Adrien di Jacqueline (/viewuser.php?uid=7985)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1: voce. ***
Capitolo 3: *** 2: bambole e burattini. ***
Capitolo 4: *** 3: daylight. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO.
Gli occhi scuri parevano voler osservare ogni singola cellula dei corpi che
vedeva passare sotto di sé,nella strada affollata…gente..persone….
Uomini e donne,ragazzi,di cui percepiva i dettagli più insignificanti,volendo
renderli suoi,archiviarli,come se il suo cervello stesse ormai divenendo
un’enorme data-base.
Si scostò con una mano i capelli scuri dal volto,mentre con l’altra si
appoggiava al davanzale della finestra,chinandosi leggermente in avanti.
La fioca luce dei lampioni arrivava a illuminargli debolmente il volto,in modo
che la strana e spettrale lucentezza della pelle non potesse passare inosservata
a chi si fosse soffermato ad osservare il ragazzo.
Ma,se anche vi fosse stato qualcuno che avesse osato,avrebbe distolto subito lo
sguardo…la ragione non comprendeva spiegazioni per l’innaturale pallore della
pelle, e avrebbe solo turbato di più la fragile mente,che non avrebbe ceduto a
cercare spiegazione addentrandosi nella sfera del sovrannaturale.
Alto,piuttosto robusto,benché indossasse abiti scuri spiccava nella penombra
della stanza,come una candela che illumina l’eternità tenebrosa…
Sorrisi leggermente,una mano poggiata sotto il mento,rimanendo a contemplarlo…a
contemplare quella statica bellezza che pareva vibrare in ogni fibra del suo
essere…
Una bellezza dalla quale si poteva facilmente essere soggiogati…una bellezza
ch’era pericolosa…
Soprattutto per loro: per tutte quelle persone che potevano cadere vittime del
suo fascino.
Sussultai,accorgendomi che mi stava fissando,gli occhi scuri pervasi da quel
fuoco che li faceva vivere.
Per un attimo rimasi in silenzio,poi sospirai,scuotendo la testa. Come potevo
pretendere di abituarmi a lui?
“Non ti stancherai mai di osservarli,vero?”la mia voce bassa sembrò rompere il
silenzio che subito tornò ad avvilupparci entrambi,mentre attendevo una sua
risposta.
Sorrise, lievemente,un gesto che al mio occhio era quasi impercettibile.
“No…non mi stancherò mai di osservarvi…”
Scossi nuovamente il capo,sorridendo a mia volta,più apertamente di quanto
avesse fatto lui,ormai era divenuta un’abitudine quella di ritenermi qualcosa di
diverso da un semplice essere umano...
O,almeno,di classificarmi come tale,ai suoi occhi.
Lo vidi avvicinarsi lentamente,così da non spaventarmi,osservai i movimenti
sicuri e decisi,tuttavia delicati e quasi casuali mentre camminava,i capelli
scuri che gli ricadevano fino alle spalle,non trattenuti in alcun modo,le
braccia che accompagnavano il movimento docilmente,i passi che non producevano
il benché minimo rumore sul pavimento.
Si chinò verso di me,baciandomi con delicatezza sulla fronte,il tocco delle
labbra morbide sulla mia pelle che faceva diffondere una sorta di calore dentro
me,lambendomi,quasi a volermi completare… quasi a volermi dare ciò che era
proibito.
“Shh…”sussurrò,avendo letto nella mia mente ancora una volta: posò l’indice
della mano sinistra sulle mie labbra,quasi ad intimarmi il silenzio per parole
che avevo solamente osato pensare e che spesso erano state causa dei nostri
litigi.
“Tornerò presto..attendimi…”un ultimo sussurro,prima di svanire dall’entrata
principale dell’appartamento,mentre il sentore evidentemente così udibile del
sangue lo costringeva ad allontanarsi da me, a cercare altrove l’unica cosa che
poteva soddisfare la sua sete interminabile.
Fissai per un attimo la stanza vuota,poggiando poi il capo sul ripiano del
tavolo e chiudendo gli occhi.
Immaginai la sua figura che passava quasi inosservata tra la folla,gli occhi che
scrutavano le persone,cercando la vittima ideale.,della cui linfa vitale si
sarebbe nutrito,per sopravivere a quell’ennesima notte…per far assorbire un po’
di colore alle guance altrimenti cadaveriche…per sembrare più simile a ciò che
non era più,per poter ingannare e continuare a vivere senza che nessuno lo
disturbasse inutilmente…
Sospirai,rassegnandomi ancora una volta ad aspettarlo,per poter nuovamente
rimanere a contemplarlo,quasi fosse stato un dio…
E,in fondo,per me lo era.
Il mio dio delle tenebre…colui che vegliava su di me ogni notte…
E che tuttavia avrebbe continuato ad esistere,dopo la mia scomparsa.
“Adrien…”il suo nome…ogni volta che lo pronunciavo era come se infrangessi
qualcosa.; ma non aveva importanza,ora come ora…
Volevo solo tornasse e rimanesse accanto a me,a parlarmi,con la sua voce bassa
capace di farmi rabbrividire e sobbalzare…che mi sfiorasse con le dita gentili
mentre toccavano la mia pelle…che mi guardasse,infondendo un po’ della magia dei
suoi occhi nei miei,per permettermi di vivere un altro giorno,di veder un altro
sole e poi tornare ancora da lui…
Volevo rimanergli accanto…e che le notti divenissero interminabili,al suo
fianco…fino a che io non sarei morta e lui avesse continuato per la sua
strada,senza di me.
Lentamente si avviò verso l’uscita dello squallido bar,gli occhi che si
soffermavano sui presenti,il sentore del sangue più flebile,il suo richiamo che
aveva smesso di rombargli nelle orecchie e di assillarlo,anche per quella notte.
Sospirò,chiudendo dietro di sè la porta e respirando l’aria fresca della
sera,mentre si soffermava,lo sguardo levato a fissare la luna spettrale quasi
quanto lui stesso.
Un mezzo sorriso arrivò ad increspargli le labbra rosate,mentre un pensiero gli
attraversava la mente,fulmineo.
Forse…forse l’avrebbe dovuta portare con sè…
Ma poi scosse con impeto la testa a quel pensiero appena formulato,scacciandolo
via.
Mai.
Mai l’avrebbe lasciata andare con lui…
Gli sarebbe stato insopportabile,avere i suoi occhi fissi su sè mentre
uccideva,sebbene in modo pulito…modo pulito…l’uccidere non sarebbe mai potuto
apparire pulito…
Per questo aveva spesso discusso con lei,per quanto odiasse quei momenti che
parevano durare all’infinito,ognuno testardo,che non voleva cedere…
Davvero credeva l’immortalità fosse qualcosa per cui rallegrarsi?
Non sapeva a quale prezzo…
E non lo avrebbe mai saputo. Non per mano sua,almeno.
Lentamente si incamminò verso casa,affrettando leggermente l’andatura per far
prima.
Non credeva fosse possibile amare a tal punto…amare così tanto…essere legati ad
una persona in quel modo…
Non credeva fosse immaginabile..
Rise,volgendo la testa all’indietro,lasciando i capelli sciolti che erano mossi
dal vento,gli occhi chiusi,l’eco della propria risata che si spandeva per la via
poco affollata…
“Leonora….la mia Leonora…”
Il suo nome…risuonò nell’aria,vibrò,quasi volesse spiccare il volo e solcare la
breve distanza che li separava…
Si mosse ancora più velocemente nella notte,percorrendo il marciapiede,senza che
gli umani presenti potessero scorgerlo in alcun modo,fatta eccezione per la
corrente d’aria che improvvisamente venne a crearsi attorno a loro.
Non udii i suoi passi sulle scale,mentre salivano veloci,non udii la porta che
si apriva,non vidi il fascio di luce che penetrò attraverso lo spiraglio.
I miei occhi erano chiusi,mi stavo lievemente assopendo,nell’oscurità sempre più
fitta di quella notte.
Il tocco dolce e sensuale delle sue labbra sulle mie fu ciò che mi fece destare
dal mio torpore,mentre i miei sensi si risvegliavano ed avvertivano la presenza
della sua mano che sosteneva il mio volto,che carezzava la mia pelle,che
esplorava il mio viso ancora una volta.
Lentamente,quando si scostò da me,aprii gli occhi e lo guardai.
La carnagione rosata e tiepida lo faceva apparire più umano,conservando la sua
bellezza,le labbra parevano in qualche modo più piene…e così attraente era la
sua figura,in piedi di fronte a me…
Mi sollevai leggermente, cingendogli con le esili braccia il collo e baciandolo
nuovamente.
Sentii le sue mani su di me,stringersi con cautela,attento a dosare la propria
forza per non farmi male,mentre mi accarezzavano lentamente,delicatamente.
Le mie labbra passarono lievi sulla sua guancia e poi più in basso,sul collo.
Sorrisi,mentre fingevo di morderlo e udii la sua bassa risata che mi procurò un
brivido lungo la schiena…
“Adrien…”sussurrai,baciandolo nuovamente sul collo,seriamente,questa
volta,cercando di morderlo…
Mi scostò con gentile fermezza,baciandomi nuovamente sulle labbra,stringendomi
di più,quasi da mozzarmi il fiato in gola.
“No.”udii la voce ferma dire la parola senza possibilità di replica.
Lo baciai nuovamente e poi lo lasciai andare,sospirando.
Tante e tante volte avevo tentato di capire perché m’impedisse di divenire come
lui…
La sua…esistenza mi pareva così affascinante…cosa avrebbe potuto oscurarla?
“Tutto…ciò che faccio…è il prezzo da pagare per questa mia immortale vita…sono
un assassino…come potresti desiderare di uccidere qualcuno? Per poi nutrirti del
suo sangue..come puoi desiderare una cosa simile?”
Passò una mano fra i miei capelli lunghi,più e più volte.
“Io…non sai cosa darei per tornare ciò che ero..”
Lo fissai,una mano che gli accarezzava la guancia.
“Io…oh,Adrien…io non capisco…”sospirai,abbassando lo sguardo sulla maglietta
nera che indossava,studiandola,mentre avvertivo i suoi occhi su di me.
Sospirò a sua volta,lentamente,baciandomi i capelli.
“Ti prego di perdonarmi…ma è meglio così,credimi…”
Meglio così…meglio così…no…
“Non è vero.”sussurrai,poggiando la fronte contro il suo petto,cercando conforto
nel suo abbraccio tiepido,”non è vero…io morirò…e tu continuerai a vivere..mi
dimenticherai…lascerai che la morte mi prenda senza far nulla…non è giusto.. Mi
lascerai…sola…”
“No…non ti lascerò…”mi costrinse a guardarlo,a fissare gli occhi che ardevano
nella penombra.
“E allora,”sussurrai,tremando,”mi guarderai, giorno dopo giorno,anno dopo
anno,invecchiare,perdere la memoria,la ragione…è questo che vuoi? Ti
stancherai,di me…mi dimenticherai…come un fiore che appassisce e muore in un
prato e viene sepolto dalla terra cosicché nessuno lo ricordi più e la sua
esistenza sia considerata solo un sogno…qualcosa di comunque troppo bello per
essere realmente accaduto…è questo che vuoi?”
“No.”
“E allora perché? Potremo stare insieme per sempre…se solo tu…”
“Credi davvero sia facile? Non immagini cosa ti aspetta…l’eternità dei secoli
che si snoda innanzi a te,senza fine…per sempre e sempre…sarai costretta a veder
morire coloro che ami…generazione dopo generazione..e poi? Aspetterai la fine
del mondo? O morirai prima,non sopportando la vista di ciò che hai davanti? Il
mio è un abisso dal quale non v’è via d’uscita se non per mezzo della morte…e a
volte la paura trattiene e ci spinge a continuare,ad andare avanti…ma per
quanto? E’ tutto troppo orrendo…Leonora…non posso…”
Lentamente,mi scostai da lui, andandomi a sedere sul bordo della poltrona,lo
sguardo fisso sul lampione nella strada innanzi a me.
Si avvicinò,chinandosi per guardarmi negli occhi ed abbracciarmi.
“Ti prego di perdonarmi….ma tutto ciò…è perché ti amo….”
“Lo so…”per un attimo le lacrime minacciarono di cadere sulle mie guance,ma le
trattenei .
“Adrien,lo so…e spero che un giorno capirò quello che cerchi di dirmi…”
lentamente, fuori dalla finestra iniziò a piovere ed un velo di gocce
cristalline risplendette nella luce di quella sera d’inverno,facendomi avvertire
ancor di più il calore evanescente delle sue labbra sulle mie. |
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Capitolo 2 *** 1: voce. ***
Nuova pagina 1
Era stata in una
sera come quella,con la pioggia che le bagnava i capelli,facendoli aderire
fastidiosamente al volto,che l’aveva incontrato.
Camminava in
fretta per raggiungere il proprio appartamento,ormai noncurante dell’acqua che
le aveva inzuppato i vestiti. Si strinse ancora di più nel capotto di lana nera,
cercando di riscaldarsi,invano.
La strada era
buia e stretta : un vicolo in cui aveva cercato inutilmente riparo dal vento
sferzante. Deserto,che stranamente le incuteeva paura.
Le ombre si
delineavano sui muri dei palazzi,strisciando su per le saracinesche ormai
abbassate dei negozi.
Un orologio,poco
davanti a lei,batté undici rintocchi sonori,tutti con lo stesso timbro,che
parvero cadere dal cielo con la pioggia,uno dopo l’altro.
Rabbrividì,
guardandosi intorno, i propri passi che echeggiavano rumorosamente sull’asfalto
bagnato del marciapiede.
“Smettila.”sussurrò a se stessa, ”non fare la bambina…è solo una strada buia.”
Il lampione della
strada illuminata,poco più avanti,le fece tirare un sospiro di sollievo.
Improvvisamente
colse con la coda dell’occhio un movimento alla sua sinistra,in alto,verso le
finestre di una casa ormai disabitata da tempo,con le pareti ricoperte d’edera.
Si
fermò,rabbrividendo,e alzò lo sguardo,cercando di distinguere qualcosa
nell’oscurità che avvolgeva la casa e le finestre,impedendole di vedere se vi
fosse qualcuno che la stesse osservando.
All’improvviso,in
una delle finestre che si affacciavano sulla strada, si venne ad accendere una
flebile luce, ancora più tenue di quella d’un candela, spettrale, quasi quanto
la superficie bianca della luna.
Represse un
gemito soffocato al che distinse i contorni di un volto,così pallido da apparire
cadaverico…in mezzo al quale due occhi scuri la fissavano,ricolmi d’un luce che
li animava e li rendeva vivi.
Indietreggiò,mentre come per magia il volto svaniva,facendo sì che la casa
ripiombasse nella tenebra.
Rimase per
qualche attimo a fissare l’oscurità e le ombre che giocavano sui muri,poi chiuse
gli occhi e fece un respiro profondo,cercando di riprendere il controllo di sé e
di non farsi turbare eccessivamente da ciò che aveva appena visto.
Semplicemente…era
stata un’illusione…qualcosa che era frutto della sua mente e nulla più…
Doveva essere
così…
Doveva…
Non poteva
esistere una persona dalla carnagione così chiara…e poi,quegli occhi…
Così…belli…
Così profondi ed
inquietanti…affascinanti…
Ma cosa stava
pensando?
Scosse la testa
con forza,i lunghi capelli neri che ondeggiavano nel vento.
Ormai la pioggia
era diventata tutt’uno con i suoi vestiti…sbuffò appena, scrutando la parete
alla sua sinistra, alla ricerca di una porta che desse verso l’interno.
Poi la vide.
Vecchia e
cadente, di legno ormai marcio. Si precipitò senza pensare minimamente a cosa
stava facendo, spalancandola ed entrando nell’edificio, mentre tossiva
violentemente, nell’avvertire l’odore della muffa e la polvere che aleggiava su
ogni cosa.
Gli occhi ridotti
a fessura, cercò d’intravedere qualcosa nel buio fitto dell’entrata. La sagoma
di una scala…in fondo una porta che dava su un salone…una cassettiera appoggiata
al muro di fronte con uno specchio sopra, ormai inutilizzabile…
Il piano
superiore…lentamente si mosse, udendo un tuono che rombava, all’esterno.
Sorrise
quasi…certamente, per quanto lugubre, questa stanza era preferibile alla pioggia
scrosciante.
E poi…
Osservò i gradini
di pietra che salivano e iniziò l’ascesa, i suoi passi che rimbombavano
sinistramente fra le pareti.
Arrivò al
pianerottolo, guardandosi intorno, gli occhi che iniziavano ad abituarsi
all’oscurità.
Le sembò di
vedere dei quadri appesi alle pareti…e due porte,una di fianco all’altra…
S’incamminò verso
quella più vicina che era aperta,fermandosi sulla soglia e osservando l’interno.
Un letto…una
scrivania e la finestra.
Nessuno…sorrise,
dandosi della sciocca.
Chi credeva
potesse esserci ?! Un fantasma, forse ?
“Perché no?”
La voce profonda
la fece voltare di scatto, la bocca aperta,l’urlo silenzioso che le rimase in
gola nel vedere quell’essere…
Indietreggiò,
inciampando in un tappeto ammuffito; per poco non perse l’equilibrio.
Con gli occhi
sbarrati, continuò a fissarlo, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Chi era? Come
aveva fatto ad arrivarle alle spalle senza il minimo rumore? Cosa voleva da lei?
Il panico non le
lasciava il tempo di riflettere lucidamente, e lui era lì che le sorrideva,
sorrise,gli occhi neri che rilucevano nell’oscurità.
“Mi dispiace di
averti spaventata così. Non era mia intenzione…”
I denti
bianchissimi risplendettero per un attimo nel buio, prima che le labbra sensuali
tornassero a coprirli.
Leonora deglutì,
facendo passi frettolosi verso la finestra,tentando di calmarsi e di osservarlo.
La carnagione
pallidissima del volto, quegli occhi magnetici, i capelli neri e lunghi fino
alle spalle, che gli spiovevano sul volto…
Era bellissimo, e
sembrava essere pericoloso…
E ovviamente era
ben consapevole d’averla terrorizzata a morte…
“Cosa…cosa…”non
riuscì a finire la frase, la voce tremante che risuonò nell’aria vibrando,per
poi spegnersi,venendo avvolta di nuovo dal silenzio.
“Cosa sono? Cosa
voglio da te?”
Oh,Dio,pensò lei,se non fossi in questa situazione…penserei che è
stupendo…è l’uomo più bello che io abbia mai visto…
Non riusciva,
nell’oscurità, a definirne l’età. Forse aveva venticinque,ventisei anni…
“Ti ringrazio,cherié…
“si passò una mano sui capelli, scostandoseli dal volto, mentre rideva piano,
compiaciuto.
Si avvicinò,
lentamente, arrivando a pochi centimetri da lei.
La ragazza
trattenne il respiro, mentre osservava la sua mano sollevarsi e posarsi
delicatamente sulla propria guancia, accarezzandola.
Tiepida…la sua
mano era tiepida…e dei brividi freddi le corsero lungo la schiena,mentre lo
osservava da una così ravvicinata distanza.
Sì…avrebbe dovuto
avere venticinque anni…il corpo robusto e asciutto, i muscoli che si potevano
appena intravedere sotto la camicia blu scura.
Il suo cuore
iniziò a battere normalmente…per quanto neanche lei se l’aspettasse.
Il ragazzo non
smise di ridere, quasi stesse parlandole.
Che la
prendendesse in giro?
“Leonora…” una
sensazione strana la pervase, nell’udire pronunciato il proprio nome con tale
chiarezza…come lo sapeva?
“Sì…Leonora…uno
splendido nome…” Lui lasciò che i loro volti si avvicinassero, fissandola negli
occhi con tale da incuterle paura.
Poi,
inaspettatamente, ritrasse la mano e si scostò, lasciandole spazio.
Leonora respirò
profondamente e prima ancora che si rendesse conto di ciò che faceva, corse come
non aveva mai fatto fuori dalla stanza, scendendo velocemente le scale di marmo,
per uscire da quella porta decadente e ritrovarsi sotto la pioggia scrosciante,
cercando riparo dal turbine di pensieri che le martellavano in mente.
Il ragazzo la
osservò tornare in strada e correre verso la strada illuminata, dal vano della
finestra.
Sospirò,
passandosi nuovamente una mano fra i capelli, prese il libro che stava leggendo
prima d’averla vista camminare sotto la pioggia. Iniziò a sfogliare le pagine
lentamente, una figura indistinta, pallida come un raggio di luna immersa
nell’oscurità più assoluta.
Erano due notti,
che non pioveva. Due giorni, che si ritrovava a camminare, la sera, da sola per
le vie affollate della città.
Alzando il volto
verso il cielo scuro, osservò la luna che era coperta parzialmente dalle nuvole,
come un velo che copre il volto di una sposa.
La gente le
passava accanto, camminando in fretta, quasi urtandola.
Si accostò alla
vetrina di un negozio, osservandone l’interno : gli scaffali, gli appendiabiti,
le persone che si aggiravano lentamente fra le commesse, osservando i vestiti,
cercando qualcosa che facesse al caso loro.
Sereni,
tranquilli…apparentemente senza problemi…
Distolse lo
sguardo e continuò a camminare, i lampioni che illuminavano il marciapiede
davanti a lei, i fasci di luce provenienti dai fari delle macchine che le
sfrecciavano accanto che creavano ombre sulla strada.
Tutta la
luce…quella luce che cercava di opporsi all’ombra…
Le tenebre che
erano sovrane della notte, le tenebre che parevano non scalfire il volto
d’avorio che la fissava.
Sussultò,
guardandosi attorno, alla ricerca degli occhi magnetici del ragazzo, senza
trovarli.
Scrutò i
passanti, i cappotti scuri, i berretti calcati sugli occhi, le mani affondate
nelle tasche, i volti infreddoliti, gli occhi vacui, senza trovar traccia di
lui.
Ma cosa stava
facendo ?
Lo stava forse
cercando ?
Scosse la testa,
cercando di eliminare dalla propria mente l’immagine di quel volto ed il calore
delle mani, di come si scostava i capelli dal volto; doveva cercare di
dimenticare quel sorriso.
La sensazione che
aveva avvertito quando lui l’aveva toccata.
Il battito del
cuore, e la sua voce…quella voce così profonda…
Prima che se ne
rendesse conto si trovò a fissare la porta di legno marcio del palazzo in cui
l‘aveva incontrato, due notti prima.
Era forse
impazzita? Perché si trovava lì? Non avrebbe dovuto tornare per nessun motivo.
Sapeva che poteva essere pericoloso…
Ma non poteva non
farlo…
Intravide una
flebile luce provenire dal fondo della stanza.
Attraversò la
soglia mentre la parte razionale del suo cervello le ordinava di uscire ,di
andarsene, di fuggire…quel ragazzo era diverso. Avrebbe fatto meglio a
dimenticarlo…
Udì qualcosa che
si muoveva, al piano di sopra, e si fermò tendendo l’orecchio.
Come due notti
prima, la fitta oscurità le impediva di vedere molto. Lentamente iniziò a salire
le scale, poggiandosi alla balaustra di pietra coperta di polvere.
I suoi passi
riecheggiarono nuovamente attraverso il corridoio davanti a lei e la camera
sottostante, rompendo il silenzio.
Improvvisamente,
lo vide, nell’oscurità.
I grandi occhi
grigi si fissarono sul volto, osservando quanto apparisse più umano e non così
spettrale rispetto all’ultima volta…
Lo guardò
sorridere, mentre sollevava una mano e la tendeva verso di lei.
Senza rendersene
conto Leonora la prese, avvertendo il poco calore che emanava; per un istante
pensò di ritrarsi, ma prima che potesse prendere una decisione lui l’attirò a
sé, badando a tenere una certa distanza fra i loro corpi. Non aveva smesso
neanche per un attimo di sorridere.
“Sei tornata.”
Solo allora
comprese il significato dell’azione compiuta.
Esitò, prima di
sorridere leggermente a quegli occhi gentili ed annuire.
“Sì.”
Più e più volte
era tornata in quella casa decadente, solo per vederlo, per sentirlo parlare,
per rimanere a contemplare la figura che pareva fatta di marmo mentre si muoveva
per le stanze, mentre accendeva o spegneva questa o quella candela, mentre la
osservava andar via da una delle numerose finestre.
Riusciva a
trovarlo solamente di notte. Di mattina aveva sempre trovato la porta sbarrata,
con travi che non riusciva a smuovere.
Rimaneva con lui
dal tramonto fino all’alba, al che egli stesso la invitava gentilmente a
lasciarlo riposare.
Spesso trascurava
l’università, ma improvvisamente non considerava più il fatto rilevante.
Sentiva di meno
le amiche e dormiva spesso durante il giorno, per recuperare le forze.
Trovava ogni
scusa per evitare le cene fuori o qualcosa che potesse impedirle di vederlo.
Dopo neanche un
mese la sua presenza aveva cambiato radicalmente il suo modo di vivere.
Una sera lo trovò
ad aspettarla affacciato alla finestra, mentre osservava la strada vuota e piena
di ombre.
Ormai da due ore
il sole era calato e la luna dipingeva sulla sua camicia nera argentei fili che
si dissolvevano come per magia.
“Adrien ?”
Lui non si mosse,
limitandosi ad osservarla. Lei restò ferma sulla soglia, quasi turbata dal suo
sguardo, poi entrò nella casa salendo lentamente i gradini come quel primo
giorno,quasi si aspettasse di esser aggredita da colui che ormai la affascinava
a tal punto da ossessionarla.
Lo scorse che la
aspettava a braccia conserte sul pianerottolo; il capo era reclinato appena
verso destra,gli occhi la guardavano con interesse. Le iridi scure si muovevano,
lente, scorrendo sul suo corpo, sui pantaloni scuri e pesanti, sulla maglietta
leggera di cotone, sotto a quella senza maniche di lana, bianca come il latte.
Fermò il proprio
incedere, la mano sulla ringhiera di pietra, gelida al tocco.
“Adrien ?”
mormorò nuovamente, come volesse chiamarlo, come se volesse chiedergli di
avvicinarsi, di smettere di fissarla semplicemente. La metteva a disagio.
E, quasi le
avesse letto nel pensiero, lui compì due passi per azzerare la distanza che
incombeva fra loro, le mani gelide come non mai che le prendevano il volto fra
le mani, le labbra bluastre che si posavano con arroganza sul suo collo. Avvertì
una lieve fitta, alla quale sussultò, mentre qualcosa di bagnato le inumidiva la
pelle. Caldo.
Cercò di
scostarsi da lui, le mani che premevano con forza sul suo petto, invano. Avvertì
il ragazzo leccare il sangue che le era sceso sul collo, lasciando una scia
vermiglia. Indi la sua voce ora roca, la raggiunse.
“Vattene…Vattene.” Perentoria, così diversa da quella che era abituata ad
ascoltare.
Adrien la lasciò
andare, le mani che ricadevano sui fianchi, le labbra che erano stirate in un
gelido sorriso. Un sorriso che si trasformò in un ghigno, divertito.
Istintivamente,
le proprie dita corsero al collo, dove non avvertì nulla : né una ferita, né un
graffio…Solo un lieve brivido che le percorreva la pelle intatta.
“Vattene.” Lo udì
ancora dire, mentre le voltava la schiena con noncuranza, rientrando nella
propria stanza.
Compì un passo
indietro con incertezza, scendendo un gradino della scala. Solo allora si rese
conto di quanto il proprio cuore stesse battendo. Voltandosi a sua volta, scese
frettolosamente le scale di pietra, lasciando la casa senza guardarsi indietro,
semplicemente correndo alla cieca verso il proprio appartamento, mentre cercava
di distogliere la propria mente da ciò che ormai le sembrava impossibile
accettare…lui era forse un vampiro ?
Pagine. Scritte
con caratteri piccoli. Pagine e pagine che formavano racconti e libri.
Vampiro.
In pochi giorni
si appropriò di qualunque cosa riuscisse a trovare su quelle creature irreali, a
partire dal romanzo di Bram Stocker, che lesse in una notte non chiudendo
occhio. Li studiò attraverso i più moderni libri di Anne Rice, confrontando le
due versioni, immagazzinando tutto ciò che leggeva nei minimi dettagli.
Lasciò che un
libro le cadesse di mani, finendo sul pavimento. Chiuse gli occhi, poggiando la
testa sul cuscino, mentre sospirava appena.
Vampiro.
Scosse con forza
la testa a quel pensiero. Non poteva essere. Era stato semplicemente uno stupido
scherzo. Di cattivo gusto, orribile, l’aveva spaventata. Ma era uno scherzo.
Eppure…il suo
chiederle di andar via, prima dell’alba, il suo essere nella casa solo dopo che
il sole era tramontato. Il suo pallore, la pelle gelida…la sua forza, le labbra
livide. E poi il suo bacio… il sangue.
Le tessere del
puzzle lentamente si incatenavano l’una con l’altra, senza che lei potesse far
nulla per fermarle.
Vattene.
Quella parola…perché ?
Solo dieci giorni
prima aveva compreso quanto lui potesse essere pericoloso. Quanto lo dovesse
temere. Quanto potesse farle paura. Quanto la propria mente non riuscisse ad
accettare ciò che leggeva, ora dopo ora.
Si alzò a sedere,
la destra che lentamente passava fra i capelli scuri in un moto di stanchezza. A
gambe incrociate, guardò fuori dalla finestra il pallido sole di fine dicembre
che calava, oltre i bassi palazzi della città.
In fretta si mise
le scarpe,afferrando uno dei tanti libri che giacevano sul letto, per poi uscire
dalla porta principale, non curandosi di chiuderla a chiave.
Spalancò la porta
di legno una scheggia che le si conficcava nel palmo della mano. Per un istante
la fissò, come ipnotizzata dalla goccia rossa che sgorgava dal graffio. Poi
distolse lo sguardo rapidamente, lasciando che gli occhi grigi si abituassero
all’oscurità. Colse la propria immagine nello specchio coperto parzialmente
dalla polvere. Jeans neri all’apparenza consumati, una camicia rosa chiaro a
maniche lunghe, una sciarpa nera che le copriva il collo. Gli occhi chiari che
la fissavano erano stanchi, tanto stanchi…I lineamenti del volto erano tesi.
Si ravviò i
capelli e li legò in fretta in una coda di cavallo. Si avvicinò ulteriormente
allo specchio, posandovi sopra il palmo aperto della mano, macchiando la
cristallina superficie di sangue. Il proprio sangue. Poggiò la fronte al vetro
polveroso, sospirando appena. Cosa ci faceva lì ? Ora le sembrava tutto così
inutile e stupido.
Si sentì
avvolgere da una morsa gelida, che la abbracciava, quasi immobilizzandola.
“Stupido..sì.
Davvero molto. Tornare nell’antro della bestia...” Una mano, la destra,le
afferrò con decisione il palmo tinto di carminio colore, accostandolo alle
labbra. Lentamente, succhiò il poco sangue che macchiava la pelle, togliendo dal
graffio la scheggia, con una premura che scomparì quasi del tutto quando le
sfiorò il collo, mordendolo appena.
“Stupido davvero.
Non credi ?”
Fredda e
strisciante, la paura le penetrava come aria gelida attraverso i vestiti, quasi
mozzandole il respiro. Gli occhi grigi che erano sgranati fissavano il riflesso
nello specchio, il volto pallido che ora poggiava il mento sulla sua spalla
osservandola, le iridi scure che brillavano d’una luce sinistra.
“Bambola”
sillabò, in tono calmo, quasi caldo. “la mia Bambola..”
“La tua bambola…”
un’altra voce risuonò, serpeggiando chiara fino a giungere alle sue orecchie.
Adrien voltò
appena il capo, lasciando che le labbra si curvassero in un sorriso mentre
osservava l’elegante figura di un ragazzo scendere le scale di pietra, i capelli
chiari che parevano risaltare nell’oscurità della stanza. Gli occhi d’ametista
si posarono dapprima su Adrien, poi su Leonora che rimase immobile.
Il ragazzo le si
avvicinò, sollevò la mano destra per sfiorarle la spalla. Le sue dita erano
fredde.
“La tua bambola…
Allora io non ti basto ?” mormorò, velatamente ironico.
“Tu…tu. Avanti,
Kurtz. Non
potrai mai esser una bambola, tu.” Adrien rise appena, allentando la presa sulla
ragazza.
“Ah no? Mi
offendi.” il volto si modellò in un’infantile espressione di mera delusione e
scontento. “Perché no ?”
Adrien rise. Era
una risata diversa da quella che le rivolgeva, solitamente. Cristallina, che
s’infrangeva sull’alto soffitto, ricadendo velocemente sul pavimento, mentre
rimbalzava appena sul vetro dello specchio, che ancora stava fissando.
“Perché
tu”voltandosi, andò verso il ragazzo che aveva chiamato Kurtz, sfiorandogli il
volto con una mano, quasi lo stesse accarezzando.”Non puoi.”disse semplicemente.
Leonora respirò a
fondo, appoggiandosi al ripiano su cui era lo specchio, socchiudendo gli occhi.
Si sentiva stanca. Sollevò lentamente le palpebre e per un attimo sentì che il
pavimento ondeggiava. Ma non poteva essere… Strinse con forza il bordo del
ripiano, le mani che si sporcavano di polvere. Il silenzio era tutto quello che
riusciva ad avvertire, mentre una insolita sensazione di leggerezza la invadeva.
Due occhi
violetti la fissavano, come trattenendola dal cadere, mentre un buio totale le
occultava qualsiasi visione, mentre avvertiva sotto il corpo la superficie
fredda del pavimento venirle incontro.
Luci. Soffuse,
che lambivano il buio ai bordi, come il sole che tramontava, lasciando scie
rossastre sui contorni delle montagne. O come le luci iridescenti d’una città
vista dall’alto. Accompagnate dal silenzio innaturale della sera. L’assenza di
suoni bruschi le ricordava i locali piccoli e poco affollati nei quali era
solita rifugiarsi con le amiche l’ultimo anno di liceo, il sabato sera. A bere e
chiacchierare, ascoltando un po’ di blues, come quello che sentiva ora,
provenire da qualche angolo nascosto attorno a lei. Dolce,melodioso.
Struggente,pieno di nostalgia.
Lentamente
socchiuse le palpebre, come a non voler spezzare l’incanto di quel risveglio.
No,non era luce…non dell’alba ormai prossima, ma di una candela che tremolava
appena lasciando distinguere la figura appoggiata al davanzale della finestra,
che ascoltava la musica, i lunghi capelli biondi, scomposti, che ricadevano ai
lati del viso, le iridi socchiuse.
Rimase a
fissarlo, ipnotizzata,mentre le scorrevano davanti immagini di una città in
pieno inverno, le strade coperte di neve, risate che aleggiavano nell’aria come
echi avrebbero solamente desiderato di non spegnersi mai..
Freddo. Labbra
fredde e scure le sfiorarono una guancia. Sobbalzò, tirandosi appena a sedere su
un gomito.
Iridi nere come
la notte appena passata, come il buio dal quale si era risvegliata, la
guardavano. C’era un sorriso, un ghigno appena accennato sul volto dipinto di
pallida opalescenza.
“Ben svegliata,
bambola. Noi dobbiamo andare..”
La musica non si
fermava, mantenendo la stessa nota di nostalgia, mentre la candela si spegneva,
la fiamma estinta da una feroce brezza che entrava dalla finestra aperta. Il
cielo si andava tingendo di porpora, mentre la voce di Adrien riempiva la stanza
in modo sommesso.
“Kurtz, andiamo.”
Gentile e fermo,quasi autoritario,come fosse un comando. Per un istante solo una
traccia della musica aleggiò nella stanza, poi scomparve del tutto,
dissolvendosi al che lui si mosse, come vi fosse stato un filo che veniva
reciso.
“Bye, bambola.
Dormi pure quanto vuoi...e se ti preme,resta qui. Ma fa attenzione...la bestia
non è scomparsa, si è solamente assopita.” Adrien rise lievemente, mentre alzava
una mano per scostarle i capelli dal viso.
Vide per un
istante un sorriso anche sul volto di Kurtz, fermo vicino alla porta, poi
entrambi, veloci, senza darle possibilità di replica, uscirono dalla stanza che
piombò nel silenzio.
Sedette, raccogliendo le ginocchia al petto, coperte dalle lenzuola pesanti.
Rimase sveglia a guardare sorgere il sole,il cielo che si tingeva via via di
tonalità più chiare, delle nuvole rosee che l’attraversavano,prive di voce.
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Capitolo 3 *** 2: bambole e burattini. ***
Il cielo era
limpido, sgombro da nuvole. Non si riusciva a scorgere neanche il sole. Nulla.
Solo un azzurro infinito, privo di dubbi. Di domande e di risposte.
Portava solo un
pacato senso di serenità..qualcosa di impalpabile.
Un flebile raggio
di luce le sfiorava il volto,riscaldandolo. Vedeva una figura in lontananza. Che
si avvicinava. Compiva passi lenti e cadenzati, come non avesse fretta di
raggiungerla.
Una lieve brezza
le scompigliò i capelli, facendoli ricadere sugli occhi. In un gesto veloce li
scostò con la mano destra, le iridi grigie che fissarono un volto in
ombra,incorniciato da lunghi capelli che erano mossi appena dal vento. Avvertì
un sorriso affiorarle alle labbra.
Con la coda
dell’occhio scorse il sole in alto sopra di loro. La figura davanti a lei
sollevò lo sguardo,o il capo in ombra,ad osservarlo. Lei credette di vedere
quello che sembrò un sorriso sulla labbra quasi nascoste dalla penombra. Poi la
luce lo avolse trasformandolo in una pira incandescente che le ferì gli occhi.
Quando scostò le mani dal volto,di fronte a lei non rimaneva che un mucchietto
di cenere,che venne spazzato dal vento caldo sulla terra nuda.
Leonora si
sollevò a sedere di scatto sul letto inondato dal sole. Aveva la fronte e le
mani sudate, la gola secca. Guardò fuori dalla finestra, l’astro che brillava
illuminandole gli occhi colmi di spavento.
Si alzò con
scatto frenetico per chiudere le imposte della finestra,lasciando che la stanza
piombasse nell’ombra. Lentamente si lasciò scivolare sul pavimento di
mattonelle con il respiro corto, mentre cercava di reprimere i brividi che le
scuotevano le spalle.
“Bambola.” Il
tono sprezzante era basso,quasi fosse il preludio d’una minaccia. “Bambola.”
Adrien fissò con
indifferenza in ragazzo, il vampiro, che camminava nervosamente per la stanza, i
piedi scalzi che toccavano la moquette nera senza produrre alcun rumore.
“Sì,bambola..Mia.”
“Una… bambola!?”
Si
fermò,fissandolo quasi con ira. “Come puoi definirla una bambola?! Un essere di
carne e sangue... un’umana! Così differente da ciò che sei, così uguale a ciò
che eri. Credi di poter legarla con dei fili invisibile, cosi che da manovrarla
e giocarci? Per quanto tempo ancora la terrai legata a te,lasciandola morire
dietro ai tuoi gesti troppo veloci,al colore dei tuoi occhi così profondi? Per
quanto le lascerai trascurare la propria vita per seguire te, un vampiro?
La stai
distruggendo. Sei un’ossessione, lo sai. E sai anche cosa comporta il tuo starle
vicino. Ma se un giorno la attaccassi ? Non solo per metterle paura, per
prenderti gioco di lei. Se un giorno la sete dovesse divenire incontrollabile ?
Cosa faresti ? Non puoi possederla.
Non è una
bambola.”
Kurtz strinse le
labbra in una linea sottile, come attendendo una risposta. Il vampiro lo guardò
scuotendo appena la testa,come se non stesse capendo.
“E’ una bambola.
Che non posso stringere, perché troppo fragile. Posso solo fare in modo che si
allontani da me. Ma per riuscirci dovrei romperla. Credi sia facile?” mormorò,
quasi l’altro fosse un bambino a cui spiegare una cosa fin troppo ovvia. Lo
sguardo si posò sulle luci oltre la figura del giovane,mentre si alzava andando
alla finestra e poggiandovi le mani gelide.
“Credi che per me
sia così facile?” disse a bassa voce,chiudendo gli occhi contro il vetro che
rifletteva le iridi quasi accusatorie di colui che gli stava alle spalle.
“Vola…” un
sussurro,appena udibile vicino al suo orecchio. Sobbalzò,voltandosi di scatto
verso colui che le era arrivato accanto senza fare rumore.
“Vola,Bambola,vola..” Adrien sorrise appena,un sorriso ingenuo,falsamente
cortese. “Non tornare più.”
La ragazza gli
diede le spalle, infastidita, osservando lo sfrecciare delle macchine lungo la
strada.
“Sì. Potrei
andare via.” Mormorò,sporgendosi appena dalla ringhiera di ferro “Volare… Non ho
ali,a sostenermi. Né volontà. “
Lo sentì ridere.
Ridere di lei. Del suo essere troppo umana. Ma come avrebbe potuto fare
altrimenti ?
Si incamminò
verso la porta che dalla terrazza conduceva alle scale. Non lo guardò neppure
mentre gli passava di fianco, un’orda di sentimenti poco chiari che si
combattevano ferocemente nel cuore. Quasi fossero state bestie feroci.
Aprì la porta,
richiudendola dietro di se e scendendo i gradini ad uno ad uno, fino a che si
ritrovò nel proprio appartamento, dove accese la luce, andando a sedersi sul
davanzale della finestra.
Guardando fuori
cercò di ordinare i pensieri e le emozioni. Contro il cielo scuro, si
distinguevano le costellazioni. Rimase a guardarle, come aspettandosi un
consiglio.
“Bambola, non mi
vedrai per un po’.” La voce pareva quasi stanca. Come se su di essa pesasse un
grande macigno,il cui peso era insostenibile.
Non si girò a
guardare Adrien, ignorandolo volutamente.
“Parto, vado a
New York con Kurtz. Stanotte.” Parole. Erano solo parole. Non erano vere.
“Per quanto?”la
sua voce era così fredda. Terribilmente fredda e distaccata. Eppure erano così
tante le domande che improvvisamente le bussavano alle labbra serrate con forza.
A cosa sarebbe servito ?
“Non so. Il
pipistrello vola…. ma non sa quando o dove andrà a riposare.”
Avvertì solo un
fruscio lieve, poi il nulla. La sua partenza... per un istante trattenne il
fiato. Vide solo una figura che veloce passava fra la folla sottostante la
propria finestra, senza mai voltarsi, senza mai fermarsi a guardare verso di
lei. Ma... cosa pretendeva ? Nulla avrebbe potuto essere… fra loro.
E nulla sia.
Mentre chiudeva
gli occhi, posando il mento sul palmo aperto della mano, lasciò che la musica
filtrante appena dallo stereo acceso le invadesse la mente, senza che nessun
pensiero trapelasse a far luce nella più completa oscurità che le sembrava
annebbiare la vista. Si alzò dopo poco prendendo la custodia del CD che giaceva
aperta accanto ad una delle casse.
A mezza voce
lesse il titolo.
° La musique des
vampires,Claire de la Lune °
Come qualche
notte addietro, ascoltò in silenzio il sassofono spandere la propria melodia per
la stanza, mentre calava la notte, dipingendo ombre sui muri e sulla sua figura.
Giorni. Mattine.
Albe. Era questa, la vita ? Un caffè veloce, mentre ascoltava un CD, sempre lo
stesso. Usciva, chiudendo meccanicamente la porta d’ingresso, poi giù in
strada, fra le macchine, camminando fino alla metropolitana. La gente. Tanta
gente. Cui passava in mezzo, come se non li vedesse. Dieci minuti a guardare i
grattacieli fuori dai finestrini graffiati, poggiata contro una parete del
vagone che correva a media andatura, contando ogni fermata senza pensarci su.
Saliva nuovamente le scale, in fretta, come ansiosa d’assaporare l’aria di
quella città così caotica,così piena di vita, vibrante. Alzò il viso a fissare i
grattacieli ,fino a quando quasi le vennero le vertigini. Chiuse gli
occhi,prendendo un profondo respiro,mentre si avviava verso il suo ufficio
all’angolo della 42esima Street, New York City.
Si volse di
scatto, osservando le sagome degli alberi che svettavano verso l’alto,
nascondendo la pallida luna che faceva capolino fra le nuvole.
Un vento gelido
le sfiorò per un istante il viso prima che riprendesse a camminare, il capo
chino e le mani affondate nelle tasche. Ancora una volta,si chiese perché.
Lei era da sola
in quella città così grande. Svolgeva un lavoro part-time, in una redazione poco
conosciuta. Piccoli incarichi che le trasmettevano qualcosa che a volte avrebbe
potuto scambiare per soddisfazione. Una falsa maschera. Che si rompeva
facilmente. La grande mela, piena di possibilità, novità. Era questo che aveva
detto ai genitori, agli amici, una volta presa la laurea, sei mesi fa.
Ma no… lei era
qui per altro. Per inseguire un incubo che si era allontanato più di un anno
prima, in una notte silenziosa, spezzata solo dalle luci della città. Niente di
più. Folle... Folle..
Come avrebbe
potuto trovarlo ?
In caso, sarebbe
stato il contrario... ma forse lui non era neanche in quella città. Forse si
era spostato, con Kurtz… ancora una volta. .
E allora, perché
non tornava a casa ? Dalla sua famiglia, nel suo mondo ?
Perché non lo
dimenticava, semplicemente ?
Si fermò,
cercando nella borsa le chiavi del portone, in un gesto automatico aprì la
porta, spingendo la maniglia di ferro battuto ed entrando. Salì i gradini che
portavano al suo appartamento. Levatasi le scarpe, si distese sul divano, la
finestra aperta, mentre con il telecomando girava fra i vari canali della
televisione, cercando qualcosa di interessante.
Non trovando
nulla, decise di farsi una doccia. Entrata in bagno, lasciò correre l’acqua
calda nella doccia. Nel mentre mandò un messaggio ad un’amica, per chiederle se
voleva passare da lei, quando avesse finito di lavorare. Non poteva sopportare
l’idea di rimanere sola con le proprie domande.
Una volta che i
muscoli si rilassarono sotto il caldo getto, smembrò non dare più peso ai propri
pensieri. Si appoggiò alla parete, lasciando che l’acqua le scorresse in rivoli
lungo il volto ,donandole una vaga sensazione di serenità.
Fumo. L’odore pungente del fumo la aggredì non appena mise piede sugli scalini
di pietra del pub. Fumo che saliva dalle candele accese sui tavolini di vetro.
Divanetti,u cui sedevano coppie, persone che parlavano sottovoce, i loro
dialoghi che si confondevano con la musica ritmata che proveniva dalle casse,
nascoste appena negli angoli.
Si appoggiò
appena al bancone, con la coda dell’occhio osservò due ragazzi che parlavano
vicino a lei, mentre ordinava una semplice birra. Sedette sull’alto sgabello di
legno, una mano posata sotto il mento, mentre,con puro e finto interesse
osservava le bottiglie alle spalle del barman, ordinatamente disposte lungo gli
scaffali,secondo una strana concezione d’altezza.
“A lei.”
Guardò per un
istante la bottiglia che le veniva posata davanti, prima di lasciare una
banconota sgualcita sul ripiano, presa dalla tasca del cappotto.
“Grazie.” Versò
un po’ di birra nel bicchiere, sorseggiandola mentre aspettava l’arrivo di
Liane, che l’avrebbe raggiunta a breve.
La luce al neon,
tenue ed azzurra si spargeva nel locale accompagnando quella delle candele.
Il ragazzo
accanto a lei rise, probabilmente in risposta ad una battuta dell’amico. Tornò a
guardarlo con discrezione, memorizzandone i tratti delicati, gli occhi chiari e
leggermente a mandorla, i capelli castani ricci che ricadevano appena sotto le
orecchie,
Distolse lo
sguardo, fissandolo fuori dalla porta a vetri, osservando la strada ingombra di
macchine, perdendosi per un istante nei propri pensieri.
“Vuole?”
Una mano dalla
carnagione non chiarissima le porse una sigaretta. Come se nulla fosse. Alzò il
viso, a guardare il ragazzo che fino a poco prima stava ridendo, ora esibente un
candido sorriso verso di lei. Notò che l’amico non era con lui e si chiese dove
fosse finito.
Per guadagnare
tempo, armeggiò un istante con il bicchiere, posandolo sul ligneo bancone, prima
di prendere fra le dita la sigaretta.
Lui le porse
l’accendino, lasciando che la accendesse, osservando la spirale di fumo che
saliva, leggera, andando ad impregnare maggiormente l’aria.
“Spero non stia
aspettando qualcuno..” mormorò lui, mentre velocemente s’accendeva una
sigaretta, quasi a farle compagnia.
“Starei
aspettando una mia amica, veramente.” mormorò, posando le labbra sul bordo del
bicchiere,mentre lasciava vagare lo sguardo sui mobili.
Si ritrovò a
sorridere, riscoprendo sul viso di lui un’espressione quasi delusa.
“Spero di... non
averla importunata. Non volevo.”
“Nessun
disturbo. Mi scusi lei, sono scortese a non prestarle attenzione.
Comunque.”esitò un istante,poi proseguì.” Io sono Leonora.”
“Piacere.” Il suo
sorriso si ampliò, lasciando svanire l’espressione contrariata di poco prima,
mentre aspirarava dalla sigaretta.
”Io sono Ewan.
Tu… posso darti del tu?,non sei di New York, vero ?”
“Si sente
?”mormorò lei, sorpresa. “No...vengo da Londra... British.”soggiunse,lasciandosi
sfuggire una sommessa risata.
“Già… British. E’ evidente”
”Ewan. E’ tardi, andiamo?” l’amico si accostò a loro, osservandola per un
istante, poi aspettò che Ewan si alzasse, mettendosi la giacca.
“Sì,andiamo. Mi
ha fatto piacere conoscerti, Leonora..” mormorò,aspettando un istante che
l’altro lo precedesse verso l’uscita. “Quanto spesso…vieni qui ?”
Lei pensò un
attimo,poi rispose.”Non molto.”
“Allora…a
domani?”
In quell’istante
avvertì la voce di Lianne che la chiamava, entrando nel locale avvolta nel
proprio cappotto scuro. Rideva, come sempre, anche mentre si avvicinava a lei.
Guardò Ewan, prima di annuire appena, prendendo il biglietto da visita che aveva
prontamente tirato fuori dalla tasca della giacca.
Lo seguì con lo
sguardo, mentre oltrepassava la porta vetrata e iniziava a camminare lungo il
marciapiede. Prese il bicchiere e finì la propria birra. Fissò il passare di un
taxi giallo,poi rimase immobile.
Sorrideva, mentre
ascoltava la raffica di domande porte dall’amica, sul chi era quello e come, e
quando , e perchè.
Dall’altro lato
della strada improvvisamente scorse con la coda dell’occhio Adrien che le
sorrideva.
Come se fosse
stato lì da sempre, una mano posata sul fianco che toccava la stoffa nera del
cappotto lungo, abbottonato fino al collo, una camicia chiara che si intravedeva
appena al di sotto di esso.
I capelli erano
sciolti sulle spalle e ricadevano un poco sul viso troppo chiaro e latteo.
Mormorò,muto,una
parola.”Leonora.” poi venne coperto dal passare di diverse macchine e, quando
lei uscì dal pub fermandosi sul marciapiede,già non c’era più; inducendola a
pensare d’aver avuto solo una stupida, evanescente illusione.
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Capitolo 4 *** 3: daylight. ***
Premette le labbra sul bordo della tazza bollente,scostando con la sinistra
una ciocca ribelle che le cadeva davanti agli occhi. La notte ormai stava per
cedere il passo all’alba,quell’alba che tempo prima aveva imparato ad odiare.
L’alba che la separava da Adrien. Scosse appena il capo,come a cacciar dalla
mente tutti i pensieri negativi.
Sorseggiando il proprio caffè, aspettò che la sveglia si accendesse, esattamente
alle 7. Si alzò, aprendo l’acqua calda della doccia. Mentre appoggiava la
schiena contro il muro, solo un pensiero la fece restar lucida e sveglia.
“..lui…verrà a cercarmi..”
Alba. Le membra pesanti, gli occhi…no,non doveva chiudere gli occhi. Lentamente,
si trascinò fino al letto a baldacchino, dopo aver chiuso le persiane della
piccola e stretta finestra, cercando il comodo giaciglio fra le spire del buio.
Solo dopo aver trovato la tenebra, chiuse gli occhi scorrendo fra i pensieri che
lo avevano sommerso quella notte, vedendo il volto della ragazza che lo fissava,
sorpresa ed incredula.
Si maledisse, mentre il torpore lo avvolgeva, carezzandogli il volto,
sussurrandogli parole venute da lontano.
“Qual è…come ti chiami…?”
La guardò, quasi non avesse afferrato il concetto di quello che gli stava
chiedendo.
“..Perdonami ?”
“Sì, il..” aveva guardato fuori dalla finestra, cercando le parole adatte, forse
pensando che lui si sarebbe arrabbiato. In fondo,allora era così imprevedibile.
“il tuo nome. Qual è?” aveva mantenuto lo sguardo sulle stelle brillanti che
spezzavano l’oscurità, aspettando una risposta.
“Mm. Il mio nome. Come vorresti chiamarmi ?” palesemente, si stava prendendo
gioco di lei.
“Come.. come ti chiamava tua madre.”
Era stato solo un sussurro, niente di più. Flebile, velato da qualcosa che
appariva nostalgia. O forse era semplicemente un tremito dovuto all’aria fredda.
“Mia madre…mia madre era solita chiamarmi Adrien.” Ogni nota ilare era
scomparsa,ora. Si limitava a rispondere, osservando il suo viso in penombra.
Leonora si era voltata, sorridendo appena. Un sorriso tanto dolce ed allo stesso
tempo triste. Qualcosa che, se fosse stato umano, gli avrebbe provocato una
stretta al cuore.
“Va bene” aveva mormorato nuovamente “ Adrien.”
“Portami.
Portami via, portami altrove.
Dove tutto è tranquillo e sereno, dove nessuno può impedirmi di vederti,
toccarti, stringerti.
Portami via.”
Fuoco. Fiamme che lambiscono un cielo troppo azzurro per essere vero.
Un altro sogno. O forse era il flebile riflesso delle emozioni che erano in
fondo alla sua anima.
Fuoco che intaglia la più fragile figura...la più instancabile, la più ardua da
guardare…
Appare come una bambola di cera, che va sciogliendosi al tocco.
“ Perché, sei così fragile ? Perché non fai altro che romperti, spezzarti
all’infinito, per poi semplicemente essere rigenerato ? Essere umano...così.
.patetico nel tuo intenso vivere, nel tuo perenne cercare ciò che si definisce
comunemente serenità…appagamento dei sensi..
Quando la morte ti aspetta ,lieve, seguendoti passo dopo passo, attimo dopo
attimo, respiro dopo respiro, gemito dopo gemito.”
“Per questo, portami via.”
“ Via..Dove ? Il mondo è sempre questo...mischiata alla gente, dovrai
camminare.. sarò solo la tua bambola di notte, al calar del sole..”
“Non fa nulla..sono tanto stanca. Portami via. Portami altrove.”
“ Altrove..Dov’è ? In un mondo che non puoi vedere..qualcosa che agogni e mai
sarà tuo. I sogni non esistono bambina. Son solo perenne incubo screziato d’oro
e d’argento. “
“Non importa..portami via..semplicemente.”
"Via..Mi stai forse chiedendo di renderti felice..? Oh,ma non lo sai..? Da
tempo,ho smesso di creder che lassù,oltre questa coltre d’oscura follia,vi sia
il Paradiso.”
Velocemente le parole sfuggirono, guizzando sulla carta, dalla penna a sfera.
Inchiostro nero che si fermò quasi tremando, in attesa di ordini precisi che non
vennero. Una mano sotto il mento,Leonora fissò la pioggia lieve che scorreva sul
vetro della finestra,al di là del quale scorgeva solo buio impenetrabile.
Frasi..Gesti..se li avesse intrappolati sulla carta, inchiodandoli..in modo che
non sarebbero potuti fuggire altrove..
Già, altrove. Dove avevo chiesto a lui, di condurla. Un luogo..dove cercare
serenità,dove trovarla.. Ed ora..in questa città che non dormiva mai..che era
perennemente illuminata.. Guardò verso le luci del porto, che si distinguevano
appena in lontananza.
“..ho smesso di creder che lassù, oltre questa coltre d’oscura follia, vi sia il
Paradiso.”
Ghiaccio che tintinnava lievemente nel bicchiere, immerso nel pallido cocktail.
Posò la fronte sul palmo della destra, socchiudendo gli occhi come se la tenue
luce del pub la infastidisse.
“Non ti piacciono le luci al neon ? Penetrano in quell’oscurità che non potrebbe
essere scalfita da nulla... Spezzano tutte le nostre concezioni di tenebra.”
Si voltò sussultando appena, le iridi grigie che subito inquadrarono la figura
di Ewan schermante con la mano un sorriso ilare.
“Scusami.” Si affrettò questi a dire “Non volevo spaventarti.”
“No, no..” scosse appena il capo, in cenno di diniego. Non l’aveva spaventata.
Semplicemente aveva attribuito le sue parole ad un altro volto.
E si era sorpresa nel non trovarlo una volta giratasi,tutto qui. Ma, certo, non
gliel’avrebbe mai detto.
“Non mi hai spaventata.” Soggiunse, sorseggiando il proprio drink. Fresco, quasi
gelido che scendeva lungo la gola, dissetandola. O forse rendendola ancor più
assetata.
“Ti aspettavo.”
“Bene. Come stai ?” si sedette su una poltroncina di fronte a lei,le mani giunte
che erano poggiate alle ginocchia.
Si sorprese a guardarlo. Guardo il suo volto nella penombra, riflesso della
chiara luce del neon. Il modo in cui sedeva, appena piegato in avanti,i capelli
ricci che gli adornavano il volto quasi elegantemente.
Un piccolo Eros.
Per un attimo si ritrovò ad osservarlo senza parole, la mano che stringeva la
fredda superficie del bicchiere. Lo mosse, facendo ruotare il ghiaccio che
tintinnò contro la parete che lo separava dall’aria, dal vuoto.
“Bene, ma... Ti va di camminare un po’?” chiese, esitando.
Ewan le rispose con un'occhiata sorpresa, poi sorrise, annuendo piano. Aspettò
che lei finisse di bere e pagasse, prima di porgerle il cappotto.
Una volta varcata la soglia del locale, si concesse di respirare a fondo l’aria
fredda della notte.
Si strinse un attimo nel cappotto, come cercando calore mentre camminava
adeguando il proprio passo al suo. Rimasero in silenzio, forse persi entrambi
nei loro pensieri,mentre i taxi sfrecciavano lungo le strade illuminate dai
lampioni, mentre passavano gli atri degli hotel e gli uomini in livrea.
Passando per un piccolo parco, iniziarono a parlare ; a raccontarsi. Il lavoro,
le giornate invernali, le amicizie. L'ambizione di Ewan nel voler diventare un
buon avvocato, il motivo che aveva spinto Leonora ad andare così lontano da
casa. La ragazza si trovò a ridere alle sue battute, cercando di non lasciarsi
invaghire dai suoi occhi chiari. Osservava i piccoli dettagli, il modo che aveva
di camminare, come muoveva le mani mentre le spiegava qualcosa, e notò che lui
aveva la stessa accortezza nei suoi confronti.
Ewan le indicò una chiesa, poco più avanti, dicendole che era lì, che aveva
preso il diploma.
Si fermarono a sedere sui gradini antecedenti il portone, la gente che camminava
loro davanti, senza prestare loro la minima attenzione.
“Leonora... che bel nome.”mormorò Ewan, girando appena il viso a guardarla.
“Sì..lo so, grazie. E tu...Ewan, da dove vieni ?”
“Da dove..? Nato a cresciuto qui,nei quartieri bassi di Manhattan. Solo... porto
un nome d’Irlanda, della quale,veramente so ben poco.”
Lì vicino si fermarono dei ragazzi che aprirono delle custodie e tiraron
fuori,come se nulla fosse, dei violini. Una dolce melodia si diffuse nell’aria
mentre un piccolo cappanello di gente si riuniva attorno ai giovani che non
avranno avuto più di venticinque anni.
“Guardali.” Mormorò la ragazza, posando il mento sulle mani mentre,ad occhi
socchiusi ascoltava la musica.
”Suonano tanto per divertirsi... come se questo fosse l’unico luogo dove magari
nessuno li conosce... Provano puro piacere nel fare ciò che più li aggrada e
porta soddisfazione.”
“Cos’è che ti manca?”gli occhi azzurri per un istante fuggevole vennero infranti
di verde scuro, mentre si fissavano su lei.
Sorrise appena senza guardarlo,prima di dire pacatamente.
“La mia famiglia, i miei amici..un po’ tutto. Eppure sento che questa città mi
piace. Mi piace davvero. Credo mi abituerò, alla fine. Ho solo bisogno di tempo.
“
“Abbiamo tutti bisogno di tempo.”le sue parole risultarono appena udibili.
“Tempo...per cercare. Tempo per capire cosa vogliamo.”
Le sorrise lievemente, reclinando il capo verso sinistra ; una mano era posata
sulla guancia, a pugno chiuso.
Leonora non potè fare altro che restare a guardarlo, senza dire nulla, come se
la melodia dei violini l’avesse incantata.
Una candela. La cui fiamma si muoveva appena, sospinta dalla flebile brezza. Una
tenda ondeggiò, frapponendosi per un istante fra la candela e la figura.
“E’ un libro che apparteneva a mio padre.” La voce era bassa,mentre le tendeva
il volume di poche pagine,dalla copertina in pelle rosso scura.
Lascive ombre graffiavano i muri verniciati da un tenue color panna ; forse
troppo chiaro. Lei sfogliò lentamente le pagine, mentre ne avvertiva il profumo.
Dentro vi erano alcuni appunti presi a matita, delle frasi. Un intero atto
dell’Amleto, alcuni sonetti di vari poeti.
Lo richiuse, chiedendosi perché lui le avesse mostrato quell’oggetto così
privato.
“..il sogno già in se stesso è solo un’ombra.”
Mormorò il ragazzo mentre guardava il cielo color pece nel quale si stagliavano
i grattacieli, punteggiati dalla luce che proveniva dalle finestre. Aveva una
mano posata sul davanzale a poca distanza dalla candela. Le iridi parevano
ancora più chiare, mentre la luce ci si rifletteva con sinistra intensità.
“Non credi sia così ?” si rivolse a lei, dopo alcuni istanti di silenzio.
“..Solo un’ombra... Non saprei. Forse. Un’ombra di qualcosa che già esiste ?”
“Sì..forse.” scrollò un istante le spalle, poi si voltò a guardarla.
“Vuoi un caffè?” chiese incamminandosi verso una stanza, a destra del divano su
cui lei era seduta.
“Sì, grazie.” Si alzò,quasi per seguirlo in cucina.
“Secondo te potrei essere una persona falsa ?” Mise su la macchina per il
caffè,di quelle italiane,poi accese il fornello. La fiamma azzurrina ebbe un
guizzo, poi si stabilizzò.
“Io..ti conosco da troppo poco...per poterlo dire.”
“Oh, questo sì. Ma..dammi solo un’indicazione. Qualcosa di approssimato.”
Posò le mani sul ripiano, voltandosi ed appoggiandovisi. Sorrise con fare
rassicurante.
“Falsa…No,non credo. Non dai quest’impressione. Ma...mai fidarsi.” Sorrise
divertita,mentre osservava i pensili, il lavello sgombro, cosa insolita,il frigo
grigio con fogliettini e calamite attaccate. Il ripiano con i bicchieri, bordato
di nero, i cassetti, una scatola di cereali lasciata aperta, uno strofinaccio
accanto al lavello.
Guardò i suoi pantaloni, semplici jeans neri, la maglietta a righe nere e
bianche, in parte celata da un leggero giacchetto grigio, a maniche lunghe.
“Oh,già..” mormorò lui, mentre spegneva il fuoco, prendendo due tazzine e
posandole accanto ai fornelli.
”In fondo..quante sere sono, che ci vediamo? Quattro, se non sbaglio. Dai, ti
chiedo solo un’impressione generale.” Il tono era pacato,non esprimeva nessuna
emozione.
Sembrava quasi distante.
Le porse una delle due tazzine, ora bollente. Rimase a giocherellarci per alcuni
secondi, mentre cercava di riordinare le idee.
“Gentile..Pacato..è bello il modo in cui ridi.”
Ridacchiò sorpreso, prima di parlare.
“Davvero..?” Bevve un po’ di caffè nero, lentamente. “Non pensavo.”
“Ah, mi sorprendi... Sei capace di pensare ? Non ci avrei mai creduto.” scosse
il capo, il sorriso che si ampliava sulle labbra.
“Se vuoi..” mormorò lui avvicinandosi di qualche passo, fino a sfiorarla
“...posso anche non pensare…”
Veloce. Una mano le alzò di poco il viso, le labbra che arrivarono a sfiorare le
sue. Si fermò, guardandola con una punta di malizia.
“..solo se a te va bene…” mormorò.
Leonora lasciò che la mente venisse attraversata da un solo nome che si dileguò
in fretta, mentre annuiva appena.
L’aroma del caffè li avvolse, proveniente dalle tazzine abbandonate sul tavolo.
Leonora avvertì il calore delle sue labbra sulla pelle; le sfiorò il collo, poi
tracciò una scia sotto l'orecchio, lungo la linea del mento. Chiuse gli occhi,
quando sentì il suo respiro sulle proprie labbra. Si accostò a lui, cercando
quel tepore. Si divertì a rincorrere i primi baci, veloci, poi più dolci e meno
fuggevoli.
Si lasciò sollevare, lasciò che la prendess in braccio, lo sentì ridere, si
sorprese ad imitarlo.
La candela sembrò seguire i loro movimenti mentre attraversavano il salotto:
ondeggiò mentre il vento aumentava di poco, entrando gelidamente dalla finestra
aperta. Poi, dopo un ultimo guizzo, estinguendo il proprio intenso bagliore si
spense,lasciando che le forme fossero avvolte da teli d’impenetrabile ombra e
silenzio.
Luce. Flebile,che penetrava dalla finestra aperta,superando il velo sottile
delle tende. Socchiuse gli occhi osservando i raggi che andavano a colpire i
chiari soprammobili. Raggi che avvolgevano il bicchiere pieno d’acqua, sul
comodino accanto al letto, trafiggendo il liquido chiaro ed immobile;
riflettendosi in luce smerigliata sulle lenzuola coloro panna.
Sospirò appena, chiudendo nuovamente gli occhi mentre le dita accarezzava il
tessuto delle lenzuola. Come aveva fatto a trovarsi lì ?
Erano bastate due parole dolci...uno sguardo...così poco.
“Che pessima persona...” mormorò, rivolta a se stessa, mentre un sottile rumore
di passi si avvicinava.
“...Pessima persona ? Ti riferisci a me o parli di te ?” la voce di Ewan
appariva ovattata, tuttavia ne riusciva a percepire l'ironia.
“Di te, ovviamente. Io sono innocente, fino a prova contraria. Una ragazza dolce
e pura che è stata sedotta ed ingannata !”mugugnò, tentando di non ridere,
mentre inquadrava il ragazzo accanto al letto, avvolto in un asciugamano di
spugna, i capelli ancora bagnati che gli ricadevano sugli occhi. Sorrise appena,
chinandosi verso di lei.
“Innocente ? Pura ? Io, ingannatore ? Come potrei mai ! Sei tu, che mi hai
sedotto.”
Leonora rise appena, stirando le braccie verso l'alto.
"Va bene, va bene. Rimaniamo comunque pessime persone."
Le sue dita sfiorarono le labbra della ragazza, lievemente, accarezzandole.
“Allora, fammi indovinare. E’ perché sei in questo letto..e secondo
una..morale?,o etica, non dovresti esserci, giusto ?”
Una calda sensazione, dolce. Il suo corpo era vivo…vibrante. Scrollò appena le
spalle, guardandolo negli occhi.
“Qualcosa del genere, suppongo.” Mosse le labbra contro le dita che vi
rimanevano poggiate.
“Ah..qualcosa del genere...come sei vaga.” Il sorriso sul suo viso si ampliò,
venendo catturato per un istante dalla luce del sole che lo ferì agli occhi,
costringendolo a chiuderli.
“Vaga...Forse.” ammise, alzandosi a sedere,lasciando che le proprie labbra gli
sfiorassero i capelli bagnati, profumati di shampoo.
“E comunque... a me avevano insegnato che si salutava con buongiorno... Ma forse
si usava troppo tempo fa ?” lo schernì, sorridendo.
“Oh sì,è qualcosa di altamente primitivo. A me hanno insegnato ben altro.”
lasciò scorrere le labbra sulla sua guancia, fino a baciarla.
“Mm... sì, immagino.” Si scostò appena.
”Ho fame,schiavo... la colazione è pronta ?!”
Ewan scosse la testa, sbuffando.
“Anche la colazione, ora..non ti bastano le buone maniere!” si voltò,avviandosi
fuori dalla stanza,verso la cucina; la luce inondava la sua schiena nuda, dalla
carnagione chiara.
Leonora sorrise, raccogliendo le ginocchia al petto e chiedendosi cosa ci fosse
di sbagliato,nell’essere lì. Forse nulla..
Scosse la testa, rimandando a dopo quei pensieri, mentre scendeva rapidamente
dal letto e si infilava una vestaglia che giaceva inerte su una sedia.
Raggiunse a piedi scalzi la cucina, pregna di un lieve profumo di toast appena
fatti.
Mi ami?
Aveva riso, di quella sua risata cristallina e tagliente come il vento che
penetrava dalla finestra aperta, gettando la testa all’indietro sul cuscino.
“Amarti..Oh,Leonora. Voi esseri umani siete sempre alla ricerca di
questo..Amore...ma cos’è, in fondo ?Un sentimento, come ogni altro, che
nasce,vive,muore..e alle volte voi vi lasciate morire per questo.
E' impensabile,avanti. Davvero... buffo.”
Oh, sapeva che era stata ferita da quelle parole. Per questo le aveva sfiorato
una guancia con la mano sinistra, posando le dita fredde sulla pelle calda.
“L’Amore..è qualcosa che io non provo, bimba. Qualcosa che ho dimenticato da
tempo,che non so definire..Capisci?”
Si era avvicinato a lei, seduta sul bordo del letto, annullando la distanza fra
loro.
“..Tu..possiedi qualcosa più grande dell’amore..”
“Ah,davvero..” volutamente amara,la voce, nel superare l’aria e raggiungerlo.
Dapprima aveva scosso la testa, i capelli scuri che come sempre risaltavano in
forte contrasto con la carnagione pallida, poi le aveva preso il viso fra le
mani, lasciandole la fredda eppur intensa sensazione delle labbra posate sulle
sue, in un rapido bacio.
“Tu..possiedi un Vampiro,bimba..”
*
Ad occhi aperti, fissava il soffitto, rigirando quelle immagini fra le mani
della mente appena assopita. Accanto a lei, Ewan respirava regolarmente, un
braccio che le sfiorava la mano.
Sospirò appena, stando ben attenta a non svegliarlo, cercando di convincersi che
Adrien,quella notte, si fosse sbagliato.
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