Saida

di Espero
(/viewuser.php?uid=2764)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultima figlia della luna ***
Capitolo 2: *** Ravenna. S. Vitale. ***
Capitolo 3: *** Melchisedech ***



Capitolo 1
*** L'ultima figlia della luna ***


Non abbiamo mai saputo come si chiamasse quell’uomo

Non abbiamo mai saputo come si chiamasse quell’uomo. Venivamo trasportati dalla folla alla sua esposizione. Il libro diceva che la figlia della luna ci avrebbe salvato. Dicevano che sarebbe stata l’ultima figlia di Eva, la nostra ultima speranza, la speranza per noi gente che striscia vecchia e giovane nella polvere del Cairo e del mondo. L’uomo posava immobile sull’altare di Abu Serga. Un uomo e una donna giacevano linciati ad un lato. Nella vecchia chiesa era tutto silenzio. Paura. Tutti sapevamo che lei era la mano che infine un Dio ci porgeva per dimostrare che alla fine eravamo umani, ancora vagamente uomini.

L’uomo in gessato era fermo in piedi e sorrideva gelido, felino. Con una mano reggeva per il collo il cadavere della bambina, sgozzata. Con l’altra reggeva la madre. Il ventre della donna colava a terra. Lo aveva aperto a coltellate. La donna piangeva avvolta nella sua cappa di sangue guardando in alto. Il sangue gli colava sul vestito impeccabile a quel mostro in abiti italianei e con i capelli unti di gel. “Io vi ho salvati” disse “Io ho fermato la nascita del cancro del nostro mondo e delle nostre notti. Nessuna speranza per i figli di Caino, nessuna fine per coloro che avranno coraggio di cessare la farsa dell’umanità” Mentre si ergeva a difensore nostro e del nostro futuro lacrime di sangue solcavano i nostri volti e ci dicevamo che era finita. L’ultima stella si spegneva. Come bestie che sentono l’acqua salire nella loro gabbia e non trovano vie di uscite esplodemmo d’odio. L’odio morti e scontri infiniti. Infine venne mattina sul Cairo ma nessuno di noi volle cercare riparo. Salimmo sui tetti del quartiere copto e guardammo sorgere l’ultimo sole. Morivano in quel momento i figli del Cairo e della notte, i centenari vampiri tanto temuti e che su quei tetti rivendicavano la loro umanità e il loro diritto di morire in una giornata di sole.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ravenna. S. Vitale. ***


Felino

Felino. Il sorriso sul volto spagnoleggiante della donna era felino e sornione. Capelli neri, lisci, puliti, raccolti in una coda. Una bellezza fine in vestiti da chi ha viaggiato per centinaia di anni. Dei vecchi jeans stracciati, una maglia nera con una luna bianca sul petto. Un lungo impermeabile nero di cuoio. Dalla cintura pende una vecchia spada che per aprire la strada a Nod era stata usata instancabilmente. La donna tese la mano ai nuovi venuti. “Ben giunti, lui vi aspetta dentro”.

La chiesa di San Vitale è bella di notte. Alcune candele erano state accese al suo interno e alla tremula luce delle loro fiamme osservano silenziosi i mosaici i nuovi arrivati. Giustiniano, Abele, Abramo, Melchisedech, Massimiano. Nelle loro frammentate esistenze immaginifiche scrutano con gli occhi squadrati folle di turisti mortali armati di macchine fotografiche e di sguardi frettolosi, avidi. Quella notte fu offerto loro uno spettacolo nuovo dopo tediosa attesa. Figure. Ombre vecchie quasi quanto loro che muovono e parlano e osservano quell’aria e quelle pareti dal sapore di passato e di sangue versato di martiri o imperatori. Un sapore di polvere, di roccia, freddo, intenso. L’incenso dell’ultima cerimonia ancora aleggia nell’ottagonale chiesa.

Un uomo dai rasta biondi di una bellezza androgina e stralunata muove lunghi passi assorbendo dentro il suo animo pazzo e molteplice ogni tessera di quel lavoro incredibile. I suoi abiti da viaggio marcano una vita notturna unica e un futuro degno del profeta quale egli era forse nato per essere. In un vecchio zaino militare appoggiato su una panca, un grande libro e quaderni fitti di appunti note e pensieri. Quando gli estranei giungono egli ancora è perso nell’ascoltare le voci di quelle mura così antiche.

Molto piacere. Il mio nome è Anatole. Lu, chiudi le porte, c’è bisogno di pace per narrare la storia più terribile del nostro mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Melchisedech ***


Erano passati giorni da quando la strada nostra e di Anatole si erano incrociate

Erano passati giorni da quando la strada nostra e di Anatole si erano incrociate. Notti ci separavano dalla fiaba sanguinaria ed epica che le sue labbra avevano pronunciato tremanti. Quelle parole folli ci lasciarono con un sapore amaro e un peso sulla testa. La spada della Gehenna pendeva sulla nostra testa e ciò che potevamo aver capito da quel dialogo lo mettemmo a frutto ed eccoci qua. Attraverso gli occhi d’ambra di Melchisedech giungemmo a Venezia poi in Iran, in India presso la grande fortezza di Hyderabad dall’antico nome di Golconda ed infine di nuovo a Venezia a San Francesco del Deserto. Sfiorando con le dita la fredda acqua della laguna mentre il motoscafo sfrecciava verso l’isola dei francescani ripensavo alle parole di Anatole.

“Melchisedech, senza padre ne padre, pianse con l’ultimo grande angelo di Dio e nei secoli ha portato pace e giustizia e ora Nod ci dice che nelle mani di colui che pianse l’angelo e all’ombra della luna giace la chiave di un mistero legato ad Abele, al figlio di Caino dotato di un triplice sguardo e alle nostre ultime notti prive di speranza e voglio sapere chi fu questo Melchisedech e cosa ora lo rappresenti, l’emblema che darà forse senso a questo mosaico che qualcuno commissionò in San Vitale facendovi incidere frasi di Nod e arcani semiti”

D’un fiato, come un conato, Anatole gettò addosso a noi questa frase e poi ci congedò. L’iride ambrato guidò il nostro passo ed infine questo monastero centenario, silenzioso tra alti cipressi ed asserragliato da una laguna che divora. Il motoscafo attraccò e accolti da un anziano monaco percorremmo il viale alberato.

Ora fugit, ombrae noctis.

Camminammo al buio velocemente come se qualcosa stesse per giungere e chi di noi aveva più affinità con gli spiriti sentiva che qualcosa stava arrivando. Sentiva un lungo tentacolo di atavica insensata perversione serpeggiare veloce tra le calli e venire nella nostra direzione.

Questa è la storia del nostro incontro con il primo sacerdote e con l’uomo del Cairo, non è però questo il momento di lasciar correre le parole.

Che la notte porti consiglio.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=62644