Cacciatrice

di dodux96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Ciao, sono Dodo.. ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciasettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventiduesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventitreesimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiquattresimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo Venticinquesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiseiesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventisettesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventottesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventinovesimo - Promo ***
Capitolo 31: *** Capitolo Ventinovesimo ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentesimo ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentunesimo ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaduesimo ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentatreesimo ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentaquattresimo ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentacinquesimo ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentaseiesimo ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Fermata del bus, cuffiette nelle orecchie, canzone a volume altissimo, zaino pesantissimo e un caldo insopportabile, benché sia ottobre. Questa sono io, vestita di jeans, maglietta bianca, converse rosse e giacca di pelle finta. E questa è la mia storia. Certo, potrà assomigliare a tante altre storielle da bestseller patetici ( o belli, come volete), o da grandi film del cinema, scegliete voi, ma è la mia storia. Siete liberi di leggerla o meno. Come stavo dicendo, fermata del bus: è una cosa insopportabile doverlo aspettare e poi ritrovarsi un mezzo di cinquant’anni fa che arranca per la collinetta, piccolo e per di più pieno di gente. Ah, eccolo: oggi è il mio primo giorno del terzo anno in un liceo che non ho mai visto prima, in una cittadina che ho sempre odiato ma che purtroppo è ormai diventata la mia casa. I miei genitori sono separati da tanti anni, troppi, e io sono stata oggetto di milioni di litigate, fino ad essere spedita da mio padre ogni estate, e incatenata a casa da mamma per ogni capodanno. O almeno fino ad ora. Mia madre stava per risposarsi quando ha avuto un incidente: ne è rimasta gravemente ferita, tanto da non ricordarsi quasi più di me. Il suo fidanzato è morto nell’incidente. Così sono dovuta andare a vivere da mio padre, che aveva di me un vago ricordo: da quando avevo quattro anni mia madre ha smesso sempre di più di farmelo vedere e quando sono giunti i quattordici ho deciso di non voler andare più tanto spesso da lui, vale a dire una telefonata ogni tanto. E’ comprensibile quindi che la sua mente si sia fermata alla visione di una bambina impacciata, paffutella e priva dei due incisivi superiori; ma quando sono arrivata all’aeroporto di questa piccola cittadina, me lo sono ritrovato di fronte con un grande sorriso sulle labbra che mi chiamava per nome. Dovete capire, in un certo senso, il mio sconforto: non sono cambiata per nulla da quando ero solo una bambina che attraversava la sua infanzia? Mah… Ah, ecco il bus: uno a zero per me, è stracolmo di gente. Salgo, senza alzare lo sguardo, mentre mi lascio sorpassare dai ragazzi dietro di me: devo decidere dove sedermi. Non sono mai stata il tipo di ragazza da “ultimo sedile in fondo” ma se mi siedo davanti sembrerò una bambina, allo stesso tempo se mi siedo in mezzo rischio di finire vicino a uno sconosciuto. Così opto per il terzo sedile davanti. E nessuno si è seduto vicino a me. Due a zero. C’è da dire un’ altra cosa riguardo alla mia vita prima di oggi: da sempre in famiglia c’è stato un tipo strano, bellissimo ogni oltre modo, gentile, biondissimo e con due occhi enormi e azzurri. Da quel che mi ricordo è sempre rimasto così come l’ho visto la prima volta: una cosa molto strana dato che i miei lo conoscevano ben prima della mia nascita. Mai invecchiato, ma i miei genitori non si sono mai posti il problema. Così non l’ho mai fatto nemmeno io: lui si chiama Peter e ha l’aspetto di un ventenne. A dodici anni ho però cominciato a fare le prime domande che, ovviamente, non trovarono mai risposte, allora presi tutto il mio coraggio e andai da lui. Non mi rispose, e continuò a fare lo zio acquisito in modo impeccabile: tutti i giorni prima e dopo scuola mi veniva a prendere, un sabato si e uno no si occupava di me e regolarmente veniva a cena da noi. Poi, appunto, i miei si separarono, e Peter diventò sempre più presente, tanto che lo allontanai. A quindici anni si ripresentò sotto casa mia e mi confidò il suo segreto; il giorno dopo mia madre ebbe l’incidente. Il cartello della scuola dice: Benvenuti al Watherly School, 400 alunni. Wow. Il bus termina la sua folle “corsa” e l’autista ci fa sbarcare velocemente: la mia perfetta goffaggine non può non tradirmi e decide quindi di farmi praticamente rozzolare giù per gli scalini. A prima vista la scuola mi sembrò bella: pulita, una scalinata all’entrata, zona parcheggio intorno e da una parte autostrada e dall’altra bosco. Perfetto per scappare inosservati. Dimenticavo, milioni di occhi che ti scrutano. In lontananza una campanella trillò e, come chiamati dal pastore, tutti i ragazzi corsero verso l’entrata: in pochissimo tempo mi ritrovai quasi da sola nel bel mezzo del parcheggio. Sbrigati Caco! Corsi anch’io. Il giorno prima mi avevano dato tutti i libri e la piantina dell’edificio: quel giorno ero in aula S4, fisica. -“ Avanti!”- mi urlò il professore da dietro la porta. -“ Buon giorno.”- timida, molto timida. -“ Buon giorno.”- mi guardò cadendo dalle nuvole. Corsi in suo aiuto. -“ Sono Carlotta Milo, la nuova studentessa.”- sul volto del professore comparve un sorriso cordiale, mentre mi presentava al resto della classe, continuando a ripetere a intermittenza il mio nome. Due a uno. Merda…

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


   -“ Va bene, prima del suo arrivo, signorina Milo, stavamo parlando..”- dopo un monologo di quasi mezz’ora il professore tornò alla sua lezione e, contenta, lasciai che le parole scorressero su di me velocemente, senza neppure ascoltarle o fare finta, almeno. Mi è sempre piaciuto il liceo. Tre a uno.I banchi era singoli, posizionati a scacchiera, in modo che nessuno fosse troppo vicino a qualcuno: la classe, inoltre, era anch’essa divisa in tre parti, o così parve a me. Il posto davanti era riservato a un gruppo di ragazze del tipo “studio tutto il giorno”, e che ovviamente avevano trascritto ogni singola parola che il professore aveva detto nel suo monologo; il fondo invece era delle coppiette, degli innamorati, che carini: alcune scrivevano messaggi con le proprie girlfriend, altri ancora si tenevano per mano sotto il banco, della serie “non me ne può fregare un fico secco, faccio quel cavolo che voglio”. In mezzo c’erano quelli come me, ragazzi e ragazze intenti a far altro, sicuramente non ad ascoltare, ma lo facevano in modo sottile: alcuni ascoltavano musica, ma facevano passare il filo delle cuffie sotto la maglia e poi nascondevano la cuffietta con i capelli o con sciarpe, altri fissavano fuori dalla finestra formulando pensieri che nemmeno il professore avrebbe capito, ma ogni tanto tornavano con lo sguardo sul libro, o prendevano un po’ di appunti con la matita, giusto una parola, un segnetto, per far capire al professore che si, non gliene fregava niente, ma che apprezzavano il suo abominevole sforzo…nullo.
La classe era un essere vivente, e non appena il professore si girò verso la lavagna, ogni ragazzo tornò a fare la sua parte: le secchione scrivevano, sbavando come cuccioli affamati dietro al professore, i nullafacenti dai comportamenti sottili schiacciarono il tasto play dell’ Ipod e gli innamorati a baciarsi.
-“ Ho capito che l’amore vince su tutto, ragazzi, ma potreste perlomeno aspettare la campanella per scambiarvi certe effusioni? Grazie.”- la voce del prof mi riscosse dai miei pensieri e proprio quando stavo per togliere il suo unico punto alla scuola, ecco che invece se ne aggiudico un altro.
-“ E comunque, se volete potete sempre uscire.”- Oh no, no no no e ancora no. Tre a due! –“Oggi per me la lezione finisce qua: mancano dieci minuti alla campanella, tirate fuori i libri della prossima lezione, grazie.”- la mascella praticamente mi si staccò dal resto del viso. Non ci potevo credere, tre a tre. Parità.
-“ Chiudi la bocca, o altrimenti ti entrerà qualche mosca.”- eh? mi girai verso la voce e mi ritrovai davanti a un tizio qualunque, un bel tizio qualunque, che mi guardava divertito. Era moro, i suoi capelli erano un po’ mossi, e gli occhi era di un verde abbagliante.
-“ Così va bene?”- chiesi a denti stretti, con gli occhi ridotti a una fessura. Lui annuì scoppiando a ridere di nuovo.
-“ Parità col professore? Ahahaha!”- mi rigirai con uno scatto. L'avevo detto a voce alta?
-” Non ti preoccupare, anch'io lo facevo il primo giorno, del primo anno.”-
-” Già, peccato che io sia in terza.”- che cretina!
-” Come me.”-
-” Che vuol dire? Che lo fai anche adesso?”- dissi con aria strafottente scuotendo la testa e le spalle.
-” Si, però io sono a cinque a tre.”- stavo per controbattere, ma per sua fortuna la campanella suonò subito dopo e scattai in piedi, uscendo per prima dalla classe. Non avevo calcolato però,che la scuola conteneva una massa di 800 persone, e che queste al suono di quella stupida campanella scattavano fuori dalle aule proprio come me. Ma per fortuna ecco che arrivò il mio aitante compagno di classe, pronto a salvare una ragazzina in pericolo: le persone mi erano addosso, stringendomi una morsa mortale, ma le sue mani mi aprirono un varco tra la folla e passando sotto braccia alzate e in mezzo a corpi immobili come pali fummo liberi. Non lo guardai e scappai via.
-“ Ehi! Aspetta!”- mi raggiunse nel giro di due secondi, cavoli! –“ Non mi ringrazi nemmeno?”-
-“ Grazie, va bene?”- gli sbraitai contro, girandomi bruscamente per urlarglielo in faccia: me lo ritrovai a pochissimi centimetri dal viso. Mi allontanai velocemente e il suo sguardo cambiò: mi fissava con gentilezza, esprimeva tenerezza. Dopotutto era stato molto gentile con me e io ero stata così scema da trattarlo male. Mi sentii profondamente in colpa.
-“ Senti, mi dispiace, non dovrei trattarti così…”-
-“ Non importa davvero. E’ il tuo primo giorno.”-
-“ Si, ma tu sei stato gentile con me e io…”-
-“ Te l’ho detto, non importa. Va bene così.”- mi fissò di nuovo con quella strana luce negli occhi. - “ La prossima ora c’è trigonometria.”-
-“ Aula S7…”-
-“ Esatto. Allora vediamo…”- alzò il collo oltre la marea di teste probabilmente per cercare la via più veloce. –“ Ah, ecco, vieni.”- in un secondo mi prese per il polso e mi trascinò tra il fiume in piena che si riversava nel corridoio : la sua mano era grande e forte, non mi lasciò nemmeno quando un’idiota ci arrivò addosso con tutto il suo peso, trascinandomi per terra. Lui riuscì a liberarmi, di nuovo, e mi spinse di nuovo nel corridoio. L’aula era relativamente vicino, ma arrivammo comunque in ritardo: per fortuna, o per sfortuna, il professore era molto anziano, e non si accorse per niente del nostro arrivo. Il mio accompagnatore mi fece segno di far piano e di seguirlo: gli unici posti a sedere liberi erano infondo, vicini. Ci muovemmo tra i banchi cercando di fare meno rumore possibile, ma proprio quando mi stavo sedendo, il professore si girò verso di noi: il tempo gli aveva solcato il viso con rughe profonde, i capelli e barba erano bianchissimi. Portava un paio di occhiali con lenti spesse come minimo due centimetri, ma evidentemente non gli bastavano: gli ero davanti, completamente davanti, e lui aveva lo sguardo fisso verso di me, ma niente. Dovettero passare ben ventiminuti perchè gli venisse in mente di fare l'appello: quando lesse il mio nome chiese dove fossi, alzai la mano e mi fissò per tre minuti ripetendo il mio nome tante e tante volte. Mi fece paura, ma prima di cominciare a preoccuparmi seriamente, lui tornò a girarsi verso la lavagna. Questa volta fu più facile far passare l'ora, davanti a me tutti quanti erano chini sul banco a scrivere ogni cosa che provenissse dalla bocca del prof: mi chiesi se dovessi farlo anch'io, ma la lezioni finì subito, quindi non ebbi il tempo. Con un sorriso sulle labbra, quattro a tre. Rimonta.
- “Va bene ragazzi, studiate fino a pagina 15 per la prossima volta.”- il professore cercò di darci i compiti, ma si rese conto di aver perso in partenza.Il ragazzo che fino alla lezione prima mi seguiva per i corridoi ora era sparito in un baleno. Eto rimasta sola in classe e mi affrettai ad uscirne. Pensavo di averlo perso e invece era là, che camminava lentamente con i libri sotto braccio. Lo guardai per un po', era veramente bello: da dietro lo sembrava ancora di più; per un secondo mi parve di sentire il mio cuore che faceva una capriola. Gli corsi dietro.
-“Aspetta! Ti prego asp...oddio...Aspetta!”- lo raggiunsi, con qualche fatica, lo raggiunsi. Lo chiamavo ma non si girava ne mi aspettava, anzi, sembrava quasi che aumentasse velocità.
-” Ma vuoi aspettarmi cavoli?”-
-” Che c'è, sei tu ora che mi perseguiti?”-
-” Eh?”-
-” Ahahahah!. Dai, riprendi fiato, su.”- ma che aveva? Sbalzi di umore tipici degli uomini in andropausa? Eppure era ancora giovane...
-” Dimmi, cosa vuoi?”-di nuovo serio. Stava cominciando a darmi alla testa: lo aveva detto pure lui, sono appena arrivata, un po' più di clemenza, por favor!
-” Prossima aula?”-chiesi con ancora il fiatone. E lui si mise a ridere. Pensai che se non fosse stato così bello lo avrei ucciso, ma come privare il mondo di tanta bellezza? Cristo...
-” Si, certo, da questa parte.”- e mi fece segno di seguirlo lungo il corridoio.Mi affiancai a lui e per un po' regnò il silenzio.
-” Quindi sei nuova...”- annuii -” E ti chiami Carlotta Milo.”-
-” Puoi chiamarmi Caco o Milo se vuoi.”-
-” Ok, allora tu puoi chiamarmi Nick. Ti va?”- lo guardai con gli occhi sgranati annuendo come una cretina.

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


 Quell'aula era la più grande che io abbia mai visto: i banchi erano disposti come nelle altre, a scacchiera, solo che erano più grandi e tutti incisi. Come prima solo due posti erano liberi: mi sembrò di vederli vicini, ma dopo mi accorsi che non lo erano; Nick, spingendo la porta per entrare, mi era passato tanto vicino da coprirmi la visuale: per un secondo i nostri nasi erano così vicini che potei sfiorarlo leggermente. Che sia chiaro, lui si avvicinò, io rimasi solamente ferma.
I posti erano così lontani che mi venne male: Nick mi spinse subito sulla sedia del posto più vicino a noi, distante dagli altri, isolato in una maniera terribile, e fece per dirigersi verso l'altro, ma una voce glaciale lo bloccò. Non me ne ero accorta, ma in classe c' éra, ovviamente, anche il professore:era un uomo sulla cinquantina, vestito di tutto punto, ma dalla voce capii che lo avrei odiato per tutta la vita, e che il mio ultimo desiderio sarebbe stato vederlo sacrificato sulla cattedra.
-” Finalmente il signor Maiorum ha deciso di unirsi a noi. Bene.”- la voce era puro concentrato di veleno, e mentre Nick stava per dire qualcosa... -” No. Si sieda al suo posto. Subito.”- sibilò. Cosa poteva fare Nick se non correre all'altro posto? Si muoveva con incredibile agilità tra i banchi e presto arrivò vicino a una ragazza vestita con un cardigan rosa confetto e dai capelli biondi: dei puri raggi di sole. Lei si girò verso di lui: aveva un profilo perfetto, un orecchino sulla parte più alta dell'orecchio e un altro che pendeva dal lobo. Il taglio degli occhi era lineare, il trucco senza ombra di sbavo e aveva un anello sull'anulare destro: lei alzò la mano verso Nick, mentre lo guardava fisso. Lui ricambiò in tutto: occhi fissi in quelli di lei, e le prese la mano, tenendola stretta sul suo banco. Le dita intrecciate...
In quel momento il professore si girò, e potei contemplare quale forma di assurda mostruosità: era orribile, rivoltante. Fissò Nick, la ragazza e poi alzò lo sguardo su di me. Mi guardò in cagnesco e dopo due secondi recitò il mio nome. -” Carlotta Milo. Sei arrivata infine.”-
-” Si...”-
-” Cosa? Non ti ho sentito!”-
-” Si.”- alzai la voce, ma probabilmente fu udibile solo al mio vicino. Forse nemmeno...
Non me ne accorsi, ma il professore in due secondi mi era arrivato di fronte. Sobbalzia dallo spavento, portando con un riflesso automatico la mano al cuore. Avevo ancora gli occhi chiusi quando il matto mi fece sobbalzare di nuovo sbattendo un quaderno sul mio banco. Lo guardai e lo aprii.
-” Qui dentro ci sono dei disegni. Copiali!”- con la testa abbassata annuii e mi piegai verso lo zaino.
-” Non qui! A casa tua! Ora tu resterai ferma a guardare i tuoi compagni.”- oddio. Tutti come presi da una scossa si mossero: inclinarono i banchi, presero foglio, squadretti, matite e quaderno e cominciarono a disegnare. Mi appoggiai al banco spossata dal colloquio col prof, infossando la testa tra le braccia incrociate. Per fortuna la lezione passò velocemente: non sarei riuscita a fissare Nick e quell'altra un minuto di più.
Per finire, alla fine della lezione se ne scapparono via, e Nick mi lasciò sola. Certo, all'inizio volevo che fosse così, però poi.... La considerai un'azione ormai diventata un'abitudine e invece...che stupida... E ora eccoli la, che se ne vanno per il corriodio mano nella mano, e io rimango sola. Arrabbiata nera mi avviai all'uscita, senza degnare nessuno, mi diressi verso la fermata del bus, aprendo l' Ipod. Se solo qualcuno avesse osato rivolgermi la parola, l'intera scuola sarebbe crollata.

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Capitolo 4
*** Ciao, sono Dodo.. ***


Ciao, sono Dodo :D vi piace la mia storia?  si si, lo so, assomiglia molto, almeno all'inizio, a Twilight.... lo so. Ma ora che continuo a scrivere cercherò continuamente di distaccarmi da quella storia che è a dir poco stupenda e scriverò senza prendere più spunti :D mi piacerebbe se voi commentaste un pò :P sia che vi piaccia la mia storia sia, invece, che non vi piaccia...almeno così saprò come sta venendo fuori, no? E inoltre mi piacerebbe anche se qualcuno di voi mi suggerirebbe le sue storie, così leggo anch'io qualcosa e commento :P grazie a tutti (dio, in una sera 21 visite solo per il primo capitolo, graziegraziegraziegraziegrazie!!!)  ahahahahh....
P.S   per voi e solo per voi, ecco un'accenno del quattordicesimo capitolo che caricherò man mano :P ):

 

 

-“ Mi vuoi dire, per piacere, che cavolo centro io?”- dissi sussurrando con la voce piena di rabbia.
-“ Si, già. Esiste una…uhm, discendenza?…No, esistono degli umani che rientrano in tutta questa storia. Si chiamano, o si fanno chiamare, Cacciatori.”- ci stavamo arrivando, lentamente, ma ci stavamo arrivando.
-“ Okay. Continua, per favore.”- bisognava spronarlo il ragazzo, sennò non si muoveva.
-“ Bene. Ecco, la tua famiglia, quella vera, biologica, discendeva, faceva parte, di questi umani”- odiavo anche quando usava tanti sinonimi –“ Il tuo è un…ruolo, che si passa di generazione in generazione: dopo che il Cacciatore muore, il testimone passa al figlio, o figlia.”- fine, silenzio. Okay…
-“ Cacciatore….io?”-
-“ Cacciatrice…tu, si.”-
-“ E di cosa?”- Peter alzò gli occhi al cielo e con la forchetta in mano indicò se stesso e poi tornò ad occuparsi della pizza. Vampiri…Cacciatrice di vampiri… La testa cominciava a girarmi…

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


 

Il viaggio in bus fu come all’andata: mezz’ora in piedi per decidere dove mettermi, poi quando finalmente mi sedetti ero gia arrivata alla mia fermata. Scesi, proseguii per la stradina che si allungava su per un’ennesima collinetta dietro alla quale sparì il bus, e mi ritrovai davanti a casa mia: una casa a due piani, bianca, circondata da un giardino: a sinistra la strada, a destra, molto più a destra, un boschetto. A ornare l’entrata della casa due grandi alberi, un vialetto fatto di pietre disseminate neanche servissero a oltrepassare un fiume. Camminai lentamente verso la veranda per entrare: improvvisamente l’umidità si fece più intensa e i miei capelli cominciarono ad appiccicarsi alla mia faccia.

-“ Blah! Che schifo...”- commentai a voce alta mentre inserivo la chiave nella toppa.

-“ Pensavo che ti piacesse la mia casa.”-

-“ Cosa?”- scattai voltandomi: dietro di me cera mio padre, ops volevo dire il mio padre adottivo, che era apparso dal nulla venendomi alle spalle.-“ Ah…papà, mi hai fatto venire un colpo!”-piccolo tentennamento prima di chiamarlo papà. In quel momento notai la sua macchina: una vecchia Ford color bianco panna. Orribile.

-“ Scusa, non volevo spaventarti.”- spinse la porta e mi fece entrare: mi colpì subito il buonissimo odore che c’era nel ampio ingresso, assomigliava a quello che hanno le macchine nuove, mi fece sentire ancora a casa. Dopo che Peter mi disse che ero stata adottata tutto cambiò: facevo fatica chiamare mamma e papà quelli che fino a poco prima lo erano stati, non mi sentivi più a casa in quella che invece prima consideravo tale. Ma la, in quella casa grande e luminosa, con quell’odore familiare e avvolgente, mi scesero sulle guance grosse lacrime. Per fortuna il mio non-padre era girato e non le vide: corsi su per gli scalini a due a due, girai a sinistra e corsi lungo il corridoio tappezzato di quadri e foto, sfondai la porta di camera mia ormai con gli occhi coperti da una mano. Lasciai cadere lo zaino per terra e mi afflosciai sul letto, singhiozzando e tossendo. Era stato solo un mese fa che avevo ricevuto due notizie in una botta sola: all’inizio non credevo a nessuna delle due, ma poi pensai a quanto fossero vere entrambe. Compresi perché non avevo niente in comune con Catherine, la donna che credevo mia madre, ne con Mason, l’uomo che doveva essere mio padre. Lei non era tanto alta, aveva un viso lungo, due occhi di un verde che non si decideva se essere grigio o marroncino, la pelle era olivastra, la bocca sottile, un sorriso deciso e bianco: amava il viola, odiava il disordine e ascoltava un sacco di musica new age. Mason invece era alto, atletico per un uomo quarantacinquenne, aveva la pelle di un bellissimo color nocciola, amava la nautica e anche lui era un fanatico dell’ordine; credeva molto in Dio, ma la domenica non aveva le forze per andare a Messa; anche il suo viso era lungo, aveva un naso importante, la mascella quadrata e gli zigomi bassi; ascoltava solo i Led Zeppelin e i Pink Floyd e non ammetteva commenti riguardo al suo stile antiquato. Io invece ero completamente diversa da loro: avevo un viso rotondo, una fronte alta così come gli zigomi; i miei occhi erano verdi-grigio d’inverno e marroni d’estate, ero disordinata a tal punto da non ritrovarmi neppure io nel casino di camera mia: ascoltavo house, rock puro degli anni sessanta,settanta,ottanta e novanta; non amavo per niente il new age, e detestavo con tutta me stessa la matematica, che il mio non-padre ingegnere navale cercava di insegnarmi.

Distesa sul letto versai tutte le mie lacrime: non mi importava se Mason al piano di sotto mi sentiva, e non me ne importò neanche quando lui entrò in camera mia, si avvicinò al letto e appoggiò la sua mano sulla mia schiena percorsa dai singulti. Pian piano mi calmai, il respiro tornò regolare e gli occhi, ormai rossi e gonfi, non trasbordavano più.Non mi ero accorta che Mason era tornato di sotto, così decisi di scendere giù in cucina dove lo trovai seduto al tavolo intento a bersi una tazza di te, contemplando il tramonto dalla grande vetrata. Mi sedetti anch’io e sospirai.

-“ Va meglio?”- mi chiese. Risposi annuendo.

-“ Si, un po’ meglio… Mi dispiace.”-sospirò anche lui.

-“ No, dispiace a me. Sai, io e tua madre pensavamo di dirtelo più in la, quando saresti cresciuta a avresti già programmato e iniziato la tua vita da sola, con un lavoro tutto tuo…”-

-“ Invece è arrivato Peter. Perché l’ho dovuto sapere da lui? Perché?”- mio padre non seppe rispondere. Si limitò a guardarmi con una supplica negli occhi ma che decisi di non cogliere. Ancora non perdonavo i miei per quello che mi avevano fatto e a maggior ragione la mia madre biologica di cui non conoscevo nemmeno il nome!Per sedici anni, sedici anni!, mi avevano mentito su tutto: sul fatto che avevano scelto il nome Carlotta perché era la zia preferita di mia madre; che non assomigliavo a nessuno dei due perché ero un pezzo raro, direttamente discendente dalla famiglia della nonna. Tutto! Aveo bevuto ognni stupidaggine perché mi sentivo amata da loro, coccolata. Invece adesso ero solo stata tradita, con questa sensazione che orami aveva esso le radici nel mio petto: non riuscivo a perdonarli, e sicuramente non lo avrei fatto quella sera.

Mi alzai e andai verso il frigo bianco: mi procacciai qualcosa di commestibile e tornai di sopra. Solo allora ebbi il tempo di ripensare a quella strana, prima giornata nella mia nuova città. Ripensai a Nick e a quella strana ragazza discesa dall’Olimpo con la quale sembrava avesse un rapporto molto stretto; ripensai ai professori e mi divertii a dare ad ognuno un nomignolo per poterli identificare meglio, che sia chiaro, non per sfotterli ogni giorno, io non sono una ragazza di quel tipo. Amo il sarcasmo!

Non mi accorsi neppure quando caddi in coma profondo.

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***


 

-” Non avere paura Caco, vieni da me.”- una voce mi chiamava: ero circondata dal buio e l'unica cosa che potevo percepire era quella voce così dolce, sublime, che mi invitava a seguirla. Ci provai, andai verso di lei e lentamente le cose intorno a me cambiarono: prima cominciarono ad emergere oggetti di tutti i tipi, inciampai in quello che sembrava essere un comodino simile al mio, poi mi beccai in testa una librata da un testo di geometria, (ecco perché la odio). Poi fu luce: era bianca e mi accecò.

-” Vieni..vieni da me.”- ancora lei: questa volta la sentii meglio quella voce e riconobbi che era maschile, quella cadenza sulla i aveva qualcosa di famigliare che mi spinse ancora di più verso di lei. Mi avvicinai finché la luce non mi costrinse ad alzare le mani sugli occhi e...e la c'era Peter, vestito interamente di nero, dalla testa ai piedi, che mi guardava, anzi no, mi fissava con una strana luce negli occhi. Mi mise paura e pensai di scappare via ma i miei piedi erano incollati al suolo, non potevo muovermi.

-” Ciao Caco.”- molto lentamente mi girai e risposi al saluto con la voce che mi tremava.

-” Ciao Peter.”- lui mi sorrise e mi mostrò una fila ordinata di denti bianchissimi. Cercai di sorridergli anch'io ma il mio viso come i piedi era di cemento, non potevo muovere nessun muscolo. Impaurita lo fissai ma non lo trovai al suo posto. Cercai di guardare a destra e a sinistra per quanto potevo arrivare con la coda dell'occhio ma non lo vidi. In quell'istante lo sentii: un rantolo dietro di me, il rumore delle labbra che si dischiudono e il suo respiro sul mio collo. Era vicino, troppo vicino: mi toccò la base della mascella con la punta del naso e un brivido mi percorse la schiena: cominciavo a sudare freddo e questo parve piacergli tanto che cominciò a scendere lungo il disegno del collo sempre solo sfiorandomi leggermente. In poco tempo arrivo alla clavicola e li accostò anche le sue labbra sulla mia pelle: ricominciò a salire, scendere, salire e scendere fino a quando non arrivò per la terza volta sotto il mio orecchio, inspirai leggermente perché fino ad allora non avevo osato farlo e potei sentire chiaramente non solo la punta del suo naso e le sue labbra sulla mia pelle ma anche qualcosa di duro e freddo: due canini mi pizzicavano il collo a intervalli regolari di pochi secondi; non ci vidi più dalla paura e urlai divincolandomi e riuscendo ad allontanarmi anche di poco da lui, ma le sue mani furono velocissime: mi ripresero e mi spinsero di schiena contro il suo petto e non ebbi nemmeno il tempo di allungare le braccia per afferrare qualsiasi cosa che potesse trattenermi che i suoi canini ormai avevano già inciso la mia pelle e, potei sentirlo chiaramente dietro di me, il suo corpo che ansimava mentre mi stava togliendo la vita. Per una frazione di secondo provai piacere mentre la parte intelligente di me urlava dal dolore, pensai che era bello accasciarsi contro quel corpo assolutamente perfetto e lasciare che lui si nutrisse di me, ma fu solo un momento, poi il buio mi inghiottì di nuovo.

 

-” Caco, Caco! Svegliati!”- due mani e una voce stavano cercando di svegliarmi ma era come se, anche dopo essere uscita dall'incubo-sogno, i miei occhi si rifiutavano di aprirsi, neanche fossero stati incollati.

-“ Avanti Caco, svegliati!”- la voce parlava piano, ma era come se stesse cercando di urlare. Finalmente i miei occhi si aprirono e quello che vidi mi sembrò strano, fuori luogo. Completamente.

-“ Pe..Peter?”- che diavolo ci faceva lui in camera mia? E perché era vestito come lo avevo sognato??

-“ Ecco, da brava. Apri gli occhi.”-

-“ Sono aperti!”- urlai. Sentii mio padre camminare che si alzava nella camera accanto, ma per fortuna non venne a controllare come stessi.

-“ No, ti prego.”- Peter mise una sua mano sulla mia bocca. Lo guardai male, cercando di chiedergli di nuovo che ci facesse in camera mia, in piena notte, vestito come lo avevo sognato, dopo che gli avevo esplicitamente detto che non lo volevo vedere più. Lui aspettò che i rumori di passi di mio padre svanissero e fece scivolare via la sua mano.

-“ Che cavolo ci fai qui??”- squittii.

-“ Mi dispiace se ti ho svegliato…”- lo interruppi.

-“ Si si, vai al dunque!”-

-“ Okay, okay.”- ma si zittì. Lo guardai con astio aspettando che continuasse: lo sempre odiato per questo, deve dirmi qualcosa di importante e….non lo fa!

-“ Sono entrato dalla finestra…”- ma se l’avevo chiusa da dentro! E infatti era ancora come l’avevo lasciata. –“ Per dirti…”-

-“ Si….?”-

-“ Che devi venire con me.”- eh?

-“ Mi sono persa.”- sospirò e abbassò lo sguardo sulle coperte.

-“ Caco, tu devi venire con me.”-

-“ Perché?”- non mi ascoltò.

-“ Solo per stanotte, poi ti riporto qua prima dell’alba.”-

-“ Ma perché?!”-

-“ Avanti, alzati e metti qualcosa addosso. Veloce.”- mi alzai, ma continuai a guardarlo. Aveva ignorato due volte la mia domanda! Mi misi un paio di jeans e una felpa sopra la maglia del pigiama.Continuavo a non capire!

-“ Pronta? Bene, andiamo.”- mi spinse fuori da camera mia, giù per le scale e poi fuori dalla porta di casa. Guardai nel vicolo se c’era la sua auto, ma vidi solo quella di mio padre. Come c’era arrivato a casa mia? –“ Vieni.”- mi prese per il polso e mi trascinò verso il boschetto: aspettai che si inoltrasse nell’ombra per divincolarmi e puntare i piedi.

-“ No! Ora mi dici cosa vuoi!”- solo i suoi occhi erano visibili.

-“ Non qui.”- gli uscì come un insulto. Improvvisamente i suoi occhi avevano cambiato colore, ora erano di un ambra che mi ricordò molto il miele. Sul momento presi paura, ma una parte di me cominciò a muoversi verso di lui, rincorrendolo tra gli alberi, desiderosa di poter vedere di nuovo quel colore meraviglioso dei suoi occhi. Lo chiamai più volte, continuando a correre, ma ormai pensavo di averlo perso: non avrei mai più potuto vedere i suoi occhi. Ben presto arrivai in uno spiazzo: li gli alberi non c’erano, ma al loro posto c’era un bellissimo prato.

-“ Oddio!”- mi voltai di scatto: qualcosa mi aveva sfiorata, e subito dopo aveva ringhiato. –“ Peter!”- urlai in preda al panico.

-“ Sono qui.”- mi rispose lui: era calmo, tranquillo. Apparve dall’altra parte della radura: lo guardai piena di sollievo e feci per andare da lui.

-“ Oh, Peter. Non sai che paura ho preso: qualcosa mi aveva toccata! Ehi, i tuoi occhi! I tuoi occhi erano..erano diventati gialli!”- cominciai a parlare a raffica continuando a camminare. Lo guardavo, e c’era qualcosa di diverso in lui: aveva la mandibola tesa, le labbra lunghe a formare una sola riga e gli occhi, gli occhi trasudavano odio e desiderio. Mi fermai e lo guardai meglio: una gocciolina di sudore mi imperlò la fronte e provocò un brivido freddo lungo la schiena. Mi ricordò improvvisamente il mio incubo. In quell’istante Peter scomparve: la paura improvvisa mi bloccò tutti i muscoli e, come nell’incubo, non riuscii a muovermi. Un rantolo e lui mi alitò sul collo: urlai senza aspettare altro. Le sue mani mi preso per la gola, come nel sogno era dietro le mie spalle, e cominciarono a stringermi: non riuscivo a respirare e l’urlo mi si mozzò in bocca. Subito, veloci e sicuri, i suoi denti mi bucarono il collo dietro l’orecchio sinistro, succhiando e togliendomi lentamente prima la vista e poi la vita. Sentivo come il suo corpo si muoveva nel tentativo di arrivare fino all’ultima goccia e provai piacere, piacere e dolore. Un dolore tremendo, ma avrei fatto questo e altro pur di poter nutrire Peter.

-“ NO!”- un’altra voce al di fuori di me e Peter, ringhiò. L’ultima cosa certa che vidi fu un uomo che saltava nella mia direzione.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***


 

-“ Oddio, che mal di testa assurdo.”- mi svegliai con un mal di testa che non mi dava tregua: nasceva in mezzo agli occhi e mi percorreva tutta la testa, viso compreso, fino a sotto l’orecchio sinistro. Mi sfiorai il collo e, ahi!, dovetti ritrarre la mano immediatamente.

-“ Attenta.”- saltai dallo spavento. Mi girai verso la voce e c’era..Peter! Mi ritornò alla mente quello che avevo vissuto un istante prima: era stato un incubo o, cosa da più che incubo, la realtà? In quell’istante realizzai che Peter mi aveva morsa e..e che mi aveva uccisa!! Mi tolsi le coperte con uno scatto e mi spiaccicai contro la parete. Lo guardai terrorizzata.

-“ Vattene!!”-

-“ Calmati Caco.”- lui era tranquillissimo.

-“ Co..Cosa?? Tranquillizzarmi?? Tu mi hai ucciso!!”- mi uscirono gli occhi dalle orbite quando lo dissi. Ora che sarebbe successo??

-“ No, Caco. Non sei morta.”-

-“ Ah, certo.”- poi continuai: pian piano le cose andavano a posto. –“ Che mostro sei??!”-

Sospirò: lui mi aveva morso, succhiando via la mia vita, e poi mi diceva che non ero morta… Quale tipo di uomo può uccidere un suo simile succhiando via il suo sangue?

-“ Cerca di ricordare Caco… Te lo già detto una volta, tanto tempo fa…”- mi ritornarono in mente quelle parole pronunciate dalle sue labbra tempo fa: “ Caco, c’è una cosa che devo dirti… Sai perché ho lo stesso aspetto di dieci anni fa?…Ebbene, anche i tuoi genitori lo sanno ed è quindi che anche tu lo sappia. Io sono…sono un vampiro. Si, mi nutro di sangue e no, non mi sciolgo al sole e non mi uccide l’aglio ne i crocifissi.” Mi ricordo che quel giorno mi sono messa a ridere quando lo diceva e poi, dopo che mi aveva guardato con un’espressione da…da predatore, sono svenuta.

-“ Va..Vampiro?”- lui mi sorrise mostrandomi la fila perfetta dei denti bianchi.

-“ Già.”- nei suoi occhi c’era qualcosa di triste e antico.

-“ E come la mettiamo con la storia della mia morte?”- oddio, ora sono diventata un vampiro anch’io.

-“ No, non sei un vampiro e no, te lo ripeto, non sei morta.”-

-“ Ma tu mi avevi morsa e poi…poi c’era una voce e qualcuno ti è saltato addosso mentre tu ringhiavi.”-

-“ Quel qualcuno ero io, e quello che ti ha morsa e si stava nutrendo di te era un altro vampiro.”- mi girava la testa: cavolo, non capivo!!

-“ Allora: quello che ti ha fatto uscire di casa e che ti ha poi morso uccidendoti, quasi, era un tizio col mio aspetto e quell’uomo che hai visto saltare ero io. Il vampiro, che il tuo sangue ha indebolito, era uno che, potendo cambiare aspetto, ha preso le mie sembianze e ti ha attirato in una trappola.”- grazie, mi sei stato molto di aiuto, pensai acida.

-“ Aspetta aspetta aspetta. Che il mio sangue ha indebolito? Ha preso le mie sembianze perché poteva cambiare aspetto? Eh?”- era visibilmente esasperato.

-“ Caco, sono cose da vampiro. E si, un giorno te le dovrò dire tutte perché tu sei speciale.”-

-“ Ah ah, facciamo che me le dici adesso.”-

-“ No! Oggi è il tuo secondo giorno di scuola e sei già in ritardo di un’ora.”-

-“ Come se potessi andare a scuola come se nulla fosse successo!”-

-“ Caco.”- riecco quello sguardo da cacciatore, da affamato che ha davanti il suo pasto; poi gli occhi li si sciolsero e apparve una luce diversa: imprimeva autorità.

-“ Si?”- sussurrai catturata da quella luce.

-“ Tu ora farai quel che dico, cioè, andrai a scuola.”-

-“ Ma non voglio.”-

-“ Caco!! Fallo e basta. Ti ho già preparato la giustificazione: preparati in fretta, ti aspetto in macchina.”- ma che diamine! Ero quasi morta a causa di un vampiro, vampiro!, che aveva le fattezze di Peter che ora mi stava ordinando di andare a scuola perché sennò mi avrebbe quasi- ucciso di nuovo. E tutto per far bella figura il secondo giorno di scuola!

-“ Peter!”- quel ragazzo era appena volato via in un nano secondo dalla finestra: non si era sentito ne un urlo, ne un tonfo, soltanto il rumore d’accensione della macchina.

Giuro che avrei vomitato a causa di tutte quelle notizie, e ancora di più per il fatto che ero, e lo ripeterò all’infinito, quasi morta! E ora stavo andando a scuola, mio padre non sapeva della mia piccola disavventura e Peter era appena volata fuori dalla finestra. Se non fosse per il fatto che ormai sapevo che era una creatura immortale che non muore se cade dal secondo piano di una casa, lo avrei buttato IO fuori dalla finestra… Tsc.

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


-“ Insomma Caco, sbrigati!”- oddio, si!! Mamma mia Peter, datti una calmata! -“ Okay okay, ora scendo!”- risposi urlandogli dalla finestra. Ero davanti allo specchio e cercavo di nascondere il piccolo foro che avevo sul collo: Peter mi aveva spiegato che in un normale (e non capivo perché diceva “normale”, beh, io che ero?) umano il segno del morso di un vampiro rimaneva impresso, non si rimarginava, anche perché se un vampiro mordeva un umano molto probabilmente quello era già morto e quindi non era di importanza fondamentale il segno del morso. Invece per me lo era, anche se quello che avevo sul collo era solo un piccolo foro, non assomigliava per niente alla dentatura della creatura che mi aveva morso: così stavo decidendo come coprirlo. Optai per una maglia dal collo alto color verde-petrolio da abbinare al mio paio di jeans. -“ Eccomi!”- urlai mentre aprivo la porta di casa e uscivo con le chiavi in mano: chiusi la serratura e mi affrettai verso la bellissima auto di Peter. Era una Jaguar nera opaco: semplicemente stupendo. -“ Il mio zaino?”- -“ Ai tuoi piedi.”- indicò il mio Eastpack verde: lo apri e ci trovai dentro i libri delle lezioni del giorno e il libretto con già scritta e firmata la giustificazione. –“ Legati.”- -“ Si.”- sussurrai mentre eseguivo gli ordini. Il motore si accese e ci diede dentro con le fusa che tanto amavo di quell’auto: nemmeno mi accorsi quando arrivammo a scuola quanto Peter era bravo a guidare. -“ Caco, avanti, sei a scuola.”- costrinsi i miei occhi ad aprirsi e le mie gambe a scendere e correre verso l’aula: non ringrazia nemmeno Peter, tanto sapevo che lo avrei visto dopo scuola, valeva a dire tra due ore. I corridoi della scuola erano deserti e da diverse aule mi arrivavano urla di professori che cercavano di spiegare ad una classe troppo scema la propria materia o di tenerli a bada, facendo da sorveglianti. Presi dal zaino la mappa e l’ordine delle classi secondo materia e ora: io ero in D2, col professor Colin, mai visto prima, di educazione fisica ovvero ginnastica… A quanto ero? Ah si, con questo faceva quattro a tre per me. Cercai di orientarmi con la cartina e alla fine trovai l’aula: tutti correvano ed erano visibilmente stremati e, non vidi Nick. -“ Lei è…?”- una specie di bidella soprappeso mi guardava male, aveva in mano una serie di fogli e foglietti e pensai che stesse aspettando il professore. -“ Io sono…”- interrotta da una voce maschile. Alzai gli occhi al cielo. -“ Lei è Carlotta Milo signora.”- Nick? Ma allora c’era! Anche lui come me non era in divisa ma vestita un paio di jeans e una felpa che gli accentuava il petto perfetto. Sicuramente stavo sbavando. -“ Aaaah.”- sentenziò la bidella. -“ Milo! Finalmente lei mi onora di fare le sue conoscenze. Sicuramente avrà portato la giustificazione per il ritardo di quasi tre ore il secondo giorno di scuola, non è così?”- ovviamente non poteva mancare il professore di ginnastica frustato che deve, ad ogni costo, sembrare agli alunni il più crudele possibile. E’ per questo che odio tutte le persone con il titolo “Professore di educazione fisica”, senza contare che mi danno alla nausea anche quelle intitolate solo “Professore”, che sia chiaro. -“ Si, certo.”- risposi con uno dei miei più smaglianti sorrisi. -“ Allora che aspetta a darmela?”- uuuuuuh, meglio stare zitte. -“ Si, certo.”- non me ne importava se gli sembravo una scema, tanto meglio: almeno così avrei potuto deriderlo più facilmente. Il prof attendeva con la mano tesa verso di me e Nick continuava a fissarmi con quei suoi bei occhi… -“ Ah, giusto, eccola.”- estrassi il libretto consegnandolo. Già, scema totale. -“ Bene.”- era una mia impressione o tutti i professori di quella scuola sibilavano. Forse era un effetto collaterale della mia quasi-morte.-“ Ora la qui presente collaboratrice scolastica ti consegnerà la divisa e per questa lezione sederai vicino al signor Maiorum”- siiiiiii!!!!!! -“ Va bene.”- Nick si girò e mi fece strada fino alla lunga panchina attaccata al muro della palestra: cavolo, conteneva un campo da basket regolamentare più quello della pallavolo. Infatti la classe era divisa in due: i maschi si cimentavano con il basket e le ragazze con la pallavolo. Quanto avrei voluto giocare anch’io, ma per stare vicino a Nick avrei rinunciato a qualsiasi cosa -“ Lasciami indovinare: prima era quattro a tre e ora di nuovo parità?”- scoppiò in una delle sue affascinanti risate. Non potei che fissarlo mentre rideva ad occhi chiusi con la testa all’indietro: era così bello, ma poi mi ricordai della ragazza dai capelli biondi e lunghi e delle loro mani intrecciate. Abbassai la testa, triste. -“ Ehi, qualcosa non va?”- aveva smesso di ridere e ora era accovacciato per cercare di guardarmi in viso. -“ Si, si, tutto apposto.”- -“ A me non sembra.”- evvai, almeno uno l’ha capito che non è tutto apposto! -“ Ma non ti preoccupare, sarà che è il secondo giorno.”- non potevo dirgli del mio incidente. -“ Ah, beh, ti capisco: io mi sentivo allo stesso modo il mio secondo giorno di scuola. A proposito: perché non sei venuta oggi le ore prima?”- okay che era un bel ragazzo, il più bello, e che gli potevo concedere qualsiasi cosa, ma ti ho conosciuto ieri! Raddrizzai la schiena e lo guardai negli occhi resistendo all’impulso di baciarlo. -“ La sveglia non ha suonato. E dire che l’ho comprata solo un anno fa.”- aveva capito che era una bugia? -“ Forse saranno state le batterie.”- ma stava al gioco. –“ No, non lo dire: cinque a quattro?”- sorrisi a trentadue denti: tutto, tutto!, gli avevo perdonato.

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo ***


-“ Ehm…si, si, le batterie.”- gli risposi guardandolo come una scema. -“ Attenti!”- una voce femminile urlò e non vidi il grosso pallone da pallavolo che scendeva in picchiata verso la mia testa. -“ Ouch!”- che botta! Mi aveva colpito proprio forte! -“ Caco.”- Nick non ebbe il tempo di verificare come stavo ma, almeno, aveva appoggiato una sua mano sulla mia spalla e con l’altra stava cercando di spostare la mia, messa a coprirmi il punto colpito. -“ Oddio mi dispiace tanto! Milly non sa ancora giocare molto bene e quindi… Oddio! Ti sei fatta tanto male?”- una ragazza, che poi vidi meglio e scoprii che era più che stupenda, stava correndo verso di noi farfugliando delle scuse a tutto spiano. -“ Non…non fa niente, ora passa.”- non era vero, ma tutto pur di avere la mano di Nick sulla mia spalla. -“ Sicura? Chiedo al professore un po’ di ghiaccio o…”- no no no no!!!!!! -“ No no, non ti preoccupare. Anzi, guarda, sto benone.”- raddrizzai la schiena, a malincuore, e la mano di Nick scivolò via. -“ Veramente?”- -“ Si Terry, te la detto, ora sta bene, grazie.”- Nick la conosceva? La guardai meglio e…una smorfia mi sfigurò il viso: la ragazza premurosa era la dea dai lunghi capelli biondi vestita col pullover rosa. Aveva sulle orecchie i normali buchi sul lobo però, in più, sull’orecchio destro aveva un secondo buco sopra al primo e sull’altra orecchia, in alto, un altro buco. Notai che con i capelli raccolti in una coda era veramente fantastica, uffi! -“ Okay, perfetto.”- gli sorrise. -“ Terry!! Dai, se non vuoi tornare ridacci almeno la palla!”- -“ Arrivo, arrivo! Scusateci ancora.”- si sporse verso di me, prese la palla e mi fece un cenno di saluto con la testa: mentre si allontanava per tornare dalle compagne si girò verso di Nick facendogli l’occhiolino. Grrr grrrr, la odiavo. -“ Scusa se te lo richiedo, tutto apposto vero? No, è che Teresa è un po’ troppo premurosa, detesta fare del male alla gente.”- -“ Teresa? La conosci?”- oh mio dio! Quanto ero scema? -“ Ahahah, si si, la conosco: beh, siamo in classe assieme da tre anni, senza contare quelli delle medie e elementari.”- appunto. -“ Giusto.”- -“ Ahahahah, e poi, lei è mia sorella.”- cosa??? Lo guardai senza capire, con la bocca spalancata e tutto il resto. -“ Si, mia sorella: siamo stati adottati assieme dalla stessa famiglia, quindi, abbiamo la stessa mamma.”- quando disse la parola “adottati” mi morì il sorriso in faccia. –“ Tranquilla, non potevi saperlo. Ah, ti volevo chiedere: ieri dopo scuola sei scappata via, non ti ho potuto salutare,”- cacchio, era vero! -“ Ah, già, è che avevo molte cose da fare a casa col trasferimento e allora…”- -“ Capisco.”- annuì molte volte, tornando a guardare il resto della classe. Poi mi venne in mente la domanda che volevo fargli. -“ Ehi, perché tu non fai ginnastica?”- -“ Allora ragazzi! Avanti tutti qua, scattare!”- la voce squillante del professore mi fece saltare sulla panchina. –“ Muoversi! Bene: la prossima volta che ci vediamo portate anche il quaderno perché incominceremo la parte di teoria e molto probabilmente vi assegnerò anche una verifica. Portate inoltre le ricerche degli anni scorsi e ripassate perché interrogherò. Ovviamente la signorina Milo.”- e allungò un braccio per indicarmi –“ Non potrà portarle perché non ne ha ma, si dovrà studiare uno sport a piacere da esporre poi a tutta la classe. Bene, ora a cambiarsi! Scattare!”- tutti obbedirono e la palestra cominciò a svuotarsi molto velocemente. -“ Perché non ho la divisa.”- Nick si avvicinò al mio orecchio e mi rispose velocemente, mentre correva verso lo spogliatoio maschile: eh certo, non ha la divisa della scuola che frequenta da quattro anni ma entra in spogliatoio. Mi pareva ovvio, no? Lentamente mi alzai anch’io, la testa doleva ancora un po’, e mi avviai con le mie robe verso l’uscita. -“ Non si dimentichi il suo libretto.”- il professore mi spuntò alle spalle lanciandomi tra le mani il mio libretto.-“ E l’infermeria è al secondo piano, in fondo al corridoio, sempre se le serve.”- -“ Ah, grazie.”- risposi mentre stavo mettendo via il libretto. Notai, con molta impressione, che il professore aveva un collo veramente lungo e i capelli erano folti, ma arrivavano solo sotto le orecchie: guardando meglio, e senza farmi notare, vidi che dietro all’orecchio sinistro il prof aveva una strana macchia, sembrava una voglia, ma qualcosa mi diceva che non lo era. Apri lentamente la porta per andarmene e riuscii a intravedere una specie di disegno in quella voglia: sembrava un’insieme di righe, ma non capii bene. Ormai ero già fuori con un piede e il professore mi dava le spalle, non potevo rimanere là così: aprii ancora di poco la porta e fui fuori.

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***


-“ Allora vediamo, aula S7…ah, beh, è la stessa di ieri.”- stavo rimuginando da sola sulla piantina della scuola per trovare la prossima aula. -“ Quindi dovresti saperci arrivare, no?”- Nick. -“ Ehm, veramente no.”- -“ Andiamo dai.”- lo disse alzando gli occhi al cielo. –“ Mi toccherà farti di nuovo da tom tom.”- -“ Grazie Nick.”- c’era il miele nella mia voce? -“ Di nulla Caco.”- ed era possibile che ci fosse anche nella sua di voce? In quel momento un presentimento orribile mi fece tornare in mente tutto quello che avevo vissuto fino ad allora: prima Peter, poi quella voglia molto strana del professore, Teresa e Nick…. Mi ricordai del segreto del mio amato zietto che si buttava dalle finestre e mi si chiuse lo stomaco. -“ Tutto apposto?”- -“ Uhm? Si si, tutto okay.”- suonò una campanella che il giorno prima non avevo sentito. -“ Ah, giusto, è la campanella del pranzo. Che sbadato, saremo dopo in S7.”- -“ Perché ieri non l’ho sentita?”- -“ Perché la campanella del secondo piano è rotta.”- svelato il mistero. -“ E noi ora siamo al primo, giusto?”- -“ Si, e adesso siamo salendo al secondo, piano della mensa e della nostra aula. Meglio non pensare alla lezione che ci aspetta dopo.”- -“ Cosa abbiamo?”- -“ Matematica.”- -“ Oh no!”- ridemmo per tutto il tragitto verso la mensa e anche quando facevamo la fila per comprare il cibo: tutti gli alunni erano già seduti ed erano veramente in pochi quelli che dovevano ancora comprare roba da digerire. -“ Dove ci sediamo?”- chiesi a Nick che stava girando la testa in continuazione cercando un tavolo vuoto: cavolo, erano tutti occupati! -“ Andiamo la, vicino a Terry e agli altri.”- va bene… -“ Eccoli!”- una ragazza dai capelli più bianchi del bianco del tavolo ci indicava guardando Teresa, accasciata tra le braccia muscolose di un tipo…beh, muscoloso. E bello. -“ Ciao Nick!”- ci avvicinammo e la coppia Teresa/tipo-muscoloso si scansò per lasciarci un po’ di posto. -“ Ciao Nick”- fecero gli altri seduti allo stesso nostro tavolo. -“ Ciao, io sono Milly.”- quella dai capelli biondo-bianchi tendeva una mano verso di me. -“ Ciao, io sono Caco.”- mi strinse la mano sorridendo. -“ Scusa se ti ho fatto male prima…”- la bloccai prima di subito. -“ Niente ferita, niente dolore. E’ passato.”- e intendevo metterci una pietra sopra. -“ Mi piace la ragazza. Impara Milly.”- un’altra ragazza che stava vicino a un tipo mulatto gli tirò un pugno amichevole sulla spalla. –“ Rebecca.”- sentenziò allungando anche lei una mano verso me, mentre Milly le ritornava il pungo amichevole. Mi venne da ridere. -“ Beh, facciamo le cose per bene.”- il ragazzo mulatto vicino a Rebecca si sporse sul tavolo allungando la mano verso una coppia di un ragazzo e una ragazza vicini a Milly e tocco le loro mani guardandomi. –“ Loro sono Marco, Selly, Milly la conosci, conosci anche Rebecca, io sono Mattias – piacere- e per ultimi ci sono Teresa, Robert e Nick che già conosci.”- gli sorrisi rilassando le spalle mentre loro rispondevano in stereo: -“ Piacere!”- sei a quattro. Vantaggio di due. -“ Allora, sei nuova giusto?”- mi chiese Milly con uno svolazzo dei suoi corti capelli biondo bianchi. -“ Ehm, si. Mi sono appena trasferita.”- -“ Beeene!”- rispose con un po’ troppo di sarcasmo Rebecca. Sentivo che l’avrei odiata profondamente, ma era ancora presto per i pregiudizi. -“ Ehm, si.”- risposi abbassando la testa sul mio vassoio. Quel giorno avevo preso un’insalata mista da abbinare a una bottiglia di Coca-Cola: dio, da quanto non ne bevevo una bottiglia? Il mio tavolo era sicuramente il più rumoroso: Rebecca e Milly inveivano l’una contro l’altra, ma si capiva che si volevano bene e lo facevano per scherzo; Matias, Marco e Selly discutevano su un film che dovevano assolutamente andare a vedere e Teresa, Robert e Nick facevano progetti per una gita a una specie di lago per il weekend che arrivava. Ero di nuovo sola, anche se mi circondavano i miei nuovi, o almeno così speravo, amici. La campanella della fine della pausa pranzo suonò un pò troppo presto e in men che non si dica il tavolo diventò deserto. -“ Andiamo Caco, abbiamo matematica che ci aspetta.”- disse la voce più che felice di Nick. Sobbalzai per la sorpresa e ci mancò veramente poco che la Coca Cola mi finisse sui pantaloni. Che sfigata. -“ Urgh.”- grugnii in risposta. -“ Ahahhahahah!!! Dai, non fare così: vedrai che sarà divertente.”- -“ Si, come se conoscere la persona che renderà la tua vita un inferno sia divertente. Non vedo l’ora.”- Nick scoppiò di nuovo a ridere e non potei resistere all’impulso di sorridere, almeno. -“ Va bene, dai, andiamo.”- sospirai mentre mi lasciavo guidare fuori dalla mensa e lungo i corridoi fino all’aula S7. -“ Avanti signori.”- la voce della professoressa ci giunse dall’interno dell’aula. Guardai Nick e insieme varcammo l’entrata. –“ Buon giorno signor Maiorum. E la signorina con lei dev’ essere Carlotta Milo, dico bene?”- ovviamente si rivolgeva a me, che ero ferma davanti alla cattedra con gli occhi sbarrati. -“ S…S.. Ehm, si, ha ragione, professoressa…”- -“ Chosen. Eleonora Chosen.”- annuì velocemente raggiungendo Nick in fondo all’aula. –“ Bene, ora che ci siamo tutti vediamo di incominciare…”- la prof cominciò a parlare a raffica, ma tanto ne io ne Nick l’ascoltavamo. -“ Allora? Come va la depressione da secondo giorno?”- mi sussurrò abbassando testa e busto al livello del banco. -“ Uhm….meglio direi.Lasciami indovinare: sarà divertente solo per gli alunni maschi, giusto?”- il suo sorriso a trentadue denti mi fece alzare gli occhi al cielo. -“ Facciamo uscire la signorina Dicen per un esercizio…”- per un secondo ci zittimmo per paura di sentire il nostro nome, ma il pacco era per una ragazza delle prime due file: aveva i capelli raccolti in due trecce e non mi sarei stupita se avesse anche una qualche forma di miopia che le acconsentiva di indossare solo paia di occhiali grandi quanto la sua mano. Poveretta. -“ Fiù., per un attimo…”- -“ No, non dirlo! Per scaramanzia.”- lo zittì subito incrociando le dita in modo visibile. Di nuovo la sua risata mi fece sorridere sbavando per la sua bellezza, e ancora di più quando mi toccò le dita incrociate per scioglierle. -“ Si fa così vero?”- non potei non annuire in modo molto sfigato sperando che le sue mani restassero per sempre sulle mie. Mi persi nei suoi occhi stupendi e per un attimo desiderai avvicinarmi per toccargli le spalle, ma il mio desiderio crollò con la voce della professoressa che annunciava la fine dell’ora e il bell’otto della signorina Dicen, augurandoci un buon pomeriggio. -“ Cosa? Già finita scuola?”- -“ Si Caco, questa era la quarta ora.”- -“ Ma di solito non facciamo cinque ore?”- -“ Oggi no!”- mi sorrise mentre scompariva tra la folla senza lasciarmi neanche il tempo di salutarlo. -“ Aspettami!”- gi urlai mentre lo rincorrevo tra il fiume di gente che mi stava soffocando. –“ Spostati!”- urlavo mentre a bracciate mi facevo largo verso la direzione di Nick. –“ Nick!”- urlai di nuovo piena di felicità quando scorsi un lembo della sua giacca. Diedi un’altra gomitata a chi mi stava vicino e… -“ No!”- urlai, ma nessuno mi sentì. Nick era la, ma non solo: un paio di mani erano avvinghiate alle sue spalle e non lo lasciavano andare mentre le sue di mani erano appoggiate su due anche assolutamente femminili. Una chioma di lunghi capelli gli avvolgeva in quel loro abbraccio che, non era un abbraccio, perché le loro labbra si muovevano in sincrono, incollate. Non ce la feci e scappai via, con le lacrime agli occhi: che stupida, che stupida!, che ero stata a pensare che io e Nick, che conoscevo da meno di tre giorni, potessimo avere qualcosa! Di lui sapevo solo nome, cognome e viso, nient’altro: ne numero di cellulare, ne indirizzo, ne e-mail. Nulla, eppure avevo sperato che quella pugnalata al cuore che avevo sentito il giorno prima avesse un significato, che potesse essere la piccola reazione per un grande incendio e invece eccolo la avvinghiato come una piovra a quell’altra. Come potevo essere stata così stupida! Riuscii per un nano secondo a prendere il bus e mi sedetti sul primo posto che trovai, fregandomene di tutti gli altri passeggeri e sperando di arrivare il prima possibile a casa. -“ Prossima fermata Via delle Sacre.”- annunciò la vocina pre-registrata: la mia fermata. In un giorno qualunque sentire il nome della via di casa mia mi avrebbe fatto ridere, per di più se detta dal computer di bordo, ma quel giorno nulla mi metteva di buon umore. Scesi correndo dal bus e non rallentai fino a che non fui di fronte a casa mia. Una volta arrivata aprii in tutta fretta la porta, mi scaraventai dentro senza la paura che mio padre, o meglio, il mio padre adottivo, potesse fermarmi e corsi in camera mia. La mollai lo zaino e mi buttai sul letto a piangere. -“ Ma perché? Perché sono stata così stupida!”- mi sgridavo da sola tra un singhiozzo e l’altro –“ Cosa mi è passato per la testa? Cosa?! Sapevo che lui poteva benissimo avere la ragazza!”- erano più che altro riflessioni a voce alta. Che cavolo! Ovvio che sapevo bene che un ragazzo come Nick potesse avere la ragazza, ma non ci avevo pensato, perché avevo sperato di poter essere sua. -“ Che cavolo Caco, smettila! Ti sei invaghita di un tizio qualunque che ora ti fa stare male. Ora alzati e vedi di dimenticarti di lui. Sarà un buon amico ma nient’altro, e poi lo conosci da solo due giorni! Su, basta!”- mi dissi mentre cercavo le pantofole nascoste sotto al letto: dovevo darmi una ripulita e assolutamente mettermi a fare almeno un po’ dei compiti per il giorno dopo.

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo ***


Lo specchio del bagno mi odiava di sicuro: l’immagine che rifletteva era veramente orribile, e decisamente non ero io. -“ O forse sei così veramente”- ero lo specchio ad aver parlato? Oddio. Aprii il rubinetto e mi sciacquai la faccia con una secchiata gelida: ad occhi chiusi tastai le pareti alla ricerca del mio asciugamano preferito, regalatomi dalla mamma qualche anno prima. Lo trovai e me lo passai sul viso velocemente: avevo fretta di constatare che quel mostro dello specchio fosse sparito. -“ Oh, bene.”- si, certo. Ora parlavo anche da sola. Alzai gli occhi al cielo. Maledetto Nick. E soprattutto maledetta quella chioma bionda. Scesi le scale per arrivare in cucina: avevo un bisogno disperato di pane e Nutella, che nemmeno mi accorsi che stavo giusto puntando alla schiena di mio padre. Ovviamente ci sbattei contro. -“ Oddio, Caco!”- -“ Oddio, papà!”- lo dissi senza pensare, e sentirmi dire papà mi riporto un po’ di luce sul mio viso. Dopotutto lui mi aveva cresciuta. -“ Caco, che faccia. Che hai fatto? Qualcosa è andato storto a scuola?”- oh si, eccome se qualcosa era andato storto! -“ No, nulla del genere.”- vabbene –“ E’ che sono solo ancora un po’ scossa per quello che è successo a mamma, il trasloco e…”- non riuscii a finire la frase. -“ E la scoperta del sono-stata-adottata. Mi dispiace molto cucciola.”- e lo sembrava davvero. In quell’istante si girò completamente verso di me e allungò il suo braccio: tra le mani aveva un panino. –“ Pane e Nutella?”- mi chiese. Sorrisi e presi il panino: alla fine gli volevo veramente un gran bene, insomma, era mio padre. Beh, quasi. Il sorriso morì. Di nuovo. -“ Veramente. Qualcosa non va?”- -“ No no, è tutto okay. Veramente.”- alzai lo sguardo e incontrai gli occhi stupendi di Mason, e cercai di sorridergli. -“ Oh, scusami cucciola, ma ero venuto a casa solo per prendere un paio di cose, ma ora devo proprio scappare. Sai, il nuovo cliente è molto esigente riguardo alla costruzione della sua amata.”- -“ Costruzione della sua amata?”- -“ Si, il suo nuovo gioiellino: una barchetta stupenda.”- -“ Che hai disegnato tu…”- gli ricordai mentre lo vedevo uscire con sotto braccio un paio di rotoli giganti dove sicuramente c’erano i disegni. E poi lo vidi. Mio padre aveva uno strano…neo?…di cui non ne conoscevo l’esistenza: era abbastanza grande, diciamo tipo due centimetri di diametro, e sopra il nero aveva una serie di ghirigori geometrici ma non riuscii a vedere altro che era proprio il collo, quasi all’inizio della spalla. Ma mio padre uscì troppo in fretta perché io potessi fermarlo o vedere meglio quel neo. Improvvisamente mi ricordai del professore Colin e di quel suo neo strano che aveva dietro l’orecchio sinistro e uno strano presentimento strisciò nella mia piccola testolina: che mio padre e il prof avessero qualcosa in comune? Finito il panino tornai di sopra e cominciai a fare qualche compito: Chosen ci aveva riempiti fino al collo di esercizi di matematica e, uhg, chi aveva voglia di farli? -“ Ma si, tanto sono cose che so già fare.”- mi giustificai lanciando il libro sul letto appena lo estrassi dallo zaino. –“ Poi, poi… Disegno tecnico. No…”- mi lasciai cadere sul tavolo mentre leggevo il diario: disegno tecnico! Che palle… -“ Vabboh, facciamolo subito.”- e cominciai a fare spazio sul tavolo per metterci le cose di disegno ma fui interrotta da un rumore di vetri che si rompono. Mollai il tecnigrafo che si schiantò sul tavolo molto rumorosamente e ogni altro rumore al piano di sotto cessò. Cercai di riemergere dallo stato di ibernazione istantanea in cui ero caduta e mi diressi alla porta con passo felpato: scesi le scale con la mano appoggiata al corrimano e ad ogni mio passo risuonava per tutta la casa. Arrivata al piano di sotto girai la testa in tutte le direzioni decidendo verso che parte andare: optai per il salone che sembrava più tenebroso e scuro, mi ispirava di più. Avanzai lentamente e mi bloccai di colpo avendo una ricaduta nello stato di ibernazione quando senti di nuovo rumore di passi e vetri infranti. Il cuore batteva a mille e giuro che io potevo sentirlo risuonare per tutta, tutta!, la casa. Presi tre respiri veloci e mi decisi ad entrare nella stanza buia: una volta dentro le mie dita corsero alla parete e trovarono il tasto per aprire la luce, che si accese subito, accecandomi di colpo. Le mie braccia scattarono per coprirmi gli occhi e così non vidi in faccia la figura nera che ora stava correndo via: anzi, quello che vidi furono le tende che svolazzavano al passaggio velocissimo di una figura che identificai come nera. Un brivido mi percosse la schiena e ci mancò poco perché cadessi a terra, ma subito due mani grandi e forti mi sorressero portandomi vicino al divano. Alzai lo sguardo come un fulmine e mi ritrovai dietro Peter, con due occhi neri come la pece e le mascelle contratte. -“ Stai bene?”- sentenziò a denti stretti. Mi mise molta paura, sembrava un cacciatore. Sembrava in modo sconcertante il Peter del mio incubo- sogno che poi si era verificato essere la verità. Quello che mi aveva quasi ucciso. -“ Ehm…si, ma quella cosa mi ha messo molto spavento.”- -“ Quella cosa era un vampiro…”- non lo lasciai finire perché improvvisamente mi erano riaffiorate in mente un sacco di domande senza risposta. -“ Aspetta, tu ora mi devi dire un sacco di cose.”- la sua espressione si era addolcita un pochino, e ora mi teneva per le spalle. -“ Va bene, però prima vediamo di ripulire un po’ il salone.”- si, aveva ragione. Mi voltai verso la grande porta finestra e vidi che non era rotta. E allora cos’era quel rumore di vetri rotti? -“ Ha rotto quel vaso.”- neanche mi avesse letto nel pensiero, Peter indicò il piccolo mobiletto vicino alla finestra: quell’essere aveva rotto il più bel vaso di vetro che mio padre aveva, il regalo di fidanzamento dei suoi genitori. -“ Ohmioddio! Si arrabbierà tantissimo!”- strillai in preda al panico.

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo ***


 

-“ Ma no, vedrai, non si arrabbierà.”- Peter stava cercando di consolarmi accarezzandomi la spalla sinistra mentre ero praticamente in trans seduta sul divano –“ Beh, prima vediamo di mettere apposto sto casino, no?”-

-“ Si arrabbierà tantissimo…”- sconsolata, scuotevo la testa e mi contorcevo le mani in cerca di una scusa plausibile. Ovviamente non ce n’erano. Mi alzai e corsi verso il ripostiglio, presi scopa e paletta e tornai in salone verso i cocci del povero vaso. E poi la mia mente si svegliò di colpo, ricordandomi cosa dovevo chiedere a Peter.

-“ Peter!”- urlai lasciando cadere la scopa. Lui si girò di colpo, con un movimento che non riuscii nemmeno a percepire.

-“ Che c’è!”- urlò di rimando, ma non sembrava tanto una domanda. Lo guardai con gli occhi sbarrati e in un nanosecondo me lo ritrovai di fronte. Cominciava a girarmi la testa.-“ Caco.”- ripeté aspettando una mia qualche reazione.

-“ Tu sei un vampiro.”- sussurrai cercando di recuperare un po’ di lucidità. Lui alzò gli occhi al cielo e tornò verso la porta finestra.

-“ No, veramente? Quando lo hai scoperto?”- faceva il sarcastico? No, scusa, io ero quasi morta per mano di un…un essere che assomigliava molto a Peter, poi avevo scoperto che sto essere era un vampiro con le sembianze di Peter, che invece era corso in mio aiuto, salvandomi. Poi avevo scoperto anche che lo stesso Peter era un vampiro…un vampiro! Nel XXI secolo! E per finire ero pure dovuta andare a scuola dove avevo visto il mio primo amico, per il quale avevo una specie di cotta, avvinghiato da una piovra dalla chioma bionda. E lui faceva il sarcastico?!?!

-“ No, Nick si baciava con un’altra?”- quel commento mi fece raggelare, anche perché era uscito dalle labbra di Peter!

-“ Cosa?!”- gli sbraitai contro.

-“ Ops..”- mi guardò con aria innocente, portandosi una mano sulle labbra.

-“ Peter giuro che…”- non mi lasciò finire.

-“ No, no, no, aspetta! Va bene, ora ti dico tutto! Promesso! Non censurerò nulla!”- disse in tutta velocità mangiandosi le parole, con le mani alzate quasi io fossi un poliziotto e lui il ladro. Mi fece sedere di nuovo sul divano e puntò i suoi bellissimi occhi nei miei. E aspetto così. Dopo quasi tre secondi alzi un sopracciglio e lo guardai con aria saccente.

-“ Stai temporeggiando, Peter.”-

-“ Si, hai ragione, scusa.”- prese un bel respirone. –“ Okay, vedi Caco, le cose stanno così: molto tempo fa, all’alba dei tempi, nacque una specie molto diversa da quelle già preesistenti: nacque l’uomo. Egli si evolse pian piano e scoprii innumerevoli…”-

-“ Frena un secondo, Peter. Non mi interessa niente della storia dell’evoluzione umana.”-

-“ Si ma se non te ne parlo tu non…”-

-“ No, no, no! Facciamo che partiamo da un periodo preciso.”- sbottai.

-“ Medioevo?”- chiese con gli occhi alzati al soffitto.

-“ Medioevo…bene, si ci sono. Ti prego continua.”- lo incitai. Lui tornò a puntare quelle due bellissime gemme che aveva al posto degli occhi nei miei.

-“ Bene. Medioevo, periodo piuttosto tetro, non trovi? Beh, si. Ma è proprio in questo periodo triste e cupo che venne alla luce….un mostro.”- enfatizzò sull’ultima parola, cosa che produsse in me un brivido lungo tutta la schiena. –“ Questo mostro si chiamava Enim.”-

-“ Enim?”- non riuscii a trattenermi e lo interruppi. Lui alzò gli occhi al soffitto lasciando intendere che non ne poteva più dei miei intervenni. Beh, scusa!

-“ Si, Enim, Caco!”- sbottò tornando a fissarmi. –“ Comunque, Enim era un uomo normale, viveva col padre anziano e da anni lavorava al suo posto, forgiando col ferro spade, spadaccini e quant’altro. I suoi lavori erano molto richiesti in tutto il paese, e lui era amato e venerato quanto un dio dell’Olimpo. Ma nemmeno questo gli bastava: una notte si ubriacò con un gruppo di compari e, una volta rimasto solo, si addentrò per vicoli oscuri, pestò due ragazzini e violentò una donna. Ella rimase in cinta, ma di questo parleremo dopo. Verso le prime ore del mattino Enim si imbatté nella polizia locale che cercarono di catturarlo invano: egli scappò e si diresse verso la periferia, al confine col bosco e fu là che venne Trasformato.”- Peter si fermò per respirare, abbassò lo sguardo e si prese la testa tra le mani. –“ Venne trasformato in un vampiro da altri cinque vampiri che vivevano in quel bosco: quei cinque abitavano là da centinai di anni e pian piano avevano trasformato tanti altri umani in vampiri. La loro era proprio un’organizzazione piena di regole, ben conformata e soprattutto ben unita.”-

Quella storia stava cominciando a interessarmi, ma uno strano presentimento mi metteva in allarme: che cosa ci centravo io?

-“ Si. All’inizio i cinque avevano trasformato solo pochi umani, diciamo intorno ai dieci, poi, man mano, avevano stabilito delle regole e cominciato a trasformare sempre di più: fai conto che quando trovarono Enim in fin di vita e decisero di trasformare anche lui, il numero di vampiri si aggirava sui due mila.”- mi cascarono gli occhi dalla palpebre: due mila! Oh Cristo santo…

-“ Già, e non mi guardare così. Sai, il numero sarebbe stato anche più alto, ma i vampiri appena trasformati sono difficili da tenere a bada, così succedeva che in due giorni si potevano perdere dieci, venti vampiri.”-

-“ Ma così tanti vampiri per…?”- mi suonava un po’ strano pronunciare quella parola, eppure volevo capire. Peter mi guardò e per rispondere alla mia domanda scosse solamente la testa con un mezzo sorriso stampato sulla faccia.

-“ Enim rimase la, al confine tra la città e il bosco, per tutta la sua trasformazione: ogni giorno uno dei cinque andava a vedere come stava, e a turno vegliavano su di lui la notte. Pensavano che uno come lui gli sarebbe servito nel loro….piano. Ma qualcosa andò storto: il giorno in cui Enim si risvegliò da vampiro, i cinque erano la, tutti presenti, e non si aspettavano che lui avrebbe fatto una mossa tanto azzardata. Enim scappò via dal bosco, dalla sua città, dai cinque, e ricominciò tutto da capo in un’altra nazione, dove anche lui diede vita ad un’organizzazione dove i membri erano dei vampiri sotto al suo comando: egli si faceva chiamare da loro l’ “Unico”. Ci sai arrivare fin qua?”- non mi accorsi nemmeno quando si fermò di raccontare: ero così presa che sarebbe anche potuto crollarci addosso il cielo che non me ne sarei accorta.

-“ Oh, ehm, si, penso di si. Però non capisco come tutto questo centri con me, e col vampiro che mi ha quasi fatto fuori ieri. Non capisco perché io dovrei venire a conoscenza di tutto questo!”-

-“ Caco”- Peter sospirò –“ Tu centri con tutto questo perché…perché la tua famiglia è legata a qualcosa…qualcosa di troppo grande e troppo incomprensibile per te, ora.”-

-“ Si, okay, ma perché allora tu stai perdendo tempo a raccontarmelo!”-

-“ Perché…perché tu devi saperlo! Così come lo sapevano i tuoi nonni e i tuoi genitori, lo dovrai sapere anche tu.”-

-“ Quali genitori? Adottivi o quelli veri?”- lo aggredii.

-“ Tutti e due. Vedi Caco, sia Mason e Catherine che Paul e Isobel centrano con questa faccenda.”-

-“ Come si chiamano i miei genitori naturali?”- pensavo di aver sentito male: Paul e Isobel?

-“ Paul è tuo padre, mentre Isobel è tua madre.”-

-“ Oddio…”- le lacrime mi avevano riempito gli occhi e stavano per strabordare: mai, mai!, avevo sentito i nomi dei miei veri genitori, e ora…Peter cercò di darmi conforto appoggiando le sue mani sulle mie spalle.

-“ Caco…”- sussurrò dolce. All’improvviso credetti che stesse per dirmi tutta la verità–“ Tu centri perché sei destinata a un compito che ora può sembrarti assolutamente più che folle. Credimi, lo penserei anch’io, anzi, lo penso tutt’ora.”- disse con esitazione, quasi stesse per sganciare una bomba. Un’altra.

-“ Quale compito?”- provai di nuovo, scandendo parola per parola.

Peter sospirò di nuovo, lasciando cadere il viso tra le sue mani. Era la, piegato in due di fronte a me, e si dondolava avanti e indietro: sembrava così sconsolato, così triste che provai il desiderio di abbracciarlo per farlo sorridere di nuovo. Eppure c’era una strana forza che mi costringeva a rimanere ferma la, seduta sul divano, a guardarlo mentre cercava di riprendersi per rispondere alla mia domanda. Mi sentii in colpa, tremendamente in colpa e proprio mentre mi piegai per consolarlo e sussurrargli che poteva dirmi tutto, che avrei mantenuto il segreto, che lo avrei aiutato se ce n’è fosse stato il bisogno, sentimmo chiaramente una macchina accostare e qualcuno scendere e chiudersi la portiera dietro.

-“ Papà!”- sussultai in preda al panico. Eravamo tutti e due schizzati in piedi e fissavamo con terrore la porta: mio padre aveva già inserito le chiavi nella toppa.

-“ Senti, questo non è tutto quello che devi sapere. Ci sono tante altre cose che.”- Peter, vicinissimo a me, mi guardò negli occhi costringendomi a fare lo stesso quando mi prese per le spalle e mi fece voltare verso di lui: il primo quadrato della serratura era scattato, ne mancavano quattro e poi papà sarebbe entrato.

-“ Allora, facciamo così, una di queste notti ti vengo a trovare e ti finisco di raccontare, okay?”- come se stessimo parlando di una fiaba. Secondo e terzo quadrato erano scattati. Prima del quinto Peter si staccò da me, come un fulmine raggiunse la porta finestra e mentre stava per toccare la maniglia andò a sbattere contro il mobiletto la vicino facendo un gran casino. Sull’ultimo, mentre papà entrava, lui fu fuori, si richiuse la porta finestra alle spalle e, concedendomi un ultimo sorriso, scomparve nell’oscurità.

-“ Caco?”- chiese mio padre mentre gli cadevano da sotto il braccio gli innumerevoli rotoli di carta

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo ***


 

-“ Papà?”- quasi strillai.

-“ Ehi, tutto bene tesoro?”- disse avvicinandosi al salotto –“ Ho sentito un gran casino quando sono entrato, eri tu?”- le ultime due parole gli morirono in bocca: si era accorto perché stavo così vicino alla porta finestra e soprattutto perché avevo in mano una scopa.

-“ Cos’hai fatto?!”- mi urlò contro sempre guardando il povero vaso, no, i cocci del povero vaso, per terra.

-“ Papà, ti giuro, non l’ho fatto apposta! E’ che…mi sono spaventata a morte quando sei entrato e così…così sono andata a sbattere contro il mobiletto e il vaso è caduto… Mi dispiace molto!”- cominciavo a singhiozzare: mi ricordavo che cosa significava per mio padre quel vaso.

-“ E’ certo che lo sei! Se non lo fossi….”- il suo viso era diventato paonazzo e ora agitava contro di me un dito gonfio e rosso –“ Tu! Tu lo sapevi che cosa significava per me quel vaso! Lo sapevi!”-

-“ Si, lo sapevo. Ma ti dico, non l’ho..”- l’avevo interrotto, ma tanto lui non mi ascoltava, continuava a sbraitare agitando quel suo dito del cavolo.

-“ Non l’hai fatto apposta, eh? Beh, apposta o no ora è rotto!! Il regalo di fidanzamento dei miei genitori!! Signorinella, questa non la scampi!”-

-“ Come?!Questa non la scampi? Papà, ti ho detto che non l’ho fatto apposta!E poi è solo un vaso! Un vaso papà!!”- le lacrime erano esplose, e così anche la voce: ma chi era quell’uomo per dirmi cosa avrei dovuto fare?! Per aver rotto un vaso qualunque! E non mi importava se era un regalo di fidanzamento dei suoi! Che cavolo, prima ero quasi stata uccisa, poi Peter che mi dice chi è realmente!. E di nuovo: il vampiro che aveva cercato di uccidermi l’altra notte era tornato dentro casa mia e aveva rotto quel vaso! E ora mio padre, il mio padre adottivo!, mi stava sgridando??!! Avrei potuto ucciderlo!

-“ Ora tu te ne vai di sopra, in camera tua! E ci resti anche!”-il viso di mio padre era tornato con un colorito piuttosto normale, ma il suo dito continua a fremere verso di me. Non resistetti, e scappai via con le lacrime agli occhi, quasi inciampando sulle scale.

Mentre chiudevo la porta di camera mia lo sentii che raccoglieva i cocci mentre borbottava cose tipo “ Quella ragazza…” “ Il mio povero vaso…” e altro.

Il vetro della finestra di camera mia, era freddo, molto freddo, ma mi andava bene: mi serviva il freddo.

Dopo la sfuriata di mio padre mi erano tornate in mente tutte le cose dette in questi ultimi mesi, in questi ultimi giorni: tutto era sempre stata una finzione, tutti erano solo degli attori, e io ci ero cascata non una, ma due, tre, mille volte! E ora ero la, con la fronte appoggiata al vetro della finestra, gli occhi chiusi e un sacco di ricordi nella mente. Ricordi che mi rendevano felice e triste allo stesso tempo: ricordi di me e di quelli che avevo sempre considerato i miei genitori, ricordi della mia vita prima che tutto decollasse, e poi il ricordo dei giorni durante il divorzio, la mia vita spezzata in due quando mio padre se ne andò, e poi il ricordo del giorno quando mamma non mi riconobbe più e dovetti andare da mio padre…

-“ Tutti i miei amici, la mia città…”- la mia bocca parlò da sola, e altre lacrime scesero.

-“ Caco.”- fu un sussurro ma bastò per spaventarmi. Mi voltai di scatto e trovai mio padre sulla porta con in mano un vassoio.

-“ Papà…”- sussurrai di rimando. Velocemente mi asciugai le lacrime e spostai una ciocca i capelli dietro l’orecchio.

-“ Mi dispiace tanto Caco. Ma lo sai cosa significasse per me quel vaso…”- mio padre avanzò verso il letto e appoggiò il vassoio sulle coperte: mi aveva portato un piatto di pasta al pomodoro, un panino e un bicchiere di Coca- Cola.

-“ Si, lo so. Ma anche tu sai che mi dispiace tanto. Te l’ho detto: mi sono spaventata e sono finita contro il mobiletto e…”- dissi tutto guardando il vassoio, cercando di trattenere altre lacrime, ma lui mi interruppe subito con un “sshh”. Alzai lo sguardo e vidi che anche lui aveva i lucciconi: mi si strinse il cuore e non potei non correre tra le sue braccia e piangere, piangere, piangere; le sue carezze mi confortavano e presto il mio respiro si calmò e finii la scorta di lacrime.

-“ Mi dispiace tanto papà.”-

-“ Dispiace anche a me Caco, e non solo per il vaso, ma soprattutto per essermi arrabbiato con te. Ma ora è passato, giusto?”- rispose, allontanandomi un poco per guardarmi in vaso: il suo sorriso era largo e sincero e mi contagiò subito

-“ Si, ora è passato.”- sorrisi. Volevo bene a mio padre.

-“ Sono contento. Ti aspetto giù, se vuoi venire, in salotto: stasera c’è la partita.”- e con un ultimo sorrisone si chiuse la porta alle spalle: come una cretina sorrisi alla porta prima di fissare per un attimo il vassoio e buttarmici sopra con voracità, Dio se avevo fame!

La pasta era buona, anche se un po’ scotta, e il pane era croccante fuori e morbido dentro come piaceva a me: la Coca- Cola semplicemente ottima, come sempre. A pancia piena mi sentii ancora meglio: non amavo litigare coi miei genitori, anche se erano solo i miei genitori adottivi, e poi bene o male, loro mi avevano cresciuta, quindi avevano un posto speciale nel mio cuore.

-“ Oddio!! Caco! Scendi subito!!”- la voce eccitata di mio padre mi raggiunse e costrinsi le mie gambe a scendere dal letto per andare da lui. Presi il vassoio e scesi in più fretta possibile le scale: in cucina, sulla tavola, trovai i cocci del povero vaso e vicino un tubetto di una colla ultra strong giallo, ma mi decisi di non pensarci e appoggiai il vassoio nell’altro lato del tavolo.

-“ Caco!!”-urlò di nuovo mio padre.

-“ Eccomi!”- gli arrivai alle spalle e alzai subito gli occhi al cielo quando vidi il televisore sintonizzato sulla partita di baseball. Punteggio? Quattro a tre per la squadra tanto amata da Mason. –“ Ohmioddio! Stiamo vincendo!”- urlai cercando di essere veramente sorpresa.

-“ Si!! Stupendo, vero?”- sembrava un bambino rinchiuso in un Luna Park: i suoi occhi erano sgranati dalla felicità e non riusciva a stare seduto decentemente. –“Da, siediti. Non ci posso credere, stiamo vincendo!”- non volevo deluderlo, non dopo avergli rotto una cosa a cui teneva,no,dopo che gli avevano rotto il vaso e io mi ero offerta volontaria per coprire il gli, averci litigato ed essere stata perdonata.

-“ Si, okay.”- così finimmo per passare l’intera serata a guardare la partita: ad un certo punto però cominciai anch’io a fare il tifo per la squadra e fui felice quanto mio padre quando vincemmo dieci a otto.

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo ***


 

-“ Ah, papà. Bella partita davvero, no? Sono soddisfatta, però ora mi sa che andrò a dormire.”- la televisione era chiusa, la partita finita, e noi due spaparanzati sul divano, distrutti dal troppo tifo.

-“ Già, bella, bella. Caco, come ti trovi in questa città? Ti sei fatta nuovi amici?”- la domanda mi spiazzò e per un attimo non seppi cosa rispondere.

-“ Caco…?”- riprovò mio padre.

 

-“ Eh? Ah, si…. Beh, si, i miei nuovi compagni sono….sono apposto, si.”- lui alzò un sopracciglio e si girò verso di me.

-“ Apposto?”-

-“ Si, papi. Non è che in due giorni fai tante amicizie, sai?”-

-“ No, giusto giusto. Ma qualch’ uno l’avrai conosciuto, no?”-

-“ Beh, si, un paio di persone le conosco, e devo dire che sono simpatiche, molto simpatiche. Però mi manca tanto l’altra città…”- lo dissi senza pensare alle conseguenze, al male che avrei potuto causargli.

-“ Lo immaginavo. Non dev’essere stato tanto facile..”-

-“ Si, ma non ti preoccupare, questo è solo il secondo giorno che sono qui. Me li farò gli amici, e poi ho un papà stupendo come te al mio fianco.”- gli sorrisi cercando di essere convincente, e gli sembrò bastare.

-“ Ora però vado a nanna, okay?”-

-“ Si, tesoro, vai pure. Ti voglio bene cucciola.”-

-“ Te ne voglio anch’io, papà.”- sussurrai allontanandomi di nuovo in camera mia: nella mia testa era esploso un mini uragano che mi aveva messo in disordine i pensieri e ora non mi ci ritrovavo più. Cosa voleva da me Peter? Cos’aveva Nick? E perché, Dio Santo!, doveva succedere tutto a me?! Ero arrivata in quella città da meno di due giorni e erano già scoppiati dei casini: in primis Peter era un vampiro e io, IO!, centravo in una storia contorta e all’aldilà del possibile; in secondo piano c’era Nick che mi aveva abbagliato sin dal primo giorno e poi me lo ritrovavo incollato alle labbra di un’altra e per finire mio padre, pardon, mio padre adottivo, si era arrabbiato perché un altro maledissimo vampiro era entrato in casa mia e aveva rotto un vaso. Già, non bisogna dimenticarsi che quel vampiro era lo stesso che mi aveva quasi ucciso una notte fa. Dio se odiavo questa città! Arrivata in camera mi buttai sul letto senza preoccuparmi di svestirmi: mi sfilai le scarpe e affondai tra le coperte, abbracciata dalla notte e dalla stanchezza.

Quella notte, per fortuna, non sognai niente e alle sette del giorno dopo ero una Caco fresca e riposata. Si, fresca e riposata finché non mi ricordai della sera prima.

-“ No…”- sconsolata al massimo mi presi la testa tra le mani mentre i ricordi riaffioravano. –“ Che pizza…”- commentai a voce bassissima nel scendere dal letto che, più che altro, era un ammasso disordinato di coperte e cuscini.

-“ Pizza? Perfetto, mangeremo quello questo pomeriggio.”- saltai su appena sentii la voce, spiaccicandomi contro il muro, una mano a coprire la bocca dalla quale stava per uscirmi un grido. Peter, quel maledetto, stava entrando dalla mia finestra come se niente fosse rivolgendomi uno dei suoi sorrisi smaglianti.

-“ Pe…Peter..?”- balbettai osservandolo con gli occhi sgranati.

-“ Che c’è Caco? Mai entrata da una finestra?”- mi salì una rabbia e per un momento dimenticai che in camera mia c’era un vampiro assolutamente stupendo che avrebbe potuto uccidermi, anche se sapevo che non avrebbe mai osato, entrato dalla finestra. Presi uno dei cuscini sul letto e lo lanciai nella sua direzione non riuscendo però a colpirlo.

-“ Si dia il caso che io abiti al secondo piano e che sul muro non ci siano né piante rampicanti né altro.”- gli dissi scuotendo la testa con un’espressione saccente.

-“ So saltare Caco.”- rispose semplicemente tenendo la calma.

-“ So saltare Caco.”- gli feci il verso dietro mentre uscivo per andare in bagno. Ovviamente lui mi seguì, ma fu così sfortunato da beccarsi una porta in faccia quando non gli permisi di entrare con me. Mio padre era andato al lavoro da due ore, quindi non correvamo il rischio di farci beccare. O meglio, lui non rischiava di farsi beccare.

Una volta in bagno cominciai a darmi una ripulita: i capelli erano un disastro e sul viso e sulle mani avevo il segno dei cuscini, probabilmente dovuto al fatto che avevo dormito vestita.

-“ Domandina per Caco: perché hai dormito vestita?”- mi chiese dall’altro lato della porta.

-“ Non-sono-affari-tuoi.”- gli risposi acida prima di mettere un po’ di dentifricio sullo spazzolino.

-“ Oh mi scusi Sua Altezza.”- commentò. Mi lavai i denti velocemente, una coda di cavallo e spalancai la porta andando a sbattere in piena sui suoi pettorali. –“ Buon giorno Caco.”- disse soave accarezzandomi i capelli. Mi scansai subito e lo fissai dritto negli occhi: c’era solo felicità. Non capivo..

-“ ’Giorno Peter.”- risposi superandolo per tornare in camera. Sentii che mi seguiva e che si appoggiava allo stipite della porta puntando i suoi occhi sulla mia schiena; un brivido mi percosse ma continuai imperterrita a fare le mie cose. Misi nello zaino i libri per le tre ore di scuola e un sorriso mi illuminò il viso: tre ore, che bello! Feci il letto alla bel meglio e, con lo zaino su una spalla, mi diressi verso la porta e Peter.

-“ Oggi solo tre ore, quindi a pranzo sei libera. Esci con me?”- non lo degnai e oltrepassai la soglia di camera mia. Peter, veloce più della luce, mi sfilò lo zaino e mi prese per mano, facendomi roteare come una ballerina due volte prima di attirarmi a lui, ormai davanti a me come un cartello con su scritto STOP. Se avessi mangiato sicuramente avrei dato di stomaco, ma per sua fortuna non avevo buttato giù nulla, non ancora per lo meno.

-“ Ma che fai?”- dissi cercano di divincolarmi dalla sua stretta, ma lui mi teneva vicinissimo a se, bloccandomi i polsi.

-“ Ti prego Caco, questo pomeriggio vorrai uscire con me?”- disse lentamente continuando a fissarmi e tenermi stretta.

-“ Prima la mia libertà.”- lo sfidai, ma ormai sorridevo e il mio tono non aveva nulla dell’ imponente che avrei voluto che avesse. Anche lui sorrideva e la stretta sui polsi si allentò un pochino.

-“ Allora insieme al tre io ti lascio e tu mi rispondi.”- il mio sorriso si allargò ancora; ormai mancava davvero poco perché mi mettessi a ridere.

-“ Va bene. Uno…”-

-“ Due…Tre!”- mi lasciò immediatamente con forza che quasi caddi all’indietro, ma non gli risposi. Lui ci rimase talmente male che pensai che si sarebbe messo a piangere ma il sorriso rimaneva, quindi…

-“ E-Eh, Peter. Dovresti conoscermi ormai. Comunque okay, uscirò con te.”- dissi con voce dolce come il miele. –“ A patto però che tu mi finisca di dire quello di ieri.”- continuai indurendo un po’ la voce.

-“ Ma il patto era che io ti lasciavo e tu mi rispondevi. Non che ti lasciavo e tu non rispondevi, per poi patteggiare di nuovo.”- rispose con un sorrisino sghembo. Rimasi senza parole, spiazzata. Non sapevo che dire. –“ Dovresti conoscermi Caco.”- finì Peter, evidentemente soddisfatto.

-“ Uhm…va bene, uscirò con te. Ma ti avverto, non sarò tanto loquace finché tu non mi dirai tutto.”- lo sfidai di nuovo alzando il mento, sempre sorridendo, per passargli accanto e cominciare a scendere le scale. Lui per un momento rimase là fermo e io ne approfittai per correre in cucina a riempire una tazza di cereali, la mia colazione. Un orologio annunciava che erano le sette e tre quarti: ritardo, ritardo, ritardo!! Mi ingozzai di cereali e latte, bevuto direttamente dal cartone, e buttai la tazza nel lavabo: non avevo tempo per pulirla.

-“ Ehi calma, finirai per soffocarti.”- mi avvertii Peter, apparso là, vicino a me.

-“ Meglio soffocarmi che arrivare in ritardo il terzo giorno di scuola.”- gli urlai mentre schizzavo a mettermi giubbotto e sciarpa.

-“ Non arriverai in ritardo se accetti un passaggio dal tuo amatissimo zio.”- lo disse con non curanza, giocando con le chiavi dell’auto. Alzai gli occhi al cielo ma era una buona proposta.

-“ Peter, ti prego, mi servirebbe uno strappo fino a scuola. Me lo potresti dare tu?”- il suo volto si illuminò e smise di giocare con le chiavi.

-“ Oh si, ne sarei felice. Anche perché non ho altro da fare stamattina.”- gli sorrisi finendo di avvolgermi il collo nella sciarpa rossa che avrei indossato quel giorno. Mi avvicinai alla porta e l’aprii, aspettando che uscisse: non lo vidi nemmeno quando lo fece ma lo percepii perché passandomi accanto mi aveva sollevato i capelli. Rimasi là, spaventa per quel scatto troppo veloce, ma mi ripresi subito quando sentii il motore dell’auto accendersi. Uscii chiudendo la porta a chiave e mi avvicinai velocemente all’auto: mi sembrava strano essere in ansia per qualche minuto di ritardo quando ero venuta a conoscenza di cose alle quali non avrei creduto quattro giorni fa, ma più di tanto non provavo. Cioè, il mondo andava avanti anche dopo che ero scampata ad una morte certa e ora avevo solo voglia di parlare con Nick, chiarirmi con lui.

Salii al posto del passeggero, vicina a Peter, e partimmo sollevando polvere e terra accompagnati dal rombo del motore di quella macchina fantastica.

-“ Non staremo viaggiando un po’ troppo veloce, Peter?”- gli chiesi a metà viaggio: all’inizio va bene perché la velocità è un’esperienza che provo raramente, ma dopo solo cinque minuti di viaggio mi veniva il mal di mare: fuori dai finestrini il mondo è solo una macchia di colori e non si distinguono le forme, cosa fantastica da vedere, ma improvvisamente sentivo il bocca il sapore dei cereali. Peter sembrò capire e decelerò un pochino, così il sapore dei cereali riscese nello stomaco.

-“ Scusa, di solito guido un più piano ma oggi eri in ritardo, no? Guarda, siamo arrivati.”- disse mentre entravamo nel parcheggio della scuola: allungai il collo alla ricerca di qualche conoscente, ma non vidi nessuno. Tutti gli studenti erano raggruppati nel parcheggio esterno: alcuni stavano entrando,altri facevano gruppo..ma non c’era traccia né di Nick né del resto del gruppo.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo ***


 

Peter trovò posto vicino a una vecchia Ford blu e con un’unica mossa da vero esperto, parcheggiò. Poi scese e continuando ad essere un gentiluomo mi aprii la portiera allungando una mano per aiutarmi a scendere. Io accettai e scesi sorridendogli. Improvvisamente lo vidi sotto la luce del sole, luce del sole coperta da una coltre spessa di nubi nere, e mi sembrò diverso, immensamente bello ma anche immensamente umano. I suoi occhi erano sempre verdi e abbaglianti, ma luccicavano di una luce che avevo notato spesso negli sguardi delle altre persone: sembrava meno dio di quanto lo era sembrato poco prima a casa mia, mentre entrava dalla finestra. Il che mi fece venire in mente una domanda…

-“ Ma scusa, se Mason era uscito per andare al lavoro e la casa era vuota se non mi si conta, perché sei entrato dalla finestra? E poi, cosa stai facendo?”- lui chiuse la portiera e mi fissò senza capire.

-“ Non capisco, Caco.”-

-“ Se c’ero solo io a casa, perché sei entrato dalla finestra e non dalla porta?”- ripetei esasperata. Lui mi rispose con un’alzata di spalle e fece scattare la serratura con un unico movimento del polso: probabilmente aveva il telecomandino nella mano. In quel momento la campanella squillò e tutti gli studenti si mossero assieme verso l’entrata. Peter si abbassò per baciarmi le guance che improvvisamente erano diventate di un’imbarazzante rosso peperone: silenziosamente lo maledii per l’effetto che mi faceva e attribuii tutta la colpa alla sua natura di vampiro-dio.

-“ Passo a riprenderti dopo e ti porto in un ristorantino dove fanno le pizze.”- annunciò con un grande sorriso mentre tornava all’auto. Io lo salutai alzando una mano verso di lui, imbambolata come una povera deficiente, e la sentii… Sentii quella voce che avrei potuto riconoscere tra tutte: Nick.

-“ Ehi, Caco!”- mi chiamava da dietro la mia schiena e lentamente mi girai verso di lui: mi stava corredo incontro e sfoggiava un sorriso che mi sciolse completamente. Dietro di lui c’era tutto il gruppetto, fermo, che mi aspettava.

-“ Ehila, ciao.”- mi salutò di nuovo, una volta che mi aveva raggiunta.

-“ Ciao Nick.”-riuscii finalmente a dire.

-“ Come stai Caco? Ieri sono corso via perché c’era mia madre che mi aspettava così io ti ho salutato molto velocemente. Mi dispiace…”- era veramente dispiaciuto e ci sarei quasi cascata se non fosse stato per il rumore improvviso del motore dell’auto di Peter che si accendeva. Nick ed io sussultammo e lui mi avvicinò a se, mentre Peter passava e mi rivolgeva un ultimo sguardo prima di sparire ridendo a tutto spiano. Avrei voluto restare così vicino a Nick per sempre ma la visione di lui che baciava un’altra era un campanello che non smetteva di suonare. Mi allontanai rivolgendogli un sorrisino timido e mi avviai verso gli altri.

-“ Ciauuu Caco!!”- saltò su Milly. Becca non tardò a sgridarla, ridendo, mollandogli un altro dei suoi pugni amichevoli.

-“ Ciao Caco.”- disse anche lei, con più calma però.

-“ Ciao ragazzi!”- urlai anch’io. Quando fui vicina al gruppo abbracciai Milly.

-“ Ehi ehi, ciao ragazza!”- disse Mattias cercando di spettinarmi i capelli, ma Marco prese le mie difese. Selly e Teresa si misero a ridere…Teresa? La guardai di sbieco e la trovai impegnata tra le braccia di un ragazzo: non si riusciva a distinguere la faccia di nessuno dei due. Un poco più in là c’erano Selly e Robert, che l’altro giorno lo avevo associato come ragazzo di Teresa, che parlavano di non so cosa. Quando Teresa e l’altro ragazzo si staccarono per riprendere fiato riuscii a vederlo in viso: ohmioddio!! Era identico a Nick, sputato! Una goccia d’acqua! Non riuscii a trattenermi dal girarmi verso il Nick che mi aveva salutato, lo guardai a bocca aperta e tornai a concentrarmi sull’altro Nick tra le braccia di Teresa. Ormai tutto il gruppo mi fissava e solo Robert ebbe la decenza di spiegarmi.

-“ Nick e Cony sono simili, si. Moltooo simili.”- enfatizzò in “molto” allungandolo.

-“ Ah.”- gran bella risposta.

-“ Già. Per questo Nick e Cony vanno in giro dicendo che sono gemelli, ma nessun ci crede. Sappiamo tutti che i veri gemelli sono Nick e Teresa.”- finì guardando ridendo Cony e Teresa, che avevano smesso di baciarsi e ora ridevano. Lentamente tornai a guardare Nick e annuii, ringraziando Robert.

-“A-Ah. Tutto vero Terry, no? E per rispondere alla tua prossima domanda Caco, io e Terry siamo migliori amici.”- il mio sorriso si allargò di nuovo a dismisura: quel giorno era un giorno sorridente sia per me che per gli altri. Come una scema continuai a guardare Nick sorridendogli e lui, che non capiva perché fossi così contenta, o forse non voleva capirlo?, mi sorrideva di rimando.

-“ No, la seconda campanella. Correre ragazzi!”- all’ordine di Robert scattammo tutti verso la scuola e ci precipitammo per i corridoi: seguivamo Robert, quindi non ci saremmo potuti perdere, ma lo stesso Nick mi prese per mano e corremmo assieme. Il mio cervello partì per la tangente e mi immaginai con Nick, mi sentii infinitamente stupida, sciocca oltre ogni limite, ma ero felice che quello tra le braccia di quella ragazza, che si era rivelata essere Teresa, era non altro che Cony.

-“ Fermi, fermi, fermi!”- Robert ci bloccò prima della porta della nostra aula, aperta. –“ Okay, ci siete tutti?”- chiese ma non aspettò la risposta e entrò nell’aula, noi con lui.

Quel giorno la prima ora avevamo di nuovo la professoressa Chosen, matematica. Anche se non lo vedevo, potevo scommetterci che il volto di Robert, e poi quello di Marco e Mattias, si stava allargando in un sorriso di benvenuto rivolto alla professoressa.

-“ Ah, eccoli. Buongiorno signori. Prendete posto velocemente e anche una piccola nota mentale: domani giustificazione per il..”- non riuscimmo a sentire l’ultima parola perché tre libri caddero da un banco in prima fila proprio mentre Teresa, l’ultima della fila, entrò. –“ Signorina Danzy, stia attenta!”- la professoressa rimproverò una ragazzina con un paio di occhiali spessi e tondi e i capelli raccolti in due graziose treccine: era seduta in prima fila che, tradotto, significava SECCHIONA. Robert soffocò una risata mentre prendeva posto e io, dal mio canto, soffocai l’impulso di tirargli uno schiaffo alla nuca, ma la mano di Nick si posò di nuovo sulla mia e spostò completamente la mia attenzione su di lui. Non mi lasciò finché non mi fui seduta: eravamo di nuovo vicini di banco, in fondo all’aula e ovviamente non seguivamo la lezione. Io, per lo meno. Quel giorno rischiai ben tre volte durante le due ore, due!, di matematica di essere interrogata ma per fortuna tutte e tre le volte qualcuno si annunciava al posto mio e così finii per non essere chiamata alla lavagna: a quanto ero rimasta? Ah, già, sei a quattro. Per tutte le due ore io e Nick parlammo del più e del meno: io ero tutto il tempo con un sorriso stampato in faccia e lui però sembrava non capire il perché di tanta felicità ma continuava a parlare, incitandomi a rispondere e facendo tante domande. Era il più bel giorno della mia vita. Poi però mi arrivò un sms: avevo dimenticato il cellulare acceso e quando sentimmo tutti quanti la suoneria squillare, mi venne un colpo. Subito tutti tirarono fuori il proprio cellulare per verificare se era il loro ad aver squillato, io mi limitai a tenere gli occhi sgranati mentre il mio di cellulare smetteva di vibrare.

-“ Caco, è il tuo?”- mi chiesero in stereo Milly, Rebecca e Selly. Io le guardai con terrore e lentamente deglutii per poter rispondere.

-“ No, non è il mio.”- dissi in un sussurrò. Per fortuna la professoressa rinunciò a dare ricercare il proprietario del marchingegno che aveva suonato, leggesi io, e tornò a parlare con l’interrogato.

-“ Avanti, leggi l’sms.”- mi incitò Nick. Gli rivolsi uno dei miei sguardi più vacui. –“ Lo so che è stato il tuo e, tranquilla, non lo vado a dire alla professoressa.”- mi fece l’occhiolino.

-“ Okay, scusa.”- mi sciolsi, ruotando sulla sedia per trovarmi perfettamente di fronte a Nick, e non continuando a dargli il profilo. Estrassi il cellulare dalla tasca dei jeans e per prima cosa lo misi in silenzioso, poi corsi alla casella MESSAGGI RICEVUTI: l’aprii e feci una smorfia tra il sorriso e il ghigno quando lessi il nome, Peter. Il messaggio recitava:

 

SONO CONTENTO CHE TU ABBIA ACCETTATO IL MIO INVITO:

QUESTO POMERIGGIO TI PORTERO’ A MANGIARE

LA PIU’ BUONA PIZZA CHE TU ABBIA MAI ASSAGGIATO. PETER.

 

Grugnii e sentii Nick che si spostava sulla sedia per venirmi più vicino.

-“ Qualcuno di importante?”-

-“ Si, Peter.”- risposi con non curanza alla sua domanda. Lui mi guardò senza capire e potevo scommetterci di aver visto un lampo di…gelosia?.. nei suoi occhi. Ma forse, mi dissi, era soltanto la mia stupida immaginazione.

-“ Peter è mio zio. Beh, non proprio, è un amico di famiglia: mi è stato vicino quando ho scoperto di essere stata adottata.”- spiegai con un mezzo sorriso triste.

-“ Ah.”- rispose lui molto semplicemente –“ Era quello che ti ha accompagnato a scuola?”- chiese di getto. Lo guardai un po’ troppo a lungo senza rispondere finché fu lui a spostare lo sguardo fuori dalla finestra.

-“ Si, era lui. Si è ripresentato a casa mia dopo mesi che non lo vedevo e ora vuole solo riparare al…danno.”- dissi lentamente, sperando di poter riparare al danno che avevo fatto io. –“ Mi ha invitato a pranzo…oggi.”- conclusi, ritrovandomi a fissare un Nick dallo sguardo duro e stavolta sicuramente geloso.

-“ E tu hai accettato?”-

-“ Beh, si… D’altronde è solo mio zio e non lo vedo da tanto.”- il suo sguardo si sciolse un pochino e tornò a fissare fuori dalla finestra.

-“ …. E con questo dichiaro conclusa la lezione odierna.”- finì la professoressa, rimandando a posto l’interrogato con un sei: si mise a scrivere sul registro e poi si alzò, uscì dalla classe lasciando la porta aperta. Dopo quasi due secondi, la campanella suonò.

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo ***


Prima di lasciare l’aula, finii di rispondere a Peter, scrivendo: OKAY, MA TI RICORDO CHE NON PARLERO’ TANTO FINCHE’ TU NON MI DIRAI TUTTO QUELLO CHE DEVO SAPERE. CACO. -“ Andiamo?”- un raggiante Nick mi tendeva una mano e mi ritrovai veramente congelata sul posto: cosa dovevo fare? Gli sorrisi e annuii. Insieme andammo fino all’aula per l’ultima ora parlando di tante cose: lui mi faceva una domanda, tipo quando sei nata?, io rispondevo e toccava a me fare la domanda successiva. Era un giochetto divertente e continuai ad essere contenta per tutta la giornata. -“ Quant’è carino il Maiorum??”- due ragazzine stavano bisbigliando tra loro su quanto era carino Nick e mi fece salire una rabbia…ma mi calmai subito perché Nick stava parlando con me! E ovviamente anche perché avevano assolutamente ragione dicendo che da uno a dieci, Nick era bello cento. L’ora passò tanto velocemente che non mi resi conto neanche di che materia, e argomento, si stava discutendo. La mia attenzione era tutta rivolta a Nick, che continuava a scrivermi bigliettini chiedendomi varie cose su di me e la mia vita prima di arrivare in quella cittadina. All’inizio mi era sembrato strano, poi però avevo sorriso e cominciato a rispondere alle domande, proponendo ovviamente le mie. Continuammo a discutere di questo e di quello per tutta la mattinata e non mi accorsi che, invece, fuori scuola c’era Peter che mi aspettava. -“ Eccoli!! Arrivano!”- un lontano e sorridente Cony stava puntando un dito verso di noi e io, non ancora abituata a distinguerlo da Nick, mi presi un colpo. Sussultai fermandomi di botto e silenziosamente mi maledii. All’improvviso sentii una mano calda su una spalla e mi voltai: Nick mi incoraggiava a continuare a camminare ma io ero bloccata in mezzo al corridoio e di sicuro la sua mano su di me e il suo sguardo calamita non aiutavano. Lui mi diede una piccola pacca e mi spinse gentilmente verso Cony. -“Ah..ehm… eh..”- non sapevo cosa dire e dalle mie labbra uscirono una serie di brontolii indefiniti. -“ Non ti preoccupare. Anch’io la prima volta che l’ho conosciuto sono rimasto come te.”- finalmente i meccanismi nel mio cervello tornarono al loro posto e io riuscii a proferire parola. -“ Ah si? Quando l’hai conosciuto?”- -“ Avevo sette anni.”- disse annuendo lentamente. Sconsolata, mi guardai i piedi. Lui ridacchiò. Arrivammo da Cony e Teresa; dopo qualche minuto ci raggiunsero tutti gli altri. Ero ancora sorpresa dal fatto che quel gruppo di ragazzi mi avesse accettata nel giro di due secondi quel giorno, e soprattutto che ora sembravamo un gruppo di vecchi amici. Dopo tutto quello che mi era successo, che avevo scoperto, quel giorno era come un raggio di sole che tocca i relitti di una nave distrutta da una tempesta. Mi faceva sentire bene, nuovamente bene: con Nick stava accadendo qualcosa di bello, di magico, qualcosa che avevo sempre voluto; Teresa, Milly e Selly erano delle ragazze divertenti e Robert, Marco e Mattias lo erano ancora di più. E poi lo squillo: il cellulare cantò e mi distaccò da quella realtà…..Peter. -“ Devi andare Caco?”- chiese piano Milly. Tutti erano in silenzio, bloccati nelle cose che stavano facendo. -“ Uhm, mi sa di si. Ci vediamo domani ragazzi?”- -“ Ehm, domani è domenica.”- disse Nick. Porca miseria!! -“ Ah. Beh, magari ci si sente, okay?”- annuirono tutti sorridendo. -“ Perfetto, perfetto.”-disse Milly, facendo l’occhiolino. Salutai con la manina e mi girai, diretta verso l’uscita. Stavo quasi per aprire le porte e uscire quando Milly mi chiamò e mi corse dietro: mi girai verso di lei e vidi che il gruppo si era sciolto, c’era solo lei. -“ Ciao, scusa, mi dai il tuo numero? Sennò come facciamo a sentirci?”- -“ Giusto! Ecco, tieni.”- le dettai il numero e poi uscii definitivamente. Il sole mi colpì in faccia accecandomi: durante la mattina le nuvole si erano aperte per lasciargli il posto e ora splendeva più forte che mai. Peter era là, appoggiato alla carrozzeria della sua auto da urlo e mi fissava: mi salutò con un braccio e aspettò con le braccia incrociate. Ricambiai alzando il mento e a passo di marcia mi avvicinai all’auto. Quando fui abbastanza vicina, lui si staccò dall’auto e mi abbracciò facendomi uscire gli occhi dalle orbite. Per tutto l’abbraccio tenni le braccia lunghe sui fianchi e quando mi lasciò andare lo fulminai con un’occhiataccia, poi mi sporsi e gli stampai un bacino su una guancia. -“ Ciao Caco, andata bene oggi?”- annuii in risposta e un suo sopraciglio si alzò. –“ Hai intenzione di non parlarmi per tutta la giornata?”- intelligente il ragazzo. Annuii di nuovo, per l’ultima volta: avevo detto che non gli avrei parlato, quindi nessun movimento con la testa. Lui alzò di nuovo il sopraciglio ma da vero gentiluomo mi aprì la portiera del passeggero e mi fece accomodare. Il sedile era morbido e profumava di pelle: attraverso il finestrino un raggio di sole mi accarezzo il viso, mi sollevò un angolo delle labbra facendomi sorridere. Poi un lungo dito delicato portò una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio: Peter… Aprii lentamente gli occhi e li puntai nei suoi che splendevano di un sorriso beffardo. Spaccone. Il suo sorriso si allargò ma lasciò cadere il dito e la ciocca tornò sulla guancia, calando lentamente quasi come i movimenti di Peter, assomigliando molto a una tenda che metteva uno stacco tra noi, per mia fortuna. -“ Allora, beh, grazie per aver accettato il mio invito.”- lo guardai alzando a mia volta un sopraciglio per poi guardare di nuovo fuori dal finestrino. –“ Lo so, lo so, non mi parlerai finché non ti dirò tutto per filo e per segno.”- silenziò tombale da parte mia. –“ Va bene, come vuoi.”- accese il motore e partimmo sollevando un polverone: sgommammo per tutto il parcheggio e quando fummo fuori mi lasciai scappare un sospiro. –“ A-ah!”- esclamò Peter con fare accusatorio. Piegai la testa all’indietro e sospirai di nuovo chiudendo gli occhi. Stavo per passare con Peter un intero pomeriggio e non avevo intenzione di parlare se prima non lo avesse fatto lui ma potevo scommetterci la mia vita che non lo avrebbe fatto. Potevo. –“ Visto, sapevo che non avevi perso del tutto l’uso delle corde vocali”- finii di dire. “Non servono le corde vocali per parlare, brutto idiota” avrei voluto rispondergli. –“ Caco, ci aspetta un viaggio lungo e noioso. Sei sicura di voler restare zitta tutto il tempo?”- che cos’era? Una sfida forse? Beh, mio caro, se non la smetti di dar aria alla bocca forse poteri parlare, o meglio, urlare mentre ti uccido. No, finii di rispondere a me stessa, troppo rischioso. Mi piegai verso il mio zaino e ne estrassi il mio amato Ipod, cuffiette nelle orecchie e via!, il viaggio perdeva ogni rumore. L’ultima cosa che vidi prima di diventare una cosa sola con la musica, furono le labbra di Peter che si muovevano in un “ Sei proprio una bambina, Caco” ma ormai non aveva più importanza, ormai stavo già muovendo le dita a ritmo con la canzone: non mi piacevano tanto i Sum 41, ma “Noots” era una gran bella canzone. Uhm, forse lo era solo perché era nel film “I fantastici 4”… Mi era sembrato che il viaggio fosse durato solo pochi minuti invece avevamo viaggiato per ben tre quarti d’ora: mi ero forse addormentata? Ancora mezza addormentata e stordita dal volume altissimo dell’Ipod non mi resi conto subito di dove eravamo arrivati: Peter non era in macchina, che era spenta, e il sole era sparito dietro un’altra coltre di nubi; spaventata e piena di ansia mi slacciai la cintura di sicurezza e buttai l’Ipod nello zaino: prima cosa, trovare Peter. Girandomi da tutte le parti lo trovai vicino ad un uomo vicino a sua volta ad una porta: sporgendomi un poco scoprii che la porta era di un ristorante modesto ma carino; nel giro di pochi secondi Peter tornò verso l’auto e in quei secondi cercai di ricompormi ma riuscii a fare ben poco. -“ Siamo sveglie.”- una semplice constatazione mentre mi apriva la porta per farmi uscire. Non risposi, se non altro avevo riacquisito la lucidità per non perdere la “possibile” scommessa. Una volta scesa mi sistemai la giacca e lo guardai: sembrava impacciato, come se non sapesse che mossa fare, ma fu solo per un secondo poi si illuminò, chiuse l’auto e mi venne vicino, mi guardò un attimo e mi toccò la schiena in alto, vicino alle scapole e continuò a guardarmi. Io inarcai la schiena e col mento alto avanzai verso il ristorante: all’interno era molto più carino che da fuori, modesto, semplice, ti faceva sentire a casa. Gli interni erano di un legno chiaro e i tavoli, specialmente rotondi, erano coperti da tovaglie rosse che facevano tanto Natale anche se non era ancora periodo: piante e quadri adornavano il tutto rendendolo anche, in un certo senso, romantico. Poi si sentiva la vociona del cuoco che urlava quando i piatti erano pronti e così i camerieri scattavano, entrando e uscendo dalla porta della cucina, lasciando assaporare ai clienti l’odore della pizza, della carne ai ferri, della pasta appena scolata… Insomma, quello che mi era sembrato un posto tranquillo e romantico era invece una grande metropoli dove si poteva assistere al viavai dei camerieri che sembravano danzare, in perfetta sintonia coi clienti che invece erano l’incarnazione della pace: una piccola New York tutta per me. Peter si schiarii la voce e mi indicò un tavolino grazioso vicino alla grande vetrata, forse un po’ troppo vicino alla cucina, ma sicuramente abbastanza isolata dal resto delle persone. Mi avviai in quella direzione e non appena mi fui seduta un cameriere dall’aria simpatica e bonacciona ci venne incontro con un bel sorriso stampato in viso e in mano un blocchetto per le ordinazioni. Penna nera stick in mano. -“ Buongiorno e benvenuti al nostro ristorante. Oggi vi servirò io quindi, vi prego, non indulgiate a chiamarmi per ogni evenienza. Cosa vi posso portare?”- il sorriso si era allargato e chissà perché mi sembrava come se avesse imparato tutto a memoria e che ormai non pensasse più a quello che diceva: lo lasciava uscire continuando a sorridere. Mi chiesi come l’avrebbe presa se non avessi parlato per tutto il giorno. -“ Buongiorno anche a lei. Possiamo solo avere un menù?”- Peter, educatissimo, gli ripose, aspettando la battuta del cameriere. Ne approfittai per osservarlo meglio: indossava un completo nero, niente cravatta, solo un panciotto color crema molto carino con il doppio petto. Sopra un grembiulino nero, allacciato alla vita che gli scendeva fino alle ginocchia. -“ Sicuro.”- disse velocemente il cameriere: si girò un attimo verso il tavolo più vicino, vuoto e ancora da sparecchiare, e prese due menù rilegati in rosso per poi porgerceli. -“ Grazie.”- disse un Peter già immerso nella lettura dei piatti del giorno. Io avevo già deciso, non mi serviva guardare la lista: pizza alla diavola. Amavo il piccante. -“ Cosa desiderate da bere, signori?”- una Coca-Cola, è chiaro! Avrei voluto dire. -“ Coca. Due bicchieri di Coca, grazie.”- guardai Peter spalancando un poco la bocca. Lui mi guardò a sua volta e alzò le spalle. -“ Perfetto. E come primo? Se posso darle un consiglio, io prenderei i tortiglioni al tartufo oppure il vitello ai ferri.”- aprii in uno slancio il menù e corsi ala prima pagina: è certo, tutti e due erano i primi piatti della lista, rispettivamente cari ventiquattro e tredici euro. No. -“ Uhm, oggi mi sento italiano… Prenderò una pizza…Vediamo un po’, ecco! Pizza Estate, con pomodorini freschi e mozzarella di bufala.”- disse Peter, guardando me e non il cameriere. Io, invece, guardavo proprio il cameriere che sembrava molto dispiaciuto della scelta di Peter, ma d'altronde non si può mica prendere un piatto che costa ventiquattro euro! -“ Perfetto.”- dichiarò lo stesso il cameriere. –“ E per la signorina?”- oddio toccava a me! Mi si bloccò la circolazione e rimasi ferma per un attimo, poi mi girai verso di lui e stavo quasi per indicare il nome di ciò che volevo mangiare quando Peter intervenì. -“ Pizza alla Diavola, grazie.”- il cameriere rimase di nuovo stupito ma non fece domande, prese i suoi appunti e si allontanò, salutando con un brevissimo e appena accennato movimento della testa. -“ Che c’è?”- scaturì Peter quando si accorse che lo fissavo con entrambi i sopracigli alzati. Ovviamente non risposi, mi limitai a scrollare le spalle e tornare sul menù, facendo finta di leggero. Lui invece si mise ad osservare il paesaggio al di fuori della grande vetrata: si poteva osservare l’intera cittadina e poco più in là la grande distesa d’acqua, l’oceano. La luce del sole soffocata dalle nubi conferiva al tutto l’idea di trovarsi in un sogno tranquillo, all’interno di un quadro dove tutto è fermo ed esprime i pensieri del pittore, ma che allo stesso tempo comincia a muoversi, a sciogliersi, se lo si guarda attentamente: si cominciano ad individuare dei piccoli dettagli che prima non c’erano e automaticamente ti rendi conto che ormai quel quadro ti piace, che deve essere tuo. Poi lo compri e lo appendi sopra al letto o al camino. -“ Non è bellissimo?”- chiese Peter, però non riuscii a capire a chi si rivolgesse. Pensai a se stesso. –“ Allora, volevi sapere qualcosa, se non sbaglio?”- quando lo disse io ero annegata tra le pagine del menù, che tenevo sollevato a coprirmi il viso: Peter parlò e mi venne un colpo, lasciai cadere il menù sul tavolo guardandolo, felice che cominciasse a capire. –“ Già.”- disse sorridendo: il menù, cadendo, aveva fatto un bel casino e gran parte dei clienti si erano girati a guardarci per qualche minuto, poi borbottando erano tornati sui loro piatti. –“ Però parlerò dopo che saranno arrivate le pizze.”- e intanto io ti uccido, vabbon? Fu la mia risposta. Il nostro cameriere, con un tempismo perfetto, uscii dalle cucine e venne verso di noi: nelle mani due piatti enormi e circolari, le nostre pizze! Il mio stomaco cominciò a brontolare, non ricordavo di essere tanto affamata. Fissai il mio piatto e una parte di me si chiese se stessi sbavando ma non me ne importava e assalì immediatamente la mia pizza. Peter fu più calmo, anzi, mi guardò ingurgitare il mio piatto senza toccare il suo. Divorai metà pizza praticamente subito. -“ Ora che cominci ad avere lo stomaco pieno ti dirò un po’ di cose.”- finalmente! Mi tremò un angolo della bocca. -“ Dove eravamo rimasti? Ah si, il tuo compito…”- all’improvviso Peter perse tutta la sua luminosità e abbasso lo sguardo. Io aspettai. -“ Il tuo compito… Aspetta, facciamo un piccolo ripasso…”- lo bloccai prima che continuasse. -“ Esistevano cinque vampiri che hanno trovato un uomo, Enim, in fin di vita e commossi lo hanno trasformato. Una volta sveglio, Enim scappò da loro e cominciò a trasformare altri umani e si fece chiamare l’ Unico.”- avevo parlato velocemente, quasi mangiandomi pure le parole. Peter era sbalordito, bocca e occhi spalancati. -“ Oddio Caco parla!”- -“ Continua a raccontare, Peter”- lo minacciai impugnando il coltello dalla punta arrotondata. Lui alzò di poco le mani e continuò a parlare. -“ Si, infatti, Enim continuò a trasformare gente e in qualche decennio diciamo che teneva la concorrenza con i Cinque.”- odiavo quando la buttava sul ridere. -“ Mi vuoi dire, per piacere, che cavolo centro io?”- dissi sussurrando con la voce piena di rabbia. -“ Si, già. Esiste una…uhm, discendenza?…No, esistono degli umani che rientrano in tutta questa storia. Si chiamano, o si fanno chiamare, Cacciatori.”- ci stavamo arrivando, lentamente, ma ci stavamo arrivando. -“ Okay. Continua, per favore.”- bisognava spronare il ragazzo, sennò non si muoveva. -“ Bene. Ecco, la tua famiglia, quella vera, biologica, discendeva, faceva parte, di questi umani”- odiavo anche quando usava tanti sinonimi –“ Il tuo è un…ruolo, che si passa di generazione in generazione: dopo che il Cacciatore muore, il testimone passa al figlio, o figlia.”- fine, silenzio. Okay… -“ Cacciatore….io?”- -“ Cacciatrice…tu, si.”- -“ E di cosa?”- Peter alzò gli occhi al cielo e con la forchetta in mano indicò se stesso e poi tornò ad occuparsi della pizza. Vampiri…Cacciatrice di vampiri… La testa cominciava a girarmi… -“ Ahm.”- assomigliava a un colpo di tosse, il mio. –“ C’è ne qualcun altro in città?”- mi comportavo come se niente fosse, lo davo a vedere, ma dentro ero confusa: perché a me? Perché proprio a me! E poi che diavolo! Peter ignorò la domanda e continuò col racconto. -“ Quasi tutti i Cacciatori non hanno mai conosciuto i genitori biologici, cos’ come i Cacciatori non hanno mai conosciuto i propri figli: i seguaci di Enim, dopo nove mesi dalla nascita del futuro Cacciatore, età nella quale si è riconoscibili come tali, andavano per le città e cercavano di uccidere tutti i bambini. Per un po’ ci riuscirono ma poi i Cacciatori cominciavano a nascondere i figli, a darli in adozione: in questo modo diventava molto più difficile scovarli.”- -“ Perché?”- lo interruppi. -“ Perché i figli dei Cacciatori a nove mesi non sono nessuno, cioè, sono solo dei bambini indifesi ma, se vivono accanto ai genitori Cacciatori, allora è come se avessero una macchia, un qualcosa che li fa riconoscere: è come un’aurea di…potere. Il figlio dovrebbe crescere accanto ai genitori, così da subito saprebbe chi è e cos’è destinato a fare. In più, avrebbe molto più potere. Ma ciò è solo una supposizione, tutti i neoCacciatori come te scoprono il proprio potere ed esso ha la stessa forza che avrebbe se fossero cresciuti accanto ai genitori.”- concluse con un’alzata di spalle. Io ero ancora confusa. -“E così si chiarisce il perché della mia adozione ma non chiarisce perché centrino anche Mason e Catherine..”- -“ Uhm, vedi, anche Mason e Catherine erano dei Cacciatori, o meglio, solo Catherine lo era, Mason conosce solo la storia. Ma è stato molto bravo a nascondere le orme della moglie: devi sapere che i seguaci di Enim, quando non trovavano i bambini, di solito si vendicavano sui genitori oppure li torturavano per avere informazioni circa la posizione della prole. Avevano più paura dei bambini che di uomini e donne fatti e cresciuti, con esperienza.”- -“ Più paura?”- -“ Te l’ho detto, i Cacciatori uccidono i…vampiri”- sussurrò, d’altronde eravamo in un ristorante. –“ E si, fanno molta più paura dei bambini, che un giorno diventeranno agili e forti, piuttosto che degli uomini sulla via della morte.”- la faceva melodrammatica, non si facevano mica i bambini a novant’anni! –“ Volevano mettere fine alla tua discendenza.” -“ Ma non ci sono riusciti.”- -“ Ma non ci stanno ancora riuscendo.”- -“ Vuol dire che…”- -“ Si Caco! Volevano uccidere pure te!”- okay, era troppo. Mi stava venendo il voltastomaco. Inspirai lentamente e presi un lungo sorso di Coca. -“ Ora che sai tutto..”- lo interruppi di nuovo. -“ Che cosa devo fare ora? Devo fingere? Torno a casa e va tutto bene? Dovrò vivere come se niente fosse, con io che so tutto e mio padre che sa che io so e continuare a fingere?”- stavo per esplodere, ma nulla più aveva importanza. -“ No, Mason era d’accordo con me, voleva che ti dicessi tutto quanto.”- Mason aveva lasciato a lui il lavoro sporco? Presi un altro lungo sorso. -“ Stasera ti porto in un posto.”- ripeté. -“ Scusa se te lo dico, ma non mi fido tanto.”- -“ Solo perché un vampiro simile a me ti ha quasi uccisa non vuol dire che non ti debba più fidare di me.”- -“ Solo?!?”- avevo quasi strillato. Il nostro cameriere ci venne incontro. -“ Posso portarvi qualcos’altro signori?”- chiese preoccupato, guardandomi e accertandosi se stessi bene. Non lo guardai. -“ No, la ringrazio.”- rispose Peter. –“ Il conto, per favore.”- il cameriere estrasse il blocchetto per le ordinazioni e con la stessa penna fece il calcolo, poi lo riportò su una macchinetta, la solita dei camerieri, e stampò lo scontrino. -“ Ecco a lei.”- disse riponendolo sul tavolo accanto a Peter. Lui guardò quant’era mentre io ero in continua agitazione: mi tremavano le gambe. -“ Tenga. Grazie di tutto.”- disse Peter, sempre educatissimo. Il cameriere prese i soldi, li contò e si tenne la mancia. Ci accompagnò fino alla porta, l’aprii e ci fece passare, richiudendocela alle spalle. Eravamo fuori, al freddo.

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo ***


-“ Andiamo Caco, fa freddo qua fuori.”- era vero: se dentro al ristorante tremavo per l’agitazione, la fuori tremavo solo ed esclusivamente per il freddo. Arrivammo alla macchina, Peter fece per salire ma io mi fermai e parlai, tenendo lo sguardo fisso sulla carrozzeria. -“ Rispondimi, Peter: c’è sono altri…come me?”- -“ Se verrai con me stasera, lo scoprirai…”- alzai lentamente il viso e lo guardai con astio. -“ Ho detto di no!”- gli urlai contro prima di entrare nell’auto. Lui mi copiò e in meno di un secondo ci ritrovammo vicini, in silenzio. Feci per prendere il mio Ipod, ma le sue mani mi fermarono: ero china sullo zaino e lui mi teneva fermi i polsi.Lo guardai e lui ricambiò. -“ Esci con me, stasera.”- -“ Sono già uscita con te questo pomeriggio, Peter.”- intravidi nei suoi occhi un lampo di un certo nonsochè, sembrava rabbia. O forse era soltanto sorpresa. -“ Ma se verrai con me questa sera, scoprirai tutto quello che rimane da sapere. Tutte le tue domande avranno risposta.”- -“ Non mi hai detto tutto?”- mi avvicinai di più a lui e non mi accorsi che nello stesso istante anche lui si era mosso: i miei polsi erano lontani, stretti da solo una sua mano, i nostri nasi non si sfioravano ma sentivo il suo odore sulla mia pelle. Le sue spalle mi sovrastavano. Come risposta sogghigno e annui lentamente. –“ Brutto..”- incominciai con l’insulto ma improvvisamente il suo naso sfiorava la mia guancia. Rimasi con gli occhi sbarrati: lui toccava con la punta del suo naso la base del mio e io, per forza di cose, facevo lo stesso. Mi ripresi quasi subito e mi allontanai, finendo con la schiena contro il vetro del finestrino. -“ Si può sapere perché fai così?”- la domanda lo distrasse e anche lui si tirò indietro sul suo sedile, mollando la presa sui miei polsi. Gli aveva stretti parecchio e ora erano rossi, ma non facevano malissimo, semplicemente pulsavano. -“ Così come?”- chiese continuando a fissarmi. -“ A…a…comportarti..”- non trovavo le parole, farneticavo e molto probabilmente gli sembrai pazza. -“ A comportarmi..?”- mi aiutò. -“ A cercare di..sedurmi! Sei sempre così vicino, con la tua voce profonda e…”- allungai la “e” non trovando il vocabolo che mi serviva. Mi arresi presto e vidi che il suo sguardo si era posato oltre il parabrezza: sembrava confuso. -“ Cercare di sedurti?”- chiese, ma sembrava più una domanda interiore. -“ Si! E sei sempre troppo vicino.”- aggiunsi. -“ Non… non.. Non me ne ero accorto, scusami.”- disse tra n farfuglio e l’altro. Peter era uno spaccone e vederlo in difficoltà faceva strano. Però mi piacque, finalmente anche lui era senza parole. Ah, che soddisfazione! –“ Ma sta tranquilla, non voglio sedurti.”- era tornato tranquillo. -“ Bene. Allora ti pregherei di tenere le distanze.”- dissi in un soffio. Era come il tiro alla fune: lui era tranquillo, io diventavo ansiosa e irrequieta; lui era nervoso, io trionfavo. -“ Sai cos’è? Forse è il fatto che sei una bella ragazza…forse che il tuo sangue umano mi attrae.. O forse è per via del mio carattere!”- disse illuminandosi in volto. Si girò a guardarmi felice. –“ Si, sai, carattere vampiresco!”- e scoppiò a ridere. Sarà stato per la gravità della situazione o per il contesto, non lo so, ma io non ci trovavo niente da ridere. -“ Carattere. Vampiresco. Carattere vampiresco?”- chiesi sotto voce, così piano che nemmeno lui mi sentì, anzi, continuando a ridere sempre di più accese il motore e partimmo. Indossai le cuffiette dell’ Ipod e come per il viaggio di andata, anche quello di ritorno fu velocissimo: caddi in dormiveglia dopo venti minuti, col volume al massimo. L’orologio che avevo al polso indicava le 16.30; saremmo arrivati a casa nel giro di un’ora. -“ Siamo arrivati.”- Peter mi stava scuotendo: eravamo fermi, parcheggiati davanti a casa. Mi slacciai la cintura e, annuendo e Peter, scesi dall’autovettura. Senza pensarci un minuto di più mi diressi verso casa: aprii la porta e la chiusi; mollai lo zaino e corsi in cucina. Avevo una sete! Dalla credenza sopra i fornetti trovai un bicchiere e lo riempii di acqua di rubinetto. -“ Per me frizzante, grazie.”- quasi mi strozzai. Peter era seduto al posto di mio padre, attorno alla tavola. -“ Penso di averti lasciato fuori.”- -“ Gli umani sono lenti, così sono riuscito ad entrare prima che tu chiudessi la porta. Ti ho portato lo zaino in camera: i tuoi libri sono sulla scrivania.”- -“ E dimmi, in cos’altro gli umani sono diversi dai vampiri.”- dissi sfidandolo. -“ Beh, in tutto: noi ci nutriamo di sangue, siamo più veloci, più forti, più belli e anche più intelligen..”- non finii la frase: si era accorto che gli avevo estratto informazioni. -“ Più intelligenti?”- finii per lui, alzando un sopraciglio. -“ Si.”- disse acido. Mi avvicinai al tavolo e mi sedetti di fronte a lui. -“ Raccontami ancora…”- -“ Cosa? Le differenze tra me e te? Anzi tra me e gli umani normali?”- -“ Si..”- dissi ma improvvisamente mi resi conto che di più non sarei riuscita a sopportare. Sono conosciuta per essere la ragazza più masochista d’America. -“ Come ti ho già detto noi ci nutriamo di sangue ma possiamo anche mangiare cibo umano. Certo, non ha per noi un valore nutrizionale ma lo digeriamo. A differenza del sangue che non scende nello stomaco ma viene assorbito dalle nostre cellule: per questo siamo forti e veloci. Lo stesso vale per chi si nutre di sangue animale: certo, si è meno forti con quel tipo di sangue, ma va bene lo stesso. I nostri sensi sono ampliati, riusciamo a captare ogni rumore, anche il più lieve; non c’è ne suono, ne odore, ne cosa, che possa nascondersi a noi. Posso sentire ogni suono, posso captare ogni odore e posso seguire con la vista ogni cosa nel raggio di qualche chilometro.”- Annuii con un unico movimento della testa, prendendo un altro lungo sorso d’acqua. -“ Dato che oggi siamo in vena di baratti, ti propongo che te ne parlerò ancora se tu stasera verrai con me.”- disse ancora. Alzai gli occhi al cielo sospirando sonoramente e andai in camera mia, col bicchiere in mano. Lo appoggiai sul tavolo e presi dal mio comodino il piccolo album di fotografie di mia madre, quella adottiva… Di nuovo non sentii Peter che entrava e si sedeva accanto a me: mi venne un colpo quando me ne accorsi. Ma che diamine! Ora che conoscevo gran parte della verità sognavo di non averla mai sentita: il mondo era andato avanti e io ora ne avevo una cicatrice enorme! -“ Ti prego, Caco.”- lo fulminai con lo sguardo e mi girai verso di lui, parlando aprendo bene la bocca, in modo che capisse. -“ Non - verrò - con - te - Peter!”- dissi scandendo bene ogni singola parola. Lui mi guardò e stava quasi per controbattere quando un’altra voce si intromise. -“ Allora verrai con me, piccola.”- mio padre era sulla soglia di camera mia, appoggiato allo stipite della porta e sembrava un pesce fuor d’acqua: evidentemente era a disagio per aver mandato il caro vecchio Peter a fare il lavoro sporco… -“ Cosa? Allora la vostra è proprio una coalizione contro di me!”- dissi esasperata guardando mio padre che alzò semplicemente le spalle, mentre Peter sorrideva soddisfatto. Se pensava che così sarei venuta, perché non avrei potuto rispondere male a mio padre, oh, sarei stata enormemente felice di farlo. -“ Ma scusa, non eri tu quella che voleva sapere tutto quanto?”- disse Peter, alzandosi e avvicinandosi a Mason. Non gli risposi, mi limitai a fissarlo senza muovere un muscolo. “Oh si, ti strapperò quel sorrisino deficiente dal viso!” ripetei a me stessa. Sbruffai, incrociando le braccia e affondandoci dentro il mento. Peter e Mason si guardarono per un momento, poi mio padre annui e l’altro si mosse verso di me: indietreggiai ma subito Peter mi prese per un gomito e prima che potessi protestare, si piegò e mi sollevò prendendomi per le ginocchia. Finii con la testa vicino al suo sedere ma fui subito tirata per le caviglie: ora la mia testa e le mie mani toccavano i suoi fianchi. Cominciai a scalciare e a battere i pugni sulla sua schiena. -“ Ma che fai? Rimettimi subito giù! Subito!”- urlavo ma Peter pareva non sentirmi. Capii che urlare a squarcia gola sarebbe servito a poco, così cercai di tirargli a tradimento una ginocchiata: ci riuscii, lo beccai sotto alla trachea e per un momento lui si piegò, ma mi rispose stringendo la presa attorno alle caviglie e ai polpacci. Fu così doloroso che per un momento il mondo divenne nero a pois bianche. Prima che me ne potessi accorgere, mi ritrovai legata, seduta sul sedile posteriore di un’auto lanciata a tutta velocità su un’autostrada: rinunciai a chiedere dove stessimo andando e pregai che tutto ciò fosse solo un brutto, bruttissimo sogno.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciasettesimo ***


 

-“ Ecco, siamo arrivati.”- fu Peter a parlare per primo dopo quelli che mi erano sembrati anni invece di pochi minuti. Lui e papà scesero, io rimasi incollata al sedile.

-“ Caco.”- mimò Peter al di là del finestrino scuro. Alzai gli occhi al cielo e scesi: mi avevano portato fin la tanto valeva scoprire ogni minimo dettaglio e poi tornare a vivere la vita di sempre. Trovai mio padre con un braccio teso nella mia direzione ma lo ignorai aspettando che mi dicessero dove andare.

Eravamo in un posteggio senza macchine: alla nostra destra c’era un distributore di benzina poi, a delimitare il perimetro dell’aera, un bosco fitto.

-“ Si va di qua, tesoro.”- disse mio padre dirigendosi gli alberi.

-“ Cosa? Mi fate camminare nel fango?”- chiesi con un tono sorprendentemente sarcastico. Non mi riconoscevo più: tutta questa storia mi aveva cambiata facendomi diventare una stronzetta?

-“ Posso sempre portarti in braccio.”- disse Peter in un sussurro. Alzai il mento ed entrai nell’oscurità: metteva paura, gli alberi alti che nascondevano il cielo, i rumori dei nostri passi nel più assoluto silenzio, il mio respiro mozzato. Non ci volle molto alla mia mente per prendere la tangente: vivevo in un mondo popolato dai mostri e il mio ruolo era quello di sterminarli. Poi, all’improvviso, mi venne in mente una domanda.

-“ Peter, non è che esistono anche i licantropi, le streghe e tutte le altre creature…notturne?”- prima di dire l’ultima parola dovetti deglutire. La sua risata era ghiaccio sulla mia pelle, mi venne la pelle d’oca: era dunque un si?

Non dovemmo camminare a lungo, il bosco si era già diradato e ora eravamo immersi nel sottobosco: dietro agli ultimi cespugli si poteva intravedere un’enorme giardino curato: non c’erano piante o fiori, era solo una distesa d’erba piatta. Ci arrivammo. Mason passò in testa e Peter venne al mio fianco: li guardai per un attimo, poi mi accorsi dell’enorme casa che troneggiava in mezzo al prato: era un grande rettangolo, una villa. I muri esterni erano di un giallo spento ma era il colore perfetto, né troppo sfavillante, né troppo morto: le finestre erano dappertutto, solo su quella facciata se ne contavano dieci. Erano enormi, grandi quanto dei normali cancelli. Con la bocca spalancata, mi avvicinai. Scoprii che tutti gli infissi erano bianchi: per arrivare alla porta principale bisognava salire una delle due scale, a destra e a sinistra, che salivano a curva come nei film ambientati nell’Ottocento. Ecco, era una casa dell’Ottocento. Le scale erano di marmo ma quello che mi colpì fu la presenza di una seconda entrata, esattamente sotto a quella principale, rialzata. Allungai una mano a indicarla e feci per chiedere dove portava ma arrivò Peter che prese la mia mano nella sua e mi portò su per le scale. L’entrata sembrava un’enorme finestra ma l’unica cosa che la distingueva dalle altre era la maniglia di legno chiaro: Mason l’aprii e Peter mi spinse delicatamente dentro. Prima di entrare notai che sopra le nostre teste c’era un lungo e largo terrazzo, di marmo, che univa le ultime due finestre.

Non appena fui dentro mi sentii a casa: c’era odore d’incenso e carta vecchia in quella casa. L’arredamento era in legno chiaro per i mobili, mentre erano in legno scuro le scale interne, le colonne che sorreggevano il secondo piano o il soffitto stesso. Quella prima stanza era un labirinto, erano pochi i muri separatori ma tante le porte: le colonne servivano anche un po’ per dividere lo spazio. Riuscii a intravedere una piccola biblioteca, nascosta alla mia sinistra: da quello che riuscii a capire con un solo sguardo, pensai che avesse la forma di un pentagono, ma non ne ero sicura. Più visibili erano invece le scale, sempre alla mia sinistra; a destra c’era addossata al muro una cassapanca e, nella posizione opposta della piccola biblioteca, c’era un’altra stanza. Davanti a me, due piccole librerie opposte mi tagliavano la strada: erano attaccate alle scale di sinistra, ma dietro si capiva che la stanza continuava. Peter tossì.

Un uomo sbucò da dietro la piccola libreria e ci venne incontro con un sorriso stampato sul viso. Era vestito completamente di nero: pantaloni e camicia. Un lungo mantello nero scendeva a coprirli tutto il corpo, lasciando fuori solo le punte delle scarpe nere e il colletto della camicia. Solo due colori si riusciva a distinguere: il grigio ormai bianco dei suoi capelli e il colore olivastro della sua pelle.

-“ Mason, mio caro.”- proferì. Aveva una voce bassa ma sembrava simpatica: sicuramente era una persona di cui fidarsi.

-“ Frederick.”- rispose mio padre inchinando la testa, le braccia lunghe sui fianchi. Lui gli si avvicino e gli sfiorò una mano. Mio padre alzò lo sguardo.

-“ Mi dispiace per tua moglie.”- disse Frederick, prima di abbracciare Mason, che ricambiò. Una pacca sulla schiena e si lasciarono. L’uomo fissò prima me, poi Peter. Non compresi subito il perché dell’odio nel suo sguardo.

-“ Frederick… Peter è dalla nostra parte.”- incominciò mio padre.

-“ Lo so Mason, ma tu devi capire che non è facile per noi non provare odio nei suoi confronti.”- ero d’accordo con lui. Almeno in quel momento. –“ E lei è Carlotta, immagino.”-

-“ Si, mia figlia.”-

-“ Adottiva.”- finii Frederick per lui. Mason abbassò di nuovo la testa. –“ Lei è figlia di Isobel e Paul.”-

-“ Vero. Ma io e Catherine l’abbiamo cresciuta.”-

-“ E ti sono grato di questo. Lo siamo tutti. Ora è giunto il momento che lei sappia chi è realmente e cosa sa fare.”- disse. Mio padre annui e alzò di nuovo la testa. Per un attimo mi sembrarono mamma e figlio, lui e Frederick, ma subito l’uomo parlò anche a me e a Peter. –“ Vogliate seguirmi, per favore.”- e girò sui tacchi, dirigendosi verso lo spazio tra le due librerie opposte: una accanto alla scala e la seconda dall’altra parte. Lo seguimmo giù per una serie di scalini poi una porta ci sbarrò la strada. Frederick estrasse da una tasca del mantello che prima non avevo visto, un mazzo di chiavi: scelse quella giusta, la inserii nella toppa e la porta si aprii.

Eravamo in un’altra grande stanza, sembrava una mensa ma ero pronta a scommettere che non lo fosse: quest’area era meno complicata dell’ingresso, c’erano solo tre porte, una a destra, una a sinistra e l’altra davanti a noi. Sentimmo dei passi e delle voci che ridevano poi, dalla porta a destra, più o meno lontana un sei metri da noi, uscirono una ragazza e un ragazzo: si tenevano per mano e ridevano.

-“ Jared, Elsie, abbiamo ospiti.”- li richiamò Frederick. I due non appena si sentirono nominati si voltarono verso di noi e rimasero pietrificati. La ragazza fu la prima a svegliarsi e incrociò i pugni sul petto per poi chinare la testa. Il ragazzo la vide e la copiò. –“ Riposo ragazzi, riposo.”- rise felice Frederick. I due alzarono la testa e abbassarono solo uno dei due pugni. –“ Venite qua, vi prego.”- Jared ed Elsie erano bravi a fare ciò che gli veniva ordinato. Si avvicinarono: Jared era un bel ragazzo, un viso pulito, nella norma, non aveva nulla di speciale; una zattera nera, spettinata al posto dei capelli; un paio di occhi scuri e un portamento socievole. Elsie, invece, aveva i capelli pettinati, lunghi e biondi; un viso ovale e quasi troppo perfetto nelle proporzioni e due perle azzurre al posto degli occhi: mi guardava sorridendo, accendendo il suo bel viso.

-“ Questa è Carlotta, una nuova Cacciatrice.”- subito notai nei loro sguardi un lampo di tristezza, probabilmente collegato al fatto che anch’io, come loro, non avevo conosciuto i miei veri genitori.

-“ Una Novizia.”- disse con voce suadente Jared, offrendomi la mano. Gliela strinsi sorridendo.

-“ Non lo capirai mai che bisogna porgere prima il Saluto e poi la mano?”- disse, scherzando, Elsie: si portò il pungo destro sul petto, sorridendomi. Io, imbarazzata, non seppi cosa fare e mi limitai a guardarla. –“ Ciao, io sono Elsie.”- disse subito dopo, porgendomi la mano. Tirai un sospiro di sollievo.

-“ Ciao, io sono Caco.”- dissi sussurrando mentre le stringevo la mano. Mi chiesi cosa avevo fatto per finire in un posto come quello.

-“ Elsie, Jared, potreste accompagnare voi gli ospiti?”- chiese Frederick.

-“ Certo.”- -“ Ovviamente.”- risposero in stereo i due ragazzi. Mi venne da ridere.

-“ Mason, è stato un piacere rivederti.”-

-“ Lo è stato anche per me, Frederick.”-

-“ E tu, cerca di rimanere vivo.”- aggiunse l’uomo in nero riferendosi a Peter, parlando con una voce diversa da quella che avevo sentito un attimo prima: era interseca di veleno puro.

-“ Non sarà un problema.”- mimò Peter alle spalle dell’uomo, che stava scomparendo dalla porta dietro di noi.

-“ Carlotta, seguimi.”- Elisie aveva parlato non appena Frederick scomparve: i suoi occhi ora erano diventati ghiaccio e mi guardavano con un certo distacco. Si girò, seguita da Jared e io non seppi cosa fare. Cercai l’aiuto di mio padre, ma non arrivò: ero costretta a seguirli. Ci condussero fino alla porta in fondo alla stanza e oltre: ormai un senso di paura e vertigine mi attanagliava lo stomaco.

La stanza successiva non si poteva definire tale, più che altro era un’arena, con tanto di gradoni: in fondo a quest’ultimi c’era il tipico spazio usato per i combattimenti dai gladiatori romani. Non seppi perché lo collegai a quel periodo storico, ma fu la prima cosa che mi venne in mente quando lo vidi. Ci trovavamo in una specie di anfiteatro-arena: noi eravamo in basso, quasi dentro allo spiazzo, nel punto dove i gradoni si staccano. Una parete di vetro spesso correva per tutta l’entrata allo spiazzo ma era senza maniglia, non si poteva accedere da dove eravamo noi all’arena: che fosse solo un luogo per apprezzare ciò che avveniva là dentro? Non ci credevo. Una voce parlò, ma non vidi da chi provenisse.

-“ Avanti Allyson! Incominciamo l’allenamento!”- era una voce maschile. Dall’alto, oltre all’ultimo gradone che vedevamo, scese una ragazza. Era snella, incredibilmente agile, con una chioma di capelli castani che ondeggiava mentre camminava: era vestita con una camicia bianca dentro ad un paio di jeans scuri. Per completare, stivali neri ai piedi. Sembrava molto sicura di se e non appena entrò nello spiazzo, partirono degli applausi: una marea di gente, ragazzi più grandi e più piccoli di me andarono a sedersi sui gradoni, senza lasciare un solo posto vuoto. In quel esatto secondo Elsie si mosse, avvicinandosi alla parete di vetro ed ecco che questa si aprì, lasciandola entrare. Peter, di cui mi ero dimenticata da quanto silenzioso era stato, mi spinse dentro: la paura avvampò dentro di me facendomi sudare; non volevo entrare!

-“ No, ti prego…”- mi sembrava di aver urlato, invece era solo un lieve sussurro. Entrai e mi sentii subito osservata da migliaia di occhi. Mason e Peter seguirono Elsie su per i gradoni e si sedettero: eravamo solo io e la tipa in jeans. L’arena era davvero enorme: sopra le nostre teste c’era una cupola di vetro.

La paura aumentava. La stessa voce che aveva chiamato in campo Allyson, parlò di nuovo:

-“ Allyson, doma la Novizia.”- aveva usato un tono minaccioso e pieno di sufficienza: ormai ero in preda alla follia. Ero la mosca intrappolata nella ragnatela del grande, cattivo ragno. Allyson mi guardò a lungo, con le gambe appena divaricate. Poi piegò la testa di lato e mi sorrise: non era un sorriso amichevole, non raggiunse gli occhi e non li accese di simpatia, anzi, li congelò. Lentamente la ragazza mosse un piede verso di me: io indietreggiai e finii contro la parete di vetro, sostenendomi con le mani. Ancora più lentamente la ragazza mosse anche l’altro piede e alla punta del suo stivale accadde una cosa strana: parve ribollire e un secondo dopo quel ribollio corse su per tutta la gamba. Contemporaneamente accadde lo stesso sull’altra gamba: i piedi di Allyson non erano più fasciati dallo stivale nero di camoscio, ma da un altro stivale, sempre nero, solo fatto di quella che sembrava pelle. Più il ribollio avanzava per il corpo, più gli indumenti cambiavano: dopo allo stivale cambiò anche il jeans che divenne ancor più nero, aderente, con delle sottilissime righe beige a formare dei disegni su per tutto lo stinco e la coscia. Mi girai verso la parete di vetro e cominciai a colpirla nel tentativo di sfondarla e scappare da quel posto: ovviamente non ci riuscii, non la scalfii neppure. Mi rigirai verso Allyson: il ribollio era arrivato al seno e aveva cambiato la camicetta in un corpetto di pelle scura senza spalline. Davanti, sul petto, una cordicella beige, sottile, la stingeva per chiudere il corpetto. Strillai: ma che diavolo era? E soprattutto, come ci era riuscita? Strillai ancora e ancora, chiudendo di poco gli occhi. Il ribollio continuò ad espandersi su per il collo e giù per le braccia: raccolse i capelli della ragazza in una crocchia graziosa, lasciando libere solo due ciocche, che le scesero lungo le guance; le braccia erano nude fino al gomito, poi da là al polso una specie di guanto di…acciaio? ricopriva la pelle.

Allyson mi sorrise di nuovo e poi sparì. Girai la testa da tutte le parti alla sua ricerca ma non la trovai: il panico ormai era giunto al culmine, non sapevo dove mi trovavo, con chi avevo a che fare e, soprattutto, non sapevo come andarmene. Ero più di una mosca intrappolata nella ragnatela, ero il topo che veniva ingurgitato dal gatto.

Qualcosa alle mie spalle stava respirando: il mio corpo si girò con uno scatto ma non vidi niente e nessuno. Tornai con lo sguardo sul centro dell’arena: un paio di mani mi spinsero con violenza, per terra ma, per fortuna, riuscii a fermare la caduta, sbucciandomi palmi e ginocchia. Allyson era dietro di me, potevo sentire il suo respiro e vedevo la sua ombra.

-“ Cosa sei?”- gridai. Non seppi perché lo feci, fu la prima cosa che mi venne in mente. Allyson non rispose, decise piuttosto di arrivarmi addosso: rotolammo per qualche metro, cercai di scansarmela di dosso ma le sue mani, tutti i suoi muscoli, erano più forti dei miei. Gridando e scalciando, riuscii a tirarle una ginocchiata nel plesso solare; lei allentò di poco la pressione sulle mie braccia, così mi fu facile tirarle un secondo calcio, facendola cadere a carponi. Mi alzai rischiando di rompermi l’osso del collo più di una volta e raggiunsi la porta di vetro: la tempestai di pugni in preda al panico. Allyson si era ripresa in fretta e ora correva verso di me, la vidi con la coda dell’occhio e tornai a concentrarmi sulla porta, pregando che si aprisse.

Urlai. Urlai dal dolore. Allyson mi aveva preso i capelli e li aveva tirati verso il pavimento: con un movimento che mi parve lentissimo, mi scagliò ancora al centro dell’arena. Le lacrime presero a inondarmi il viso: io non avevo fatto nulla, perché allora c’era chi mi stava facendo del male?

-“ Non piangere. Combatti, piuttosto!”- disse Allyson, incombendo su di me, fissandomi dall’alto in basso, con infinito disprezzo. Pian piano la paura lasciò il posto alla rabbia, che salì pian piano, frenando le lacrime.

-“ Combattere?”- risposi. La mia mente aveva formulato la frase senza il punto di domanda, ma evidentemente qualcosa nel mio cervello era saltato nel pronunciarla.

-“ Si.”- sibilò la ragazza. Improvvisamente sparì dal mio campo visivo: questa volta non mi girai a cercarla. Rimasi immobile, aspettando. Sentii lo spostamento d’aria un secondo dopo e, con un colpo di reni, mi girai, le braccia larghe a mantenere l’equilibrio. Allyson era là e si mosse più velocemente di me: mi prese la testa tra le mani, sotto le orecchie e mi tirò un calcio alle gambe incrociate. Mossi spalle e collo nel tentativo di allontanarla ma non ci riuscii: beccai soltanto, con i denti, la sua mano sinistra e la morsi con tutta la forza che avevo in corpo. Riuscii a farla gridare ma servì solo a infuriarla ancor di più: un colpo secco alla nuca e il mondo divenne dapprima una chiazza di colori, poi il nero vinse su tutto.

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo ***


Stavo sognando. Perché quello poteva essere solo che un sogno. Ero distesa, non sapevo su quale superficie. Era morbida ma allo stesso tempo, dura. Ero anche coperta: soffici lenzuola bianche mi coprivano fino alle spalle. C’erano voci, tante voci… E tante mani: le percepivo, sapevo che si stavano muovendo sopra di me. Aprii gli occhi e fui accecata da una luce bianca, pungente. Ed ecco che un paio di mani mi toccarono la pancia ma scivolarono via subito per stringermi i fianchi. Un viso, un bel viso mi guardava. Lo guardai anch’io: lentamente i suoi tratti diventarono familiari. Nick, era Nick! Gli sorrisi e lui fece lo stesso. Ero così felice. Pian piano la luce divenne sempre più intensa e quel viso cominciò ad allontanarsi: allungai una mano verso di lui per frenarlo, per tenerlo per sempre accanto a me. La luce entrò nei miei occhi: non vedo, ero cieca! -“ Caco! Carlotta!”- una voce mi chiamava. Non stava urlando, semplicemente era preoccupato. -“ Ehm… Papà.”- riuscii a riconoscerlo, infine. La luce era sparita, lasciando dietro di se un dolore acutissimo alla testa. Mason sospirò. -“ Ciao, tesoro.”- erano sue le mani intorno ai miei fianchi ed era il suo viso quello che avevo visto. Lo capii solo in seguito. –“ Ti senti bene, piccola?”- -“ Si… Almeno credo. Mi fa male la testa.”- dietro alla nuca, in alto, c’era un punto che pulsava: alzai una mano a sfiorarlo e dovetti contrarre le mascelle per non urlare dal dolore. Sicuramente anche il braccio aveva qualcosa che non andava. -“ No, lascia stare. E’ un brutto colpo.”- annuii e feci per alzarmi. Mason mi aiutò prendendomi sotto le ascelle, come se fossi una poppante, e mi mise seduta. Solo allora mi resi conto di dove mi trovavo. Era una grande stanza, un’infermeria, al vedersi. La parete davanti a me aveva una serie di finestre intervallate da colonne di legno scuro; sotto ad esse, in ordine, c’erano tanti lettini da ospedale, venti. Alla mia destra, lontana, una porta e tanti scaffali dove erano riposti vasi, vasetti, fasce e quant’altro; non potevo vedere quello che c’era alla mia sinistra perché una tendina candida mi concedeva un po’ di privacy dalle altre persone ricoverate. -“ Dove mi trovo?”- chiesi, massaggiandomi le tempie. -“ Sei nell’Infermeria.”- un uomo comparve da dietro quella maledetta tendina: lo riconobbi subito, era Frederick. -“ Ah. E, se posso chiedere, perché?”- quale Infermeria? E come c’ero arrivata? -“ Allyson ti ha fatto proprio male.”- Allyson? Chi era Allyson? Poi ricordai tutto: la casa dell’ Ottocento, l’arena e Allyson. La rabbia esplose. -“ Allyson… Cosa cavolo era? E perché, diamine, ha cercato di uccidermi? Pensavo che voi Cacciatori uccideste solo i vampiri e non gli umani!”- imprecai togliendomi di dosso le lenzuola con un unico gesto violento. Mi avvicinai come un fulmine a Frederick, ritrovandomi ad un passo da lui. –“ Allora?”- urlai di nuovo e la mia testa esplose, mi sentii mancare le forze, le mie gambe si piegarono senza il mio consenso e al rallentatore mi vidi cadere verso il pavimento. -“ Caco, la vuoi piantare? Resta seduta sul letto e non ti muovere! Devo farti un disegno?”- Peter mi prese prima che la mia testa si frantumasse in mille pezzettini e mi riportò sul letto. Mi abbandonai su di lui. -“ Aretha, ti prego, puoi venire un secondo?”- disse Frederick tranquillo, con la testa rivolta verso la credenza con le medicine. Non me ne ero accorta ma una donna era apparsa: aveva l’età di mio padre e indossava capi principalmente bianchi. Jeans bianchi con striature argento o azzurrine, non riuscivo a vedere molto bene; dolce vita bianco panna e sopra un lungo camice bianco come quelli dei dottori degli ospedali. Aveva persino la taschina per le penne sul petto! Mi sentii male di nuovo. -“ Frederick, Signore.”- disse quella avvicinandosi, incrociando i pugni sul petto come avevano fatto Jared ed Elsie. Portava i capelli raccolti in una treccia ben fatta, che poi aveva raccolto a formare un grande cocòn: mi sembrò simpatica fin da subito. -“ Aretha, puoi fare in modo che Carlotta sia pronta per il primo vero giro di visita alla casa?”- chiese Frederick, allungando una mano nella mia direzione e sfiorando con l’altra la mano della donna. -“ Vedo cosa potrò fare, Signore.”- disse Aretha, venendomi vicina e cominciando a palparmi la testa, probabilmente alla ricerca della botta. Le sue mani esperte la trovarono subito e mi fecero sussultare quando Aretha la sfiorò. -“ So che non mi deluderai, Aretha cara. Carlotta, ti aspetto per le quattro in punto nel mio ufficio. Ora è l’una e mezza, hai tempo a sufficienza per rimetterti in sesto.”- così dicendo fece per sparire dietro alla tendina. -“ Ehi, no! Io devo andare a scuola!”- dissi in paranoia. Parlavano di me come se io non ci fossi nella stanza. -“ No Carlotta, oggi è domenica.”- furono le ultime parole di Frederick prima di scomparire. -“ Non dovresti parlare così a Frederick.”- mi disse Aretha, tornando alla credenza. Io alzai gli occhi al soffitto. -“ Capirai…”- dissi un sussurro. La donna tornò verso di me e mi porse un bicchiere bellissimo dalla forma semplice e lineare: dentro, un liquido poltiglioso mi minacciava. -“ E sarebbe..?”- chiesi guardando disgustata quella cosa. -“ Non ti preoccupare, è solo un sedativo per il dolore. Ti farà guarire velocemente.”- mi disse con un’espressione rassicurante. Presi il bicchiere e fui quasi tentata di tapparmi il naso prima di deglutire ma non volevo sembrare una bambina. Non dovetti aspettare molto per avere dei miglioramenti: dopo che avevo inghiottito anche l’ultima goccia, qualcosa si..stappò nella mia mente. Era come una piccola esplosione che mise fine al dolore acuto; contemporaneamente tutte le ossa del mio corpo fremerono e mi sentii immediatamente meglio. -“ Sicura che fosse solo un sedativo?”- chiesi guardandomi le mani. -“ Ovvio che no.”- disse Aretha. Alzai la testa con uno scatto e la vidi sorridermi ironica, ma simpatica, mentre spariva anche lei dietro alla tendina bianca. Restai con la bocca spalancata anche quando né Mason né Peter seppero darmi una spiegazione: mi guardavano e alzano le spalle. -“ Okay, ora basta. Me ne vado da sto posto.”- dissi stizzita. -“ No, Caco.”- incominciò mio padre. -“ No Caco un cavolo! Basta! Ne ho viste a sufficienza! Vi prego di riportarmi a casa!”- -“ E Frederick?”- s’intromise Peter. -“ E Frederick niente. Non mi interessa, chiaro?”- dissi, aggiungendo un unico movimento delle braccia a concludere la discussione. Scesi dal letto e constatai di essere vestita solo di un camice azzurrino, da ricoverato. Cominciai la caccia ai miei vestiti: erano appoggiati su una sedia vicino al mio letto. -“ Carlotta, ti prego, volevi sapere tutto ma ora conosci solo la metà delle cose che…”- interruppi mio padre un’altra volta. -“ No, non ne conosco nemmeno la metà. Nascono anche altre domande quindi o mi dite tutto adesso o me ne vado.”- li minaccia con i jeans in mano. -“ Allyson non ti ha domato per niente. E’ la prima volta che succede.”- una voce femminile aveva parlato. Non mi girai neppure, ne avevo davvero abbastanza di quel posto! –“ Ed è anche la prima volta che una persona si riprende tanto velocemente da un colpo come quello. Caco, girati.”- esasperata mi girai. Là, con le spalle infossate e l’aria da bambina beccata con le mani nel vaso della marmellata, c’era Elsie. -“ Elsie. Ciao.”- ella sorrise. -“ Ciao. Ho sentito che hai appuntamento con il capo per le quattro.”- disse tornando tranquilla. -“ Tu. Tu mi hai scompagnato da Allyson. E tu mi dirai tutto quanto.”- mi impuntai, una mano appoggiata sul fianco. Lei non mosse un ciglio: per un attimo mi sembrò che guardasse qualcosa alle mie spalle e poi tornò su di me, mi sorrise mesta e, con orrore, vidi quello che stava facendo. Le sue mani tremarono e un secondo cominciarono a ribollire, proprio come Allyson: questa volta, però, in un secondo il ribollio invase tutto il suo corpo, lasciando fuori testa e capelli. -“ Smettila!”- urlai. Certo, quella cosa di potersi cambiare i vestiti mi attirava ma anche mi impauriva. Il ribollio finì subito e davanti a me c’era un’ Elsie vestita quasi come Allyson, solo che il corpetto la stringeva fino al collo, senza maniche, color blu di Persia. Bello. -“ Sai perché possiamo fare così?”- chiese. Feci di no con la testa mentre le lacrime con i lucciconi agli occhi. –“ Ne siamo capaci perché siamo Cacciatori. Anche tu imparerai a farlo: è una cosa molto utile, soprattutto negli scontri perché, se ti si strappa la maglia, puoi sempre indossarne un’altra nuova. Oppure si può semplicemente pensare di indossare abiti d’acciaio, magari, per avere una protezione maggiore per il corpo.”- -“ E se io non volessi diventare una Cacciatrice?”- -“ Non si diventa una Cacciatrice, ci si nasce.”- le lacrime cominciarono a scorrere. Elsie si avvicinò. -“ Guarda.”- mi disse e con un ultimo sguardo girò il braccio per rivelarne l’interno: proprio sopra all’interno del gomito c’era un neo ma non sembrava tale, era più che altro una macchia. Mi avvicinai e vidi che su di essa erano intarsiati degli arabeschi stupendi, sembravano fatti con filigrana d’orata. -“ Cos’è?”- -“ E’ ciò che mi distingue da una semplice umana. Definisce quello che sono.”- improvvisamente ricordai la macchia del professore di ginnastica del liceo: era lo stesso tipo di macchia! -“ No, non può essere…”- mi allontanai dal braccio e andai a sbattere contro mio padre.

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannovesimo ***


-“ Caco!”- mio padre mi sosteneva e io guardavo esterrefatta Elsie, che invece se ne stava là così, tranquilla. -“ La macchia…”- ansimai, tremando. –“ E’ identica a quella del professore dei educazione fisica a scuola!”- riuscii a concludere la frase. -“ Oh, è solo questo.”- sospiro sollevato mio padre. -“ Certo, George è un ottimo insegnante.”- disse, sorridendo, Elsie. -“ George?”- -“ Tu lo conoscerai sicuramente come Professor Fraser.”- chiaro, era lui. -“ Vuol dire che anche lui è…”- -“ Si, anche lui è un Cacciatore ma ha deciso di limitarsi ad addestrarci.”- -“ Ma allora perché lavora a scuola?”- -“ E’ la sua copertura: credi di essere l’unica liceale Cacciatrice che abita qua, a Vancouver?”- mi chiese. Io avevo finito di infilarmi i jeans e la maglietta. -“ Vuol dire che…”- -“ Si! Il tuo amichetto Nick e sua sorella Teresa sono dei nostri!”- m’interruppe disperata, alzò le braccia in un gesto di stizza e fece per andarsene. “No! Ora basta!” pensai. -“ Ehi! Elsie! Aspetta!”- la seguii e mi ritrovai davanti ad un’altra di quelle maledettissime porte di vetro: questa volta non dovetti aspettare perché si aprisse, bastò avvicinarsi che quella si aprì. Continuai l’inseguimento ma mi fermai: quella parte della casa non l’avevo, ovviamente, mai vista. Constatai che non eravamo propriamente dentro all’edificio principale: l’Infermeria era una grande stanza collegata tramite un corridoio che assomigliava ad una serra, all’edificio principale; bisognava passare per quella porta a vetri e ci si ritrovava in una specie di giardino interno rettangolare. Le due lunghe pareti a destra e a sinistra, e il soffitto, erano entrambi di vetro e rispecchiavano l’interno della galleria. Elsie era a metà del percorso ma la raggiunsi in fretta: sentivo, dietro di me come delle ombre, mio padre e Peter. -“ Aspetta, cosa? Nick e Teresa sono..sono Cacciatori?”- ero quasi piegata in due dal fiatone, dopotutto ero in convalescenza dopo che una tizia qualunque aveva cercato di uccidermi! -“ Si, Nick dovrebbe averti raccontato che sono fratelli, adottati da una famiglia che abita qua in città...”- era vero… -“ Si. L’ha fatto prima che tutto questo saltasse fuori. A proposito, dove siamo?”- -“ Sotto terra: l’arena è sotto terra, ma noi siamo ad un livello ancora più basso. Il prato che c’è fuori ci serve per gli allenamenti all’aria aperta e sembra che tu ne abbia bisogno, tanto bisogno. Lezione numero uno: essere sempre in forma.”- sbruffai in risposta e ci aggiunsi un rantolo, il fiatone non era ancora scomparso. -“ Ora ti porto a vedere i nostri alloggi: ognuno ha una camera sua e la cosa è molto carina! In più ci sono sempre tante stanze vuote per tutti i Cacciatori che confluiscono nella Domus.”- sembrava molto orgogliosa di ciò. –“ Esistono solo tre Domus in tutto il mondo: una qua, una in Tiberia e l’ultima in Norvegia. Si, certo, per tutto il mondo esistono altre sedi, ma sono secondarie, non hanno il peso delle Domus. Assomigliano più a dei punti di accoglienza. Non so descriverlo bene.”- -“ Domus? Alloggi per ognuno di noi? Senti, Elsie, io… Io non voglio far parte di tutto questo e si, ho capito che non posso tirarmi indietro ma non posso semplicemente fare come il professore Fraser?”- -“ No! Sei giovane e devi completare prima i cicli del tuo addestramento.”- disse quella, mettendo fine al discorso con un unico movimento delle braccia. Io alzai gli occhi al cielo. Arrivammo alla fine della galleria e attraversammo un’altra porta di vetro, ritrovandoci a guardare dall’alto l’arena: era una visione stupenda! Non mi ero accorta che il pavimento in basso, dove ci si allenava, era una specie di mosaico che ritraeva due figure impegnate in una lotta all’ultimo sangue. Assomigliavano molto a due guerrieri della Grecia arcaica. Elsie procedette verso la parte a nord, rispetto a noi, dell’arena: andammo incontro ad una specie di palchetto che dava sul vuoto: dietro alla piccola ringhiera di marmo si poteva vedere una porta spalancata che dava su un grande salone dalle pareti rosa salmone. Attraversammo quella porta e finimmo dentro ad un’ampia sala: al centro di essa c’erano due divani e, appoggiati ad una parete, c’erano due mobili in stile vittoriano ma molto carini. Sopra ad entrambi, stavano dei libri dalle mille copertine. Un orologio a dondolo dominava sulla stanza dal suo angolo: segnava le due e un quarto; ci avevamo messo così tanto? -“ Oh, finalmente. Jared!”- Elsie si mise a correre verso una figura nel punto più lontano della sala che fino ad allora non avevo notato. -“ Elsie!”- la figura, Jared, andò in contro alla ragazza e i due si baciarono con passione: lui la sollevò da terra e, tenendole una mano fra i capelli e l’altra sulla schiena per sostenerla, la baciò, l’abbraccio. Quasi mi commosse quella figura, quei due che si amavano. E poi quella voce, quella voce che non avrei dovuto sentire, mi fece tremare le gambe. -“ Caco.”- sembrava stupita, ma in un certo senso sembrava anche che si aspettasse di vedermi in quel posto. Lentamente, girai la testa verso l’orologio a dondolo, opposto ad Elsie e Jared: là c’era Nick che mi guardava. Mi venne da svenire ma dovevo contenermi! -“ Nic..Nick!”- balbettai. Era bello più che mai: davanti a me, posato, la testa un po’ inclinata a guardarmi con stupore, vestito con i soliti abiti aderenti, neri. Indossava pantaloni neri non esattamente attillati come quelli di Elsie ma lo stesso molto stretti e una felpa nera con una zip che partiva dallo sterno e saliva fino al collo, tenuta aperta: così il colletto e il cappuccio cadevano più avanti e rivelavano una parte di pelle; si vedevano le scapole e i muscoli del collo, quelli bassi che si collegano con le scapole. Rabbrividii quasi da tanta bellezza: non mi ero mai accorta di quanti muscoli avesse e di come fosse davvero molto bello. Mi vidi sbavare e decisi di ricompormi sul serio. -“ Ciao.”- disse lui, avvicinandosi di un passo. –“ Come stai? Ho visto lo scontro tra te e…”- sembrava tutto perfetto, la sua voce suadente quando disse le prime parole, il suo sguardo e poi tutto si infranse a causa di un’altra voce. -“ Me.”- finì Allyson la frase di Nick. Improvvisamente capii che l’avrei odiata per sempre, il che è molto ma molto tempo. –“ Ci siamo rimesse in fretta.”- disse rivolgendosi a me. Era spuntata come un fungo dalle spalle di Nick e mi guardava con aria di sfida. Lo sguardo di Nick cambiò all’improvviso, non era più sorridente e radiante nel vedermi, era diventato scuro, preoccupato. Sentii che anche lui non amava molto quella ragazza. -“ Così hai conosciuto Nick.”- disse. -“ Viene a scuola con me, lo conosco da tanto.”- tanto voleva dire all’incirca più di una settimana. -“ Ah…”- rispose lei annuendo. Quello che accade dopo fu incomprensibile: lei fece scivolare una mano dalla spalla di Nick fin su una sua mano e la strinse. Non capivo: Nick ed Allyson stavano assieme? Impossibile… Era la seconda volta che mi capitava di vedere Nick con un’altra: la prima era a colpa di Cony e quest’ultima? -“ Allyson. Ben arrivata.”- Elsie tornò da noi accompagnata da Jared. -“ Ciao Elsie, Jared.”- salutò lei. –“ Hai già parlato con Carlotta? Lei hai detto che dovrà venire a stare da noi?”- -“ Si, ma non vuole capire.”- -“ Infatti. Farò quello che mi direte di fare, ma non mi trasferirò qua!”- e non scherzavo: vedere Nick così vicino ad Allyson o meglio, vedere lei così vicino a lui mi fece arrabbiare e accettai la sfida che potevo leggere negli occhi della ragazza. -“ Avresti meno complicazioni.”- Elsie cercò di farmi ragionare ma non l’ascoltai. -“ Complicazioni? Te l’ho già detto Elsie, io non verrò a vivere qua e non voglio offendere nessuno, ma niente mi farà cambiare idea.”- -“ E così sia.”- disse un’ennesima persona: Frederick aveva deciso di intervenire. Tuttavia, ne fui sollevata. Subito Elsie, Jared, Allyson e Nick si girarono verso di lui e unirono i pugni sul petto, piegando la testa. Io non sapevo ancora cosa fare, mi sentivo sempre più un pesce fuor d’acqua. -“ Riposo. Carlotta, se non vuoi venire a vivere qua, va benissimo, basta che tu riesca ad essere sempre puntuale a scuola, agli allenamenti e a qualunque altro impegno tu abbia.”- degli altri “impegni” non doveva importargliene ma gli fui grata. –“ Ora, dato che sono dovuto venire a vedere cosa stava succedendo, proporrei di anticipare il nostro appuntamento, Carlotta. Cosa ne pensi?”- -“ Che va benissimo.”- rispose al mio posto Mason. Alzai gli occhi al cielo e fui tentata di alzare anche le mani, ma resistetti. Frederick non parlò più. –“ Frederick, io e Peter possiamo andare e tornare a prendere Carlotta più tardi?”- -“ Si, la prego…”- aggiunse Peter. -“ Siete liberi.”- acconsentì Frederick. Fui colta da un colpo di genio: guardando, prima, con la stessa aria di sfida, Allyson, poi Nick, mi girai verso Peter e mi alzai sulle punte dei piedi per stampargli un piccolo innocente bacio sulla guancia. Peter si limitò a sorridermi e a salutarmi allo stesso modo. -“ Ciao papà.”- dissi, avvicinandomi a Mason per salutarlo. Una volta fatto questi, assieme al vampiro, si allontanarono. Mi girai di nuovo verso Frederick, che mi aspettava con una mano alzata nella mia direzione. Mi avvicinai sfiorando il braccio di Nick opposto a quello dove c’era aggrappata Allyson; appoggiai la mia mano su quella di Frederick e, assieme, uscimmo dalla stanza. Frederick mi portò fuori dalla stanza e non lasciò la mia mano, che teneva stretta. -" E così non vuoi trasferirti qua con noi."- era una constatazione. -" Ebbene si: questa storia è già abbastanza strana così com'è e non voglio agiungerci nient'altro. Okay?"- -" Si, se questa è la tua decisione, la rispetto. Ma non ti dirò che non sarà difficile per te rispettare tutti gli impegni..."- dinuovo la solita storia. Lo fermai prima che potesse dire altro. -" Si, ho capito! Non ti preoccupare, sarò sempre puntuale."- perché tutto, duntratto, mi sembrava così...stupido? -" Perfetto. Allora domani presentati qua per le tre e mezza."- così presto? -" E come faccio coi miei compiti?"- io, io ero stupida. -" Te l'ho detto, non sarà facile rispettare tutti gli impegni."- non insistetti, non volevo che continuasse con quella tiritera. -" Comunque, volevo informarti che da ora in poi, tu sei ufficialmente una Cacciatrice."- no, davvero? Grazie Frederick. Ormai era da tanto che passegiavamo per i corridoi intricati di questa casa e potei constatare che se anche avessi vissuto fino alla fine del mondo non sarei riuscita a vedere tutta quell'abitazione: era enorme, il che è un'eufeismo. -" Ma da adesso, cosa cambierà'"- chiesi titubante. -" In che senso?"- mi rispose lui. -" Cioè, passerò le notti a scovare e uccidere dei...vampiri?"- dire quella parola mi risultava difficile e non sapevo perché. -" No, non ancora."- Frederick scoppiò a ridere: quel suono era contagioso e sarei scoppiata anch'io ma quella era una domanda importante. -" No, per adesso ti allenerai e quando sarai pronta forse, e dico forse, ti manderò in missione."- mi sorrise. Eravamo appena sfociati in una grande sala, un'altra: là, indisturbati, parlavano o si rilassavano sui divani disposti, dei ragazzi. Alcuni erano più piccoli di me ma la maggior parte aveva la mia età. Frederick si schirò la voce e subito tutti quanti si girarono verso di noi e salutarono come avevano fatto Elsie, Jared e Nick. Mi sentii in imbarazzo, tanto in imbarazzo. -" Riposo ragazzi. Volevo presentarvi Carlotta, una novizia."- alzai una mano per salutare ma l'abbassai subito, scrutata da milioni di occhi. Una bambina alta poco più di un metro e venti, bionda e riccioluta, ci venne incontro: prima non l'aveva notata. Camminava saltellando e quando mi fu abbastanza vicina, alzò la testolina e mi salutò con la mano, come avevo fatto io. -" Ciao."- disse felice, continuando ad agitare la manina. -" Questa piccola peste si chiama Honoré. Ha soli quattro anni ma è scatenata quanto un sedicenne nel pieno delle proprie forze vero, piccolina"- spiegò Frederick e si abbassò a prendere in braccio la bambina che lo lasciò fare anzi, ne era felice. Una volta tra le braccia dell'uomo, Honoré cominciò a giocare con Frederick tastandogli le guancie con le piccole manine paffute. -" Ehi, ciao."- non resistetti alla tentazione di toccare uno di quei ricci e, non appena lo feci, la bambina si sporse dalle braccia di Frederick aprendo e chiudendo i pugnetti nella mia direzione. Non stava ferma un'attimo! Risi, era così carina. -" Credo che voglia venirti in braccio."- tentò di dire Frederick. Honoré comiciò a scalciare e, finalmente, la presi in braccio. Subito, appoggiò la sua guancia sull'incavo del mio collo: l'accarezzai ancora e la cullai finché quella non socchiuse gli occhi. Si era calmata, sembrava un angioletto caduto dalla sua nuvola e finito per non si sa quale ragione tra le mie braccia. -" Honoré sta buona in braccio a te? Sei dei nostri!"- ad aver parlato era una ragazza dalla pelle più scura della mia e coi capelli mossi, vestita quasi come Elsie. -" Ciao, sono Pattie."- mi tese la mano e fui felice di stringerla ma per farlo mossi Honoré che spalancò gli occhi e cominciò a gemere. -" Penso che voglia scendere."- disse Pattie guardando la bambina. A malincuore mi piegai per farla scendere e quella, subito, si allontanò. -" Carlotta, ora ti lascio. Un'ultima cosa, però: Elsie sarà felice di farti da mentore; t'insegnerà tutto quello che bisogna sapere e sarà con lei che porterai a termine i tuoi cicli di allenamento. Ti farò visita presto."- Frederick mi sfiorò le spalle prima di uscire dalla stanza e di fare un cenno con la testa a Pennie. La guardai corrugando la fronte. -" Vieni, ti faccio vedere la tua stanza e si, anche se non resterai qua a dormire devi vederla comunque, ti sei beccata la stanza migliore, a mio parere."- mi acccompagnò per altri corridoi: cominciavo ad averne abbastanza di quel labirinto, sul serio. La stanze di ognuno di noi erano al secondo piano di quella casa a dir poco enorme; la mia, in particolare era l’ultima, in fondo al corridoio tapezzato di quadri che ritraevano ragazzi e ragazze intenti nelle più disparate occupazioni: c’era chi si allenava, chi leggeva, chi dipingeva. Erano foto della vita comune, nessuno era in posa. Una foto in particolare mi colpì: i personaggi che ritraeva li conoscevo già e ciò che mi fece male fu vederli così vicini, così…in sintonia. Allyson e Nick erano stretti in un’abbraccio e sorridevano a chi gli stava fotografando: una lacrima mi salì agli occhi e non cercai nemmeno di resistere, lasciai che mi colasse giù per la guancia. -“ Siamo arrivate.”- sussurrò piano Pattie aprendo lentamente una porta: sentii il cigolare delle cinghie e mi girai a guardarla. –“ Non devi pensarci, non devi soffrire per uno così: anch’io, all’inizio, ne ero invaghita, poi ho capito che era come tutti gli altri, solo uno sfruttatore. Se ad Allyson sta bene, che sia, a noi non cè ne deve importare. Fidati.”- e detto ciò, mi fece segno di entrare nella stanza. Subito la luce del sole mi accecò e fui costretta a farmi ombra con il braccio per riuscire a vedere: mi trovavo in una bellissima stanza, l’angolo a sinistra era completamente di vetro, al centro troneggiava un letto enorme e se ci si sedeva sopra si riusciva a vedere tutta la distesa d’erba dall’angolo di vetro. Ai piedi del letto c’era una cassapanca: Pattie la indicò. -“ La puoi riporre tutti i tuoi effetti anche se non ti trasferirai qua definitivamente.”- indicò poi tutta la parete che correva dietro al letto e per tre quarti del resto della stanza. –“ Sulle credenze puoi appoggiarci i tuoi libri ma per le armi c’è il fantastico armadio cabina.”- orgogliosa, di diresse verso la parete opposta al fantastico angolo di vetro e spalancò con forza due ante che prima non avevo notato: mi avvicinai e spalancai la bocca. -“ Mai avuto un’armadio cabina.”- dissi quasi tremando: davanti a me si erano aperte le porte del paradiso, un’intero armadio grande quanto tutta la stanza solo per me! I miei concetti vacillarono e per un’attimo la voglia di trasferirmi si fece sentire più forte che mai. –“ E cosa ci dovrei riporre, scusa?”- -“ Tutte le tue armi.”- rispose decisa guardando l’interno di quella seconda stanza. Dopo vari minuti si accorse che la stavo guardando male. –“ Se restassi qua potresti metterci i vestiti...”- -“ Non tentarmi Pattie. Resterò a casa mia dove, per altro, vorrei tornare.”- -“ Dovrai aspettare il ritorno di tuo padre…”- giusto. Iniziavo a stancarmi seriamente. -“ Ebbene, non aspetterò che torni. Me ne vado da sola.”- Pattie si girò verso di me e mi guardo dubbiosa. -“ Sarai una tipa davvero tosta, dopo che avrai completato i tuoi cicli.”- -“ Sono già una tipa tosta.”- risposi decisa. -“ No.”- Pattie scosse la testa e, improvisamente, scomparve dal mio campo visivo. Alzai gli occhi al cielo e feci per girarmi ma una vocina nella mia testa, un presentimento, mi consigliò di rimanere ferma. Respirai lentamente e non appena sentii lo spostamento d’aria e il successivo sospiro sul mio collo, mi girai veloce e fermai decisa la mano che stava roteando su di me per colpirmi sulla nuca. Per quel giorno ne avevo prese abbastanza e nessuno mi avrebbe più toccata. Mai più. Fissai l’espressione stupita di Pattie e ringraziai quella vocina: sorrisi mesta e lasciai andare il polso della ragazza che ancora stringevo. -“ Forse hai ragione, ma non dimenticare che io sono qua da più tempo di te.”- risposi serrando le labbra e alzando un sopraciglio. La ragazza si mise a ridere e l’atmosfera si sciolse: assieme uscimmo dalla stanza e lei mi portò attraverso altri corridoi, tapezzati sempre con foto e quadri d’epoca. Più di una vola passammo davanti a delle porte dalle quali provenivano suoni ogni volta diversi: si trattava di canzoni, qualcuno aveva acceso lo stereo e ascoltava musica. In poco tempo arrivammo alla prima stanza che avevo visto il giorno prima: l’ingresso. Scendemmo dalle scale che, posizionati all’entrata, si potevano osservare sulla sinistra, così avevamo una buona visuale della piccola biblioteca vicino alla porta di vetro: qualcuno stava consultando un libro ma non avevo nessuna voglia di scoprire chi fosse. Pattie mi accompagnò fino alla porta e proprio mentre mi stavo girando per salutarla e uscire, una figura sbucò dalla porta accanto, la biblioteca. -“ Allora ci si vede domani per il tuo primo allenamento.”- -“ Mi segui solo per darmi fastidio o lo fai perché ti interesso? No, perché se ti piaccio la cosa mi preoccuperebbe assai.”- risposi acida ad Allyson, che se ne stava la tranquilla, appogiata all’angolo a fissarmi con aria saccente. -“ Gira all’argo, Allyson.”- aggiunse Pattie. Poi sussurrò nella mia direzzione: -“ Vai, ci vediamo domani. Saluterò io da parte tua Frederick e farò sapere ad Elsie di aspettarti qua, per le quattro.”- avrei voluto risponderle ma ormai ero già fuori dalla casa e non sarei tornata sui miei passi.

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventesimo ***


 

Trovare la via di casa attraverso il bosco fu facile, bastava seguire il sentiero e il rumore delle auto. Al parcheggio trovai Peter intento a lavorare nel cofano della macchina e mi feci dare un passaggio; mio padre se ne era già andato ma lo trovai a casa. La settimana seguente passò veloce, i giorni si susseguivano, gli uni uguali agli altri: la mattina, a scuola, facevo finta di essere felice coi ragazzi Teresa, Milly, Selly, Robert, Marco, Mattias e Nick e il pomeriggio mi allenavo con Elsie, alla Domus. Una volta mi ero chiesta perché solo Nick era un Cacciatore e Teresa no e mi ero interrogata con Elsie, che però mi aveva semplicemente detto che il destino sceglieva solo un figlio dalla coppia di Cacciatori, non due.

Lentamente diventai sempre più agile e quella che prima odiavo come materia, ora semplicemente l’amavo: fare ginnastica a scuola, allenarmi in generale, teneva la mia mente occupata, rendeva tutte le cose più facili da digerire. Con mio padre adottivo le cose si erano stanziate: parlavamo poco, ci vedevamo solo a cena. Eravamo diventati indipendenti; certo, non mancarono episodi strappalacrime ma ormai tutto era diventato abitudinale.

Poi arrivò il giorno speciale: non mi sarei più allenata coi coltelli o con i fioretti, sarei passata alle armi da fuoco. Scoprii che alla Domus un’intera stanza era dedicata a tutte le armi possedute dai più grandi Cacciatori e che un’altra stanza fungeva da Poligono: io ed Elsie ci saremmo allenate là per un mese intero.

 

Anche quell’ultimo mese passò e portò via con se tutta la mia goffaggine: ero diventata abile quello che bastava per battermi con un vampiro ma Frederick non voleva rischiare e così posticipò il mio primo incarico di un mese, ancora. Quella stessa sera, camminando per il sentiero nel bosco che mi avrebbe portato al parcheggio dove mi stava aspettando Peter, provai una fitta tremenda alla mano destra tanto che mi dovetti fermare. Alla base del pollice si stava formando una macchia: dapprima sembrava una piccola puntura ma quando la premetti da essa fuoriuscì una goccia di sangue rosso. La guardai ammagliata: spiccava sulla mia pelle chiara e sembrava densa più del normale.

Poi lo sentì, uno sfrigolio, come di foglie calpestate: alzai di scatto la testa ma non mossi altro, quella vocina, che in tutto quel tempo avevo imparato ad ascoltare, mi diceva di fare silenzio. Tesi tutti i sensi e flessi le gambe, pronta per un’eventuale scontro: qualcuno era dietro di me. Lentamente mi abbassai a feci finta di sistemarmi i lacci delle scarpe ma incontrai invece il duro metallo del pugnale che Elsie mi aveva regalato: lo portavo sempre con me, un’abitudine derivata da scontri improvvisi all’interno della casa. Uno spostamento d’aria fu il segnale d’inizio: rotolai veloce a destra e riuscii per un soffio ad evitare il corpo lanciatomi contro

a tutta velocità. La vocina nella mia testa urlò come una sirena: vampiro! Mi alzai veloce e fissai l’oscurità davanti a me: un paio di occhi mi fissavano. Era strano perché mi sembrava di averli già visti. La figura avanzò verso di me, rivelandosi alla luce e potei osservare un viso perfetto che mi fissava stupito ed arrabbiato: era perfetto in tutto, simmetrico e senza una ruga. Il tempo non poteva sfiorare quel viso. Mi sentii attratta da quell’essere e fremetti dal desiderio: avanzai di un passo e il dolore alla mano si fece insopportabile. Caddi in ginocchio a terra tenendomi la mano sul petto e dondolandomi: non riuscivo ad urlare, la mia bocca si apriva ma non emetteva nessun suono. Distante, vidi l’ombra del vampiro avanzare e poi più nulla: la vista era offuscata dalle lacrime e rimasi colpita dal fatto che il vampiro non mi attaccò ma sparì in un soffio. Rimasi là, con la mano dolorante, a pregare.

 

La vista andò schiarendosi lentamente e, prima le ombre e poi le figure più nitide, comparivano davanti ai miei occhi: in un primo momento vidi solo il viso del vampiro che mi aveva attaccato e riuscii anche a sorridere ricordando che ero riuscita ad evitare il suo primo colpo. Avevo accettato di allenarmi alla casa solo perché volevo battere Allyson, volevo strapparle dal viso quel suo stupido sorrisino arrogante. Così mi allenavo ogni pomeriggio con Elsie e mai più come in quel momento fui contenta di tale scelta. Il primo a venirmi incontro fu Peter: vidi la sua figura mentre si disegnava sulle mie retine e lo vidi avanzare. Riuscii, con molta calma, ad alzarmi ma per un momento mi vidi di nuovo per terra, le gambe non mi sostenevano.

-“ Ehi ehi ehi...”- Peter mi prese prima che toccassi terra di nuovo e portò il mio viso vicino al suo: non ero ancora pienamente cosciente di me stessa ed era molto probabile che avessi un'espressione a dir poco idiota.

-” Sto bene, sto bene.”- riuscii infine a sussurrare, misi decentemente i piedi per terra e mi issai sulle braccia di Peter. Solo allora mi accorsi di quant'era vicino e, arrossendo, mi allontanai. Un rumore lontano, tanti rumori lontani si avvicinavano: non diedi tempo né al mio corpo né alla mia mente e mi misi subito all'erta. Girai lentamente la testa a destra e riuscii ad intravedere altre figure, due. Due figure femminili, Elsie e Pattie.

-“ Caco!”- urlarono praticamente in stereo. Ci raggiunsero in pochi minuti e subito lo sguardo attento e vigile di Pattie perlustrò il perimetro mentre Elsie tendeva una mano verso la mia ferita.

-“ Che cosa ti è successo?”- era una domanda ma lessi sul suo volto che comprendeva già la risposta. Le porsi la mano e immediatamente lei fece avvicinare anche Pattie: assieme fissarono la macchia e, annuendo tra di loro, si alzarono a guardarmi.

-“ Hai il Marchio, Caco, il tuo Marchio.”- proferì Elsie: lo disse con tale solennità da mettermi quasi i brividi.

-“ Devi portarla a casa, di a suo padre di non disturbarla e non irritatela per nessun motivo: domani non dovrà andare a scuola. Mi hai capito?”- Pattie e Peter stavano confabulando e solo una parte di me comprese quello che si dicevano. In seguito si accorsero che li fissavo e smisero subito di parlare; Peter mi cinse la vita e fece per allontanarmi da quel posto.

-“ Stanotte devi riposare, non preoccuparti per domani, non andrai a scuola. Il Marchio è una cosa seria, Carlotta: quando il dolore sarà passato e tu sarai fresca e riposata, ne riparleremo.”- la voce di Elsie era ormai lontana ma riuscii a comprendere ogni singola parola.

Il parcheggio era, come sempre, deserto: solo una macchina nera dominava su tutto quanto il perimetro, la Jaguar di Peter. Aprii la portiera del passeggero e mi sedetti: improvvisamente mi sentivo così tesa, c’era qualcosa nell’aria che mi irritava, sentivo che sarei esplosa se qualsiasi cosa avesse osato contraddirmi o quant’altro. Per tutto il tragitto non volò una mosca, io ripensavo a quello che mi era accaduto mentre mi massaggiavo la mano e Peter teneva lo sguardo fisso davanti a se. Fummo a casa in un baleno e, una volta che ci fummo fermati, scesi e corsi in bagno: un conato di vomito mi aveva assalito in quel momento, così lasciai Peter da solo. Di nuovo, come prima, solo una parte di me ascoltò il discorso tra mio padre e Peter: decisi che non me ne importava e mi rifugiai in camera mia dove trovai, rassicurante, il mio letto: mi ci buttai e lasciai che le coperte mi avvolgessero, cullandomi verso il buio.

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventunesimo ***


Mi svegliai in preda al panico: avevo appena fatto un incubo. Il ricordo era ancora vivido e riuscivo ancora a riviverlo, come se si fosse impresso sulle retine dei miei occhi. Mi riscossi e decisi di scendere in cucina: Mason aveva fatto la spesa il giorno prima e il frigo traboccava di latte fresco. Ne versai un po’ in un bicchiere e bevvi avidamente: il dolore alla mano era tornato, pulsava e anche solo tenere in mano il bicchiere mi faceva male. Pensierosa, guardai fuori dalla finestra vicino alla credenza: l’irritazione era passata ma aveva lasciato al suo posto una sensazione di impotenza e desiderio di battermi, sentivo ancora i muscoli tesi sotto la mia pelle. Un brivido mi scese lungo la schiena e mi strinsi di più nella vestaglia: qualcosa mi attraeva, c’era qualcosa nell’oscurità del bosco che mi stava chiamando. Decisi di seguirlo, di andare in contro a quel desiderio pressante: presi il giubbotto e uscii nell’oscurità della notte. La, ferma, fissavo gli alberi: di notte tutti i rumori si amplificano, di notte sei solo, in pace. -“ Ciao.”- un sussurro, un fischio del vento fra le fronde degli alberi. Non poteva esser stato altro, non poteva esser stata una voce ad aver parlato. Dall’oscurità una figura emerse e, in contemporanea, la mia mano e la mia testa esplosero: volevo urlare dal dolore ma ancora una volta qualcosa me lo impediva. Guardai la mano e vidi che la piccola macchiolina si era espansa: ora non era più un puntino ma una macchia che percorreva tutto l’arco che stava alla base del pollice. Assomigliava ad una falce di luna, ma non era tale: era più simile ad una C spigolosa che si chiudeva su se stessa. Una stretta spirale. Ecco il termine adatto. Riuscii a non cadere per terra e fissai rabbiosa la fonte sonora: riconobbi all’istante quel viso perfetto. Era lo stesso del vampiro che mi aveva attaccato poche ore prima. Mi insultai silenziosamente per non essere uscita con un pugnale o almeno un qualsiasi coltello da cucina: il primo mese che avevo trascorso alla Domus mi era stato insegnato ad uscire sempre con un’arma qualsiasi, per non farsi trovare impreparati a qualsiasi evenienza. Mi avevano insegnato a riconoscere i vampiri di Enim, i suoi seguaci e ad ucciderli se necessario: perché era quello il mio compito, liberare la popolazione umana da quei mostri. Ebbene quello che mi stava davanti era uno di loro. -“ Tranquilla, non cercherò di ucciderti un’altra volta.”- lo guardai malissimo e mi infuriai ancor di più quando sul suo volto non ci lessi alcuna ostilità. -“ Ah no?”- chiesi sarcastica, muovendo un passo indietro. -“ Mi chiamo Alan.”- lo fermai subito. -“ Vuoi fare conversazione?”- avevo assunto la tipica posizione di difesa dei pugili, sembrando infinitamente scema. -“ E tu sei Carlotta. Immagino che tu sappia chi sono e cosa faccio.”- mi spiazzò sapere che conosceva il mio nome ma pareva ovvio, dato che mi aveva cercato per anni, probabilmente. Il suo unico scopo era uccidermi e io non parlo con chi mi vuole uccidere. –“ Calmati. Ti ho già detto che non ti avrei fatto del male.”- continuò il vampiro, piegando la testa e parlandomi come se fossi una menomata. -“ Come non hai fatto del male ai genitori di quelli come me? Come non ne hai fatto ai miei genitori? Come non ne hai fatto a tutti gli umani innocenti che hai ucciso per nutrirti?”- dissi arrivando a sussurrare con voce strozzata, quasi.Vidi il suo viso indurirsi e il colore degli occhi cambiare: non erano più color nocciola, stavano passando dal giallo miele ad un rosso sangue intenso. Mi ritrassi ancora, spaventata, e mi persi nel nero profondo dei suoi occhi: l’ultimo cambiamento era stato orribile perché il rosso sangue dei suoi occhi incominciava pian piano a tingersi di nero, procedeva dalla pupilla verso l’esterno. Con orrore capii che erano stati quei occhi ad attirarmi la fuori. -“ Anche tu uccidi per nutrirti. Comunque non sono qua, ripeto, per farti del male.”- -“ Allora cosa vuoi?”- -“ Sono stanco di fare quello che faccio, Carlotta. Sono stanco di essere assegnato ogni secolo ad una famiglia di Cacciatori e di doverli perseguitare fino ad ucciderli uno ad uno. Sono stanco di lottare, sono stanco di inseguirti.”- non capivo. -“ Perché me lo stai dicendo?”- chiesi dubbiosa più che mai e feci per muovermi verso di lui ma, improvvisamente, vidi il suo viso aprirsi in un casto sorriso e scattare in alto, a fissare qualcosa oltre la mia testa. Mi girai e vidi che dalla stanza di mio padre proveniva una luce: Mason si era svegliato! Una folata di vento alle mie spalle e Alan era sparito: sentii una piccola fitta di rimpianto e di dolore nel profondo dello stomaco. Sapevo che c’era qualcosa in Alan che mi attraeva: qualcosa di illecito, di impossibile. -“ Caco! Carlotta?”- Mason mi stava chiamando a gran voce. -“ Sono qua papà!”- risposi dopo un piccolo tentennamento. La mia mente era ancora concentrata su Alan: che avevo? Lui era un vampiro, un nemico giurato, non dovevo pensare a lui. E invece dentro di me stava già crescendo la voglia di rivederlo: quando ci saremmo incontrati di nuovo? -“ Carlotta, che fai qua fuori?”- Mason si era affacciato sulla porta e mi guardava ancora assonnato. -“ Niente. Non riuscivo a prendere sonno.”- -“ Dai, entra, prenderai freddo. Devi riposare, ti ricordi quello che ha detto Elsie, vero?”- annuii in risposta e avanzai verso di lui. Alan era solo un brutto ricordo, magari un incubo. Sussultai: avevo appena collegato due avvenimenti, il Peter falso che mi aggrediva e Alan che cercava di uccidermi sul sentiero nel bosco vicino alla Domus. Erano la stessa persona… -“ Vuoi una cioccolata calda?”- mi chiese Mason, dondolando pericolosamente vicino ai fuochi. -“ Non ti preoccupare papà, torna pure a dormire.”- gli risposi fissando il tavolo e ripensando ad Alan. Sinceramente, perché diamine mi attraeva così? Percepivo che era la stessa attrazione che avevo provato la prima volta che avevo visto Nick, ma ormai quella era una cosa passata. -“ Sicura? Posso farti compagnia se vuoi…”- -“ No, davvero. Sei stanco, torna a letto. Ora ci torno anch’io.”- ma non mi alzai. Restammo là, in cucina, per qualche minuto, poi decisi di tornarmene in camera mia ma, prima… -“ Quando torno alla Domus? Ho bisogno di parlare con Elsie.”- chiesi sottovoce. Mio padre, che si era addormentato in piedi, sussultò e alzò lo sguardo guardandomi spaurito. -“ Uhm… Domani pomeriggio verso le cinque, mi pare…”- gli sorrisi e, assieme, salimmo le scale verso il piano superiore.

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventiduesimo ***


 

Camera mia era silenziosa, si udiva solo il mio respiro lento e regolare. Avevo fasciato la mano con un foulard nero:la spirale aveva comincia a bruciare, si era colorata di rosso come se fosse stata una scottatura di terzo grado. La tenevo appoggiata al petto e, con lo sguardo rivolto al soffitto, pensavo. Pensavo ad Alan, a quello che mi aveva detto, rimuginavo su quello che avrei detto ad Elsie e poi il ricordo di un viso mi si stampò in mente: Nick. Cosa provavo per lui? Si, era un bel ragazzo e mi intrigava non poco, con lui stavo bene però, da quando avevo visto quella maledetta foto e, soprattutto, da quando conoscevo Allyson, qualcosa si era rotto. Non era più il Nick che conoscevo, il ragazzo simpatico e un po’ impacciato ma che mi faceva sorridere, no, era una persona diversa, solo un semplice…conoscente. Non potevo più definirlo nemmeno amico. E poi c’era Alan: era un vampiro, un seguace di Enim che andava eliminato. Avevo compreso che io ero solo una pedina e che c’era qualcun altro che giocava a scacchi con me e gli altri Cacciatori. Il nostro compito era uccidere ogni vampiro che non si fosse convertito e che presentava un pericolo per la popolazione. Alan era sicuramente uno di loro. Ma allora perché non vedevo l’ora di rivederlo? Cosa era scattato in quei pochi minuti che avevamo passato “assieme” fuori casa mia? Cosa voleva dire che non voleva più seguirmi, che era stanco di uccidere intere famiglie di Cacciatori? Perché lo aveva detto a me?! Mi veniva da piangere: tutto solo a me! Io avevo perso i genitori, io dovevo uccidere dei mostri, io mi ero...invaghita di un mostro! Poi mi ricordai che non ero sola, che c’erano tante altre persone nelle mie condizioni e la voglia di andare alla Domus fu forte.

Il profumo della cioccolata calda mi svegliò: aprii lentamente gli occhi e vidi mio padre seduto sul bordo del mio letto con una tazza in mano. La mia tazza preferita.

-“ Buongiorno signorina.”- la sua voce era dolce.

-“ ‘Giorno papà.”- dissi alzandomi a sedere. Lo guardai e lui mi porse la tazza: il profumo era inebriante. Bevvi un sorso e mi sentii subito meglio: avevo dimenticato il dolore alla mano.

-“ Perché hai la mano fasciata?”- mi chiese e cominciò a sfaciarmela. Non seppi cosa rispondere aspettai che vedesse da solo. La spirale non assomigliava più ad una bruciatura: l’irritazione era passata e ora solo l’interno di quella C rovesciata sembrava bruciato. Era color rosso mattone e notai, stupidamente, che era quasi elegante sulla mia mano pallida e affusolata. Dava un senso di mistico e irreale assolutamente stupendo. –“ Caco…”- sussurrò mi padre continuando a guardare la mia mano con la bocca spalancata. Non sapevo nemmeno io cosa dire. –“ Assomiglia a quella di Isobel.”- finì, infine.

-“ Cosa?”-

-“ Isobel, la tua madre biologica, aveva un Marchio simile.”-

-“ Raccontami di lei… ti prego.”- chiesi con le lacrime agli occhi.

-“ Isobel era una donna stupenda. Una Cacciatrice eccellente e aveva un Marchio simile al tuo all’interno dell’anca destra. Me la ricordo ancora adesso: così elegante ed agile allo stesso tempo, che mi chiedeva asilo per la sua bambina. Aveva suonato alla nostra casa accompagnata dal tuo padre biologico, con le lacrime agli occhi già pieni di paura: ti mise fra le mie braccia assieme ad una lettera e poi scappò a bordo di una Berlina nera. Ogni volta che lo racconto è come rivivere la scena.”- si fermò un secondo con lo sguardo perso nel vuoto e poi continuò. –“ La lettera spiega cos’era e cosa eri tu. Io ed Catherine decidemmo di adottarti dopo lunghe discussioni: tutto quello che la lettera spiegava erano solo menzogne, pensavamo. Poi io feci diverse ricerche e riuscii a trovare Isobel: Paul era stato ucciso prima di lei, che invece era riuscita a scappare. Fissai un appuntamento con lei e ci andai a parlare: quel giorno lei mi rispiegò ogni cosa e mi fece vedere il Marchio. Non poteva essere solo una finzione. Da quel giorno lavorai mattina e sera per riuscire a coprire le tue tracce e proteggerti da chi voleva ucciderti e ci sono riuscito, ringraziando il Signore. Ma ogni cosa torna a galla e così devo vederti vivere la stessa vita di tua madre, correre rischi che potrebbero toglierti la vita…”- non riuscii a continuare. Si fermò e si coprì la bocca con una mano, tentando di non piangere.

-“ Quando morì?”- chiesi spezzando il silenzio.

-“ La sera stessa dopo il nostro dialogo. La polizia trovò il corpo e ci fu il funerale: scoprirono il suo nome e il nome del marito, ma il corpo di Paul non fu mai ritrovato.”- Mason aveva ripreso il controllo di se e ora mi guardava deciso. Annui: non c’era il tempo per le lacrime, avrei pianto in un altro momento. Ora dovevo alzarmi e decidere cosa dire e cosa tacere ad Elsie.

-“ Grazie...papà.”- non seppi perché decisi di ringraziarlo. Forse perché mi aveva raccontato cose che nessuno aveva avuto mai il coraggio di dirmi. Ci alzammo e, lui scese in cucina con la mia tazza vuota, mentre io mi vestivo e fasciavo di nuovo la mano.

La giornata passò in fretta: si susseguirono in serie la colazione, il pranzo e la partita di baseball. Le cinque di pomeriggio arrivarono in un baleno e mi ritrovai seduta in auto ad ascoltare una qualche colonna sonora di un film di cui non mi ricordavo il nome. Mason guidava concentrato e ogni tanto canticchiava felice; la mia mano stava meglio ma avrei preferito che pulsasse ogni volta che la muovevo.

Il famoso parcheggio si stagliò davanti a noi e Mason girò a destra per parcheggiare al solito posto.

-“ Perfetto. Peter sarà qua…”- lo fermai prima che potesse dire altro.

-“ Sarà qua in tempo per portarmi a casa. Si, lo so, papà.”- dissi sorridendogli. Scesi e lo salutai da lontano, poi mi inoltrai nel bosco. Un brivido mi scese per la schiena e decisi di mettermi a correre per arrivare il prima possibile alla Domus: in un mese il mio tempo di resistenza si era allungato notevolmente così ora riuscivo a percorrere anche quattro chilometri correndo veloce. Certo, la distanza dal boschetto alla casa non era così lunga ma decisi lo stesso di tendere il mio corpo e arrivare in un tempo minimo. Quel bosco ormai mi metteva paura.

Arrivai alle porte di vetro in un baleno e, soddisfatta, entrai lasciandomi alle spalle l’oscurità del bosco. Cercai di riprendermi e, quando ce la feci, mi diressi verso le scale a sinistra e salii al piano superiore. Corsi fino alla grande sala dove si radunavano i Cacciatori, che più che altro era solo l’ingresso a quello che era il vero punto di ritrovo dove regnavano divani, poltrone, tv ad HD sottilissime e computer di diverso tipo. Là ci trovai Pattie, intenta a contemplare il monitor del suo portatile grigio.

-“ Ehi.”- la salutai, lasciandomi cadere sulla poltrona vicina. Lei alzò il viso e mi salutò solo dopo averlo riabbassato.

-“ Ciao.”- disse soltanto. Decisi di andare subito al succo della questione, sfilandomi il foulard che mi avvolgeva la mano. L’ustione, se così potevo chiamarla, era ancora là.

-“ Guarda.”- le dissi. Lei alzò di nuovo il viso e questa volta rimase stupefatta: prese la mia mano e passò i polpastrelli sul mio Marchio.

-“ E’ davvero fantastico, Caco. Si è completato in così poco tempo! Devi parlarne assolutamente con Elsie, e magari anche con Frederick.”-

-“ Si, lo so. Ma ti volevo chiedere una cosa: cosa comporta l’essere segnata dal Marchio?”- le chiesi titubante. Non era con lei che volevo parlare di Alan ma volevo sapere se Frederick, una volta visto il mio Marchio, mi avrebbe dato il permesso per andare in missione.

-“ Significa che sei pronta. Vedi, dentro di noi, nel nostro sangue, scorre qualcosa che va oltre le nostre comprensioni; qualcosa di mistico, di magico che ci rende forti di fronte ai nostri nemici, i vampiri. Grazie a questo “qualcosa” Allyson, come tutti noi, riesce a cambiare i propri vestiti solo con la forza del pensiero. Frederick, vedendo che ora sei stata Marchiata, ti lascerà partire per la tua prima missione.”- il mio volto s’illuminò: le missioni era spedizioni di due o più Cacciatori che, durante la notte, scovavano i seguaci di Enim e gli uccidevano. Era importante perché definiva completamente il tuo essere e, tra le righe, era davvero gratificante. Almeno era quello che dicevano gli altri Cacciatori.

-“ Sul serio?”- chiesi raggiante.

-“ Si, si.”- rispose lei annuendo più volte. Saltai su contenta e la salutai con un gesto della mano. Poi mi diressi verso l’ufficio di Frederick. Ogni tanto mi chiedevo cosa era cambiato in me; cioè, molti giorni prima non sarei mai stata felice per una causa del genere, mi sarei messa a ridere e avrei mandato al diavolo chiunque mi stesse facendo uno scherzo del genere ma ora, ora ero una ragazza diversa. Una parte di me, all’inizio, odiava quella situazione ma la parte restante di me, invece, non vedeva l’ora di poter mettere fine all’esistenza di quei mostri che l’avevano trasformata in quello che era. Che le avevano privato una vita…normale.

 

Frederick era chino sulla scrivania intento a scrivere furiosamente su un pezzo di carta. Avevo bussato ed ero entrata accompagnata da un uomo di colore, probabilmente la guardia di Frederick.

-“ Carlotta, mia cara.”- mi salutò in fine, alzandosi e venendomi incontro, aggirando l’enorme scrivania. –“ Cosa posso fare per te?”- chiese, prendendomi le mani e stringendole affettuosamente. Fino ad allora ero rimasta piegata coi pugni chiusi sul petto, in segno di saluto.

-“ Sono stata marchiata.”- risposi col volto basso. Sentii Frederick girare la mia mano destra e fui quasi sollevata quando sussultò dalla sorpresa.

-“ Il tuo Marchio…”- disse orgoglioso, passando un polpastrello sulla mia cicatrice. Alzai lo sguardo e lo puntai nei suoi occhi.

-“ Si.”- anche lui mi guardò e ci fu subito intesa.

-“ Vuoi partire in missione?”- mi chiese con fare arrogante e uno stupido sorrisino dipinto sul volto: cavolo se lo volevo!

-“ Mi lascerete partire in missione?”- risposi con un’altra domanda con lo stesso tono arrogante. Frederick avvicinò il suo volto al mio e mi sussurrò:

-“ Prima un piccolo test.”- poi si allontanò e continuò raggiante: -“ L’essere arrogante va bene ma dobbiamo verificare anche le altre capacità. Se ce ne sono…”- finì. Scrollai le spalle e alzai il mento: a nessuno era permesso comportarsi in quel modo davanti a Frederick ma quella era un’emergenza. Sostenni il suo sguardo e sorrisi vedendolo in difficoltà ma ricordai che la teatralità è tutto, puoi fingere portando fuori strada il tuo nemico. Sentii che qualcuno dietro di me tratteneva il respiro e tutto accadde velocissimamente: vidi arrivare il pugno nero vicinissimo alla mia guancia, mi spostai in dietro e lasciai che la guardia di Frederick, che aveva più esperienza di me, mi facesse cadere in avanti e che mi tenesse ferma per gli avambracci. Per i bruschi spostamenti avevo di nuovo il viso piegato ma non tentennai troppo: lo sollevai e puntai gli occhi in quelli di Frederick. Sorrisi e aspettai ancora un secondo finché l’uomo di colore non strinse la presa: allora spostai il corpo facendo ruotare la spalla sinistra verso destra, lasciai che le gambe, spinte dal colpo di reni, si sollevassero in aria e, quando furono abbastanza vicine al viso della guardia, strinsi il collo di quest’ultima nell’incavo del ginocchio. Avendo ormai le braccia libere, feci pressione e mi sollevai: ora la guardia gemeva a terra, il collo stretto tra il polpaccio e la coscia della mia gamba destra piegata. Soddisfatta, tornai a guardare Frederick. Avevo agito molto velocemente, sfruttando l’elemento sorpresa con la guardia e constatai che aveva funzionato anche con Frederick.

-“ La teatralità è tutto.”- dicendo così, Frederick diede corpo ai miei pensieri. Notai una nota di preoccupazione sul suo volto. –“ Ora, però, lasceresti la mia guardia. Sta diventando viola.”- lentamente mi alzai, facendo respirare l’uomo a terra. Mi allontanai da lui di qualche passo e aspettai la prossima battuta di Frederick. –“ Anche se non avresti dovuto aspettare che Simon ti prendesse, ti considero pronta. Anzi, parti adesso.”- sorrisi raggiante e mossi un passo verso di lui. Gonfiai il petto soddisfatta e felice. –“ Ma, come ogni volta, qualcuno ti accompagnerà:”- non smisi di emanare luce dalla contentezza nemmeno in quel momento. –“ E sai chi lo farà? Nick Maiorum.”- in quel momento, la mia contentezza s’infranse. Nick! Perché proprio lui? Incrociai le braccia sul petto e alzai gli occhi al cielo mentre Frederick dava ordine a Simon, la guardia di colore, di andarlo a chiamare. L’uomo tornò dopo qualche minuto seguito da quell’altro…Nick. Improvvisamente, appena lo vidi entrare, mi ricordai di Alan ma scacciai subito il pensiero.

-“ Caco.”- salutò Nick.

-“ Nick.”-

-“ Nickolas, accompagnerai Carlotta nella sua prima Missione: è da ieri sera che a Victoria sono accadute inspiegabili morti. Cadaveri umani completamente dissanguati. Noi sappiamo bene di che si tratta.”- Frederick sottolineò il concetto abbassando il mento e fissando Nick dal basso in alto, come se stesse indossando un paio di occhiali. Nick, in risposta, mosse il capo un'unica volta, l’espressione dura

-“ Sappiamo anche che si spostano velocemente, sempre tra Victoria e Seattle.”- di nuovo Nick annuì seccamente. - “ Accompagna Carlotta, Nick.”- Frederick finì così il suo discorso, tornò a sedersi dietro la scrivania. Nick non rispose, si girò verso di me e, con un cenno della testa, mi fece segno di seguirlo. La voce di Frederick ci fermò ancora una volta.

-“ Simon, va con loro.”-

-“ Si, Signore.”- e ci allontanammo.

 

Il garage, come lo chiamava Nick, era una grande…stanza, molto assomigliante ad un parcheggio sotterraneo. Ogni macchina aveva il suo posteggio, grande abbastanza da farci entrare due macchine ma ormai ero abituata ai posti raddoppiati in quella casa. Il posteggio di Nick si trovava in fondo alla stanza: sui tre muri, che contenevano l’auto erano fissati tanti armadietti simili a quelli del liceo. Nick si diresse deciso verso il primo a destra dell’entrata e ne tirò fuori una chiave automatica: premette il pulsante e le luci dell’auto, coperta da un telo nero, si aprirono accecandomi.

-“ Scusa, ora ti presento la mia bambina.”- non lo guardai nemmeno mentre sfilava il telo rivelando una Berlina decisamente…fantastica. La carrozzeria era di un nero lucido, nemmeno un’ombra di un graffio: tutto il design era un insieme di linea rotonde rendendo la forma dell’auto affusolata, grintosa. Il muso era decisamente aggressivo, i fari sembravano due gocce d’acqua per la loro strana forma; gli interni erano in pelle sia chiara sia scura, i poggiatesta rialzati rispetto al resto del sedile e il manubrio perfettamente concentrico.

-“ Wow…”- riuscii infine a spiccicare parola.

-“ E non è tutto.”- Nick si avvicinò all’auto e, dopo aver cliccato una seconda volta sul telecomandino, le porte anteriori si aprirono scivolando in alto fino a raggiungere una posizione verticale. Nick appoggiò una mano sulla carrozzeria e si voltò a guardarmi.

-“ Uhm… Beh, non è male.”-

-“ Non è male? Tsc!”- rispose scherzando.

-“ Io ne avrò una uguale?”- Nick non mi guardò più e stemmo zitti a lungo. –“ Ehi…?”- lo incitai.

-“ Forse si forse no.”- disse serio. Poi mi guardò di nuovo e, sorridendo, continuò: -“ La tua è nel prossimo box.”- spalancai la bocca e feci per andare a vedere. –“ No no no, Caco. Facciamo che stanotte non ti fai uccidere e poi potrai vedere la tua auto”- mi fece l’occhiolino.

-“ No, facciamo che tu ti fai uccidere ora così posso andare a vedere subito la mia auto.”- sussurrai più a me stessa che a lui. Nick si avvicinò ad un armadietto bianco giusto dietro all’auto: mi avvicinai per vederlo rimuginare su quale arma portare. Aveva aperto il bagagliaio dell’auto e, piegato, osservava l’interno dell’armadietto. Sussultai solo un secondo vedendo tutte le armi che Nick teneva la dentro.

-“ Io voglio i pugnali e proteggi- avambracci.”- dissi decisa. Nick scoppiò a ridere.

-“ Avrai pur imparato a tirare a segno, no? Tesoro, è ovvio che non puoi uccidere un vampiro solo con un pugnale!”-

-“ Ebbene Mr. Ovvio, io preferisco le armi da taglio.”-

-“ Le amo anch’io, ma i tempi dei scontri corpo a corpo con i vampiri sono passati. Ormai si preferisce uccidere da lontano; ti consiglio la Berretta.”- rimasi ammutolita.

-“ A proposito, cosa accade quando colpisco un vampiro indipendentemente se con un pugnale o con un proiettile?”- chiesi. Nick mi guardò senza capire, poi alzò gli occhi al cielo.

-“ Ah, Caco… Per rendere quantomeno inoffensivo un vampiro devi ferirlo con l’argento, può essere un pugnale o un proiettile. Se, invece, vuoi farlo fuori definitivamente, devi colpirlo al cuore: il mostriciattolo cadrà a terra freddo e duro come se, d’un tratto, fosse diventato una statua di marmo. Il che non è per niente gratificante: le leggende parlano di vampiri che diventano polvere se impalati ma non è affatto così. Mi sarebbe piaciuto se lo fosse stato. Immagina: tu e il vampiro, lo impali e questo si ghiaccia! Sarebbe stato assai più divertente vederlo diventare polvere…”-

-“ Ah.”- che dovevo rispondere? “Si, hai ragione, sarebbe stato più gratificante.” ?

-“ Allora: Berretta, Uzi o Firestar?”- mi chiese, alzandosi e guardandomi, tenendo in mano tre armi diverse.

-“ Calibro?”- lo stupii con la mia domanda tecnica.

-“ La Berretta e la Firestar da 38 colpi…”- rispose quasi diffidente. Allungai una mano verso la Berretta e ci giocai un pochino: la impugnai con tutte e due le mani e la puntai contro al muro dietro a Nick. Mi piaceva, era una bella arma. –“ Perfetto. Aspetta, ora ti do la fondina…”- si piegò di nuovo e tirò fuori dall’armadietto una fondina attaccata ad una cintura: entrambe di pelle chiara. Si accostavano perfettamente al mio abbigliamento composto da pantaloni non troppo attillati a vita bassa, stivali bassi che, guarda caso, erano dello stesso colore della cintura, e maglietta, felpa nere. Indossai la cintura ma sentivo che mancava qualcosa.

-“ Solo la Berretta?”-

-“ Dio no! Tieni, questi sono i proteggi - avambracci, poi ci sono i quattro pugnali in metallo con striature in argento e, per finire, quest’ampolla: contiene un liquido molto potente, che non risulterà mortale per i vampiri ma potrà sviarli per qualche secondo, a te necessari per riprendere in mano la situazione, se c’è ne fosse il bisogno.”- annuii. Presi l'ampolla e la fissai alla cintura. Nick si era allontanato di qualche passo e, con lo sguardo basso, contraeva le mani: lo vidi cambiare lentamente ma ormai ero abituata a quel genere di situazioni. Ora Nick era vestito completamente di nero, il corpo fasciato da quella che sembrava una tuta da motociclisti.

-“Monta in macchina.”- mi ordinò, lo sguardo tornato quello di sempre.

-“ Si.”- risposi. -“ Solo una domanda: perché proprio una tuta da motociclista?”- gli chiesi fissando i suoi pettorali stretti da quel tessuto. Per tutta risposta, lui alzò gli occhi al cielo e mi seguì nella macchina.

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventitreesimo ***


 

Il ruggito della macchina risuonò nel parcheggio sotterraneo e ci accompagnò per tutto il viaggio: Nick era un’abile autista e in poco meno di mezz’ora arrivammo a Victoria, una città vicina a Vancouver.

Victoria era immersa nell’oscurità: non si vedeva traccia né di un umano né di un vampiro. Girammo diversi isolati e sinceramente iniziavo a sentirmi irritata.

-“ Quanto ci vorrà ancora?”- in preda all’agitazione continuavo a guardare fuori dal finestrino.

-“ Okay, fermiamoci qua.”- Nick accostò l’auto e scese con un’ impeto di rabbia. Fece il giro della macchina e venne ad aprirmi la portiere. –“ Scendi.”-

-“ Smettila con gl’ordini!”- gli urlai. Mi aveva preso per il gomito e mi aveva guidata fin dietro ad un angolo là vicino. Mi aveva spinta contro il muro e si era preso la testa tra le mani, massaggiandosi le tempie.

-“ Concentrati. Il Marchio ti consente di focalizzare la presenza dei vampiri nel raggio di qualche chilometro: più o meno è un presentimento, una forza che ti spinge verso di loro ma ti devi concentrare.”- si dondolava, piegato, in avanti e in dietro. –“ Che mal di testa…”- mugugnava ogni tanto. Dal canto mio, io me ne stavo appoggiata al muro e guardavo il cielo nero, inattesa di un qualche segno.

-“ Dov’è il tuo Marchio?”- infine la mia bocca si aprì e lasciò uscire quelle parole. Nick si alzò a guardarmi: nei suoi occhi ci lessi di tutto, dolore, angoscia, desiderio di battersi, felicità, anche. Improvvisamente mi sembrò così vicino, così vero: pensai che era davvero un bel ragazzo. Lui si avvicinò ancora di più, ormai c’era solo mezzo metro a dividerci: alzò una mano fino al collo e prese tra le dita la zip della giacca che indossava; lentamente la fece scendere e si ritrovò con la giacca aperta. Con la stessa mano si scoprì la spalla destra e abbassò la maglia nera che indossava: là, sulla linea che unisce braccio e petto, c’era una specie di anello. Un anello che saliva fino al punto più alto della spalla e scompariva dentro alla maglia per poi ricongiungersi con la prima estremità. Era una bruciatura come la mia solo più vecchia: era di un rosso mattone scuro, quasi nero. Alzai la mia mano destra e con la bocca spalancata osservai i due Marchi: mi venne da sorridere e vidi che Nick lo stava già facendo. Il ragazzo si richiuse la giacca e si piegò di nuovo sul cemento, una mano a sfiorarne la superficie. Poi avvenne. Mi si tapparono le orecchie, faceva male, tanto. Nick non se ne accorse ma io si: la mia cicatrice pulsò e per un attimo divenne tutto nero ma resistetti all’impulso di lasciarmi cadere a terra.

-“ Ad ovest.”- sussurrai. Era stato davvero solo un presentimento: per un attimo una vocina dentro di me mi disse dove dovevo andare e subito dopo tutti i miei muscoli si tesero in quella direzione. Non riuscivo a frenarmi e così decisi di assecondare quel bisogno di correre. Non aspettai che Nick mi seguisse e mi lanciai in una corsa sfrenata, i muscoli delle gambe che guizzavano e mi indicavano dove svoltare: l’affanno non mi raggiunse, il respiro rimaneva regolare come se stessi camminando tranquilla. I vicoli si susseguirono uno dopo l’altro ma sentivo che non dovevo ancora fermarmi; poco davanti a me una grande inferriata mi sbarrava la via. Provai a spostarmi per prendere una via secondaria ma un corpo in movimento mi superò e, aggrappandosi solo con una mano ad una sbarra, balzò dall’altra parte. Nick. Digrignai i denti e aumentai la velocità: quando fui abbastanza vicina mi fermai un secondo per spiccare un salto, roteare in aria e cadere vicino a Nick. Ancora abbassata a terra lo sentii ridere. Non seppi perché ma anche a me veniva da ridere: eravamo diventati dei fenomeni da baraccone!

-“ No, aspetta!”- urlai tendendo una mano verso di lui. Mi allungai e chiusi gli occhi: non dovevamo più andare ad ovest ma a…

-“ Est!”- Nick fu più veloce di me e mi guidò fino alla periferia di quella città. La, in un piccolo piazzale, diverse figure si muovevano. Sentii il grido di una donna seguito da un altro, sempre femminile. Ci avvicinammo e osservammo la scena da dietro delle colonne di legno ammassate: constatammo che le figure erano sei: quattro vampiri e due donne. Mi tesi verso di loro per osservare meglio e vidi le donne per terra, sovrastate dai mostri. Un vampiro vestito con jeans e felpa era sopra ad una donna con le gambe scoperte e martoriate da molteplici graffi: non le si vedeva il volto ma la si poteva sentir gridare. Il vampiro le teneva ferme le braccia con una sola mano e con l’altra le stringeva la gamba poco sopra al ginocchio: era chino sul suo collo e lo si poteva veder muovere la schiena per facilitare la risalita del sangue di lei nel suo corpo. Stringeva la gamba della poveretta e intanto la risaliva: più la donna urlava più il vampiro avanzava con la mano fino a farla scomparire sotto la gonna di lei. Pochi attimi ancora e la donna non si mosse più. Il secondo vampiro agiva più o meno come il precedente solo che con lui la donna si comportava diversamente: sembrava bearsi di quello che le accadeva. Il vampiro le era sopra e lei gli stringeva i fianchi con le gambe sorridendo, gli occhi chiusi. Mi venne da vomitare e non capii perché non agivamo. Mi alzai e feci per correre a salvarla ma Nick mi fermò.

-“ No!”- sussurrò. Lo guardai con astio solo per un secondo poi tornai a concentrarmi sul vampiro: aveva sollevato il mento della donna e premeva il suo volto contro quella carne bianca e martoriata da lividi bluastri. Lei spalancò gli occhi quando si accorse che anche la seconda mano del vampiro, prima nascosta dalla sua mole, le stringeva il collo. Bastò un attimo e il collo della seconda donna si spezzò. Due altri vampiri assistevano alla scena da lontano, composti. Uno dei due mosse il capo e da dietro di lui comparvero altri due vampiri che trascinavano tre donne ciascuno: anche queste sembravano felici di tutto ciò. Ora i mostri erano in sei e solo quattro di essi si scaraventarono famelici sulle sei donne. Guardai meglio quei due vampiri composti e notai che uno, quello che aveva mosso il capo, era vestito come se provenisse dall’Ottocento. Egli si chinò, infine, sulla donna che si stava prostrando ai suoi piedi: la sollevò con solo una mano e, stringendola, affondò i canini nel collo di lei. Nell’aria si era sprigionato un odore di morte che mi fece girare la testa.

-“ Al mio tre spara ai due vampiri che hanno trascinato le donne, io mi occupo degli altri due. Fai in fretta, assieme dobbiamo uccidere anche i due che se ne stavano composti. Ricorda: punta al cuore.”- lo vidi alzarsi e mirare: un secondo dopo il proiettile veniva sparato verso il vampiro. Mi svegliai e feci lo stesso: il mio primo bersaglio cadde a terra congelato nella sua ultima posizione ma fui lenta nel mirare al petto del secondo. Subito si scatenò l’inferno.

-“ Muoviti!”- Nick ansimava dalla paura. Mirai anche al secondo bersaglio ed ecco che pure questo si congelò. Puntai allora al mostro dell’Ottocento e vidi che non si era mosso, era ancora attaccato al collo della donna, ne stringeva il corpo dondolandosi, quasi stessero ballando. Aspettai che si mosse in avanti e sparai: il proiettile trovò la strada libera tra il corpo della donna e il cuore del vampiro. Con orrore vidi il corpo di quest’ultimo stringersi e congelarsi, ancora abbracciando la donna. Il mio sguardo corse subito all’ultimo vampiro rimasto ma non c’era più traccia di lui… Mi girai verso di Nick: stavamo pensando alla stessa identica cosa. Poi vidi i suoi occhi dilatarsi e tutto accadde lentamente: Nick alzava la pistola e me la puntava contro, sparava e il colpo spariva dietro di me, senza neppure sfiorarmi. Due mani mi presero per i fianchi e mi sollevarono: un momento dopo sia Nick che il piazzale erano spariti, c’era solo la luna e il cielo nero.

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Capitolo 25
*** Capitolo Ventiquattresimo ***


 

-“ Dove sei?!”- gridai al nulla. Sapevo che colui che mi aveva portato fin lassù, sul tetto di quella casa in rovina, era un vampiro, magari proprio quello che né io né Nick eravamo riusciti a prendere. Avevo perso la Berretta ma i proteggi avambracci e i pugnali erano ancora integri. Girai su me stessa più volte, il Marchio che bruciava impazzito e la vocina dentro di me che urlava isterica. Due occhi apparvero dal nulla e si avvicinarono lenti: avrei potuto riconoscergli dovunque. Alan.

-“ Tu! Cosa vuoi?”- provai a gridare ma un male improvviso ai piedi mi zittì: mi guardai e provai a muoverli ma non ci riuscii. Si erano bloccati! Alan avanzò fino a rivelarsi interamente. –“ Cosa vuoi?!”- gridai di nuovo.

-“ Nulla… Nulla che tu non possa darmi.”- voleva nutrirsi di me? Sfilai un pugnale dallo stivale e me lo rigirai in mano: veloce mirai e lasciai che il pugnale volasse verso di lui. Alan alzò la mano e fermò la corsa della mia arma un attimo prima che questa entrasse nel suo petto. Lo guardai impaurita. –“ Non voglio farti del male.”-

-“ Perché continui ad apparire? Perché non mi lasci in pace?!”- ero esasperata da quel suo comportamento. Il dolore ai piedi salì e abbracciò le mie anche: ora potevo muovere solo la parte toracica. Mi abbassai di nuovo ed estrassi il secondo pugnale: lo lanciai ancora ma sbagliai mira e l’arma si conficco per terra, lontana un metro da Alan che continuava ad avanzare. In un certo senso sentivo che non mi avrebbe fatto del male, sentivo che non aveva cattive intenzioni ma non volevo fidarmi, lui era dalla parte dei nemici!

-“ Non voglio farti del male.”- ripeté ancora. Ciò che bloccava il mio corpo salì in fretta e pervase anche le mie braccia, bloccandole nel movimento di lancio di un terzo pugnale. Così non avrei potuto usare nemmeno le mani per un possibile scontro corpo a corpo.

-“ Fermalo! Fallo smettere! Frena ciò che impedisce di muovermi!”- gli urlai praticamente in faccia, tanto era ormai vicino. Anche il collo si era bloccato, costringendomi a guardarlo negli occhi: avevo le gambe un poco divaricate, le braccia allungate nel tentativo di lanciare il pugnale, i pugni stretti e il collo rigido rivolto verso l’alto. Sentii salire ancora quel gelo che mi bloccava il corpo fino a che non mi fu possibile muovere nemmeno un muscolo: ero una statua vivente! Alan alzò lentamente una mano sul mio viso e scostò una ciocca di capelli, incredibilmente ancora liberi da quella paralizzazione: si avvicinò un po’ di più e mi fisso a lungo. Nei suoi occhi non ci lessi nulla sennonché desiderio e… quel qualcosa che attraversa i visi degli amanti prima di un bacio…amore? Ero irritata ma non potevo sottrarmi a quello che provavo: Alan era davvero un bel… uomo…

Alan si abbassò e i nostri nasi si sfiorarono: ansimavo mentre lui continuava ad abbassarsi con lentezza infinita. Quando le nostre labbra s’incontrarono due pensieri sorsero nella mia mente: stavo baciando un vampiro che non si sapeva perché mi piacesse e stavo baciando chi invece dovevo uccidere!

Non era un vero bacio, erano solo due labbra che si sfioravano: lo sentii aprire di poco la bocca e lo vidi chiudere gli occhi. Alzò anche l’altra mano e mi strinse gentilmente il volto; avanzò di un passo e i nostri corpi, sebbene in posizioni diverse, si sfiorarono: Alan sospirò e mi bacio veramente. Là, in quel momento, sentii che non era poi così tanto sbagliato: sentii con chiarezza che Alan non poteva essere un altro, che era lui quello giusto, che provavo qualcosa di forte per lui, qualcosa che avrei potuto chiamare amore. Provai a ricambiare il bacio ma poi mi ricordai che ero bloccata, decisi allora di chiudere gli occhi e di assaporare il momento.

Il bacio finì e Alan si ritrasse di poco da me ma bastò quel movimento a scogliere completamente il mio corpo: il pugnale mi cadde dalla mano e le ginocchia cedettero.

-“ Perché…?”- sussurrai mentre le mani forti di Alan mi sorreggevano.

-“ Non lo so…. Non dovrei provare quello che provo per una come te. Non dovrei provarlo per un’umana figurarsi per una Cacciatrice.”- mi rispose lui. Lo guardai e provai il forte desiderio di baciarlo ancora ma mi ricordai di quello che avevo fatto poco prima giù, nel piazzale. Pensai a Nick.

-“ Tu sei un vampiro…”- lo sguardo di lui divenne triste. –“ Significa che non posso più vederti.”-

-“ Lo so… Ma è più forte di me, Caco.”- con la testa appoggiata al suo petto, pensai. Mi piaceva davvero ma non poteva nascere una cosa del genere. Strinsi le braccia attorno alla sua schiena e lui mi sollevò ancora, finché non fui veramente in piedi. Ci abbracciammo e una piccola lacrima mi scese sulla guancia; mossi in modo impercettibile il polso e sentì che il macchinario scattava: i proteggi avambracci rivestivano solo la parte superiore dell’avambraccio, l’interno era fasciato dalla manica della maglia che nascondeva a sua volta un piccolo macchinario. Trasporto pugnali. L’elsa del coltellino era fredda e la superficie d’argento brillò alla luce della luna: mi strinsi ancora per un attimo al corpo freddo ma così perfetto di Alan, per poi muovermi velocemente. Mi liberai dall’abbraccio ma restai comunque col viso infossato nella clavicola del vampiro: alzai il pugnale e, veloce, strappai maglia e carne all’altezza del rene sinistro, il lato più vicino al pugnale. Alan ringhiò ferito e si accasciò lentamente al suola; nello stesso momento aprii il pugno e lasciai là il pugnale e corsi verso il vuoto, il più vicino dei lati del tetto e mi lanciai, aprendo le braccia a formare un T. Piangendo, non emisi un suono: mi ricordai che non avevo le ali, ovviamente, e che mi sarei schiantata al suolo! La caduta era di una trentina di metri e molto prima di ritrovarmi spiaccicata al suolo, mi girai in aria fino a ritrovarmi con il viso rivolto verso il cielo. Sfondai una copertura in tela di un chiosco abbandonato prima di rovinare a terra. Il mondo cominciò a girare ma non potevo mollare: in alto vidi Alan dondolare verso di me ma il suo corpo scomparve quasi subito. Aspettai qualche minuto prima di cercare di rialzarmi: la caduta era stata tremenda ma il destino non si era preso la mia vita, piuttosto mi mandò altri vampiri. Sentire il Marchio pulsare ancora più forte mi fece incavolare: ne avevo abbastanza di vampiri per quella sera. Mi alzai lentamente e cominciai a camminare ma ben presto presi a correre, mi sentivo seguita. Corsi, lasciai che fossero le gambe a portarmi via da là

 

Corsi verso il rumore di auto fino a trovarmi sulla strada principale dalla quale io e Nick eravamo arrivati. Mi appoggiai al muro ansimando e scivolai fino al suolo, in attesa. In uno stato di trans socchiusi gli occhi. Cercai di calmare il respiro ma fui distratta dal rombo possente di un motore. Si stavano avvicinando due fari che mi abbagliarono. Una figura scese dall’auto e mi venne incontro. Non lo riconobbi, capii soltanto che non mi era ostile. Lasciai che mi portasse nell’auto e per un attimo fui felice di trovarmi là, ma poi il buio arrivò. Non dormivo, non ero svenuta, ero caduta nell’oblio. Troppo stanca per svegliarmi, troppo forte per svenire.

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Capitolo 26
*** Capitolo Venticinquesimo ***


 

Il viaggio in auto era durato pochissimo, in un baleno ci ritrovammo nel parcheggio sotterraneo della Domus; Nick mi portò in braccio fino a camera mia e, senza ascoltarmi, mi depose sul letto. L’orologio segnava le due del mattino. Non appena sentii la superficie soffice delle coperte, mi addormentai, stringendo la mano di Nick tra le mie.

 

-“ ‘Giorno bambina.”- aprii lentamente gli occhi.

-“ Ciao…”- ricambiai, alzandomi. La testa pesava e i ricordi vennero subito a galla.

-“ Dove sei sparita ieri sera?”- Alan! Il tetto…il bacio. Oddio no pensai.

-“ Ehm… uno del clan mi ha portato via, su un tetto… Tranquillo, prima che potesse fare altro l’ho ucciso.”- avevo parlato senza guardarlo, coprendomi il viso coi capelli a mo di tenda personale.

-“ Sicura?”- Nick si era abbassato a sollevarmi la ciocca di capelli per guardarmi negli occhi.

-“ Ovvio che si.”- dissi, alzando tutta la ciocca e la fermai dietro un’orecchia. Scostai le coperte e mi alzai; puntai alla sedia dove erano riposti i miei vestiti.

-“ I miei vestiti…”- mi guardai e vidi che una camicia da notte non mia m’avvolgeva il corpo. Guardai Nick con gli occhi spalancati.

-“ Pattie.”- disse soltanto. Scossi la testa e mi vestii, stando attenta a non lasciar vedere troppo. Una volta vestita, uscii impettita. Lo sentii mentre mi seguiva.

-“ Vattene Nick!”- non mi voltai nemmeno, glielo urlai continuando a camminare guardando dritto davanti a me.

-“ Ma aspetta.”- faticava a starmi dietro, e la cosa mi sorprese non poco. Svoltai e continuai a camminare veloce per i corridoi fino alla sala principale: presi le scale che scendevano verso l’arena. Una volta davanti alle porte di vetro, presi le due spade persiane, complete di fondina adattabile alla schiena, e i proteggi avambracci appesi alla parete di sinistra. Indossai le spade sulla schiena in modo che mi fosse possibile estrarle con le mani: decisi di entrare e andai incontro ad Elsie.

-“ Elsie!”- la chiamai arrabbiata. Non sapevo perché sentivo quel desiderio di distruggere qualsiasi cosa mi fosse capitata tra le mani.

-“ Caco.”- rispose lei, calma, abbassando lo sguardo. Aveva appena finito il riscaldamento: settanta giri dell’arena completi di risalita e discesa delle scale. Più o meno tre chilometri di corsa. Mentre avanzavo feci scricchiolare il collo e le dita. –“ Com’è andata la prima missione?”- Elsie, vestita come la prima volta che l’avevo vista nell’arena, stava bevendo dell’acqua.

-“ Bene, direi. Sei vampiri.”-

-“ Tutti tuoi?”-

-“ No, con me c’era Nick.”- dissi gelida. –“ Voglio allenarmi.”-

-“ Secondo me devi prima calmarti.”- strinsi gli occhi e aspettai. –“ Va bene, va bene.”- Elsie si spostò verso il centro del piazzale e si rigirò verso di me. Un attimo prima avevo alzato le mani e mi ero issata alla piccola ringhiera di marmo che sosteneva il piccolo terrazzino dal quale, di solito, Frederick assisteva agli allenamenti o alle gare. Mi confusi con l’ombra e sorrisi alla vista dello sguardo sorpreso di Elsie; ma sapevo che non si sarebbe lasciata impressionare più di tanto. Elsie scrollò le spalle e divaricò le gambe, piegando le ginocchia. Con orrore vidi la sua mano ribollire e un momento dopo impugnava una Browling, alzava il braccio e puntava ad un metro da me: vidi come al rallentatore, la pallottola che avanzava e che si schiantava sul muro. Scivolai silenziosamente dalla parte opposta e corsi: ero un’ombra tra le ombre, una presenza silenziosa. Corsi fino a trovarmi alle sue spalle: Eslie era veloce e sparava seguendomi ma non mi beccava mai, era sempre due metri dietro di me. Aspettai e feci finta di continuare a correre in senso antiorario, lasciando che Elsie sparasse in quella direzione, mentre io, invece, tornavo sui miei passi, correndo in senso orario. Quando Elsie capì che l’avevo fregata era ormai troppo tardi: saltai oltre silenziosa e un attimo prima di caderle sopra ecco che quella si voltava saltando dall’altra parte. Caddi a terra, le gambe piegate un ginocchio a toccare il pavimento, una mano a frenare la caduta. Mi rialzai subito puntando gli occhi in quelli di Elsie: aveva cambiato arma, non impugnava più la pistola ma un fioretto micidiale, lungo e stretto ma pesante. Evidentemente non si era accorta che io avevo con me due spade… Alzai le mani e, incrociandole, estrassi le armi da taglio persiane: la guardai con aria di sfida. Facemmo roteare nelle nostre mani le spade e cominciammo a camminare in cerchio: non ho mai amato attaccare, preferisco aspettare, restare al proprio posto, studiare il terreno di scontro, formulare una tattica che mi permetta di vincere senza espormi: non sarei mai corsa tra le braccia del nemico, avrei lasciato che fosse lui a venire tra le mie. Elsie decise di esporsi e fece un passo in avanti, tagliando l’aria con il fioretto: mi protessi la testa con una sola spada, fermando la corsa dell’arma di Elsie. Camminammo ancora per poco in cerchio poi cominciammo seriamente: Elsie mi fu sopra in un batter d’occhio ma riuscii, veloce, a scansarmi; la colpii alla schiena e mi ritrassi subito. Da li in poi ci furono solo attacchi e parate, attacchi e parate, Elsie avanzava, io indietreggiavo. Fu un attimo, ma le difese di Elsie furono scoperte: avevo la vittoria in pugno! Fermai il fioretto che stava calando sopra la mia testa con una spada mentre con l’altra tagliai il corpetto nero di Elsie sul fianco sinistro, quello senza difese. Era una piccola ferita, ma almeno l’avevo colpita. Lei si ritrasse ma se volevo vincere, dovevo insistere. Avanzai e sferrai un attacco in pieno petto: Elsie mi fermò ma non calcolò bene e io riuscii a far volare lontano il fioretto. Veloce, le tagliai anche l’incavo interno del ginocchio e la vidi cedere, rovinare a terra, vinta. Soddisfatta, le alzai il viso con una spada e la guardai in volto. All’inizio ci guardammo con odio, come se fossero davvero nemiche, come se io, arrivata fin la, ora dovessi ucciderla. Ci guardammo e ci venne da ridere: lasciai cadere a terra le armi e scoppiai a ridere, seguita a ruota da Elsie. L’aiutai ad alzarsi e, assieme, andammo in Infermeria.

Percorremmo la galleria sotterranea trasformata in un bellissimo giardino fino alla porta di vetro che dava sulla grande stanza adibita all’ Infermeria, gestita da Aretha.

-“ Scusa per i tagli.”- dissi tra una risata e l’altra.

-“ Oh non ti preoccupare. Sei diventata piuttosto brava.”- si congratulò con me. Diventai rossa.

-“ Grazie.”- dissi sincera. Mi allenavo con lei da tempo, era diventata la mia mentore e la mia migliore amica, assieme a Pattie. Ogni giorno, a scuola, rivedevo i miei primi amici che mi ero fatta in quella nuova città e ogni volta pensavo a come ero prima di tutto questo, a come vivevo, come pensavo, a cosa credevo e a cosa no. E ogni volta mi ricordavo della Domus, della mia nuova vita… Ogni volta desideravo profondamente di tornare indietro ma capivo che non sarebbe successo, che non era nemmeno pensabile: ormai quella ero io, e doveva piacermi.

-“ Chiama Aretha, ti prego.”- la lasciai seduta su un lettino e mi allontanai alla ricerca della signora. La trovai china, nel suo studio, su un microscopio.

-“ Signora? Può venire solo un secondo?”-

-“ Chi si è fatto male questa volta? E smettila di chiamarmi signora, Caco. Il mio nome è Aretha, lo sai.”- nel uscire dalla stanza, e quindi precedermi, mi fece l’occhiolino, portandosi il pugno sul cuore. Salutai allo stesso modo.

-“ Ah! Elsie…. Ci rivediamo. Cosa ti sei fatta sta volta? Volevi farti a fettine e mangiarti?”- chiese, ironica, Aretha, spogliando Elsie dal corpetto. Il taglio perdeva tanto sangue ma sapevo che, praticamente, era già guarito, se curato da Aretha.

-“ Ahah! No, no, è stata Caco durante l’allenamento.”- mi guardò sorridendo. Aetha non si girò nemmeno, alzò solamente gli occhi al cielo mentre puliva la ferita e fermava l’emorragia.

-“ Sarai guarita in pochi giorni, tranquilla.”- Aretha seguiva alla perfezione la procedura: pulire, fasciare, tranquillizzare.

-“ C’è rischio d’infezione?”- chiesi. Naturalmente tutti noi eravamo vaccinati contro il tetano ma è sempre meglio controllare.

-“ No, tranquille. I tagli sono a posto.”- sospirai e la ringraziai. Non volevo rimanere in Infermeria, volevo andare da mio padre. Salutai anche Elsie e uscii.

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Capitolo 27
*** Capitolo Ventiseiesimo ***


 

Ripercorsi a ritroso la strada fino all’arena, da là fino a camera mia dove presi due ricambi per la Firestar e il giubbotto di pelle nera. Una volta pronta, scesi nel parcheggio sotterraneo. Accessi la luce e, abbagliata, osservai le lampade rettangolari accendersi una dietro l’altra, in successione.Avanzai verso il mio box camminando lentamente, facendo oscillare le braccia: ero arrabbiata e non sapevo perché. Ero semplicemente arrabbiata e temevo di esplodere da un momento all’altro. Passai davanti a diversi box ma uno in particolare mi colpì: era immerso nell’oscurità, qualche metro prima del mio. Restai la ferma ad osservarne l’entrata poi decisi di avvicinarmi di più: li dentro un telo polveroso copriva una strana forma affusolata e per niente simile a quella di una qualsiasi auto. Mossi un passo e fui dentro: tastai il muro alla ricerca di un qualche interruttore ma non lo trovai; mi avvicinai al telo e ne sentii la consistenza. Era una semplice tela: ne presi un lembo e con un unico movimento scoprii la figura nascosta dal telo. Là, nell’oscurità, il mio volto si aprì in un’espressione di meraviglia. Davanti a me c’era la più bella moto che avessi mai visto, una Kawasaki. Ne toccai la carrozzeria facendo scorrere due dita sulla sua superficie: mi guardai attorno ma ero sola. Tanto meglio, sorrisi a me stessa. Alzai una gamba e montai in sella, tenendomi alta sul sellino con i piedi. Socchiusi gli occhi mentre impugnavo il manubrio e sognavo di poterla guidare.

-“ Stupenda, non è vero?”- una voce mi destò dai miei pensieri, facendomi alzare la testa di scatto. Ero stata beccata! Sulla soglia del box un ragazzo di appena qualche anno più di me mi guardava, appoggiandosi allo stipite della porta, incrociando gambe e braccia.

-“ Scusami.”- dissi smontando. –“ Non avrei dovuto farlo.”-

-“ Non preoccuparti. Io non ci monto da almeno due anni. Non ho più modo di usarla. Se vuoi, puoi farti un giro.”- il ragazzo avanzò sorridendo sincero. Gli occhi mi caddero dalle orbite.

-“ Veramente?”-

-“ Si.”- il ragazzo annuì –“ Ci si deve aiutare tra confratelli, no? Puoi usarla per quanto e quando ti pare.”- ridacchiò.

-“ Grazie!”- esclamai felice, un sorriso a trentadue denti. Il ragazzo continuò a ridere e mi sarei messa pure io ma il mio cellulare suonò. La risata del ragazzo si spense pian piano mentre la suoneria si faceva più insistente. Lo guardai alzando le spalle e lui capì al volo: mi salutò con un piccolo gesto della mano e mi fece l’occhiolino. Risposi non appena lo sconosciuto se ne fu andato.

-“ Pronto?”-

-“ Pronto Caco, sono io, Mason.”-

-“ Ah, ciao papà.”- ricambiai rimontando in sella, accarezzando la mia nuova moto.

-“ Senti, ti volevo solo dire che per stasera non ci sono. Vado a cena fuori e…”- sospirai delusa.

-“ Non preoccuparti, saprò cavarmela da sola papà. Con chi vai a cena?”- chiesi ma lui mi ignorò.

-“ Oh grazie cucciola! Ci vediamo domani allora. Ti voglio bene.”- e chiuse la comunicazione. Rimasi impalata, il cellulare ancora accostato all’orecchio. Abbassai la mano e risposi: -“ Ti voglio bene anch’io.”- al telefonino. Una lacrima mi scese giù per la guancia, la cancellai con il dorso della mano e osservai il box: accanto alla moto, qualche centimetro più a sinistra, un piccolo scaffale sul quale era un casco nero. Lo presi e portai la moto fuori dal box, alla luce.

Il colore della carrozzeria era nero ma con striature a volte rosse e a volte verdi, la scritta KAWASAKI verde scuro, com’era prevedibile. Provai ad indossare il casco sperando che fosse della mia misura e per fortuna lo era! Azionai il motore, accelerai e sospirai di sollievo quando il motore ruggì togliendomi il dubbio che la moto fosse pressappoco un rottame. Mi sistemai sul sellino e abbassai la schiena facendo aderire la pancia e il petto alla forma della moto: la Kawasaki era sportiva e si guidava così. Sentivo tutto il peso premere sulle mie gambe. Feci ruggire un’altra volta il motore e veloce alzai il cavalletto, sfrecciando per il garage. Ero partita e già sentivo che avrei amato quella moto! Girai tra i box fino ad arrivare all’uscita: azionai il cancello automatico e feci il piccolo tratto rialzato per uscire definitivamente dalla Domus.

Una volta fuori proseguii per la stradina asfaltata in mezzo al bosco fino al parcheggio esterno, dove due macchina facevano la fila per la benzina e uscii sulla superstrada, svoltando a destra. Dove sarei andata ora? A casa no, non c’era mio padre; in città non avrei saputo che fare. Optai per farmi una gita tranquilla in moto, giusto per prendere confidenza con quella nuova amica.

Le tenebre calarono presto su Seattle. Mi trovavo nel centro della città, in mezzo al traffico sfrecciavo tra una macchina e l’altra cercando di avanzare anche di qualche metro. Ormai faceva freddo e volevo fermarmi per prendere da bere in un qualsiasi bar così parcheggiai e mi diressi verso il locale più tranquillo nei dintorni. Ne trovai uno molto carino e ci entrai, sedendomi al primo tavolo libero. Appoggiai il casco davanti a me e inspirai a fondo: la rabbia era calata grazie soprattutto al viaggio in moto. Una cameriera mi si avvicinò timorosa.

-“ Cosa posso portarti?”- ci pensai su un attimo prima di rispondere.

-“ Un cappuccino, ti prego.”- dissi col tono più gentile che avessi. La ragazza annuì mentre prendeva appunti per poi voltarsi e tornare dietro al bancone a prepararmi ciò che avevo ordinato. Guardai fuori dalle enormi finestre del locale e mi fermai ad osservare meglio la mia moto. L’avevo parcheggiata davanti ad una libreria comune che comprava e vendeva libri a metà prezzo. La cameriera tornò poco dopo col mio cappuccino e me lo pose sotto al naso. La ringrazia e cominciai a sorseggiarlo ma fui interrotta di nuovo da una telefonata. Era un numero privato.

-“ Pronto?”- risposi dubbiosamente.

-“ Carlotta, sono Simon. Chiamo a nome di Frederick.”- alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa.

-“ E quindi…?”-

-“ Frederick voleva…congratularsi con te per la tua prima missione e te ne voleva affidare subito un’altra.”- quasi mi strozzai, spruzzando da tutte le parti cappuccino caldo.

-“ Cosa?!”- urlai con voce strozzata, tra un colpo di tosse e l’altro.

-“ Si. Ti vuole di ronda tra la città di Seattle e Boise.”- una cittadina distante da Seattle più di qualche chilometro.

-“ Come di ronda?”-

-“ Devi semplicemente controllare che in quel perimetro non ci siano vampiri e se ci sono, ucciderli.”- deglutii e guardai l’orologio: nove e mezza di sera.

-“ Posso dire di no?”- chiesi titubante. Il tono usato poco prima da Simon era stato autoritario, non ammetteva repliche. La comunicazione si spense, la mia domanda ironica che aleggiava nell’aria. Scossi la testa appoggiando distrattamente e con mal grazia la tazza sul tavolo, ci lasciai vicino un dollaro e presi il casco, dirigendomi verso l’uscita. Al freddo indossai il casco e camminai scontrosa verso la moto; non mi preoccupai nemmeno delle auto che passavano, mi lanciai in mezzo alla strada e montai in sella. Gli autisti mi urlarono contro ma non ci feci caso: mi assicurai meglio la Firestar alla vita e sgommai in direzione Boise.

Prima di uscire da Seattle feci un ultimo sommario giro delle vie e poi presi l’autostrada, guidando veloce, i sensi al massimo. L’autostrada era deserta, non una macchina: c’eravamo solo io e la moto. Ci vollero sette chilometri prima che incontrassi la prima auto, ma andava nella direzione opposta alla mia, nell’altra corsia. Quando fui alle porte della città la fitta alla mano rischiò di farmi uscire fuori strada: era stata fortissima e mi colpì all’improvviso. Tornai a concentrarmi sulla strada ed entrai nella città, guidando dove l’istinto mi portava. Una volta arrivata alla periferia di Boise svoltai a destra e persi il controllo della moto. O meglio, persi il controllo di me stessa. La mano mi si spalancò, aprendosi e staccandosi dal manubrio: era più doloroso dell’altra fitta e non mi permetteva di muore le dita! La moto oscillò pericolosamente e d’istinto staccai dal manubrio anche l’altra mano, stringendo con essa il polso destro. Non potei fare sbaglio più grande: la Kawasaki pendeva verso destra e mi trascinò a terra per alcuni metri, riuscendo quasi a scacciarmi la gamba destra. Grazie ad un miracolo riuscii a sganciare il piede, rotolando sul cemento non più legata alla moto che fermò la sua corsa poco più avanti. Ansimante mi alzai lentamente, mettendomi in ginocchio; mi slacciai il casco e appoggiai la mano dolorante sul petto, continuando a stringere il polso. Era stata una brutta caduta. Recuperai le forze subito dopo, la mano che pulsava ma ormai riuscivo a gestire il dolore: mi avvicinai alla moto e tentai di rimetterla sulla due ruote con scarso successo. Una voce gridò terrorizzata e la vocina dentro di me scattò cominciando ad urlare: estrassi la Firestar e zoppicai verso quella voce, lasciando la moto a terra. Dietro all’angolo due figure erano accasciate a terra, una sopra l’altra: un uomo e una donna. No, un vampiro e una donna. Lo capii non solo dal dolore alla mano ma anche dalla visione delle zanne di lui che rifletterono la luce della luna. Presi coraggio e uscii dall’ombra, puntai la Firestar contro al vampiro e sparai. Sbagliai e lo colpii al braccio; questi tirò su la testa di scatto e mi ringhiò contro, lasciando andare la donna. La ferita cominciò subito a perdere sangue, tanto sangue: il vampiro si guardò il braccio e mi ringhiò contro un’altra volta. Con uno scatto si alzò: caricai e sparai senza pensarci, beccandolo sulla spalla, due centimetri vicino al collo. Caricai di nuovo ma il vampiro si era fermato urlando col volto rivolto al cielo, un espressione di dolore. Avevo gli occhi sbarrati dalla paura ma non mi sarei lasciata uccidere. La donna vittima del mostro si stava tirando su ma era sotto shock per capire cosa fare: volevo gridarle di scappare ma non c’è ne fu bisogno, la donna si vide ferita e fu forse l’istinto di conservazione che la fece scappare. Il vampiro mi ringhiò contro un’altra volta.

-“ TU! Mi hai fatto scappare la cena!”- abbassai le spalle e carica di ira gli sparai contro di nuovo, puntando al cuore e sarei riuscita a colpirlo se lui non si fosse mosso più veloce di me. Sparì dal mio campo visivo per poi riapparire sull’altro marciapiede. Si abbassò e mi mostrò le zanne, gli occhi famelici, le dita contratte come se fossero artigli. Provò ad avanzare ma una seconda figura si frappose tra me e lui, venendo dall’alto e atterrando con grazia sull’asfalto. Indietreggiai e caricai la Firestar, impugnandola con tutte e due le mani e tenendo sotto tiro sia il primo che il secondo vampiro.

-“ Neil, ti pare questo il modo di trattare una signora?”- era un maschio, due vampiri uomini contro di me armata solo di pallottole d’argento. –“ Bisogna essere educati soprattutto con un’esemplare bello come questo.”- continuò rivolto verso di me. La luce si rifletteva poco sul viso del nuovo arrivato e potei solo distinguere i capelli biondo ramati e gli occhi color nocciola, nulla di simile rispetto a Neil che invece aveva capelli rossi e un viso tempestato dalle lentiggini. Sparai all’altezza del cuore del nuovo arrivato e rimasi a bocca aperta quando quest’ultimo fermò la pallottola prendendola con una mano sola: vidi la pallottola frantumarsi sul suo palmo non appena lo sfiorò. Indietreggiai ancora.

-“ Charles ha ragione: dove sono finite le buone maniere, Niel?”- una donna apparve dall’oscurità e si avvicinò al vampiro che aveva chiamato Charles: la donna indossava una paio di stivali neri lucidi, tacco dodici, alti fin sopra al ginocchio, un paio di pantaloncini di jeans cortissimi e una maglia dalle maniche lunghe. Charles le mise un braccio attorno alla vita stringendola a se mentre Neil ringhiava esasperato. Non capii cosa dovevo fare e il dito partì da solo: premette il grilletto e la pallottola si schiantò al suolo vicinissima al tacco della tipa. Sia la ragazza che Charles si voltarono di scatto verso di me ringhiando e io indietreggiai ancora di un passo. Subito dopo la Firestar mi venne tolta dalle mani da una figura nera che sfrecciò velocissima davanti a me. Ritrassi subito le mani e con orrore vidi la pistola roteare per terra. Una quarta vampira era entrata in scena e sparì dietro a Charles e alla vampira, piegandosi su Neil.

-“ Ben arrivata Viola.”- riuscì a dire a denti stretti la vampira di Charles.

-“ Ciao Mercedes.”- ricambiò l’altra. Quindi i due maschi si chiamavano Neil e Charles e le due femmine Mercedes e Viola. Formavano due coppie: quattro vampiri contro di me, disarmata. Cominciai a preoccuparmi seriamente.

-“ Merda… Sta fermo Neil!”- la vampira Viola stava estraendo le pallottole dal corpo di Neil, il quale urlava dal dolore. Dentro di me sorrisi ma solo per un secondo: dovevo recuperare la pisola! Mi misi in posizione d’attacco, le gambe flesse una di fronte all’altra e le braccia lunghe sui fianchi, i bicipiti contratti. Respiravo lentamente: osservai i quattro vampiri con attenzione quasi a studiarne tutti i particolari e a scovarne i punti deboli. Guardai i muri, le finestre, ogni possibile appiglio per un’eventuale ritirata su per i muri era contemplata.

-“ Fa male Viola!”- urlò in risposta Neil. Sorrisi dentro di me ancora. Se fossi morta, il che era molto probabile, quei mostriciattoli avrebbero conservato a lungo il ricordo di me.

-“ Allora…chi si vuole pappare la nostra amichetta?”- fece Mercedes, ancheggiando mentre alzava il mento e osservava con malizia il suo vicino, Charles. Neil ringhiò furioso. Abbassai la schiena di qualche centimetro pronta a battermi. –“ Tu, Neil?”-

-“ Concesso. Sei fortunato: ti sei beccato una di loro.”- all’ordine di Charles, Neil si fece strada fra i due e avanzò verso di me, seguito da Viola. Il mio cuore cominciò a battere frenetico e le pulsazioni aumentarono quando mi resi conto di essere ormai spiaccicata contro al muro. Ne sentii la consistenza fredda e umida e pregai. Neil e gli altri si avvicinarono sempre di più e a quel punto presi la decisione: mi ero dimenticata di spogliarmi dei due miei pugnali preferiti quando ancora ero alla Domus ma ne fui contenta. Ne estrassi veloce uno e lo lanciai contro al mal capitato Neil che parò il lancio mandandolo alle sue spalle, verso Mercedes. Corsi nella loro direzione lanciando anche il secondo pugnale puntando su Charles: ruppi così la loro formazione a V creata sul momento, scivolando sul cemento verso la pistola. Era esploso il caos tra i quattro e, grazie a un miracolo, perché di miracoli è fatta la mia vita, riuscii a impugnare di nuovo la Firestar: caricai veloce e mi girai, continuando a scivolare. Con un colpo di reni frenai la mia corsa e voltai interamente il mio corpo: là, seduta per terra con le gambe ancora aperte per la velocità dei miei movimenti, sparai senza ritegno. Non avevo una mira precisa e sprecai diverse pallottole ma fui felice quando sentii i ringhi di dolore di almeno due dei vampiri. Continuai a sparare anche quando mi alzai e corsi cercando di allontanarmi da quel posto. Provai ad prendere il primo vicolo ma una forza brutale mi frenò facendomi cadere a terra: mi avevano preso alle spalle, e ora uno di loro mi teneva per i gomiti. Tra i ringhi sommessi ricevetti uno bello schiaffo da parte di Viola che fece diventare tutto un po’ più rosso e in movimento. Neil e Charles mi erano davanti quindi era Mercedes a trattenermi. Cercai di liberarmi scuotendo le spalle ma un umano non può nulla contro un vampiro, figurarsi contro quattro! Urlai frustata e impaurita. Altri gridi si aggiunsero alla scena: altre donne, due per la precisione. Le vidi essere prese d’assalto da Charles e da Viola.

-“ Lasciami!”- urlai sputando quasi in faccia a Neil. Lui mi mostrò le zanne e i piegò su di me ma qualcosa lo fermò. Mercedes mi lasciò andare e per poco non sbattevo la testa sul cemento umido. Spari. Guardai in quella direzione e vidi un uomo sparare puntando contro Mercedes: lo riconobbi, era il ragazzo della moto. Sollevata, allungai una mano verso la mia Firestar e guardai verso la vampira. Nel vicolo al buio un altro vampiro osservava la scena: mi venne voglia di urlare! Che cavolo ci faceva là Alan?! Lo guardai esasperata mentre soccorreva Mercedes, avvolgendole un braccio intorno alla vita e facendo segno a Neil di scappare. Quest’ultimo prese con se Viola, mentre Charles correva da Mercedes sorreggendola dal lato opposto a quello di Alan. I miei rinforzi continuavano a sparare e il tutto si svolse con una velocità impressionante: Alan mi aveva guardato per tutto il tempo, tra un ringhio e l’altro. Presi la Firestar tra le mani e cercai di puntarla contro di lui ma la mano mi tremava: sparai a caso, di nuovo. Centrai Viola ma non Alan. Esasperata urlai e provai ancora: il ragazzo della moto non la smetteva un attimo di caricare e sparare ma non riusciva mai a colpire nessuno dei vampiri al cuore. Alan e Charles saltarono portandosi dietro Mercedes ferita più e più volte nello stesso punto, sopra all’anca: un buco si stava aprendo sulla carne della vampira lasciando intravedere le costole e quello che contenevano. Neil e Viola sparirono nel vicolo buio e così la stradina fu sgombra, chiazze di sangue ovunque, le due donne uccise da Charles e Viole morte sull’asfalto e io e il ragazzo della moto che respiravamo ansimando.

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Capitolo 28
*** Capitolo Ventisettesimo ***


 

Ondeggiai mentre mi alzavo: il ragazzo che era corso in mio aiuto mi fu subito accanto, sorreggendomi e dicendomi che sarebbe andato tutto bene, chiedendomi se ero ferita. Voleva chiamare un ambulanza ma rifiutai.

-“ Sto bene.”- ripetei per la centesima volta al ragazzo.

-“ Si, si. Chiamo un’ambulanza.”- lo guardai supplicandolo.

-“ No, no, no. Com…come hai detto che ti chiami?”- chiesi balbettando mentre sentivo gli squilli.

-“ Chris.”- rispose lui.

-“ Ecco, bene. Chris non chiamare un’ambulanza.”- dissi ferma, cercando di sembrare il più possibile autoritaria.

-“ Non la sto chiamando per te, ma per le donne.”- sussurrò lui, muovendo la testa verso i due cadaveri. Raccontò l’accaduto al telefono, specificando via e numero civico: si era inventato che un gruppo di quattro uomini malfamati avevano ucciso due donne e che lui ed io, sua fidanzata, avevamo visto tutto.

-“ Tua fidanzata?”- chiesi alzando le sopraciglia. Chris mi rispose alzando le spalle. Scossi la testa al cielo. L’ambulanza arrivò quasi subito e poté solo confermare la morte delle due donne, io mi preparai alla recita. Andò tutto per il meglio: i cadaveri furono portati via, io e Chris consolati. Arrivò pure la polizia e due poliziotti mi lasciarono una multa per eccesso di velocità: spiegai loro che la moto era di Chris e che era lui che guidava. Una piccola vendetta per saziare il mio animo. Gli sorrisi.

-“ Tenga: sono duecento dollari.”- disse il poliziotto più alto consegnando a Chris un foglio pieno di scritte. –“ Deve pagare entro un mese.”- e poi si congedò. Chris mi guardò male per tutto il tempo, anche quando risollevava la moto e l’appoggiava sul cavalletto.

-“ Potevi evitare.”-

-“ E tu potevi evitare di chiamare un’ambulanza.”- risposi senza guardarlo.

-“ E cosa avremmo fatto con le ragazze?”- non seppi rispondere e montai in sella. –“ Non penserai mica di guidare la moto, dopo che sei stata quasi uccisa da quattro vampiri.”-

-“ Per la precisione mi avrebbe uccisa solo un vampiro e non è mica la prima volta che rischio seriamente di morire. Quindi si, guiderò la moto.”- avevo parlato tutto d’un fiato, senza lasciarli la possibilità di ribattere.

-“ A-ah. Come no. Ora tu vieni in auto con me e non discutere!”- a forza mi portò fino alla sua auto e mi ci buttò dentro senza ritegno. Battei diverse volte le mani sul finestrino ma non c’era niente da fare: Chris non ammetteva repliche. Lo vidi discutere con un tipo qualunque e indicargli la moto: quel tipo stava montando in sella! Quando Chris fu nella macchina, lo aggredii.

-“ Cosa stai facendo! Chi è quel tipo sulla Kawasaki? Lasciami andare!!”- ero esasperata e continuavo a scuotere la testa, sembrando più pazza che mai.

-“ Quel tipo si chiama Melanie ed è una ragazza, guiderà la mia moto fino a casa.”-

-“ La tua moto che è diventata mia…”- mugugnai, infossando il viso nelle braccia incrociate.

 

Il viaggio fino alla Domus durò parecchio: arrivati a Seattle ci dovemmo fermare per andare in bagno, o almeno, dovetti andarci io.

Arrivati alla Domus Chris parcheggiò l’auto nel suo box e Melanie fece lo stesso con la moto. Scendemmo e salimmo ai piani superiori dove, nell’atrio, fummo accolti da un Frederick molto preoccupato, accompagnato da due agitate Elsie e Pattie. Chris si rivolse a Frederick e gli spiegò ogni cosa, mentre le mie due amiche mi assillavano abbracciandomi e dicendomi che erano contente che io fossi ancora viva. Poi Frederick decise di parlare con me.

-“ Devi stare più attenta le prossime volte, Caco.”- disse sottovoce, mentre ci allontanavamo dalla sala e proseguivamo per i lunghi corridoi.

-“ Lo farò, Signore.”- risposi rispettosa, le spalle dritte, il pugno chiuso sul petto.

-“ Metti giù quel braccio Caco, riposo.”- obbedii.

-“ Se posso, Signore, vorrei andare a riposare, ora.”- chiesi con la testa china.

-“ Sicuro, ma prima mi accompagnerai all’Arena.”- respinsi l’impulso di alzare gli occhi al cielo.

-“ Posso chiederle perché?”-

-“ Lo vedrai. Seguimi.”- lo seguimmo fino alla porta di vetro dell’ Arena: guardai con la coda dell’occhio Elsie e Pattie e vidi che anche Chris ci aveva seguite. Frederick appoggiò una mano sul vetro e guardò l’interno.

-“ Credevo che la moto fosse diventata mia…”- sussurrai a Chris, girandomi appena verso di lui.

-“ Credevo che la sapessi guidare. Non so se posso lasciare la mia piccola in mani come le tue.”- mi rispose

lui con fare tipicamente ironico, aprendo di poco la bocca. Rivolsi la mia attenzione alla schiena di Frederick. In quel momento lui si girò e ci guardò uno a uno; volse, poi, la testa al muro di sinistra e toccò una delle pietre lisce. Scattò un meccanismo, lo si poteva sentire agitarsi tra le pietre del muro finché la pietra toccata da Frederick si spaccò: l’uomo appoggiò tutta la mano su quella stessa mattonella e spinse. La fenditura si propagò per tutto il muro fino a poco prima delle armi là appese: una porta. Frederick sparì dietro all’uscio appena formatosi e Chris fu il primo a seguirlo, poi ci fu Elsie, Pattie e infine io. Potevamo sentire le grida di tutti i Cacciatori al di là del muro alla nostra destra mentre salivamo i ripidi scalini: lungo la salita diversi cunicoli si diradavano da quello principale da noi percorso finché Chris non si fermò e, dopo aver salutato Frederick col pugno sul petto, si piegò proseguendo a destra: tutte noi lo seguimmo e poco dopo ci ritrovammo sugli spalti dell’Arena. Sul fondo due figure si stavano scontrando e il resto dei Cacciatori assisteva: mi sembrava di essere capitata nel Colosseo dove i Gladiatori si battevano per compiacere il popolo.

-“ Venite, cerchiamo dei posti..”- Chris ci guidò sugli spalti alla ricerca di posti liberi. Ne trovammo quattro,un po’ distanti, e ci sedemmo: Elsie rimase accanto a me. Guardai giù, oltre gli spalti per cercare di capire chi si stava scontrando con chi. Non ci misi molto a capire: là c’era Allyson che si allenava con un altro Cacciatore. La vidi alzare il spadaccino sopra la testa e abbassarlo, ferendo al viso il mal capitato. Il ragazzo si riprese velocemente, si alzò e partì in un attacco, parata e poi di nuovo attacco. La folla sui gradoni, intanto, urlava esaltata, incitando il ragazzo a battere Allyson. Dopo dieci minuti di parate e affondi, lo scontro finì con la vittoria di Allyson: aveva trapassato il ragazzo per la spalla, lasciando la spada conficcataci dentro. Tutti subito si alzarono e applaudirono forte, ci mancavano soltanto i fiori. Scossi la testa, rimanendo seduta. Anche Elsie rimase seduta ma applaudì: la guardai malissimo e lei mi sorrise sarcastica in risposta.

-“ Vedo che a qualcuno non è piaciuto lo spettacolo.”- disse infine Allyson, guardando me. La platea si zittì all’istante, girandosi verso di me. Scossi la testa, alzando le mani, le spalle infossate.

-“ Se credi di essere più brava, vieni a farcelo vedere.”- mentre Allyson continuava a blaterale, volsi lo sguardo verso Frederick, seduto ad osservare dall’alto del suo pulpito. Tornai a guardare Allyson, mi sporsi un poco e, inclinando la testa, dissi:

-“ Non intendo battermi con te, Allyson.”-

-“ Allora sei una codarda!”- la ragazza aprì le braccia e ruotò su se stessa, osservando la folla che, in quel momento, era esplosa di nuovo in risate e applausi. Improvvisamente, tutti cominciarono a gridare il mio nome seguito da un “Battiti!” ripetuti tantissime volte. Li guardai tutti, compresi Chris e Pattie: volevano che mi battessi con quell’odiosa di Allyson.

-“ E va bene, se è quel che vuole il popolo, lo farò.”- avevo parlato con tono ironico, ma alla fine annuii e cominciai a scendere solennemente gli spalti, fino ad arrivare vicino ad Allyson: era vestita come la prima volta che l’avevo vista. La squadrai dall’alto in basso, non completamente girata verso di lei. Sorrisi maligna e mi inchinai, sempre guardandola. Poi un silenzio inquietante scese sulla folla che ci guardò ansiosi di assistere allo spettacolo. Allyson avanzò verso di me e io indietreggiai; cominciammo a girare in cerchio fissandoci; in men che non si dica Allyson mi fu sopra, attaccava senza uno schema preciso, dava sfogo alla sua forza bruta. Forse era proprio quello lo schema: disorientare l’avversario buttandocisi sopra, cercando di colpirlo. Respiravo regolarmene e tentavo di parare i suo attacchi ma ben presto mi ritrovai a ridosso dei primi spalti, quasi seduta in braccio al ragazzo che mi stava dietro. Preparai il colpo e affondai al fianco sinistro di lei, riuscendo ad aprirmi un varco; feci una capriola e mi ritrovai al centro della sala. Allyson era sparita. La potevo quasi sentire ansimare sopra di me ma preferii aspettare: un momento dopo ci fu lo spostamento d’aria, segnale per buttarsi a terra di lato. Lo feci e vidi Allyson rotolare a terra, un lungo pugnale ricurvo in mano. Alzò di scatto la testa per guardarmi e mi sembrò che quasi ringhiasse. Spalancai gli occhi e alzai una mano verso la schiena dove di solito tenevo il mio pugnale ma non lo trovai. Ero armata solo con Firestar che però era scarica, avevo usato tutti i proiettili con i miei cinque vecchi amici vampiri. Allyson ghignò e avanzò ancora, alzando il pugnale; mi sovrastava e quando lo calò sulla mia testa provai orrore, non potevo scappare, lei mi sbarrava ogni possibile via di fuga. Piegai le gambe e riuscii per un soffio ad evitare il primo colpo. Vidi il pugnale roteare di nuovo in aria e abbassarsi ancora una volta su di me. Fu un momento ma Allyson dovette aprire di poco le gambe per mantenere l’equilibrio. Ecco la mia via di fuga: mi lanciai in mezzo alle sue gambe ma fu tutto inutile. Il pugnale di Allyson cadde sulla mia caviglia e mi procurò un taglio enorme. Ritrassi la gamba ferita e, con quella ancora intatta, sparai un bel calcio sulle natiche di quell’odiosa. Mi spinsi indietro con le mani e col sedere tentando di allontanarmi: la ferita pulsava da morire e stavo perdendo tanto sangue. Vidi Allyson cadere atterra, girarsi veloce come un fulmine a guardarmi e alzarsi di nuovo. Fece roteare il pugnale nelle mani e avanzò verso di me. Senza perdere tempo mi alzai in fretta, dandole le spalle e cercando di correre verso la parete con appese le armi comuni a tutti i Cacciatori. Non ci arrivai e darle le spalle fu il più grosso errore. Un piccolo dolore dietro al collo e le gambe cedettero. Non sentii il sangue scendere, significava che Allyson mi aveva colpito con l’impugnatura della sua arma. Il mondo cominciò a diventare nero e girava. Mi faceva male la testa. Sentii la voce di Allyson che parlava.

-“La brava Carlotta si è scontrata con onore ma non poteva competere con me!”- parlava e la folla applaudiva. Beh, non tutti applaudivano. C’erano voluti parecchi minuti dopo il discorso di Allyson prima che qualcuno desse il via agli applausi. Vidi l’ombra della mia avversaria camminare in cerchio lungo il perimetro degli spalti, le braccia aperte e improvvisamente le mani cominciarono a formicolarmi. Sentii i muscoli contrarsi e mi fece così male che il dolore alla testa parve scomparire. Mi guardai le mani e vidi che la pelle al centro cominciava a ribollire. Non era una cosa vomitevole, anzi era quasi piacevole. Una calore pervase il mio corpo mentre mi guardavo; il Marchio divenne rosso fuoco, o rosso sangue, e la pelle delle mie mani sembrò spezzarsi. Sembrava come se si formassero milioni di piccoli specchietti che ruotavano su se stessi. Quello strano fenomeno cominciò a risalire tutto il mio corpo e in poco tempo mi pervase il viso e il collo. Tornai a vedere normalmente, anzi, ogni oggetto sembrava più limpido, riuscivo a vedere incisioni che non avevo mai notato prima. Anche la botta dietro al collo smise di pulsare; sentii i miei capelli che si alzavano come se toccati da mani invisibili. Il mio corpo era fasciato da vestiti diversi da quelli che avevo indossato prima: ora portavo un bustino rigido di un nero opaco sopra la pelle nuda, le braccia scoperte ma sugli avambracci i miei amati proteggi avambracci. Sentii il freddo delle lame dei piccoli pugnali sulla pelle. Mi alzai lentamente in piedi e per un attimo ebbi un capogiro ma riuscii a restare eretta. Le gambe erano coperte da pantaloni aderenti neri opachi. La ferita alla caviglia pareva essere guarita. In quel momento mi accorsi che la folla si era zittita. Rimasi a capo chino per tutto il tempo finché non sentii il peso delle due lame sulla schiena. Solo allora, dopo che il formicolio era cessato, alzai il viso e puntai gli occhi in quelli di Allyson. Subito, Chris, Pattie, Elsie e tutti gli altri Cacciatori si alzarono in piedi. Urlarono il mio nome. Allyson sembrò preoccupata, guardò la folla spaurita. Serissima, avanzai lentamente. Non la chiamai, si girò lei verso di me, deglutì e fece roteare il pugnale, piegando le gambe e la schiena. Io, in tutta risposta, incrociai le mani dietro la testa ed estrassi, sempre camminando, le lame incrociate. Le feci roteare a mia volta, una volta nelle mani. Una volta abbastanza vicino ad Allyson attaccai. Lei parò agilmente e ricominciammo a batterci, solo che però avevo io ora le redini in mano. Conducevo il ballo a mio piacere. La costrinsi in mezzo allo spiazzo e quando potevo tagliarle la testa per mettere fine alla sua esistenza ecco che lei inciampò e cadde ai miei piedi. Prima mi guardò con paura, poi con sfida. La fissa a mia volta, alzai le lame e, sempre guardandola, le abbassai su di lei. La folla sussultò. Mi alzai in posizione eretta e guardai Allyson a terra. Poi mi girai e la lasciai a terra, le lame conficcate al suolo a pochi centimetri dalla sua testa. Non l’avevo uccisa ma, Dio se l’avrei voluto fare! Camminai verso gli spalti, muovendo le spalle, accompagnata dagli applausi concitati della folla. Feci gli scalini lentamente e salii sul pulpito di Frederick. Restai in piedi vicino al suo fianco, dando la schiena alla folla.

-“ Posso andare, ora?”-

-“ Si, stanotte rimarrai qua.”- avrei voluto ribattere ma non mi importava. Battei il tacco a terra e continuai a camminare, uscendo dall’Arena.

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventottesimo ***


Quella sera restai chiusa nella mia camera nella Domus; non chiamai mio padre e non feci entrare nessuno. Mi dolevano tutte le ossa mentre il Marchio, stranamente, non pulsava. Nel giro di qualche ora l’ira che mi animava si spense e pian piano il mio corpo ricominciò a ribollire e cambiare d’abito. Durò mezz’ora e nella pazzia di quei minuti riuscii a ridere e detti un nome a quel strano fenomeno: lo associai alla muta dei serpenti, per esempio. La mia muta personale. Una volta tornata ai vestiti normali, svenni sul letto. Il giorno dopo Elsie mi assalì prima ancora che potessi svegliarmi. Passai l’intera giornata nella Domus e la mia amica mi insegnò come trattenere l’impulso di mutare: capii che ci veniva naturale mutare quando nei paraggi c’erano dei vampiri e non solo, se ci alteravamo il nostro corpo poteva benissimo dare l’inizio al mutamento; che potevo controllarlo e che potevo mutare anche solo parti indistinte del mio corpo. Elsie mi insegnò per tutta la settimana seguente come controllarlo e in poco tempo divenni abile nel farlo. Certo, se mi arrabbiavo scoppiavo ancora in mutamenti improvvisi e molto veloci: un attimo prima indossavo una t-shirt e l’attimo dopo indossavo il busto nero rigido. Il pomeriggio tardo del lunedì dopo decisi di uscire dalla Domus: non potevo resistere un attimo solo in più. Verso le sei e mezza uscii dalla mia camera e percorsi il lungo corridoio. -“ Carlotta.”- una voce mi fermò dopo solo tre metri. Mi girai verso la fonte con la fronte corrugata. Rimasi bloccata quando vidi che era stato Frederick a parlare. Mi indurii e subito portai il pugno al petto e chinai il volto. –“ Tranquilla, tranquilla. Pensavi di uscire?”- mi rialzai lentamente. -“ Si, Signore.”- risposi, portando entrambi i polsi dietro la schiena, le gambe divaricate di poco. -“ Ah. E dove pensavi di andare?”- la domanda posta con quel tono autoritario che non apparteneva a Frederick mi fece spalancare gli occhi. -“ Da nessuna parte, Signore. Pensavo solo di andare in città per prendere un po’ d’aria.”- risposi cauta. Frederick avanzò di un passo, la testa bassa. Quando la rialzò mi guardò dall’alto in basso. -“ E come pensavi di arrivarci, in città?”- non mossi i piedi, ma indietreggiai con la schiena di qualche centimetro. -“ Con la moto, Signore.”- -“ Ma la moto è di Chris, Carlotta cara.”- giusta osservazione. Dall’incidente non ci avevo più parlato con Chris. -“ Chris me la aveva affidata, Signore.”- -“ Lo so, lo so. Pensavo solo che, invece di sfruttare i mezzi dei propri compagni, potresti usare i tuoi.”- da quando ero entrata nel complesso non mi era stata assegnata nessuna macchina. Nick, all’inizio, mi aveva fatto credere che anch’io possedevo qualche BMW o una Berlina come la sua e invece niente, praticamente ero a piedi. -“ I…miei mezzi, Signore?”- Frederick si limitò ad annuire come se la cosa fosse più che ovvia. Alzai un sopraciglio e lo guardai a lungo. –“ Ma io non possiedo…dei mezzi, Signore.”- Frederick stralunò e subito dopo si ricordò di qualcosa, al ché si portò una mano sulla fronte e allungò una mano sulla mia spalla, spingendomi nel corridoio. -“ Ah, perdona questo povero vecchio, Carlotta cara. Mi sono dimenticato che giù c’è per te un regalino. Sai, ogni Cacciatore riceve la sua prima auto per la sua prima muta, come la chiami tu.”- e cominciò a parlare a ruota tanto che ad un certo punto non lo ascoltai più. Eravamo alle porte del garage sotterraneo: tutto era avvolto nel buio più totale. Entrai preceduta da Frederick: attraversammo le porte di vetro e lui allungò una mano alla parete e subito, in sequenza, le luci si accesero al nostro passaggio. Sorrisi contenta mentre sognavo sull’auto che avrei ricevuto: nella mente mi scorrevano immagini di Porche gialle, Berline, Lamborghini. Mi beai in quelle visioni. -“ Eccoci. Pronta?”- mi destai e guardai Frederick, eravamo entrati nel mio box, in un angolo riposava la moto, addossata alla parete che comunicava col box di Chris, guarda caso… In mezzo, la mia nuova auto, coperta da un velo rosso, troneggiava su di noi. Da quello che potevo vedere, l’auto aveva una forma slanciata e il tettuccio era basso, il ché stava a significare che era un’auto sportiva. -“ Si, pronta!”- annunciai e mi trattenei dal battere le mani come una bambina. Frederick si abbassò, strinse nel pugno un lembo di velo e, lentamente, scoprì la macchina. Vidi il colore della carrozzeria: nero. Beh, c’era d’aspettarselo e mi stava bene. Quando anche il muso fu completamente scoperto, mi si mozzò il fiato. La, davanti a me, lo stemma della casa produttrice mi scrutava minaccioso. -“ Qualcosa non va, Carlotta cara?”- Frederick fu preso alla sprovvista. Guardava prima me poi l’auto e ancora me, che ormai ero sull’orlo dell’iperventilazione. –“ Non…non ti piace? O è troppo? Carlotta di qualcosa! Se non ti piacciono le Ferrari posso benissimo cambiarla…”- lo fermai con un movimento della mano. Lui mi guardò sorridendo, aveva capito. Mi avvicinai alla Ferrari nera di ultima generazione e feci scorrere l’indice sulla carrozzeria. Era una macchina perfetta in tutto: aggressiva ma non troppo, assolutamente veloce, forse un po’ troppo appariscente ma in quel momento non me ne importava un fico secco. -“ E’ perfetta. Grazie Signore.”- lo ringraziai sorridendogli apertamente. -“ Sono contento.”- Frederick annuì una sola volta sorridendomi in risposta. –“ Non dovevi andare in città tu?”- chiese prima di congedarsi e sparire dietro al muro. Non riuscii a ringraziarlo ancora. Aprii la portiera e montai. I sedili in pelle erano morbidi sulla mia pelle: strinsi i pugni sul volante nero e accesi il motore. Le chiavi erano già nella toppa, mi bastò girarle che i fari si aprirono immediatamente e il motore ruggì, sciogliendomi dal capo ai piedi. Accelerai e uscii dal garage, ritrovandomi sotto il cielo nuvoloso di fine Marzo. Ero arrivata nel centro di Vancouver in meno verso le otto e mezzo, il sole era già tramontato da un pezzo: sull’autostrada avevo fatto un figurone sfogiando la mia auto nuova di zecca. Parcheggiai vicino ad un marciapiede, indossai gli occhiali da sole, anche se del sole non c’era traccia, e scesi dall’autovettura. La portiera si chiuse con un tonfo leggero e si spense dopo che ebbi premuto il tasto sulle chiavi. Quanto adoravo le chiavi automatiche. I civili che passeggiavano mi guardarono con invidia mentre mi insinuavo nella folla. Io ero semplicemente gonfia d’orgoglio. Alzai il viso al cielo mentre aspettavo di attraversare la strada: era una giornata, in tutti i sensi, magnifica. Finalmente il verde ci diede il via libera per passare: schiacciata tra un uomo sulla cinquantina e un ventenne vestito di tutto punto, compresa la ventiquattrore, avanzai. Non avevo una meta precisa, camminavo per le strade nell’attesa che qualche vetrina mi colpisse e mi inducesse ad entrare nel negozio o che qualche aroma proveniente da uno dei tanti baretti sparsi per le vie mi attirasse dentro a ingolfarmi di cibo. In pratica, non sapevo ancora cosa fare. Mi trovavo nel grande viale centrale quando una voce mi distrasse dai miei pensieri, facendomi sobbalzare. -“ Ciao.”- un lungo saluto, non sussurrato ma nemmeno urlato; pronunciato in modo che solo io potessi sentirlo. Mi girai in uno scatto e una mano mi spinse da dietro la schiena, inducendomi a continuare a camminare. Dietro di me c’era Alan. Solo per una settimane e un giorno e mezzo ero riuscita ad evitarlo! La giornata stava peggiorando. -“ Alan.”- risposi con la stessa intensità vocale. Sentii il freddo del metallo del lungo kunai che andava formandosi sul mio avambraccio. Elsie, che sia benedetta quella ragazza, mi aveva insegnato anche un piccolo trucchetto: far comparire le proprie armi, quelle a cui si è più legati, con lo stesso fenomeno della muta. -“ Come stai?”- mi chiese ancora il vampiro, continuando a camminare dietro di me e a parlarmi da sopra la spalla. Non mi girai, feci finta di non conoscerlo mentre rispondevo alla domanda. -“ Stavo meglio prima.”- riferito al fatto che ora che c’era lui le cose erano peggiorate. -“ Oh andiamo! Non metterai mica il broncio ora.”- non seppi cosa rispondere: alzai gli occhi al cielo e avanzai, allontanandomi di qualche metro. Lui mi raggiunse senza fatica. -“ Ti sono mancato in questi giorni?”- Dio si!, avrebbe voluto rispondere così una parte di me. La parte sconsiderata, scema ma…innamorata. -“ No.”- rispose invece la parte di me ragionevole, attenta, intelligente e si…innamorata. Sentii Alan annuire. -“ Sicura, sicura?”- continuò. -“ Dio santo! Cosa vuoi da me?”- resistetti all’impulso di urlarglielo. Un anziano signore ci guardò male, prima di allontanarsi con la nipotina. Strinsi i pugni e accelerai. -“ Niente che tu non possa darmi.”- ero sicura di aver sentito male. Scossi la testa e allungai una mano dietro la schiena per stringere il suo polso e allontanare il suo palmo dalla mia schiena. –“ Sento che mi desideri, Caco.”- un lungo brivido mi scese giù per la schiena, facendomi drizzare tutti i peli del corpo. Mi tremarono le mani e la testa divenne pesante: un’immagine si sviluppò dentro la mia mente… Alan solo per me, disteso sul mio letto… Ritirai la mano e mi massaggiai le meningi, stringendo gli occhi. La folla di persone divenne molto più soffocante. -“ Smettila. Smettila subito.”- riuscii infine a sussurrare, piegata su me stessa nel tentativo di mettere a freno quel lungo brivido freddo e tutta quella serie di immagini scandalose. -“ Cosa? Io non sto facendo niente. Non reprimere i tuoi sentimenti, Caco.”- sollevai la testa, tornando in posizione perfettamente eretta. Ero ancora davanti a lui. Sentii che allungava le mani e un attimo dopo mi ritrovai stretta nella sua morsa, abbracciata da dietro le spalle. Scansandomi riuscii a girarmi e a constatare che nessun civile ci aveva notati. Alzai i pugni sul suo petto e tentai di allontanarlo ma lui strinse ancor di più l’abbraccio, abbassando il suo volto sul mio. Mi ritrassi cercando un’altra via di fuga scivolando da sotto le sue braccia ma fu tutto invano. Mossi allora il polso destro e l’elsa del kunai nero dalla forma triangolare allungata scivolò nel mio palmo. Veloce, lo alzai a formare un angolo retto contro la gola del vampiro, guardandolo con il respiro accelerato. Mi sorrise lasciando intravedere solo la punta delle zanne: se cercava di sedurmi in quel modo sicuro come l’inferno che gli avrei procurato il passaporto per l’aldilà. La mia testa e la sua, vicine a tal punto che chiunque avrebbe creduto che ci stessimo baciando, nascondevano la mia arma e le sue zanne. -“ Se ti avvicini ancora di un solo centimetro, giuro che ti stacco la testa. Qui, davanti a tutti!”- dissi a denti stretti mentre lui si abbassava ancora, sfiorando con la sua fronte la mia. Aumentai la pressione sul collo. -“ Stai puntando nella direzione sbagliata e poi, non lo faresti mai.”- rispose lui tranquillo. Il suo odore accarezzò le mie guance: sapeva di vento del Nord ma non solo, aveva qualcosa di glaciale e esotico allo stesso tempo. -“ Tu dici?”- feci pressione e la lama affilata intinta nell’argento spaccò la perfezione del suo collo in una sottile striscia cremisi. Una volata di vento ci scompigliò i capelli e lo sentii grugnire mentre stringeva la presa della sua mano sulla mia giacca. Ritirai di poco la lama per poter vedere il sangue coagulare e ritirarsi dentro la pelle mentre quest’ultima si ricomponeva riportando la perfezione su quel collo bianco. Ansimai. In quel preciso istante un passante, senza volerlo, ci urtò, dividendoci. Ecco la mia via di fuga. -“ Scusatemi!”- ci urlò dietro il signore, continuando a camminare. Non aspettai altro, feci scivolare il pugnale sotto la giacca e mi girai, camminando il più velocemente possibile. Al semaforo non aspettai il verde e mi lanciai in mezzo alla strada tra una pausa e l’altra delle auto. Svoltai a sinistra e continuai lungo il marciapiede, voltandomi per vedere se l’avevo seminato. A quanto pareva non mi inseguiva più. Ma parlai troppo presto e prima che potessi rigirarmi verso il senso della marcia due forti mani mi strinsero i pugni, fermandomi prima che potessi andare a sbattere contro la figura che mi sovrastava di qualche centimetro. Ancora lui! -“ Sei persistente, eh?”- dissi con tono ironico liberandomi dalla sua presa e spingendolo, per quanto il suo essere una montagna di muscoli mi permetteva, al petto. Lo superai e cercai di evitarlo ma lui continuò a seguirmi. -“ Sempre. E poi mi hanno detto che se ti faccio esasperare, prima o poi tu cederai. Un po’ come coi capricci.”- Mi fermai a guardarlo. -“ Bene! Mi hai esasperato, okay? Ma non credere che cederò. Semplicemente ti mando a…”- praticamente urlai e prima che potessi finire la frase, una sua mano si posò sulla mia bocca, soffocando l’insulto. -“ No, no, no. Queste cose non si dicono Carlotta.”- mi rimproverò con fare giocoso, come se fosse mia madre. Pensai seriamente di morderli la mano ma poi contai anche i danni che avrei potuto ricavarne io: d'altronde, che succederebbe se azzannassi un pietrisco millenario? Alzai gli occhi al cielo e tentai di liberarmi ma il suo braccio era inamovibile. Alan si guardò attorno borbottando nomi di caffè e bar, leggendo anche le insegne sparse per ambo i due lati della via. Mossi la testa e mi staccai dalla sua mano. -“ Ma tu non dovresti bruciare alla luce del Sole?”- allungai l’ultima parola perché inaspettatamente lui mi aveva preso per il gomito e mi aveva trascinato in mezzo alla strada, attraversando di corsa: mi stava letteralmente tirando, facendomi sbatacchiare tra le persone che passeggiavano solo per arrivare davanti all’insegna di un bar all’angolo: l’interno era desolato, solo tre cameriere dietro al bancone e un omaccione alla cassa. I mobili, però, erano molto carini. Alan aprì la porta e mi trascinò dentro, allentando la presa sul mio gomito. -“ Dovrei si, ma ti faccio presente che sono le dieci di sera appena passate. Significa, quindi, che il Sole è calato da un pezzo.”- scossi la testa, abbassando lo sguardo. Erano le dieci di sera appena inoltrate… Quanto veloce passava il tempo… Solo allora mi resi conto che quella sera era una sera importante: si votava fino a tardi, per le candidature a Presidente degli Stati Uniti d’America. Come avevo fatto a dimenticarlo? Ecco spiegata la folla di persone. –“ Vieni.”- mi incitò Alan, facendo scorrere le sue dita dal gomito fino alla mano e intrecciando le sue dita alle mie. -“ No…”- sussurrai, ritirando la mano. Feci per andarmene e Alan, stranamente, non mi fermò. Fuori dal bar, al buio, cercai di ritrovare il respiro. Non potevo farlo. Non potevo certo rimanere con un vampiro per tutta la notte. O invece si che puoi, mi sussurrò una vocina interiore. -“ Signore, se vuole prendere qualcosa la ordini subito o esca. Stiamo per chiudere.”- la voce baritonale dell’uomo si sentiva anche fuori dal bar. Sentivo lo sguardo penetrante di Alan sulla mia schiena: scostai una ciocca di capelli e mi allontanai maledicendo chi mi aveva fatto tutto questo. Ma porca miseria, perché proprio io dovevo innamorarmi di un vampiro! Camminai lungo il marciapiede e, ancora una volta, Alan mi raggiunse. Alzai lo sguardo di nuovo e me lo ritrovai al fianco. -“ Perché continui a respingermi…?”- cosa si risponde ad un vampiro bello come il sole, che ti perseguita perché prova qualcosa per te, che però devi respingere perché la tua natura è uccidere i suoi simili? Non ci sono libri che ti spiegano come comportarti in certe situazioni… Lo guardai bene per la prima volta e mi persi nei suoi occhi azzurri come il mare in tempesta, che molte volte avevo visto diventare rossi, neri, a fessura… i capelli spettinati, color del bronzo, riccioluti e gonfi che cadevano su un viso perfetto e spigoloso. Sospirai mentre mi allontanavo di un passo e scendevo dal marciapiede: lui restò immobile, fissandomi con una supplica negli occhi. Ero sicura che c’era la stessa supplica anche nei miei. Mossi la testa. -“ Smettila di seguirmi, Alan. Non dovremmo vederci mai più e sono sicura che capisci il perché. Perché sei venuto oggi? Per sciogliermi e abbattere ogni muro?”- scossi ancora la testa, abbassandola. –“ Beh, ti dirò quello che volevi sentirti dire: è vero, mi piaci e si, forse più del lecito ma non possiamo vederci. Mai più. Io e te non possiamo stare assieme ne mai potremo. Alan, credimi: è meglio per tutti e due se questa … storia… finisce ora, ancora prima che cominci.”- finii tutto velocemente. Quanto sembrava smielato, quanto odiavo quella scena eppure andava fatto, andava detto. Alan ed io esistevamo solo per ucciderci a vicenda. Quello era il nostro unico scopo. Non poteva essere altrimenti. Alzai la testa e lo guardai: non volevo piangere anche perché quante volte lo avevo visto? Due, tre? Eppure mi ero innamorata. Tutto sembrava così…sbagliato, non giusto, fuori posto. -“ Io non voglio arrendermi. Non sono come i miei fratelli e scommetto che nemmeno tu sei uguale ai tuoi. Possiamo farcela. Voglio farcela. Proviamoci per qualche giorno e vediamo come và: se la cosa diventasse ingestibile, taglieremo i ponti. Ti prego Caco…”- un lacrimone mi offuscò la vista per qualche secondo, poi mi pulii la guancia con una mano. Alternavo lo sguardo tra gli occhi di Alan e qualcosa di indistinto dietro la sua nuca, senza sapere cosa dire. In un baleno Alan mi fu vicinissimo e prima ancora che potessi tirarmi indietro mi prese il mento e me lo alzò: ci guardammo e poi lui, veloce, si chinò su di me baciandomi. Non me ne resi subito conto e quella volta non opposi resistenza: ero stanca di lottare e mi sciolsi, ricambiando il bacio.

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Capitolo 30
*** Capitolo Ventinovesimo - Promo ***


Ciao a tutti!! Prima di tutto mi scuso per aver fatto un'introduzione alla vera storia moltooooo lunga xPxP Punto secondo. Quando ho pubblicato la storia ho messo il raiting verde...avrei dovuto metterlo rosso. Sono spiacente xPxP e capirete perché solo leggendo avanti. Beh, che dire, buona continuazione xP

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Capitolo 31
*** Capitolo Ventinovesimo ***


 

Mi staccai dalle sue labbra così morbide e sensuali e lo guardai, scuotendo la testa. Osservai la via alla nostra destra rimuginando sull’andarmene o restare. Volsi di nuovo la testa verso Alan e sospirai, abbandonandomi ad un altro lungo bacio. I nostri corpi si sfiorarono e fu allora che smettemmo di baciarci ma ci stringemmo in un forte abbraccio. Quella stessa sera decidemmo che ci saremmo dati due settimane, due settimane nelle quali ci saremmo comportati come due amanti, senza dare ovviamente troppo nell’occhio. All’inizio della terza ci sarebbe stato il verdetto.

Davanti alla mia Ferrari ci salutammo, ancora impacciati e goffi. Dopo mezz’ora mi ritrovai così sulla strada per la Domus ma un pensiero mi colse improvviso: se entravo la dentro con addosso il profumo di Alan, odore di vampiro, sarebbe potuto scoppiare un putiferio. Certo, avrebbero potuto pensare che avessi avuto a che fare con qualche vampiro durante la mia passeggiata ma era meglio non correre rischi. Svoltai a destra e tornai indietro, sulla strada di casa. Il piccolo giardinetto si stagliò davanti a me dopo soli venti minuti e fu allora che pensai a cosa avrei detto a mio padre se mi avesse visto arrivare con una Ferrari nuova di zecca, della generazione non ancora sul mercato. Scossi la testa, gli occhi rivolti al cielo mentre scendevo e chiudevo la portiera. Estrassi le chiavi e le girai nella toppa. L’entrata era al buio ma una luce proveniva dal salotto: lasciai il mazzo di chiavi nel piatto sulla cassapanca nell’atrio e mi diressi verso la fonte, scoprendomi della giacca. La televisione era accesa su un canale sportivo, mio padre ronfafa sulla poltrona di fronte, il telecomando in una mano. Lo guardai sorridendo. Appoggiai una mano su una sua spalla e lo scossi, chiamandolo. Mason si svegliò di soprassalto chiudendo con uno scatto la televisione e solo dopo si girò verso di me.

-“ Uhmm… ciao cucciola.”- mi salutò strofinandosi gli occhi.

-“ Ciao papà. Andiamo a letto, ti va?”- lui annuì in risposta e si alzò. Assieme facemmo le scale e lo accompagnai fin dentro camera sua. Mason si accasciò sul letto ricominciando immediatamente a russare. Gli sfilai le ciabatte e lo avvolsi nella coperta, uscendo poi dalla stanza, chiudendo la porta. Solo allora entrai in camera mia. Chiusi la porta e accesi la luce. Mi avviai al grande specchio vicino all’armadio e mi sciolsi i lacci della fondina, buttando ai piedi del letto la Browning e feci lo stesso con i proteggi avambracci e i due kunai che avevo ai polsi. Una parte della mia mente mi disse che avrei potuto cambiarmi, mutando i miei vestiti ma non ci avevo pensato prima. Mi tolsi anche i pantaloni e indossai il pigiama. Una piccola sosta in bagno e mi tuffai anch’io sul letto, avvolgendomi nelle coperte. E pensai. Pensai al fatto che a soli sedici anni, ormai quasi diciassette, mi ritrovavo con uno spasimante vampiro e che, a soli sedici anni gli uccidevo, i vampiri. Chiusi gli occhi e mi girai dall’altra parte, sprofondando nel buio.

 

 

Mi svegliai un minuto prima che la sveglia suonasse: 6.59. Dio. Lentamente scesi dal letto e mi presi la testa tra le mani. La sveglia suonò e con un ringhio rabbioso mi ci buttai sopra per spegnerla. Mi toccava pure andare a scuola. Corsi in bagno e mi lavai il viso con l’acqua fredda, nella speranza di riuscire a svegliarmi ma fu tutto inutile. In stato catatonico mi vestii con le prime cose che trovai senza dimenticarmi, almeno quello, i pugnali. Non portavo mai la pistola a scuola. Presi lo zaino e scesi in cucina. Mio padre, ancora una volta, era uscito prima di me. Feci colazione velocemente, rischiando di soffocarmi con i cereali; l’orologio in alto sulla parete segnava minaccioso le 7.40.

-“ Umf… Che schifo.”- mi complimentai da sola per il ritardo. Improvvisamente da fuori risuonò un clacson. Scostai le tendine del salotto e vidi che davanti a casa mia troneggiava una Berlina nera. I vetri oscurati non mi permettevano di capire chi fosse l’autista. Mi avviai all’uscita, presi lo zaino e la giacca e fui fuori.

Mentre chiudevo sentii che una portiera dell’auto sconosciuta si apriva. Mi girai e non guardai subito chi stesse scendendo. Uno strano presentimento…

-“ Caco! Buongiorno!”- Nick?!?

-“ Nick? Che ci fai tu qua?”- mi avvicinai ala macchina e guardai il ragazzo vestito con indumenti semplici, casual.

-“ Anch’io sono felice che tu sia bene, Caco.”- disse. Alzai gli occhi al cielo avvicinandomi ancora. –“ Mi pare ovvio, comunque: ti do un passaggio.”- ammiccò.

-“ Dato che non te ne sei accorto, ora anch’io ho un auto…”- dissi, volgendo una mano a indicare dietro di me, verso la Ferrari nera.

-“ Si lo so. Ma pensavo che ti avrebbe fatto piacere.”- scossi la testa guardandolo con ovvietà nello sguardo.

-“ A che scopo, scusa? Ti ringrazio per il pensiero ma penso che…”- mi fermò, parlandomi sopra.

-“ Ah, okay.”- disse con lo sguardo mogio. Se puntava ai miei sentimenti, fingendo di esserci rimasto male e magari facendomi gli occhioni, beh, si sbagliava.

-“ Smettila con questa messinscena, Nick. Sono in ritardo e non ho…”- qualcun altro mi fermò, parlandomi sopra. Un'altra voce maschile.

-“ Carlotta Milo.”- mi girai e vidi un Peter guardarmi sorridendo, una mano appoggiata alla carrozzeria dell’auto. Pensai che stesse per dirmi “ da quanto tempo! Come stai?” o cose del genere ma cantai vittoria troppo presto. –“ Posso portare fuori questa bellezza?”- tamburellò con le dita sulla superficie nera tirata a lucido. Alzai gli occhi al cielo ma il mio viso si era ormai già aperto in un sorriso di benvenuto. Gli corsi in contro e lo abbracciai stretto, ricambiata.

-“ La portiamo fuori assieme.”- gli sussurrai all’orecchio mentre mi staccavo dal suo petto e entravo in macchina, al posto del passeggero. Peter era sempre Peter, e poi se fosse stato lui il proprietario di una Ferrari come la mia, avrei voluto guidare io. Non mi preoccupai di salutare Nick e feci segno al vampiro di montare in auto. Peter fu velocissimo, un attimo prima era fuori e l’attimo dopo era seduto sul sedile, legato e le mani strette sul manubrio. Gli lanciai le chiavi e lui mise in moto: in poco tempo ci ritrovammo sull’autostrada, destinazione scuola.

-“ Sono contento che, anche dopo tutto quello che ti è capitato, tu continui a volermi bene.”- proferì Peter, dopo alcuni minuti di silenzio nel quale assaporammo il silenzioso ronzio del motore.

-“ Nah, tranquillo Pet, rimarrai sempre il mio zietto-non-morto preferito.”- gli sorrisi: non era mio zio, ma era assolutamente un non-morto-vivente a cui volevo bene.

-“ Già. E poi c’è una cosa ancora più strabiliante: non hai ancora tentato di uccidermi!”- e scoppiò in una fragorosa risata. Avrei voluto unirmi a lui ma il ricordo di una sera di tanti giorni prima mi colpì inaspettatamente: Frederick , Mason e Peter mi avevano spiegato che noi Cacciatori non avremmo ucciso Peter perché quest’ultimo aveva chiesto alla nostra generazione, dopo essere scappato da Enim e tutti i suoi sottomessi, protezione, tanti anni addietro. Improvvisamente mi chiese che ruolo giocasse Alan in tutta quella faccenda dell’Unico.

-“ Ehi, ci sei ancora?”- Peter mi destò dai miei pensieri.

-“ Si,si, scusa. Stavi dicendo?”- il profilo imminente dell’edificio scolastico si innalzò davanti ai nostri occhi.

-“ Se potevi lasciarmi la macchina per l’intera mattina…poi magari ti vengo anche a prendere.”- entrammo nel parcheggio, seguiti dalla Berlina di Nick. Scendemmo e Peter mi si avvicinò.

-“ Va bene, te la lascio ma sta attento! Un solo graffietto e sei morto.”- lo avvertii, ammiccando.

-“ Starò più che attento. Grazie.”- sussurrò. In quell’istante suonò il campanello e mi vidi costretta a correre verso l’aula. Con la coda dell’occhio vidi Nick scendere dalla sua vettura e avanzare nella mia stessa direzione. Salutai velocemente Peter e corsi nella scuola.

 

La mattinata passò in fretta e ben presto mi ritrovai sotto i portici dell’edificio a salutare Terry, Robert e tutti gli altri. Rombando, una Ferrari nera entrò nel parcheggio. Sorrisi. Li salutai e corsi verso l’auto seguita dalle loro facce sbalordite. Salii e mi lasciai riportare a casa: per tutta la mattina avevo pensato solo ad Alan arrivando anche a considerarmi una scema.

-“ Allora, com’è andato il tuo giretto con la mia nuova macchina?”- chiesi mentre salivo le scale di casa verso camera

-“ Fantastico! Grazie ancora di avermela imprestata.”- Peter mi agguantò veloce e mi strinse in un abbraccio così forte che non mi sarei stupita se gli occhi mi fossero caduti dalle orbite.

-“ Si…si, okay, Pet…. Molla l’osso! A cuccia!”- gli urlai in suoni strozzati non potendo evitare di mettermi a ridere. Abbracciati così finimmo sul mio letto. Riuscii in una frazione di secondo a tirargli una gomitata nelle costole ma finii solo per farmi male da sola. Comunque Peter recepì il messaggio e mi lasciò andare. Il pranzo, che poco prima avevo ingerito, si agitò dentro la mia pancia.

-“ Sono le quattro, non devi andare alla Domus?”-

-“ Sono le quattro, non dovresti essere già polvere ai miei piedi?”- chiesi acida. Tanto sapevo che Peter non si sarebbe arrabbiato. Ero di fronte al grande specchio posto vicino al mio armadio, e lo sguardo che rivolsi al vampiro fu di pura e semplice curiosità. Si, come no.

Il suo sguardo si indurì, le iridi si espansero riducendo ad una piccola circonferenza il resto del verde delle sue pupille. Mi mise paura e, istintivamente, la mia mano corse all’elsa del pugnale che portavo alla cintura.

-“ Peter…?”- chiesi sussurrando, stringendo la presa e sguainando il pugnale di qualche centimetro. Lentamente le sue pupille tornarono normali. Beh, quasi normali.

-“ Tranquilla, è tutto apposto. Mi dispiace.”- sospirai e rinfoderai il pugnale, senza lasciare però la presa. –“ Vedi, non brucio per… due motivi.”- e girò la testa in modo che io non potessi guardarlo negli occhi. –“ Il primo è perché sono relativamente giovane, e i giovani come me non bruciano tanto velocemente quanto gli anziani.”- lo sentii sorridere. –“ Andiamo, ho solo cinquanta due anni. Potrei dire che quasi non brucio.”- rise per poco, alzando e abbassando le spalle. –“ Il secondo motivo e che mi nutro molto spesso. Più spesso del dovuto.”- le mie nocche divennero bianche.

-“ Cosa?”- Mi avvicinai fulminea estraendo ancora il pugnale senza però sfoderandolo del tutto.

-“ Calma. Non uccido gente. Ho provato a seguire il consiglio di Frederick ma sai che non è mai abbastanza il sangue animale. Ti prego Caco!”- ora avevo sguainato davvero il pugnale e Peter, sebbene fosse un vampiro, indietreggiò all’istante con la schiena. Ansimava e io fremevo.

-“ Quindi hai ritenuto opportuno ricominciare ad uccidere gente! Ma come ti permetti di entrare in casa mia!”- strillai.

-“ No! Non uccido la gente! Semplicemente seduco le mie prede e bevo da loro, senza ucciderle però!”- quell’ultima rivelazione mi lasciò perplessa. Abbassai il pugnale guardandolo senza capire. –“ Si, ecco, abbassa quell’arma.”- ansimava.

-“ Spiegati.”- lui mi guardò male, scuotendo la testa.

-“ Non te lo hanno detto? Sai che possiamo influenzare le vostre menti con solo la forza del pensiero, vero?”- annuii. Quel pezzo me lo ricordavo.

-“ Ecco, bene. Possiamo indurvi a fare cose che non volete fare, possiamo dirvi cosa dovete dire e cosa dovete pensare e possiamo anche privarvi del libero arbitrio. Senza dimenticarsi dell’occultazione di certi ricordi.”- finì tutto in un secondo, senza lasciarmi parlare. –“ Quindi io seduco una donna, bevo da lei, cancello la memoria e il gioco è fatto. Io sono sazio, lei è viva e entrambi abbiamo la coscienza pulita…”- sussurrò infine. Rinfoderai il pugnale e lo guardai. Una domanda nacque sulle mie labbra ma lui mi fermò prima che potessi proferire parola. –“ No, tu e i tuoi simili siete in un certo qual senso immuni a questo. Gli unici momenti nei quali un qualunque vampiro potrebbe entrarvi nella testa e comandarvi sono pochi: se siete malati, feriti gravemente, in punta di morte o nei momenti di grande estasi. Quando, in pratica, non siete abbastanza forti per resisterci.”- sospirai e mi lasciai cadere sul letto. Avevo perso tutta la voglia per un possibile scontro. Una mano di Peter si posò sulla mia schiena. Restammo così per qualche minuto. –“ Tutto apposto?”- chiese lentamente, abbassandosi per guardarmi. Si poteva dire che fossi caduta in uno stato di shock, avevo gli occhi sbarrati e respiravo appena. –“ Caco…?”- Peter mi scosse le spalle cercando di riportarmi in vita. Battei le palpebre e tornai sulla Terra, alzando lo sguardo.

-“ Sto bene. Sono solo… shockata.”- dissi per rassicurarlo.-“ Oggi non ho voglia di andare alla Domus, me ne starò qua a casa.”- sospirai.

-“ Va bene…”- ormai nell’aria c’era qualcosa di diverso, qualcosa di pesante. Non riuscivo a respirare. Aprii la finestra e inspirai a fondo. Peter rimase sul letto. –“ Mi dispiace Caco… Non pensavo di…”-

-“ E’ tutto okay, Pet. Però ora, se non ti dispiace, vorrei rimanere sola.”- lo interruppi, parlandogli sopra. Sospirai e mi girai a guardarlo, sorridente. –“ Se vuoi, puoi scorrazzare ancora un po’ con la mia mitica Ferrari.”- una parte della mia mente riteneva ancora impossibile che Carlotta Milo possedesse una Ferrari, ma non me ne preoccupai minimamente. Quello che rivolsi a Peter era un sorriso per metà sincero e per la restante metà falso e il vampiro lo capì, rivolgendomi un sorriso identico mentre mi si avvicinava.

-“ E’ un modo più che cordiale di mandarmi via.”- mi abbracciò e io ricambiai, parlandogli vicino all’orecchio.

-“ Và Pet, mi riporterai l’auto più tardi o domani. Lasciami sola, ora.”- ci staccammo.

-“ Come vuoi…”- lo seguii giù per le scale, accompagnandolo fino alla porta: presi la sua giacca dall’attaccapanni e gliela porsi. Un ultimo sorriso, un ultimo sguardo e Peter fu fuori. Dalle tendine del salotto lo guardai accendere il motore e sgommare via. Scossi la testa e mi diressi verso la cucina ma neanche dieci minuti dopo suonarono alla porta.

Corsi e accolsi mio padre e tutti i suoi tubi di pelle rossa che contenevano i suoi progetti: me ne scaraventò alcuni addosso.

-“ Caio tesoro. Scusami…”- allungò la frase mentre mi finirono addosso gli ultimi tubi: per poco non cadevo. Lanciai i progetti sul tavolino là vicino e, sfinita, chiusi la porta.

-“ Papà.”- riuscii infine a dire. Lo seguii nel salotto: non si era tolto la giacca e stava cercando disperatamente qualcosa. –“ Ehm… che fai?”-

-“ No, niente. Sto solo cercando… uhm, ma dove diavolo…?”- parlottava mentre alzava cuscini e piatti alla ricerca di non si sa cosa.

-“ Se mi dici che cerchi, potrei anche aiutarti, che dici?”-

-“ Ma si dai…. Quello schizzo che devo consegnare… quello per il signor Carmichael! Dove diavolo si è cacciato?”- borbottava senza smetterla. Non mi ricordai del Mr. Carmichael ma mi ricordai del bozzetto sul tavolo all’entrata.

-“ Magari è quello sul tavolino di là?”- non appena lo dissi mio padre scattò in quella direzione. Trovò quello che cercava e mentre borbottava sconclusionatamente delle frasi tipo “ Mi dispiace. Mi farò perdonare… Ti voglio bene…” uscì in tutta fretta. La porta sbatté e io rimasi là immobile. Mentre mi avvicinavo alle scale ecco che suonò ancora il campanello. Alzai gli occhi mentre aprivo e mio padre tornava ad entrare.

-“ Dimenticato qualcos’altro…?”- chiesi sottovoce, seguendo con lo sguardo le sue mosse. Mi sorrise e prese tutti i tubi rossi, si avvicinò all’uscita e prima di richiudere prese un ombrello là vicino. Lo alzò a salutarmi e fui finalmente sola in casa.

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Capitolo 32
*** Capitolo Trentesimo ***


Passai l’intero pomeriggio da sola, andando su e giù tra la mia camera e la cucina, senza sapere cosa fare. Scrissi a mio padre, verso l’ora di cena, chiedendogli se sarebbe tornato ma l’unica risposta che ricevetti fu un “ Scusa tesoro, mi hanno assegnato un lavoro giù a Seattle. Ci rimarrò per qualche giorno, una settimana al massimo. So che ora mi starai maledicendo in tutti i modi possibili, hai ragione, non sono un buon padre. Spero che mi capirai e perdonerai. Ti voglio bene, ti chiamo domani. Ciao tesoro!”. Gli risposi che andava tutto bene, che anche se i giorni che era fuori città per lavoro erano più di quelli che stava a casa, gli volevo bene lo stesso. Ma non potevo negare che molte volte lo avrei voluto a casa. Scossi la testa e eliminai quel pensiero.

Sazia, decisi che quella sera avrei guardato un po’ di tv. Il cellulare posato sul ripiano della cucina attirò la mia attenzione. Non capii subito perché poi un tuono squassò i vetri di casa mia e subito dopo, qualcuno bussò alla porta. M’irrigidii. Chi poteva essere a quell’ora? Andai verso la porta e mi ritrovai a litigare con la catenella che non si voleva aprire. Urlai alla persona dall’altra parte di aspettare un attimo ma non ricevetti risposta. Infine, riuscii a spalancare la porta e quello che vidi mi fece rimanere a bocca aperta. Sotto il portico di casa mia, coi capelli arruffati dall’acqua, gli occhi luccicanti e coi capi bagnati c’era Alan. Restai la a guardarlo immobile: mi ero completamente dimenticata di lui, completamente!

-“ Mi lasci entrare o restiamo a fissarci negli occhi per tutta la notte?”- Alan si sporse in avanti, inondando tutto il mio campo visivo. Mi riscossi.

-“ Oh… Ehm, si, cioè no…”- sospirai e respirai a fondo. –“ Ti prego, entra.”- mi feci da parte e lo lasciai entrare.

Alan entrò e si guardò attorno, infilandosi una mano fra i capelli e ravvivandoli e il risultato finale fu ottimo. Si tolse la giacca mentre si girava a guardarmi. Sospirò.

-“ Ciao.”- alzò un sopraciglio. Gli presi la giacca dalle mani e sorrisi.

-“ Ciao.”- risposi abbassando la testa e oltrepassandolo. –“ Come va?”- chiesi prima di lui, sogghignando.

-“ Bene, bene.”- si unì al mio sogghigno pure lui. Entrai nella cucina e appesi la giacca allo schienale di una sedia. Erano le nove e io non avevo appena finito di mangiare. Gli diedi le spalle e riposi i piatti nel lavabo. Quando mi rigirai e me lo trovai vicinissimo, avrei potuto sollevare una mano e lo avrei sfiorato sicuramente. Indossava una maglia aderente che, con l’acqua, gli si era appiccicata addosso ancora di più facendo risaltare i muscoli del petto: in alcuni punti la maglia era così bagnata che era praticamente diventata trasparente. Deglutii mentre mi si avvicinava ancora di più. Appoggiò le mani al piano intrappolandomi; i pantaloni, dei jeans scuri, erano bagnati solo ai lati e ai piedi. Sembrava che avesse corso per arrivare da me. Alzai un sopraciglio.

-“ Ehi! Come facevi a sapere dove abito?”- chiesi mentre mi si avvicinava ancora. Una goccia d’acqua gli gocciolò da una ciocca di capelli e scese lenta sulla sua guancia perfetta. I suoi occhi mi catturarono e qualcosa alla base della mia pancia si agitò. Tutto sembrava svolgersi al rallentatore. Alan si abbassò su di me e incontrò le mie labbra che baciò. Ricambiai. Il corpo di Alan si avvicinò ancora; appoggiai le mani sulle sue spalle possenti e le feci scorrere fino ai fianchi, assaporando quel momento. Poi la parte razionale di me avviò la creazione di un lungo pugnale d’argento col quale punzecchiai il fianco sinistro del vampiro, staccandomi dalle sue labbra. –“ Rispondimi…”- gli dissi ancora inebriata dal bacio, gli occhi socchiusi.

-“ Uhm…”- Alan aveva ripreso il pieno controllo di se e ora, sempre vicino, mi guardava dall’alto in basso.

-“ Allora?”- veloce, la mano del vampiro mi prese il polso che impugnava l’arma e mi tolse il pugnale. Si avvicinò ancora ma portai subito una mano in avanti all’altezza del suo petto, avviando veloce una seconda creazione di un secondo pugnale più piccolo. Sorrisi, gli occhi divertiti. Anche Alan sorrise e cercò di nuovo di liberarmi dall’arma. Lo lasciai fare e, per la seconda volta, il pugnale cadde a terra. Abbracciai Alan dietro la vita e mi girai con un colpo di reni: ci eravamo scambiati i posti, prima lui davanti a me, ora io davanti a lui. Lo guardai divertita e portai entrambe le mani sul suo collo mentre impugnavo altri due kunai neri.

-“ Sei proprio impossibile, ah?”- disse Alan, prendendomi per i polsi, togliendomi le armi. Mi spinse sulla sedia dietro di me. Mi guardò sorridente. –“ Ho semplicemente seguito il tuo odore fin qua. A proposito, di chi è quest’odore? Un altro vampiro è stato qua. Chi?”- faceva il geloso? Alzai gli occhi al cielo.

-“ Peter.”- risposi dandogli le spalle.

-“ Quel Peter? Il Peter che ci ha traditi?”- aveva lasciato il suo posto per sedersi accanto a me e guardarmi in volto.

-“ Si.”- risposi arrogante. Allora lui alzò il mento e spostò lo sguardo sulla parete. Restammo per un po’ in silenzio e in quei minuti mi concentrai fortemente sulle quattro armi a terra. Le reclamai e potei quasi vederle dissolversi sul pavimento. Alan era ancora con lo sguardo fisso sulla parete. Non servii chiamarlo, si destò da solo.

-“ Come lo conosci?”-

-“ Amico di famiglia. Tu, invece?”- mi guardò come se fosse una cosa ovvia. Il Marchio pulsava nella mia mano. Me lo massaggiai.

-“ Noi vampiri del Consiglio ci conosciamo a vicenda.”-

-“ Ah. Peter aveva a che fare con … Enim?”- chiesi aspettando ansiosa una risposta.

-“ Si.”- scosse la testa. –“ Lo chiamate sempre con quel nome…”- sospirò.

-“ Come, scusa?”-

-“ Enim, intendo. Lo chiamate sempre così. Quello non è il suo vero nome; in verità si chiama Howard, solo che le leggende lo hanno tramandato come Enim.”- mi guardò.

-“ Ne sai abbastanza, eh? Che ruolo giochi tu, in tutto questo?”- chiesi abbassando il volto verso di lui.

-“ Io? Io sono solo uno dei tanti recenti, non ho un ruolo decisivo se non quello di girare di città in città cercando di depistarvi, voi Cacciatori, e magari di uccidervi. Ma tranquilla, non tengo fede ai miei doveri da tempo…”- sussurrò in fine. Lo guardai abbassare gli occhi, stringerli e scuotere la testa. Salii sul tavolo e mi sedetti di fronte a lui. Gli accarezzai il mento e, con tutte e due le mani, gli alzai il volto, costringendolo a guardarmi.

-“ Dimmi perché…”- sussurrai. Alan sospirò. Alzò i suoi occhi su di me e mi sciolsi completamente: era di un blu più chiaro dell’ultima volta che gli avevo visti.

-“ Perché… molto tempo fa… Vuoi sentirlo davvero?”- annuii –“ Bene. Molto tempo fa, all’epoca delle grandi Rivoluzioni, incontrai una coppia di genitori Cacciatori. Quella notte di Luglio io ero affamato, non mi nutrivo da una settimana, circa, e mi imbattei in quella coppia che correva per le strade di Londra. Oh si, sono stato a Londra.”- si fermò, piegando la testa e appoggiando la sua guancia sulla mia mano, socchiudendo gli occhi. Poi continuò. –“ Stavano scappando, portavano il loro figlio via dalla città, lontano dal disordine generale. Li costrinsi in un vicolo cieco, l’uomo tentò di uccidermi. Fu il primo a morire. Mi saziai davanti agli occhi della moglie e del figlio, senza pietà. Il pianto strozzato della donna mi staccò dalla mia prima preda. Ormai ero assuefatto dal sangue: ne volevo ancora. Mi avventai sulla donna e la uccisi in un batter d’occhio: ancora mi ricordo il viso del bambino straziato dal pianto causato dalla caduta. Lo avevo strappato dal petto della madre e lo avevo lanciato in fondo al vicolo.”- scosse la testa e non potei fare a meno di ritirare la mano dal suo viso, stringendo il pugno. Il Marchio pulsava ma Alan continuò con il suo racconto. –“ Una volta sfamato, la parte razionale di me tornò. Mi resi conto di quell’inferno… Il bambino era ancora là, fasciato nel suo lenzuolo bianco che pian piano si stava macchiando di rosso. Non resistetti e scappai, il più lontano possibile.”- alzò il viso e mi guardò. Io non sapevo cosa dire, cosa fare. –“ Il suo sguardo spento mi ha perseguitato per anni.”- girò la testa.

-“ Ho capito. Grazie…”- riuscii infine a dire. Lui si voltò e sorrise; mi prese la mano destra e la tenne tra le sue.

-“ Di cosa?”- e rise. Mi unii a lui, felice che quel momento gravoso fu solo passato.

Alan mi aprì il palmo e i suoi occhi si posarono sul mio Marchio: ne tracciò i contorni con il pollice e quando arrivò al centro della spirale stilizzata, premette. Le mie spalle si piegarono dal dolore ma lui non se ne accorse: finii con la faccia vicinissima alla sua. Ritrassi la mano e la misi, assieme all’altra, fra le ginocchia, tornando a guardarlo. Sospirai. Lo vidi mentre si illuminava.

-“ Io ti ho detto perché non uccido i tuoi simili. Ora dimmi tu perché non hai già cercato di uccidermi.”- corrugai la fronte.

-“ Quelli di prima erano pugnali. Di solito, feriscono.”- ammiccai.

-“ Se mi avessi voluto uccidere, lo avresti già fatto. Invece hai solo scherzato con me.”- quella considerazione mi colpii nel profondo. Mi immobilizzai, rilassando i muscoli mentre lo guardavo dall’alto in basso. Strinsi, poi, gli occhi e mi lasciai cadere su di lui, finendo con le mani sullo schienale, vicine al suo volto, e le ginocchia piegate, ai bordi della sedia. Alan rimase a guardarmi mentre lo spingevo sullo schienale con una mano, l’altra che impugnava un piccolo coltello, proprio all’altezza del cuore del vampiro. Alzai un sopracciglio e mi sporsi in avanti, il mio naso a un soffio da quello di Alan.

-“ Io cerco sempre di ucciderti.”- non lo vidi nemmeno quando si avvicinò. Un attimo prima mi stava fissando, l’attimo dopo le sue labbra erano appiccicate alle mie. Mi afferrò il polso destro e strinse, aumentando la intensità del bacio. Risposi, avida di poterlo baciare a lungo ma qualcosa mi diceva che non tutto filava per il verso giusto. Potevo quasi sentire il desiderio di nutrirsi scaturire dal corpo di Alan. Cercai di sciogliermi dal bacio, tentai anche di affondare un poco la lama nella sua carne per destarlo ma fui spinta in avanti dalla mole del vampiro; Alan cercò di togliermi l’arma dalla mano, facendola volare attraverso la stanza. La sua maglia si tagliò dal petto muscoloso fino a sotto l’ascella. Paura. Provai paura mentre Alan mi faceva sedere sul tavolo e si alzava, calciando indietro la sedia. Là, io seduta e lui in piedi, lui allentò la presa sul polso ma non si staccò dalle mie labbra, che baciò più lentamente; la paura si sciolse mentre assaporavo quel bacio così caldo. Chiusi gli occhi e fu solo lussuria. Lo volevo. Dio, non seppi cosa mi prese in quel momento! Alan mi lasciò il polso e mi abbracciò alla vita; gli strinsi le spalle, giocando con una ciocca di capelli. Sentii la sua mano salire sotto la maglietta fino ai seni e poi scendere ancora; sospirai, tremando. Le sue dita lunghe mi accarezzarono la pancia descrivendo piccoli cerchietti mentre manteneva ancora impegnate le labbra sulle mie. Giocò con il bottone dei miei jeans a lungo, staccandosi dalla mia bocca e baciandomi il collo più e più volte. Mi misi in ginocchio sul tavolo, facendo scivolare le mani sotto la sua maglia aderente e sfilandogliela: la gettai a terra e gli baciai la pelle sotto l’orecchio, accarezzandogli il petto ancora bagnato. Finalmente era riuscito ad aprire il bottone dei miei jeans e ad abbassare la zip: non mi resi conto di quello che stava facendo finché non sentii la sua mano cercare l’orlo delle mie mutandine; mi fermai con le labbra sulla sua clavicola e lo sentii raggiungere con la mano la parte più intima del mio corpo. Mi stuzzicò, penetrandomi solo con la punta delle dita. L’altra mano mi prese la nuca alzandomi il viso all’altezza del suo; mi baciò sfilando via la mano dalle mie cosce.

-“ Cerca di uccidermi anche ora.”- disse, passando il suo naso lungo la linea della mia mascella.

-“ Oh sta zitto!”- risposi ansante. Lo ribaciai, cercando di spingerlo a terra ma fui ributtata sul tavolo. Per la velocità del movimento, i pantaloni e le mutandine mi si sfilarono del tutto. Alan si sporse su di me, trattenendomi con una mano per la schiena mentre si sfilava veloce i pantaloni e le mutande. Strinsi le gambe sulla sua vita e mi inarcai: sentii la sua erezione sulla pancia e non resistetti all’impulso di sbirciare. Il suo membro era la, dritto davanti a me: ne accarezzai la sporgenza prima di stringerci le dita attorno e di tirarlo verso di me. Alan non si fece pregare e mi penetrò fin in fondo con un unico movimento. Urlai di piacere, inarcandomi ancora, le mani sulle sue spalle. Lo sentii ansimare ma in quel momento l’orgasmo offuscava tutti i miei sensi; abbassai la testa e appoggiai la fronte sulla sua. Lente, le sue mani mi sfilarono la maglietta, salendo dalla vita fino alle spalle. Misi una mano dietro la sua testa, il pollice vicino all’orecchio. Alan mi tolse il reggiseno; il mio cuore batteva all’impazzata mentre lui mi baciava i seni, affondandoci il viso. Un altro orgasmo mi colpì all’improvviso; lo sentii uscire da me.

-“ No…”- lo pregai, cercando di trattenerlo mentre si allontanava da me. Non capii che, invece, mi stava spingendo contro la superficie del tavolo per mettermi distesa; mi aprii dolcemente le cosce e ci affondò la testa. Sentii i guizzi della sua lingua sulla parte più umida di me, la sua testa che si muoveva lentamente ma con un ritmo costante. Ben presto mi ritrovai a seguire quel ritmo, inarcando la schiena e tornando distesa. Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare. –“ Ti prego… non smettere…”- imploravo, persa nella lussuria degli orgasmi che arrivavano ad ondate, dentro di me si agitava un mare tempestoso. Amavo quella sensazione.

-“ Sei…stupenda…”- non seppi come, ne quando, sentii il suo corpo premere contro il mio; mi penetrò ancora e ancora, trascinandomi in una danza senza fine per gran parte della notte.

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Capitolo 33
*** Capitolo Trentunesimo ***


 

Distesa sul tavolo della cucina, sotto il peso confortevole di Alan, pensai a quello che avevo appena fatto: tre ore prima, avevo scopato con uno sconosciuto. E la cosa diventatavi ancora più insensata se si teneva conto del fatto che quello sconosciuto, era un vampiro. Perfetto, no?

-“ A che pensi?”- la voce del vampiro mi riportò sulla Terra.

-“ Eh? A niente…”- piegò un braccio e appoggiò la testa sul palmo della mano, guardandomi mentre mi accarezzava la guancia. –“ Beh, non proprio. Stavo pensando al fatto che ho appena finito di fare l’amore con… uno sconosciuto.”- lo guardai trasmettendogli tutta la mia perplessità. Non entrai nell’argomento della perduta verginità. Sarebbe stato ancor più sconcertante.

-“ Uno sconosciuto un po’ meno sconosciuto, ora.”- mi rispose, abbassandosi a baciarmi. Quando capii che voleva prolungare il bacio, misi le mani sul suo petto e lo spinsi lontano dal mio viso.

-“ Non hai capito, vero?”- scossi la testa e spostai lo sguardo altrove. Sussultai quando sentii il suo petto ri-aderire al mio.

-“ Cosa c’è da capire, scusa?”- continuò lui. Cominciavo a stufarmi, avevo bisogno di fare una doccia. Mi mossi sotto di lui, tentando di scivolare via.

-“ Fammi scendere. Ho bisogno di una doccia.”- dissi mentre mi agitavo per scendere. Flettei le gambe e, inaspettato, il suo membro scivolò fra le cosce e si accostò alla mia pelle. Una scossa di piacere mi percosse ma cercai di resisterle. –“ Per favore…”- la mia voce aveva perso intensità.

-“ Non passerai, non ti lascerò andare. Sei mia.”- disse Alan con tono possessivo, egoista e infinitamente dolce. Un pensiero strisciò nella mia testa: che fosse…amore, quello che provavo per lui? Non volevo ammetterlo. Tentai ancora di scendere, provando a sbilanciarmi a destra, oltre il suo braccio. Ma lui mi agguantò con le gambe e mi riportò dolcemente distesa sul tavolo.

-“ Avanti Alan! Spostati!”-

-“ Non ci penso nemmeno.”-

-“ Oh si invece.”- grugnii, tentando di liberarmi di lui usando la forza ma fu tutto invano. Mi abbandonai distesa, lo sguardo rivolto al soffitto, esasperata. Improvvisamente sentii le sue mani prendermi per la vita e sollevarmi: un attimo dopo mi ritrovai appiccicata al suo corpo ma almeno in piedi. –“ Alleluia.”- ruotai gli occhi. Alan si abbassò sul mio collo e mi baciò là, scendendo per la spalla e risalendo; la sua presa era meno forte e dopo qualche secondo, e mille tentativi, fui libera. Mi guardò malissimo. Alzai le spalle e mi piegai a prendere la maglia da terra; la infilai e lo osservai in tutta la sua bellezza. In mezzo alla cucina, intento a vestirsi dei pantaloni, almeno, c’era Alan: feci scorrere lo sguardo sulle sue spalle forti, sui suoi pettorali perfetti, i suoi bicipiti gonfi, un accenno della tipica tartaruga dei balestrati sulla pancia, le cosce muscolose e i polpacci perfetti. Osservai tutto muoversi con una lentezza esasperante; indugiai sul suo sesso e fui quasi tentata; scossi la testa e uscii dalla cucina. Ovviamente, lo sentii che mi seguiva ma non me ne curai; corsi in camera, lanciai la maglietta sul letto e lasciai Alan solo soletto.

 

L’acqua calda sciolse il mio corpo, lavò via tutti i brutti pensieri e mi ritrovai a pensare che, cavolo!, Alan era di là. Cambiavo opinione velocemente, un secondo prima lo volevo il secondo dopo dovevo trattenermi dal cercare di ucciderlo, che è un po’ un’esagerazione. Chiusi l’acqua e mi avvolsi nell’asciugamano bianco. Trovai Alan dove l’avevo lasciato: in camera che guardava fuori dalla finestra, nell’oscurità. Accostai la porta del bagno e mi ritrovai fissata dalle due gemme blu marino che erano gli occhi del mio vampiro. Mio. Era un bel pensiero. Mi avvicinai e lo osservai, sembrava così triste.

-“ Qualcosa non va?”- chiesi in un sussurro, ormai vicinissima al suo petto scoperto che sembrava scolpito da qualche scultore romano o greco. Forse era semplicemente il petto di un angelo caduto sulla Terra o di un Dio incarnato. Non volevo saperlo, mi bastava poterlo fissare, toccare… Alan scosse la testa, gli occhi umidi.

-“ Ti amo…”- sorrisi.

-“ Ed è una cosa brutta?”- appoggiai una mano sul suo petto.

-“ No.”- rise amaramente. Lo abbracciai stretto, infossando il volto nelle pieghe del suo collo.

-“ Ti amo anch’io. O almeno penso…”- che cosa brutta da dire. Mi mangiai la lingua non appena compresi cosa mi era uscito dalle labbra. Alan scosse la testa.

-“ Tranquilla, hai ancora due settimane meno un giorno, quasi, per decidere cosa provare per me.”- avrei voluto rispondere che non avevo bisogno di così tanto tempo ma lascia correre. Volevo solo abbracciarlo e farmi abbracciare da lui.

Si staccò lui dall’abbraccio per primo, si abbassò e mi prese sotto le ginocchia, sollevandomi come se pesassi poco o addirittura niente.

-“ Che fai?”-

-“ Domani vai a scuola, no? Devi dormire.”-Mi portò sul letto e mi fece distendere; poi, si distese accanto a me.

-“ Ah! Come se ci riuscissi con te accanto.”-

-“ Sei stanca. Dormirai, vedrai.”- e prese ad accarezzarmi il viso, rilassando i miei muscoli facciali. La stanchezza arrivò ben presto, come previsto da lui. Chiusi gli occhi e respirai regolarmente, cadendo sempre di più in un pozzo senza fondo. Una ciocca di capelli scivolò in avanti sulla mia guancia e subito Alan la spostò di nuovo dietro l’orecchio. Stavo bene. Prima che potessi toccare il fondo di quel pozzo, e abbandonarmi quindi ad un sonno tranquillo, la mano di Alan si spostò sul collo e poi sulla spalla. Sicuramente pensava che stessi dormendo. Decisi di non fare niente, aspettare e vedere quello che avrebbe fatto. Infatti, la sua mano percorse la linea della mia silhouette fino ad un punto sul ventre, dove l’asciugamano si apriva. Infilò la mano e risalì lentamente, aprendo man mano l’asciugamano e scoprendomi, quindi. Arrivò ai seni e si soffermò per poco; circoscrisse una coppa, accarezzando il capezzolo col pollice. Qualcosa nel ventre basso mi si attorcigliò a quel tocco. Alan cominciò, poi, a stringere delicatamente il seno, premendo il capezzolo in centro.

-“ Io l’avevo detto che non sarei riuscita a dormire.”- non resistetti e parlai, facendo crollare tutto. Alan smise di sfiorarmi il petto e passo al viso. Mi toccò la mascella e mi baciò sulla fronte.

-“ Dormi…”- a quel comando, le mie palpebre si fecero pesanti e una mano invisibile mi chiuse gli occhi. L’ultima cosa che sentii fu la pesantezza delle coperte che si abbassava sul mio corpo.

La mattina dopo mi svegliai di soprassalto: ero ancora avvolta con l’asciugamano e i capelli erano umidicci. In pratica, ero un mostro e per di più, in ritardo. Merda!

Più veloce della luce mi vestii, mangiai e mi lanciai fuori di casa. Là, c’era la mia Ferrari che mi aspettava. Peter era stato di parola. Montai, accesi e sgommai. Mentre correvo per la stradina mi ricordai della notte passata: Alan… le mie guance arrossirono al ricordo. Ancora una volta la mattinata volò senza che me ne accorgessi; fu solo verso la fine della giornata scolastica che tutto tornò a muoversi con una velocità normale. Fin troppo velocemente. Nick, che prima era rimasto sotto i portici con gli altri ragazzi, mi si avvicinò mentre avanzavo verso l’auto. Non cercò di fermarmi, ma mi seguii parlando alle mie spalle.

-“ Ehi, Caco! Va tutto bene?”- mi fermai con le chiavi già inserite nella toppa.

-“ Si, perché?”- ignoravo il vero senso della domanda.

-“ Sei…strana. E poi… mi sembra come se tu ieri sera abbia avuto un incontro con un vampiro. Forse più di uno. E’ vero?”- restai spiazzata, sgranai gli occhi ed entrai nel panico. Nick…sapeva? Oddio! Tornando a respirare, mi girai verso di lui, lentamente. Da sopra la spalla, scossi la testa.

-“ No. Nessun incontro.”- distolsi lo sguardo.

-“ Sicura?”- sentii Nick che mi si avvicinava ancora di più, riuscendo a sfiorarmi la spalla con la mano. Annuii. –“ No, perché se sì non me lo devi nascondere. Anch’io, durante il primo anno, scorrazzavo fuori la notte e facevo fuori vampiri senza renderne conto a Frederick.”- mi sciolsi. Avevo capito che Nick sospettava di qualche mia tresca e invece non era così. Sospirai sollevata.

-“ Ehm… va bene.”- mi girai verso di lui, appoggiandomi alla carrozzeria. –“ Ieri sera… ho ucciso un vampiro… Si è trovato sulla mia strada e io dovevo sfogarmi e…”- lui mi fermò.

-“ Capito. Sai per caso come si chiamasse?”- lo guardai alzando un sopracciglio.

-“ Oh…ehm, si, mi pare di aver capito che l’umana di cui si stava cibando lo conoscesse. Lo chiamava Neil.”- dentro di me, sorrisi. Quel vampiro l’avrebbe pagata cara per l’ultimo nostro incontro.

-“ Neil, eh? Va bene, ne terrò conto.”- annuii in risposta. Nick alzò una mano e l’appoggiò sulla mia spalla. Mi scansai senza ferirlo nei sentimenti, salutai con un cenno della testa e montai in macchina. Mentre si allontanava, lo vidi salutarmi. In autostrada, dopo qualche minuto, mi colpii la fronte con uno schiaffo: Neil! Ma come diamine mi era venuto in mente di dargli quel nome? Per quanto non mi stesse simpatico quel vampiro, non avrei dovuto farlo: Alan era suo amico… o no? Avrei dovuto chiederglielo.

Arrivata a casa sentii subito la mancanza di mio padre, la casa sembrava così vuota, spoglia. Mancava qualcosa… In quel il telefono di casa suonò: ero rimasta immobile a guardarmi attorno per minuti e ora dovetti correre alla ricerca del senza fili. Lo trovai sul divano e presi la chiamata proprio all’ultimo: mio padre.

-“ Papà!”-

-“ Caco, tesoro! Come stai?”-

-“ Bene, bene. Tu, piuttosto? Come procede il lavoro?”-

-“ Mah, bene. Oggi deciderà se darmi l’okay o meno. E sabato, forse, costruiamo.”- potevo quasi sentirlo mentre sorrideva.

-“ Sono sicura che ti darà l’okay, papà.”- mi spostai nella cucina, presi una pentola e accessi il fuoco.

-“ Lo spero tanto: sai, vorrebbe dire…”- un rumore forte di fondo e poi una voce che chiamava il nome di mio padre lo zittirono. –“ Oh, scusami. Mi chiamano.”-

-“ In bocca al lupo!”- gli urlai in fretta.

-“ Crepi! Ciao!”- e chiuse. Con un sospiro, poggiai il telefono sul piano di lavoro della cucina. La padella era calda e ci buttai sopra la bistecca. Guardando il piano sgombro dove una serie di coltelli da cucina ordinati dentro al loro apposito posto, le mie guance arrossirono: il mio sguardo si spostò lungo la cucina fino al tavolo e alle sedie. Qualcosa dentro di me si arricciò, contorcendosi.

La carne si stava bruciando: con uno strattone la sollevai dalla padella e la misi su un piatto. Pietra. Ecco il mio pranzo. Alzai gli occhi al cielo. Stupido tavolo.

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Capitolo 34
*** Capitolo Trentaduesimo ***


 

Correvo per le strade di Portland con la mia macchina alla ricerca di qualche vampiro o, ancor meglio, di qualche covo: ore prima avevo parlato con Frederick e Simon, il suo secondo, mi aveva dato delle direttive. Avrei dovuto trovarmi da tutta l’altra parte della città ma non ci feci caso. Svoltai a sinistra e poi presi la seconda a destra. Un presentimento mi indusse a frenare e spegnere le luci: potevo quasi vedere il gruppo di due vampiri che si cibavano indisturbati. Scesi e camminai con cautela, imponendo al mio corpo di cambiare: sentii i miei muscoli tesi che guizzavano mentre un altro tessuto li stringeva. In poco tempo ero vestita completamente di nero, il peso delle due lame sulla schiena, le pistole ai fianchi e i due pugnali posizionati sulla coscia sinistra e sul polpaccio destro. Scrollai le spalle e mi sporsi oltre l’angolo: due vampiri stavano uccidendo lentamente delle umane. Mi ritrassi per non essere scoperta e escogitai un piano: il muro davanti a me conteneva piccoli appartamenti per famiglie disastrate: scale esterne e perni arrugginiti erano tipici della periferia. Mi issai sulla prima rampa orizzontale di scale e procedetti come un geco su per il muro fino alla grondaia che separava il terzo piano agli ultimi tre. Saltai e mi addossai alla parete, osservando la scena sottostante dall’alto. Notai subito che i due vampiri non erano molto svegli: sicuramente erano giovani e inesperti. Un gioco da ragazzi. Uno ringhiò contro il compare, facendo sbattere a terra l’umana. Il suo controllo mentale su di lei si spezzò immediatamente e quella cercò subito di scappare, strisciando fra le loro gambe cercando una via d’uscita. Il primo vampiro la riprese e le sollevò il mento all’indietro: lo sguardo di lei mi incontrò mentre il succiasangue affondava i denti nella sua carne. Le iridi della donna si dilatarono per la paura, cercò di urlare ma le uscì solo un suono smorzato che indirizzò verso di me. Rimasi spiazzata mentre il vampiro le rompeva l’osso del collo: alzò subito lo sguardo verso di me e ringhiò, le zanne già lunghe a dismisura, gli occhi lampeggianti di fame. Non aspettai altro: avanzai, mi piegai in una ruota e prima di cadere a peso morto spinsi con le braccia e mi ritrovai in aria; raccolsi le gambe al petto e mi esibii in due capriole prima di toccare il suolo, un ginocchio piegato e una mano protesa a fermare la caduta. Mossi le spalle e mi misi in piedi; avanzai con un piccolo ancheggio e estrassi le lame dal fodero sulla schiena. Le feci roteare e guardai i vampiri strabiliati. Dapprima sembrarono spaventati, il secondo uccise la donna e si avvicinò al compare, guardandolo preoccupato. Sorrisi maligna e roteai le lame ancora una volta, ormai molto vicina. Loro restavano immobili, imperturbabili.

-“ Bu!”- Ferma davanti ai loro sguardi vuoti, li canzonai piegandomi e spaventandoli come se fossero dei bambini. Il mio sorriso divenne un ghigno quando loro retrocedettero di un passo. Il secondo se la faceva addosso, il primo invece sembrava aver preso il controllo di se stesso. Ritrasse le zanne e rese normali gli occhi. Sorrise anche lui e prima che potessi accorgermene stava fischiando un suono lungo, poi due piccoli. Era forse un segnale? Dalla casa dietro di loro provennero dei suoni, qualcuno si stava avvicinando a grande velocità. Poi, come formiche, dalle finestre rotte, spuntarono vampiri: tre, quattro, sei! Le lame quasi mi caddero dalle mani. Guardai con astio quel vampiro e veloce, abbassai le lame sul suo collo, tranciando di netto la testa. L’altro indietreggiò di parecchio, lasciando avanzare i suoi fratelli. Ero una contro dieci. Deglutii. Che scema! Se avessi provato a scappare, loro mi avrebbero raggiunta; lo stesso valeva se provavo a chiamare rinforzi. Indietreggiai entrando nell’ombra ma sapevo che la loro vista era acuta: mi avrebbero trovata ovunque. I vampiri avanzavano lenti, sicuri della vittoria; un movimento alle mie spalle mi fece sussultare. Mi girai e lanciai la lama che non affondò: rimasi a bocca aperta quando dietro di me trovai Peter accucciato con le labbra arricciate contro il gruppo di mostri che si avvicinava. Non riuscii a parlare ne niente che lui si era già lanciato. Alla mia sinistra proruppe un altro gruppo di vampiri che identificai subito: Neil, Charles e Mercedes. Non mi notarono, o almeno non subito. Dall’alto, sopra la mia testa, caddero altri due corpi: Viola e Alan. I nuovi arrivati tranne Alan si gettarono sui dieci che avanzavano. Alan, invece, fu gettato a terra da un vampiro che era riuscito ad arrivargli tanto vicino, probabilmente comparendo dal palazzo soprastante. Alan ringhiò e si liberò di lui, che tentava di saltarmi addosso, con un unico movimento. La testa e le braccia del malcapitato rotolarono lontane. Una finestra del palazzo si accese e un uomo cinquantenne si affacciò alla finestra: incontrò lo sguardo di Alan che, con le mascelle contratte, lo fisso senza battere le ciglia. Gli occhi dell’uomo si spensero, calò su di essi un velo: come se non fosse più capace di pensare e intendere, l’uomo lasciò sventolare la tenda, sparì dalla finestra e la luce poco dopo si spense. Alan, allora, si girò verso di me.

-“ Scappa.”- mi ordinò.

-“ Col cavolo!”- gli risposi, anche se era quello che desideravo di fare. Alan mi diede le spalle e respinse un altro vampiro. Lui non lo vedette ma alle sue spalle un altro vampiro gli si avvicinò, i denti snudati e decisi a staccargli la testa. Non ci pensai: estrassi la Eagle dalla fondina e sparai un colpo preciso, dritto al cuore. Il vampiro si indurì sul momento, un rigor mortis immediato, e ricadde al suolo, spezzandosi per la forza dell’impatto. Alan guardò prima lui e poi di nuovo me, che ricambiai alzando le spalle. Lui grugnì e si avvicinò, mi prese per un gomito e mi trascinò via a forza lungo il vialetto dietro di noi. Ci allontanammo dalla piazzetta di qualche metro, udivo ancora i ringhi e gli urli. Alan mi sbatté contro il muro, evitando però di farmi male alla nuca, e mi squadrò tutta. Quando mi guardò i suoi occhi erano di un blu profondo, con piccoli accenni più chiari verso le iridi. Irresistibili. Sopra di noi un solo vampiro saltò da un tetto all’altro senza notarci.

-“ Andiamo.”- continuò a trascinarmi per il gomito per tutta la stradina fino a portarmi fuori città: là, tra le ultime due case, nell’ombra, la figura di un auto si stagliò innanzi a noi. Da soli, i fari si aprirono e mi accecarono. Alan corse al posto di guida e mentre apriva lo sportello mi ordinò di fare lo stesso. Mi avvicinai e prima di salire notai le familiari curve della carrozzeria. Il colore per fino.

-“ Tu hai una Ferrari? Nera, per giunta!”- gli dissi sopra il rumore del motore che si accendeva. Lo guardai aspettando una risposta.

-“ Già.”- disse tutto contento. –“ Pensa che è il nuovo modello non ancora uscito sul mercato. I vetri sono oscurati e il motore con due cilindri in più.”- poi si girò verso di me, che lo guardavo a bocca aperta. –“ Ti piace?”- scossi la testa: non ci potevo credere!

-“ Fammi scendere, devo recuperare la mia auto.”- cercai di aprire la portiera ma con un clic le sicure scattarono.

-“ Non si discute.”- eravamo lanciati velocissimi per l’autostrada vuota.

-“ Posso sapere almeno dove mi stai portando, maledetto psicopatico?”- gli chiesi, imbronciata. La mia auto, la mia bellissima auto, era lontana giusto due metri dal casino che stava avvenendo in quella piazzetta e lui non mi permetteva di scendere. Lo avrei strozzato! Lo sentii che si piegava e fremetti quando sentii il suo respiro sul collo, poi le sue labbra si appoggiarono sulle mie guance in un bacio e la mi sciolsi. –“ Ti odio…”- dissi mentre piegavo la testa verso di lui.

-“ Andiamo a casa mia.”-

 

Alan parcheggiò la macchina davanti ad una casa strabiliante. Era una villa molto grande, dalle pareti bianche, il tetto era basso e scendeva verso il suolo in due U, sopra c’era una distesa di verde. Un giardino pensile. Alan mi trascinò lentamente verso la porta d’ingresso sempre tenendomi per il gomito: io, come una bambina, mi guardavo attorno con le labbra schiuse in uno piccola O di sconcerto. Senza nemmeno toccarla, la porta si aprì. Trucchi mentali, pensai subito. Entrammo e se quello che avevo visto fuori era stupendo, quello che stava dentro era…beh, non conoscevo parole per esprimermi. Tutto aveva un’aria così…antica ma allo stesso tempo era ultramoderna, c’erano tavoli bassi, travi di legno… sembrava in certi punti una casa indiana, poi marocchina, poi inglese. Era un insieme di architetture che unite rendevano l’ambiente un paradiso terrestre. In un certo senso mi ricordò molto la Domus.

-“ Questa…è casa tua?”- chiesi mentre ruotavo su me stessa per osservare tutto quanto.

-“ Si…”- rispose titubante. –“ La condivido con altri ma possiamo dire che si, principalmente è mia.”-

-“ Vivi con altri? Come…in un clan?”- lo guardai mentre salivamo le scale verso il piano superiore.

-“ Uhm…beh, sicuramente ricordi Viola, Mercedes, Charles e…”-

-“ Neil.”- finii per lui.

-“ Si, ecco. Non siamo un clan, ma nemmeno una…famiglia. Abitiamo assieme. Tutto qua.”-

-“ E tutti gli altri…vampiri? Dove stanno?”-

-“ Dove vogliono. Certo, c’è un quartier generale ma alla fine diventa difficile vivere con tanti altri vampiri. Così gruppetti o persone solitarie si staccano e vivono per conto proprio.”- mi guardò fermandosi subito, rendendosi conto di aver parlato troppo. Improvvisamente non sembrò più tanto a suo agio.

-“ Non ti preoccupare. Tengo per me certe informazioni.”-gli sorrisi timida. Lui mi prese la mano e gentile mi portò in un grande bagno dalle pareti e i sanitari bianchi. Una lunga parete era quasi completamente di vetro. Sempre stringendo le mie sottili dita tra le sue, sempre sottili e lunghe ma forti, aprì una credenza sopra al lavandino e prese un piccolo asciugamano. La mia mano scivolò via dalla sua e sfiorò i suoi pantaloni mentre lui imbeveva l’asciugamano nell’acqua. Non lo vidi mentre si spostava veloce e mi prendeva dolcemente il mento nella sua mano; mi alzò il viso di poco e avvicinò l’asciugamano al mio zigomo. Lo guardai senza capire e sentii la freschezza dell’acqua e la morbidezza del cotone sulla guancia. Cominciò a pulirmi tenero il viso, il collo: era concentratissimo quasi stesse pulendo una cosa importante e fragile. Sentii il cotone salire sotto il collo e i capelli scivolare di lato: imponendo a me stessa, ordinai alla folta chioma di raccogliersi dietro la testa, lasciando due ciocche sottili ai lati del viso. Alan mi guardò senza capire, strabiliato. Sorrisi e girai la testa di lato tentando di scivolare via ma mi bloccai quando ancora una volta sentii il suo respiro avvicinarsi e le sue labbra appoggiarsi sotto l’orecchio, leggere. Guardai il mio riflesso nello specchio e notai una piccola macchia di sangue misto a sudore sulla fronte. Dio, dovevo essere stata un mostro prima che lui mi pulisse così teneramente. Mi staccai dalle sue labbra e gli sorrisi timida, lo sguardo basso. Lo sentii che sospirava e appoggiava il cotone sul lavandino.

-“ Vuoi vedere il resto della casa?”- alzai lo sguardo su di lui e annuii sollevata. Okay, il giorno…la notte, prima ogni muro era crollato ma c’era ancora qualcosa. Cercai di consolarmi pensando al fatto che era solo la prima vera volta che lo vedevo. No, meglio non pensarci, mi dissi, la prima volta che si conosce una persona non ci si unisce carnalmente con la suddetta. Sorrisi ai miei modi molto cristiani di trattare la cosa. Alan mi portò in giro per la casa, mi fece vedere da fuori le stanze dei suoi coinquilini e la sua, che dava sul retro della villa, il tetto di vetro. Stupendo anche perché, e forse solo, si potevano vedere le stelle.

-“ Come ci sei riuscita, prima, a fare quella cosa coi capelli?”- mi chiese Alan, introducendo l’argomento. Eravamo al terzo piano, che comprendeva piscina al coperto e una sottile terrazza.

-“ E’ una piccola cosa… Cioè, tutti i Cacciatori sanno farlo. Io lo chiamo muta.”- sorrisi guardandomi i piedi mentre passeggiavamo lungo la terrazza. –“ Possiamo cambiare d’abito. Per esempio.”- lo guardai e mi concentrai: lentamente, sentii il peso delle lame sulla schiena scomparire. Gli occhi di Alan si spalancarono ma in fondo non mi sembrò tanto sorpreso. Scomparve anche il peso della Eagle ma tenni il pugnale sul polpaccio. Sperai che non se la prendesse.

-“ Strabiliante…”-

-“ Già.”- sorrisi sollevata. Girammo a sinistra e ci ritrovammo davanti una piccola salita verde. Mi stava portando sul tetto! –“ Andiamo sul tetto?”- chiesi

-“ Si.”- rispose lui. –“ Sai, anch’io…godo di una specie di muta, come la chiami tu.”- mi guardò sorridente. Saltò sul tetto e mi guardò, aspettandomi. Lo seguii. –“ E voglio fartela vedere. Ecco, siediti pure se preferisci.”- lo feci, mi sedetti con le gambe incrociate quasi sul bordo del tetto un po’ inclinato alle mie spalle.

-“ Va bene.”- alzai lo sguardo su di lui,che mi sembrò subito molto più alto. Lui si piegò, flettendo le ginocchia.

-“ Uhm… Allora, io non posso trasformare i miei vestiti restando in forma…umana. Se cambio aspetto, cambio del tutto.”-

-“ Del tutto?”-

-“ Si. Mi trasformo in un animale. Alcuni della mia specie possono trasformarsi anche in più di un animale ma comunque è necessario che tra vampiro e animale ci sia da subito un legame. Ecco, vedi, se voglio trasformarmi in…un lupo, ad esempio, dovrò essere presente quando il cucciolo nasce. Il che non è molto facile. Gli animali ci riconoscono come predatori e tendono a starci lontani. Ma quando succede che un animale nasce e un vampiro assiste, accade tra vampiro e animale, se quello è l’animale giusto, una specie di Imprinting. Un po’ come accade per quasi tutti gli esseri non umani, no?”- annuii, assimilando la notizia. Deglutii.

-“ Ehm… qual è il tuo animale, Alan?”- il vampiro mi sorrise felice; dietro di lui si udì il verso di un falco, la sua figura si stava avvicinando sempre di più a noi. Era un essere maestoso, dalle proporzioni giuste, volava senza difficoltà e non si fermava. Puntata ad Alan. –“ Il…falco?”- chiesi, guardando oltre la schiena di Alan. Quello si alzò, mi guardò dall’alto e si sfilò la maglietta. Rimasi a bocca aperta come la prima volta alla vista dei suoi muscoli ben definiti. I pantaloni a vita bassa, i suoi capelli mossi dalla brezza leggera, gli occhi di un blu marine profondo. Tremai. Mi fece l’occhiolino e indietreggiò, si mise di lato e osservò il falco avvicinarsi. L’animale si impennò e notai che era un falco pellegrino dalla pancia bianca con macchioline nere, ali grandi, piume nere ma anche marroni. Il becco perfetto e gli occhi scuri. Gli artigli dell’animale si avvicinarono alla schiena nuda di Alan che mosse un piede avanti a se e lasciò che l’animale lo toccasse. Un piccolo contatto e Alan si buttò nel vuoto.

-“ Alan!”- urlai, sporgendomi d’istinto oltre il confine del tetto, guardando la figura di Alan scivolare nel vuoto e il falco sopra di lui. Tutto si mosse al rallentatore. Vidi chiaramente gli artigli dell’animale entrare nella carne del vampiro mentre si abbassava a sfiorarlo con la pancia. Vampiro e falco si fusero assieme; le fattezze del primo che si confondevano con quelle del secondo e un secondo dopo del falco non c’era più traccia. O meglio, il falco c’era ancora, solo che aveva dimensioni maggiori. Calcolai che, se posizionandosi sulla schiena tra l’attaccatura delle ali, un umano avrebbe potuto benissimo cavalcare l’essere. Mi rimisi seduta sconvolta. Vidi l’animale, perché non sapevo come chiamarlo, accelerare e impennarsi in aria, riprodursi in volteggi. Poi tornò verso di me, mi sorvolò e fece il giro della casa: tenni lo sguardo fisso su di lui mentre volava sopra gli alberi e ritornava ancora una volta da me. Vidi i suoi occhi scrutarmi: non erano scuri come prima, erano di un marrone chiaro, con piccolissime striature azzurre. Non le avrei notate neppure io se non fossi già ormai allenata a riconoscere gli occhi di Alan. L’animale si impennò prima di toccare il tetto alla mia sinistra, sfiorando l’erba con gli artigli. Il procedimento di fusione, se vogliamo chiamarlo così, si riprodusse in senso contrario: un attimo prima c’era l’essere enorme e un attimo dopo Alan arrivava a terra, a torso nudo e il falco volteggiava sopra di lui, prima di attaccarsi al suo braccio. Il vampiro mi venne incontro scrutandomi per vedere se ero sconvolta, e si sedette al mio fianco. Aspettò che dicessi qualcosa e l’unico cosa che mi venne in mente fu…

-“ Wow.”- Alan sorrise.

 

Il falco emise un lu

ngo fischio mentre Alan si sedette vicino a me. Il vampiro si mise il braccio in grembo e prese ad accarezzare l’animale.

-“ Come lo chiami?”- gli chiesi indicando col mento il falco.

-“ Soul. E’ un maschio.”- annuii con un unico movimento della testa.

-“ Ah.”-

-“ Si, beh, è impossibile che un vampiro maschio si leghi ad un animale femmina. E viceversa.”- lo guardai e sorrisi timida.

-“ Chiaro…”-

-“ Ti ho tanto sconvolta?”- mi chiese lui, avvicinando il braccio che faceva da trespolo per Falco. L’animale lo accompagnò nel movimento beccando l’aria e aprendo le ali. Avvicinai una mano e passai due dita sulla sua schiena, tra le ali.

-“ No. Davvero.”- dissi, piegando la testa mentre accarezzavo l’animale. Alan sospirò come se stessi accarezzando lui. –“ Spiegami come funziona…questa cosa. Ti prego.”- lo guardai. Alan alzò il braccio e Soul si staccò, volteggiando in aria sopra di noi.

-“ Come ti ho già detto, io ero presente quando Soul è nato. L’ho cresciuto io, infatti. La cosa poi è molto naturale: nel momento dell’unione, i nostri esseri si incontrano, vedo sia come vampiro e sia come falco. Volo, ovviamente.”- mi sorrise incoraggiante. Si appoggiò sulle mani, inclinando la schiena. –“ E poi, non lo so…Il mio Falco, ad esempio, vivrà giusto una decina d’anni più a lungo degli altri falchi normali… L’animale si lega solo ad un vampiro: quando l’animale muore il vampiro ne risente ma è subito libero di legarsi ad un altro animale, se non ne ha già un secondo; se il vampiro muore quando non è in metamorfosi, l’animale morirà dopo una settimana circa, ma se il vampiro muore quand’è in metamorfosi, è ovvio che muoia anche l’animale.”- si fece immediatamente triste.

-“ Eri legato ad altri animali prima di Soul?”- chiesi non rendendomi conto del poco tatto. Distolsi subito lo sguardo.

-“ Non ti preoccupare, è tutto apposto. A me non è mai successo, anche perché sono relativamente giovane: vedi, il vampiro può legarsi al suo primo animale quando è forte abbastanza da non cibarsi del suo sangue. Diciamo intorno ai cinquanta, sessanta anni.”-

-“ Quanti anni hai tu, scusa?”-

-“ A sessanta cinque anni della mia trasformazione ho preso Falco e sono legato a lui da vent’anni.”-

-“ Ti sei legato a lui nel 1926?”- calcolai mentalmente.

-“ Si. Quindi va da sé che io abbia centotre anni.”- disse, abbassando lo sguardo. Annuii pure io.

Improvvisamente, dalle nostre spalle, provennero dei rumori. Alan sembrò subito nervoso, si alzò e si guardò subito intorno. Mi alzai pure io e cercai di guardare oltre tetto dietro di noi per capire ma fui distratta da una figura alla nostra sinistra: correva veloce ed era apparso dalla foresta. Subito dopo, più lente, apparvero altre tre figure. Correvano verso la villa e quello in testa sembrava stranamente ad un ghepardo. Aguzzai la vista ma Alan subito mi prese la mano e corse: facemmo la strada al contrario, passando per la piscina e il secondo piano. Scoprii ben presto che la fonte dei rumori sul davanti della casa erano degli umani. Vampiri, per essere precisi. Alan si sporse dalle scale ma io restai in cima, aspettando. Li riconobbi, erano i coinquilini di Alan, ovviamente. Sentii Neil ringhiare e in un lampo fu davanti ad Alan, sporgendosi contro di me. Charles, pacato, cercò di fermarlo e mettere ordine. Emanava un aurea tipica dei capo clan, un leader.

-“ Calmo Neil. Prima cerchiamo di capire com’è possibile che in casa nostra ci sia odore di un umana, soprattutto se la sottoscritta appartiene ai Cacciatori.”- il suo tono, via via che le parole uscivano, divenne sempre più minaccioso e cupo. Si stava rivolgendo a Alan. Feci due scalini e finii dietro la sua schiena, ad un soffio dalle zanne di Neil. Il primo spinse il secondo, allontanandolo.

-“ Ah… E bravo il nostro Alan.”- commentò sarcastica Mercedes, sorridendo lasciando intravedere le zanne. Alle loro spalle il pavimento tremò e nell’atrio sbucarono quattro animali. Mi sorpresi a vederli tutti in una sola stanza: erano un ghepardo, una lince, un puma e uno sciacallo. Spalancai gli occhi quando il ghepardo si impennò, buttandosi sopra la raffinata Viola; quando, contemporaneamente, Mercedes e la lince si mossero velocemente incontro per salutarsi. Neil ghignò nella mia direzione e alle sue spalle lo sciacallo fece lo stesso. Charles rimase immobile e così fece il puma, con la schiena dritta, all’entrata nell’atrio.

-“ La ragazza sarà un’ottima cena: sto proprio incominciando ad avere un certo languorino.”- commentò ancora Mercedes. Alan ringhiò in risposta ma fu zittito da Viola.

-“ L’hai fatta entrare qua dentro. Ci hai traditi. Ora lei deve morire.”-

-“ Infatti!”- rincarò la dose quel cretino di Neil. Charles rimase impassibile.

-“ Come ho detto, cerchiamo di capire perché il nostro Alan abbia portato qua dentro una nostra avversaria.”- il puma si alzò lentamente e si avvicinò a Charles, che alzò una mano ad accarezzarne il pelo. Alan non parlò e io non potei vederne l’espressione, ma a giudicare da quella sia di Charles che di Viola, mi auto convinsi che sarebbe bastata. Viola si alzò in tutta la sua statura e guardò Alan.

-“ Tu…”- non finì la frase che Neil ringhiò ancora una volta. Non resistetti: sotto gli sguardi increduli dei vampiri, reclamai una lama sulla spada, la estrassi e la puntai contro Neil.

-“ Smettila.”- ordinai, sibilando. Mercedes scoppiò subito a ridere, portandosi una mano sul ventre.

-“ Mi piace la ragazza!”- ululò tra una risata e l’altra, mezza piegata e con quasi le lacrime agli occhi. Non la guardai, mantenni lo sguardo su Neil, inclinando la punta della mano, e alzando quindi il polso.

-“ Suppongo, allora, che tu non voglia essere uccisa.”- Charles si rivolse a me, sta volta.

-“ Scherzi?”- gli chiesi sarcastica.

-“ No, non scherza, ragazza. Facciamo così.”- propose Viola, avvicinandosi ad Alan per mettergli una mano sulla spalla. –“ Noi non abbiamo mai visto la ragazza, lei non è mai entrata in questa casa e noi non uccidiamo nessuno. Mi pare ottimo, no?”- insieme, sia io che Alan, ci girammo a guardarla. In quel momento mi sentii legata a lui in un modo indescrivibile: sentii che non sarei riuscita mai più a continuare senza vederlo. E la stessa cosa dovette provare lui, perché quando ci guardò, Viola sembrò spaesata, come davanti a qualcosa più grande di lei.

-“ O mio Dio.”- sussurrò Mercedes. Niel ringhiò ancora una volta, diede un calcio all’aria e sparì nella stanza a sinistra.

-“ Forse è meglio se facciamo che… noi quattro non abbiamo mai visto la ragazza, non sappiamo niente di una possibile relazione tra Alan e tale ragazza e quindi non possiamo dire niente a nessuno. Il vostro segreto è al sicuro.”- improvvisamente tutti sembrarono cambiare opinione: prima mi avrebbero ucciso e ora, invece, erano disposti a lasciarmi andare. Guardai Charles con profondo rispetto.

-“ Non mi direte mica che ora li dovremo aiutare, vero?”- chiese Mercedes, rompendo l’incanto. Sorrisi involontariamente. La lama nella mia mano andò lentamente disfacendosi e subito Alan me la riempii con la sua.

-“ Io mi offro volontaria!”- saltò su Viola, sorridendo a Charles. Mercedes si portò una mano sulla fronte e, scuotendo la testa, sparì nella sala a destra assieme alla sua lince. Alan mi portò lento fino alla porta e Charles si fece da parte per lasciarci passare: il suo puma mi si avvicinò e alzò il muso, come per farsi accarezzare. Guardai ancora il vampiro timida ma ormai Alan aveva aperto già la porta e una folata di vento mi investii i capelli.

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Capitolo 35
*** Capitolo Trentatreesimo ***


 

Salimmo veloci sull’auto nera di Alan e in poco tempo sgommammo lontani da quella villa. Trassi un sospiro di sollievo.

-“ Mi dispiace.”- sussurrò Alan.

-“ Non importa.”- dissi.

-“ Sul serio manterrai il segreto?”- lo guardai seria. Risposi dopo qualche secondo.

-“ Si, sul serio, Alan. Non ci penserei nemmeno.”-

-“ Va bene... Un po’ movimentata come terza serata, ah.”- commentò, cercando di alleggerire la tensione.

-“ Già.”- guardai l’orologio sul cruscotto: segnava le 02.40. –“ Come facciamo per la mia auto? L’ho parcheggiata ad un isolato da quella maledetta piazzetta…”-

-“ Ah, giusto. Uhm… che auto hai?”-

-“ Una Ferrari…nera.”- lo guardai di sottecchi, sorridendo tra i baffi. Lui mi guardò incredulo, poi tornò con lo sguardo sulla strada. Scoppiò a ridere e quel suono mi tranquillizzò.

-“ Ah, beh, allora è perfetto. Lascio la mia auto sotto casa tua, vado a prendere la tua Ferrari e la scambio con la mia.”-

-“ Si,si, è perfetto.”- risi ancora.

 

Eravamo sulla porta di casa mia, appena scesi dall’auto e bagnati dalla pioggia che stava cominciando a scendere a fiotti.

-“ Queste sono le chiavi dell’auto.”- dissi, alzando la mano e facendo tintinnare le chiavi a un palmo dal suo naso. Lui le prese e se le appese all’indice; cauto si avvicinò, prendendomi il volto tra le mani. Appoggiò la fronte sulla mia, passandomi un pollice sullo zigomo. I nostri corpi s’incontrarono prima delle labbra. Il bacio durò a lungo, ci ammorbidì e ci rese ancora più legati. Quando finì mi rattristai un poco. Alan salutò e scomparve, veloce e invisibile tra le gocce d’acqua che cadevano incessantemente. Entrai in casa e restai per un’ora sulla finestra del salone ad aspettare che tornasse ma alla fine cedetti e andai a dormire. In uno stato di dormiveglia, qualche ora dopo, sentii il rumore di un’auto che si avvicinava ma non riuscii a destarmi per correre alla finestra.

 

-“ Dio santo Caco! Muoviti!”- continuavo a ripetermelo nella speranza di rallentare il tempo. Ma perché quando si esce in ritardo si arriva comunque in ritardo? Il tempo non potrebbe fermarsi un attimo e lasciarmi almeno la possibilità di respira? Sbuffai mentre correvo fuori casa, chiudevo a chiave e montavo in auto. Accesi e partii a razzo, nella speranza di recuperare almeno un chilometro in pochi secondi. Accelerai imprecando mentre il mio zaino si svuotava sul sedile del passeggero accanto a me. Lanciando un’occhiata alla strada e assicurandomi che non c’era nessuna curva imminente, mi piegai a raccogliere le cose. Notai che stranamente il sedile era rivestito di pelle beige lucida mentre doveva essere nera opaca, dato che ero nella mia auto. Mi alzai e guardai il cruscotto lentamente arrivando ad osservare attentamente anche il volante: perché il volante era rivestito della stessa pelle dei sedili e perché così era anche per il pomolo del cambio?

-“ Oddio ma in che macchina sono entrata?”- mi chiesi mentre alzavo la mano per aprire lo specchietto che stava sopra la mia testa. Lo spalancai e osservai atterrita, una piuma cadere lenta sulle mie gambe. Era una piuma…di falco. Il clacson di un camion mi fece distogliere lo sguardo dalla piuma per alzarlo sulla strada: un camion di portata inimmaginabile si stava avvicinando pericolosamente al muso dell’auto che guidavo. Lo scartai tornando nella giusta corsia: con uno strattone rimisi la piuma nella specchietto che poi chiusi, girando a destra per entrare nel parcheggio della scuola.

-“ Ma perché, perché mi doveva capitare un’incompetente cretino che non riesce nemmeno a riportarmi a casa l’auto! Perché a me?…”- mugolai nell’entrare a scuola. Per fortuna nessuno dei miei amici, nemmeno Nick, si era ancora accorti dell’auto che avevo appena parcheggiato. Pregando il Signore Iddio, entrai in classe.

 

Un tuono mi accompagnò mentre uscivo definitivamente dal portone della scuola: tutti gli alunni correvano verso le proprie auto. Giusto qualche secondo prima ero riuscita a liberarmi di Nick e il resto del gruppo. Raggiunsi la Ferrari e montai: da dietro i vetri oscurati vidi Nick salire sulla sua di auto seguito dalla sorella. Dietro di loro, da dentro la scuola, una figura li osservava. Improvvisamente il Marchio sulla mia mano iniziò a pulsare e per un attimo tutto si fece nero. Quando ripresi i sensi, sia la figura dentro la scuola che l’auto di Nick, erano scomparse. Mi riscossi e uscii dal parcheggio, correndo verso casa.

 

Era inutile cercare di non pensarci, mi mancava Alan. Ero a casa da molto, ormai era già sera e io dovevo prepararmi per la missione di quel giorno: un clan di vampiri si aggirava a Portland , nell’Oregon, e Frederick aveva deciso che quella sera sarebbe stata la decisiva. Aveva assegnato a me il caso e io non potevo dire di no. Sbuffai mentre indossavo tutto l’armamentario che mi sarebbe servito: reclamai i vestiti adatti, neri e di pelle, aggiungendo due lunghi pugnali sui polpacci, una Browning e una Desert Eagle softair, sulla schiena indossai un Drunagov, quattro Shurikens’ 48 e ai polsi i miei inseparabili Kunai neri. Raccolsi i capelli con un bastoncino di legno e fui pronta. Arrivai a Portland in un’oretta, correndo a centoquaranta. Fu una furtuna non incontrare nessun posto di blocco. Parcheggiai e mi inoltrai nei vicoli bui, allontanandomi dal centro città: nessun umano mi notò ma nessun vampiro si fece vedere. Il mio obbiettivo era cercare un gruppo di dieci vampiri che viveva nei sobborghi fuori città ma dalla mia posizione non riuscivo a focalizzare nessun bersaglio, nemmeno concentrandomi e sfruttando le mie doti di Cacciatrice. Camminai per un isolato e mi ritrovai vicino ad una casa famiglia lasciata in disuso. Mi illuminai. Decisi di scalare l’edificio fino al tetto e così feci: da lassù si aveva una visuale stupenda della città, il che significava che sarei riuscita a raggiungere il clan più velocemente. Il mio cellulare vibrò all’improvviso rischiando di farmi venire un infarto: era Pattie.

-“ Pattie.”-

-“ Ciao, ti ho appena trovata sulla mappa satellitare. “-

-“ Ottimo. Dove si trova il clan?”- Pattie, come tutti noi, era in grado di registrare la posizione di ogni Cacciatore utilizzando i satelliti della NATO. Il mese prima Chris aveva organizzato un raid a Portland, installando microspie lungo un raggio di cinque chilometri nella zona dove erano stati avvistati i vampiri. Pregai che la ragazza fosse riuscita a cavarne qualcosa.

-“ Esattamente a venti chilometri da te. Ma sono in movimento e ora stanno venendo verso di te. Okay, si sono fermati! Tre chilometri ad ovest!”- mi urlò dalla cornetta.

-“ Grazie Pattie!”- chiusi e scattai in quella direzione. Il mio primo ostacolo era un volo di un metro: con le mie capacità fu facile superarlo ma il secondo mi diede più preoccupazioni: ero distante circa cinque metri dal tetto più vicino. Cercai qualcosa, qualsiasi cosa e decisi di usare le travi di legno lasciate la sopra: una, in particolare, era lunga abbastanza. La presi e la misi in modo da formare un ponte improvvisato per passare dall’altra parte. Saggiai la sua stabilità prima con un piede e quando fui sicura che non sarei caduta, lo percorsi correndo. Arrivai a destinazione qualche minuto dopo: dall’alto vidi il mio gruppo di vampiri discutere del più e del meno. Erano appena tornati da una partita di caccia, potevo sentire l’odore stantio di sangue che emanavano. Digrignai i denti e strinsi il calcio della Browning, pensando ad un piano d’attacco: ero a circa dieci metri d’altezza, non potevo semplicemente saltare giù e sparare a più non posso. Mi serviva una tattica vincente! Due dei vampiri si allontanarono dal gruppo e si inoltrarono nel vicolo giusto alla mia destra. Presi una decisione: senza fare rumore estrassi la Browning e il silenziatore e li usai insieme sui due vampiri, riducendoli in statue senza farmi sentire; cominciai a scendere lentamente dal tetto. Una volta toccato il suolo, mi nascosi nell’ombra osservando bene la posizione dei vampiri rimasti.

-“ Dov’è sono finiti Jake e Alex?”- chiese uno dalla corporatura esile. Erano strafatti di sangue, così ubriachi e sazi da non accorgersi nemmeno di me.

-“ Sono andati da quella parte. Va a vedere John.”- gli rispose un altro privo di capelli. Il tipo di nome John si avvicinò al punto dove giacevano gli altri due. Appena ebbe girato l’angolo, gli arrivai alle spalle e, stupidamente, gli chiusi la bocca con una mano. Lento di riflessi, il vampiro faticò a liberarsi della mia presa prima che gli puntassi la pistola alla tempia e sparassi. Subito, le sue gambe cedettero. Cadde in coma, gli occhi ancora spalancati dopo che gli ebbi frantumato cranio e cervello. Lo tenni in equilibrio, con i gomiti sotto le sue ascelle, per poi stenderlo a terra. Lo guardai dall’alto mentre sbavava con le pupille dilatate e le zanne fuoriuscite. Dovevo sterminarli tutti, tutti. Alzai la Browning e la puntai al suo petto, feci fuoco e lo osservai mentre diventava di marmo. Tornai immediatamente nell’ombra ma ormai era troppo tardi: un quarto vampiro aveva seguito quel John e mi aveva visto mentre l’uccidevo. Lanciò l’allarme e subito fui circondata dai restanti sette vampiri. Deglutii trovandomi in minoranza. Respirai a fondo e li osservai uno ad uno; respirai ancora e la paura si sciolse mentre su di me calava una calma assoluta.

-“ Salve ragazzi.”- dissi, inclinando la testa e aprendomi in un sorriso che non esprimeva affatto simpatia. Estrassi la Browning e la Desert solo per metà perché un vampiro fu più veloce di me e cercò di avventarsi sul mio collo ma per sua sfortuna, indossavo i due kunai sotto la manica della giacca e mi fu facile pugnalarlo al cuore. Il vampiro cadde a terra e i suoi compagni iniziarono a ringhiarmi contro. Impugnai completamente le pistole e feci fuoco, sparando e beccando teste, arti, cuori. Li uccisi tutti quanti, senza alcuna pietà.

Stavo ripulendo il posto con benzina e fuoco quando il grido di un falco mi distolse dal bruciare tutti i corpi. Alzai la testa al cielo e osservai volare in circolo un falco pellegrino dalle grandi ali. Gridò ancora abbassando il suo becco verso di me e poi, com’era apparso, sparì allontanandosi velocemente. Distratta, continuai a fissarlo anche quando lasciai cadere l’accendino acceso sulla benzina.

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Capitolo 36
*** Capitolo Trentaquattresimo ***


 

Corsi dietro al falco per una buona mezz'ora: sapevo bene che si trattava di Soul e che, prima o poi, mi avrebbe portato da Alan. Ancora una volta il falco abbassò il suo becco su di me: mi guardò e sembrò fermarsi. Con il mento rivolto verso l'alto ansimavo, cercando di prendere respiro. Poi, improvvisamente, Soul si impennò e riprese a volare. Stremata, non riuscii a stargli dietro. -“Maledetto.”- ansimai ancora

-“ Non prendertela con lui.”- sobbalzai al suono di quella voce dalla fonte invisibile.

-“ Alan!”- mi girai immediatamente verso la voce ma incontrai solo l'oscurità della notte. - “Dove sei?”- chiesi disperata.

-“Sono qua.”- un soffio delicato d'aria fredda mi scompigliò i capelli. Mi girai da quella parte ma ancora una volta non vidi niente.

-“ Avanti vieni fuori!”- urlai ancora. Un secondo soffio di vento mi accarezzò la pelle. Scattai in quella direzione e fui tentata di urlare per la frustrazione.

-“ Alan...”- sospirai.

-“ Sono qua...”- quel ripetersi di battute stava cominciando a darmi sui nervi, e me ne sarei andata se non fosse stato per il tocco delle sue mani sulle mie e del suo braccio improvviso che spingeva la mia schiena contro il suo petto. Sussultai ma mi sciolsi subito quando sentii le sue labbra sul mio collo premere affettuosamente, schiudersi per baciarmi. Mi lasciai andare e appoggiai la testa all'indietro, sulla sua spalla.

-“ Mi hai spaventata...”- dissi.

-“ Sono spiacente...”- si staccò dall’abbraccio ma sentii subito le sue mani sulla mia schiena. Un attimo dopo e il mio fucile era a terra.

-“ Ma che fai?!”- mi allungai verso il fucile ma le sue mani sul mio ventre me lo impedirono. -“

Alan, il fucile!”-

-“ Non ti servirà.”-

-“ E tu non fare lo scemo.”- mi scansai e presi il fucile da terra. Veloci, le mano di Alan mi rimisero in posizione eretta, tenendomi per i gomiti. Con un unico movimento, scagliò il fucile lontano da noi. Lo guadai con gli occhi spalancati, pronta a far scattare i pugnali in caso di necessità. Mi fissò, a lungo, e mi persi nei suoi occhi: blu come il mare. Il mio Marchio pulsò. Il viso di Alan si dischiuse in un sorriso, era bello da morire.

-“ E' da tanto che non ci vediamo.”-

-“ Solo un giorno.”- risposi.

-“ Mi sei mancata...”- si avvicinò, mise la mano destra sulla mia schiena mentre prendeva con l'altra la mia mano destra. Lo guardai senza capire. Si avvicinò ancora spingendomi contro di lui, per poi farmi cadere di lato, in un profondo casché, sostenendomi senza fatica. Il suo naso sfiorò il mio, le nostre labbra si incontrarono ma Alan mi baciò ai limiti delle labbra, quasi sulla guancia.

-“ Tanto...”- sospirò. Mi riportò in piedi come se niente fosse. Voleva...ballare? Certe volte non lo capivo proprio.

-“ Per questo vuoi...ballare?”- azzardai guardandolo senza capire.

-“ Tu vuoi ballare?”-

-“ E tu?”- sorrisi. Alan avvicinò ancora il suo corpo al mio e mi fece volteggiare, ballando con me un tango senza musica.

-“ Oh, io vorrei di più...”- rispose Alan. Facemmo nostra quella piazzetta, e la usammo come pista. Lo spazio a disposizione era poco e ben presto mi ritrovai al muro, col corpo del vampiro che premeva sul mio. Si chinò a baciarmi ancora il collo e lentamente risalì lungo la mascella cercando avidamente le labbra. Mi stava provocando, ma perché lasciare solo a lui tutto il divertimento. Gli strinsi la mano e mi staccai dal muro, conducendo per pochi secondi. Riuscii a riportarlo in mezzo alla piazzetta ma una volta li, lui riprese il comando, facendomi scivolare verso il basso. Da piccola, quando ancora i miei genitori adottivi vivevano assieme, li osservavo danzare nel salotto: amavano il tango. Così, grazie ad una memoria fotografica decente, mi ricordavo alcune figure. Allungai la caviglia sinistra e lasciai che Alan mi spingesse verso il basso. Lo guardai dischiudendo le labbra; mi riportò in piedi con movimenti lenti, guardandomi per tutto il tempo. In quel momento, un tuono sguarciò la serenità della notte. Sorrisi e così fece Alan, mettendo fine a quel nostro ballo improvvisato; la pioggia iniziò subito a scendere impetuosa e in poco tempo fummo bagnati dalla testa ai piedi. Le mani del vampiro mi presero il mento, le mie il suo petto: si abbassò e mi baciò appassionatamente, stringendosi a me, colmandomi.

 

Il fucile cadde dalla mano di Alan, che preferì appoggiarsi sulla mia schiena. Le nostre labbra erano incollate da molto e sicuramente non avevano intenzione di separarsi. La porta d'entrata si chiuse facendo tremare il vetro. Alan mi spingeva verso le scale, costringendomi a camminare all'indietro. Fermai il bacio staccandomi dalle sue labbra: il vampiro passò allora al collo e alla spalla.

-“ Aspetta, aspetta, aspetta! E se ci sono... uhm, i tuoi coinquilini? Alan fermati un secondo, ti prego.”- finii la frase ridendo. Il vampiro mi stringeva forte sul suo petto e non smetteva di spingermi verso le scale.

-“ Non..non ci sono, abbiamo la casa completamente per noi.”- sospirò prendendomi il volto tra le mani e avvicinandolo di nuovo al suo. Mentre ci baciavamo urtammo il mobile di legno accanto alle scale: ovviamente mi feci male solo io, procurandomi un livido sulla coscia. Come se non bastasse mi feci un secondo livido quando, nella foga che cresceva sempre più, finii contro il corrimano delle scale. Li ci fermammo, ma solo per poco: Alan alzò la mia gamba flessa all'altezza della sua vita, fece scorrere le sue labbra giù lungo la linea della mascella e poi sul collo, le spalle; dal canto mio, affondai le mani nei suoi capelli. Mi allontanai dal corrimano e sta volta fui io a spingere Alan su per pochi scalini fino a farlo sbattere contro la parete. Non mi controllavo più, nessuno dei due era più padrone di se stesso. Lo bacia ripetutamente, tenendolo fermo contro il muro e annientando ogni suo tentativo di spostarsi. Alla fine non resistette: mi alzò e mi tenne in braccio, le mani dietro alle ginocchia, le labbra incollate alle mie. Scattando mi portò nella sua camera, spalancando la porta che però non si richiuse. Spostò le mani, rimettendomi in piedi. Per lo slancio, finii sul letto con le gambe all'aria. Alan, guardandomi e sorridendomi, chiuse la porta alle sue spalle con uno dei suoi trucchetti: si avvicinò al letto e avanzò verso di me gattonando, sempre sorridendo. Alzò il viso verso di me e mi baciò. Risposi e lasciai che mi portasse completamente distesa.

-“ Desideri uccidermi anche questa volta come la prima?”- chiese, facendo scorrere la mano sotto la maglietta. Me la sfilò e tornò a baciarmi il collo e la spalla.

-“ Certo che si.”- risposi con il fiato già mozzato. Lo abbracciai con una mano, l'altra la alzai sotto il suo collo, vicino alla scapola. Lo baciai e reclamai contemporaneamente il piccolo pugnale col quale cominiciai a punzecchiarlo in quel punto. -“ Io cerco sempre di ucciderti, l'hai dimenticato?”- feci sprofondare, allora, il pugnale nel suo petto e segnai una lunga striscia che saliva e andava oltre la sua spalla e giù per la schiena. Alan scoppiò a ridere e io feci altrettanto. Il pugnale scomparve e la maglietta del povero vampiro era ridotta a brandelli: la strappai ancora fino a che il suo petto non fu rivelato. Intanto Alan aveva già provveduto ai miei vestiti e si stava già dando da fare con i suoi pantaloni. Ben presto sentimmo le nostre pelli che si incontravano ad un ritmo regolare in costante aumento quasi come l'orgasmo che avanzava impetuoso.

Alan si alzò su di me e mi portò alla sua altezza, inginocchiato sul letto: mi baciò il collo e scese fino al seno; le mani che mi accarezzavano la schiena. Caddi anch'io in ginocchio e le sue mani mi portarono ancora più in basso, verso il suo membro pulsante. Mi spinse verso di lui e mi penetrò in una sola volta, in tutta la sua lunghezza. Con la testa all'indietro, rimasi senza fiato, stringendo le dita sui suoi capelli. Dentro di me esplosi e la forza dell'orgasmo mi impedì anche solo di ansimare. Sentii il vampiro che rimaneva anche lui scioccato in qualche modo: aprii la bocca e stette lì sopra al mio seno a tentare di riprendere fiato.

Più in fretta di me, riprese il controllo di se stesso e ricominciò a baciarmi salendo fino alla spalla e dietro al collo. Fu in quel punto, in quel momento, che sentii che c'era qualcosa di diverso. Alan mi baciò di nuovo ma sta volta fui punta leggermente da due sporgenze. Molto prima che me ne rendessi conto, il vampiro mi prese la nuca e la tenne ferma, avvicinandola a se e in un secondo quella puntura leggera divenne più forte. Sentii i suoi canini che sguarciavano la mia carne e, con una lucidità mai avuto prima, fui certa nel sentire il mio sangue defluire dentro di lui a lunghe sorsate. Urlai il suo nome, tentai di staccarlo da me ma fu tutto invano. I primi secondi furono tremendi, poi cominciai a perdere il controllo totale sul mio corpo e sulla mia mente. Mi accosciai nelle sue braccia e, inconsciamente, assaporai quei momenti che ormai parevano così perfetti: stavo donando il mio sangue, la mia vita, a lui. Era bellissimo, era giusto in qualche modo. Alan, ancora attaccato a me, cominciò ad assecondare la mia perdita di sensi, portandomi distesa. Lì realizzai che no, non era giusto! Perché anche se lo amavo e avrei fatto di tutto per tenerlo per sempre con me, anche se mi sarei sacrificata per lui, io rimanevo una Cacciatrice ed era contro tutto quello in cui credevo quello che stava accadendo. Provai ancora a staccarlo da me ma ormai il mio corpo non mi apparteneva più. Mi lasciai andare, abbracciai il vuoto che si avvicinava inesorabilmente.

 

-“ Caco! Caco, ti prego! Svegliati!”- Alan chiamava il mio nome spaventato. In un primo momento capii solo poche parole, poi con lentezza riuscii a percepire anche altre frasi e a comprenderne il significato. Realizzai di essere distesa su qualcosa di morbido; aprii gli occhi e vidi delle ombre: Alan e altre figure che non riconobbi subito.

-“ Aspetta, guarda: si sta svegliando.”- una voce maschile zittì Alan, che corse vicino a me, mi prese la mano e mi sorrise ancora spaventato.

-“ Uhm... Cia... Ciao.”- riuscii infine a dire. Sbattei le palpebre un po' di volte finché anche i contorni delle cose più piccole furono definiti. Attorno a me c'erano Charles, Mercedes, Viola mentre Niel osservava da dietro. Alan sospirò di gioia: mi fu quasi possibile vedere i suoi occhi diventare lucidi. -“ Cosa... è successo?”-

-“ Davvero non ricordi?”- chiese Charles. Risposi scuotendo la testa. -“ Alan ti ha morsa.”- spalancai gli occhi. Lo guardai e lui ricambiò fissandomi sconsolato; abbassò la testa e l'avvicinò alla mia mano. A quel tocco tutto tornò chiaro: ritirai l'arto e avvicinai le dita al collo, tastandolo alla ricerca del morso. Qualcosa mi diceva che si trovava lì e subito lo trovai: contai la distanza tra i due fori principali, si sentiva chiaramente l'impronta dei denti del vampiro. Mi venne da vomitare.

-“ Come ti senti?”- Viola si avvicinò e appoggiò una mano sulla mia spalla. Ci misi qualche secondo a rispondere.

-“ Bene. Davvero, sto bene. Ho solo bisogno di un po' d'acqua.”- mi alzai dal letto e ondeggiai prima di trovare l'equilibrio. Ero avvolta solo dal lenzuolo: avanzai a testa china verso la porta, dove era appoggiato Neil. Tentai di creare dei vestiti ma riuscii solo a formare una canottiera e dei pantaloncini corti neri, poi ondeggiai ancora e caddi in avanti, il lenzuolo che si sfilava. Fu Neil a prendermi prima che toccassi terra.

-“ No, tu resta qua. La accompagno io, tranquillo.”- mi prese la vita e mi sorresse, portandomi in cucina. Lasciammo gli altri nella stanza: da lontano sentii Charles parlare con Alan, ma sussurrava eppure io lo sentivo forte e chiaro come se stesse urlando. Sudavo, non capivo cosa mi stesse accadendo.

-“ Vieni, siediti qua.”- Neil spostò una sedia con la mente e mi ci fece sedere. Mi abbandonai con la testa sul tavolo. -“ Ecco, bevi.”- mi porse il bicchiere e bevvi avidamente. Non mi saziò, la gola era ancora secca. Sembrava che fossi sul punto di vomitare. -“ Fammi vedere il morso.”- mi scoprì la spalla dai capelli e tastò la ferita.

-“ Ehi, che fai... Lasciami.”- mi mossi lentamente con la testa pesante.

-“ Sta ferma!”- mi immobilizzò, sospirò e tornò a tastarmi il collo -“ Io e Viola siamo più vecchi degli altri, possiamo fare più cose: trasformarci non solo in animali ma anche in umani e possiamo far guarire più velocemente le ferite. Ora, zitta e ferma.”- mi strinse la spalla e lo sentii che si chinava su di me. Appoggiò le sue labbra sul morso e lo leccò leggermente, poi ci passò sopra il dito: la mia carne si richiuse immediatamente e un tremito percosse il mio braccio. Smisi di tremare e di sudare ma la sensazione di secchezza nella gola non scomparve.

-“ Grazie...”- sussurrai. Neil mi lasciò andare e io tornai con la fronte sul tavolo.

-“ Prego.”- prese il bicchiere e lo sciacquò nel lavabo: osservandolo compiere quel gesto, mi stupii quando mi resi conto di riuscire a contare le singole minuscole gocce che scendevano e si infrangevano sulla superficie trasparente come al rallentatore. Sbattei le palpebre. -“ Che tu sappia, non è che il veleno di un vampiro può provocare danni al metabolismo di un cacciatore?”- chiese il vampiro. Non riuscivo più a seguirlo, ancora una volta il buio mi prese con se, facendomi cadere dalla sedia. -“ Caco... Oh dio, Charles!”-

 

Un cellulare stava squillando: riaprii gli occhi e vidi i quattro vampiri muoversi veloci attorno a me. L'apparecchio era sul comodino: mi avevano riportato nella stanza.

-“ Ehi è sveglia!”- Mercedes si avvicinò al letto. -“ Come ti senti?”- mi chiese.

-“ Bene. Ho bisogno del cellulare. E' Pattie.”- Mercedes prese il cellulare e spalancò gli occhi.

-“ Come... Come facevi a saperlo?”- Mi spostai e mi misi seduta.

-“ Passamelo e basta.”- neanch'io sapevo dare una risposta a quello che mi stava capitando. Presi il telefono e risposi.

-“ Carlotta! Dov'eri finita?”-

-“ Ciao Pattie.”-

-“ Cos'è successo? Com'è andata la missione?”- continuava a sparare a raffica milioni di domande.

-“ Calmati per favore! Sto... la missione è andata bene, li ho uccisi tutti ma...”-

-“ Ma cosa?”-

-“ Sono... sono rimasta ferita. Uno dei vampiri mi ha... mi ha morsa.”- dalla parte della cornetta piombò il silenzio.

-“ Che... Che cosa?!”- urlò Pattie. -“ Ti ha morsa? E, e ora tu come stai? Dove sei? Ti vengo a prendere.”-

-“ No, no Pattie. Ho trovato un posto sicuro, tu devi solo dirmi cosa fare.”-

-“ Un posto sicuro? Il mio sesto senso dice che stai mentendo ragazza.”- la mia testa esplose alle urla di Pattie, lasciai cadere il cellulare sul letto e mi presi le tempie con le mani, come se stringere avrebbe ridotto il dolore. Urlai e Alan corse in mio aiuto, chiamandomi. Non poteva fare una cosa più stupida.

-“ No, Alan, sta zitto!”- dissi, smettendo di urlare. Mi allungai ancora verso il telefonino.

-“ Alan? Chi è Alan, Caco? Dove ti trovi? Dimmelo! Non mi dirai che è il vampiro che ti ha morsa vero?! E come fai a sapere come si chiama?”-

-“ Smettila Pattie, sta zitta! Dimmi cosa devo fare, ora!”- caddi all'indietro sul letto, inarcando la schiena: le mie scapole erano uscite fuori sede da sole e subito dopo erano tornate al loro posto. Urlai ritorcendomi sul letto. -“ Ti prego!”-

-“ Okay: devi fare in modo che tutto il veleno del vampiro esca da te. Questo significa che devi fare una trasfusione di sangue. Torna qua, te la faremo noi!”- Mercedes, a quel punto, mi prese il cellulare dalla mano e interruppe la chiamata: guardò Neil e Viola. La ragazza sparì velocissima dalla stanza mentre Neil si avvicinò a me.

-“ Neil, sei più anziano di noi. Devi farlo tu così non rischiamo.”-

-“ No, lo farà Viola. Io mi occuperò della trasfusione.”- contnuavo a urlare e a contorcermi sul letto ma non seppi mai perché una parte del mio cervello sentiva tutto quello che mi accadeva intorno e comprendeva ogni parola. Per un momento mi parve di sentire i rumori della strada al di fuori della villa.

-“ Eccomi! Ce le ho!”- sentii odore di sangue nell'aria.

-“ Sei sicura che siano del suo tipo?”-

-“ Si, prima Neil le ha curato il morso e ha assaggiato il suo sangue. Mi ha detto il tipo prima, telepaticamente.”- Viola e Mercedes operavano sincronizzate: la prima teneva le sacche di sangue con una mano mentre con l'altra mi prese il braccio, la seconda, invece, mi teneva ferma. Urlai dal dolore ancora, dopo che il femore destro uscì di sede e si ricompose.

-“ No Viola, mi occupo io della trasfusione.”- si unì al ballo anche Neil. -“ Tu aspirerai il veleno.”- Viola lasciò il mio braccio a Neil e si spostò, avvicinandosi al mio collo. -“ Incominciamo!”-

A quell'ordine, Viola penetrò la mia carne nel punto del morso e cominciò a succhiare via il veleno; Neil strinse il mio avambraccio e, usando una siringa, mi prese la centrale all'altezza della piega tra avambraccio e braccio: inserì il piccolo tubicino e la trasfusione ebbe inizio. Viola ci mise più del previsto a togliere tutto il veleno ma appena si staccò dal mio collo mi sentii subito meglio: smisi di urlare e la testa non urlò più. Sospirai. Era finita.

Passò del tempo prima che Neil mi staccasse dalle sacche del sangue.

-“ Bene, è passato.”- sospirò anche lui.

-“ Sei stata bravissima Caco.”- aggiunse Viola. Annuii a tutti e due.

 

-“ Sono le cinque meno venti. Tra poco sorgerà il sole.”- dalla stanza di Alan ci eravamo spostati nella cucina. Charles era andato a mettere apposto le sacche in più e ora ci avvertiva dell'ora. Posai la tazza di tè sul tavolo.

-“ E ora che me ne vada, allora. Grazie per tutto quello che avete fatto per me. Vi sono grata.”- mentre parlavo ricordai la mezz'ora precedente: loro mi avevano salvata e, sicuri che fossi stabile di nuovo, lasciarono me e Alan da soli, per chiarire. Ero arrabbiata con lui, tanto. Lo sentii sospirare accanto a me.

-“ Tranquilla Carlotta, è tutto apposto.”- disse Viola. Le sorrisi.

-“ Va bene. Vado.”- sorrisi a tutti per ringraziarli e mi alzai.

-“ Aspetta, ti accompagno.”- si alzò anche Alan e mi seguì nell'atrio, fino alla porta. Lontani dagli altri, lo guardai per davvero.

-“ Non ne voglio parlare. Basta.”-

-“ Mi dispiace tanto Caco.”-

-“ Si lo so. Lasciami andare a casa.”- mi aprii la porta, annuendo ancora. Misi un piede fuori.

-“ Perdonami Caco.”- non lo ascoltai e puntai dritta alla macchina.

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Capitolo 37
*** Capitolo Trentacinquesimo ***


 

Uscii dall'auto sbattendo la portiera e puntando dritta alla porta di casa mia.

-“ Ti prego Carlotta, vuoi ascoltarmi?”- Alan mi seguiva e tentava in tutti i modi di riuscire a fermarmi per farsi perdonare. Sfortunatamente per lui ero troppo arrabbiata.

-“ Ascoltarti? Ascoltarti! Ah, che sfacciato! Prima mi mordi e quasi mi uccidi e poi chiedi perdono?”- senza fermarmi mi girai a guardarlo. Poi continuai la mia corsa.

-“ Io... Io non so che mi è preso. Non ero me stesso, forse non mi ero nutrito abbastanza ma Caco, non era mia intenzione farti del male.”- a quel punto mi fermai, mi girai a fissarlo e per un secondo su di noi cadde il silenzio.

-“ Non era tua intenzione farmi del male...”- ripetei piano. -“ E lo spero bene, stupido bastardo! Ma come... come ho fatto a fidarmi di te, eh? Come!”- glielo urlai in faccia, poi mi rigirai e avanzai verso la porta. Allora Alan comparve in due secondi difronte a me, mi prese le spalle e mi tenne ferma fissandomi negli occhi.

-“ Fermati un attimo soltanto Caco. Non so come dirtelo che non capiterà più...”- non lo lasciai finire.

-“ Si hai ragione, non capiterà più. Da questo momento abbiamo chiuso io e te! Non ti voglio vedere mai più. Tu, tu lo sapevi cosa significava per me! Tu lo sapevi che io sono contro al nutrimento di umani! Lo sapevi e ti sei lasciato sfuggire che in quel momento non avevi tra le braccia il corpo inerme di un'umana qualunque ma il mio! Il mio!”- lo spostai di lato, inserii la chiave nella toppa e aprii la porta.

-“ Ti chiedo perdono Caco. Tu sai bene che sei la cosa più importante per me e si, ho sbagliato. Ho fatto un'errore enorme, e non ti chiedo di perdonarmi all'istante ma di pensarci, di pensarci sul serio, con calma e valutando il quadro d'insieme.”- lo guardai.

-“ Il quadro d'insieme? Ma che stai dicendo!”- in quel momento un tuono si sovrappose alle nostre voci; Alan si distrasse e io ne approfittai per entrare in casa e chiudere subito la porta dietro di me. Esausta, tirai un sospiro mentre mi accasciavo contro la porta. Lasciai cadere le chiavi sul parquet. Tra i tuoni sentii Alan che urlava ma non riuscii a capire bene tutte le parole; allora mi spostai dirigendomi in cucina, dove presi dal frigo una bottiglietta d'acqua, l'unica cosa che trovai.

-“ Caco!”- urlò infine Alan, seguito da un tonfo che non riconobbi come tuono ma bensì come la sua mano aperta contro la mia porta.

-“ Cosa vuoi ancora? Cosa! Lasciami in pace, vattene maledizione!”-

-“ No, io non mi muovo da qui! Porca miseria, vuoi ascoltarmi? Ti sto dicendo che mi dispiace! Credi davvero che se non me ne interessasse di te me ne starei qua sotto la pioggia ad urlare contro una porta?”- presi un altro lungo sorso dalla bottiglietta; mi piegai in avanti verso la porta e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo.

-“ Se era troppo per te me lo avresti dovuto dire e io mi sarei allontanata, non lo avei permesso e invece! Sei un bastardo, una sanguisuga schifosa! Se mi ami come dici perché hai permesso a te stesso di farmi una cosa simile! A casa mia non si nuoce alle persone che si ama!”-

-“ E' questo il problema! Non so nemmeno io perché tutto questo è successo! Ma ora sono qua, Caco. Io e te possiamo venirne fuori!”- scossi la testa, girandomi dall'altra parte. -“ Perché ti amo, ti amo davvero e so che ora può sembrare impossibile ma è così. Sono distrutto per quello che ho fatto, per quello che ti ho fatto.”- lo sentii sospirare. -“ Ma ti amo e mi sto inginocchiando davanti a te per chiederti perdono. Sapevamo fin dall'inizio che la nostra storia era sbagliata, tu lo sapevi e non mi volevi. All'inizio tu lottavi per tenermi lontano, perché non volevi avere niente a che fare con me ma io si, e poi chissà come ti sei arresa e mi hai accolto. Ci siamo trovati e siamo stati bene, Caco. Poi io ho sbagliato è tutto è cambiato. O almeno così sembra perché una cosa, una cosa è rimasta la stessa: io continuo ad amarti e se tu non vorrai perdonarmi me ne farò una ragione ma se non mi ascolti un attimo, se non mi lasci almeno tentare di rimediare... Io non voglio vivere se non posso amarti, Caco, e vivere sapendo che non mi vuoi... Beh ce la posso fare, ma vivere amandoti e sapendo di non aver lottato per te mi ucciderebbe. Quindi, ti prego, ascoltami e lasciami provare a rimediare quel che ho rovinato...”- avevo dimenticato di respirare... la bottiglietta mi cadde di mano mentre mi giravo e con un passo che diventava sempre più veloce corsi alla porta. Mentre lavoravo con la serratura ritrovai la voce ma non le parole. Spalancai la porta e una folata di aria fredda mi investii: non c'era traccia di Alan però. Uscii sul porticato e mi guardai attorno: improvvisamente percepii una presenza vicino a me, alzai gli occhi e la trovai appoggiata su un fianco ad un albero difronte a casa mia, le braccia intrecciate sul petto così come le caviglie. Era vestita di nero e si stava avvicinando per rivelarsi. La luce proveniente dal mio ingresso la rivelò dal basso verso l'alto e quando illuminò il viso dello sconosciuto, trasalii col fiato corto.

-“ Nick!”-

-“ Felice di vederti, Caco.”- un sorriso freddo gli indurì lo sguardo.

-“ Da... Da quanto tempo sei qua?”-

-“ Mi stai chiedendo quanto ho sentito? Beh, abbastanza da chiedermi da quanto questa storia va avanti.”- alzò un sopracciglio. Deglutii con calma e ripresi il controllo di me stessa.

-“ Non so di cosa tu stia parlando.”-

-“ Sto parlando del vampiro che si è appena dichiarato. Non mentire Caco, non sei capace di farlo.”-

-“ Non so.. di cosa tu... stia parlando.”-

-“ Allora ti rinfrescherò la memoria.”- una voce ci interruppe e dall'ombra che prima ospitava Nick, ne uscì un'altra persona, un uomo la cui voce mi era famigliare. Nick ridacchiò sotto i baffi mentre io, per la seconda volta, rischiai un'infarto.

-“ A..Alan? Cos... Cosa sta succedendo?”- il cuore mi batteva a mille e cominciai freneticamente a passare lo sguardo dal vampiro al Cacciatore. Alan era in piedi di fronte a me, sulla linea di luce. Mi guardò e sorrise anche lui, si passò una mano tra i capelli e i suoi occhi si accesero come quando mi guardava arrivare da lontano.

-“ Direi che ha funzionato, no Nick?”- disse Alan all'umano, avanzando di un passo. In quei pochi secondi qualcosa cambiò: i suoi capelli si accorciarono, cambiarono i vestiti e quando il piede toccò terra mi trovai difronte ad un'altra persona, un'altra persona che non era Alan.

-“ Oh mio Dio! Ma cosa...?”- indietreggiai di colpo.

-“ Già, hai ragione Lucas, ha funzionato. Caco, ti presento un mio amico, ma penso che tu ti ricordi di lui.”- lo guardai senza capire e poi, improvvisamente, mi colpì un raptus: l'uomo che avevo visto parlare, dalla mia macchina, con Nick. Ma quella volta avevo pensato di essermi sbagliata perché dalla reazione del mio corpo quello doveva essere un vampiro e non poteva essere... Alzai gli occhi su Lucas e lo fissai per qualche secondo: ma bastò alla mia mano, che cominciò subito a pulsare alo ritmo della mia paura. Sobbalzai e indietreggiai, incimpando e finendo contro la porta d'entrata. -“ Noto con piacere, Caco, che hai buona memoria.”-

-“ Cosa volete?”- riuscii a dire. Con la mano dietro la schiena, reclamai il pugnale fatto interamente d'argento nel pugno e lo strinsi.

-“ Da quanto conosci Alan? E perché non lo hai ucciso?”- domandò Nick.

-“ Dato che posso sentire anche adesso che lui non c'é, il suo odore sulla tua pelle, devo dedurne che vi conosciate molto bene. E inoltre vedo due piccole cicatrici che stanno guarendo: nelle tue vene scorre ancora una piccola parte del suo veleno.”- continuò Lucas.

-“ E tu, Nick, perché non hai ucciso Lucas, che è un vampiro? Eh, muoio dalla voglia di saperlo.”- a quel punto, il Cacciatore mi si avvicinò con andatura lenta.

-“ Lo sai, allora perché me lo chiedi? Tu ora verrai con me e farai ciò che ti dico. Lucas, va a preparare l'auto.”- con poche parole congedò il vampiro che scomparve così com'era arrivato.

-“ Stammi lontano...”- lo avvertii abbassando la voce.

-“ Devi rilassarti, sennò complichi le cose tesoro.”- ormai era vicinissimo, potevo sentire il suo respiro sul collo. Alzò le mani ma riuscii solo a sfiorarmi il viso dopo che lo allontanai col pugnale: non fui abbastanza forte e l'arma volò lontana da noi. Nick mi prese il viso con le mani e strinse, mentre si calava su di me per baciarmi. Mi mossi e tentai di liberarmi ma la sua presa era forte: riuscì a toccarmi le labbra ma non gli permisi di continuare: gesticolai e quasi riuscii a staccarmi poi optai per le maniere cattive. Avvicinai le mani al suo viso e prima che lui potesse accorgersene, reclamai due pugnali e gli tagliai il collo ai lati. Non lo uccisi ma almeno lo allontanai.

-“ Puttana!”- mi urlò contro.

-“ Fottiti, bastardo.”- risposi cercando di riprendere fiato. Nick era piegato e tentava di fermare l'emorraggia, Lucas era da qualche parte a “preparare l'auto” e non c'era nessun altro: presi una decisione, mi voltai e corsi sfruttando tutte le mie doti da Cacciatrice.

-“ Lucas! Prendila!”-

 

Corsi senza guardarmi indietro perché sentivo che mi stavano inseguendo e che quasi mi avevano preso, anche se godevo di un certo vantaggio. Arrivai in periferia e mi fermai: mi ero persa e non conoscevo bene quella parte di città. Presi la prima a destra e girai subito dopo a sinistra decidendo a caso dove andare: ben presto mi ritrovai in vicolo cieco. Ansimando mi girai da dove ero arrivata ma Nick mi raggiunse bloccandomi la strada: mi rigirai verso il muro e ci trovai Lucas con le braccia aperte lungo i fianchi.

-“ Oddio...”- sussurrai nell'affanno. Nick si era ripreso e i tagli al collo si erano richiusi lasciandogli due lunghe cicatrici. -“ Oddio no, ti prego...”- supplicai tra me e me.

-“ Lucas, prendila. La signorina deve venire con noi.”- il vampiro mi fu vicino in un secondo e mi prese per i gomiti spingendomi in avanti. Tentai di ribellarmi ma ero stremata dalla folle corsa.

-“ Cosa vuoi, Nick?!”- urlai infine.

-“ C'è qualcuno che vuole vederti. Oh si, qualcuno di importante.”- Lucas ridacchiò a quelle parole.

-“ Chi! Chi è?”-

-“ Dev'essere una sorpresa.”- annuì Nick. -“ Rimarrai sorpresa vedrai.”- continuai a dimenarmi ma Lucas improvvisamente strinse la presa e sentii dei scricchiolii, segno che mi stava frantumando qualche osso: urlai dal dolore. Era così forte che mi cedettero le gambe e le lacrime salirono agli occhi. Lucas mi trascinò fuori dal vicolo cieco, sempre seguendo Nick come un fedele cagnolino. Tra la confusione dei miei pensieri mescolati al dolore sentii una macchina avvicinarsi alle nostre spalle: Nick si fermò di botto e aspettò che tale macchina accostasse: l'autista, vestito interamente di nero, scese e andò ad aprire la porta al passeggero. Scesero tre uomini: il primo, un'ombra completamente nera, un uomo dai capelli brizzolati ma bianchi e una seconda ombra nera. L'uomo dai capelli bianchi stava in mezzo ai due in nero e non sembrava molto a suo agio. Costrinsi me stessa ad osservare meglio e realizzai che l'uomo in centro era Frederick e che i due ai lati non erano uomini ma... vampiri come Lucas.

-“ Bene, molto bene. Ora ci siamo tutti.”- proferì Nick, facendoci segno di seguirlo. Anche Frederick era tenuto per le braccia dai due, e anche lui sembra percosso.

-“ Sei un traditore, Nickolas!”- urlò Frederick.

-“ Silenzio!”- ci avviamo verso l'alto, su per la strada che conduceva al bosco.

 

Voltammo l'angolo e ci trovammo in una stradina stretta e angusta, in fondo l'ultimo tratto su terra prima di entrare nel bosco. Non ce la facevo più: non camminavo da un pezzo e per tutto il tragitto Lucas mi aveva praticamente trascinata. Alzai gli occhi al cielo ma i miei occhi erano appannati completamente dalle lacrime: forse mi sbagliai, forse fu solo la mia immaginazione ma per un attimo la in alto, vidi una figura che si sporgeva dal tetto. E poi a quell'unica figura se ne aggiunse un'altra, sull'alto tetto a sinistra; e una terza a destra fino ad arrivare ad una quarta figura a sinistra. Provai ad aguzzare la vista e l'unica cosa che vidi furono paia di canini che brillavano alla luce della luna. Allora chiusi gli occhi e tornai ad abbassare la testa, lasciando che Lucas continuasse a trascinarmi.

-“ Ma che diavolo...?”- azzardò uno dei due che tenevano Frederick.

-“ Che cavolo è?”- finì l'altro. In quel momento uno stormo di pipistrelli uscì dalla foresta, non si sa come e cosa ci facessero li dentro, e ci aggredì: le figure sui tetti saltarono e ci raggiunsero e da lì scoppiò il caos: tra le figure nere e le ombre del combattimento tra i vampiri che ci tenevano prigionieri scoprii un viso familiare, Viola. E poco distante c'era Charles che combatteva con Nick mentre Mercedes e Neil si occupavano dei due che tenevano Frederick. Ma Lucas, Lucas non mi lasciava andare, anzi stringeva ancora di più la presa: non riuscii a resistere un altro secondo, il dolore era troppo, e così mi lasciai andare. Caddi e quasi Lucas non mi strappò un braccio, tenendomi ferma per il gomito anche quando stavo cadendo senza sensi. L'ultima cosa che vidi fu il viso di Viola, poi il mondo divenne nero e potei solo sentire i suoni. Per pochi pochissimi secondi fui libera, nessuno che mi stringeva, ero libera di cadere a terra e morire; poi, poco prima che toccassi terra, un altro paio di mani, o forse sempre le stesse, mi ripresero.

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Capitolo 38
*** Capitolo Trentaseiesimo ***


Aprii gli occhi. Mi ancora trascinando ma ormai erano già nel fitto del bosco: dall'alto delle chiome degli alberi provenivano pigri raggi di una luce chiara ma che non illuminava tutto il passaggio. Scossi la testa e tentai di mettermi in piedi e di non lasciarmi più trascinare: gli stinchi mi dolevano. -“ Ehi sta buona!”- Lucas, il vampiro che mi stringeva le braccia, era stato a parlare. -“ Mi fai male alle braccia.”- dissi sibilando tra i denti. Lucas rise a quel suono ma allentò comunque un poco la pressione. Ancora pochi passi e la comitiva giunse ad un grande spiazzo che però, evidentemente, non era naturale: qua e là si vedevano i ceppi di antichi alberi tagliati da poco. -“ Nickolas, quale piacere rivederti mio caro.”- una voce profonda provenne dall'altra parte della radura dove ci aspettavano cinque vampiri: uno dei quali era comodamente seduto su una sedia incavata nel più grande dei ceppi. Per il suo portamento sembrava un re dei tempi passati, ma non indossava mantello rosso e una corona d'oro bensì semplicemente una tenuta completamente nera, contando anche il lungo cappotto che gli scendeva fino alle caviglie e la sciarpa che gli avvolgeva lenta il collo. -“ Mio Signore Howard, sono lusingato.”- rispose Nick inchinandosi difronte al vampiro. -“ Alzati e presentami i tuoi amici.”- a quell'ordine Lucas si spostò e mi trascinò a destra, in avanti. Dietro ad Howard, uno a sinistra e l'altro destra, erano posizionati due vampiri vestiti anch'essi di nero ma senza cappotto: indossavano camicie nere sbottonate sul collo in modo da lasciar intravedere il petto. Alla mia sinistra, di fianco al vampiro-guardia del corpo, c'era un'altra coppia di vampiri: uno accasciato sulle ginocchia, l'altro che lo sorreggeva come se fosse un prigioniero. Non si riusciva a vedere la faccia del vampiro piegato sulle ginocchia. Dopo di me, anche Frederick venne spostato in avanti, difronte al vampiro che stava sulla sinistra. -“ Come promesso, Le ho portato Frederick, capo della base di Cacciatori di Vancouver. E questa è Carlotta Milo, la sospetta compagna del traditore.”- Howard annuì guardando prima la ragazza e poi l'uomo. -“ Sono molto soddisfatto, Nickolas, del tuo lavoro. Verrai premiato, come promesso. Ma ora dedichiamoci ai nostri ospiti. Frederick, era da tanto che non ti vedevo.”- l'uomo, in risposta, guardò con odio il vampiro. -“ Uhm, ti facevo però più socievole. Sai, tu sei stata la mia spina nel fianco per anni: ho pensato molto a questo giorno, avevo programmato tutto secondo un piano. E il sogno finiva sempre bene: tu morivi ed io ero felice. Sono entusiasta all'idea che ora quel sogno si stia realizzando.”- Howard rise e Nick si unì a lui. -“ E tu, ragazza? Come ci si sente ad aver tradito la propria famiglia, la propria discendenza?”- il vampiro mi guardò con ancora dell'ilarità negli occhi. -“ Lo chieda al suo Nickolas, lui è stato molto più bravo di me.”- il silenzio cadde immediatamente nella radura. -“ Sta' zitta piccola bastarda!”- così venni la ragazza dal Cacciatore. -“ Controllati, Nickolas.”- lo zittì Howard. Schioccò le dita e l'ombra nera che sorreggeva il vampiro accosciato si mosse avvicinandosi: gli prese una ciocca di capelli e gli sollevò la testa, rivelando a tutti il suo volto. Rimasi senza fiato nel scoprire che si trattava di Alan. -“ E così oggi tutti e tre siete qua con me: magnifico.”- Howard sorrise maligno. -“ Io odio le cerimonie quindi vediamo di essere veloci: Jude, Rob, fate il vostro lavoro.”- e detto questo i due vampiri che tenevano Frederick annuirono: uno tenne l'uomo per le braccia mentre l'altro gli prendeva con entrambe le mani il mento. Un secondo di silenzio. -“ Sei un traditore Nickolas, e la mia anima non avrà pace finché anche tu non giungerai nella tomba!”- sputò Frederick. -“ E anche noi ci occuperemo di te. Sta tranquillo non ti abbiamo dimenticato.”- da dietro Frederick comparvero Pattie, Elise, Chris e tanti altri dei nostri che non conoscevo. Aumentarono di colpo e riempirono la radura dietro me e Frederick. Sorrisi e tornai a guardare il traditore. -“ Come la mettiamo ora, eh?”- disse Chris odiando Howard, che alzò un sopracciglio e alzò il mento. Improvvisamente i vampiri dietro il suo seggio si moltiplicarono uscendo dalla foresta come formiche, quasi alla pari con i Cacciatori. -“ Lascialo andare.”- disse tra i denti Elise a Jude. Fu un secondo, ma bastò: Rob strinse la presa sulle braccia di Frederick mentre Jude gli prendeva il mento e gli girava la testa di scatto, facendo risuonare nell'aria il suono del collo che si rompeva nelle sue mani. Urlai in quell'istante, cominciando a dimenarmi ma ancora una volta Lucas mi tenne ferma: potei solo chiamare mille e mille volte il nome di Frederick, anche se sapevo che ormai non c'era più niente da fare. Ancora una volta le lacrime cominciarono a scendermi e a bagnarmi le guance. Tutti i Cacciatori urlarono in quel momento con me e cominciò lo scontro: Elise si buttò su Jude, mentre Pattie si occupava di Rob. Ogni Cacciatorie mirò ad un vampiro e lottò per trapasargli il cuore: da dietro la linea dei vampiri altre figure si avvicinarono. Erano animali. Gli animali di ogni vampiro. Sentii a malapena Howard che tossiva per schiarirsi la gola, e sicuramente non lo vidi alzarsi in piedi. Sembrò un'ordine, e infatti così era: i vampiri sollevarono all'unisolo i Cacciatori con cui lottavano e li fecero volare indietro, contro gli alberi, da dove erano venuti e li tennero a terra con i comandi mentali. C'erano Cacciatori che si stringevano il collo, prova che il vampiro lo stava soffocando. Nello scontro ero caduta a terra, non più oppressa da Lucas ma non riuscii a scappare e quando lo scontro finì, il mio vampiro tornò a stringermi le braccia. -“ E ora tocca a voi, signori. Vogliate scusarmi, ho un sacco di impegni: dopo tutto ora sono a capo della Domus principale della Canada, dico bene? E poi voglio eliminarvi al più presto quindi Lucas, Barney, ora tocca a voi.”- -“ Oh mio Dio, no! No, no, no! Alan! Alan!”- urlai in preda al panico. Anche lui urlava il mio nome, anche lui non voleva morire. -“ Caco! Carlotta ti amo.”- disse mentre Barney, il suo vampiro, gli si parava davanti. -“ Oh no Alan... Alan ti amo anch'io. Mi dispiace Alan.”- piangevo ormai: davanti avevo la mole di Lucas, che intanto mi aveva stretto il collo e la mascella. Mi guardai attorno e osservai impaurita Pattie e Elise, e tutti i Cacciatori che erano venuti per salrvarci e che avevano fallito. Ogni animale si avvicinò al suo vampiro e ben presto ci furono più animali che vampiri: Howard si girò, con il cappotto che svolazzava nel vento, alzò un braccio e su di lui calò un aquila. Si trasformò e subito dopo si alzò in volo: alcuni dei vampiri che erano legati ad uccelli lo seguirono volando, gli altri correndogli sotto. Lucas ringhiò. Strinsi gli occhi e aspettai la mia fine tremando: Lucas strinse ancora e prima di morire sentii lo schiocco che fece il collo di Alan; la mia testa venne voltata di lato e poi... E poi, semplicemente, non esistevo più.

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Capitolo 39
*** Epilogo ***


Dapprima sentii solo dei rumori indistinti. Poi incominciarono le voci che si facevano sempre più chiare e riuscii a distinguere quelle femminili da quelle maschili. Respirare non era un problema; mi risultava difficile però muovere anche solo un muscolo. Ci volle una forza innata per aprire gli occhi: la luce dell'alba mi accecò. Quando mi ci abituai, cominciai a vedere le cose che mi stavano intorno. Tutto era sfocato anche se stringevo gli occhi. Poi un viso si avvicinò. -“ Oh, eccoci. Tiriamoci su.”- era una voce femminile familiare. Mi fece sedere e la vista divenne più nitida. La riconobbi. -“ Mer... Mercedes?”- -“ Buon giorno bellissima. Si sono io. Hai dormito tanto, d'altronde...”- e si fermò a guardarmi, morsicandosi il labbro inferiore. -“ D'a.. D'altronde cosa?”- -“ D'altronde ti abbiamo dovuta riempire di antidolorifici perché, anche se Charles ti ha sistemato le fratture, comunque saresti stata male.”- non capivo. -“ Non ricordi nulla?”- un'altra voce mi distrasse, mi girai e trovai Charles che veniva verso di me. -“ No. Cosa, cosa dovrei ricordare?”- -“ Oh sta zitto Charles. Allora, come stai?”- -“ Bene, bene penso. Ma cosa, cosa dovrei ricordare? Dimmelo.”- -“ Tu, Alan, il litigio, Nick e Lucas. Nulla, zero? Almeno ti ricordi di Frederick?”- Charles cominciò a farmi domande a raffica ma lo continuavo a guardarlo senza capire. Non riuscivo a riconoscere nemmeno il posto dove ci trovavamo. I due vampiri si urlavano contro, bisticciando come due bambini. -“ Ma dove siamo?”- li interruppi. -“ A casa nostra, nel retro. Non ci sei mai stata in quest'ala della villa, per quello non ricordi. E non ricordi il resto perché hai subito un trauma.”- finì puntando un dito sul petto del maschio. -“ Ma che trauma e trauma, si è solo rotta le braccia e ora mi pare che sta bene. Non è morta no? Non è questo che conta?”- rispose lui, alzando la voce. Mercedes sospirò e tornò ad occuparsi di me. Mentre parlava e mi spiegava cos'era successo, del mio litigio, del tradimento peggiore del mio, e di Lucas che mi teneva prigioniera cominciai a ricordare tutto quanto. -“ Oh mio Dio. No, aspetta. Dov'è Alan ora?”- la interruppi. Le mi sorrise, sospirando. -“ Eccomi.”- Alan apparve da dietro l'angolo e si appoggiò sul muro. -“ Ciao.”- disse esibendosi nel suo sorriso sghembo. -“ Ciao.”- vederlo mi fece sentire bene per davvero. Allungai le mani per toccarlo ma era troppo lontano. Allora lui mi capì e si avvicinò, si abbassò e mi prese le mani. Le nostre fronti si toccarono e rimasero vicine. -“ Grazie a Mercedes ora ricordo tutto. Quando... Prima che arrivasse Nickolas sono uscita fuori perché... perché ti avevo perdonato ma tu non c'eri.”- -“ Shh tranquilla, è tutto apposto.”- mi accarezzò il viso e i capelli. -“ Sei viva, solo questo è importante.”- -“ Non capisco, perché continuate a dirmi che sono viva. Si lo sono, e allora?”- -“ Eravamo rimaste al vicolo buio e stretto e alle figure sul tetto. Eravamo noi quelle figure.”- -“ Ah si, è vero...”- corrugi la fronte perché ancora non mi era chiaro tutto. -“ Ti stavano portando da Howard. Tu e Frederick, per uccidervi. E lui è morto.”- alzai di scatto lo sguardo e la guardai. -“ Cosa? Frederick... è stato ucciso? E io, perché io no?”- altre lacrime, ancora. -“ No, calmati piccola.”- Mercedes mi si avvicinò e mi accarezzò la mano. -“ Siamo riusciti a salvarti, non conta di più questo?”- -“ E abbiamo salvato anche Alan.”- si intromise Charles. -“ Cosa? Che centra Alan in tutto questo?”- -“ Avevano scoperto di voi due, e poi da anni Howard, o Enim, chiamalo come vuoi, voleva uccidere Frederick. Ti avrebbero portata in una radura dove il Vampiro vi aspettava assieme ad Alan. Vi avrebbe giustiziati tutti e tre e noi non volevamo questo quindi abbiamo deciso di salvare voi due. Ma Frederick abbiamo dovuto sacrificarlo.”- -“ Oh no...”- sconfortata, mi appoggiai alla spalla di Alan.-“ Ma come avete fatto a portarci via?”- -“ Non lo abbiamo fatto.”- rispose pronto Charles. -“ Eh?”- -“ No, non lo abbiamo fatto.”- ridisse Mercedes alzando gli occhi al cielo. -“ Vi abbiamo scambiati con Viola e Neil. Loro erano più anziani e potevano superarlo meglio.”- -“ Cosa? Parlate chiaro, per favore.”- -“ Okay: Viola, in quel vicolo buio, si è scambiata con te. Per farlo aveva bisogno di qualcosa di tuo, qualsiasi cosa: una collana, una maglia, o le lenzuola dove hai dormito prima che andasse tutto a rotoli. Così ha preso quelle lenzuola, ha colto la tua essenza e si è trasformata: ovviamente le è costato tantissime energie e lo stesso ha fatto Neil con qualcosa che appartenesse ad Alan. Howard ha pensato che eravate i veri Caco e Alan e così il piano ha funzionato.”- mentre disse le ultime parole divenne triste. -“ Ah... Loro sono.. morti per noi?”- sussultai portandomi una mano alle labbra. -“ No, ovvio che no. Non mi sacrificherò mai per una Cacciatrice.”- in quel preciso istante entrarono nella stanza Neil e un ghepardo. L'animale si alzò sulle zampe posteriori e si trasformò dal muso in poi in una ragazza: Viola. -“ Devi sempre rovinare le entrate d'effetto. Ti odio.”- rise lei, tirando un pugnetto amichevole sulla spalla del suo partner. -“ Sono fatto così io.”- rise anche lui. -“ Oh mio Dio ma allora..?”- -“ Allora, mia cara Caco, a casa mia se si vuole uccidere un vampiro lo si deve infilzare nel cuore, rompendogli il collo non gli si fa niente. Ma questo non potevano certo saperlo gli scagnozzi di Howard, dico bene?”- si spiegò Neil. Mercedes rise di cuore. -“ E così ora quelli credono che vuoi siate morti, ma non lo siete perché piuttosto siete in debito con noi.”- finì Viola, abbracciando la vita di Neil con un solo braccio e piegandosi verso me e Alan. -“ Eh già.”- aggiunse Neil, stringendo la sua compagna per le spalle. -“ Quindi ora... Ora siamo liberi per davvero?”- chiesi guardando Alan negli occhi. -“ Si, amore.”- mi rispose. Sorrisi felice: gli presi il volto tra le mani e lo baciai, ricambiata. Eravamo liberi, certo avremmo dovuto continuare a scappare ma per un po' non ci volevo pensare: avrei risolto la questione con mio padre e non avrei mai più rivisto né Pattie né Elise o altri dei miei fratelli ma tutto questo non aveva importanza perché potevo stare con la persona che più amavo a questo mondo. Mi staccai dalle sue labbra e gli sussurrai -“ Ti amo”- tra un bacio e l'altro. RINGRAZIAMENTI Beh, i ringraziamenti vanno soprattutto a te che con i tuoi consigli e le tue idee mi hai aiutato a scrivere questa storia, Costi. Grazie mille anche a tutti quelli che hanno continuato a leggere quello che scrivevo, anche quando sembrava tanto noioso. Mille baci a tutti

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