I Thought I Lost You

di Mushj13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


- Lei deve farlo, è esclusivamente per la sua sicurezza. Appena tutto sarà finito potrà tornare alla sua vita di tutti i giorni.
- Ma sa chi sono io?
- Sì signorina, ma non possiamo fare eccezioni nemmeno per lei, per la verità sarà ancora più difficile proteggerla perché tutti o quasi la conoscono.
- Ma io non voglio allontanarmi da qui, non voglio essere protetta da nessuno, posso vivere benissimo così.
- Così rischia tutta la sua vita e tutto quello che ha fatto fino ad oggi. Non può rimanere in questa città e soprattutto in questa casa, non ci metteranno molto a trovarla.
- E dove dovrei andare allora? – disse in preda alle lacrime.
- Non glielo possiamo far sapere finché non sarà già in aereo.
- Come? – disse con voce tremante.
- Sì, non lo deve sapere nessuno e lei non deve comunicare con nessuno, per tanto è più sicuro che lei venga a sapere il più tardi possibile dove la stiamo portando.
- Ma io non me ne voglio andare da qui! – disse quasi gridando.
- Deve, è per la sua sicurezza.
- Me ne frego della mia sicurezza, non ho rischiato in tutti questi anni con milioni di fans decisamente spericolati che avrebbero compiuto qualunque azione pur di avvicinarsi a me e ora dovrei preoccuparmi di un uomo che sì e no mi ha intravista nel buio della notte?
- Quell’uomo ha già ucciso un’intera famiglia, non penso che avrebbe problemi ad uccidere anche lei! – disse con un tono sempre più deciso l’agente di polizia.
- D’accordo, ma come faccio con tutti i miei amici, mio padre – rifletté – i miei fans!
- Lei sparirà completamente dalla circolazione per un po’ di tempo, deve dimenticarsi tutti gli eventi, i concerti e i fans, e per quanto riguarda suo padre e i suoi amici solo alcuni di loro lo sapranno, solo quelli dai quali siamo sicuri che non trapelerà nessun’informazione. Lei non potrà contattarli in alcun modo.
- Nemmeno mio padre? – tentennò.
- No, soprattutto suo padre. Sappiamo tutti che siete molto uniti ma così mette a rischio sia la sua vita che quella di suo padre.
- D’accordo. A che ora devo essere pronta?
- Entro mezz’ora. Non un minuto di più. La sua permanenza in questa casa potrebbe esserle molto rischiosa.
- Mezz’ora? – disse con uno sguardo misto di stupore e tristezza.
- Sì, mezz’ora.
- Ma non so nemmeno cosa mi devo portare!
- Prenda un po’ di tutto, lascerò qui con lei l’agente Sarah Simons che l’aiuterà nella scelta dei capi d’abbigliamento.
- La ringrazio. – disse con lo sguardo perso nel vuoto.
- Un’ultima cosa.
- Mi dica.
- Mi lasci tutti i suoi documenti, il suo cellulare, il suo iPad e qualunque oggetto che potrebbe avere un dispositivo GPS.
- Ecco a lei. – disse muovendosi lentamente ormai arresa all’evolversi degli eventi.
- Si dimentichi di essere la signorina Cyrus. A più tardi.
 
L’agente chiuse la porta di legno di ciliegio dell’ingresso della grande villa sulla spiaggia di Malibu e vi fece appostare due agenti di colore, alti e muscolosi.
Non appena Miley fu sola, con l’agente Simons, si guardò a lungo intorno sapendo che avrebbe dovuto abbandonare tutto quello che la circondava. Si sentiva spiazzata. Era seduta sul divano di morbida pelle bianca del soggiorno e teneva la testa fra le mani i suoi lunghi capelli le sfioravano le ginocchia. Era immersa nei suoi pensieri quando si ricordò all’improvviso che avrebbe avuto solo mezz’ora per preparare tutto quello che le sarebbe servito per andare chissà dove, per chissà quanto tempo.
Si alzò e senza troppe forze si diresse al piano superiore dove c’era la stanza da letto e, ad un piccolo corridoio di distanza, la sua gigantesca stanza armadio. Aprì la porta scorrevole di cristallo opaco e camminò quasi strisciando sul parquet della stanza. Si girò verso ogni parete e non sapeva davvero da che parte incominciare.
Prese una valigia di pelle beige, che l’aveva accompagnata in molti viaggi in diversi anni, e una di pelle marroncina, che le era stata regalata qualche mese prima dal padre per le vacanze di primavera.
Esattamente davanti a lei c’era uno scaffale di quindici piani stracolmo di scarpe di ogni tipo. Non sapeva davvero quali potessero servirle. Continuò a fissare gli scaffali per qualche minuto finché una voce dolce e vellutata interruppe i suoi pensieri.
-  Prendi giusto le cose che useresti in qualunque momento.
- Co..come? – disse con una voce che sembrava rasentare le lacrime.
- Prendi poche scarpe, quelle che useresti sempre e comunque e che tendenzialmente potrebbero stare bene sotto qualunque cosa tu voglia portarti.
- Grazie. – rispose in tono arreso.
Prese quattro paia di scarpe, una dozzina di magliette e maglioni e una ventina tra gonne, pantaloni e pantaloncini, sei o sette vestitini e biancheria a volontà. Aveva fatto in modo che non le mancasse niente per qualunque occasione.
Era pronta.
- Possiamo andare. – disse alla signorina Simons con voce ferma, nonostante l’unica cosa che volesse, fosse piangere.
Si diressero verso l’uscita della casa quando squillò il telefono di casa. Miley e l’agente si guardarono.
- Posso rispondere, solo adesso? – chiese Miley con gli occhi lucidi.
- Sì, ma faccia in fretta.
- Grazie mille.
Dopo un altro squillo, ricacciò le lacrime, alzò la cornetta e rispose.
- Pronto. – disse col tono più radioso che poté.
Ci fu un silenzio glaciale dall’altra parte della cornetta.
- Chi parla? – chiese Miley.
- Parlo con la signorina Cyrus?
- Posso sapere con chi parlo? – insisté Miley.
- Non si preoccupi, prima o poi ci conosceremo di persona. – disse con voce fredda e pacata la voce dall’altra parte e la conversazione si interruppe.
Miley rimase alcuni secondi con il telefono in mano fissando il vuoto e la signorina Simons la scosse ricordandole che era tardi. La ragazza non disse niente e procedette dritto fuori dalla porta di quella casa che per lei significava tutto e si diresse all’aeroporto privato del FBI. 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Seduta sul sedile posteriore dell’auto nera della polizia non riuscì a smettere di pensare a quella telefonata di pochissimi minuti prima, la voce di quell’uomo le risuonava nel cervello come un eco. In macchina con lei c’erano la signorina Simons, una delle due mastodontiche guardie del corpo e lo stesso agente che le aveva proposto il programma protezione testimoni. L’altra guardia del corpo rimase nei pressi della casa per controllare qualunque movimento sospetto.
Miley non parlò per tutto il tragitto rimanendo chiusa nei suoi pensieri.
Arrivata all’enorme aeroporto privato del FBI a Malibu si rese conto che, nonostante la sua mole, non aveva mai notato quella struttura prima d’ora.
Prima che potesse scendere dalla macchina prese un respiro profondo e rivolgendosi all’agente del FBI disse:
- Posso farle una domanda?
- Mi dica.
- Ma se, in un caso ipotetico, l’omicida riuscisse a trovare anche solo il mio numero di telefono?
- È praticamente impossibile dato che tutti i suoi nuovi dati sono in fase di elaborazione in questo esatto momento.
- No, non dico i miei nuovi dati, dico se fosse riuscito, sempre in via del tutto ipotetica, a trovare il mio “vecchio” numero di telefono?
- Perché questa domanda? – chiese con voce preoccupata.
- No, cioè sì. Risponda prima alla mia domanda. – chiese fermamente.
- Ciò significherebbe che quell’uomo sa già più di quanto noi possiamo immaginare sul suo conto. Ma ora risponda lei alla mia domanda, perché vuole saperlo?
- Ecco, prima, appena prima di uscire di casa – incominciò tentennante – ho ricevuto una telefonata e ho chiesto alla signorina Simons se potessi rispondere, e quando ho alzato la cornetta mi ha risposto una voce maschile, fredda, quasi metallica – prese una piccola pausa – e ha detto che saremmo riusciti a conoscerci di persona.
Finì di parlare e l’agente inchiodò con l’auto sulla pista d’atterraggio.
- C’è qualcosa che non va? – chiese Miley imbarazzata.
- Perché non me lo ha detto prima? – disse con tono quasi arrabbiato l’uomo alla guida.
- Non credevo che fosse così rilevante, non mi sembrava pericoloso. – disse con voce tremante.
- Come non credeva che non fosse pericoloso? Quello che potenzialmente potrebbe essere l’assassino si è messo in contatto con lei e lei crede che non sia pericoloso?
Non seppe più cosa rispondere, prese la sua borsa e scese dalla macchina, l’agente prese le sue due valigie e salirono in aereo.
Una volta che l’aereo fu in volo da diversi minuti, Miley tossì e disse:
- Quando potrò sapere dove mi state portando? 
- Non appena i miei agenti mi avranno dato la conferma di aver avvisato suo padre.
- Quindi non lo sa ancora? – chiese sbigottita.
- No, non lo sa, presumo che glielo stiano dicendo in questo momento.
- Bene – disse preoccupata – e secondo lei come la prenderà?
- Penso che capirà la situazione e, comprenderà che questa sia stata la scelta migliore per condurre una vita sicura lontana da un serial killer che l’ha chiaramente riconosciuta.
- Speriamo. – disse Miley con un filo di voce.
Dopo un paio d’ore dal decollo l’agente si avvicinò a Miley e le diede una busta nella quale c’erano tutti i suoi nuovi documenti.
- Da oggi lei sarà Miley Gray.
- Bene, almeno questo penso di poterlo ricordare.
- Lei proviene da Omaha.
- Perché Omaha? – chiese con una faccia scocciata.
- Non lo abbiamo deciso noi, gli uffici dell’FBI avranno avuto le loro valide ragioni per darle come paese d’origine Omaha. – disse l’agente mostrando un sorrisino.
- Bene, allora sono Miley Cyr..Gray, mi scusi, e provengo da Omaha, e sto andando?
- Ah sì. La sua destinazione momentanea è una piccola città: Jacksonville.
- E dove sarebbe?
- Non è tenuta a saperlo.
- Scusi ma ha detto che è la mia destinazione mo-men-ta-ne-a? – esordì più scioccata di prima.
- Sì, verrà spostata in un altro centro dopo che avremo condotto le prime indagini sull’omicida.
- D’accordo. – disse quasi senza forze per lo sconforto – Quanto ci vuole ad arrivare a destinazione?
- Almeno altre due ore sigorina Gray.
Miley si addormentò durante il tragitto, non potè portare con sé nemmeno il suo iPod, al momento dell’atterraggio appena guardò fuori dall’oblò notò che all’esterno c’era un immenso deserto di sabbia e roccia. A mala pena si vedeva la torre di controllo per gli atterraggi.
In preda al panico si girò verso l’agente di polizia il quale la stava aspettando con un sorriso smagliante.
- Ma chi mi verrà a prendere? – chiese sbadigliando Miley.
- Verrà il capo della polizia di Jacksonville e vivrai a casa sua durante il periodo nel quale ti troveremo una collocazione definitiva.
- Definitiva? – chiese urlando Miley
- Vabbè, non definitiva – disse goffamente l’agente – ma “fissa” per il tempo durante il quale risolveremo il caso, e sarà libera di testimoniare senza rischi per la sua incolumità. – si salvò infine.
- D’accordo, ma non c’è il rischio che qualcuno mi riconosca?
- No.
- Come no? Oddio non sarò la ragazza più famosa sul pianeta terra ma so di avere una quantità non indifferente di fans.
- Lo sappiamo tutti signorina Gray, ma lei ora non è più Miley Cyrus e anche se qualcuno la dovesse riconoscere, cosa del tutto improbabile a Jacksonville, lei dovrà negare di essere la famosa pop star ma dovrà convincere i suoi interlocutori di assomigliarle, ma di essere un’altra persona.
- Allora perché non avete cambiato anche il mio nome? – chiese scocciata Miley.
- Perché sennò si sarebbe sbagliata molte più volte, sappiamo già che avrà difficoltà nell’abituarsi alla sua nuova identità.
- In effetti ha ragione. – disse Miley sorridendo – ma perché proprio a Jacksonville sarebbe improbabile che mi riconoscano?
- Lo scoprirà lei stessa – disse fermamente l’agente – e, - aggiunse – si ricordi che da oggi Miley Cyrus non esiste più.
Così la lasciò scendere dall’aereo. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Non appena ebbero aperto il portellone dell’aereo un vento caldo sfiorò la faccia di Miley e i suoi capelli si arruffarono. La sabbia volava pungente sul suo viso, tanto che fu costretta a coprirsi gli occhi con la mano, non riusciva a vedere molto né la sabbia né il buio che pian piano stava arrivando l’aiutarono. All’improvviso una mano l’accolse e l’aiutò a scendere dall’aereo:
- Salve signorina Gray, sono il capitano Jim Bosson, può chiamarmi semplicemente Jim. – disse con un sorriso gentile.
- La ringrazio Jim. – rispose al sorriso Miley
- Dammi del “tu” Miley, tu ora risulterai a tutti come la mia nipotina che viene da Omaha per le vacanze. – le ricordò in tono cordiale.
- Ah sì giusto, grazie zio Jim.
L’agente del FBI la salutò dal portellone e, dopo aver parlato con il capitano Bosson, ripartì verso Malibu.
Miley e “lo zio” Jim salirono sulla grande Jeep marrone scuro della polizia di Jacksonville e incominciarono a dirigersi verso casa del capitano.
- Hai bisogno di qualcosa? – chiese Jim.
- In realtà mi sono portata un po’ di tutto, non saprei di cosa potrei avere bisogno, grazie. – rispose timidamente Miley.
- Hai fatto bene, di solito tutti coloro che vengono da me portano poche cose, che spesso non sono effettivamente utili.
- Ma, per lei, non è la prima volta? – chiese stupita Miley.
- No, assolutamente. – sorrise cordialmente Jim.
- Ma per quanto tempo di solito queste persone si fermano da lei? Non  che lei non mi stia simpatico, oddio non la conosco affatto, ma penso che possa essere… - lasciò la frase a metà non sapendo davvero cosa dire.
- Non ti preoccupare Miley, so che è una situazione della quale vorresti liberarti subito ma sappi che è molto importante per te rimanere qui al sicuro e poi trarrai molto da quest’esperienza. – si fermò un attimo e si accese una sigaretta. – Ti dispiace se fumo?
- No, assolutamente.
- Comunque per quanto riguarda il tempo che rimarrai qui – continuò – potrebbe variare dai pochi giorni a non più di un paio di settimane, ai piani alti sono bravi a trovare una nuova collocazione. – disse sorridendo.
Miley sorrise e si girò verso il finestrino cercando di analizzare il paesaggio, ma tutto quello che poté vedere per kilometri e kilometri furono distese di sabbia e roccia. Dopo un paio d’ore di viaggio arrivarono nei pressi di un piccolo paesino, a Miley luccicarono gli occhi.
- È questa Jacksonville? – chiese speranzosa nonostante fosse davvero un paese piccolissimo.
- Sì.
- Fantastico – esclamò fingendo di essere entusiasta. -  Dov’è casa sua..cioè casa tua “zio”?
- Non è qui, cioè non abitiamo proprio a Jacksonville.
- Abitiamo? – chiese perplessa Miley.
- Sì, io e mia figlia.
- Ah, ha una figlia. – affermò sorridendo dolcemente. – e quanti anni ha?
- Dodici.
Miley rifletté per qualche secondo e poi chiese preoccupata – Ma non è che conosce Miley Cyrus?
- Miley chi? – chiese Jim.
- Mi..Mi…Miley Cyrus, la cantante americana, idolo di molte teenager.. – continuò ma venne interrotta da Jim:
- Io non so di chi tu stia parlando.
- Come? – chiese sbigottita Miley. – Io sono Miley Cyrus! – disse quasi urlando.
- No, tu eri Miley Cyrus, ora non esiste più. Non è un tuo problema, tu sei solo una ragazza che assomiglia molto alla cantante pop che è stranamente sparita dalle scene, e per la verità non ti piace nemmeno la sua musica.
- Co..come?
- È così. Sarebbe troppo rischioso se aveste qualcosa in comune.
- Ma..ma..ma – non riuscì a concludere la frase.
- Lo so, sarà dura. Ma non ti preoccupare, ci sono qui io a sostenerti e ad aiutarti.
Non si dissero più ninete finché non furono arrivati, dopo un’altra ora di viaggio da Jacksonville, ad un’enorme fattoria al centro del nulla.
- Benvenuta a casa nipotina.
Miley non seppe cosa rispondere, continuò a guardarsi intorno stupefatta. Non aveva mai visto niente di simile e non aveva mai vissuto in un posto così immenso.
- Questa è casa? – disse scioccata, quasi sillabando la parola casa.
- Sì. – sorrise il capitano a trentadue denti fumando un’altra sigaretta.
- Ma è fantastica! – esordì la ragazza senza riuscire a smettere di sorridere.
Presero i bagagli e passarono attraverso un lungo viale alberato che portava in un enorme spiazzo di pietra chiara dove c’era un recinto di legno scuro all’interno del quale c’erano più di sei o sette cavalli di razza. Alla destra del recinto c’era una bassa struttura rossa contenente probabilmente l’ovile, mentre a sinistra c’era un enorme casa di cotto rosso a quattro piani. Era fantastica.
Miley guardò tutto quello che aveva intorno senza sapere né che dire né che fare. Rimase immobile con la bocca spalancata e gli occhi luccicanti per la felicità. Quella casa era un’oasi nel bel mezzo del nulla.
- È, ma è, ma…Stupenda! – non si seppe trattenere.
- Vieni, ti mostro dov’è la tua stanza. – la invitò cordialmente Jim.
- Ma dov’è sua figlia?
- Penso che sia in giro col suo cavallo.
- Nel deserto? – chiese preoccupata Miley.
- No, assolutamente, è molto pericoloso andare lì in giro a cavallo.
- E dove allora? – chiese perplessa.
- Nel giardino.
- Quale? – domandò ancora più perplessa.
- Vieni con me.
Entrarono nel recinto dei cavalli e dopo averlo attraversato tutto, non sembrava ma era enorme, arrivarono ad un altro cancello, questa volta di metallo, e dietro di esso si nascondeva un infinito manto di erba verde e rigogliosa e una quantità indefinita di alberi. Era il giardino nascosto più grande e più bello che Miley avesse mai visto.
- Wao! – fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare.

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