Adrien

di Jacqueline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1: voce. ***
Capitolo 3: *** 2: bambole e burattini. ***
Capitolo 4: *** 3: daylight. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO.
Gli occhi scuri parevano voler osservare ogni singola cellula dei corpi che vedeva passare sotto di sé,nella strada affollata…gente..persone….
Uomini e donne,ragazzi,di cui percepiva i dettagli più insignificanti,volendo renderli suoi,archiviarli,come se il suo cervello stesse ormai divenendo un’enorme data-base.
Si scostò con una mano i capelli scuri dal volto,mentre con l’altra si appoggiava al davanzale della finestra,chinandosi leggermente in avanti.
La fioca luce dei lampioni arrivava a illuminargli debolmente il volto,in modo che la strana e spettrale lucentezza della pelle non potesse passare inosservata a chi si fosse soffermato ad osservare il ragazzo.
Ma,se anche vi fosse stato qualcuno che avesse osato,avrebbe distolto subito lo sguardo…la ragione non comprendeva spiegazioni per l’innaturale pallore della pelle, e avrebbe solo turbato di più la fragile mente,che non avrebbe ceduto a cercare spiegazione addentrandosi nella sfera del sovrannaturale.
Alto,piuttosto robusto,benché indossasse abiti scuri spiccava nella penombra della stanza,come una candela che illumina l’eternità tenebrosa…
Sorrisi leggermente,una mano poggiata sotto il mento,rimanendo a contemplarlo…a contemplare quella statica bellezza che pareva vibrare in ogni fibra del suo essere…
Una bellezza dalla quale si poteva facilmente essere soggiogati…una bellezza ch’era pericolosa…
Soprattutto per loro: per tutte quelle persone che potevano cadere vittime del suo fascino.
Sussultai,accorgendomi che mi stava fissando,gli occhi scuri pervasi da quel fuoco che li faceva vivere.
Per un attimo rimasi in silenzio,poi sospirai,scuotendo la testa. Come potevo pretendere di abituarmi a lui?
“Non ti stancherai mai di osservarli,vero?”la mia voce bassa sembrò rompere il silenzio che subito tornò ad avvilupparci entrambi,mentre attendevo una sua risposta.
Sorrise, lievemente,un gesto che al mio occhio era quasi impercettibile.
“No…non mi stancherò mai di osservarvi…”
Scossi nuovamente il capo,sorridendo a mia volta,più apertamente di quanto avesse fatto lui,ormai era divenuta un’abitudine quella di ritenermi qualcosa di diverso da un semplice essere umano...
O,almeno,di classificarmi come tale,ai suoi occhi.
Lo vidi avvicinarsi lentamente,così da non spaventarmi,osservai i movimenti sicuri e decisi,tuttavia delicati e quasi casuali mentre camminava,i capelli scuri che gli ricadevano fino alle spalle,non trattenuti in alcun modo,le braccia che accompagnavano il movimento docilmente,i passi che non producevano il benché minimo rumore sul pavimento.
Si chinò verso di me,baciandomi con delicatezza sulla fronte,il tocco delle labbra morbide sulla mia pelle che faceva diffondere una sorta di calore dentro me,lambendomi,quasi a volermi completare… quasi a volermi dare ciò che era proibito.
“Shh…”sussurrò,avendo letto nella mia mente ancora una volta: posò l’indice della mano sinistra sulle mie labbra,quasi ad intimarmi il silenzio per parole che avevo solamente osato pensare e che spesso erano state causa dei nostri litigi.
“Tornerò presto..attendimi…”un ultimo sussurro,prima di svanire dall’entrata principale dell’appartamento,mentre il sentore evidentemente così udibile del sangue lo costringeva ad allontanarsi da me, a cercare altrove l’unica cosa che poteva soddisfare la sua sete interminabile.
Fissai per un attimo la stanza vuota,poggiando poi il capo sul ripiano del tavolo e chiudendo gli occhi.
Immaginai la sua figura che passava quasi inosservata tra la folla,gli occhi che scrutavano le persone,cercando la vittima ideale.,della cui linfa vitale si sarebbe nutrito,per sopravivere a quell’ennesima notte…per far assorbire un po’ di colore alle guance altrimenti cadaveriche…per sembrare più simile a ciò che non era più,per poter ingannare e continuare a vivere senza che nessuno lo disturbasse inutilmente…
Sospirai,rassegnandomi ancora una volta ad aspettarlo,per poter nuovamente rimanere a contemplarlo,quasi fosse stato un dio…
E,in fondo,per me lo era.
Il mio dio delle tenebre…colui che vegliava su di me ogni notte…
E che tuttavia avrebbe continuato ad esistere,dopo la mia scomparsa.
“Adrien…”il suo nome…ogni volta che lo pronunciavo era come se infrangessi qualcosa.; ma non aveva importanza,ora come ora…
Volevo solo tornasse e rimanesse accanto a me,a parlarmi,con la sua voce bassa capace di farmi rabbrividire e sobbalzare…che mi sfiorasse con le dita gentili mentre toccavano la mia pelle…che mi guardasse,infondendo un po’ della magia dei suoi occhi nei miei,per permettermi di vivere un altro giorno,di veder un altro sole e poi tornare ancora da lui…
Volevo rimanergli accanto…e che le notti divenissero interminabili,al suo fianco…fino a che io non sarei morta e lui avesse continuato per la sua strada,senza di me.

Lentamente si avviò verso l’uscita dello squallido bar,gli occhi che si soffermavano sui presenti,il sentore del sangue più flebile,il suo richiamo che aveva smesso di rombargli nelle orecchie e di assillarlo,anche per quella notte.
Sospirò,chiudendo dietro di sè la porta e respirando l’aria fresca della sera,mentre si soffermava,lo sguardo levato a fissare la luna spettrale quasi quanto lui stesso.
Un mezzo sorriso arrivò ad increspargli le labbra rosate,mentre un pensiero gli attraversava la mente,fulmineo.
Forse…forse l’avrebbe dovuta portare con sè…
Ma poi scosse con impeto la testa a quel pensiero appena formulato,scacciandolo via.
Mai.
Mai l’avrebbe lasciata andare con lui…
Gli sarebbe stato insopportabile,avere i suoi occhi fissi su sè mentre uccideva,sebbene in modo pulito…modo pulito…l’uccidere non sarebbe mai potuto apparire pulito…
Per questo aveva spesso discusso con lei,per quanto odiasse quei momenti che parevano durare all’infinito,ognuno testardo,che non voleva cedere…
Davvero credeva l’immortalità fosse qualcosa per cui rallegrarsi?
Non sapeva a quale prezzo…
E non lo avrebbe mai saputo. Non per mano sua,almeno.
Lentamente si incamminò verso casa,affrettando leggermente l’andatura per far prima.
Non credeva fosse possibile amare a tal punto…amare così tanto…essere legati ad una persona in quel modo…
Non credeva fosse immaginabile..
Rise,volgendo la testa all’indietro,lasciando i capelli sciolti che erano mossi dal vento,gli occhi chiusi,l’eco della propria risata che si spandeva per la via poco affollata…
“Leonora….la mia Leonora…”
Il suo nome…risuonò nell’aria,vibrò,quasi volesse spiccare il volo e solcare la breve distanza che li separava…
Si mosse ancora più velocemente nella notte,percorrendo il marciapiede,senza che gli umani presenti potessero scorgerlo in alcun modo,fatta eccezione per la corrente d’aria che improvvisamente venne a crearsi attorno a loro.

Non udii i suoi passi sulle scale,mentre salivano veloci,non udii la porta che si apriva,non vidi il fascio di luce che penetrò attraverso lo spiraglio.
I miei occhi erano chiusi,mi stavo lievemente assopendo,nell’oscurità sempre più fitta di quella notte.
Il tocco dolce e sensuale delle sue labbra sulle mie fu ciò che mi fece destare dal mio torpore,mentre i miei sensi si risvegliavano ed avvertivano la presenza della sua mano che sosteneva il mio volto,che carezzava la mia pelle,che esplorava il mio viso ancora una volta.
Lentamente,quando si scostò da me,aprii gli occhi e lo guardai.
La carnagione rosata e tiepida lo faceva apparire più umano,conservando la sua bellezza,le labbra parevano in qualche modo più piene…e così attraente era la sua figura,in piedi di fronte a me…
Mi sollevai leggermente, cingendogli con le esili braccia il collo e baciandolo nuovamente.
Sentii le sue mani su di me,stringersi con cautela,attento a dosare la propria forza per non farmi male,mentre mi accarezzavano lentamente,delicatamente.
Le mie labbra passarono lievi sulla sua guancia e poi più in basso,sul collo.
Sorrisi,mentre fingevo di morderlo e udii la sua bassa risata che mi procurò un brivido lungo la schiena…
“Adrien…”sussurrai,baciandolo nuovamente sul collo,seriamente,questa volta,cercando di morderlo…
Mi scostò con gentile fermezza,baciandomi nuovamente sulle labbra,stringendomi di più,quasi da mozzarmi il fiato in gola.
“No.”udii la voce ferma dire la parola senza possibilità di replica.
Lo baciai nuovamente e poi lo lasciai andare,sospirando.
Tante e tante volte avevo tentato di capire perché m’impedisse di divenire come lui…
La sua…esistenza mi pareva così affascinante…cosa avrebbe potuto oscurarla?
“Tutto…ciò che faccio…è il prezzo da pagare per questa mia immortale vita…sono un assassino…come potresti desiderare di uccidere qualcuno? Per poi nutrirti del suo sangue..come puoi desiderare una cosa simile?”
Passò una mano fra i miei capelli lunghi,più e più volte.
“Io…non sai cosa darei per tornare ciò che ero..”
Lo fissai,una mano che gli accarezzava la guancia.
“Io…oh,Adrien…io non capisco…”sospirai,abbassando lo sguardo sulla maglietta nera che indossava,studiandola,mentre avvertivo i suoi occhi su di me.
Sospirò a sua volta,lentamente,baciandomi i capelli.
“Ti prego di perdonarmi…ma è meglio così,credimi…”
Meglio così…meglio così…no…
“Non è vero.”sussurrai,poggiando la fronte contro il suo petto,cercando conforto nel suo abbraccio tiepido,”non è vero…io morirò…e tu continuerai a vivere..mi dimenticherai…lascerai che la morte mi prenda senza far nulla…non è giusto.. Mi lascerai…sola…”
“No…non ti lascerò…”mi costrinse a guardarlo,a fissare gli occhi che ardevano nella penombra.
“E allora,”sussurrai,tremando,”mi guarderai, giorno dopo giorno,anno dopo anno,invecchiare,perdere la memoria,la ragione…è questo che vuoi? Ti stancherai,di me…mi dimenticherai…come un fiore che appassisce e muore in un prato e viene sepolto dalla terra cosicché nessuno lo ricordi più e la sua esistenza sia considerata solo un sogno…qualcosa di comunque troppo bello per essere realmente accaduto…è questo che vuoi?”
“No.”
“E allora perché? Potremo stare insieme per sempre…se solo tu…”
“Credi davvero sia facile? Non immagini cosa ti aspetta…l’eternità dei secoli che si snoda innanzi a te,senza fine…per sempre e sempre…sarai costretta a veder morire coloro che ami…generazione dopo generazione..e poi? Aspetterai la fine del mondo? O morirai prima,non sopportando la vista di ciò che hai davanti? Il mio è un abisso dal quale non v’è via d’uscita se non per mezzo della morte…e a volte la paura trattiene e ci spinge a continuare,ad andare avanti…ma per quanto? E’ tutto troppo orrendo…Leonora…non posso…”
Lentamente,mi scostai da lui, andandomi a sedere sul bordo della poltrona,lo sguardo fisso sul lampione nella strada innanzi a me.
Si avvicinò,chinandosi per guardarmi negli occhi ed abbracciarmi.
“Ti prego di perdonarmi….ma tutto ciò…è perché ti amo….”
“Lo so…”per un attimo le lacrime minacciarono di cadere sulle mie guance,ma le trattenei .
“Adrien,lo so…e spero che un giorno capirò quello che cerchi di dirmi…”
lentamente, fuori dalla finestra iniziò a piovere ed un velo di gocce cristalline risplendette nella luce di quella sera d’inverno,facendomi avvertire ancor di più il calore evanescente delle sue labbra sulle mie.

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Capitolo 2
*** 1: voce. ***


Nuova pagina 1

Era stata in una sera come quella,con la pioggia che le bagnava i capelli,facendoli aderire fastidiosamente al volto,che l’aveva incontrato.

Camminava in fretta per raggiungere il proprio appartamento,ormai noncurante dell’acqua che le aveva inzuppato i vestiti. Si strinse ancora di più nel capotto di lana nera, cercando di riscaldarsi,invano.

La strada era buia e stretta : un vicolo in cui aveva cercato inutilmente riparo dal vento sferzante. Deserto,che stranamente le incuteeva paura.

Le ombre si delineavano sui muri dei palazzi,strisciando su per le saracinesche ormai abbassate dei negozi.

Un orologio,poco davanti a lei,batté undici rintocchi sonori,tutti con lo stesso timbro,che parvero cadere dal cielo con la pioggia,uno dopo l’altro.

Rabbrividì, guardandosi intorno, i propri passi che echeggiavano rumorosamente sull’asfalto bagnato del marciapiede.

“Smettila.”sussurrò a se stessa, ”non fare la bambina…è solo una strada buia.”

Il lampione della strada illuminata,poco più avanti,le fece tirare un sospiro di sollievo.

Improvvisamente colse con la coda dell’occhio un movimento alla sua sinistra,in alto,verso le finestre di una casa ormai disabitata da tempo,con le pareti ricoperte d’edera.

Si fermò,rabbrividendo,e alzò lo sguardo,cercando di distinguere qualcosa nell’oscurità che avvolgeva la casa e le finestre,impedendole di vedere se vi fosse qualcuno che la stesse osservando.

All’improvviso,in una delle finestre che si affacciavano sulla strada, si venne ad accendere una flebile luce, ancora più tenue di quella d’un candela, spettrale, quasi quanto la superficie bianca della luna.

Represse un gemito soffocato al che distinse i contorni di un volto,così pallido da apparire cadaverico…in mezzo al quale due occhi scuri la fissavano,ricolmi d’un luce che li animava e li rendeva vivi.

Indietreggiò,mentre come per magia il volto svaniva,facendo sì che la casa ripiombasse nella tenebra.

Rimase per qualche attimo a fissare l’oscurità e le ombre che giocavano sui muri,poi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo,cercando di riprendere il controllo di sé e di non farsi turbare eccessivamente da ciò che aveva appena visto.

Semplicemente…era stata un’illusione…qualcosa che era frutto della sua mente e nulla più…

Doveva essere così…

Doveva…

Non poteva esistere una persona dalla carnagione così chiara…e poi,quegli occhi…

Così…belli

Così profondi ed inquietanti…affascinanti…

Ma cosa stava pensando?

Scosse la testa con forza,i lunghi capelli neri che ondeggiavano nel vento.

Ormai la pioggia era diventata tutt’uno con i suoi vestiti…sbuffò appena, scrutando la parete alla sua sinistra, alla ricerca di una porta che desse verso l’interno.

Poi la vide.

Vecchia e cadente, di legno ormai marcio. Si precipitò senza pensare minimamente a cosa stava facendo, spalancandola ed entrando nell’edificio, mentre tossiva violentemente, nell’avvertire l’odore della muffa e la polvere che aleggiava su ogni cosa.

Gli occhi ridotti a fessura, cercò d’intravedere qualcosa nel buio fitto dell’entrata. La sagoma di una scala…in fondo una porta che dava su un salone…una cassettiera appoggiata al muro di fronte con uno specchio sopra, ormai inutilizzabile…

Il piano superiore…lentamente si mosse, udendo un tuono che rombava, all’esterno.

Sorrise quasi…certamente, per quanto lugubre, questa stanza era preferibile alla pioggia scrosciante.

E poi…

Osservò i gradini di pietra che salivano e iniziò l’ascesa, i suoi passi che rimbombavano sinistramente fra le pareti.

Arrivò al pianerottolo, guardandosi intorno, gli occhi che iniziavano ad abituarsi all’oscurità.

Le sembò di vedere dei quadri appesi alle pareti…e due porte,una di fianco all’altra…

S’incamminò verso quella più vicina che era aperta,fermandosi sulla soglia e osservando l’interno.

Un letto…una scrivania e la finestra.

Nessuno…sorrise, dandosi della sciocca.

Chi credeva potesse esserci ?! Un fantasma, forse ?

“Perché no?”

La voce profonda la fece voltare di scatto, la bocca aperta,l’urlo silenzioso che le rimase in gola nel vedere quell’essere

Indietreggiò, inciampando in un tappeto ammuffito; per poco non perse l’equilibrio.

Con gli occhi sbarrati, continuò a fissarlo, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Chi era? Come aveva fatto ad arrivarle alle spalle senza il minimo rumore? Cosa voleva da lei?

Il panico non le lasciava il tempo di riflettere lucidamente, e lui era lì che le sorrideva, sorrise,gli occhi neri che rilucevano nell’oscurità.

“Mi dispiace di averti spaventata così. Non era mia intenzione…”

I denti bianchissimi risplendettero per un attimo nel buio, prima che le labbra sensuali tornassero a coprirli.

Leonora deglutì, facendo passi frettolosi verso la finestra,tentando di calmarsi e di osservarlo.

La carnagione pallidissima del volto, quegli occhi magnetici, i capelli neri e lunghi fino alle spalle, che gli spiovevano sul volto…

Era bellissimo, e sembrava essere pericoloso…

E ovviamente era ben consapevole d’averla terrorizzata a morte…

“Cosa…cosa…”non riuscì a finire la frase, la voce tremante che risuonò nell’aria vibrando,per poi spegnersi,venendo avvolta di nuovo dal silenzio.

“Cosa sono? Cosa voglio da te?”

Oh,Dio,pensò lei,se non fossi in questa situazione…penserei che è stupendo…è l’uomo più bello che io abbia mai visto…

Non riusciva, nell’oscurità, a definirne l’età. Forse aveva venticinque,ventisei anni…

“Ti ringrazio,cherié… “si passò una mano sui capelli, scostandoseli dal volto, mentre rideva piano, compiaciuto.

Si avvicinò, lentamente, arrivando a pochi centimetri da lei.

La ragazza trattenne il respiro, mentre osservava la sua mano sollevarsi e posarsi delicatamente sulla propria guancia, accarezzandola.

Tiepida…la sua mano era tiepida…e dei brividi freddi le corsero lungo la schiena,mentre lo osservava da una così ravvicinata distanza.

Sì…avrebbe dovuto avere venticinque anni…il corpo robusto e asciutto, i muscoli che si potevano appena intravedere sotto la camicia blu scura.

Il suo cuore iniziò a battere normalmente…per quanto neanche lei se l’aspettasse.

Il ragazzo non smise di ridere, quasi stesse parlandole.

Che la prendendesse in giro?

“Leonora…” una sensazione strana la pervase, nell’udire pronunciato il proprio nome con tale chiarezza…come lo sapeva?

“Sì…Leonora…uno splendido nome…” Lui lasciò che i loro volti si avvicinassero, fissandola negli occhi con tale da incuterle paura.

Poi, inaspettatamente, ritrasse la mano e si scostò, lasciandole spazio.

Leonora respirò profondamente e prima ancora che si rendesse conto di ciò che faceva, corse come non aveva mai fatto fuori dalla stanza, scendendo velocemente le scale di marmo, per uscire da quella porta decadente e ritrovarsi sotto la pioggia scrosciante, cercando riparo dal turbine di pensieri che le martellavano in mente.

Il ragazzo la osservò tornare in strada e correre verso la strada illuminata, dal vano della finestra.

Sospirò, passandosi nuovamente una mano fra i capelli, prese il libro che stava leggendo prima d’averla vista camminare sotto la pioggia. Iniziò a sfogliare le pagine lentamente, una figura indistinta, pallida come un raggio di luna immersa nell’oscurità più assoluta.

Erano due notti, che non pioveva. Due giorni, che si ritrovava a camminare, la sera, da sola per le vie affollate della città.

Alzando il volto verso il cielo scuro, osservò la luna che era coperta parzialmente dalle nuvole, come un velo che copre il volto di una sposa.

La gente le passava accanto, camminando in fretta, quasi urtandola.

Si accostò alla vetrina di un negozio, osservandone l’interno : gli scaffali, gli appendiabiti, le persone che si aggiravano lentamente fra le commesse, osservando i vestiti, cercando qualcosa che facesse al caso loro.

Sereni, tranquilli…apparentemente senza problemi…

Distolse lo sguardo e continuò a camminare, i lampioni che illuminavano il marciapiede davanti a lei, i fasci di luce provenienti dai fari delle macchine che le sfrecciavano accanto che creavano ombre sulla strada.

Tutta la luce…quella luce che cercava di opporsi all’ombra…

Le tenebre che erano sovrane della notte, le tenebre che parevano non scalfire il volto d’avorio che la fissava.

Sussultò, guardandosi attorno, alla ricerca degli occhi magnetici del ragazzo, senza trovarli.

Scrutò i passanti, i cappotti scuri, i berretti calcati sugli occhi, le mani affondate nelle tasche, i volti infreddoliti, gli occhi vacui, senza trovar traccia di lui.

Ma cosa stava facendo ?

Lo stava forse cercando ?

Scosse la testa, cercando di eliminare dalla propria mente l’immagine di quel volto ed il calore delle mani, di come si scostava i capelli dal volto; doveva cercare di dimenticare quel sorriso.

La sensazione che aveva avvertito quando lui l’aveva toccata.

Il battito del cuore, e la sua voce…quella voce così profonda…

Prima che se ne rendesse conto si trovò a fissare la porta di legno marcio del palazzo in cui l‘aveva incontrato, due notti prima.

Era forse impazzita? Perché si trovava lì? Non avrebbe dovuto tornare per nessun motivo. Sapeva che poteva essere pericoloso…

Ma non poteva non farlo…

Intravide una flebile luce provenire dal fondo della stanza.

Attraversò la soglia mentre la parte razionale del suo cervello le ordinava di uscire ,di andarsene, di fuggire…quel ragazzo era diverso. Avrebbe fatto meglio a dimenticarlo…

Udì qualcosa che si muoveva, al piano di sopra, e si fermò tendendo l’orecchio.

Come due notti prima, la fitta oscurità le impediva di vedere molto. Lentamente iniziò a salire le scale, poggiandosi alla balaustra di pietra coperta di polvere.

I suoi passi riecheggiarono nuovamente attraverso il corridoio davanti a lei e la camera sottostante, rompendo il silenzio.

Improvvisamente, lo vide, nell’oscurità.

I grandi occhi grigi si fissarono sul volto, osservando quanto apparisse più umano e non così spettrale rispetto all’ultima volta…

Lo guardò sorridere, mentre sollevava una mano e la tendeva verso di lei.

Senza rendersene conto Leonora la prese, avvertendo il poco calore che emanava; per un istante pensò di ritrarsi, ma prima che potesse prendere una decisione lui l’attirò a sé, badando a tenere una certa distanza fra i loro corpi. Non aveva smesso neanche per un attimo di sorridere.

“Sei tornata.”

Solo allora comprese il significato dell’azione compiuta.

Esitò, prima di sorridere leggermente a quegli occhi gentili ed annuire.

“Sì.”

Più e più volte era tornata in quella casa decadente, solo per vederlo, per sentirlo parlare, per rimanere a contemplare la figura che pareva fatta di marmo mentre si muoveva per le stanze, mentre accendeva o spegneva questa o quella candela, mentre la osservava andar via da una delle numerose finestre.

Riusciva a trovarlo solamente di notte. Di mattina aveva sempre trovato la porta sbarrata, con travi che non riusciva a smuovere.

Rimaneva con lui dal tramonto fino all’alba, al che egli stesso la invitava gentilmente a lasciarlo riposare.

Spesso trascurava l’università, ma improvvisamente non considerava più il fatto rilevante.

Sentiva di meno le amiche e dormiva spesso durante il giorno, per recuperare le forze.

Trovava ogni scusa per evitare le cene fuori o qualcosa che potesse impedirle di vederlo.

Dopo neanche un mese la sua presenza aveva cambiato radicalmente il suo modo di vivere.

Una sera lo trovò ad aspettarla affacciato alla finestra, mentre osservava la strada vuota e piena di ombre.

Ormai da due ore il sole era calato e la luna dipingeva sulla sua camicia nera argentei fili che si dissolvevano come per magia.

“Adrien ?”

Lui non si mosse, limitandosi ad osservarla. Lei restò ferma sulla soglia, quasi turbata dal suo sguardo, poi entrò nella casa salendo lentamente i gradini come quel primo giorno,quasi si aspettasse di esser aggredita da colui che ormai la affascinava a tal punto da ossessionarla.

Lo scorse che la aspettava a braccia conserte sul pianerottolo; il capo era reclinato appena verso destra,gli occhi la guardavano con interesse. Le iridi scure si muovevano, lente, scorrendo sul suo corpo, sui pantaloni scuri e pesanti, sulla maglietta leggera di cotone, sotto a quella senza maniche di lana, bianca come il latte.

Fermò il proprio incedere, la mano sulla ringhiera di pietra, gelida al tocco.

“Adrien ?” mormorò nuovamente, come volesse chiamarlo, come se volesse chiedergli di avvicinarsi, di smettere di fissarla semplicemente. La metteva a disagio.

E, quasi le avesse letto nel pensiero, lui compì due passi per azzerare la distanza che incombeva fra loro, le mani gelide come non mai che le prendevano il volto fra le mani, le labbra bluastre che si posavano con arroganza sul suo collo. Avvertì una lieve fitta, alla quale sussultò, mentre qualcosa di bagnato le inumidiva la pelle. Caldo.

Cercò di scostarsi da lui, le mani che premevano con forza sul suo petto, invano. Avvertì il ragazzo leccare il sangue che le era sceso sul collo, lasciando una scia vermiglia. Indi la sua voce ora roca, la raggiunse.

“Vattene…Vattene.” Perentoria, così diversa da quella che era abituata ad ascoltare.

Adrien la lasciò andare, le mani che ricadevano sui fianchi, le labbra che erano stirate in un gelido sorriso. Un sorriso che si trasformò in un ghigno, divertito.

Istintivamente, le proprie dita corsero al collo, dove non avvertì nulla : né una ferita, né un graffio…Solo un lieve brivido che le percorreva la pelle intatta.

“Vattene.” Lo udì ancora dire, mentre le voltava la schiena con noncuranza, rientrando nella propria stanza.

Compì un passo indietro con incertezza, scendendo un gradino della scala. Solo allora si rese conto di quanto il proprio cuore stesse battendo. Voltandosi a sua volta, scese frettolosamente le scale di pietra, lasciando la casa senza guardarsi indietro, semplicemente correndo alla cieca verso il proprio appartamento, mentre cercava di distogliere la propria mente da ciò che ormai le sembrava impossibile accettare…lui era forse un vampiro ?

Pagine. Scritte con caratteri piccoli. Pagine e pagine che formavano racconti e libri.

Vampiro.

In pochi giorni si appropriò di qualunque cosa riuscisse a trovare su quelle creature irreali, a partire dal romanzo di Bram Stocker, che lesse in una notte non chiudendo occhio. Li studiò attraverso i più moderni libri di Anne Rice, confrontando le due versioni, immagazzinando tutto ciò che leggeva nei minimi dettagli.

Lasciò che un libro le cadesse di mani, finendo sul pavimento. Chiuse gli occhi, poggiando la testa sul cuscino, mentre sospirava appena.

Vampiro.

Scosse con forza la testa a quel pensiero. Non poteva essere. Era stato semplicemente uno stupido scherzo. Di cattivo gusto, orribile, l’aveva spaventata. Ma era uno scherzo.

Eppure…il suo chiederle di andar via, prima dell’alba, il suo essere nella casa solo dopo che il sole era tramontato. Il suo pallore, la pelle gelida…la sua forza, le labbra livide. E poi il suo bacio… il sangue.

Le tessere del puzzle lentamente si incatenavano l’una con l’altra, senza che lei potesse far nulla per fermarle.

Vattene. Quella parola…perché ?

Solo dieci giorni prima aveva compreso quanto lui potesse essere pericoloso. Quanto lo dovesse temere. Quanto potesse farle paura. Quanto la propria mente non riuscisse ad accettare ciò che leggeva, ora dopo ora.

Si alzò a sedere, la destra che lentamente passava fra i capelli scuri in un moto di stanchezza. A gambe incrociate, guardò fuori dalla finestra il pallido sole di fine dicembre che calava, oltre i bassi palazzi della città.

In fretta si mise le scarpe,afferrando uno dei tanti libri che giacevano sul letto, per poi uscire dalla porta principale, non curandosi di chiuderla a chiave.

Spalancò la porta di legno una scheggia che le si conficcava nel palmo della mano. Per un istante la fissò, come ipnotizzata dalla goccia rossa che sgorgava dal graffio. Poi distolse lo sguardo rapidamente, lasciando che gli occhi grigi si abituassero all’oscurità. Colse la propria immagine nello specchio coperto parzialmente dalla polvere. Jeans neri all’apparenza consumati, una camicia rosa chiaro a maniche lunghe, una sciarpa nera che le copriva il collo. Gli occhi chiari che la fissavano erano stanchi, tanto stanchi…I lineamenti del volto erano tesi.

Si ravviò i capelli e li legò in fretta in una coda di cavallo. Si avvicinò ulteriormente allo specchio, posandovi sopra il palmo aperto della mano, macchiando la cristallina superficie di sangue. Il proprio sangue. Poggiò la fronte al vetro polveroso, sospirando appena. Cosa ci faceva lì ? Ora le sembrava tutto così inutile e stupido.

Si sentì avvolgere da una morsa gelida, che la abbracciava, quasi immobilizzandola.

“Stupido..sì. Davvero molto. Tornare nell’antro della bestia...” Una mano, la destra,le afferrò con decisione il palmo tinto di carminio colore, accostandolo alle labbra. Lentamente, succhiò il poco sangue che macchiava la pelle, togliendo dal graffio la scheggia, con una premura che scomparì quasi del tutto quando le sfiorò il collo, mordendolo appena.

“Stupido davvero. Non credi ?”

Fredda e strisciante, la paura le penetrava come aria gelida attraverso i vestiti, quasi mozzandole il respiro. Gli occhi grigi che erano sgranati fissavano il riflesso nello specchio, il volto pallido che ora poggiava il mento sulla sua spalla osservandola, le iridi scure che brillavano d’una luce sinistra.

“Bambola” sillabò, in tono calmo, quasi caldo. “la mia Bambola..”

“La tua bambola…” un’altra voce risuonò, serpeggiando chiara fino a giungere alle sue orecchie.

Adrien voltò appena il capo, lasciando che le labbra si curvassero in un sorriso mentre osservava l’elegante figura di un ragazzo scendere le scale di pietra, i capelli chiari che parevano risaltare nell’oscurità della stanza. Gli occhi d’ametista si posarono dapprima su Adrien, poi su Leonora che rimase immobile.

Il ragazzo le si avvicinò, sollevò la mano destra per sfiorarle la spalla. Le sue dita erano fredde.

“La tua bambola… Allora io non ti basto ?” mormorò, velatamente ironico.

“Tu…tu. Avanti, Kurtz. Non potrai mai esser una bambola, tu.” Adrien rise appena, allentando la presa sulla ragazza.

“Ah no? Mi offendi.” il volto si modellò in un’infantile espressione di mera delusione e scontento. “Perché no ?”

Adrien rise. Era una risata diversa da quella che le rivolgeva, solitamente. Cristallina, che s’infrangeva sull’alto soffitto, ricadendo velocemente sul pavimento, mentre rimbalzava appena sul vetro dello specchio, che ancora stava fissando.

“Perché tu”voltandosi, andò verso il ragazzo che aveva chiamato Kurtz, sfiorandogli il volto con una mano, quasi lo stesse accarezzando.”Non puoi.”disse semplicemente.

Leonora respirò a fondo, appoggiandosi al ripiano su cui era lo specchio, socchiudendo gli occhi. Si sentiva stanca. Sollevò lentamente le palpebre e per un attimo sentì che il pavimento ondeggiava. Ma non poteva essere… Strinse con forza il bordo del ripiano, le mani che si sporcavano di polvere. Il silenzio era tutto quello che riusciva ad avvertire, mentre una insolita sensazione di leggerezza la invadeva.

Due occhi violetti la fissavano, come trattenendola dal cadere, mentre un buio totale le occultava qualsiasi visione, mentre avvertiva sotto il corpo la superficie fredda del pavimento venirle incontro.

Luci. Soffuse, che lambivano il buio ai bordi, come il sole che tramontava, lasciando scie rossastre sui contorni delle montagne. O come le luci iridescenti d’una città vista dall’alto. Accompagnate dal silenzio innaturale della sera. L’assenza di suoni bruschi le ricordava i locali piccoli e poco affollati nei quali era solita rifugiarsi con le amiche l’ultimo anno di liceo, il sabato sera. A bere e chiacchierare, ascoltando un po’ di blues, come quello che sentiva ora, provenire da qualche angolo nascosto attorno a lei. Dolce,melodioso. Struggente,pieno di nostalgia.

Lentamente socchiuse le palpebre, come a non voler spezzare l’incanto di quel risveglio. No,non era luce…non dell’alba ormai prossima, ma di una candela che tremolava appena lasciando distinguere la figura appoggiata al davanzale della finestra, che ascoltava la musica, i lunghi capelli biondi, scomposti, che ricadevano ai lati del viso, le iridi socchiuse.

Rimase a fissarlo, ipnotizzata,mentre le scorrevano davanti immagini di una città in pieno inverno, le strade coperte di neve, risate che aleggiavano nell’aria come echi avrebbero solamente desiderato di non spegnersi mai..

Freddo. Labbra fredde e scure le sfiorarono una guancia. Sobbalzò, tirandosi appena a sedere su un gomito.

Iridi nere come la notte appena passata, come il buio dal quale si era risvegliata, la guardavano. C’era un sorriso, un ghigno appena accennato sul volto dipinto di pallida opalescenza.

“Ben svegliata, bambola. Noi dobbiamo andare..”

La musica non si fermava, mantenendo la stessa nota di nostalgia, mentre la candela si spegneva, la fiamma estinta da una feroce brezza che entrava dalla finestra aperta. Il cielo si andava tingendo di porpora, mentre la voce di Adrien riempiva la stanza in modo sommesso.

“Kurtz, andiamo.” Gentile e fermo,quasi autoritario,come fosse un comando. Per un istante solo una traccia della musica aleggiò nella stanza, poi scomparve del tutto, dissolvendosi al che lui si mosse, come vi fosse stato un filo che veniva reciso.

“Bye, bambola. Dormi pure quanto vuoi...e se ti preme,resta qui. Ma fa attenzione...la bestia non è scomparsa, si è solamente assopita.” Adrien rise lievemente, mentre alzava una mano per scostarle i capelli dal viso.

Vide per un istante un sorriso anche sul volto di Kurtz, fermo vicino alla porta, poi entrambi, veloci, senza darle possibilità di replica, uscirono dalla stanza che piombò nel silenzio.

Sedette, raccogliendo le ginocchia al petto, coperte dalle lenzuola pesanti. Rimase sveglia a guardare sorgere il sole,il cielo che si tingeva via via di tonalità più chiare, delle nuvole rosee che l’attraversavano,prive di voce.

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Capitolo 3
*** 2: bambole e burattini. ***


Il cielo era limpido, sgombro da nuvole. Non si riusciva a scorgere neanche il sole. Nulla. Solo un azzurro infinito, privo di dubbi. Di domande e di risposte.

Portava solo un pacato senso di serenità..qualcosa di impalpabile.

Un flebile raggio di luce le sfiorava il volto,riscaldandolo. Vedeva una figura in lontananza. Che si avvicinava. Compiva passi lenti e cadenzati, come non avesse fretta di raggiungerla.

Una lieve brezza le scompigliò i capelli, facendoli ricadere sugli occhi. In un gesto veloce li scostò con la mano destra, le iridi grigie che fissarono un volto in ombra,incorniciato da lunghi capelli che erano mossi appena dal vento. Avvertì un sorriso affiorarle alle labbra.

Con la coda dell’occhio scorse il sole in alto sopra di loro. La figura davanti a lei sollevò lo sguardo,o il capo in ombra,ad osservarlo. Lei credette di vedere quello che sembrò un sorriso sulla labbra quasi nascoste dalla penombra. Poi la luce lo avolse trasformandolo in una pira incandescente che le ferì gli occhi. Quando scostò le mani dal volto,di fronte a lei non rimaneva che un mucchietto di cenere,che venne spazzato dal vento caldo sulla terra nuda.

Leonora si sollevò a sedere di scatto sul letto inondato dal sole. Aveva la fronte e le mani sudate, la gola secca. Guardò fuori dalla finestra, l’astro che brillava illuminandole gli occhi colmi di spavento.

Si alzò con scatto frenetico per chiudere le imposte della finestra,lasciando che la stanza piombasse nell’ombra. Lentamente si lasciò scivolare sul pavimento di mattonelle con il respiro corto, mentre cercava di reprimere i brividi che le scuotevano le spalle.

“Bambola.” Il tono sprezzante era basso,quasi fosse il preludio d’una minaccia. “Bambola.”

Adrien fissò con indifferenza in ragazzo, il vampiro, che camminava nervosamente per la stanza, i piedi scalzi che toccavano la moquette nera senza produrre alcun rumore.

“Sì,bambola..Mia.”

“Una… bambola!?”

Si fermò,fissandolo quasi con ira. “Come puoi definirla una bambola?! Un essere di carne e sangue... un’umana! Così differente da ciò che sei, così uguale a ciò che eri. Credi di poter legarla con dei fili invisibile, cosi che da manovrarla e giocarci? Per quanto tempo ancora la terrai legata a te,lasciandola morire dietro ai tuoi gesti troppo veloci,al colore dei tuoi occhi così profondi? Per quanto le lascerai trascurare la propria vita per seguire te, un vampiro?

La stai distruggendo. Sei un’ossessione, lo sai. E sai anche cosa comporta il tuo starle vicino. Ma se un giorno la attaccassi ? Non solo per metterle paura, per prenderti gioco di lei. Se un giorno la sete dovesse divenire incontrollabile ? Cosa faresti ? Non puoi possederla.

Non è una bambola.”

Kurtz strinse le labbra in una linea sottile, come attendendo una risposta. Il vampiro lo guardò scuotendo appena la testa,come se non stesse capendo.

“E’ una bambola. Che non posso stringere, perché troppo fragile. Posso solo fare in modo che si allontani da me. Ma per riuscirci dovrei romperla. Credi sia facile?” mormorò, quasi l’altro fosse un bambino a cui spiegare una cosa fin troppo ovvia. Lo sguardo si posò sulle luci oltre la figura del giovane,mentre si alzava andando alla finestra e poggiandovi le mani gelide.

“Credi che per me sia così facile?” disse a bassa voce,chiudendo gli occhi contro il vetro che rifletteva le iridi quasi accusatorie di colui che gli stava alle spalle.

“Vola…” un sussurro,appena udibile vicino al suo orecchio. Sobbalzò,voltandosi di scatto verso colui che le era arrivato accanto senza fare rumore.

“Vola,Bambola,vola..” Adrien sorrise appena,un sorriso ingenuo,falsamente cortese. “Non tornare più.”

La ragazza gli diede le spalle, infastidita, osservando lo sfrecciare delle macchine lungo la strada.

“Sì. Potrei andare via.” Mormorò,sporgendosi appena dalla ringhiera di ferro “Volare… Non ho ali,a sostenermi. Né volontà. “

Lo sentì ridere. Ridere di lei. Del suo essere troppo umana. Ma come avrebbe potuto fare altrimenti ?

Si incamminò verso la porta che dalla terrazza conduceva alle scale. Non lo guardò neppure mentre gli passava di fianco, un’orda di sentimenti poco chiari che si combattevano ferocemente nel cuore. Quasi fossero state bestie feroci.

Aprì la porta, richiudendola dietro di se e scendendo i gradini ad uno ad uno, fino a che si ritrovò nel proprio appartamento, dove accese la luce, andando a sedersi sul davanzale della finestra.

Guardando fuori cercò di ordinare i pensieri e le emozioni. Contro il cielo scuro, si distinguevano le costellazioni. Rimase a guardarle, come aspettandosi un consiglio.

“Bambola, non mi vedrai per un po’.” La voce pareva quasi stanca. Come se su di essa pesasse un grande macigno,il cui peso era insostenibile.

Non si girò a guardare Adrien, ignorandolo volutamente.

“Parto, vado a New York con Kurtz. Stanotte.” Parole. Erano solo parole. Non erano vere.

“Per quanto?”la sua voce era così fredda. Terribilmente fredda e distaccata. Eppure erano così tante le domande che improvvisamente le bussavano alle labbra serrate con forza. A cosa sarebbe servito ?

“Non so. Il pipistrello vola…. ma non sa quando o dove andrà a riposare.”

Avvertì solo un fruscio lieve, poi il nulla. La sua partenza... per un istante trattenne il fiato. Vide solo una figura che veloce passava fra la folla sottostante la propria finestra, senza mai voltarsi, senza mai fermarsi a guardare verso di lei. Ma... cosa pretendeva ? Nulla avrebbe potuto essere… fra loro.

E nulla sia.

Mentre chiudeva gli occhi, posando il mento sul palmo aperto della mano, lasciò che la musica filtrante appena dallo stereo acceso le invadesse la mente, senza che nessun pensiero trapelasse a far luce nella più completa oscurità che le sembrava annebbiare la vista. Si alzò dopo poco prendendo la custodia del CD che giaceva aperta accanto ad una delle casse.

A mezza voce lesse il titolo.

° La musique des vampires,Claire de la Lune °

Come qualche notte addietro, ascoltò in silenzio il sassofono spandere la propria melodia per la stanza, mentre calava la notte, dipingendo ombre sui muri e sulla sua figura.

Giorni. Mattine. Albe. Era questa, la vita ? Un caffè veloce, mentre ascoltava un CD, sempre lo stesso. Usciva, chiudendo meccanicamente la porta d’ingresso, poi giù in strada, fra le macchine, camminando fino alla metropolitana. La gente. Tanta gente. Cui passava in mezzo, come se non li vedesse. Dieci minuti a guardare i grattacieli fuori dai finestrini graffiati, poggiata contro una parete del vagone che correva a media andatura, contando ogni fermata senza pensarci su. Saliva nuovamente le scale, in fretta, come ansiosa d’assaporare l’aria di quella città così caotica,così piena di vita, vibrante. Alzò il viso a fissare i grattacieli ,fino a quando quasi le vennero le vertigini. Chiuse gli occhi,prendendo un profondo respiro,mentre si avviava verso il suo ufficio all’angolo della 42esima Street, New York City.

Si volse di scatto, osservando le sagome degli alberi che svettavano verso l’alto, nascondendo la pallida luna che faceva capolino fra le nuvole.

Un vento gelido le sfiorò per un istante il viso prima che riprendesse a camminare, il capo chino e le mani affondate nelle tasche. Ancora una volta,si chiese perché.

Lei era da sola in quella città così grande. Svolgeva un lavoro part-time, in una redazione poco conosciuta. Piccoli incarichi che le trasmettevano qualcosa che a volte avrebbe potuto scambiare per soddisfazione. Una falsa maschera. Che si rompeva facilmente. La grande mela, piena di possibilità, novità. Era questo che aveva detto ai genitori, agli amici, una volta presa la laurea, sei mesi fa.

Ma no… lei era qui per altro. Per inseguire un incubo che si era allontanato più di un anno prima, in una notte silenziosa, spezzata solo dalle luci della città. Niente di più. Folle... Folle..

Come avrebbe potuto trovarlo ?

In caso, sarebbe stato il contrario... ma forse lui non era neanche in quella città. Forse si era spostato, con Kurtz… ancora una volta. .

E allora, perché non tornava a casa ? Dalla sua famiglia, nel suo mondo ?

Perché non lo dimenticava, semplicemente ?

Si fermò, cercando nella borsa le chiavi del portone, in un gesto automatico aprì la porta, spingendo la maniglia di ferro battuto ed entrando. Salì i gradini che portavano al suo appartamento. Levatasi le scarpe, si distese sul divano, la finestra aperta, mentre con il telecomando girava fra i vari canali della televisione, cercando qualcosa di interessante.

Non trovando nulla, decise di farsi una doccia. Entrata in bagno, lasciò correre l’acqua calda nella doccia. Nel mentre mandò un messaggio ad un’amica, per chiederle se voleva passare da lei, quando avesse finito di lavorare. Non poteva sopportare l’idea di rimanere sola con le proprie domande.

Una volta che i muscoli si rilassarono sotto il caldo getto, smembrò non dare più peso ai propri pensieri. Si appoggiò alla parete, lasciando che l’acqua le scorresse in rivoli lungo il volto ,donandole una vaga sensazione di serenità.


Fumo. L’odore pungente del fumo la aggredì non appena mise piede sugli scalini di pietra del pub. Fumo che saliva dalle candele accese sui tavolini di vetro. Divanetti,u cui sedevano coppie, persone che parlavano sottovoce, i loro dialoghi che si confondevano con la musica ritmata che proveniva dalle casse, nascoste appena negli angoli.

Si appoggiò appena al bancone, con la coda dell’occhio osservò due ragazzi che parlavano vicino a lei, mentre ordinava una semplice birra. Sedette sull’alto sgabello di legno, una mano posata sotto il mento, mentre,con puro e finto interesse osservava le bottiglie alle spalle del barman, ordinatamente disposte lungo gli scaffali,secondo una strana concezione d’altezza.

“A lei.”

Guardò per un istante la bottiglia che le veniva posata davanti, prima di lasciare una banconota sgualcita sul ripiano, presa dalla tasca del cappotto.

“Grazie.” Versò un po’ di birra nel bicchiere, sorseggiandola mentre aspettava l’arrivo di Liane, che l’avrebbe raggiunta a breve.

La luce al neon, tenue ed azzurra si spargeva nel locale accompagnando quella delle candele.

Il ragazzo accanto a lei rise, probabilmente in risposta ad una battuta dell’amico. Tornò a guardarlo con discrezione, memorizzandone i tratti delicati, gli occhi chiari e leggermente a mandorla, i capelli castani ricci che ricadevano appena sotto le orecchie,

Distolse lo sguardo, fissandolo fuori dalla porta a vetri, osservando la strada ingombra di macchine, perdendosi per un istante nei propri pensieri.

“Vuole?”

Una mano dalla carnagione non chiarissima le porse una sigaretta. Come se nulla fosse. Alzò il viso, a guardare il ragazzo che fino a poco prima stava ridendo, ora esibente un candido sorriso verso di lei. Notò che l’amico non era con lui e si chiese dove fosse finito.

Per guadagnare tempo, armeggiò un istante con il bicchiere, posandolo sul ligneo bancone, prima di prendere fra le dita la sigaretta.

Lui le porse l’accendino, lasciando che la accendesse, osservando la spirale di fumo che saliva, leggera, andando ad impregnare maggiormente l’aria.

“Spero non stia aspettando qualcuno..” mormorò lui, mentre velocemente s’accendeva una sigaretta, quasi a farle compagnia.

“Starei aspettando una mia amica, veramente.” mormorò, posando le labbra sul bordo del bicchiere,mentre lasciava vagare lo sguardo sui mobili.

Si ritrovò a sorridere, riscoprendo sul viso di lui un’espressione quasi delusa.

“Spero di... non averla importunata. Non volevo.”

“Nessun disturbo. Mi scusi lei, sono scortese a non prestarle attenzione. Comunque.”esitò un istante,poi proseguì.” Io sono Leonora.”

“Piacere.” Il suo sorriso si ampliò, lasciando svanire l’espressione contrariata di poco prima, mentre aspirarava dalla sigaretta.

”Io sono Ewan. Tu… posso darti del tu?,non sei di New York, vero ?”

“Si sente ?”mormorò lei, sorpresa. “No...vengo da Londra... British.”soggiunse,lasciandosi sfuggire una sommessa risata.

“Già… British. E’ evidente”
”Ewan. E’ tardi, andiamo?” l’amico si accostò a loro, osservandola per un istante, poi aspettò che Ewan si alzasse, mettendosi la giacca.

“Sì,andiamo. Mi ha fatto piacere conoscerti, Leonora..” mormorò,aspettando un istante che l’altro lo precedesse verso l’uscita. “Quanto spesso…vieni qui ?”

Lei pensò un attimo,poi rispose.”Non molto.”

“Allora…a domani?”

In quell’istante avvertì la voce di Lianne che la chiamava, entrando nel locale avvolta nel proprio cappotto scuro. Rideva, come sempre, anche mentre si avvicinava a lei. Guardò Ewan, prima di annuire appena, prendendo il biglietto da visita che aveva prontamente tirato fuori dalla tasca della giacca.

Lo seguì con lo sguardo, mentre oltrepassava la porta vetrata e iniziava a camminare lungo il marciapiede. Prese il bicchiere e finì la propria birra. Fissò il passare di un taxi giallo,poi rimase immobile.

Sorrideva, mentre ascoltava la raffica di domande porte dall’amica, sul chi era quello e come, e quando , e perchè.

Dall’altro lato della strada improvvisamente scorse con la coda dell’occhio Adrien che le sorrideva.

Come se fosse stato lì da sempre, una mano posata sul fianco che toccava la stoffa nera del cappotto lungo, abbottonato fino al collo, una camicia chiara che si intravedeva appena al di sotto di esso.

I capelli erano sciolti sulle spalle e ricadevano un poco sul viso troppo chiaro e latteo.

Mormorò,muto,una parola.”Leonora.” poi venne coperto dal passare di diverse macchine e, quando lei uscì dal pub fermandosi sul marciapiede,già non c’era più; inducendola a pensare d’aver avuto solo una stupida, evanescente illusione.

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Capitolo 4
*** 3: daylight. ***


Premette le labbra sul bordo della tazza bollente,scostando con la sinistra una ciocca ribelle che le cadeva davanti agli occhi. La notte ormai stava per cedere il passo all’alba,quell’alba che tempo prima aveva imparato ad odiare. L’alba che la separava da Adrien. Scosse appena il capo,come a cacciar dalla mente tutti i pensieri negativi.
Sorseggiando il proprio caffè, aspettò che la sveglia si accendesse, esattamente alle 7. Si alzò, aprendo l’acqua calda della doccia. Mentre appoggiava la schiena contro il muro, solo un pensiero la fece restar lucida e sveglia.
“..lui…verrà a cercarmi..”

Alba. Le membra pesanti, gli occhi…no,non doveva chiudere gli occhi. Lentamente, si trascinò fino al letto a baldacchino, dopo aver chiuso le persiane della piccola e stretta finestra, cercando il comodo giaciglio fra le spire del buio. Solo dopo aver trovato la tenebra, chiuse gli occhi scorrendo fra i pensieri che lo avevano sommerso quella notte, vedendo il volto della ragazza che lo fissava, sorpresa ed incredula.
Si maledisse, mentre il torpore lo avvolgeva, carezzandogli il volto, sussurrandogli parole venute da lontano.
“Qual è…come ti chiami…?”
La guardò, quasi non avesse afferrato il concetto di quello che gli stava chiedendo.
“..Perdonami ?”
“Sì, il..” aveva guardato fuori dalla finestra, cercando le parole adatte, forse pensando che lui si sarebbe arrabbiato. In fondo,allora era così imprevedibile.
“il tuo nome. Qual è?” aveva mantenuto lo sguardo sulle stelle brillanti che spezzavano l’oscurità, aspettando una risposta.
“Mm. Il mio nome. Come vorresti chiamarmi ?” palesemente, si stava prendendo gioco di lei.
“Come.. come ti chiamava tua madre.”
Era stato solo un sussurro, niente di più. Flebile, velato da qualcosa che appariva nostalgia. O forse era semplicemente un tremito dovuto all’aria fredda.
“Mia madre…mia madre era solita chiamarmi Adrien.” Ogni nota ilare era scomparsa,ora. Si limitava a rispondere, osservando il suo viso in penombra. Leonora si era voltata, sorridendo appena. Un sorriso tanto dolce ed allo stesso tempo triste. Qualcosa che, se fosse stato umano, gli avrebbe provocato una stretta al cuore.
“Va bene” aveva mormorato nuovamente “ Adrien.”

“Portami.
Portami via, portami altrove.
Dove tutto è tranquillo e sereno, dove nessuno può impedirmi di vederti, toccarti, stringerti.
Portami via.”
Fuoco. Fiamme che lambiscono un cielo troppo azzurro per essere vero.
Un altro sogno. O forse era il flebile riflesso delle emozioni che erano in fondo alla sua anima.
Fuoco che intaglia la più fragile figura...la più instancabile, la più ardua da guardare…
Appare come una bambola di cera, che va sciogliendosi al tocco.
“ Perché, sei così fragile ? Perché non fai altro che romperti, spezzarti all’infinito, per poi semplicemente essere rigenerato ? Essere umano...così. .patetico nel tuo intenso vivere, nel tuo perenne cercare ciò che si definisce comunemente serenità…appagamento dei sensi..
Quando la morte ti aspetta ,lieve, seguendoti passo dopo passo, attimo dopo attimo, respiro dopo respiro, gemito dopo gemito.”
“Per questo, portami via.”
“ Via..Dove ? Il mondo è sempre questo...mischiata alla gente, dovrai camminare.. sarò solo la tua bambola di notte, al calar del sole..”
“Non fa nulla..sono tanto stanca. Portami via. Portami altrove.”
“ Altrove..Dov’è ? In un mondo che non puoi vedere..qualcosa che agogni e mai sarà tuo. I sogni non esistono bambina. Son solo perenne incubo screziato d’oro e d’argento. “
“Non importa..portami via..semplicemente.”
"Via..Mi stai forse chiedendo di renderti felice..? Oh,ma non lo sai..? Da tempo,ho smesso di creder che lassù,oltre questa coltre d’oscura follia,vi sia il Paradiso.”
Velocemente le parole sfuggirono, guizzando sulla carta, dalla penna a sfera. Inchiostro nero che si fermò quasi tremando, in attesa di ordini precisi che non vennero. Una mano sotto il mento,Leonora fissò la pioggia lieve che scorreva sul vetro della finestra,al di là del quale scorgeva solo buio impenetrabile. Frasi..Gesti..se li avesse intrappolati sulla carta, inchiodandoli..in modo che non sarebbero potuti fuggire altrove..
Già, altrove. Dove avevo chiesto a lui, di condurla. Un luogo..dove cercare serenità,dove trovarla.. Ed ora..in questa città che non dormiva mai..che era perennemente illuminata.. Guardò verso le luci del porto, che si distinguevano appena in lontananza.
“..ho smesso di creder che lassù, oltre questa coltre d’oscura follia, vi sia il Paradiso.”

Ghiaccio che tintinnava lievemente nel bicchiere, immerso nel pallido cocktail.
Posò la fronte sul palmo della destra, socchiudendo gli occhi come se la tenue luce del pub la infastidisse.
“Non ti piacciono le luci al neon ? Penetrano in quell’oscurità che non potrebbe essere scalfita da nulla... Spezzano tutte le nostre concezioni di tenebra.”
Si voltò sussultando appena, le iridi grigie che subito inquadrarono la figura di Ewan schermante con la mano un sorriso ilare.
“Scusami.” Si affrettò questi a dire “Non volevo spaventarti.”
“No, no..” scosse appena il capo, in cenno di diniego. Non l’aveva spaventata. Semplicemente aveva attribuito le sue parole ad un altro volto.
E si era sorpresa nel non trovarlo una volta giratasi,tutto qui. Ma, certo, non gliel’avrebbe mai detto.
“Non mi hai spaventata.” Soggiunse, sorseggiando il proprio drink. Fresco, quasi gelido che scendeva lungo la gola, dissetandola. O forse rendendola ancor più assetata.
“Ti aspettavo.”
“Bene. Come stai ?” si sedette su una poltroncina di fronte a lei,le mani giunte che erano poggiate alle ginocchia.
Si sorprese a guardarlo. Guardo il suo volto nella penombra, riflesso della chiara luce del neon. Il modo in cui sedeva, appena piegato in avanti,i capelli ricci che gli adornavano il volto quasi elegantemente.
Un piccolo Eros.
Per un attimo si ritrovò ad osservarlo senza parole, la mano che stringeva la fredda superficie del bicchiere. Lo mosse, facendo ruotare il ghiaccio che tintinnò contro la parete che lo separava dall’aria, dal vuoto.
“Bene, ma... Ti va di camminare un po’?” chiese, esitando.
Ewan le rispose con un'occhiata sorpresa, poi sorrise, annuendo piano. Aspettò che lei finisse di bere e pagasse, prima di porgerle il cappotto.
Una volta varcata la soglia del locale, si concesse di respirare a fondo l’aria fredda della notte.
Si strinse un attimo nel cappotto, come cercando calore mentre camminava adeguando il proprio passo al suo. Rimasero in silenzio, forse persi entrambi nei loro pensieri,mentre i taxi sfrecciavano lungo le strade illuminate dai lampioni, mentre passavano gli atri degli hotel e gli uomini in livrea.
Passando per un piccolo parco, iniziarono a parlare ; a raccontarsi. Il lavoro, le giornate invernali, le amicizie. L'ambizione di Ewan nel voler diventare un buon avvocato, il motivo che aveva spinto Leonora ad andare così lontano da casa. La ragazza si trovò a ridere alle sue battute, cercando di non lasciarsi invaghire dai suoi occhi chiari. Osservava i piccoli dettagli, il modo che aveva di camminare, come muoveva le mani mentre le spiegava qualcosa, e notò che lui aveva la stessa accortezza nei suoi confronti.
Ewan le indicò una chiesa, poco più avanti, dicendole che era lì, che aveva preso il diploma.
Si fermarono a sedere sui gradini antecedenti il portone, la gente che camminava loro davanti, senza prestare loro la minima attenzione.
“Leonora... che bel nome.”mormorò Ewan, girando appena il viso a guardarla.
“Sì..lo so, grazie. E tu...Ewan, da dove vieni ?”
“Da dove..? Nato a cresciuto qui,nei quartieri bassi di Manhattan. Solo... porto un nome d’Irlanda, della quale,veramente so ben poco.”
Lì vicino si fermarono dei ragazzi che aprirono delle custodie e tiraron fuori,come se nulla fosse, dei violini. Una dolce melodia si diffuse nell’aria mentre un piccolo cappanello di gente si riuniva attorno ai giovani che non avranno avuto più di venticinque anni.
“Guardali.” Mormorò la ragazza, posando il mento sulle mani mentre,ad occhi socchiusi ascoltava la musica.
”Suonano tanto per divertirsi... come se questo fosse l’unico luogo dove magari nessuno li conosce... Provano puro piacere nel fare ciò che più li aggrada e porta soddisfazione.”
“Cos’è che ti manca?”gli occhi azzurri per un istante fuggevole vennero infranti di verde scuro, mentre si fissavano su lei.
Sorrise appena senza guardarlo,prima di dire pacatamente.
“La mia famiglia, i miei amici..un po’ tutto. Eppure sento che questa città mi piace. Mi piace davvero. Credo mi abituerò, alla fine. Ho solo bisogno di tempo. “
“Abbiamo tutti bisogno di tempo.”le sue parole risultarono appena udibili.
“Tempo...per cercare. Tempo per capire cosa vogliamo.”
Le sorrise lievemente, reclinando il capo verso sinistra ; una mano era posata sulla guancia, a pugno chiuso.
Leonora non potè fare altro che restare a guardarlo, senza dire nulla, come se la melodia dei violini l’avesse incantata.

Una candela. La cui fiamma si muoveva appena, sospinta dalla flebile brezza. Una tenda ondeggiò, frapponendosi per un istante fra la candela e la figura.
“E’ un libro che apparteneva a mio padre.” La voce era bassa,mentre le tendeva il volume di poche pagine,dalla copertina in pelle rosso scura.
Lascive ombre graffiavano i muri verniciati da un tenue color panna ; forse troppo chiaro. Lei sfogliò lentamente le pagine, mentre ne avvertiva il profumo. Dentro vi erano alcuni appunti presi a matita, delle frasi. Un intero atto dell’Amleto, alcuni sonetti di vari poeti.
Lo richiuse, chiedendosi perché lui le avesse mostrato quell’oggetto così privato.
“..il sogno già in se stesso è solo un’ombra.”
Mormorò il ragazzo mentre guardava il cielo color pece nel quale si stagliavano i grattacieli, punteggiati dalla luce che proveniva dalle finestre. Aveva una mano posata sul davanzale a poca distanza dalla candela. Le iridi parevano ancora più chiare, mentre la luce ci si rifletteva con sinistra intensità.
“Non credi sia così ?” si rivolse a lei, dopo alcuni istanti di silenzio.
“..Solo un’ombra... Non saprei. Forse. Un’ombra di qualcosa che già esiste ?”
“Sì..forse.” scrollò un istante le spalle, poi si voltò a guardarla.
“Vuoi un caffè?” chiese incamminandosi verso una stanza, a destra del divano su cui lei era seduta.
“Sì, grazie.” Si alzò,quasi per seguirlo in cucina.
“Secondo te potrei essere una persona falsa ?” Mise su la macchina per il caffè,di quelle italiane,poi accese il fornello. La fiamma azzurrina ebbe un guizzo, poi si stabilizzò.
“Io..ti conosco da troppo poco...per poterlo dire.”
“Oh, questo sì. Ma..dammi solo un’indicazione. Qualcosa di approssimato.”
Posò le mani sul ripiano, voltandosi ed appoggiandovisi. Sorrise con fare rassicurante.
“Falsa…No,non credo. Non dai quest’impressione. Ma...mai fidarsi.” Sorrise divertita,mentre osservava i pensili, il lavello sgombro, cosa insolita,il frigo grigio con fogliettini e calamite attaccate. Il ripiano con i bicchieri, bordato di nero, i cassetti, una scatola di cereali lasciata aperta, uno strofinaccio accanto al lavello.
Guardò i suoi pantaloni, semplici jeans neri, la maglietta a righe nere e bianche, in parte celata da un leggero giacchetto grigio, a maniche lunghe.
“Oh,già..” mormorò lui, mentre spegneva il fuoco, prendendo due tazzine e posandole accanto ai fornelli.
”In fondo..quante sere sono, che ci vediamo? Quattro, se non sbaglio. Dai, ti chiedo solo un’impressione generale.” Il tono era pacato,non esprimeva nessuna emozione.
Sembrava quasi distante.
Le porse una delle due tazzine, ora bollente. Rimase a giocherellarci per alcuni secondi, mentre cercava di riordinare le idee.
“Gentile..Pacato..è bello il modo in cui ridi.”
Ridacchiò sorpreso, prima di parlare.
“Davvero..?” Bevve un po’ di caffè nero, lentamente. “Non pensavo.”
“Ah, mi sorprendi... Sei capace di pensare ? Non ci avrei mai creduto.” scosse il capo, il sorriso che si ampliava sulle labbra.
“Se vuoi..” mormorò lui avvicinandosi di qualche passo, fino a sfiorarla
“...posso anche non pensare…”
Veloce. Una mano le alzò di poco il viso, le labbra che arrivarono a sfiorare le sue. Si fermò, guardandola con una punta di malizia.
“..solo se a te va bene…” mormorò.
Leonora lasciò che la mente venisse attraversata da un solo nome che si dileguò in fretta, mentre annuiva appena.
L’aroma del caffè li avvolse, proveniente dalle tazzine abbandonate sul tavolo.
Leonora avvertì il calore delle sue labbra sulla pelle; le sfiorò il collo, poi tracciò una scia sotto l'orecchio, lungo la linea del mento. Chiuse gli occhi, quando sentì il suo respiro sulle proprie labbra. Si accostò a lui, cercando quel tepore. Si divertì a rincorrere i primi baci, veloci, poi più dolci e meno fuggevoli.
Si lasciò sollevare, lasciò che la prendess in braccio, lo sentì ridere, si sorprese ad imitarlo.
La candela sembrò seguire i loro movimenti mentre attraversavano il salotto: ondeggiò mentre il vento aumentava di poco, entrando gelidamente dalla finestra aperta. Poi, dopo un ultimo guizzo, estinguendo il proprio intenso bagliore si spense,lasciando che le forme fossero avvolte da teli d’impenetrabile ombra e silenzio.

Luce. Flebile,che penetrava dalla finestra aperta,superando il velo sottile delle tende. Socchiuse gli occhi osservando i raggi che andavano a colpire i chiari soprammobili. Raggi che avvolgevano il bicchiere pieno d’acqua, sul comodino accanto al letto, trafiggendo il liquido chiaro ed immobile; riflettendosi in luce smerigliata sulle lenzuola coloro panna.
Sospirò appena, chiudendo nuovamente gli occhi mentre le dita accarezzava il tessuto delle lenzuola. Come aveva fatto a trovarsi lì ?
Erano bastate due parole dolci...uno sguardo...così poco.
“Che pessima persona...” mormorò, rivolta a se stessa, mentre un sottile rumore di passi si avvicinava.
“...Pessima persona ? Ti riferisci a me o parli di te ?” la voce di Ewan appariva ovattata, tuttavia ne riusciva a percepire l'ironia.
“Di te, ovviamente. Io sono innocente, fino a prova contraria. Una ragazza dolce e pura che è stata sedotta ed ingannata !”mugugnò, tentando di non ridere, mentre inquadrava il ragazzo accanto al letto, avvolto in un asciugamano di spugna, i capelli ancora bagnati che gli ricadevano sugli occhi. Sorrise appena, chinandosi verso di lei.
“Innocente ? Pura ? Io, ingannatore ? Come potrei mai ! Sei tu, che mi hai sedotto.”
Leonora rise appena, stirando le braccie verso l'alto.
"Va bene, va bene. Rimaniamo comunque pessime persone."
Le sue dita sfiorarono le labbra della ragazza, lievemente, accarezzandole.
“Allora, fammi indovinare. E’ perché sei in questo letto..e secondo una..morale?,o etica, non dovresti esserci, giusto ?”
Una calda sensazione, dolce. Il suo corpo era vivo…vibrante. Scrollò appena le spalle, guardandolo negli occhi.
“Qualcosa del genere, suppongo.” Mosse le labbra contro le dita che vi rimanevano poggiate.
“Ah..qualcosa del genere...come sei vaga.” Il sorriso sul suo viso si ampliò, venendo catturato per un istante dalla luce del sole che lo ferì agli occhi, costringendolo a chiuderli.
“Vaga...Forse.” ammise, alzandosi a sedere,lasciando che le proprie labbra gli sfiorassero i capelli bagnati, profumati di shampoo.
“E comunque... a me avevano insegnato che si salutava con buongiorno... Ma forse si usava troppo tempo fa ?” lo schernì, sorridendo.
“Oh sì,è qualcosa di altamente primitivo. A me hanno insegnato ben altro.” lasciò scorrere le labbra sulla sua guancia, fino a baciarla.
“Mm... sì, immagino.” Si scostò appena.
”Ho fame,schiavo... la colazione è pronta ?!”
Ewan scosse la testa, sbuffando.
“Anche la colazione, ora..non ti bastano le buone maniere!” si voltò,avviandosi fuori dalla stanza,verso la cucina; la luce inondava la sua schiena nuda, dalla carnagione chiara.
Leonora sorrise, raccogliendo le ginocchia al petto e chiedendosi cosa ci fosse di sbagliato,nell’essere lì. Forse nulla..
Scosse la testa, rimandando a dopo quei pensieri, mentre scendeva rapidamente dal letto e si infilava una vestaglia che giaceva inerte su una sedia.
Raggiunse a piedi scalzi la cucina, pregna di un lieve profumo di toast appena fatti.

Mi ami?
Aveva riso, di quella sua risata cristallina e tagliente come il vento che penetrava dalla finestra aperta, gettando la testa all’indietro sul cuscino.
“Amarti..Oh,Leonora. Voi esseri umani siete sempre alla ricerca di questo..Amore...ma cos’è, in fondo ?Un sentimento, come ogni altro, che nasce,vive,muore..e alle volte voi vi lasciate morire per questo.
E' impensabile,avanti. Davvero... buffo.”
Oh, sapeva che era stata ferita da quelle parole. Per questo le aveva sfiorato una guancia con la mano sinistra, posando le dita fredde sulla pelle calda.
“L’Amore..è qualcosa che io non provo, bimba. Qualcosa che ho dimenticato da tempo,che non so definire..Capisci?”
Si era avvicinato a lei, seduta sul bordo del letto, annullando la distanza fra loro.
“..Tu..possiedi qualcosa più grande dell’amore..”
“Ah,davvero..” volutamente amara,la voce, nel superare l’aria e raggiungerlo.
Dapprima aveva scosso la testa, i capelli scuri che come sempre risaltavano in forte contrasto con la carnagione pallida, poi le aveva preso il viso fra le mani, lasciandole la fredda eppur intensa sensazione delle labbra posate sulle sue, in un rapido bacio.
“Tu..possiedi un Vampiro,bimba..”
*
Ad occhi aperti, fissava il soffitto, rigirando quelle immagini fra le mani della mente appena assopita. Accanto a lei, Ewan respirava regolarmente, un braccio che le sfiorava la mano.
Sospirò appena, stando ben attenta a non svegliarlo, cercando di convincersi che Adrien,quella notte, si fosse sbagliato.

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