Wind

di Rain e Ren
(/viewuser.php?uid=52924)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Lo spiro del vento ***
Capitolo 2: *** 1. A cup of tea. ***
Capitolo 3: *** 2. Tombstones ***
Capitolo 4: *** 3. Home ***



Capitolo 1
*** Prologo. Lo spiro del vento ***


Salve a tutte/i

Salve a tutte/i.

Avevo già postato questa storia sotto il nome “ I passi del passato. I passi del futuro”. Rileggendola ho trovato parecchio su cui lavorare e ho deciso di cambiarla completamente, sia nel titolo che nel contenuto. Adesso mi soddisfa assai di più.

Fatemi sapere che ne pensate.

 

Buona lettura!

 

 

 

 

Prologo.

 

 

Lo spiro del vento

 

 

Infili la chiave nella toppa. La serratura scatta con suono metallico.

Apri la porta. I cardini cigolano. Ti sembrava quasi il gemito di qualcuno.

Sciocca! È solo che ne hai sentiti davvero tanti di cigolii in questi giorni che ormai ti riempiono le orecchie anche quando non ci sono.

Black Hayate ti si avvicina, festoso e agitato: l’ora di cena è passata da un po’ e, soprattutto, è troppo che non si sgranchisce le zampe. Ti dispiace per lui, davvero. Ma gli ultimi giorni sono stati troppo strani – non ti viene nessun altro termine in mente – che pensare di tener d’occhio anche un cane oltre a tutto il resto sarebbe stato troppo anche per te.

Gli versi la cena nella ciotola e ti dirigi nella tua stanza abbandonando la pesante giacca della divisa sul letto. Spalanchi la finestra ed esci sul piccolo – minuscolo – terrazzo di casa tua.

Il vento ti colpisce forte il viso.

Vento…

C’era il vento anche quando è morta tua madre. Lo ricordi bene. E sferzava molto più forte di adesso. Al suo funerale è stato lo stesso. E anche a quello di tuo padre. C’era vento persino quando lui è arrivato a casa tua!

Proprio per questo non puoi fare a meno di socchiudere gli occhi e chiederti se per caso non possa essere un avvertimento. Non sei mai stata una persona superstiziosa, ma quando i casi si ripetono…

Se lui sapesse di questi tuoi pensieri sicuramente ti prenderebbe in giro. Un tempo lo faceva sempre. Si divertita a burlarsi di te. E si divertiva vedendo il broncio infantile – almeno per l’epoca – che mettevi su.

Ad interrompere il flusso dei tuoi pensieri ci pensa il campanello. E l’abbaiare insistente di Hayate.

Lo zittisci con un gesto e apri la porta. Un attimo dopo ti chiedi se non sia il caso di diventarlo, superstiziosa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. A cup of tea. ***


Sono tornata

Sono tornata!!!

Finalmente si scopre chi è la misteriosa persona che ha bussato alla porta. Spero vi possa incuriosire!!!

 

E ora:

x ChiuEs: Ciao!!! Mi fa piacere che trovi interessante la premessa! Scusa davvero per l’errore di battitura, ma qualche volta mi scappa anche se ricontrollo ^.^… Ad aver bussato alla porta è una persona che non si sospetterebbe mai. Chissà chi???

Grazie mille del commento. Baci Baci

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 1

 

 

A cup of tea.

 

 

 

 

Fino a pochi attimi fa c’era il silenzio assoluto nel tuo piccolo appartamento.

Ora, a distanza di millesimi di secondo, il caos che vi regna ti estranea quasi da lì.

E ci sono tre bambini – due maschietti e una femminuccia – che gridano il tuo nome, si aggrappano ai tuoi pantaloni e ti abbracciano le gambe perché più in alto non arrivano.

E c’è una donna ancora ferma sulla soglia. Ha una valigia in mano, la posizione leggermente inarcata a causa del pancione che le deve pesare non poco. Ha i capelli neri e ricci che le inframmezzano la pelle diafana del viso e le nascondono in parte gli occhi d’antracite.

E sorride. Un sorriso carico d’affetto che però nasconde anche dell’altro.

Lo vedi. Lo riconosci quel sentimento. E riconosci anche lei.

Alice Mustang.

 

L’hai invitata ad entrare con un gesto della mano. I bambini ancora attaccati saldamente alle tue gambe. Ti sei abbassata alla loro altezza e li hai abbracciati tutti in una volta sola. E loro hanno ricambiato quell’abbraccio.

Non è da te essere così espansiva: solitamente tieni tutti a distanza di sicurezza! Ma quei bambini li conosci. Quei bambini li hai visti nascere. E l’affetto che scatenano in te è qualcosa che assomiglia molto all’amore di una madre. O almeno così credi; hai così pochi ricordi di tua madre.

“ Improvvisata alle undici di sera. È proprio da te.” Dici divertita mentre i tuoi occhi controllano ora i bambini, ora le espressioni che si delineano sul volto della donna che ti sta davanti.

Sono lievi cambiamenti ora degli occhi ora delle labbra, ma tu riesci a notarli senza troppe difficoltà. In fondo non è quello che fai ogni giorno in ufficio con il Colonnello?

“ Mi dispiace.” Dice lei sorridendo sorniona. “ In realtà l’improvvisata doveva beccarsela mio fratello, solo che casa sua sembra vuota.”

“ Forse perché è vuota?!

L’occhiata di Alice dice tutto. Chiede spiegazioni.

Abbassi gli occhi a controllare l’acqua che ha iniziato a bollire. La versi per metà nella teiera di ceramica che usi di rado, e per metà in tre tazze più piccole del normale. Poi prendi delle bustine di colore diverso e torni nel piccolo salotto appoggiando il tutto sul tavolino.

Apri tre di quelle bustine e le immergi nelle tra tazze. L’acqua cambia immediatamente colore e il profumo muta con lei. Ti piace osservare questo mutamento. Hai sempre amato vedere i cambiamenti che si possono portare a ciò che ci circonda.

Alzi le bustine, le sgoccioli e poi chiami i bambini porgendo loro le tazze. Gli raccomandi di fare attenzione e speri che per una volta ascoltino. Poi torni ad osservare Alice.

Ha già preso la teiera e si è versata l’acqua bollente. La bustina di tè già immersa. L’acqua già colorata, il profumo già mutato. Vi aggiunge anche un cucchiaino di miele. Il profumo dolciastro colpisce anche le tue narici.

Tè al limone con il miele. Un sapore acre e dolce al contempo. Proprio come lei.

Ti siedi davanti e ripeti l’operazione compiuta da lei solo pochi istanti prima. Solo il gusto cambia.

“ Menta…” Sussurra Alice sorridendo appena.

Già, menta come sempre.

Ti è sempre piaciuto il gusto della menta. Quel calore intenso che sembra quasi bruciare subito interrotto dal freddo – quasi gelido – della menta. Un gusto forte e deciso.

Mescoli con calma la bevanda fumante, e nel fare questo gesto mille e più ricordi ti assalgono. Ricordi di serate simili a quella. E al contempo così diverse.

“ Un altro taglio…” La senti sospirare. T’irrigidisci di colpo. Come hai potuto dimenticartene? Come hai potuto pensare che lei non se ne accorgesse?

E quello è il preludio. Sai che Alice vuole sapere. Pretende di sapere. Perché anche lei, al pari tuo e suo, è stata vittima e carnefice contemporaneamente. E ora vuole sapere l’origine.

E allora tu le racconti. Tutto. Non tralasci nulla: non puoi farle questo! Lei merita la verità! Anche se questo non cambiasse nulla, anche se peggiorasse soltanto la situazione. Perché siete entrambe consce che non potete scaricare la colpa su terzi, anche se sono loro ad aver dato il via a quella giostra di morte e sangue. Perché voi siete state artefici del vostro futuro. Mettere la divisa è stata una scelta vostra, ben sapendo a cosa andavate incontro. E le colpe di cui vi siete macchiate non possono essere cancellate.

Continui a parlare. Sai che Alice ti crede: lo ha sempre fatto e sempre sarà così! E sai anche che, benché faccia male, sapere come sono andate veramente le cose le da un po’ di sollievo. Perché Alice, al pari di suo fratello, è un’Alchimista. E gli Alchimisti non sono forse coloro che ricercano la verità?

“ Mi dispiace.” Esordisce lei quando tu taci. “ Avrei voluto esserci.”

E sai che non lo dice tanto per dire qualcosa. Lei avrebbe voluto esserci per davvero.

Non le rispondi. I tuoi occhi vagano un attimo per la casa fino ad incontrare le figure di quei tre bambini, ora seduti sul tuo divano sfondato e addormentati l’uno accanto agli altri. Deve essere molto tardi.

“ Per essere con noi in quel momento avresti dovuto abbandonare loro. O forse, addirittura, fare una scelta completamente diversa quel giorno. Ma hai scelto loro.” E calchi forte su quelle parole. “ So che per te sono la cosa più importante.”

Si, è così. E lo sai bene.

Non puoi dimenticare i suoi occhi che brillavano come stelle alla nascita di ciascun bambino. Lei non rinuncerebbe mai a loro. Sai che non tornerebbe indietro, che non cambierebbe il passato se potesse farlo. Nemmeno quello che vorrebbe dimenticare.

Guardi l’orologio appeso al muro: le tre! Si, effettivamente è davvero tardi.

Nel frattempo la donna che ti siede davanti ti osserva. Osserva i cambiamenti che il tempo ha portato al tuo fisico e al tuo cuore.

E nota che, nonostante ci sia del sollievo per la fine di tutta quella storia, una linea di dolore e nostalgia più netta segna i tuoi occhi. Fino a pochi anni fa non era così evidente. Oggi si. Lei lo vede, ma tace. Ti conosce bene.

Sospira piano, Alice. Oggi ha visto i tuoi occhi. Domani vedrà quelli di suo fratello. Ma forse non ne ha nemmeno bisogno; lei sa già cosa vi troverà dentro. Quei sentimenti così difficili da contenere che ha visto rispecchiarsi nei tuoi durante tutto il racconto. Ed è cosciente anche che, persino i suoi, di occhi, sono simili ai vostri.

Ma per il momento non vuole pensarci. Il tempo ci sarà poi.

 

 

 

Grazie mille a chi ha commentato.

Grazie mille a chi ha letto.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. Tombstones ***


Sono tornata

Sono tornata!!!

Forse in ritardo rispetto a quanto speravo, ma ce l’ho fatta.

Questo è un capitolo triste e malinconico, non esattamente semplice da scrivere per me.

Spero vi possa piacere.

 

E ora:

x sarapastu: Ciao!!! Mi fa piacere sapere che la storia ti piaccia. Se devo essere sincera non credevo sarebbe stata così difficile da scrivere, ma per rendere l’idea come voglio ho bisogno di tempo e concentrazione a quanto pare. Grazie mille del commento e dei complimenti. Baci Baci

 

 

 

 

 

Capitolo 2

 

Tombstones.

 

 

Ci sono delle lapidi. Tante, troppe lapidi. Molte di più di quante dovrebbero essercene.

E tu sei lì, con i tuoi figli e quella marea di persone che in quel momento ti sembrano solo delle macchie nere e blu su uno sfondo verde.

Ti guardi intorno. I soldati sono in alta uniforme e con la fascia nera del lutto lungo il petto, schierati perfettamente come nel gioco crudele di un bambino; riesci a percepire che quell’immobilità da fastidio a tutti. Fa male. Perché in quel momento sono tanti coloro che vorrebbero poter dare libero sfogo alle proprie emozioni.

Il resto delle persone – amici, conoscenti o parenti che siano – sono nell’esatta posizione. Da loro vengono gemiti e sussulti di pianto, e non è raro vedere qualcuno che nasconde il viso in un fazzoletto o crolla a terra distrutto da dolore.

Senti in cuore stringersi. È come quel giorno…

E per un momento tutto scompare, e rimani solo tu. O quella che eri.

Ora c’è una ragazza di appena 19 anni al posto tuo. I capelli neri e ricci che ricadono sugli occhi cercando di nasconderli. E poco più in là vedi Roy, tuo fratello, un ragazzo di soli 23 anni. E Hughes, accanto a lui, la stessa età.

Poi vaghi con lo sguardo fino a trovarla. Riza. La tua migliore amica. La sorella che hai sempre desiderato. Anche lei come te colpevole, ad appena 19 anni, di aver strappato la vita a centinaia e centinai di persone.

Sposti nuovamente gli occhi e trovi la figura di un ragazzo. È giovane, forse l’età di tuo fratello. E tu sai d’amarlo. È l’uomo che hai scelto come compagno di vita. È l’uomo che entro pochi mesi diverrà tuo marito.

Esci dal flusso di ricordi. Accanto a te senti Kathleen, tua figlia e gemella di Daniel, attaccarsi saldamente alla tua gonna nera. A pochi passi da voi James, suo fratello maggiore, e Daniel osservano lo svolgersi della cerimonia in silenzio. E vorresti che non dovessero vedere tutto quel dolore.

Sposti nuovamente lo sguardo e trovi Roy e Riza, l’uno accanto all’altro. Lo sguardo basso e addolorato come tutti quelli che li circondano. Ma nei loro occhi, rispetto agli altri, ritrovi quel dolore e quella rabbia che hai visto tanti anni fa, in quello stesso cimitero, ai funerali di quanti caduti nella Guerra Civile d’Ishbar.

 

Grumman ha smesso di parlare. Toccava a lui farlo in veste di nuovo Comandante Supremo. E ora che anche lui tace solo i gemiti disperati rompono quel silenzio carico di significati.

Accanto a te il tuo comandante appena dimesso dall’ospedale.

Ha lo sguardo basso e la mano alla tempia mentre la musica funerea si propaga nell’aria.

Prima, quando il Comandante parlava, soffiava forte il vento. Troppo forte.

Sembrava quasi un ammonimento per tutte quelle parole che non avevano valore alcuno: le parole non avrebbero riportato in vita quanti morti! Decantare le lodi di chi ha smesso di vivere non cambierà la realtà dei fatti!

E ora, ora che tutto tace, ora il vento si è placato. Ma quel suo sferzare violento non è stato inutile. Perché ha portato con se nuvole nere cariche di pioggia, cariche di quelle lacrime che i vostri occhi asciutti non riescono a versare.

Chiudi gli occhi per un momento. Solo per un momento.

E ti rivedi lì, a 19 anni, a ricordare le vittime di una guerra che non aveva valore alcuno per ciascuno di voi. Quella guerra che vi ha reso solo degli assassini. Quella che, però, non è stata in grado di estirpare gli ideale radicati nel vostro cuore. Li ha modificati, certo. Ma mai distrutti.

Apri gli occhi e la scena che ti si presenta davanti non è poi così diversa. Solo i nomi sulle lapidi sono cambiati.

Poi senti qualcosa cadere e scivolare lungo il tuo viso.

È una goccia. Una goccia di pioggia.

Poi un’altra. E una’altra ancora. Fino a che l’acquazzone non v’investe completamente.

E non puoi fare a meno di ringraziare quel vento feroce che ha permesso ciò. I vostri occhi non avrebbe mai versato quelle lacrime. Quelle lacrime che non hanno il diritto di sgorgare libere: voi siete la causa di quel dolore! E in quanto tale pagherete.

Porti nuovamente lo sguardo sul Colonnello. Anche i suoi occhi hanno cercato i tuoi. Ed entrambi sapete perché.

 

Osservandola ti sei subito accorto delle occhiaie appena più accentuate del solito. Così come degli occhi leggermente arrossati. E quando hai visto Alice – Alice, tua sorella – ti è subito stato chiaro perché lei sembrasse più stanca quella mattina.

Conoscendole, quelle due, hanno sicuramente fatto la notte in banco a parlare. Glielo hai visto fare così tante volte. Anche a Ishbar. E anche…anche prima.

Perché Riza e Alice sono amiche, quasi sorelle. È nel momento che tu hai conosciuto Riza che lei ha conosciuto Alice. Ormai vent’anni prima.

Avresti voluto sgridarla per non essersi riposata a dovere, ma tra tua sorella e i tuoi nipoti non ne hai avuta l’occasione. E ora, sotto quel cielo piangente, ti trovi ad osservarla come non facevi da tanto, tanto tempo. Perché finalmente la vedi. La vedi davvero. Ed è così strano pensare ad una cosa simile: per anni l’hai avuta al tuo fianco, silenziosa ma presente, e solo ora ti rendi conto che lei, veramente, c’è sempre stata. E hai dovuto rischiare di perderla per ben due volte per capirlo. Hai dovuto vedere la sua espressione dilaniata ma sicura per comprendere quanto dolore le stavi arrecando.

Lei; la sua pistola puntata alla nuca; quell’unico proiettile pronto per te.

Hai avuto paura quando hai capito davvero le sue intenzioni. Hai avuto paura comprendendo ciò che sarebbe stata disposta a fare. Hai avuto paura quando la sua voce non si è incrinata dicendoti che, in seguito alla tua morte, anche lei stessa sarebbe scomparsa dalla faccia della terra distruggendo qualsiasi prova dell’Alchimia di Fuoco. Quell’Alchimia che l’ha condannata.

Sapere che eri l’artefice del dolore che – e non ti serviva voltarti e guardarla – le solcava lo sguardo… Sapere che saresti stato l’artefice della sua morte…

No hai potuto tollerarlo. Non potevi accettarlo.

Non potevi perderla.

E ora che i vostri sguardi si sono legati in quel brevissimo istante, capisci che lei ti ha letto dentro ancora una volta. Sai che attraverso quello sguardo le hai rivelato i tuoi pensieri e sentimenti. Per le parole ci sarà tempo.

 

Ti sei coperta con un ombrello e hai lasciato l’altro ai tuoi bambini. In questo momento sono lontani da te, ma sai per certo che i loro occhi non hanno smesso di fissarti una sola volta.

In realtà non avresti voluto lasciarli, ma dovevi fare una cosa. E Roy e Riza sapranno tenerli buoni per un po’. E l’ombrello… Se non fossi all’ottavo mese di gravidanza non l’avresti neanche preso. Ma la creatura dentro di te va protetta.

“ Mi dispiace non essere venuta al funerale, ma con James e Daniel ammalati e un’altra bimba da accudire mi è sembrata folle come cosa.” E sai che lui capisce. Capisce perché anche lui è stato padre. È stato genitore.

“ È strano essere qua, davanti alla tua tomba, e parlarti. Forse non ha nemmeno senso come cosa. In fondo anche io sono un’Alchimista, e in Dio non ho mai creduto anche se ho mormorato una preghiera una volta.”

Si, una debole e fiacca preghiera. Solo per chiedere qualcosa di semplice: perché?

Non hai ottenuto risposta all’epoca. Ma diamine, era Ishbar! E Ishbar non aveva risposte o domande o perché. Per voi era Ishbar e basta. Era guerra, morte, dolore e odore di carne bruciata e in putrefazione. Non c’erano domande o risposte. C’era solo la mera sopravvivenza.

“ Eppure anche in mezzo a quell’Inferno abbiamo parlato tanto. Te lo ricordi, Maes?

Eravamo io, te, mio fratello e Riza. Eravamo noi quattro. Ora siamo tre.”

O forse due?!

Non sapresti dirlo.

All’epoca eravate quattro folli idealisti con sogni troppo infantili. E tanti saluti alla razionalità degli Alchimisti. Solo Maes e Riza sono perdonabili in questo caso, tu e Roy no.

Ora chi davvero è rimasto?

Maes è morto. Tu hai lasciato l’esercito ormai sei anni fa. E non ti nasconderai ancora dietro a false parole quali amore, matrimonio, gravidanza e altre. Tu hai lasciato l’esercito perché eri schifata da te stessa e da ciò che avevi fatto; hai lasciato l’esercito perché la disillusione era troppo per te. Tu, semplicemente, hai mollato. Ti sei arresa.

Maes, Roy e Riza sono andati avanti invece. Hanno continuato a lottare per ciò in cui credevano.

E il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Tante medaglie insignite per valori vuoti e parole altisonanti che non valgono poi molto.

Ma tu lo sai. Tu lo hai capito.

Quello che è stato conquistato è qualcosa di enorme, qualcosa il cui prezzo non sapresti nemmeno immaginarlo. Ma forse la vita di Maes come pagamento era troppo. Almeno per voi.

Ma, alla fine, esiste davvero un prezzo per la libertà? Quelle tombe bianche e mute valgono davvero tanto? Le vite strappate…erano quel prezzo?

Sto facendo pensieri davvero complessi, Maes. So già che rideresti di me.”

O forse tu stessa ridi di quanto ti passa per la testa?

“ Ma ho bisogno di trovare un punto di partenza adesso. E questa pace che ci si prospetta all’orizzonte sembra arrivare al momento giusto.

Vorrei tu fossi qui. Vorrei sentirti ridere. Vorrei vedere Roy perdere la pazienza e minacciarti più o meno seriamente.”

Quante risate vi siete fatte tu e Riza grazie a quei battibecchi giocosi? Quante volte hanno saputo strapparvi un sorriso anche con niente? Persino ad Ishbar…

Non sarai mai in grado di pagare il debito che hai con loro. Mai. E forse nemmeno vuoi pagarlo. Perché alla fine non sarà altro che un altro legame, più forte e resistente del precedente.

“ Ho parlato con Riza, ieri notte. E ho saputo cos’è veramente successo in questi mesi.

Avevi ragione, Maes. Avevi ragione su tutto, e hai pagato per questa conoscenza.

Il prezzo è davvero troppo alto ai tuoi occhi.

“ Tuttavia sono certa che la tua morte sia stata il nostro prezzo da pagare. Non so ancora per cosa, ma ho intenzione di scoprirlo. E forse la risposta non è tanto lontana.

Forse la sofferenza per la tua morte è stato il prezzo per le vite che abbiamo strappato. O forse per la felicità che abbiamo bramato nonostante tutto?!

Vorrei saperlo.”

Ma anche se fosse come hai detto, sai che quanto fatto e successo non basterà mai per espiare le colpe che vi gravano sulle spalle. Non sarà mai abbastanza da poter lavare via il sangue dalle mani.

Ma nonostante tutto, ripensando al racconto di Riza, non puoi che gioire di quanto successo in quei sotterranei. Perché allora, forse, ci sarà quella svolta definitiva che tu e Maes avete aspettato tanto a lungo.

“ Ti ricordi di quando spettegolavamo su Roy e Riza? Ci abbiamo sempre creduto in loro. Sempre.

Ma quei due sono dei testardi buonisti, sciocchi idealisti – almeno quanto me e te – e irrazionalmente certi delle loro buffe teorie. Teorie infantili. Teorie che però hanno prevalso.

E ora più che mai tocca a loro Maes. Loro sono stati la miccia. Loro dovranno far bruciare ancora quel fuoco. E lo faranno insieme.”

Si, perché loro sono complementari. Le due facce di una sola medaglia.

L’uno senza l’altro non può vivere. E il racconto di Riza ha dato forza a questa tua idea.

Riza. Disposta a tutto, anche alla morte. Disposta a seguire Roy anche all’Inferno.

Roy. Disposto a tutto, anche a reprimere la rabbia e l’odio. Disposto ad abbassare la testa pur di non perderla.

“ Maes…”

La tua voce s’incrina. Il tono scherzoso rievocato dai ricordi è scomparso.

“ Maes io…io non credo in Dio. Tu lo sai bene. E se tanto mi da tanto una volta morti di noi non resta niente se non il ricordo. Ma se davvero l’Alchimia dice il vero e l’uomo è composto da carne, mente e anima, allora voglio credere che l’anima continui a vivere in qualche modo. Perciò, ovunque tu sia, continua a vegliare su Roy e Riza. Continua ad osservarli sempre. Non staccare mai gli occhi da loro.

Anche io lo farò. Perché ora sono curiosa. Voglio vedere che Stato saranno in grado di creare.

E tu, per favore, fai lo stesso.”

Un alito di vento di accarezza il viso.

Non sai cosa vuol dire. Non puoi credere che sia un segno, la tua razionalità d’Alchimista non te lo permette. Ma almeno per oggi, solo per oggi, vuoi fingere che quell’alito sia una carezza di Maes. Una sua risposta leggera.

Chiudi gli occhi e abbassi lo sguardo.

È ora di tornare dalla tua famiglia.

 

 

 

Grazie mille a chi ha commentato.

Grazie mille a chi ha letto.

 

 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. Home ***


Capitolo 3

Capitolo 3

Home

 

 

Quando Glacier ti ha detto che per pranzo saresti stata sua ospite insieme a tutti gli altri ti è preso un colpo.

Tutti. Dentro. Casa. Hughes.

Effettivamente Glacier non deve avere paura di quei terremoti che sono i tuoi figli. E nemmeno di Roy. Ma tu – e Riza ovviamente – un’idea chiara ce l’hai eccome. Proprio per questo hai cercato di declinare l’invito. Inutilmente. Glacier non ha voluto sentir scuse. E tu, ora, guardando l’allegria che regna in quella casa, comprendi perché: Glacier non voleva lasciarvi soli in quel giorno carico per voi di dolore. Glacier ha capito. Glacier ha voluto aiutarvi.

Certo, al momento la casa è un po’ rumorosa, ma sentire le risate che riecheggiano ti mette di buon umore almeno in parte. E sembra scacciar via un po’ della malinconia che prima ti ha assalita. E, contemporaneamente, te ne addossa un’altra, di un altro tipo. Forse addirittura peggiore della precedente.

Forse è stato vedere Roy giocare con i bambini. Lui che ha sempre affermato che come padre sarebbe un disastro! Ah, che sciocco tuo fratello… Chissà quando capirà che sarebbe l’esatto contrario?! Forse quando…sarà padre?! Ti viene da ridacchiare al solo pensiero. Sul serio. Ma poi, inaspettatamente, i tuoi occhi corrono alla figura di Riza, intenta a sbucciare delle mele. Forse l’impossibile non è proprio tale.

Osservi la tua migliore amica e la nostalgia preme nuovamente. È così strano per te vederla tranquilla, con un grembiule azzurro legato intorno alla vita e le mani sempre così abili nell’uccidere ora impegnate per creare un pranzo squisito. È sempre stata brava in cucina, Riza. Fin da quando hai memoria. Ricordi ancora le buonissime torte che sapeva cucinare…

Accanto a te, che controlla la cottura della carne, c’è Glacier. La dolce e materna Glacier. La donna che ha accettato la morte del marito ed è andata avanti, certa che la cosa più importante fosse sua figlia. La capisci. Riconosci quel sentimento d’amore verso i proprio figli, quel amore così forte.

Dal salotto arrivano le voci di Roy e Ed che, a quanto sembra, sono molto più bambini dei veri bambini. E la risate di questi ultimi. E i rimproveri malcelati di Winry. Ti piace quella ragazza. È forte. E ti ricorda la te stessa di tanti anni fa.

Avverti uno sguardo addosso e, voltandoti, non ti sorprendi nel scoprire che sono proprio gli occhi di Riza a fissarti. E c’è qualcosa di strano nel suo sguardo. O almeno così ti sembra. Sai che si sta chiedendo perché tu sia veramente lì: la scusa che le hai appioppato non l’ha convinta molto. Alzi le spalle e lei annuisce piano. Le chiacchiere sono rimandate ad un altro momento.

 

Dopo il pranzo – in cui tua sorella ha conosciuto quasi tutti i protagonisti delle vicende dell’ultimo periodo – avete deciso di spostarvi in salotto per chiacchierare meglio. Manca solo Riza che, eludendo elegantemente le proteste di Glacier, è andata in cucina a preparare il caffè. E tu, ora, hai deciso di eludere altrettanto elegantemente la “folla” e raggiungerla.

Trovi strano il poterla vedere nuovamente così rilassata, il viso disteso e le mani che si muovono veloci in una cucina. Eri convinto che non avresti mai più potuto vedere questa Riza, che per sempre ti sarebbe stato negato il poter essere appoggiato a quello stipite per guardarla di nascosto. Sempre che le si possa nascondere qualcosa.

“ Ha intenzione di fare la muffa?” La senti infatti chiedere senza che i suoi occhi si spostino dalla moca che ha iniziato a far rumore.

Sorridi accondiscendente: non sarai mai in grado di prenderla di sorpresa! Dovresti saperlo ormai.

“ Come mai ti sei allontanata?” Le chiedi entrando finalmente nella cucina.

“ Per fare il caffè.” Ti risponde laconica. E pretende anche che tu ci creda magari.

Ma con Riza è meglio essere diretti. Solitamente serve, almeno.

“ Sai perché mia sorella è qui?” Le domandi allora appoggiandoti accanto a lei. Vedi i suoi occhi saettare velocemente verso di te e il sospiro che le esce dalle labbra subito dopo ti fa capire che forse, quel giorno, essere diretti è la cosa peggiore.

Cosa vuole sentirsi dire esattamente? La versione reale o quella che mi ha propinato Alice l’altra notte sperando che ci cascassi?” Ti chiede mentre rabbia e frustrazione escono simultanee dalla sua bocca.

Sorridi mesto. È stato solo un piccolo scatto. Un minuscolo scatto se vogliamo essere precisi. Ma ti è bastato per capire che Riza è frustrata da quella situazione che non le piace per niente.

“ Sei preoccupata per lei?”

Le sue mani si arrestano solo un attimo. Un nano secondo ed ecco che riprende a versare il caffè nelle tazze; poggia quest’ultime su un vassoio e si dirige verso il salotto. Ma prima d’uscire completamente dalla cucina si ferma sulla soglia.

“ Dovrei esserlo?”Domanda a bruciapelo quasi a specificare qualcosa. Poi, senza aspettare una risposta, esce rapida.

 

Hai voluto farti raccontare tutto. Tutto quello ch’è successo in quell’ultimo periodo. Anche i dettagli “tecnici” che Riza ha omesso in quanto riguardanti l’Alchimia. Non che lei non ne capisca nulla, ma da quanto hai appreso nell’ultima ora è stata veramente complessa come cosa.

Inizialmente – Edward in particolar modo – tutti si sono dimostrati restii a raccontarti ogni cosa. Non ti ci è voluto molto per capire ch’era dato dal fatto che scoprissero la tua esistenza praticamente in quel momento. E non potevano giustamente immaginare che tu fossi (o fossi stata) un’Alchimista in passato. Quando hai specificato questo passaggio il racconto è fluito da solo.

Si è rivelato molto più interessante di quanto ti aspettassi. E ti sei trovata a pensarci per diversi minuti alla fine.

“ Scusi.” La voce di Winry che richiama la tua attenzione ti distoglie dai pensieri alchemici.

“ Dimmi.”

“ Ha detto che conosce l’Alchimia. È anche lei un’Alchimista di Stato?”

La domanda ti spiazza. E i tuoi occhi incrociano quelli di Roy e Riza quasi in contemporanea. Poi, rapidi, tornano sulla figura della ragazza bionda che ti siede davanti. Ti chiedi come l’abbia capito, come l’abbia intuito. In fondo, vedendo una ragazza con tre figli a carico, solitamente il fatto che sia stata nell’esercito non è la prima cosa a cui si pensa. O forse, semplicemente, il ruolo di militare che hai ricoperto a Ishbar ti si è incollato alla pelle.

Abbassi la tazza di caffè che stavi bevendo e respiri a fondo.

Si, sono stata un’Alchimista di Stato.” Ammetti alla fine cercando la volontà di pronunciare quelle parole. E ti costa molto. Perché non vai fiera di quanto hai fatto in quei sei mesi infernali. Proprio per niente.

Alzi gli occhi su Riza e capisci subito che di quanto è stato il vostro passato – quello prima d’Ishbar – chi ti sta davanti non sa nulla. E deve continuare ad essere così. Perché loro non capirebbero, non capirebbero mai. Perché l’unico modo per capire è vivere sulla propria pelle. E questo, per fortuna, a loro sarà sempre negato.

“ Ho combattuto nella guerra di sterminio d’Ishbar.”

Ecco, è questo ciò che Winry voleva sentirsi dire. Perché dentro di se l’aveva già intuito. Ma ha anche intuito che più di questo non saprà. Più di questa verità non le dirai. E non chiede altro. Se lo farà sarà in seguito. Per il momento si limita ad annuire, piano, senza scavare in quel passato ch’è una piaga sempre presente.

 

Il pranzo a casa Hughes si è trasformato in una quasi cena alla fine. E la cosa, chissà perché, non ti sorprende per niente. È proprio per questo che i bambini si sono addormentati sul divano assieme ad Elicia.

E ora ci siete tu, Roy e Alice che vi dirigete verso casa dell’uomo con la stanchezza pressante sui vostri volti. Tuttavia sai bene che non finirà tutto con due saluti e un “arrivederci a domani”. Non potrà finire così. Perché ci sono ancora alcuni punti lasciati in sospeso.  

La piccola Kathleen dorme serena fra le tue braccia, e la stessa cosa fanno James e Daniel in braccio a Roy; entrambi avete convenuto che il pancione ingombrasse già abbastanza per Alice.

Quando entrate in casa la prima cosa a cui pensate è di mettere a letto i bambini, in modo che almeno loro non si sveglino con un bel mal di schiena il giorno dopo. Li accomodate sul letto di Roy e dopo che Alice ha rimboccato loro le coperte vi rifugiate in soggiorno chiudendovi la porta alle spalle in modo da non far rumore.

 

“ Allora, Alice, perché sei qui in realtà?” Esordisce Roy con una calma disarmante mentre fa ondeggiare piano il Whisky contenuto nel suo bicchiere. Tuttavia sai bene che quella calma è solo apparente: dentro di se, Roy, è agitato come non mai.

Alice temporeggia malamente osservando le spire di fumo che si levano dalla sua tazza di tè. Per lei niente alcolici. È sconsigliato in stato avanzato di gravidanza.

Osserva prima suo fratello e poi sposta lo sguardo su di te che, con un bicchiere pieno di Whisky come quello di Roy in mano, attendi pazientemente una risposta. Sa che non potevi credere alla scusa della notte prima. Serviva solo a temporeggiare. A darti l’illusione che andasse tutto bene. Peccato che tu, le illusioni, le fai scoppiare come bolle di sapone troppo deboli per sopravvivere. È nella tua natura. È quello che sei.

“ Si tratta del bambino.” Ammette alla fine la mora con gli occhi ancora fissi sul fumo ondeggiante.

“ Quale esattamente?”

La precisione solitamente fuori luogo di Roy, per una volta, non è fuori luogo. Che dipenda dal fatto che, a conti fatti, in quella casa ci sono quattro bambini?!

“ Quello che ho nella pancia.”

Senti un brivido lungo la schiena. Questo non è proprio un bel segno. Questa frase è l’unica che non avresti mai voluto sentire.

Il liquido prima ondeggiante nel bicchiere di Roy continua il suo pigro movimento, solo che non è più l’uomo a farlo oscillare. Il suo polso ora è fermo, immobile. E suoi occhi prima velati dalla stanchezza – alla pari dei tuoi – ora sono vigili come mai. Tutto ciò che c’era prima è scomparso. Ora è passato in secondo piano.

“ Alice…” Il nome di quella che per te è alla stregue di una sorella ti esce in un sospiro soffocato. Non sai cosa dire. O meglio: sai cosa dire, solo che sai anche che le parole non servirebbero a nulla. Le parole non servono mai con Alice. Con Alice servono i fatti.

“ Ho un’appendicite.” Ammette alla fine la donna socchiudendo gli occhi.

Vedi le spalle di Roy sciogliersi, la sua tensione un po’ allentata. Tuttavia nel momento in cui incrocia i tuoi occhi s’irrigidisce nuovamente. È forse preoccupazione ciò che legge nelle tue iridi? E perché? Non è forse una semplice appendicite?

“ L’appendicite in suo non è pericolosa.” Lo informa Alice intuendo in gioco di sguardi in atto fra voi due. “ Il fatto che io sia incinta e con un’appendicite è pericoloso.” Dice fissando quegli occhi uguali ai suoi, e intuendo la domanda riflessavi dietro. “ Pericolosa da danneggiare il bambino.”

Un altro brivido. O forse una scossa elettrica. Non sai dire cosa ti ha attraversato la schiena, ma sai che la sensazione che ti ha lasciato non è affatto piacevole. E ha un retrogusto amaro.

La tua mano scatta rapida verso quella di Alice ora appoggiata inerme sul divano e la stringe. Forte. Così forte da far quasi male. Ma non importa. È giusto così. E la stretta che ti arriva di rimando è forse anche peggiore.

Alice ti sta chiedendo aiuto. A te e a Roy. Lo sta facendo perché è chiaro che da sola non può farcela. È chiaro che ha bisogno di una mano.

Lo sta chiedendo a voi perché tu e Roy – bambini e marito a parte – siete l’unica famiglia che ha. E perché dopo la morte di Maes il suo cuore è un po’ più vuoto, un po’ più frammentato.

Tu, Alice, Roy e Maes.

Voi quattro. E la piccola famiglia che avevate creato. Quella piccola famiglia basata su quel sentimento misto di amore, amicizia e… E cosa? Cosa ancora vi legava? Non lo sai. O forse non l’hai mai saputo. Ma non ti è mai importato molto. Perché eravate voi. Voi quattro. E andava bene così.

 

Osservi di soppiatto tua sorella che, china sui suoi bambini, li accarezza i capelli e sorride come solo una madre sa fare. E pensi a quanto dolore abbia adesso nel cuore. E a quanto ne abbia ingabbiato nel corso degli anni.

Un rumore alle tue spalle ti distoglie da questi pensieri e voltandoti vedi Riza che sistema i bicchieri e la tazza sul tavolino di vetro davanti al divano. La vedi simulare tranquillità, ma il tremore impercettibile delle sue mani la smentisce. E dai suoi occhi stanchezza e preoccupazione si mescolano vorticosamente. Sai perfettamente a cosa sta pensando. I tuoi pensieri sono uguali ai suoi.

Lanci un’ultima occhiata a tua sorella e poi ti dirigi verso il divano su cui eri seduto fino a pochi attimi prima sprofondandovi nuovamente. Gli occhi di Riza si alzano impercettibilmente verso l’alto. I tuoi, invece, si chiudono piano e ti passi una mano su di essi massaggiandoli piano.

“ Tutto bene?” Ti chiede la voce di Riza. Non c’è ansia o preoccupazione nel suo tono; sai che ha fatto quella domanda solo per proforma. In realtà non ne aveva nemmeno bisogno. Come sai che non ha bisogno di una risposta. Ma tu gliela dai comunque.

“ Forse oggi ho stancato troppo gli occhi. Iniziano a farmi male.” E la testa ricade inerme sulla spalliera del divano.

Non sai quando ne come, ma senti il divano piegarsi piano e un attimo dopo senti le dita fresche di Riza accarezzarti piano le tempie fino a massaggiarle dolcemente. Rilassi la fronte prima corrucciata e abbandoni le braccia lungo i fianchi. È così bello starsene lì, entrambi su quel morbido divano… E le lievi carezze di Riza sono come un balsamo per tutte le ferite e per tutti i dolori. È come se la sua sola presenza fosse in grado di lavare via tutto, e lasciarti galleggiare in una bolla di serenità.

“ Non dovrebbe sforzare troppo gli occhi. In fondo ha recuperato la vista solo da un paio di giorni.” Formale e incisiva. Come sempre. Ma hai sentito chiaramente la sua voce tremare. E la dolcezza che ha solcato quella frase è qualcosa di così raro che è paragonabile al diamante più prezioso. Quella dolcezza che solo raramente, di tanto in tanto, lei lascia trasparire.

Socchiudi le palpebre e i tuoi occhi corrono sulla sua figura fino a tuffarsi dentro al colletto della camicia che indossa. La giacca della divisa abbandonata sull’attaccapanni. E la vedi. Vedi quella striscia più chiara, dalla consistenza di carta vetrata. Ruvida al tocco. Ecco ciò che ti ha terrorizzato poco tempo fa. La causa di quel senso di panico che ancora ti perseguita nella notte.

Levi due dita e accarezzi piano quella cicatrice recente, segno indelebile della guerra appena conclusasi. E senti Riza rabbrividire e poi irrigidirsi sotto il tocco di quella lieve carezza. I suoi occhi cercano immediatamente i tuoi e quando questi s’incrociano riesci a leggerle dentro come mai prima.

“ Sono sempre io la causa del tuo dolore…” Sussurri piano. La mano ancora ferma sul suo collo.

“ La scelta è stata mia.” Ribatte lei mentre le sue mani scivolano lungo il tuo profilo accarezzandolo quasi e poi s’abbandonano lungo i fianchi, inermi. E può sembrare un segno di resa, il suo. Ma sai bene che non è così.

È il bisogno a precedere il suo comportamento. Lo stesso bisogno che senti anche tu, che ti attorciglia le viscere ogni volta che la vedi. È il bisogno di quell’amore che per così tanti anni è stato solo un’illusione lontana. E che oggi è ancora un’illusione. Solo più vicina. Non è più solo un miraggio. Ora la certezza che ci vorrà solo – ancora un po’ – di tempo è reale. Ora il tempo non è tiranno come prima.

E quando allunghi entrambe le braccia e la stringi a te ciò che ottieni non è un rifiuto. Per una volta lei non si ribellerà a te e a quelle carezze che sogna da sempre. Per una volta lei si lascerà stringere e ascolterà il battito del tuo cuore. Per una volta, anche se il tempo che aspettate non è ancora giunto, lei fingerà indifferenza. E dormirà accanto a te assaporando un piccolo assaggio di quella vita che da troppo bramate entrambi.

 

 

 

 

 

 

 

Sono tremendamente il ritardo, lo so. Ma il lavoro e la scuola prima e le festività poi non mi hanno lasciato molto tempo. E dato che volevo ricontrollare questo capitolo ho posticipato la sua pubblicazione.

Spero che vi piaccia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=595867