mi stava torturando. Quanto avrei voluto sputare tutta la verità. Mi sentivo una traditrice…

“Non credo si siano accorti di me” continuò lei, ignara dei sentimenti che si agitavano dentro di me. “Sono rimasta a fissarli attraverso lo scaffale della carne in scatola, come una guardona. Devo essere malata, non c’è altra spiegazione!” esclamò in seguito, portandosi una mano sugli occhi. “Quello che ho provato…”

“Lo so…” intervenni in suo aiuto, con voce rotta dall’emozione.

“No, tu non lo sai” replicò la ragazza. Non era un'accusa o un rimprovero, ma solo una constatazione. “Ho desiderato fare loro del male!” confessò subito dopo, come se effettivamente lo avesse fatto.

Le sue mani si aprivano e chiudevano in modo convulso. I muscoli della faccia erano tesi nel disperato tentativo di mantenere una facciata di imperscrutabilità. Solitamente ci riusciva bene, ma quel giorno era tutto diverso… Leah era diversa…

“Leah, è normale. Quando penso a Manuel, anch’io fantastico su come potrei fracassargli la testa, ma questo non significa che lo farei davvero” dissi, tentando di rassicurarla.

“No… questa volta è stato diverso. È iniziato tutto quando si sono baciati…” scosse la testa a destra e sinistra sul cuscino, come a voler scacciare quell’immagine. “Ho avvertito una scarica di adrenalina scorrermi per tutto il corpo. Un brivido caldo mi ha attraversato la spina dorsale e poi le mie mani hanno cominciato a tremare…”

Sollevò le mani e prese ad esaminarle, come se fossero qualcosa di estraneo al suo corpo, qualcosa di contaminato.
La osservavo sbigottita mentre un timore si faceva largo nella mia mente.

“Non vedevo più niente… o meglio… era tutto rosso e l’immagine delle loro bocche unite continuava a balenare nel mio cervello tormentandomi. Ho provato l’istinto di aggredirli… di morderli…”

“Morderli?” chiesi sussultando, non riuscendo a trattenermi.

Leah chiuse gli occhi e portò le mani alla testa.

“Per un attimo ho desiderato avere zanne e artigli per… usarli contro di loro. Per un istante ho creduto di possederli veramente…” si fermò un attimo, per respirare profondamente.

Intanto me ne stavo seduta sulla poltrona rigida come un pezzo di legno.
Le parole di Paul rimbombavano nella mia testa: “La febbre è il primo sintomo”.
Non sapevo cosa fare e come comportarmi. Avevo un solo pensiero in testa che pulsava come un tamburo impazzito: toccarla... devo toccarla!

“Fortunatamente è arrivato quel rompiballe di mio fratello e mi ha distratto con le sue chiacchiere. Poco dopo Sam ed Emily non c’erano più” aggiunse infine, mettendosi seduta sul letto. “Non faccio altro che rimuginare sulla mia reazione. Che cosa c’è in me che non va, Yvonne? Una persona normale non reagirebbe così… mi sto trasformando in una specie di mostro? Un’arpia senza cuore, incapace di essere felice e che desidera le disgrazie altrui?” chiese, guardandomi con espressione disperata.

Mi fiondai su di lei, abbracciandola di slancio e stringendola più forte che potevo, mentre gocce salate bagnavano la stoffa blu della mia maglia. Non ricambiò l’abbraccio, le sue braccia rimasero rigide e immobili lungo i fianchi, ma non me ne curai.
La cullai per diverso tempo, come una bambina bisognosa di affetto. Non sapevo cos’altro fare. Di fronte al suo immenso dolore mi sentivo impotente ed inutile.
Desideravo ardentemente che guarisse, che riuscisse a dimenticare e andare avanti, proprio come stavo facendo io. Volevo che trovasse una persona in grado di farla sentire di nuovo amata e soprattutto che le insegnasse ad amare di nuovo ed essere felice.
Leah era una persona speciale: lo avevo capito dal primo momento in cui l’avevo vista, quando aveva affrontato lo spacciatore per salvare quel ragazzino. Non meritava tutto quel dolore, eppure il destino – sempre che si possa parlare di destino – era stato ingiusto con lei.

Trattenevo a stento le lacrime, perché soffrivo per lei e con lei, ma al tempo stesso, una piccola parte di me provava un grandissimo sollievo.

La temperatura corporea di Leah era normale.

Per un attimo avevo temuto l’irreparabile.

I miei timori erano infondati, o almeno così credevo!

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Nota di fine capitolo:
*“ non le racconterò del vostro piccolo problema peloso”: chiaro riferimento a Harry Potter. James Potter usava l’espressione “piccolo problema peloso” per riferirsi alla licantropia di Remus Lupin.
**“ siamo sicuri che sia Edward il masochista della situazione?”: riferimento al famosissimo appellativo: “Leone pazzo e masochista”.
***“ la seconda che hai detto”: non so quante persone possano capire questo riferimento. Era una delle frasi-tormentone di un personaggio “Il Santone Quelo”, creato dal comico Corrado Guzzanti. Chi di voi ha visto i programmi di satira “Tunnel” o “L’ottavo nano”, dovrebbe conoscerlo.
****“ due crudeli occhi rossi […] James!”: riferimento al capitolo 19 della mia precedente ff.

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Nota autore:

Rieccomi ad aggiornare!
Mi scuso come sempre per il ritardo, ma gli esami sono vicini e purtroppo i miei aggiornamenti saranno sempre più distanziati nel tempo.
Avrete sicuramente notato che il capitolo è più corto del solito e che a differenza di quello che avevo detto ad alcune lettrici, manca il confronto con Manuel.
Avevo intenzione di metterlo, ma quando ho terminato di scrivere la scena di Leah, mi sono resa conto che aggiungere un’altra parte “melodrammatica” avrebbe reso il capitolo troppo pesante. Inoltre, inserire tutto all’interno dello stesso aggiornamento avrebbe sminuito sia il pezzo che vede protagonista Leah, sia il pezzo riguardante il famoso confronto Manu/Yva. Senza contare che i recenti sviluppi Paul-Yva richiedono un approfondimento…
Non temete: vi garantisco che nel prossimo capitolo comparirà Manuel. Una promessa è una promessa!

Precisazioni riguardo il capito…
La discussione tra Paul e Yva sulle “priorità” mi è venuta in mente, rimuginando proprio sul comportamento del lupacchiotto. Volevo dare una spiegazione logica alla reazione che il licantropo ha quando scopre che Jacob ha spifferato tutto a Bella. Secondo me, il ragazzo ha un grande senso del dovere e quindi non tollera la disobbedienza (qui si differenzia da Jacob, che invece se ne frega altamente delle regole). Inoltre il fatto di aver litigato con la sua ragazza per motivi inerenti alle regole del branco non ha certo contribuito a mantenerlo calmo, quindi la proverbiale istintività lupesca ha fatto il resto.

Questione Leah.
Penso sia chiaro da quello che la ragazza ha raccontato, che la sua trasformazione in licantropo è vicina.
Vedo Leah come una ragazza dura e forte che cerca di tenersi tutto dentro, ma è chiaro che tutti noi alla fine finiamo con lo scoppiare. Non credo ci sia molto da aggiungere.

Mi spiace se il capitolo vi ha deluso. Cercherò di rifarmi con il prossimo.

Ringraziamenti:

Per Dackota: carissima! Quando ho visto la tua recensione, i miei occhi hanno cominciato a brillare di felicità! Grazie mille, davvero! I tuoi complimenti mi fanno arrossire e mi hanno rallegrato la giornata. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. La scena a casa di Billy voleva essere una piccola parodia di Alias (un telefilm che adoro e che ho seguito assiduamente dalla prima all’ultima puntata) e sono contenta che sia risultata divertente. È stato uno spasso per me scrivere della scena a casa di Yva con Trevor e mammina. Cerco di inserire questi spezzoni per alleggerire il racconto e per descrivere il lentissimo istaurarsi di un rapporto tra Trevor e Yva. Voglio che si affezionino l’una all’altra XD. Infine, la scena intima Paul/Yva… beh… come ho già detto, un po’ mi sono vergognata a postarla, ma ho visto che ha riscosso molto successo e quindi non posso che essere soddisfatta! Leah… Leah… mi crea sempre problemi. È difficile da manipolare, non sono mai certa di come si potrebbe comportare in certe situazioni, ma sono contenta nel costatare che i miei sforzi vengano apprezzati. Insomma, mi fa un immenso piacere vedere che i miei umili capitoli riescano ad interessarvi. Grazie grazie grazie! Baci, vannagio.

Per C4rm3l1nd4: cara! Grazie per i complimenti e la recensione. Yva-Sydney ti è piaciuta? Sono contenta (adoro il telefilm Alias). Si, in effetti, hai ragione: a volte (per non dire sempre) dubito delle facoltà mentali di Bella Swan. Ma non voglio uscire fuori tema. Ti ringrazio ancora e spero che questo cap sia stato di tuo gradimento. Bacioni, vannagio.

Per loli89: grazie anche a te per la recensione. Come hai detto tu, l’eventuale imprinting con Rachel avverrà in Breaking Dawn, quindi non fasciamoci la testa prima del tempo, ok? Per quanto riguarda Leah… ti anticipo che non la prenderà molto bene… Manuel arriverà nel prossimo capitolo (Oggi sono in vena di spoiler). Continua a seguire e grazie ancora per i complimenti. Baci, vannagio.

Per Midao: la tua recensione mi ha fatto arrossire. Grazie mille, non posso far altro che gongolare soddisfatta. Sono contenta che apprezzi il modo in cui sto caratterizzando i miei personaggi. Mi sto affezionando particolarmente a Paul. Sembra un tipo semplice e facile da comprendere, ma sotto sotto non è affatto così XD! Grazie grazie grazie! Proprio conoscendo il tuo amore per Manuel, mi scuso se non l’ho fatto comparire in questo capitolo. Ti prometto che nel prossimo ci sarà! Bacioni, vannagio.

Per crazyfv: grazie anche a te dei complimenti (lo so, sono ripetitiva). Alla fine avete apprezzato tutti la scena in camera di Yvonne e non posso che esserne contenta. In realtà non so se il nuovo cap è all’altezza del precedente, che invece, modestia a parte, penso sia riuscito bene. Cmq fammi sapere cosa ne pensi. Ci tengo al tuo giudizio! Grazie ancora e aggiorna presto anche tu, d’accordo? ;) Baci, vannagio.

Per TheDreamerMagic: ciao e grazie anche a te per la recensione! Purtroppo Manuel non è venuto, nel senso che ho rimandato l’incontro al prossimo capitolo. Spero di non aver deluso nessuno. Riguardo ai possibili casini… probabile! Nei libri non c’è alcun accenno alla prima trasformazione di Leah, ma su Wikipedia c’è scritto che si trasforma in New Moon. La sua trasformazione e quella di Seth sono la causa dell’infarto di Harry Clearwater ed io mi atterrò a questa versione. Grazie e baci, vannagio.

Per tom angel: Ciao e benvenuta tra le "recensitrici" XD. Grazie per questa recensione così entusiastica. Ti piace Paul? Vorresti averlo per te? A chi lo dici… XD. Cmq per la spiegazione di Manuel dovrai aspettare il prossimo capitolo. Continua a seguire e a recensire, se ti va! Grazie, vannagio.

Per Beatriz Aldaya: Zao anche a te! Non sempre tutto è come appare. Jacob si è dimostrato distaccato nei confronti di Bella, perché non poteva starle accanto e per proteggerla… un po’ com’è successo al mio Paul. La mamma di Yva è sempre stata molto invadente/iperprotettiva. Adesso sta un po’ migliorando, ma ogni tanto ha qualche ricaduta. Meno male che c’è Trevor (lo adoro!). Paul che assomiglia ad Edward? Non so… boh… cmq scusami anche tu per il mancato Manuel. Come ho già assicurato alle altre, tornerà nel prossimo capitolo! Scusami davvero! Grazie mille per la recensione. Baci, vannagio.

Grazie a tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono e ricordano la mia ff.

Grazie anche a lady_violet che mi ha inserita tra i suoi autori preferiti.

A presto, vannagio.

N.d.Manuel: ragazze sto arrivando!!! (piccoli scleri da fanwriter)

P.S.: ho pubblicato una piccola one-shot su Jane e Alec. Se avete voglia, andate a dare un'occhiata. Si chiama "Il conforto di un bacio".

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Capitolo 17
*** Famiglia ***


Famiglia: questa giornata non finirà mai!


Pranzai a casa di Leah e le feci compagnia fino a metà pomeriggio.
Non volevo lasciarla da sola. Aveva bisogno di sostegno morale, anche se non l’aveva chiesto in modo esplicito.
A dire la verità, Leah mi aveva invitato, con tono cordiale e gentile, a tornarmene a casa.

“Ma insomma! Non hai altro da fare che stare qui a rompere le palle? E perché mi guardi come se stessi per morire? Fatti i cazzi tuoi e vattene a casa per favore!”

Ovviamente non feci caso alle sue parole, che erano dettate dalla rabbia verso tutti e tutto e forse anche dalla vergogna per aver ceduto ai suoi sentimenti.

Mentre guidavo verso casa, non potei fare a meno di rimuginare sul racconto di Leah e sulla reazione a dir poco spropositata che aveva avuto spiando Sam ed Emily.
Una piccola parte di me temeva che Leah avesse ereditato il gene del licantropo. Le sensazioni che aveva descritto combaciavano in modo inquietante con quanto mi aveva raccontato Paul.

Scossi la testa per scacciare quel pensiero.

È assurdo!.

Dovevo auto-convincermene, perché il solo pensiero di una Leah trasformata in licantropo mi mandava in corto il cervello.
Una Leah che entrava a far parte del branco di Sam?
Una Leah che aveva accesso a tutti i pensieri del Capo Branco?
Ci sarebbero state delle implicazioni a dir poco spaventose… a confronto l’Apocalisse sarebbe apparsa come un’allegra festicciola!

No, è assurdo, ripetei a me stessa.

Il padre di Leah discendeva da un membro del vecchio branco, quindi la possibilità che Leah avesse ereditato il gene c’era, eccome se c’era!
D’altronde, le figlie di Billy Black, Rachel e Rebecca, possedevano lo stesso corredo genetico di Jacob, eppure non avevano condiviso lo stesso destino del fratello.

Ti stai preoccupando per nulla, Yvonne! È ovvio: la licantropia è una cosa da maschi!

Le ultime parole famose…

Nonostante la mente fosse impegnata in tali congetture, mi accorsi subito del ragazzo seduto sui gradini del portico di casa mia.
Fissava il vuoto con espressione assorta e stanca.
I gomiti poggiavano sulle ginocchia. La mano sinistra, chiusa a pugno, sosteneva il capo all’altezza del mento. L’indice e il pollice della mano destra, invece, stringevano un mozzicone di sigaretta che veniva portato e allontanato dalla bocca automaticamente, quasi fosse un gesto meccanico o un riflesso incondizionato.
Il fumo aspirato usciva dalla bocca quasi subito: lento e denso, fluiva fuori attraverso quelle labbra, che molte volte avevo sognato poter baciare nuovamente.
I capelli erano leggermente più corti rispetto all’ultima volta che ci eravamo incontrati ed erano tenuti indietro da una fascia, in modo da lasciare libero il viso.

Avevo notato tutti quei particolari in poche frazioni di secondo, dopo che, per la sorpresa e il terrore, avevo fermato la macchina a pochi metri di distanza dal vialetto di casa.
Il mio cuore perse parecchi battiti, prima di tornare a galoppare a una velocità mai raggiunta prima. Il respiro era diventato affannoso, come se l’aria fosse rarefatta.

Ossigeno! Mi serve ossigeno!

Incapace di rimettere in moto l’auto, scesi dal maggiolino e percorsi a piedi la breve distanza che mi divideva dalla porta di casa.

Non riuscivo a staccare gli occhi da quella sagoma terribilmente familiare. Andavo avanti come un automa. Le gambe si muovevano per semplice forza di inerzia.

Non mi aspettavo di incontrarlo, non in quel momento…
Paul, Leah e tutti gli avvenimenti che si erano accumulati in quei giorni avevano occupato la mia mente, senza lasciare spazio ad altre questioni o persone.
Ma nonostante la sorpresa, la paura, la rabbia, il disprezzo, sentivo crescere in me la forza per affrontarlo: adesso ero pronta!

Si accorse di me, quando ormai avevo imboccato il vialetto di casa.
Diede un ultimo tiro a ciò che era rimasto della sigaretta e si alzò in piedi. Poi lasciò cadere per terra il mozzicone e lo spense con la punta della scarpa.

Era incredibile come riuscissi a captare ogni suo piccolo movimento. I miei sensi si erano fatti acutissimi: merito dell’adrenalina, che in quel momento scorreva veloce nelle vene, pompata insieme al sangue dal mio cuore impazzito.

“Ciao, Manuel” lo salutai, quando lo raggiunsi.

Non rispose subito. Mi guardava sbattendo stupidamente le palpebre, colto di sorpresa dalla mia apparente tranquillità.
Finalmente, parve recuperare l’uso della parola e come a volersi scusare, disse: “Tua madre non mi ha fatto entrare, così ho pensato di aspettare qui”.

“Non ti sopportava prima, figuriamoci adesso!” esclamai, riuscendo addirittura a sorridere.

Certo, era un sorriso falso e forzato, ma pur sempre un sorriso!

“Ho bisogno di parlati!” continuò lui, visibilmente confuso dal mio atteggiamento.

Si era aspettato urla e insulti?

Beh, dentro di me stavo urlando… e anche imprecando…

“Pensavo che non potessi permetterti di viaggiare in aereo, invece ti vedo più adesso che non quando stavamo insieme!”

Hai fatto del sarcasmo, Yvonne? Davvero? Congratulazioni!

“Ho un amico a Port Angeles che mi doveva un favore: mi ospita temporaneamente” rispose lui, senza distogliere lo sguardo dal mio.

“Da quando sei qui?” chiesi, cercando di non lasciare trasparire nessuna emozione dal mio viso.

Frequentare Leah aveva dei vantaggi…

“Dal giorno di San Valentino” rispose lui atono.

Non replicai: la sorpresa mi aveva mozzato il respiro e fu davvero difficile mantenere la calma di fronte a quella rivelazione.
Dopo tutto, Leah aveva anni di pratica alle spalle, mentre io ero solo una novellina nel controllo delle emozioni.

“Sei a Port Angeles da un mese?” domandai poco dopo sconvolta, mandando al diavolo tutta quella stupida messa in scena.

Manuel annuì serio.

“Ma… il college? E la band?”

“Mi sono preso una pausa, una specie di periodo sabatico!” rispose Manuel, accennando un sorriso imbarazzato.

“Tutto questo è veramente…”

“Assurdo?” chiese, completando per me la frase.

“No… stupido!” replicai con voce alterata. “È incredibilmente stupido!”, diciamo pure che stavo urlando, “Che cosa speri di ottenere? Pensi che raccontandomi queste cose, tu possa convincermi a tornare da te? Dovrei commuovermi di fronte a questa grande prova d’amore?”

Non so perché l’idea che lui si trovasse a Port Angeles da un mese mi avesse turbata tanto.
Forse per l’inquietudine nel saperlo così vicino e al tempo stesso lontano.
Forse per il senso di colpa: stava trascurando il college a causa mia. Che cosa avrebbero pensato i suoi genitori di me?
Forse per la rabbia verso me stessa: non dovevo sentirmi in colpa, non ero io la causa di quella situazione!

“Sei stata tu a domandare. Non te ne avrei parlato, se non me lo avessi chiesto” rispose Manuel, che a quanto pareva, era molto più bravo di me a mantenere la calma. “Non sono qui per implorarti di tornare con me…”

“E allora che cosa sei venuto a fare?”

Sputai quella domanda come se le parole potessero ferirlo mortalmente.

“Per spiegarti tutto…” fece una pausa. Riprese fiato e continuò: “Ti chiedo solo un’opportunità. Se dopo aver ascoltato, sarai ancora dello stesso avviso, me ne andrò senza fare storie e ti lascerò in pace”.

“Posso fidarmi?”

Più che a lui, lo stavo chiedendo a me stessa.
Potevo fidarmi delle mie emozioni, dei miei sentimenti e delle mie reazioni? Sarei stata in grado di mantenere il lume della ragione, di resistere alla tentazione di lanciarmi tra le sue braccia e credere a quelle che senz’altro erano bugie?
Una piccolissima parte di me sperava ardentemente che Manuel riuscisse a dimostrare che mi fossi sbagliata, che quello che avevo visto e sentito in quel maledetto garage fosse solo frutto della mia immaginazione e della gelosia…
Una piccola parte di me lo amava ancora e lo rivoleva… con tutta se stessa.
E questo mi spaventava terribilmente.

“Te lo prometto!” esclamò lui, serio come mai lo avevo visto.

Scossa da brividi che non avevano nulla a che fare con il freddo, annuii titubante e balbettando, dissi: “D’accordo, ti ascolto”.

***

Per sfuggire allo sguardo invadente di mia madre, che ci spiava attraverso le tendine dell’ingresso di casa, decisi di continuare la nostra conversazione in un altro luogo.
La scelta ricadde su un piccolo parco giochi, che distava circa cento metri da casa mia.

Conservo pochissimi ricordi di mio padre. Si tratta per lo più di sensazioni, suoni ovattati dal tempo, immagini confuse e sfocate. Il ricordo più vivido nella mia mente è legato proprio a quel vecchio parco giochi, che ormai è semi-distrutto dalle intemperie e dai ragazzini annoiati.

Non mi recavo in quel posto da parecchio tempo, perché mi trasmetteva solo tristezza e malinconia. Ma in quel momento, avevo bisogno di aggrapparmi a qualcosa di familiare, che in qualche maniera appartenesse al mio mondo. Dato che a causa di mia madre, non potevo usare la mia stanza, il parco giochi era il luogo più adatto, anche perché era completamente deserto.

Presi posto su una delle due altalene cigolanti.

Chissà se è la stessa, pensai rievocando quei fotogrammi sbiaditi e confusi.

Sono sull’altalena… rido…
Risate profonde e allegre si aggiungono alle mie…
Sento le mani grandi e gentili di mio padre spingermi delicatamente…
Il vento tra i capelli… sul viso…
L’altalena va su e giù… le scarpette rosse puntano verso il cielo…
Sono felice… mi sembra di volare…

Scossi la testa, ritornando al presente.

Manuel mi stava fissando intensamente, forse si era accorto del mio momentaneo estraniamento dalla realtà. Per sfuggire al suo sguardo, mi guardai intorno, cercando di cogliere qualche particolare che potesse arricchire il mio ricordo.

“Questo è…”

“Sì” lo interruppi subito.

Manuel sapeva tutto di me.
Gli avevo raccontato di quel parco giochi e del significato che aveva per me, alcuni anni prima. Rimasi molto stupita nel scoprire che lui ricordava quell’aneddoto. Del resto, non era un caso se per anni lo avevo considerato il miglior amico che si potesse desiderare.
Peccato che non fosse stato altrettanto bravo come fidanzato…

“Pensavo che non ti piacesse venire qua” disse lui, dopo qualche attimo di silenzio.

“Risparmiati la psicoanalisi, per favore!” replicai irritata.

Stavo cominciando a perdere la pazienza.

Manuel sospirò pesantemente e si sedette sull’altalena accanto alla mia.

“Ho commesso un enorme sbaglio, Yvonne” esordì, guardando dritto davanti a sé.

“Questo è poco ma sicuro!” scherzai, ridendo amaramente.

“Lasciami parlare, ok?” chiese gentilmente, posando i suoi occhi castani su di me.

Qualcosa nel suo sguardo mi indusse a tacere.

Manuel attese qualche secondo, poi continuò a parlare, come se non fosse stato interrotto.

“Non cercherò di apparire come la vittima della situazione. Voglio essere del tutto sincero con te. È tutta colpa mia, lo so bene. Dirti che mi dispiace e che sono profondamente pentito non servirebbe a niente. Sarebbero solo parole senza alcun valore per te. L’unica cosa che posso fare è raccontarti tutto e sperare che tu possa credermi”.

Fece una pausa, come a voler prendere coraggio. Era difficile per me ascoltare in silenzio, avrei voluto dirgli tante di quelle cose…

“C’è una cosa che non ti ho mai detto”, era tornato a fissare il vuoto, io invece non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso, “Ricordi quel giorno che abbiamo litigato al telefono? Mancava una settimana all’inizio delle vacanze di Natale”.

Certo che ricordavo!

Avevamo litigato furiosamente a causa della mia paranoia e di Andrea. Alla fine gli avevo attaccato il telefono in faccia e ci erano voluti due giorni per fare pace.

Ma cosa c’entrava questo con tutto il resto?

Come se avesse captato la mia muta domanda, Manuel proseguì con il suo racconto.

“Quella stessa sera Fred e Tom mi convinsero ad uscire con loro. Volevano risollevarmi il morale. La litigata con te era stata la ciliegina sulla torta in una giornata veramente di merda: un esame scritto andato male, le esibizioni annullate senza un motivo preciso, senza contare che ero completamente al verde”.

Ascoltavo senza fiatare e studiavo il suo viso, cercando di capire se fosse tutta una messa in scena o se la tristezza e il pentimento che gli leggevo in faccia fossero reali.
Si torturava le mani: non lo avevo mai visto così nervoso e imbarazzato.

“Avevo già bevuto diverse birre, quando fummo raggiunti da Andrea”.

Nell’udire quel nome il mio cuore mancò parecchi battiti.
Perché mi stava raccontando quelle cose?
Nello stesso istante in cui mi posi quella domanda, fui colta da un vago senso di inquietudine.
Mi aggrappai con tutte le mie forze alle catene che sostenevano l’altalena, come se potessero sorreggere anche me.

“Andrea non ha mai nascosto il suo interesse per me. Non te l’ho mai detto perché eri molto gelosa e non volevo che ti facessi ulteriori complessi… anche se tu lo avevi già capito, non è così?”, i suoi occhi si posarono su di me per un attimo, poi tornarono a contemplare il nulla. “Ad ogni modo… abbiamo cominciato a parlare, a bere e…”

Si fermò un’altra volta, deglutendo a vuoto.

“…e alla fine… ci siamo baciati.”

Non so come, mi ritrovai in piedi.
Era strano. Non capivo come avessi fatto, perché le mie gambe si rifiutavano di compiere qualsiasi movimento: un attimo prima ero seduta sull’altalena, un secondo più tardi - il tempo di un battito di ciglia – mi trovavo in piedi a fissare Manuel con espressione torva.
In realtà non lo vedevo davvero. Stavo rivivendo un momento della mia vita che avrei voluto dimenticare per sempre.

“Yvonne” mi chiamò, alzandosi anche lui e afferrandomi per le spalle.

Non risposi.

“Mi sono reso conto immediatamente di aver fatto una cazzata!” esclamò Manuel disperato.

“Davvero?”, io stessa fui sorpresa di udire la mia voce, “E questa consapevolezza è arrivata prima o dopo di esserci andato al letto?” urlai, passando improvvisamente da uno stato di pura catatonia, a uno di rabbiosa agitazione.

Perché stavo reagendo in modo così esagerato? Sapevo che Manuel mi aveva tradito e avevo immaginato la scena mille volte, in mille modi diversi…
Perché ero così sconvolta? Mi ero abituata a quella verità da parecchio tempo ormai!

“Non è successo nient’altro, devi credermi!” mi implorò lui.

Scoppiai in una risata isterica che non aveva nulla di allegro.

Le sue mani, che finora erano rimaste ancorate alle mie spalle, andarono ad intrappolare il mio viso, costringendomi a guardarlo negli occhi.

“Tu. Devi. Credermi.” scandì lentamente e a bassa voce.

Ci fissammo per alcuni istanti in silenzio, poi le sue braccia caddero lungo i fianchi, lasciando andare il mio viso.

“Dopo quella sera, Andrea si era fatta più intraprendente” riprese il suo racconto con voce atona e sguardo vacuo. “Cercavo di non incoraggiarla, ma lei insisteva. Non avevo il coraggio di parlarle chiaramente. Temevo che decidesse di abbandonare il gruppo e non volevo mettere a rischio la band. Poi dopo le feste Natalizie, sei arrivata tu. Speravo che vedendoci insieme, Andrea avrebbe capito che doveva lasciarmi in pace. Ovviamente mi sbagliavo… quella mattina nel garage - te lo giuro, Yva - è stata lei a baciarmi! Era venuta con la scusa di volermi parlare…”

“No…” sussurrai, indietreggiando di qualche passo. “Non tentare di raccontarmi cazzate. Non ti credo, tu… non puoi…” balbettavo in modo sconnesso.

“Yva…” bisbigliò lui, ma non gli permisi di continuare.

“Tu non puoi ricomparire dopo mesi e tentare di rifilarmi queste cazzate! Se ciò che dici è vero, perché non me lo hai raccontato subito?” chiesi, provando in tutti i modi di mantenere ferma la voce. Sentivo gli occhi pizzicare, ma non volevo piangere… non potevo…

“Sono stato un codardo, un vigliacco. Temevo che raccontandoti del bacio mi avresti lasciato e non volevo perderti per uno stupido errore” spiegò lui, avanzando di un passo verso di me.

“Potevi dirmelo dopo, no? Quando ero convinta che tu mi avessi tradita con quella”.

Rimasi immobile, nonostante Manuel continuasse ad avanzare lento e inesorabile.

“Ti ho chiamato ogni giorno: non mi hai mai risposto. Appena ho racimolato un po’ di soldi, sono corso qui da te, ma tu mi hai cacciato via!”

Un altro passo nella mia direzione.

“Che cosa ti aspetti che succeda adesso?” domandai, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi.

Manuel mi aveva raggiunto.

“Potevo tenertelo nascosto, potevo mentirti e non lo avresti mai scoperto, ma ho preferito raccontarti la verità. È stato solo uno sbaglio… farei di tutto per tornare indietro… ti amo, Yva. Ti prego, perdonami. Ricominciamo daccapo.”

Non avevo captato nemmeno una parola di quello che aveva detto, distratta dalle sue braccia, che si erano avvolte intorno alla mia vita, stringendomi contro il suo petto.
La lucidità era andata a farsi benedire.
Chiusi gli occhi senza pensare alle conseguenze e subito avvertii qualcosa di morbido e caldo sfiorare la mia guancia.
Aprii gli occhi e le sue labbra…

Oddio!

Perché le sue labbra erano così vicine?
Che cosa stavo facendo?
Lo stavo assecondando?
Ero impazzita?
Che diavolo mi stava succedendo?

Terrorizzata, poggiai le mani sul suo torace e facendo forza, lo spinsi via. Colto alla sprovvista, Manuel barcollò, rischiando di cadere.

“È troppo tardi per ricominciare!” esclamai, scuotendo la testa.

La mia voce tremava, tutto il mio corpo tremava, ma sapevo di stare facendo la cosa giusta.

“No, non lo è!” replicò lui deciso e risoluto.

Ricominciò la sua avanzata verso di me, ma questa volta mi allontanai, decisa a mantenere le distanze.

“Sto con un altro, Manuel!”

“Cosa?”

Barcollò nuovamente e si immobilizzò sul posto, come se non fosse più in grado di coordinare i movimenti degli arti.

Ignorando la sua esclamazione, continuai: “Ma anche se non fossi impegnata, credi veramente che riuscirei a fidarmi ancora di te?”

Gli occhi sgranati e la bocca spalancata: sembrava che Manuel si fosse cristallizzato.

“Una giornata storta e qualche birra di troppo”, continuai, “Ci vuole così poco per cedere alla tentazione? Che cosa ti impedirebbe di andare oltre la prossima volta?”, domandai seria, “Forse potrei arrivare a perdonarti, ma la fiducia… quella è un’altra storia…”

Abbassai lo sguardo e mi morsi il labbro a sangue, pur di tenere a freno le lacrime.

“È finita, Manuel! Ti prego: mantieni la promessa e lasciami in pace!”

Senza aspettare una risposta o una conferma, senza incontrare il suo sguardo, scappai via.

Spiegarvi cosa provai in quella circostanza è davvero difficile, per non dire impossibile.

Credevo di aver fatto la cosa giusta, perché mi sentivo leggera, come se finalmente mi fossi tolta un peso dal cuore. Avevo dato a Manuel la possibilità di spiegarsi e a me la possibilità di decidere in modo lucido e ragionato. Avevo scelto di lasciarmi tutto alle spalle. Adesso il capitolo Manuel era definitivamente chiuso e potevo dedicarmi anima e corpo a me stessa e a Paul.

Ma era stupido pensare che la semplice parola “fine” bastasse a cancellare i sentimenti che in parte provavo ancora per Manuel.
Quindi non posso negare di aver sofferto nel dirgli quelle cose e nell’avergli definitivamente detto addio.

***

Quella sera cenai da sola.
Mia madre era uscita con Trevor e probabilmente non sarebbe tornata a casa per dormire. Con un tacito accordo, convenimmo che io le avrei risparmiato le battutine sarcastiche in merito a tale argomento – anche perché non ero in vena – e lei non mi avrebbe sottoposto ad un terzo grado, riguardo all’improvvisa comparsa di Manuel.

Sdraiata sul divano, stavo facendo zapping, in cerca di un film che potesse impegnare la mente e impedirmi di pensare, quando il campanello di casa suonò.

Questa giornata non finirà mai! pensai sospirando.

Mi alzai e con grande lentezza, trascinai il mio corpo fino alla porta d’ingresso, troppo stanca perfino per chiedermi chi potesse farmi visita a un’ora così tarda.

“Ciao” dissi, dopo aver aperto la porta.

“Ciao” mi fece eco lui.

Qualche attimo di silenzio imbarazzante… poi il sarcasmo prese il sopravvento.

“A quanto vedo, hai imparato ad usare la porta e il campanello!”

“Beh… arrampicarsi sul cornicione non è poi così divertente come si potrebbe pensare” rispose Paul, cercando di sorridere, nonostante era evidente che si sentisse a disagio.

Feci scorrere lo sguardo su di lui.

“Indossi una camicia e dei pantaloni…”, costatai inarcando un sopraciglio, “E anche delle scarpe! A cosa devo tutta questa eleganza?” chiesi, tornando a studiare il suo volto.

“Mi spiace”, fu l’unica risposta che ottenni.

Era venuto per chiedere scusa.
Aveva usato la porta per entrare in casa, invece di introdursi dalla finestra come aveva fatto le altre volte e aveva indossato dei veri vestiti, invece dei soliti bermuda sbrindellati, tutto per accattivarsi la mia benevolenza e fare pace.

Ma ero troppo stanca per affrontare un’altra conversazione impegnativa: in quel momento volevo solo affetto e calore. Paul era in grado di darmeli entrambi. Così, senza dire nulla, mi fiondai tra le sue braccia che mi accolsero prontamente.

“Starti lontano è un’agonia. Ti chiedo scusa per come mi sono comportato!” esclamò lui, stringendomi forte a sé e affondando il naso tra i miei capelli.

“Non pensiamoci più…” sussurrai nell’incavo del suo collo.

Che sensazione meravigliosa!

Il calore della sua pelle, il tipico profumo di erba fresca, il fiato caldo che mi solleticava l’orecchio, ascoltare il battito furioso del suo cuore… Paul era il migliore calmante del mono per me.

Ma sperare che il ragazzo non percepisse qualcosa di strano nel mio comportamento era sciocco, oltre che inutile. Si staccò da me e facendo intrecciare i nostri occhi, chiese preoccupato: “Che cosa ti è successo?”

Poi lo vidi fiutare l’aria intorno a me…

“E perché puzzi di sigaretta?”

È proprio vero: questa giornata non finirà mai!

***

Come potevo anche solo pensare di nascondere qualcosa ad un ragazzo che possedeva i sensi sviluppati di un lupo?

Decisi di essere del tutto sincera con lui e così gli raccontai del mio incontro con Manuel e di quello che ci eravamo detti.

Da qualche minuto, Paul camminava avanti e indietro nervoso, schizzando da una parte all’altra della mia stanza: se continuava in quella maniera, avrebbe finito per scavare un solco nel pavimento.

“Potresti fermarti un attimo? Comincia a girarmi la testa!” esclamai, esasperata.

In realtà ero nervosa almeno quanto lui: temevo la reazione di Paul che tardava ad arrivare. E i presupposti non promettevano nulla di buono…

Forse cogliendo un lieve accenno di disperazione nella mia voce, Paul arrestò la sua marcia. Si sedette sul letto accanto a me e tenendo gli occhi rigorosamente fissi sul pavimento, chiese: “Posso farti una domanda?”

“Certo!” risposi.

Tentavo di apparire calma, ma ero tesa come una corda di violino.

“Provi ancora qualcosa per lui?”

Fu peggiore di uno sparo a bruciapelo. Avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere, ma nonostante ciò, la sua domanda mi vide impreparata.
Che cosa avrei dovuto rispondere?
Impiegai qualche secondo per decidere.
Se c’era una cosa che avevo imparato dalla storia con Manuel era che mentire o nascondere la verità non portava a nulla, se non ai guai.
Così, ancora una volta, optai per la verità.

“Sì… credo di sì”, lo vidi sussultare, sebbene avesse cercato di non darlo a vedere. “Ma non importa più ormai”, conclusi.

“Perché?”

Paul era visibilmente scosso dalla mia risposta. Non tremava, ma non c’era muscolo del suo corpo che non si fosse irrigidito all’inverosimile.

“Perché ci sei tu adesso!” risposi, come se fosse una cosa ovvia.

“Chiodo schiaccia chiodo” esclamò lui, ringhiando rabbioso.

Con uno scattò fulmineo, si alzò. Raggiunse la parete opposta della stanza, alla quale si appoggiò con una mano, dandomi le spalle.
Adesso respirava affannosamente come se avesse corso per diverse ore.

Lentamente, evitando movimenti bruschi e avventati, coprii la breve distanza che ci separava.
Lo abbracciai da dietro, facendo aderire la sua schiena al mio petto e poggiando la guancia su quella pelle dorata e bollente.

“Sei un lupo davvero ottuso!” sussurrai, intervallando le parole a piccoli baci. Sotto le mie labbra, lo sentii rabbrividire ed ero sicura che questa volta i tremori non fossero dovuti al nervosismo o alla rabbia.

“Non hai ancora capito?” chiesi ancora.

Paul trattenne il respiro in attesa che parlassi chiaramente.

Il silenzio ci avvolse ancora una volta.
Il battito del mio cuore accelerò improvvisamente e lui poteva sentirlo, ne ero certa.
Stavo per dire qualcosa di davvero compromettente. Dopo la discussione che avevamo avuto quella mattina, non potevo avere la certezza che le mie parole avrebbero ottenuto un riscontro positivo.
Avevo paura… tanta paura…

“Non ti sei accorto che sono sulla buona strada per innamorarmi di te?”

Adesso anch’io avevo il fiatone. Alla fine avevo scelto un approccio meno diretto… ero una vigliacca, me ne rendevo conto, ma la paura di essere respinta era viva dentro di me e pulsava come una ferita aperta.

Dopo quelli che sembrarono secoli, le sue mani si posarono sulle mie braccia, che ancora cingevano la sua vita. Gentilmente mi costrinse a sciogliere l’abbraccio e finalmente si voltò, dandomi la possibilità di incrociare ancora una volta quegli occhi incredibilmente neri e profondi. Brillavano di luce propria, contagiati da un sorriso sincero che si era aperto sul suo viso.

“Sarò presto in buona compagnia allora!” esclamò, senza mai smettere di sorridere.

Aggrottai la fronte, non capendo cosa intendesse dire con quella frase.

Il tipico sorriso canzonatorio comparve sulla sua faccia da schiaffi e accarezzando con il pollice la ruga che si era formata tra le mie sopracciglia, commentò: “Beh… sembra che l’ottusità sia contagiosa!”

Finalmente si accese la lampadina.

Sgranai gli occhi, incredula.

“Tu… cosa? Davvero?”

“Ne sei stupita? Credevo che fosse evidente!” intervenne lui, divertito e imbarazzato al tempo stesso.

Abbassai lo sguardo, vergognandomi di me stessa e dei dubbi che ancora mi assillavano da quella mattina.

“Ciò che è chiaro per uno, non è detto che sia altrettanto chiaro per l’altro”, bisbigliai rossa come un pomodoro.

Mi fece sollevare il volto, in modo da potermi guardare dritto negli occhi.

“So che cosa stai pensando, ma non è così! Ho dei doveri che non posso ignorare ed è vero: non avrei fatto nulla per aiutarti a scoprire il mio segreto”, disse causandomi un tuffo al cuore, “Non perché tu non sia importante per me, ma perché ci sono delle regole che devono essere rispettate. Credi che siano stupide, lo so, ma esistono per proteggere la gente innocente come te, capisci?
“Ma adesso che tu fai parte di questo mondo sovrannaturale, adesso che fai parte del mio mondo… stai pur certa, che se fossi costretto a scegliere tra te e i miei fratelli…”

Gli tappai la bocca con un bacio.

Non avevo bisogno di sentire altro: avevamo parlato a sufficienza.

***

“Non devi sentirti obbligato” farfugliai impacciata.

“Dovrei dirle io queste cose, non credi?”

Rise rocamente, mentre mi riempiva il viso di baci.

“Sei sicuro?” chiesi ancora, ignorando la sua battuta.

Dopo quello che ci eravamo detti, le mie insicurezze erano davvero ridicole, ma la razionalità ed io non eravamo mai state grandi amiche.

Non ottenni una risposta.
Si distese completamente su di me, stando attento a non gravare sul mio corpo con il suo peso e facendo scorrere la mano libera sul mio seno, ancora imprigionato dal reggipetto, mi fece intuire quanto superflua fosse stata la mia domanda.

Gli presi il viso tra le mani e lo baciai con passione.

“Se dovessi esagerare…” sussurrò lui sulle mie labbra, mentre una mano si insinuava sotto la mia schiena.

“Esagera pure quanto vuoi” lo interruppi, tirando fuori una malizia mai mostrata prima.

“Allora ti chiedo solo un favore…”

“Tutto quello che vuoi!” rantolai.

“Potresti darmi una mano con questo dannato reggiseno?”

Dovetti impegnarmi molto per non ridere: Paul non avrebbe gradito.
Senza perdere altro tempo, mi sfilai di dosso ciò che lui definiva: “l’arnese infernale inventato a posta per farmi impazzire”.

E finalmente fummo liberi di dedicarci a ben altre attività...

______________________

Nota autore:

Una promessa è una promessa!
La fatidica resa dei conti è arrivata.
Questo capitolo è stato doloroso e complicato quasi quanto un parto.
Siete deluse? Forse alcune di voi si aspettavano un rappacificamento tra Manuel ed Yva…
Secondo me perdonare non è mai una cosa facile. Forse la reazione di Yva può sembrare esagerata, visto che si è scoperto che tra Manuel ed Andrea c’è stato solo un bacio. Ma sono convinta che quando tra due persone viene a mancare la fiducia è difficile che le cose tornino a funzionare come prima.
Inoltre Yvonne è ormai impegnata sentimentalmente con Paul e francamente non ho mai gradito le persone che tengono un piede in due scarpe (ogni riferimento alla Mezza Albina è puramente casuale).
E anche se Yva crede alle parole di Manuel e al suo pentimento, lei ha fatto una scelta: ha scelto la persona con cui sta bene, verso cui sente dei sentimenti forti e che non ha fatto altro che proteggerla, anche se con metodi difficili da comprendere.

Riguardo la parte Paul-Yva…
Era ora che i due parlassero in modo più o meno esplicito dei loro sentimenti.
Il classico “ti amo” mi sembrava un tantino scontato, anche perché ormai si sente così spesso che credo che abbia perso il suo reale valore. Considerate le insicurezze e le paure dei due personaggi in questione, penso sia stato più appropriato farli parlare per sottointesi…
Infine Paul ed Yva hanno “consumato”.
Lo so, solo il giorno prima i due piccioncini avevano concordato di non correre e di aspettare, ma diciamoci la verità… stiamo parlando di due ragazzi appena usciti dall’adolescenza. Possono essere insicuri e complessati quanto volete, ma gli ormoni sono ormoni e una casa vuota è sempre una casa vuota… non so se mi spiego!
Per chi sperava in una descrizione dettagliata dell’amplesso, mi spiace averlo deluso: non mi sento ancora pronta (e forse mai lo sarò) per descrivere questo tipo di scene e poi la mia storia ha un rating giallo…

Piccola anticipazione: nel prossimo capitolo ci saranno sviluppi al quanto sconvolgenti (ho detto già troppo).

Ringraziamenti.

Per Midao: ciao mia cara! Grazie per la recensione, lo so di essere un po’ ripetitiva, ma chissà perché quando devo rispondere alle vostre recensioni, le parole scarseggiano sempre. Paul è molto protettivo con Yvonne, non perché la consideri fragile o bisognosa di un principe azzurro, ma perché tiene molto a lei. Beh… Yva è sicuramente una ragazza forte, ma anche lei ha dei limiti. Per quanto riguarda Leah, la trasformazione è vicina, ma la temperatura corporea non è ancora aumentata, perché solitamente ciò accade un giorno prima della metamorfosi (o almeno questo è quello che ho intuito da ciò che ha raccontato la Meyer). Come ti è sembrato questo capitolo? Sarai sicuramente dispiaciuta per Manuel… non ce l’hai con me vero? :( Bacioni, vannagio.

Per Melody Potter: ciao, è un piacere riaverti tra coloro che leggono la mia storia. Non preoccuparti, fai con calma e quando hai tempo e voglia lascia un commento! Baci, vannagio.

Per Dackota: ciao carissima!! È sempre piacevole leggere le tue recensioni. Grazie per i complimenti, come al solito mi fanno arrossire. Beh… mi piace approfondire il carattere dei miei personaggi. Non so se il risultato sia accettabile ma io ci provo. La parte di Leah ci voleva, sia per creare un po’ di attesa in merito alla sua trasformazione in licantropo, sia per approfondire ancora di più il personaggio. È una dura, Leah, si tiene tutto dentro, ma a volte è normale che esploda, lasciando uscire tutte le sue emozioni (mi sembrava credibile, ecco). Anch’io penso che la parte del film di NM, in cui Bella schiaffeggia Paul sia ridicola, ma purtroppo non possiamo pretendere troppo da questi film (anch’io non li trovo un granché). Infine… ogni ragazza (anche quella più bella e sicura di sé) prova delle insicurezze. Yva non è né bellissima né sicura… però in questo capitolo Paul ha dissipato i suoi timori, non trovi? ;) Bacioni, vannagio. P.S.: grazie anche per la pubblicità, che ho saputo hai fatto a questa ff…

Per crazyfv: ciao cara! No, non ho aggiornato di notte ;) ma cmq… che ne pensi di questo capitolo? Paul si è fatto perdonare adeguatamente? XD Beh… la scena di Leah è stata emozionante da scrivere. Del resto, quando scrivo di lei, mi faccio coinvolgere sempre. Come te, non trovo giusto che la Meyer abbia “dimenticato” Leah nel lieto fine… infatti ho un’ideuzza in mente… ma per metterla in pratica dovrò aspettare di arrivare all’ultima ff di questa serie… insomma ce n’è di strada! Cosa ne pensi invece del confronto Manuel-Yva? Sono un po’ agitata… ho paura di avervi deluse. Grazie per i complimenti! Bacioni, vannagio.

Per miseichan: non ti preoccupare. Non sei costretta a recensire ogni capitolo e cmq, ti capisco perfettamente… è difficile trovare il tempo per fare tutto! L’importante e che tu continui a seguirmi. Grazie per la recensione. Baci, vannagio.

Per Breatriz Aldaya: ciao cara! Grazie anche a te! Allora… Paul si è fatto perdonare, dico bene? Riguardo alla tua domanda… secondo il mio punto di vista, Bella non è una che si interessa particolarmente degli affari degli altri. Inoltre in New Moon, Bella conosce Emily, ma non sa nulla di Kim (la ragazza di Jared), che incontrerà per la prima volta in Eclipse. Quindi è abbastanza verosimile che fino adesso non sappia nulla di Paul e Yva. Detto questo… è ancora presto per parlare di BD, non credi? XD Mi spiace aver deluso le tue speranze riguardo la coppia Manuel-Yva. Ho spiegato le motivazioni che mi hanno spinto a fare queste scelte. Spero che questo non ti dissuada dal seguire la mia storia. Infine per l’imprinting di Paul… ho la bocca cucita!!!!!! Bacioni, vannagio.

Per Lea__91: ciao! Che piacere leggerti anche qui! È sempre bello quando una nuova lettrice si unisce al gruppo… che dire? Grazie per il tuo commento così entusiastico. Arrossisco come una bambina. Segui anche tu la ff di Dackota, quindi immaginavo che questa storia potesse interessarti, però non credevo fino a questo punto! Grazie davvero! Spero che avrai voglia di lasciare altri commenti. Grazie ancora, bacioni, vannagio.

Come sempre ringrazio tutti quelli che seguono, ricordano, preferiscono o semplicemente leggono la mia ff.

A presto, vannagio.

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Capitolo 18
*** Pressione ***


Pressione: in attesa…


Seduta alla scrivania, studiavo e contemporaneamente ascoltavo musica.
Ammetto che le due cose insieme non rappresentino un’accoppiata vincente, ma quando la materia in questione è la matematica e risolvere gli esercizi diventa una specie di missione impossibile, allora ascoltare un po’ di musica non può che fare bene. Soprattutto se si avvertono i primi sintomi del classico esaurimento nervoso.

Così, mentre le note di “Bad Things” di Jace Everett* fluivano dalle orecchie al cervello agendo come un calmante, fissavo la pagina bianca del mio quaderno a quadri, nella vana speranza che il problema si risolvesse da solo.

I'm the kind to sit up in his room.

(Sono il tipo che si siede nella sua stanza.)
Heart sick an' eyes filled up with blue.
(Con male al cuore e gli occhi riempiti di blu.)
I don't know what you've done to me,
(Non so cosa tu mi abbia fatto,)
But I know this much is true:
(Ma so che questo è vero:)
I wanna do bad things with you.*
(Voglio fare cose cattive con te.)

“È una proposta indecente?”

Ormai le sue entrate ad effetto non mi coglievano più alla sprovvista.
Mi voltai verso la finestra e rivolsi un enorme sorriso a Paul, che stava scavalcando il davanzale.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, pensai andandogli incontro.

Ogni scusa era buona per allontanarsi dall’odiato libro di matematica.

“Non dovresti essere in giro per i boschi a dare la caccia ai vampiri?” chiesi, dandogli un bacio pudico sulle labbra.

“Il mio turno comincia tra mezz’ora, ma sono venuto a verificare che fosse tutto a posto” rispose lui, cingendo la mia vita con le enormi braccia.

Avevo categoricamente rifiutato la protezione del branco, ma Paul era convinto che la mia decisione fosse avventata, per non dire sciocca. Secondo lui, Victoria costituiva una minaccia non solo per Bella Swan ma anche per me.
Per questo motivo, ogni sera, aveva preso l’abitudine di fare un giro intorno a casa mia, per controllare che nessun vampiro fosse passato nelle vicinanze. Fino a quel momento, il licantropo non aveva mai avvertito odore di vampiro e ciò avvalorava la mia tesi: Victoria non mi stava dando la caccia.

“Quanto sei premuroso!” esclamai.

Intrecciai le mani dietro alla sua nuca, mi sollevai sulla punta dei piedi per arrivare alla sua altezza, mentre Paul chinava il capo verso di me, e infine ci baciammo.

Come accadeva spesso da quando eravamo andati “oltre”, il bacio si fece più intenso e coinvolgente.

Le dita scorrevano sulla nostra pelle surriscaldata e le labbra si cercavano a vicenda.

When you came in, the air went out.

(Quando tu sei entrato l’aria è uscita.)
And all those shadows there are filled up with doubt.
(E ogni ombra si è riempita di dubbio.)
I don't know who you think you are,
(Non so chi pensi di essere,)
But before the night is through:
(Ma prima che questa notte finisca:)
I wanna do bad things with you.
(Voglio fare cose cattive con te.)
I wanna do real bad things with you.*
(Voglio fare cose veramente cattive con te.)

“E tu? Che cosa vorresti fare stanotte, Yvonne?” sussurrò lui con voce bassa e roca sul mio orecchio.

Ogni volta che pronunciava il mio nome in quel modo, provavo una forte scarica di adrenalina in tutto il corpo. Era come se il mio essere avvertisse il potenziale pericolo che si celava in lui. Invece di spaventarmi o intimorirmi la cosa mi mandava su di giri.
Paul era consapevole del suo potere e non perdeva occasione per esercitarlo su di me.

“C’è mia madre di sotto…” protestai debolmente.

“Saremo silenziosi” replicò Paul, facendo strusciare i nostri bacini in modo sensuale e allusivo.

Non è semplice mantenere la mente lucida, quando un licantropo dalla temperatura corporea di quarantadue gradi ti mordicchia il lobo e contemporaneamente insinua le dita dentro i tuoi jeans.

La tribù viene prima di tutto, ricordi?” farfugliai, ansimando in modo indecente.

“Non proprio tutto” rispose Paul, continuando a torturarmi.

“Da quando la pensi così?” chiesi con il fiato corto.

Non so, dove trovassi la forza per parlare.

“Più o meno da quando ho scoperto le gioie del sesso…”

Per fortuna o sfortuna - dipende dai punti di vista - Paul doveva ancora imparare il significato della parola “tempismo” e capire che esistono momenti più opportuni in cui dire certe cose…

“Oh! Spiritoso, davvero spiritoso!” esclamai stizzita.

E prima che lui se ne rendesse conto, mi ero liberata dal suo abbraccio ed ero tornata alla scrivania a fissare il quaderno vuoto con espressione offesa.

“Suvvia, Yvonne! È crudele da parte tua: non puoi iniziarmi alle gioie del sesso e poi lasciarmi a bocca asciutta!” si lamentò Paul, sghignazzando.

Lo fulminai con lo sguardo e senza distogliere i miei occhi dai suoi, sibilai: “Ripeti ancora una volta la frase gioie del sesso e giuro che ti faccio volare fuori dalla finestra!”

“Sono proprio curioso di vedere come farai” replicò Paul.

Sul suo volto campeggiava il tipico ghigno canzonatorio, che aveva la capacità di mandare la mia irritazione alle stelle.

“Non mi provocare!” lo avvertii, cercando di suonare il più minacciosa possibile.

“Gioie. Del. Sesso” scandì lui, portando il suo viso pericolosamente vicino al mio e trattenendo a stento le risate.

Faccia da schiaffi!

Era insopportabile quando faceva lo sbruffone.
Afferrai la prima cosa che mi capitò tra le mani – l’astuccio delle penne – e glielo lanciai contro.
Naturalmente non riuscii a sfiorarlo nemmeno di striscio.

Dannati sensi da lupo!

“Sapevo che stavi bleffando!” commentò alla fine, continuando a ridacchiare allegro.

Gli feci la linguaccia.

Frustrata per la “sconfitta”, afferrai il libro di matematica con gesti bruschi e furiosi e ostentando indifferenza nei suoi confronti, feci finta di concentrarmi sulle parole scritte.

In realtà mi piacevano quei battibecchi che erano praticamente all’ordine del giorno. Non si trattava di veri litigi, ma di giochi che di solito sfociavano in effusioni più o meno caste.
Il nostro modo di interagire era leggermente cambiato da quando, qualche settimana prima, avevamo fatto l’amore per la prima volta.
Eravamo diventati più spontanei… complici. Forse sarebbe stato più corretto dire che eravamo tornati ad essere più simili a noi stessi… ai vecchi noi stessi.
Da quanto tempo non vedevo Paul così allegro e spensierato?
Adesso più che mai, Paul assomigliava al ragazzo che avevo conosciuto a First Beach, come se la licantropia non fosse più un problema: un ostacolo che si era dileguato nell’esatto istante in cui avevamo fatto chiarezza sui nostri sentimenti.

Strappandomi bruscamente ai miei pensieri, Paul afferrò per i braccioli la sedia sulla quale ero seduta e la girò verso di sé. Si inginocchiò in modo che i nostri occhi si trovassero alla stessa altezza e chiese: “Sei arrabbiata con me?”

“Sì!” risposi decisa, sostenendo il suo sguardo penetrante.

“Come posso farmi perdonare?” domandò in tono lascivo.

“Sei un pervertito!” esclamai, dandogli un buffetto scherzoso e divertito sulla guancia.

Cogliendo al volo l’occasione, Paul afferrò il mio polso, mi attirò a sé e mi baciò.

I don't know what you've done to me,

(Non so cosa tu mi abbia fatto,)
But I know this much is true:
(Ma so che questo è vero:)
I wanna do bad things with you.
(Voglio fare cose cattive con te.)
I wanna do real bad things with you*
(Voglio fare cose veramente cattive con te.)

Insomma, andava tutto bene!

Certo…
Una pericolosa vampira assetata di sangue e vendetta si aggirava per i boschi di Forks, cercando in tutti i modi di arrivare a Bella Swan.
Paul e gli altri membri del branco le davano la caccia giorno e notte, rischiando di lasciarci le penne e sorvegliavano la casa della Mezza Albina, neanche si fosse trattato della First Lady.
L’umore di Leah non migliorava e avevo il sospetto che avesse capito che le stavo nascondendo qualcosa.
Lauren ed io non ci rivolgevamo la parola…

Ma se non si faceva caso a questi dettagli del tutto insignificanti, allora sì: le cose andavano a gonfie vele!

***

L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Pasqua, avevo deciso di pranzare fuori. Non pioveva e volevo approfittare di quel piccolo miracolo.
Beh… a dirla tutta, a scuola venivo ancora trattata come una specie di appestata, quindi che pranzassi in sala mensa o nel parcheggio non faceva alcuna differenza per me e non penso che gli altri studenti avrebbero sentito la mia mancanza…

Tutte le panchine erano bagnate a causa dell’umidità e della pioggia di quella notte, così mangiai il mio hamburger in macchina e accesi la radio per avere un po’ di compagnia.
Ascoltavo distrattamente le parole dello spiker e allo stesso tempo contemplavo la coltre di nuvole che, come sempre, copriva il cielo di Forks, promettendo tempesta.

Ad un certo punto, una ragazza uscì dall’edificio della sala mensa attirando la mia attenzione. Jessica Stanley camminava a passo spedito verso un punto imprecisato del parcheggio, seguita a ruota da una Angela Weber al quanto trafelata.
Non capirò mai per quale oscura ragione una ragazza dolce e simpatica come Angela fosse amica di una vipera, quale era Jessica Stanley.

Spensi la radio e drizzai le orecchie.

“Jessica, fermati!” la stava pregando Angela. Respirava affannosamente a causa della corsa.

Stranamente la Stanley obbedì. Arrestò la sua marcia, incrociò le braccia al petto e con espressione furiosa, attese che l’amica la raggiungesse.

“Non dovresti reagire in questo modo!” esclamò Angela, quando le fu di fronte.

“Mi ha insultata! Come ti saresti comportata al mio posto?” chiese Jessica.

La rabbia le aveva imporporato tutta la faccia. Perfino le orecchie erano diventate di un vistosissimo rosso brillante.

Qualcuno aveva insultato la Stanley? Dovevo assolutamente conoscere l’artefice di quella grandiosa impresa e congratularmi con lui!

“In questo periodo Lauren è un po’ giù di morale: cerca di metterti nei suoi panni” replicò Angela con tono accorato.

Nell’udire quel nome smisi di respirare.

Lauren? Che cosa è successo? mi chiesi preoccupata.

“Solo perché il suo ragazzo di Port Angeles l’ha mollata, non ha il diritto di trattarmi come se fossi uno straccio” protestò Jessica con voce stridula.

Ragazzo di Port Angeles?

“Jim non c’entra niente: è stata Lauren a lasciare lui, non il contrario” la corresse Angela.

Ascoltavo la loro conversazione come qualcuno che torna a udire voci e suoni dopo anni di sordità.

Chi era questo Jim?
Lauren aveva avuto un ragazzo? E perché si erano lasciati?
Quanti eventi mi ero persa?

Angela sembrava molto informata e la cosa mi fece soffrire. Un tempo ero stata io l’unica confidente di mia cugina.

“Beh… forse è quello che Lauren vorrebbe farci credere”, insinuò Jessica con tono malevolo, “O magari… non sopporta l’idea che Conner Lo Sfigato abbia preferito me!”

So che può sembrare un’assurdità…
Jessica e Conner insieme?
Il mondo si era capovolto e aveva cominciato a funzionare al contrario per caso?
Purtroppo era la verità e se non mi credete, aprite il libro di New Moon al capitolo quattro e leggete…

…“Come va con Mike?” chiesi svelta.
“Lo vedi più spesso di me”.
La domanda non aveva scatenato la sua [di Jessica] parlantina come avevo sperato.
“Al lavoro è difficile parlare” farfugliai, poi decisi di riprovarci. “Esci con qualcuno, ultimamente?”.
“Non proprio. Di tanto in tanto esco con Conner”…

Non ne sapevo niente, era una novità per me.
Dove ero stata in quegli ultimi mesi?
E perché Lauren era triste? Aveva dei problemi?

“Jessica!” la rimproverò Angela, scandalizzata.

“Che c’è?”, domandò esasperata la Stanley, “Lauren può chiamarmi brutta oca starnazzante come se nulla fosse ed io non posso rifarmi, spettegolando un po’?”

“A volte mi piacerebbe che tu fossi un pochino più sensibile nei confronti del prossimo” replicò Angela, la quale scuotendo la testa con fare rassegnato, le voltò le spalle e rientrò nell’edificio.

Dopo qualche attimo di esitazione Jessica la seguì.

Continuai a fissare il punto in cui le due ragazze avevano discusso per alcuni minuti.

Di che cosa ti meravigli?, mi chiesi, Credevi che Lauren sarebbe corsa da te a raccontarti i fatti suoi, dopo quello che è successo tra di voi?

Perché diavolo avevamo litigato?
Quasi, quasi non lo ricordavo più… qualcosa riguardante Conner e Manuel...

Non dire cazzate: lo ricordi benissimo, ma non hai voglia di ammettere che Lauren avesse ragione e tu torto.

Valeva la pena litigare per colpa di quei due imbecilli?

Il primo se la fa con Jessica, mentre il secondo… lasciamo perdere…

Ma ormai non si trattava più di Conner e Manuel: era una questione di orgoglio, una gara a chi cedeva per prima.

Ne vale la pena? mi chiesi di nuovo.

Non potevamo mandare a puttane la nostra amicizia per un motivo così idiota!

Era da un po’ di tempo che riflettevo sulla possibilità di fare pace con Lauren, ma in realtà temevo che lei non avrebbe mai accettato le mie scuse. Mia cugina non era mai stata molto incline al perdono.
Certo, Lauren non era del tutto innocente a causa del carattere velenoso che si ritrovava. Aveva detto delle cose orribili a Conner e anche se lui era un idiota, non se le meritava… ma ero stata io a cacciarla dalla mia vita, ad accusarla di non essersi comportata da vera amica. Perciò toccava a me fare il primo passo.
Non dovevo far altro che racimolare un po’ di coraggio e sperare di beccare il giorno in cui Lauren sarebbe stata di buon umore.

Buona fortuna, allora!

***

Finalmente erano cominciate le vacanze di Pasqua.
Quel giovedì mattina presto, decisi di andare a fare jogging alla spiaggia di La Push. Era trascorso un po’ di tempo da quando ci ero stata l’ultima volta. A causa degli avvenimenti che si erano verificati in quelle settimane, ero stata costretta ad accantonare il mio passatempo. Ma adesso che le cose sembravano essersi stabilizzate, volevo riprendere le vecchie abitudini.
Avevo sentivo la mancanza di First Beach, dell’aria salmastra che impregna ogni cosa, del vento tra i capelli, del suono delle onde che si abbattono contro gli scogli, del verso dei gabbiani che volteggiano sul pelo dell’acqua, increspando le onde. Mi erano mancate la pace e la tranquillità che solo quel luogo era capace di trasmettermi.
Quando raggiunsi la spiaggia, però, percorrendo a piedi il sentiero sterrato, mi accorsi subito che c’era qualcosa di diverso dal solito.

Il mare era agitato e furioso, proprio come lo ricordavo, tuttavia non tirava neanche un alito di vento.
Il cielo era ricoperto da nubi scure e minacciose. Apparivano così basse da darmi l’impressione che, se fossi salita in cima alla scogliera, le avrei sfiorate con le punta delle dita.
Nonostante ciò, faceva caldo.
L’aria afosa, stagnante, immobile e il silenzio quasi innaturale creavano un’atmosfera tesa, elettrica, densa, come se ogni cosa – dal sasso che giaceva immobile sulla sabbia esposto alle intemperie, al falco che planava sopra la mia testa in cerca della prossima vittima – stesse aspettando con il fiato sospeso.
Il mondo intero sembrava in attesa.
E senza che me ne rendessi conto, anch’io facevo parte di quel tutto.

Stava per accadere qualcosa.
Si trattava di un uragano? Una tempesta? Un acquazzone? Una calamità ben peggiore?
Poco importava.
Stava per accadere qualcosa.
Lo avvertivo, lo sentiva il mio corpo, me lo suggerivano i miei sensi, allertati da uno strano senso di inquietudine e claustrofobia che quella cappa di elettricità statica mi aveva trasmesso.

Improvvisamente sentii il bisogno di andarmene. Forse ero solo autosuggestione, ma mi sembrava si soffocare, come se mi trovassi in uno stretto stanzino buio e non in un grande spazio aperto.
Raggiunsi rapidamente il maggiolino verde e partii, desiderosa di tornare il più velocemente possibile a casa.

***

Le strade di La Push erano completamente deserte.
In effetti, era ancora presto…
Avevo incrociato soltanto un veicolo: un pick-up rosso scolorito dall’aria molto familiare.
La cosa non mi stupì. Sapevo che Bella Swan era un’assidua frequentatrice della riserva.

Vagavo senza una meta da un po’.
Avevo rinunciato a tornare a casa: non ne avevo voglia.
Far visita a Paul era fuori discussione giacché in quel momento, molto probabilmente, era impegnato a scorrazzare per i boschi in versione lupo extralarge.

Stavo attraversando il centro abitato, quando mi accorsi di un’esile figura che camminava sul ciglio della strada.
La raggiunsi e quando le fui accanto con l’auto, mi fermai.
Abbassai il finestrino e la salutai: “Ciao Kim! Dove stai andando? Ti serve un passaggio?”

Non avevo molta confidenza con lei. L’avevo incontrata una volta sola, durante il falò sulla spiaggia e in quell’occasione non avevamo scambiato molte parole. Nonostante ciò, i nostri ragazzi erano fratelli, perciò eravamo delle pseudo-cognate: mi sembrava doveroso da parte mia essere cordiale nei suoi confronti…

Kim, che in un primo momento aveva aggrottato la fronte come se non mi avesse riconosciuto, rispose: “Grazie, accetto volentieri!”

Il suo volto era illuminato da un grande sorriso fiducioso, segno che adesso mi aveva riconosciuto.
Salì in macchina e spiegò: “Sono diretta a casa di Emily”.

“Così presto? Come mai?” domandai curiosa, mentre facevo ripartire l’auto.

“Jared, Embry e Paul hanno individuato una scia” raccontò Kim.

“Vampiro?”

La ragazza annuì. Il suo viso si oscurò improvvisamente.

Se aprite il libro al capitolo quindici, vedrete che non racconto frottole.

…“È successo qualcosa?” chiesi. La sua [di Billy] espressione bastava a rispondere.
“Embry, Jared e Paul hanno fiutato tracce fresche stamattina. Sam e Jake sono corsi in loro aiuto. Sam era ottimista: si è riparata tra le montagne. È convinto che siano vicini a farla finita”…

“Volevo chiedere ad Emily se ci fossero delle novità. Sono un po’ in pensiero…” ammise alla fine Kim, senza vergogna.

“Ti capisco” mi limitai a rispondere.

Ogni volta che Paul aveva il suo turno di pattuglia, provavo un grande senso di sconforto.
Certo, i licantropi sono creature molto resistenti, ma anche i vampiri non scherzano.
Paul ripeteva che non dovevo preoccuparmi, che sapeva badare a se stesso e che avevano la superiorità numerica dalla loro parte, ma nonostante queste rassicurazioni la paura rimaneva.

Se gli fosse accaduto qualcosa?

Ancora una volta mi ritrovai ad odiare Bella Swan.
Era tutta colpa di Mezza Albina e della sua assurda predisposizione ad attirare disgrazie, se il mio ragazzo rischiava la vita un giorno sì e l’altro pure!

“E così… tu e Paul state insieme ufficialmente!” esclamò Kim, distraendomi dalle mie fantasie violente, tutte dedicate alla Swan.
Forse tentava di stemperare l’atmosfera cupa che si era creata all’interno dell’abitacolo.

Annuii sorridente, scacciando i cattivi pensieri.

“Sono contenta per voi”, continuò lei, “Paul sembra più sereno” commentò alla fine con il sorriso sulle labbra.

Non ero mai stata molto propensa a confidare i miei pensieri a persone che non conoscevo bene. E anche se Kim appariva come la tipica ragazza della porta accanto – simpatica, gentile, genuina, semplice e sincera – decisi di cambiare argomento.

“Da quanto tempo tu e Jared vi frequentate?”

“Sette mesi” rispose. Nell’udire quel nome i suoi occhi si illuminarono di felicità.

“La vita è proprio stramba” continuò poi, scuotendo la testa con fare divertito.

“Perché?” chiesi, rivolgendole un’occhiata perplessa.

“Avevo una cotta per Jared fin dal primo anno, ma lui non si è mai accorto di me. Poi è diventato un licantropo e… bum!” esclamò, facendo scontrare il pugno destro contro il palmo aperto della mano sinistra.

“Scusa, non credo di aver capito…” dissi, mentre posteggiavo la macchina di fronte alla casa di Emily.

Kim mi scrutava con espressione interrogativa: non capiva quale fosse il mio dubbio.

“In che modo la natura licantropesca ha permesso a Jared di notarti?” chiesi.

Adesso Kim sembrava meravigliata, come se la mia domanda fosse superflua e stupida.

“Non lo sai? Paul… non… non te lo ha raccontato?” balbettò lei, fissandomi ad occhi sgranati.

“Che cosa avrebbe dovuto raccontarmi?” domandai, aggrottando la fronte.

La ragazza era sorpresa… sconvolta, oserei dire.

“Forse… forse… sarebbe meglio…” farfugliava.

Ok, adesso comincio a preoccuparmi sul serio!

“Sputa il rospo!” la esortai con tono poco gentile.

“Imprinting” bisbigliò, abbassando gli occhi.

“Come?” domandai bruscamente.

“Imprinting” ripeté ad un volume leggermente più alto. Evitava il mio sguardo come se fosse la peste.

“È… è una specie di… magia… non è semplice da spiegare…” balbettò ancora, aumentando la mia irritazione. “Grazie all’imprinting il licantropo trova la sua anima gemella” riuscì a spiegare alla fine.

Rimasi qualche secondo in silenzio, cercando di elaborare l’informazione appena ottenuta e chiedendomi per quale motivo Paul non me ne avesse parlato.

“Tu sei l’anima gemella di Jared?” chiesi.

La ragazza annuì.

“Jared amerà soltanto me, per sempre”, esitò un attimo, poi continuò, “Anche Sam ha avuto l’imprinting… con Emily”.

Una scossa elettrica mi attraversò la schiena, paralizzandomi.
Gli occhi di Kim erano fissi sul cruscotto dell’auto. Le sue guancie si erano arrossate. Quell’affermazione non era stata buttata lì a caso, ne ero certa. Kim tentava di farmi capire qualcosa… qualcosa che aveva paura di spiegare ad alta voce.

“Come funziona esattamente?”

Kim portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un gesto nervoso e dita tremanti.
Avevo fatto la domanda giusta!

“È come un colpo di fulmine. A Sam è bastato guardare Emily una sola volta… dopodiché esisteva solo lei… tutto il resto è sparito senza lasciare traccia. Per Jared è stato lo stesso”.

“…tutto il resto…”

Cioè Leah.

“…sparito senza lasciare traccia…”

Sam amava Leah.
Poi ha visto Emily e non ha avuto scelta.
Nessuno dei tre ha avuto scelta.

Rimasi agghiacciata dalla conclusione che la mia mente aveva partorito.
Persi la capacità di respirare.
Era come se qualcosa stesse premendo sul mio petto, schiacciando e frantumando le costole.
Annaspavo in cerca di aria.

Tuttavia riuscii a balbettare: “Chi… chi… a-altro…?”

Finora, solo loro due” rispose lei, capendo subito a cosa stessi alludendo.

Purtroppo, udendo la sua risposta, non provai il sollievo sperato.
Quel finora, appena sussurrato, mi fece salire l’amaro in bocca ed ebbe la capacità di spazzare via ogni barlume di speranza.

“Kim… per favore… scendi…” farfugliai, respirando affannosamente.

“Yvonne, ascolta…”

“Scendi!” esclamai, tentando di non alzare la voce.

La ragazza non protestò ulteriormente.
Uscì dal veicolo e rimase a fissarmi, ferma in mezzo alla strada, mentre facevo ripartire l’auto a tutta velocità.

***

“Sam amava Leah.
Poi ha visto Emily e non ha avuto scelta.
Nessuno dei tre ha avuto scelta.”

Continuavo a ripetere freneticamente queste tre frasi, come una filastrocca di pessimo gusto, che più cerchi di dimenticare, più contini a recitare, diventando indelebile nella tua memoria.

Guidavo senza sapere dove stessi andando.
Le strade erano leggermente più trafficate adesso, ma non me ne curavo.

Perché Paul non mi ha raccontato la verità?

Anche questa domanda ricorreva frequentemente nel mio cervello da alcuni minuti.

Mi ero fidata di lui, gli avevo aperto il mio cuore confidandogli i miei sentimenti. Avevo ammesso di amarlo, avevo fatto l’amore con lui…

E che cosa avevo ottenuto in cambio?

Tradimento… ancora un altro tradimento…

Gli avevo chiesto di essere sincero, di non mentirmi e lui se n’è fregato altamente!

Ecco un’altra cosa che ripetevo incessantemente…

Paul aveva deliberatamente omesso un dettaglio sulla sua natura di lupo.

“Chiamalo dettaglio!” urlai, con le lacrime agli occhi e dando un pugno al volante.

Che diavolo aveva in mente?
Divertirsi con me fin quando non avrebbe incontrato la sua anima gemella?
Perché ormai era chiaro che non ero io l’oggetto del suo imprinting.
Se fossi stata io, la sua anima gemella, non avrebbe perso tempo a raccontarmi tutto. Sarei entrata a far parte del branco fin dall’inizio, proprio com’era accaduto a Kim ed Emily.
No, io non ero come loro… io ero come Leah.
Un divertimento, un modo per ingannare il tempo e rendere piacevole l’attesa.
Ero destinata ad essere dimenticata non appena - presto o tardi - Paul avrebbe posato gli occhi sulla sua vera metà.

Non si era mai posto il problema della mia sofferenza?

Gli uomini…
Che delusione!
Non ha importanza a quale razza appartengano: vampiri, licantropi, umani… sono tutti uguali… schifosi bastardi il cui unico scopo è mentire per raggiungere il proprio obiettivo.
Ti viene inculcata l’idea che non puoi vivere senza di loro.
E passi gli anni migliori della tua giovinezza, terrorizzata all’idea di rimanere zitella.
Sembrano tutti convinti che trovare un compagno o un marito sia la massima aspirazione per una ragazza e tu sei d’accordo con loro - magari non lo ammetteresti mai, magari fai finta di non rendertene conto - ma lo pensi anche tu.
Lo dimostra il tuo comportamento….
Ti affanni per risultare bella, interessante, elegante, affascinante, appariscente, appetibile, piacevole…
Ti fai in quattro per piacere a lui, per essere alla sua altezza… o bassezza - dipende da quale prospettiva si guarda, ovviamente!
Ma nessuno ti mette in guardia dalle sofferenze cui potresti andare incontro.
E così vai a cozzare contro un muro. Ti fai male e piangi, ti lamenti, ti disperi, ti chiedi dove hai sbagliato, perché non ti degna di uno sguardo, per quale motivo ti abbia tradito o lasciato…

Non sono abbastanza per lui?
Sì, anche questo ti domandi: non lo negare!

E tutto ciò per cosa?
Per fare la fine di Leah?
Un cuore straziato, dilaniato, fatto a pezzi senza alcuna pietà?

Non c’è altro?

Deve esserci qualcosa di più.
La mia vita non può ridursi soltanto a questo.
La mia felicità non può dipendere esclusivamente da un deficiente incapace di stirarsi una camicia o di prepararsi un pasto decente…

Finalmente la macchina si fermò, interrompendo i miei deliri.
Strizzai gli occhi per mettere a fuoco il paesaggio che si trovava dall’altra parte del parabrezza.

Dove mi trovavo?

Casa Clearwater…

E finalmente divenne tutto chiaro.

***

Dovevo farlo, dovevo raccontarle tutto.
Per settimane ero stata fedele a chi non lo meritava, tradendo l’unica persona che mi era stata accanto.
Ero solo una stupida!
Avrei svelato a Leah la verità su Sam, Emily e il branco.
Sapevo che ciò non avrebbe diminuito il suo dolore e che probabilmente mi avrebbe odiata, ma era un suo diritto conoscere la verità. Avevo taciuto per troppo tempo, riponendo la mia fiducia nelle persone sbagliate. Adesso era venuto il momento di comportarsi da vera amica.
Una volta affrontata Leah, sarei andata da Lauren e avrei implorato il suo perdono.

Con quei buoni propositi, suonai il campanello.

Fu Sue Clearwater, la madre di Leah, ad aprire la porta. Indossava una vestaglia color malva, delle pantofole dello stesso colore e tra le mani reggeva una tazza di caffè fumante. La salutai, scusandomi per l’ora e le chiesi di Leah.

“È sopra, nella sua stanza con Seth… stanno litigando, come al solito. Non hanno alcun rispetto per il loro povero padre che dorme nella camera accanto!” si lamentò la donna con tono duro e stanco, rivolgendosi più a se stessa che a me.

Si fece da parte e mi lasciò entrare.

“La strada la conosci” disse, mentre ritornava in cucina, forse per terminare in santa pace la colazione.

Mentre salivo le scale, avvertivo le voci dei due fratelli.
Proprio come aveva detto Sue, Leah e Seth stavano litigando e i toni non erano dei più soavi.
Mi domandai come facesse Harry a dormire con quelle urla…
Forse non stava dormendo, forse si era semplicemente nascosto da qualche parte per non dover affrontare la situazione.

“Che cosa ho fatto di male per meritare un fratello come te? Me lo chiedo ogni giorno!” stava urlando Leah.

Entrai nella stanza della ragazza, giusto in tempo per assistere di persona alla replica del fratello.

“Beh, mi chiedo la stessa cosa anch’io! Sei insopportabile, intrattabile…”

L’uno di fronte all’altro, si fronteggiavano tremanti e rossi in volto.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto Seth fosse cresciuto. Da quando lo avevo conosciuto - appena due mesi prima - era diventato molto alto e i muscoli si erano sviluppati in maniera impressionante. A paragone con il ragazzo, Leah scompariva…

“…la gente ti evita, te ne sei accorta, Leah? Stanno tutti alla larga da te a causa di quel caratteraccio che ti ritrovi. Perfino Sam se n’è accorto…”

“Seth!” cercai di richiamarlo, preoccupata dalla piega che stava prendendo la discussione, ma non mi ascoltava…

Nessuno dei due mi ascoltava. Dubito che si fossero accorti della mia presenza.

“Ti ha lasciato perché non ti sopportava più…” continuava il ragazzino.
Sul viso un’espressione cattiva, che non gli avevo mai visto.

“Sta’ zitto!” gridò Leah.
Gli occhi colmi di lacrime di rabbia, la mascella serrata, le unghie conficcate a sangue nei palmi delle mani.

“Negare l’evidenza è inutile!” rincarò il fratello.

“Seth, adesso basta!” lo rimproverai avanzando verso di lui.

Nemmeno io riuscii ad udire il suono della mia voce, perché la stanza - forse l’intera casa – venne attraversata da un terrificante boato.

Mi voltai verso Leah e…

…non c’era più!

Al suo posto… al posto del letto… al posto di una buona parte della parete, c’era un enorme lupo grigio che ringhiava ferocemente in direzione di Seth, mostrando i denti e raspando le zappe tra le macerie.

“Leah!” la chiamai, consapevole di quanto il mio tentativo fosse inutile.

Mi girai nuovamente verso Seth, solo per vederlo esplodere in una miriade di brandelli di stoffa, che una volta erano stati i suoi vestiti.
La scrivania e la poltroncina di vimini andarono a fare compagnia ai resti del letto e della parete.
Istintivamente indietreggiai, per mettere la maggiore distanza possibile tra me e il lupo color sabbia che adesso occupava il posto di Seth.

I due lupi si scrutavano a vicenda con sguardo minaccioso.
I muscoli tesi, pronti ad scattare in avanti, i denti in bella mostra, i cupi brontolii che sgorgavano dal loro petto, il folto pelo rizzato sul dorso...
Tutto mi diceva che da lì a poco si sarebbe verificata una carneficina.

Nonostante il terrore, le gambe molli, il respiro affannoso e la tachicardia, continuavo ad allontanarmi da loro, dirigendomi verso la porta.
Purtroppo, in quelle condizioni, coordinare i movimenti delle braccia a quelle delle gambe non era affatto semplice. Così, inciampai in un mattone e caddi all’indietro, ferendomi ad un braccio.
Non riuscii a trattenere un lamento di dolore.

Fu allora che le due creature si accorsero di me!

Smisero di ringhiarsi a vicenda e voltarono le enormi teste nella mia direzione.

Due paia di occhi mi tenevano sottotiro.

Trattenni il respiro e mi bloccai immediatamente, in attesa...

...in attesa della mia fine.

____________________________

Nota di fine capitolo:
*“Bad Things di Jace Everett”: è la sigla della serie televisiva americana "True Blood", cantata per l’appunto da Jace Everett.

____________________________

Nota autore:

Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Anche questo capitolo è stato molto faticoso da scrivere.
Lo so… probabilmente state bestemmiando a causa del finale, ma per favore, non siate troppo cattivi. Abbiate pietà di questa povera fanwriter un po’ sclerata.

Precisazioni.

Pensavate che mi fossi dimenticata di Lauren, non è così? E invece ritornerà in scena molto presto…

Eravate tutte così preoccupate (parlo al femminile perché non credo ci siano lettori maschi) per l’ipotetico imprinting Paul/Rachel, che non vi siete accorte del vero problema: Yvonne non sapeva nulla dell’imprinting. Paul non glielo aveva raccontato. Non avete notato che Yva non ha mai fatto alcun accenno in merito?

La piccola filippica contro gli uomini non è dettata da esperienze personali (fortunatamente). Semplicemente ho provato ad immedesimarmi in Yvonne, per capire come avrebbe reagito lei in una situazione del genere. Provate ad immaginare: un bel giorno scoprite che il vostro ragazzo è destino ad un'altra donna e che da un momento all'altro potrebbe dimenticarsi dell'sentimento che vi lega, come se la vostra storia non fosse mai esistita o iniziata. Come vi sentireste?
Inoltre, la riflessione sul fatto che si tende a pensare che le ragazze abbiano come massima aspirazione il matrimonio, deriva da una recensione che ho scritto alla ff “La sua Metà” di Dackota. In quella, riflettevo su come la Meyer avesse gestito il rapporto Edward/Bella; di come la Mezza Albina sia succube del vampiro e rinunci a tutta la sua vita per lui. Non mi riferisco solo alla mortalità, ma anche all’università, ad una carriera lavorativa, ponendo Edward come unica ragione di vita. Come ho già scritto in quella recensione, l’amore è importante, ma secondo me si può amare con la stessa intensità, senza necessariamente accantonare se stessi per l’altro.

Come avete senz’altro letto, Leah e Seth si sono trasformati. Nei quattro libri della Meyer, non c’è alcun accenno a come sia avvenuta la loro trasformazione, così ho fatto delle ricerche. Su Wikipedia c’era scritto che Seth e Leah si trasformano inseguito ad un litigio. La loro mutazione causa l’infarto di Harry. A me non piace questa soluzione, avrei preferito il contrario: l’infarto di Harry causa la trasformazione dei due lupacchiotti. Sarebbe stato più logico, senza contare che in questo modo Seth e Leah diventano la causa della morte del padre, vi rendete conto delle implicazioni psicologiche? Nei libri la Meyer non mette mai in evidenza questo aspetto! Purtroppo, essendo una canonica senza speranze, mi attengo alla versione ufficiale…
In questo capitolo ho mostrato il lato “animalesco” della loro metamorfosi, mentre nel prossimo proverò a trattare il lato drammatico.
Ci tengo a precisare che per me Seth non è così cattivo, non sono andata OOC. Diciamo che quando si è adolescenti si tende a parlare senza riflettere. Inoltre in quel momento Seth era influenzato negativamente dall'imminente trasformazione: questo, naturalmente non aiuta a tenere a freno la lingua e gli impulsi.

Non credo ci sia altro da aggiungere.
Sperando di non avervi annoiato, passo ai ringraziamenti.

Dodici recensioni!!!
Sono scioccata ed euforica al tempo stesso. Per me è un record, quindi…
Grazie Grazie Grazie!!

Per TheDreamerMagic: ciao cara! Grazie per la recensione. Sono contenta che nonostante il poco tempo tu riesca a leggere e recensire la mia storia. Non preoccuparti se non riesci a stare dietro agli aggiornamenti. Ho lo stesso problema, quindi, tranquilla! Avevi ragione: la trasformazione di Leah era molto, molto vicina^^. Bacioni, vannagio.

Per asheptus: ciao carissima! Non devi scusarti ogni volta, davvero! Mi spiace che tu abbia avuto dei problemi. Spero che tu sia riuscita a risolverli tutti! Si, è vero. Manuel ha ammesso di aver sbagliato, di essere un codardo e alla fine è stato sincero, ma come hai detto tu, quando si perde la fiducia di una persona, è difficile riacquistarla. Anche Paul non è del tutto innocente, che ne pensi? Grazie per la recensione e i complimenti. Bacioni, vannagio.

Per Lea_91: grazie per la recensione e per i complimenti. Sono contenta che tu abbia gradito il capitolo e le mie scelte su come portare avanti la storia. Come ti è sembrato questo capitolo? Fammi sapere. Bacioni, vannagio.

Per crazyfv: addirittura i pop corn? XD Sono contenta che il chiarimento Manuel-Yva sia piaciuto tanto. Come hai detto tu, un uomo che dice “è stata lei a baciarmi” non è molto credibile, ma in questo caso Manuel è sincero. Diciamo che è stato preso un po’ alla sprovvista da Andrea… insomma, capita a tutti di sbagliare. Il suo errore è stato quello di non essere sincero con Yva… e anche Paul, purtroppo, ha commesso lo stesso sbaglio. Riguardo il destino di Leah… ci saranno molti, ma molti capitoli… sei sicura di farcela? XD Bacioni e grazie per la recensione, vannagio.

Per loli89: ciao cara! La tua curiosità è stata soddisfatta?^^ La tua recensione mi ha un po’ destabilizzato (in senso positivo, ovviamente). Insomma, non credevo di riuscire a far piangere le persone e mi dispiace se ho riaperto in te vecchie ferite. Ciononostante non posso che esultare nel leggere i tuoi bellissimi complimenti. Grazie davvero. Sono recensioni come la tua che mi mettono una gran voglia di scrivere. Grazie anche per avermi aggiunta tra i tuoi autori preferiti. Ne sono lusingatissima. Bacioni, vannagio.

Per Dackota: cara Dackotina mia, preparati ad un fiume in piena di parole! Grazie per la recensione chilometrica (ben accetta, te lo assicuro). Hai una capacità impressionante nel farmi arrossire con i tuoi complimenti. Avvolte, penso che tu esageri un pochino nel sperticarti in lodi. È vero: ci metto passione nello scrivere e caratterizzare Yvonne e il dialogo con Manuel è stato davvero difficile. Un po’ perché volevo rendere tutto il più realistico possibile, un po’ perché sono affezionata a Manuel e non è stato facile vincere la voglia di fargli cadere Yva tra le braccia XD. Per quanto riguarda la scena Paul-Yva dello scorso capitolo, si è scritta praticamente da sola. Mi viene così naturale immaginarli insieme e mi piace il loro modo di interagire, così impacciato e dolce. Credo che il “ti amo” sia da inserire solo in determinate situazioni, con determinati personaggi. Bisogna contestualizzarlo, insomma. In quella scena mi sembrava troppo freddo e asettico… Beh, sì, Yva è cresciuta, così com’è cresciuto il mio modo di scrivere. Certo, non sono diventata una Dante Alighieri in gonnella ma qualche miglioramento c’è… Yvonne è cresciuta con me: è questa la verità. È anche vero che le avventure con i Cullen, la sua storia con Manuel, l’incontro con Leah e Paul… sono tutti avvenimenti che hanno contribuito al suo percorso “formativo”. Ma anche nella vita reale è così, no? Sono le prove che affrontiamo a farci diventare grandi. Grazie ancora, Dackota. Bacioni, vannagio.

Per Melody Potter: sono contenta che ti sia piaciuto. Grazie! Baci, vannagio.

Per _GP_: ti assicuro che anche a me è dispiaciuto per Manuel^^ e comunque, come puoi ben vedere, nessuno è perfetto, neanche Paul! Beh… non è proprio vero che la storia non ci azzecca niente con New Moon… cerco sempre di inserire dei collegamenti, ma essendo Yvonne la narratrice è chiaro che non posso “seguire” Bella ovunque^^. Riguardo alla tua domanda su Edward in Italia, purtroppo non posso anticipare nulla. Grazie per la recensione. Baci, vannagio.

Per Beatriz Aldaya: ciao cara! Mi spiace per il tuo lutto (mi riferisco a Manuel^^). Come ti è sembrato il capitolo? Ti è piaciuta la trasformazione di Leah? Grazie per la recensione, mi fa sempre piacere leggere le tue parole affettuose. Baci, vannagio. P.S.: come è andata l’interrogazione? Spero bene…

Per Midao: ciao mia cara! Grazie per la recensione. È stato difficile anche per me scrivere il pezzo Manuel-Yva e mi spiace che tu ci sia rimasta male. Purtroppo anche le cose con Paul non vanno bene. Non hai avuto il tempo di abituarti^^. Fammi sapere che cosa ne pensi. Bacioni e ancora grazie, vannagio.

Per sailormoon81: ciao carissima! Grazie anche a te per la recensione e per il tempo che mi dedichi, leggendo e commentando la mia storia. In fondo avevi ragione a non fidarti ciecamente di Paul. Anche lui non è stato del tutto sincero… vedremo cosa accadrà in seguito… Come ho già detto, a me piacciono le recensioni lunghe, quindi sbizzarrisciti pure quanto vuoi^^. E le correzioni sono sempre ben accette! Baci, vannagio.

Bene! Sono arrivata alla fine. Mi fanno male le dita, ma ne è valsa la pena!!!

Grazie a tutti quelli che leggono, preferiscono, ricordano e seguono la mia ff.

Grazie anche a loli89 e OttoNoveTre che mi hanno inserito tra le loro autrici preferite.
In particolare…
Non so se OttoNoveTre leggerà questo ringraziamento, perché non ho idea quale delle mie ff l’abbia convinta ad inserirmi in quella lista. Nonostante ciò, ci tengo a ringraziarla, perché è un’autrice davvero brava, che stimo tantissimo e mi lusinga molto il fatto che lei apprezzi il mio modo di scrivere (sempre che non si tratti di un errore^^). Grazie davvero!

A presto, vannagio.

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Capitolo 19
*** Paride ***


Paride: una dolorosa perdita.


Trattenni il respiro e mi bloccai immediatamente, in attesa…

…in attesa della mia fine.

***

Il tempo parve fermarsi, come un’auto che rallenta in seguito ad una brusca frenata, come se qualcuno avesse premuto il tasto rallenty.
Grazie a tale improvvisa decelerazione, fui in grado di soffermarmi su tutto ciò che mi circondava, analizzando ogni dettaglio come un’osservatrice esterna, distaccata, per nulla coinvolta da quello che stava accadendo.

Ammaliata dai brandelli di stoffa che ancora volteggiavano in aria, distolsi lo sguardo dai due lupi che ringhiavano e non smettevano di fissarmi. Dischiusi le dita e rivolsi i palmi delle mani verso l’alto. Osservavo attentamente alcuni di quei brandelli posarsi sulle mie mani, con la tipica espressione meravigliata di una bambina che ha appena fatto una grande scoperta.

Sembrano fiocchi di neve, pensai ridacchiando.

Sentivo il mio cuore pulsare a un ritmo calmo e regolare e ad esso si univano i respiri affannosi dei due lupi che riempivano la stanza, altrimenti avvolta nel silenzio.

…la stanza…

Mi concessi qualche secondo per studiarla da cima a fondo.
Il pavimento era interamente ricoperto da calcinacci, pezzi di intonaco e mattoni. Della parete, che aveva diviso il corridoio dalla camera, rimaneva soltanto il ricordo.
Il telaio del letto era stato troncato in due parti: sembrava che un gigante si fosse seduto sopra e quello, troppo gracile per sorreggerlo, aveva ceduto all’enorme peso del mostro.
Portai nuovamente gli occhi a terra, rendendomi conto che io stessa ero inginocchiata sui detriti della stanza e dei mobili.
Non potei fare a meno di provare dispiacere.
Leah teneva molto alle sue cose, chissà come avrebbe reagito di fronte a quello scempio.

Fu il suo nome a destarmi parzialmente da quello stato di semi-incoscienza.

“LEAH!”

Ma non ero stata io ad urlarlo…

“SETH!”

No, decisamente non era la mia voce!

Alzai lo sguardo e mi ritrovai a fissare la schiena di un uomo in pigiama, con capelli brizzolati e arruffati.

“Calma, ragazzi! Calma! Andrà tutto bene, ma dovete mantenere la calma!” stava dicendo l’uomo misterioso, usando un tono di voce pacato e deciso al tempo stesso.
Teneva le mani alzate, come per dimostrare che non avesse cattive intenzioni.

Piegai la testa di lato per sbirciare oltre le spalle dell’uomo che coprivano la visuale.
I due lupi - che l’uomo si ostinava a chiamare, usando i nomi della mia amica e di suo fratello - smisero di ringhiare, rivolgendogli occhiate sbigottite e meravigliate.
Scossi la testa, divertita dal mio stupido ragionamento.

I lupi non hanno espressioni!

Poi, dopo attimi di tensione, un singhiozzo sommesso attirò l’attenzione di tutti, umani e non.

Sue Clearwater, appoggiata a ciò che rimaneva dello stipite della porta, piangeva cercando di fare il meno rumore possibile. I suoi occhi rossi, gonfi di lacrime, preoccupazione e terrore, saettavano da un animale all’altro.

In quell’istante, il mio cervello ricominciò a funzionare per il verso giusto.

Compresi cosa stesse accadendo intorno a me proprio nel momento in cui i due lupi riprendevano a ringhiare.
Proprio nel momento in cui Harry - finalmente lo avevo riconosciuto - avanzava verso di loro nel vano tentativo di tranquillizzarli.
Proprio nel momento in cui le due creature spiccavano un salto, urtando l’uomo e facendolo volare contro la parte opposta della stanza.
Proprio nel momento in cui Leah e Seth - sì, avevo riconosciuto anche loro dietro quegli occhi rabbiosi e selvaggi - sfondavano la finestra che dava sul giardino e scomparivano nel bosco.
Proprio nel momento in cui Sue cominciava ad urlare e invocare il marito.
Proprio nel momento in cui mi voltavo e impotente, osservavo Harry accasciato sul pavimento, con gli occhi chiusi, una smorfia di dolore dipinta sul viso e una mano che stringeva la stoffa della camicia all’altezza del cuore.

E fu proprio in quell’istante che desiderai tornare allo stato di completa alienazione, che mi aveva abbandonato nel momento meno opportuno.

***

Da quanto tempo mi trovavo in quell’orribile sala di aspetto?

Forse qualche ora… non ricordavo.

Mi sembrava di essere lì da un’eternità e se da un lato avvertivo l’obbligo morale di rimanere, dall’altro lato non desideravo altro che scappare e mettere la maggior distanza possibile tra me e quel luogo.

Ma non potevo andare via.

Lo facevo per Leah, la quale era ancora in preda agli istinti animali e probabilmente correva tra i boschi in forma di lupo, inconsapevole di quello che stava accadendo… ignara del fatto che suo padre fosse sospeso tra la vita e la morte in una sala operatoria.
Dovevo rimanere per lei, che una volta tornata umana non avrebbe potuto raggiungere i suoi genitori, perché troppo instabile e pericolosa.
E mentre facevo le veci di Leah, seduta tra Sue Clearwater - aggrappata alle spalle di Charlie Swan come se fossero una boa di salvataggio - e Billy Black (4) - immerso in un silenzio intriso di sofferenza - non riuscivo a non cogliere la perfida ironia del destino.

Quando mio padre morì, ero troppo piccola per capire o ricordare.
Mia madre mi aveva affidato per qualche giorno alla zia Sarah, la madre di Lauren.
Anch’io come Leah - se pur per motivi differenti - ero stata impossibilitata a stare accanto a mio padre negli ultimi giorni della sua vita.
Era come se mi venisse concessa la possibilità di vivere in ritardo quel momento che mi era stato negato.
Per anni avevo cercato di sforzare la mente, nel tentativo di ricordare qualcosa, anche solo un particolare che mi facesse sentire vicina a mio padre.
Tuttavia, adesso che effettivamente stavo saggiando sulla mia pelle che cosa si provasse in una situazione del genere, sentivo solo un’immensa gratitudine verso mia madre e la mia tenera età che mi avevano protetto da tutto quel dolore.

Ma non dovevo esser negativa… no!

Quelli non sarebbero stati gli ultimi istanti della vita di Harry Clearwater.
Leah non avrebbe fatto la mia stessa fine.
L’operazione sarebbe riuscita alla perfezione, Harry si sarebbe ripreso, Leah e Seth – una volta tornati padroni di loro stessi – lo avrebbero riabbracciato.

“Avete delle novità?”

La domanda di Sam Uley, che era appena arrivato insieme ad Emily, mi distrasse dai quei pensieri colmi di speranza e malinconia.

Mi passai una mano sugli occhi stanchi e scossi la testa in segno di diniego, poiché nessuno si preoccupava di rispondergli.

“E tu?” domandai in un sussurro.

“Ancora niente purtroppo” rispose lui con espressione triste e preoccupata.

“Forse sarebbe meglio avvertire il distretto di polizia” si intromise l’Ispettore Capo Swan, il quale, se pur con gesti impacciati e poco convinti, tentava di consolare Sue Clearwater.

La versione ufficiale era che Leah e Seth fossero scappati di casa dopo aver litigato furiosamente. Quella bugia - che infondo era una mezza verità, perché taceva soltanto la forma sotto la quale i due ragazzi fossero andati via - era stata orchestrata per giustificare l’assenza dei due fratelli Clearwater agli occhi di Charlie Swan, unico del gruppo che non sapeva nulla di licantropi ed esseri sovrannaturali e che quando voleva, sapeva essere davvero sospettoso.

“No, Charlie. Non è necessario: torneranno presto” replicò Sue con voce tremante.

La donna si scostò appena da lui, facendogli capire che adesso il peggio era passato e che era pronta a riprendere in mano le redini del gioco.

“Potrebbero commettere qualche sciocchezza…” provò ad insistere Charlie, rivolgendole uno sguardo pieno di apprensione e compassione.

“Suvvia, Charlie. Smettila di fare il poliziotto e accompagnami al bar: ho bisogno di qualcosa di forte” esclamò Billy Black, spingendo la sedia a rotelle fino all’ascensore e guadagnandosi un’occhiataccia da Charlie.

“Nelle tue condizioni…”

“Non fare il guastafeste!” lo interruppe Billy irritato, per poi ammutolirsi e impallidire immediatamente, forse pentendosi di aver scelto un termine così poco appropriato.

Non era certo una festa, l’occasione che li aveva riuniti in quel luogo degli orrori e non era per festeggiare, se Billy Black, nonostante il diabete, sentisse il desiderio di bere un goccio.

Ma nessuno dei presenti si azzardò a mostrare risentimento verso la sua esclamazione, perché era chiaro come la luce del sole che Billy Black stesse soffrendo tanto quanto Sue e Charlie.

Avevano un modo diverso di esternare il loro dolore, ma l’entità e l’intensità erano uguali.
Billy si rinchiudeva in se stesso e in silenzi profondi, fissando il vuoto come se fosse perso in chissà quali elucubrazioni.
Anche Charlie era molto taciturno: era un uomo poco avvezzo ad esternare i propri sentimenti, sebbene i suoi occhi lo tradissero non poco. Ma era soprattutto una persona pragmatica: quando si presentava un problema, non si lasciava abbattere e mostrando grande determinazione e forza di volontà, si faceva in quattro per risolverlo o per rendersi utile in qualche modo. Ed era quello che stava facendo adesso, pur di impedire allo sconforto di avere la meglio su di lui.
E infine c’era Sue.
La Signora Clearwater era molto più forte di quanto si potesse pensare ad una prima occhiata.
Me ne ero resa conto subito dopo la fuga di Leah e Seth.
Mentre io ero rimasta paralizzata, in ginocchio sul pavimento ad assistere alla scena, impotente e incapace di fare qualcosa per aiutare Harry, Sue era corsa a chiamare l’ambulanza. Nell’attesa che quella arrivasse, aveva prestato soccorso al marito, sfruttando le conoscenze che aveva acquisito grazie al suo lavoro di infermiera.
Giunta all’ospedale, dopo aver parlato con i medici, aveva telefonato a Emily, affinché la ragazza avvisasse tutti gli altri dell’accaduto.
E sebbene il suo viso fosse stato costantemente rigato dalle lacrime e trasfigurato dalla sofferenza e preoccupazione per la sorte del marito e dei figli momentaneamente scomparsi, la donna era andata avanti con una fermezza e una risolutezza tali, da farmi sentire una nullità in confronto a lei.
Poi Billy e Charlie ci avevano raggiunto in ospedale e, come se avesse prosciugato tutte le energie, Sue era crollata su una sedia, permettendo a Charlie di occuparsi di lei e di tutto il resto per il tempo necessario a recuperare le forze.
Adesso capivo da dove derivava il carattere duro e forte di Leah.

Quando Billy e Charlie scomparvero dietro le porte scorrevoli dell’ascensore, Sue approfittò dell’assenza dell’Ispettore Swan per chiedere a Sam: “Allora? Li avete trovati?”

Emily aveva preso il posto del poliziotto, accanto alla donna, per tentare di tranquillizzarla. Quando la mano della ragazza andò a posarsi su quella della donna, Sue la ritrasse, leggermente infastidita da tale contatto e scuotendo appena il capo, le fece capire che non aveva bisogno di abbracci o carezze ma di informazioni sui suoi figli.

“Ancora no”, rispose Sam, “Avvertiamo i loro pensieri, ma non riusciamo a comunicare con loro o a capire dove si trovino. Le loro menti sono parecchio confuse al momento”.

“Lo sappiamo: ce lo hai ripetuto all’infinito durante la tua prima visita!” mi intromisi prima che Sue potesse dire qualcosa. Usai un tono di voce vagamente accusatorio, come se Sam non si stesse impegnando abbastanza per trovare la mia migliore amica, nonché sua ex-fidanzata.

Sue venne chiamata da un'infermiera per firmare alcune carte e quindi fu costretta ad allontanarsi. Sam ed io rimammo in silenzio per alcuni istanti, fronteggiandoci sotto lo sguardo ansioso di Emily che si ostinava a mantenere la bocca chiusa.

In effetti, Sam era venuto all’ospedale già una volta durante quella terribile mattinata e sfruttando un altro provvidenziale e momentaneo allontanamento di Charlie, ci aveva raccontato gli avvenimenti di quelle ore…

Mentre Leah e Seth si trasformavano in lupo, il branco si trovava nel bosco, impegnato a dare la caccia a Victoria, seguendo la scia che Paul, Embry e Jared avevano individuato. Improvvisamente avevano avvertito la comparsa di due nuove menti, ma essendo queste in preda alla rabbia e all’istintività tipica della prima trasformazione, nessun membro del branco aveva capito a chi appartenessero quei pensieri così confusi e incoerenti.
Le tracce di Victoria portavano verso l’oceano e Jacob temeva che la vampira potesse sorprendere Bella in una delle sue passeggiate sulla spiaggia. (3)
Così si divisero.
Paul, Embry e Jared si sarebbero occupati della ricerca dei due nuovi e sconosciuti lupi.
Sam e Jacob sarebbero tornati a La Push per assicurarsi che Bella fosse al sicuro e continuare poi la caccia.
La loro prima tappa fu la casa di Emily, dove la Mezza Albina aveva l’abitudine di andare spesso. Purtroppo, invece della ragazza, Jacob e Sam vi trovarono soltanto brutte notizie, ossia l’infarto di Harry e la trasformazione di Leah e Seth. (4)
Le cose si erano complicate parecchio, per questo motivo presero una decisione: Jacob avrebbe continuato da solo la ricerca di Bella, mentre Sam avrebbe informato gli altri licantropi dell’accaduto e sarebbe andato all’ospedale per sincerarsi delle condizioni di Harry.
In ospedale il Capo Branco era rimasto molto sorpreso - per non dire sconvolto - quando aveva scoperto che Sue Clearwater sapeva tutto riguardo licantropi e vampiri. A quanto pareva, Harry Clearwater non credeva – al contrario di certi individui – che mentire per un “bene superiore” fosse giusto, così aveva messo al corrente la moglie della verità.
Infine Sam aveva lasciato l’ospedale, con la promessa che sarebbe tornato presto, per darci notizie.

Per l’appunto, dopo alcune ore, il Capo Branco era tornato (1), ma senza portare con sé le tanto agognate novità…

“Yvonne… stiamo facendo il possibile...” replicò Sam il quale, a giudicare dall’espressione seria e insofferente, sembrava non apprezzare particolarmente il mio atteggiamento nei suoi confronti.

“Stiamo?” chiesi ironicamente.

Forse ero troppo dura con lui, ma la mia simpatia per Sam e gli altri lupacchiotti era diminuita rapidamente e il fatto che le ricerche non stessero avendo esiti positivi non aiutava.

“Stai forse insinuando che non faccio abbastanza per i miei fratelli?” domandò lui, avanzando minacciosamente verso di me.

Indietreggiai istintivamente, notando il suo sguardo furente.

Emily gli si materializzò accanto, trattenendolo per un braccio e sussurrandogli parole che non riuscivo a comprendere - forse stava usando la lingua quileute - parlando con tono pacato e rassicurante.

Chi meglio di lei poteva sapere quando il ragazzo rischiava di perdere le staffe?

Sotto il tocco gentile delle dita di Emily, il licantropo riprese immediatamente il controllo ed io non potei fare a meno di chiedermi se fosse l’imprinting a conferire a Emily quel potere calmante.

Scacciai sul nascere tale pensiero, perché non era il momento di pensare a certe cose. Leah, Seth e Harry avevano e dovevano avere la priorità.

“È stata una mattinata difficile, Yvonne!” esclamò improvvisamente lui con voce neutra e distaccata.

“Ma davvero?”

Probabilmente Sam aveva dimenticato che mi ero trovata al centro del ciclone al meno quanto – o addirittura più di – lui!

Forse il licantropo non apprezzava neanche il mio sarcasmo: l’occhiata truce che mi rivolse pareva confermare la mia ipotesi.

“Abbiamo inseguito la succhiasangue per ore, per poi vederla tuffarsi in acqua dove non possiamo competere con lei…”, (3) cominciò ad elencare il licantropo. I suoi occhi neri e infuocati erano fissi nei miei.

“…due dei nostri fratelli si trovano da soli, chissà dove, ad affrontare la loro nuova natura e tutto ciò che questo comporta…”, sembrava deciso a dimostrarmi quanto la sua giornata fosse stata orribile.

“…Harry Clearwater, l’uomo che mi ha accolto nella sua famiglia come un figlio e che, nonostante tutto, continua a rappresentare per me quanto di più vicino ad un padre io possa avere*, rischia la vita in un letto d’ospedale…”, sussultai nell’udire quelle parole. Non pensavo ci fosse un tale legame tra loro, ma considerando la lunga relazione che c’era stata tra lui e Leah, non era così improbabile.

“… e come se non bastasse, Bella Swan si è buttata dalla scogliera e per poco non rischiava di affogare!”

“Che cosa ha fatto Bella Swan?”

Per poco non urlai, mentre gli occhi cercano di saltare fuori dalle orbite.

“Hai capito benissimo: se non fosse stato per Jacob che la stava cercando e che ha sentito le sue urla mentre si lanciava…” (2)

“Non è possibile!” esclamai, interrompendolo e tentando ancora di trattenere le urla. Digrignavo i denti e serravo i pugni… forse frequentare Paul non mi faceva bene.

“Che diavolo aveva in mente quella stupida?” continuai, mentre la scena di un’ameba rincitrullita che si butta da una scogliera prendeva forma nella mia mente.

“Stupida? Molto di più!” mi auto correggevo. Avevo completamente dimenticato di essere nella sala di aspetto di un ospedale, accanto a Emily e Sam.

“Quella sconsiderata… quell’essere… c’è gente che giornalmente rischia la vita per lei, per salvarle quel bel culetto pallido…”, e il mio pensiero andò a Paul che dava la caccia a Victoria per consentire alla Mezza Albina di dormire sonni tranquilli.
Ma pensai anche a Leah e a Seth, i quali ormai facevano parte del branco e sarebbero stati costretti anche loro a mettere in gioco la loro pelle, per proteggere l’incolumità di una tale troglodita.
E la mente tornò a Harry, incosciente su quel dannato letto di ospedale. Saremmo dovuti essere tutti concentrati su di lui, stretti intorno a Sue per aiutarla e sostenerla, ma Bella Swan aveva piani differenti. Evidentemente soffriva di carenze d’affetto, si era accorta che nell’ultimo periodo non aveva sufficientemente calamitato l’attenzione su di se. La povera incompresa si sentiva trascurata!

“E lei che cosa fa? Decide di tentare il suicidio?”, mi chiesi, decisa a proseguire con quel monologo, “Avesse avuto il buon gusto di morire…”

“Yvonne!” mi rimproverò qualcuno.

“…almeno avrebbe liberato il mondo dalla sua malefica e pestilenziale presenza. Perché lei è questo: un morbo, un’epidemia, per la quale non c’è cura se non…”

“Adesso basta!”

Mi zittii all’istante, presa in contropiede da quell’ordine che non proveniva da Sam, bensì da Emily!
Anche il ragazzo sembrava parecchio stupito dall’improvviso intervento della sua fidanzata.

“Non mi sembra né il luogo, né il momento adatto per questo tipo di comportamento” spiegò lei, una volta ottenuto il mio silenzio.

“Appunto! È quello che dico anch’io!” risposi, riferendomi al tempismo di Bella Swan nel beccare le situazioni migliori per attirarsi le disgrazie addosso. Non ero sicura però che la ragazza stesse parlando della stessa cosa.

Mi dedicò un’occhiata di pura disapprovazione e poi proseguì: “Invece di insultare persone che non sono presenti e che nemmeno conosci, dovresti fare quello per cui sei qui e cioè renderti utile. Ma se pensi che denigrare Bella Swan sia un’attività troppo importante per te, della quale non puoi fare a meno, allora ti do un consiglio: tornatene a casa, perché qui non ci sei di alcun aiuto!”

Colpita e affondata!

Boccheggiai in cerca di una risposta appropriata, ma non ne trovai.
Il motivo di quella improvvisa, nonché insolita, mancanza di parole era molto semplice: Emily aveva perfettamente ragione.

Che cosa avevo fatto in quella maledetta giornata?

Niente.

Questa era la verità.

Non ero stata una buona amica, né per Leah, né per Lauren.

Non avevo saputo aiutare Leah e Seth.

Non avevo mosso un dito per soccorrere Harry Clearwater.

In ospedale avevo svolto il ruolo, tanto inutile quanto superfluo, del contorno, affiancandomi a un dolore, a un’intimità e a delle persone che non mi appartenevano.

Chi ero per loro?

Un’estranea, un’intrusa, un viso pallido, una ragazza di passaggio che presto sarebbe stata rimpiazzata da una magia.

Quell’ultimo pensiero mi fece infuriare di più, perché ancora una volta stavo pensando solo a me e ai miei sciocchi problemi esistenziali.

Chi ero io?

Una nullità.

Questa era la verità.

Inutile.

Senza aggiungere altro, abbassai lo sguardo per la vergogna e la repulsione che provavo verso me stessa e tornai a sedermi.

Sarei senza’altro scappata via se non avessi sentito - nonostante la mia inettitudine e il mio egoismo - quell’obbligo morale nei confronti di Leah, che fino ad allora mi aveva convinto a rimanere.

Poco dopo, Sam se ne andò, dicendo che si sarebbe unito a Jared, Embry e Paul nelle ricerche di Leah e Seth, promettendo - di nuovo - che ci avrebbe tenuti informati.

***

Il buio era calato senza che me ne rendessi veramente conto.
Era una notte senza luna e senza stelle, le nubi ricoprivano il cielo, rendendo l’oscurità ancora più profonda e inquietante del normale, dandomi l’impressione che tutto il mondo fosse in lutto per la scomparsa di Harry Clearwater.
Mi trovavo nel parcheggio dell’ospedale, seduta sul marciapiede, incurante del freddo e dell’umidità che penetravano fin dentro le ossa. Il mento poggiava sulle ginocchia che avevo portato al petto e che stringevo in modo spasmodico, in cerca di un illusorio senso di protezione.

Quando il medico ci aveva comunicato la terribile notizia, Sue era svenuta tra le braccia di Charlie. Quella donna, che si era dimostrata tanto forte, che era rimasta in piedi grazie alla speranza o forse alla convinzione che tutto sarebbe andato per il verso giusto, era stata schiacciata da un’inconfutabile verità e purtroppo non era riuscita a reggere il colpo.
Billy si era trincerato dietro il suo mutismo, aveva tenuto lo sguardo costantemente fisso sul pavimento, anche se avevo scorto delle lacrime ai lati degli occhi.
Emily aveva singhiozzato disperata, nascondendo il viso tra le mani.
Charlie sembrava quello che aveva reagito meglio alla notizia, ma forse stava solo cercando di farsi forza, perché se si fosse lasciato andare anche lui, sarebbe stata la loro rovina. Ad ogni modo, nei suoi occhi avevo letto una grande sofferenza, probabilmente troppo complessa e profonda per esternarla con parole, lamenti o pianti.

Ed io?

Ero fuggita all’aria aperta, fuori da quell’incubo, lontano da quel dolore che non sarebbe dovuto appartenermi, ma che al tempo stesso mi aveva fatto versare tutte le lacrime che avevo in corpo.
Non facevo parte di quella famiglia, conoscevo appena Harry Clearwater.
Ero un’estranea, un’intrusa, un viso pallido, una ragazza di passaggio che presto sarebbe stata rimpiazzata da una magia.
Eppure la mia sofferenza era reale, così come lo erano le gocce salate che mi attraversavano le guance.

Ancora una volta ripensai a Leah e a Seth.
Chissà dov’erano in quel momento.
Sam li aveva trovati?
Il loro cuore aveva avvertito la scomparsa del padre?
E chi si sarebbe fatto carico dell’onore di informarli?
Come avrebbero reagito?
La reazione di Leah era quella che temevo di più.
E se avesse commesso qualche sciocchezza, attanagliata dai sensi di colpa?
Perché il destino si era accanito su di lei?
Che cosa aveva fatto per meritarsi tutto questo dolore?

Persa nei miei pensieri, mi accorsi appena di due ragazzi che si stavano avvicinando a grandi passi.

“Yvonne!”

Udendo il mio nome pronunciato da quella voce, avrei dovuto sussultare, il mio cuore avrebbe dovuto perdere un battito per l’emozione, ma non accadde nulla di tutto ciò.
Mi limitai a sollevare lentamente lo sguardo e dopo essermi accertata sull’identità dei due ragazzi, mi alzai in piedi.
Paul impallidì immediatamente: non dovevo fare una buona impressione.
Tentai di evitare i suoi occhi, che mi cercavano insistentemente e mi voltai verso Sam.
Il Capo Branco era rigido come un pezzo di legno, serrava la mascella, il viso era contratto in una smorfia dura e indecifrabile, le braccia cadevano lungo i fianchi e le mani erano chiuse a pugno.

“Come sta Harry?” chiese a denti stretti.

Conosceva già la risposta, perché l’aveva letta sul mio viso, ma forse voleva darsi una speranza, forse voleva poter credere, anche per un solo istante, di essersi sbagliato.

Chiusi gli occhi, tentando di trattenere le lacrime che premevano per uscire e scossi la testa, disperata.

“Mi dispiace, Sam. Mi dispiace tanto” balbettai, schiudendo le palpebre, senza però avere il coraggio di guardare in faccia nessuno dei due.

“No… non può essere vero…” lo sentii sussurrare pacatamente, nonostante il corpo e la mimica facciale facessero intendere che in quel frangente non ci fosse nulla di pacato e controllato in Sam.

Capendo che non avrei aggiunto altro per convincerlo del contrario, il licantropo si precipitò verso l’entrata dell’ospedale, lasciando Paul e me soli.

“Yvonne…” ripeté di nuovo, con un’inflessione leggermente diversa.
Se prima si era trattato in un’esclamazione di stupore, per avermi trovato lì fuori, sola e al freddo, adesso nella sua voce c’era dispiacere, compassione e dolore.

Ancora non riuscivo a guardarlo negli occhi, ma come sempre Paul non si fece scoraggiare: posò una mano calda sulla mia guancia, asciugando con il pollice alcune lacrime e poi mi costrinse a voltare il viso nella sua direzione.
Ci fissammo a vicenda per alcuni attimi.
Ero combattuta tra il correre lontano da lui e rannicchiarmi tra le sue braccia per farmi consolare.

“Ti prego”, bisbigliai poi al limite della sopportazione, “Dimmi che li avete trovati”.

Paul annuì serio.

Quel semplice gesto del capo ebbe la forza di sciogliere il nodo alla gola che si era creato parecchie ore prima e fregandomene dei dubbi, delle paure, del risentimento verso Paul… fregandomene anche dell’imprinting stesso, mi buttai tra le sue braccia.

Il mio ragazzo ricambiò immediatamente l’abbraccio e mentre singhiozzavo nell’incavo del suo collo, beandomi del profumo e del calore della sua pelle, con piccoli baci sui capelli e leggere carezze sulla schiena, lui tentava di confortarmi.

“Sarei venuto immediatamente da te ma Leah e Seth…”

“Se ti fossi azzardato ad avvicinarti qui, prima di averli riportati a casa, ti avrei cacciato a calci nel sedere” lo interruppi, stringendomi più forte a lui.

“Immaginavo avresti detto una cosa del genere” rispose lui, provando a farmi sorridere.

Era come se non avessi mai scoperto dell’imprinting: avevo momentaneamente rimosso il fatto.
Sapevo che presto avremmo dovuto affrontare quell’argomento, ma come potevo privarmi di lui, della sua vicinanza, del suo amore - che nonostante la magia incombente era forte e reale - in una situazione del genere?
Avevo bisogno di Paul, di aggrapparmi a lui. Necessitavo di quella misteriosa energia che il suo corpo emanava e irradiava, che mi avvolgeva e mi caricava al massimo.
Chiamatemi egoista, ipocrita o masochista, non mi importa.
Certo, avrei sofferto ancora di più in seguito, ma non mi interessava.
Paul era lì con me: era l’unica cosa che contava.
E ci sarebbe stato anche dopo - forse non per sempre - ma almeno per quella notte sarebbe rimasto al mio fianco e per il momento ciò mi bastava.

“Vuoi tornare a casa?” chiese Paul poco - o parecchio - tempo dopo.

Mi slacciai dal suo caldo e rassicurante abbraccio, volgendo lo sguardo indietro, verso l’entrata dell’ospedale.

“Hai fatto abbastanza, Yvonne. Torna a casa, devi riposare” disse lui, indovinando i miei pensieri.

“Non credo di essere stata così utile” replicai, rintanandomi immediatamente nel mio rifugio personale.
Paul poggiò il meno sul mio capo, aumentando la stretta per farmi capire – come se fosse necessaria un’ulteriore conferma – che mi era accanto e che potevo contare su di lui.

“Ho visto nella mente di Sam quello che Emily ti ha detto”, raccontò.

Trattenni il fiato, perché temevo il suo giudizio.

“Non dovresti dare peso alle sue parole e poi, diciamoci la verità: Bella Swan è un idiota!” aggiunse infine, riuscendo nell’ardua impresa di strapparmi un sorriso.

“Ma Emily ha ragione” conclusi, tornando immediatamente seria.

“No!”

Mi allontanò da se quanto bastava per guardarmi dritta negli occhi e posando le mani sulle mie spalle, disse: “Non è vero! Hai dato il tuo sostegno a Sue: le sei rimasta accanto”.

“Non mi sembra un granché” protestai debolmente.

“Sono sicuro che Sue abbia apprezzato molto il tuo gesto: sa che lo hai fatto per Leah, perché le vuoi bene. La consapevolezza che sua figlia possa contare su un’amicizia vera, sempre e comunque, potrebbe esserle stata d’aiuto per resistere fino alla fine” spiegò Paul, risoluto e fermamente convinto delle sue parole.

“Detto in questo modo, sembra quasi che io abbia contribuito a salvare il mondo” scherzai con un sorriso tirato.

Anche Paul sorrise, portando entrambe le mani sul mio viso.

“Vuoi tornare a casa?” ripeté una seconda volta, senza distogliere lo sguardo dal mio, nemmeno per un secondo.

“Sì” risposi, prima che le sue labbra si posassero sulle mie.

***

Il maggiolino verde era rimasto a casa Clearwater, perciò Sam ci portò lì con la sua auto, per poi accompagnare Emily e Billy alle rispettive abitazioni. (5)
Charlie Swan e Sue, invece, erano rimasti in ospedale. (6)

Senza chiedere il permesso, con un gesto fulmineo, Paul mi strappò le chiavi della macchina dalle mani e prese il posto del guidatore.
In un’altra occasione mi sarei infuriata a dismisura di fronte a quella palese dimostrazione di prepotenza maschile o licantropesca. Naturalmente adesso era tutto diverso e litigare per una cosa così stupida sarebbe stato logorante, inutile, ma soprattutto immaturo.

Mentre Paul faceva partire l’auto, rivolsi un’occhiata malinconica alla casa dei Clearwater. Mi soffermai sull’enorme squarcio che aveva preso il posto della finestra e che Leah e Seth avevano creato quando erano fuggiti via.

“Dove sono Leah e Seth?” chiesi poi, rendendomi conto che l’abitazione era vuota e silenziosa.

“A casa di Emily” rispose Paul laconico.

“Chi glielo dirà?” domandai ancora, riferendomi alla morte di Harry.

“Sam. Spettano al Capo Branco questo cose”, rispose Paul, “Sara difficile tenerli sottocontrollo” aggiunse, senza perdere di vista la strada.

Rabbrividii improvvisamente e Paul mi prese la mano per rassicurarmi.

“Come avete fatto a individuarli?”

Il motivo di quelle domande non era soltanto la preoccupazione per i due fratelli Clearwater, ma anche la paura del silenzio e dei sentimenti che quello avrebbe potuto suscitare in me.

“All’inizio è stato difficile: le loro teste erano un vero casino, inoltre non facevano altro che litigare e azzuffarsi tra di loro come due stupidi ragazzini…”

“Seth è un ragazzino!” puntualizzai triste, rievocando il viso tondo e solare del fratello di Leah.

Sarebbe cambiato anche lui, com’era successo a Paul e a tutti gli altri?

Paul proseguì con il suo racconto come se non avesse sentito la mia affermazione, forse perché la verità era difficile da accettare anche per lui.

“… con il passare delle ore, poco alla volta, hanno ricominciato a ragionare e a rendersi conto che stavamo cercando di attirare la loro attenzione da un bel po’ di tempo. Abbiamo spiegato loro la faccenda per sommi capi e gli abbiamo chiesto di fermarsi, in modo che potessimo raggiungerli: Seth ha obbedito immediatamente...”

“E Leah?”

“Leah ha continuato a correre… anzi, ha accelerato l’andatura” rispose Paul con stizza e irritazione, “Quella lupa è un razzo: ci ha fatto sudare sette camicie e avresti dovuto vedere com’era soddisfatta di se!”

Soffocai un risolino, anche se il contesto non fosse dei più allegri. Tuttavia, all’idea che la ragazza avesse avuto la sua piccola rivincita su quel branco di adolescenti sotto steroidi e sbruffoni, sorrisi ancora una volta.

“Ci ha riempito di insulti per tutto il tempo, ma quando ha visto attraverso i nostri pensieri cosa fosse successo al padre, si è fermata immediatamente e cosa ancora più incredibile, è tornata in forma umana”.

“Davvero?” domandai meravigliata.

Paul annuì serio e se non lo avessi conosciuto bene, avrei detto che provasse ammirazione per Leah e ciò di cui era stata capace.

“Ha rischiato di ritrasformarsi quando le abbiamo detto che non poteva andare all’ospedale perché era troppo rischioso, ma Leah è una tipa tosta, anche se mi costa ammetterlo: ha mantenuto un saldo autocontrollo e si è lasciata accompagnare insieme a suo fratello a casa di Emily” terminò Paul il suo racconto.

Tirai un sospiro di sollievo nel sentire che tutto sommato Leah e Seth stessero bene, ma purtroppo per loro il peggio doveva ancora arrivare.
Avrei voluto essere lì con lei, per darle il mio sostegno, ma era impossibile.

Chissà quando potrò rivederla, pensai.

Chiediti se vorrà rivederti, piuttosto! precisò una vocina maligna nel mio orecchio, gettandomi nello sconforto.

“Cazzo!”

Saltai in aria sul sedile per lo spavento, rischiando di battere la testa contro il tettuccio dell’abitacolo.

“Che cosa c’è?” chiesi allarmata, guardandomi intorno e accorgendomi solo in quel momento che Paul aveva fermato la macchina.

“Jacob ha appena attraversato la strada…”, rispose lui, mentre la sua faccia si trasformava in una maschera fatta di rabbia e odio, “…sotto forma di lupo!” (7)

“Ma perché… che cosa ci fa lui qui?” domandai, intimorita dallo sguardo estremamente minaccioso del mio ragazzo.

“La domanda corretta è un'altra…” ringhiò lui.

“E cioè?” chiesi con il cuore in gola, notanto quanto il suo corpo fosse scosso da fremiti inquietanti.

“Perché sento puzza di succhiasangue nell’aria?”

____________________

Note di fine capitolo:
*“… continua a rappresentare per me quanto di più vicino ad un padre io possa avere…”: ricordo a chi non lo sapesse o non lo ricordasse che il padre di Sam è un poco di buono, che ha abbandonato moglie e figlio.
Ci sarebbero state diverse citazioni da inserire nel testo, tutte tratte dal capitolo sedici di New Moon, ma temevo che avrebbero infastidito il lettore, interrompendo e frammentando la narrazione. Così ho pensato di metterle qui di seguito…
(1) “L'hai trovata?”, chiese Sam.
"Sì, ricomincerò da qui. Torna all'ospedale. Ti raggiungo più tardi. Grazie, Sam” [Jacob].
(2) “Come hai fatto a trovarmi?”, rantolai [Bella]. “Ti stavo cercando”, rispose [Jacob]. Correva leggero sotto la pioggia, su per la spiaggia in direzione della strada. “Ho seguito le tracce del pick-up e ti ho sentita urlare”.
(3) [Jacob racconta a Bella] “Si è rifugiata in acqua. Per i succhiasangue è un vantaggio. Sono tornato a casa di corsa perché temevo che mi precedesse a nuoto. Passi talmente tanto tempo sulla spiaggia”.
(4)“Quando siamo tornati, Emy mi ha dato la notizia. Riguarda Harry. Harry Clearwater ha avuto un infarto, stamattina” [Jacob].
“Harry?”. Scossi la testa, cercando di capacitarmene. “Oh, no! Charlie lo sa?”.
“Sì. È anche lui all'ospedale. Assieme a mio padre”.
(5) I miei pensieri furono interrotti dal rumore di un'auto che sgommava nel fango, sulla strada di fronte a casa. La sentii frenare, le portiere si aprirono e chiusero […] La voce di Billy era riconoscibile, benché fosse di un tono più basso del normale, quasi un borbottio tenebroso […] A spingere Billy oltre la soglia c'era Sam. Sul suo viso angosciato non c'era traccia del solito contegno.
(6)“Dov'è Charlie?” [Bella].
“Tuo padre è rimasto in ospedale con Sue. Ci sono ancora parecchie cose da... organizzare” [Billy].
(7) “Addio, Bella”, disse [Jacob], voltandosi appena. “Spero proprio che tu non muoia”. Scattò via nell'oscurità, tremava così forte che la sua sagoma era sfocata come una foto venuta male. Sparì prima che potessi aprire bocca per richiamarlo.

____________________

Nota autore:

Anche in questo capitolo vi ho lasciati in sospeso: sta diventando un’abitudine^^

Passiamo subito alle precisazioni.

La prima scena del capitolo (quella nella stanza di Leah) potrebbe confondere un po’. In pratica, Yvonne inizialmente è sottoshock, ecco perché si comporta stranamente (non ha paura dei due licantropi, ammira i brandelli di stoffa, non riconosce Harry, non capisce che i due lupi sono Leah e Seth…). Non so quanto sia credibile una cosa del genere, ma ho preferito questa reazione, piuttosto del classico attacco di panico o delle solite urla di terrore. Rischiavo di diventare ripetitiva (più di quanto non lo sia già).

Mi rendo conto che questo capitolo possa risultare un po’ pesante, ma volevo restituire un po’ di dignità alla morte di Harry Clearwater. Nel libro è solo un espediente usato dalla Meyer per dare il via ad una serie di eventi che, come tutti saprete meglio di me, porteranno Edward e Bella in Italia. Il fatto che poi l’autrice se ne sia lavata le mani (di Harry, intendo) come se nulla fosse, non mi è mai andato giù, così, ecco a voi questo capitolo!
Spero di essere riuscita nell’intento…

Inoltre, con questo aggiornamento, ho cercato di ricostruire gli eventi complementari a quelli che si verificano nel capitolo sedici. In parte mi sono basata su quanto scritto dalla Meyer (vedi citazioni), in parte ho inventato. Insomma, ho provato ad incastrare tutto in modo che i pezzi coincidessero, ma se qualcosa non vi quadra, chiedete pure senza farvi problemi.

Infine… Yvonne ha deciso di accantonare (almeno per questo capitolo) il discorso imprinting. Francamente, dopo la morte del padre della sua migliore amica, non mi sembrava verosimile che la ragazza avesse la forza di litigare con Paul. Il suo comportamento può sembrare egoista e ipocrita, ma nessuno e perfetto e lei ha ceduto alla debolezza, ovvero farsi consolare da Paul, sebbene sappia benissimo che lui non è stato sincero con lei.

Credo sia tutto…

Ringraziamenti.

Per loli89: ciao carissima. Come sempre ti ringrazio immensamente per le bellissime parole e i complimenti. Grazie davvero! Sono contenta che la trasformazione dei fratelli Clearwater ti sia piaciuta: me la sono sempre immaginata così e non ho potuto scriverla in maniera diversa. Come vedi, alla fine Yva è uscita illesa da quella situazione abbastanza pericolosa, ma i problemi non sono finiti! Beh… è vero che Paul subisce l’imprinting in BD, ma francamente non voglio che Yva diventi una seconda Leah, per questo ho preferito farle scoprire dell’imprinting prima. Riguardo alle motivazioni che hanno portato Paul a non dirle nulla, le scopriremo presto, anche se ci sei andata vicina con le supposizioni XD. Non preoccuparti, non mi scombussoli affatto. Sono contenta che la mia storia ti incuriosisca, ma per le tue risposte, purtroppo, dovrai avere un po’ di pazienza XD. Grazie ancora! Tanti baci, vannagio.

Per crazyfv: ciao cara ornella! In realtà, la Meyer accenna all’imprinting di Paul in BD e hai ragione, in New Moon non se ne parla, ma come ho spiegato già a loli89, non voglio che Yva diventi una seconda Leah. Per questo motivo le ho fatto scoprire dell’imprinting prima, in modo che lei possa fare una scelta consapevole, a differenza di Leah. Riguardo alla tua ipotisi sui motivi che hanno spinto Paul a mentire, ci hai quasi azzeccato XD. Con cosa ti sei abbuffata questa volta? XD Grazie per la recensione. Bacioni, vannagio.

Per _GP_: ciao anche a te e grazie per la recensione. Beh, sì, Paul ha sbagliato a non raccontare la verità a Yva, ma presto scopriremo le sue motivazioni, che se da un lato non giustificheranno il suo comportamento, dall’altro ci faranno comprendere il suo punto di vista. Riguardo a Leah, sono ancora indecisa su quando far avvenire il confronto, ma non dovrai aspettare troppo, tranquilla. Beh… come dici tu, non sarà facile descrivere le reazioni e i sentimenti di Leah e Seth, anche perché devo farlo attraverso gli occhi di Leah, ma ci proverò e comunque ti ringrazio per la fiducia! Baci, vannagio.

Per Midao: ciao cara! Ci vuole pazienza per sapere come reagirà Leah, ma poi chi l’ha detto che Lauren escluda Leah? Yva non potrebbe avere contemporaneamente due amiche? XD Non essere così dura con Paul, anche lui avrà modo di spiegarsi. Di un po’: non starai sperando in una loro rottura e in un ritorno di Manuel, vero? XD Grazie per la recensione. Bacioni, vannagio.

Per Dackota: ciao carissima! Vedere la tua recensione è stato traumatico, ma in senso buono! XD Mi piace un sacco il modo in cui ti fai coinvolgere dalla mia storia e mi mette sempre una gran voglia di scrivere. Comincio col dire che mi trovo d’accordo su tutto quello che hai detto riguardo al discorso “Meyer e le donne” e non credo sia necessario aggiungere altro. Come sempre, non posso far altro che ringraziarti per i complimenti che elargisci con tanta magnanimità (che paroloni, Edward mi sta contagiando XD). Grazie, grazie, grazie. Beh, come dici tu, non ho mai voluto mettere da parte Lauren definitivamente, ma il suo allontanamento mi serviva per “isolare” Yva e farsì che si avvicinasse al mondo di La Push, in particolare a Leah, ma adesso può ritornare benissimo in campo! Riguardo Paul, beh, praticamente hai quasi azzeccato le motivazioni del nostro lupacchiotto. Anche in questo caso sono d’accordo con te: l’imprinting è proprio una fregatura e come tante cose della Meyer, è stato creato solo per risolvere il problema del triangolo Edward-Bella-Jacob. Non sapevi di Harry? Beh, adesso lo sai e ti sarai resa ancora più conto di quanto questa donna sia stata cattiva nei confronti di alcuni suoi personaggi. Spero di aver aggiornato abbastanza velocemente. Grazie ancora. Bacioni, vannagio.

Per Lea_91: ciao cara! Grazie per la recensione e i complimenti. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Come hai potuto ben “vedere”, Yva e Paul non si sono lasciati anche se la questione imprinting è momentaneamente in sospeso. Mi fa piacere che la trasformazione di Leah e Seth ti abbia tanto entusiasmato. Come vedi, i due neo-lupacchiotti non hanno fatto del male alla nostra Yva, però anche questa volta ho interrotto il capitolo sul più bello… scusa^^. Bacioni, vannagio.

Per Beatriz Aldaya: Ciao anche a te, cara! Come vedi, nonostante la situazione difficile, Yva non ha riportato danni, almeno non a livello fisico! Beh, sì, Yva aveva deciso di raccontare la verità a Leah, ma troppo tardi purtroppo. Vedremo come reagirà Leah… Ho come l’impressione che la tua insofferenza nei confronti di Paul e del suo comportamento, sia dovuta alla speranza che i due si lascino e che Manuel ritorni, mi sbaglio? XD Cmq, spero che il capitolo ti sia piaciuto. Grazie per i complimenti. Bacioni, vannagio. P.S.: sono contenta che l’interrogazione sia andata bene!

Grazie anche a tutti quelli che leggono, preferiscono, ricordano e seguono questa storia.

Grazie anche ad aurora03 che mi ha inserita tra i suoi autori preferiti.

A presto, vannagio.

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Capitolo 20
*** Ospite ***


Dedico questo capitolo a Dackota, che mi ha aiutato a trovare informazioni utilissime per scrivere questo capitolo - grazie mille, cara! - e a Beatriz Aldaya, che ha compiuto gli anni qualche giorno fa: scusa se non sono riuscita ad aggiornare per il tuo compleanno, ma ho fatto più presto che ho potuto. Tantissimi auguri!

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Ospite: ricordarsi di te sarà facile!*


“La domanda corretta è un'altra…” ringhiò lui.
“E cioè?” chiesi con il cuore in gola, notando quanto il suo corpo fosse scosso da fremiti inquietanti.
“Perché sento puzza di succhiasangue nell’aria?”

***

Non ebbi il tempo di rispondere a quella che senza’altro era una domanda retorica, perché Paul ingranò la marcia e incollò il piede all’acceleratore. La partenza fu così violenta, che venni sbalzata indietro, contro lo schienale del sedile.
Meno male che avevo l’abitudine di mettere la cintura di sicurezza!
Qualche secondo più tardi, la macchina si arrestò di nuovo, questa volta di fronte a casa mia. Rivolsi un’occhiata terrorizzata a Paul che respirava affannosamente. Con un’espressione furiosa e le narici dilatate, fissava la strada buia aldilà del parabrezza.

“Co-cosa hai intenzione di fare?” balbettai.

Le mie dita erano ancora artigliate all’imbottitura del sedile, come se la macchina non si fosse fermata e stesse continuando la sua folle corsa.

“Sono un licantropo e c’è una succhiasangue nei paraggi. Che cosa credi che abbia in mente? Invitarla a prendere un aperitivo?” rispose lui, rabbioso.

In un’altra occasione avrei riso di quella battuta, ma in quel momento scherzare non era concesso.
Paul tremava in modo preoccupante.
La cosa migliore da fare era scendere dalla macchina, prima che Paul perdesse completamente il controllo: l’auto non sarebbe sopravvissuta alla trasformazione del licantropo e soprattutto non sarebbe stata capace di contenere un lupo gigante.
Nonostante questa consapevolezza, non mi mossi di un millimetro da dove mi trovavo. Dovevo impedire a Paul di commettere qualche sciocchezza…
Affrontare un vampiro sconosciuto da solo… beh… quella non era una sciocchezza, ma una grandissima cazzata!

“Ok!”, sussurrai, riprendendo fiato e facendomi coraggio, “Respiriamo profondamente e cerchiamo di ragionare in modo coerente” aggiunsi, chiudendo gli occhi e seguendo il mio stesso consiglio.

“Ho un’idea migliore: corri dritta a casa, mentre io faccio fuori il parassita” replicò Paul, che nel frattempo aveva già aperto la portiera.

“Potresti usare il cervello per favore?”, domandai con voce stridula, mentre mi buttavo su di lui per chiudere la portiera e impedirgli di uscire, “Quando hai avvertito l’odore del presunto vampiro…

Presunto? Devo ricordarti che i miei sensi da lupo sono infallibili?” mi interruppe lui, offeso dalla mia insinuazione, mentre mi rimetteva a posto come se fossi stata una bambola di pezza e non un essere umano di sessantotto chilogrammi.

“… eravamo poco distanti da casa di Bella Swan, giusto?” continuai, come se non fossi stata interrotta.

Paul annuì controvoglia, sbuffando. Abbandonò il capo contro lo schienale del sedile e chiuse gli occhi, cercando di mantenere la calma: probabilmente anche lui pensava che trasformarsi all’interno del maggiolino verde non fosse una buona idea.

Approfittando del momentaneo silenzio, cercai di andare avanti con il mio ragionamento: “Se Jacob era lì, avrà avvertito anche lui l’odore del presunto…”

Paul ringhiò contrariato.

“Ehm… volevo dire… avrà avvertito anche lui l’odore del vampiro…”, mi corressi immediatamente, “… allora perché stava correndo nella direzione opposta? Non avrebbe lasciato Bella indifesa, con la possibilità che Victoria si trovasse nelle vicinanze”.

“Potresti smettere di parlarne come se quel mostro fosse un essere umano?” mi rimproverò lui, portando gli occhi stralunati su di me.

“E tu potresti smettere di ragionare con i bicipiti?” replicai io, ricambiando quello sguardo furente.

“Non mi interessa che cosa combina quel bambino viziato di Jacob…”

“Ma lui…”

“Stai ancora insinuando che mi sono sbagliato?”

“No! Sto solo cercando di impedire che il mio ragazzo venga fatto a pezzi da una sanguisuga!”

L’espressione dura e fredda sul viso di Paul scomparve immediatamente, lasciando il posto a un sorriso smagliante. Il suo corpo cessò di tremare all’istante.
Non so da cosa fosse stato causato quel repentino cambio di umore: forse dal fatto che avessi usato la parola sanguisuga per riferirmi a Victoria oppure dal fatto che fossi preoccupata per la sua incolumità.
Poco importava.
Paul si era calmato e aveva ricominciato a ragionare.

“Ecco cosa faremo”, esordì lui senza smettere di sorridere, “Tu rientrerai in casa…”

Ok, forse mi ero sbagliata!
Tentai di interromperlo perché non ero per niente d’accordo con lui, ma il licantropo posò un dito sulle mie labbra, costringendomi a fare silenzio e ascoltare, “…nel frattempo mi trasformerò e chiederò spiegazioni a Jacob”.

“Ma…”

“Shssss”, mi zittì ancora una volta, baciandomi a fior di labbra. “Ti prometto che non farò nulla di avventato” mi assicurò in fine, allontanandosi da me di qualche centimetro.

“Lo spero bene, perché in caso contrario dovrai vedertela con me!” risposi, rivolgendogli un’occhiata ammonitrice.

Il mio obiettivo era di intimorirlo, ma ottenni l’effetto opposto, perché Paul si lasciò andare a una sonora risata, così fragorosa da far vibrare i finestrini dell’auto.

***

Guardai l’orologio: le due del mattino.

Mi rigirai nel letto più volte cercando di trovare una posizione più comoda, diedi qualche pugno al cuscino per renderlo più accogliente, ma ogni tentativo fu vano.
Non riuscivo a dormire.
La giornata era stata estenuante.
Mi sentivo a pezzi e non desideravo altro che lasciarmi andare a un lungo sonno ristoratore, ma i mille pensieri che si accavallavano nella mia mente non mi davano pace e mi costringevano a rimanere sveglia.

In quel momento il mio stomaco prese a brontolare arrabbiato.
In effetti, non aveva tutti i torti: ero andata a letto senza cena.
Mia madre, alla quale avevo raccontato i terribili eventi di quel giorno, non aveva protestato ed io, sollevata di non dover rispondere a domande invadenti, mi ero rinchiusa nella mia stanza.
Ma adesso i morsi della fame si facevano sentire…

Se devo passare la notte in bianco, tanto vale che metta qualcosa sotto i denti pensai e così mi recai in cucina, tirando fuori dal frigorifero qualunque cosa fosse in grado di soddisfare il mio appetito.

Il silenzio in casa era assordante e mi costringeva a pensare e ripensare a tutto ciò che era successo. Se avessi potuto, avrei ascoltato un po’ di musica per distrarmi ed evitare di tornare agli avvenimenti di quella giornata, ma mia madre dormiva – almeno lei – e non volevo che si svegliasse, anche perché in quel caso avrei dovuto dare delle spiegazioni che non potevo e non volevo fornire.

Leah dove sei? pensai triste, poco dopo.

Verso le undici di sera, avevo ricevuto una telefonata da Paul.
Mi aveva raccontato che l’odore di succhiasangue, avvertito nelle vicinanze della casa di Bella Swan, non apparteneva a Victoria bensì ad uno dei Cullen.
Ero rimasta sconvolta nel ricevere quella notizia.

Possibile che si tratti di Edward?, mi ero chiesta, I Cullen sono tornati?

Paul non aveva saputo darmi altre informazioni, perché Jacob era scappato da casa Swan senza accertarsi sull’identità del vampiro in questione.

Poi la conversazione si era spostata su Harry Clearwater e con grande orrore avevo appreso che, una volta scoperto della morte del padre, Leah si era trasformata ed era fuggita di nuovo.

“Ma voi la state cercando, non è vero?” avevo chiesto disperata.

“No. Sam vuole concederle la possibilità di rimanere da sola. Per questo motivo ci ha ordinato di non trasformarci se non in caso di estrema necessità” aveva risposto Paul con voce atona.

Che diavolo ne sapeva Sam di cosa fosse meglio per Leah?

Certo, era stato il suo ragazzo per tanti anni, era diventato il suo Capo Branco e poteva leggerle i pensieri, ma non aveva nessuna idea di cosa si provasse nel trovarsi nei panni di Leah. E anche se il pensiero di Sam che aveva libero accesso alla mente della mia amica mi causava disgusto, sperai vivamente che il licantropo si sentisse un po’ in colpa, leggendo ciò che lui e il suo imprinting avevano causato.

…imprinting…

Ecco quel maledetto incubo che tornava a farmi visita nonostante non stessi dormendo.

Che cosa dovevo fare?
Come dovevo comportarmi?

Amavo Paul - ormai lo avevo capito e lo avevo ammesso anche a me stessa - ma avrei avuto la forza di rimanergli accanto, pur sapendo che da un momento all’altro avrebbe potuto incontrare la sua anima gemella?
Avevo lasciato Manuel perché non mi fidavo più di lui. Stare insieme in quelle condizioni mi avrebbe fatto impazzire di gelosia e la nostra storia d’amore non sarebbe durata a lungo.
E adesso? Non mi trovavo in una situazione simile con Paul?
Certo, non mi avrebbe mai lasciato di sua spontanea volontà, ma l’imprinting non era una scelta… era un’imposizione, una specie di Ordine Alpha cui non si poteva disobbedire .
Non potevo chiudere Paul in uno stanzino buio per impedirgli di avere contatti con altre persone – o ragazze, mi corresse la solita vocina impertinente nel mio orecchio – e per evitare che mi abbandonasse.
Prima o poi, Paul avrebbe trovato la sua vera metà – magari non era ancora nata ma lui aveva tutta l’eternità a disposizione se decideva di aspettarla – e a quel punto, che cosa ne sarebbe stato di me e del mio cuore?
Ero pronta a rischiare, per vivere qualche “attimo” di felicità? E sarei riuscita a godermi quei momenti, pur sapendo che cosa mi riservava il futuro?

Quell’inutile riflessione non mi aveva portato a nulla, se non alle domande di partenza.

Che cosa dovevo fare?
Come dovevo comportarmi?

Presto, però, i sensi di colpa tornarono a tormentarmi.

Come potevo preoccuparmi di tali stupidaggini mentre Leah soffriva, nascosta chissà dove?

“Non riesci a dormire?”

Mia madre era entrata in cucina e studiava il mio volto con apprensione, mentre prendeva posto accanto a me.

“Troppi pensieri per la testa” risposi, sospirando.

Lasciai andare sul tavolo il cucchiaio sporco di budino e mi stropicciai gli occhi per la stanchezza e la tensione accumulata.

“Mi spiace per la tua amica e la sua famiglia. Posso capire quanto ti senta vicina a loro in questo momento…”, si fermò un attimo, forse perché quel discorso le aveva fatto tornare in mente papà, “…ma con il tempo riusciranno ad andare avanti, proprio com’è successo a noi” concluse, posando la mano sulla mia spalla per consolarmi.

“Vorrei solo fare qualcosa per aiutarli… mi sento così inutile e impotente!” tentai di spiegarmi, nonostante provassi un’enorme confusione, causata dai sentimenti contrastanti che si agitavano nel petto, “Anche con papà…”

“Avevi due anni, tesoro” mi bloccò lei con voce commossa, intuendo a cosa alludessi.

“Lo so! Ero inutile allora e lo sono tuttora!”

La mia voce si era trasformata in un lamento e quando le braccia di mia madre mi avvolsero, il mio viso affondò tra i suoi lunghi capelli biondi e iniziai così a respirare il suo profumo – che sapeva di calore, casa e amore materno - non riuscii più a trattenere le lacrime: mi lasciai andare a un pianto liberatorio, al quale ben presto si unì anche mia madre.

***

Il giorno successivo - venerdì - trascorse tranquillo, senza che si verificassero eventi degni di nota.

Paul ed io ci eravamo sentiti solo per telefono.
Non poteva venirmi a trovare perché, malauguratamente, la mia casa - come del resto tutta la cittadina di Forks – si trovava sul territorio dei Cullen e poiché uno di loro era tornato, i lupi non potevano varcare il confine senza rischiare di infrangere la famosa tregua.
A essere onesta, l’idea che i Cullen considerassero l’intero paese di loro proprietà mi dava leggermente fastidio.
Tuttavia, ero sicura che il misterioso membro della famiglia Cullen che aveva fatto visita a Bella – chiunque egli fosse – non si sarebbe fatto tanti problemi riguardo alla storia del patto. Purtroppo i licantropi sanno essere davvero testardi quando vogliono: niente di quello che dissi servì a convincere i lupi che non correvano alcun rischio varcando il confine.

Naturalmente, ogni volta che Paul telefonava, chiedevo notizie di Leah, ottenendo però sempre la stessa risposta: “No, nulla di nuovo. Non è ancora tornata”.

“Dovreste andare a cercarla. E se incontrasse Victoria? Non vi siete posti il problema?” domandai, esasperata, durante l’ennesima telefonata di quella giornata.

“Sam non è uno sprovveduto. Fidati di lui!” rispose Paul dall’altro capo del telefono.

“Non posso” risposi brusca.

“Allora fidati di me! Credi di poterlo fare? chiese Paul sarcasticamente.

A quanto pareva, la risposta era ovvia per lui.

“Yvonne?” mi chiamò Paul, probabilmente allarmato dalla mia esitazione.

“Si… posso farlo” farfugliai infine, poco convinta.

“Certo che puoi!” esclamò lui risoluto, come a voler dissipare ogni mio dubbio.

***

L’indomani – sabato – mi svegliai all’alba per andare al funerale di Harry Clearwater, che si sarebbe svolto di primo mattino alla riserva di La Push (1).
Nonostante il patto, Paul venne a prendermi con il suo pick-up nero fino a casa. Forse le mie chiacchiere erano servite a qualcosa…

Dopo un tragitto di quindici minuti, Paul parcheggiò l’auto all’inizio di un sentiero, dove erano state già posteggiate altre macchine. Il ragazzo mi spiegò che per i Quileute il cimitero era un luogo estremamente sacro e arrivare lì a piedi era una forma di rispetto verso gli antenati e tutti gli spiriti che vi riposavano.

Il cimitero di La Push non era molto vasto se paragonato a quello di Forks. Sorgeva su una piccola collina, aveva una superficie circolare e il perimetro era delimitato da alti e antichi abeti, che segnavano allo stesso tempo il confine con il bosco. Probabilmente la scelta era ricaduta su quel posto per nascondere le lapidi a occhi indiscreti. Dall’autostrada, infatti, era impossibile scorgere il cimitero.
Notai che non aveva niente a che vedere con l’austerità e la grigia compostezza che il campo santo della mia cittadina sembrava emanare da ogni angolo.
Tutte le volte che varcavo gli imponenti cancelli del cimitero di Forks per far visita alla tomba di mio padre, provavo sempre una grande inquietudine e un senso di oppressione all’altezza del petto. Ero giunta alla conclusione che quel particolare stato d’animo fosse dovuto al luogo in sé e che qualsiasi cimitero avrebbe suscitato in me un simile sentimento, ma in quel momento capii quanto invece mi fossi sbagliata…
Avevo l’impressione di essere entrata in un luogo incantato, che invece di intimorirmi, mi trasmetteva sensazioni insolite come intimità, familiarità e protezione.
Stando a quello che Paul mi aveva raccontato, i Quileute erano convinti che gli spiriti degli antenati vegliassero sulle loro famiglie, proteggendole dai demoni malvagi.
Beh… forse mi stavo facendo suggestionare, ma non riuscivo a non crederci anch’io.

In occasione del funerale di Harry si era riunito un gran numero di persone. Per la maggior parte si trattava di abitanti della riserva, ma di tanto in tanto, tra i volti bruni intravedevo anche dei visi pallidi.

Riconobbi subito Charlie Swan, che insieme a Billy Black, affiancava un’irriconoscibile Sue Clearwater. Il volto della donna era scavato e pallido, mente gli occhi apparivano spenti e privi di vita. L’abito nero e i capelli legati in uno chignon basso non facevano che raddoppiare la sofferenza e la tristezza che il suo corpo urlava ad ogni passo.
Dietro di loro, seguiva Seth. I lunghi capelli neri erano stati tagliati molto corti, proprio com’era accaduto agli altri membri del branco.
Sam camminava qualche passo indietro: una mano poggiava sulla spalla del ragazzo, come per tenerlo sottocontrollo. Probabilmente era davvero così.
Il giovane Clearwater non era più un ragazzino. La trasformazione e la perdita improvvisa del padre lo avevano fatto invecchiare di parecchi anni nel giro di due giorni. Non ebbi la forza di fissarlo a lungo: rischiavo di scoppiare a piangere per lui e non sarebbe stata una cosa opportuna.
Leah non c’era, lo avevo notato subito.
Fino all’ultimo avevo sperato che la ragazza sarebbe riapparsa per il funerale del padre, ma a quanto pareva, non la conoscevo abbastanza bene da prevederne le reazioni.

“Strano…”

Sussultai.
Ero così immersa nei miei pensieri che mi ero quasi dimenticata della presenza di Paul accanto a me.

“Cosa?” chiesi perplessa.

“Jacob, Embry e Jared non ci sono: avevano promesso che sarebbero tornati in tempo (2)” disse lui, parlando più a se stesso che a me e fissando Sam con espressione pensierosa. “A giudicare dalla faccia di Sam, anche lui se n’è accorto” aggiunse infine.

“Dove sono andati?” domandai ancora, aggrottando la fronte.

“Da Bella Swan…”

Ti pareva!

“…per avere informazioni sul succhiasangue Cullen appena arrivato… non mi piace questa storia!” esclamò poi, scuotendo la testa, preoccupato.

Lo presi per mano e quando lui mi squadrò con aria interrogativa, gli sorrisi per tranquillizzarlo.

“Non pensiamoci per adesso, d’accordo?” proposi, bisbigliando.

Paul annuì. Provò a sorridere anche lui ma non ci riuscì.

***

La sepoltura avvenne nel più religioso dei silenzi, come voleva la tradizione Quileute.
Paul, che cercava di spiegarmi ogni cosa, mi disse che i familiari del defunto dovevano vegliare la salma, per tutto il giorno e la notte precedenti alla cerimonia funebre, digiunando e rimanendo rigorosamente in silenzio.
Il digiuno e il silenzio permettevano ai vivi di mettersi in relazione con coloro che non avevano più un corpo.
Soltanto quando la lapide venne sistemata al centro del piccolo tumolo di terra, il voto del silenzio e del digiuno poté considerarsi sciolto.
A quel punto Sue e Seth Clearwater presero delle ceste e fecero il giro dei presenti, distribuendo cibo e doni.
Anche questo faceva parte del “protocollo”. Si credeva, infatti, che offrendo beni ai vivi, fosse possibile condividerli con i defunti.
Spronata da Paul, presi un dolce che Seth mi aveva offerto con mano incerta e sorriso forzato.

Mentre addentavo di mala voglia quel pezzo di crostata, mi guardavo intorno, cercando tra la folla altre facce conosciute e inaspettatamente ne individuai una!

Che cosa ci fa qui Trevor? mi chiesi stupita e meravigliata.

L’uomo, in atteggiamento contrito, teneva in braccio una bambina che non dimostrava più di otto anni.
Accanto a lui vi era una donna. Dai lineamenti, dal colore della pelle e dei capelli, capii subito che si trattava di un’indigena della riserva. Anche lei, come Trevor, sembrava provare un dolore sincero per la morte di Harry.
Prima che potessi domandarmi chi fosse quella donna, Paul richiamò la mia attenzione.

La cerimonia funebre era ricominciata.
Il vecchio Quil Ateara si era fatto avanti e si era posto alla destra della lapide.
Scrutò ad uno ad uno, i volti dei presenti che lo circondavano e poi portò gli occhi grigi - che trasudavano saggezza ma non lasciavano trasparire alcuna emozione - su Seth e Sue, fissandoli per alcuni istanti.
Infine, con flebile voce tenorile, cominciò a parlare in lingua quileute.
Paul, bisbigliando, tradusse per me.

“Un giorno il Grande Spirito provò a creare gli esseri umani da una roccia e da una foglia al tempo stesso, ma la roccia era lenta, mentre la foglia era rapidissima. Perciò gli esseri umani vennero dalla foglia.
Poi egli mostrò una foglia agli esseri umani e disse: -Guardate questa foglia. Dovete essere come lei. Quando cade dal ramo e marcisce, non resta più nulla- .
Ecco perché c'è la morte nel mondo. Se gli uomini fossero venuti dalla roccia, non ci sarebbe la morte”.**

L’anziano fece una pausa, come per dare il tempo a tutti i presenti di assimilare le sue parole e forse la mia supposizione non era molto lontana dalla verità, poiché l’allusione ai freddi, al loro corpo simile alla roccia e alla loro immortalità, era palese.

Poi l’uomo riprese a parlare…

“Il corpo muore.
Il corpo è semplicemente ciò che l'anima
materialmente possiede.
E' il suo involucro.
L'anima prosegue la sua vita”*.

E dopo aver rivolto a tutti uno sguardo serio, così intenso da farmi venire i brividi, Quil Ateara lasciò il posto a Seth Clearwater.

Guardai Paul per avere spiegazioni, ma lui si limitò a sorridere, invitandomi con gli occhi a non distogliere l’attenzione dalla cerimonia.

Seth tremava come una foglia in balia del vento, ma non a causa della rabbia: era terrorizzato...
Non potei far altro che provare compassione per lui: il suo mondo era crollato tutto in una volta, era stato catapultato in un universo di creature sovrannaturali e doveva lottare contro la sua nuova natura per impedirle di avere la meglio. Come se non bastasse, il padre era morto e adesso si ritrovava a commemorarlo di fronte a gente semisconosciuta, che non avrebbe mai compreso il suo dolore e il suo vero stato d’animo.
Il ragazzo chiuse gli occhi, come a volersi estraniare dal mondo circostante e dopo aver preso un respiro profondo, cominciò a recitare:

“Ascolta bene,
prima di partire:
parla di noi,
chiedi la pioggia
e figli in abbondanza. Ritorna spesso tra di noi,
seguendo il fumo
del focolare,
portando notizie di pace.
Ricordarsi di te sarà facile”*.

A quel punto il ragazzo riaprì gli occhi, mostrandosi ancora un po’ scosso. Sembrava meravigliato di esser riuscito a superare l’ennesima prova.
Le sue guance erano arrossate per le lacrime: probabilmente aveva passato la notte a piangere sulla salma di suo padre.

Sue si avvicinò al figlio e dopo avergli dato un bacio sulla guancia, gli porse una piccola saccoccia alla quale era legata una cordicina.
Seth prese il sacchetto e lo maneggiò con grande cautela, come se al suo interno ci fosse un oggetto estremamente fragile. Fece passare la sottile cordicina intorno al collo e infine nascose il sacchetto sotto la maglia.

Paul avvicinò le labbra al mio orecchio e spiegò: “Seth è stato nominato custode dello spirito di suo padre. Quel sacchetto di cuoio contiene una ciocca dei capelli di Harry. Noi crediamo che lo spirito del defunto rimanga nel luogo della sua morte per un anno. Custodendo e prendendosi cura di quel cimelio, Seth proteggerà lo spirito di Harry, fin quando questo non sarà pronto per andarsene”.

Intanto la scena di fronte a me era cambiata…

Sue si era inginocchiata accanto alla lapide del marito, ne aveva baciato la superficie liscia e mantenendo lo sguardo basso, aveva cominciato a intonare un canto così straziante che, anche senza l’aiuto di Paul, sarei riuscita a intuirne il significato.

“Di notte,
quando il gufo racconta dolcemente
la storia della tua morte
e di tutte le morti
degli uomini
della mia gente,
sogno di ritrovarti
in fondo all'Orizzonte del Tramonto,
di sedermi vicino a te e cantare così:
-Perché tanto presto, te ne sei andato via?-”*

Soltanto alla fine del canto, quando Paul mi abbracciò forte, stringendomi contro il suo torace, mi accorsi di stare piangendo.

***

La cerimonia era terminata da una quindicina di minuti e la maggior parte degli invitati, dopo aver rivolto le condoglianze ai familiari, si era avviata alle auto per tornare alle rispettive abitazioni.
Paul stava discutendo con Sam di Jacob e del perché non fosse ancora tornato da casa Swan.
Seth e Sue erano andati via già da qualche minuto, accompagnati da Emily, Billy e Charlie.

C’erano ancora delle persone che si attardavano nel cimitero, per fare visita alla tomba di qualche parente prematuramente scomparso o per parlare con dei conoscenti, probabilmente del funerale.
Tra questi vi era Trevor che era ancora in compagnia della bambina e della donna misteriosa.
Alzai la mano in segno di saluto e lui ricambiò il gesto, sorridendo gentilmente. Lo vidi rivolgere qualche parola alla donna. Lei fece di sì con il capo e tornò a occuparsi della bimba, che cercava di attirare la sua attenzione, sbracciandosi.
Camminando lentamente e con passo incerto, Trevor mi raggiunse.

“Ciao”.

“Ciao”.

L’eloquenza era il nostro tallone d’Achille ma almeno avevamo qualcosa in comune.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, senza sapere cosa dire, facendo vagare i nostri occhi ovunque ma stando bene attenti a non incrociarli.
Con Trevor era difficile trovare un argomento di conversazione in una condizione normale, figuriamoci in una situazione come quella…

“Mamma non mi aveva detto che ci saresti stato anche tu oggi” dissi, prendendo l’iniziativa.

“Ehm… lei… non lo sa-sapeva, in ef-effetti…” rispose lui, balbettando come il suo solito e grattandosi la testa con fare impacciato.

Lanciai un’occhiata sospettosa alla donna e alla bambina, che poco prima avevo visto insieme a Trevor e poi incollai gli occhi a quelli dell’uomo, fissandolo insistentemente senza alcuna ombra di imbarazzo.
Stava nascondendo qualcosa a mia madre?

Come se mi avesse letto nel pensiero, Trevor spiegò: “La mia ex-moglie mi-mi ha informato della mo-morte del Signor Clearwater solo questa mattina”.

E a quel punto ricordai tutto.

Trevor era divorziato e aveva una figlia che viveva a La Push con la madre. Molto probabilmente l’ex-moglie di Trevor era una parente dei Clearwater e l’uomo aveva preso parte al funerale per rispetto nei confronti della famiglia di lei.

Che stupida!

Ero diventata così sospettosa e diffidente da dubitare perfino della buona fede del povero e pacifico Trevor.

Un altro silenzio imbarazzante cadde tra noi.

“Ehm… ti serve un passaggio per tornare a casa?” domandò finalmente lui.

“No, grazie… sono con… un amico” risposi, esitando sull’ultima parola.

Trevor era il compagno di mia madre: in pratica fraternizzava con il “nemico”, di conseguenza non volevo rivelargli dettagli che avrebbe potuto spifferare a Lynett.

L’uomo annuì pensieroso senza guardarmi, ma fissando lo sguardo su un filo d’erba mosso dal vento.

Che tipo bizzarro! mi dissi, chiedendomi per l’ennesima volta cosa mia madre ci trovasse in lui.

A un certo punto, però, una strana sensazione interruppe il filo dei miei pensieri.

Mi sentivo… osservata!

Trevor stava ancora contemplando il prato, Paul e Sam erano impegnati in una fitta conversazione e sembravano essersi dimenticati completamente di me, eppure…

Era come se avessi gli occhi di qualcuno puntati sulla schiena.

Mi voltai e… la vidi.

Al limitare del bosco, appoggiata al tronco di un immenso abete, le braccia incrociate sul petto, immobile come una statua… la vidi.

Leah!

I suoi occhi neri, freddi e ardenti allo stesso tempo, mi tenevano sotto tiro.

Leah mi stava aspettando!

__________________________

Note di fine capitolo:
*Si tratta di poesie che ho trovato su una pagina web, Canti degli Indiani d'America - tra poesia e preghiera. Ecco i titoli, rispettivamente: L'anima - Preghiera Sioux; Addio al moribondo - Canto Apache; Vedovanza – Canto Sioux;
**“Un giorno il Grande Spirito [… ] non ci sarebbe la morte”: ho preso questa citazione da un’altra pagina web, indicatami da Dackota, Religione e culto dei morti presso gli indiani d’America. Sempre da questa pagina web, ho tratto le informazioni necessarie per descrivere il funerale di Harry Clearwater.
Anche in questo capitolo ci sono alcune citazioni da mettere in evidenza…
(1) [Charlie] Andò a letto presto perché il funerale di Harry si sarebbe svolto di primo mattino, alla riserva. (New Moon, capitolo 17)
(2) [Jacob] “Ho soltanto un paio di domande da farti. Non ci vorrà molto. Dobbiamo rientrare prima che inizi il funerale”. (New Moon, capitolo 18)

____________________________

Nota autrice:

Eccomi qui, con il nuovo capitolo.

Che dire?
Probabilmente, tutti i più grandi esponenti delle più famose tribù indiane si staranno rivoltando nelle loro tombe, a causa delle pallonate che ho scritto!
L’idea di raccontare del funerale di Harry mi è venuta quasi subito, il problema era trovare le informazioni giuste, visto che purtroppo non ho mai avuto l’onore di assistere ad una cerimonia funebre degli Indiani d’America. Ho provato a cercare su internet delle notizie sulla cultura dei Quileute, chiedendo aiuto anche a Dackota, ma purtroppo c’era poco e niente. Sempre Dackota, mi ha indicato una pagina web (vedi note fine capitolo), nella quale si analizzano i culti e le cerimonie funebri delle principali tribù indiane.
Pur sapendo che queste tribù non c’entrano assolutamente nulla con i Quileute, ho preso un po’ di questo e un po’ di quello ed è venuta fuori questa “cosa”.
Quindi se tra i miei lettori ci fossero degli esperti in materia, che stanno storcendo il naso per quello che ho scritto, vi assicuro che questo capitolo non pretende di raccontare il vero, ma quanto meno di sembrare verosimile. Harry Clearwater era un anziano della tribù, che credeva nelle leggende e nella cultura del suo popolo e quindi mi sembrava poco credibile che venisse sepolto con una cerimonia cristiana.
Certo, è possibile che i Quileute siano stati “cristianizzati” e che io abbia commesso una gaff assurda… ma come dico spesso, abbiate pietà di questa povera fanwriter sclerata e non prendete troppo sul serio ogni cosa che scrivo, d’accordo?

Bene! Detto questo…

Ho alcuni annunci da fare:
1. Il confronto con Leah avverrà nel prossimo capitolo.
2. Ho fatto un conteggio approssimato e rimangono circa cinque – al massimo sei - capitoli alla fine della storia.
3. Yva non andrà a Volterra. Mi spiace deludere chi ci sperava, ma non ho trovato una scusa plausibile per farla finire sull’aereo con Alice e Bella, senza che quest’ultima se ne accorgesse.
4. Ehm… no, credo non ci sia altro da aggiungere…

Se il capito vi è sembrato noioso o inutile, mi scuso in partenza!

Ringraziamenti.

Per Dackota: Grazie, grazie, grazie. Tre volte grazie per ringraziarti della recensione, dei complimenti e dell’aiuto prezioso che mi hai dato XD. Sono contenta che tutte voi abbiate apprezzato lo spazio che ho dedicato a Harry e la sua famiglia. Mi sembrava doveroso e mi fa piacere che altre persone la pensino come me. Riguardo allo sfogo di Yva contro Bella Swan… beh… è come dici tu. Lei si sente inutile, è arrabbiata con se stessa, è in pensiero per Leah, è sottopressione a causa della decisione che deve prendere in merito all’imprinting e Paul, quindi ha scaricato tutta questa accozzaglia di problemi e sentimenti su Bella Swan. E poi… è vero, ho goduto parecchio XDDDDD. Per il ritorno di Mister Verginità 2010 (sono morta dalle risate quando l’ho letto) manca ancora qualche capitolo, ma non temere: cercherò di dare il mio meglio!! Bacioni vannagio.

Per _GP_: ciao cara! Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che tu abbia apprezzato la scelta che ho fatto, nel descrivere la reazione di Yva, durante la trasformazione dei due lupi. Riguardo alla domanda su Manuel… chi lo sa? Potrebbe essere tornato a casa, a Seattle, per rispettare il volere di Yva (cioè di lasciarla in pace), oppure… chissà! Grazie per la recensione e i complimenti. Baci, vannagio.

Per Midao: ciao anche a te! Grazie per la recensione e i complimenti. Sono felice che il capitolo incentrato sulla morte di Harry non vi abbia annoiato. Ho cercato di fare del mio meglio e i vostri commenti mi fanno capire quanto valga la pena impegnarsi per scrivere qualcosa di decente. Mi hai bersagliato di domande! XD Purtroppo posso rispondere solo ad una: sì, scriverò Eclipse e anche BD, sempre che voi lettori non ne abbiate le scatole piene di me e Yvonne… Bacioni, vannagio.

Per Beatriz Aldaya: AUGURI!!!!!!!!! Scusa, se non ho postato in tempo, ma il giorno che tu hai scritto la recensione ho avuto un esame. Ho fatto più in fretta che ho potuto, ma non volevo scrivere cavolate e quindi ho dovuto prendermi qualche giorno in più. Lo so che in questo capitolo non accade nulla di speciale, ma nel prossimo ci saranno i confronti tanto attesi, promesso! Grazie per tutti i complimenti e la recensione. Baci, vannagio.

Per Lea_91: Ciao carissima! Grazie per i complimenti e la recensione. Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto. Cerco in tutti i modi di rendere Yvonne vera e umana nei suoi comportamenti e reazioni e non posso far altro che rallegrarmi quando leggo recensioni come le tue. Fammi sapere come ti è sembrato questo capitolo. Baci, vannagio.

Per crazyfv: Ciao cara! Non devi scusarti per il ritardo e poi non era nemmeno colpa tua. Comprendo bene le tue pene: di problemi con la connessione ne ho parecchi! Sono contenta che il capitolo e il modo in cui ho riempito i “buchi vuoti” ti siano piaciuti. Ce la metto tutta per scrivere qualcosa di discreto. Per quando riguarda la pubblicazione del prologo di Eclipse, ci avevo pensato anch’io di farla coincidere con l’uscita del film, ma come ho scritto sopra, mancano ancora cinque capitoli alla fine di questa ff e al 30 giugno mancano dieci giorni. Anche scrivendo ogni giorno ininterrottamente, non riuscirei a finirla in tempo! Pazienza… Grazie per i complimenti e la recensione! Bacioni, vannagio.

Per loli89: Quanta impazienza e quanto entusiasmo! Ti ringrazio per i complimenti, ma se farebbero un libro su questa ff, non credo che la Meyer ne sarebbe molto contenta, tu che ne pensi? E poi non mi ritengo così brava da poter pubblicare un libro! Mi spiace deludere le tue aspettative, ma Yva non andrà a Volterra. Spero che continuerai a seguirmi lo stesso! Grazie ancora. Baci, vannagio.

Grazie a tutti quelli che leggono, seguono, ricordano e preferiscono la mia ff.

A presto, vannagio.

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Capitolo 21
*** Funerale ***


Funerale: per l’ultima volta


Mi voltai e… la vidi.
Al limitare del bosco, appoggiata al tronco di un immenso abete, le braccia incrociate sul petto, immobile come una statua… la vidi.
Leah!
I suoi occhi neri, freddi e ardenti allo stesso tempo, mi tenevano sotto tiro.
Leah mi stava aspettando!

***

Nonostante questa consapevolezza, non mi mossi di un millimetro da dove mi trovavo, come se qualcuno avesse inchiodato i miei piedi al terreno.
Non prestando attenzione a Trevor che con un saluto balbettante era andato via e vagamente consapevole della presenza di Sam e Paul nel cimitero, continuavo a fissare, con occhi sgranati e cuore palpitante, quella ragazza dal volto così familiare ma al tempo stesso estraneo.
La verità?
Avevo paura: Leah mi faceva paura.
Non si trattava di un timore legato alla sua licantropia o al pericolo che uno scatto d’ira poteva rappresentare per me. Non erano le zanne o gli artigli a spaventarmi, anche se non sottovalutavo la loro pericolosità. Ero abituata ad avere a che fare con dei licantropi. Il mio ragazzo era il lupo più impulsivo del branco e avevo assistito a ben tre trasformazioni. Ormai conoscevo la natura imprevedibile e rabbiosa dei mutaforma: era qualcosa con il quale sapevo rapportarmi.
Ma un confronto con Leah… beh… mi terrorizzava più di dieci licantropi messi insieme, perché non avevo idea di come gestire una situazione del genere.
Non sapevo cosa aspettarmi da lei: avrebbe potuto infuriarsi, urlare, prendermi a schiaffi oppure trattarmi con sufficienza, ignorarmi… sarebbero state tutte reazioni degne di Leah.
Ecco di cosa avevo paura: l’ignoto, il non sapere come Leah avrebbe reagito.

Il suo sguardo sembrava scolpito nella pietra, tanto era impassibile, imperscrutabile e privo di emozioni.
Che cosa si nascondeva dietro quella scorza dura e fredda? Rabbia? Furia? Sofferenza?
La calma apparente del suo viso doveva essere interpretata come la quiete prima della tempesta o il dolore era così forte da non lasciare spazio ad altre emozioni e sentimenti?

L’improvviso avanzare fluido e sinuoso di Leah pose fine a tutte le mie stupide congetture.
Paul si materializzò al mio fianco, forse temendo un attacco da parte della ragazza, ma con mio grande sollievo mi resi conto che Leah non stava camminando verso di me.
Ignorai Paul, che borbottava qualcosa di cui non colsi il significato e senza sapere esattamente perché, seguii Leah fino alla tomba di Harry Clearwater: era venuta per dire addio a suo padre.

Dopo aver raggiunto la lapide, la ragazza si inginocchiò per terra davanti ad essa. Mi fermai dietro di lei, a pochi passi di distanza da dove si trovava. Non osai aprire bocca: anche se Leah non mi aveva più degnato di uno sguardo, ero sicura che avesse avvertito la mia presenza alle sue spalle.

Mentre lei fissava la pietra grigia in silenzio, non potei fare a meno di notare alcuni particolari del suo aspetto.
I capelli, che fino a qualche giorno prima erano stati lunghi e setosi, adesso erano corti e ispidi. A giudicare dai tagli netti e irregolari, se li era accorciati da sola.
Alcune foglie erano rimaste impigliate tra le ciocche nere. Indossava una maglietta più grande di diverse taglie e lunga fino alle ginocchia. Come i piedi nudi, le gambe e le braccia, l’enorme T-shirt era sporca di terra e fango, oltre che sgualcita e strappata in più punti.
Immaginai un grande lupo grigio correre da solo nel bosco in preda alla rabbia e alla disperazione e mi si strinse il cuore pensando a quanto Leah stesse soffrendo. Ancora una volta provai quel terribile senso di nullità e impotenza, che da qualche giorno mi tormentava senza concedermi tregua.

Intanto la ragazza aveva appoggiato un portafotografie contro la lapide. La foto ritraeva un Harry Clearwater sorridente, che teneva in braccio una bambina dal viso allegro e solare e dai lunghi capelli neri. La bimba reggeva tra le mani una maschera da lupo.

“Questa foto è stata scattata quando avevo nove anni”, spiegò Leah senza voltarsi e cogliendomi alla sprovvista. Il tono di voce usato era neutro, privo di qualsiasi inflessione. “Per la recita di fine anno…”, continuò lei, “…dovevamo inscenare Cappuccetto Rosso. La maestra mi aveva assegnato la parte del Lupo”*.

Fece una pausa, come se si aspettasse un commento da parte mia o magari stava soltanto guadagnando tempo, per racimolare le forze e non lasciarsi andare. Poi si voltò verso di me, piantando i suoi occhi neri come la pece nei miei: solo una lacrima era sfuggita al suo ferreo autocontrollo. Con un ghigno sarcastico, che faticosamente si era fatto largo sul suo viso imperturbabile, chiese: “Com’è che si dice? Ironia della sorte?”.

Rimasi in silenzio. Era solo una domanda retorica, ma anche se così non fosse stato, non sarei stata in grado di parlare: la tensione era qualcosa di tangibile, che aveva occluso la mia gola con un nodo molto stretto, quasi soffocante.

“Il destino si prende gioco di me, non trovi anche tu?” domandò ancora.

“Leah… io…”

Uno schiaffo mi colpì prima ancora che potessi rendermene conto.
Non lo avevo visto partire, né tanto meno arrivare, ma sentivo la guancia bruciare maledettamente. Tuttavia, non osai fiatare o lamentarmi.

“Leah, calmati!” la ammonì Sam alle mie spalle. Accanto a lui c’era Paul: lo sentivo fremere di impazienza. Molto probabilmente non era ancora intervenuto solo perché Sam lo stava trattenendo.

Leah non si scompose. Non tremava, all’apparenza era calma: il suo autocontrollo era davvero sorprendente. Continuava a fissarmi intensamente, come se Sam non avesse aperto bocca: forse stava aspettando un’altra occasione per schiaffeggiarmi.

“Mi dispiace…”, sussurrai.

Chiusi immediatamente gli occhi, temendo un altro colpo da parte sua, ma questa volta lo schiaffo non arrivò. Mi azzardai a sbirciare…

Leah aveva incrociato le braccia al petto e in silenzio studiava la mia faccia con un sopraciglio inarcato. Non c’era nulla di amichevole nella sua espressione, ma se non mi aveva preso a pugni, forse voleva dire che era disposta ad ascoltare le mie patetiche scuse. Presi un bel respiro profondo per farmi coraggio e provai a comporre una frase per dare voce al mio dispiacere. Purtroppo, trovare un soggetto, un predicato e un complemento che andassero bene in quella circostanza, era un’impresa a dir poco titanica, anche perché il nodo in gola non sembrava intenzionato a sciogliersi.

“So di averti… delusa…”

“Delusa?”, mi interruppe subito Leah, “Delusa?” ripeté ancora una volta con più foga.

I suoi occhi fiammeggiarono di rabbia, mentre digrignava i denti e serrava i pugni.
Arretrai di un passo, intimorita, ma l’attimo passò rapidamente: le sue iridi si spensero come un fuoco sul quale viene gettata dell’acqua.

“No, Yvonne. Ti sbagli. Non sono affatto delusa”, sussultai e per qualche brevissimo istante, il mio cuore si riempì di speranza. “Non da te, almeno…”.

Aggrottai la fronte senza capire.

“Sono delusa da me stessa”, esclamò improvvisamente con cadenza piatta e monocorde, “Come ho potuto essere così sciocca? Dopo quello che ho passato, come ho fatto a fidarmi di te? Ti consideravo un’amica… che ingenua sono stata!”.

Impietrita, ascoltavo le sue parole di fuoco, che si conficcavano nel mio petto come tizzoni ardenti. Invece di bruciare, avevo l’impressione che il mio cuore si fosse congelato: il ghiaccio era mille volte più doloroso delle fiamme.

“Non è necessario che ti senta in colpa, perché la causa di tutto questo dolore non sei tu... neanche Sam… tanto meno Emily. Se c’è un responsabile in questa storia, quella sono io, che ho creduto alla tua amicizia e alla tua lealtà”.

Il silenzio lugubre che ci avvolgeva era insopportabile. Veniva interrotto soltanto dai respiri lenti e profondi di Leah e dalla sua voce dura e fredda.

“Non si tratta nemmeno di tradimento. Tu, Sam, Emily, mia madre, mio padre… non avete fatto altro che obbedire alle regole, dico bene? Perciò la vostra coscienza è pulita”, scrollò le spalle simulando indifferenza, come se l’argomento non la riguardasse, “Non hai alcun motivo per scusarti, Yvonne. Smettila di fingerti pentita o tormentata”.

Non avevo la forza di ribattere o di distogliere lo sguardo dal suo. I suoi occhi erano come calamite per i miei.

“Sto bene. Benissimo!”. Chissà, forse lo credeva davvero. “Sono sopravvissuta fino ad ora… continuerò a sopravvivere anche dopo e senza certe amicizie fasulle andrà ancora meglio. Meglio soli che male accompagnati, dico bene?”

Non aggiunse altro.
Mi dedicò un’ultima occhiata carica di disprezzo e poi si avviò nuovamente verso il bosco.
Avrei voluto dire qualcosa, invocare il suo perdono, inseguirla, trattenerla, impedirle di scappare ma non feci niente di tutto ciò.
La vergogna e il senso di colpa, uniti alla consapevolezza di essere nel torto mi avevano sottratto la forza per reagire e lottare.

“Leah!”, la chiamò Sam, “Non puoi fuggire per sempre. Hai dei doveri verso la tribù e correre da sola non è sicuro”.

“So badare a me stessa” rispose lei, senza fermarsi o voltarsi, con tono atono e neutro.

“Comportarsi come una bambina capricciosa non riporterà in vita tuo padre” tentò ancora Sam.

La voce del ragazzo era ferma e severa, ma il suo viso raccontava tutta un’altra storia: leggevo disperazione nei suoi occhi, come qualcuno che non sa da quale parte cominciare per riparare a un danno di cui si sente colpevole.

Arrivata al limitare del bosco, Leah si fermò.

“C’è solo un modo per costringermi a restare e tu sai quale…” replicò lei.

La ragazza continuava a darci le spalle, mentre fissava la vegetazione che si stagliava di fronte a lei.
Era una sfida: Leah stava sfidando il Capo Branco a usare l’Ordine Alpha su di lei.

Una folata di vento spazzò il prato del cimitero, mentre i secondi trascorrevano a una lentezza esasperante.

“Come immaginavo!” esclamò infine, sogghignando vittoriosa.

Poi la ragazza scomparve tra gli alberi.

Sentimmo una risata amara echeggiare per tutto il cimitero. Ben presto, però, essa si tramutò in un ululato triste e lontano.

***

“Perché non l’hai fermata?”

Urlare contro Sam era quasi terapeutico.

Paul mi tratteneva per evitare che mi scagliassi sul suo amico. Le possibilità che facessi del male a Sam erano praticamente nulle. Probabilmente quella che rischiava di procurarsi qualche frattura o ferita ero io…
Ma in quel frangente, ragionare in modo lucido era tutt’altro che facile, mentre la voglia di picchiare Sam troppo forte.
Proprio com’era accaduto in ospedale - quando avevo inveito verbalmente contro la stupidità di Bella Swan - anche adesso cercavo una valvola di sfogo su cui riversare la frustrazione, la rabbia verso me stessa e il senso di colpa.
Prendersela con qualcun altro era più facile che affrontare la cruda realtà dei fatti.

Le parole di Leah mi avevano ferito nel profondo: questo era il punto.

Tra tutte le possibili reazioni che mi ero prefigurata, quella era sicuramente la peggiore.
Se Leah avesse urlato, se mi avesse rotto un braccio o una gamba, se avesse inveito brutalmente contro di me, se mi avesse insultato e denigrata, usando epiteti offensivi e umilianti, se avesse fatto tutte queste cose contemporaneamente… beh… neanche in quel caso avrei provato un dolore e una vergogna tanto forti.
La calma, il distacco e la freddezza con cui aveva parlato - addossandosi la colpa di tutto e sputandomi in faccia, con una semplice occhiata, il disprezzo che provava per me - erano stati più distruttivi di mille insulti o danni fisici.

“È tutta colpa tua!”, gridai ancora.

Il volto di Sam - sofferente quasi quanto il mio - mi diceva che lui era d’accordo con le mie parole.

Non era questa la verità.

Sam mi aveva fatto promettere di mantenere il segreto sulla loro vera natura, ma non ero stata costretta a farlo. Si trattava di un favore che avevo concesso al branco. Dal momento che non ero un membro della tribù e che di conseguenza non ero tenuta a rispettare le regole di segretezza dei Quileute, avevo scelto liberamente: nessun obbligo. Avevo deciso spontaneamente di tacere la verità a Leah e adesso dovevo pagare le conseguenze della mia scelta.
Purtroppo accettare ciò era tutto un altro paio di maniche.
Scaricare il barile sulla groppa degli altri era molto più semplice e gratificante.

“Ti odio!”

Vidi Sam chiudere gli occhi e respirare profondamente: sembrava bearsi delle mie grida, come se ogni fibra del suo corpo anelasse tuffarsi a capofitto in quelle accuse.

“Per favore, Yvonne! Cerca di ragionare…” mi implorava Paul, la cui voce era impregnata di insicurezza e preoccupazione. Non mi aveva mai visto in uno stato così pietoso… neanche io, a dire il vero.

“Lasciami andare, lasciami!”

Tentavo si sfuggire alla presa ferrea di Paul, ma quella non cedeva di un millimetro.

“Ho. Detto. Lasciami. Andare” scandii, ormai al limite di sopportazione.

“Fa come ti dice” sussurrò Sam.

Perfino io riuscii ad avvertire l’ordine, che si celava dietro quel tono calmo e dimesso.
Paul non poté far altro che obbedire ed io, che stavo ancora lottando per divincolarmi, trovandomi improvvisamente libera e sbilanciata in avanti, caddi per terra come un peso morto.

Mi rialzai faticosamente, ignorando la mano che Paul mi aveva offerto, decisa a incamminarmi verso il sentiero che portava al luogo in cui era parcheggiato il pick-up. Paul mi afferrò per il braccio prima che potessi muovere un solo passo, costringendomi a voltarmi verso di lui.

“Non è colpa tua!” esclamò, fissandomi negli occhi con una tale intensità da lasciarmi basita per alcuni secondi.

Come riusciva a leggermi dentro in quel modo?

“Sì, invece!” replicai furente, dopo essermi ripresa.

“Leah non pensa quelle cose. È sconvolta dal dolore, ma presto capirà di aver sbagliato” continuò lui. Sembrava sicuro di quello che affermava, ma ero troppo sconvolta per credergli.

“Sono io ad aver sbagliato! Ho tradito la sua fiducia, non sono stata leale nei suoi confronti. Ma che ne sai tu di fiducia e lealtà? Tu… che avevi promesso di essere sempre sincero con me e invece mi hai tenuto nascosta la cosa più importante?”

“Cosa…”

Non gli permisi di terminare la domanda.

“Pensavi che non lo avrei scoperto? Cristo! Mi credi così stupida?”

“Posso sapere di che diavolo stai parlando?”

“Imprinting!” sibilai con rabbia sempre crescente.

Paul sgranò gli occhi, come se dalla mia bocca fosse uscita una bestemmia impronunciabile.
Sfruttando la momentanea paralisi che la parola “imprinting” gli aveva causato, cominciai a correre. Uscii dal cimitero, dirigendomi verso l’auto. La mia fuga era infantile, ridicola e soprattutto inutile, dal momento che la macchina era di Paul, che le chiavi si trovavano nella tasca dei suoi pantaloni e che di certo non potevo tornare a casa a piedi.
Ma come ho già detto, era difficile ragionare in modo lucido…

Mi fermai soltanto quando ebbi raggiunto lo spiazzo in cui si trovava il pick-up. A quel punto mi voltai indietro e mi accorsi - delusa e sollevata al tempo stesso - che Paul non mi aveva seguito. Se lo avesse fatto, non sarei arrivata tanto lontano.

“Yvonne? Tu-tutto bene?”

Quel balbettio mi era fin troppo familiare…

“Trevor!” esclamai meravigliata, notando solo in quel momento l’uomo inginocchiato accanto alla ruota posteriore della sua auto, che a sua volta era posteggiata a qualche metro di distanza da quella di Paul. “Pensavo che te ne fossi andato” aggiunsi incredula.

“Ruota a terra… la sfortuna mi perseguita” rispose lui, ridendo imbarazzato e grattandosi la testa: un tic che gli vedevo fare spesso quando era a disagio.

“È-è successo qualcosa?” chiese lui.

Studiava attentamente la mia espressione, la quale con grande probabilità era parecchio sconvolta. La sua temerarietà mi colse di sorpresa: difficilmente Trevor aveva avuto il coraggio di guardarmi negli occhi.

“Beh… a dire il vero… quel passaggio mi farebbe molto comodo adesso” farfugliai impacciata, abbassando gli occhi a terra.

Sembrava che i ruoli si fossero invertiti.

“Fi-finisco di montare la ruota di scorta e andiamo” fu la sua risposta, accompagnata da uno dei suoi tipici sorrisi, timidi ma incredibilmente gentili.

***

Trevor riponeva nella guida la stessa attenzione che un chirurgo avrebbe dedicato a un’operazione a cuore aperto estremamente delicata: scrupoloso fino allo sfinimento nel rispettare il codice della strada, lento fino all’esasperazione nel guidare… probabilmente una vecchia zoppa - a piedi - ci avrebbe superato senza troppi problemi.
L’uomo strizzava gli occhi per non perdere di vista la strada, come se quella potesse scomparire da un momento all’altro. Arpionato al volante come una scimmia al suo albero, seguiva le curve con una pignoleria snervante.
Tutto sommato, però, appariva tranquillo.

Da quando aveva messo in moto la macchina, nessuno di noi due aveva aperto bocca. Il silenzio non mi dispiaceva, ciononostante non riuscivo a rilassarmi. Me ne stavo seduta sul sedile anteriore della macchina, rigida come un manico di scopa, in attesa che l’interrogatorio cominciasse. Avendo una madre e dei parenti impiccioni per natura, per me era difficile credere che un adulto in una circostanza come quella si facesse gli affari suoi. Al posto di Trevor, mia madre ne avrebbe approfittato immediatamente.
Così, tenevo lo sguardo fisso sul parabrezza, mi torturavo le mani sudaticce, facevo tamburellare il piede nervosamente e… aspettavo.
Aspettavo ma il momento tanto temuto sembrava non arrivare mai.
Ogni tanto gli lanciavo qualche occhiata in tralice: Trevor sembrava in pace con se stesso, immerso nella guida e in un mondo tutto suo.

“Insomma... non mi va di parlarne…” esordii, come se lui mi avesse rivolto una domanda indiscreta.

“Ehm… d’acco-cordo” rispose lui, dubbioso.

“Sono cose private” aggiunsi, come se volessi giustificarmi… di che cosa poi, questo non lo so!

“Ehm… posso capire”.

Il suo tono era ancora più incerto di prima.

Come minimo pensava che fossi pazza!

“Perché capitano tutte a me?” sbottai improvvisamente, cogliendo Trevor e me stessa alla sprovvista.

La macchina deviò leggermente a sinistra, ma Trevor la riportò sul giusto lato della carreggiata quasi subito.

“Qualcuno mi ha fatto il malocchio? Magari… non so… ho scatenato l’ira degli dei? La sfiga perenne è in realtà una punizione inflittami per qualche motivo a me sconosciuto?”

Non è che sembrassi pazza… io ero pazza!

Trevor continuava a guidare, come se il sedile da me occupato fosse vuoto e invece di sentirmi scoraggiata dal suo silenzio, continuavo a blaterare e a gesticolare senza ritegno.

“Non credo di aver chiesto cose impossibili. Vorrei soltanto trovare delle persone che mi accettino per quello che sono, senza pregiudizi. Vorrei sentirmi apprezzata, capita, amata ma ogni volta che sto per ottenere ciò che desidero, succede qualcosa e… pluff… tutto scompare in una nuvola di fumo” esclamai, mimando con le mani e le braccia una grossa esplosione. “Dimmi, Trevor…”

L’uomo mi rivolse un’occhiata preoccupata: forse non gradiva essere interpellato in modo così diretto, forse preferiva il ruolo dell’ascoltatore passivo.

“…vedi qualcosa che non va in me? Ho forse qualche verruca ripugnante sul naso? Ti sembro una cattiva ragazza? Emano un cattivo odore per caso?” chiesi, alzando gli occhi verso l’alto, come se la risposta potesse cadermi dal cielo.

“Ehm… no… certo che no” rispose lui titubante.

“E allora perché le cose non possono andare mai come vorrei? Perché deve andare sempre tutto storto? Ce la metto tutta, davvero! Ma qualsiasi cosa faccia, finisce sempre male. Perché…”

“Quando la mia… oh, scusa… ti ho interrotto…”

Mi ammutolii all’istante, sbalordita dall’improvviso quanto inaspettato intervento di Trevor. Dopo alcuni secondi, che utilizzai per riconnettere la spina del cervello alla presa della bocca, riuscii a farfugliare: “Non ti preoccupare. Parla pure…”

“Ehm, sì… dicevo… quando la mia… ex-moglie mi… mi ha lasciato, mi sono posto le tue stesse do-domande” riprese lui.

Appariva un po’ incerto su alcune parole, come se non sapeva quali fossero le più adatte per quel tipo di conversazione.

“Sono sempre stato un tipo so-solitario e introverso. A scuola non avevo molti… amici, lo avresti mai imma-maginato?” domandò sorridendo.

“Ehm… stai facendo del sarcasmo, vero?” chiesi, sperando di non averlo offeso.

Lui annuì, continuando a sorridere bonariamente.

Trevor aveva fatto una battuta? Sbalorditivo!

“I miei compagni mi evitavano perché mi ritenevano un ti-tipo… strano, un secchione che stravedeva per la ma-matematica…”

“Incredibile!” esclamai, non riuscendo a frenarmi. Subito dopo mi morsi la lingua: non era carino prenderlo in giro, soprattutto mentre mi confidava cose così personali.

“Adesso sei tu a fare del sarcasmo…” mi riprese lui, senza mai cancellare dal suo volto quel sorriso così… trevoriano.

“Perdonami, non volevo mancarti di rispetto. Il fatto è che odio la matematica e mi meraviglio sempre quando incontro qualcuno che ne va pazzo” provai a spiegarmi, per rimediare allo scivolone.

“Non sono così su-suscettibile”, mi rassicurò lui, “A ogni modo…”, riprese il suo discorso, “…con il divorzio mi è ca-caduto il mondo addosso. Improvvisamente ero di nuovo solo. Mi sembrava di esser to-tornato al liceo. Sono stati anni difficili e pa-parecchio deprimenti. Beh… dopo dieci anni di fidanzamento e otto di ma-matrimonio…”

“Caspita!” esclamai sbalordita.

“Già…” commento lui, annuendo pensieroso, mentre fissava la strada di fronte a sé.

“Perché ti ha lasciato?”

Era una domanda parecchio indiscreta – purtroppo, facendo parte di una famiglia di pettegole, anch’io avevo ereditato il gene del pettegolezzo – ma Trevor non si scompose.

“Non ci… amavamo più, sta-stavamo insieme so-solo per abitudine e lei se n’è resa co-conto prima di me…”

L’argomento non gli era del tutto indifferente. Lo capii da come il balbettio era aumentato esponenzialmente e dal rosso porpora che aveva colorato le sue guance. Tuttavia la cosa non mi stupì: mia madre faceva di peggio quando ripensava a mio padre.

“Non… non volevo acce-cettarlo, ma la verità era che l’unico mo-motivo per cui vivevamo ancora sotto lo ste-stesso tetto era nostra figlia” spiegò infine lui.

“Mi spiace” ed ero sincera.

“Ormai è pa-passata” commentò, provando a suonare naturale. “Mi sono rifatto una vita… ho degli amici - pochi ma buoni - certi pre-pregiudizi non muoiono mai…”, fece una piccola smorfia contrariata, “…e poi, ho incontrato tua madre” e questa volta vidi comparire sul suo volto uno sguardo trasognato, che mi riscaldò il cuore e mi fece ben sperare.

“Quello che cerco di dire è…”, riprese poco dopo, “…ca-capita a tutti di attraversare momenti difficili. Spe-spesso le cose non vanno come vo-vorremmo. Non so cosa sia su-successo a te ma prima o dopo le co-cose miglioreranno: l’importante è stri-stringere i denti e non la-lasciarsi abbattere. Te lo dice uno che si è abbattuto pa-parecchio” e sorrise un’altra volta.

Rimasi in silenzio per qualche minuto a riflettere su quanto Trevor mi aveva appena raccontato. Dopo attimi di intenso ponderare, l’unica cosa che riuscii a dire fu: “Adesso mi sento molto stupida e infantile”.

E non poteva essere altrimenti. Mi ero appena accorta di aver assunto un comportamento alla Edward Cullen - rabbrividii istintivamente -, anche se lui avrebbe sbraitato un po’ meno.

“Non intendevo… cioè, volevo so-solo… forse… non avrei do-dovuto intromettermi…” farfugliò lui, scoraggiato.

“No, hai fatto bene”, mi affrettai a chiarire, “Hai rimesso tutto nella giusta prospettiva. Anch’io la penso come te - lagnarsi non serve a niente - ma lo avevo dimenticato”, feci una pausa e poi sorridendo aggiunsi: “Grazie”.

“Beh… prego… sono fe-felice di essere stato… come dire… utile?”

Sembrava quasi una domanda.

“Utile”, confermai.

“Utile”, ripeté lui e ritornò a concentrarsi sulla strada, annuendo tra sé e sé, come se stesse seguendo un discorso mentale tutto suo.

Forse cominciavo a comprendere perché Trevor piacesse tanto a mia madre, ma rimanevo ferma sulla mia convinzione: quel tipo era davvero bizzarro!

***

Ok! Facciamo il punto della situazione.

Leah?
Mi odiava.
Lauren?
Idem con patate.
Paul?
Stava per fare la fine del cagnolino al guinzaglio con la prima oca di passaggio.
Ero a tanto così dal non passare l’esame di matematica e rimanere bloccata per sempre in quel buco di paese, chiamato Forks.
Cos’altro?
Ah, sì!
Rischiavo di rimanere sola per il resto della mia vita.
Dovevano pur esserci dei lati positivi, no?

Brava, Yvonne! L’ottimismo è il profumo della vita!**

Lati positivi… lati positivi…
Se fossi stata una vampira, quel rimanere sola per il resto della mia vita avrebbe avuto senz’altro una connotazione molto più deprimente. Meglio novant’anni - cento al massimo - che un’eternità di completa solitudine, dico bene?

E questo sarebbe il lato positivo?
Davvero incoraggiante Yvonne!
Tu sì che sai come risollevarti il morale!

Mi lasciai cadere sul letto, stanca di quel delirio.

Dopo la conversazione di quella mattina con Trevor, avevo tentato in tutti i modi di non ricadere nel baratro dell’autocommiserazione, ma i miei tentativi stavano fallendo miseramente e la situazione mi stava letteralmente sfuggendo di mano.

Mi ero ripromessa che non avrei mollato e che avrei insistito nel cercare di farmi perdonare da Leah e Lauren, ma purtroppo ero una gran vigliacca e comunque, affrontare Leah poche ore dopo il nostro ultimo scontro non era una buona idea.

Erano da poco passate le quattro del pomeriggio.
Mia madre e Trevor tubavano innamorati in salotto ed io stavo aggiungendo il suicidio alla lista delle alternative a mia disposizione.

Basta, Yvonne!
Hai promesso: niente autocommiserazione.
Devi reagire!

Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare!

Risparmiati i proverbi, per favore. La situazione è abbastanza critica.

Stavo impazzendo: questo era poco ma sicuro.

Non sapendo cosa fare - più per disperazione che per un reale motivo - afferrai il cellulare e lo accesi: lo avevo spento prima di andare al funerale di Harry.
Pochi secondi più tardi, arrivò un avviso di chiamata. Aprii il messaggio, sicura che si trattasse di Paul, ma mi sbagliavo…

“Edward?”

Scattai a sedere, neanche fossi stata fatta di gomma.

Il vampiro aveva provato a telefonarmi durante la cerimonia.
Che cosa era successo?
Forse era davvero lui, il Cullen tornato a far visita a Bella?

Composi immediatamente il numero, ma una voce metallica mi informò che…

Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile. La preghiamo di richiamare più tardi”.

“Merda!”

Tentai più volte, ma non ottenni mai una risposta.

Frustrata come non mai, lanciai il cellulare sulla scrivania – vecchio com’era, mi faceva solo un favore se si rompeva in mille pezzi – e ancora una volta mi lasciai cadere sul letto.

***

“Yvonne?”

Qualcuno mi stava chiamando, ma non avevo voglia di aprire gli occhi.

“Yvonne, svegliati!”

Avevo la netta sensazione che se avessi fatto come mi veniva chiesto, sarai stata costretta ad affrontare qualcosa di molto spiacevole.
Volevo continuare a dormire, perdermi nell’oblio del sonno e dimenticare tutti i problemi che mi tormentavano.

“Dobbiamo parlare”.

Appunto!

Serrai con più forza gli occhi, provando con tutta me stessa a ignorare chi aveva disturbato il mio sonno… inoltre quella situazione risvegliava in me un fastidioso senso di deja-vù…***

Due labbra calde e morbide si posarono sulle mie, invitandole a dischiudersi leggermente.
Risposi al bacio quasi istintivamente, inducendo il disturbatore – la cui identità a quel punto non mi era più ignota – a sorridere.

“Ti piace il ruolo della Bella Addormentata, non è vero?” chiese, ridendo nell’incavo del mio collo.

Sì, mi piaceva e tanto.

“Io invece preferisco la parte del lupo cattivo…”

La sua voce si era arrochita ancora più del solito.

Coccolata dalle sue mani e dalla sua bocca, mi lasciai sfuggire un piccolo gemito di piacere.

“Mhn… forse… potremmo parlare dopo, che ne pensi?” chiese lui con voce gutturale e spaventosamente eccitata.

Sì… dopo…

No, non era giusto.

Un’ultima volta, solo una volta… ti prego…

Non potevo approfittare di lui.

Era strano articolare un pensiero di quel tipo, visto che era stato Paul a tendermi un agguato mentre dormivo. Sembrava convinto che facendo l’amore, le cose tra noi si sarebbero aggiustate. Forse credeva addirittura che avessi digerito la faccenda dell’imprinting. Naturalmente si sbagliava in entrambi i casi: sapevo che una notte insieme non avrebbe cambiato nulla, perché al sorgere del sole, una volta uscito da quella finestra, la paura di perderlo e di essere abbandonata sarebbe tornata più forte di prima.
Fare l’amore con lui, sapendo che la nostra storia non aveva un futuro, era a tutti gli effetti “approfittare di lui”.

Paul aveva già slacciato i bottoni della mia camicetta, quando con una leggera pressione delle mani sul suo torace, lo indussi a mettersi seduto.
Obbedì senza protestare ma mi fissava con espressione confusa e perplessa.

“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” sussurrò preoccupato.

Non gli risposi.

Presi un respiro profondo, portai le braccia al petto, come a voler arginare il dolore che presto si sarebbe propagato dentro di me e senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi, sussurrai…

“Paul, dobbiamo parlare”.

***

“Perché?”

Camminava avanti e indietro per la stanza ed io lo osservavo, seduta sul mio letto, come quella notte di alcune settimane prima, quando avevamo ammesso i nostri sentimenti e avevamo fatto l’amore per la prima volta.
Purtroppo adesso le circostanze erano del tutto diverse.
Da diversi minuti, ormai, avevamo superato la fase critica... quella fatta di urla, recriminazioni, tremori inquietanti e rabbia incontenibile.
Fortunatamente mia madre era andata a dormire a casa di Trevor. Per una volta, la sorte era dalla mia parte.

“Per favore, non rendere le cose più difficili. Ne abbiamo già discusso…”

“Mi rifiuto di accettare queste cazzate!” protestò Paul.

Descrivere l’espressione del suo viso in quel frangente è difficile. In lui vedevo agitarsi terrore, rimorso, senso di colpa e soprattutto rabbia. Non so dire se fosse rivolta a se stesso o a me: ciò rimaneva un mistero.

“Cazzate?”, ripetei incredula, “Un giorno incontrerai la tua anima gemella e mi dimenticherai e tu hai il coraggio di chiamarle cazzate? Vivrai felice e contento con la tua metà, mentre io finirò col buttarmi da una scogliera, come quella pazza di Bella Swan, solo per attirare la tua attenzione”.

Naturalmente non sarei mai arrivata a un gesto tanto scellerato, ma volevo che Paul comprendesse l’entità del dolore che avrei provato, se lui mi avesse abbandonato per un’altra.

Calde lacrime rigavano il mio volto e lo sguardo di Paul si addolcì immediatamente. Smise di muoversi avanti e indietro, si inginocchiò di fronte a me e dopo aver preso il mio viso tra le mani, con tono supplichevole, ripeté la filastrocca che avevo sentito già diverse volte negli ultimi trenta minuti.

“L’imprinting è una cosa rarissima…”

“Due lupi su cinque”, gli ricordai, interrompendolo, “La matematica non è un’opinione!”

“E che cosa dovrei fare?”, chiese lui, deciso a non mollare, “Reprimere i sentimenti che provo per te, in attesa di una magia che potrebbe non verificarsi mai?”, fissò i suoi profondi occhi neri, così tristi e disperati, nei miei e continuò: “Ti riesce così facile lasciarmi?”

“Facile? Credi sia facile per me?”.

Perché si ostinava a non capire?

Lo spinsi via da me e mi alzai per raggiungere la finestra. Gli diedi le spalle, mentre facevo finta di contemplare l’oscurità. Una brezza fredda e leggera mi solleticò il viso. Speravo che mi aiutasse a rimanere lucida.

“Non lo faccio solo per egoismo”, spiegai, tentando di suonare calma e controllata, “Voglio lasciarti libero: in questo modo, quando incontrerai lei, non ti sentirai in colpa. Sam soffre molto per quello che ha fatto a Leah, credi che non lo sappia?”

Adesso sì che assomigliavo a Edward Cullen. La cosa non mi piaceva, ma non vedevo altre soluzioni.

“E poi…”, mi voltai e gli rivolsi l’occhiata più fredda e distaccata del mio repertorio, “…parli proprio tu, che eri disposto a rinunciare a noi in nome della tribù e delle vostre regole?”

Con due lunghi passi, per nulla scoraggiato dalla mia freddezza, attraversò la stanza e mi fu di nuovo di fronte. Posò le sue mani sulle mie spalle: aveva un disperato bisogno di contatto fisico, come io del resto.

“Adesso è diverso…”, farfugliava impacciato, “…prima non avevo idea a cosa stessi rinunciando”.

Non dovevo cedere.

“Ammettilo, Paul. La mia incolumità e le regole di segretezza non c’entravano nulla. Tu mi hai allontanato a causa dell’imprinting. Vedendo che cos’era accaduto a Sam, Emily e Leah, non volevi commettere lo stesso errore”, dal suo sguardo compresi che avevo fatto centro, così rincarai la dose, “Lo hai capito anche tu che tra noi non può funzionare, ma non vuoi ammetterlo!”

“Non intendo accettare una decisione che tu hai preso da sola” sibilò a denti stretti.

“Credo che tu non abbia altra scelta” replicai nel tono più duro possibile.

Un ringhio feroce proruppe dal suo petto, facendomi sussultare.
Mi afferrò per la vita e mi strattonò contro il suo petto.
Mi ritrovai a pochi centimetri dalla sua bocca.

Le cose non si mettevano per niente bene.

La chiave era restare lucida - solo così sarei riuscita a rimanere ferma sulla mia decisione - ma il profumo e il calore della sua pelle non mi rendevano le cose semplici e Paul lo sapeva bene.

“Io ti amo, dannazione!” esclamò disperato.

Boccheggiai in cerca di aria, mentre il mio cuore prese a battere furiosamente.
Era la prima volta che me lo diceva in modo così esplicito e diretto.
Certo, lo sapevo già - me lo aveva fatto intuire in mille modi - ma sentirselo dire così, stretta tra le sue braccia, avvolta dal suo calore e da quel profumo così intenso, con il suo sguardo penetrante che non mi lasciava un attimo e… la sua bocca… oddio… quella bocca!

Non potevo cedere…

“E so che anche tu mi ami.”

…ma era così difficile resistergli.

“Non ci sarà nessun imprinting per me”.

Sembrava quasi una promessa e in quel momento sarebbe stato così facile credergli e lasciarsi andare…

“Non ci sarà nessun’altra per me”.

…ma non dovevo e non potevo cedere.

“Come fai a esserne così certo?” domandai, nel tentativo di apparire padrona di me stessa, anche se è difficile imbrogliare un ragazzo con i sensi sviluppati di un lupo.

“Perché conosco i miei sentimenti: io ti…”

“Per favore, smettila!” lo interruppi bruscamente.

Non volevo sentirlo un'altra volta, sarebbe stato ancora più difficile dopo.

“Io. Ti. Amo” scandì, ignorando i miei lamenti.

“Vattene, Paul”.

La mia voce non aveva un tono molto convincente.

“No”.

Secco e deciso: non si sarebbe smosso di un millimetro.

“Esci da questa stanza”.

Un sussurro sarebbe parso più rumoroso in confronto al mio farfugliare.

“No”.

Impossibile farlo ragionare.

“Pau…”

E com’era prevedibile, mi zittì con un bacio.
Mi baciò nel suo tipico modo irruento, brusco ma tremendamente passionale.
Lo avevo capito fin dall’inizio che sarebbe finita in quel modo - noi due, avvinghiati contro una parete - ma non avevo fatto nulla per oppormi o per impedirlo, perché lo avevo desiderato anch’io, con tutta me stessa.

Ansimante almeno quanto me, si allontanò dalla mia bocca quanto bastava per sussurrare: “Lo vedi? Non riuscirai a starmi lontana. Tu mi ami… mi vuoi”. Così dicendo aumentò la stretta sui miei fianchi, facendo aderire ancora di più i nostri corpi.

“Non ho mai detto di non amarti” replicai, senza fiato.

“Non ti lascerò in pace. Non mi arrenderò…”

…fin quando non incontrerai lei, completai per lui.

Mi guardai bene dal dirlo ad alta voce, perché se dovevo porre fine alla nostra storia e se quello era davvero il nostro ultimo momento insieme, allora non volevo guastarlo con il pensiero di colei che me lo avrebbe portato via.

Impressi nella mia mente ogni dettaglio, ogni particolare di quell’ultima volta.
Avrei custodito gelosamente il ricordo della notte in cui non c’era stato nessun obbligo tra noi, nessuna magia a condizionare i nostri sentimenti, soltanto il desiderio di appartenerci e un amore vero, incredibilmente reale.

“Ti amo, Paul. Amami anche tu… amami per l’ultima volta”.

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Note di fine capitolo:
*“Per la recita di fine anno […] dovevamo inscenare Cappuccetto Rosso. La maestra mi aveva assegnato la parte del Lupo”: riferimento a una one-shot che ho scritto per un contest e che ha come protagonisti Harry e Leah Clearwater. C’erano una volta un Lupo Grigio e una piccola Lupacchiotta.
**L’ottimismo è il profumo della vita: frase ripresa da un noto spot pubblicitario.
***“…inoltre quella situazione risvegliava in me un fastidioso senso di deja-vù…”: riferimento al capitolo 11 della prima ff su Yvonne.

________________________________

Note autore:

Ringraziate Eclipse, che con quella ridicola particina riservata al personaggio di Leah, mi ha spinto a concludere il capitolo e postarlo!

Attenzione!
Il paragrafo delimitato dalle frecce contiene spoiler del film Eclipse.

-->Il film è carino, paradossalmente il migliore dei tre, nonostante sia meno attinente al libro rispetto agli altri due. Le uniche note davvero stonate sono il personaggio di Leah e la mancanza dell’epilogo, con Jake che riceve l’invito al matrimonio e scappa per il troppo dolore.
Detto questo, non voglio dare vita ad un dibattito sul film, quindi passiamo alle precisazioni sull’aggiornamento.<--

Il capitolo non mi piace… non mi piacciono i contenuti, non mi piace il modo in cui è scritto… insomma, lo odio!
Ero sul punto di cancellarlo e riscriverlo daccapo ma il buon senso mi ha detto di non farlo.

La prima parte, quella in cui Yvonne dice che non sa cosa aspettarsi dalla reazione di Leah, riflette i miei dubbi su come impostare la scena e il comportamento di Leah.
Spero che il risultato finale - la reazione della Lupa - sia stato abbastanza coerente con il personaggio.

La conversazione con Trevor serve ad alleggerire un po’ il capitolo – ma non so se ci sono riuscita – e a far avvicinare Yvonne al futuro patrigno… ops! Cos’era quello? Uno spoiler?

Spero si sia capito perché Yvonne riceva l’avviso di chiamata da parte di Edward.
Vi ricordate che Edward aveva lasciato ad Yva il numero di cellulare per essere avvisato in caso di emergenza?
In pratica…
Rosalie ha telefonato al vampiro per informarlo sulla “morte” di Bella. Edward chiama Yva per avere conferma dell’accaduto. Sfortunatamente il cellulare di Yva era spento, perché la ragazza si trovava al funerale di Harry e così Edward, troppo impaziente per attendere qualche ora, telefona a casa di Bella e da lì comincia la tragedia. Insomma, la mia ff non ha nulla da invidiare a una soap-opera!

Alla fine, rimane solo la nota dolente.
Volete uccidermi?
Non vi biasimo, io stessa vorrei farlo…
Yvonne ha lasciato Paul… beh… diciamo che si sono concessi un’ultima… ehm… fate un po’ voi… ma per Yva la loro storia è conclusa. Paul non è dello stesso avviso, però!

Passiamo ai ringraziamenti. Se perdo ancora un po’ di tempo, rischio di cancellare tutto!

Per Melody Potter: grazie per la recensione. A presto, vannagio.

Per _GP_: ciao cara! Come ho detto nello scorso capitolo, l’idea di far andare Yva al funerale di Harry mi è venuta quasi subito. Sono contenta che la cosa non ti sia dispiaciuta e che tu sia riuscita facilmente a visualizzare tutte le scene descritte. Trevor è un’anima pura, non nasconde nessuno scheletro nell’armadio, tranquilla! Mi spiace che non ti dica niente… probabilmente la colpa è mia che non riesco a renderlo bene. Grazie per la recensione. Bacioni, vannagio.

Per loli89: allora? Come ti è parsa la reazione di Leah? Fortunatamente non ci è scappato il morto XD. La lupa si è contenuta, anche se non con le parole… sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Fammi sapere cosa pensi di quest’ultimo aggiornamento. Grazie per la recensione. Baci, vannagio.

Per sailormoon81: ciao cara! In realtà io non ho mai studiato con la musica in sottofondo - non ne sarei capace - ma quando ho scritto quella parte, ho pensato che Yva fosse la tipica ragazza che mette la musica ovunque XD. Beh… Paul è fatto così, non è mai stato un campione di delicatezza, ma forse, da un certo punto di vista, è proprio questo che attrae Yvonne. Cmq avevi indovinato: la storia tra Yva e Paul è giunta al termine (mi viene da piangere). Riguardo alla tua domanda sull’imprinting… forse ho reso male la parte con Kim, ma è chiaro che lei è innamorata di Jared, anzi, lei era cotta di lui già prima che il licantropo venisse “folgorato”. Kim ha descritto ciò che accade al Lupo, perché era questo che interessava a Yvonne e ha tralasciato la parte che la riguardava. Inoltre nei libri, la Meyer non specifica se il colpo di fulmine si verifichi allo stesso modo sull’oggetto dell’imprinting. La mia teoria è che la ragazza avverta qualcosa, ma che per lei non sia così vincolante come per il lupo. Non so se mi sono spiegata. Jacob – non ricordo dove, forse in Eclipse – dice che la ragazza oggetto dell’imprinting ha la possibilità di scegliere, ma che è difficile resistere ad un tale livello di adorazione. Insomma, dopo questo poema, ti ringrazio per la recensione e per gli errori evidenziati. Spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Baci, vannagio. P.S.: Trevor non ha niente da nascondere, è soltanto un timidone senza speranze.

Per crazyfv: ciao carissima! Grazie per i complimenti e la recensione. Sono felice che il capitolo e la descrizione del funerale ti sia piaciuta. Ci tengo molto a quella parte. Come ti è parsa la reazione di Leah? È stata come te l’aspettavi? Tranquilla, Trevor è una brava persona. Da lui possiamo aspettarci solo gesti buoni e teneri! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Bacioni, vannagio.

Per Dackota: ciao carissima! Non serve che ti scusi, ti capisco perfettamente! Mi fa piacere che la parte del funerale sia stata apprezzata. Ero un po’ in ansia per la reazione di voi lettori. Davvero hai trovato un libro sui Quileute? Beh… fammi sapere, allora! Cmq, l’onore di averti dedicato il capitolo è tutto mio. Cosa ne pensi del “confronto” Leah/Yva? Delusa? Contenta? Preoccupata? Beh… non è che Trevor sia così misterioso… è solo un tipo molto timido e impacciato. Yva lo vede “strano e bizzarro”. Il mio intento è di farli legare e di instaurare tra loro un rapporto pseudo padre-figlia, anche se ci vorrà un po’ di tempo affinché si raggiunga questo livello. Grazie per la recensione e i complimenti, sempre graditissimi. Bacioni, vannagio. P.S.: per la recensione alla one-shot… niente ringraziamenti: te la meriti!

Per Beatriz Aldaya: ciao cara! Ma di nulla… la dedica era solo un piccolo pensiero per il tuo compleanno! Sei in vacanza? Nel senso che sei partita? Beh… beata tu, ti invidio molto! Sono contenta che la scena del funerale ti sia piaciuta. Riguardo alla reazione di Leah, come hai potuto leggere anche tu, non è morto nessuno (XD), anche se la situazione non è delle più rosee. Grazie per la recensione e per i complimenti. Goditi le vacanze anche per me! Baci, vannagio.

Come sempre ringrazio anche chi legge, segue, preferisce e ricorda questa ff.

A presto, vannagio.

P.S.: se avete voglia di leggere qualcosa di nuovo, ho pubblicato una piccola longfic.
La protagonista di questa ff è Rebecca Black e si intitola Papà, ti presento tuo nipote!
Date un'occhiata ;)

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Capitolo 22
*** Corsa / Volterra / Verdetto ***


Corsa / Volterra / Verdetto: l’apatia del bruco con il mal di stomaco


“Yva!” esclamò sconvolta mia madre, dopo essere entrata nella mia stanza senza bussare. Normale amministrazione per lei.

“Mhnunnng…”

“Ti senti male?”

“Grrrruungn…”

“Si può sapere che cosa stai facendo?”

“Studio matematica, non si vede?” risposi sarcastica, intuendo che quei versi non avrebbero convinto ‘la donna che mi aveva messo al mondo’ a lasciarmi in pace.

“Studi? Sdraiata sul letto a pancia in su, con un libro poggiato sulla faccia?”, chiese mia madre. Anche se non potevo vederla, sentivo il suo sguardo scettico addosso.

“È una nuova tecnica di apprendimento. Se non mi credi, cerca su Google!*”

“Yva!” mi rimproverò lei con voce stridula.

“D’accordo, d’accordo!”

E sospirando nel modo più plateale possibile, tolsi il libro dal viso e mi alzai a sedere sul materasso con le gambe incrociate. “Volevi dirmi qualcosa?” domandai infine, anche se conoscevo già la risposta.

“Sì”, rispose mia madre. Esitò un istante prima di continuare. “Ha chiamato la zia Sarah…”

Mi lasciai cadere tra i cuscini del letto, gemendo disperata.

“…è preoccupata per Lauren”, raccontò lei, ignorando la mia reazione, “Tua cugina è sempre giù di morale. Lo scorso sabato ha rinunciato a un’intera giornata di shopping, ti rendi conto? Non è da lei!”

Afferrai il libro e lo misi nella stessa posizione di prima: aperto sulla faccia.

“Questo pomeriggio sono stata invitata dalla zia Sarah per la solita partita di poker settimanale. Perché non vieni anche tu? Potrebbe essere un’ottima occasione per riallacciare i contatti con Lauren, non credi?”

“Grrrruungn…”

“Il tuo è un atteggiamento molto infantile, Yvonne. Pensavo che volessi bene a tua cugina”.

“Mhnunnng…”

“Quando reciti la parte dell’adolescente incompresa, sei insopportabile!”

La sentii uscire dalla stanza e chiudere la porta violentemente. Non si fece più vedere, nemmeno per dirmi che il pranzo era pronto.

Trascorsi buona parte della giornata così: a pancia in su con il libro sulla faccia. Scoprii che - se non facevo caso al dolore al naso - quella posizione aveva un effetto rilassante su di me. Non vedevo nulla e sentivo solo l’odore della carta stampata. L’unico senso che non riuscivo a ‘spegnere’ era l’udito. Fortunatamente mia madre non produceva suoni o rumori percepibili a grande distanza, perciò mi sembrava di essere chiusa all’interno di una stanza insonorizzata.

In quel frangente non mi importava se avevo fatto arrabbiare mia madre o se Lauren stava male. Non mi importava più di niente, perché niente aveva senso. Desideravo solo essere lasciata in pace fino alla fine dei miei giorni.

L’apatia era un’esperienza del tutto nuova per me e con mio grande stupore mi accorsi che… mi piaceva! Aveva sostituito il dolore, la vergogna, il senso di colpa, di nullità e inadeguatezza. Non provare nulla mi faceva stare meglio, mi impediva di soffrire, mi proteggeva.

Paul se n’era andato all’alba, prima che mi svegliassi e aveva lasciato un biglietto accanto al cuscino.


Il dovere mi chiama ma non cantare vittoria: continueremo il nostro ‘discorso’ più tardi.
Ti amo, Paul.


Quel messaggio aveva scatenato un pianto isterico in piena regola della durata di circa quindici minuti. Poi, recuperato un minimo di autocontrollo, avevo sbarrato la finestra e tirato le tende per impedire a Paul di intrufolarsi nella mia stanza.
Per distrarmi dai pensieri funesti, avevo provato a dedicarmi allo studio, poiché l’indomani - lunedì - sarebbero ricominciate le lezioni ed era prevista una verifica di matematica. Dopo neanche cinque minuti, mi ero ritrovata distesa sul letto, con il libro che mi schiacciava il naso. Da allora non mi ero più mossa.

Nel primo pomeriggio, ricevetti un’altra visita di mia madre. Facendo finta di non notare che mi trovavo ancora nella stessa posizione di quella mattina, mi informò che sarebbe andata dalla zia Sarah per giocare a poker e che sarebbe tornata in tempo per preparare la cena.
L’unica risposta che ricevette da parte mia fu un grugnito. Lynett commentò con un “Non ti riconosco più!” davvero risentito.

***

Era passata mezz’ora da quando mia madre era andata via.
Stavo vagliando la possibilità di alzarmi dal letto e mettere qualcosa sotto i denti. Avevo saltato il pranzo e i morsi della fame cominciavano a farsi sentire. Tuttavia ero restia ad abbandonare lo stato di pseudo-catatonia in cui mi trovavo, perché la paura di venire sopraffatta dalle emozioni era viva più che mai in me.

In quel momento - non so bene perché - ripensai a Leah.

Sicuramente stava soffrendo tantissimo ed io non potevo aiutarla in nessun modo.

Non puoi o non vuoi aiutare Leah?, chiese la solita vocina impertinente.

All’improvviso tutti i sentimenti negativi e dolorosi che avevo represso tramite l’apatia tornarono a galla con prepotenza. Mi tolsi il libro di matematica dal viso e con violenza lo scagliai contro la scrivania.

Che diavolo mi stava succedendo?
Perché mi stavo comportando come uno zombie?

Hai dimenticato la promessa che avevi fatto a te stessa?

Niente autocommiserazione e ottenere il perdono di Leah e Lauren.

Esatto! Perciò, datti una mossa: alza il culo da quel letto e telefona a Leah immediatamente.

Purtroppo mi mancava il coraggio. E anche la forza di volontà.

Devo cominciare a chiamarti ‘Mezza Albina Swan’ per convincerti?

NO!

Era necessario fare qualcosa - subito! - prima che l’apatia tornasse ad avere la meglio su di me.
Uscii dalla stanza, scesi velocemente le scale e correndo, raggiunsi il telefono. Afferrai la cornetta, composi il numero di casa Clearwater e…

…riagganciai.

Che cosa potevo dirle? Leah mi odiava e in ogni caso non sapevo neanche se fosse tornata a casa.

Smettila di inventare scuse!

Presi un respiro profondo e contai fino a dieci per guadagnare un po’ di tempo.

Non essere vigliacca, puoi farcela!

Dopo numerosi tentativi infruttuosi e imprecazioni varie, riuscii a comporre il numero per intero. Il telefono squillò a vuoto per alcuni secondi, poi finalmente qualcuno rispose.

“Pronto?”

Non appena riconobbi la voce, ricominciai a respirare, anche se non mi ero resa conto di aver smesso.

“Ciao Seth, sono Yva”. Da un certo punto di vista ero contenta che avesse risposto il fratello di Leah. Parlare con lui sarebbe stato più semplice. “Scusa il disturbo. Volevo soltanto sapere se… se Leah era tornata a casa”.

Seth non rispose subito, come se avesse bisogno di riflettere per trovare la risposta giusta alla mia domanda. Forse anche lui era arrabbiato con me. Forse anche lui, come Leah, mi riteneva una traditrice. “Sì, Yvonne. Leah è rientrata questa notte” disse alla fine.

“Davvero? E sta bene?” chiesi di slancio, animata da una nuova speranza.

“Beh, non proprio”.

Il tono di voce del ragazzo era spento e monocorde.

“Capisco” farfugliai cupa. Lo sconforto generato dalla risposta del ragazzo aveva ucciso definitivamente anche quel piccolo barlume di speranza. “Seth, sono preoccupata per Leah e… sono anche dispiaciuta per quello che è… accaduto. Potresti dirle da parte mia che...”

“No, smettila…

“Seth?”

"Sto parlan…”

Che diavolo era tutto quel chiasso?
Sembrava che dall’altro capo del telefono si stesse svolgendo un incontro di pugilato.

“Seth? Tutto bene?” domandai ancora, titubante.

“Questa si chiama violenza gratuita! Ridammi il telef… Yvonne?”

Sussultai, presa alla sprovvista.
L’ultima parola - il mio nome, per l’esattezza - era stata pronunciata da una voce diversa da quella di Seth.

“Yvonne? So che sei tu. Il mio udito è più sviluppato adesso” continuò la voce, palesemente irritata. Il tono acido e sarcastico era inconfondibile.

“Ehm… ci-ciao Leah” balbettai, impacciata. Il cuore galoppava alla massima velocità consentita.

“Ascoltami bene, Yvonne. Se hai qualcosa da dirmi, non usare mio fratello come emissario: parla direttamente con me. Se invece sei troppo codarda per affrontarmi, allora non ti disturbare più a telefonare. Mi sono spiegata?”

L’atteggiamento della ragazza nei miei confronti era cambiato rispetto il giorno prima: l’indifferenza si era trasformata in rabbia e aggressività.
Buono o cattivo segno?
Era ancora da stabilire.

“Mi dispiace Leah, io… non… ti prego…”

Avevo così tante cose da dire che non sapevo da dove cominciare e l’unico risultato che ottenni fu un miscuglio di parole sconnesse e senza senso.

“Non ho tempo per i tuoi patetici balbettii”, mi interruppe lei, sempre più infuriata, “Ho altri problemi cui pensare: mio padre è morto, mi sono trasformata in un mostro, il mio ex-ragazzo si atteggia a Capo Branco di un mucchio di mocciosi super dementi che non si fanno mai gli affari loro e come se non bastasse, Jacob Black tormenta l’intero mondo creato, piagnucolando per quella stupida ragazzina che è andata a farsi ammazzare in Italia da un branco di sanguisughe reali”.

“Come? Cosa…”

“Non sono la tua informatrice, Yvonne. Se ci tieni a conoscere le ultime ‘entusiasmanti’ novità dello schifo di mondo del quale faccio parte, rivolgiti a quell’idiota del tuo ragazzo. Non rompere i coglioni a me, d’accordo?”

“Leah, aspetta!”

Troppo tardi. Aveva già agganciato.

***

Quando si è tristi - la parola ‘tristezza’ nel mio caso era un eufemismo ma meglio non andare troppo per il sottile - e non si hanno a disposizione amici o familiari pronti a concederti il loro affetto, una vaschetta di gelato al cioccolato può rappresentare una vera e propria ancora di salvezza.
La sfigata - cioè io - non aveva nemmeno quella.
Per questo motivo, acciambellata sul divano come un bruco con il mal di stomaco, fissavo con sguardo vacuo lo schermo del televisore. Non avevo idea di cosa stessi guardando. Le immagini scorrevano davanti a me senza che riuscissi a interpretarle.
Avevo solo bisogno di qualcosa che facesse abbastanza rumore da impedirmi di pensare e per il momento il vecchio trucco della tv accesa a tutto volume stava funzionando.

Pioveva a dirotto e lo scrosciare della pioggia sul tetto si univa al frusciare delle foglie, al raschiare dei rami contro le finestre, alle frasi senza senso dello spiker e alle sigle improbabili dei programmi televisivi, aumentando l’effetto ‘anti-pensiero’ che mi era essenziale per sopravvivere.

Ero così presa da quel vortice di suoni che in un primo momento non mi accorsi del campanello di casa. Al secondo squillo sollevai il capo, studiando da lontano la porta d’ingresso, come un cane che drizza le orecchie quando percepisce l’arrivo di un estraneo. Al terzo squillo mi alzai svogliatamente dal divano e senza preoccuparmi del fatto che fossi ancora in pigiama - mi trovavo in uno stato mentale che definire ‘al di là del bene e del male’ è poca cosa -, raggiunsi l’ingresso. Quando aprii la porta, ciò che vidi mi lasciò completamente senza parole…


È passato quasi un anno da quando ho cominciato a raccontarvi la mia storia e penso che ormai avrete imparato a riconoscerne i momenti cruciali.
Solitamente si tratta di situazioni disastrose in cui mi trovo in condizioni fisiche e/o mentali penose, indosso il pigiama di Mickey Mouse, piove a catinelle e/o fa freddo e sono sola in casa.

Mi sembra che i presupposti ci siano tutti, dico bene?

Perciò, preparatevi al peggio e non bestemmiate per favore. Non sono una religiosa convinta ma la persona che siede accanto a voi potrebbe esserlo.

Detto questo, dove ero arrivata?

Ah, sì!


Quando aprii la porta, ciò che vidi mi lasciò completamente senza parole…

“Manuel!”

…o quasi.

***

Le dita picchiettavano nervosamente sul tavolo della cucina, mentre aspettavo che Manuel uscisse dal bagno e mi spiegasse il motivo della sua visita a sorpresa. Quel ragazzo stava diventando un maestro delle comparse improvvisate!
Non lo avrei mai fatto entrare se non avessi notato lo stato in cui si trovava.
Quando avevo aperto la porta, mi ero trovata di fronte a un ragazzo che si reggeva a stento in piedi, bagnato dalla testa alle punte delle scarpe, con occhiaie profonde intorno agli occhi e un borsone da viaggio sulle spalle. Non avevo avuto il coraggio di cacciarlo a calci nel sedere come avrei voluto.
Beh, forse stavo solo mentendo a me stessa. Forse la rabbia per quello che era successo tra noi era scemata del tutto e non gli avrei negato la mia ospitalità neanche se avesse goduto di ottima salute…

Dei passi mi misero in allerta e posero fine alle mie riflessioni. Mi voltai verso l’entrata della cucina e a stento repressi una risata.

“Il color cachi ti dona molto!” scherzai.

I vestiti di Manuel erano completamente fradici, compresi quelli che si trovavano nel borsone, perciò ero stata costretta a prestargli un cambio. Il risultato finale era quasi surreale. I capelli lunghi, i tatuaggi e i piercing stonavano non poco con la camicia a quadri e i pantaloni color cachi, che appartenevano a Trevor e che erano più grandi di tre taglie. Mancavano soltanto le bretelle e il farfallino per completare il quadro.

“Dico davvero! Dovresti indossarlo più spesso” rincarai la dose ma Manuel non reagì come mi aspettavo.

Un sorriso forzato comparve sul suo viso, non raggiunse gli occhi ma scomparve quasi immediatamente. Il ragazzo prese posto accanto a me e poggiò stancamente i gomiti sul ripiano del tavolo. La mano sinistra sorreggeva il capo all’altezza della fronte, mentre i capelli ricadevano in avanti, impedendomi di scrutare il suo viso.

“Che cosa ti è successo?” chiesi, preoccupata da quel comportamento anomalo.

Attesi in silenzio una risposta.

Dal salotto giungeva il vociare della televisione che avevo dimenticato accesa. La pioggia non accennava a diminuire e il martellare dell’acqua sulle tegole era diventato assordante.

Manuel si ostinava a non rispondere, alimentando così ansia e timore.

“Ti… ti sei cacciato in qualche brutto guaio?” domandai con titubanza.

Era un’eventualità altamente improbabile. Nonostante le apparenze, Manuel non era il tipo di ragazzo che si faceva coinvolgere in storie di droga o loschi affari. Tuttavia il suo mutismo non aiutava a smorzare la mia paura.

“Manuel, ti prego!”

“No”, rispose finalmente con tono apatico, “Non riguarda me…”

Quel ‘no’ non era sufficiente a rassicurarmi, volevo saperne di più.

“Per favore, spiegami” lo implorai.

Allungai una mano verso di lui, ma - spaventata dal mio stesso gesto - la ritrassi immediatamente, prima di riuscire a sfiorarlo.

“Fred è scomparso” esclamò lui all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista.

“Cosa?”

Fred? Il bassista della band di Manuel? Sparito?
Mi ero immaginata di tutto per spiegare il suo aspetto a dir poco trasandato: risse, litigi, tracolli finanziari, scioglimento della band, abbandono del college, patetici tentativi di riconquistarmi…
Mai e poi mai avrei pensato a una cosa del genere.

“Fred è scomparso, nessuno ha idea di dove si trovi” ripeté Manuel sempre senza guardarmi.

“Ma…”

“Verso la metà di gennaio”, mi interruppe lui, “Fred è partito, dicendo che sarebbe andato in Florida per far visita ad alcuni suoi amici che non vedeva da qualche tempo. Da allora non è più tornato”.

“Gennaio? Sono passati tre mesi!” gli feci notare, sconvolta.

Com’era possibile che si fossero resi conto della scomparsa di Fred solo adesso?

“Lo so, ma vedi… Fred è fatto così: sparisce per un po’ di tempo, fa perdere le sue tracce - ha un talento naturale per non farsi trovare - e poi ricompare all’improvviso. Per questo motivo all’inizio non ci siamo preoccupati. Ma adesso è diverso…”

“Perché?” chiesi subito, corrugando la fronte.

“Tom ha telefonato agli amici di Fred - quelli della Florida - per avere sue notizie: non è mai successo che stesse via tanto a lungo. Quei tipi sono caduti dalle nuvole! Non sentivano Fred da un anno e non sapevano che lui avesse intenzione di andarli a visitare”.

“Avete contatto la famiglia di Fred? Forse…”

“Non servirebbe a nulla” rispose Manuel, scuotendo il capo, “I suoi genitori vivono a Vancouver. Fred è scappato da casa quando aveva diciassette anni e vive a Seattle da solo da otto anni. Non so cosa sia successo tra Fred e la sua famiglia - non ne ha mai voluto parlare - ma fidati se ti dico che Vancouver sarebbe l’ultimo posto in cui cercarlo” spiegò pazientemente, mantenendo lo sguardo fisso di fronte a sé.

“Sono sicura che Fred sta bene e che c’è una spiegazione logica a questa situazione” cercai di rassicurarlo.

“Tom ha parlato con la polizia. A quanto pare, Fred non è l’unico ragazzo a essere scomparso in questo periodo” aggiunse Manuel, affondando il viso tra le mani.

Che diavolo stava succedendo al mondo? Perché non poteva essere il luogo ameno e idilliaco che veniva descritto nelle pubblicità delle merendine?
Vampiri assassini… branchi di licantropi… padri di famiglia che morivano d’infarto… ragazzi scomparsi senza lasciare traccia…

Di nuovo allungai la mano verso Manuel e questa volta non la ritrassi. Allontanai una ciocca di capelli dal suo viso e gliela sistemai dietro l’orecchio. Infine posai la mano sulla sua spalla nel goffo tentativo di confortarlo.
Percependo quel contatto inaspettato, Manuel si voltò verso di me. I suoi occhi erano intrisi di tristezza e preoccupazione. La sua espressione sconvolta mi fece venire voglia di abbracciarlo ma riuscii a trattenermi con non poca fatica.

“Quello che non capisco è…”, proseguii, distogliendo lo sguardo dal suo, “… perché sei venuto qua?”

Proprio com’era accaduto poco prima, Manuel non rispose subito. Riprese a contemplare le venature scure del tavolo e sospirò come se fosse rassegnato all’inevitabile.

“Tom mi ha telefonato questa mattina. Ero ancora a Port Angeles, a casa del mio amico”.

“A Port Angeles?” lo interruppi con tono vagamente isterico.

Intravidi un sorriso impacciato dipingersi sulle sue labbra, ma non durò a lungo.

“Beh… sai come si dice, no? ‘La speranza è l’ultima a morire!’ Avevo in mente un piano per…”, esitò un istante, “Non ha importanza adesso”, probabilmente aveva deciso di saltare qualche dettaglio imbarazzante, “Quando Tom mi ha raccontato di Fred, ho raccolto tutte le mie cose con l’intenzione di prendere il primo aereo per Seattle, ma… mi sono reso conto che avevo bisogno di parlarti…”

Feci per interromperlo, ma Manuel mi precedette.

“Non fraintendere!”, esclamò, intuendo la mia obbiezione e voltandosi nuovamente verso di me, “Ormai ho accettato la fine della nostra storia ma avevo bisogno di parlare con qualcuno e tu… - lo so che le cose sono complicate - ma tu… sei stata la mia migliore amica per molto tempo. Ci siamo raccontati vita, morte e miracoli l’uno dell’altra e non riesco a immaginare qualcun altro cui confidare i miei problemi. Dovevo sfogarmi. Mi capisci, vero?”

Come potevo non comprendere il suo stato d’animo dal momento che negli ultimi due giorni mi ero sentita più sola che mai?
Nonostante tutto, mi sentivo ancora molto legata a quel folle punkettaro. Avevamo condiviso molto negli anni precedenti alla nostra storia. Perché negargli il mio aiuto, se potevo essergli utile in qualche modo?

Lo fissai dritto negli occhi - questa volta senza imbarazzo - per poi rispondere: “Sì”.

“Davvero?” chiese lui, meravigliato, inarcando le sopraciglia.

Annuii - sorridendo appena - e aggiunsi: “Raccontami tutto fin dall’inizio, vedrai che troveremo una soluzione!”

***

“Allora, siamo intesi?” chiesi, avviandomi insieme a Manuel verso la porta d’ingresso.

Avevamo passato le ultime tre ore a discutere della scomparsa di Fred. Manuel mi aveva riferito tutto quello che sapeva e a me era venuta un’idea per rintracciare il ‘bassista disperso’. Ero quasi certa che il mio piano potesse funzionare. Dovevo solo trovare qualcuno che mi aiutasse: piccolo dettaglio al quale avrei pensato in seguito. Infondo avevo a mia disposizione due diverse razze di creature soprannaturali che mi dovevano un paio di favori…

“Yva, non credo di aver capito…” rispose il ragazzo, guardandomi con espressione perplessa, come un bambino che ha problemi a comprendere la lezione che la maestra ha appena spiegato.

“Non c’è niente da capire” replicai esasperata, roteando gli occhi.

“Vorrei solo sapere a che cosa ti servono i vestiti di Fred” insistette Manuel.

Cocciuto come un mulo!

“Non posso spiegartelo”, ripetei per la ventesima volta, “Tu fai come ti dico, d’accordo? Fidati di me, al resto penserò io”. Cercai di assumere il tono più convincente e rassicurante possibile.

“Va bene” accordò lui, più per rassegnazione che per convinzione.

Ci fermammo davanti alla porta, l’uno di fronte all’altra.

“Ricorda, perché è importante!” esclamai infine, guardandolo dritto negli occhi con espressione estremamente seria, “L’indumento di Fred non deve essere stato lavato di recente. Toccalo il meno possibile, usa dei guanti se è necessario e…”

“… e quando te lo invierò tramite posta, dovrò accertarmi che il pacco sia ben sigillato”, completò lui per me, “Tutto memorizzato!” mi assicurò poi, picchiettandosi le tempie e sfoderando quel suo sorriso così meravigliosamente semplice.

“Bene”, annuii soddisfatta, “Adesso è meglio se vai o finirai col perdere l’aereo. C’è un po’ di strada fino all’aeroporto di Port Angeles, per fortuna ha smesso di piovere”.

“Per fortuna i miei vestiti si sono asciugati. Non sarei mai uscito da qui con addosso quegli orribili ‘cosi’ color cachi” scherzò Manuel, esplicitando con una smorfia il suo disgusto per i pantaloni di Trevor.

“Secondo me ti stavano bene” commentai, non riuscendo a trattenermi dal ridacchiare.

“Sì, certo!” e si unì alle mie risate.

Parlare con me gli aveva fatto bene e sapere che avrei provato ad aiutarlo in qualche modo lo aveva tranquillizzato.
Dal canto mio ero felice di essere stata utile a qualcuno, almeno per una volta. Era una sensazione dieci volte più benefica della sterile apatia, perché scaldava dall’interno e mi faceva sentire in pace con me stessa.

“Pensi che sia possibile?” domandò poi Manuel, serio come quando avevamo discusso di Fred.

“Cosa?”

“Tornare a essere semplici amici. Non so te, ma a me ‘Whatername’** manca molto” spiegò lui, scompigliandosi i capelli con fare imbarazzato.

Anch’io me lo ero chiesta.
Sarebbe stato fin troppo bello riavere indietro il mio adorato amico ‘St. Jimmy’**, ma era davvero possibile comportarsi come se tra noi non fosse accaduto niente?
Era stato fin troppo semplice - quel pomeriggio - recitare la parte degli amici di vecchia data. Impegnata a rassicurare Manuel e a progettare una specie di missione di salvataggio, non avevo avuto tempo per riflettere.
Ma a lungo andare?
Non c’era il rischio che uno dei due potesse ricascare nei vecchi sentimenti? Non ero del tutto sicura che Manuel fosse riuscito ad andare avanti.
Avevo passato mesi di inferno e non me la sentivo di imbarcarmi in una difficile e confusa relazione ‘amichevole’ con il mio ex-ragazzo. Senza contare che la situazione con l’altro ex-ragazzo - che tale non voleva considerarsi - non si era ancora chiarita del tutto.

“Non so, Manuel. La vedo difficile” risposi, concludendo ad alta voce la mia riflessione.

“Non impossibile, giusto?” replicò Manuel, speranzoso.

Cocciuto come un mulo, non c’era niente da fare.

“Può darsi”.

Non mi sentivo pronta a concedergli di più.

“È già qualcosa” esclamò lui, sorridendo sornione, come se avesse letto i miei pensieri.

Ci scambiammo un abbraccio veloce e il notare come quel gesto non mi lasciasse del tutto indifferente mi convinse che forse era meglio non costruire castelli in aria.
A volte non ci è concesso tornare indietro. Quel che è fatto è fatto!

“Grazie, Yvonne. Non so che cosa avrei fatto senza di te”.

Scossi la testa per fargli capire che non era necessario ringraziare.

Aprii la porta per permettergli di uscire e…

“Yvonne!”

Quell’esclamazione concitata era fuoriuscita dalla bocca di Paul, che si trovava sulla soglia di casa - la mano ancora sollevata in aria, pronta per suonare il campanello - e ci fissava con gli occhi fuori dalle orbite.

“Che diavolo ci fa lui qui?” chiese il licantropo, digrignando i denti in maniera decisamente minacciosa.

Il cupo brontolio che seguì alle sue parole e il tremore inquietante delle spalle di Paul indussero Manuel a indietreggiare di qualche passo.

Quel che successe in seguito è materia per la prossima puntata.

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Note di fine capitolo:
*“…cerca su Google…”: piccola citazione presa da una scena del film di Twilight. Durante l’escursione scolastica alle serre, Edward spiega a Bella che è riuscito a fermare il furgoncino di Tyler grazie ad una scarica di adrenalina. Lei non ci crede e il vampiro, come se nulla fosse, le suggerisce di cercare su Google.
Conversazione assurda, a mio parere!
**St.Jimmy e Whatername: oltre ad essere i titoli di due canzoni dei Green Day, sono i nickname che Yva e Manuel usavano per chattare su msn. Per saperne di più, leggere la prima ff della serie.

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Nota autore:

Si accettano scommesse sulla scomparsa di Fred!

Vi sono mancata? Voi immensamente!
Mi spiace di avervi fatto aspettare per un mese, gli impegni erano tanti e non ho avuto tempo di dedicarmi alla stesura di questo capitolo. Purtroppo temo che per il prossimo aggiornamento dovrete attendere fino all’ultima settimana di agosto, perché tra il 16 e il 22 partirò per una breve vacanza e non penso che avrò l’occasione di scrivere. Spero che questo non vi induca ad abbandonarmi.

Andiamo al capitolo…
Siete sconvolte?
Vi aspettavate il ‘ritorno’ di Manuel?
Che ne pensate?
Siete arrabbiate, felici o indifferenti?
Fatemi sapere, perché ho voglia di leggere i vostri commenti, mi siete mancate tanto - nessuno escluso - e non scherzo XD.
Ci tengo a precisare che il ‘ritorno’ di Manuel non è una trovata dell’ultimo minuto, praticamente l’avevo progettata fin dall’inizio. Il motivo della sua visita - la scomparsa di Fred -, invece, l’ho escogitata in queste ultime settimane e vi assicuro che non è un mero espediente… avrà la sua importanza in seguito. Potete fare delle ipotisi, se volete.

In questo capitolo non mi sono soffermata in modo approfondito sullo stato d’animo di Yva. Non so se la scelta sia giusta o sbagliata, ma nei post precedenti mi sembra di aver descritto ampiamente i suoi sentimenti. Ne erano venuti fuori dei capitoli un po’ tristi, perciò mi sono detta che per quest’aggiornamento potevo concedermi il ‘lusso’ di fare meno introspezione.
Ditemi cosa ne pensate. Il vostro parere è importante.

Non credo ci sia altro da aggiungere.
Per il prossimo aggiornamento, vi do una piccola anticipazione.
Il sottotitolo del capitolo sarà: “A volte ritornano… di nuovo!”.
A chi si riferisce secondo voi? Domanda tremendamente difficile!

Vi annuncio che alla fine della ff mancano due capitoli e l’epilogo.

Ringraziamenti.

Per Dackota: Ciao carissima! Come sempre è un piacere leggere i tuoi commentoni, che mi danno modo di riflettere sulla trama e sui personaggi della mia ff. Comprendo il tuo punto di vista riguardo al discorso ‘imprinting’ e alla tua filosofia del ‘vivi oggi e non pensare al domani’. È anche vero che il mondo è bello perché è vario. Francamente se mi trovassi al posto di Yva non riuscirei a sorvolare sul dettaglio ‘imprinting’ così a cuor leggero. Sono una ragazza abbastanza insicura e mi sentirei continuamente minacciata. Sono contenta che la reazione di Leah sia stata – cito le tue parole - coerente con il pg della Meyer. Come ben sai, ci tengo parecchio! Andiamo alla parte che più ti interessa: Edward. Lo sai che tutto questo entusiasmo per il suo ritorno potrebbe essere frainteso? Stai attenta: potrebbero scambiarti per un membro del team Edward! Scherzo ovviamente… come avrai capito, il suo ritorno è vicino. Infine, sul film ‘Eclipse’ non mi dilungo, perché ne abbiamo parlato ampiamente tu-sai-dove XD. Bacioni e ancora grazie, vannagio.

Per crazyfv: Ciao cara! Grazie per la recensione e per le belle parole. Mi piace questa tua nuova tecnica di commentare. Naturalmente sei padronissima di scegliere il modo di recensire a te più confacente. Per me l’importante è sapere che cosa pensi di quello che scrivo! XD Sono contenta che il capitolo sia stato di tuo gradimento e che sia riuscito a coinvolgerti. Ne sono felicissima. Come ti è sembrato questo aggiornamento? Non ti trattenere, mi raccomando! Scrivi tutto quello che vuoi, come vuoi. Bacioni e a presto, vannagio.

Per Razorbladekisses: ciao anche a te! È un sacco di tempo che non ti si vede tra le mie commentatrici, ma non te ne faccio una colpa, assolutamente! Recensire deve essere una cosa spontanea: ci vuole calma e anche pazienza. Io stessa spesso e volentieri perdo tempo nel commentare le storie che seguo per mancanza di tempo o perché non voglio lasciare commenti frettolosi che non sanno di nulla. Ti ringrazio per avermi dedicato un po’ del tuo tempo e per i complimenti che sono sempre graditi XD. Baci, vannagio.

Per Melody Potter: Ciao anche a te! Grazie per la recensione. Per rispondere alla tua domanda… sì, scriverò anche Eclipse Pov Yva. Baci, vannagio.

Per Beatriz Aldaya: Ciao cara! Non vedo l’ora di leggere della tua reazione a questo capitolo XD. Ci sarà da divertirsi XDD. Cmq, per quanto riguarda le tue ipotisi su Leah e la sua possibile rappacificazione con Yva, non posso anticiparti nulla. Anche a me dispiace per Paul e Yva… grazie per la recensione. Baci, vannagio.

Per pinadeipinozzi: Wow! Nuova commentatrice! È sempre bello quando capita! Grazie per la recensione e i commenti. Sono felice che la mia idea ti sia piaciuta a tal punto dal spingerti a sorbirti addirittura due ff intere. Non è da tutti! Riguardo alla visita di Alice in cui speravi, ci avevo fatto un pensierino ma poi ho deciso di non metterla, visto che sicuramente la nostra ‘eroina’ riceverà la visita di un altro Cullen… e non aggiungo altro! Riguardo a quello che hai detto sul film ‘Eclipse’, la penso come te. Baci e grazie ancora, vannagio.

Per sailormoon81: Ciao carissima! Quanto mi fanno gongolare le tue recensioni! Anch’io penso che Leah sia un personaggio ‘ferito’, più che ‘scontroso’. La Meyer l’ha caricata di così tante esperienze tristi e negative che è davvero difficile provare a immedesimarsi in lei o anche solo immaginare come si senta. Perciò sono contenta che nel mio piccolo sia riuscita a scrivere qualcosa di buono su questo personaggio davvero complesso. La tua analisi sul comportamento di Leah è giusta, ma è anche vero che la ragazza è un tipetto molto orgoglioso e sarà difficile per lei ammettere di aver esagerato e fare pace con Yva. Eddy sta per tornare. Sì, avevo capito che non ti stava simpatico. Neanche a me, ovviamente XD. Riguardo al discorso su Paul e l’imprinting, ciò che dici è sensato e lo condivido. Purtroppo quando si parla di questa ‘magia’, si incappa sempre in problemi di questo genere. Anch’io - come te - al posto di Yva avrei dei problemi seri nel decidere come comportarmi. Grazie per gli apprezzamenti. È vero: è difficile far coincidere la mia storia con quella della Meyer e sono contenta che voi lettrici apprezziate i miei sforzi. Siete voi a darmi la forza - nei momenti in cui l’ispirazione scarseggia - per andare avanti. Bacioni e mille grazie, vannagio.

Grazie a tutti quelli che leggono, preferiscono, ricordano e seguono la mia ff.

Grazie anche a Dackota che mi ha inserito tra i suoi autori preferiti, per me è un onore!

A presto, vannagio.

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Capitolo 23
*** Volo ***


Volo: a volte ritornano… di nuovo!


“Che diavolo ci fa lui qui?” chiese il licantropo, digrignando i denti in maniera decisamente minacciosa.

Il cupo brontolio che seguì alle sue parole e il tremore inquietante delle spalle di Paul indussero Manuel a indietreggiare di qualche passo.

Quel che successe in seguito è materia per la prossima puntata.

***

“Che diavolo ci fa lui qui?” ripeté ancora una volta il licantropo.

I suoi occhi neri come il carbone erano ridotti a due fessure e ci fissavano intensamente. La mascella contratta e i pugni serrati davano una vaga idea di quanto il ragazzo si stesse sforzando per non perdere le staffe.

“Paul, controllati per favore” lo pregai.

Ricordargli quanto fosse precario il suo autocontrollo non era una mossa molto astuta. Lo vidi irrigidirsi ulteriormente, mentre le sue spalle si incurvavano come se su di esse gravasse un enorme fardello. Intuendo il probabile pericolo, quasi senza rendermene conto, mi frapposi tra Manuel e Paul.

Pessima idea, decisamente!

“Rispondi alla mia domanda” ringhiò il ragazzo, muovendo un passo nella nostra direzione alla stregua di un toro inferocito.

“Ehi, amico! Tranquillo!”, intervenne Manuel, cogliendomi alla sprovvista, “Non mi pare il caso di scaldarsi tanto” aggiunse, ponendosi al mio fianco e sollevando le mani come a dimostrare che non aveva cattive intenzioni.

“Non sono tuo amico” replicò Paul, fulminandolo con lo sguardo.

“Manuel, stanne fuori” mi intromisi subito e tornai dinanzi a lui in atteggiamento difensivo.

“Yva…” rispose il mio amico con tono dubbioso, poggiando la mano sinistra sulla mia spalla, “Credo che dovresti allontanarti da lui, non mi sembra in sé”.

Aveva scoperto l’acqua calda!
Peccato che non fossi io quella che rischiava di venire azzannata da un lupo gigante…

“Se c’è qualcuno, qui, che deve allontanarsi, quello sei tu…” sibilò Paul, dando voce ai miei pensieri e ai miei timori e fissando con evidente fastidio la mano di Manuel sulla mia spalla. Poi, rivolgendosi a me, chiese con voce tremante: “Per questo vuoi lasciarmi? Per tornare insieme a lui?”

Aveva frainteso. Grandioso!

“No, Paul…” provai a spiegarmi, ma Manuel - ancora una volta - si intromise e facendomi voltare nella sua direzione esclamò, “Aspetta un attimo!”, sembrava turbato per qualcosa, “Sarebbe lui il tuo nuovo ragazzo?”, chiese, indicando Paul, “Il tipo che la scorsa primavera ti ha mollato senza darti una cazzo di motivazione?”. La sola idea pareva indignarlo parecchio.

“Invece tu l’avevi la ‘cazzo di motivazione’ per tradirla, non è così?” intervenne Paul rabbioso.

Ebbi solo una frazione di secondo per agire: volsi le spalle a Manuel e poggiai una mano sul petto del licantropo. Non avrei avuto la minima possibilità di trattenerlo, ma Paul non avrebbe mai corso il rischio di farmi del male. Proprio come aveva immaginato - e sperato - il mio gesto riuscì a frenarlo prima che potesse lanciarsi addosso all’altro ragazzo.

“Smettetela immediatamente!” intimai ai due nel modo più autoritario possibile. Purtroppo non sembravano propensi ad ascoltare.

“Non l’ho tradita e comunque mi ha lasciato” continuò Manuel, comportandosi come se non avessi aperto bocca.

“Non capisco perché tu sia qui, allora” rispose Paul irritato, propendendosi in avanti. L’unico ostacolo che gli impediva di aggredire Manuel era la mia mano, che ancora premeva saldamente - si fa per dire - contro il centro del suo torace.

“Potrei farti la stessa domanda” replicò il batterista in tono sarcastico.

“Questo è il mio territorio!” ringhiò di nuovo il licantropo.

“Come, scusa?” chiesi, rivolgendo a Paul uno sguardo incredulo e sbigottito.

Per chi mi aveva preso? Per un albero contro il quale fare pipì?

Ovviamente la mia indignazione venne ignorata: i due ragazzi continuavano a lanciarsi frecciatine come se fossi invisibile.

“Territorio? Che cosa sei? Un cane?” ironizzò Manuel, senza sapere quanto si fosse avvicinato alla verità, “Per come la vedo io, tu sei stato mollato - proprio come me - e non riesci a fartene una ragione”, aggiunse, lasciandosi sfuggire un risolino sarcastico, che evidentemente non piacque molto a Paul.

“Ti do un consiglio”, lo minacciò il licantropo, guardando il ragazzo dritto negli occhi, “Non farmi incazzare”.

Sotto la mia mano, il corpo di Paul vibrava come la corda di un contrabbasso.

“È una minaccia?”

“Manuel!” lo rimproverai subito, lanciandoli un’occhiataccia ammonitrice. Non conosceva il detto: ‘Non svegliar il can che dorme’?

“Sì.”

Il modo in cui Paul aveva pronunciato quel monosillabo non prometteva nulla di buono. Perfino Manuel se ne accorse. Infatti, perse qualche attimo prima di rispondere.

“Non mi fai paura”. Ma la sua voce - non più ferma e decisa come prima - suggeriva esattamente il contrario. Non era necessario possedere i sensi sviluppati di un lupo per notarlo.

Sul volto teso di Paul comparve il suo tipico ghigno canzonatorio, che in quel momento non aveva nulla di affascinante o simpatico. “Buffo! Mi pare di avvertire un gran fetore provenire dalla tua direzione: puzza di paura…”

“Adesso basta!” strillai disperata. Sentivo Manuel, alle mie spalle, indietreggiare, “Voglio che ve ne andiate subito da qui! Non sono un premio in palio per il più idiota del paese!”

“Non c’è nessun premio in palio, Yvonne”, mi interruppe Paul, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Manuel e fissandolo nei miei, “Tu. Sei. Mia!”, scandì dopo qualche secondo, quasi sillabando.

“Tua? Ti ascolti quando parli?” domandò Manuel con impeto.

L’affermazione palesemente possessiva - e offensiva, se me lo permettete - del Quileute aveva riacceso la spavalderia del mio amico. Fui costretta a mollare Paul per impedire a Manuel di compiere sciocchezze del tipo ‘rompersi l’avambraccio colpendo il licantropo in pieno volto’.

“Manuel!” urlai nuovamente, impiegando tutte le forze cui disponevo per tenerlo a bada, “Non ho bisogno di protezione. Sali su quello stramaledetto aereo, per favore. So cavarmela benissimo da sola!”

“Non mi muovo da qui se lui non se ne va per primo”.

Cocciuto come un mulo?
No!
Un mulo sarebbe stato mille volte più accondiscendente di lui!

“Sei tu a dover sloggiare… amico!” lo canzonò Paul.

“Ti piacerebbe…”

La reazione del licantropo fu tanto prevedibile quanto inevitabile.
Mi allontanò da Manuel con un gesto brusco e poco gentile che mi fece cadere per terra. Senza di me a sbarrargli la strada, fu libero di portarsi a pochi centimetri dalla faccia di Manuel e afferrarlo per il collo della maglietta.

“A dire il vero…” sussurrò minaccioso, mentre Manuel lo fissava a occhi sgranati, incapace di sbiascicare alcunché, “Mi piacerebbe tanto farti a pezzi…”

Mi ero accasciata allo stipite della porta - ormai pronta al peggio e sicura di non poter far nulla per evitarlo -, quando un verso familiare e del tutto fuori luogo giunse alle nostre orecchie, allentando immediatamente la tensione.

“Ehmehmehm”.

Quando si dice: ‘Salvati dal gong’.

In perfetta sincronia - come se ci fossimo messi d’accordo - Paul, Manuel ed io ci voltammo verso la persona che si era schiarita la voce per attirare la nostra attenzione.

“E quello?”, domandò Manuel, talmente sorpreso da dimenticarsi di essere ancora intrappolato nella morsa di Paul, “Da dove diavolo è saltato fuori?”

Dal canto suo Paul sembrava aver perso l’uso della parola. Lasciò andare la maglietta di Manuel senza staccare gli occhi dal nuovo arrivato.

Pantaloni color cachi, camicia a quadri, cravattino in tinta con le bretelle, sguardo leggermente intimorito, occhi perennemente sgranati.

In una sola parola…

“Trevor!”, esclamai meravigliata da quell’apparizione, rimettendomi in piedi, “Come… come mai sei qui?

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi l’uomo esordì con un “Ehm…” davvero eloquente.

Seguì un’altra pausa di riflessione che Trevor utilizzò per studiare i presenti - Paul, Manuel e me. Me, Manuel e Paul. Paul, Manuel e me. -, fin quando non parve convincersi che poteva rispondere liberamente senza offendere nessuno.

“Tu-tua madre mi ha invitato a cena, non te lo ha de-detto?” balbettò finalmente.

La verità? Lo avevo completamente scordato. Probabilmente Lynett me ne aveva parlato mentre mi trovavo nello stato semicomatoso di quella mattina.

“Sei un po’ in anticipo… mamma non è ancora tornata dalla partita di poker con la zia Sarah” spiegai, leggermente in imbarazzo per la situazione in cui Trevor ci aveva colto.

“Ah”, fu la laconica risposta.

Il suo sguardo vagò nuovamente tra i presenti: Paul, Manuel e me. Me, Manuel e Paul. Paul, Manuel, me e la panca sul portico.

“Ehm… allora… aspetterò…”

E senza aggiungere altro, si sedette sulla suddetta panca e prese a contemplare il paesaggio di fronte a sé.

Sbattei più volte le palpebre prima di ricordare dove e con chi mi trovassi.

Mi voltai verso i due ragazzi - entrambi intenti a fissare Trevor con sopraciglia inarcate ed espressioni perplesse - e sospirando sollevata, dissi: “Bene. Credo sia giunto per voi il momento di andare”.

“Neanche per sogno!” esclamò subito Manuel, rinvenendo dalle sue personali riflessioni.

Avevo cantato vittoria troppo presto?
Purtroppo sì.

“Non mi muovo da qui” accordò Paul a braccia conserte.

Almeno su una cosa la pensavano allo stesso modo…

“Questa è casa mia e decido io. Perciò, andatevene!” insistetti, battendo il piede a terra per la frustrazione.

“Dobbiamo parlare” continuò il licantropo, incollando quegli occhi maledettamente profondi ai miei.

“Abbiamo parlato abbastanza, Paul” sbiascicai con poca convinzione.

“Sentito che cosa ha detto?”, accorse in mio aiuto Manuel, “Vattene!”

“Guarda che vale anche per te!” gli fece notare il Quileute, guardandolo in cagnesco.

“Ragazzi, vi prego…”

Provai ad assumere un tono supplichevole nel tentativo di impietosirli ma a quanto pareva ero diventata di nuovo invisibile, perché i due ragazzi avevano ripreso a ringhiarsi a vicenda e non mi davano ascolto.

“Ehmemehm”.

Si può essere salvati dal ‘gong’ due volte consecutivamente?

“No-non vo-vorrei risultare invadente…”, intervenne Trevor, che si era rimesso in piedi e con gli occhi era impegnato in uno strano esercizio del genere ‘ti guardo ma non ti guardo’. “Mi sembra di aver capito che Yva non vi vo-voglia qui…”

Stava parlando ai due imbecilli affetti da ‘testosteronite acuta’?

Il silenzio intorno a noi era assoluto, non volava una mosca.

“Yvonne ed io dobbiamo discutere di alcune cose private” rispose Paul, poco convinto, come se non sapesse che cosa aspettarsi da quell’omino impaurito e incravattato.

“Ed io voglio assicurarmi che non le succeda nulla di male…” completò Manuel, altrettanto perplesso.

Sbuffai, indispettita dall’‘ottusaggine’ di quei due.

Possibile che nella mia vita mi sia innamorata soltanto di gente idiota?
Tyler, Mike, Edward, Manuel, Paul… manca qualcuno?

“Ca-capisco…” sussurrò Trevor, annuendo tra sé e sé come soleva fare spesso. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un cellulare.

“Trevor… cosa…?” domandai confusa.

“Ve-vedremo che cosa ne pe-penserà l’Ispettore di polizia… dopo tutto vi trovate in una pr-proprietà privata…” spiegò l’uomo, rispondendo alla mia domanda incompleta.

Faceva sul serio?
Aveva davvero intenzione di chiamare la polizia?
Era impazzito?
Non volevo che Paul e Manuel finissero nei guai!

Stavo per intervenire per fermare Trevor, ma Manuel mi precedette.

“Ok, ok. Non voglio problemi e rischio anche di perdere l’aereo…”, afferrò il borsone che aveva abbandonato accanto alla porta d’ingresso e voltandosi verso di me, disse: “Ti chiamo appena arrivo, così ci mettiamo d’accordo sulla questione ‘Fred’”. Mi fece l’occhiolino e senza aggiungere altro, prima che potessi replicare qualcosa, si incamminò per raggiungere la più vicina fermata del pullman.

Stavo sognando a occhi aperti?
Probabile…

Paul impiegò qualche secondo in più per decidere.
Quando vide Trevor comporre il numero della polizia e capì che non stava bleffando, si precipitò a darmi un fugace bacio sulla guancia e sussurrando un rapido “Non finisce qui”, si dileguò tra la vegetazione del bosco.

No. Non stavo sognando. Avevo assistito a un vero e proprio miracolo!

“Era davvero così semplice?” chiesi ad alta voce, quasi senza accorgermene.

Trevor si limitò ad annuire e a riporre il cellulare nuovamente in tasca.

Un punkettaro tutto piercing e tatuaggi e un licantropo che per mestiere uccideva vampiri scappavano a gambe levate a causa di un Ispettore di polizia?

Ridicolo!

Trevor ed io rientrammo in casa, ognuno perso nei propri pensieri.

Mancava ancora un’ora al ritorno di mia madre ed io dovevo studiare per la verifica di matematica che si sarebbe svolta a scuola il giorno dopo. Lasciai Trevor all’ingresso - conosceva fin troppo bene la casa per aver bisogno di una guida -, recuperai il libro di trigonometria dalla mia stanza e mi sistemai in salotto.

“Ti-ti va una tisana?” domandò Trevor dalla cucina poco tempo più tardi.

“No” risposi distrattamente, intenta a decifrare i geroglifici di quel volume paurosamente spesso.

“Mi aiutava a concentrarmi quando do-dovevo studiare…”

Sollevai lo sguardo, sorpresa di udire la voce di Trevor tanto vicina. Si era seduto di fronte a me, con una tazza fumante tra le mani.

“Credo che per risolvere il mio problema, ci voglia ben altro di una tisana” replicai con tono funereo.

Rassegnata all’inevitabile, mi lasciai andare stancamente contro lo schienale del divano.

“Beh… se vuoi… po-potrei darti una mano… me la cavavo pi-piuttosto bene con la matematica ai tempi del liceo…” propose Trevor, guardandomi di sottecchi, come se si fosse già pentito di aver aperto bocca.

Gli lanciai un’occhiata perplessa, indecisa se accettare o no.

Forse ero un’ingenua… forse Trevor mi offriva il suo aiuto solo per far colpo indirettamente su mia madre… ma non riuscivo a pensare male di lui.
Se all’inizio mi ero mostrata diffidente nei suoi confronti, adesso ero sicura - al novantanove per cento - di potermi fidare di lui.
Mi aveva appoggiato in diverse occasioni senza chiedere nulla in cambio, perché adesso doveva essere diverso?

“Grazie” farfugliai impacciata, rendendomi conto solo in quell’istante di non averlo ringraziato per aver mandato via Paul e Manuel.

“Di nulla…”, rispose l’uomo, abbozzando un sorriso ancora più imbarazzato del mio.

Abbassai lo sguardo con fare vergognoso, torturandomi le mani sudaticce. Dopo quello che aveva fatto per me, non sapevo dove trovare il coraggio per chiedere a Trevor un ulteriore favore.

“Immagino che… Lynett non de-debba sapere nulla di quei du-due ragazzi, dico bene?”

La mia mascella si spalancò in un modo poco elegante.
Come aveva fatto a capire?

“B-beh…”, balbettai poi, una volta ripresami dallo shock, “Sai com’è fatta mia madre, no?”, scrollai le spalle, accompagnando il gesto con un altro sorriso imbarazzato, “Lei è un tipo un po’…”

“A-ansioso” concluse lui per me.

Annuiva tra sé e sé, fissando un punto non precisato alle mie spalle e sorseggiando la tisana ormai fredda.

“Allora!” esclamai improvvisamente, dopo qualche attimo di religioso silenzio, causando a Trevor un mezzo soffocamento: per lo spavento la tisana gli era andata di traverso.

Attesi che si riprendesse e quando smise di tossire e sputacchiare tisana sul tappeto, domandai: “Come diavolo si fa a distinguere un seno da un coseno?”

***

Il giorno successivo - lunedì - erano ricominciate le lezioni.

Seduta al mio posto, nell’aula di trigonometria, attendevo che il mio inferno personale avesse inizio.
Con quello che avevo passato negli ultimi giorni, definire una semplice verifica di matematica come un inferno era un tantino esagerato. Nel mio caso, però, non avevo studiato un granché e anche se Trevor - la sera precedente - mi aveva aiutato nella risoluzione di alcuni esercizi, ero sicura che con quel compito mi sarei guadagnata una meritatissima insufficienza.
Da quella prospettiva, il diploma era molto, molto lontano.

Mentre recitavo le mie ultime preghiere prima dell’imminente esecuzione, l’aula cominciava a riempirsi lentamente. Notai subito che il banco di Bella Swan era rimasto vuoto.

Mia madre aveva saputo da quella pettegola della zia Sarah, che sabato mattina - mentre mi trovavo al funerale del padre di Leah -, la Mezza Albina era scappata da casa per raggiungere il suo ex-fidanzato, Edward Cullen, dio solo sa dove… per usare le parole di Lynett.

Durante la disastrosa telefonata a casa Clearwater, Leah aveva parlato di un ‘branco di sanguisughe reali’ che vivevano in Italia. Grazie ai racconti di Edward, sapevo che si trattava dei Volturi.

A questo punto la domanda sorgeva spontanea…
Per quale motivo Edward era andato in Italia?
E soprattutto…
Perché Bella Swan era corsa da lui, se non si vedevano e sentivano da circa sei mesi?
Forse c’entrava in qualche modo il misterioso Cullen e la sua improvvisa venuta a casa Swan?

Erano domande destinate a non trovare una risposta, dal momento che Leah non rivolgeva la parola a me e che io non rivolgevo la parola a Paul.

Paul…

Quella notte era venuto a farmi visita per parlarmi e convincermi a rivedere la mia posizione. Fui costretta a ricorrere a tutta la forza di volontà cui disponevo per chiudere a chiave la finestra e tirare le tende.
La mia non era cattiveria o crudeltà. Desideravo che Paul andasse avanti per la sua strada e rispettasse la mia decisione. Un comportamento ambiguo da parte mia non lo avrebbe di certo aiutato. Perciò ero intenzionata a tagliare i ponti definitivamente.
Dopo una mezz’ora di preghiere e scongiuri, che mi avevano causato un dolore e un senso di colpa inimmaginabili - oltre che l’ennesimo pianto isterico in piena regola -, Paul aveva desistito dal suo intento.
Almeno per quella sera ero riuscita a resistere alla tentazione di aprire quella dannata finestra e riaccoglierlo tra le mie braccia.

Il rumore di una sedia che veniva spostata mi riportò al presente.

Con la coda dell’occhio mi accorsi che si trattava di Lauren che si sedeva accanto a me. Anche se non eravamo più amiche, avevamo continuato a condividere il banco a trigonometria, perciò non mi scomposi più di tanto nel vederla.

Continuai a osservarla di sottecchi per alcuni minuti.

Il suo viso era leggermente imbronciato ma non era una novità per mia cugina: non rideva mai se non quando si trattava di spettegolare su qualcuno.
Portava ancora i capelli corti: alla fine aveva deciso di non farli ricrescere. Me ne chiesi il motivo. Lauren era una ragazza molto vanitosa e quei lunghi capelli platinati erano sempre stati qualcosa di cui andare fiera per lei.

Ad eccezion fatta di questi pochi particolari, non scorsi in mia cugina il turbamento o il malessere cui mia madre mi aveva accennato.
Che fosse tutta una tattica di Lynett per convincermi a fare pace con Lauren?
Probabile.

Salutala! suggerì la solita vocina ficcanaso. Perché continui a comportarti da vigliacca?

Me lo domandavo anch’io. Ogni giorno.

Salutala! ripetè la vocina.

La campanella suonò, richiamando in aula gli ultimi, inguaribili ritardatari.

Codarda! mi rimproverò di nuovo la voce.

L’odiato Mr Varner entrò in classe, cominciando subito a distribuire i fogli del compito in classe. Colsi al volo l’occasione per zittire la vocina della mia coscienza una volta per tutte.

***


Little J
Messaggio inviato il 30/03/2006 alle 21:13
“Secondo voi… i vampiri esistono veramente? E se sì, quale aspetto avrebbero?”


Alle ventidue e trentaquattro minuti di quel lunedì sera, fissavo attonita lo schermo del computer, leggendo e rileggendo una discussione che era stata aperta da una delle pochissime utenti del mio forum ‘Fangtasia: accesso libero a umani e non’.

Il topic di Little J aveva riscosso molto successo: poco più di un’ora e aveva già ricevuto una ventina di risposte, nelle quali gli altri utenti avevano espresso il loro parere sull’argomento.
Ovviamente nessuna di quelle ipotesi si avvicinava alla realtà. Probabilmente ero l’unica a conoscere la verità e ad aver avuto dei contatti con dei veri vampiri.
Ero tentata - anzi, tentatissima - di replicare anch’io. Infondo, che cosa facevo di male nel buttare qualche particolare qua e là? Nessuno mi avrebbe preso sul serio.
Gettando la prudenza alle ortiche, cliccai il tasto ‘Reply’ e scrissi:


The Cold One
Messaggio inviato il 30/03/2006 alle 22:40
“Se esistessero, penso che sarebbero molto pallidi, duri come la pietra e avrebbero occhi rossi e cangianti.”


Mentre mi compiacevo di quel gesto incredibilmente stupido e avventato, il cellulare prese a squillare all’improvviso, facendomi sussultare. Sul display lampeggiava un numero che non conoscevo e che non era registrato in rubrica.

“Pronto?” risposi titubante.

“Ciao Yva”.

Nel sentire quella voce melodiosa e sensuale - che per tanto tempo aveva fatto scalpitare il mio cuore come un cavallo imbizzarrito -, rimasi letteralmente spiazzata.

“Edward?” domandai incredula, dopo qualche attimo di esitazione.

“Potresti aprire la finestra? Tra una manciata di secondi sarò sotto casa tua” chiese lui, ignorando la mia domanda.

Tipico di lui. ‘Pretendere e basta’, questo era il suo motto.

“Edward…”

Ovviamente non mi diede nemmeno la fittizia possibilità di mandarlo a quel paese. In fondo, anche se avessi risposto di no, chi avrebbe potuto impedirgli di entrare? Io? Divertente, davvero divertente!
Cominciavo ad averne abbastanza di tutte quelle creature sovrannaturali che facevano sempre di testa loro!

Spensi il monitor del computer e raggiunsi velocemente la finestra. Tirai le tende, spalancai le ante e mi sporsi dal davanzale.

Lui era lì: mani in tasta, gambe leggermente divaricate, bello come solo un vampiro poteva essere, immobile come una statua di cera, mi fissava dal marciapiede.

Edward Cullen.

Quanto di più vicino a un principe azzurro ci fosse nei paraggi… per una ragazza che non aveva idea di che cosa lui fosse in realtà, ovviamente!

Ipocrita, pirla e per giunta… vampiro! Esisteva una combinazione più micidiale di quella?

Lo vidi spiccare un salto, agile e silenzioso come un felino. Ebbi appena il tempo di farmi da parte, che lui era già dentro la mia stanza.

“Noto con dispiacere che i tuoi pensieri non hanno perso l’innata cortesia che li caratterizzava…” commentò ironico, sorridendo sghembo.

Il suo sarcasmo era migliorato ancora. Non credevo fosse possibile.

Improvvisamente la sua espressione serafica si contrasse in una smorfia disgustata. In un primo momento pensai che fosse dovuto alla mia battuta. Fui costretta a ricredermi, perché il vampiro - tappandosi il naso con una mano - si precipitò alla finestra, mettendo fuori la testa e boccheggiando come se non riuscisse a respirare.

“In questo paese non esistono altre compagnie da frequentare all’infuori dei licantropi? Questa stanza puzza come un canile di quinta categoria! L’aria è irrespirabile!” esclamò poi con sguardo schifato e tossicchiando come se gli fosse andato di traverso del sangue.

“Allora non respirare!”, risposi acida, “Non credo che sia di vitale importanza per te, dico bene?”.

Era arrivato da circa trenta secondi e già mi aveva fatto infuriare. Come si permetteva di denigrare la mia camera da letto in quel modo?

“Senza aria non posso parlare” precisò il vampiro, scoccandomi la tipica occhiata indignata alla Edward Cullen.

“E questo sarebbe un problema? Ti assicuro che per me rappresenterebbe una nota positiva in una giornata davvero pessima” risposi, rincarando la dose e sfoderando un sorriso maligno.

Finalmente aveva trovato qualcuno su cui sfogare la rabbia, l’inquietudine, le preoccupazioni e tutte le emozioni negative di quei giorni.

“Ti preferivo quanto eri innamorata di me: eri più gentile e accomodante” commentò Edward, dopo aver preso un’altra boccata d’aria fresca.

Era davvero meschino da parte sua tirare fuori certi argomenti. Punta sul vivo, non riuscii a trattenermi: “Ed io ti preferivo quando fingevi di interessarti degli altrui sentimenti. Eri più gentile e… no! Scusa, mi sono sbagliata. Ora che ci penso, tu non sei mai stato gentile e accomodante!”

“Va bene, perdonami! Non volevo offendere te o la tua stanza…”, si appoggiò al davanzale, sospirando pesantemente. Poi inclinò la testa indietro e a occhi chiusi inspirò a pieni polmoni l’aria che proveniva dall’esterno. “Posso lasciare la finestra aperta?” chiese con voce suadente, tornando a fissarmi con intensità.

Ammagliare le sue prede era una delle cose che gli riusciva meglio.

“Fa’ un po’ come ti pare” risposi, esasperata, alzando gli occhi al cielo, “È quello che fai sempre, no?”

Con Edward era impossibile ragionare: o si faceva come diceva lui… o si faceva come diceva lui.
Arrabbiarsi, urlare, imprecare… niente di tutto questo era utile. L’unica soluzione percorribile era stringere i denti e sperare che la tortura finisse presto. Perciò, raggiunsi svogliatamente il letto e mi lasciai cadere sul materasso.

“Dovresti stare lontana dai licantropi” esordì improvvisamente lui, dopo avermi scrutata per qualche minuto in silenzio, “Sono giovani, inesperti e incapaci di controllarsi”.

“Disse il vampiro dai grandi e famelici occhi neri…” replicai sarcastica, incrociando le braccia dietro la testa.

Avevo notato il pessimo stato in cui si trovava Edward: occhi neri come la pece, profonde occhiaie bluastre, pelle più pallida del normale, guancie scavate… sembrava addirittura più magro!
Da quanto tempo non andava a caccia?

“Non è la stessa cosa”, il suo tono si era fatto più gelido e distaccato, “Anche se non mi nutro da diversi giorni, sono in grado di controllarmi alla perfezione”.

“Starò attenta a non tagliarmi con la carta… non si sa mai!”.

Tirare in ballo l’incidente che aveva convinto Edward a sparire dalla vita di Bella era una carognata bella e buona. Ma il vampiro meritava quel comportamento e il sano principio dell’‘Occhio per occhio, dente per dente’ - si sa! - è intramontabile.

“Non è divertente…” sussurrò lui. Per poco non aveva ringhiato.

“Secondo me, sì”.

La mia fiducia nell’autocontrollo di Edward era più forte di quanto io stessa fossi disposta ad ammettere, se osavo scherzare con il fuoco in quel modo.

“Sii seria una buona volta!”, mi rimproverò lui, “Non si tratta di un gioco, i licantropi sono pericolosi”.

Tutta la mia ilarità andò a farsi benedire in un istante.
Era davvero il colmo!
Scattai a sedere come una molla e fu solo per un fortuito miracolo, se riuscii a trattenermi dall’urlare e non svegliare mia madre.

“Lo so, Edward!” esclamai seria, fissandolo dritto negli occhi. Mi alzai dal letto e mi portai di fronte al vampiro, ostentando una calma e una sicurezza che non avevo mai avuto in sua presenza.

“Si da il caso che, mentre eri via, abbia continuato a vivere e conoscere altre persone, a differenza di una certa ragazza di cui non farò il nome. Perciò… sì! So bene quanto può essere rischioso stare accanto a un licantropo. Il punto è…”, proseguii, puntandogli contro il dito indice e guardandolo in cagnesco, “…che non puoi ricomparire dopo sei mesi e pretendere di dettare legge sulla mia vita. Non mi chiamo Bella Swan. Ciò che faccio e chi frequento non ti riguarda”.

Edward mi fissava attonito, troppo sorpreso dalla mia reazione per reagire… oppure erano i ricordi dei mesi passati - che la mia mente evocava automaticamente mentre parlavo - a turbarlo in quel modo… chissà!

“Chi ti credi di essere?”, chiesi ancora, “Non sai che cosa è meglio per la tua adorata Mezza Albina e pretendi di dare consigli a me? Fammi un favore, Edward Cullen: abbassa la cresta! Scoprirai che qui non siamo tutti così impazienti di conoscere il tuo parere”.

Terminata l’orazione, mi resi conto di avere il respiro affannoso.

“Mi preoccupo per te” si giustificò Edward. Lo vidi abbassare lo sguardo per la seconda volta da quando lo conoscevo.

Non mi ero ancora ammansita del tutto, ma l’idea di aver avuto la meglio sul mitico Edward Cullen mi rese un po’ meno aggressiva.
Decisi che si era vergognato abbastanza e che era venuto il momento di cambiare argomento.
Mi sedetti alla scrivania e, spinta da un’insana curiosità - che non mi abbandonava mai, nemmeno nei momenti meno opportuni -, domandai: “Credevo che fossi in Italia con Bella. Da quanto sei qui a Forks?”

Se il vampiro covava del risentimento per la sfuriata di qualche minuto prima, non lo diede a vedere. “Le notizie corrono velocemente a quanto pare”, si limitò a costatare con aria rassegnata. Si voltò e dandomi le spalle, prese a contemplare il cielo scuro e carico di nuvole.
Ero impaziente di conoscere la verità ma cercai di trattenere i miei pensieri per non mettergli fretta. “Siamo tornati questa mattina” aggiunse finalmente.

“Siamo?” chiesi, inarcando un sopraciglio.

“Bella, la mia famiglia ed io”.

“Tornati… definitivamente?”

Chissà perché, trattenni il respiro, attendendo in silenzio una risposta.

“Sì”.

_______________________________

Nota autore:

Il mio ritardo è spaventoso. Chiedo venia e comprensione.
Il 22 di agosto sono tornata dalle vacanze. Sebbene mi sia messa subito al lavoro per scrivere questo capitolo, non sono riuscita a terminarlo e postarlo prima di adesso.
Il motivo di questa difficoltà non lo conosco nemmeno io. Ogni volta che mi sedevo al computer non riuscivo a scrivere nulla di decente. La parte più difficile da buttare giù è stata quella del ritorno di Edward. Era come se Yva non ne volesse proprio sapere di parlare con lui.
Finalmente, oggi, sono riuscita a completare il capitolo. Vi assicuro che ho tirato un autentico sospiro di sollievo.

La trama del capitolo è abbastanza lineare, non ci sono grosse precisazioni da fare…

Vi anticipo soltanto che il confronto Edward-Yva non finisce qui. Il vampiro deve ancora raccontare alla nostra ‘eroina’ che cosa è accaduto a Volterra. Chissà come reagirà!

Per quanto riguarda Fred, l’amico scomparso di Manuel, ci avete azzeccato tutti. In effetti era un tantino prevedibile, ma per scoprire che cosa ho in serbo per lui, dovrete attendere la prossima ff.

Ebbene, sì!
Questa è una comunicazione ufficiale!
Scriverò anche ‘Eclipse: la storia dal mio punto di vista’!
Siete contenti?

Passiamo ai ringraziamenti.

Per MoonLight_95: Wow, una nuova commentatrice! Non hai idea quanto mi faccia piacere sapere che apprezzi la mia storia. Riguardo all’imprinting di Paul, non posso anticipare nulla. Cmq hai perfettamente ragione: la Meyer ha fatto ‘accoppiare’ questo con quello per creare una grande famiglia felice. Personalmente odio l’imprinting (non si era capito): penso che sia uno degli espedienti letterari più stupidi che si siano mai visti nel campo della narrativa mondiale. Sì, Fred è proprio quel Fred! Grazie ancora per i complimenti e la recensione. Baci, vannagio.

Per _GP_: ciao cara! Sì, manca poco alla fine della mia ff, però questo non è un addio. Come credo avrai letto e capito, ho intenzione di scrivere Eclipse pov Yva. Spero che avrai voglia e pazienza di seguirmi anche lì. Mi sono divertita molto a scrivere la parte del dialogo tra Yva e sua madre: quelle due sono troppo comiche insieme, non credi anche tu? Come ti è parso questo capitolo? Fammi sapere. Grazie per la recensione e i complimenti. Bacioni, vannagio.

Per SaphyCullen: ciao e grazie per la recensione. Ci hai visto giusto su Fred XD. Alla fine Edward è arrivato… mi sa che aspettavate tutti questo momento. Spero di non aver deluso nessuno. Grazie ancora. Baci, vannagio.

Per LittenCullen23: ciao e benvenuta! Grazie per questa recensione così entusiastica, mi sono divertita un mondo a leggerla. Sono contenta che l’idea di inserire Fred (proprio il Fred di Bree Tanner) sia piaciuta a voi lettrici. Quando ho letto per la prima volta il nome Fred nella “Breve seconda vita di Bree Tanner’, quasi non ci credevo! Ho avuto un sedere pazzesco, perché quando ho ideato il ‘mio’ Fred, il nuovo libro della Meyer non era ancora uscito. Cmq non preoccuparti se non riesci a commentare sempre. L’importante è che la storia ti piaccia e che continui a seguirmi. Baci e mille grazie, vannagio.

Per Kianna: non sapevo di avere dei lettori anche tra i ‘visitatori’. La notizia mi riempie di gioia. Grazie per la ‘fedeltà’ e per i complimenti. Se ne hai voglia, continua a recensire: farai felice una fanwriter parecchio sclerata. Grazie ancora. Baci, vannagio.

Per Midao: ciao cara! Lascia che ti dica una cosa: non preoccuparti! Non devi crearti problemi se non riesci a recensire. Il commentare una storia deve essere una cosa spontanea e non forzata, perciò non sentirti in colpa, ok? Detto questo… come sempre ti ringrazio per la tua recensione. Sapevo che il capitolo del ritorno di Manuel ti sarebbe piaciuto molto… non ti nascondo che scrivendolo, ho pensato a te e a Beatriz - che siete le fan più accanite di Manuel - e alla reazione che avreste avuto nel leggerlo XD. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Ancora mille grazie. Bacioni, vannagio.

Per C4rm3l1nd4: quanto tempo! Non preoccuparti, ti capisco: anche per me il tempo non è mai abbastanza! Yva ci è quasi cascata… nell’apatia, intendo… ma si è ripresa subito. Riguardo Paul e Manuel, fortunatamente non c’è stata nessuna carneficina. Ti è piaciuto il capitolo? Grazie per la recensione. Bacioni, vannagio.

Per pinadeipinozzi: ciao! Anche se impiego molto - troppo - tempo per aggiornare, non devi preoccuparti. Manca poco alla fine di questa ff e non ho intenzione di abbandonarla proprio adesso. Come avrai senz’altro letto, il Cullen in arrivo era proprio Edward e Fred è proprio quel Fred. Per quanto riguarda la prima domanda che hai posto… sì, scriverò Eclipse dal punto di vista di Yva e - salvo imprevisti - anche Breaking Dawn. Alla seconda domanda non posso risponderti, saprai tutto continuando a legger le mie ff XD. Grazie per la recensione e i complimenti. Baci, vannagio.

Per Melody Potter: grazie anche a te! Baci, vannagio.

Per Dackota: ciao carissima! Mi spiace di averti fatto aspettare tanto per questo capitolo. A essere sincera, in questo momento provo una vera e propria ansia da prestazione. Primo, perché il confronto Edward-Yva era molto atteso… secondo, perché non mi convince un granché. Non so che cosa mi sia preso. È da quando ho cominciato a scrivere questa ff che aspetto di arrivare a questo punto della storia e adesso che ci sono arrivata non riesco a scriverlo… è una cosa normale?
Sono contenta che il capitolo precedente sia stato da te apprezzato: ci tengo parecchio al tuo giudizio e quando ottengo la tua approvazione, salto di gioia per circa dieci minuti. Allora? Come ti è parsa l’epifania di Edward? Ti ha delusa? Speravi in qualcosa di più? Come ho detto prima, nel prossimo capitolo ci sarà la seconda parte della loro chiacchierata. Ad ogni modo… grazie per la recensione e i complimenti. Bacioni da vannagio.

Per Beatriz Aldaya: ciao cara! Non sai quanto mi sono divertita a leggere la tua recensione. Davvero eri in autobus con tua sorella quando hai letto il capitolo scorso? XDDD Ero sicura che avresti esultato al ritorno di Manuel e devo dire che sono contenta di averti reso felice. Riguardo a Fred, non è necessario che ti mangi il cappello, perché hai indovinato ;). Hai visto? Paul non ha ammazzato nessuno fortunatamente… sono felice di sapere che il capitolo in generale sia stato di tuo gradimento. Cmq, se vuoi imparare a fare introspezione, ti consiglio vivamente di leggere cose vere, perché non credo di essere così brava da poter essere presa come esempio. Grazie mille per i complimenti. Bacioni, vannagio. P.S.: salutami tua sorella XD.

Naturalmente, ringrazio anche tutti quelli che leggono, seguono, ricordano o preferiscono la mia ff.

A presto, vannagio.

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Capitolo 24
*** La verità / Votazione ***


La verità / Votazione: normalità


“Non hai nulla da dire in proposito?”

Secondo la radiosveglia, erano passati esattamente ottantotto minuti da quando Edward aveva cominciato a raccontare ciò che era capitato a Volterra negli ultimi tre giorni. Sdraiata sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, fissavo pensierosa il soffitto.
Nonostante l’ora tarda, non mi sentivo stanca. Le novità appena apprese mi avevano tolto il sonno e messo a dosso una strana agitazione, che non si esplicitava con gesti bruschi e nervosi - come normalmente accadeva - ma con un affollarsi caotico di pensieri e congetture nella testa.

“Che cosa ti aspettavi?” domandai, lanciandogli un’occhiata perplessa.

Durante la narrazione, Edward non si era mosso di un millimetro da dove si trovava: immobile, di fronte alla finestra, mi dava le spalle e scrutava l’oscurità come se in essa potesse trovare delle risposte più esaustive delle mie.

“Insulti, considerazioni poco cortesi… quanto meno delle battute sarcastiche!” spiegò il vampiro, voltandosi verso di me e pugnalandomi con il suo sguardo affilato e terribilmente penetrante. Si sedette sul davanzale della finestra, senza allontanare neanche per un nanosecondo i suoi occhi - così neri da sembrare viola - dal mio viso.

“Sarebbe soltanto fiato sprecato: puoi leggermi nella mente se ci tieni tanto a conoscere la mia opinione” puntualizzai, sorridendo sorniona e tornando a fissare nuovamente il soffitto.

Sentii Edward sbuffare con tono esasperato, ma feci finta di non averlo notato.

Stentavo a credere che il vampiro non avesse provato a sbirciare dentro la mia testa. Probabilmente aveva bisogno di parlare e una conversazione a senso unico non lo soddisfaceva abbastanza.

Dal mio punto di vista non c’era molto da aggiungere. Rivelare ciò che pensavo riguardo a quella faccenda sarebbe stato inutile - Edward non ascoltava mai nessuno - oltre che deleterio per la mia persona.

La storia poteva essere sintetizzata in poche parole. Bella Swan aveva avuto la bellissima idea di buttarsi da uno scoglio. Alice l’aveva vista cadere e - trattandosi della Mezza Albina - aveva subito pensato a un suicidio, ovviamente! Per una sfortunata coincidenza…

“Non la definirei ‘sfortunata’”, si intromise il vampiro, scrutandomi con espressione torva, “Rosalie avrebbe dovuto pensare, prima di agire”.

“Non mi sembra che tu abbia usato la testa, prima di precipitarti a Volterra per farti squartare dai ‘Tre dell’Apocalisse’” gli feci notare, con sguardo severo.

Predichi bene, ma razzoli male!

“Ho provato a chiamarti ma il tuo cellulare era spento” si giustificò lui, come se la colpa di tutto quello che era accaduto fosse mia.

“Scusa tanto se anch’io ho degli impegni! Scusa tanto se anch’io ho una vita privata!”, esclamai furibonda, scattando a sedere come una molla per la seconda volta in poche ore. “Perché non te la prendi anche con Harry Clearwater? Stai incolpando tutti, meno che le persone davvero responsabili di questa catastrofe!”, ogni riferimento a Edward e Bella era puramente casuale.

“Ho forse detto che non mi sento responsabile?” ringhiò il vampiro, visibilmente alterato.

“Per tua informazione…”, continuai, senza prestargli attenzione e dimenticando il buon proposito di tenermi le mie considerazioni per me, “…Rosalie ha fatto quel che ha fatto perché ti conosce meglio di quanto tu creda. Odi essere tenuto all’oscuro delle cose, fa parte del tuo voler esser onnisciente, sempre e comunque. Rosalie lo sa bene. Come poteva immaginare che Alice - un essere infallibile con il potere della preveggenza - avesse trascurato il piccolo dettaglio di informare il resto della sua famiglia che Bella era viva e vegeta? Il folletto ha avuto tre giorni a sua disposizione. Che cosa le costava fare una telefonata? A quanto pare, i pigiama party con Bella erano molto più importanti!”

“Scaricare la colpa su Alice…”

“Sei tu che giochi allo scarica barile, Edward!”, lo interruppi bruscamente, “Sii sincero con te stesso e ammetti la realtà dei fatti. Il senso di colpa per la presunta morte di Bella ti ha spinto ad agire come un…”

“Ti sbagli”.

Un sussurro appena udibile aveva interrotto il mio stringato, pungente e personale riassunto della situazione.

“Come?” chiesi, rivolgendo a Edward uno sguardo sorpreso.

“Ti sbagli”, ripeté, mentre sbattevo stupidamente le palpebre nella sua direzione, “Non sono andato a Volterra perché mi sentivo in colpa”.

“No?”

Il mio sopracciglio si inarcò automaticamente, come se godesse di vita propria.
Sorpresa da quella rivelazione e felice che l’arcano mi venisse finalmente svelato, incrociai le gambe e puntellai i gomiti sulle ginocchia. Poggiai il mento sulle dita incrociate e drizzando le orecchie, concentrai tutta la mia attenzione sul vampiro, in attesa che si spiegasse.

“Un mondo senza Bella non è un posto in cui vale la pena vivere” recitò il vampiro con evidente trasporto.

Il melodramma ed Edward andavano a braccetto!

“Ah”, fu la mia concisa e laconica risposta, “Perciò…” tentennai un po’, prima di dare voce ai miei pensieri, “Anche se non ti fossi sentito in colpa… se domani Bella morisse calpestata da un dinosauro sopravvissuto all’era glaciale…”

Il cupo brontolio sgorgato dalla gola di Edward non fu abbastanza spaventoso da frenare la mia lingua.

“…torneresti per direttissima dai ‘Magnifici Tre’?”

“Sì” rispose lui con tono fermo e risoluto, ignorando il mio solito sarcasmo.

“Ah”.

Abbandonai la posa da attenta ascoltatrice, senza nascondere una certa delusione.
Chissà perché, mi ero aspettata rivelazioni molto più entusiasmanti.

Stiamo parlando di Edward Cullen, no? Che cosa ti eri immaginata? Intrighi politici e storie di spionaggio?

Tra noi calò nuovamente il silenzio. Gli ingranaggi del mio cervello sferragliavano velocissimi e rumorosi, probabilmente nemmeno Edward riusciva a stargli dietro.

“Non hai nulla da dire in proposito?”

“Che cosa ti aspettavi?”

La nostra conversazione stava diventando davvero ripetitiva.

“Perché sei qui, Edward?” domandai, stancamente, all’improvviso. Se solo avessi concesso alla mia bocca di esternare un’altra volta le mie considerazioni sul comportamento di Edward e Bella, probabilmente non sarei uscita viva da quella stanza, perciò decisi di indirizzare la conversazione su un altro argomento. “Perché non sei con Bella in questo momento? Dopo quello che è accaduto, mi sembra impossibile che tu l’abbia lasciata da sola”.

“Ha bisogno di riposare…”, rispose lui, palesemente più calmo rispetto a prima, “…e non è sola”. Notando il mio sguardo confuso, si spiegò meglio: “Sono così in sintonia con il battito cardiaco di Bella, che riesco a sentirlo perfino a questa distanza. Se si svegliasse, lo percepirei immediatamente. Raggiungerei la sua stanza in brevissimo tempo e lei non si accorgerebbe nemmeno del mio allontanamento. Non sarei qui se così non fosse”.

Viva la modestia! pensai, alzando gli occhi al cielo.

“E che cosa ne pensa Charlie Swan del tuo programma di sorveglianza forzata?” domandai, sorridendo maligna.

A differenza di Bella Swan, che aveva riaccolto Edward a braccia aperte, come se i lunghi mesi di catatonia e sofferenza non fossero mai esistiti - orgoglio femminile e amor proprio a go-go! -, l’Ispettore Capo Swan non aveva fatto i proverbiali salti di gioia nel rivedere il ragazzo. L’uomo aveva vietato al vampiro di varcare la soglia di casa Swan.

“Se entro dalla finestra non infrangerò nessuna regola” intervenne Edward, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Mi guardava con espressione trionfante, come se il suo ragionamento non facesse una piega e fosse inattaccabile.

Gli scoccai un’occhiata contrariata e scuotendo la testa, dissi: “Nemmeno i lunghi mesi di esilio hanno scoraggiato le tue manie da stalker. Ti hanno informato che lo stalking è un reato adesso? Ad ogni modo…”, mi affrettai a riportare la discussione su vie più interessanti, prima che il vampiro potesse replicare, “...non hai risposto alla mia domanda: perché sei qui, Edward?”

Il vampiro mi fissò intensamente per alcuni istanti, come se stesse riflettendo sul modo migliore di rispondere alla domanda. La sua faccia da pokerista incallito non faceva trasparire nessuna emozione, precludendomi così la possibilità di carpire qualche indizio.

“Volevo chiederti scusa” rispose finalmente, calmo e pacifico come solo lui sapeva essere.

“Scusa? Per cosa?” domandai, inclinando la testa con fare curioso. C’erano tante cose per cui Edward mi doveva delle scuse… così tante che avevo perso il conto!

Ancora una volta il vampiro ignorò i miei pensieri impertinenti. “In questi mesi di solitudine ho riflettuto molto su quello che mi hai detto”.

“Che cosa in particolare? Che sei un pirla con smanie di onnipotenza?”

“Yva!” mi rimproverò lui, digrignando i denti, irritato dal mio atteggiamento poco rispettoso verso un momento tanto topico. Chiuse gli occhi, serrò la mascella - stavo minando il suo ferreo autocontrollo? - e dopo una breve pausa, proseguì con il suo discorso da dove lo avevo interrotto. “Quando - sei mesi fa - ho deciso di lasciare Forks e sono venuto a salutarti, mi hai fatto notare che stavo commettendo un grosso errore. Avevi ragione - adesso me ne sono reso conto - ma allora non ti ho dato ascolto. Il mio comportamento nei tuoi confronti è stato imperdonabile…”

“Per caso ti riferisci a quando mi hai assalito facendomi perdere i sensi?” lo interruppi, incrociando le braccia al petto e inarcando le sopracciglia.

Edward sospirò, rassegnato all’idea di dover fare i conti con il mio sarcasmo. Prese l’ennesimo respiro profondo e abbandonando la sua postazione accanto alla finestra, si sedette sul letto al mio fianco.

“Ti chiedo umilmente perdono” continuò, mentre una smorfia schifata gli deturpava il viso. A quanto pareva non si era ancora abituato all’odore di licantropo. “Ti prometto che la prossima volta prenderò in maggiore considerazione la tua opinione”.

“Dov’è il registratore quando serve!” esclamai, alzando braccia e occhi verso il soffitto.

“Potresti, almeno per una volta, smetterla di prendermi in giro?”e, subito dopo, bloccandomi con il suo sguardo ammaliante da predatore affamato, chiese: “Posso considerarmi perdonato?”

“Fa qualche differenza per te?” domandai in tono acido, strizzando gli occhi nel tentativo di individuare la menzogna sul suo viso o nelle sue parole.

“Anche se non sembra, ci tengo alla tua amicizia” rispose lui, sorridendo sghembo. Se possibile, il suo sguardo si fece ancora più intenso.

Sbuffai e mi lasciai cadere sul letto.

Edward Cullen.

Agiva sempre di testa sua e otteneva sempre quello che voleva. Con le sue frasi a effetto, quasi quasi mi faceva sentire in colpa!

“Torna pure dalla tua Mezza Albina. Tenerti rancore serve solo a farmi venire la gastrite!”. Nonostante l’esasperazione, le mie parole suonavano come una specie di benedizione, del tipo: ‘La messa è finita, andate in pace!’

“Grazie” lo sentii bisbigliare.

Qualcosa di freddo e duro sfiorò la mia fronte.
Solo quando una leggera corrente d’aria scompigliò i miei capelli e un odore inebriante invase le mie narici, capii che Edward mi aveva baciato sulla fronte. Arrossii e sorrisi contemporaneamente: quel vampiro mi conosceva troppo bene… purtroppo!

“Quasi dimenticavo…”

Mi sollevai sui gomiti, attendendo che continuasse. Edward si era fermato davanti alla finestra, pronto a saltare giù. Ancora una volta, l’espressione indecifrabile del suo viso non mi permise di intuire quali pensieri stessero attraversando quella mente granitica e deviata.

“Rosalie mi ha chiesto di mandarti i suoi saluti”.

Sgranai gli occhi incredula.

Rosalie?

Scossi la testa, sicura che ci fosse stato un malinteso. “Nah! Non ti credo”.

Il vampiro mi rivolse un’occhiata indignata, quasi offesa. “Metti in dubbio la mia parola?” domandò con stizza.

“Rosalie non è la tipa che manda i suoi saluti attraverso terzi”, spiegai, “Rosalie non saluta proprio!” aggiunsi scrollando le spalle.

Un mezzo sorriso attraversò il viso del vampiro. “A onor del vero, le parole esatte sono state: ‘Dì a Yva di mandarti a quel paese anche da parte mia’”.

“Beh… questo sì che è molto da Rosalie!”

Sghignazzai senza ritegno, immaginando la vampira bionda che, con un sorriso diabolico stampato su quella faccia assurdamente angelica, chiedeva a Edward di riferire il suo messaggio. Le risate aumentarono di intensità.

“L’hai fatta arrabbiare parecchio!” costatai tra una risata e l’altra.

Edward storse il naso in segno di disapprovazione e con un “Devo andare… Bella potrebbe svegliarsi da un momento all’altro” si congedò.

“Edward?” lo chiamai, quando il vampiro aveva già scavalcato il davanzale della finestra.

“Sì?” chiese, voltandosi nella mia direzione.

“Vai a quel paese!”

Rimasto interdetto, il vampiro strinse gli occhi e aggrottò la fronte, come se non avesse compreso il significato delle mie parole.

“Non era quello che stavi pensando…” contestò poi, dubbioso.

“Ma è esattamente quello che avevo intenzione di dire” puntualizzai con sguardo serafico.

L’espressione perplessa sulla faccia si Edward si trasformò in qualcosa di diverso… era complicità quella che leggevo sul suo volto?

“Riferirò i tuoi saluti a Rosalie”.

E insieme all’eco di una risata, si dileguò nella notte, come il più affascinante e pericoloso tra gli spettri.

***

Era trascorso qualche giorno dal rientro dei Cullen a Forks e tutto era tornato alla normalità.
Edward e Bella stavano di nuovo insieme e tubavano come due piccioni innamorati in qualsiasi momento della giornata. Incuranti del mondo che li circondava, impegnati a vivere la loro ‘molto platonica e poco carnale’ storia d’amore, non si rendevano conto che intorno a loro vi erano persone che soffrivano e avevano problemi molto più grandi e urgenti del loro voler stabilire a tutti i costi ‘chi amasse di più chi’.

“Ti amo”.
“Ti amo anch’io”.
“Sì, ma ti amo più io”.
“No, amore. Ti amo più io”.

In confronto alla loro storia d’amore, le vicende di Romeo e Giulietta apparivano ciniche e prive di romanticismo. Oddio, che nausea!

Adesso che il principe azzurro era tornato in groppa al fido destriero dalla carrozzeria argentata, adesso che la fata madrina si occupava nuovamente dei capi di abbigliamento della principessa ranocchia, adesso che il giullare di corte alias cane da compagnia non serviva più, alla Forks High School si era ristabilito l’ordine naturale delle cose.
Edward e Bella stavano in cima alla piramide sociale, mentre alla base, in un piccolo angolino solitario, schiacciata dalla marmaglia sovrastante, c’ero io.
Sembrava che il tempo si fosse riavvolto come il nastro di una videocassetta. Mi ritrovavo nella stessa situazione dell’anno precedente: sola, senza amici e con il cuore in frantumi. Ancora una volta ero io, soltanto io, la causa della mia sofferenza.

Che fossi affetta da qualche insolita forma di autolesionismo?

Era stata mia la decisione di lasciare Paul. Ed era a causa della mia mancanza di coraggio se non avevo ancora chiarito con Leah e Lauren.
Non avevo alcun diritto di lamentarmi o piangermi addosso.

Quel giorno, seduta al solito tavolo della mensa - da sola -, fingevo di mangiare.
In realtà la mente vagava altrove.
La mano destra impugnava la forchetta di plastica e martoriava una sfortunata patata lessa, la quale, in seguito a tremende torture, sarebbe finita inevitabilmente nella pattumiera insieme a tutto il vassoio. La mano sinistra, invece, giocherellava distrattamente con una ciocca dei miei capelli, intrecciandola intorno all’indice.
Intanto il mio sguardo era fisso sul tavolo di Edward e Bella, al quale erano seduti anche Alice, tutti i ragazzi del gruppo di Jessica, e Lauren, naturalmente.

Stavo prendendo in considerazione diverse tattiche per chiedere scusa a mia cugina.

Saltare sopra il tavolo e domandarle perdono davanti a tutti?

Un gesto molto plateale, ma non credevo fosse una buona idea.

Mandarle una lettera di scuse? Oppure… una telefonata?

L’esperienza con Leah mi aveva insegnato tanto, perciò scartai quasi immediatamente quella possibilità.

I miei occhi si posarono nuovamente su Lauren. Sembrava immersa in un mondo tutto suo: con lo sguardo perso nel vuoto, annuiva frequentemente alle ciance di Jessica, ma era più che evidente che non recepiva nemmeno una parola del discorso della ragazza.
Ogni tanto si passava una mano tra i capelli corti, scompigliandoli più del normale: un’abitudine, quella, che risaliva a quando la sua chioma era ancora lunga e invidiabile.

Di nuovo mi chiesi perché mai Lauren non li avesse lasciati ricrescere.

Si dice che una ragazza decida di cambiare taglio di capelli, quando la sua vita sta per subire un grosso cambiamento. Ci vuole una buona motivazione e tanto, tanto fegato per compiere un simile gesto, che per una donna simboleggia il tagliare i ponti con il passato e un nuovo inizio.

Valeva anche per Lauren?

Tenevo parecchio ai miei capelli per non capire quanto fosse stato difficile per mia cugina rinunciarvi. Erano una delle poche cose che apprezzavo del mio aspetto. Il solo pensiero che un’estranea vi mettesse le sue mani e…

E finalmente l’illuminazione!

Forse avevo trovato il modo per ottenere il perdono di Lauren e chissà… magari anche quello di Leah. Dovevo solo prendere il coraggio a due mani e compiere il grande ‘salto’ senza guardarmi indietro.

Immersa nelle mie congetture, solo dopo alcuni minuti mi resi conto di stare fissando - involontariamente - Alice Cullen. La vampira ricambiava il mio sguardo.
Vidi i suoi occhi offuscarsi per pochi istanti e subito dopo tornare vivaci e allegri come sempre. Un sorriso appena accennato increspò le labbra della vampira, mentre un impercettibile cenno del capo nella mia direzione accendeva in me nuova speranza.

***

Forza, Yvonne! Ormai sei in ballo, perciò… balla!

Più facile a dirsi che a farsi.

Avevo pensato che affrontare Lauren e Leah contemporaneamente avrebbe reso tutto più semplice, come togliersi un cerotto: un gesto secco e veloce, che fa male solo all’inizio. Così - sicura di fare la cosa giusta - avevo dato appuntamento alle due ragazze al parco giochi che si trovava vicino a casa mia: quel posto e i ricordi a esso legati sarebbero stati il mio sostegno.

Convincerle a venire all’incontro non fu complicato come mi ero aspettata. Forse avevo davvero qualche speranza di riuscire nel mio intento oppure le due ragazze attendevano solo un pretesto per riempirmi di botte: una possibilità che - conoscendo il caratteraccio di Leah - non era da escludere a priori!

Insomma, era filato tutto liscio fino a quel momento e i presupposti facevano ben sperare. Ciononostante, adesso che mi trovavo a pochi metri dal famigerato parco giochi, le gambe non volevano saperne di andare avanti.

Da quella distanza riuscivo a scorgere le figure di quelle che - nonostante tutto - consideravo ancora delle amiche.

Lauren si faceva cullare dal leggero avanti e indietro dell’altalena sulla quale era seduta. Fissava Leah di sottecchi, con sguardo confuso e vagamente intimorito. Forse si stava chiedendo chi fosse quella ragazza alta, mora, dalla carnagione scura e che cosa ci facesse lì con lei.

Leah era appoggiata al tronco di un albero con le braccia incrociate al petto. La sua indifferenza nei confronti di Lauren era troppo plateale per sembrare reale. Probabilmente si stava ponendo le stesse domande di mia cugina.
Il suo viso duro e impassibile non lasciava trasparire alcuna emozione - come sempre del resto -, tuttavia, il piede destro tamburellava nervosamente. Le alternative erano due: era molto irritata a causa del mio ritardo oppure aveva percepito la mia presenza e la mia codardia la stava indisponendo parecchio. In ogni caso, dovevo muovermi al più presto, perché Leah non avrebbe aspettato in eterno.

Presi un respiro profondo e ripetendo mentalmente ‘Puoi farcela, puoi farcela, puoi farcela’ come un mantra, coprii la breve distanza che mi separava dalle due ragazze.

***

“Che cosa speri di ottenere con questa pagliacciata?”

Che diavolo mi era saltato in mente?

“Dovrei commuovermi di fronte a questo tuo gesto tanto coraggioso?”

Come avevo potuto credere che un taglio di capelli fosse la soluzione ai miei problemi?

“Mi hai convocata qui per avere un parere sul tuo nuovo look?”


Quando ero entrata nel parco giochi e gli sguardi delle due ragazze si erano posati sui miei capelli, avevo quasi cantato vittoria. Lauren aveva sgranato gli occhi, impallidendo visibilmente, neanche avesse visto un vampiro e un licantropo lottare l’uno contro l’altro. Perfino sul viso di Leah avevo intravisto un accenno di sorpresa, ma la ragazza era riuscita a mascherarlo rapidamente.

C’era stata un attimo di silenzio.

Poi Leah era scoppiata.

Nel senso metaforico del termine, ovvio. Altrimenti non sarei qui a narrarvi la mia storia!


“E si può sapere chi è questa qua?”

Lauren, che fino a quel momento era rimasta in silenzio a fissare la mia testa - come se da un momento all’altro dovessero spuntarmi le antenne -, sentendosi chiamata in causa, alzò lo sguardo in direzione di Leah e arrossì vistosamente.

“Volevi una testimone? Avevi paura che ti prendessi a sberle?”

Un buco nell’acqua. L’ennesimo della mia vita.

“Sappi che non mi faccio alcun problema a picchiarti. Testimone o non testimone” continuò la licantropa, indicando mia cugina. “Ero una tua amica. Mi sono confidata con te”, enumerava le frasi con l’aiuto delle dita, “Ti ho dato il mio appoggio”, un’altra frase, “E mi hai tradito”, un altro dito, “Speri che un’andata dal parrucchiere mi convinca a perdonarti?”

Domanda retorica, che non aveva bisogno di una risposta.

“Adesso dacci un taglio!”

Ero così concentrata sulle mie colpe e intenta a fissarmi le punte delle scarpe, da non accorgermi immediatamente che l’ultima esclamazione non era fuoriuscita dalla bocca di Leah. Sollevai lo sguardo per trovare conferma a quanto avevo sentito. Lauren si era alzata dall’altalena e fissava Leah con cipiglio minaccioso.

Aveva intenzione di difendermi? Impossibile!

Dal canto suo, Leah si era zittita all’istante. Nonostante l’esperienza, non riuscì a nascondere dietro la solita maschera di imperscrutabilità la sorpresa per essere stata interrotta da un simile scricciolo. Lauren le arrivava a mala pena all’altezza delle spalle.

“Come? Scusa?” chiese Leah, inarcando le sopracciglia e portando le mani ai fianchi.

“Dacci. Un. Taglio.”, rispose Lauren, scandendo le sillabe e parlando lentamente, come se si stesse rivolgendo a una bambina molto piccola e molto ottusa. Subito dopo aggiunse: “Non ti sembra di esagerare?”

Il viso Leah si indurì quasi automaticamente e con tutto l’astio che era in grado di inserire in due parole, replicò: “Per niente!”

“Per niente”, la scimmiottò Lauren, “Se tu conoscessi davvero mia cugina, capiresti il senso di questo incontro”.

“Il senso di questo incontro?” ripeté Leah con tono sarcastico.

Guardavo le due ragazze fronteggiarsi, incapace di intervenire. Ero preoccupata per Lauren - stava sfidando una neolicantropa che da un momento all’altro avrebbe potuto perdere il controllo - ma allo stesso tempo ero stupita di sentire che Lauren avesse compreso il significato del mio gesto.

“Yva si è fatta tagliare i capelli...” spiegò mia cugina.

“L’ho notato” la interruppe Leah, sempre più sarcastica e dura nei toni.

“I suoi capelli!”, esclamò Lauren, come se fosse una cosa ovvia, “L’unica cosa che apprezza veramente di se stessa. Lo ha fatto per me... e probabilmente anche per te, a giudicare da quell’orribile ammasso di lana che ti ritrovi in testa…”, storse la bocca per sottolineare la sua disapprovazione nei confronti dell’aspetto trasandato di Leah, “…lo ha fatto perché voleva che comprendessimo quanto ci è vicina e che tiene a noi più di qualsiasi altra cosa… più del suo stesso aspetto”, così dicendo si portò al mio fianco e mi prese per mano, rivolgendomi un sorriso zuccheroso, troppo simile a quello di mia madre. Riportò gli acquosi occhi celesti su Leah e squadrandola dalla testa ai piedi con aria di sufficienza, aggiunse: “Una ragazza lo capirebbe, ma dubito che tu ricordi ancora che cosa significa essere una ragazza. Guarda come ti vesti! Lo conosci il significato della parola ‘moda’?”

Era incredibile. Lauren Mallory, la ragazza più superficiale che avessi mai conosciuto - dopo Jessica Stanley - aveva capito tutto. Aveva appena dimostrato di conoscermi come le sue tasche e di aver compreso.
Come avevo potuto cacciarla dalla mia vita per tanto tempo e per motivazioni tanto sciocche?

Il respiro affannoso di Leah mi riportò alla realtà e mi suggerì che il lieto fine era ancora molto lontano.

“Lauren…” intervenni, impacciata, “Ti ringrazio… ma vacci piano…”

“Qualcuno ti ha chiesto di prendere le mie parti?” mi aggredì verbalmente Leah, scagliandomi a dosso una delle sue occhiate più letali e terrificanti.

Stranamente, non avevo più paura di affrontarla. Forse il sostegno di Lauren e la sua piccola mano stretta nella mia erano riusciti a tranquillizzarmi e mi avevano conferito il coraggio necessario.

“Mi dispiace, Leah” esordii, sospirando, “Non ci sono parole per domandarti scusa nel modo più adeguato e giustificare il mio comportamento. A mia discolpa posso solo dire che volevo raccontarti tutto. Se non l’ho fatto, è perché Sam mi aveva chiesto di aspettare. Desiderava essere lui a…”

“Conosco già questa parte della storia”, mi interruppe la Quileute, “E non mi importa. Avresti dovuto dirmelo… saresti dovuto stare dalla mia parte, non da quella si Sam!”

Rabbia, rancore, solitudine, sofferenza. I profondi occhi di Leah non trasmettevano altro.

“Credevo di fare il tuo bene. Avevi - e hai ancora - bisogno di chiarire con Sam e non volevo precluderti questa possibilità. Mi hai dato lo stesso consiglio una volta, ricordi?” domandai infine, speranzosa.

“Non cambiare argomento” mi apostrofò, anche se il tono di voce non era aggressivo come prima e il respiro si era fatto più regolare.

Forse…

“Sto solo cercando di spiegare” tentai ancora.

“Spiegare?”, venni trafitta da un’altra occhiata gelida, “Inventi scuse. E basta. Vuoi solo ripulirti la coscienza. Non ti importa un fico secco di me… o di lei”, indicò nuovamente mia cugina.

Lauren cercò di intervenire, ma la bloccai. “Non è vero. Sono qui per te. E per Lauren”, replicai seria e decisa, “Perché ho bisogno di voi. E voi avete bisogno di me”.

Una risata aspra e priva di allegria mi interruppe ancora una volta.

“Io? Bisogno di te?”, mi schernì Leah, “Non credo proprio”, aggiunse, scuotendo la testa. Sembrava voler convincere se stessa. “Questa pagliacciata è durata anche troppo per i miei gusti” e con passo deciso, superò Lauren e me, dirigendosi verso l’uscita del parco giochi.

La seguimmo con lo sguardo, ma prima che Leah raggiungesse la strada, Lauren lasciò andare la mia mano. Mosse un passo in avanti e con voce volutamente più alta, per farsi sentire dalla Quileute, esclamò: “Arrogante, acida e scorbutica. Che diavolo ci trovi in una come lei?” chiese poi. Un ghigno divertito campeggiava sul suo viso.

Leah si fermò immediatamente e dopo alcuni attimi di incertezza, si voltò nella nostra direzione.

“Ti consiglio di chiudere il becco, oca dei mie stivali!” la minacciò, digrignando i denti come un cane rabbioso.

Le cose si mettevano male ma Lauren non appariva intimorita, anzi…

“Come mi hai chiamata? Razza di donna delle caverne?”

Mia cugina sembrava pronta a tutto pur di ripagare con la stessa moneta.

“Come riesci a sopportarla?”, mi chiese improvvisamente Leah, cogliendomi alla sprovvista, “Dieci minuti e già ho voglia di stenderla!”

“Ha parlato Miss Simpatia!”, avevo l’impressione di stare rivivendo la scena del litigio di Paul e Manuel, “Non capisco perché Yva perda tempo con te. Meriteresti di rimanere sola come un cane”.

“Lauren” la richiamai, disapprovando quel suo modo poco cortese di rivolgersi a Leah.

“Che cosa meriteresti tu, nemmeno perdo tempo a dirtelo…” replicò l’altra, che paradossalmente sembrava divertita adesso.

“Leah”.

“Yva”.

Ci fissammo intensamente per un tempo interminabile, poi - inaspettatamente - Leah parlò: “Non prometto niente, ok? Ci penserò e ti farò sapere”.

“Pensare?”

Di che diavolo stava parlando?

“Devo considerare i pro e i contro” rispose, come se ciò fosse sufficiente a farmi capire.

“I pro e i contro?” ripetei, con espressione inebetita.

La licantropa sbuffò e roteo gli occhi, probabilmente scocciata dalla mia ottusità e senza risparmiarmi il suo tono acido e sarcastico, rispose: “Beh… ti assicuro che parlare dei problemi sentimentali di Paul non sposta l’ago verso il tuo lato della bilancia…”

Stava dicendo quello che pensavo stesse dicendo?

“Quindi…”

“Ho detto che ci penserò!” esclamò esasperata, alzando nuovamente gli occhi al cielo. Infine rivolse un’occhiata sprezzante a Lauren e aggiunse, “E frequentare quell’oca non fa altro che incrementare la lista dei ‘contro’!”

Senza aggiungere altro, se ne andò, lasciando me visibilmente confusa e incredula, Lauren incredibilmente incazzata per non aver avuto l’ultima parola sul battibecco.

***

“Quella tipa è…”, Lauren si fermò un attimo a riflettere, quando parve trovare la parola adatta, proseguì, “…pazza! Completamente fuori di testa!”

Sorrisi amaramente. Quante persone condividevano l’opinione di mia cugina senza provare a mettersi nei panni di Leah?

“Non la conosci, Lauren. Leah ha sofferto molto…” provai a spiegarle.

“E allora? Anch’io soffro parecchio quando mi si rompe un’unghia, ma questo non mi autorizza a comportarmi come un’isterica in piena sindrome premestruale!”

Sorrisi nuovamente, questa volta con più allegria.

“Mi è mancata la tua superficiale e personale visione del mondo, Lauren”.

“Lo prendo come un complimento” replicò lei, sogghignando soddisfatta, come se fosse qualcosa di cui andare fieri.

Apprezzavo che mia cugina si comportasse come se tra noi non fosse successo nulla, come se non ci fosse stato alcun litigio, ma le dovevo delle scuse. Non volevo ci fosse alcun tipo di incomprensione tra noi.

“Lauren…”

“Senti…”, non era nella natura di mia cugina lasciarmi finire una frase senza interrompermi, “…se stai per dire che ti dispiace… beh… non è necessario”.

“Ma…” protestai.

“Niente ma! Anch’io ho le mie colpe… insomma, non sono mica un angioletto, no?”. Ammiccò in modo troppo allusivo per i miei gusti.

“Beh…”

“Perciò…”, continuò, senza badare ai miei patetici tentativi di intromettermi nella nostra conversazione, “…facciamo che io perdono te e che tu perdoni me, così siamo pari e nessuno deve niente a nessuno, ok?”

Non chiedevo di meglio.

Lauren mi aveva riaccolto a braccia aperte e forse - sottolineo forse - Leah avrebbe fatto lo stesso. Con le braccia un po’ meno aperte, si intende.

Ero la felicità fatta persona.

“Per me va benissimo, ma…”

“Ma, cosa?” domandò Lauren, esasperata, scoccandomi un’occhiata seccata e contrariata al contempo.

“Se la pensavi così fin dall’inizio… perché non hai fatto tu il primo passo?”, chiesi confusa, “Sono settimane che cerco un modo per instaurare un contatto con te!”

“Il primo passo? Io?”, Lauren pareva indignata, “Con chi credi di avere a che fare? Con la piccola fiammiferaia? Ho una fama da difendere, io!”

“Già, lo avevo dimenticato…”, scossi la testa, rassegnata.

Accettare Lauren con i suoi pregi e i suoi difetti: non c’era altra maniera per convivere con lei in pace e armonia. In fondo… se Lauren riusciva a subire i miei pessimi gusti in fatto di musica - per usare le parole di mia cugina - senza lagnarsi mai (o quasi), perché non avrei dovuto farcela anch’io?

“A chi stai telefonando?” domandai poi, notando che aveva preso il cellulare.

“A Thomas” rispose lei, mentre componeva il numero.

“Chi?”

Angela Weber aveva parlato di un certo Jim, non di un Thomas. O ricordavo male?

“Uno… nessuno di importante. Dovevamo andare al cinema. Disdico l’appuntamento” spiegò lei distrattamente, mentre attendeva che qualcuno rispondesse.

“Guarda che non devi rinunciare a lui per me…”

Condividere mia cugina con un Thomas, Jim o chiunque egli fosse non era un problema. Se era il prezzo da pagare per riavere la mia amica, allora avrei fatto un sacrificio. Dopo tutto mi era andata anche troppo bene, non potevo lamentarmi.

“Scherzi?”, ecco di nuovo l’indignazione sul suo volto, “Non vedevo l’ora di liberarmi di quella piaga e poi…”, per l’ennesima volta ammiccò in un modo che non mi piacque per niente, “…ho un mucchio di cose da raccontarti!”

Adesso sì che era tutto tornato alla normalità!

___________________________________

Nota autore:

Ecco l’ultimo capitolo! Manca soltanto l’epilogo e poi la ff sarà conclusa.

Ho postato relativamente presto, non potete lamentarvi… o almeno credo.

Che ne pensate di questo capitolo?
Devo dire che mi soddisfa di più rispetto al precedente, perciò sono curiosa di conoscere le vostre impressioni.

Tengo molto a fare alcune precisazioni.

Nella prima parte - quella incentrata sulla conversazione Edward/Yva - Yvonne prende, con evidente trasporto, le parti di Rosalie. Spesso i fans - e non solo Edward - danno la colpa a Rosalie di quello che accade a Volterra. Ma se analizziamo bene i fatti, ci rendiamo conto che Rosalie sa soltanto una cosa: Bella è morta. Glielo ha detto Alice, che ha avuto una visione. Basandosi sul presupposto che le visioni di Alice non sbagliano mai, la vampira fa quello che ritiene più giusto: informare Edward della morte di Bella. Chi non vorrebbe essere avvisato in una simile circostanza?
Poteva immaginare che quel decerebrato di suo fratello avrebbe preso la decisione di andare a morire in Italia? Poteva immaginare che la visione di Alice non fosse completa e che la vampira-folletto, una volta costatata la ‘buona salute’ di Bella, non avesse informato nessuno dei suoi familiari?
No, assolutamente no.
Perciò, se proprio dobbiamo incolpare qualcuno, direi di prendere di mira Alice, Edward, Bella e non la povera Rosalie, che si trovava in Alaska e che - per fortuna - non ragiona come certi vampiri e umani di nostra conoscenza.
Fine della mia arringa in favore di Rosalie Hale.

Per quanto riguarda il rappacificamento Yva/Leah/Lauren, non so se la storia del taglio dei capelli possa essere davvero preso sul serio. Mi serviva un modo attraverso il quale Yva dimostrasse la sua amicizia alle due ragazze. Sia Lauren sia Leah, in circostanze diverse, sono costrette ad accorciarsi i capelli ed è un fatto traumatico per loro, perciò mi sembrava un discreto espediente. Il fatto che per Yva i suoi capelli siano il particolare che più apprezza del suo aspetto fisico, non è una cosa inventata adesso. Se leggete i primi capitoli della prima ff, noterete che lo dice alcune volte. E poi, diciamocelo… tutte noi, ragazze più o meno mature, ci pensiamo circa dieci, cento, mille volte, prima di andare dal parrucchiere per cambiare taglio di capelli, no? O è solo un mio problema?

Detto questo, passo ai ringraziamenti.

Per MoonLight_95: Ciao! Grazie per la recensione e per i complimenti. Sono graditissimi, come sempre. Anch’io penso che l’imprinting di Jacob con Nessie sia una trovata orrenda e del tutto inverosimile. Hai perfettamente ragione sull’argomento. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Baci, vannagio.

Per C4rm3l1nd4: Ciao cara! Grazie anche a te per la recensione. Adoro Trevor, sono felice che stia simpatico anche a te. Per quanto riguarda Lauren… hai visto? Hanno fatto pace XD. Anche in questo capitolo Edward ha avuto quello che si meritava. Baci e ancora grazie, vannagio.

Per Melody Potter: grazie mille! Continua a seguirmi. A presto, vannagio.

Per Midao: ciao cara! Davvero ti è piaciuto il cap precedente? *me felice* Mi sono divertita parecchio a scrivere il litigio tra Paul e Manuel, perciò leggere che ha soddisfatto le tue aspettative mi fa un immenso piacere. Tengo molto a Trevor: guai a chi me lo tocca XDD. Il sarcasmo di Yva nei confronti di Edward è mancato anche a me, perciò mi sono sbizzarrita! Baci e grazie, vannagio.

Per pinadeipinozzi: ciao. Ti ringrazio per la recensione. Sono felice di sentire che il capitolo precedente ti è piaciuto. Già, Edward è tornato da Volterra. Ormai New Moon è quasi concluso, ma come ho già confermato l’altra volta, scriverò Eclipse. Riguardo Paul e Yva, gli interrogativi sono molti! Baci e grazie, vannagio.

Per Beatriz Aldaya: ciao carissima! Non temere… Manuel non scomparirà per sempre *ops, spoiler*… a ogni modo, felicissima di averti allietato la giornata con il capitolo precedente. Mi sono divertita molto a scriverlo! Sì, Trevor si è specializzato nei salvataggi XD. Sono molto affezionata a questo personaggio e mi rende felice sapere che piace anche a voi, così come vi piace Manuel. Bacioni e grazie, vannagio.

Per _GP_: Ciao cara! Ti piace davvero tanto Manuel, non è vero? Come ho già rivelato a Beatriz, non scomparirà per sempre. Probabilmente lo rivedremo in Eclipse. Per inciso, anch’io penso che sia tremendamente figo XD. Anche in questo cap, mi sono divertita a insultare Eddy XDDDD. Baci e grazie per la recensione, vannagio.

Per sailormoon81: Ciao carissima! Davvero pensi che i due capitoli precedenti siano perfetti? *Cammina tre metri sopra il cielo* ehm… solitamente non cito l’odiato Moccia, pardon! L’idea della vocina/grillo parlante è venuta un po’ dal mio vissuto, a volte capita che mi dico cose del tipo: “dai, puoi farcela!”, “Forza, studia, non fare la pigrona” e così via. Lo so, ti sembro pazza. Come ti è sembrata la rappacificazione Yva/Lauren/Leah? Spero che non sia inverosimile. Fai parte del team Paul, allora? Riguardo la reazione di Manuel di fronte a Paul, non poteva essere altrimenti. Da un lato voleva fare bella figura con Yva, dall’altro è un povero e indifeso umano, perciò non poteva comportarsi come un vampiro indistruttibile. Sì, la trovata di Trevor che telefona alla polizia ha fatto ridere anche me! Bacioni e grazie mille per la tua bellissima recensione. A presto, vannagio.

Per crazyfv: ciao cara! Non preoccuparti, immaginavo che fossi andata in vacanza. Ti sei divertita? Lo spero. Anch’io mi sono presa una settimana di ferie e sono andata alle isole Eolie. Cmq, sono contenta che i capitoli precedenti ti siano piaciuti. Per quanto riguarda la ff su Rebecca, penso che prima di continuarla, terminerò NM pov Yva, tanto manca solo l’epilogo. Bacioni e grazie per la recensione, vannagio.

Per Kiana: Ciao! Anche tu team Paul? Ormai le mie lettrici si possono dividere in due fazioni XD. A ogni modo, sono felice di sapere che continuerai a seguirmi. Baci e grazie, vannagio.

Per Dackota: ciao carissima! Non preoccuparti, davvero. Anch’io ho tardato un po’, può capitare a tutti e non muore nessuno. Sono felice di sapere che il cap precedente ti sia piaciuto: la tua opinione è molto importante per me. Per quanto riguarda il futuro sentimentale di Yva… sto vagliando diverse ipotesi! Vedremo nella prossima ff cosa accadrà. Lo so, sono un po’ sadica. Tornando invece al discorso che facevi sulla finestra… non era una cosa voluta, anzi me ne sono accorta proprio grazie alla tua recensione. Forse il mio cervello l’ha elaborata inconsciamente, visto e considerato che odio tantissimo quella parte del libro di Eclipse. Davvero ti è piaciuta la parte con Edward? E questo capitolo? Altrettanto leggibile? Spero di sì. I fuochi d’artificio? Non esagerare! Le tue recensioni mi allietano la giornata. Grazie mille e mille bacioni, vannagio.

Grazie anche a tutti quelli che seguono, preferiscono, ricordano o semplicemente leggono (ogni tanto dimentico di inserire quest’ultimi, ma è implicito che ringrazio anche loro) la mia ff.

A presto, vannagio.

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


Epilogo, il patto: personaggi irrisolti


“Ehi, cugina!”

“Ciao” risposi distrattamente, senza sollevare lo sguardo dal foglio che stavo compilando, mentre la sedia accanto alla mia veniva spostata.

Lauren posò con poca grazia il vassoio del pranzo sul tavolo - per miracolo la lattina aperta non si rovesciò sul mio foglio - e si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, che quindi strisciò rumorosamente indietro di qualche centimetro. Un sospiro stanco pose fine al piccolo trambusto che l’arrivo della ragazza aveva generato.

Continuai imperterrita a compilare il modulo, riponendo in tale attività la massima attenzione. In sottofondo le voci della sala mensa creavano un brusio indistinto che non mi dava fastidio, ma al contrario mi aiutava a mantenere alto il livello di concentrazione.

Lauren sbuffò, forse indispettita dal fatto che la stessi deliberatamente ignorando. Prese a picchiettare le dita sul tavolo, seguendo un ritmo tutto suo. Afferrò la lattina e sorseggiò la bevanda nel modo più rumoroso possibile: un sorso, due sorsi, tre sorsi, quattro sorsi. Posò la lattina e incrociò le gambe sotto il tavolo, urtando un piede della mia sedia: un evento tutt’altro che accidentale. Infine sbuffò una seconda volta.

“Che fai?” domandò poco dopo.

Rimanere in silenzio per più di dieci secondi costituiva un’impresa pressappoco titanica per mia cugina.

“Compilo la domanda di iscrizione per il college di Seattle” risposi, tenendo gli occhi incollati al foglio.

“Non puoi occupartene in un altro momento?” chiese lei con tono acido.

“Sono in ritardo e a casa ci sono altri moduli che mi aspettano”, misi un punto all’ultima frase, “Finito!” esclamai infine. Rilessi velocemente quanto avevo scritto e ritenendomi sufficientemente soddisfatta del risultato, misi tutto al sicuro nella borsa per evitare disastrosi incidenti. “E tu? A che punto sei?” domandai poi a Lauren. Non volevo che il suo smisurato ego si sentisse troppo trascurato.

La ragazza scrollò le spalle con fare non curante. “Ho risolto tutto da un pezzo ormai…”.

“A quali università hai fatto richiesta?” chiesi sinceramente incuriosita.

In cuor mio speravo che Lauren ed io fossimo accettate nello stesso college.

“Nessuna”.

Il tipico stridore delle ruote che inchiodano sull’asfalto sdrucciolevole invase le mie orecchie. Il rumore era stato prodotto dagli ingranaggi del mio cervello, che avevano cominciato a immaginare come sarebbe stato frequentare una lezione universitaria in compagnia di mia cugina e che nell’udire la laconica risposta della suddetta ragazza si erano inceppati bruscamente.

Mi voltai verso Lauren e sbattendo stupidamente le palpebre per cinque secondi netti, domandai: “Prego?”

“Nessuna università” scandì lei con indifferenza, come se stesse parlando del tempo o di una notizia di gossip ormai stravecchia e tornò a sorseggiare la cola direttamente dalla lattina.

“Stai scherzando”. Un mezzo sorriso disperato accompagnò quella che voleva essere un’affermazione, ma che in realtà suonava come una domanda incredula.

“Mai stata più seria in vita mia” replicò Lauren e qualcosa nel suo sguardo mi disse che era davvero così: non stava mentendo. All'improvviso si girò completamente verso di me. Vidi l’espressione risoluta del suo viso tramutarsi in uno dei suoi rarissimi sorrisi a trentadue denti. Al termine di quella miracolosa metamorfosi chiese: “A che ora ci vediamo questo pomeriggio?”

Un patetico tentativo di cambiare argomento.

“Perché?” chiesi a mia volta, fissandola dritto negli occhi e ignorando l’ultima domanda che mi aveva rivolto.

“Uffa!” sospirò in modo plateale e roteò gli occhi con esasperazione, “Devi per forza farne una tragedia? Diciamoci la verità, Yva! Studiare non è mai stato il mio passatempo preferito…”

“Sì, ma…” provai a replicare inutilmente.

“Ho già deciso, perciò non insistere”, esclamò testarda, “A questo proposito…”, aggiunse immediatamente con tono più gentile, “…se tu volessi darmi una mano per informare mia madre della bella novità…”, di nuovo le sue labbra si distesero in un largo e fasullo sorriso da pubblicità per dentifricio, “…te ne sarei immensamente grata” e sbatté più volte le ciglia, cercando di commuovermi con i suoi acquosi occhioni celesti: un barracuda travestito da cucciolo indifeso.

La fulminai con un’occhiataccia contrariata e la squadrai per un tempo interminabile, ciononostante il suo sorriso non accennò a incrinarsi nemmeno per sbaglio. Incredibile, parlava seriamente!

“Scordatelo!” ringhiai.

La squillante suoneria del cellulare di Lauren - ‘Like a Virgin’ di Madonna - giunse come una manna dal cielo, interrompendo la nostra disputa silenziosa, fatta di sguardi truci e sorrisi cristallizzati.

Lauren tirò fuori il telefonino dalla tasca esterna della borsa, diede una rapida occhiata al display, inarcò un sopraciglio e infine - con un gesto secco e al quanto stizzito - staccò la chiamata senza neanche darsi la pena di rispondere.

“Perché lo tratti così?”, domandai, avendo intuito di chi si trattava, “Che cosa avrà mai fatto quel poveretto per meritarsi un simile trattamento?”

Il volto di Lauren si fece impenetrabile e appena appena imbronciato. “L’ho mollato una settimana fa” replicò, evitando accuratamente di rispondere alla mia domanda, “Perché non la smette di tormentarmi?”

Lauren mi nascondeva qualcosa.
Da quando avevamo ripreso a frequentarci costantemente, avevo notato che qualcosa non andava. Mia madre e la zia Sarah avevano visto giusto, dovevo dargliene atto. Lauren cercava di simulare naturalezza - e il più delle volte vi riusciva alla perfezione, tanto da farmi dimenticare i miei sospetti - ma c’erano alcuni momenti, silenzi prolungati e innaturali, insolite occhiate vacue, in cui percepivo - e a tratti intravedevo - qualcosa… come un turbamento che si celava dietro l’acquosità dei suoi occhi celesti.
Sì, qualcosa turbava Lauren nel profondo. E non aveva alcuna intenzione di parlarmene.

“Ma perché lo hai lasciato? Non ti capisco!” insistetti.

Non ero per niente convinta che Thomas avesse a che fare con i problemi di mia cugina. Da come ne parlava Lauren, la loro ‘relazione’ appariva come una sorta di ripiego. La stessa cosa valeva per Jim.
Nel periodo in cui ci eravamo allontanate, infatti, Lauren aveva avuto due ragazzi - prima Jim e poi Thomas, per l’appunto - e in entrambi i casi era stata lei a troncare. Li aveva lasciati senza un’evidente motivazione valida.

“Non è il mio tipo” rispose lei in tono sbrigativo.

“E quale sarebbe il tuo tipo?” chiesi, cercando di decifrare l’espressione apparentemente rilassata sul suo viso.

“Uhm…” sollevò gli occhi e assunse una posa pensosa. Si mordicchiò l’unghia laccata del pollice e parve rifletterci per qualche istante, “…alto, moro, occhi e carnagione scuri…”

“E Thomas, invece? Com’è?” domandai, decisa a fare un po’ di luce sulla sua vita sentimentale.

Forse Lauren aveva avuto qualche delusione amorosa di cui non voleva parlarmi?

Bevve l’ultimo sorso di cola e con una scrollata di spalle, ripose: “Alto, moro, occhi e carnagione scuri…”

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti la fissai inebetita. Non riuscendo a trovare una soluzione a quel grande rompicapo che era mia cugina, scossi la testa e con un sospiro rassegnato conclusi: “Sei fuori come un balcone, Lauren. Te ne rendi conto, vero?”

***

Nonostante tutto, la vita scorreva tranquilla nella piccola cittadina di Forks.

Ovunque facessi cadere lo sguardo, vedevo coppiette innamorate che avevano raggiunto il culmine della felicità: Edward e Bella, Alice e Jasper, Sam ed Emily, Ben e Angela, mia madre e Trevor, e avrei potuto continuare così all’infinito…

In quel tripudio di ‘vissero felici e contenti’ vi era ancora un personaggio rimasto tristemente irrisolto: Yvonne Brown.
Non mi lamentavo perché avevo riavuto le mie due migliori amiche, ma cominciavo a temere che per me non ci sarebbe mai stato un ‘lieto fine’… non come si intende nelle favole, almeno: nessun principe azzurro sul cavallo bianco per me.
No, quello era un lusso concesso soltanto a Bella Swan.

Vi state chiedendo che fine avesse fatto Paul?

Beh… alla fine sembrava essersi rassegnato alla realtà. Non si faceva né vedere né sentire da diverse settimane.
Pensare a lui mi faceva provare fitte indescrivibili al cuore e purtroppo per me pensavo a lui ogni notte. Tenerlo lontano non era affatto facile. Ero sempre convinta di aver preso la decisione più giusta ma l’impulso di correre a La Push non diminuiva mai, anzi aumentava di giorno in giorno.

In compenso - come credo avrete intuito - Leah mi aveva perdonato…



Qualche giorno dopo il nostro confronto al parcogiochi, la Quileute suonò al campanello di casa mia.

Non mi diede neanche il tempo di spalancare completamente la porta d’ingresso o di invitarla a entrare - a voler essere sinceri, ero troppo sconvolta e terrorizzata dalla sua improvvisa apparizione per farlo -, non salutò e non si perse in convenevoli.
Semplicemente parlò.

“Anche mia madre e mio padre mi hanno nascosto la verità… ci ho riflettuto” aggiunse con un accenno di esitazione, ma mantenendo lo sguardo duro e imperscrutabile fisso su di me, “Credo di aver reagito in quel modo nei tuoi confronti, perché era più facile odiare te che i miei genitori. Era più facile prendermela con te che con il resto del mondo”. Serrò la mascella come se le costasse un’enorme fatica ammettere tutto ciò. “Mi spiace.”

E basta.

Girò sui tacchi e prese a incamminarsi verso il bosco.

Prima che potesse scomparire nella vegetazione come tante volte avevo visto fare a Paul, le corsi dietro. La abbracciai forte e senza fiatare la costrinsi a entrare in casa.

Parlammo fino a tarda notte, raccontandoci tutto quello che non avevamo mai avuto il coraggio di dire l’una all’atra: la prima e unica volta in cui ebbi modo di vedere la vera Leah uscire dal suo guscio.



Poiché eravamo tornate amiche e giacché - in quanto licantropa - aveva accesso alla mente di Paul, sicuramente starete pensando che Leah mi spifferasse tutti i pensieri del mio ex-ragazzo...

Beh, avete immaginato male.

Leah ed io avevamo un tacito accordo… un patto silenzioso stipulato il giorno in cui avevamo fatto pace. Lei non mi avrebbe costretto a parlare di Paul, io avrei fatto altrettanto per quanto riguarda Sam.

Non so spiegare il perché di questa comune decisione. Probabilmente avevamo discusso e tergiversato a sufficienza su quei due babbei. Le confessioni fatte durante quella lunga notte erano state fin troppo intime e compromettenti. Ci eravamo dette tutto, che cos’altro avremmo potuto aggiungere in merito? Indugiare su certi argomenti non avrebbe fatto altro che logorarci ulteriormente.
Credo anche che Leah avesse bisogno di un luogo in cui rifugiarsi e nascondersi, in modo da tenere chiuse fuori le dinamiche del branco e tutto ciò che esso comportava. Leah aveva bisogno di un luogo in cui sentirsi una ragazza normale, spensierata, libera da gravose responsabilità e problemi più grandi di lei.

A quanto pareva c’era un altro personaggio irrisolto in circolazione…

***

“Non so, Yvonne. Si tratta di un grosso favore…” tentennò Leah.

Seduta sul bordo del letto nella mia stanza, studiava con attenzione il contenuto di un sacchetto di plastica trasparente, sigillato ermeticamente.

“È per una buona causa” insistetti, sedendomi accanto a lei e cercando invano di non lasciar trapelare impazienza e urgenza, che premevano per venire fuori attraverso la mia voce.

“Perciò dovrei diventare una specie di cane da tartufo per aiutare il tuo ex-ragazzo Manuel?”.

Scattò in piedi senza alcun preavviso, sul viso l’inconfondibile maschera di cera, mi lanciò il pacco e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza come una tigre in gabbia.
Intanto avevo afferrato il sacco prima che cadesse per terra. Con la scusa di contemplare gli indumenti in esso contenuti, distolsi lo sguardo dagli occhi neri della mia amica che al momento apparivano glaciali e penetranti come lame.

Mi dispiaceva chiedere a Leah un simile favore, ma a chi altro potevo rivolgermi?

Avevo fatto una promessa a Manuel: trovare Fred.
Per questo motivo lo avevo pregato di spedirmi qualcosa che appartenesse al ragazzo scomparso. Sia i vampiri sia i licantropi possiedono un fiuto eccezionale. Supponevo che - memorizzato l’odore di Fred - una creatura sovrannaturale nel pieno delle sue capacità avrebbe potuto individuarne le tracce e, con un po’ di fortuna, ripercorrerne gli ultimi passi.

Deglutii a vuoto, mentre un nodo stretto e ingombrante mi serrava lo stomaco. L’espressione ‘ultimi passi’ non era tra le più felici che potessi usare in una tale circostanza.

Sapevo fin troppo bene quanto Leah faticasse ad accettare la sua doppia natura, ma nessun altro poteva aiutarmi. Forse…

Paul?
Neanche a parlarne.

Sam?
Leah mi avrebbe uccisa.

Edward?
No, perché… perché… perché no?

Guardai Leah di sottecchi, che a sua volta non mi toglieva gli occhi di dosso, probabilmente tentando di indovinare i miei pensieri.

“D’accordo…” mi lasciai andare a un sospiro pesante, ormai pronta ad ammettere la sconfitta.

“D’accordo, cosa?” domandò Leah, sussultando come se l’avessi colta in fallo e arrestando di botto il suo passo di marcia.

“Non posso costringerti a fare qualcosa che non vuoi” spiegai, alzandomi dal letto e dirigendomi verso la scrivania, dove giaceva abbandonato il cellulare. Leah seguiva ogni mia mossa con religiosa attenzione.

“Davvero?”, chiese sempre più incredula, “Ti arrendi? Pensavo fosse importante…”

“Lo è…” assicurai. Intanto stavo cercando il numero del vampiro in rubrica. Mettermi in contatto con Edward era l’ultimo dei miei desideri, ma purtroppo non avevo altra scelta. “…ma non posso costringerti, giusto?” le rivolsi un sorriso rassegnato prima di premere il tasto ‘avvio chiamata’ e portare il cellulare all’orecchio. “Chiederò a Edward Cullen. È ancora in debito con me, sono sicura che…”

“Aspetta un attimo!” urlò improvvisamente.

In un batter d’occhio mi fu accanto, mi strappò il telefonino dalle mani e staccò la chiamata prima che dall’altro capo qualcuno avesse il tempo di rispondere. Leah si era mossa così velocemente che - presa in contropiede da quella reazione inaspettata - non avevo avuto la prontezza di spirito di oppure resistenza. Ma infondo… quali speranze avrei mai potuto avere contro una licantropa?

“Stai forse insinuando che una sanguisuga sia migliore di me?” domandò Leah, ormai completamente fuori di sé.

“No, io…” farfugliai imbarazzata, incapace di usare la lingua in modo più soddisfacente.

“Ti aiuterò” mi interruppe lei, risoluta. Tratteneva a stento la rabbia. Puntando un dito contro il mio petto, aggiunse: “Ma guai a te se osi dubitare ancora una volta delle mie capacità!”

Senza staccarmi gli occhi di dosso, posò il telefonino sulla scrivania e per poco l’impatto con il ripiano di legno non lo mandò in mille pezzi.

“È la voce soave di Miss Broncio-Perenne quella che sento?”

Fortunatamente la provvidenza aveva mandato qualcuno ad allentare la tensione.

Il volto angelico di Lauren fece capolino da dietro la porta. Vedendola entrare, Leah si lasciò scappare un gemito di sofferenza. Il lamento non sfuggì a Lauren, che ghignò sarcastica e soddisfatta in direzione della licantropa.

Ero sicura che mia cugina avesse udito soltanto la parte finale della conversazione, perciò Leah, i nostri segreti ed io non avevamo nulla di cui temere.

“Un po’ di allegria, ragazze!”, trillò la neo-arrivata, “Ho portato la pizza…”, e così dicendo consegnò la scotola fumante a Leah, “e un bel film da vedere tutti insieme appassionatamente”, una custodia rettangolare volò attraverso la stanza e atterrò dritta dritta nelle mie mani. Finalmente libera dagli impicci, Lauren accese la televisione e si accomodò tra i cuscini del mio letto, perfettamente a suo agio, come se si trovasse a casa sua, mentre Leah ed io - ancora in piedi - la fissavamo a occhi sgranati.

La grandiosa idea di far incontrare Leah e Lauren sotto lo stesso tetto era stata mia. Per qualche assurdo motivo, che in quell’istante mi sfuggiva perché lo avevo dimenticato, mi ero convinta della necessità che le due ragazze diventassero amiche. Chissà perché, ogni volta che le Leah e Lauren si trovavano a una distanza inferiore ai dieci metri l’una dall’altra, non ero più tanto sicura della mia convinzione.
In realtà il mio era un egoismo travestito da altruismo. Dato che non riuscivo a rinunciare a nessuna delle due, pretendevo di poterle frequentare contemporaneamente.
A quanto pareva ero davvero affetta da una strana forma di autolesionismo…

Tentai di rassicurare me stessa, pensando che con un film da seguire e una pizza da mangiare, le probabilità che le mie due amiche si scannassero a vicenda fossero minime. Perciò abbassai lo sguardo e quando i miei occhi si posarono sulla custodia del dvd, il terrore mi gelò il cuore.

“Ehm… Lauren?” balbettai.

Appoggiata alla scrivania, Leah aveva appena addentato un pezzo di pizza e avvertendo l’accelerazione improvvisa del mio battito cardiaco, mi rivolse un’occhiata perplessa.

“Sì?” rispose mia cugina, senza distogliere lo sguardo dallo schermo del televisore, ignara del disastro che aveva inconsapevolmente scatenato.

“Ehm… tu… ricordi quello che ti ho detto a proposito del film che avresti dovuto affittare, vero?” domandai cauta, tentando di non attirare troppo l’attenzione su di me.

“Sì, sì…” mi assicurò con tono annoiato, “…niente di romantico o strappalacrime…”

Già.

Niente di romantico o strappalacrime.

Questo le avevo chiesto.

E allora perché il titolo del film che lei aveva scelto era ‘Vampire Kisses’*?

“Ehm…”, tentennai ancora, “…Lauren… tu sai di che cosa parla questo film?”

“Suppongo che si tratti di vampiri, no? Non andavi matta per quella robaccia? Pensavo di farti un favore!”

Un pensiero carino, il suo…

“Vampiri?” ripeté Leah con un tono di voce che non prometteva niente di buono.

…peccato che il film in questione trattasse di una storia d’amore tra un vampiro e un’umana e di licantropi malvagi che cercavano di dividere i due protagonisti: romantico da cariarsi i denti, strappalacrime fino alla nausea e ovviamente un bellissimo e scontatissimo ‘lieto fine’.

Questa è la volta buona che Leah mi ammazza, pensai terrorizzata.

Senza neanche rendermene conto, mi voltai.

Leah aveva intuito tutto.

Forse, come me, aveva già visto quel film.

E a giudicare dall’espressione del suo volto, non era affatto contenta della scelta di Lauren.

***

Era appena passata la mezzanotte.

Leah e Lauren erano andate via da circa una mezz’oretta.

Per fortuna ero riuscita a salvare la serata, pescando tra la mia collezione di dvd un film abbastanza violento e sufficientemente ‘non soprannaturale’ da non ferire i sentimenti di Leah Clearwater.

Dopo una rapida doccia che era riuscita a distendere i miei poveri nervi e con un asciugamano in testa che avvolgeva i capelli umidi come un turbante faidate, mi sedetti alla scrivania. Era passato qualche giorno dall’ultima volta che mi ero connessa al mio forum sui vampiri ‘Fangtasia: accesso libero a umani e non’. Così decisi di dare una rapida occhiata tra le sezioni per verificare che fosse tutto a posto e poi filare sotto le coperte.

Cliccai sul link del forum, posto nell’elenco dei miei preferiti e...


‘Questa pagina web è stata rimossa’


Panico.

Provai una seconda volta.

E una terza.

E una quarta.

E una quinta.

Il risultato era sempre lo stesso.


‘Questa pagina web è stata rimossa’


Che diavolo era successo?
Possibile che il mio forum fosse stato rimosso davvero? E da chi? Conoscevo le regole ed ero certa di non averne infranta nessuna.

Non volevo arrendermi, così aprii il programma di posta elettronica con l’intento di contattare il gestore e chiedere spiegazioni. Un’e-mail nella casella di ‘posta in arrivo’ catturò il mio sguardo e bloccò in tronco qualsiasi azione da parte mia.
Era stata inviata il giorno prima alle 15:52. L’oggetto dell’e-mail diceva: Rimozione del forum ‘Fangtasia: accesso libero a umani e non’.

Senza pensarci due volte, aprii l’e-mail e cominciai a leggere. Stupore e perplessità aumentavano a ogni riga.


Egregia Signorina Brown,

la A.M.C. & Co. Le scrive a causa di uno spiacevole inconveniente.
Pare che Lei, da qualche anno a questa parte, sia entrata in possesso di informazioni strettamente confidenziali riguardanti la suddetta compagnia. Nessuno mette in dubbio la Sua buona fede e discrezione, tuttavia l’idea che alcuni dettagli possano essere diffusi accidentalmente attraverso il Suo forum costituisce motivo di profonda preoccupazione per i soci dell’azienda. Al fine di evitare dissapori e tensioni, i membri del consiglio di amministrazione sono convenuti all’unanimità che sopprimere lo spazio web da Lei occupato fosse l’unica soluzione percorribile. Ci scusiamo per il disturbo arrecatole ma ne va della sicurezza e sopravvivenza della nostra società.
La avvisiamo fin da ora che qualora decidesse di riaprire tale forum saremo costretti a ricorrere a misure estreme. Confidiamo nel Suo buon senso.
Infine La informiamo che entro la fine del periodo estivo potrebbe ricevere una visita da parte di alcuni nostri delegati, i quali avranno il compito di verificare l’entità del danno prodotto dalla fuga di notizie.
Tantissimi auguri per il Suo esame di diploma.

Cordialmente,
G. Benvenuti
Responsabile Ufficio Relazioni A.M.C. & Co.


Uno scherzo.
Non poteva che trattarsi di uno stupido scherzo.
Quale società poteva sentirsi minacciata da un forum di una diciottenne non ancora diplomata, al punto tale da rimuoverlo e minacciare la suddetta ragazza?
A quali segreti si riferiva la lettera?
Possibile che si trattasse solo di un equivoco?
L’idea che qualcuno si presentasse a casa mia per ‘verificare l’entità del danno prodotto dalla fuga di notizie’ non mi piaceva neanche un po’.
Come faceva tale G. Benvenuti a conoscere il mio nome, il mio indirizzo e-mail e a sapere del mio esame di diploma?

Un brivido freddo mi attraversò la schiena.

All’improvviso non avevo più tanta voglia di dormire.




To be continued…




_______________________________

Note di fine capitolo:
*Vampire Kisses: è il titolo di una serie di libri per ragazzi che racconta la storia d’amore tra un vampiro e un’umana (tanto per cambiare) ma non ci sono licantropi (o almeno non ce ne sono fin dove sono arrivata a leggere, cioè a metà del secondo volume). Naturalmente non esiste nessun film con questo titolo. Se il libro vi interessa - ma vi assicuro che non è niente di speciale - l’autrice si chiama Ellen Schreiber.

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Nota autore:

Salve a tutti!

Quasi quasi mi vergogno per l’immane ritardo. Purtroppo ho attraversato un periodo in cui la voglia di scrivere era ridotta allo zero per cento. Non si trattava di mancanza di ispirazione, perché sapevo già da molto tempo come impostare questo epilogo. Semplicemente il computer mi dava la nausea. Probabilmente è anche lo studio a esaurire tutte le mie energie, perciò spero che non siate infuriati con me.

Mi rendo conto che concludere una ff in questo modo - soprattutto dopo mesi che non mi faccio viva - è una vera carognata, però ho intenzione di farmi perdonare.
“E come?” vi starete chiedendo.
Ho deciso di scrivere un piccolo ‘extra’ e sarete voi a decidere su quale personaggio verterà.
Potete scegliere tra:
- Fred
- Lauren Mallory
- Leah Clearwater
- Manuel Smith
- Paul
Ovviamente vince la maggioranza.

Ho risposto alle vostre recensioni attraverso la nuovissima funzione ‘rispondi alle recensioni’ introdotta da Erika. Da adesso in poi risponderò sempre così ai vostri graditissimi commenti.
Fatemi sapere che cosa ne pensate di questo epilogo. Si tratta di una conclusione un po’ anomala, ma in fin dei conti nemmeno New Moon originale ha una vera fine. Diciamo che questo epilogo introduce alcuni elementi che verranno sviluppati nella prossima ff.

E adesso non rimane altro da fare che rivolgere un grandissimo GRAZIE a tutti quanti: ai lettori silenziosi (lo so che ci siete) e a quelli che hanno seguito, preferito o ricordato questa ff.
Ovviamente GRAZIE a tutti quelli che, anche con poche parole, hanno commentato i vari aggiornamenti, spendendo un po’ del loro tempo per rendere felice una piccola fanwriter complessata.

GRAZIE GRAZIE GRAZIE a tutti.

Infine GRAZIE a Stephenie Meyer. Anche se su molte cose non sono d’accordo con lei, non posso certo dimenticare che tutti i personaggi del ‘Twilight Fandom’ - di cui noi fanwriters ci appropriamo temporaneamente - sono stati creati da lei.
Insomma, se lei non avesse scritto di Edward e Bella, tantissimi personaggi a me cari - tra cui Leah Clearwater, Paul, Lauren Mallory e perfino Yvonne Brown - non esisterebbero.
Perciò…
Ti ringrazio Stephenie, sperando che il tuo prossimo spin-off non rovini i miei personaggi preferiti.

Infine, spero che non vi dispiaccia se faccio un po’ di pubblicità.
Qualche mese fa ho scritto una one-shot su Sam Uley dal titolo ‘Io, me e il lupo’. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate.
Vorrei segnalarvi anche ‘Harvest Moon’ di chiaky89, una long-fic che ha come protagonista Leah Clearwater. Andate a dare un’occhiata, ne vale veramente la pena!

A presto, vannagio

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Capitolo 26
*** Extra ***


Attenzione! Nel testo è presente un linguaggio scurrile. Lettore avvisato, mezzo salvato!




Piccolo turpiloquio su quel rompicoglioni di Manuel.
Credete di conoscerlo?
Beh… vi sbagliate, cazzo!





Quando ti trovi faccia a faccia con Manuel Smith per la prima volta o hai l’occasione di assistere a uno dei suoi concerti - sempre che si possa definire concerto un’esibizione in un pub di venticinque metri quadrati davanti un pubblico di circa cinque persone, barman compreso -, hai l’impressione di trovarti di fronte a uno di quei Metallari incalliti, duro come la musica che suona, un pelino inquietante come i tatuaggi che gli ricoprono le braccia, un tipo dal fisico secco e asciutto come le bacchette che usa per suonare la batteria.
Lo guardi esibirsi con il gruppo, mentre sbatte le bacchette sulla batteria fino a spaccarle e scandisce un ritmo martellante, adrenalinico e ossessivo, mentre si danna l’anima su quei piatti quasi voglia fare a pezzi pure quelli e il viso gli si bagna di sudore, mentre agita la testa - su e giù, a destra e sinistra, che sembra un indemoniato - e i capelli gli ricadono sulla faccia in una bizzarra imitazione di ‘The Grudge’… lo guardi esibirsi con il gruppo, stavo dicendo, e non puoi fare a meno di pensare che è proprio un gran figo! Uno di quegli alternativi, insomma. Uno tosto, di quelli che quasi tutte le ragazze tra i quattordici e diciassette anni sognano di incontrare e far innamorare di sé. Uno che se butta un fischio, gli si presentano davanti dieci strafiche pronte a fare la qualsiasi.
E questa l’immagine che avete di lui, no?
Ma poi succede che lo frequenti per alcuni giorni, mesi o - come nel mio caso - anni e allora ti rendi conto che è tutto un’accozzaglia di cazzate! Squinternato, perennemente al verde, un po’ scroccone - per necessità, ovvio, ma pur sempre scroccone. Ho perso il conto di tutti i “Mi presti una sigaretta?” e “Suvvia, offrimi una birra!” -, con la testa sempre fra le nuvole, ritardatario per natura e chi ne ha più ne metta. Dovreste vederlo al mattino appena svegliato… non è un bello spettacolo, ve lo assicuro. Altro che Metallaro figo! Un poppante con il moccio sotto il naso sembra quello là, parola mia! Roba da far venire il voltastomaco.
Ha anche i suoi pregi, per carità. Il miglior amico che si possa avere, su questo non ci piove. E gli voglio un mondo di bene. Cazzo, mi taglierei la mano destra per Manuel. E se suoni la chitarra, quella ti serve, eccome se ti serve!
Ma avere a che fare con un tipo come lui è cosa difficile. Merda, se è difficile! Uno che batte il tempo ovunque, usando qualsiasi superficie piana esistente, ventiquattro ore su ventiquattro ore, trecentosessantacinque fottuti giorni l’anno - pure quando dorme, accidenti! -, che ascolta quella merda dei Green Day - si spacciano per un gruppo punk, ma di punk non hanno neanche i vestiti ormai -, un irritante so-tutto-io di musica e dintorni come se lui fosse l’unico musicista in circolazione - ehi, amico! Dico, mi vedi? La vedi la chitarra? Abbassa la cresta, faccia di latte, che la musica la suonavo da parecchio tempo, da quando tu portavi ancora il pannolino! -, un tipo, insomma, che rompe i coglioni dalla mattina alla sera. E forse tutto questo risulterebbe anche sopportabile, se non fosse per ‘Il Difetto’, quello con la ‘D’ maiuscola.
Quando Manuel si innamora ti viene voglia di afferrarlo per i capelli e scaraventarlo giù dalla finestra. Perché? Perché si riduce a un cagnolino scodinzolante. La tizia lo mette al guinzaglio e lui trotta al suo fianco finché lei non lo abbandona nel bel mezzo di una tangenziale. Proprio nel momento in cui sta per sopraggiungere un auto-treno.
E ovviamente Manuel si innamora spesso. Facciamo anche continuamente. Beh, forse rende di più l’idea se dico sempre. Un mese sì e l’altro pure. Non che lui si atteggi a rubacuori o playboy, assolutamente! A Manuel non piace il classico ragionamento del ‘una botta e via’. Lui preferisce cose come ‘due cuori e una capanna’ e altre cazzate del genere, tipo strapparsi il cuore dal petto, farci un frullato e offrirlo da bere alla prima sgualdrina che passa. È snervante, davvero! Appena ne incontra una un tantino carina, si innamorava perdutamente e ci cade dentro fino al collo - sì, intendo proprio nella merda -, perché a quel punto cominciano i guai. Se capita che la tizia è fidanzata e onesta, Manuel si becca un indolore - fisicamente parlando - due di picchi e passa le settimane successive a struggersi l’anima fino alla prossima cotta. Se invece la tipa in questione è fidanzata e troietta - no, non di quelle che la danno a tutti, ma di quelle che te la fanno annusare e poi invece del biscottino ti becchi la mazzata -, allora, nel migliore dei casi, Manuel se ne torna a casa con un occhio nero e l’orgoglio ferito. Che se volete sapere il mio parere, meglio l’orgoglio ferito che la testa spaccata!
Poi ci sono i casi in cui la topa ricambia alla grande. Come Lilian o Yva. E si tratta di topine come si deve, mica di ragazzette insulse e stupide. Lilian, oltre che una dea, è iscritta in medicina. Si sta per laureare con il massimo dei voti. Figlia di dottori straricchi. Quando ti ricapita di incontrarne una così? E che stravede per te, per giunta? Te la sposi e ti metti a posto per tutta la vita, dico io. E Yva? Non sarà uno splendore ma è una tosta, la ragazza. Cacchio! Una donna che capisce di musica e che ti conosce come le tue tasche, che sopporta te e le tue canzoni spacca-timpani per più di due minuti! Vorrei tanto sapere dove le fabbricano ragazze del genere.
Siccome le cose, prima con Lilian poi con Yva, andavano troppo bene e Manuel senza guai non ci sa proprio stare - forse a lungo andare si annoia, forse e solo un grandissimo coglione, boh! -, il mio carissimo amico finisce per combinare qualche cazzata e mandare tutto a puttane.
Andrea - la pollastra gotica, come mi piace chiamarla - ne è un esempio lampante. Di essere arrapante… è arrapante, lo devo ammettere. Con quelle minigonne vertiginose, che a ogni movimento di bacino trattieni il fiato nella speranza di vederci sotto qualcosa. Cazzo, una ripassata gliela darei volentieri a quella, anche due… ma non è questo il punto. Il punto è che a Manuel manco piaceva Andrea. Però il casino l’ha fatto ugualmente. E indovinate chi si è dovuto sorbire tutte le sue pippe mentali? Il sottoscritto, naturalmente.
Ma volete sapere qual è la cazzata del secolo? Manuel ti rompe i maroni per giorni con i suoi problemi e poi manco prende in considerazione i tuoi consigli! Semplicemente, ti manda a fare in culo in modo più o meno esplicito e dopo fa di testa sua. Come quella volta che per rimediare al danno con Yva ha preso il primo aereo per Port Angeles, mollando la band e l’Università. Mi chiedo, è una cosa normale secondo voi?
Adesso siamo in una fase di stallo. Manuel dice che di ragazze non vuole più sentirne parlare. Si vuole prendere una pausa dalla topa. Beh, non sono state le sue parole esatte ma il concetto è quello. Chissà, forse sta pensando di farsi prete o magari vuole cambiare sponda. C’è poco da scherzare, comunque. Con Fred che non si trova, Alex a New York e il gruppo che non esiste più, siamo rimasti solo Manuel ed io. E detto tra noi, non è che sia la più allegra delle accoppiate, tutt’altro! Lui, che si masturba mentalmente per Yva, anche se non lo ammetterebbe mai - va sbandierando ai quattro venti che ha superato la faccenda ma a chi le vuole raccontare queste cazzate? A me? Che lo conosco meglio di sua madre? -. Ed io, che con tutti questi problemi e i nervi a fior di pelle, a ogni minima occasione scatto come una molla, neanche fossi un serpente a sonagli con la rabbia. Potete immaginare, insomma. Praticamente non ce le diamo di santa ragione soltanto perché a quel punto uno di noi creperebbe e l’altro rimarrebbe completamente solo.
Cazzo che situazione! Merda, cazzo, cazzo, cazzo!

A questo punto vi starete chiedendo che cosa cazzo avessi intenzione di dimostrare con questo fottuto sproloquio.
Niente.
Un povero cristo non è libero di sfogarsi, bestemmiare e imprecare quanto gli pare?
Cazzo!





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Chiedo scusa da parte di Tom. Chi? Tom, il chitarrista del gruppo di Manuel. Gli avevo dato carta bianca per parlare di Manuel ma ho l’impressione che non sia stata una buona idea. All’inizio ha tentato di contenersi, poi si è lasciato andare al turpiloquio più sfrenato.
Scherzi a parte.
La maggioranza delle persone avevano scelto l’extra su Manuel e quando mi sono messa a scrivere, senza neanche rendermene conto è venuto fuori questo piccolo testo di dubbia qualità.
So che molte di voi si aspettava un extra Manuel-Yva e mi spiace se ho disatteso le vostre aspettative. L’intenzione di questo pezzo non è smontare la figura di Manuel ai vostri occhi, ma solamente mostrarlo sotto un altro punto di vista perché il suo, quello di Manuel, e quello di Yva mi sembravano dei pov troppo di parte. Perciò come narratore ho scelto Tom, che tra l’altro - poverino - fino ad ora era stato solo un nome.
Spero di avervi fatto passare dei minuti piacevoli.
Grazie in anticipo a tutti quanti.

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