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“Non
mi lascerai mai?” chiese lei.
“Non
posso lasciarti” rispose lui.
“Perché
non puoi?”.
“Perché
senza di te muoio”.
“Dimmelo
ancora”.
Lui
sorrise, la teneva stretta. “Senza di te muoio”.
“Ancora”.
“Senza
di te muoio”.
“Ancora!”.
Cherise cambiò canale con uno sbadiglio. Era
tutto molto interessante quando lei amava lui ma lui non amava lei e quando lui
si accorgeva di amare lei ma lei non amava più lui. Ma quando entrambi si
amavano c’era tutta quella parte dedicata a dichiarazioni e smancerie varie,
che non valeva la pena di vedere. Fine
del film. Cherise trastullò il telecomando per due minuti buoni prima di
trovare un altro film. Mai stata baciata.
“Okay può andare” fece, nonostante l’avesse già visto più di una volta.
Interessante. Sì, molto divertente tutta la parte in cui lei, giornalista
infiltrata che si finge una liceale, viene presa in giro da tutta la scuola.
Molto divertente la parte in cui si smaschera al ballo di fine anno. Molto
divertente la parte in cui il professore, il suo lui, non ne voleva più sapere di lei perché l’aveva preso in giro.
“Ci siamo” borbottò mentre lei, in
piedi su quel campo da baseball, aspettava lui
per, come aveva scritto nel suo articolo, ricevere il suo primo bacio. Click. Cambiato canale. Di questa sua
mania era meglio non far parola con nessuno. Una volta aveva raccontato alla
sua vicina di banco di scuola Laura che, quando davano Titanic in tv, lasciava perdere tutta la parte in cui Jack e Rose
si innamoravano e guardava solo la morte di lui. Laura non aveva reagito troppo
bene. Aveva sgranato gli occhi, alzato le sopracciglia fino a farle sparire
dietro la frangia e detto: “Sei sadica”.
Cherise
spense la televisione. Non voleva vedere altri film d’amore, dove sembrava che
tutto andasse bene e che tutto durasse in eterno. Che cos’era l’amore
dopotutto? Incontrarsi, innamorarsi, sposarsi, divorziare. Non mi lascerai mai? Oh,
sì, ti lascerà, cara mia. Sentiva
le grida dei suoi genitori, nella loro camera da letto. Sentiva la radio accesa
in camera di Tonio che tentava di coprirle. Si
stese sul letto. I
suoi genitori non dovevano essere delle persone molto normali, perché non era
normale litigare alle undici di sera per un libro di papà lasciato fuori posto
mentre mamma doveva pulire. Ma
d’altronde non era normale neanche chiamare la propria figlia Cherise. Era un nome che piaceva a
tutti, eppure nessuno lo sapeva scrivere. Tra i suoi compagni di classe, i più
intelligenti erano riusciti a scrivere Cherys,
ma c’era ancora chi era convinto si scrivesse Sceris. Certo,
era fico presentarsi così. “Mi chiamo Cherise”. Chi ascoltava restava
impressionato. Ma dopo cinque minuti l’aveva già dimenticato. “Scusa, come hai
detto che ti chiami?”.
“Cherise”.
Adesso
non era più impressionato. Ma era interessato. “Sei straniera?”.
“Il
mio bisnonno è morto in Canada”. Come se questo avesse potuto spiegare perché i
suoi genitori, entrambi figli di baresi emigrati a Bologna nel lontano 1977, l’avessero
chiamata Cherise.
“Ah”.
Era
una conversazione da copione.
Presentarsi
con nome e cognome era ancora peggio.
“Mi
chiamo Cherise Caruso”. L’interlocutore
rimaneva per qualche istante pensieroso, probabilmente chiedendosi se dire o no
quella cavolata che avrebbe poi detto. “Avete dei nomi strani laggiù”.
Laggiù. Il fatto che i suo genitori
fossero del Sud e il fatto che sua madre mentre era incinta si guardasse un
film americano dietro l’altro erano ben poco collegabili. “Ero
indecisa tra Cherise e Sandy, con Caruso però stava meglio Cherise” le aveva
spiegato una volta. Sandy Caruso. Cherise
aveva cominciato ad apprezzare il proprio nome. Fortunatamente,
alla nascita di suo fratello, sua madre aveva già superato questa fase e aveva
scelto il nome Antonio, nome che comunque, accompagnato poi da Caruso, era un chiaro segno distintivo del
laggiù da cui venivano.
La
musica di Infinity regnava ancora
sovrana in casa, accompagnate dalle urla isteriche di mamma.
“E’
tardi, abbassate il volume!” gridò Cherise. Il giorno dopo sarebbe dovuta
alzarsi a un orario improponibile d’estate. Era il primo giorno di lavoro. Non aveva mai lavorato in vita sua, e dato
che tra qualche mese sarebbe stata maggiorenne, i suoi avevano deciso di
affibbiarle un lavoretto estivo. Aveva
trovato qualcosa in un centro commerciale, insieme coi suoi amici Elena e
Mattia.
Sbadigliò.
Se la sua vita fosse stata un film, si sarebbe innamorata del suo capo o di un
suo collega o di un cliente abituale. Ma se la sua vita fosse stata un film,
probabilmente si sarebbe chiamata Cherise per un motivo tipo sono americana-ho un nome americano. Il boom boom della musica house di Tonio
continuava. “Il
volume!” esclamò ancora la ragazza.
Il
volume finalmente s’abbassò. E rimasero le urla dei genitori che non
demordevano.
“Non
mi aiuti e lasci pure la tua roba in giro!”.
“Se
la mia roba ti dà fastidio la metto in una valigia e vado via!”.
Non mi lascerai mai? Nei
prossimi venti minuti, no
Ringrazia
di vivere in un film. Era
appena finito Mai stata baciata. Elena
Mancini, sdraiata a pancia in sotto sul suo letto, stringendo il cuscino a sé,
sognava ancora quel professore da sballo che aveva fatto innamorare la
protagonista. Amore. Aveva diciotto anni ma si sentiva impotente in quel campo.
Non ci capiva ancora molto. Certo che con due fratelli maschi si poteva ritenere
fortunata se era uscita qualche volta con dei ragazzi. Luca riusciva a farla
sentire in colpa ogni volta che usciva e Andrea sembrava la volesse tenere
sotto una campana di vetro. Soprattutto da quando era successo. Qualcuno
bussò alla porta.
“Sei
ancora sveglia, Elena? E’ tardi”.
“Sto
andando a letto, nonno”.
“Buona
notte”.
Elena
si alzò e disfò il letto. “Buona notte”.
Si
risedette. Il giorno dopo avrebbe cominciato a lavorare in un centro
commerciale. Doveva farlo. La pensione del nonno e lo stipendio di Andrea non
bastavano per tutti e quattro. Non era del tutto negativa all’idea. Dopotutto
avrebbe passato del tempo con Cherise e Mattia. Sentì le gote andare
improvvisamente in fiamme. Subito dopo una risatina nervosa prese il
sopravvento. Si buttò sul letto di lato, continuando a ridacchiare. Avrebbe
passato del tempo con Mattia. La
felicità sfumò e in attimo si sentì agitata. Non aveva idea di come sarebbe
stato lavorare, non aveva idea di chi le avrebbe insegnato, non ne aveva idea se
sarebbe stata all’altezza o avrebbe fatto come suo solito delle pessime figure.
Calmati,
si disse. Il cuore le batteva forte e non voleva spegnere la luce. Se avesse
spento la luce, si sarebbe addormentata e il mattino sarebbe arrivato. Avrebbe
voluto parlarne con qualcuno, delle rassicurazioni, un po’ di conforto ma il
nonno era troppo burbero, Andrea era ancora a lavoro e Luca già dormiva. E
comunque nessuno di loro avrebbe capito. Voleva una presenza femminile, voleva
la mamma.
Si
alzò, respirando affannosamente. Smettila di avere paura, si disse. Si passò
una mano sulla fronte, era imperlata di sudore. Basta, era grande ormai, non
poteva continuare ad avere paura di notte. Eppure non riusciva mai ad evitarlo.
I suoi piedi cercavano da soli le ciabatte e la conducevano fuori dalla stanza,
lungo il corridoio. Si ritrovò di fronte a quella porta che nessuno apriva mai.
L’aprì
piano, quella cigolò appena. Era buio.
“Mamma,
papà” chiamò “posso dormire con voi?”.
Senza
aspettare una risposta, s’intrufolò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé
senza fare rumore.
Si
avvicinò al letto in punta di piedi perché non voleva svegliare nessuno. Si accomodò
sul letto, ignorando la coperta ruvida, e si fece piccola piccola perché se no
in tre non ci stavano. “Buonanotte
mamma. Buonanotte papà”.
Baciò
le due fotografie che il nonno aveva messo ai due lati del letto.
E
chiuse gli occhi.
Era appena
finito uno di quei film che sicuramente tutte le ragazzine avevano guardato
ciucciandosi il dito.
Mattia
spense la tv assonnato. La sera prima del grande
giorno dovevano trasmettere quella roba? In
due ore di film, la giornalista era riuscita ad avere ciò che più sognava. Un
articolo ben scritto, fama e amore. Bella vita. Mattia si stese a pancia in
sotto sul letto, armatosi di carta e penna. 4 scrisse. Si gratto la punta del mento
con la biro. 25. 78. 43. Chiuse gli
occhi per concentrarsi. 59. Sì, 59 ci
stava. E per ultimo, 88. Piegò il
foglietto di carta e lo lanciò sul comodino. Se quella era la sera prima del
grande giorno, che sarebbe stato noto come il più orribile della sua vita, Dio
poteva mandargli un po’ di fortuna. Un euro. Un misero euro e sei numeri.
Si
mise su un lato, guardando davanti a sé una seggiola ricoperta di vestiti. La
sua vita era sempre stata estremamente noiosa.
Scuola, calcio, scuola, calcio. Un cinema ogni tanto. Genitori ordinari,
una sorella isterica, un cane. E ora avrebbe avuto il top della noia. Un lavoro. In un centro
commerciale. Con due amiche, con Elena Mancini,
ma tanto non è che andavano là per divertirsi. Fece una smorfia. Ripensò a ciò
che gli diceva Chiara. “Pensi
di avere una vita noiosa? E’ la vita che hanno tutti i ragazzi, cosa ti aspetti
di più?”.
“Boh”.
“Sei
proprio uno strano, Parisi. Sogni ma non sai cosa sognare”.
Non
credeva fosse un complimento. Ma non sapeva mai cosa dire in certe situazioni.
Certo che dire alla propria ragazza che la vita gli sembrava noiosa non era
stata una grande idea. Probabilmente era per quello che l’aveva mollato. Non
importava, l’amore non era eterno e che finisse prima o dopo non faceva
differenza. Tutta questa situazione faceva pena.
“Sei
tu che fai pena, Mattia”.
“Grazie,
Giulia”. Dio,
aveva solo esposto di prima mattina tutti gli aspetti negativi della vita mentre
accarezzava il cane. Giulia aveva sputacchiato latte ovunque sibilandogli che
almeno lui quel giorno non avrebbe avuto l’interrogazione di matematica e il
compito di latino nel giro di tre ore. Questo si chiamava vivere giorno per
giorno. Sua sorella Giulia viveva giorno per giorno. Era felice se non c’erano
interrogazioni o era felice se il tipo
super super figo della 5°Bla
guardava. Lui voleva di più. Se la tipa
super super figa della 5°A lo guardava (e comunque non era mai successo),
ciò non risolveva un bel niente. Poggiò
sul pavimento biro e carta. Doveva ricordarsi di raccoglierli da terra subito
il mattino dopo o la mamma l’avrebbe tirata così lunga che il caffè si sarebbe
bruciato, il cane avrebbe pisciato in casa, Giulia avrebbe cominciato a
frignare perché aveva bisogno per come
minimo mezz’ora del bagno, occupato da papà che non usciva perché non
voleva finire in quel casino. Chiuse
gli occhi.
Dio, fa che vinca al superenalotto.
“Non
vi vedo entusiasti” stava dicendo Elena.
“Ho
solo sonno” replicò Cherise con uno sbadiglio “vedrai che verso le otto
mostrerò la mia gioia”.
“Veramente
sono le nove” osservò Mattia.
Cherise
lo guardò attonita. Le nove? Aveva
fatto talmente fatica ad alzarsi dal letto che sembravano le cinque di mattina.
Pensò con odio a Tonio, sicuramente ancora a letto con quel rimbambimento di
musica house nelle orecchie.
“Entriamo?”
fece Elena, che mostrava un tale misto di agitazione e felicità da far venire
la nausea.
Cherise
si voltò pronta a scambiarsi un’occhiata di rassegnazione con Mattia ma rimase
interdetta nel vedere il ragazzo che sorrideva guardando Elena. E quella
arrossiva.
Bene,
pensò Cherise, funerea, da oggi in poi mi toccherà guardare un film d’amore
tutti i giorni in prima fila.
Continuò
a guardare i due amici. Mattia era alto sul metro e ottanta, mingherlino,
castano e spettinato, due occhi incavati che gli davano uno sguardo da serial
killer. Ma i gusti erano gusti. Elena era, nonostante lei lo negasse, una delle ragazze più amate (per non
dire sbavate) della scuola. Era alta,
bionda, snella, due occhi grandi azzurri con delle ciglia di un metro. La sua
rovina era suo fratello Luca, che andava in giro per tutta la scuola a dire che
il loro fratello maggiore, Andrea, aveva mandato all’ospedale un paio di elementi
che ci avevano provato con Elena. Il che era tutta una balla.
Cherise
si sentiva un po’ insignificante, col suo metro e sessanta, con una faccia che
avrebbe potuto essere quella di chiunque e con i suoi capelli castano né-ricci-né-lisci
che lei odiava e teneva sempre legati.
I tre,
fermi sull’entrata del Pianeta da circa un quarto d’ora, si decisero ad
entrare.
“Che
peccato” fece Cherise, allungando un passo verso il bar “dobbiamo già
separarci”. Lanciò un’occhiata agli amici. Elena sembrava moralmente distrutta.
“Dai,
ci vediamo per pranzo” disse Cherise, tentando di rimediare “Venite da me, vi
servo io”. Fece una risata diabolica che strappò un sorriso ad Elena, salutò
Mattia che la guardava come se fosse pazza e si avviò verso il bar.
C’erano
poche persone sedute ai tavoli e al banco c’era un uomo moro sui venticinque
anni, seduto su uno sgabello che leggeva il giornale .
Cherise
gli si avvicinò. “Ciao” disse.
“Ciao”
rispose quello senza alzare lo sguardo “Cosa ti servo?”.
“Io
lavoro qui”.
Il
ragazzo finalmente la degnò di uno sguardo. “Ah sei tu”.
“Sono
io”.
Quello
si alzò e le tese la mano. “Mi chiamo Francesco”.
“Cherise”
disse la ragazza, stringendogliela.
“Sei
straniera?”.
“Il
mio bisnonno è morto in Canada”.
Francesco
sembrò soffocare una risata. “E gli rende onore il tuo nome?”.
Cherise
rimase sorpresa. “Non l’aveva mai detto nessuno”.
“Perché,
dici spesso che il tuo bisnonno è morto in Canada?” fece il barman, divertito,
facendole cenno di andare dall’altra parte del banco.
“A
dire la verità, non so neanche se è vero”
“Allora
puoi anche inventarti di essere mezza americana”.
Cherise
ci pensò su. “Mi sembra una bugia più grave”.
“E’
più grave una bugia sui morti”.
“Ma
più credibile”.
Francesco
la guardò con le sopracciglia alzate. Non era malaccio, sembrava simpatico.
“Allora,
oggi non ci sarà tanta gente, quindi puoi anche combinare dei guai, se ti
servono per impratichirti”.
“Perché
oggi non ci sarà tanta gente?”.
“Il
martedì è sempre così”.
Cherise
si diede un’occhiata intorno. C’erano varie macchine e vari panini. Davanti a
sé una sala tranquilla di poche persone che bevevano il caffè. Aveva tempo di
imparare qualcosa.Per ora stava andando
bene.
Magari fosse sempre martedì
Mattia
aveva appena finito di riordinare dei dischi che la gente ovviamente non
metteva mai al posto giusto.
Diede
un’occhiata all’orario. Era quasi l’una.
“Ehi,
Fabio” disse in direzione di una testa riccia che s’intravedeva sotto la cassa
“Quando smetto per mangiare?”.
Fabio
si alzò da terra con una pila di giochi per computer. “Metti questi in
esposizione” disse, tendendoglieli.
Mattia
li prese, continuando a fissarlo interrogativo.
L’altro
guardò l’orologio. “Adesso. Hai un’ora”.
Mattia
trovò uno scaffale mezzo vuoto e ci ficcò dentro i giochi che aveva in mano.
“Mattia!”
si sentì chiamare.
Il
ragazzo si voltò, riconoscendo la voce.
Elena
era appena entrata nel negozio con un sorriso smagliante e lui le andò subito
incontro. Era davvero bella. Aveva un viso delicato, una carnagione di
porcellana, gli occhi più belli che avesse mai visto e dei folti ricci lucenti.
Si accorse che la stava guardando come un cretino senza proferir parola. E lei
sembrava così carinamente impacciata. “Com’è andata?” chiesero all’unisono,
dopo un po’ che si fissavano. Subito scoppiarono a ridere.
Fabio
rovinò il momento con un fischio. “Mattia, chi è la tua amica?”. Aveva
un’espressione da pesce lesso mentre esaminava ciò che camicetta e pantaloncini
corti non coprivano. Mattia sperava tanto di non avere la stessa espressione.
“Nessuno che ti voglia presentare”.
Elena
rise nervosamente.
“Noi
andiamo a mangiare, Fabio” continuò Mattia.
“Va
bene ho capito, portami qualcosa”.
Senza
neanche rispondergli, Mattia si avviò al fianco di Elena verso il bar.
“Allora?
Che mi dici?”.
“E’
fantastico stare in mezzo a tutti quei vestiti” partì a raffica la ragazza “poi
Jessica e Roberto sembrano simpatici e lui è un gran figo!”.
Elena
faceva tanto la timida ma a volte con lui la sua timidezza se ne andava a farsi
benedire. Lui amava questa cosa di lei. E chi sarebbe questo Roberto?
“Bene”
fece, poco convinto.
Elena
lo stava fissando, come per studiarne la reazione. “Ma è gay” disse poi.
Mattia
scoppiò a ridere, sollevato. “Tal cred, un ragazzo che lavora in un negozio di
vestiti è per forza gay!”.
“E’
un peccato” continuò Elena “è proprio vero che i bei ragazzi o sono stronzi o
sono gay”.
Il
ragazzo la guardò offeso.
“Esclusi
i presenti ovviamente” ridacchiò lei.
“Così
va meglio” fece Mattia, assumendo un’aria altezzosa.
“Dai
vediamo come se la cava Cher”. Elena stava già correndo verso il bancone del
bar dove Cherise era in compagnia di un ragazzo. Mattia accelerò il passo per
starle dietro.
Arrivati,
Cherise mostrò loro un assortimento di panini e tranci di pizza appena sfornati
mentre l’altro tizio stava servendo qualcun altro.
“Adesso
Ele ti dirà che c’è un gran figo che lavora con lei” disse Mattia, imitando la
voce di una ragazzina stridula e indicando a Cherise due panini.
Elena
lo guardò storto. “E che…”.
“E’
gay” concluse il ragazzo.
Cherise
scoppiò a ridere mentre Elena gli tirava un pugno sul braccio. “Lo volevo dire
io!”.
“Sorry
mi è scappato” fece lui, premendosi la mano sulla bocca, ancora imitando una
ragazzina “Era una tale notizia…”.
“Ele,
tu cosa vuoi?” li interruppe Cherise.
“Un
trancio di margherita” rispose quella “E che mi dici di quello?” aggiunse
sottovoce alludendo al ragazzo alla cassa, mentre l’amica prendeva la pizza.
Mattia
alzò gli occhi al cielo.
“Ha
le sopracciglia sporgenti” fece Cherise, con noncuranza, porgendo loro pizza e
panini.
Elena
lanciò un’occhiata al tipo in questione. Annuì. “E le braccia troppo pelose”.
Mattia
fissò prima l’una poi l’altra, stralunato. “Siete delle beshtie” disse, con forte accento bolognese.
Cherise
sorrise angelica, con in mano due lattine di coca. “Siamo alla continua ricerca
del principe azzurro”.
Mattia
aggrottò la fronte. Non poteva essere lei a dire una cosa del genere.
“Che
non esiste” continuò la ragazza, col sorriso scomparso dal volto. “Sono nove
euro e ottanta”.
“Faccio
io” disse subito Mattia, aprendo il portafoglio. Che Cherise non credesse
nell’amore vero era risaputo, e anche un po’ triste. Non sapeva perché. Non
sapeva neanche se aveva avuto dei ragazzi. Era carina, ma era sempre stata
piuttosto acida coi maschi.
Le
porse i soldi. “Un giorno offri tu”.
“Non
contarci troppo”.
Cherise
sparì ad ascoltare altri clienti e i due si sistemarono in un tavolo.
“Tu
sai se Cher ha avuto della storie?” chiese Mattia, mettendo da parte il panino
per Fabio e addentando il suo.
“Non
me ne ha mai parlato” rispose Elena con un’alzata di spalle.
“A
volte mi dà l’impressione che non lo voglia un ragazzo. Deve aver preso
parecchi pali in fronte”.
“Anche
tu hai preso dei pali in fronte”.
Mattia
strabuzzò gli occhi. “Come?”.
“Chiara”.
“Ah.
Già”. Chiara lo aveva lasciato solo il mese scorso, eppure non la pensava mai.
“Valentina,
Francesca, Sara…”.
Ehi,
cos’era quella lista?
“E
chi sarebbero queste?”.
“Valentina
è la ragazza di 3°D a cui hai chiesto di uscire e lei manco ti ha risposto”
spiegò Elena, meditabonda “Francesca era quella a cui stavi sempre incollato in
seconda e lei ha minacciato di denunciarti e Sara… neanche Sara ti ricordi?”.
Mattia
scosse la testa.
“Stavi
con Sara alle medie fino a che non hai fatto un brutto commento sui suoi
capelli”.
“Ah”.
Elena
scoppiò a ridere.
Pazzesco,
ricordava cose a cui lui non aveva prestato la minima attenzione.
“Perché
sai un sacco di cose su me?”.
“Perché
tu parli sempre di te”.
“Anche
tu parli sempre di me”.
“Lo
vedi che andiamo d’accordo?”.
Mattia
rise. Ma era vero. Parlavano spesso di lui, mai di lei. Non conosceva molto
della ragazza che aveva davanti. Sapeva solo che aveva due fratelli, uno dei
quali era un gran rompipalle.
“Anche
tu hai una collezione di disfatte come questa?”.
Elena
masticò a lungo un pezzo di pizza. Poi rispose. “Diciamo che quando arrivavo al
secondo appuntamento i miei fratelli mi facevano vergognare di essere nata”.
“Sono
terribili” fece il ragazzo “io non mi comporto così con Giulia”.
“Andrea
si preoccupa. Adesso un po’ meno perché sono grande. Luca invece è
insopportabile”.
Mattia
rise. “Il piccoletto che va in giro a dire che Andrea è cintura nera di karatè?”.
“Proprio
lui”.
Né
Andrea né Luca lo spaventavano. Se avesse voluto mettersi con Elena, l’avrebbe
fatto e basta. Non dire idiozie, si disse, se fosse così l’avresti fatto da un
bel po’, tu sei spaventato eccome, ma da
lei. Non si sentiva affatto all’altezza.
Fatti coraggio, scemo, invitala ad uscire. Stava
per aprir bocca ma lei lo precedette. “Ti va di accompagnarmi a casa dopo il
lavoro? Cher smette più tardi e non voglio prendere l’autobus da sola. Poi stai
un po’ su da me”.
Perfetto.
Cos’era, telepatia?
Mattia
sorrise. “D’accordo”.
Sentiva
risate provenire da quella camera da oltre un’ora. Che nervi. Tentò di concentrarsi al massimo sul fumetto che aveva
in mano, ma era inutile, l’aveva già letto. Lo lanciò sul letto frustrato e prese
a dondolarsi dalla sedia. L’anno scolastico era finito da due settimane ormai,
non aveva più da studiare, compiti da fare che lo aiutavano a non pensare.
Che
cosa avrebbero detto mamma e papà?
Che sono un mostro.
Sentì
la voce di quel ragazzo nel corridoio. “Dai, si è fatto tardi, vado”.
“Okay,
ti accompagno alla porta”.
Luca
si alzò e uscì dalla stanza.
Elena
e quel Mattia Parisi erano sulla soglia di casa e si stavano salutando.
“Dovremmo
trovare il ragazzo a Cherise comunque”.
“Fabio
che impressione ti ha fatto?”.
“Idiota…”.
“Lui
o io?”.
“Tutti
e due!”.
E
ridevano.
Nauseato,
Luca si avvicinò facendo un cenno col capo.
“Ciao”
fece Parisi, cordiale.
Avanti, salutalo, sii gentile. Eppure
non riusciva a smuovere un solo muscolo della sua espressione infelice e
arrabbiata. Elena lo guardò male. Lo odiava per questo. E si odiava anche lui.
Parisi
sparì dietro la porta e tutto tornò calmo e silenzioso, a parte un sano russare
che proveniva dalla camera del nonno.
Elena
si voltò a fissare Luca. “Fammi indovinare, non ti piace”.
No,
sembrava un ragazzo a posto. “Non è che non mi piaccia”.
“Potresti
fare uno sforzo almeno con gli amici” fece lei, rabbiosa “Mattia è mio amico da
anni, non è il mio ragazzo, non mi porta a letto!”.
“Non
urlare, nessuno ti ha chiesto niente!” ribatté Luca.
“Lui
mi piace, Luca” fece la sorella, abbassando la voce “Non rovinare tutto come
sempre, per favore”.
Luca
serrò la mascella. Non è il mio ragazzo,
non mi porta a letto! Per il momento, poteva precisare.
Non
voleva che Elena fosse di quello lì con gli occhi che sembravano scavati nel
cervello. Balle, si disse, gli occhi non è che avessero una gran importanza. Ma
che argomenti aveva?
“Puoi
trovare di meglio”.
Elena
gli si avvicinò, arrabbiata. “Posso trovare di meglio? Ma saranno cavoli miei,
piace a me!”.
“A
me no!”.
“Si
può sapere che ti prende!” urlò la ragazza, dandogli uno spintone.
Luca
non disse niente, lasciandosi colpire.
“Che
ti prende!” continuò Elena, dandogli un altro spintone “La morte di mamma e papà
ti ha dato alla testa?!”.
La
mano di Luca volò all’istante.
Non voleva
farlo, non poteva farlo, non doveva farlo.
Le
aveva dato uno schiaffo.
Lei
lo guardava incredula, la mano sulla guancia, con gli occhi pieni di lacrime.
Luca
scosse la testa, sgomento. “Io… io non…”.
Il
suo balbettio sfumò nell’aria mentre la ragazza correva in camera.
Cosa
avrebbero detto mamma e papà?
Che sono un mostro.
Come
aveva potuto farlo? La sua mano era partita così, prima che le arrivasse il
comando dal cervello.
“Cos’è
successo?” fece una voce.
Luca
si voltò.
Andrea
era appena comparso in salotto con aria inquisitoria. “Vado a lavoro”.
Il
ragazzino annuì.
Doveva
andare da Elena e chiederle scusa. Fece per muovere un passo ma c’era ancora
Andrea sulla soglia della sala e non si muoveva. “Cosa hai fatto ad Elena?”.
Non
voleva dirglielo, anche se lo sapeva già.
Andrea
si era avvicinato. “Dannazione Luca!” esclamò “Che cazzo c’è che non va in te?
Non è normale comportarsi così con la sorella!”.
Lo
sapeva. Sapeva tutto.
Sembrava
non avere altro da aggiungere, e con sguardo esasperato si diresse verso
l’uscio.
Ma
non era finita.
Batté
con violenza la mano sulla porta. Una volta. Due volte. Tre volte.
“Smettila!”
urlò Luca. Sentiva gli occhi bruciare. Elena lo odiava. Andrea era arrabbiato
con lui. Cosa c’è che non va in me?
Andrea
si voltò con furia.
“Smettila
tu!”.
Ma
non poteva smetterla. Era così difficile da capire?
“Perché
devo pensare a tutto io?!” gridò Andrea.
Sei il più grande.
“Fa
qualcosa di utile, prepara la cena per Elena e il nonno”. Andrea sembrava
calmatosi. E uscì, senza più dire una parola. La porta si chiuse e Luca crollò
sulle ginocchia. Le lacrime uscivano senza ritegno dagli occhi e ogni lacrima
che scendeva era una bugia, un tormentato silenzio, un’odiosa repulsione di sé.
Andrea
sapeva. Il suo vergognoso segreto era stato scoperto. Non è normale comportarsi così con la sorella!
Luca
si asciugò gli occhi. Era così, era anormale. Ma cosa c’era di tanto sbagliato?
Tutto. Era sbagliato, illegale e immorale.
Cosa
avrebbero detto mamma e papà?
Che sono un mostro.
Forse
era stato un bene che mamma e papà fossero morti in un incidente stradale,
perché altrimenti li avrebbe uccisi lui stesso col suo sporco desiderio.
Sarebbero morti nella vergogna della consapevolezza che il loro figlio più
piccolo era innamorato della sorella.
Quella
mattina il nonno non si era alzato dal letto.
“Dobbiamo
chiamare un dottore?” chiese Elena.
Andrea
alzò lo sguardo dal caffè e guardò la sorella. Aveva un’espressione
preoccupata.
“Sì.
Lo chiamo io in mattinata”.
Elena
si sedette al tavolo con la tazza di caffèlatte in mano.
“Che
cos’ha Luca?”.
“Cosa
intendi dire?”. Andrea scrutò il viso di Elena. Sperava che non avesse capito,
nonostante fosse così evidente. E poi sarebbe passata, era una fase.
“Si
comporta in modo strano”.
“Dagli
tregua, è un ragazzino”.
Elena
lo guardò, chiaramente insoddisfatta della risposta. “Che significa? Che
cos’ha?”.
“Non
ha niente”.
“E
smettila di dirmi balle! Ho diritto di sapere!”.
Andrea
sospirò. Basta, era stanco, non voleva più discutere. “Se sapessi che Luca ha
dei problemi, te lo direi”.
“Ma Luca è
strano!”.
Andrea
la fissò rude. “Non lo siamo tutti da quando sono morti?”.
Elena
abbassò lo sguardo.
“Chi
era che si svegliava di notte urlando?” continuò lui.
La
ragazza si strofinò un occhio, senza alzare il capo.
“Chi
era che rifiutava la loro morte e chiedeva degli appuntamenti ai prof?”. Basta, smettila. Non vedi che sta piangendo?
Andrea
finì il caffè e si alzò.
“L’ho
superata” fece Elena in un sussurro “ora l’ho superata”.
Lui
mise la tazza nel lavello, senza dire nulla.
“Ora
posso essere di nuovo felice” continuò Elena.
Andrea
prese il marsupio poggiato sulla sedia.
“Luca
ancora no. Deve ancora superarla”.
La
sorella lo guardò, gli occhi umidi e arrossati.
“Ti
accompagno” disse lui.
“Prendo
l’autobus”.
“Come
vuoi”.
Andrea
si diresse verso la porta della cucina.
“E
tu, Ado?” fece la voce spezzata di Elena.
Il
ragazzo si voltò.
“Tu
l’hai superata?”.
Andrea
non rispose.
“Qual
è il tuo modo?” insistette Elena “Come hai affrontato il dolore?”.
Affrontare il dolore? Non c’era tempo
per affrontare il dolore. I suoi genitori erano morti, e mentre tutti piangevano
lui aveva dovuto pensare al funerale. Ereditato poco e niente,
qualche aiuto dagli zii. Aveva dovuto dire addio all’università e lavorare il
triplo. Si era occupato di Elena, di Luca, del nonno. Non c’era tempo per
affrontare il dolore.
Si
limitò a restare immobile sulla soglia, senza sapere come rispondere.
Elena
si alzò e lo prese per un braccio con un mezzo sorriso.
“Stiamo
un po’ insieme. Accompagnami”.
Un
ragazzo del tipo mi hai visto un
attimo-mi sognerai per sempre si avvicinò al bancone, con tanto di risatine
di alcune bimbeminchia sedute a un
tavolo, truccatissime alle dieci di mattina di una giornata estiva. Quelle ci
faranno scappare i clienti, pensò Cherise stampandosi in faccia un sorriso.
“Ciao”
disse il ragazzo.
“Ciao”
rispose Cherise “Cosa ti do?”. Cavolo, era proprio bello. Altro che Mattia e
Francesco.
“Un
caffè” rispose quello.
“Okay”.
Cherise
si impadronì della macchina del caffè con foga. Non fare la figura delle
ragazzine al tavolo, si disse scocciata.
“Ecco
qua”.
“E’
il secondo che mi faccio” disse il ragazzo, prendendo il caffè.
No, bello, non farlo. Perché doveva
conversare con lei? Perché doveva renderla schiava di un film d’amore? Il film
che si sarebbe fatta in testa, il film che non corrispondeva alla vita.
“Già
stanco alle dieci di mattina?”.
“E’
una droga”.
Cherise
sorrise, rimpiangendo di non amare il caffè. In quel caso avrebbe potuto dire:
“come ti capisco”. Ma cos’erano tutti quei problemi? Per dire che suo bisnonno
era morto in Canada non si faceva scrupoli.
Guardò
il ragazzo mentre beveva. Alto, biondo scuro, profilo scolpito, un po’
spigoloso, labbra morbide.
Cherise
sgranò gli occhi. Deja-vu.
“Ma
tu sei Andrea Mancini?” chiese prima di riflettere.
Lui
la guardò, perplesso. “Sì. Ci conosciamo?”.
Veramente sì. “Sono in classe con tua
sorella”. Non lo vedeva da un paio d’anni ma non ci aveva mai effettivamente parlato. Lo vedeva nei
corridoi di scuola. Del resto come non vederlo? I fratelli Mancini erano famosi
in tutta la scuola, se non in tutta Bologna, per la loro bellezza. Al secondo
anno, Laura aveva cercato di far promuovere unfan club Mancini. Patetico.
Andrea
aggrottò la fronte. “Come ti chiami?”.
Oddio.
“Cherise”.
“Cherise…
Sì, Elena mi ha parlato di te”.
Ora arriva la domanda… Non dire quella
cagata del bisnonno, si disse decisa.
“Il
tuo nome non si dimentica facilmente. E’ un bel nome”. E la domanda?
Andrea
le stava sorridendo.
“Oh,
grazie” disse Cherise, colta alla sprovvista, un po’ impacciata. E non essere
patetica, si disse. Non era abituata a ricevere dei complimenti. Era la prima
volta da un bel po' di tempo che si sentiva così pateticamente imbarazzata
con un membro del sesso opposto.
“Ho
appena accompagnato Elena” spiegò Andrea “quindi anche tu lavori qui”.
“Già,
mentre quella sguazza tra i vestiti, a me hanno appioppato al bar”. Ma che
stava dicendo, neanche le piacevano i negozi di vestiti, pieni di manichini
così odiosamente perfetti. Era tanto
per dire qualcosa.
Andrea
ridacchiò. Aveva dei denti splendidi. E
smettila di sorridermi.
“Beh,
ci si vede” disse il ragazzo, mettendo sul banco qualche moneta “Vieni a
trovarci qualche volta”.
Cherise
prese i soldi esibendo un sorriso educato e nascondendo l’innata gioia che
stava urlando un’infantile bambina dentro di sé. “Okay, grazie, ciao”.
“Ciao!”.
Andrea
si allontanò. Vieni a trovarci. Ecco,
stava succedendo, il film nella testa di Cherise partì. Peccato che sarebbe di
sicuro arrivato subito ai titoli di coda. Ma, un momento, cosa gli aveva
risposto? Okay-grazie-ciao? Che cosa
insulsa.
“Cher,
sveglia!”. Le arrivò una gomitata da Francesco.
Cherise
si trovò di fronte a una vecchietta rugosa dall’aria piuttosto incazzereccia.
“Serviamo
solo i ragazzi carini e noi niente, signorina?”.
“No,
scusi”.
Che
diavolo voleva dire, che si era incantata? Le prossime sere le avrebbe passate
a sfogliare i vecchi annuari di scuola sospirando come una ragazzina del fan club Mancini?
Che
schifo.
Luca
aveva qualcosa che non andava, il nonno non si alzava dal letto e Andrea come
suo solito si comportava come se andasse tutto bene.
Perché
non capiva che ora poteva parlarle, renderla partecipe di tutti i problemi? Non
ce l’avrebbe fatta da solo per sempre. Aveva paura di darle troppe
preoccupazioni, lo sapeva. Aveva paura di passare un altro periodo come quello
dell’anno scorso. Ma ora era tutto a posto. Ne era uscita, era di nuovo felice. Perché non lo capiva?
“Elena,
tutto okay?”.
Elena
alzò lo sguardo. Mattia la stava guardando un po’ preoccupato.
“Sì,
sono solo un po’ stanca” disse subito lei con un gran sorriso.
“A volte
ho l’impressione che tu finga”.
Il sorriso di Elena scomparve.“Come?”.
Il
ragazzo sembrava un po’ a disagio. “Mi sembra che tu abbia qualcosa che ti
tormenti, solo che lo nascondi”.
No,
non c’era niente che la tormentava. “Sto
benissimo” disse Elena, un po’ troppo precipitosamente.
L’autobus
frenò e le portiere si aprirono. Fiumi di gente uscirono. E ripartì. Mattia
fissava Elena.
“Quel
periodo… dell’anno scorso…” cominciò titubante.
Elena
inarcò le sopracciglia. Cosa c’entra
adesso?
“Non
ho mai saputo cosa ti è successo”.
Ma
che importanza aveva? Non poteva vivere senza quel ricordo?
“Perché
ti interessa?”.
“Perché
mi sono accorto che so poco di te. E ci tengo a saperlo”.
Un
altro preoccupato per lei. Cavolo, voleva solo avere qualcuno vicino che non sapesse, che non si preoccupasse ogni
due minuti.
“Cherise
mi ha detto che sei stata assente parecchio da scuola, ma non mi ha detto
altro” continuò Mattia.
“Ho
avuto un periodo no”. Ti prego, non chiedermi altro. Non
voleva che Mattia cominciasse a vederla con occhi diversi, gli stessi occhi con
la quale la guardavano tutti: Andrea, Luca, Cherise, i compagni di classe, i
professori.
“Cioè?”.
Ma
non capiva che non voleva dirglielo?
“Perché
lo devi sapere per forza?” sbottò Elena.
Mattia
la guardò risentito. “Volevo solo conoscerti”.
Come
se non si conoscessero già, si conoscevano dalle scuole medie dannazione. Alle
superiori erano in classi diverse, quindi si erano un po’ separati. Ma perché
doveva per forza conoscere la peggiore parte di lei?
“Conosci
l’Elena del presente, non del passato, per favore”.
Mattia
sembrò lasciar perdere. “Ho capito”.
L’autobus
si fermò di nuovo. Era la fermata di lui. Lei aveva ancora parecchie fermate da
superare e quel giorno le avrebbe percorse da sola. Voleva trattenerlo, non
voleva lasciarlo andare via così. Sicuramente stava pensando che lei lo
riteneva poco affidabile.
“Ciao”
fece il ragazzo in tono piatto avviandosi verso l’uscita.
“Ciao”
mormorò lei.
Cavolo,
pensò mentre l’autobus ripartiva, sbaglio sempre tutto. Ma che male c’era nel
volere tenere veramente stretto qualcuno? Non voleva che Mattia diventasse un
altro Andrea. Di fratelli preoccupati ne aveva già troppi.
Le
sfuggì un singhiozzo. Non piangere, si disse, sei felice, ricordati che sei
felice. Due lacrime le solcarono le guance. Poteva continuare a ripeterselo ma
la realtà, cruda, che non conosceva mezzi termini, non cambiava.
Mentre
infilava le chiavi nella toppa, Cherise si accorse di essere un tantino più
allegra di quando era uscita di casa. Merito di Mancini, si disse infastidita.
Entrò.
In casa regnava stranamente il silenzio.
“Sono
a casa” disse, dirigendosi verso camera sua. Nella camera affianco vide Tonio
seduto sul letto, le cuffie nelle orecchie e un’aria assorta.
“Puoi
anche salutarmi” fece la ragazza andando verso di lui.
“La
prepari tu la cena?” rispose il fratello, togliendosi gli auricolari.
Cherise
inarcò le sopracciglia. Erano già le otto.
“La
mamma dov’è?”.
“Chiusa
in camera”.
“Papà?”.
“Non
lo so”.
Cherise
afferrò la situazione. Le insopportabili crisi dei suoi genitori non le avrebbero
rovinato la giornata. “Vedo cosa c’è in frigo”.
Tonio
annuì.
Cherise
fece per uscire quando il fratello le parlò ancora.
“Cher,
una volta mi porti in discoteca?”.
La
ragazza si voltò con gli occhi sgranati. In
discoteca? Non scherziamo, Tonio aveva dodici anni e già ascoltava solo musica house, figurarsi se
cominciava ad andare in discoteca.
“Ma
sadit!” fece.
Tonio
si crucciò. “Non parlare bolognese”.
“Perché
no?”.
“Noi
non siamo bolognesi”.
Cherise
gli si avvicinò, sinceramente preoccupata. Non era il momento di avere queste
crisi d’identità.
“Guarda
che io e te siamo nati qui”.
Tonio
scrollò le spalle.
C’era
qualcosa che non andava.
“Tonio”
fece Cherise, riflettendo “ti ha preso in giro qualcuno?”.
“No”
disse seccamente lui.
La
ragazza lo guardò poco convinta. Lui rimise gli auricolari alle orecchie senza
aggiungere altro.
Cherise
uscì dalla stanza, pensosa. Mancini le era uscito completamente dalla testa.
Meglio così, meglio pensare a cose reali, piuttosto che a un ragazzo con cui
aveva scambiato tre parole in croce.
Stava
per aprire il frigo quando la porta di casa si aprì e suo padre, Corrado, si
materializzò sulla soglia.
“Ciao”
lo salutò Cherise, facendo capolino con la testa dalla cucina “Dov’eri?”.
“La
mamma dov’è?”. Sembrava sorpreso di non vedere apparecchiata la tavola. Non risponde. Cherise serrò la mascella.
“In camera”.
Corrado
sospirò.
“Io
sono appena arrivata e Tonio ha fame” disse Cherise, lasciando trapelare un tono
d’accusa.
Il
padre si mordicchiò il labbro. “Ordina le pizze” disse poi, illuminatosi.
Ma
certo, pensò Cherise con odio, con una pizza sistemi tutto. Ma ne era contenta.
Tonio si sarebbe tirato su. Corrado si diresse verso la camera dove stava la
mamma. Aprì la porta e sparì nel buio.
Cherise
prese la cornetta del telefono e tornò in camera di Tonio. Appena la vide, lui
si tolse le cuffie. “Che c’è?”. Cherise si sedette sul letto accanto a lui.
“Che pizza vuoi?”.
Il
visetto di Tonio si illuminò. “Con i wuster”.
Cherise
iniziò a comporre il numero della pizzeria d’asporto. Non sapeva che pizza
volessero mamma e papà. Di solito lei prendeva una margherita, lui una coi
funghi. Chissà se la mamma aveva voglia di mangiare.
“Vorrei
ordinare quattro pizze: una coi funghi, una col prosciutto cotto, una coi
wuster e una margherita” disse quando qualcuno al di là del telefono le
rispose.
Tonio
stava sorridendo. Era contento, Cherise aveva ordinato quattro pizze, avrebbero
mangiato tutti e quattro insieme. La ragazza chiuse la telefonata e poggiò la
cornetta sul letto. Non sapeva se avrebbero mangiato tutti e quattro insieme,
ma vedere Tonio contento la rassicurava, le faceva credere che le cose si
sarebbero potute aggiustare.
Poi,
dalla camera dei genitori, si levò l’ennesima discussione. Mamma piangeva, papà
era arrabbiato. E parlavano forte.
L’espressione
felice sparì dal volto di Tonio e Cherise si sentì mortificata.
Il
ragazzino si sistemò nuovamente le cuffie nelle orecchie.
“Cosa
ascolti?” chiese Cherise, facendo finta che di là non stesse succedendo niente.
Tonio
le porse un auricolare.
Lei
lo prese e lo mise nell’orecchio. Un boom
boom da disco accompagnato da parole senza senso cominciò ad assordarla.
“Mi
spieghi perché ti piace sta roba?”.
Tonio
scrollò le spalle.
“Non
ha alcun senso” insistette Cherise “non ha un testo vero da ascoltare”.
Il
fratello la guardò con un mezzo sorriso, come se fosse divertito.
“E’
questo il bello, non devi ascoltare, non ti devi concentrare”.
Cherise
aggrottò la fronte.
Tonio
continuò. “Ti entra nella testa e non pensi più”.
La ragazza
si sistemò meglio l’auricolare e chiuse gli occhi. Pensava alla musica, pensava
a tante luci, pensava a un ballo, nulla di concreto. Il boom boom era talmente forte che le urla erano sparite. Le cose
brutte erano scivolate via. Ti entra nella testa e non pensi più.
Si
strinse a Tonio e per un po’ nessuno ebbe più niente da dire.
Mentre
serviva un mocciosetto che aveva avuto la pretesa di chiederle di togliere
tutte le olive da un trancio di pizza, Cherise avvistò da lontano quella specie
di animale chiamata comunemente maraglio, per le ragazzine under 14 figo, e che lei preferiva chiamare proto-scimmia. Certo,
la cultura maraglia si era parecchio diffusa a Bologna negli ultimi tempi e in
giro c’erano parecchi esemplari, ma quello che si stava avvicinando era lui. Come non riconoscere quel passo
strascicato, quel profumo da cane bagnato, quelle mutande fucsia e quei capelli
metà ingellati e metà piastrati?
“Caruso
sei tu!” fece l’essere.
Le
ragazzine al tavolo che non mancavano mai
presero a ridacchiare.
“Castellani”
ringhiò Cherise.
Marco
Castellani era un suo compagno di classe. Stop, finita lì. Non aveva altri
motivi per cui conoscerlo.
“Bella!” esultò il ragazzo, come se fossero
amiconi, una volta avvicinatosi al bancone. “Bella”
rispose con scarso entusiasmo Cherise.
“Che
roba, lavori qui Ceriz?”.
“Cherise”.
“Eh?”.
Marco aveva un’aria da stupido, che nascondeva dietro a occhiali da sole più
grandi del suo cervello.
“Si
pronuncia Cherise il mio nome”.
“Ti
cambia la vita?”.
Effettivamente
no. Cosa le importava di come la chiamava Castellani?
“Mi
offri un cappuccino?”.
“Te
lo farei pagare il doppio”.
“Che
palle, a che serve allora un’amica che sta al bar?”. Cherise
si mise all’opera col cappuccino. “Serve a romperle le palle”. “Ah
è così? Io ti rompo?”. “Anche
i timpani. Ti sei fatto che urli così?”. “Polleg, sono solo le undici”.
Tutti
stavano seguendo la scena con interesse, in prima fila le ragazzine
ridacchianti. Era chiaro il motivo per cui le proto-scimmie dovessero parlare con
una tonalità più alta rispetto al resto del mondo. Ciò che non capiva Marco,
era che per le persone che non appartenessero alla categoria dei bimbiminchia o
dei minorati mentali tutto ciò appariva piuttosto stupido. Persino un truzzo
come lui l’avrebbe trovato stupido. Perché, ed è la cosa più triste, i truzzi
si disprezzano tra loro. “Due
euro” disse Cherise mettendo il cappuccino sul tavolo.
Marco
mise una moneta sul bancone. “Ti trovo bene, Ceriz”.
“Io
ti trovo come sempre, Marco”.
Il
ragazzo rise. Una risata stupida. “Non pretendo di superare me stesso”. Una
frase degna di lui.
Cherise
lo squadrò meglio. La frangia accuratamente piastrata, il resto dei capelli
sparato in aria, la schiena ricurva proprio come quella di una scimmia, il viso
più scuro del solito. “Hai
aumentato la dose di fondotinta?”.
“Ti
sembro più focoso eh?”. No, era semplicemente arancione. Marco si passò la lingua sulle labbra. Molto sexy certo,
se non avesse avuto i baffi di latte. “Colerà
tutto”. “Gnucca, non ho il fondotinta. Ho fatto
una lampada”.
“Farsi
le lampade è geniale a fine giugno. Perché andare al mare?”. Marco
finì di bere il cappuccino. “Sono sensibile al sole”.
“Lo
vedo. Siamo al chiuso e hai gli occhiali da sole”.
Cherise
poteva vedersi riflessa negli occhiali a specchio dell’idiota. “Ora
sei tu che rompi, Ceriz”.
“Ne
sono lieta. Così te ne vai magari”.
Marco
si voltò. Dietro di lui purtroppo non c’era nessuno. “Se
dopo questa mi dici che ti rompo…”.
“Cosa?”.
Non è che Cherise avesse molta voglia di ascoltarlo. Perché cavolo non c’erano
altri clienti quella mattina? Era un complotto.
“Ti
va di venire al Baraonda sabato sera?”.
Baraonda. Truzzolandia e scimmie a
go-go. Un circo. “Che
palle” fu la reazione della ragazza.
“Ci
vado con della gente. E tu puoi portare dei tuoi
amici”.
Tuoi
amici si riferiva a una sola persona.
“Non
hai speranze con Elena, Marco” fece Cherise. Chissà come doveva essere piacere
a così tanti ragazzi.
Marco
si avvicinò. “Cazzo, ti prego,
portacela” fece quasi in un bisbiglio.
Cherise
si trattenne dal scoppiare a ridergli in faccia. “Non so neanche come
arrivarci”.
“Puoi
trovare una scusa migliore”.
“Sul
serio, il Baraonda è in culonia”.
Marco
sembrò rallegrarsi. “Allora dormite da me dopo. Io abito a Pianoro”.
Dormire
da lui? “Con i tuoi amici? Non se ne
parla”.
Il
ragazzo sbuffò. “Oh, andiamo, non siamo dei maniaci”.
Cherise
non aveva paura di Marco, ma chissà che razza di amici squilibrati aveva. “Se
veniamo ci portiamo dietro Mattia” disse, minacciosa, come se Mattia fosse una
sorta di bodyguard.
Marco
scoppiò a ridere. “Parisi?”.
“Parisi”
ripeté Cherise, la mascella protesa.
“Porta
chi ti pare basta che ci sia Elena”.
La
ragazza ghignò. Marco non poteva sapere che Mattia ed Elena erano come due
piselli in un bacello da qualche tempo.
“Allora
gliene parlo”. Cherise non aveva molto voglia di passare una serata da-urlo (come avrebbe detto Elena appena
l’avesse saputo) al Baraonda ma si trattava pur sempre di passare una nottata
fuori casa. Le dispiaceva un po’ per Tonio.
Marco
si levò gli occhiali da sole come per glorificare il momento. “Benessum” fece, ilare “fammi sapere”.
“Okay”.
“Si
ci vede”. Marco strizzò l’occhio destro e si allontanò col suo passo
strascicato. Ci si vede. Cherise lo guardò con pietà
mentre le ragazzine lo seguivano con uno sguardo ammaliato. Lui le salutò con
un sorriso storto e loro lanciarono un paio di urletti.
Appena
le mutande fucsia di Marco sparirono all’orizzonte e tornò la quiete nei
tavoli, Cherise prese la tazza dal banco e la mise a lavare. Forse non era una
cattiva idea accettare l’invito di Marco. Perché aveva già una mezza idea su
chi avrebbe potuto portarci.
Cazzarola,
pensò Elena, a pochi centimetri da Mattia. Era nervosa. Lui non parlava, lei
non parlava. Voleva tentare di spiegarsi, di rimediare. Voleva tenerlo stretto,
ma così aveva ottenuto l’effetto contrario.
“Mattia”
mormorò.
Lui
si girò verso di lei. “Sì?”.
“Mi
dispiace per ieri”.
Mattia
sorrise. “Non ti preoccupare”. Ma non disse altro.
Se
non c’era da preoccuparsi, perché non parlavano più come prima?
“Mattia”
insistette Elena, dato che si era rivoltato verso il finestrino. Lui
si rigirò, senza dire niente. Elena
voleva dirgli un fiume di cosa ma come aprì la bocca, la voce non le venne
fuori. Cos’era tutto quel disagio?
Lui
aspettò qualche istante, poi si rivoltò verso il finestrino.
Maledetto. “Ti
sto antipatica ora?” chiese Elena, trovando la forza di parlare nella rabbia.
Non aveva alcun diritto di trattarla così.
Il
ragazzo si voltò. “No che non mi stai antipatica”.
“Non
mi parli più”.
“Non
è colpa tua”.
“Come
sarebbe a dire?”.
Mattia
sospirò. “Tu non vuoi dirmi di te”.
“Allora
è colpa mia”. Elena lo guardava confusa e irritata al tempo stesso.
Lui
scosse la testa. “Sono io che non riesco ad accettarlo”.
“Accettare
cosa?”.
“Accettare
che non ti fidi di me”. “Io
mi fido di te”.
Mattia
la ignorò e abbassò lo sguardo. “Non lo accetto perché mi piaci”. Elena
rimase interdetta. Gli piaccio. Ma
allora cosa stava succedendo?
“E,
non volendoti aprire con me, è come se mi avessi detto che io non ti piaccio”.
No,
aveva frainteso tutto. Era tutto il contrario.
Mattia
continuò, le gote rosse. “Quindi non è colpa tua, sono io che…”.
“No”
lo interruppe Elena. “No?”.
“Hai
fatto tutto da solo, hai fatto un ragionamento e sei arrivato alla conclusione
senza chiedermi niente” disse Elena tutto d’un fiato “Chiedilo a me se mi
piaci!”.
Mattia
aveva inarcato le sopracciglia. “Cosa stai cercando di dirmi?”.
Sbollisci. Elena si sentiva bruciare da
quanto era rossa. “Che la tua conclusione è sbagliata”. “Quale
conclusione?”.
L’avrebbe
preso a sberle. Glielo voleva proprio far dire? “Ma cosa dici, sappiamo tutti e
due di cosa stiamo parlando!”. “Di
cosa stiamo parlando?”.
Entrambi
si guardarono, rossi e disperati. La
vecchietta seduta davanti a loro si voltò spazientita. “Soccmel du ball! Non fare lo gnorri,
baciala!”. I
due si guardarono increduli, incerti se scoppiare a ridere o meno.
La
vecchietta continuò. “Alaura? Sorbole,
giovanotto, lei non ti può ashpettare
per tutta la vita, muvet!”.
Mattia
guardò Elena. “Meglio non farla arrabbiare non credi?”.
“Credo
anch’io”.
Lui
le si avvicinò e il cuore di lei prese a battere così forte da farle male. Ma
non era un problema, il ragazzo di fronte a lui poteva farle tutto il male che
voleva. Le
loro labbra si sfiorarono, si schiusero e una lingua andò in cerca dell’altra
in un gioco d’amore. Che Elena avrebbe voluto durasse per sempre. Lui la cinse
con le braccia e lei gli gettò le sue al collo. Fammi male ma prendimi con te. “Ele,
ci sei?”.
Elena
aveva una strana espressione assorta. Cherise
le passò la mano davanti agli occhi. “Ele!”.
Quella
si riscosse. “Sì? Che succede?”.
Erano
a casa Mancini, in salotto. Andrea era appena giunto in sala a dire trionfante
che il nonno stava meglio, mentre Luca era stato lì tutto il tempo ad
origliare.
“Ti
stavo parlando di Castellani e il Baraonda” disse Cherise. “Ah, sì, giusto, per me va bene”.
“Lo
sai che quello proverà a impezzarti, vero?”.
“Ma
figurati”.
Elena
non si rendeva conto di essere tanto apprezzata dai ragazzi. Va bene la modestia,
ma c’è un limite a tutto. Era un po’ un’ocarotta. “Lo
farà” insistette Cherise, minacciosa, come se stesse parlando di qualcuno che
sta per uccidere qualcun altro. Elena
scrollò le spalle. “Fa niente, tanto io ora sto con Mattia”.
Qualche
secondo di attonito silenzio e poi a Cherise cadde la mascella, Luca aveva gli
occhi come due scodelle e Andrea, che stava per andarsene, tornò all’ascolto.
“Quando avevi intenzione di dirmelo?”
fece Cherise. Beh, non era il caso di rimanere poi così sorpresi, era solo
questione di tempo. Elena
la ignorò. “Chiamiamo anche lui, vero?”. “Sì,
certo” disse Cherise, soddisfatta. Castellani avrebbe rosicato ben poco quella
sera. “Ah, volete venire anche voi?” domandò poi, rivolta
a Luca e Andrea, sperando di apparire indifferente. Luca
aveva la faccia di uno che era stato appena schiaffeggiato e disse freddamente “No,
grazie”. Era un ragazzino ma a Cherise metteva i brividi. “Io
ci sarò” disse invece Andrea, sorridendo “perché ci lavoro lì”.
Accidenti. Chissà se era un bene o un
male. “Oh, okay” disse Cherise, senza guardarlo per troppo tempo. Lui invece la
guardava, sempre con quel sorriso perfetto. Che diamine, se continuava così
avrebbe cominciato a piacerle. Forse era meglio che al Baraonda lo evitasse.
“Dai,
sarà una figata!” esultò Elena. Era parecchio su di giri. Cominciò a esporre il
suo guardaroba, filo per segno, nel tentativo di trovare cosa mettersi. Stava
con Mattia, sembrava felice. Ma non poteva continuare a essere così felice. Sarebbe esplosa. Cherise leggeva
negli occhi di Andrea la paura di rivedere la sorella sprofondare in un buco
nero. Era passato troppo poco tempo, quella felicità che andava mostrando a tutti
non aveva solide fondamenta. Poteva crollare in un attimo. Bastava una piccola
cosa, una cosa insignificante che andasse storta e la depressione era lì,
svoltato l’angolo. Mattia doveva stare molto attento, lui che praticamente non
sapeva niente. Elena se ne lamentava, ma Cherise capiva perché i fratelli le
stessero col fiato sul collo e si preoccupassero tanto. Come dare loro torto? “E
tu, Cher, cosa ti metti?”.
Cherise
riemerse dai propri pensieri e fissò Elena. “Oh, io… non so” bofonchiò. “Qualcosa
di corto e scollato mi raccomando!” si raccomandò l’amica. Cherise
evitò accuratamente di guardare Andrea, perché aveva come l’impressione di
essere arrossita. Dannata debolezza. Mattia
era steso sul letto a riflettere.
Aveva
baciato Elena. Stava con Elena. L’aveva
sempre sognato, tutto ciò doveva mandarlo in orbita. Non era mai stato
veramente felice quando stava con delle ragazze. Non ne era mai veramente
innamorato. Si era pure dimenticato i loro nomi.
Ma
Elena era diversa, sì. Lei gli piaceva sul serio.
“Mattia!”
tuonò la voce di Giulia dal salotto.
Oh no. “Vieni
a vedere un film con noi!”.
Che palle. Ogni sera doveva vedere un
film con Giulia, i genitori e pure il cane. Tutta la famiglia al completo. Lui
e Bobby erano le vittime della cosa, entrambi costretti a stare fermi,
ipnotizzati dalla televisione. Poi quel giorno era giovedì. Il giovedì doveva
scegliere Giulia il film. Avrebbero dovuto sorbirsi un film d’amore sicuro.
Almeno Bobby non capiva un cavolo. “Mattia!”
insistette Giulia. “Arrivo!”
fece Mattia, alzandosi a fatica. Si
diresse in corridoio pronto ad affrontare qualunque schifezza. Ma perché
era sempre così infelice?
Anche
ora che stava con Elena, gli mancava qualcosa. Ricordò
le parole di Chiara. Cosa ti aspetti? Non
lo sapeva neanche lui cosa voleva. Ma c’era
sempre quella chiara, insopportabile sensazione di insoddisfazione.
Ecco qui un altro capitolo per la mia unica, assidua commentatrice.
Grazie Red, le tue recensioni chilometriche sono sempre apprezzate! xD
diciamo che di Andrea ti piace il nome più che altro... eheh...
dici che è perfetto e questo non ti piace molto... in
realtà non lo è ma si vedrà più avanti...
Cherise per forza ti sta simpatica, in fatto d'amore siete UGUALI!
Elena poraccia non dire che è moscia... Cmq sono sicura che
d'ora in avanti il tuo personaggio preferito sarà Marco! Lo
AMERAI! hihi grazie ancora, e grazie anche a chi legge solo (se lo fa
qualcuno...boh) ciau! baci
Era
sgusciato nel suo letto. Guardava i suoi capelli d’oro, il suo viso delicato,
le labbra morbide. Il corpo steso sul materasso, accaldato. La canottiera
alzata lasciava scoperta la pancia, le mutande erano rosa, le gambe nude erano
una sopra l’altra.
Non
poteva averla.
Si
chinò su di lei, le accarezzò la guancia, le sfiorò i capelli. Le baciò le
labbra immobili.
Non puoi baciarla.
La
sua mano andò più giù, in cerca del seno. Senza riflettere, l’altra mano partì
e la canottiera fu tolta. Non puoi spogliarla.
Rimase
incantato a fissarla, immobile, mentre dormiva, ignara di tutto. Le mani
eccitate scivolarono giù, lungo i fianchi.
Non puoi toccarla.
Lui
avvicinò il volto al ventre e lo baciò delicatamente finché il suo naso non
sfiorò qualcosa. Erano le mutande. Rimase lì qualche istante, ad assaporare il
momento. Poi si tirò indietro.
Ma
le mani no. Le mani traditrici cominciarono a sfilarle le mutande e lui era lì,
in ginocchio sul letto, sopra di lei.
Non farlo.
Basta,
di chi diavolo era quella voce? Lui poteva fare quello che voleva.
“Luca
non farlo!”.
Luca
si voltò.
Andrea
era sulla soglia, impietrito.
“Che
succede?”. Elena si era svegliata. Si guardò inorridita, poi volse il suo
sguardo terrificato a Luca, seduto accanto a lei. “Che mi hai fatto?” strillò.
“Io…”
pigolò Luca.
Ma
Elena si era già alzata, correndo nuda verso Andrea che la strinse a sé.
“Elena,
io ti amo” biascicò Luca.
“Io
no!” urlò la ragazza.
Ma
che stava succedendo?
“Io
amo lui!” continuò Elena. Si avvinghiò ad Andrea e lo baciò con foga.
“Cosa?”
urlò Luca, pietrificato “E’ tuo fratello!”.
Andrea
si staccò da Elena e lo guardò con odio. “E tu cosa sei?”.
No,
non poteva essere.
Luca
guardò meglio. Quello non era più Andrea. Era Mattia. Mattia stava baciando la
sua Elena, lì, nuda, tra le sue braccia e lui la stava toccando dappertutto.
La stava toccando dappertutto.
“No…”
mugolò Luca “No… Basta… smettetela!”.
Mattia
cominciò a togliersi i pantaloni.
“Smettetela!”
urlò Luca, buttandosi a terra e coprendosi gli occhi “Smettetela!”.
“Luca
svegliati!”.
Luca
aprì gli occhi.
Il
volto di Andrea gli era davanti.
Cominciò
a dimenare le braccia. “Vai via vai via!”.
Andrea
gliele bloccò. “Luca calmati! Era un incubo!”.
Luca
si calmò e respirò affannosamente. Era nel suo letto, grondante di sudore.
Andrea
sorrise e si sedette sul bordo del letto. “Cos’hai sognato di tanto
terrificante?”.
“Niente”
disse in fretta il fratello.
“Hai
detto ‘è tuo fratello’”.
Luca
fece una smorfia. “E con questo?”.
Andrea
sospirò. “Toglitela dalla testa. Per favore”. Fosse facile. “Lo vorrei anch’io”.
“Non
lo vuoi abbastanza”. Andrea lo stava guardando rude.
Ma
che ne sapeva lui?
“Esci
di più” continuò il fratello “guardati intorno, guarda altre ragazze”.
Luca
non rispose. Sarebbe stato inutile, nessuna eguagliava Elena.
“Vieni
al Baraonda domani?”.
“Ci
sarà anche lei” ringhiò Luca “col suo ragazzo”.
Andrea
annuì, con aria grave.
Luca
chinò lo sguardo. Si vergognava tanto. Non voleva che nessuno lo scoprisse,
nessuno doveva sapere che razza di persona era. Avere sogni erotici riguardante
la sorella era disgustoso, lo sapeva bene.
Che
doveva fare? Guardò Andrea, implorante. Andrea era il fratello più grande, aveva
sempre la soluzione per ogni cosa. Che doveva fare?
Quella
volta neppure Andrea poteva aiutarlo. Lo scrutò. Sembrava più stanco e
preoccupato del solito, aveva le occhiaia, lo sguardo velato d’inquietudine.
Era lui che gli dava tutta quell’angoscia? Luca non avrebbe dovuto rendere il
suo sentimento così visibile. Andrea aveva già abbastanza grane.
“Che
succede?” chiese Luca.
Prima
che l’altro potesse rispondere, si udì un gran tossire dalla camera affianco.
“Ado”
insistette Luca “non è vero che il nonno sta meglio, vero?”.
Andrea
si mordicchiò il labbro. “Non dirlo ad Elena”.
“Sarebbe
meglio che lo sapesse invece”.
“E
magari sarebbe meglio anche che sappia che te la vuoi scopare!” fece Andrea,
alterato.
Luca
non riuscì a rispondere. Sentiva il fiato morirgli in gola. Era una situazione
orribile.
Andrea
socchiuse gli occhi, calmandosi.
“Che
succede, Ado?” chiese ancora Luca.
“Cos’altro
dovrebbe succedere?”.
“Cosa
ci nascondi!”.
Andrea
lo prese per il colletto del pigiama. “Tu pensa solo a non farti venire in
mente idee strane”.
Luca
cercò di strattonarsi ma il fratello lo teneva stretto. Ed era più forte.
“Mi
hai capito?” fece, alzando la voce.
Luca
annuì, poco convinto.
Andrea
gli spinse con violenza il volto e Luca si ritrovò con un lamento di nuovo sul
cuscino. Non disse più niente. Il fratello calciò una ciabatta contro
l’armadio, in preda alla rabbia.
“Quando
finirà tutto questo mi chiedo!” esclamò. Non finirà mai. C’era qualcosa che
Andrea gli teneva nascosto, poco ma sicuro. C’era qualcosa che lo tormentava.
Luca non disse niente per non farlo arrabbiare ancora di più. Si rigirò su se
stesso e chiuse gli occhi, aspettando col fiato sospeso che Andrea si calmasse.
Quando
la porta fu sbattuta con violenza, riprese a respirare.
“Io
lavoro nel negozio di giochi”.
“Che
culo, quindi vi vedete tutti i giorni”.
“Già”.
Mattia,
un po’ nervoso, stava facendo conoscenza col temibile Andrea, secondo le
dicerie cintura nera di karatè. Ma non sembrava poi così pericoloso. E la
storia del karatè, aveva detto Elena, non era vera.
“Dai
ci vediamo, vado al bar” si congedò.
“Okay,
ciao” lo salutarono Mattia ed Elena.
Andrea
sorrise e uscì dal negozio con passo lento. Non gli sembrava antipatico, solo
un po’ esaurito.
Si
voltò verso Elena.
“Andrea
e Cherise” disse lei.
“Come?”.
“Va
sempre al bar dopo che mi accompagna”.
“Ha
sete forse?”.
Elena
sembrava emozionata. “Li vedo bene Andrea e Cherise insieme!”.
Mattia
ci pensò su. No, lui non li vedeva bene. Veramente non avrebbe visto nessuno bene con Cherise.
"Allora" fece Elena, cambiando argomento "hai vinto al superenallotto poi?".
Mattia sgranò gli occhi. "Mi prendi in giro?".
La ragazza scoppiò a ridere. "Mi hai detto di aver giocato dei numeri".
Lui sbuffò. "Se vincevo a quest'ora ero in televisione".
Elena ridacchiò. Era bellissima. “Ora
vado, dai. Ci vediamo dopo” disse Mattia, avvicinandosi e baciandola sulle labbra.
“Basta
pomiciare, Ele, al lavoro!” fece una voce.
Mattia
si voltò.
Quello
che doveva essere Roberto, il gran figo di cui gli aveva parlato Elena, li
stava guardando dalla cassa.
Era
vero, era un bel ragazzo.
“Arrivo
subito!” trillò Elena. Baciò ancora Mattia sulla guancia. “Ciao Matti”.
“Ciao
Elli” rispose lui sorridendo.
Elena
si allontanò e lui rimase qualche istante sulla soglia del negozio.
Roberto
stava parlando con una cliente. Aveva una pelle perfetta e un sorriso
magnetico.
Cos’era,
invidioso?
Il
ragazzo si accorse del suo sguardo e gli sorrise.
Mattia
si voltò subito dall’altra parte.
Era
gay, giusto. Meglio che non si facesse strane idee.
Uscì
dal negozio, col cuore che batteva.
Certo
che Elena gli faceva uno strano effetto.
Cherise
stava discutendo con Francesco.
“Fate
pena…”.
“Almeno
noi non ci vendiamo!”.
“Fate
pena lo stesso!”.
“Guarda
che siamo in serie A!”.
Cherise
sbuffò. Discutere di calcio alle dieci di mattina in balia di caffè e
cappuccini non era il massimo ma Francesco quella mattina si era presentato con
un cappello rossoblu.
Si
voltò, pronta ad affrontare il prossimo cliente. Sperava che non fosse un altro
come quello di prima, un arzillo vecio
sugli ottanta anni che aveva urlato la sua approvazione per il cappello di
Francesco.
Sgranò
gli occhi.
No,
non era un vecchietto.
“Ciao”
disse Andrea.
“Ciao”
fece Cherise, scrutandolo. Lo vedeva spossato. Era spettinato e gli occhi,
circondati da occhiaia, imploravano di riposare. “Un caffè?”.
Andrea
annuì con un sorriso. Un sorriso un po’ meno perfetto.
“E
tu” ruggì all’improvviso Francesco, minaccioso, puntandogli un dito contro “sei
juventino?”.
Andrea
alzò le sopraciglia. “Che scherzi, io sono con te amico”. Indicò il cappello.
“Grande”.
Francesco gli porse la mano e Andrea, divertito, ci sbatté sopra la sua.
Cherise
tornò col caffè nauseata.
“Cesco,
vai mò dagli altri” soffiò. Francesco andò a scusarsi con una signora che aspettava
da circa un quarto d’ora.
“Gli
hai detto così se no ti cacciava fuori dal Pianeta?”
chiese Cherise mentre Andrea beveva il caffè. Beh, Pianeta il centro commerciale. Sperava si capisse, cacciarlo fuori
dalla Terra sarebbe stato eccessivo.
“No,
io tifo il Bologna sul serio” rispose semplicemente il ragazzo. Peccato.
“Diciamo
che gli juventini li odio in un certo senso” continuò Andrea. Accidenti.
“Ce
ne hai una davanti”.
Andrea
la guardò con le sopracciglia alzata. Poggiò la tazzina sul bancone. “Mi sa che
ho fatto una gaffe”.
“Mi
sa anche a me”. Tuttavia era piacevole parlare con Andrea.
“Mi
metti in crisi”.
“Come?”.
“Odio
gli juventini ma non odio mai le ragazze carine… Come faccio?”.
Cherise
sbatté le palpebre. Aveva appena detto che era carina? Ci sta provando? Mantieni la calma, si disse, non ci sta provando,
non far partire il film.
“Potresti
mettermi in una categoria a parte” disse, dopo essersi ripresa.
“Giusto”
disse Andrea “tu sei una categoria a parte, Cherise”.
Chissà
come mai il suo nome che tanto odiava pronunciato da lui diventava magnifico.
D’un
tratto il ragazzo guardò un punto impreciso alla sua destra, corrugando la
fronte.
“Scusami,
ora vado” disse, poggiando le monete sul bancone “Ciao”.
“Oh…
okay, ciao” fece Cherise ma quello si era già allontanato.
Lo
seguì collo sguardo. Era andato verso due uomini. Sembravano un po’ più vecchi
di lui. Erano tutti molto seri. Anzi, avevano delle facce che a Cherise non
piacevano. E Andrea non sembrava più lui. Era in ansia, poco sicuro di sé,
gesticolava e parlava in fretta mentre gli altri due si limitavano ad annuire
senza il cenno di un sorriso. Cherise si sentì suggestionata. Andrea sembrava spaventato,
sembrava che stesse dando una qualche giustificazione. E gli sguardi di quei
due uomini erano tutt’altro che rassicuranti. Chi erano?
“Cher!”.
Cherise
si voltò. Francesco la stava salutando con la mano. “Possibile che quando c’è
quello ti incanti sempre?”.
“Come,
io?”. Cherise si sentì andare in fiamme.
“Sì,
comunque te lo approvo”.
“Lo
approvi?”.
“Oggi
ha guadagnato punti”. Francesco indicò il suo cappello. Perché non se lo toglie, è ridicolo.
Cherise
rise. “Con me invece ne ha persi”.
Ma il
fatto che Andrea odiasse gli juventini ora era l’ultimo dei suoi pensieri.
A
casa l’atmosfera era sempre più pesante.
Doveva
chiamare Marco, per confermare tutto. Il giorno dopo era sabato. Che palle.
Cherise
prese il cellulare e pigiò pigramente il nome di Marco sulla tastiera. Il
numero apparve sul display e la ragazza premette il tasto di chiamata. Neanche
se lo ricordava di aver salvato il numero di quel cretino.
Dopo
due squilli gli rispose la voce stupida di Marco.
“Pronto?”.
“Ciao
Marco, sono Cherise”.
“Sì,
l’ho letto”.
“Dai,
sai leggere!”. Veramente pensava che lui potesse non avere il suo numero.
“Allora,
che mi dici?”.
“Ti
dico che domani veniamo”.
“Bella!
E…”. Sentì Marco esitare.
“Sì,
c’è anche Elena, non ti agitare”. Chissà se doveva dirgli che Elena stava con
Mattia ora. Forse si sarebbe arrabbiato e avrebbe disdetto tutto.
“Parisi
pure?”.
“Sì”.
In
quel momento sentì uno strillo e un piatto che si rompeva. Una porta che si sbatteva
le fece capire che Tonio si era appena chiuso in camera per non sentire. Le
dispiaceva lasciarlo da solo la sera dopo.
“Senti,
Marco…”.
“Sì?”.
“Posso
portare anche mio fratello?”.
“E’
uno a posto?”.
“Ha
dodici anni”.
“Porta
chi vuoi, te l’ho detto”.
Cherise
era perplessa. “Ma per i tuoi non ci sono problemi?”.
“E
chi li sente quelli! Senti, casa mia è enorme, non farti scrupoli”.
“Okay…
Allora, a domani”.
“A
domani Ceriz, ciao!”.
Cherise
chiuse la telefonata, pensosa. E chi li sente quelli! Si sentì per un
folle attimo trasportata verso Marco.
Buttò
il cellulare sul letto.
Tonio
sarebbe stato felice.
E
anche lei si sarebbe divertita, dai. Anche se era lì per lavorare, ci sarebbe
stato Andrea.
Ripensò
ai due uomini di quella mattina. Ora che non li aveva davanti, non le facevano
così paura. Di sicuro non era nulla di grave, potevano essere due amici o due
parenti. Nulla di cui preoccuparsi.
Aveva
già i suoi di problemi, perché tirare in ballo i problemi di Andrea Mancini? Perché io voglio sapere, sono preoccupata
per lui.
Quella
mattina era così stanco…
Si
rigirò nel letto.
Non
c’è nulla di cui preoccuparsi, si ripeté, preoccupati solo di cosa indossare
domani sera.
Già,
una sera di svago ci voleva. Se la meritava.
Come
se la meritavano tutti.
Le
era già capitato di indossare quella gonna.
Un anno prima circa, allo Chalet (altro posto in cui era stata portata a
forza). Dopo il quindicesimo sguardo e il sesto tentativo di approccio, aveva
deciso che non l’avrebbe più messa. Ma qual era il problema? Ah, già, a quel
tempo stava con Daniele.
“Ti
guardano tutti” brontolava.
“Dovresti
esserne orgoglioso” aveva replicato Cherise.
“Quella
gonna è troppo corta”.
“Un
regalo di Elena”.
“Non
hai bisogno di metterti quella roba per far vedere quanto sei bella”.
Non
l’aveva più messa. Ma Daniele era un capitolo chiuso da molto tempo. E quella
sera, rovistando nell’armadio, Cherise aveva ritrovato quella gonna. Alla faccia tua la metto. Tonio,
allegro come non lo era da un sacco di tempo, non la smetteva più di ridere.
Forse
non avrei dovuta metterla, pensò Cherise amareggiata, da quando ho rotto con
Dani sarò ingrassata tre kili. Si guardò le cosce. Oddio sono enormi. In auto, tra le risate di Tonio, aveva
cominciato ad avere una crisi isterica ed aveva pregato Mattia di tornare
indietro, così si sarebbe cambiata. Elena però era stata irremovibile, dicendo,
con l’approvazione di Giulia, che quella gonna le stava benissimo. Giulia era
la sorella di Mattia, più piccola di tre anni, ed aveva insistito per poter
venire. Era la sua prima volta in discoteca, come per Tonio. “Chi
c’è?” chiese.
“Dei
nostri compagni di classe” borbottò Cherise. Più qualche amico strampalato di
Castellani sicuramente.
“Ci
sono dei ragazzi carini?” domandò ancora Giulia, eccitata. Sì, Castellani
era carino sotto un certo punto di vista. Un punto di vista molto lontano.
“Ehi”
abbaiò Mattia “ti ricordi cosa mi hai promesso a casa?”.
Giulia
sbuffò. “Che sarei venuta per ballare non per rimorchiare”.
“Ecco”.
“Sai
che strano, non so neanche come si faccia a rimorchiare!”.
Mattia
fece un verso scettico, lanciando uno sguardo di disapprovazione alla minigonna
e alla canottiera super scollata della sorella. Elena
ridacchiava, ubriaca di buon umore come sempre da quando stava con Mattia.
Tonio si limitava a lanciare delle occhiate alle ragazze della macchina. “Ma
quanto vi truccate” se ne uscì dopo un po’ “sembrate dei clown”. Mattia
scoppiò a ridere mentre Cherise dava uno scappellotto al fratello. L’unica
truccata un po’ troppo era Giulia, ma era comprensibile. Era nella fase del ho-cominciato-le-superiori-ora-non-ho-limiti.
Aveva fatto il primo anno ed era stata bocciata. Ma rimaneva comunque senza
limiti. “Oltre
a Castellani chi c’è della classe?”chiese Elena, rivolta a Cherise.
“Posso
immaginarlo. E tremo”. Di certo non erano stati invitati ragazzi tranquilli e
studiosi come Giacomo Demarchi o Beatrice Zanetti, ma di sicuro qualche
squinternato che con lei non aveva mai avuto a che fare. Ma lei che ci faceva
lì? Ah, già, era la miglior amica di Elena. Anche Mattia dopotutto era lì solo
ed esclusivamente grazie ad Elena.
“Arrivati”
annunciò Mattia, squadrando il parcheggio di fronte al cinema Star City. Era
un po’ pieno. Meraviglioso.
Mattia
trovò un buco e parcheggiò la sua Punto. I
cinque ragazzi scesero, lasciando gli zaini nel baule, e si diressero senza una
parola verso il lugubre passaggio ombroso che bisognava attraversare per arrivare
al Baraonda. Lugubre relativamente. Era pieno di gente.
“Questa
è la fila?” chiese Cherise, in allarme.
“Ti
ha detto se siamo in lista?” replicò Mattia,.
“Credo
abbiamo un tavolo”.
“Wow”
fece Tonio, affascinato. E non erano ancora entrati. “Dov’è
finita Giulia?” domandò Mattia, guardandosi in qua e là. Giulia
si era volatilizzata.
“Non
ti preoccupare” disse Cherise, in tono tragico “se l’hanno rapita non possono
essere andati molto lontano”. Mattia
le diede una spinta scocciato. “E’
là!” fece Elena. Giulia
stava intrattenendo un buttafuori, attorcigliandosi una ciocca di capelli con
fare provocatorio.
I
quattro la raggiunsero di corsa.
“Eccoli!”
esultò Giulia “possiamo entrare vero?” aggiunse amabile, rivolta al buttafuori.
Questi
li squadrò. “Voi sì” disse, indicando le ragazze “voi altri andate a fare la
fila”.
Giulia
sembrava deliziata dalla risposta. Cherise
ed Elena un po’ meno. “Non se ne parla” disse la prima, legata al braccio di
Tonio.
“Fate
un po’ come vi pare, la fila è quella” disse il buttafuori, annoiato.
“Eccovi!”
fece una voce stridula, dall’interno del locale.
I
ragazzi si sporsero per vedere. Ah, era un maschio. Ah, era Marco.
“Tutto
a posto, amico, loro sono con me” disse al buttafuori, con fare da gran star.
L’uomo
lo guardò accigliato. “E tu chi
saresti?”.
Marco
sbuffò. Gli aveva rovinato l’entrata in scena di classe. “Castellani, tavolo
34”.
Il
buttafuori controllò sul quaderno che aveva in mano.
“Bene,
entrate” disse. “Ciao”
civettò Giulia. Mattia alzò gli occhi al cielo.
Marco
ovviamente era già alle costole di Elena. “Ciao, Ele, come va?”.
“Benissimo!”
rispose la ragazza “grazie per l’invito!”.
Marco
rise di gioia come un cretino.
Cherise
lo prese per un braccio e lo costrinse a voltarsi verso di lei.
“Ah,
ciao, Ceriz” disse quello, come se si fosse accorto in quel momento di lei.
“Voglio
essere carina con te” disse lei.
“Grande!
Non è mai tardi per cominciare!”. “Voglio
dirti prima che tu faccia una colossale figura di merda, che Elena sta con
Mattia”.
Marco
sbarrò gli occhi. “Parisi?”.
“Parisi”
ripeté Cherise, scocciata. Perché Marco doveva sempre pronunciare il cognome di
Mattia come se fosse una terribile malattia infettiva? L’euforia
di Marco era del tutto scomparsa.
“Ciao,
io mi chiamo Antonio” disse Tonio d’un tratto, che guardava Marco ammirato da
quando era entrato in scena. Marco
si chinò a guardarlo. “Ciao!” sorrise “sei il fratello di Ceriz? E’ una gran
rompi anche a casa vero?”.
Tonio
rise. “Potevi
dirmelo anche prima” bisbigliò Marco, arrabbiato, a Cherise, prima di andare a
conoscere Giulia.
Cherise
si mordicchiò il labbro. Beh, gli sarebbe passata, non credeva che Marco fosse
innamorato pazzo di Elena. O almeno così sperava. Erano
già arrivati al tavolo, dove Cherise riconobbe Martina, Davide e Nicola.
L’altra decina di gente che c’era erano persone a lei sconosciute.
Ovviamente
Davide e Nicola andarono a salutare subito Elena, e di conseguenza anche
Mattia, che le era incollato. Dopo un breve saluto anche a Cherise, la loro
attenzione fu concentrata su Giulia, che non la smetteva più di civettare. “Ciao
Cher” la salutò Martina, che si era alzata dal tavolo scuotendo la lunga chioma
castana. Aveva una minigonna corta e strettissima e dei tacchi alti almeno
dieci centimetri. “Ciao
Marti” rispose Cherise, educatamente. Martina le stava antipatica ancora più di
Marco, ma meglio rimanere civili.
“Prendiamo
da bere?” fece la voce emozionata di Giulia seguita da quella irritata di
Mattia che le ricordava che non aveva l’età per bere. Da bere. Qualcosa si mosse nella memoria
di Cherise. C’era Andrea al bar. “Vieni,
Tonio, hai sete?”. Gli
occhi di Tonio si illuminarono. “Posso prendere un coca-rum?”.
“Certo,
eliminando il rum”.
Tonio
sbuffò.
“Ele,
andiamo a prendere da bere” urlò Cherise ad Elena, per sovrastare la musica. Quella
le fece un cenno d’assenso. Cherise
si dileguò verso il bar, con Tonio alle costole. E lo
vide.
Aveva
i capelli biondi scompigliati, i primi bottoni della camicia nera slacciati, le
mani veloci preparavano cocktail e il suo sorriso era come il sole in un giorno
di pioggia.
“Ciao!”
disse, avvicinandosi al bancone.
Andrea
si voltò verso di lei. “Ciao!” fece.
“La
situazione si inverte” disse Cherise, divertita.
Il
ragazzo sorrise. “Già, facciamo i turni”.
“Ah,
questo è mio fratello Antonio” disse Cherise, indicando il fratello.
“Ciao,
io sono Andrea” sorrise l’altro.
“Mi
dai un coca-rum?” chiese subito Tonio.
Cherise
alzò gli occhi al cielo.
Andrea
scosse la testa. “Mi dispiace, leggi lì”. Indicò un cartello appeso alla
parete. Se hai meno di sedici anni non
chiedere alcolici. “Ma
io ho sedici anni!” ribatté Tonio. “Oh,
beh, in questo caso…”. Andrea si voltò e trafficò con delle bottiglie e un
bicchiere.
“Ecco
il tuo coca-rum”.
Tonio
prese il bicchiere, felice. Cherise fece per replicare ma Andrea le strizzò
l’occhio. “A
te cosa do?”.
“Una
vodka alla pesca” rispose la ragazza.
“Subito”.
Un
bicchiere pieno di vodka arrivò e Cherise trafficò nella borsa. “Quant’è?”.
“Lascia,
offro io” replicò Andrea. “Oh,
grazie”. Le aveva pagato da bere. Accidenti, lei non gli aveva mai offerto un
caffè se no le sue intenzioni sarebbero sembrate… Un momento. Cherise guardò
Andrea che continuava a sorridere. Quali erano le sue intenzioni?
“Dovremmo
smetterla di vederci così” disse Andrea.
Prego? “Uno
di noi due è sempre dietro a un bancone”.
“Ci
siamo visti anche a casa tua” replicò Cherise, stupidamente. Cretina, magari voleva chiederti di uscire!
No, si disse, meglio di no.
Andrea
annuì, divertito. “Tra un po’ faccio una pausa. A dopo!”.
A dopo. Cherise annuì, allontanandosi e
portando via Tonio, sprofondando nella vodka. A dopo. Oddio! Mica le avrebbe chiesto
di ballare! Aveva ricordi assai poco piacevoli di quando aveva ballato con dei
maschi. Sconosciuti che le si strusciavano addosso. Rabbrividì. L’unico con cui
aveva ballato piacevolmente era… Daniele. Bevve un sorso enorme,
rimproverandosi di pensare a cose inutili. Tonio
la stava guardando imbronciato.
“Che
c’è?” chiese lei.
Il
ragazzino sbuffò. “Pensavate
che non me ne accorgessi che questa è coca cola?”.
Mattia
stava tenendo d’occhio sua sorella, impegnata a parlare molto animosamente con
due ragazzi parecchio più grandi di lei che se le stavano mangiando con gli
occhi. Era
seduto, al suo fianco Elena che chiacchierava con Davide.
“Quindi
stai con lui?” stava dicendo lui.
“Sì”
rispose Elena. “Non
vi vedo in sintonia”.
“Come?”.
“Lo
vedo distratto”.
Distratto? Mattia non ci fece caso più
di tanto. I due tizi avevano cominciato a trascinare Giulia verso il bar. “Ti
va di ballare con me?” fece la voce di Davide.
“Beh…
veramente…”.
Accidenti,
Giulia li stava seguendo. Nella più ottimistica delle ipotesi, le avrebbero
dato dell’alcol. Il che non era comunque una gran cosa. Cavolo. Se le fosse successo qualcosa, i suoi l’avrebbero ucciso.
“Okay,
chiedo il permesso al tuo ragazzo”.
Mattia
si alzò in piedi.
“Mattia?”
fece Elena, confusa.
“Scusate”
farfugliò Mattia “mia sorella si sta cacciando nei pasticci”. Fece per
andarsene ma Davide lo chiamò. “Mattia, ti dispiace se ballo con Elena?”.
“Come?”
fece il ragazzo, strizzando lo sguardo in cerca di Giulia “No, fate pure”. Si
allontanò in fretta ma riuscì a sentire una risatina soddisfatta di Davide lo
sguardo sbigottito di Elena su di sé.
Non
importava. Raggiunse di corsa il bar, a suon di spintoni e scorse Giulia,
affiancata dai due tizi, davanti al bancone. Era Andrea che li serviva.
“Allora,
cosa vuoi, bella?” stava dicendo uno dei due, con la cresta.
“Non
lo so, una cosa molto forte però!”.
I
due ridacchiarono. Andrea
aveva uno sguardo sconcertato. “Mi fai vedere un documento?”. “Un
documento?”.
“Ehi,
ha diciotto anni, non vedi?” abbaiò il tipo con la cresta. Mattia
intervenne, intrufolandosi tra lui e Giulia. “Ehi
Mattia!” fece Andrea “Guarda che c’è la fila…”.
“Questa”
sibilò Mattia, prendendo Giulia per un braccio “è mia sorella e ha quindici
anni”. Guardò i due che avevano un’aria attonita. “Scusa, amico, aveva detto di
averne diciotto” fece uno. Mattia
lo ignorò. “Ciao Andrea, e scusa” fece trascinando via Giulia che si dimenava. “Comunque
hai un gran bel culo!” si sentirono urlare dietro.
Giulia
si voltò verso il tipo con la cresta ridacchiando.
Mattia
la spinse verso il loro tavolo.
“Uffa!
Rovini sempre tutto!” brontolò Giulia. “Ti
piace tanto sentirti dire che hai un bel culo?” esclamò Mattia.
“Cosa
c’è di male?”. Effettivamente
niente. “Non è questo il punto!” gridò il ragazzo “quelli volevano solo scoparti!”.
“E
come lo sai?!”.
Mattia
alzò gli occhi al cielo. “I ragazzi che rimorchiano in discoteca puntano al
sesso!”.
“Cos’è,
una specie di regola?!”.
“Esatto!”.
“Sei
uno stupido, Mattia! Io volevo solo ballare e divertirmi!”.
“Perché
hai detto di avere diciotto anni?!”.
“Secondo
te io mi lasciavo scopare?!”.
Che ingenua. “Senti, mamma e papà mi
hanno fatto un discorso di un’ora dicendomi che se non ti tenevo d’occhio…”.
Giulia
lo guardò con odio. “Cretino, pensa a mamma e papà! Preoccupati per me! Intanto
la tua ragazza sta con un altro!”.
Mattia
si voltò. Elena stava ballando un po’
troppo appiccicata a Davide.
Guardò
di nuovo Giulia, un po’ rosso. Ci mancava solo che sua sorella più piccola gli
desse lezioni di vita. Fece
per aprir bocca di nuovo, ma lei glielo impedì. “Non
uscirò mai più con te, ti odio!” urlò, poi si voltò e si diede alla fuga tra la
folla in pista. Mattia
non riuscì a fermarla. Lei sparì tra la gente e le luci.
Si
passò una mano tra i capelli. Che serata
del cavolo. Si
voltò, per guardare ancora Elena e Davide. Benissimo, si stavano strusciando. Non avevano nessun diritto
di fare così. Doveva andare lì a fare una sfuriata, ecco cosa doveva fare.
E
invece andò a sedersi al tavolo. Non aveva voglia di un’altra litigata. E poi,
più guardava Elena e Davide insieme, più si accorgeva inorridito di non essere
affatto geloso. Cherise
era seduta al tavolo, ancora intenta a bere. Tonio le sedeva accanto, a occhi chiusi, in
estasi mentre muoveva i piedi a ritmo di musica. Dall’altra parte del tavolo
intravedeva un Mattia insofferente. L’aveva appena visto litigare con Giulia,
ed Elena stava ballando con Davide. Ma perché non interveniva? E poi, cavolo,
Elena era la sua miglior amica d’accordo, ma non si stava comportando per
niente bene. Nicola
e altri invece stavano ballando attorno a Martina, che dondolava un po’ sui
suoi tacchi a spillo e tentava di muovere il sedere. Marco era in un angolo e
stava ballando da schifo, lo sguardo irrequieto che passava da Elena a Davide,
e da Davide a Mattia. Accidenti, non pensava che una sola ragazza potesse
creare un quadrato amoroso. “Tu
non balli?”.
Cherise
sussultò.
Andrea
era spuntato come un fungo, aveva preso una sedia del tavolo e si era seduto
accanto a lei. Tonio diede segnale di essere tornato sul pianeta Terra con un
brontolio riguardo alla coca.
La
ragazza fece una risatina scocciata. “Non vedi, i due poli della pista hanno
monopolizzato tutti” disse, indicando Elena e Martina. Subito dopo sgranò gli
occhi. L’aveva detto sul serio?
Andrea
rise. “Mia sorella potrebbe evitare di monopolizzare”
disse poi “Mattia dov’è?”.
“Là
seduto” bofonchiò lei. Il
ragazzo guardò nella direzione di Mattia, sconcertato. Ma tornò subito a
guardare Cherise. E, acciderbolina, l’occhio
cadeva sulle gambe nude. “Riguardo
all’altra ragazza… chi è?”.
Cherise
fece una smorfia. “Sei interessato?”.
“No”.
“E’
bella”.
Andrea
la guardò incredulo, con un mezzo sorriso. “Sì, è bella. Ma, guarda, non riesce
neanche a ballare. La minigonna troppo stretta, la canottiera che si alza e i
tacchi così alti le impediscono di muoversi liberamente”.
Fu il
turno di Cherise di essere meravigliata.
“No,
non fa per me una ragazza che si mette così in mostra sacrificando se stessa”
continuò Andrea.
La
ragazza lo guardò a bocca aperta. “Che c’è?”
fece lui
“Non
pensavo che un maschio avrebbe mai
detto una cosa del genere”.
Andrea
scoppiò a ridere. “Non siamo tutti dei maniaci”.
“Anche
a me non piacciono i ragazzi che si mettono in mostra” farfugliò Cherise,
pensando alle proto-scimmie. “Visto
che andiamo d’accordo” fece lui “ti va di monopolizzare
un po’ di gente con me?”. Cherise
sperò di non essere diventata bordeaux. Monopolizzare la gente o monopolizzare lui?
“Okay”
fece, tentando di apparire disinvolta.
Non
doveva farlo. Accidenti, non doveva farlo.
Andrea
le sorrideva mentre le prendeva la mano e la conduceva in pista.
Cherise
aveva il batticuore. No, non farmi
innamorare. Si
misero stanziati l’uno dall’altra qualche centimetro e cominciarono a muoversi.
Cherise si sentiva un po’ agitata e in imbarazzo ma -la vodka doveva pur avere
un qualche cavolo di effetto- dopo poco comincio a muoversi sempre più
liberamente. Dimenava la testa, i capelli volavano, scuoteva fianchi, sedere,
le gambe si muovevano sinuosamente. Le luci, la musica invasero la sua testa e
per un po’ non ci fu nient’altro che lei. Lei e Andrea. Lui si muoveva seguendo
lei, e si faceva sempre più vicino. Le loro braccia si sfioravano. Eppure lei
aveva la mente sgombra. Non pensava a niente, solo a ballare col ragazzo che
aveva di fronte. Dopo tanto tempo si sentiva bene. Sentì le mani di lui che le prendevano i fianchi. I bacini
erano quasi attaccati del tutto e loro continuavano a muoversi, i volti sempre
più vicini. Poteva sentire il suo respiro e i capelli accarezzavano il volto di
lui. No, non farmi innamorare. Lei
gli mise le mani sulle spalle, appoggiandosi al suo petto, che sembrava così
forte. Sentiva le mani di lui dietro la schiena, che andavano sempre più in
basso. I loro nasi si toccavano e si respiravano l’uno sul collo dell’altra. Boom boom. La musica, il ritmo non
avevano più alcuna importanza. C’era
il battito del cuore di Cherise che regnava incontrastato nel suo corpo. No, non farmi innamorare. Ma la magia
finì d’un tratto.
La
musica tornò sovrana, Andrea si staccò come se avesse preso la scossa e il suo
sguardo cercò quello di Cherise. Tre parole. “Scusa, devo andare”. E poi sparì.
Lasciandola lì, sola.
Perché?
Doveva tornare a lavorare? Poteva essere più carino e riaccompagnarla al
tavolo.
Cherise,
confusa, lo seguì collo sguardo. Sembrava tutto così perfetto. La perfezione non esiste. Andrea non
era perfetto. Uscì dalla pista e lo vide. Stava andando in un angolo della
sala, appartato.
Magari ha la ragazza. Fu più
forte di lei. Lo seguì, dimenticatasi completamente di aver lasciato i suoi due
migliori amici, Tonio e Mattia, da soli.
Si
mise dietro a un tavolo. No,
non c’era nessuna ragazza.
Andrea
stava parlando con due uomini, gli stessi di del giorno prima. Non erano più
seri, sembravano furiosi. Il ragazzo era impallidito. Metteva le mani avanti.
Uno dei due uomini lo prese per il colletto digrignando qualcosa. C’era troppa
confusione. Cherise captò qualche parola come guai e soldi. Certo, soldi
e guai andavano a braccetto.
Andrea
cercò di liberarsi. L’uomo lo lasciò andare. Poi gli diede un pugno in faccia.
Cherise
trattenne il respiro. Nessuno si era accorto di niente. Che doveva fare?
Chiamare aiuto? L’uomo
riprese Andrea per il bavero e lo spinse contro la parete, intimandogli
qualcosa. L’altro uomo se ne stava silenzioso, a guardare la scena. Andrea si
dimenò mormorando.
Fu
lasciato andare.
Poi l’uomo
che l’aveva colpito poco prima gli assestò un pugno nello stomaco. Andrea si
piegò in due dal dolore.
“Basta
così!” fece l’altro uomo, quello che prima se ne stava in silenzio. Sibilarono
qualcos’altro ad Andrea, poi sparirono.
Cherise
rimase nascosta dal tavolo, a guardare il ragazzo che si rialzava lentamente.
Che
era successo? Cosa volevano quelli da Andrea? O era lui che si era ficcato in
un pasticcio?
La sua
mente così libera poco prima tornò ad affollarsi di pensieri. Si era ficcata
anche lei in un pasticcio. Rimase
inibita a guardare Andrea che si massaggiava la guancia, respirando
affannosamente.
No, non farmi innamorare. Non farmi innamorare di te.
Questo capitolo è un po'
più lungo degli altri, però mi piaceva. Ah, mi piacerebbe
che chi legge commentasse, anche negativamente eh non me la prendo
(però sono vendicativa xP). Ora vado, la serata al Baraonda cmq
non è finita, spero di aggiornare presto... solo se avrò
delle recensioni però (è una minaccia:P) ihih ciao baci e
grazie a chi legge
Si era rialzato. Si era guardato intorno
circospetto. Ora stava tornando al bar. Cherise lo guardò con un vago ronzio nelle
orecchie. Che doveva fare? Fermarlo e scongiurarlo che le
spiegasse? Scusa, devo andare. Poi non era tornato da lei. Aveva dei problemi con quei due uomini. Aveva
ballato con lei solo per distrarsi. Non era davvero interessato. Che ingenua che sono stata. Si diresse verso il tavolo, tentando di nascondere
il suo turbamento. Non che qualcuno poi sarebbe stato veramente preoccupato per
lei. Ferma, la punzecchiò una vocina dentro di sé, vai da Andrea e chiedigli
come sta. No. L’hanno pestato che diamine! Non mi interessa. Ti interessa eccome! Perché dovrebbe interessarmi? Perché sei innamorata di lui. Cherise si fermò di
botto. Io non sono innamorata, non devo
esserlo. Non puoi deciderlo tu,
insistette quella voce dentro la sua testa. Non posso deciderlo io. Gli balenò in mente il volto di Daniele. Cher, non sono innamorato di te. Non poteva deciderlo lui. Nessuno poteva deciderlo
per sé. Nessuno poteva comprendere l’amore e nessuno poteva imporlo o
eliminarlo. Scorse Marco seduto per terra a bere. Mattia era al tavolo col volto
tra le mani. Siamo tutti così deboli.
Cherise si voltò. E corse. Investì un
paio di persone, dei ragazzi fischiarono nella sua direzione, delle ragazze le
mandarono degli accidenti. Raggiunse il bar. Un uomo con due bicchieri in mano
si allontanò e lei lo vide. Dietro al bancone, di spalle, chinato a prendere
qualcosa. “Andrea” lo chiamò. Non la sentiva. Cherise parlò più forte. “Andrea! Andrea!”. Sentiva
di avere le lacrime agli occhi e uno strano bruciore che non aveva nulla a che
fare con la vodka le aveva preso lo stomaco. Andrea si voltò. Aveva la parte destra del volto
arrossata e gli occhi lucidi. Fece per dire qualcosa, ma lei si lanciò alla sua
destra per girare il bancone e raggiungerlo. Lui era perplesso. Poi accennò a un sorriso.
“Scusami”. Qualcosa dentro a Cherise si sciolse. Sentiva di
dover piangere, gridare e ridere nello stesso momento. Non voleva cedere, ma
sentiva di volerlo stringere a sé. Non era né tristezza né felicità quella che
sentiva dalla nuca ai piedi. Era qualcosa che non poteva spiegare, non così. Si
sentiva dannatamente debole e sciocca a mostrarsi in quel modo. Davanti a lui.
Ma basta col cercare sempre la via più semplice. Basta col cercare la fuga.
“Che succede, Andrea?”. Voleva che le parlasse.
Lui chinò lo sguardo. “Hai visto tutto?”.
Cherise
annuì.
“
Dimmi che succede. Parlami” insistette. Sentì qualcuno sbuffare e capì che
chi voleva prendere da bere aveva rinunciato. Andrea la guardava smarrito. “Parlami” ripeté Cherise. Il
cuore le batteva forte, la musica che c’era non aveva più alcun senso, quel
posto non aveva senso, non c’era ragione di essere lì, lei voleva solo che lui
le parlasse. Andrea si era seduto su uno sgabello, come se le
gambe gli avessero ceduto d’un tratto. Gli occhi gli si stavano riempiendo di
lacrime. Cherise non l’aveva mai visto così fragile, così umano. Meglio essere
un po’ imperfetti. Parlami. Sfogati. E
Andrea cominciò a piangere. “Basta, dai, andiamo a sederci”. “Perché?”. Elena si sentiva a disagio. Non doveva mettersi a
ballare così con Davide, Mattia non l’avrebbe presa bene. Era meglio smetterla.
“Guarda che a quello non gliene frega” insistette
Davide. “Non è vero” ribatté Elena “era solo preoccupato
per sua sorella”. Il ragazzo rise. “Mattia è un ragazzo fantastico” continuò Elena “E
dovrei essere con lui”. Fece per uscire dalla pista ma Davide la prese per un
braccio. “Non è più con la sorella, non vedi? E’ lì al
tavolo” disse, indicando Mattia. Elena strizzò gli occhi e lo vide. Solo con il
fratello di Cherise. “Se non gli va bene che tu balli con
me, dovrebbe venire a riprenderti” fece Davide “che razza di uomo è uno che
lascia la sua donna con un altro?”. Era vero. Mattia non interveniva. Non gli dava
fastidio che lei ballasse con un altro? Forse non gli piaccio sul serio. No, ci potevano essere altre mille ragioni. Non
doveva cadere nella presunzione di aver capito tutto. E non doveva starci male.
Va tutto bene, ora vado da lui.
“Vado a parlargli” disse Elena, strattonandosi
dalla presa di Davide. Lui non la lasciava andare.
“Dovresti stare con chi si interessa a te”.
“Non ho bisogno dei tuoi consigli!”. Elena lo
guardò arrabbiata. “E lasciami andare!”. Davide non la lasciava. “Se non mi lasci mi metto a urlare” sibilò Elena.
Lui la lasciò, con rancore, e lei subito andò fuori
dalla pista. “Mattia” ansimò, raggiunto il ragazzo.
Mattia alzò lo sguardo. “Giulia?” chiese lei. Lui scrollò le spalle. Certo, era preoccupato ancora per Giulia. Elena
capiva fin troppo bene le preoccupazioni dei fratelli. “Vuoi che la cerchiamo?”. Mattia scosse la testa. “Mi ha fatto una sfuriata
assurda, lasciala perdere”. “E se si mette nei pasticci?”.
Lui non rispose. Elena gli si sedette accanto e gli prese la mano.
“Scusa se ho ballato con Davide”. Mattia accennò a un sorriso. “Puoi ballare con chi
vuoi”. Lei aggrottò la fronte. Ballare era un conto.
Strusciarsi un altro. Davvero non gli aveva dato fastidio? “Non… non ti dà fastidio?” chiese lei.
Lui scosse la testa. Un
fidanzato moderno e poco geloso, certo. Non era male, ma Elena non poteva fare a
meno di restare delusa. Erano insieme da pochi giorni. Essere un po’ gelosi
sarebbe stato normale. Non gli piaccio
sul serio. Elena cercò di nascondere la sua delusione.
“Vado a cercare Giulia” disse poi lui. La baciò
sulla guancia e si alzò. Ti avevo chiesto se volevi che la
cercassimo insieme. Ma lui era già lontano. Elena rimase sola. Non gli piaccio. Ricacciò indietro le lacrime. Andava tutto bene,
era solo un brutto momento per Mattia, era in ansia per Giulia, certo. Nulla a che vedere con me, io sto bene.
Alla sua destra qualcuno sospirò. Si
voltò. Era Antonio, il fratello di Cherise, dall’aria
visibilmente annoiata. Lo guardò con un sorriso. “Non ti
diverti eh?”. “No” rispose quello, secco. “Ti piace questa musica?”. “Sì, molto”. Elena gli tese la mano. “Dai, andiamo a ballare, ti
va?”. Antonio sembrò emozionarsi. “Davvero?”.
“Certo, per cosa siamo venuti se no?”.
Lui saltò giù dalla panca contento e prese la mano
di Elena. La ragazza lo condusse in pista dagli altri e si misero a ballare
tutti insieme. Meno Cherise, Mattia e Marco. Ma
perché pensarci. Giulia era uscita dalla pista. Aveva ballato con un
ragazzo, Michele si chiamava. Le stava alle calcagna. “Come hai detto che ti chiami?” le chiese per la
terza volta. Giulia alzò gli occhi al cielo. “Giulia”.
“Che bel nome”. Già
detto. “Okay, grazie”. Giulia non sapeva che dire. Era
carino il ragazzo ma sembrava un po’ stupido. “Quanti anni hai?”. “Sedici” mentì la ragazza. Tanto tra quindici e
sedici non cambiava molto. “Io venti” disse lui.
“Bene”. “Facciamo un giro?”. “Dove?”. “Qui intorno”. “Okay”. Giulia lo seguì. Si sentiva tranquilla, che mai
sarebbe potuto accadere? Mattia era uno stupido. “Dove abiti?” chiese Michele, mentre si
allontanavano dall’affollamento sotto il tendone e si appartavano vicino alle
piante. “Alla Bolognina” rispose Giulia “Tu?”.
“Rastignano”. Lui si era avvicinato. “Posso baciarti?”.
Giulia si mordicchiò il labbro. Sentiva quasi i
rimproveri di Mattia. Non poteva baciare uno sconosciuto. Poteva avere qualche
virus. Che diamine, stava ragionando come i suoi genitori. Lei doveva divertirsi
e basta. Annuì. Lui si avvicinò schiudendo le labbra. Giulia lo
lasciò fare. Sentì la sua lingua, viscida e fastidiosa, entrarle nella bocca.
No, non voleva che fosse così. Non aveva mai baciato così un
ragazzo, non poteva essere in quel modo. Non poteva dare il suo primo bacio a un
cretino di passaggio. Serrò d’improvviso le labbra e
respinse il ragazzo. Lui la guardò perplesso.
“Scusami, ho cambiato idea” farfugliò Giulia.
Michele sembrava contrariato. La teneva stretta e
non la lasciava andare. “Torniamo a ballare?” tentò lei,
speranzosa. Sentiva il cuore batterle nel petto e non era per emozione, era per
paura. Ora capiva. Era meglio rimanere in pista. O perlomeno sotto il tendone.
Dove c’era gente. “Dai, non fare la difficile” disse
Michele, tirandola verso un cespuglio “non ci vedrà nessuno qui”.
“Che intenzioni hai?”. Michele fece scivolare le sue mani fino al
fondoschiena di lei e glielo strinse. Giulia tentò di allontanarsi. “Preferisci in bagno?” chiese lui, docilmente.
“In
bagno?”. Ma che diavolo voleva? Giulia
ricordò le parole di Mattia. I ragazzi
che rimorchiano in discoteca puntano al sesso! “Ho anche la macchina” continuò Michele.
No, questo non ha capito. “Senti, non voglio fare niente con te” disse
Giulia, arretrando. “Come sarebbe?”. “Io volevo solo ballare e divertirmi”.
“E perché hai accettato di fare un giro con me?”.
“Io… io… non lo so, scusami”. Fece per andare via ma Michele la prese e le
strinse i polsi. “Lasciami, mi fai male!” replicò
Giulia. Il ragazzo l’avvicinò a sé con uno sguardo
spaventoso. La sua bocca toccò ancora le labbra di lei. Giulia questa volta
riconobbe odore di alcol. No. Si dimenò in preda al panico. No, lasciami! “Ho detto che non voglio!” gridò, sperando di
sovrastare il baccano che veniva da sotto il tendone. Non capì se aveva urlato abbastanza forte, ad ogni
modo Michele la lasciò andare scocciato. Fece un gesto come per mandarla a quel paese e si
allontanò. Lei rimase ferma, intimorita, a guardarlo sparire
tra la folla. Guardarlo con rabbia. Ma che credeva? Il suo sguardo indugiò poi
sulla propria scollatura e sulla propria gonna cortissima. Aveva una dannata
voglia di coprirsi. Cercando di tirare più giù possibile la gonna, camminò nella
direzione del tavolo di Marco. Accidenti a me. Non aveva più voglia di ballare. Non
piangere ora però. Mattia l’aveva avvertita.
Comportati naturalmente. Sapeva di essere in torto ma non avrebbe sopportato
un “te l’avevo detto”. Raggiunse il tavolo. Ma era il loro?
Non c’era nessuno. Va beh, siediti. Si
sedette, poggiando la borsa sopra le gambe nude. Perché si era comportata così? Che le era venuto in
mente, perché aveva seguito quello sconosciuto fin lì? La cosa brutta è che lo
sapeva il perché. Sapeva di sentirsi sola. Gli amici delle scuole medie li aveva
persi, i compagni della nuova classe delle superiori non l’avevano più cercata e
li avrebbe persi sicuro, era stata bocciata. Aveva deluso i suoi genitori ma
soprattutto se stessa. E ora si trovava sola, senza amici e senza fidanzato. Per
uscire doveva aggregarsi alla compagnia di suo fratello. Cosa c’era di così
sbagliato nel cercare conforto tra le braccia di uno sconosciuto? C’era che chi
non ti conosce non può capire il tuo stato d’animo e non sarà mai dalla tua
parte. Era stata una stupida. Credeva di poter trovare la felicità con le
attenzioni dei ragazzi, ma il mondo non sarebbe diventato a colori se quella
sera si fosse fatta uno sconosciuto. Anzi, sarebbe diventato ancora più grigio.
Lei si sarebbe sentita sempre più sola, perché quello sconosciuto se ne sarebbe
andato. Cosa cambiava? Ricacciò indietro le lacrime.
“Eccoti!” fece una voce. Giulia si voltò. Mattia la stava guardando sollevato. Si sedette
vicino a lei sorridendo, sembrava contento. Doveva essere stato in ansia. E non
perché se fosse successo qualcosa a lei, mamma e papà l’avrebbero scuoiato. Era
semplicemente preoccupato per lei. “Sì, eccomi, che credevi fosse successo?” fece
Giulia, tentando di far uscire il suo solito tono spavaldo. Non dovette essere molto convincente, perché Mattia
la guardò perplesso. “Cos’hai?” le chiese.
Giulia evitò di incrociare il suo sguardo.
Altrimenti non ce l’avrebbe fatta a reggere. “Giulia, guardami, cos’hai?”. Mattia le prese il
viso per costringerla a voltarsi verso di lui. Fu
come una scossa. Giulia lo respinse all’istante
esclamando: “Non toccarmi!”. Errore. Mattia sgranò gli occhi. “Cos’è successo?”.
Giulia lo guardò. E non resistette più. Due lacrime
uscirono dagli occhi e percorsero le guance, due lacrime su cui gli occhi di suo
fratello le fecero capire che non era poi così sola. “Ho avuto paura” mormorò. Non ce la faceva più. Non riusciva a far finta di
niente. Non con Mattia. Pianse. Del
resto siamo tutti così deboli. La serata era andata com’era andata e finalmente
era finita. Cherise, sul sedile posteriore dell’auto di Mattia,
si mangiucchiava un’unghia, pensierosa. Avvertiva un po’ d’angoscia in auto.
Giulia se ne stava rannicchiata in un angolo stranamente silenziosa. Elena aveva
uno sguardo vacuo puntato fuori dal finestrino. Mattia, gli occhi puntati in
strada, seguiva l’auto di Marco senza proferir parola. Tonio perlomeno
sonnecchiava con aria beata. Cherise si stravaccò sospirando. A
lei non era andata così male. Soprattutto il finale era stato grandioso.
Stavano andando verso le macchine quando Martina,
sui suoi trampoli, era inciampata e aveva tentato di aggrapparsi a Marco, che,
troppo impegnato a scaccolarsi, l’aveva lasciata cadere lungo distesa, con la
gonna alzata che lasciava vedere il sedere. La risata sguaiata di Tonio aveva
attirato le attenzioni anche di altri passanti e Martina, rialzatasi a fatica
con l’aiuto di Davide, si era precipitata verso la macchina con tale foga che
aveva rischiato di inciampare di nuovo. Divertente. Cherise guardò l’ora dal cellulare. Le 3.04.
Pazzesco, suo fratello di dodici anni faceva già quegli orari. Lo
guardò che dormiva e non poté fare a meno di sorridere. Scema, non sorridi per quello. Non c’era molto per cui essere felici in realtà, ma
il fatto che Andrea si fosse aperto, avesse mostrato solo a lei il suo lato imperfetto la faceva sorridere.
Aveva sulle sue spalle tutti i problemi della
famiglia ora che le condizioni di salute del nonno erano molto gravi. Il suo
stipendio non era sufficiente e aveva cominciato a indebitarsi con della gente.
Scommesse oppure semplici prestiti. E si cacciava nei guai perché non riusciva
saldare i suoi debiti. E ormai era in guai grossi. Ciò faceva stare in angoscia
Cherise, avrebbe tanto voluto aiutarlo. Ma che poteva fare lei? Non l’avrebbe
abbandonato. Tutto questo non l’aveva messo in cattiva luce davanti ai suoi
occhi. Non era un cattivo ragazzo. Tentava solo di aiutare la sua famiglia.
Ormai Cherise non sarebbe più riuscita a cancellarlo dal suo cuore.
No, non le aveva mentito. Andrea diede un altro colpo di spugna sul bancone.
Ormai la serata stava volgendo al termine ed erano
rimasti solo tizi ubriachi. Lui comunque sarebbe tornato presto a casa.
Si trafficò nella tasca ed estrasse un sacchettino
pieno di polvere bianca. Quando l’avrebbe pagata quella roba?
Ormai si stava mettendo nei guai. Non gliel’avrebbero fatta passare liscia
ancora a lungo. Si sedette sullo sgabello. Sospirò.
No, non le aveva mentito. Non le aveva mentito del
tutto. Lei gli piaceva, ma non ce la faceva a dirglielo.
Non voleva che lo considerasse un cattivo ragazzo. Ma era questo che era.
Mise davanti a sé il sacchettino e lasciò scivolare
la cocaina da una parte all’altra. Perdonami, Cherise, sono debole
anch’io.
Salve! Ci ho messo un bel po' ad aggiornare,
chiedo umilmente perdono ma è stata una settimana allucinante... Prima ero
semplicemente impegnata coi compiti che si rimandano sempre fino all'ultimo, poi
è saltato fuori che la nostra classe deve essere divisa (Gelmni insegna: tagli
su tagli)... Ma ceeerto, non ditelo mica prima, tanto siamo noi che dobbiamo
scegliere come dividerci! E ora mi ritrovo in una classe di 29 persone in quarta! E' assurdo, ma cosa non lo è
ultimamente? La scuola invece di progredire va all'indietro... Dico solo questo
al governo: SIETE DEI GENI! Mi hanno
rovinato il compleanno che tra parentesi era ieri, il 13 (17 anni! e comincia
già a portare sfiga...). E ora bando alle ciance che devo ringraziare qualcuno...
Grazie a RedTears
per essere tornata alla carica con le sue recensioni (visto, Martina
è caduta, stava sul cazzo anche a me xD)! Il personaggio di
Davide è ispirato a tu-sai-chi, quella patacca! Quindi fattelo
piacere... Sul nome Daniele non mi pronuncio ma la tua reazione
è stata fuori luogo! tsk Ringrazio anche Idril Inglorion, la
tua recensione mi ha fatto molto piacere! Hai capito perfettamente ogni
personaggio! E anche le mie parti preferite sono quelle in corsivo xD
ad ogni modo grazie della dritta e se hai altri appunti da farmi scrivi
pure! Grazie anche a chi legge solo e ha messo la mia fic tra le preferite o le seguite ^^
E qui chiudo, vi risparmio altre mie chiacchiere... In bocca al lupo a tutti per il nuovo anno scolastico! baci
Era una villa enorme in una
via sperduta di Pianoro. Mentre apriva loro la porta la
governante, Cherise pensò che Marco era più ricco di quel che credeva. Beh, se
così stavano le cose, avrebbe anche potuto vestirsi meglio. Il gruppetto, erano in otto
più il padrone di casa, entrò tra mormorii sorpresi. Un’ampia sala li accolse,
provvista di uno di quei lampadari assurdi che Cherise aveva visto solo nei
film e Mattia si lasciò sfuggire un soccmel[1]di
tutto rispetto. Marco non sembrava neanche
troppo compiaciuto. “Passata una bella serata,
Marco?” gli chiese la governante, che stava visibilmente cascando dal sonno. Il ragazzo fece spallucce. “Ho preparato quattro camere,
spero bastino” proseguì la donna. “Sì, va benissimo, grazie”. “Buona notte”. La governante
si congedò con sommo piacere. Cherise aveva gli occhi
sgranati. Quattro camere? Okay, Marco
lo vedeva più come tipo da pigiama party scatenato con tanto di oscenità ma ora
le sembrava un damerino che aveva ospiti per la notte. Nulla a che vedere con
il ragazzo analfabeta dalle mutande fucsia e i pantaloni a mucca. Marco si rivolse verso gli
amici che lo stavano guardando allibiti. “Beh?” ruggì dopo un po’ “che
aspettate? Corsa alla camera migliore!”. Subito lui, Nicola e Davide
partirono verso le scale sghignazzando. “Non fate tutto sto baccano
sono le tre!” protestò Martina, ma bastò un cenno di Nicola e anche lei si
lanciò nella corsa (togliendosi prima le scarpe). Cherise guardò i quattro
rimasti con lei. Elena si stava mangiucchiando un’unghia, nervosa, mentre
Mattia si stava guardando i piedi. “Okay, ayo capè[2]”
disse Cherise con aria annoiata “me li prendo io i cinni[3]in camera, cercatevi mò il vostro
nido d’amore”. Si diresse verso le scale e
gli altri la seguirono. In effetti era meglio che ci
fossero stanze separate, non aveva mica voglia di passare la notte con dei
maragli o di reggere il moccolo a Mattia e ad Elena. E poi così avrebbe
pensato. Un sorriso le increspò le
labbra. Andrea. Era preoccupata per lui, ma
ciò non toglieva quel pizzicore che sentiva alle guance e quel senso di vuoto
allo stomaco quando lo pensava. Erano in piedi, ancora
vestiti, davanti al letto a due piazze. In silenzio. Elena guardò nervosamente
Mattia. “Che ti va di fare?” chiese
dopo un po’. Domanda ridicola. “Cioè, vuoi guardare la tv,
parlare, leggere…” aggiunse in fretta. Fermati cretina. Smise di parlare e diede in un
respiro enorme. Mattia stava ridacchiando. “Cosa stai cercando di
evitare?”. Non lo sapeva nemmeno lei. Non
sapeva se Mattia fosse vergine o meno, non sapeva se gli piaceva sul serio, non
sapeva se erano pronti. Sentì un improvvisa stretta
allo stomaco. Lei non l’aveva mai fatto e
stava insieme con Mattia da qualche giorno. Era giusto farlo? Del resto, era
l’unica occasione. Entrambi vivevano in case troppo affollate. Il cuore le batteva e si
sentiva diventare stupidamente rossa. “Tu sei vergine?” fece Mattia,
prendendola in contropiede. “Sì” disse subito Elena “Tu?”. “No”. Elena si mordicchiò il labbro.
Lo immaginava ma non poteva fare a meno di essere infastidita. Mattia era stato
di qualcun’altra. Okay, non ha senso
essere gelosi. Sì, doveva averlo fatto con Chiara, la sua ultima ragazza. Ma chi se ne frega! Mattia si sedette sul letto.
“Guarda che non voglio metterti fretta”. Non è questo il punto. “Ma io ti piaccio?” domandò
Elena, fissandolo negli occhi. Si sentiva ardere, forse anche di vergogna.
Sembrava una stupida bambinetta capricciosa che doveva essere sempre
rassicurata. Mattia sbatté le palpebre.
“Certo che mi piaci”. “Ma sul serio?”. Non importava, Elena doveva sapere. “Mi stai chiedendo se sono
innamorato di te?”. Il cuore di Elena fece un
salto. Sì, perché io sono innamorata di te. Perché Mattia non rispondeva? Perché
rendeva tutto così difficile? Lo vide aprire la bocca. Non dirmi sì solo perché vuoi venire a letto con me. “Sì. Ma non lo dico perché
voglio farlo con te”. Elena aggrottò la fronte. “Lo pensi davvero?”. “Sì”. Mattia la guardava con un
sorriso che la faceva impazzire. Elena avrebbe voluto tuffarsi tra le sue
braccia, accarezzare i suoi morbidi capelli castani, perdersi nei suoi occhi
così profondi. Perché un semplice sì detto da lui la faceva sentire così
bene, così rassicurata e le regalava quelle emozioni? Perché ci credeva. “Ma perché non eri geloso
quando ballavo con Davide?”. Non era riuscita a trattenersi. Mattia rise. “Vuoi che sia
geloso?”. “Io voglio solo che…”. Elena
avvampò. “Sì, voglio che tu sia geloso!”esclamò poi. Il ragazzo rise ancora più
forte. “E smettila!”esclamò Elena. Fece
per dargli un pugno sul braccio ma lui le prese il suo e l’avvicinò a sé per
stringerla in un abbraccio e soffocarla in un bacio. La ragazza si lasciò prendere
e dominare. Sentiva la lingua di lui muoversi in perfetta armonia con la sua.
Il collo le si piegò per seguire i movimenti di lui, le faceva quasi male. Ma
che importava? Le sue mani cercarono i suoi
capelli. Lisci, soffici, glieli arruffò delicatamente mentre sentiva invece le
mani di lui sui suoi fianchi. Percepì il busto di Mattia farsi sempre più
inclinato e che lei stava andando sempre più giù, finché non sentì il morbido
materasso sotto la sua schiena. Era schiacciata delicatamente dal corpo del
ragazzo, che sentiva muoversi sopra di lei, lo sentiva dappertutto. Ormai non
respirava più. Staccò il volto di Mattia dal suo e prese aria. Si sentiva
respirare affannosamente, come del resto faceva lui. Era un po’ rosso. E
spettinato. Non sembrava più così sicuro
quando i loro sguardi si incrociarono. “Vuoi…?” fece, dopo un attimo
di esitazione. Non finì la frase ma Elena
sapeva bene cosa voleva fare. E cosa voleva fare lei. Annuì. Non sarebbe riuscita a
dormire nel suo stesso letto senza volergli saltare addosso. Sentiva
un’insolita eccitazione dentro di sé, la sentiva fino alla punta dei piedi. Lui si allontanò un attimo da
lei e frugò nel suo zaino, poggiato per terra. Un momento, pensò Elena
chiudendo gli occhi, lo vedrò nudo e io devo
spogliarmi. Notò che la scollatura della sua maglia ormai lasciava ben poco da
immaginare e la gonna era andata praticamente tutta su. Ciò non toglieva che
avrebbe dovuto togliersi tutto. “Ehm” fece “possiamo spegnere
la luce?”. Mattia la guardò sorridendo. Aveva i pantaloni calati ma le
mutande erano di nuovo al loro posto. Le si avvicinò ghermendola in
un abbraccio. Le baciò delicatamente guance, bocca, collo. Allungò una mano e
premette l’interruttore della luce. Furono al buio. Il cuore di Elena batteva
fortissimo mentre la ragazza si lasciava travolgere dalla passione. Sentì le
mani di Mattia che correvano sul suo corpo, le sfilavano la maglia. Lo sentì
lottare col ferretto del reggiseno (e anche borbottare), poi, quando riuscì ad
eliminare quell’ostacolo, le sue mani accorsero affamate. Cavolo. Non c’era molto da
pensare se non cavolo. Stava
succedendo sul serio. Stava avendo l’uomo che tanto voleva. Elena si sentiva eccitata,
frastornata, felice, per la prima volta nessuna traccia di imbarazzo. Riuscì a togliere la maglia di
lui e accarezzò ogni centimetro del petto, delle spalle, del viso fino ad
arrivare ancora a scompigliarli i capelli mentre continuavano a baciarsi senza
sosta. Non respiravano. Ma che
importava respirare? Era come se ognuno respirasse
con la bocca dell’altra. Insaziabili, continuavano. Una ricerca dell’amore e
della felicità che era arrivata al capolinea. Elena sentì qualcosa
slacciarsi e capì che era la cerniera della sua gonna di jeans. La sentì
scivolare via insieme alle mutande e, per un momento, si sentì spaventata. Ora
era davvero nuda e inerme davanti a lui. E lui l’avrebbe presa. Sì, prendimi. Lei era pronta. Lo era anche
il loro rapporto? Stavano insieme da così poco tempo. Ma la passione comandava. E gli esseri umani, schiavi,
obbedivano. Si chiamava Daniele. L’aveva conosciuto durante
l’estate, terminata la seconda superiore. Era lì, seduto con gli amici, ogni
pomeriggio, alla gelateria sotto casa di Cherise. E lei ogni volta scendeva per
osservarlo. Aveva due anni in più di lei
ed era molto carino. Non quel carino che tutte le ragazze guardavano a bocca
spalancata, quel carino semplice e simpatico. Capelli castani, occhi nocciola,
viso ben delineato ma non troppo marcato. Alto, vestito in maniera semplice,
con cose che si possono benissimo rimediare in piazzola. Non era strafottente o
presuntuoso come tutti i ragazzi che conosceva Cherise. Era sorridente, solare,
sempre la battuta pronta ma mai una battuta cattiva. Come lei aveva notato lui,
lui aveva notato lei. E un giorno si era presentato senza amici. Erano trascorse piacevoli
giornate, avevano fatto amicizia. Durante l’anno scolastico, anche se
frequentavano licei diversi, si vedevano di tanto in tanto. E poi si erano
messi insieme. L’estate dopo era stata
magnifica. Prima di entrare nel buco nero. Le diceva cose dolci, ma mai
un ti amo. Poi la verità, nuda e
schietta. Non sono innamorato di te, Cher. Forse qualcosa era cominciato,
poi era finito. Ma cosa significava che non era innamorato? Che non lo era mai
stato? Che era stata tutta una bugia, un’illusione nella testa di Cherise? Poteva accettare che una
storia finisse, era la prima a credere che l’amore non fosse eterno. Ma non
poteva accettare di essere umiliata o presa in giro. Ma lo eri? Una domanda a cui era seguita
una muta risposta che aveva spezzato il cuore di Cherise. Perché credere nell’amore
quando un ragazzo stava con te per nove mesi facendoti sognare e poi ti diceva
che non era innamorato? Cherise si rigirò nel letto. Ma se non credi nell’amore, in cosa credi? Aveva diciotto anni, in cosa
si credeva a diciotto anni? Strinse il cuscino a sé.
Daniele non poteva rimanere neanche un bel ricordo, se quel ricordo era una
bugia. Pensava spesso a lui, ma sempre con meno dolore. L’umiliazione c’era, ma
no, non faceva più male al cuore. Non avrebbe permesso che un
altro ragazzo giocasse coi suoi sentimenti. Forse Andrea sarebbe stato il
prossimo. Non farti illusioni. Eppure a lei piaceva. Daniele non era nulla in confronto ad Andrea, e non
tutti i ragazzi erano cafoni. Forse le cose si potevano aggiustare,
forse si poteva ancora sognare. Sentiva un pizzicore alla
gola. Aveva una sete terribile. Chissà se la cucina è a meno di cinque minuti da qui. Si alzò, facendo piano per non
svegliare Tonio e Giulia e uscì dalla stanza. Accese una luce e scese le
scale. Forse non sarebbe stato così difficile trovare una cucina. Trovò qualcos’altro. Marco stava risalendo le
scale. Si guardarono per un momento,
sorpresi, poi lui chiuse gli occhi e alzò le braccia. Avanzò di qualche scalino
fingendo di essere sonnambulo. “Guarda che inciampi” fece
Cherise “dov’è la cucina?”. Marco si voltò verso di lei
con uno sguardo e una voce che volevano essere inquietanti ma uscirono da
rincoglionito. “Sceeendiii e vaaaiii a deeessstraaa”. “Dimmi una cosa” disse Cherise
“perché devi fare sempre l’idiota?”. A volte sembrava che Marco si
sforzasse a fare l’idiota. Quella sera l’aveva visto, in discoteca, in un
angolo, solo, a bere. Non sembrava affatto stupidamente allegro come al solito. Il ragazzo assunse
un’espressione seria e la guardò con le sopracciglia alzate. “Dimmi una cosa”
ribatté “perché devi sempre prendere tutto così sul serio?”. Cherise rimase interdetta. “Forse se ti impegnassi anche
tu a essere simpatica avresti meno pensieri che ti frullano in testa” continuò
Marco. “Che ne sai tu che ho dei
pensieri?” replicò Cherise. Ehi, preferiva il Marco idiota al Marco impiccione.
Marco sbatté le palpebre. “Sei
una persona anche tu”. Acuta osservazione, quello che
si metteva in dubbio era se fosse lui una
persona, non lei. “Domattina ci sono i tuoi?”
chiese Cherise “vorrei ringraziarli”. “No, non ci sono mai”. “Oh”. Marco si voltò e fece per
riprendere a salire le scale. “Marco” lo chiamò Cherise. Lui si rivoltò verso di lei,
con le sopracciglia alzate. “Mi dispiace di non averti
detto di Elena e Mattia” disse la ragazza, dispiaciuta sul serio. In effetti,
probabilmente, quei due stavano facendo sesso in casa sua. Marco scrollò le spalle. “Torno dagli altri. Vuoi
unirti a noi?”. Un’orgia? “No, grazie”. Lui emise un suono simile a
una risata. “Preferisci stare coi tuoi pensieri che ti frullano in testa?”. “Sì, esatto”. Marco fece per rivoltarsi.
“Buona notte, Cherise”. La ragazza sorrise. Lui sembrò ritrarsi. “Perché
quel sorriso?”. Cherise scoppiò a ridere. Era
così raro che sorridesse? “Mi hai chiamata Cherise”. Marco strabuzzò un attimo gli
occhi poi fece un gesto con la mano noncurante e si voltò per risalire le
scale. Accidenti, Marco Castellani,
alias proto-scimmia incallita, l’aveva fatta sorridere. Il mondo stava cambiando. O forse era lei a vedere le
cose in modo diverso. Mattia si adagiò mollemente
sul letto. Al suo fianco, sentiva il
respirare regolare di Elena, che stava dormendo. Avevano fatto l’amore. Abbiamo fatto sesso. Si sentiva bene, rilassato. Nulla di più. Voltò lo sguardo e vide nella
penombra lo scintillio dei capelli dorati della ragazza. Era molto bella. Era anche
simpatica, dolce. Nulla di più. Che cazzo vuoi, Mattia? Che stai cercando? Credeva di essere innamorato
sul serio questa volta. Invece i risultati erano gli stessi di quando era stato
con Chiara. Socchiuse gli occhi. Accidenti,
le ho detto di essere innamorato di lei. Ma davvero non lo era? Perché
non provava quel piacere che avrebbe dovuto provare? Anche se non fossi innamorato, ti sarebbe dovuto piacere. Che diavolo significava? Ci aveva provato. Ci aveva
provato ad essere innamorato di lei, a fare l’amore con lei per cercare di
capire. E per cercare di scacciare quella cosa fastidiosa che, dentro di lui,
urlava la verità. Lui non l’ascoltava, rifiutava
di ascoltarla. Era una verità scomoda. Si strinse al cuscino,
cercando di rilassarsi e riposare. Non ci riusciva. Ho paura. Guardò ancora Elena. Il suo
dolce profumo invadeva la stanza. Non poteva farla soffrire, il
suo cuore non avrebbe retto. A questo punto aveva sbagliato tutto, che doveva
fare? Ma non riusciva a preoccuparsi
per lei, non in quel momento. Aveva solo paura di quella
verità scomoda, paura di se stesso.
[1]
esclamazione di sorpresa (letteralmente, “succhiamelo”)
Ecco il nuovo capitolo, non sono molto fulminea ad aggiornare lo so...
In realtà sono già sfatta dopo soli quattro giorni di
scuola, a scrivere un capitoletto così ci metto un paio d'ore,
il problema è trovarle quelle due ore... Inoltre dovrei anche
aggiustare il romanzo che voglio pubblicare (è dalla terza media
che lo rifaccio ain pos piò)!
Cmq ho cominciato a mettere le note per le parole in dialetto, non so
quanto possano essere utili, magari si capiva lo stesso booooh, ain so brisa io intanto le ho messe :D E ora colloquio un po' con:
Idril Inglorion,
sì un piccolo cambiamento c'è stato perché da
quando mi hai commentato con quelle dritte ho cercato di seguirle
impegnandomi un po' di più, prima scrivevo più
superficialmente senza dare troppo peso a questa storiella ^^
Quindi grazie mille! Rebellious_Angel,
grazie per i complimenti, anche a me piacciono molto le storie reali!
questa è la prima che scrivo che tratta di realtà...
e ho scoperto infatti che mi piace! Ery_94,
sono contenta che ti piaccia la mia storia :D anche a me dispiace che
Andrea sia così e anche a me piacevano molto come coppia
Mattia ed Elena, ma adoro andare sul tragico muahahah no, non spaventarti xD ad ogni modo grazie mille per aver commentato! RedTears,
mi dispiace che tu ti sia preso tanto a cuore Andrea (sarà forse
perché ha il nome del tuo ragazzo xD casualmente cmq...), ad
ogni modo ABBI FEDE! Lo sai che faccio finali tristi ma non troppo xD
e cmq grazie pure a te, conto su altri commenti! Infine grazie a tutti coloro che mi hanno inserito sta roba nei preferiti o seguiti!
Benessum, vi do appuntamento alla prossima puntata (la cui data è indefinita...)! kissoli
Era ricominciata la routine. Quel martedì, proprio come
quello scorso, c’era poca gente e Cherise poté tirare un po’ il fiato. Il
giorno prima era stato massacrante. Guardò l’orario. Erano quasi
le undici. Niente, neanche quel giorno
era venuto. Di solito accompagnava Elena
al centro commerciale, poi veniva a bere un caffè. Ma né quel giorno né quello
prima si era fatto vivo. Che non avesse voglia di un
caffè okay, ma Cherise sperava che avesse voglia di rivederla. “Come mai il tuo amico non
viene più?” chiese Francesco, al suo fianco. Cherise si voltò verso di lui
all’istante. “Che mio amico?”. “Quello che ti mangi cogli
occhi”. “Non è mio amico”. “Ah, è già il tuo ragazzo?”. Cherise sbuffò. “Va al diavolo”. Francesco ridacchiò. “Nervosetta
eh?”. La ragazza lo mandò a quel
paese con un gesto della mano. Sì, nervosetta. Che c’era di male? Aveva passato
un bel sabato sera con lui, poi aveva scoperto che era indebitato fino al
collo. E ora spariva. Che diavolo, era preoccupata! Evidentemente a lui non interessa. Come non gli interessa, pensò
Cherise con rabbia, non può rendermi partecipe di una cosa così grave e poi non
farsi più vivo. D’accordo, gli mancava, il ricordo di averlo avuto tra le sue
braccia ormai non bastava più. Ma non era solo un capriccio. L’ultima volta che
l’aveva visto piangeva dopo essere stato pestato. Voglio sapere se sta bene! Basta, era ora di mettere da parte il
proprio orgoglio e scendere dal piedistallo. Sarebbe andata a casa sua, con
Elena. Se lui non la cercava, l’avrebbe cercato lei. Erano le cinque, il suo turno
finiva a quell’ora. La vedeva ancora intenta a
parlare con una donna fuori dai camerini. Quel lavoro doveva piacerle molto. Mattia sorrise mentre vedeva
Elena correre a prendere un vestito da porgere alla signora. Sembrava felice,
spensierata. Il sorriso scomparve dal volto del ragazzo. Davvero non riusciva a vedere
neanche lei come fidanzata? Era molto bella. Faceva pulsare il suo cuore di
affetto, di simpatia, di tenerezza. L’amore non c’era. Con nessuna ragazza che
aveva avuto l’amore c’era. Ma perché? Cosa gli avrebbe
fatto battere veramente il cuore? “Ciao” fece una voce. Mattia sussultò e si voltò. Ebbe un tuffo al cuore. Un altro commesso del negozio,
Roberto si chiamava, era di fianco a lui. “Ciao” rispose Mattia, incerto. “Cerchi qualcosa?” fece
Roberto, gentile. Mattia si accorse di essere
impalato di fronte all’entrata del negozio da qualche minuto. Doveva essere
passato per un idiota. “Veramente no” farfugliò. “Ah tu sei Mattia” disse l’altro,
illuminatosi “Il ragazzo di Elena”. Mattia annuì, attonito. “Lei ci ha parlato molto di te”
spiegò Roberto. “Ah”. “Adesso te la chiamo, il suo
turno sarebbe finito”. “Sì”. Roberto si allontanò e Mattia
rimase confuso a guardarlo. Perché improvvisamente parlava per monosillabi?
Quello era il ragazzo che Elena definiva figo.
Sì, era figo. Molto più di lui se non altro. Il suo cuore aveva accelerato
il battito, se ne rendeva conto ora, mentre Roberto parlava con Elena. Perché? Quell’orribile dubbio che
aveva cercato sempre di scacciare. Guardò Roberto ed Elena
inorridito. Guardò i vestiti inorridito. Guardò tutto il negozio inorridito. No, non poteva sopportarlo.
Non poteva essere vero. Aveva improvvisamente un gran
caldo, nonostante l’aria condizionata, sentiva le guance in fiamme e il sudore
scendergli dalla fronte. Non può essere vero. Si voltò mentre Elena andava
verso di lui. No, non aveva voglia di
parlare. Non aveva voglia di vedere in
faccia nessuno. Camminò a passo svelto, in
cerca dell’uscita. Ora doveva solo pensare,
riflettere, ragionare. Convincersi che non era vero. Sì, bastava solo pensarci
un attimo, non doveva raggiungere conclusioni affrettate. Non è affrettata, non è la prima volta che lo pensi. Rifiutava anche solo l’idea
che potesse essere vero. Era ridicolo. Calma, si aggiusta tutto. Corse. Sentiva i passi di
Elena dietro di sé e la sua voce che lo chiamava. Mi dispiace Elena, non ora, non ora. Non avrebbe avuto il coraggio
di guardarla negli occhi. “Mattia! Mattia! Fermo!”. Però Elena non se lo meritava.
Non si meritava tutto questo. Mattia si bloccò. Si voltò. Elena era di fronte a lui, con
un’aria smarrita. Avanzò di un passo verso di
lei. Deglutì. Si sentiva un nodo in gola. Chinò lo sguardo a terra. Mi stai chiedendo se sono innamorato di te? Sì, lui aveva risposto sì. Si vergognava così tanto. “Che succede, Mattia?” fece
Elena, con voce incerta “Perché scappi?”. Mattia non rispose. Cosa
avrebbe dovuto dirle a questo punto? Che era stato tutto un errore? No, non c’è nessun errore. E allora
perché si sentiva così? Aveva la testa piena di pensieri confusi e
aggrovigliati. Va tutto bene, io sono
normale! “Perché non mi guardi?”
continuò Elena, la voce un po’ alterata “Mattia! Perché non mi guardi?!”. Mattia alzò lo sguardo verso
di lei. La ragazza aveva un’espressione
confusa e addolorata, le sopracciglia inarcate, le bocca incurvata, la fronte
aggrottata. Scusami, Elena, ma non ce la faccio. Mattia aveva bisogno di stare da solo, di pensare, di mettere ordine…
Ma devi dirglielo, fece una voce dentro di lui, devi spiegarle cosa succede! Non lo so nemmeno io cosa succede. La ragazza si era avvicinata. “Perché
sei scappato? Vuoi rispondermi?!” fece con voce rotta “Da cosa scappi?!”. Lui tese un braccio. Le
accarezzò una guancia. No, lei non meritava di essere
trattata così. Non meritava uno come lui. La stai facendo soffrire e basta. “Scusa, io…” pigolò. Si
schiarì la voce. Gli veniva dannatamente da piangere. Non aveva il coraggio di
lasciarla, non dopo quello che era successo sabato notte. Meglio cercare una
scappatoia. Lei si ritrasse, col volto di
qualcuno che già sapeva tutto. Lui sospirò. “Ho bisogno di una
pausa, di un po’ di tempo per riflettere”. “Andrea non c’è?”. “No, è sempre fuori
ultimamente”. Elena lesse la delusione sul
volto di Cher ma decise di non commentare. Sarebbe stata ben felice di fare
maligne supposizioni su suo fratello e la sua amica, ma in quel momento no. Mattia le aveva chiesto una pausa. Che diavolo significava una
pausa? Un ultimatum? Era come se le avesse chiesto di prepararsi
psicologicamente per quando lui l’avrebbe lasciata. Perché l’avrebbe fatto. Un po’ di tempo per riflettere. Riflettere
su cosa, dannazione? Riflettere e poi lasciarla. Ecco cos’era una pausa. Ma
perché? Dove aveva sbagliato? Io ti piaccio sul serio? Aveva risposto sì. Aveva
risposto sì! Cos’era cambiato? “Ele, tutto bene?”. Cher la stava guardando. Elena aveva tanta voglia di
piangere. Mattia era tutto ciò che aveva, ciò che l’aveva sempre fatta andare
avanti. Era così sbagliato appoggiarsi completamente a qualcuno? Sì, lo era. Perché quel qualcuno non ci
sarebbe stato per sempre. Come mamma e papà. Qualcuno su cui conti, di cui ti
fidi ciecamente non dura per sempre. E quando quell’appoggio viene a mancare,
cadi nel nulla. Ma no, questa volta lei non sarebbe caduta. “Mattia mi ha chiesto una
pausa” disse. Dirlo ad alta voce era il primo passo per accettarlo. Ma c’era quell’insopportabile
piccola speranza in lei che lui non la lasciasse. Che il giorno dopo l’abbracciasse
e si scusasse. Non illuderti, ti vuole
lasciare! Ma il pensiero che lui ci ripensasse era l’unica cosa che la
teneva in piedi e faceva sì che non crollasse a terra a piangere. “Cosa?” fece Cher, sgomenta “Ti
ha spiegato perché?”. “No” rispose Elena, gli occhi
che bruciavano “Non mi ha spiegato niente”. “Come sarebbe a dire? Deve
spiegarti”. “Beh, non l’ha fatto!” sbottò
Elena, con rabbia. Non voleva aggredire Cher, ma
tutte le persone su cui contava se ne andavano. Se ne sarebbe andata anche la
sua migliore amica se avesse fatto una scenata. Ma Cher l’abbracciò
semplicemente. “Si aggiusta tutto, si aggiusta tutto” le ripeté all’orecchio. Quante volte le avevano detto
che si sarebbe aggiustato tutto? Non si era mai aggiustato niente. Mamma e papà sono morti. Si
aggiusta tutto, le dicevano. Avete una
bacchetta magica? Perché tutto può cambiare ma niente si può aggiustare. Il pensiero però la
confortava. Essere abbracciata e rassicurata da Cher in camera sua la
confortava. Poteva pensare razionalmente quanto le pareva, ma quell’inutile
speranza non se ne andava. La speranza che tutto si aggiustasse, che le cose
sarebbero andate meglio. Aveva sempre sognato e si era sempre illusa. Una
speranza che si era trasformata in condanna. E ora era condannata ad aspettare
qualcuno che non sarebbe mai tornato. Come avrebbe detto Cher, che
disprezzava l’amore, che schifo. Non era sua la colpa. Perché,
per quanto possano andare male le cose, se qualcuno ti ripete all’infinito che
tutto si aggiusta, alla fine ci credi. E’ questo il problema. Ci credi. E fa sempre più male. Aveva racimolato un po’ di
soldi. Sì, forse le cose sarebbero
andate un po’ meglio. E Luca ed Elena non avrebbero mai saputo niente. Strinse
la busta che aveva in mano. Non poteva più sperperare i soldi. Chi avrebbe
pagato le cure per il nonno altrimenti? I soldi per il nonno erano stati messi
via, non avrebbe mai dovuto toccarli. Meglio togliersi dai guai prima di doverli
prendere. Sì, ne sarebbe uscito. Per i
suoi fratelli. Doveva pensarci lui a loro. Grazie mille, Dio, per averci ucciso i genitori. Non era più andato in chiesa
neanche una volta. Infilò le chiavi nella toppa e
la serratura fece uno scatto. Entrò e subito si bloccò. Non si aspettava di trovarsela
di fronte in casa sua. Era da sabato notte che non la
vedeva. “Cherise” fece, mutando la sua
espressione da accigliata a sorpresa. “Ciao” fece la ragazza “che ci
fai qui?”. “E’ casa mia”. “Ah, sì, giusto… Io ero venuta
per stare un po’ con Elena, stavo per andare”. Ah, non per cercare me. Andrea
provava un po’ di vergogna per come lei l’aveva visto. Senza contare che non
era stato del tutto sincero. Non sapeva come comportarsi. Non era più andato a
prendere il caffè da lei. Perché? Di che
hai paura? Che lei gli potesse piacere sul serio. Cosa ci sarebbe di male? Non voleva che lei sapesse com’era lui
veramente. Non voleva che lei scoprisse che lui era niente meno che un
vigliacco. Perché forse lei per lui era diventata importante. “Okay”. Non sapeva che dire.
La guardò mentre lei guardava lui, in silenzio. Era molto carina. I capelli
castani un po’ scompigliati, gli occhi grandi color nocciola con la matita
sbavata, le guance arrossate. “Come stai?” chiese la
ragazza. “Io… bene, meglio, grazie”
rispose lui, accennando a un sorriso. Anche lei sorrise. “Se posso… se posso darti una
mano…”. Andrea alzò un sopracciglio. “Una
mano me la potresti dare”. Sì, che c’è di
male? Basta coll’aver paura di nascondersi. Cherise lo guardava
interrogativa. Lui prese coraggio. “Ti va di
uscire con me qualche volta?”. Con lei forse sarebbe stato
più facile. E non importava più nascondersi dietro a una stupida maschera di
perfezione. Si sarebbe aggiustato tutto. La guardò in attesa, un po’ in
ansia, sentiva lo stomaco aggrovigliato. Poi lei sorrise. Antonio era stato con gli
amici, nel chiosco di gelati sotto casa. Non si divertiva granché ma tutto era meglio che stare in casa. Ma
ora si stava avvicinando l’ora di cena e doveva rincasare. Chissà se la mamma
si era alzata dal letto e stava preparando qualcosa. Oppure papà, ma dubitava
che fosse tornato. Era sempre fuori. Non importava, le cose prima o
poi si sarebbero aggiustate. Mamma e papà non potevano andare avanti così per
sempre. Ora era meglio non pensarci. Tanto erano problemi loro no? Ma smettila di prenderti in giro. La voce di Giacomo gli
risuonava in testa. Odiava quando lo chiamava terrone ma evidentemente lui non se ne rendeva conto. E neanche gli
altri, che sghignazzavano di continuo. - Terrone, che gelato hai preso? - Cioccolato e crema. E io sono nato qua come te! - Non conta. Hai i genitori terroni e quindi lo sei anche tu. E’ una
cosa genetica. Non era poi così
particolarmente offensivo, ci si poteva ridere su ma alla lunga era fastidioso.
E’ una cosa genetica. Sembrava che
nei suoi geni ci fosse qualcosa di sbagliato. I genitori di Giacomo erano
dei cretini di estrema destra. Antonio non ci capiva niente di politica ma papà
ne parlava sempre male della destra. Alla fine non era neanche colpa di Giacomo.
I ragazzini ripetono quello che sentono dai genitori no? Antonio calciò un sassolino
sul marciapiede. E lui cosa poteva ripetere? I
suoi genitori ormai non dicevano più nulla. Erano come morti senza sapere di
esserlo. Il loro ruolo di genitori è
morto. Scorse Cherise che stava
aprendo il portone della loro palazzina. La raggiunse di corsa,
contento di non dover rientrare da solo. “Cher!”. “Tonio, dov’eri?” fece la sorella,
voltandosi. “In baracchina”. “A quest’ora? E la cena chi la
mangia?”. “Non fare la seconda mamma!”
protestò Antonio. Seconda mamma. La prima dov’era?
Ma ora si sentiva un po’
meglio, mentre prendeva l’ascensore con Cherise che rideva. Avrebbe affrontato
cosa c’era in casa con lei. Quella battaglia persa che non apparteneva neanche
a loro ma li logorava lentamente. Ringraziò Dio di non essere
figlio unico.
Ecco
qui, in questo capitolo compaiono quasi tutti i personaggi principali!
Lo so che fremete dalla voglia di vedere Cherise e Andrea insieme, ma
c'è troppa gente e troppe pippe xD è una fic un po'
affollata ma d'altronde non mi piacciono troppo le storie concentrate
unicamente su lei e lui... Ho scritto sto capitolo tutto di
getto (chissà com'è venuto) in un triste sabato che passo
tutta sola soletta perché qualche amica preferisce sempre uscire col ragazzo xP Ma mi sto sbrodolando in chiacchere... passiamo ad altro
RedTears,
grazie per il commento e grazie anche per aver mostrato pietà
verso la protoscimmia che qualche capitolo fa volevi uccidere in
maniera orribile... E che pare e pare sul tuo Andrea, il "mio" e il tuo
sono molto diversi, il mio personaggio è molto più bello
xP Ery_94,
non è un problema il ritardo e grazie per aver commentato xD
sono contenta che Marco abbia acquistato punti anche con te... riguardo
a Mattia, beh... ha sbagliato ma dopotutto è un maschio non
pretendiamo troppo... i ragazzi hanno quell'unico neurone che gira e
rigira diviso in due parti: cibo e sesso -.-' E infine grazie anche a tutti gli altri che mi seguono!
Basta,
il supplizio è terminato, tornerò il week end prossimo,
spero... sono già stufa di studiareeee! Ok, vi saluto! baci
“Elena?”. Nessuna risposta. “Elena? Posso entrare?”. Ancora nessuna risposta. Luca spinse piano la porta. La
finestra della camera era aperta e dalla tapparella ancora abbassata filtrava
un po’ di luce che inondava il corpo di Elena seminudo steso sul letto. Dormiva. “Ele, sono già le otto e mezza”
biascicò Luca, fissando le lunghe gambe appoggiate l’una sull’altra
delicatamente. Di solito lui a quell’ora
dormiva, ma quella mattina c’era stato un po’ di trambusto. Andrea aveva
portato via a forza il nonno, che aveva tentato invano di ribellarsi gridando
che preferiva morire nel suo letto piuttosto che in ospedale. “Elena” bisbigliò ancora Luca,
avvicinandosi. Se non si fosse svegliata all’istante avrebbe fatto tardi. Però
era un peccato svegliarla. Era così bella, con gli occhi chiusi e il viso
rilassato. Il viso di un angelo. Le si avvicinò ancora
silenziosamente. Non voleva turbarla. Le scostò i capelli dal viso.
Continuò ad accarezzarle la guancia. Era calda. Avvicinò la sua bocca a quella
guancia così appetitosa. La baciò, lentamente, risucchiando tutto il piacere di
quel momento. Lei non si era accorta di niente. La baciò ancora, assaporando
quella pelle così perfetta. Un altro bacio. Si stava spostando. Baciava la
guancia, lo zigomo, il naso, il mento. La bocca. Si bloccò. Che stai facendo. Tentò di allontanarsi ma l’unica
cosa che ottenne fu che si sedette più comodo. Come poteva resistere? Guardò il
corpo della sorella, bellissimo, candido. Accarezzò quelle gambe nivee. Non
portava pantaloni, solo una maglia che copriva a malapena le mutande. La sua
mano arrivò a toccare il sedere. Liscio, sodo, vellutato. Fermo. Ritirò la mano
improvvisamente, come se si fosse scottato. Volse il suo sguardo al viso
dell’addormentata. Ancora dormiva, ignara di tutto, ignara del fatto che il suo
sdegnoso fratello la stava toccando, contaminando quel corpo puro. Ma è così bella. Avvicinò ancora la sua bocca
alle labbra di lei. Grosse, invitanti, morbide. E’ inutile opporsi. La baciò. Sentiva le sue
labbra immobili, calde e soffici. Continuò a baciarla, gli pareva di essere in
un sogno. E se si sveglia? Continuò a baciarla,
noncurante di tutto, noncurante dei legami sanguigni. E’ solo qualcosa voluto dalla cultura. Nulla a che vedere con la
natura. Non stava andando contro
natura. Che sorelle e fratelli non potessero amarsi era stato deciso a
tavolino. Non era contro natura. Ma quelle labbra all’improvviso
si mossero. Sentì uno sbattere di palpebre. Un suono strano. Una mano che gli
picchiettava sul petto. Smettila. Ora smettila. Perché? Il suono divenne più forte, un
lamento. Le labbra cercarono di sfuggire. La mano prese a spingerlo via. Smettila! Luca si staccò. La sorella, sveglia, lo stava
guardando con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Lui si alzò immediatamente dal
letto, rosso di vergogna. Non doveva. Perché lei non voleva. Elena si portò una mano davanti
alla bocca, inorridita. “C-cosa hai fatto?” balbettò. Luca deglutì. “Ti ho baciata”. “Lo so!” gridò Elena “Perché l’hai
fatto?!”. Sembrava infuriata. Inutile mentire. “Perché ti amo”. Elena lo guardò per un momento
senza parole. Poi si riprese. “Stai scherzando vero?” disse con un filo di
voce. Luca non rispose. “Dimmi che stai scherzando!”
ripeté la ragazza. “Non sto scherzando
dannazione!” urlò Luca “Io ti amo!”. Elena aveva le lacrime agli
occhi. Sembrava disgustata, ancora la mano che le copriva le labbra. Luca si
sentì ribollire di rabbia. “Ti faccio così schifo?”. Elena lo fissò stralunata. “Sei
mio fratello!”. “E chi se ne frega!” fece lui
avvicinandosi. Le prese il volto tra le mani. Lei lo lasciò fare,
pietrificata. “Chi se ne frega di tutto! Non
guardarmi come un fratello. Dimmi se mi ami”. Elena lo stava ancora
guardando con gli occhi sbarrati. Lui le teneva il volto, lo sentiva tremare
sotto le sue mani. “Dimmi se mi ami” ripeté. Dimmi che mi ami. Ma lei lo spinse. “Piantala
con queste scenate!” gridò. Luca la guardò ferito. “Luca, posso amarti solo nel
modo in cui una sorella ama il fratello” aggiunse lei, lo sguardo triste, come
se fosse dispiaciuta per lui. Vaffanculo. “Certo” ringhiò Luca “tu ami
quel Parisi”. Elena sgranò gli occhi. Luca fece per andarsene,
rabbioso, ma sulla soglia qualcosa lo colpì violentemente alla testa. Gemette e si voltò. Un libro
era per terra. Elena, in piedi vicino al letto, lo mano protesa che aveva
appena lanciato il libro, lo fissava con uno sguardo sgorgante di lacrime e di
fuoco. “E’ per questo che non volevi
che uscissi con dei ragazzi” sibilò. Luca annuì. “Beh, spero che tu sia
contento!” urlò la ragazza, la voce furiosa e spezzata dal pianto
contemporaneamente “Parisi mi ha mollata! Dopo avermi portato a letto!”. Luca rimase immobile. Elena
era stata a letto con Parisi. E quello l’aveva mollata. E ora arrivava lui, il
fratello, con dichiarazioni d’amore assurde. Che cazzo ho fatto?! “Vattene” fece Elena,
asciugandosi gli occhi. Luca non si mosse. Voleva dire
qualcosa, qualunque cosa. Non poteva essere arrabbiato con lei, lo sapeva che
non lo ricambiava. Elena, perdonami. “Vattene!” ripeté Elena più
forte. Lui non si muoveva e lei lo
spinse, picchiandolo sul petto. “VATTENE!”. Luca si ritrasse. Uscì, senza
una parola. La porta dietro di lui sbatté
con violenza e sentì la ragazza crollare in un pianto spaventosamente simile a
quello di un anno prima. “Elena non c’è?”. “No, sono passato dal negozio
e c’era suo fratello al suo posto”. Cherise ebbe un tuffo al
cuore. “Che fratello?”. “Quello piccolo”. “Ah, Luca”. Mattia diede un morso al suo
panino. “Ma che ci fa qui Luca?”
chiese Cherise. Erano seduti a un tavolo del
suo bar. Cherise aveva chiesto dieci minuti liberi per poter parlare con
Mattia. “E’ venuto ad avvisare che
Elena si sente poco bene” rispose questi “E l’hanno messo a lavorare”. “Cioè?”. “Beh, Jessica si è lamentata
che c’era molta gente e Luca si è offerto di dar loro una mano”. “Ah”. Carino da parte sua. Cherise
addentò il suo trancio di pizza. “Mi ha guardato malissimo
tutto il tempo. Probabilmente sa quello che è successo” sospirò Mattia. “Ecco, di questo volevo
parlarti” disse la ragazza, divorando l’ultimo pezzo di pizza. Dieci minuti
erano pochi, che diamine. Francesco era solo un taccagno. “Hai chiesto ad Elena una pausa.
La vuoi mollare?”. Dì di no, dì di no, che eri solo confuso e… “Sì”. Cherise tossì. “Come sì?!
State insieme da neanche una settimana!”. Erano una bella coppia. Okay, Elena
era un tantino più bella, ma si trattava dei suoi due migliori amici. E poi
Elena era cotta di lui da parecchio tempo. No, non poteva distruggerla così,
senza motivo. Lei era pezzi. Per quello non era venuta a lavoro. Mattia aveva chinato lo
sguardo. “Mattia” cominciò Cherise, con
aria grave “sabato notte… l’avete fatto?”. Il ragazzo non rispose. “Mattia” insistette Cherise “avete
fatto sesso?”. “Sì”. No. Nel giro di una settimana
si erano messi insieme, avevano fatto sesso e si erano mollati? No, le cose
così non andavano affatto bene. “Perché l’hai fatto?”. “Non l’ho forzata!”. “Perché l’hai lasciata?”. Mattia esitò un momento. “Non
sono innamorato di lei” disse poi. Cherise lo fissò attonita.
Allucinante. I maschi erano tutti dei cretini, con quel loro unico neurone che
non era nel cervello ma in qualcosa che comunque finiva con ello. “Perché te la sei scopata
allora?! Lei è innamorata di te! Ora sta malissimo!” esclamò, con foga. “Lo so e mi dispiace” fece
Mattia, lo sguardo contrito “ma volevo… volevo vedere se mi piaceva”. “Se ti piaceva cosa?”. “Il sesso con lei”. Cherise sbuffò. Era pazzesco. “E
da questo avresti capito se eri innamorato o no? Andiamo, certo che ti è
piaciuto! Sei un maschio, credete che il vostro coso abbia vita propria, gli date persino un nome…”. Mattia scuoteva la testa.
Aveva gli occhi lucidi. Cherise si zittì. “Non è come credi tu” mugugnò
lui “non ci sono stato insieme per portarmela a letto e poi mollarla!”. Basta, non voleva sentire
altre stronzate. Elena era a casa che piangeva come una fontana, proprio lei
che aveva la stabilità mentale appesa a un filo. Cherise fissò Mattia. No, non
l’avrebbe perdonato. Fece per andarsene ma lui la bloccò per un braccio. “Cher, capisco che stai dalla
sua parte, ma sono tuo amico anch’io!” fece “E dovresti starmi a sentire!”. Cherise si mordicchiò il
labbro. Lo guardò, in attesa. Era sempre stata piuttosto cinica. Scettica nel
sentire cosa sparavano i maschi, cosa si inventavano per giustificare le loro
cretinate. “Io credevo di essere
innamorato di lei” fece lui. Sentiamo. “Non sapevo che… ora ho capito
che…” farfugliò ancora il ragazzo. Certo che quella che stava per
arrivare era grossa. Come giustificazione. Mattia sospirò e guardò
Cherise dritto negli occhi, le gote un po’ arrossate. “Cher, credo di essere gay”. Luca stava piegando una
maglia. Ma chi gliel’aveva fatto fare
di stare lì a dare una mano nel negozio di vestiti? Ah già, i sensi di colpa. Dopotutto era colpa sua se
Elena era talmente sconvolta da non voler più uscire da camera sua. E poi,
meglio così, meglio non stare in casa, meglio non imporle per un po’ la sua
presenza. “Mamma, guarda questa!”. Luca si voltò. A chi apparteneva quella voce
da cinnetta esuberante e
insopportabile? Vide una ragazzina dai capelli
lisci, castani con dei riflessi ramati, con una canottiera rigorosamente
abbinata ai sandali zeppati e dei pantaloncini corti con una cintura viola
enorme, che indicava una maglia alla madre. Una maglia con Paperino sopra. Ah,
sai che roba. “Carina, provatela” disse la
madre. La ragazza rovistò fra le
maglie con Paperino sopra. Aveva un’espressione molto delusa. Luca la guardò, ridendo dentro
di sé. Probabilmente mancava la taglia. Ma il viso della ragazza si illuminò
non appena incrociò il suo sguardo. Lo raggiunse di corsa. “Ehi, tu lavori qui?”. Come fa a saperlo? Luca
guardò attonito le proprie mani. La maglietta che stava piegando lo aveva
tradito. “Sì, dimmi”. “Non ci sono più M di quella
maglia lì?”. “Se non le vedi non ci sono”. “Dai, pensavo esistessero
maglie invisibili!”. Luca inarcò le sopracciglia. Che simpatica. “Non ne avete in magazzino?”
insistette la ragazza. Ma non se ne sta zitta? Aveva
una voce fastidiosa, di quelle voci squillanti che ti trapassano il timpano
anche solo parlando a volume normale. “Mi sa di no”. In realtà Luca
non ne aveva idea. “Ti sa? Non puoi controllare?”. Che palle! Era così
fondamentale avere quella maglia? Ce n’era uno con su Topolino poco più in là. “Oh, ecco, mi è appena venuto
in mente che anche un’altra ragazza cercava la M. Ho cercato in magazzino ma non
c’era” mentì Luca tutto d’un fiato. La ragazza sospirò,
amareggiata. “Ok, grazie lo stesso”. Si voltò verso sua madre, poco
più in là. Ma quella era immersa in una conversazione con Jessica. “Allora, signora Parisi, come
sta?” stava dicendo la ragazza. Parisi? Quel cognome lo perseguitava. “Parisi” borbottò Luca, senza
rendersene conto. La ragazza si voltò di scatto
verso di lui. “Beh?”. Luca sussultò. Quegli occhi
grandi, verdi, lo guardavano come due fanali. “No, niente. E’che conosco un
Parisi. Mattia, un tuo parente?”. La ragazza sorrise radiosa.
Aveva un buco tra i denti davanti. “E’ mio fratello”. Luca sgranò gli occhi. Stava
parlando con la sorella di quel cretino. Ciò spiegava tutto. La sorella non
sembrava da meno a livello di idiozia. Gli tese la mano. “Giulia,
piacere”. “Sì, piacere, Luca” rispose
come un automa il ragazzo, stringendole la mano. “Come mai conosci mio
fratello?”. “E’ il ragazzo di mia sorella”.
Era meglio dire. “Tu sei il fratello di Elena?!”. Con il tono da quant’è piccolo il mondo, il tono di
voce di Giulia si era alzato almeno di un ottava. “Sì” rispose lui. “Ah, ma non sei il fratello
figo figo”. Luca spalancò gli occhi. Giulia continuava a guardarlo,
sembrava mezza incantata. Unì pollice e indice. “Tu sei il fratello figo un po’”. Cosa mi tocca sentire. “Giulia, vieni!” fece la
signora Parisi, qualche metro più in là “Jessica dice che ce l’hanno una M di
Paperino”. Giulia esultò. Poi si voltò
verso Luca con la fronte aggrottata. Ops. “Cominciamo male, Figo-Un-Po’”. “Quanti scalini mancano?”. “Pochi”. “Hai detto pochi anche venti
scalini fa!”. “Allora adesso pochissimi!”. Cherise raggiunse Andrea e lo
picchiò sul braccio. “Ti credi tanto divertente?”. “Veramente sì”. Così stavano le cose. Cherise
e Andrea erano usciti insieme e da soli. Avevano vagabondato per il
centro, mangiato un gelato da Gianni e ora si trovavano quasi in cima alla
torre Asinelli. Cherise era esausta. Ma
felice. “Ci siamo”. Con un balzo, Andrea sparì. Cherise affrontò gli ultimi
gradini. “Non ti piace fare la turista
per Bologna?” fece la voce di Andrea. Se tu sei la compagnia, sì. “Ma certo, non hai portato la
macchina fotografica?” rispose la ragazza, ritrovandosi dietro di lui, in uno
spiazzo. Erano in cima. Andrea si voltò verso di lei,
sorridendo. “Avrei consumato tutto il rullino per fotografare te”. Oddio. Cherise si sentì le
guance in fiamme. Era molto vicino. Che romantico, sarà un casanova. No, lui è un casanova, si
disse. Non si era certo dimenticata del fan club Mancini. Ma Andrea non le saltò addosso
come sembrava. Si riaffacciò verso la città. “Hai portato qui tutte le
ragazze con cui sei uscito? Perché non è molto intelligente, le spaventi con
tutta questa fatica” disse Cherise, affacciandosi affianco a lui. Rimase all’istante a bocca
aperta. Non aveva mai visto Bologna da quella prospettiva. Vedeva tutto. Più minuscole persone che
passeggiavano, chi in modo normale, chi ubriaco. “Sì, porto tutte le ragazze
qui, mostro loro questo e dico: il mondo
è tuooo” cantò Andrea, imitando Aladino del film della Disney. Cherise scoppiò a ridere. Anche Andrea rise. La ragazza lo guardò. Era così
maledettamente bello e simpatico. Lasciati andare. “Ehi, Aladino” fece. Andrea girò la testa verso di
lei, gli occhi azzurri sfavillanti, il sorriso bianco che risaltava nella
notte. “Hai la lampada? Fammi vedere
qualche magia” sussurrò lei. Il sorriso del ragazzo si
allargò, mentre avvicinava il suo viso a quello di lei. “Non posso” bisbigliò “la
magia più bella sei tu”. Il cuore di Cherise prese a
battere in maniera incontrollabile. Lui appoggiò delicatamente le labbra sulle
sue. I nasi si toccavano, le mani si cercarono, le loro lingue si scontrarono,
ruvide, nel morbido abbraccio delle due bocche. Bologna non era mai stata così
incantevole.
Chi è che non vorrebbe baciarsi sulle due torri? Mah, credo non ci abbia mai pensato nessuno... Comunque,
non c'entra niente ma lo dico: non so se sia successo anche nel resto
d'Italia, ma quella voce che dice che la Gelmini vuole ridurre le
vacanze estive è una bufala, quindi
evitiamo di picchettare o scioperare così per fare per dicerie
false che poi per forza non ci prendono sul serio... (tanto di roba per
protestare ce n'è, non c'è bisogno di inventarsene altra). Fatto questo appunto molto significativo, passo oltre.
Ery_94,
grazie per i tuoi commenti sempre presenti ^^ sì, Elena,
poraccia, boh, la supererà... per ora pare un po'
distrutta... mi dispiace che questo capitolo sia concentrato poco su
Andrea e Cher, ma recupererò! xD RachEl CullEn,
grazie mille, sono contenta che ti piaccia la storia. Elena non se lo
meritava ma tanto la vita non è mai giusta (o meglio, io non lo sono nei loro confroni muahah) Cher è la meglio, sono d'accordo! a parte per il fatto che sia juventina (buuu)! RedTears,
sempre crudele nei confronti della povera Elena. E il tuo Andrea me lo
MANGIO, così forse faremo quelle vecchie uscite tra amiche! xD e
Antonio lasciamelo stare... va beh ho capito che tu veneri solo Ado e
Cher! ah, dimenticavo, grazie (giusto per essere cortesi). E come sempre grazie anche a chi mi ha messo tra preferiti e seguiti (ce ne sono di nuovi xD grazie, mi fa piacere!)
Fine. Lo so che starete in ansia fino al prossimo capitolo! Ok basta minchiate... andate in pace... baci
Il funerale del nonno sarebbe
stato celebrato la settimana prossima. Un altro che se ne va. Elena, seduta sul letto,
guardò il suo cellulare. Niente. Non c’erano né chiamate perse né
messaggi ricevuti. Lui non si faceva più sentire
da una settimana. E lei non era più andata al Pianeta. Aveva chiamato e aveva detto di
essere malata. Cherise l’aveva chiamata più
volte ed era andata a trovarla. Ora stava con Andrea. Erano tutti e due così
insopportabili. Sempre a chiederle come stava, sempre a preoccuparsi per ogni
passo che facesse, sempre dietro di lei con la paura che cadesse. Era così strano che non
uscisse di casa da sette giorni? Luca la evitava. No, era lei
che evitava il resto del mondo. Era lei a stare sempre chiusa in camera sua d’altronde. Tre giorni prima era arrivata
la chiamata dall’ospedale. Il nonno era morto. Aveva pianto un po’. Sì,
ricordava di averlo fatto. Era arrivato lo zio, che abitava
ad Altedo. Si sarebbe fermato per un po’ di tempo da loro. Il tempo di sistemare le cose aveva detto. “Cosa c’è da sistemare, mamma?”
fece Elena, rivolta al comodino, sul quale una foto dei suoi genitori la
guardava “Non si può sistemare niente, le cose sono così e basta”. Si sentiva qualcosa di
tremendo in gola che voleva uscire. Si sentiva come se volesse vomitare,
vomitare tutto, vomitare la sua anima e morire lì. I muscoli erano deboli, le
labbra rigide, la mente pesante. Aveva già vissuto quel momento. “No” disse con voce impastata “non
urlo più la notte, non prendo più gli autobus che non conosco per perdermi”. Aveva promesso che non lo
avrebbe più fatto. Guardò i volti dei signori
Mancini, abbracciati e sorridenti. “Ve l’ho promesso, non lo farò più”. Il desiderio però era forte. L’aveva promesso. Quella notte in ospedale. “Non lo farò più”. La sua voce
si ridusse a un filo e gli occhi le si riempirono di lacrime. Quasi le sembrava di vedere il
volto della mamma deformarsi e guardarla supplicante. “Non ti preoccupare, mamma,
non lo farò”. Ma per che cosa? Aveva perso il ragazzo di cui
era innamorata da oltre un anno. Aveva perso un fratello che ora la odiava.
Aveva perso i genitori, e ora anche il nonno li aveva raggiunti. “Non lo farò” continuava a
ripetere, la voce singhiozzante, gli occhi vacui, senza esserne più così
sicura. Ma l’aveva promesso. Quella notte in ospedale. Aveva promesso che non avrebbe
più tentato di togliersi la vita. Ed era tempo di reagire. Guardò l’orario sul cellulare
che teneva in mano. Le 8.46. Sì, poteva farcela. Si alzò dal letto, mise le
ballerine, prese la borsa e uscì. “Vado” disse, rivolta alla
casa. Sapeva che Luca era ancora a
letto, e non voleva svegliarlo. Andrea però le si parò davanti
sulla soglia del salotto. “Dove vai?”. “A lavoro”. Il ragazzo aveva un’espressione
sorpresa. “Sei sicura?”. “Sì, fammi passare”. “Ti accompagno”. “Non ce n’è bisogno”. “Sì che ce n’è”. Elena lo guardò con furore.
Basta, lei voleva vivere, reagire. Non poteva farlo in quel modo, non poteva
farlo se tutti gli altri la ritenevano una minorata mentale. “Sto bene, hai capito? Sto
bene!” esclamò, spingendolo e passandogli oltre. Ma lui l’afferrò per un
braccio. Lei si voltò verso di lui
rabbiosa. Andrea la stava guardando con
le sopracciglia incurvate verso l’alto. “Sei in pigiama, Elena.
Cambiati, e poi ti accompagno”. La ragazza abbassò lo sguardo
verso il suo corpo. Aveva la canottiera e i pantaloncini che usava per dormire.
Non è possibile. Tornò in camera senza una
parola e sbatté la porta dietro di sé. “Dannazione!” esclamò in un
sussurro. Niente, era solo distratta,
solo distratta. Non era successo niente. Aprì l’armadio, prese un
reggiseno, una maglietta e dei pantaloni. Si spogliò, cacciando il pigiama sul
letto. E’ tutto okay. S’infilò nei pantaloni,
indossò reggiseno e maglietta. Da oggi si ricomincia da capo. Si guardò allo specchio. Tentò di sistemarsi i capelli,
arruffati e poco puliti, in una coda. Aveva il volto pallido, gli
occhi cercati da occhiaie. E’ stata una brutta settimana, ma ora è tutto okay. Prese la borsa e uscì dalla
camera. Andrea la stava aspettando in
salotto. “Ele” disse, cauto “non ti
andrebbe di tornare a far visita da quella nostra amica qualche volta?”. Quella nostra amica. Era così patetico. “Non ho bisogno della
psicologa” disse subito lei. “Solo per…” cominciò il
ragazzo. “Che c’è” sbottò Elena “non
sono vestita abbastanza bene? Non si può essere un po’ tristi dannazione? Non
sono depressa, non sono malata!”. Andrea stette zitto per un
momento. “Okay” disse poi “andiamo”. Per tutto il tragitto, nessuno
disse più niente. Non c’era bisogno di dire
niente. Andrea era preoccupato.
Preoccupato inutilmente. Certo, era un brutto periodo. Ma si poteva superare. Arrivata, si fiondò subito
verso il negozio. Con un po’ di fortuna, avrebbe
evitato Mattia. O forse era meglio affrontarlo una volta per tutte. Ma una volta raggiunta l’entrata
del negozio, si rese conto che non era affatto pronta. Non era pronta a vederlo, a
guardarlo in faccia. Eppure lo stava guardando. Era lì, davanti ai suoi occhi. Stava parlando con Roberto. Perché? Era venuto a cercarla? Forza, vai, chiaritevi. Ma le gambe, diventate
improvvisamente molli, non rispondevano ai comandi. Si rese improvvisamente
conto della gente, del rumore, della luce che c’era. Tutto così fastidioso. No, doveva tornare indietro.
Non poteva farlo. Mattia era lì, a dieci passi
da lei. Non poteva entrare. Fece per voltarsi e andarsene
ma qualcosa catturò troppo la sua attenzione. Mattia e Roberto si erano
avvicinati l’un l’altro. Perché? Si stavano baciando. La borsa di Elena cadde. I due ragazzi si staccarono quasi
subito, Mattia era rosso, visibilmente in imbarazzo e Roberto sorrideva con
espressione dolce. Poi il secondo entrò nel
negozio e il primo rimase lì, fermo, ancora rosso. Elena si sentiva i piedi di
piombo. Il rumore, la luce, la
confusione. Tutto si era fermato. Cosa diavolo significava? Mattia se ne stava andando. No. Questa volta non se ne
sarebbe andato così. Elena sentì crescere una
rabbia improvvisa dentro di sé, una rabbia che riuscì a smuovere quei piedi
incollati al pavimento e a condurla fino a Mattia. “E così sei gay?!” esclamò. Il ragazzo la fissò con gli
occhi sbarrati. “Mi hai lasciata per lui?”
continuò Elena, ogni parola una lacrima. “Elena, non urlare” fece
Mattia. “No!” urlò Elena “Sono stata
zitta per troppo tempo! Ad aspettarti! Cazzo, guardami in faccia e dimmi la
verità!”. La gente intorno a loro stava
cominciando a fermarsi a guardare, incuriosita. Anche Roberto doveva essere lì
tra loro. Che vadano al diavolo. “Allora?! Sei frocio?!”. Mattia aveva un’espressione
stravolta e supplicante. Uno sguardo contrito che però non l’avrebbe piegata. “RISPONDIMI!” strillò Elena,
piangendo. Il ragazzo le si avvicinò,
implorante. “L’ho scoperto mentre stavamo
insieme, io non sapevo come… non sapevo come dirtelo, io…”. “Dovevi semplicemente dirmelo!
Farti sentire e dirmi: io e te non stiamo più insieme perché sono diventata
checca!”. Un guizzo zampillò negli occhi
di Mattia. “Smettila! Lo sai com’è stato
per me?! Non riuscivo ad accettarlo! E non volevo farti del male! Dovevo
sparire dalla tua vita!” esclamò il ragazzo. “E’ una cosa che vi viene bene
a tutti!” urlò Elena “sparire dalla mia vita!”. Mattia aveva le lacrime agli
occhi. “Elena… mi dispiace… io non
potevo farti questo… non potevo rimanere con te…”. Elena sentiva le lacrime
rigarle il viso. Non riusciva a smettere di piangere. C’era qualcosa di così
dannatamente sbagliato in lei? C’era qualcosa che le impediva di essere serena? “Io ti voglio un gran bene…”
continuava Mattia. Io però ti amo. Lui no. Lui non l’amava. Era
omosessuale. Gli piacevano gli uomini. Era tutto così assurdo. Le gambe tornarono a essere
molli, la rabbia e il risentimento scomparsi, Elena sentiva gli occhi di tutti
puntati su di loro, voleva solo sparire, sparire per sempre. “Non sapevo come dirtelo”
proseguì Mattia “io… io mi vergognavo… perdonami, ti prego…”. Elena singhiozzò, portandosi
le mani al viso. E’ finita sul serio. Per sempre. “Ti prego, Elena…”. Mattia le
si avvicinò con la mano. Lei spinse via il suo braccio. Basta, non voleva più la
compassione di nessuno. Indietreggiò. E indietreggiò
ancora. Il ragazzo davanti a lei non
si muoveva, la mano ancora tesa, lo sguardo carico di malinconia. Smettetela di essere tutti così compassionevoli! Elena si voltò. E corse. Corse senza fermarsi fino all’uscita. Doveva andarsene di lì. E’ finita. Lo sapeva già che era finita,
ma non per questo faceva meno male. Cercò il cellulare nella tasca
dei jeans. Doveva chiamare Andrea. Gli
avrebbe dato questa soddisfazione, gli avrebbe mostrato che non era pronta. Ma
il cellulare prese a suonare. Elena lo guardò. Sul display c’era scritto Marco. Castellani?Che voleva da lei? Inspirò profondamente,
costringendosi a non piangere più. Portò il cellulare all’orecchio. “Pronto?”. “Ciao Ele! Come stai?”. “Bene” mentì la ragazza,
confortata dal tono amichevole di Marco, diverso da quello preoccupato e
ansioso di tutti gli altri. “Mi chiedevo… stasera sei
libera?” fece la voce di lui. Elena esitò un momento. Era
una buona idea? Ma che importava ormai. “Sì, sono libera”. Mattia guardava il piatto con
aria vacua. “Mattia, cos’hai? Ti è sempre
piaciuto il purè”. Il ragazzo alzò lo sguardo. Sua madre, Lorenza, lo stava
guardando preoccupata. “Sì, mi piace infatti” disse
lui. “Me ne daresti ancora, Lori?”
disse Nicola, suo padre. “Sì, certo” rispose la moglie,
alzandosi. Mattia sbuffò piano. Era stufo delle cene in
famiglia, senza contare poi che avrebbero dovuto vedere il film tutti insieme.
Era stufo. Voleva starsene un po’ per i fatti suoi, voleva riflettere un po’. “Quella borsa sul divano non è
di Elena?” chiese Lorenza, mentre riempiva il piatto di Nicola. “Sì, l’ha dimenticata al Pianeta”. Nicola era sconcertato. “Non
tornate sempre a casa insieme?”. Basta domande. “Oggi è andata
via prima”. Lorenza appoggiò il piatto sul
tavolo e si sedette. “Come mai?”. Che palle. “Si sentiva poco
bene” disse Mattia, in tono piatto. “A proposito” s’intromise
Giulia, seduta accanto a lui “organizzi un’uscita anche con suo fratello che
vengo anch’io?”. “Andrea?” fece il ragazzo,
stralunato. “No, quell’altro, Luca”. “E perché?”. “Perché mi piace”. Nicola tossì. “Cos’è sta
storia?” fece, mentre Lorenza rideva. “Non credo di poterti aiutare,
Giulia” fece Mattia, mescolando il suo purè “non sto più con Elena”. Piombò per un attimo il
silenzio, durante il quale solo la forchetta di Mattia continuava imperterrita
a sbattere contro il piatto. “Come?” fece poi la ragazzina,
delusa. “Non ce l’avevi detto” disse
subito dopo Lorenza “Perché vi siete lasciati?”. No, questo Mattia non poteva
dirlo. Guardò i suoi genitori, che lo
guardavano sorpresi e curiosi. No, non voleva neanche immaginare la reazione di
suo padre. “E’ stata lei a voler
chiudere?” insistette Nicola. Mattia scosse la testa. “Tu?” fece Giulia, come se
fosse sotto shock “E perché?”. “Perché…”. No, non poteva, non ce la
faceva. Le parole gli morivano in gola. Si alzò da tavolo. “Non ho più fame, vengo dopo
per il film”. Uscì dalla cucina in fretta,
prima che qualcuno potesse di nuovo tempestarlo di domande. “Che devo fare? Lei dice che
va tutto bene, ma è ovvio che non è così”. Cherise cercò la mano di
Andrea e gliela strinse. Erano sul divano di casa di
lui. Parlavano di Elena. “Questa Mattia non doveva
fargliela” proseguì Andrea, scuotendo la testa. “Non è neanche colpa sua” obiettò
Cherise. “Lo so, lo so...”. “Ora dov’è?”. “In camera, vuole stare da
sola”. Cherise si strinse ad Andrea. Aveva paura che accadesse
quello che era successo l’anno prima, sentiva anche la paura del ragazzo, la
sentiva dentro di sé. Quella sera sulla torre sembrava così lontana. Credeva che si sarebbe risolto
tutto per Elena. Ma le cose erano andate sempre peggio. “Lo sa che Mattia è gay?”
chiese. “Non lo so”. “Ho detto a Mattia di
cercarla, di dirle la verità, ma non credo mi abbia ascoltata”. Andrea sospirò. “Io… io voglio solo che non le
accada niente… se dovesse di nuovo succedere…”. Cherise lo guardò. Il ragazzo
aveva lo sguardo stanco velato di ansia, gli occhi lucidi, la bocca incurvata
verso il basso. Gli accarezzò il volto. “No, non succederà”. Andrea socchiuse gli occhi. “Vorrei essere in grado di
sistemare tutto… vorrei potere impacchettare la felicità e regalargliela…”. Cherise lo baciò delicatamente
sulla guancia. “Dobbiamo solo starle vicino.
Passerà, Elena è forte” gli sussurrò. Elena non era forte. Ma non
sapeva più cosa dire neanche per convincere se stessa. Le parole non le erano
mai sembrate così inutili. “Arrivo, vado in bagno” disse.
Lo baciò ancora sulla guancia e si alzò. Lui la guardava con un mezzo
sorriso. Un sorriso triste che comunque la faceva impazzire. Meno male che in tutto quel
frangente, i problemi a casa e i problemi di Elena, c’era lui. Lui che sembrava
così forte da poter sopportare tutto, lui su cui lei poteva contare, lui di cui
lei era tanto innamorata. Entrò in bagno. Chiuse la
porta. Faceva parecchio caldo. Si
buttò sul lavandino, cercando sollievo nell’acqua fresca. Si bagnò le gote e la fronte.
Si sentì subito meglio. Cercò con lo sguardo un asciugamano. Niente, non ce n’erano.
Aprì l’armadietto di fianco al lavandino. Eccoli, c’era una pila di asciugamani
colorati. Cherise ne prese uno e si asciugò la faccia. Qualcosa in fondo all’armadietto,
dietro agli asciugamani, attirò la sua attenzione. Erano delle scatolette bianche,
sembravano dei medicinali. La ragazza aggrottò la fronte.
Strinse gli occhi per vedere meglio. Allungò il braccio destro e afferrò
qualcuno di quegli oggetti. Una scatoletta di pillole. Una bustina di polverina
bianca. No. Si sentì svuotare dentro. No, Elena l’aveva promesso.
Aveva promesso che non avrebbe più tentato di farsi del male, quella notte in
ospedale, dov’era stata ricoverata dopo essere stata trovata coi polsi
tagliati. Però quella era droga. Inorridita, uscì subito dal
bagno e corse verso Andrea. Il ragazzo si alzò di scatto
dal divano, allibito. “Che succede, Cher?”. “Andre” fece Cherise, a bassa
voce “ho trovato questi in bagno… Elena si droga!”. Vide il ragazzo impallidire. Cherise strinse le labbra. “Cosa
facciamo?”. Ma Andrea aveva uno sguardo
pietrificato, sembrava non riuscisse più a parlare. “Cosa facciamo, Andrea?” insistette
la ragazza. “No, Cher, Elena non si droga”
disse lui, inspirando a fondo. “Cosa…”. Cherise non finì la
frase. Lo guardò sconvolta. Andrea deglutì. “Quelli sono miei”.
Uuuups, scusate per il ritardo!
Sono stata impegnatissima, è stato uno di quei periodi
Studio.No.Stop (che poi l'anno è cominciato male comunque -.-')
ed è solo l'iniziooo T.T e va beh, si recupererà! E ora che mi sono giustificata...
RachEl CullEn,
grazie mille per i complimenti. e chi non è innamorata di
Andrea? *.* già, peccato che si buchi.. ma non lo farà
per sempre xD RedTears, non offendermi le scene romanticheeee! dai Aladino ci stava xD cmq mangiati pure Andrea ma tra un boccone e l'altro commentami thank you very mucca :D La Giga,
una nuovaaaa! grazie grazie, sono contenta di averti intrippato,
se poi l'ho fatto con una storia che non è tra i generi che
preferisci posso solo essere fiera di me stessa xD E un grazie anche a chi non si è ancora stufato e continua a seguirmi e a chi ha cominicato ora ^^
Tralasciamo quei "forza Juve" e "forza Roma" và... :D Non ho idea
di quando verrà pubblicato il prossimo capitolo, prevedo un
altro bel periodaccio, ma ABBIATE FEDE, prima o poi tornerò!
intanto vi lascio con questo bel punto interrogativo... cosa
farà Cher ora che sa che combina Andre? hihi ciau, baci!
DisastrataNon poteva sopportare l’idea
di stare in casa. Non poteva stare nella camera
vicino a quella di Elena, non poteva sentirsi mancare il respiro ogni volta che
c’era il silenzio e sospirare di sollievo quando sentiva un colpo di tosse o
dei passi. Non poteva pensare ogni cinque minuti è viva. Non poteva stare nella camera
dei suoi genitori, non dopo quello che aveva fatto. Non poteva stare in salotto, a
guardare Andrea e la sua nuova ragazza insieme. Non voleva. Ma del resto non voleva
neanche uscire a fare quattro passi con
lo zio Riccardo. Eppure lo stava facendo. Forse era il male minore. “Stai bene, Luca?”. Luca incrociò lo sguardo dello
zio, che si stava accendendo una sigaretta. Erano in una strada affollata, non
molto lontana da casa. Vari tizi strani già barcollavano per il centro. Ed
erano solo le nove e mezza. “Sto come devo stare”. Riccardo socchiuse gli occhi,
aspirando la sigaretta. Allontanata dalla bocca, sorrise. Aveva dei brutti
denti. “Bella risposta”. Luca non mosse un solo muscolo
facciale. “Mi fai fare un tiro?”. Lo zio continuava a sorridere,
un sorriso antipatico però. “Non voglio avere problemi con tuo padre quando
andrò all’inferno”. “Guarda che io fumo” ribatté
Luca “ho solo scordato le paglie”. Riccardo non diede segnale di
essere sorpreso. “Meglio così allora”. Il ragazzo non disse niente.
Di che diavolo doveva parlare con lo zio? Lo vedeva solo in brutte circostanze.
Era il fratello di papà. Stai bene, Luca? La stessa identica domanda. Sempre quella domanda. In ospedale. Papà, quello che guidava, era
morto sul colpo. La mamma era rimasta in coma
qualche giorno. Lo zio Riccardo era lì. Gli zii Lorenzo e Clara
abitavano a Milano. Ma era venuta solo la zia Clara, l’altra sorella di papà.
Zio Lorenzo, suo marito, era rimasto coi bambini. Stai bene, Luca? Gli avevano detto che era
rimasto immobile, impassibile a tutto. Gli avevano detto che Elena e Andrea
piangevano. Anche Riccardo e Clara avevano pianto. Lui non aveva fatto niente. Gli zii si erano spaventati. - Perché non reagisce? - Ha solo quindici anni. - Perché non dice niente? Luca, dì qualcosa! - Luca, stai bene? Non abbastanza. Non si erano
spaventati abbastanza. Lo zio Riccardo abitava ad
Altedo, a mezz’ora da dove abitavano loro. Abitava da solo. Avrebbe potuto
occuparsi di loro. - Venivamo a vivere con te, zio? - No, andrete dal nonno. Il nonno era il padre della
mamma. Abbiate cura di voi stessi. E anche del nonno. La mamma era l’unica che si
occupasse del nonno. Ed era morta. Di certo gli zii non volevano altri
problemi. Se ne sarebbero dovuti occupare loro. Il nonno era molto triste.
Diceva che i genitori non devono seppellire i propri figli. Però è anche molto triste
dover seppellire i genitori,aveva
detto Luca. Lui ed Elena erano stati
assenti parecchio da scuola. Andrea invece aveva continuato a lavorare, senza
sosta. Elena però non voleva più tornarci a scuola. La notte la sentivano
urlare. Diceva di avere degli incubi. Durante il giorno spariva. Diceva di
voler fuggire e prendeva degli autobus che la portassero il più lontano
possibile. Il nonno la andava sempre a prendere. E un giorno si ritrovarono di
nuovo tutti in ospedale. Elena si era tagliata i polsi. Ma era fuori pericolo. Lo zio Riccardo era lì. Stai bene, Luca? Luca l’aveva odiato. Come
sarebbe dovuto stare? Non ci vuoi ancora prendere con te, zio? Il nonno era stato malissimo per quanto era successo
ad Elena. Poteva rischiare un infarto. No, Riccardo non l’aveva
neanche proposto. Non ci vuoi, zio? Non ci vuoi? Alla fine era successo. Il nonno si era ammalato,
consumato dalle loro preoccupazioni. Era morto. Luca guardò lo zio, che continuava
noncurante a fumare. Non ci vuoi ancora, zio? Ma Riccardo non diceva nulla.
Continuava a fumare, con lo sguardo rilassato. Quello sguardo odioso, color
caffelatte, ispido e pungente. Esisteva solo il suo volto in quel momento. Quei
suoi occhi neri che sembravano due buchi profondi di due pozzi senza fine. Li
ricordava bene. Quegli occhi che lo guardavano e aspettavano che lui
vacillasse. Tutto il resto era un ricordo sfumato. “Visto che non me ne dai una,
me le compro io” disse di punto in bianco Luca. Lo zio lo guardò, come se non
capisse quello di cui stava parlando. Poi annuì. Il ragazzo si allontanò con un
impeto di rabbia. Sì, aveva visto un tabaccaio
là in fondo. Ottimo, sarebbe stato cinque
minuti senza quell’ipocrita. Aveva cominciato a fumare
qualche mese prima, un po’ in ritardo rispetto ai suoi compagni di scuola. Il
nonno non approvava affatto. Sì, anche lui, Luca, il più piccolo, aveva
contribuito alla graduale distruzione del suo cuore. Gli altri però in maggior
misura. Elena aveva tentato di suicidarsi. Andrea non tornava mai a casa la
notte. Non che tentasse di addossare tutta la colpa agli altri. Erano una
famiglia disastrata a basta. Cosa direbbero i vostri genitori? Non dicono niente, nonno. Loro
non sanno. Loro sono morti. Luca entrò. C’era un uomo alla cassa e tre
persone in fila, l’ultima delle quali era una ragazza che aveva un’aria
familiare. Luca le si mise dietro, scrutandola. Aveva i capelli lisci, castani,
con delle meche ramate, il viso allegro ed esuberante, gli occhi grandi, dolci,
di un morbido color cioccolato. Un’espressione da ragazzina scapestrata. Ma io la conosco! Era Giulia
Parisi, la ragazzina che voleva a tutti costi la maglia di Paperino. Che faccio, pensò Luca
nervosamente, la saluto o faccio finta di non riconoscerla? Cosa gli importava dopotutto?
Decise di concentrarsi per decidere quale pacchetto di sigarette avrebbe preso.
Ma un secondo dopo aveva già deciso. Dopotutto prendeva sempre le Marlboro. Ma fu lei a riconoscerlo. “Tu sei Luca!”fece, sgranando
gli occhi. Luca fece lo gnorri. “Sì ma…
ah ma tu sei Giulia?”. La ragazza annuì con un enorme
sorriso. “Che coincidenza” disse poi. “Sì. Io devo prendere le
sigarette, tu?”. “Anch’io”. Luca aggrottò la fronte. “Non
dovresti fumare”. Giulia lo guardò incredula. “E
perché tu puoi?”. “Io sono un maschio”. “Cosa vorresti dire?”. Giulia
si era puntata le mani sui fianchi. Ci manca solo che si arrabbi. “Sono
anche più grande” s’affrettò a dire Luca. Non lo sapeva in realtà, ma era
abbastanza convinto di essere più grande di quella smorfiosetta. “Non cambiare discorso, perché
i maschi possono fumare?” ribatté lei. Luca sbuffò. “Ma no, mi sono
espresso male, intendevo che di solito non sono molte le ragazze che fumano”. Giulia rifletté. Poi
ricomparve il sorriso. “Sì, io sono un caso a parte”. Il signore davanti a Giulia
stava soffocando le risate. Luca alzò gli occhi al cielo.
Quella gli faceva fare sempre delle gran figure. “Che ne diresti di farti
perdonare?” saltò su Giulia. Luca sgranò gli occhi. “Per
cosa?”. Ecco, ora la femminista voleva un risarcimento danni. “Per la maglia di Paperino, mi
hai detto una balla”. Il ragazzo la guardò sorpreso.
Se ne ricordava ancora. Non era una ragazza molto normale.“No, mi ero solo confuso”. “Un’altra balla. Ti vengono
facili”. “Ma non hai avuto altro a cui
pensare nella settimana?”. Il sorriso di Giulia si
allentò. “No”. “Beh, io sì”. “Hai una vita piena”. Sì, beh, piena di schifezze. In
quella settimana era successo di tutto. Ma Luca colse un velo di tristezza
nelle parole della ragazza. Inconsciamente, si addolcì. “Come dovrei farmi perdonare?”. “Pagandomi le Marlboro”. “Anche tu prendi quelle?”
obbiettò Luca. “Le prendono tutti”. “Viva il conformismo”. Giulia sorrise. “Non mi darai
della conformista solo perché prendo le Marlboro”. Luca squadrò le sue meche, la
sua cintura di Dolce&Gabbana e le sue All Stars. Non era certo solo per le
Marlboro. Il signore davanti a loro se n’era
già andato. Luca si rivolse alla cassa. “Due
pacchetti di Marlboro”. Pagò, prese i pacchetti e ne
porse uno a Giulia. “Pari?”. La ragazza prese il pacchetto
con un sorriso. “Quanti anni hai?”. “Sedici e mezzo. Tu?”. “Quindici”. I due uscirono insieme dal
tabaccaio. “Che scuola fai?” chiese
ancora Giulia. Voleva conversare? Luca non
aveva voglia, ma tutto era meglio che tornare dallo zio. “Il Copernico, al MAXI”. “Io al Mattei ma mi hanno
bocciato e cambio”. Luca annuì, trattenendosi dal
ridere. Doveva parlare con una che era stata bocciata al Mattei? Ai suoi occhi Giulia era sempre più stupida. Di certo era
una di quelle ragazzine che escono tutte le sere e hanno in mente solo i
ragazzi più grandi. “Anche Mattia fa il Cope, però
l’anno prossimo fa già la quinta” disse Giulia. Ecco, bisognava anche tirare
fuori quell’idiota. “Ah, senti” continuò lei. Logorroica. “Mattia e tua sorella si sono
lasciati. Tu sai perché?”. Il cuore di Luca fece un
salto. Guardò Giulia. “No, però lei ci sta malissimo”. “Dev’essere brutto” disse la
ragazza, mordicchiandosi il labbro “essere scaricati”. Ma che ne sai tu. “Sì, molto brutto” rispose
Luca. “Dai, ora io vado” disse
Giulia “ci si vede qualche volta, che ne dici?”. Perché? Oddio, era finito nella lista
degli appuntamenti di una mini truzzetta.
Non doveva pagarle le Marlboro. Ma ricordò che più tempo stava
fuori casa meglio era. In casa c’era Elena. Lei lo odiava, poco ma sicuro. E
lui si vergognava talmente tanto che non sarebbe più riuscito a guardarla. Sentì
il suo cuore stringersi e un’improvvisa malinconia lo attanagliò come una
morsa, e si sentì come se d’un tratto non riuscisse più a respirare. “Allora?” insistette Giulia,
speranzosa. Ma chi se ne frega di te! “Sì, okay”. La ragazza sorrise. “Chiedo il
tuo numero di casa a mio fratello”. Luca annuì, poco entusiasta. “Allora
ciao”. Ma Giulia lo salutò sempre con
quel sorriso stampato sul volto. Ma sorride sempre questa. La ragazza si allontanò, con
una camminata sculettante. Sì, era decisamente troppo
allegra. Ma forse era lui che non
sorrideva da troppo tempo. Cherise lo stava guardando
attonita. Ecco, gliel’ho detto. Aveva gli occhi spalancati, la
fronte aggrottata, la bocca semiaperta come se avesse voluto chiedere qualcosa,
come se avesse voluto dire che non aveva
capito bene. E’ giusto così. Che avrebbe fatto ora? Se ne
sarebbe andata? Però l’ha saputo nel peggiore dei modi. Lentamente prese fiato. “Tu…
tu… usi questi?”. Andrea si mordicchiò il
labbro. Annuì. Cherise guardò le pillole che
aveva in mano, come se non riuscisse a crederci. “Perché?”. Già, perché. Una domanda
logica, un pozzo di risposte senza senso. Andrea ricordò le parole di
Elena. Qual è il tuo modo? Come hai
affrontato tu il dolore? Aveva sempre pensato di non
averlo affrontato perché non ce n’era il tempo. Doveva occuparsi di troppe
cose. Ma non l’aveva affrontato perché era un codardo. Guardò la mano di Cherise che
reggeva quel veleno. Aveva scelto come al solito la
strada più facile. “E come” fece Cherise “come… i
soldi… quei tipi che ti cercavano… era per questo? Avevi problemi di soldi per questo?”. La voce della ragazza si
alzava, traboccava sempre più di accusa. Quello che temeva. La maschera
che si rompeva e cadeva a terra. La ragazza che amava che vedeva il suo vero
volto. E rimaneva atterrita. Andrea annuì ancora. “Tu mi hai mentito” disse lei,
senza cercare una conferma. Un’altra accusa. Un’altra accoltellata. “Mi vergognavo, Cher” disse
lui “non volevo che mi vedessi così”. Ti prego, capiscimi. “Io credevo di conoscerti…”.
Gli occhi di Cherise erano lucidi, increduli. Ma era così. E chi credeva che
fosse Elena quella che dava più preoccupazioni al nonno, quella che aveva ucciso il nonno, si sbagliava. Era lui che si era buttato nel
lavoro, che usciva tutte le sere e non tornava mai a casa, che aveva cominciato
a comprare la roba. Ed era tutta colpa sua.
Come hai affrontato tu il dolore? Non l’aveva affrontato, era
scappato. Elena aveva tentato il
suicidio, Luca si era chiuso in se stesso, il nonno si era ammalato. Non era stato loro vicino. Cherise credeva fosse il
fratello maggiore perfetto, quello che si occupava di tutti i problemi della
famiglia da quando i genitori erano morti. Era l’inganno creato da lui stesso
dopotutto. La maschera che di tanto in tanto rischiava di ingannare anche lui
stesso. Ma ora era tutto venuto a galla. Ora lo sai, ora sai cosa sono. Perché, dannazione, nonostante
fosse il più grande, nonostante tutti credessero che fosse forte, mamma e papà
erano morti anche per lui. E lei poteva capire tutto
questo. “Cher, tu mi conosci… tu mi
hai aiutato… volevo sbarazzarmene di quella roba”. La ragazza ebbe un tremito. “Volevi,
ma non ci sei riuscito”. Andrea fece per replicare ma
lei continuò: “Non ti ho aiutato per niente, non sei felice con me!”. “Non è vero!” fece lui “da
quando sto con te non ho più toccato quella roba!”. “E perché non te ne sei
liberato?”. Andrea non rispose. Era
difficile liberarsene. Liberarsi di quella via di fuga terribilmente vicina. Cherise gli lesse la risposta
in faccia. Si portò una mano alla bocca. Gli occhi si erano riempiti di
lacrime. “Andrea… tu sei un tossico…”. Lui le si avvicinò, tendendo
una mano verso di lei. “Cher…”. Lei si ritrasse. “Tu ti droghi…”. Andrea la guardò, ferito. La ragazza lanciò il barattolo
di pillole a terra. Con un ciocco quello rotolò fino ai piedi del divano. Si
fermò. “Ti droghi!” ripeté lei,
alzando la voce “Tua sorella cerca di uccidersi! Tuo fratello è innamorato di
lei! Ma che razza di famiglia siete?!”. Andrea sbarrò gli occhi.
Perché gli diceva quelle cose? Era tutta colpa sua, lo sapeva. Ma sentirselo
dire non migliorava le cose. Anzi. Gli balenò in mente il volto
di Luca. Ado, perché? Perché non sei mai
a casa? Quello del nonno. Smettila di farmi dannare! Cosa prendi,
perché sei così pallido?! Elena stesa su un letto d’ospedale,
bianca come un cencio. Non lo farò più,
Ado… Ma anche tu, anche tu non farlo più… Gli occhi gli bruciarono. “Che ci faccio qui!” gridò
ancora Cherise “siete una famiglia disastrata!”. Andrea sentì un guizzo di
rabbia. La ragazza si portò una mano
davanti alla bocca. Forse non voleva dirlo. Ma l’aveva detto. Una famiglia che si teneva in
piedi sul nulla, ecco cos’erano. Lei non poteva capirlo? In un attimo le fu addosso e
le strinse il braccio. “Ti faccio così schifo? Ti
facciamo così schifo, eh?” gridò. “Lasciami, Andre!” esclamò
Cherise, dimenandosi. “Siamo una famiglia disastrata
sì! Se non vuoi stare qui PUOI ANCHE ANDARTENE!”. La ragazza gli diede un colpo
sul petto. Lui la lasciò andare. La guardò rabbioso e triste
insieme. Sentiva i suoi occhi bruciare, vicino alle lacrime, vedeva quelli di
lei già piangere. No, non andartene. “Sì!” strillò lei “Bene! Me ne
vado!”. NO! Non dicevo sul serio, non andartene… Ma lei era già sulla soglia. E lui non riusciva a muoversi. Ti prego, non andartene! Cherise aprì la porta e senza
voltarsi a guardarlo, con un singhiozzo, sparì nel pianerottolo. Non lasciarmi! La porta sbatté. Se n’era andata. Più vuoi bene a una persona più finisci col farla soffrire.
E soffri anche tu.
Ta daaan!
Sono tornata prima del previsto perché il tanto temuto compito
di fisica è stato annullato per la presentazione delle liste
(DIO C'E'), quindi sono riuscita a ritagliare un po' di tempo per i
poveri sfigatelli di sta storia... Oh, beh, c'è poca allegria ma
il titolo del capitolo non prometteva bene dopotutto. Passiamo subito ai ringraziamenti che mi parte Un medico in famiglia e io sono ancora qui.
RachEl CullEn, grazie milleee ^^ che Mattia fosse un defi si era capito, ma è ancora un po' sconvolto porino! ElisabethXD,
ben arrivata tra quelle poche anime buone che mi recensicono! eh
sì, poche recensioni..noi geni incompresi.. (scherzo xD) cmq
grazie mille per i complimenti! RedTears,
ma che strano ci sei anche tu (grazie ^^)! Eccola, solo tu potevi dire:
"cosa farà Cher adesso? se lo fa lo stesso!!!".. cmq don't
worry, Andrea non te lo uccido (casomai si uccide da solo con le
pillole eheh). La Giga,
grazie xD come andrà a finire tra tutti gli altri personaggi?
boooh.. no dai scherzo, a grandi linee lo so, non vado allo sbando xD The Corpse Bride,
grazie grazie e ancora grazie (più volte perché hai
recensito tanti capitoli ^^)! Vorrei poter rispondere a tutti i tuoi
commenti... dunque...sì forse la storia dei tre orfanelli
è un po' esagerata e strappalacrime xD però succede...
guarda, io non ne so, forse hai ragione, forse dovevano essere affidati
ad altri... avevano tra i 15 e 19 anni... nun so... Poi, hai ragione,
la famiglia Caruso è molto più vicino al reale (del resto
assomiglia alla mia) della famiglia Mancini, non nego xD Cherise
significa ciliegia? Il mio 5 in inglese dice tutto, ma adesso che mi ci
fai pensare mi sa che è vero :) Riguardo a Elena e Cherise... te
rason, forse sulla prima sto sfogando tutta la mia rabbia repressa
hihi, Cher ha ceduto un po' in fretta è vero, ma dopotutto non
lo decidi di innamorarti di qualcuno, e forse non era così forte
come pensava. ancora grazie, sia per i commenti positivi sia per quelli
costruttivi, spero che continuerai a recensire ^^ E ovviamente
grazie a tutti gli altri che mi seguono (c'è stato un notevole
incremento del numero di quelli che mi hanno messo tra le fic seguite
xD)
E ora sparisco su raiuno, ci si rivede prossimamente se Dio vuole...(se mi fa saltare qualche altro compito..:D) ciau! baci
Mattia
si era allontanato.
Sentiva il sangue affluirgli fino alle orecchie. Le sentiva andare a fuoco.
Roberto lo stava guardando contrariato.
“Perché ti allontani?”.
Mattia scosse la testa, evitando di incrociare il suo sguardo.
Erano le dieci di sera, erano in una pizzeria, erano circondati da gente.
Roberto sospirò. Era davvero bello.
“Cos’hai detto ai tuoi per venire qui?”.
“Che uscivo a cena”.
“Con?”.
Mattia esitò. “Con degli amici”.
Ci aveva provato. Davvero, avrebbe tanto voluto dire la verità ai suoi
genitori. Ma se ne vergognava troppo.
“Ti vergogni”.
“No” disse subito Mattia. Che pena. Si vergognava anche di dire che si
vergognava.
“Sì invece. Per questo non possiamo baciarci in pubblico” ribatté Roberto.
“Devo ancora a… abituarmi all’idea”. No, non poteva dire che doveva ancora
accettarla. Perché diavolo a lui doveva capitare? Perché lui doveva essere così?
Il ragazzo di cui si sarebbe innamorata una ragazza instabile, che aveva
tentato il suicidio. Cherise gli aveva detto che soffriva tanto. Troppo.
Roberto scrollò le spalle. “Io l’ho scoperto a quindici anni. Mi comportavo
come se fosse una malattia”.
“Una malattia?”.
“Rifiutavo di crederlo. Rifiutavo di essere io. Sono uscito con un sacco di
ragazze come se avessero potuto essere una medicina”.
Mattia strinse le labbra. Era quello che aveva fatto lui con Elena.
“Vivevo malissimo” continuò Roberto “e quando sono uscito allo scoperto stavo
davvero meglio. Esci allo scoperto in fretta”.
Mattia accennò a un sorriso. “Ci provo”.
L’altro si avvicinò. I loro visi sopra il tavolo erano molto vicini. “Esci allo
scoperto adesso”.
Le loro bocche si sfiorarono. Esci allo scoperto.
Le lingue si scontrarono e si toccarono. I nasi si strusciavano. Mattia sentiva
il mento pungente di Roberto sul suo. Era una sensazione così strana. Bella.
Sentiva il mormorio fastidioso della signora del tavolo di fianco che li aveva
guardati in cagnesco per tutta la serata. Ma non importava più. Roberto aveva
ragione. Una volta usciti allo scoperto, si stava meglio.
Si staccarono.
Mattia sorrideva, nervoso. Un nervosismo che non aveva mai avuto con nessuna
ragazza. Quella sensazione di soddisfazione che non aveva mai trovato. Non
aveva niente da nascondere. Solo una ragazza a cui aveva fatto a pezzi il
cuore. Una ragazza che forse in quel momento stava piangendo, sola, in una casa
dove ormai erano rimasti in pochi.
Il minimo che poteva fare Mattia era guardare in faccia la realtà e prendersi
le sue responsabilità.
Guardò Roberto, deciso.
“Dirò di te ai miei”.
Elena bevve un altro sorso di Mojito,
contenta. Aveva fatto bene a uscire. Non poteva mica continuare a piangersi
addosso.
“Ele, qua!”.
Si voltò alla sua destra e vide un Iphone retto dalla
mano di Martina. Click.
“Fai una foto a noi!” fece Nicola, prendendo la testa di Davide e premendola
contro la sua faccia.
Martina obbedì, mentre tutti ridevano nel vedere l’espressione di disgusto di
Davide mentre Nicola fingeva di baciarlo in bocca.
“Basta!” fece il primo, allontanando la faccia dell’altro.
“Dai, amore, vieni qui” gli bisbigliò all’orecchio quell’altro.
Davide scoppiò a ridere, spingendolo via. “Che frocio!”.
“Frocio?!” esclamò Nicola, alzandosi in piedi. Si guardò intorno. “Io odio i
froci! Chi è frocio qui dentro?!”.
Gli altri clienti del Dragon si voltarono verso di lui, chi stizzito,
chi divertito.
Ad Elena scomparve il sorriso. Allora? Sei frocio?!
Martina scoppiò a ridere. “Nick sei sbronzo!”. L’ho scoperto mentre stavamo insieme e non sapevo come dirtelo.
“Sì, Marti! Sono un gran stronzo!” gridò Nicola puntando gli indici in
alto e cominciando a muoversi.
“Dai, checca, vieni giù che ti stanno guardando tutti!” fece Davide tirandolo
giù. Dovevi solo dire che sei diventata checca!
“Giusto” disse Nicola, sedendosi, tutto serio “devo ancora bere il mio drink”.
Allungò la mano verso l’Angelo Azzurro davanti a lui.
“Il tuo quinto drink lo beve qualcun altro” intervenne Marco
prendendoglielo.
La mano di Nicola strinse il vuoto. “Oh… l’Angelo Azzurro è volato via…”. Il
ragazzo buttò indietro la testa e scoppiò a ridere. Martina rise insieme a lui
preparandosi per un’altra foto.
Davide lasciò scivolare uno sguardo scocciato dall’uno all’altra. “Deve
sempre ubriacarsi questo?”.
“Oh, povera stella, fa il musone perché stasera non può bere lui” disse Martina.
“Quando avrete la patente” cominciò Davide, guardandoli minacciosi “ve la farò
pagare”.
Marco rise mentre si accingeva a bere l’Angelo Azzurro di Nicola.
Elena lo guardò per un momento.
Il volto di Mattia sfumò.
Quel volto che si baciava con Roberto.
Che schifo.
“No, Marco, lo bevo io” disse d’un tratto.
Marco la guardò perplesso un attimo. “Ma hai già bevuto quello, tu non sei
abituata a bere no?”.
Elena fece un sorriso malizioso. “Nick ne ha bevuti due di questo e ha l’aria
di divertirsi parecchio. Posso divertirmi anch’io?”.
Il ragazzo si lasciò andare in un sorriso enorme.
Le diede il bicchiere.
“Bella Ele!” gridò Nicola “anche tu hai preso
quello?! Tutto d’un sorso dai!”.
“Se!” lo seguì Martina “vai, veloce!”.
Elena sorrise. Basta piangere.
C’era solo da ridere. Era tutto così divertente. Ahahah Parisi è finocchio.
Bevve. In due sorsi. Sentì il sapore del gin fortissimo insinuarsi nel suo
stomaco e mescolarsi col rum del Mojito. Sì, qualcuno
una volta doveva averglielo detto che non bisogna fare miscugli. Andrea forse. Da
che pulpito. Non tornava sempre ubriaco a casa? A volte non tornava
affatto.
Strinse gli occhi, lo stomaco bruciava.
Ma era vero, era divertente.
Le venne da ridere. Onetwothreefour
Martina ululò qualcosa. Nicola si alzò in piedi con le mani verso l’alto. “La
Rumba!”. Uno do’ trescuatro
Si voltò. Marco stava ridendo di fianco a lei. “Buono?”.
“Sì!”. Che voce che aveva. Squillante. Ma doveva sovrastare il casino che
stavano facendo Nicola e Martina. I know you
want me… You know I want cha… I know you want me… You know I want cha… Martina si era messa in piedi sulla panca e stava scuotendo
tutto ciò che poteva scuotere. Nicola la stava raggiungendo. Davide si muoveva
a tempo di musica sulla sedia, guardando il corpo della ragazza che si muoveva. Rumba, sì! Ella quiere su Rumba… como? [Rumba, sì! Vuoi la tua Rumba… come?]
Elena rideva. Si voltò verso Marco. “Marco!” fece “ho la pipì! Dov’è il bagno?”.
“Ti ci porto io” rispose il ragazzo “Andiamo”.
I due ragazzi si alzarono, lui le prese la mano e la condusse tra i tavoli
verso la porta del bagno.
L’aprì, fece passare Elena e la seguì.
“Ah, vieni anche tu?” fece lei.
Marco schioccò le labbra. “Perché no?”. Si e’ verdadque tu ere guapa Yo
te voy a ponergozar Tu tiene la boca grande dale
ponte a jugar [Sì è la verità che tu sei bella, ora ti faccio godere. Hai anche la bocca grande, dai comincia a giocare...]
La svegliò la luce.
Una luce violenta, che attraversò le tendine della finestra e la colpì in
pieno.
Cherise aprì gli occhi. Sentiva un pesante cerchio alla testa.
Cos’era successo?
Ah, già, aveva litigato con Andrea.
Sembrava impossibile poter litigare con lui. Il ragazzo perfetto per cui
esisteva addirittura un fan club. Che ridere. Se non vuoi stare qui puoi anche andartene!
Il suo urlo continuava a risuonarle nelle orecchie.
Okay, se n’era andata. Cazzata. Grossa cazzata. Perché diavolo aveva urlato
quelle cose sulle sue famiglia?
Che mal di testa. Era peggio dei postumi delle sbornie.
Doveva parlargli, doveva farlo subito. Aspetta, è lui che ti deve cercare.
Sì, forse era meglio aspettare lui. Dopotutto lui era in torto. Puoi anche andartene!
Magari non la voleva più rivedere dopo quello che gli aveva detto.
No, cavolo, pensò, non lo voglio perdere. Davvero?
Davvero. Davvero non voleva perdere un ragazzo che le aveva mentito e che si
drogava? Davvero. Stupida.
Si mise a sedere. Sì, forse era stupida. Gli uomini erano tutti uguali. Il loro
primo obbiettivo è quello di farti, non ci pensano alla sincerità e fesserie
simili. Perché doveva seguirli? E che altro dovrei fare? Diventare lesbica?
Ma a lei lui piaceva. Tanto. Perché le piaceva? Cos’aveva quel ragazzo?
Come aveva potuto far perdere la testa a una ragazza razionale e cinica come
lei?
No, adesso basta. Non ci sarebbe cascata di nuovo. Basta.
Non l’avrebbe cercato. Non aveva senso. Si era lasciata abbindolare da un paio
di frasi dolci e un sorriso stupendo. Basta, tutto qua.
E allora perché era tutto così triste? Perché aveva voglia di piangere?
Qualcuno lo stava già facendo al posto suo.
Sì, sentiva un pianto sommesso che veniva dalla cucina. Pure questa.
Cherise sospirò e si alzò. Infilò i piedi scalzi nelle ciabatte e uscì dalla
stanza. Trovò Tonio in pigiama nella soglia di camera
sua, dalla parte opposta del corridoio. Aveva un’aria malinconica.
“Che fai, sei in bambola? Dai, andiamo a fare colazione” disse Cherise,
facendogli un cenno.
Ma Tonio non si mosse.
“Beh? Andiamo?” insistette la ragazza.
Lui scosse la testa.
“Che c’è?” chiese Cherise.
“La mamma è di là che piange” bisbigliò il ragazzino.
“Lo so. Dai, tanto piange sempre”.
“No. Questa volta di più”.
Cherise inarcò le sopracciglia.
“Non hai sentito niente stanotte?” chiese Tonio.
Difficile. Tornata da casa di Andrea si era chiusa in camera con le cuffie
nelle orecchie finché non si era addormentata. Un po’ come faceva Tonio. Lui con la musica house, lei si era messa ad
ascoltare tutte le canzoni più tristemente tristi che aveva sull’ipod.
“Cos’avrei dovuto sentire?”.
Nonostante la musica, le aveva sentite le urla, certo, senza distinguere le
parole. Ma era tutto nella norma no? Litigavano sempre. Tonio indicò la camera di mamma e papà.
Cherise ci si affacciò.
Gli armadi erano tutti spalancati, mezzi vuoti.
La voce di Tonio la raggiunse come conferma. “Papà se
n’è andato”. Ah.
Cherise prese il braccio del fratello e lo trascinò fino in cucina.
“Se n’è andato per sempre, Cher?” disse lui, senza opporre resistenza.
“No, vedrai che torna”.
Meglio che non tornasse. Forse sarebbero andate meglio le cose senza di lui.
Anzi, senza il forse.
Ma in cucina trovò sua madre in pigiama che piangeva, seduta, i capelli in
disordine, senza ciabatte.
Aprì il frigo e prese il latte.
Cos’era tutta quella rabbia che sentiva dentro di sé?
Riempì la tazza di Tonio di latte.
Guardò Maria. Aveva il viso nascosto tra le mani. Non aveva neanche alzato lo
sguardo. E smettila di piangere.
Perché si sentiva così arrabbiata? Tonio si sedette titubante e inzuppò un biscotto nel
latte.
“Se n’è andato…” mugolò Maria.
La rabbia cresceva. Tonio masticava piano, come se avesse voluto disturbare
il meno possibile.
Maria emerse dalle mani e mostrò il suo volto. Gli occhi erano arrossati,
circondati da occhiaia e il viso era rigato di lacrime.
Guardò Cherise, in piedi di fianco a lei, che scaldava il caffè.
“Se n’è andato!” fece, con voce stridula e scossa “Cosa faccio ora io?!”. No.
“Cosa possiamo fare ora noi?!” continuò Maria, scossa dai singhiozzi. Riprese a
piangere. Tonio aveva gli occhi sbarrati, lucidi.
Cherise guardò sua madre. Smettila.
Il ragazzino si alzò dal tavolo, abbandonando la tazza e uscì di corsa dalla
cucina.
“Puoi evitare di fare queste scene di fronte a Tonio?”
sbottò Cherise, spegnendo il fornello.
Ma Maria non l’ascoltava. “Cosa faccio… cosa faccio...” fece, quasi ansimando.
Che voce odiosa. Non lo capiva che negli ultimi due mesi l’atmosfera era
stata talmente pesante che era meglio che se ne fosse andato?
No, non lo pensava sul serio. Papà se n’è andato.
Ma cosa costava fingere?
Non poteva fingere sua madre? Non poteva darsi un contegno di fronte ai suoi
figli?
“Smettila di stare così!” esclamò Cherise “sei stata passiva tutto il tempo!
Smettila! Fa qualcosa!”.
“Cosa… cosa devo fare…”. Maria continuava a piangere.
“Non lo so io! Sei tu la madre!”.
La donna la guardò con un velo di rabbia. “Non parlarmi così”.
Perché diavolo nessuno riusciva più a reagire?
Elena era sempre in lacrime, Andrea si faceva, la mamma non faceva altro che
piangere da mesi.
“Che diavolo vi è preso a tutti quanti!” gridò Cherise “Reagisci! Stai in piedi
anche senza papà!”.
“Piantala!” gridò la donna “non parlare di cose che non capisci!”.
Lei capiva fin troppo bene. Tonio non sorrideva più da due mesi per colpa di loro
madre. E nessuno faceva niente per cercare di risolvere la situazione. Nemmeno
fingere.
“Almeno fingi!” urlò Cherise.
Corse via, prima che Maria potesse dire qualcos’altro.
La sentì imprecare e tornare a piangere.
Corse in camera.
Vide di sfuggita Tonio nel corridoio. Almeno fingi.
Perché era stufa di essere l’unica che fingeva.
Tutto stava andando a rotoli, in quella casa non c’erano più risate e nessuno
se ne preoccupava.
Era stufa di essere l’unica che fingeva di ridere.
Perché aveva accettato di uscire con Giulia?
Perché lui, bello, freddo, distaccato aveva accettato di uscire con una
ragazzina sciocca e petulante?
Luca leccò il gelato che fuoriusciva dal cono.
Beh, uscire di casa era l’unica cosa che contava. Stare lontano dallo zio e da
Elena. Con chi uscisse era secondario.
Giulia stava parlando. Il cono prima o poi sarebbe finito tutto per terra se
continuava a parlare.
Però era buffa mentre gesticolava.
“E le mie amiche mi hanno tagliato fuori perché avevo fatto commenti troppo
negativi su Edward Cullen” stava dicendo.
“Che razza di amiche sono?”. Che gente.
“Beh, non erano proprio amiche…”.
Wow, una ragazza che non sbavava dietro a quel film di vampiri. Pure Elena ne
era patita.
“Non ti piace quel figo di Edward?” fece Luca,
colpito. Giulia aveva praticamente la faccia di una che sbavava dietro
al protagonista di Twilight.
“No, ti pare? Non sa recitare, sembra sottosforzo per tutto il film…”.
Luca rise.
“Spero non sia innamorato anche tu di lui, se no potresti non rivolgermi più la
parola…” continuò la ragazza.
Le era finito del gelato sul naso.
“Aspetta” fece Luca, indicandosi il naso “hai del gelato…”.
“Qui?” disse Giulia, toccandosi il naso coll’indice. Ma anche il pollice era
sporco e finì per sporcare la guancia.
“Sì, anche qui…” fece Luca, scoppiando a ridere, toccandosi la guancia.
Giulia si strofinò guancia e naso col dito. Poi si leccò il dito con
semplicità. Sorrise.
Luca rideva.
“Ehi, capita a tutti di sporcarsi!” protestò Giulia “A te no?”.
“No, io a differenza tua so mangiare un cono!” ribatté Luca.
“Non tirartela troppo, Mister Io-so-mangiare-un
cono!”.
Rideva. Da quanto tempo non succedeva?
Luca continuò a leccare il suo tono, con aria altezzosa. Aveva un gusto più
buono ora.
E lui si sentiva un po’ meno finto.
Credeteci... sono
tornata! tra lo studio, le feste eccetera mi spiace ma sta storia era passata
in secondo piano :D oggi respiro, al contrario della giornata di ieri.. tutto
il giorno in giro e quasi mi tocca fare a botte con gli interisti per poter
camminare due metri! niente, semplicemente dovevo passare davanti all'hotel in
cui alloggiava la squadra dell'inter.. delirio..
tutti pazzi.. poi i bastardi hanno anche vinto la partita.. c'avevo un
tale strippo, oggi invece mi sono rilassata e sono
riuscita a scrivere! per la vostra felicità :D RachElCullEn, grazie mille per i complimenti! ma sì non ti
preoccupare che Cher gli farà spiegare.. forse eheh ElisabethXD, già povero Andrea.. io non abbandonerei un figo del genere *.* cmq tentegrezie ^^ RedTears, eccola, ovviamente hai preso le difese di Cher!
bella lei xD ma daiii Luca
e Giulia sono così cariniiii! :'( Nells, bienvenue! grazie per
tutti quegli aggettivi e ovviamente anche per aver messo la mia fic tra i preferiti XD E merci anche a tutti gli
altri che mi hanno aggiunto o continuano a tenermi tra i preferiti o i seguiti!
Rumba sì! ella quiere su rumba! como? XD scusate adoro
quella canzone.. vi saluto, con la
promessa di non fare un altro ritardo così mostruoso.. se no vi dimenticate di
me T.T baci
Il ragù dello zio Riccardo
faceva schifo ma nessuno osò ribattere. Dopotutto non era il ragù
il problema. Erano tutti e quattro lì, allo stesso tavolo, in silenzio. Una
famiglia e un pranzo. Un pranzo che faceva schifo
e una famiglia ancora peggio. Andrea masticò a lungo un
maccherone mentre il suo sguardo indugiava sull’espressione sufficiente dello
zio, quella pensierosa di Elena, quella impassibile di Luca. La situazione sembrava un
po’ più stabile dei giorni passati. Luca ed Elena perlomeno
avevano ripreso a guardarsi in faccia. Ma non si parlavano ancora. Mattia era ormai un
fantasma. Ma non lasciava quella
casa. Eppure era così difficile
concentrarsi sui problemi degli altri ora. L’avrebbe sempre voluto fare.
Aiutare i suoi fratelli. Per poterlo fare doveva dimenticarsi di sé, le droghe
lo aiutavano a farlo. Ma in questo modo si dimenticava anche di tutto il resto.
Forse erano tutte scuse.
Forse c’era stato solo e sempre lui. Ma ora non era così. Ora c’era anche Cherise. Che razza di famiglia siete?! Che razza di famiglia
erano. Era colpa sua, colpa loro,
colpa di quella famiglia che erano che ora Cherise se n’era andata. Guardò ancora gli sguardi
dei fratelli e dello zio, sguardi così vuoti e muti. Sentì un impeto di rabbia. Sbatté la forchetta sul
tavolo. “Che razza di famiglia
siamo!” esclamò. Lo guardarono con gli occhi
sbarrati. Andrea si alzò in piedi.
“Che razza di famiglia siamo!” ripeté. Diede un calcio alla sedia e si
allontanò. Ma quando fu sulla soglia della cucina, si levò la voce di Luca,
tremante: “Perché non te ne vai anche tu nell’aldilà?”. Elena gli lanciò uno
sguardo rammaricato e arrabbiato insieme. Lo zio si limitò a dire:
“Basta, ragazzi” mentre si riempiva il bicchiere. Andrea non si voltò, non
rispose. Proseguì per il corridoio. Sentì i passi e la voce di Elena che lo
cercavano. “Ado!”. Andrea si voltò a
guardarla. “Sai com’è fatto Luca” disse
lei, guardandolo implorante. E questo che voleva dire? “E Luca vorrebbe la mia
morte?” fece lui. “Non è Luca che la vuole”. Andrea la guardò senza
capire. Elena strinse gli occhi.
“Io ho cercato di uccidermi, Ado. Ma tu non hai fatto lo stesso?”. Il ragazzo rabbrividì. “Non
devi pensare a questo”. “Mi hai sempre detto che ne
saremmo usciti” continuò la sorella, gli occhi lucidi “mentivi perché il primo
che non ne usciva eri tu”. Non l’aveva fatto apposta,
lui avrebbe tanto voluto uscirne. E che ne uscissero anche i suoi fratelli. Voleva tanto vederli
felici. Si avvicinò ad Elena e
l’abbracciò. Lei si strinse a lui. Da quanto tempo era che non
si abbracciavano? Vide un’ombra muoversi
intorno a loro. Era Luca, appena uscito
dalla cucina. Forse doveva prepararsi a
fronteggiare una solita faccia scettica, o una solita faccia da cane bastonato.
No, incredibile ma avrebbe potuto giurare di averlo visto sorridere. Eccoli lì. Tutti e quattro riuniti per
il pranzo della domenica. Come avrebbe potuto dire
quello che doveva? Erano una cazzo di famiglia
felice che stava mangiando i tortellini in brodo. Mamma canticchiava, papà
guardava il telegiornale, Giulia sembrava più allegra del solito. Come faccio a dirlo. Mattia strinse il
cucchiaio. L’aveva promesso a Roberto. E comunque, meglio togliersi il
pensiero. Non era detto che avrebbero poi reagito così male. Li squadrò uno ad uno. Beh, papà avrebbe
cominciato ad urlare, mamma a piangere, Giulia a ridere? No, non poteva sopportarlo. Ma non puoi continuare a vivere nascondendo quello che sei! Quello che sono, pensò con
rabbia, non sono mica un mostro, non è che sono fatto sbagliato. Appunto. E allora di che ti vergogni? Giusto, di che si
vergognava? Se fosse tornato da Roberto e dicendogli che non aveva ancora parlato
coi suoi sarebbe stato un insulto per la loro relazione. Forza. “Eh…sentite…”. Poggiò il cucchiaio sul
piatto, ancora mezzo pieno. Non ce la faceva a mangiare. Lorenza volse su di lui uno
sguardo preoccupato. Non rendere tutto più tragico, mamma. Beh, forse era lui che
rendeva tutto più tragico. Bastava dirlo e basta. Era una cosa normale, che
poteva succedere. Sto uscendo con un
uomo. Dopotutto non potevano
reagire peggio di come avevano reagito alla notizia della bocciatura di Giulia.
Ma quello si sapeva da molto tempo prima, erano preparati. Al fatto che il loro
primogenito fosse gay, no, per niente. “Allora?” fece Nicola,
abbassando il volume della televisione. “Io…ho cominciato a uscire
con un’altra persona…”. E’ inutile girarci intorno,
disse una voce fastidiosa dentro la testa di Mattia. Giulia lo guardò allibita.
“Di già? Ma allora è per un’altra che hai mollato Elena!”. Ecco, pure lei doveva
rendere le cose più difficili. Mattia prese coraggio.
Tanto valeva dire tutta la verità. “Sì… per un’altra persona…”. “Ah, beh sono cose che
possono capitare…” disse Nicola. “No” protestò Giulia
incrociando le braccia “a me Elena piaceva come fidanzata di Mattia”. Certo, perché aveva il
fratello carino. Ma che c’entrava questo?! Cavolo, lui doveva dire qualcosa di
molto più importante. Lorenza sorrise
all’espressione corrucciata di Giulia. “Era questo che dovevi dirci con quella
faccia Mattia? Non ti preoccupare, non hai fatto niente di male, succede spesso
alla vostra età…”. “No” la interruppe Mattia. “Sei proprio stupido”
insistette Giulia, mentre i genitori lo guardavano straniti “Elena era molto
bella e tu di chi ti sei andato a innamorare eh? Come si chiama lei?”. “Lui” disse Mattia di
getto. Lui. L’aveva detto. Nicola
sbarrò gli occhi. “Lui?”. “Lui?” gli fece eco Giulia. Ma ci stai zitta tu! Giulia doveva sempre immischiarsi in tutto. “Sì” disse Mattia, dopo
qualche secondo di pausa “è un lui… esco… esco con un… un ragazzo…”. Lorenza lasciò cadere il
cucchiaio nel piatto. L’ho detto. “Tu cosa?” si riprese
Nicola “tu… tu… sei…”. “Sì, papà, sono gay!”
esclamò il ragazzo, sbuffando. E ora non fatene una tragedia! Nicola continuava a
guardarlo con gli occhi spalancati. Non guardarmi così… “E’ uno scherzo vero?”. Ti pare che stia scherzando? “Allora? E’ uno scherzo?”.
Nicola stava alzando la voce. “Nicola, calmati” disse
Lorenza, prendendogli il braccio. Ma il marito si strattonò, gli occhi ancora
puntati su Mattia, occhi in cui il ragazzo leggeva di tutto, disprezzo,
disgusto… delusione. Si sentì d’un tratto così
triste. No, non doveva essere
triste. Non aveva senso. Perché suo padre avrebbe dovuto reagire così? Lui,
Mattia, non doveva essere triste, doveva essere arrabbiato. “No, non è uno scherzo”. Alla notizia Nicola
sembrava incavolato. Non sei arrabbiato la metà di quanto lo sono io. “Mattia, vai di là per
favore” disse la madre, con voce risoluta. Che c’è? Vuoi risparmiarti la mia vista? Mattia non si mosse. “Mattia” ripeté Lorenza
“vai!”. Il ragazzo si alzò. Al suo
fianco, Giulia non aveva più emesso un solo suono. Non posso andarmene così. Andò verso la soglia della
cucina. Come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Diede un’occhiata agli
sguardi sconvolti dei genitori, a quello attonito della sorella. Come se fossi un ragazzino che deve essere punito. Quella era la sua famiglia?
La sua famiglia felice che i suoi amici invidiavano? Quella famiglia su cui
aveva sempre potuto contare? La sua famiglia che, dopotutto, non poteva
capirlo. Era Roberto l’unico che poteva capirlo. L’unico che non lo avrebbe
guardato male. Non sono un ragazzino che deve essere punito! In un impeto di rabbia
diede un pugno alla parete. “Non avete il diritto di
reagire così!” urlò “Non ce l’avete! Che cazzo ho fatto?!”. Nessuno rispose, nessuno ne
ebbe il tempo, probabilmente nessuno voleva.
“E quindi ora stai con
Castellani?”. “Non lo so, credo di sì”. “Ma ti piace?”. “Credo di no”. Cherise sbuffò, spostando
la cornetta del telefono per non farsi sentire. Che razza di discorsi. “Cos’hai detto che avete
fatto?”. La voce di Elena esitò. “Gli ho fatto un pompino”. Un pompino a Marco Castellani. Cherise si ricompose in fretta. La situazione si era un po’
complicata. Marco amava Elena, Elena amava Mattia, Mattia amava Roberto. Chi
amava Marco? Ah, nessuno. Strano. “Secondo me a Marco piaci
sul serio” disse. “Quindi quello che sto
facendo è sbagliato?”. “No”. “Ma se ci sto senza che mi
piaccia…”. Quanti problemi inutili. “E’ lui che ci ha provato mentre eri ubriaca”
ribatté Cherise. “Non ero ubriaca” protestò
la voce Elena. “Va beh, instabile”. Cherise alzò gli occhi al
cielo. “Cher… hai sentito Mattia?”. Oh no. La voce piagnucolosa di Elena no. Sì,
l’aveva sentito eccome, aveva sentito anche la voce piagnucolosa di Mattia.
Piangevano tutti, poverini. E si sfogavano con lei. “No” mentì. Basta, voleva chiudere
quella telefonata il prima possibile. “Che devo fare Cher?”
continuò Elena “io amo Mattia, devo
riprovare con lui? Devo lasciare stare Marco?”. Basta. Elena aveva sofferto tanto, lei l’aveva sempre ascoltata ma basta. Cherise voleva del tempo anche
per lei. “Non lo so che devi fare!”
si lasciò scappare, scocciata. “Okay… ma non c’è bisogno
che usi quel tono” fece la voce risentita di Elena, dopo un po’. “E invece sì” esplose l’amica
“perché non stai capita! Sono sempre io che devo ascoltarvi, che devo sempre
avere la soluzione! Tu e quell’altro! Tu che ti sei ficcata in una storia senza
senso con Marco e quell’altro che ha detto ai suoi di essere gay!”. “Allora l’hai sentito…”
pigolò Elena. Di tutto quel discorso solo quello
aveva recepito? Che Cherise aveva sentito Mattia? “Sì! L’ho sentito!
Contenta? Vi ho sentiti! Ma sono stanca di sentirvi! Non mi chiedi mai come
sto, Ele!”. Silenzio. Cherise continuò, senza
ragionare: “Come sto io, eh?! Te lo chiedi mai come sto, cosa mi succede?! Ma
sono io che lo devo chiedere a te, perché sei tu quella infelice, sei tu quella
che ha cercato il suicidio!”. Fermati
ora, stai zitta, non dire quello che pensi. Ma non ci riusciva, aveva
taciuto per troppo tempo. “Solo perché non mi taglio
le vene non vuol dire che sono felice! Non sei l’unica infelice!”. Sentiva il respiro di Elena
al di là del telefono. Zitta se ne stava. Proprio non lo sopportava. “Non credere di avere l’esclusiva
solo perché i tuoi sono morti!”. Stava piangendo, non se n’era
resa conto. Ma che aveva detto? Che ho detto?! Al di là della cornetta non
c’era più niente. Elena aveva messo giù. Tu… tu… tu… Cherise si abbandonò a
terra, la cornetta al petto. “Che
cazzo ho detto…che cazzo ho detto!”. Che cazzo ho detto alla mia migliore amica. La sua migliore amica,
quella che non aveva i genitori, quella che era caduta in una tale depressione
da finire all’ospedale, quella che aveva perso l’unico ragazzo che aveva mai
amato perché era diventato gay. Non credere di avere l’esclusiva solo perché i tuoi sono morti! Poteva richiamarla,
scusarsi. E se avesse risposto Andrea? Lanciò il telefono sul
letto. Si asciugò gli occhi. Però era vero, cazzo.
Nessuno le chiedeva mai come stava. Nessuno.
Né a casa né a scuola né gli amici. Neanche Andrea. Uscì dalla camera. Tonio
stava guardando i cartoni nella sua, mamma era a piangere con la compagnia di
una bottiglia in salotto probabilmente. E chi se ne frega di Cherise. Che schifo. Aprì la porta della camera
di Tonio. Gli mostrò il cellulare. “Esco, se ci sono problemi chiamami”. Il
ragazzino fece una faccia sconsolata. “Torno presto” si affrettò ad aggiungere
la sorella, addolcendosi. Richiuse la porta. Uscì di casa. Andò nella gelateria sotto
casa. Voleva solo un po’ di tempo
per pensare. Ma pensare a cosa? Voleva solo estraniarsi da
tutti e non esserci per nessuno. Si sedette a un tavolo. Sì, andava tutto bene,
sarebbe stata lì un po’ poi sarebbe tornata a casa. Stava bene. Però continuava a piangere. “Cherise?”. Cherise alzò lo sguardo. C’era un ragazzo di fronte
a lei, carino, morbidi capelli castani che odoravano di shampoo appena fatto.
Aveva un’espressione preoccupata. “Ciao… come stai?”. La ragazza ebbe un tuffo al
cuore mentre un brivido la invadeva e la vista cominciava ad annebbiarsi. Era proprio lui. Il suo primo amore.
Nella testa ripeteva il suo nome. Daniele.
SCUSATE! è colpa del mese di dicembre.. la chiusura del
trimestre scolastico, tutti i regali da comprare, le feste.. va beh
è inutile girarci troppo intorno, questa volta è mancata
anche la VOGLIA.. ups ^^'
RachEl CullEn,
sì tutti incasinati XD ma chi non lo è? come vedi ti ho
preso alla lettera e ho fatto con moooolta calma.. e lo supponevo che
ti piacesse eduuuard caaallen, chissà perché XD cmq
grazie mille! The Corpse Bride,
oddeeeeo che gaffe, cherise è ciliegia in francese? oook!
beh francese l'ho fatto alle medie e mi ha sempre fatto schifo..in
inglese c'ho il debito sto trimestre..quindi.. :DDD cmq tante grazie,
anche per il consiglio su Luca! credo proprio che lo seguirò ^^ RedTears,
due commenti? beh, Cher sta perdendo colpi come vedi..non
può riuscire sempre a fingere.. e povera Giulia dai T.T che ti
ha fatto! sul Cullen hai ragione, ma non mi toccare la rumbaaaa!
:D E grazie a chi mi mantiene tra i preferiti o seguiti.. molti mi hanno cavato T.T quelli non li ringrazio per niente!
Può
sembrare una storiella assurda, una telenovela senza capo nè
coda ma vi assicuro che non è infinita, anzi, non mancano troppi
capitoli alla conclusione.. Beh, il prossimo nel 2010 direi! Divertitevi
l'ultimo dell'anno senza fare troppo bordello eh! anche se chi non si
ubriaca a capodanno non si ubriaca tutto l'anno XD BUONE FESTE! baci
A volte si sentiva dire che era un
bambino strano. Ma
perché poi? Solo perché aveva rifiutato di dare un pezzo della sua merenda a
Stefano? No.
Forse perché, dato che Stefano insisteva, lo aveva spinto contro il banco. Marika
diceva che Luca non era un bambino strano. Diceva che era un bambino cattivo e
che però la maestra aveva detto ai suoi genitori che era strano per non
farli preoccupare troppo. “Se
gli diceva che sono cattivo si preoccupavano?” aveva chiesto Luca. “Se
gli dice che sei cattivo ti mandano via” aveva risposto Marika. “E
dove?”. “In
collegio”. “Ma
loro mi vogliono bene”. “Nessuno
vuole bene a un bambino cattivo”. Forse
neanche Marika gli voleva bene. Ma perché? “Perché
sei triste?” gli chiese Elena, a ricreazione. “Io
non sono triste. Sono cattivo”. “Hai
fatto male a qualcun altro?”. “Hanno
chiamato la mamma”. Elena
sgranò gli occhi. Ripeté la domanda: “Hai fatto male a qualcun altro?”. “Ho
spinto Marika giù per le scale”. La
sorella si portò una mano alla bocca. “Si è fatta male?”. “E’
svenuta”. “Ma
Luca… perché l’hai fatto?”. Luca
la guardò. Non era arrabbiata come tutti gli altri. Era triste. Proprio come
lui. Quello
stesso giorno a casa mamma e papà litigarono, per colpa sua. Si
chiedevano cosa ci fosse che non andava in lui, Luca lo sapeva. “Questa
volta l’hai fatta grossa” fece una voce, nella penombra. Luca,
seduto fuori dalla porta della camera dei genitori affianco ad Elena, si voltò. Andrea
era appena sbucato dalla rampa di scala, con una palla da basket in mano. “Guarda
che non è morta” replicò il bambino. Il
fratello lo guardò incredulo. “Sei un cretino”. “Ado” lo ammonì Elena. “Anzi,
no, sei proprio stronzo!” continuò Andrea, alzando la voce. Luca
si alzò coi pugni levati. “Ehi,
fermi” disse Elena, in allarme, alzandosi anche lei. “Non
ti puoi comportare come cazzo ti pare, lo capisci?” fece Andrea, lasciando
cadere la palla e prendendo il fratellino per il bavero. “Lascialo,
Ado! Lascialo stare!” esclamò Elena, cercando di
separarli. Andrea
lo mollò, dando un’occhiata prima alla sorella poi al fratello. La
porta della camera si aprì. La
mamma, Giovanna, uscì con aria severa, seguita dal marito. “Andrea, chi ti ha
insegnato a parlare così?!”. “Fate
il discorsetto a lui, non a me” ribatté il ragazzino, con rabbia. Giovanna
fece scivolare il suo sguardo su Luca. “Vieni, dobbiamo parlare”. “Non
mi mandate via vero?” fece il figlio, una nota spaventata nella voce. “Vieni”
disse il padre, stancamente, prendendolo per un braccio e trascinandolo in
camera. “Non
mandatemi via! Non mandatemi via!” continuò a dire Luca, con voce lamentosa. Ma
la porta si stava chiudendo. Se gli dice che sei cattivo ti mandano via. Vedeva
davanti a sé ancora uno spicchio di Elena, sconcertata. Un
ultimo spicchio di Elena. La
porta si era chiusa. Nessuno vuole bene a un bambino cattivo. Guardò
i genitori, che ricambiavano lo sguardo severi e preoccupati. No,
non avrebbe sopportato un allontanamento da casa. Non avrebbe sopportato di non
poter più vedere Elena, l’unica che non si arrabbiava e che non lo chiamava
cattivo. L’unica che invece di giudicarlo cercava di capire perché. Che cercava
delle risposte. Con lui. Stava
tornando a casa. Papà
guidava. Era
contento di tornare a casa. No,
non li odiava. Non odiava i suoi genitori. Non odiava nessuno. Era
solo contento di tornare a casa. Certo,
tre anni prima li aveva odiati. Tre
anni. Era
stato tre anni lontano da casa. Tre
anni a casa dal nonno (che avrebbe teoricamente dovuto insegnargli un po’ di sana
disciplina), tre anni di una scuola media privata, diversa da quella che
avevano frequentato Elena e Andrea. Mamma
e papà però lo andavano a trovare spesso. Gli
avevano più volte spiegato che non sapevano che altro fare. Che lui non era
sbagliato e che gli volevano bene comunque. Non
li odiava. Non avrebbe avuto senso comunque. Ora
avrebbe ricominciato da capo. Avrebbe frequentato la stessa scuola superiore
dei suoi fratelli, e tutto sarebbe andato per il meglio. Quella
strada, quel marciapiede, quella porta. La
porta si aprì e Luca si trovò subito davanti la madre che lo soffocò in un
abbraccio. Era da più di un mese che non la vedeva. Poi
scorse Andrea. Cavolo, era cresciuto ancora. Era di una buona quindicina di
centimetri più alto di lui. “Luca!”
fece, con un abbraccio. Era
buffo. Litigavano sempre. Sciolto
l’abbraccio col fratello, la vide. Elena era un po’ in disparte, in imbarazzo o
forse semplicemente emozionata. Era diventata bellissima. Era più
alta, più magra, le era cresciuto il seno. Aveva i capelli biondi boccolosi, qualche lentiggine sul naso. Luca
non poté trattenere un sorriso. “Ele”. E
lei si lanciò nel suo abbraccio. Il
ragazzo poteva sentire il suo profumo, poteva toccarla. Era lì, era realmente
lei, sua sorella, che gli era mancata tanto. Ed era più bella che mai. Si
sentiva così felice. Ma
il conto alla rovescia per la tragedia era già cominciato. Non
riusciva a dormire. Come
poteva farlo, i volti di mamma e papà percorrevano continuamente la sua mente. Non
li aveva mai veramente odiati. Ce
l’aveva con Dio, ce l’aveva con loro, ce l’aveva con lo zio, ce l’aveva con se
stesso. Erano
passate sei settimane. Sembravano
trascorsi due secoli Eppure
il ricordo della mamma che preparava la colazione era così vivido. Chiuse
gli occhi, doveva essere forte. Non
aveva pianto. Neanche una volta in quelle sei settimane. Il
nonno gli diceva che gli avrebbe fatto bene piangere. Lui non credeva, aveva
già ricominciato ad andare a scuola dopotutto. Elena invece no. E lei piangeva
tanto. Sentiva
il suo respiro affannoso dall’altra camera, la sentiva mugugnare qualcosa. Così non ce la faccio. Non
poteva sentirla, era come sentire se stesso, era come se tutto fosse diventato
improvvisamente nudo, schietto, e tremendamente surreale. Dov’è Ado? Fuori
naturalmente. E chissà quando sarebbe tornato. Un
urlo sommesso. “Mamma…
mamma… non te ne andare! Papà…”. Luca
si alzò di scatto. Così non ce la facciamo. Scese
dal letto e corse in camera di Elena. Accese
la luce. La
ragazza aveva gli occhi chiusi, ma intrisi di lacrime, si agitava, scalciava le
coperte. “Ele, svegliati” fece Luca, prendendola per le spalle
“Svegliati, è solo un brutto sogno! Svegliati!”. Elena
aprì gli occhi e parve calmarsi. Luca
le accarezzò il volto. “Era
solo un brutto sogno…”. Ma
gli occhi della ragazza non smettevano di piangere. “Non
è solo un brutto sogno!” replicò, la voce rotta dal pianto “sono morti
davvero, Luca!”. Luca
l’abbracciò. Elena
non oppose resistenza. “Dov’è Ado?”. “Non
lo so…”. La
ragazza pianse più forte. “Voglio Ado!”. Luca
sentì un guizzo di rabbia. Andrea era là fuori da qualche parte a bere. Non
avevano bisogno di lui. “Non serve, Ele, ci sono io…
ci sono io…”. Elena
tirò su col naso. Poi si staccò. Luca
continuò ad accarezzarle il viso. “Ci sono io” ripeté. E’ abbastanza? Buffo,
per lui il fatto che Elena c’era bastava. Lei
lo guardava con quegli occhi grandi, smarriti, terrorizzati. Luca
vedeva la morte in quei suoi occhi. Le
sarebbe stato vicino, l’avrebbe aiutata come nessun altro. Proprio
come lei aveva fatto con lui. Luca si svegliò di soprassalto. Sì, era tutto un sogno. Ricordi confusi. Una macchina che si
schiantava, Andrea che lo rimproverava, Elena in ospedale… Basta. Si accoccolò meglio sul letto. Era pomeriggio eppure aveva dormito alla grossa. Si sentiva così stanco senza aver fatto niente. Da quel che aveva capito, Elena aveva già un altro ragazzo. E’ chiaro. Non aveva voglia di far niente, solo starsene lì, sul letto.
Ma se avesse fatto qualcosa almeno non avrebbe pensato. Voleva di nuovo la
scuola, quella mole di studio che gli impediva di pensare a cose sue personali. Si girò sul fianco sinistro. Eppure non piangeva. Non aveva mai pianto per Elena. Le voleva
un gran bene ma anche se lei lo rifiutava, anche se ormai non gli parlava più,
non aveva mai pianto per lei. Dopotutto era un sacco di tempo che non piangeva. Gli avrebbe fatto bene, come diceva il nonno? Cosa si poteva ricavare dai pianti? Sogni, illusioni, rimpianti. Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che l’aveva
visto. “Ciao… io sto…”. Cherise si rese conto che era assurdo rispondere che stava
bene. Lei stava piangendo e Daniele non era un ragazzo stupido. “Beh, sto così”. Il ragazzo si sedette accanto a lei. “Problemi d’amore?”. Cherise si lasciò scappare una risatina. “E’ buffo che ne
parli con te”. Lui sorrise. “Sì, è vero… Ma puoi farlo, sono a tua
disposizione”. La ragazza esitò. “Sì, beh… c’entrano anche quelli. Ho
litigato col mio ragazzo”. Era strano dire il mio ragazzo. Strano dirlo a
Daniele. Neanche troppo alla fine. Guardando il ragazzo che aveva di fronte,
capì che non provava più assolutamente niente per lui. “Si litiga e si fa pace, se no che relazione è?” sorrise lui. “Già…” disse Cherise “Tu invece? Hai qualcuna?”. Moriva di
curiosità. “Sì” rispose il ragazzo “da qualche mese, e va tutto bene
direi”. “Era da un sacco che non ci vedevamo”. “Mi ricordo che tu hai bloccato qualsiasi tipo di contatto con
me”. Cherise fece spallucce. “Mi avevi distrutta” disse
semplicemente. Che problema c’era nell’ammetterlo? Ormai non aveva più
importanza. Daniele non diceva niente, e lei continuò: “Non volevo più
ragazzi, sai. Non volevo avere altre storie”. Lui annuì gravemente. “Ti avevo detto di non essere
innamorato di te”. “Mi sono sentita molto umiliata”. Parlarne a un anno di distanza era facile. Rancori e
dissapori eliminati. Anche l’amore. E forse anche l’umiliazione. Daniele sorrise. “Tu mi piacevi molto, Cher. Credo di
esserti piaciuto tanto anch’io. Ma non eravamo innamorati, né tu né io”. La ragazza alzò uno sguardo sorpreso su di lui. E questa
cos’era, una sfida? Voleva rigirare la frittata? Lei credeva di esserlo, innamorata. Ma ne era davvero sicura? Aveva sofferto tanto, sì. Ma perché si sentiva presa in
giro, non per l’effettiva mancanza di lui. Pazzesco. “Non ero io il tuo grande amore” continuò Daniele. Grande amore? “Forse è il ragazzo che hai adesso”. I suoi genitori si stavano separando e questo le veniva a
parlare di grandi amori. “Non ci credo in queste…”. Cherise si interruppe. Lui lo
sapeva bene. Gliel’aveva sempre detto. Daniele rise divertito. “Ho detto grande amore, non
ho detto eterno, o giusto. Grande”. Grande amore. Andrea il suo grande amore? Certo, non sarebbe durato per
sempre ma forse sarebbe stato grande. “Facci pace, parlargli, così puoi scoprirlo” disse Daniele. Scoprire se era il suo grande amore? Daniele era proprio diventato un romantico. Ma aveva ragione. Andrea le piaceva tanto. Non poteva mica mandare tutto a
puttane. Se era veramente innamorata non poteva, non doveva. Al diavolo mamma e papà che non riuscivano a mantenere un
matrimonio. Se il loro era stato un grande amore, beh, era finito. Ma il suo era appena iniziato. Era come se il tempo si fosse fermato. Ma ora riprendeva a
scorrere, la sua vita riprendeva ad andare avanti. Sorrise, rincuorata, al ragazzo che aveva di fronte, quasi
un angelo mandato a salvarla. “Ce lo prendiamo un gelato?”.
Ooooo ma come ho fatto presto stavolta!
Eh sì, mi sa di essere l'unica persona che il giorno di capodanno, alias ieri,
si è messa a scrivere.. dopotutto immagino di essere una delle poche persone al
mondo che la notte prima (o la mattina presto, quello che è) non si è
devastata.. ma io il vomito degli altri sparso per la casa non l'ho
pulito, mi sono limitata a passare gli scottex e per foooortuna c'ho un raffreddore assurdo che non mi ha
fatto sentire gli odori.. XD
Ringraziato il mio naso, grazie a..
RedTears, sì tanta allegria e tanta gioia! ma vero che sta diventando
deprimente? dovevo metterla nella sezione drammatica XD eh sì Red gran
capodanno.. u.u.. anno nuovo vita nuova! ma doooveee, siamo sempre quiiii Miriam_CulleN, mamma che recensione *Loda
inizia a sproloquiare su quanto è stata carina la tua recensione blablabla*
ahahah scherzo XD grazie mille per tutti i
complimenti e per aver messo la mia fic sia tra le
preferire che tra le seguite wowoooo! e già che ci
siamo ti ringrazio anche per la recensione di quell’altro racconto e soooprattutto un grazie speciale per avermi messo
tra gli autori preferiti XD quando l’ho visto mi sono quasi commossa.. =)
RachElCullEn, sì un po' di casino XD grazie per il
suggerimento! un bel suicidio di massa! così finisce tutto! ..scherzo ^^
E come al solito grazie anche a quei lettori silenziosi che mi seguono =)
Bon, direi che ci si sente alla prossima, ma non
sperate che faccia di nuovo così presto.. (si è trattato di un evento più unico
che raro) ^^'
Buoni compitini (sì, forse è arrivato il momento di
cominciare a farli..) e buoni ultimi giorni di vacanza!
baci
Giulia
uscì da H&M stringendo la busta coi suoi acquisti nella mano. Si
ritrovò nell’affollata via Indipendenza, affollata come sempre, anche quel
lunedì mattina. Non aveva voglia di stare in casa, non con la madre che,
presasi un giorno di malattia, se ne stava sul letto, con sguardo vacuo. Un giorno di malattia. Che malattia? La
sindrome di Ho Scoperto Che Mio Figlio è Gay? Giulia
sbuffò, incredula. La
notizia era un po’ sconvolgente, certo, doveva
ammetterlo. Le faceva anche un po’ schifo pensare a suo fratello che si
sbaciucchiava con degli uomini. Ma la faceva ridere pensare che adesso avrebbe
potuto scambiare opinioni sui maschi con lui.
Non che la cosa non fosse alquanto strana, non che non ci avesse pensato
tutta la notte, ma prendersi un giorno di malattia, cavolo, era esagerato. Forse
Ho Scoperto Che Mio Figlio è Gay era una più malattia di Ho Scoperto Che Mio Fratello è Gay. Anzi, di sicuro. Alla
fine lei che ci poteva fare? Pensarci un po’ su, scrollare le spalle, e andare
avanti. In fondo, cavoli suoi. Avanzò,
soddisfatta dei suoi acquisti. Un vestitino e un paio di pantaloncini corti a
buon prezzo. C’era
un gruppo di ragazzi lì in fondo. Accelerò
il passo, stando ben attenta a passare al loro fianco. Come
pensava. Sguardi, sorrisi, commenti. Continuò
a camminare, contenta. Facciamo un giro? Si
voltò di scatto. No,
non c’era nessuno. Nessuno aveva detto niente. Posso baciarti? L’odore
nauseabondo di Michele era lì. No che non
puoi. Sentiva
la rabbia crescere. Rabbia verso nessuno. Rabbia così. Rabbia e basta. I
ragazzi a cui era appena passata affianco la guardavano ancora, dandosi delle
gomitate. Rabbia
verso se stessa. Guardò
in basso. I pantaloncini corti, le zeppe ai piedi che slanciavano le gambe
lunghe e affusolate. La gente le dava più di quindici anni. Lasciami. “Ehi,
tutto bene? Perché stai lì ferma?”. Non mi toccare. Si
sentì presa per un braccio da qualcuno. Non mi toccare! Giulia
si strattonò e senza neanche guardare chi l’aveva toccata proseguì per la via,
a passo svelto. Sentì qualcuno che diceva: “Ma che modi!”, qualcuno che la
guardava strano. Doveva
avere una faccia infuriata. Ma
che rabbia aveva? Rabbia
verso nessuno. Rabbia così. Rabbia e basta. Che
diavolo di gusto c’era nel sentirsi dire qualcosa dagli uomini? Ancora non l’aveva
capito? Quegli
erano gli stessi ragazzi che avrebbe potuto guardare suo fratello, ora. Non
ho amici, si disse, cerco ancora il conforto della gente di passaggio, come se
potesse capirmi. Sei patetica. No,
pensò poi, ce li ho gli amici io. Ce li
ho. Era
arrivata alla fermata dell’autobus. No. C’erano
due sue compagne di classe. Sì, le riconosceva. Erano Marzia e Valentina. Pensò
di salutarle, magari fare due chiacchiere. Era da parecchio che non le vedeva.
Gli ultimi giorni, consapevole della bocciatura imminente, non era più andata a
scuola. Ma
Valentina la stava guardando. Sì,
stava guardando proprio lei. Giulia
accennò un sorriso, alzando una mano pronta a salutare. Valentina
non sorrise. Si limitò a fissarla con sguardo impassibile, un secondo, e poi
riprese a parlare con Marzia. Ciao? Un
misero ciao, porcaputtana. Perché non mi salutate? pensò Giulia, serrando i
pugni. Stringeva con vigore la busta di H&M, busta così insensatamente
piena. Marzia
e Valentina continuavano a ignorarla. Certo,
Giulia sarebbe potuta andare lì e dire: “Beh, non mi salutate?” con simpatia e
indifferenza. Magari
Valentina stava guardando qualcos’altro, magari non l’aveva vista. Non raccontarti storie. Arrivò
l’autobus e Giulia vi si precipitò dentro. Le
odio le odio le odio! Trovò
un posto vuoto e vi si sedette. Si
mangiucchiò un’unghia. Sono così
antipatica? Diamine,
aveva dimenticato il biglietto. Mi odio. E
il suo pensiero andò come al solito a lui. A Luca. Ricordò
il loro secondo incontro, dal tabaccaio. Anche
lui ha fatto finta di non riconoscermi, l’ho capito, non sono stupida. Probabilmente
stava antipatica anche a lui. Sentì
gli occhi inumidirsi. Forse lui la considerava una rompiballe che ci provava. Non
era così. Che
senso aveva volere un ragazzo? Lei
cercava solo un amico. Probabilmente
la notizia era circolata in tutto il Pianeta.
Non
che ne fosse stupito dopo la scenata di Elena. Anzi,
di sicuro la notizia era ormai trapelata in tutta Bologna, in tutto il
Copernico anche se era chiuso, e in tutti quei paesini del cazzo: Ozzano,
Rastignano, Castenaso, Altedo… Non che ne fosse stupito. Ma
si stupiva della reazione di Fabio. Non avevano affrontato l’argomento
esplicitamente, ma era chiaro come il sole a mezzogiorno che lui lo evitava.
Cercava sempre di stargli lontano ed evitava il più possibile di parlargli. E
che cazzo, erano ormai amici, prima. Mattia
ripose un paio di videogiochi che come al solito la gente metteva al posto
sbagliato dopo averli guardati. Cazzo. Era stufo. Non
vedeva l’ora di uscire da quel cesso di centro commerciale e andarsene in
vacanza. Ormai era Luglio, vaccaboia. Ma con chi se ne sarebbe andato in
vacanza? Con
mamma e papà non ci voleva più stare. Con gli amici? Alquanto imbarazzante. Con
Roberto?Forse… Aveva
parlato con lui, gli aveva spiegato come avevano reagito i suoi genitori. Era
diventato fottutamente irascibile, diceva anche una parolaccia dietro l’altra. Roberto
gli aveva detto di darsi una calmata, così non migliorava un bel niente. Lo
so, si disse Mattia, ma non è giusto. Non era giusto che quando passasse per i
corridoi del Pianeta sentisse bisbigli
ovunque, non era giusto che i suoi compagni di classe lo prendessero in giro, non era giusto che i suoi genitori si
vergognassero di lui. Che
aveva fatto di male? Non è una cosa che si decide, non l’ho
scelto io porcatroia! Perché la gente non lo capisce?! La
gente non capiva un cazzo. Prese
dei videogiochi in mano e finse di metterli a posto. Voleva fingersi impegnato,
dietro a quello scaffale, così non avrebbe visto quella faccia da culo di
Fabio. La gente non capisce un cazzo. Ripensò
alle parole di Roberto, la sera prima. - E tu capisci, Mattia? Che
cosa, cosa c’era capire? - Appunto. Sentiva
una gran voglia di vomitare. - Tu preferiresti essere etero, non è vero
Mattia? Sì,
cazzo, sì. Provava
un tale senso di repulsione di sé. Amava Roberto, ma se non lo avesse amato si
sarebbero evitati tanti problemi. - Allora la gente non capisce un cazzo. E tu
sei la gente. Alla
fine non aveva neanche senso essere arrabbiati. Perché la gente siamo noi e
nessuno di noi capisce un cazzo degli altri. Però
lui di rabbia ne aveva tanta. - Non mi ami abbastanza. Rabbia
così. Rabbia e basta. Cherise
si era presa una pausa. Dieci minuti. Francesco era magnanimo come al solito.
Non che desiderasse tanto di più, per stare seduta in un tavolino appartata con
Marco Castellani. Ne
aveva così fin sopra i capelli dei problemi degli altri che ci mancava solo che
diventasse la confidente anche di
Marco. “Allora…
secondo te, ad Elena non piaccio”. Che
situazione imbarazzante. “Non
è che non gli piaci” disse Cherise in fretta “è che era davvero innamorata di
Mattia, e dubito che lo abbia già scordato…”. Marco
annuì gravemente. Era
assurdo. Assurdo parlare con una tale protoscimmia di argomenti seri, uno che
non sapeva fare altro che ascoltare Poker
Face e quella dannata Rumba di Pitbull. In
quel momento, se non avesse avuto il volto arancione e un cerchietto in testa
sarebbe quasi sembrato una persona normale. “Ma
a te piace sul serio Elena?” chiese Cherise, scettica. “Sì”. Oddio. Sì, pensò Cherise, chissà a quanti ragazzi
col cuore nel pene piaceva sul serio Elena.
“Ma
te non eri il tipo da Mi-Prendo-Quello-Che-Rimedio-In-Disco-Me-Lo-Faccio-E-Poi-Via?”. Marco
la guardò stralunato, la mascella protesta in un’espressione terribilmente
scimmiesca. “Eh?”. Cherise
sbuffò. “Non eri il tipo da una botta e via?”. “Ah!”.
Marco alzò gli occhi al cielo. “Ma vecchia ma bona!”. La
ragazza alzò il dito in aria. “Punto primo, te non mi chiami vecchia, punto secondo ti levi quel
cerchietto che mi dà fastidio, punto terzo ti tiri su le braghe perché quelle
ragazzine ti stanno guardando ininterrottamente il culo!”. Marco
strabuzzò gli occhi. Lei
fece un respiro profondo. Ci voleva. Poi
il ragazzo si mise a ridere, con la sua risata stupida. “Sei gelosa eh?”. “Ma
quale gelosa” ringhiò Cherise “è che io odio
quelle ragazzine”. Marco
sorrise. “E
a te come va, Cher?”. “A
me?”. “Sì,
hai sempre così tanta rabbia”. Io? Rabbia? “No”. Marco
si levò il cerchietto e lo poggiò sul tavolo. “Non credo che adesso stai meglio”. Stia, congiuntivo. Ma Cherise non ribatté. Lo
guardò, con un sorriso perplesso. Oh santa Maria vergine immacolata, pensò, non
è che stiamo diventando amici? Prese
il cerchietto e se lo rigirò nelle mani. Il suo sorriso si fece più sincero. “Ti
dirò, un po’ sì”. Glielo
pose. “Mi dispiace per la cosa di Elena, ma non aspettarti molto da lei”. Marco
riprese il cerchietto con un sorriso mesto e lei si alzò, congedandosi. Si
voltò per tornare al bancone ma d’un tratto le si congelarono le gambe. C’era
Andrea, lì, davanti al bancone. Muoviti, va a parlargli. Era
la sua occasione di riprenderselo. Avanzò
verso di lui. Lui la guardò. Lei lo guardò. Andò
dietro al bancone. “Ciao”. “Ciao”. Si
sentiva mancare il respiro. Vedeva il suo viso dolce, quegli occhi azzurri,
quelle labbra. Quelle spalle larghe, quel petto in cui avrebbe tanto voluto
tuffarsi, ancora una volta. Riprenditelo. Ma
non era così facile. Cherise
si bloccò. E se lui non mi volesse più? Gli
aveva urlato delle cose orribili. Come poteva pensare di poterlo riavere in attimo? Andrea
si grattò dietro l’orecchio, lo sguardo chino. “Mi…
mi dai un caffè?”. Un caffè? No,
non ti vuole più. “Sì”.
La voce le tremò ma finse sicurezza. Si voltò e trafficò con le tazzine. Maledizione. Le mani tremavano.
Francesco le si avvicinò, premuroso. “Faccio io”. La
ragazza annuì e, affannosa, si voltò di nuovo verso Andrea. Lui
la stava guardando, ma distolse subito lo sguardo. Cherise
sentì un tuffo al cuore. Perché? Le
veniva dannatamente da piangere. Credeva che sarebbe stato facile. Dopo aver
parlato con Daniele, era sicura che
sarebbe stato facile. Che lo avrebbe perdonato. Ma aveva sbagliato tutto, non
era quello il punto. E’ Andrea che forse
non mi perdona. Perché sarebbe dovuto stare con una come lei dopotutto?
Magari aveva aperto gli occhi, magari aveva capito che era solo un’isterica permalosa
e arrogante. E neanche così carina. Lui
teneva ancora lo sguardo basso. Andre, ti prego, parlami. Voleva
solo il suo caffè. Ti prego… ho tante cose da dirti… dei miei
genitori, di Elena e Marco, di Mattia… E
lei voleva lui, solo lui, voleva qualcuno a cui poter appoggiarsi, con cui
poter finalmente dare sfogo a tutti i suoi pensieri. Andre… La
guardò. “Come
stai?”. Il
cuore di Cherise saltò parecchi battiti. Tante
cose da dirgli. Eppure non veniva fuori niente. Sto male, sto male perché ti voglio. Doveva
solo dirglielo, non doveva avere rimpianti. Ma
lui la stava guardando con quegli occhi strani. E
lei non riusciva a parlare. Lui
chinò ancora lo sguardo, come se volesse evitarla. E
alla fine Cherise disse: “Bene”. Voleva
dirgli E tu ma le parole le morirono
in gola. Sarebbe stato così facile parlare e chiarirsi. Perché non ci riusciva? Sentiva
una maledetta rabbia dentro di sé, verso nessuno, verso se stessa e basta. Arrivò
il caffè tra le mani di Francesco. Andrea
lo prese, mise delle monete sul bancone e si allontanò. E si allontanò. Cherise
si portò le mani alla bocca. Non piangere
cazzo non piangere! Sentiva
su di sé lo sguardo preoccupato di Francesco, lo sguardo confuso di Marco che,
sì, era ancora lì. Hai sempre così tanta rabbia. Sì,
e la rabbia stava uscendo, prepotentemente, sottoforma di lacrime. Ma non era
arrabbiata con nessuno. Era
rabbia così. Rabbia e basta.
Giusto
un po' di rabbia per stare in tema con la Giornata della Memoria,
rabbia verso la gente che non capisce un cazzo. Un minuto di silenzio.
Anche se credo che non serva a un cavolo pensarci un giorno all'anno,
ma dato che altrimenti non ci penseremmo mai, alla fine è giusto così.
Ed
ecco qui, finalmente i protagonisti sono tornati a lavorareee! oh erano
sempre tutti lì a piangere senza fare niente.. beh anche adesso
sono tutti a piangere.. ^^' la prossima fic sarà una commedia
dai.
Miriam_CulleN,
che carina, si commuove per Luca XD E Daniele, sì.. ottima
definzione: wow :DDD fiera di essere un supporto per la tua autostima,
e grazie mille anche a te! ^^ RachEl CullEn, grazie e che dire.. sì moriranno tutti buahahahah! Killer,
grazie milleee che bella recensione ^^ a Cher e Marco insieme ci avevo
pensato in effetti, non sarebbe male come svolta ma non posso
assicurarti niente XD Luca, sì concordo, affascina ooo yes. e
GRAZIE perché apprezzi Giulia, finalmente piace a qualcuno! e ne
approffitto per ringraziarti anche per il commento al racconto Come stai =) ElisabethXD,
grasce tante, sì Cherise si era convinta di andare da Andrea ma
come vedi.. beh è finita male ^^' non ti preoccupare però
XD RedTears,
non avevo dubbi che criticassi Daniele, il grande amore, eccetera
eccetera! e.. all you need is love! ahahah Red quando ho letto il tuo
commento mi sono uccisa dalle risate.. che criticonaaaa però le
tue recensioni sono sempre ben accette, sono troppo forti XD Arcadia_Lovegood,
un enorme grazie per la recensione e per aver messo questa storia nelle
preferite! anch'io sono tanto affezionata ai miei personaggi, e,
nonostante il mio odio per i maragli, anche a Marco, moltissimo XD e
grazie anche per aver messo tra le fic preferite il racconto Una maschera ancora =) eee, momento di commozione, per avermi messo tra gli autori preferiti
^^ sai ho spulciato nelle tue fic, anche vecchie di qualche anno, e ci
tenevo a dirti che mi piace molto come scrivi, soprattutto
l'originalità delle storie!
A
questo punto volevo dire che mi fa davvero piacere che ognuna di voi
apprezzi, più degli altri, personaggi diversi, e non sempre gli
stessi (a parte l'eccezione di Cher), perché vuol dire che non
sono stereotipati e ognuna di voi coglie sfumature diverse XD Grazie
a tutti quelli che continuano a seguirmi, e ai nuovi (ancora mi
sorprendo di come la gente abbia lo sbatto di leggersi tutti sti
capitoli in un colpo, ne sono lusingata XD) baci,
Loda (ooo è la prima volta che mi firmo, mi scordo sempre e ci tenevo XD)
Fanculo.
Era un buono a nulla, ecco cos’era.
Fissava il display del cellulare, fissava quel nome. Cazzo,
vuoi premere il tasto di chiamata? Ma lei stava bene.
Sì, probabilmente stava meglio senza di lui.
Dopotutto cos’era lui? Un disadattato, un perdente, un… Andrea… tu sei tossico…
L’aveva letto il disgusto nei suoi occhi. Che ci faccio qui! Siete una famiglia disastrata!
Aveva ragione anche lei. Era ovvio che stesse meglio senza di lui.
Andrea strinse con vigore il telefono.
Come avrebbe potuto chiamarla? Come avrebbe potuto parlarle sapendo quello che
lei pensava di lui? Codardo. Si vergognava troppo. Codardo.
Eppure era andato da lei.
E cos’aveva detto?
Ah sì, mi fai un caffè. Codardo, e pure cretino. Ma lei stava meglio, stava bene, gliel’aveva
detto. Doppio cretino, non aveva gli occhi di chi sta bene.
Non aveva detto niente, non voleva tornare sull’argomento. Voleva uscire
dalla sua vita. Cretino al cubo, neanche tu sei tornato sull’argomento. Ma che cazzo doveva fare? Dirle:
“Ehi ciao! Mi perdoni?”. Circa.
Stupide illusioni, lei non ne voleva più sapere di lui. Forse.
Forse.
Le certezze nella vita non esistono. Doveva scoprirlo,
cazzo.
Fissò quel maledetto nome nella rubrica del suo cellulare. Ehi, ciao! Mi perdoni?
Suo malgrado, gli venne da ridere. Una risata isterica. Ciao Cher… parliamo, ti va? Ma che cavolo, sembrava un invito a ballare. Cher, mi manchi. Facciamo pace?
Sì, e magari ci diamo il ditino. Cher…
Buttò il telefono affianco a sé, sul divano con un impeto di rabbia. Ma che gli stava succedendo? L’amava?
Non sapeva se l’amava, ma di sicuro era la cosa
più bella che gli fosse mai capitata. Una ragazza che lo ascoltava, una ragazza che lo sentiva. Sì, l’ami.
E allora se l’amava perché era così difficile
riprendersela? Perché la paura di perderla è più forte dell’amore stesso.
Aveva paura della verità allora. Aveva paura che lei gli dicesse di andarsene. Ma che cos’altro era l’amore per qualcuno
se non la paura di perderlo? Allora l’ami.
Lo zio Riccardo comparse in salotto.
Ah già, c’era anche lui. Chissà, magari aveva deciso di fermarsi per
tutta l’estate. Magari era un tale nullafacente che si sarebbe fermato
per di più. Magari era un tale rompicoglioni che si sarebbe fermato per
tutta la vita.
Si sedette affianco a lui. Ci mancava solo un’amabile conversazione con lo zio.
Andrea fece per prendere il telefono per poi andarsene ma non lo trovò. Che cazzo…?
Ah, ce l’aveva in mano lo zio. “Cher con un cuore” borbottò “è la tua
ragazza? Che nome strano, è straniera?”. Il suo bisnonno è morto in Canada.
Andrea trattenne una risatina nostalgica.
“No” rispose, in tono piatto. “La volevi chiamare? Avete
litigato?”. Ma i cazzi tuoi?
Andrea si limitò ad annuire.
“Colpa tua o sua?” disse Riccardo.
“Di entrambi” biascicò il ragazzo.
Lo zio fece un sorrisetto. “Colpa tua”. Gli lanciò il telefono.
“Beh, chiamala”.
Andrea afferrò il cellulare. Fissò lo zio. Che odio.
“Non è vero, è colpa anche sua”.
Sì, era così. Era colpa anche sua. Non lo aveva ascoltato, l’aveva
accusato e basta.
“Ah, capisco” disse Riccardo “quindi il tuo orgoglio maschile
ti impedisce di chiamarla”.
“Non è nessunissima fottutissima questione di orgoglio” ringhiò
Andrea, arrabbiato. Ma che cazzo ne sapeva lui? Pretendeva di venire a
fargli la predica o a dargli dei consigli come un vero zio?
Guardò quel suo sorrisetto odioso. No, non come un vero zio.
Cercava solo di farlo star peggio.
“L’orgoglio e fesserie simili ce le ho
sotto i piedi da un sacco” continuò. “Già, è vero” disse semplicemente lo zio
“Eri un ragazzo orgoglioso, un ragazzo ambizioso. Una bella testa
a scuola, mi diceva tua madre. Peccato che hai dovuto interrompere gli studi”.
Sì, perché nessuno aveva dato loro un cazzo di aiuto.
Un po’ di denaro, certo, quello rimedia sempre a tutto. Tante le coccole
le prendono dal nonno. Laviamocene le mani.
“Che facoltà avevi iniziato?”.
“Ingegneria”. “Avresti potuto anche continuare. Sei tu che hai mandato tutto a puttane, non è vero?”. Ma che cazzo dice.
Andrea fissò lo zio. Dove cazzo voleva andare a parare?
“Come hai mandato tutto a puttane con la tua ragazza, immagino”. Ma che cazzo dice!
“Ha scoperto della droga?”.
Andrea sbiancò. E lui che cazzo ne sapeva.
“Non hai aiutato nessuno in quel modo, neanche te
stesso” riprese Riccardo. Non c’è bisogno che me lo dica tu.
“I tuoi fratelli stavano da cani, e te
dov’eri?”. Non c’è bisogno… “Il nonno stava morendo. Dove cazzo eri?”.
“Non c’è bisogno che me lo dica tu!” esclamò Andrea. Ma lo zio, crudele, continuava, con la voce più alta:
“Avevano bisogno di te e guarda come sono finiti tutti quanti!”.
Lo sapeva. Lo sapeva che era colpa sua, che non era stato loro vicino. Lo so
già, cazzo, lo so già!
“Elena si è quasi uccisa, Luca ha un carattere di merda!”. Smettila… Sì, era vero. Ma perché tutti
con questa cantilena? Elena e Luca, Luca ed Elena. Lui, Andrea, cos’era?
Quello che doveva sistemare tutto? Quello che doveva reagire col sorriso sulle
labbra e tirare in avanti tutti quanti? Sono morti anche per me, cazzo. “Il nonno è morto, e la tua ragazza ti ha mollato.
Tutta per colpa di…”.
“Smettila!” urlò Andrea “E te
dov’eri, eh?! DOV’ERI TE?!”.
Lo zio ammutolì, fissandolo.
“ERANO ANCHE I MIEI DI GENITORI!” gridò
il ragazzo, con una gran voglia di vomitare, vomitargli addosso “SONO MORTI ANCHE PER ME!”.
Lo zio continuava a fissarlo. Ma un sorriso gli
increspava le labbra.
“Lo so”. Un sorriso non malizioso, non stronzo, niente di tutto
quello che poteva essere un sorriso-di-zio-Riccardo.
“E credi che lei non lo possa capire?”.
Andrea lo guardò confuso, ancora un po’ rabbioso.
“Prima di sminuire la tua colpa davanti agli altri” disse
l’altro “dovresti sminuirla davanti a te stesso”.
Il ragazzo continuava a fissarlo, perplesso e a bocca aperta.
“Altrimenti come li convinci gli altri?”.
La rabbia si era placata. La mia colpa non è così grave…
Forse Andrea l’aveva sempre saputo in un angolino di sé, ma in un angolino troppo piccolo e nessuno gliel’aveva mai fatto
capire.
Continuava a stare immobile, consapevole di avere un’espressione da pesce
lesso.
“Però datti una mossa” disse Riccardo
“non credo che questa… Cher ti aspetterà per
l’eternità”.
Già.
Non l’avrebbe aspettato per sempre.
Ancora inibito, Andrea si trascinò fuori dal salotto senza dire una parola.
Sentiva lo zio sogghignare. Sentiva il suo cuore battere.
Aveva ragione lo zio. Aveva ragione lui. Lui.
Non era così male. Era un tipo strano. Non era del tutto a posto. Ma non era così male.
Raggiunse l’ingresso. Però datti una mossa. Ma qualcuno uscì dalla cucina.
Elena.
Lo stava guardando, arrabbiata. Cazzo, ha sentito tutto.
Provò a parlare ma non ne uscì niente.
Ma parlò lei: “Cos’hai combinato?”.
Andrea la guardò confuso. “Come?”.
“Cos’hai combinato con Cher?”. Ah.
“Io…”. “Perché non ci parli! Perché non ci fai pace?!” continuò Elena “Lei sta molto male”
aggiunse, a voce bassa. Davvero?
Andrea fece vagare il suo sguardo inquieto sull’espressione decisa della
sorella. Era da molto, moltissimo che non lo vedeva così.
“E’ la mia migliore amica e non faccio mai un cazzo per
aiutarla” continuò lei, con un moto di rabbia, rabbia
verso se stessa “Non abbandonarla anche tu”.
Andrea non ci aveva mai pensato neanche per un momento di abbandonarla.
“Non lo farò, mai” disse.
“E allora che cosa aspetti?” fece Elena. La voce le tremò per un
attimo.
“Io…”. Era un po’ difficile da spiegare. Ma lei sapeva tutto. Aveva sentito tutto poco prima.
“Devi smetterla di pensare a noi, di volere la nostra felicità, devi
pensare alla tua…”.
Andrea aggrottò la fronte.
Era che magari la sua colpa non era così grave, ma c’era. Mamma e papà
erano morti per loro, anche per lui, e lui era un po’ morto per i suoi
fratelli.
Elena gli si avvicinò, posandogli le mani bianche, delicate sulle sue spalle.
“Non devi rimediare a un bel niente, Ado”
continuò, con gli occhi che diventavano lucidi “noi ti abbiamo
già perdonato…”.
Andrea alzò le sopracciglia. “Anche Luca?”.
“Anche Luca”.
“E tu, tu hai perdonato Luca?”.
Elena spalancò gli occhi per un momento. Poi scosse la testa, sorridendo.
“Non ce la fai proprio, eh, devi proprio preoccuparti”.
Andrea accennò a un sorriso. “Dimmi se l’hai perdonato, perché io
ho appena perdonato lo zio, voi avete perdonato me
e…”.
La ragazza rise, con la lacrime agli occhi, come
commossa. “Sì, l’ho perdonato, e non c’era neanche un granché
da perdonare”.
Lui sorrise, contento.
Sentiva un’improvvisa forza dentro di sé, un coraggio raccolto che gli
serviva per andare da Cherise.
“Allora manca solo una cosa” disse Elena.
Come se gli avesse letto nel pensiero. “Perdona Cher. E fatti
perdonare da lei”.
Papà non avrebbe perdonato la mamma.
E la mamma non avrebbe perdonato papà.
Se non c’è più perdono, allora è finito l’amore. Ma che cavolo era l’amore? La gente ne parlava,
ci scriveva storie, ci faceva i film, ci masticava a colazione, a pranzo, a
cena, al telefono, davanti alla tv, in continuazione, fino al pensare di dover
vivere per quello, pensare che se non c’èquello
non puoi vivere. Cos’è la vita senza amore?
Ah, una gran bella vita.
Che cavolo era l’amore?
Una parola. Solo una parola.
L’amore è quella cosa che ti fa stare bene, che ti fa
toccare il cielo con un dito. No, molto di più. Almeno tre metri sopra il cielo.
Dove l’aveva sentita quella frase? Cherise fece
una smorfia di disgusto.
Tre metri sopra il cielo tipo per un certo periodo. Poi prendete quel periodo e
moltiplicatelo per 5674. Quello sarà il periodo dei tre metri sotto terra.
Unità di misura chiaramente incerta, potrebbero essere minuti, giorni, mesi,
anni.
Il risultato va diviso per 6. Quello è il periodo dei
tre centimetri sopra il cesso. Cherise sentì lo scarico del
sciacquone.
La madre aveva vomitato un’altra volta. L’ultimo risultato ottenuto
va infatti diviso per 18, e quello è il numero di
vomitate nell’arco di una settimana.
Influenza, un virus, una checchessia malattia… Mal d’amore. Ahahaha.
Sì, dopotutto il risultato finale (il numero di vomitate, comunemente noto come
Nv) dipende dal periodo passato tre centimetri sopra
la tazza che dipende dal periodo dei tre metri sotto terra che dipende dal
periodo fantastico, paradisiaco, dei tre metri sopra il cielo. Quindi, ne vale la pena passare quel meraviglioso,
sublime, fantasmagorico periodo?
La risposta è no, perché è evidente che il periodo dei tre metri sotto
terra è molto più lungo di quello tre metri sopra il
cielo. Il periodo dei tre metri sotto terra è una fastidiosa tangente di 90 gradi che quindi tende all’infinito.
Vale la pena innamorarsi?
No.
Come volevasi dimostrare. Quoderatdemostrandum. Perché, come diceva la sua prof, dirlo in latino era più figo. Cherise si alzò dal letto.
Stava delirando. L’amore è una parola. Altro che grande amore. Dopotutto chi era stato ad aver biascicato
qualcosa a proposito del grande amore? Ah, Daniele. Il boss dei suoi periodi tre metri sotto terra.
Che diavolo le era preso? Andrea si era presentato in
veste di principe azzurro e lei si era fatta prendere. E’stato bello farsi prendere.
Sì, può darsi, si disse irritata Cherise, tutto è
bello finché dura.
Si avvicinò alla porta semichiusa di camera sua e sbirciò attraverso la
fessura. Il corridoio era buio e silenzioso. Probabilmente anche il matrimonio di mamma e papà è stato bello finché è
durato. Ma se tutto deve finire, che senso ha tirarla per le
lunghe? E’meglio che sia finita con Andrea,
più foste andate avanti, più avresti offerto.
Non faceva una piega. Più era lungo il periodo della felicità, più si allungava
l’inferno.
Qualcosa nello stomaco, che le si attorcigliava
insopportabilmente, le faceva intuire che non lo pensava sul serio. Non importa se ti piace, non importa se lo ami!
Doveva essere lucida, razionale. Non era questione di amarlo o no, era questione di: ne vale la pena?
Non aveva senso continuare a pensarci.
“Cher” biasciò una voce. Cherise si allontanò dalla porta, che si stava
aprendo. Tonio si materializzò davanti a lei, vestito di tutto
punto per andare a letto.
Circa.
“Hai la maglia del pigiama alla rovescia”. Tonio la ignorò. “Ma
papà torna?”.
“Non lo so” rispose Cherise.
“Dici che divorziano?”.
“Non credo”.
“E allora perché non torna?”. Cherise sospirò. “Per divorziare ci vogliono
tanti soldi”.
“Solo per quello non lo fanno?”. Eh certo, credi che si amino ancora?
“Il 99% dei matrimoni dura solo perché costretti” disse Cherise, un po’ rude “Solo quelli dei ricchi
finiscono”. Tonio era perplesso.
“Ma allora papà torna”. Ma era un concetto così difficile da capire? “No non torna, Tonio, non torna
più!”.
Il ragazzino si mordicchiò il labbro. “Papà non tornerà più!” continuò Cherise, alzando la voce “Non tornano mai! Non
tornano mai a dire che hanno sbagliato!”
Qualcosa in sala cadde. E si ruppe.
“Mai!”. Tonio aveva le lacrime agli occhi.
Uno strillo li raggiunse dalla sala. Cherise corse fuori dalla camera, più infuriata che
preoccupata. Sentiva i passi del fratello dietro di lei.
Maria era al centro della sala, il telefono in mano. Un vaso, rotto, in terra.
“Perché non risponde?!Non può
fare così!”. Cherisele si avvicinò.
“Dai, mamma, smettila, proverò a chiamarlo io”.
“No” disse l’altra, con voce tremante “tu non ci parli
con lui”.
“Cosa?” fece la ragazza.
“Voi non ci parlerete con lui!” disse Maria, più forte.
“Non ce lo puoi proibire, è nostro padre!”
esclamò Cherise “Sei diventata matta?!”.
Il telefono scivolò dalla mano tremante della donna, che cadde a terra e si
smontò. “Maledizione…”.
“Mamma” mormorò Tonio, timidamente
“papà non torna?”.
Maria lo guardò e per un attimo la follia sparì dal suo volto. “Certo,
amore… certo che torna…”.
“Non dovresti mentirgli” sibilò Cherise.
La madre la fulminò con lo sguardo. “Sono io la madre, decido io
cos’è meglio!”.
“Ah sì?” esplose Cherise “non mi
sembra che tu sia la madre! Mi sembri un’adolescente
che è stata scaricata per la prima volta e non riesce più a vivere!”.
Maria le si avvicinò con la collera traboccante dagli
occhi. Le diede uno schiaffo. Cherise si allontanò con un impeto di rabbia.
“Non mi devi toccare!”.
L’altra continuava a guardarla con quegli occhi folli. “E tu non
parlarmi così!” gridò “Farai anche tu la stessa fine lo sai!”.
“No!”urlò Cherise “io non farò la
tua fine perché non mi sposerò! Non eliminerò me stessa per amore di un uomo! Non cadrò quando mi lascerà!”. “Tutti bravi a parlare! Tu non
lo sai cosa provo io!” strillò la madre.
“E TU NON SAI COSA PROVO IO!”.
Maria tacque, ansimante. Cherise aveva le lacrime agli occhi. Non era triste.
Era solo arrabbiata, stanca, frustrata. Ed era ora che qualcuno se ne rendesse
conto. “E Tonio…”
continuò, con voce spezzata, mentre le lacrime le scorrevano sulle guance
“Lo sai cosa prova Tonio? Da quanto
tempo è che non ce lo chiedi?”.
La madre non fiatò. Se ne stava lì, piccola e indifesa, col cuore spezzato,
forse ulteriormente. Ma non importava. Cherise doveva ricordarle che non esisteva solo lui, il
marito, loro padre. Esistevano anche loro, i figli.
Il campanello suonò.
Nessuno si mosse.
“Va ad aprire” disse Maria, distogliendo lo sguardo. Cherise obbedì.
Prese la cornetta del citofono. “Chi è?”.
Qualcuno, chiunque fosse, esitò. Poi disse: “Andrea”.
Andrea. No. Pure.
Riagganciò la cornetta, senza dire nulla. “E’ per me. Scendo”.
Senza aspettare risposta aprì la porta d’ingresso e uscì sul
pianerottolo. Percorse le scale di fretta, con la rabbia e la tristezza che ribollivano dentro. Non ho intenzione di rimettermi con te. Poi aprì il portone del palazzo.
E lo vide.
La delusione, la disperazione, la collera, tutto esplose dentro di lei.
“Cosa ci sei venuto a fare qui eh?!” lo
aggredì.
Quei capelli, quegli occhi, quelle spalle…
Andrea reagì con una faccia confusa, quasi mortificata.
Non mi interessa.
“Non ti voglio!” sbottò la ragazza “Non voglio
innamorarmi! Non voglio passare cinquantaquattro anni tre
metri sotto terra!”.
“Cher…” pigolò lui.
“Non mi farai questo!” gridò ancora lei, spingendolo via
“Vattene!”.
Ma lui non
se ne andava.
Anzi, cercò di prenderla per le
braccia.
Non voglio realmente che tu te ne vada…
Ma non ne
valeva la pena.
Cherise lo
spinse ancora via, colpendolo sul petto. “Non voglio
amarti più di me stessa! Non voglio fare la fine di
mia madre!”.
Lui la immobilizzò, le mani sulle sue spalle.“Cher, fermati, Cher…”. “Non voglio vomitare tutti i giorni!” continuò Cherise, con voce più alta, fuori di sé “Non voglio
rompere vasi! Non voglio amarti!”.
Andrea le prese il viso, avvicinandola a sé. “Cher, che è
successo?”. Era così vicino. La guardava con quei suoi bellissimi occhi. “Che
ti è successo?”.
Al tocco delle sue mani, calde, forti, sulle guance, Cherise
scoppiò a piangere. “Non voglio amarti!” singhiozzò, senza però
dimenarsi, lasciandosi trasportare verso di lui “non voglio
amarti…”. Si stava calmando, sentiva le braccia
di lui che la stavano circondando.
Andrea la teneva stretta.
“Però”
pianse ancora lei, il viso nel suo petto “è così, credo di amarti…”.
Lo colpì ancora sul petto. “Perché mi fai questo!”.
Il ragazzo le riprese il volto tre la mani e la fissò
negli occhi. Aveva gli occhi lucidi, trasparenti come quelli di un bambino.
“Perché anch’io
credo di amarti… e non ti lascerò andare per uno stupido
vaso…”.. Cherise scoppiò in una risatina isterica.
Poi continuò a piangere.
Tenendosi a lui.
Non si sarebbe eliminata, non lo avrebbe amato più di se stessa. Ma un po’ sì.
Non ne valeva la pena per poi essere lasciati. Ma un po’ sì.
Capitolo lunghetto. E penso che vi sia piaciuto!
Oltre ai soliti complimenti, questa volta vorrei dei seri complimenti per la velocità d'aggiornamento XD, ooo ho fatto passare solo una settimana! - ma come sono montata XD -
Merito delle vostre bellissime recensioni! Mabellaaa!
RachElCullEn, accidenti l'hai presa
tipo forum XD poveriiii i miei personaggiiiiahahah.. capisci Giulia
quindi? sì anch'io ho avuto un periodo del genere..
amici 0 si pensa.. ma forse c'è qualcuno che è così vicino a noi che non lo
vediamo nemmeno ^^ grazie per la recensione! ElisabethXD, visto ho
saputo rimediare! postato presto! grazie mille, che
commento commovente (che spettacolo è venuta un'allitterazione)!
sono contenta che la lettura dei miei scritti sia
piacevole, il mio principale obbiettivo è far sì che non diventi troppo pesante
XD perché, per quanto possa interessare la storia o per quanto sia scritta
bene, può succedere!
Arcadia_Lovegood,hai capito esattamente gli stati d'animo e i retroscena delle arrabbiature
dei personaggi XD tante grazie! e anche per i complimenti per Una maschera
ancora! RedTears, e lei c'è! sempre
crudele nei confronti dei miei personaggi (ma hai trovato una rivale in RachEl!)! ahaha
che ridere! "vai all'attacco segui il tuo cuore e corri dietro al tuo
grande amore"?!? "citazione del grande
saggio Daniele"?!? ma
che forteeee! cmq ci ho rinunciato
a cercare di renderti simpatico Marco! XD Miriam_CulleN, fantastica! adoro
le recensioni-papiri! ahahah
l'è vera! parla pure romagnolo, "l'è vero"
lo dico anch'io! siam vicine
sheshei de la Romagna, io shon de la
Bulagna! (ahah oddio ho fatto la rima XD). Cara lettrice,
spero di aver colto la sua richiesta nella letterina per Babbo Natale, ed ecco
qui Cher e Andre insieme!
Ovviamente grazie anche al resto della gente, quelli che hanno recensito altre volte e quelli che non recensiscemaiiiii! ahah ce n'è uno sbanderno (ma è italiano?) lì nei preferiti e i seguiti e io vi ringrazio
lo stesso cialtroni! ^^ scherzo, grazie mille anche ai nuovi arrivati!
Ora me ne vo (ma sì se siamo in vena di dialetti
perché non un po' di toscano, ma che confusione che c'è oggi..)! Noooon ho idea di quando posterò nexttime, ma non vi preoccupate perché tornerò, ho già in
mente tutti i capitoli fino alla fine (e faranno in tempo a cambiare quelle.. non so.. 342 volte?). Buon febbraio!(mi andava di dirlo..).
baci,
“Sicuro di volerlo fare?”. No. Non era sicuro. Ma le parole di Roberto gli chiedevano se era
sicuro quanto i suoi occhi gli dicevano che doveva
esserlo, sicuro. “Ai miei non farà piacere” disse Mattia. “E a te interessa?”. “No”. Sì. E’ ovvio che
mi interessa. Non parlava con suo padre da quella domenica,
quando aveva rivelato alla sua famiglia che era gay. Con sua madre aveva
provato ad affrontare l’argomento ma ogni volta lei scoppiava a piangere. E per
colpa loro aveva pure litigato con Roberto. E in quella situazione lui avrebbe dovuto prendere
e partire con lui? Guardò i suoi occhi. Di un blu quasi elettrico, profondi come il mare. La cosa lo allettava molto. Andare lontano da tutto e da tutti, smetterla di
sentirsi sotto accusa e godere ogni momento con Roberto. “Tra un po’ finisce luglio! Te la vuoi fare una
vacanza o no?” insistette Roberto. Già. Chissà se la sua famiglia sarebbe partita per
andare da qualche parte. Povera Giulia. “Sì” disse flebilmente. Roberto gli si avvicinò. “Non ho sentito”. “Sì” disse Mattia, più forte. Ormai gli era vicinissimo. Erano nella camera da letto di Roberto. Una valigia
per terra. Di andare al mare gli aveva chiesto. A Cesenatico. In un albergo.
Solo loro due. “Mi ami o no?”. “Sì”. Era così dannatamente bello e eccitante. Gli stava sussurrando all’orecchio. Glielo stava
leccando. Certo che ci sarebbe andato con lui da solo a
Cesenatico. Camminerete per
strada mano nella mano? Così la gente vi guarderà male… Non importava, vaffanculo a tutto quanti. Cercò le labbra del suo ragazzo - sì, del suo ragazzo – e le baciò furiosamente. Si sentì spingere sul letto. Passivamente si fece stendere, il corpo di Roberto
sopra di lui. Che sto facendo? Roberto lo stava toccando dappertutto, feroce, come
una puttana arrapata. Gli slacciò la camicia, le mani tastarono fameliche
ogni centimetro del suo corpo. Mattia un po’ si vergognava. Aveva il fisico di
un ragazzino, Roberto quello di un adulto. Voleva vederlo. Voleva dannatamente vederlo. Quasi come gli avesse letto nel pensiero, Roberto
si sfilò la maglia, mostrando degli addominali scolpiti. Cazzo… Mattia cominciò a toccargli ogni quadratino del
petto a bocca aperta. “Io non ce li ho così…” mugugnò. Roberto sorrise e lo baciò. “Sei così sexy…”. Mattia si sentiva sempre più eccitato, al contatto
con quel fisico scolpito, sudato. Sentiva il suo pene alzarsi e chiedere di
essere liberato. Che sto facendo? Roberto si tirò un po’ su e si slacciò i pantaloni.
Si tolse le mutande. Sesso con un uomo. Mattia lanciò un’esclamazione di sgomento e si
ritrasse. “Che c’è?” fece Roberto. Il ragazzo inspirò profondamente. “Io…”. “Se non ti senti pronto non c’è problema” disse
Roberto, risentito. Lui lo voleva. Mattia voleva Roberto. Con tutte le sue forze. Però… ecco… “Ehm… il tuo coso… è grosso…”. Oh sì, cazzo, ce l’aveva grosso. E dove sarebbe dovuto entrare? Roberto scoppiò a ridere. “Parli come una
puttanella vergine”. Mattia avvampò. In un certo senso lo era. Il suo ragazzo lo avvolse in un abbraccio. “Non ti
farò male…”. L’altro si fece stringere, baciare, coccolare. Sentì armeggiare con la cintura dei suoi jeans,
sentì i suoi jeans sfilare via e le mutande pure non rimasero a lungo tra loro. Non vedeva più il volto di Roberto. Era andato giù,
giù, giù. Sentì la sua voce: “Ma buongiorno…”. A Mattia scappò un sorriso. Poi sentì le labbra bagnate del suo ragazzo
appoggiarsi delicatamente sul suo pene. E dirigere l’orchestra. Si lasciò andare in esclamazioni estasiate ed
eccitate. Era semplicemente in paradiso. Era da parecchio che non parlava con Elena. La vedeva di sfuggita, al centro commerciale.
Gliene parlava Marco, quando lo incrociava. Gliene parlava Andrea. Stava bene,
sì, era tutto a posto. Ora stava bene anche lei, aveva di nuovo Andrea. Però… Diavolo, non si è mai contenti, pensò Cherise
sbattendo con violenza lo strofinaccio sul bancone. Aveva ragione Leopardi
altroché, pensò. Però forse se fosse riuscita di nuovo a parlare con Elena… E se fosse
riuscita a sentirsi un po’ meno in colpa. Aveva raccontato ad Andrea cos’era successo. Non è colpa tua,
sei esplosa… aveva detto. Però lo leggeva un accenno di delusione nei suoi
occhi. D’altronde erano anche i suoi di genitori. Non hai
l’esclusiva solo perché i tuoi sono morti! “Che palle” mugugnò “certo che nei momenti di
rabbia si dicono cose proprio stupide”. “E in quali momenti si finisce col parlare da
soli?”. Cherise si voltò. Francesco la stava guardando sogghignando. La ragazza gli lanciò lo strofinaccio addosso e lui
lo prese ridendo. “Quante storie, Cher, c’è sempre qualcosa che ti
affligge… Non hai fatto pace col tuo moroso? Che c’è adesso?” la sfotté. Cherise gli fece il verso. “Ho litigato con una mia
amica” disse poi. “Ma tu litighi con tutti”. “Cosa vorresti insinuare?”. Francesco scrollò le spalle. “Che forse è colpa
tua”. Cherise sbuffò. “Sei di un incredibile conforto”. Il ragazzo fece spallucce e le porse lo
strofinaccio. “Quando vuoi, ora però pulisci”. Lei lo prese con un’espressione omicida. D’accordo, era lei che era esplosa, lei che aveva
detto cose cattive. Ma, se l’era chiesto spesso, cosa avevano di simile lei ed
Elena? Quegli anni in cui si comportavano come migliori amiche sembravano molto
lontani. Era da parecchio che non parlava con Cherise. Le cose erano precipitate e forse era anche un po’
colpa sua. Sì, del resto Cher aveva dei problemi con Andrea e
lei le parlava sempre e solo dei suoi. Andrea le aveva anche detto che i suoi genitori si
stavano separando. Che egoista che
sono. Mai un misero “come stai”, o “tutto bene? Che mi
dici?”. Io che non volevo
mai far sapere di me a nessuno, ho finito coll’assillare tutti coi miei
problemi. I rapporti con gli altri le si sgretolavano sotto
gli occhi. Con Luca, con Mattia, con Cherise. Finirò per
distruggere anche quello con Marco se continuo così. Stava camminando verso il bar del Pianeta. Era da parecchio che non ci andava. La vedeva, vedeva Cherise intenta a pulire il
bancone. Non c’era molta gente intorno. Non era orario di
punta. Però… Lei le aveva detto davvero delle brutte cose. Era
un momento di rabbia, Elena lo capiva. Non credere di
avere l’esclusiva solo perché i tuoi sono morti! Non credo di avere l’esclusiva, pensò, ma, cazzo,
ci vuoi essere tu al mio posto? Eppure aveva tanta voglia di fare la pace con lei. Ricordava quegli anni in cui si comportavano come
migliori amiche. Sono così lontani… Si avvicinò al bancone. Cherise alzò lo sguardo verso di lei e sgranò gli
occhi. Siamo così
diverse. “Ele… ciao”. “Ciao”. “Vuoi qualcosa?”. “Volevo… scusarmi”. “Oh”. Silenzio. “Mi devo scusare soprattutto io” disse Cherise “avevo
represso tanta rabbia che alla fine è esplosa…”. “Sì, l’avevo capito…”. Certo che l’aveva capito. Non ce l’aveva con Cherise. Però com’è che non provava più lo stesso affetto? Se l’aveva mai
provato… Cherise sorrise ed Elena sorrise con lei. Ma glielo leggeva negli occhi che migliori amiche
non lo erano più. “Potremmo andare al Capital” disse Luca. “No” protestò Giulia “Il Medusa è più figo”. “Ma siamo in centro!”. La ragazza mise su il broncio. Un broncio buffo. Luca sorrise. Aveva ancora accettato di uscire con lei. D’altronde
i suoi amici erano tutti in vacanza, e lui non sapeva che fare. E poi con
Giulia si divertiva. “Dai andiamo!”. “Non ci si arriva neanche con l’autobus!”. Giulia cominciò a tirarlo per un braccio. “E poi c’è quella strada piena di zoccole…”
protestò lui, facendosi trascinare fino alla fermata del 20. Lei si voltò, con aria teatrale e disse in tono
melodrammatico:“Non avrò paura se al
mio fianco ci sei tu”. Luca scoppiò a ridere. Però Giulia non rideva. Fissava improvvisamente un punto impreciso dietro
di lui. “Giulia?”. Lei si riscosse ed esibì un sorriso smagliante.
“Allora? Ti ho convinto?”. Luca la guardò perplesso. “Okay…”. Lei si incamminò a passo allegro. Come si poteva essere sempre così allegri e attivi?
Per lui era inconcepibile, lui che aveva tanto desiderato la morte. Ma forse era vero. Forse era davvero impossibile. Giulia non poteva essere sempre felice. Non lo era.
Non lo era sicuro. La guardò, mentre camminavamo l’uno affianco
all’altra. Faceva la stupida. Appunto, faceva. “Giulia” disse “tu… tu sei così?”. Lei lo guardò interrogativa. “Così come?”. “Sei sempre molto allegra”. La ragazza scoppiò a ridere. “Sei tu che sei troppo
musone!”. Forse anche questo era vero. “Non si può essere sempre così allegri…” disse lui
in un soffio. Il sorriso sparì dal volto di Giulia. Si fermò.
“Come?”. Luca alzò le sopracciglia. “No, niente… scusa…”. La ragazza sorrise. “No, scusa tu. Non volevo dire
che sei troppo musone. So quello che hai passato”. Lui la guardò stupito. “Lo sai?”. “Sì, Mattia me ne aveva parlato… La felicità torna
sempre però, sai?”. Mai provata la
felicità. O forse sì. Da quando aveva cominciato a
frequentare Giulia, Luca era un po’ meno triste. “Sì, forse hai ragione”. Ma glielo voleva chiedere.
E te? Te se felice? Non parlava mai
di se stessa. - Ma non hai avuto
altra da pensare durante la settimana? - No - Beh, io sì. - Hai una vita
piena. Non era felice. Perché sorrideva sempre? Glielo voleva chiedere. Non aveva mai sopportato le
ragazzine sciocche, che si vestivano appariscenti e che ridevano
sempre. Ma Giulia… Provava l’inspiegabile desiderio di conoscerlaGiulia. “Dai, ora muoviamoci che finiscono i posti!” fece
lei. “Come? Ah, sì”. Lei gli diede una spinta e poi cominciò a correre
per via Indipendenza. “Prova a prendermi!” gridò. Lui spalancò gli occhi incredulo. Poi le corse dietro. Non lo amava. Stava con lui ma non lo amava, non le piaceva
neanche. Era chiaro come il sole. E lui? Lui l’adorava. La circondò con un braccio. Lei si ritrasse. “E smettila di starmi sempre appiccicato!”. Lo
diceva ridendo. Ma le risate a lui non lo colpivano. Erano sul divano. Il divano di Martina. A casa di
Martina. Una festa continua. Elena sembrava divertirsi. Ma non lo amava. Marco sbuffò piano e si alzò. La ragazza non ci fece caso. Continuava a
chiacchierare con Federica, seduta affianco a lei. Lui andò in cucina, dove Nicola riempiva un
bicchiere dopo l’altro. “Ma dove l’hai trovato tutto quest’alcol?” chiese. “Che importa!” fece lui. Gli riempì un bicchiere.
“Tieni”. Era già il terzo bicchiere di chissà cosa che si
faceva. “Stasera Elena non ti si fila” disse poi Nicola. Marco lo guardò storto. “E’ la mia ragazza da una
settimana sai”. “Sì? Non si vede neanche un po’”. Marco mandò giù l’alcol in un sorso. Era gin. Fanculo. “Non te la prendere” disse Nicola “sarà ancora
innamorata di Parisi”. Parisi. Marco fece una smorfia. “Certo che una come Elena… con Parisi…” disse
Nicola, con aria sconvolta “va beh, Caste, che te frega, fattela e bona”. Già. Certo che se la sarebbe fatta. Però, che
cavolo… Era da due anni che le andava dietro. E lei era diversa dalle altre. La guardò mentre rideva con le altre ragazze. Perché sta con me
se non le piaccio? Non è quello che fai sempre anche tu, lo punzecchiò
una vocina, stai con le ragazze, te le fai e basta senza che ti piacciano? Fanculo. Poggiò il bicchiere e tornò in sala. Un turbine scomposto di luci e colori. Facce qua e
là. La sua Elena laggiù. Vedeva il biondo dei suoi capelli spiccare tra tutto e
tutti. La sua Elena laggiù. Che lo baciava senza passione, che faceva l’amore
con lui senza amore. Perché non ti
piaccio? Prese a ballare con gli altri. Lei tanto non lo
degnava di uno sguardo. Si mosse a tempo di musica controvoglia. Aveva tanto
desiderio di lei. Non del suo corpo, no, quello l’aveva già avuto. E non gli
bastava. Voleva lei, tutta. Perché non ti
piaccio?! Vacillò. Aveva così voglia di vomitare. No, doveva vomitare sul serio. Si fece spazio tra la gente, la mano che premeva
sulla bocca. Riuscì a trovare il bagno. Di certo Elena non l’aveva visto che
stava male. Non sarebbe venuta a vedere come si sentiva. Chiuse la porta e si accasciò sulla tazza. Vomitò. Vomitò l’anima. Tonio era stato davanti a quel telefono per giorni.
Interi giorni. Perché non chiama? Non aveva voglia di uscire con i suoi compagni di
scuola. La mamma aveva smesso di piangere e aveva ripreso a lavorare. Cherise
aveva ripreso ad uscire con Andrea. E lui se ne stava lì, davanti a quel telefono. Davvero non sarebbe più tornato? Una chiamata poteva farla. Neanche l’aveva salutato. Cherise diceva che era meglio così. Era meglio che
se ne fosse andato. Sì però… Le cose erano insostenibili da troppo tempo. Non
era possibile tornare a uno, due anni prima? No, pensò, bisogna sempre guardare avanti. Quella notte aveva sognato che tornava. Che
tornava, baciava la mamma e portava lui, Tonio, a fare un giro in moto. E la
mattina aveva pianto. Perché non chiama? Davvero non gliene fregava niente di lui? Dopotutto non voleva tanto. Non voleva che tornasse subito. Non pretendeva
questo. Prenditi tutto il
tempo che vuoi… non voglio che torni subito... Aveva solo un desiderio. Che il suo papà gli facesse una telefonata. Solo una telefonata. Se c’era una cosa di cui era sicuro era che tutti i
genitori amano i loro figli. Perché non chiama? Cominciava ad avere dei dubbi. Ed era la cosa più triste…
Looooo soooo sono sparita dalla circolazione per più di un mese! Mi dispiace è
stato un periodo allucinante, anzi allucinogeno con la scuola.. E poi sono
iniziate tutte le feste dei 18 u.u oh santissimi numi. Oggi, ringraziate la neve (ma
che èèè quest'anno direi basta neve), ho scritto perché scuolaaa chiusaaa e io
RESPIRO (non mi sembra vero T.T). L'ho scritto un po' di fretta
perché non ne avevo molto lo sbatto, ma spero vi sia piaciuto cmq ^^ Al contraaario vedo che
l'ultimo capitolo ha riscosso un bel popo di successo (lo sapevoooo)
XD
RachEl CullEn, graaazie XD e sono contenta di
averti tirato su il morale! (va beh, un mese e passa fa..) Arcadia_Lovegood, siiiii grazie mille anch'io
adoro quei litigi in cui ci si picchia per poi dichiararsi XD e la teoria dei
tre metri.. ahaha mio delirio.. ElisabethXD, GRAZISSIME! siii il più bel
capitolo che abbia scritto infatti ci ho riflettuto un bel po' prima di
scriverlo XD mi spiace hai dovuto aspettare fino a marzo invece.. e mica il
primo.. il 10 addirittura (e solo grazie alla neve o.o) The Corpse Bride, grandissima sono
contentissima quando ti vedo tra le recensioni XD grazie milleee sì anche a me
piacciono un sacco le parti che hai citato ^^ e per quanto riguardo lo zio
saggio da telefilm.. passamelo dai XD S chan, una new entry, grazie grazie! mi
dispiace che tu abbia provato sulla tua pelle molte delle situazioni che ho
descritto ç.ç spero tu ti riferisca alle situazioni meno gravi.. cmq sono
contenta di essere riuscita a inquadrare come ci si sente, pur avendo vissuto
pochissime (diciamo quasi nessuna o.o) di queste situazioni (seeeh sono
geniale).. ciao spero commenterai ancora! XD Miriam_Cullen, non ho alcuna intenzione di
scusarmi per il ritardo perché tu non sei da meno XP ahahah che bella una
recensione-papiro, dai il capitolo scorso la meritava XD sìsì la mamma di
Cherise la capisco in pieno anch'io ma capisco anche che quando ci sei dentro,
se sei il figlio, vedi le cose in maniera diversa e non reggi più la situazione.
Non ho capito una cosa.. nella tua recensione quando metti <>.. non c'è
niente in mezzo T.T che vuol dire? ahaha i film stradolcinati, lo dici a me?
quando ho visto Scusa ma ti chiamo amore mi sono cadute le bracce gambe mani e
la testa (*vomito*) grazie mille per i complimenti, e mi raccomando, ci tengo ad
altre recensioni! RedTears, bella schietta come al solito senza
troppi fronzoli complimentosi! dai che sei contenta per Cher e Andreeee XP mi
scuso per il ritardo ma lo sai già, abbiamo invertito i ruoli.. tu hai preso ad
aggiornare ogni settimana o.o Mimica, che ha recensito al primo capitolo!
un'altra neeeeew grazieeeee per aver cominciato a seguirmiiiii! grazie mille
una bellissima recensione XD sì, non ci sono gran manciate di felicità, e piace
anche a me proprio per questo =) E grazie a tutti gli altri! grande aumento nella lista di chi mi ha
messo tra preferiti o seguiti! ooo rega abbiamo superato i 40!!
Dunque ormai l'inverno è finito
quindi dopo questa non ci saranno altre grosse nevicate, però spero di tornare
entro un certo limite di tempo cmq! XD dai abbiate fiducia in meeee! ciao ragazzuoli, tenete duroooo
(per qualunque cosa, c'è sempre qualcosa per cui bisogna tenere duro)
=) baci,
Era
un noiosissimo mercoledì mattina. Era
il 22 luglio. E
lui era prigioniero del suo sguardo. Lo sentiva su di sé, sentiva i suoi occhi
perforagli la nuca, quasi come se volesse leggergli nella mente. Vuoi sapere se sono ancora pazzo? Luca
bevve un sorso di latte. Elena
se ne stava in piedi, vicino alla finestra, a mescolare il suo caffè. Era
passato, quanto, un mese? Lei aveva smesso di evitarlo, aveva ripreso pure a
sorridergli. Però, ora era tutto diverso. Da
quando erano piccoli. Giochi con me, Luca? Perché? Nessuno vuole giocare con me. Io sì. Tutti si fanno male quando giocano con me. Io no, Luca. Perché tu non mi farai mai del
male, non è vero? Però
ora l’aveva fatto. Le aveva fatto del male. Come
aveva fatto ad essere così egoista? A pensare a quel suo stupido capriccio, a
dargli così tanta importanza per poi rovinarla, rovinare lei e il loro
rapporto. Ora
lei stava meglio. Usciva sempre, sorrideva di più. Le
lanciò uno sguardo. Chissà se sta davvero meglio. Finì
il latte. La
desiderava ancora? Chissà. Era
stata colpa della bellezza di lei, della lontananza che li aveva resi meno
fratelli e più amici. La vuoi ancora? No,
pensò Luca, la rivoglio come prima, rivoglio mia sorella. Non
poteva essere così egoista da volere qualcosa di diverso. Pretendere di
cambiare sua sorella. Chissà chi è quello che se la porta a letto
ora. Con
un moto di rabbia si alzò dal tavolo. Elena
lo guardò. Lui
ripose in frigo il latte, sullo scaffale i biscotti. Era
geloso, ancora. Era egoista, ancora. Era
una persona davvero schifosa. E aveva osato toccarla, toccare quell’angelo con
le sue mani e la sua bocca impure. Sarò un fratello normale, per lei. Forse
quello strano legame che avevano non si sarebbe mai sciolto, o forse era tutta
una psicosi dentro la sua testa. Ma io sarò un fratello normale. La
guardava, la desiderava. La
desiderava, non soffriva. Egoista del cazzo. “Che
c’è?” fece Elena. “Come?”. “Mi
stai fissando”. “Ah.
Scusa”. Un
brivido di inquietudine percorse il volto della ragazza. “Scusa”
ripeté Luca, senza neanche pensarci. Lei
lo fissò stranita. “Io…
sarò chi vuoi che io sia” fece lui. Elena
lo guardò per un momento accigliata, poi sorrise. “Devi
essere quello che vuoi tu, Luca”. “Sì,
ma quello che voglio io fa un po’ schifo”. Elena
chinò lo sguardo. Cazzo. Ma
poi lei parlò: “Non pensare mai che fai schifo, nonostante tutti i pensieri o
le cose che puoi fare. Non pensarlo mai”. Luca
accennò a un sorriso. Era sua sorella che parlava. “Ti
voglio bene, Ele. E… da fratello”. Elena
annuì, e poggiò la tazza sul tavolo. Sembrava
avere le lacrime agli occhi. “Ti
voglio bene anch’io”. Poi
avanzò verso di lui e lo abbracciò. “Mi
sei mancato”. Luca
ricambiò l’abbraccio, felice. Sì,
quello che poteva avere era quello che poteva bastare. “Anche
tu”. Era
un noiosissimo mercoledì pomeriggio. Era
il 22 luglio. E
lei era prigioniera di un incubo. Un incubo rappresentato da quella macchinetta
del caffè, da quei panini, da quel forno… Le vedeva le tazzine. Le vedeva
saltellare malefiche e ridere sguaiatamente alle sue spalle. “Maledette…”. Francesco
si girò verso di lei. “Cher,
se vuoi delle ferie dovrai fare molto di più che fingerti così esaurita da
parlare da sola”. Cherise
sbuffò. “Io
non fingo, sono stanca!”. Il
ragazzo diede un colpo di spugna al bancone. “Tra
un po’ arriva Sara. E vai a casa”. “Lo
so” grugnì Cherise massaggiandosi la tempia con la mano “intendevo che sono
stufa di lavorare. Voglio andare in vacanza!”. Francesco
scoppiò a ridere. “La ragazzina ha scoperto la fatica del lavoro! Sai che non
si può essere stufi del lavoro?”. “Io
vado ancora a scuola” si lagnò lei, impuntandosi “E ci vorrei andare un po’ al
mare in estate!”. “Con
Andrea eh?” sogghignò l’altro. Cherise
si sentì nascere uno stupidissimo sorriso sul viso. Era da una settimana che
aveva fatto pace con Andrea, e lei aveva una grandissima voglia di stare tutto
il tempo con lui. E invece era bloccata lì dentro (le tazzine ridevano ancora).
“Sssscciiieeer!”.
Oddio. Quella
voce, quei passi strascicati, quella tonnellata di profumo nell’aria. “Marco”
disse Cherise, vedendolo arrivare. Marco
si slanciò in un enorme sorriso storto. La
ragazza trattenne una risata. Effettivamente non era più così scocciata di
vederlo. Anzi, quasi la metteva di buon umore. Nooo! Non ha il cerchietto! E la faceva ridere. “Cos’è”
disse, ironica “ti sei ricordato che preferisco che non metti il cerchietto?”. Marco
alzò le sopracciglia. Poi si illuminò. “Yeah! Solo per te, baby!”. Qualcosa
cadde per terra. Cherise
si voltò e vide Francesco chinarsi per raccogliere un cucchiaio con
un’espressione agghiacciata. Non era ancora del tutto abituato a vedersi
apparire davanti di tanto in tanto una faccia arancione contornata da orecchini
e drittissimi capelli tinti e ritinti. “Vuoi
qualcosa?” chiese Cherise al nuovo arrivato. “No,
passavo per salutarti, sono stato a trovare Elena” rispose Marco. “Ah
okay”. Un
attimo di silenzio in cui Marco si mordicchiò il labbro. “Come
va con Elena?” chiese Cherise. “Oh”
fece lui, con una risatina “male. Non mi caga di striscio”. “Ah”.
“Cè”
riprese Marco “scopiamo e tutto però…”. E brava Elena, scopi uno che manco che ti
piace… “Però
non mi tratta molto da fidanzato. L’ho capito che non le piaccio” concluse
Marco. Cherise
provava un po’ pena per lui. In
effetti Elena non si stava comportando molto bene. “Eccomi
qua!”. Cherise
spostò lo sguardo a sinistra. Era appena arrivata Sara, con un gran sorriso.
Esagerato se era quello con cui veniva a lavorare. Del resto lei ha il turno al pomeriggio, la mattina se la dorme. “Puoi
andare, Cher”. “Okay,
allora vado. Ciao Cesco, ciao Sara!” fece Cherise, allegra e pimpante come non
mai saltando fuori dal bancone. “Ciao”
la salutarono gli altri due. Cherise
si cavò il grembiule, prese la borsa e si allontanò, seguita da Marco. “Vai
a casa anche tu?” chiese lei. “Sì,
tanto Elena l’ho già salutata, e non è che mi vuole tra i piedi per tanto
tempo”. Cherise
gli sorrise tristemente. “Mi dispiace, Marco, forse stare con lei però ti fa
male”. “Stare
con lei è l’unica cosa che mi fa andare avanti invece” ribatté Marco. La
ragazza si fermò. E lui con lei. L’unica cosa che mi fa andare avanti. Cherise
guardò il ragazzo. Dietro tutte quelle lampade, tutte quelle acconciature, non
lo conosceva poi così bene. Non aveva poi neanche mai voluto conoscerlo. Marco
fece spallucce. “A me lei piace molto. Io non sarò mai veramente suo, ma lei
intanto è mia, e conta solo questo. E’ sbagliato secondo te?”. Cherise
aveva gli occhi sgranati. Perché ogni tanto appariva un Marco così serio?
Dov’era la proto-scimmia? “Voglio
dire” continuò lui “sono egoista non è vero?”. La
ragazza sorrise. “Sì, ma non è sempre sbagliato essere egoisti” disse “e poi
alla fine lo siamo tutti”. Marco
annuì. Riprese a camminare. “Dove vai in vacanza?”. Cherise
rise, camminandogli affianco “Non so neanche se ci vado!”. “Mr.
Sopracciglia Sporgenti non ti lascia andare?”. La
ragazza sgranò gli occhi. “Non chiamarlo così!” protestò, mollandogli un pugno
sul braccio. “Oh
come siamo violenti!” fece lui, parandosi. “Solo
perché non si va a fare la ceretta alle sopracciglia come te!” continuò
Cherise. Marco
spalancò gli occhi. “Seee questa è pesa Cher, di questa te ne pentirai!”. Uscirono
dal centro commerciale. Cherise
si sentì invadere dall’afa. Annaspò per un attimo. “Comunque
chiudiamo baracca ad agosto. E probabilmente andrò in riviera da qualche parte
con Andrea” disse. Marco
annuì. “Con la famiglia niente?”. “Non
è un gran momento per la famiglia…”. “Si
stanno separando?” chiese Marco, con semplicità. Cherise
sbatté le palpebre. “Sì, credo di sì”. “Non
chiama eh?” disse l’altro. “Già”. “Sono
dolori che passano” fece Marco “e poi, pensandoci bene, sono problemi loro, non
trovi? Stanno peggio loro di noi”. Cherise
annuì, pensosa. Una frase del genere poteva essere detta da uno che coi
genitori non ci aveva niente a che fare. Ma aveva ragione un po’. “Egoisti
fino in fondo eh?” fece la ragazza, sorridendo. Marco
fece spallucce. “Già che ci siamo…”. “Dai
vado truzzetto…” disse Cherise “la mia fermata è di qua”. Marco
si corrucciò. “Okay, punkettona, ci
si vede!”. E si voltò, incamminandosi. “Ma
quale punkettona!” gli urlò dietro la ragazza, indignata. Lui
si voltò all’indietro mentre camminava. “E che ne so c’hai addosso sempre
vestiti scuri!”. Cherise
fece per replicare ma il ragazzo, camminando all’indietro, aveva già quasi
investito una povera e innocente vecchietta. “Ops
scusa fratella” fece Marco, poggiandosi la mano sul cuore. La
vecchietta lo squadrò, dalle All Stars giallo evidenziatore alla punta dei
capelli ingellati. “Catvegna un cancar!”. Okay,
tanto povera e innocente non era. “E
tutti i tuoi amici sono al mare?”. “Esatto”. “E’
per questo che esci con me”. “Come?”. “No,
niente”. Giulia
distolse lo sguardo, attorcigliandosi una ciocca di capelli. Era un po’
nervosa. Era a casa di Luca, a casa di un ragazzo, ed erano soli. Avevano
girato un po’ per il centro ma il caldo li aveva vinti, e Luca aveva proposto
di salire in casa sua. Luca aveva
proposto… Ma
non farti viaggi mentali, si disse Giulia severa. Guardò
il ragazzo. Sì,
okay, era contenta di averlo come amico, però… beh, era decisamente carino. Ma
cos’era quello sguardo pensoso? “Perché
mi guardi così?” chiese. “Niente”
disse lui “a volte lasci le frasi a metà”. Aveva
gli occhi azzurri carichi di espressività. La prima volta che l’aveva visto le
era parso uno sguardo freddo, snob, chiuso in se stesso. Ma a guardarlo meglio,
le vedeva quelle sfumature nei suoi occhi, quella malinconia e quella dolcezza
che sprigionavano. Giulia
scrollò le spalle, con un sorriso. Luca
si sistemò meglio sul divano, con l’aria di uno che era imbarazzato a fare
certi discorsi. Era
proprio buffo con quella faccia. “Sai”
disse “a volte ho l’impressione che tu finga”. La
ragazza lo fissò, colta di sorpresa. Sì,
decisamente quel volto tanto severo prima aveva i lineamenti ammorbiditi. Prima
sembrava scolpito nella pietra fredda, alla perfezione. Ora era più umano. Ma
ancora più perfetto. “Come,
fingo?”. Fingo? Sì, fingeva. Ma
nessuno se n’era mai accorto. Luca
esitò. “No, niente, scusa”. Più umano, più perfetto. Giulia
gli si avvicinò. “Ora sei tu che lasci le frasi a metà”. Lui
la guardò negli occhi. Era vicino. Buffo, aveva qualche lentiggine sul naso.
Non le aveva mai viste. Aveva una dannata voglia di baciarlo. “Stai fingendo
anche ora?” fece lui. Giulia
scosse la testa. Levati la maschera, Giulia, fai quello che
vuoi fare. Avvicinò
il viso, chiuse gli occhi e lo baciò. Sulle labbra, morbide e calde. Per un
momento sembrò che lui ricambiasse ma poi la ragazza si sentì spingere via, piano. Aprì
gli occhi, stranita. Che aveva fatto? Ma che fai scema?! Baci le persone così di
punto in bianco?! “Scusa”
disse subito, una mano alla bocca, gli occhi spalancati. Luca
aveva uno sguardo non meno stupito. “Scusa tu”. “Come
scusa?”. “Io
non…”. “Tu
non vuoi” completò Giulia, annuendo “Non ti piaccio”. Luca
vagava con lo sguardo inquieto. Guardava tutto fuorché lei. “Non è che…”. Non è che? “Non è che cosa?” fece Giulia. Il
ragazzo aveva uno sguardo afflitto. “Non
puoi stare con uno come me”. Uno come te?! Giulia sgranò gli occhi.
Che discorso da film del cavolo era? “Come
sarebbe a dire?”. “Non
puoi volerlo”. “E
perché no?”. “Perché
no!” esclamò lui, alzando la voce. Non c’è bisogno di arrabbiarsi… Giulia
scattò dal divano come una molla. Si sentiva vicino alle lacrime. Molto vicina.
Guardò Luca con rabbia. Non poteva dire un semplice scusa ma non mi piaci? Certo, si sarebbe vergognata fino alla morte
ma sarebbe stato meno frustrante. Si
avviò a passo svelto verso la porta. “Dove
vai ora?” fece la voce di Luca. Che fai, Giulia, fuggi? No. Si
voltò indietro e tornò come una furia davanti a Luca. “Che
considerazione hai di te stesso?!” gli sputò in faccia. Lui
si alzò e si avvicinò a lei, scuotendo la testa. “Non puoi capire…”. “Credi
che io sia una persona tanto migliore di te?!” gridò lei, le lacrime agli
occhi. Calmati, Giulia, non fare scenate! Luca
era sbalordito. “Sì che lo sei!” fece dopo un attimo “Tu non capisci!”. Giulia
lo spinse. “Sì, io c’ho una famiglia bella unita, io sono una ragazzina
stupida, sempre allegra, non è vero? Sono migliore,
sono felice, non è vero?!”. “Non
credo che tu sia felice!” urlò Luca “Nessuno è davvero felice!”. “E
allora perché sono migliore di te…” fece Giulia, piangendo “Non mi conosci
neanche…”. “Io
vorrei conoscerti…” disse Luca, addolcendosi, mettendole le mani sulle spalle. “Oh
ma vaffanculo” fece lei ritraendosi. Basta, la situazione sta degenerando. Avanzò
verso la porta a passi decisi. L’aprì. Luca
non fece nulla per fermarla. Una
volta fuori, la ragazza si rigirò verso di lui. La
guardava contrito, triste, con quella malinconia negli occhi che lo rendevano
così bello. Perché non posso capire? “Siamo
tutti degli infelici e ci crogioliamo nel nostro dolore” disse “e non vediamo
neanche chi è disposto a darci una mano. Siamo tutti ingrati ed egoisti, sai
che novità”. Lui
non disse niente. Lei
tirò su col naso. “Ciao”.
Chiuse
la porta. Parlo anche di me. Aveva
detto tutti. Tutti. Cherise
era sul letto in camera sua, accoccolata tra le braccia di Andrea, che le
accarezzava la testa. “Voi
uomini siete molto orgogliosi non è vero?” chiese. Andrea
la fissò. “Stiamo parlando di tuo padre?”. La
ragazza non disse nulla. “Non
credo sia questione di orgoglio” disse lui. “Non
dico che dovrebbe chiamare la mamma. Ma chiamare noi sì” replicò lei. Andrea
sorrise, spostando una ciocca di capelli della sua ragazza per vederle meglio
il viso, corrucciato in una smorfia. “Si vergogna”. Cherise
si tirò su e lo guardò stranita. “Si
vergogna” ripeté lui “per essersene andato così”. La
ragazza sbuffò, incredula. “E’ un egoista”. Stai soffrendo… Andrea
le accarezzò il viso. Diceva che gli uomini erano tanto pieni d’orgoglio, ma lo
era soprattutto lei. Con tutti i problemi che aveva, non l’aveva mai vista
vacillare. La settimana scorsa era crollata. E lui ora non l’avrebbe più
abbandonata. “Non
tenerti tutto dentro, Cher, ci sono io”. Cherise
sbatté le palpebre. “Non ci sarai per sempre”. “Ci
sarò quanto basta, finché avrai bisogno di me”. Lei
rise, aggrappandosi al suo petto. “Non finché avrai bisogno tu di me?”. “Ma
io avrò sempre bisogno di te”. “Oh,
andiamo, non dire fesserie”. Andrea
rise. Cherise
prese un cuscino e glielo ficcò in faccia. “Le frasi da film non me le devi
dire!”. Andrea
rotolò all’indietro ridendo, portandosi con sé la ragazza. Si
trovarono stesi l’uno accanto all’altra. I
capelli di Cherise scompigliati invadevano la sua faccia. Avevano un buon
profumo. I suoi morbidi occhi color cioccolato avevano dei riflessi di luce che
ammaliavano, ammaliavano lui. “Ti
stuferai di me” disse Cherise “non sono né troppo simpatica, né troppo carina…
sono mediocre, e delle ragazze mediocri dopo un po’ ci si stufa”. “Dici?”
replicò Andrea “a me invece stufano le ragazze troppo qualcosa”. La
ragazza sorrise. “Non
posso sapere cosa proverò in futuro, non posso prometterti niente, Cher, ma so
per certo cosa provo in questo momento”. Cherise
chiuse gli occhi. “Non dirlo”. Andrea
riprese ad accarezzarle una guancia. “Perché?”. “Non
voglio crederci troppo”. “Chiamami
egoista ma io voglio che tu mi
ascolti e ci creda”. La
ragazza aprì gli occhi, e lo guardò col cuore che le batteva negli occhi. “Ti
amo, Cher” disse lui. Lei
chinò lo sguardo. “L’amore è solo una parola”. Andrea
si avvicinò e la baciò. “Stupida, è quello che io provo per te”. La baciò
ancora. “E non sminuirai ciò che provo dicendo che è solo una parola”. Cherise
ricambiava il bacio. Si
separarono. Quasi
gli sembrava che lei avesse le lacrime agli occhi. “Ti
amo anch’io, Andre…”. Un
rumore. La porta di casa si era aperta, dei passi. Cherise
si alzò dal letto. “Tonio, sei tu?”. Non
ottenne risposta. Andò
alla porta. “Tonio?”. “Sì!”
rispose la voce di un ragazzino irritabile “Sono io!”. Una
porta sbatté. Cherise
chinò lo sguardo. Andrea
leggeva la rabbia nel suo volto, una rabbia stanca. “Se
solo papà chiamasse lui…” mormorò la ragazza. Andrea
si alzò dal letto e la raggiunse. “Ci posso parlare io?”. Lei
lo guardò attonita. “Che vuoi dirgli?”. “Posso?”. Dopo
un attimo, Cherise annuì. E
Andrea uscì dalla camera. La
camera affianco doveva essere quella di Tonio. Sì, era un ragazzino di dodici
anni che era arrabbiato. Arrabbiato perché i suoi genitori non si parlavano più
tra loro, e perché non parlavano più con lui. Bussò la porta. “Tonio, sono
Andrea, posso entrare?”. Nessuna
risposta. Andrea
aprì la porta ed entrò. Tonio
era sul letto, con una faccia strafottente. Lo guardava in cagnesco. Sembra Luca… “Chi
tace acconsente” disse Andrea, con un sorriso. Non
un solo muscolo facciale del ragazzino si mosse. Sembra proprio Luca. E c’era
puzza di fumo. “Cher
mi ha detto che adesso stai molto tempo fuori con i tuoi amici” disse. Tonio
lo guardò scettico. “E allora?”. “Prima
non uscivi mai”. “Ho
smesso di piangermi addosso”. Andrea
annuì. “Hai fatto bene. Bisogna reagire”. Tonio
sembrava non avere nulla da obiettare. L’altro
continuò: “Sono loro che ti fanno fumare?”. Il
ragazzino mutò espressione. Sembrava spaventato. “Non lo dirai a…”. “No”
disse Andrea con un sospiro, sedendosi affianco a lui, sul letto. Tonio
tornò a guardarlo torvo. “Cos’è quell’aria da sant’uomo? Tu non puoi capire”. Andrea
si lasciò sfuggire un sorriso. “Sai”
disse “quando i miei genitori sono morti ho preso a uscire sempre, ad
ubriacarmi, a drogarmi…”. Tonio
sgranò gli occhi. “E’
stata una cosa stupida” continuò l’altro “mi sono bruciato un po’ della mia
vita. Non fare lo stesso anche tu, d’accordo?”. Il
ragazzino aveva chinato lo sguardo a terra. “Vorrei solo che chiamasse”. Andrea
annuì. “I papà non sono sempre forti, fanno degli errori anche loro, poi se ne
pentono, e non riescono a rimediare”. “Lo
stai difendendo?”. “No”.
Andrea rifletté un attimo. “Non devi rinunciare a essere un figlio solo perché
un padre ha paura di fare il padre”. “Lo
stai difendendo” ripeté Tonio. “Puoi
chiamarlo anche tu” insistette Andrea. Il
ragazzino lo stava guardando scettico. Ha ragione, un padre che ha paura di fare il
padre non merita un figlio che lo chiama. Eppure… “Se
io potessi, lo chiamerei mio padre”. Erano
tutti degli egoisti, ma prima o poi qualcuno doveva perdonare no? All’improvviso
Tonio sorrise. “Sei
quello che mi ha dato della coca spacciandola per coca-rum non è vero?”. Andrea
scoppiò a ridere. “Mi
dichiaro colpevole”. Ed è così bello che,
nonostante tutto l’egoismo, si riesca ancora a provare gioia nel veder
sorridere qualcuno…
Sono
già tornataaaaaa! Sorpresi vero? XD Proprio oggi ho avuto
il compito del recupero del debito di inglese, quindi giustamente
direi.. PAUSA! Che dire, questo capitolo è lungo rispetto ai
soliti e sinceramente è piuttosto ben fatto u.u si vede
che questo l'ho scritto con l'ispirazione!!
RachEl CullEn, siii Luca e Giulia carini XD ecco cmq Ado e Cher!! sìsì la coppia più bella! grazieeee Miriam_CulleN,
ahaahah l'ho sconvolta! che domanda ti viene da fare? XD no non sono
nè un uomo travestito nè guardo certi programmi!! ahahaah
ho solo una creatività perversa, e mi sono anche trattenuta
perché non ho messo il rating rosso! Luca e Giulia
sì, che truloni XD ma sì tranquilla le farà la
fatidica domanda.. (capitolo dopo -> Luca chiese a Giula: vuoi
sposarmi? iiiips O.O) mamma che crudele Neda XD però è
bello che salti fuori così, te lo tieni proprio dentro con te
quel personaggio! Un film che si intitola "Tre metri sotto terra",
sì perché no? alla faccia di Moccia.. (prima che tu
inserissi la seconda recensione ero perplessa che non avevi ancora
messo niente..pensavo di non capire io o.o). cmq grazie mille per la
solita recensionona! RedTears, ahahah il saggio Daniele c'è sempre!! ok Giulia la odi.. Marco lo odi.. Tonio! truloneeeeee! ^^
Rega,
perché sono sparite le liste di chi ha messo la storia tra
preferiti e seguiti? T.T nooo ero così orogliosa di vedere quei
numeri crescereee ma fuuuck!! vabbò, motivo in più per
cui voglio recensioni! no scherzo fate quello che volete XD ogni parola
però è sempre ben accetta. ciaooo alla prossimaaa (che sarà, direeei verso l'inizio delle vacanze di Pasqua, non mancherò!!) baci,
AVVISO:
Nel capitolo "Voglia e Desiderio" ho aggiunto una parte che mi ero
scordata.. per favore, prima di leggere cooodesto capitolo, leggete
ciò che ho aggiunto: sono due sequenze, una di Cher e una di
Elena XD grascie
Non ci vuole mica
molto, ormai il peggio è passato. Mattia, dopo una buona mezz’ora di auto
convincimento allo specchio, si diresse in cucina dove sua madre stava
tagliando le verdure. Entrò. L’odore di cipolla gli penetrò con prepotenza le
narici. Odiava la cipolla. Sua madre aveva gli occhi arrossati. “Mamma” fece Mattia. “Dimmi” rispose Lorenza, asciugandosi gli occhi. Ma prima che lui poté parlare, lei continuò: “A te
fa schifo la cipolla, contento eh? Però fa bene sai, dovremmo…”. “Mamma” insistette Mattia. Non c’è bisogno che ti sforzi di conversare. Lorenza alzò gli occhi verso di lui. “Volevo dirti che la prossima settimana vado
qualche giorno al mare… posso vero?” disse il ragazzo, titubante. La madre fece un sorriso incoraggiante. Forzato, decisamente forzato. “Certo… dove andate?”. “A Cesenatico, abbiamo trovato un hotel a due
stelle”. Lorenza annuì. “Ci vai con i tuoi amici?”. Ancora quell’enorme sorriso. Troppo grande per essere vero. Mattia esitò. Beh, che c’è, si disse, dille la
verità. Tanto il peggio è passato. “No, mamma, ci vado con Roberto”. Il coltello cadde per terra. Lorenza sobbalzò. “Oh, che imbranata” fece con una
risatina. Si chinò e raccolse il coltello. “Chi è Roberto, caro?”. Mamma, smettila. “E’ il mio ragazzo”. Lorenza annuì. Riprese a tagliare la cipolla. “Sì,
d’accordo”. Passò qualche attimo. Poi le sfuggì un singhiozzo. “Mamma, ti prego…” cominciò Mattia. “Sono le cipolle, Matti” disse la madre,
riprendendosi “mi fanno sempre piangere, sto cominciando ad odiarle anch’io”.
Prese le cipolle, intere e i pezzi, dal tavolo e buttò tutto nella pattumiera. “Mamma, che diavolo…”. Mattia era allibito. Lorenza continuava a parlare: “Che ne dici eh?
Meglio così, siamo tutti più contenti. Perché non ordini la pizza per tutti e
quattro? Papà sarà di ritorno tra poco”. Cazzo, respira. “Lo puoi dire tu a papà?” chiese Mattia, lo sguardo
fisso nel bidone. “Dire cosa, tesoro?”. “Che vado al mare con Roberto”. Lorenza ebbe un tremito. “Davvero? Allora comincia
a pensare che vestiti portarti così non li indossi in questi giorni”. Mattia la guardò stranita. La madre continuò, tranquilla: “Dopo non riesco a
lavarteli in tempo”. Sì… “Ora sono stanca, vado a riposare”. Lorenza si allontanò e si diresse in camera sua. La
porta si chiuse e tutto ciò che rimase fu silenzio. Pazza. Mattia camminò a veloci passi arrabbiati verso la
sua stanza. Cretina, ti costa
tanto accettare la verità? Perlomeno sua madre faceva degli sforzi. Suo padre
niente. Siete tutti degli
idioti! Era così difficile comportarsi normalmente? Bella roba. Bella famiglia che erano. La famiglia
che i suoi compagni di classe invidiavano. “Bella roba!” esclamò. Aprì l’armadio. Tirò giù la valigia che cadde a
terra con un tonfo. Non ci rimango più
in questa casa! “Non ci rimango più!”. Sentiva dei singhiozzi provenire dalla camera di
mamma. Che cazzo piange,
dovrei farlo io. Calciò la valigia in un angolo e aprì i cassetti. “Mattia!”. Mattia si voltò. Giulia era sulla soglia di camera sua. “La stai facendo piangere!”. Lui la guardò con odio. “Non ci rimango un attimo di più con quei pazzi!”. Buttò delle mutande, dei calzini, dei vestiti alla
rinfusa nella valigia. “E dove vai a stare?” fece Giulia “Dal… dal tuo
ragazzo?”. Mattia chiuse la valigia. Alzò lo sguardo e fissò
la ragazza. Quell’espressione… “Lo so che mi disprezzi anche tu”. Prese la valigia e fece per trascinarla fuori dalla
stanza. Giulia gli si parò davanti col furore negli occhi.
“Io non ti disprezzo affatto! Non voglio che tu te ne vada!”. Sarebbe bello se
tu lo pensassi davvero… “Dai, sposati”. Ma la sorella non demordeva. “La mamma ci sta
provando…”. “Non è una malattia che bisogna accettare provando
a non piangerci sopra ogni volta!” esclamò Mattia. Alzò la voce: “Capito,
mamma?! Non è una malattia!”. Giulia aveva il volto risentito. “Hai ragione,
Matti… Ma dalle tempo…”. “E a papà pure serve tempo?” scattò Mattia “Papà ha
intenzione di non parlarmi più fino alla morte!”. “Papà è un uomo” disse Giulia “prende queste cose
in modo stupido ma capirà!”. “E io cosa sono? Non sono un uomo?”. “Tu sei…”. Giulia si bloccò. Io sono cosa? Mattia scosse la testa e spinse la sorella da parte. Lei si lasciò
spostare senza dire niente. Ma quando lui fu sul punto di aprire la porta di
casa lei parlò rincorrendolo: “Mattia ti prego!”. Lui si voltò. Lei aveva il viso rigato di lacrime. “Non è niente, Giuli, tornerò. E’ solo che ora
voglio stare lontano da loro… Capisci no?” fece lui. La ragazza annuì tristemente. Mattia spalancò la porta. Che devo dire ora? “Ciao”. “Ciao”. E lui uscì. Scese un paio di gradini e aprì il portone di
ingresso del palazzo, trascinandosi dietro la valigia. Sarebbe andato da Roberto, poi sarebbero andati
insieme al mare. E al suo ritorno forse il peggio sarebbe passato. Qualcuno gli passò accanto. Si voltò. Un ragazzo stava scrutando i campanelli. Era Luca. Luca Mancini. Perché è qui? “Luca?” disse. Il ragazzino si voltò. “Oh. Ciao” disse, senza il minimo entusiasmo.
Guardò distrattamente la valigia di Mattia. “Chi cerchi?” chiese questi. “Giulia” rispose l’altro “è in casa?”. “Ah. Sì”. Giulia stava uscendo con Luca Mancini? Si vedeva
col fratello di Elena? “Parti?” chiese Luca. “Per un po’” rispose Mattia. Io non sapevo
niente. “Beh, sì, ovvio, non credevo mica che te ne andassi
per sempre” fece il biondo. Per sempre. Era una proposta allettante. Ma Giulia lo aspettava. “Okay… ti lascio andare… ciao” disse poi Luca,
suonando il campanello dei Parisi. Mattia annuì facendo un cenno e si voltò. Già, Giulia lo aspettava. Non sapeva neanche chi frequentasse. Non parlavano
mai. Non è niente,
Giuli, tornerò. L’avrebbe rivista presto. Giulia gli era parsa confusa al citofono. Abitava al pianoterra. Ancora due passi e l’avrebbe vista. Luca si fermò di fronte alla porta. Quella si aprì
subito. Giulia aveva addosso dei una canottiera lunga e dei
pantaloni larghi. Era in ciabatte, struccata e spettinata. Buffa. Non l’aveva
mai vista così. “Potevi anche avvisare” mugugnò la ragazza. “Scusa” disse Luca “all’ultimo momento ho deciso
che volevo parlarti”. “Okay… entra”. “Sei sola?”. “Più o meno”. Luca entrò. “Hai sete?”chiese la ragazza, pronta a scattare
verso la cucina. “No, grazie”. Lei fece spallucce. Luca si sedette sul divano. Lei si accomodò al suo
fianco. “Fico, hai il condizionatore” disse lui, godendosi
quel momento di fresco. “Già” disse lei. Silenzio. Che cazzo. “Ehi, che sguardo serio” disse Giulia, ridacchiando
“mi devo preoccupare?”. “No” disse subito Luca “è solo che… volevo scusarmi
per l’altro giorno”. “Sì okay, non ti preoccupare”. “Ci mettiamo una pietra sopra?”. Lesse la delusione negli occhi della ragazza. “Ho confuso troppe cose” spiegò, chinando lo
sguardo “Io ora voglio un’amica”. “Un’amica” ripeté Giulia, annuendo. Era triste. “Mi è già capitato di confondere l’amore con altre
cose” continuò Luca “E l’amore distrugge le cose. Le crea anche, ma soprattutto
le distrugge…”. Giulia lo fissava con attenzione. Non aveva amici, fingeva di essere felice, si era
avvinghiata a lui. Forse anche lei stava confondendo amicizia e amore. Siamo entrambi
troppo complicati per stare insieme. Sì, era carina, simpatica… ma non c’era altro. Se la sarebbe fatta, certo, ma perché rovinare
tutto? “Mi stai dicendo che non vuoi rovinare l’amicizia”
disse Giulia con un cipiglio marcato. Suona patetico, lo
so. “Non funzionerebbe” disse Luca “e poi, sai, io ti
considero un po’come la mia migliore amica”. A Giulia sfuggì un sorriso. “Non ti confidi molto
in realtà”. “Con i migliori amici non c’è bisogno di parole”
disse Luca. La guardò. Coglieva spesso quel velo di tristezza che increspava il
verde dei suoi occhi. Quello stesso velo che si sentiva addosso. “Lo so che mi
capisci”. “Avevi detto che non potevo capire”. “Sbagliavo”. Giulia singhiozzò. “Non so se essere felice o
triste”. “Ehi…”. Luca la cinse col braccio. Sentiva un naturale istinto di proteggerla da tutti
i mali del mondo, lui che ne aveva passate tante. Anche l’amore era un male
dopotutto, almeno per lui. L’amore
distrugge, l’amicizia trasforma. “E’ solo che tu sei stato l’unico che si è accordo
di come sto veramente…” fece Giulia, con le lacrime agli occhi. “Lo vedi, siamo due complessati” disse Luca, con un
sorriso “abbiamo bisogno di tirarci su di morale”. Giulia rise. “Arriverà qualcuno prima o poi” fece,
attorcigliandosi una ciocca di capelli. Si voltò verso Luca e lo guardò con un
dolce, triste sorriso. “Non vedo l’ora di essere felice”. Luca sentì una stretta al cuore. Buffo come non si è quasi mai ricambiati in amore. Buffo e anche un po’ triste. “Non mi amaaa! Sto cominciando ad odiarlaaa!”. Cherise scoppiò a ridere. “E’ una canzone?”. Marco ridacchiò. “Sì, una canzone by Marco
Castellani”. “Come suona male il nome di questo cantante…”. Il ragazzo alzò una mano come per sferrarle un
pungo e lei si parò ridacchiando. Lui mise giù la mano e bevve un altro sorso. Erano all’Irish
Pub. Solo loro due. Com’era strano il mondo. Ad un certo punto della
tua vita ti ritrovi a frequentare una persona che prima odiavi con tutto il
cuore. Però era divertente. Andrea quella sera lavorava. Non se la sarebbe mica
presa. E poi il mattino dopo sarebbero partiti, e sarebbero stati un’intera
settimana da soli. Ebbene sì, col Pianeta
aveva chiuso. “Come sono felice!” esultò. “Non temere, sorella, non temere” disse Marco
accarezzando il bicchiere. Cherise rise. “Ma tu sei ubriaco forte!”. L’altro sorrise. “No, faccio un po’ finta”. “Ma per favore!”. “Parla quell’altra che ha una voce di un’ottava più
alta!”. Ma perché
prima lo odiava? Era simpatico, e pure carino. L’alcol mi fa
proprio uno strano effetto. Era la prima volta che l’alcol le faceva vedere dei
truzzi carini. Al sol pensiero Cherise scoppiò ancora a ridere. “Ma che ridi!” fece Marco. La ragazza poggiò le gambe sul divanetto e poggiò
la schiena contro le spalle di lui. “Mi dispiace che sparlo con te della tua migliore
amica” disse il ragazzo, d’un tratto serio. “Ex migliore amica” ribatté Cherise. “Come?”. “E’ una pessima amica…”. “Ah”. Marco rise. “E una pessima fidanzata”. “A quanto pare…”. Marco chinò lo sguardo sul suo viso. “Non credevo
che tu fossi così”. “Così come?”. “Boh. Pensavo fossi peggio”. “Beh, altrettanto”. “Sì, che tu mi odi l’ho sempre saputo”. Cherise sorrise. “Non ti odio mica più”. Marco le accarezzò la fronte, scostandole i capelli
dal viso. “Mi fa piacere”. “Ma” fece la ragazza alzando un dito “questo non mi
porterà via dalla retta via, non diventerò seguace dei truzzi, né simpatizzerò
con loro, né li considererò degni di vivere…”. Ma non finì la frase. Marco si era avvicinato. E l’aveva baciata. Boom. Il ragazzo si separò, con un po’ di ansia che
trapelava dagli occhi. Voleva vedere come reagiva? “Tranne me no?”. “Tranne te” boccheggiò Cherise. Marco si rilassò e la baciò ancora. La ragazza ricambiò il bacio senza neanche pensarci. Smettila. Continuava a baciarlo. Che diavolo stai facendo E’ solo un bacio. E’ per l’alcol,
deve essere sicuramente così. Ma no, lui mi piace. Pensa ad Andrea! Cherise si staccò improvvisamente come se avesse
preso la scossa. E ad Elena… “Scusa” disse Marco, come in stato di shock. “No… scusa tu…” fece Cherise, rossissima “ora… ora
è meglio che vada”. “No, aspetta, scusami…”. La ragazza si alzò, trafelata. “Sì sì tranquillo,
non… non…”. “Una bella pietra sopra eh?”. Cherise lo guardò sollevata. “Sì. Ma ora vado a casa”. 3 3 9 Tonio si bloccò. I papà non sono
sempre forti. Su, dai, chiamalo, si disse. Non ci vuole mica
molto, il peggio è passato. Mamma ormai si era ripresa. Andava a lavorare,
cucinava, parlava anche un po’ di più con lui. Cherise era felice con Andrea e
lui aveva preso quel maledetto telefono in mano. Andrea gli piaceva molto. Sperava che lui e Cherise
si sposassero. Sì, ma tra molto
tempo eh. 5 4 6 2 Al massimo non avrebbe risposto. Che ci voleva? 1 6 Ma che gli avrebbe detto? Ciao papà, quando
torni? Non voleva sentirsi dire mai. Forse invece è
meglio sentirlo. 9 Poggiò la cornetta vicino all’orecchio. Tu… tu… tu… tu… Mamma diceva sempre di non chiamare i cellulari dai
numeri fissi. Si sarebbe arrabbiata. E’ per una buona
causa. E poi lui il cellulare non ce l’aveva ancora. A
mali estremi, estremi rimedi. “Pronto?”. Era lui! Era la voce di papà! “Pronto papà!” fece. Ci fu un attimo di silenzio. “Tonio… sei tu?”. “Sì!”. “Ciao… come stai?”. “Potevi chiamare”. Essere un Figlio
per trasformare un padre in un Padre. “Lo so, Tonio… Avevo paura che stessi male… che piangessi
e mi scongiurassi di tornare a casa… Non avrei sopportato di doverti dire di no…”. “Non tornerai mai più?”. “Certo che tornerò. Per te e Cher”. Ma non a vivere
con noi. Tonio trattenne un singhiozzo. Si era solo illuso
con quel telefono in mano. “Ci dobbiamo vedere al più presto, Tonio…”. “Sì” rispose il ragazzino, confortato. Gli mancava
il suo papà. “Non ti ho cercato perché pensavo mi odiassi”. “Non ti odio”. Sarà contento di
saperlo. “La mamma come sta?”. “Il peggio è passato”. “Cher?”. Tonio sorrise. “Si è messa con uno che è un po’ un grande”. Sentì la risata di suo padre, quella risata che non
sentiva da così tanto tempo.
Restò molto tempo al telefono con papà. La mamma si sarebbe arrabbiata, ma poco importava. Ora che erano separati li sentiva un po’ più vivi. Cherise l’aveva detto che era meglio così. Forse perché è vero che l’amore le distrugge un po’
le persone. Sì, un po’ sì. Cherise scese in un battibaleno. Ora che sapeva che Tonio aveva parlato con papà,
poteva partire più tranquilla. Anche lei avrebbe parlato con papà, in un
secondo momento. C’era in realtà qualcos’altro che la opprimeva… Raggiunse la macchina di Andrea parcheggiata sotto
casa sua. Lo vide andare verso di lei e prenderle la valigia. Lo vide aprire il bagagliaio e sistemarla al suo
interno. Poi tornò da lei e la baciò. Le fece un sorriso
enorme. “Come va?”. “Bene” disse Cherise. Ho baciato un altro. “Com’è andata ieri sera?”. “Oh, niente di che, ci siamo divertiti però”. Ho baciato un altro. “Benone, perché sta settimana, te lo giuro, ti
divertirai ancora di più!”. Ho baciato un
altro. Cherise rise. Ho
baciato Marco! “Almeno spero…” fece Andrea “Dai andiamo”. Era raggiante. Sì, lo era anche lei. Era contentissima di partire
con lui. Però aveva baciato Marco. E si sentiva in colpa. Eppure era riuscita a mentirgli. Sì, doveva fare
così, non dirgli niente. Assolutamente niente. Dato che era una cosa di
pochissima importanza, non doveva dirgli niente. Salì in macchina. Era riuscita a comportarsi normalmente. E avrebbe continuato a farlo. Il peggio è
passato. Ma il conto alla rovescia per la
tragedia era già cominciato…
Sorry sorry, avevo detto che pubblicavo per le vacanze di Pasqua!! beh
sono state tutt'altro che vacanze u.u se no avrei trovato il tempo per
scrivere qualcosa... Ora diciamo che me lo sono trovato forzatamente
perché nei prossimi giorni dovrò studiare tante belle
cose come la termodinamica e poi partire per la gitaaaa! oh yes 5
giorni in Puglia! c'è qualcuno della Puglia qui? beh
arriverò a breve (non so manco in che città andiamo -.-) Dunque
Morgana,
hai cambiato nome!! grazie mille per avermi detto dove sono i seguiti e
i preferiti, che rinco che sono non ci sarei arrivata XD grazie anche
per la recensione XD Miriam_Cullen,
grazie mille per il solito papiro che io apprezzo tanto! Elena è
odiata da tutti nuooo! E Luca e Giulia.. eh mi dispiace, ma se ci pensi
tra quei due non sarebbe funzionato un gran ché, anche se sono
pucciosi *.* il pappagallo lo accetto volentieri, visto che non ho
recensito così presto : D hihi alla prossima ElisabethXD, a cui piacciono sempre tanto i miei capitoli XD grazie milleeee spero che tu non ci rimanga troppo male per Luca e Giulia :DDD The Corpse Bride,
grazie mille! Sì, forse la scena di Giulia è un po'
esagerata, ci avevo pensato anch'io ma io adoro andare verso il tragico
*.* lo so il tragico non è poi tutto sto realismo ma che ci
posso fare >< hihi cmq per l'ultimo pezzo della tua recensione
sì, io sono abituata a giudicare le persone un po' così
(mea culpa), rimango convinta delle mie osservazioni ma sono sicura che
ci siano le eccezioni! chiedo scusa se ho offeso in qualche modo ^^' la
mia linguaccia .. RedTears,
basta con sto grande amoreee è inutile che tiri fuori Daniele ha
fatto capuuuut! anzi no.. mi sa che tornerà :DD sì Red un
po' tutti qua impersonano i Grandi Saggi, bello eh? per quella cosa su
Elena e Marco, ci ho pensato parecchio se era come dici tu o come
dicevo io.. ma te l'ho già spiegato su MSN secoli fa cosa
intendevo e non ho intenzione di ritirarlo fuori anche perché
non me lo ricordo più XD ah sì, lui con "non sarò
mai suo" intendeva: "lei non mi considererà mai veramente suo".
appppposto? E sì, come vedi Giulia e Luca non staranno insieme,
non ci azzeccano in niente l'uno con l'altra lo so, lo sapevo fin
dall'inizio :P Arcadia_Lovegood,
grazie grazie! adoro quando mi dicono che costruisco belle frasi XD
spero che anche questo capitolo ti piaccia, nonostante la coppia
Giulia-Luca sia naufragata.. :DDD
Ma
perché vi siete tutte fissate che manca poco poco alla fine?
Beh, sì speravo di concludere in fretta ma.. u.u per fare una
cosa decente mi servono altri tre capitoli, se non quattro +
l'epilogo! Mi spiace ragazzuole, dovrete resistere ancora un po'! -> periodo allucinante -> gita -> MAGGIO (l'Incubo) morale della storia: non so quando pubblicherò di nuovo. :D baci
Non poteva certo andare avanti così. Lui era lì, davanti a lei, inerme come del resto lo
era sempre stato. “Marco, ascolta” disse Elena. Il ragazzo alzò lo sguardo, i capelli ingellati,
l’orecchino splendente, le gote scurissime. Chi l’avrebbe mai detto che si
sarebbe messa con un tipo simile? “Ci ho pensato molto e… non provo più quello che
provavo prima”. Se l’aveva mai
provato… Marco chinò lo sguardo, lo sguardo di uno che già
sapeva. Elena si mordicchiò il labbro. Forse era vero che
lui era innamorato di lei. E lei l’aveva illuso. Il suo cuore si indurì. Cose che capitano… “Rimaniamo amici, che dici?”. La frase tanto odiata. Non si rimane mai
amici. Marco sgranò gli occhi per un attimo. “Certo” disse
solo. Quegli occhi tristi… Qualcosa si ruppe nel cuore duro di Elena. Una crepa. Lei gli si avvicinò. “Passa. Passa tutto”. Il ragazzo rimase in silenzio. “Ma intanto fa male”
disse poi. Un’altra crepa. Fa male per tanto
tempo… Elena socchiuse gli occhi, sforzandosi di non
provare niente, di lasciarsi scivolare tutto addosso. “Ci vediamo a settembre allora”. Marco annuì. Poi si alzò, mise dei soldi sul
tavolo, e uscì dal bar, senza una parola. Elena fissò le monete sul tavolo. Si era aggrappata a Marco per chissà quale motivo. Sì, forse per non lasciarsi sprofondare
nell’abisso. Ma l’amore è un altro abisso. L’hotel era carino, il posto era carino. La
compagnia poi era magnifica. Maledetti sensi di
colpa. Cherise era stesa sul letto, circondata da costumi
e canottiere. “Quando hai intenzione di mettere a posto la tua
roba?” la incalzò Andrea. La ragazza soffocò una risata. Lo guardò. Lui aveva occupato perfettamente il suo
spazio nell’armadio, la valigia vuota, riposta sotto il letto. “Allora?” continuò Andrea, guardandola severamente. Cherise scoppiò a ridere. Si alzò pigramente. “Ma
quanto siamo diversi io e te?”. Il ragazzo sorrise. “Non abbastanza per odiarci”
disse abbracciandola. Cherise si sentì stringere tra le sue braccia, il
suo cuore prese a martellare nel petto, qualcosa nello stomaco si attorcigliò.
Non erano farfalle, era un più un vermone che si contorceva. Maledetti sensi di
colpa… “Stai bene?” sussurrò Andrea. “Sì” rispose Cherise dopo un attimo. “Sei felice?”. “Sì”. La poggiò delicatamente sul letto e la baciò sul
collo. Cherise sentì le sue labbra, il suo mento, il suo
naso tutti lì e lei ridacchiò, agitando le gambe. Andrea alzò la testa con un sorriso. “Solletico?”. “Pungi” ribatté la ragazza passandogli una mano sul
mento. Lui le prese la mano e finse di morderla. Lei la ritrasse con una smorfia. Lui la riprese, ci giocherellò un po’ e la baciò.
Poi tornò al suo collo, e poi fu il turno della bocca. Giocarono un po’ con le labbra, Andrea premette
delicatamente il suo viso contro quello di Cherise e lei aprì leggermente la
bocca. Le loro lingue si scontrarono dolcemente e si intrecciavano con foga
armoniosa. Ma il viso di Andrea premeva ancora e il turbine
creato dalle lingue divenne sempre più furioso. Cherise si lasciò trasportare,
accarezzando la testa del ragazzo mentre sentiva la mano di lui andare giù,
pronta a insinuarsi nei pantaloncini di lei. Era un bacio più passionale del solito, Cherise
intuiva le intenzioni del ragazzo. Faticava a respirare ma rimase lì,
intrappolata piacevolmente in quell’abbraccio, a toccare quei capelli morbidi,
quelle spalle robuste. E le mani di lui percorrevano veloci il corpo della
ragazza. Cherise sentì il suo tocco morbido sulle gambe e sui fianchi. Lo sentì
mentre si inseriva con tutta calma sotto la sua canottiera. Lei continuò a far
scivolare le mani sulla sua schiena, toccò appena le sue natiche e lo sentì
ridacchiare contro la sua bocca. Cherise sentì le guance in fiamme ma ridacchiò
anche lei, continuando a baciarlo, mentre la mano di lui si insinuava
finalmente sotto le mutande. La ragazza lo lasciò fare, separò un momento la sua
testa da quella di Andrea per dare respiro alla bocca, specie in quel momento.
Poi continuò a baciarlo con foga mentre lui lavorava frenetico. Si sentiva bene, il cuore martellava ancora in
petto e lei era felice. Sì, poteva dimenticarsi del resto, quel resto che non
aveva nessunissima importanza. Non era necessario che nessuno sapesse, perché quello
non aveva nessuna importanza… Cherise respirava contro la bocca di Andrea, le
loro lingue continuavano a intrecciarsi, ora lentamente, ora furiosamente,
rendendoli prigionieri di un bacio che sarebbe potuto essere senza fine. Ma la fine arrivò presto. Una suoneria invase quel momento e Cherise mugugnò,
riconoscendo che era il suo cellulare. Cercò di sgusciare via dalle braccia di Andrea ma
lui non la lasciava andare. Ridacchiò. Separò la bocca dalla sua e gli prese la mano portandola
via. Lui mugolò. “Devi proprio rispondere?”. Cherise afferrò il cellulare dal comodino. “Se è
mia mamma e non rispondo dopo mi fa una solfa…”. Ma non era sua madre. Rimase un attimo perplessa a fissare il nome sullo
schermo del telefono. Marco. Un passo a destra, uno a sinistra, poi uno avanti e
ancora avanti. Giulia ballava le note di Lady Gaga , passo per
passo, fissando lo schermo, seguendo ogni freccetta. Appena arrivati al Bowling di S.Lazzaro, Giulia si
era precipitata nella sala giochi puntando un gioco ben preciso e Luca aveva
subito esclamato: “Non quel coso per ragazzine sceme!”. Dance Dance Revolution. Giulia si divertiva tanto. Sentiva dietro di sé Luca che la fissava,
sicuramente con una faccia da stoccafisso. Trattenne una risata. Doveva
concentrarsi. Un passo indietro, uno avanti, un salto, due salti, tre salti. Forse era vero che lei e Luca erano troppo diversi,
troppo problematici per poter stare insieme. Le sarebbe piaciuto però… “Minchia Giulia fai paura!”. Giulia sorrise. Andava bene così. La canzone finì. Voto A-. La ragazza lanciò un gridolino felice e si voltò.
Vide Luca scuotere la testa col viso tra le mani. Gli fu subito addosso. “Cosa
vorresti dire eh?”. “Oh niente niente” bofonchiò lui. L’abbracciò. Giulia ridacchiò. Sì, perché rovinare i bei momenti
volendo che siano diversi? Era ora di smetterla di piangere per ciò che non si
aveva e di cominciare a essere felici per quello che si aveva. Ogni tanto piangeva, ogni tanto pensava a lui, al
suo sorriso, al suo profumo… Ma sarebbe passata. Sì, ne era sicura. E sarebbe
stata felice. Alzò il capo verso di lui. I suoi occhi azzurro cielo, i suoi capelli sempre
in disordine che odoravano di buono, il suo sorriso raro, che si faceva
attendere ma che quando c’era faceva esplodere tutto attorno… Sorrise. “Dai, ora decidi tu, che facciamo?”. “Che voleva Marco?”. “Era un po’ giù… Elena l’ha mollato”. “Ah… Come mai?”. Cherise guardò Andrea stupita. “Elena non è mai stata innamorata di lui”. “Ah”. Andrea non sembrava sorpreso. Cherise aggrottò la fronte. “Sei mai stato con una
persona senza essere innamorato di lei?”. Dopotutto sapeva che era possibile. Daniele ne era
la prova. Era una cosa che non capiva. Che bisogno c’era di stare con una
persona se non la si amava? Ma Andrea
rispose: “Sì”. Cherise si fermò. Era sera, erano sul lungomare, in cerca di un
ristorante. “Come?”. “Sì, è una cosa normale in realtà. Tu ci provi e
quando capisci che davvero non c’è amore lasci perdere”. Sì, forse… “Dopotutto di amore ce n’è poco in giro… Lo trovi
poche volte. Forse è vero che ci si innamora una volta sola”. Una volta sola… “Ti sei mai innamorata tu?”. Che domanda era? Avrebbe dovuto rispondere: sì, di
te? Sentiva il cuore battere forte, non sapeva che
dire. Prova a essere te
stessa. “Io… non lo so… credo di non aver ancora capito
bene cos’è l’amore”. Pensò di aver detto una cagata ma vide Andrea
sorridere. “Tu hai detto che l’amore è solo una parola”. Sì, l’aveva detto. Ma non ne era mai stata
convinta. L’amore esisteva, l’aveva provato… Ma aveva sofferto talmente tanto
che poi aveva preferito convincersi che l’amore fosse solo una parola. Che non
esistesse. Sapeva di non averci mai creduto troppo. Se ci avessi
creduto sul serio non sarei caduta subito tra le braccia di Andrea… Come poteva spiegare quello che provava? Ci provò: “Io… io so solo che è un qualcosa che ti
prende lo stomaco, il cuore e il cervello tutti insieme, non ti fa più
concentrare e ti fa perdere di vista le cose importanti. E poi finiva tutto, facendoti
credere che fosse solo un’illusione… Credo non mi sia mai piaciuto l’amore” Prese fiato. Guardò Andrea. Aveva uno sguardo molto
serio. “Anche adesso non ti piace?”. Gli aveva detto che l’amava. Gliel’aveva detto. Lo fissò in silenzio. Quello sguardo la
scombussolava ogni volta. Sentiva la testa lavorare febbrile, il cuore in gola,
qualcosa che si agitava nello stomaco. La prima volta che aveva sentito le
farfalle nello stomaco aveva pensato di avere fame. Mangiava ma non se ne
andava. Non se ne andava. L’amore non se ne andava. Lei lo amava Andrea. “Adesso sì”.
Andrea sorrise. “Mi sento onorato” disse, pomposamente. Cherise scoppiò a ridere. Era così carina quando rideva. Stavano insieme da poco tutto sommato… Sentiva
davvero di amarla? Forse aveva accelerato i tempi, le aveva già detto che l’amava
ma era quello che sentiva. Quello che sento. In realtà non era sicuro di quello che sentisse
Cherise. Aveva un’idea troppo realistica dell’amore per poterlo amare dopo così
poco tempo. La guardò con un’improvvisa paura di perderla. Dei ragazzi la fissavano. Lei si era allontanata un momento per guardare i
prezzi di una pizzeria. Quelli continuavano a fissarla. Si erano avvicinati a lei. Le stavano dicendo qualcosa. Andrea si avvicinò ma lei li stava già
allontanando. Quelli se ne andarono e i due ragazzi rimasero
soli. “Che hanno detto?”. “Niente, tentavano un abbordaggio…”. Andrea rise. La ragazza lo guardò stralunata. “Dovresti
arrabbiarti”. “Perché? Mica è colpa tua”. “No, non con me però… dovresti essere un minimo
geloso”. “No, avevo solo paura ti dessero fastidio”. Cherise sbatté le palpebre. “Sei molto sicuro di te
non è vero?”. “Affatto” sospirò lui “è che non voglio tenerti
legata a un guinzaglio”. La ragazza non sembrava convinta. “Non… non mi
consideri tua?”. Andrea sgranò gli occhi. Ma che c’entrava? Era la
sua ragazza, certo. “Non voglio essere troppo possessivo, la gelosia è
orribile, finirebbe per farci del male e basta” spiegò. Ancora Cherise non sembrava soddisfatta della
risposta. “Ma… okay, niente”. No, non voleva vederla così ora. “Che c’è? Dimmi” fece Andrea. “Niente”. “Andiamo, non dirmi niente… ho detto qualcosa che
non andava?”. Cherise lo guardò con sarcasmo. “Oh no, ti sei
spiegato perfettamente”. “Non credo… che hai capito?”. “Che posso andare con altri ragazzi e la cosa non
ti darebbe fastidio”. Andrea rimase attonito. “Certo che mi darebbe
fastidio, ma se è quello che vuoi non posso impedirtelo”. “Stiamo insieme da due mesi! Dovresti essere
supergeloso!”. Cherise sembrava arrabbiata, stava alzando la voce.
Non aveva capito, non aveva capito niente. “Non hai capito, Cher… Io ti voglio tutta per me ma
non voglio tenerti legata, voglio che tu sia libera, non che mi tradisci o che
mi menti, solo che tu…”. “Ho baciato Marco! Non ti dà fastidio?”. Andrea tacque. “Come?”. Cherise era esterrefatta, la bocca ancora
semiaperta, una mano davanti. “Che hai fatto?” ripeté lui. “Io… non sapevo se dirtelo… eravamo ubriachi, non…
non voleva dire niente!”. Andrea si mordicchiò il labbro. Non voleva essere
geloso, non voleva che lei si sentisse prigioniera, voleva che lei si divertisse
e avesse la sua vita. Ma non in quel
senso. Voglio che tu sia
libera, non che mi tradisci o che mi menti. Andrea serrò la mascella, con un macigno nel petto.
In realtà non era sicuro di quello che Cher
provasse per lui. Dopotutto voleva che lei facesse le sue scelte, e che si
sentisse libera di andarsene quando voleva. Ma aveva così tanta paura di perderla. “Sì, mi dà fastidio. Contenta?”. Senza guardarla in faccia, senza più neanche una
parola entrò nella pizzeria. Sentì i passi malinconici di Cherise dietro di sé. Aveva passato una bella giornata. Dopo essere stati a S. Lazzaro, Giulia e Luca erano
stati un po’ in centro, prima di lasciarsi. Ora la ragazza stava tornando a casa. Erano le 8, mamma avrebbe rotto un po’ le scatole
ma le aveva scritto un messaggio con scritto che tardava. Saltellò felice per il marciapiede. Stare con Luca la faceva sentire bene. Chissà se
avrebbe sofferto quando lui si fosse trovato una ragazza… Forse non era una buona cosa passare tutto quel
tempo con lui. Smise di saltellare. Eppure solo sentirlo vicino la rendeva felice. Però c’erano quei momenti in cui calava un’ombra
sul suo cuore… Momenti in cui faceva fatica a respirare e non
sapeva più se se la sentiva di vederlo… Attraversò la strada. Ma era sicura di aver controllato il semaforo dei
pedoni. Era sicura che fosse verde. Fu questo il suo ultimo pensiero. Era verde. Non ebbe il tempo di pensare più a niente. Si sentì solo travolta, travolta e basta. E poi nero. L’abisso…
SONO TORNATA! dopo quanto? tre mesi? già, più o meno :DDD Mi dispiace ma è stata un'estate un po' incasinata.. non è ancora finita ma spero che i casini sì,
siano finiti. Tanto per intenderci, potrei scriverci una fic con tutto
quello che è successo. Magari lo faccio davvero.. appena
finisco questa.. uhm.. quanta gente è interessata alla storia
della mia vita?
Okay, non spingete eh... :D
Morgana,
ahahah capisco il tuo disappunto per ciò che ha fatto Cher U.U
è stata una delle fic più belle che tu abbia letto? ma
grazie XDXDXD RedTears,
eccola, anche lei sconvolta.. sì ti capisco u.u ma don't
worry. ahahah Andrea non può prendersela, al massimo riderle in
faccia.. beh insomma, essere traditi con uno così!!! XD Nakiri,
*.* la mia allieva ha cambiato nome! grazie per la super
recensione! ahah non descriverò tutti i bellissssimi momenti tra
Mattia e Roberto, uno basta e avanza anche per me.. ahahah Andrea come
spazzino me lo vedo bene, come prete proprio no XD però non era
male come idea.. della serie che dopo l'autrice, cioè io, deve
andare a nascondersi perché qualche lettrice potrebbe
ucciderla.. No, come niente pappagallo XD vedrai che il finale ti
piacerà! forse.. :D grazie ancora cmq! ElisabethXD,
un'altra senza parole XD ditelo che io vi sorprendo, altro che capitoli
prevedibili U.U grazie mille per i complimenti! =) Arcadia_Lovegood,
la meno sconvolta perché sapeva che tra Cher e Marco sarebbe
successo qualcosa XD sì, Mattia ha fatto bene, Luca pure a mio
parere.. e sì, povera Giulia T.T soprattutto ora.. grazie
aspetto altre recensioni naturalmente U.U
Bene, ora vi mando sotto schoc: Il prossimo è l'ultimo capitolo, che sarà seguito poi da un breve epilogo.
Quindi, siamo veramente agli sgoccioli... Alla prossima! baci,
Quando sarebbe tornato a casa? “Quando torni a casa?”. Non ne aveva voglia. “Non lo so”. Roberto si voltò su un fianco, a guardarlo.
“Credevo che con i tuoi le cose fossero migliorate”. “Peggiorano” ribatté Mattia “prima erano solo
sconvolti, ora sono impazziti”. L’altro annuì, comprensivo. “Buffo” continuò Mattia “i miei amici mi hanno
sempre invidiato, dicevano che la mia famiglia era perfetta. I miei vanno
ancora d’amore e d’accordo come due fidanzati, e neanche io e Giulia abbiamo
mai litigato troppo con loro e tra noi”. Roberto ascoltava, senza dire niente. Mattia continuò a sfogarsi, senza preoccuparsi
della sua voce, che stava diventando un pigolio lagnoso: “E allora perché
dobbiamo litigare per una cosa del genere? Non è una cosa per cui litigare, i
miei si amano, non lo capiscono l’amore?”. “Nella loro perfezione hanno affrontato pochi
problemi” disse Roberto “e ora non sanno che pesci pigliare”. “Non hanno affrontato problemi perché non ne
avevano”. Roberto alzò un sopraciglio. “Non è possibile non
avere problemi. La perfezione non esiste no?”. Mattia non rispose. Si rigirò e lentamente si alzò
dal letto. “Vado a bere un bicchiere d’acqua”. “Vuoi che ti prepari una camomilla?”. “No, grazie, non importa”. Infilò i piedi nelle ciabatte e si avviò verso la
cucina. In realtà voleva solo un po’ stare da solo. E sperava che nel frattempo
Roberto si addormentasse. Non sapeva perché, ma non voleva parlare. Non voleva
più parlare. Si strofinò gli occhi. Fece un sospiro. Era un monolocale. Non sarebbe mai stato solo. Sentiva il respiro di Roberto dietro la sua nuca.
Almeno non parlava più. Aprì il frigo. Una suoneria invase la stanza. “E’ il tuo” fece la voce di Roberto. Mattia sbuffò e chiuse il frigo. Si precipitò sul
comodino e prese il telefono. Mamma. Perché chiamava la sera così tardi? Non voleva rispondere. Non voleva sentire la sua voce da pazza che gli
chiedeva come stesse andando la sua vacanza con gli amici. Rimase qualche attimo, forse addirittura minuto, a
fissare quello schermo, con lo sguardo privo di espressione. “Rispondi” mugugnò Roberto, rigirandosi sul
lenzuolo. Non voleva rispondere. La musica continuava, si faceva sempre più
insistente. “Fallo smettere” fece ancora Roberto, la testa
conficcata nel cuscino. Mamma. Perché chiamava a quell’ora? La suoneria non demordeva. Rispondi. Mattia avvicinò il cellulare all’orecchio. “Pronto?”. La sua mente si svuotò in un attimo e la stupidità
dei suoi genitori divenne in un lampo l’ultimo dei suoi problemi. Era Agosto. Eppure c’era freddo in quel letto. Cherise si strinse a sé, sentendo il respiro
regolare di Andrea accanto. Come cavolo ti è
venuto in mente di dirglielo così? Si era arrabbiata, poi gli aveva urlato in faccia
la verità. La verità che dimostrava che lei era in torto. Torto marcio. Non dovevo baciare
Marco non dovevo baciare Marco! Sentiva le lacrime scorrerle sul viso, silenziose. Tratteneva i singhiozzi. Non voleva che lui la
sentisse piangere. Non voleva, perché lui l’avrebbe ignorata. Scusami… Avrebbe voluto piangere forte, avrebbe voluto
pestare i piedi per terra, gridare che era una stupida. Ogni parole le moriva in gola. Lui non l’avrebbe ascoltata. Ricordava perfettamente il suo sguardo
pietrificatosi, i suoi occhi spalancarsi, le sue pupille restringersi quando
gli aveva detto di Marco. Aprì gli occhi. Tra le lacrime vedeva la sua
schiena, le sue spalle, i suoi capelli. Le dava le spalle. Non aveva mai visto Andrea così freddo e distaccato
come quella sera. Non le aveva più parlato. Era stata la cena più terribile
della sua vita. Lei aveva tentato di parlare, di chiedere scusa. In risposta
aveva ottenuto solo un tintinnio di forchette e il vociare della gente intorno.
Rumore insignificante, rumore silenzioso, lei non lo sentiva, sentiva solo il
silenzio glaciale in cui era avvolto Andrea. Allungò una mano, fece per toccare quella schiena
larga, forte, ma subito la ritrasse, sentendo le forze uscire dal suo corpo,
uscire sottoforma di lacrime. Era lì, di fianco a lei, nel suo stesso letto. Era
irraggiungibile. Ma le mani erano codarde, la voce era troppo
flebile, le parole non erano abbastanza. E i rimorsi, morso dopo morso, le
stavano divorando il cuore. Respirava irregolarmente, il cuore assalito batteva
fiocamente. Sentiva all’interno il sangue colare come gocce di
pianto, sentiva le lacrime scorrere, acqua su un viso di fuoco. Ma lui era lì
davanti a lei… La gelosia è
orribile, finirebbe per farci del male e basta. Allora lui era geloso di lei. La gelosia
distrugge… Qualcosa suonava. Lo sentiva distante. C’era un
ronzio nella sua testa, possibile che fosse ridotta così? O forse stava
sognando. Il cuore continuava a battere lamentoso, gli occhi avevano preso a
chiudersi, e le ciglia in quel bagno di lacrime… Suonava ancora. E’ il telefono. Cherise aprì gli occhi, improvvisamente sveglia. Chi diamine chiama
a quest’ora?! Lanciò un braccio fuori dal letto. La mano finì
contro qualcosa di duro, il comodino. La ragazza cercò a tastoni il cellulare.
Lo trovò e lo portò vicino all’orecchio. Premette il testo per accettare la chiamata. Non aveva neanche letto chi era. “Pronto?” disse con voce fioca. Era un sussurro
misto a un pianto, una voce che risuonava come un triste eco lontano. “Cher…”. Era Mattia. “Mattia, ciao… Perché cavolo mi chiami a
quest’ora?”. Aveva sentito Andrea agitarsi. Era sveglio. “Cher…” ripeté Mattia, come se non l’avesse
sentito. Un momento, c’era qualcosa che non andava. Perché
anche la voce di Mattia sembrava piangesse? Si mise di scatto seduta. “Mattia, che succede?”. “Scusa ma… volevo chiamare qualcuno e…”. “Che succede?!”. “E’ Giulia… l’hanno investita…”. Cherise si portò una mano alla bocca. “Cosa? E…
come sta?”. “Io… non lo so… è…”. “Come non lo sai?!”. “Sono al mare, mi ha chiamato mia mamma…”. “E?”. “E’ entrata in coma”. Cherise era in piedi. Doveva partire, subito. “Mattia tu dove sei?”. “A Cesenatico”. “Noi a Rimini. Partiamo subito anche noi, hai
capito?”. “Okay… Grazie, Cher. Ciao”. “Ciao!”. Cherise chiuse la chiamata. Lanciò il telefono sul
letto e prese con furia una borsa. Poi cominciò a vestirsi. Si immobilizzò, vedendo la schiena immobile di
Andrea. Forza. “Andre…” fece con voce flebile “Andre… Andre!”
ripeté più forte. Arrabbiata, si buttò sul letto e cominciò a
colpirlo con più forza che poteva. “Andre, dobbiamo andare! Subito!”. Lui si girò di scatto parandosi con le mani. “Ehi,
che ti prende?!”. Lo vide finalmente negli occhi. Occhi spenti.
Scoppiò a piangere. “Dobbiamo andare… Dobbiamo andare!”. “Cosa… ehi” fece Andrea circondandola con un
braccio “Che sta succedendo?”. Le accarezzò la testa. Cherise ne approfittò subito e pianse sul suo
petto. Ma lo sentiva ancora così rigido… E quegli occhi freddi… “Mattia ha bisogno di me, ti prego, andiamo…”. Ora non aveva importanza, dovevano partire. “Che è successo?” chiese Andrea, con tono dolce. Ma
Cherise lo sentiva che nascondeva odio… Lo sentiva, lo sentiva nel suo
abbraccio, nel suo sguardo, nella sua voce. Era veleno. Ma Giulia poteva
morire… “Giulia è in coma. Ti prego torniamo a Bologna!”. Andrea sbarrò per un attimo gli occhi, poi riprese
il controllo e si alzò dal letto. “Andiamo allora”. Cherise si rese conto per un attimo della
situazione. Era notte, stava chiedendo ad Andrea di interrompere la vacanza, di
mettersi a guidare di notte per andare a consolare il ragazzo che aveva fatto a
pezzi il cuore di sua sorella. “Che c’è ora?” chiese lui, guardando lei, immobile. “Non sei stanco? Ce la fai a guidare?”. “Sì, tranquilla” disse Andrea, vestendosi
velocemente “E poi non è che non mi importi di Giulia”. Cherise rimase per un attimo perplessa. L’espressione del ragazzo non era più fredda. Non
c’era odio. C’era paura e basta. “E’ molto amica di mio fratello. Sarà distrutto”. Già… “Ehi, Cher, muoviti!”. Io volevo prima
chiederti scusa… Andrea le si avvicinò, premuroso. “Non stare lì con
quell’aria imbambolata, mi preoccupo. Stai tranquilla, andrà tutto bene! Però
ora muoviamoci!”. Andrà tutto bene? Cherise si riscosse. Afferrò le cose sul comodino,
prese un paio di pantaloni dall’armadio, preparò la borsa. Con foga. Non
pensava più, cose troppo confuse nella sua testa, ma dentro stava male. Male. Il cuore continuava a piangere. A piangere.
Erano tutti lì, riuniti, divisi tra sogno e paura,
una parete davanti, dietro la quale non c’era altro che quella spaventosa,
ignota, verità. Mattia e ne stava fermo, immobile, più piccolo e
fragile che mai di fianco a Roberto. I suoi genitori erano poco distanti, sui visi di
tutto, angoscia e dolore. Non più accusa e pazzia. Mattia non ce la vedeva più
la pazzia, ma la sentiva dentro di sé, la sentiva in ogni parte del suo corpo,
lo stava prendendo, lo stava stritolando in una morsa e non riusciva a
respirare, non riusciva a piangere. Era come se ogni lacrima si fosse
cristallizzata dentro l’occhio, era come se ogni parte di sé fosse stata
immersa in acqua gelata, il cervello congelato, ogni pensiero diventato
ghiaccio. Mattia stesso era una statua di ghiaccio in tensione. E sarebbe
potuto rompersi in qualunque momento, in qualunque modo, con l’acqua che
sgorgava senza pietà. Gli occhi di sua madre erano lo specchio di lui
stesso. Vedeva la pupilla tremare, in un’iride intrisa di lacrime, circondata
da ciglia nere bagnate. Una mano davanti alla bocca, Lorenza sembrava
trattenersi dal gridare. Suo marito la sorreggeva, lo sguardo chino a terra,
impenetrabile come al solito. Nell’annebbiamento del suo cervello, Mattia trovò
una scintilla, odio, solo odio. Quel volto imperscrutabile, che ancora non lo
guardava negli occhi… Qualcosa si ruppe dentro di sé. Il ghiaccio si
frantumò, Mattia avanzò e un’inondazione con lui di furia e paura… “E’ colpa vostra!” gridò “E’ colpa vostra se me ne
sono andato di casa! E se ora Giulia muore…”. Sentiva gli occhi di tutti puntati su di sé, quelli
degli zii, dei nonni, di Roberto, di Cherise… Ma non importava. Il suo cervello
non lavorava. Dilagava acqua, torrenti infuocati d’acqua. Lorenza scoppiò a piangere nascondendo il volto tra
le mani. Non hai il
coraggio di guardarmi eh? Lo sguardo di Nicola era ancora impassibile. “Giulia è in un letto di morte là dentro!” urlò
Mattia “Non li affrontate ancora i problemi?!”. Dei passi accelerarono insieme al pianto della
madre. Un uomo in camice bianco apparve in fondo al corridoio. Avanzava verso
di loro. “Ehi, questo è un ospedale, vi prego di non urlare”. Nessuno ebbe la forza di rispondere ed il medico
sparì dietro a un angolo di pareti bianche. Lorenza continuava a piangere premendosi la mano
sulla bocca. Allargò la braccia e tese le mani verso Mattia. “Mattia… Mattia…”. Mattia si rilassò, ma sentì un nodo in fondo alla
gola, vomito o forse veleno che gli salì fino in superficie, si mescolò alla
saliva, fino a fargli sentire l’amaro in bocca. Aveva tanta voglia di espellere
tutto quel male ma poi guardò gli occhi di sua madre, le sue braccia, le sue
mani tremanti. Lasciando scivolare lo sguardo verso il basso, lentamente, si
sedette. Non disse più niente, non si agitò, non singhiozzò. Non si accorse nemmeno che era arrivata altra
gente. Quando sentì nuove voci alzò lo sguardo. Erano i Mancini. Andrea, dopo aver lasciato Cherise
con loro in ospedale, era andato a prendere i suoi fratelli. Il suo sguardo
indugiò su Elena. Sentiva qualcosa di strano, come se il cuore si stesse
lentamente ritraendo. Perché era venuta, lo voleva ancora guardare in faccia? Voleva evitare il suo sguardo, ma allo stesso tempo
sapeva che se non l’avesse guardata sarebbe stato ancora peggio, il cuore gli
si sarebbe definitivamente accartocciato per la vergogna, come un foglio
sbagliato da buttare. “Mattia”. Mattia la guardò. Il cuore gli salì in
gola mentre la vedeva così, dritta, forte, su di lui che invece era seduto.
C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi, una luce che lui non aveva mai visto
brillare. Forse era cambiato, forse ora era viva. Lei si piegò sulle ginocchia,
chinandosi su di lui. “Ciao”. “Ciao” rispose lui debolmente. Elena sorrise. “Tranquillo eh”. Parole di circostanza, ma da lei, sentirle da lei
lo rendeva felice. Era come se l’avesse perdonato. Sentì gli occhi inumidirsi. Buffo, non era lei
quella che crollava? Forse c’era qualcosa di storto nel mondo. Forse era
il mondo che era storto. Giulia, che era l’unica cosa dritta nella sua vita… “Giulia…”. Elena lo abbracciò. In qualche modo il freddo che aveva dentro si
scaldò, le lacrime presero a scorrere come acqua morbida, il cervello si
scongelò e un turbine di pensieri finalmente lo invase come tanti granelli in
una tempesta di sabbia. Cherise ed Elena si erano salutate appena, con un
sorriso incerto. Andrea lasciò scivolare lo sguardo dall’una
all’altra. Da quando avevano smesso di essere amiche? Possibile che non si fosse accorto di una cosa del
genere… Come non ti sei
accorto che Cherise e Marco erano troppo amici. Andrea socchiuse gli occhi. Non era il momento di chiedere spiegazioni, non era
il momento di arrabbiarsi, non era il momento di nulla. Guardò Luca. Era lì, silenzioso, quasi in apnea. Aveva già visto quella scena, troppe volte. Chi c’è là dentro,
Ado? Luca non parlava. Era molto amico di quella Giulia? “Quando si saprà qualcosa?” chiese ad un tratto. “Non lo so”. “E’ in coma?”. “Sì”. Luca abbassò lo sguardo. “Non si sveglia più…”. Non si svegliano
più, vero Ado? “Non dire cavolate” disse Andrea, suggestionato
“certo che si sveglia”. Quando, quando?! Luca non disse niente. “Ehi” fece Cherise, infilandosi tra i due. Poggiò
una mano sulla spalla di Luca. “Come stai?”. “Ho sonno” rispose il ragazzo dopo un po’. Andrea e Cherise si scambiarono uno sguardo
ansioso. Luca parlò ancora: “Era con me”. “Cosa?”. “Dovevo accompagnarla a casa…”. La voce del ragazzo
aveva preso a tremare. “Luca, non è colpa tua” disse Andrea con voce ferma
“Anzi, se l’avessi accompagnata forse ora sareste in due là dentro”. Luca aveva il volto come oscurato. “Mi sentirei
meglio se fosse lì con lei”. Andrea guardò Cherise. Ma nessuno disse più niente
e tutti e tre si sedettero. Per quanto fosse egoistico, Andrea pensava ancora
al bacio di Cherise e Marco. Gli veniva il vomito. Ma non poteva dire niente in quel momento. Nessuno disse niente per ore. L’attesa stava diventando straziante. Luca, seduto, batteva il piede per terra, una nube
di pensieri in testa. Aveva in mente Giulia in sala giochi, Giulia per
strada, con un gelato, la vedeva ridere, la vedeva piangere, quel bacio… Abbiamo fatto il
possibile ma non ce l’hanno fatta. No, non avrebbe sentito ancora quelle parole. Erano rimasti in pochi ad attendere un qualche
verdetto. I signori Parisi erano seduti vicino a Mattia e Roberto, in silenzio.
Cherise si era addormentata sulla spalla di Andrea, Elena sonnecchiava lì
vicino. Andrea aveva proposto di andare via, aveva detto
che sarebbero tornati il giorno dopo. Ma Luca non poteva lasciarla lì, sola
come era sempre stata. Guardò l’orologio. Erano quasi le quattro. Tra poco
il medico sarebbe arrivato a consigliare loro di tornare a casa, che la
situazione non cambiava, che era inutile stare lì. Inutile. Luca era impotente. Conosceva bene quella
sensazione di impotenza, si sentiva schiacciato da qualcosa di troppo forte,
qualcosa che era lassù, qualcosa che era il male, che controllava, che
manipolava, che faceva morire… Ma Dio dove cazzo
è? Non c’era nessun Dio, non c’era la grazia, non
c’era la fortuna, non c’era niente. Mamma e papà se ne
sono andati in Paradiso, dev’essere un posto bello. Luca inspirò a fondo. Il Paradiso non è
nessun posto perché non ci vanno persone ma anime. Non è nessun fottuto posto e
loro non esistono più! Ma Giulia dov’era ora? Cosa sentiva, cosa provava? Quando si fosse svegliata, gliel’avrebbe chiesto. Glielo poteva chiedere anche ora, poteva stare un
po’ con lei. Ho paura di
vederla… Mattia e i suoi genitori erano stati dentro poco
prima, erano stati dentro molto. Ho paura di
crollare… Si alzò. Qualcuno aveva detto che stare vicino alle
persone in coma aiutava. Con mamma e papà
non è servito. Si avvicinò alla porta e nessuno disse niente.
Vinse le sue paure e varcò la soglia. Forse è meglio che
tu non entra a vedere Elena, Luca. Era entrato. Voglio vederla! Pareti bianche, un letto bianco, una macchina, un
rumore. Beep beep. Il beep beep che teneva Giulia ancorata alla vita. Luca si avvicinò al letto lentamente, trattenendo
il fiato. Te l’avevo detto
che era meglio di no! Giulia aveva il volto ammaccato di lividi. I
capelli erano increspati di sangue, un sopracciglio rotto, un rivolo dal naso,
un viso freddo e marmoreo, le labbra violacee. Era stata investita. Com’era possibile che da una
botta non ci si svegliasse più? Com’è possibile
che Elena si sia tagliata i polsi? Luca alzò una mano e le accarezzò il volto. “Ovunque tu sia” fece “torna presto… hai capito?
Torna presto…”. Chissà come, credeva di vedere dei cambiamenti
nella sua espressione, un lieve sorriso, un fremito nelle palpebre? “Giulia?”. Un viso di ghiaccio, una scultura perfetta. “Giulia…”. Luca sentiva una cosa strana nel petto. Come un
macigno, gli impediva di respirare. Il cuore si ribellava, faceva male, era dolore, doveva essere per quello che
sentiva gli occhi umidi. Luca, perché non
piangi? Non sapeva più cosa fossero le lacrime, erano tutte
lì, accumulate in un angolo, infossate da qualche parte dietro gli occhi, dove
nessuno poteva vederle, trovarle, dove nessuno era mai arrivato da quel
terribile giorno… Che cavolo succede… Gli occhi bruciavano. Era fastidioso. Luca non piange…
Ha qualcosa che non va? Nessuno era mai arrivato fino a quel punto. Credo abbia toccato
il fondo. Farlo piangere sarebbe stato un po’ come salvarlo. Luca prese la mano di Giulia. Lo stava salvando? “Sono io che devo salvare te… Giulia…”. Lei voleva
un amico, voleva essere salvata. Luca sorrise. Troppo complessati per stare insieme. Lei stava sorridendo, ne era sicuro, la vedeva
sorridere a lui in risposta. Aveva il volto così rilassato… Il beep beep era sparito. Un lungo beep aveva preso
il suo posto e Luca abbandonò la mano di Giulia come un automa. Alzò lo sguardo
verso lo schermo della macchina. Una linea piatta gli trafisse il cuore come
mille spilli appuntiti. Indietreggiò. “Ehi…” boccheggiò “Ehi… che succede?! No! Aiuto!”. Subito la porta dietro di sé si aprì e si
fiondarono dentro degli uomini in camice. “Ragazzo esci di qui!”. Luca corse via. Si trovò circondato di gente. Vedeva la madre di Giulia come impazzita. Il marito
la teneva. Mattia era pietrificato, sorretto da Roberto. Cherise, Elena ed
Andrea avevano gli occhi sbarrati, nessun’espressione, voltati verso di lui. Ma era tutto così senza senso, tutto così surreale… Uno sbattere di porta. Si voltò automaticamente. Il medico era tornato da loro con quell’espressione. Parlò. E ancor prima di sentire l’urlo terrificante della
signora Parisi, Luca si sentì crollare a terra mentre le lacrime che non aveva
mai avuto gli scorrevano sul volto senza pietà.
Finalmente
postato l'ultimo capitolo :D tranquilli non è che si chiude
così bruscamente, ci sarà anche un epilogo a breve
(spero..) Ci ho messo veramente tanto ma è che quest'anno sono davvero allucinata. Cè ci sono giorni in cui devo studiare 7 ore, da spararsi u.u Ma a luglio sarà tuuuutto finito! *-*
RedTears,
certo che l'ho fatta investire u.u oh a qualcuno doveva pur toccare io
odio il lieto fine.. cmq sì, Andrea è un po' un fesso, mi
sa che quella parte la riscriverò prima di stampare tutta la
storia, non rende bene l'idea XD Morgana, ahahahah XD Tranquilla dalla morte di Giulia non ci saranno conseguenze tanto gravi! anzi.. XD Nakiri,
che forte XD sì Elena ha fatto una cosa sensata, Marco sta piano
piano evolvendo e Andrea è un furbone sì.. ma povero
è confuso XD cmq sì molto meglio le farfalle dello
stomaco.. Beh dubito fortemente che se tu venissi investita
avresti il tempo di recitare un verso di Leopardi XD sarebbe figo
però alquanto *-* Sì la storia della mia vita.. stavo
cominciando a scriverla ma poi sono successe cose che mi sono talmente
scese che ho lasciato perdere.. XD RuNami 4ever ,
tanto piacere XD acquisto nuovi fan anche verso la fine XD grazie mille
per i complimenti! bene ti ho aperto un nuovo mondo, quello delle
fiction originali XD pensa che io non entro mai in quelle
non-originali.. sarà perché non seguo molto tv e robe
varie e, visto quello che c'è ora in giro, è anche meglio
così XD e sì, ti ho uccisa Giulia XD ma mi perdonerai *-*
sì cmq ti capisco bene, la gente che scrive di solito è
più riflessiva e più propensa alla tristezza diciamo..
è un luogo comune pensarlo.. ma ciò che molti non sanno
è che siamo benissimo in grado di mascherarci dando un calcio
alla vita :))) Arcacia_Lovegood,
sìsì hai c'entrato il punto, la cosa fondamentale in
questa disgrazia che è toccata a Giulia è la reazione di
Luca XD Elena e Marco.. sì insieme facevano schifo. E Andrea e
Cherise non vogliono rompere, è solo che.. diciamo che fanno
cagate u.u Marco lo rivedrai nell'epilogo cmq, non posso mica
abbandonarlo così XD
Grazie mille ragazze spero che recensirete anche quest'ultimo capitolo e, più avanti, l'epilogo!! Grazie anche agli altri che mi seguono silenziosi!!
Cherise era accanto ad Andrea. Aveva indossato l’abito nero che aveva messo al
funerale della nonna qualche anno prima. Andrea era in camicia nera, dei jeans
scoloriti. Erano un po’ più in disparte rispetto agli altri, la gente buttava dei pugni di terra nella
fossa aperta. La signora Parisi aveva uno sguardo che Cherise non
avrebbe mai dimenticato. Com’è perdere i
propri figli? Pensava fosse contro natura. Guardò il prete
affianco alla lapide. Che cos’era d’altronde la natura? Si voltò verso Andrea. Si sentì d’un tratto mancare
il respiro. Chissà se ci credi
ancora in Dio… Voleva solo piangergli addosso, voleva sentirsi
coccolata, sentirsi dire che non tutto faceva così schifo. Che egoista. Mattia era tra Roberto e sua madre. Tutti e tre
stavano vicini, come se allontanandosi uno di loro sarebbe potuto crollare a
terra. Il signor Parisi era leggermente distante, gli occhiali da sole scuri in
volto. Luca era con Elena. “Come sta?” fece la voce fioca di Cherise. Era lì davanti alla lapide, ne vedeva solo la
schiena curva e nera. “Come sta?” ripeté la ragazza, scrutando Andrea. Il ragazzo aveva lo sguardo chino. Ti prego, parlami… “Andrea” sussurrò lei dandogli uno strattone, quasi
piangendo “non voglio avere rimpianti, non voglio trovarmi nella stessa
posizione di Luca! Dimmi se mi hai perdonato… ti prego…”. C’era anche Marco, lì, da qualche parte. Si erano
salutati. Lui aveva occhi solo per Elena, buffo. E io ho solo occhi
per te, Andre, te ne sarai accorto, dannazione! Perché aveva baciato Marco? Erano tutti così pateticamente fragili e sbagliati… “Non credo che Luca abbia rimpianti” disse Andrea
d’un tratto. Cherise rimase senza fiato. “Come?”. “Giulia era innamorata di lui, ma lui no”. “Te l’ha detto lui?”. “Sì”. Cherise fissò Luca. Si ricordò di come aveva pianto
in ospedale, lui che non piangeva mai… “Ma non è possibile, lui…”. “Credo fosse qualcosa di diverso dall’amore. Credo
che vedesse un po’ di se stesso in lei”. Andrea parlava, senza guardarla. Cherise non capiva. Aveva una dannata voglia di
prenderlo a schiaffi. “Un po’ di se stesso in lei? Io… conoscevo Giulia,
erano molto diversi”. “Lei aveva una gran voglia di vivere, quello che a
lui mancava”. “E quindi…?”. Andrea la guardò. “Quello che voleva essere lo
vedeva in lei”. In qualche modo i suoi occhi azzurri la
ipnotizzavano più del solito, forse perché non li sentiva più come suoi, finché
lui non le diceva che l’aveva perdonata. E quello che lui diceva la teneva
sospesa, come in un mondo ignoto. Era come se ogni parola da lui pronunciata
avesse un suo sapore, una sua consistenza e le aprisse nuove conoscenze. Non
aveva mai provato nulla di simile, non aveva mai capito cosa significasse stare
appesi al respiro di qualcuno… “Le voleva comunque molto bene” riprese “sarà
distrutto…”. Non poteva capire il dolore di Luca in quel momento, ma sentiva il
suo, che già la dilaniava, e lo immaginava moltiplicato per migliaia di fattori
ed eccolo il dolore di Luca, migliaia di spilli appuntiti sulla pelle… “Lo è” rispose Andrea “ma questa volta sa di
esserlo”. Cherise rifletté bene sulle parole da lui usate. Questa volta. “Credo che per poter risalire” continuò il ragazzo
“devi renderti conto che hai toccato il fondo”. “Si può anche cominciare a scavare”. Cherise non
immaginava come Luca sarebbe mai potuto risalire da quel buco in cui era finito
un anno prima. Andrea aveva gli occhi lucidi. “Era da un anno che
non piangeva, Cher. Era come se non fosse più qui con noi, si è costruito un
mondo parallelo in cui la vita faceva tutta
schifo, in cui solo lui era l’eroe che poteva salvare Elena, Elena non
riusciva a reagire e lui si è concentrato su di lei, solo su di lei… Ha creduto
di essere innamorato di lei, Cher”. Cherise sgranò gli occhi. “Elena si è tagliata i polsi, io mi drogavo, lui
non ha fatto niente che facesse preoccupare il nonno più di tanto… Ma è sempre
stato più di là che di qua, e non se n’è mai reso conto”. Cherise prese ad accarezzargli il braccio. Era
sempre strano vedere Andrea piangere ma aveva ragione… La morte dei
genitori è una cosa che non può non cambiarti dentro… “Giulia l’ha riportato di qua?”. “Luca mi ha detto che lei l’ha salvato”. “E come può risalire dal fondo dopo che la persona
che l’ha salvato è morta?” esclamò Cherise. Sentiva una strana cosa nel petto,
gli occhi bruciavano. Possibile che provasse d’un tratto lo stesso dolore di
Andrea? Eppure non capiva ancora… “Questo non lo so” ammise Andrea “ma lui mi ha
detto che ora avrebbe vissuto… E che ce l’avrebbe messa tutta, per lei”. “Ma…”. “So che lo farà. E’ già tornato un essere umano,
non vedi che piange?” fece il ragazzo, con una risatina. “Piangerà per…”. “Non mi importa. Preferisco che pianga per mesi,
piuttosto che vederlo un altro solo giorno con quello sguardo spento e opaco”. Cherise gli passò lentamente un braccio intorno
alla vita. Lui la lasciò fare. “Non importa quanto ci metterà, che ci metta mesi,
anni per riprendersi. Ma io so che poi starà bene…”. Stava piangendo, stava piangendo su di lei. Strano, era lei che voleva piangere sorretta da
lui, e si ritrovarono così. “Ho pensato di lasciarti perdere” bisbigliò Andrea
“l’ho pensato di non perdonarti… Ma non ci riesco… Ho troppo bisogno di te…”. Cherise lo abbracciò. Ancora non aveva capito bene, forse non avrebbe mai
capito del tutto i fratelli Mancini. Dopotutto lo sapevano solo loro
cos’avevano passato.
Era riuscita solo a vedere qualche sfumatura del dolore
degli altri. Lei sapeva solo i suoi di colori.
Perché ne aveva tanti di colori,
l’abisso…
Quattro mesi dopo
Mattia era seduto sul letto di Giulia. C’erano un sacco di peluche. Nulla era mai stato toccato dalla sua morte, e in
qualche modo c’era ancora il suo profumo. Sentiva provenire dalla cucina dei rumori. Roberto
stava aiutando Lorenza a preparare il pranzo e tra poco sarebbero arrivati gli
altri parenti. Com’erano cambiate le cose… Guardò sulla parete sopra la scrivania, piena di
foto. Ci voleva proprio
la tua morte perché mamma e papà potessero accettare Roberto? Se Giulia fosse stata ancora viva, sarebbe stato
davvero felice. Ma se c’era una cosa che aveva imparato era che era
inutile dire tanti se e credere di
sapere per certo cosa sarebbe stato se.
Qualcosa che non andava bene c’era sempre, e questo andava al di là di tutti i
fantomatici se. Si alzò, uscì dalla camera e raggiunse la sua
famiglia in cucina. L’odore della pasta al forno lo invase e qualcosa
simile alla gioia gli pizzicava le narici. Mamma, papà e Roberto erano tutti indaffarati e
felici. Mattia sorrise. Roberto era stato talmente vicino a loro in quei
mesi che Lorenza aveva finito coll’affezionarcisi al punto da trattarlo come un
figlio. E anche Nicola sembrava stare meglio – anche se era meglio evitare baci
davanti a lui. E quel giorno ci sarebbe stato tutto il parentado al completo. Ma si sentiva pronto ad affrontarli tutti, uno per
uno. Dopo l’anno che era passato non aveva più paura di niente e quello non era
altro che l’ennesimo Natale. Il primo senza Giulia… Mattia cacciò via i pensieri negativi e andò ad
apparecchiare la tavola. Una lacrima gli era scesa quando si era resa conto
che quell’anno non avrebbe dovuto comprare il regalo per sua sorella, una
lacrima gli scese quando si rese conto che aveva portato un piatto in più in
tavola. Ma l’asciugò come aveva sempre fatto. Tolse il
piatto e lo riportò in credenza. Vide sua madre scurirsi per un attimo in volto. Ma non potevano fare altro che andare avanti,
giorno dopo giorno. Quell’anno avevano deciso così. A Elena non dispiaceva passare il Natale con più
gente. Erano a casa di Cherise. C’erano lei, sua madre, il fratello, Andrea, Luca e
lo zio Riccardo. Non le dispiaceva anche perché stava tornando a
essere amica di Cherise. Era stato un anno assurdo, ma forse le cose si
potevano aggiustare. Maria, aiutata da Riccardo, stava riempiendo i
piatti coi tortellini brodo, Tonio stava brontolando qualcosa sul fatto che li
preferiva alla panna. Elena guardò di sottecchi Luca. Gli era tornato il
sorriso sul volto. Gli prese la mano. Non è che ho paura
di starti troppo vicino… Lui la guardò, con quei suoi occhi strani. Sarebbero
stati per sempre un mistero per lei, per loro, per tutto il mondo, gli occhi
del misterioso ragazzo che a scuola tutte volevano. Da ragazzini erano stati separati per qualche anno,
forse erano più amici che fratelli, era per questo che lui aveva creduto di
amarla? Lui le strinse la mano. Però è ora che
sento il tuo calore. In quanti modi si poteva vedere, distorcere e
annullare la realtà? Lei ora con Marco si salutava appena, usciva con un
altro ragazzo conosciuto a una festa, Luca non aveva mai detto niente. Usciva
ogni tanto con qualche ragazza, ma si limitava a lasciarla andare dopo poco e
rimaneva a fissare quella foto che aveva appeso in camera, di lui e Giulia. Eri innamorato di
Giulia? Non aveva mai capito se Luca dicesse la verità,
quello sguardo era impenetrabile, come lo era sempre stato. Non aveva mai capito da dove trovasse la forza di
andare avanti guardando solo una foto. In quanti modi si poteva vedere, distorcere e
annullare la realtà? Non avrebbe mai capito con che colori Luca vedesse
il mondo ora. Ma bianco e nero no, non lo era più… Prese in mano il cucchiaio e cominciò a mangiare. Lo zio di Andrea ci stava provando con la mamma,
poco ma sicuro. Cherise si limitò a sogghignare mentre leccava con
avidità il cucchiaio. Non le dava fastidio, anzi, era da tanto tempo che
non vedeva sua madre sorridere a quel modo. Anche Tonio era parecchio contento.
Cherise aveva la netta impressione che quel Natale il ragazzino avesse avuto il
doppio dei regali che riceveva di solito. Elena e Luca erano di fronte a lei e Cherise. Chissà, forse lei e Elena sarebbero tornate amiche
come prima. Non sapeva dire chi avesse sbagliato per prima. Per un momento
erano venute a mancare le maschere, e i veri volti che riflettevano ognuno il
proprio tormento ed egoismo avevano distrutto ogni cosa. La maschera si era ricostruita? Non voglio essere
tua amica attraverso una maschera… Guardò Elena. Erano sempre state molto diverse, e
la gente invidiava quel loro legame. Quale legame… E dov’era finito tutto? Le loro chiacchierate, i
loro pensieri, le loro serate… Elena sorrideva. Elena era uscita dall’abisso,
potevano recuperare il rapporto. E’ che è così
dannatamente difficile stare vicino a qualcuno in difficoltà senza essere
trascinato nell’abisso. Non era stata Cherise ad aiutare Elena ad uscire
dall’abisso. Mi dispiace… Non c’era da sorprendersi, non c’era da
vergognarsi, era solo così: ognuno vede i colori che vuole vedere e l’abisso ce
lo dipingiamo intorno noi. E risucchia tutto
quel che c’è… “Cher, tutto bene?”. Cherise alzò gli occhi che aveva inavvertitamente
abbassato sul suo piatto. Elena la stava guardando mordendo un grissino.
Glielo pose. Il vortice si è
placato, almeno per ora. Cherise allungò la mano e spezzò il grissino che
Elena le tendeva. Le sorrideva. La ragazza mise in bocca il grissino, contenta. Perché non smetterla di arrovellarsi il cervello
con pensieri su pensieri? Così il vortice non sarebbe mai finito… Qualcosa la punzecchiò sul fianco. Si girò. Andrea la guardava con un sorrisetto furbo. “Ci
pensiamo noi al secondo, vero?”. “Ah sì?”. Ma il ragazzo si era già alzato in piedi. “Signora,
stia comoda, lo prendiamo noi il secondo”. Maria lo fulminò con lo sguardo, divertita.
“Andrea, dammi del tu, quante volte te lo devo dire!”. “Maria” intervenne Riccardo “doveva mascherare con
della finta cortesia dal momento che sta per andare in cucina a pomiciare con
tua figlia…”. Andrea gli lanciò un pezzo di pane addosso. “Niente
polpettone per te, zio!”. Maria scoppiò a ridere. “Non spargete briciole per
tuta la casa per favore…”. “Se l’avessi fatto io mi avrebbe già fatto una
solfa…” borbottò Tonio. Cherise, rossa come un peperone, si era defilata in
cucina a controllare il polpettone in forno. Qualcuno la ghermì da dietro. “E’ pronto?”. “Uhm” bofonchiò lei “direi di sì”. Andrea la fece girare verso di sé. Che roba, stavano insieme da sei mesi e ancora a
Cherise girava un po’ la testa quando lui le appariva davanti all’improvviso. Come ti sei ben
rammollita, Cher. Eppure le piaceva questo suo rammollimento. Lui la baciò sulla fronte, sul naso, poi sulla
bocca. Cherise scoppiò a ridere. “Cos’è, ti mancavo?”. “Non c’è niente di meglio tra un primo e un secondo
di Natale un po’ di te” disse Andrea. La ragazza lo guardò perplessa. “Vuoi del the?”. Andrea rise. “No, te! Voglio te!”. “Ah!”. Il ragazzo la spostò e prese il guanto da forno.
“Non cambierai mai, Cher, devi sempre smontare ogni cosa romantica che dico”. “Lo sai che con me è inutile dire cose romantiche”. Andrea fece per aprire lo sportello del forno, poi
si voltò a guardarla. “L’amore è ancora una parola?”. “Vuoi che ti dia la definizione da vocabolario?”. “Mi prendi in giro?”. Cherise rise e gli si avvicinò. “Sì”. Andrea la cinse e la baciò piano. “Credi ancora che
non sarà per sempre?”. La ragazza si lasciava baciare. Ogni particella del
suo corpo esultava sotto il delicato tocco della labbra di lui. “Nulla è per
sempre, lo sai”. “Ma tu vorresti che lo fosse?” fece lui. Il suo mento
pungeva appena. Era una sensazione troppo bella. “Sì”. Andrea sorrise. “Mi basta questo”. “Arriva quel polpettone?!”. Era la voce di Riccardo. Andrea sbuffò e lasciò andare Cherise. Ma prima che potesse aprire lo sportello del forno
il campanello suonò. Guardò confuso Cherise. “Chi può essere?”. La ragazza fece spallucce. Dei passi e un Tonio trafelato apparve sulla soglia
della cucina. “Cher! E’ papà! E’ papà!”. Papà… Cherise si lasciò andare in un enorme sorriso. Allora è venuto… Prese Andrea per mano e insieme seguirono Tonio
fuori dalla cucina. Sulla soglia del portone di casa era apparso un
uomo alto, un po’ stanco, un po’ sciupato, ma sorridente. Maria si teneva un po’ distante, ma il sorriso, che
fosse vero o finto, sul suo volto c’era ancora. Hai imparato a
fingere? Non importava, Tonio si era catapultato tra le braccia
del padre e questa era l’unica cosa che contava. Cherise lasciò la mano di Andrea e, titubante, si
avvicinò al quadretto famigliare. Corrado l’abbracciò senza esitare. Si erano sentiti qualche volta per telefono, ma era
tanto che non lo vedeva. Quasi le veniva da piangere. Erano successe così
tante cose quell’anno, e ne sarebbero successe ancora. Ci sarebbero stati altri
problemi, altri colori, quello era solo un pezzo della vita che avrebbe avuto. Il sipario mica calava. Mai. Show must go on…
Ed eccoci qui, giunti alla fine di questa storia, dopo un anno e quattro mesi che andava avanti. Prima di commuoverci troppo, rispondo prima di tutto alle tre recensioni dello scorso capitolo..
Morgana, ahahah dai non odiarmi, il finale non è troppo tragico no? :))) grazie per avermi seguita e recensita fino alla fine! RuNami 4ever,
beh definire Giulia angelo è un po' tanto, ma di sicuro per Luca
questo è stato :) Avevi ragione, da qui si riparte, con delle
nuove vite segnate da tutto quello che è successo, ma io mi sono
stufata e sta a voi decidere come andranno a finire i vari personaggi
;) grazie mille per la recensione! Lo sapevo che mi perdonavi subito XD RedTears,
l'unica contenta per la morte della povera Giulia.. Mattia prete, mica
male XDXD E se facevo lasciare Cher e Andrea.. mi sa che si sarebbe
scatenata una rivolta su EFP..
Beh,
ragazze, che dire, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguiti fino
alla fine. Continuerò a lavorare su questa storia, a migliorarla
(dato che ogni capitolo è stato scritto di getto) per poi
stamparla in definitiva a forma di libro (è il mio secondo libro
eh sì U_U). Questa è la vostra anteprima, la
bozza.. che spero vi sia piaciuta ;) Poi magari tornerò, magari con un'altra storia.. sottolineo ALTRA, non aspettatevi che faccia I colori dell'abisso 2 non esiste proprio XDXD Ah mi
farebbe piacere che tutti quelli che sono arrivati in fondo lasciassero
un commentino, per farmi sapere che ne pensano *-* Detto questo, non mi resta che augurarvi buone feste e buon anno!