In Pieces.

di Fee17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Vier ***
Capitolo 5: *** Fünf ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Tutto iniziò là, dove gli occhi si chiusero e cominciarono a sognare.
 

 
 
1)
 
Correva.
 Correva  a caso per le strade di Amburgo, senza minimamente avere idea di dove stesse andando, imprecando tra sé fra gli ansimi, non ricordando nemmeno più l’ultima volta che gli era capitato di fare un po’ di sano movimento e rimpiangendo in quel momento di aver sempre declinato, inorridendo, la proposta di Gustav di fare jogging mattutino con lui. D’altra parte, non poteva certo immaginare che delle ragazze potessero essere così allenate e tenaci da inseguirlo con tanto accanimento, muovendosi in uno spaventoso branco starnazzante e chiamando il suo nome, come se sentendolo, magicamente lui si dovesse concedere alle loro grinfie. Ma in effetti  gli sarebbe almeno dovuto venire in mente che dalle fan dei Tokio Hotel ci si può aspettare di tutto.
Rallentò un poco per cercare di riprendere fiato, la milza che implorava pietà, ma senza fermarsi, maledicendosi per l’ennesima volta per aver avuto l’insana idea di uscire dal rifugio sicuro di casa propria senza alcuna scorta di bodyguard e nemmeno un travestimento convincente. Doveva essere stato pazzo per correre un rischio del genere, ma non c’era da stupirsi, considerando con che gente stressante era costretto ad avere a che fare continuamente, ogni giorno, sottostando a ordini e imposizioni riguardo ogni minima cosa.
Quel pomeriggio più del solito aveva veramente rischiato di uscire di testa, esasperato da un produttore lievemente schizzato, mai soddisfatto del numero già esoso di interviste e servizi fotografici stipati in ogni santo giorno della settimana, da una truccatrice pignola e appiccicosa che pretendeva di accompagnarlo a tutti i costi a fare shopping, e da due energumeni addetti alla sicurezza, che prima o poi era sicuro si sarebbe ritrovato persino in bagno, a controllare che nessun malintenzionato sbucasse a tradimento dalla tazza del water. Era più di quanto i suoi nervi potessero sopportare, e dopo aver tentato, inutilmente nonostante le proprie urla isteriche, di buttarli tutti fuori di casa, arrivando a minacciare armato di piastra per capelli i propri bodyguard decisamente troppo imponenti per essere affrontati a mani nude, aveva finito per piantarli in asso lui, senza dire niente a nessuno, uscendo da solo a prendere almeno una boccata d’aria e distrarsi, allontanandosi  un po’ troppo, e rendendosi conto troppo tardi che forse non era stata un’idea così geniale.
Si voltò indietro, assicurandosi di aver messo una distanza consistente tra sé e le pazze urlanti, ma temendo di vederle comparire da un momento all’altro alle proprie calcagna, riprendendo quindi a correre, gettando occhiate nervose alle proprie spalle e svoltando in fretta un angolo, senza guardare. Pessima idea.
 Prima ancora di avere il tempo di reagire o di capire cosa stesse succedendo, avvertì un urto improvviso e inaspettato, piombando a terra rovinosamente.
 
Si era comprata un gelato, cosa che non le succedeva da parecchio tempo, e ne era veramente soddisfatta. Non aveva potuto resistere all’allettante possibilità, visto che quel pomeriggio il sole splendeva invitante su Amburgo, e il clima era tiepido e gradevole, cosa per nulla usuale da quelle parti della Germania. Appena uscita dall’università, sulla via del ritorno verso casa, si era quindi fermata nella prima gelateria che aveva trovato, concedendosi un sontuoso cono a tre gusti e si era rimessa in cammino, senza fretta, assaporandolo beata e godendosi quella giornata particolarmente piacevole. Almeno fino a quel momento.
Stava per l’appunto leccando con impegno e concentrazione il rivolo di stracciatella che puntualmente le colava sulla mano, quando sentì qualcuno sbucare all’improvviso da dietro l’angolo e travolgerla, rovinandole addosso. Lanciò un grido, non riuscendo a evitare il disastro e finendo a terra con un tonfo, mentre il gelato, il suo prezioso gelato, le si spiaccicava irrimediabilmente sulla maglietta.
“Ma porco… SPINO!!!” 
Gridò frustrata, completamente spalmata sul marciapiede, sollevando lo sguardo allibito e furioso sull’idiota che l’aveva assalita e che ancora non le si era levato di dosso, e ritrovandosi a fissare in viso un ragazzo dai lunghi capelli corvini, fino a poco prima probabilmente nascosti sotto il berretto che nell’urto gli era caduto, e dai lineamenti fini e delicati, o che almeno così parevano da quel poco che i grossi occhiali da sole griffati lasciavano intravedere. Chiunque fosse, non aveva idea di cosa lo aspettava, ma lo avrebbe scoperto di lì a poco, questo era sicuro.
 
Non avrebbe saputo dire se l’aveva stordito di più lo schianto inaspettato, o la bizzarra imprecazione che gli aveva perforato i timpani qualche istante dopo, lasciandolo del tutto allibito e confuso. Tentò velocemente di riprendersi  e riordinare le idee, rendendosi presto conto, con sommo panico, di essere volato a terra e per di più di essere praticamente disteso addosso a una ragazza, tra l’altro chiaramente furiosa. Decisamente quella non era la sua giornata fortunata.
“Oh merda…”
Si raddrizzò immediatamente, imbarazzato e allo stesso tempo profondamente seccato da tutta quella situazione, sollevato unicamente dal fatto che, a giudicare dalla reazione tutt’altro che accomodante, quella che aveva appena rischiato di uccidere evidentemente non era una fan, anche se l’espressione nei suoi occhi gli faceva intuire chiaramente che nemmeno a lei sarebbe dispiaciuto mettergli le mani addosso, anche se per scopi totalmente diversi da quelli delle sue arrapatissime ammiratrici.
“… cazzo… scusami, non… non ti ho vista, mi dispiace…” biascicò in fretta, cercando di alzarsi faticosamente di nuovo in piedi e tendendole una mano per aiutarla. La ragazza lo fulminò con lo sguardo, ignorando completamente la sua mano tesa e scattando di nuovo in piedi, scuotendo indietro i lunghi capelli castani e guardandosi prima la maglietta del tutto rovinata, poi i resti del gelato ormai sciolto sull’asfalto, tornando a fissare lui con astio.
“NO MA, CIOE’!! GUARDA DOVE VAI!!! ORA NON HO Più UNA MAGLIA E SOPRATTUTTO NON HO PIU’ UN GELATO!!! TI PARE?!?”
Il moro fece istintivamente un passo indietro, cercando intanto febbrilmente di sistemarsi i vestiti e ricomporsi, passandosi nervosamente le dita tra i capelli e guardandola a metà tra il mortificato e l’irritato, sbottando a sua volta, nel tentativo di difendersi e rimediare:
“Ti ho chiesto scusa!!! Andavo di fretta e non ti ho vista, ok?? Mi dispiace!!”
La ragazza non parve minimamente addolcita, e soprattutto affatto intenzionata a demordere, ribattendo subito con enfasi, gesticolando:
“Eh, l’ho notato, porca miseria! Guarda che distastro… Se stavi perdendo il bus comunque ci stai riuscendo! Cosa aspetti, sparisci da qui… il mio gelato… il mio gelato… il mio gelato…”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, travolto dai suoi sproloqui, cercando di interrompere le sue lamentele, sentendosi al limite della sopportazione, esclamando esasperato e ormai prossimo a un crollo di nervi:
“SENTI, TE LO RICOMPRO, VA BENE?? ti ho chiesto scusa accidenti, come potevo immaginare che eri appostata a mangiarlo proprio dietro l'angolo?!?"
Gli occhi della ragazza saettarono su di lui, indignati e furiosi.
“COOOOSA?!? E’ colpa mia quindi?! Io stavo camminando ed ero impegnatissima a non farlo gocciolare, sei tu che mi sei venuto addosso come una furia!!” replicò aggressiva, le mani sui fianchi, squadrandolo dall’alto della propria statura, che probabilmente a malapena gli arrivava alla spalla.
Il moro sbuffò sonoramente, cominciando a irritarsi pericolosamente e sfilandosi con un gesto brusco gli occhiali da sole per squadrarla a sua volta, per nulla disposto a farsi mettere i piedi in testa da quella assurda ragazza, tanto minuta quanto dal caratterino per nulla accomodante.
"Se invece di essere impegnatissima a non farlo gocciolare, avessi provato a guardare dove andavi, magari non saresti stata in mezzo al passaggio e non ti sarei venuto addosso come una furia!!!" ribatté tutto d’un fiato, facendole il verso e guardandola con sfida.
 Lei lo fissò spalancando la bocca e investendolo con rabbia:
“Senti, io non so chi diavolo ti credi di essere, ma rimane il fatto che qui la colpa è tua!! Sei tu che non guardavi, mi sei arrivato addosso all’improvviso e io guardavo avanti, mentre tu non lo hai fatto!! Quindi chiudi il becco ragazzino!!” Lo fulminò di nuovo, ma distogliendo improvvisamente lo sguardo dal suo, come distratta da qualcosa. “Ma che cazzo…”
Il ragazzo, che stava già per risponderle a tono,  furioso per la sua impertinenza, si bloccò tendendo le orecchie. Preso dalla foga di quella discussione, si era praticamente dimenticato il motivo della propria fuga, che però ora si stava decisamente facendo sentire di nuovo, mentre le grida e le voci si avvicinavano di  secondo in secondo, facendolo di nuovo sudare freddo. Imprecò  sottovoce voltandosi a gettare un’occhiata alle proprie spalle allarmato, non sapendo più dove nascondersi o come sfuggire loro, ormai stanco di correre, sentendo l’ansia salire.
“Che diavolo succede??”
Tornò a voltarsi verso di lei, incontrando il suo sguardo inquisitorio e sbottando esaurito e con i nervi a pezzi, troppo preoccupato anche per mandarla a quel paese, anzi guardandola come se lei potesse miracolosamente avere una soluzione:
“Cercano me, dannazione...ecco perchè avevo fretta! Cazzo, ora che diavolo faccio??"
“Ah non ne ho idea...” commentò la ragazza, inclinando però il capo improvvisamente incuriosita, e lui la vide studiargli il viso, gli occhi, i lineamenti, come intuendo almeno in parte la sua identità, distogliendo però presto lo sguardo e aggiungendo con una noncurante scrollata di spalle, “sono cavoli tuoi, io devo prendermi un altro gelato”.
"Nascondimi e te ne ricompro due, per favore,  non ho idea di dove cazzo andare!!!"  ribatté precipitosamente il moro, senza quasi sapere cosa stesse dicendo, agitandosi sempre di più e non smettendo di lanciare occhiate nervose alle proprie spalle, aspettandosi da un momento all’altro di vedere sbucare da dietro l’angolo la mandria urlante, pronta a fargli la festa.
“Ma nemmeno per sogno, guarda quel povero gelatino! Giace a terra per colpa tua. Per non parlare della mia maglia con gli uccellini…” continuò a sproloquiare lei, ma ascoltando a sua volta gli schiamazzi inneggianti un nome, sempre lo stesso, sempre di più, guardandolo poi lievemente incuriosita.
“Bill saresti tu?”
“Cosa te lo fa pensare?? " replicò lui ironico, guardandosi freneticamente attorno, pregando di trovare una via di scampo, una qualunque, l’ansia ormai a livelli inauditi.
La ragazza non replicò, ma si allungò a sporgere il capo oltre l’angolo del muro, come per vedere con i propri occhi cosa stesse succedendo, e probabilmente rendendosi effettivamente conto di quanto quel branco di ragazze scalmanate fosse terrificante e potenzialmente pericoloso, perché dopo qualche istante ritirò la testa, si appiattì contro il muro e, cogliendolo completamente di sorpresa, lo afferrò  per il colletto, attirandolo vicino a sé e guardandolo perentoria e decisa.
“Baciami”.
Per un momento credette di aver capito male. La fissò sbigottito, il viso a qualche centimetro dal suo, cercando di far funzionare di nuovo il proprio cervello inceppato e chiedendosi se sotto tutta quella acidità si celasse in realtà un’ennesima fan in calore, o cosa ancora più probabile, se la ragazza si stesse palesemente prendendo gioco di lui. Rimase a guardarla spiazzato e confuso.
“…c-cosa?!”
Lei  sbuffò spazientita, facendo saettare i propri occhi verdi nei suoi, guardandolo come se lui non comprendesse qualcosa di assolutamente ovvio.
“Idiota! Non sto morendo dalla voglia, ma nei film funziona! Quindi o mi baci e fingi di apparire normale, lasciando che le tipe distolgano l'attenzione, o ti fai divorare da loro! Io non ho alcun problema a lasciarti lì” spiegò con enfasi, guardandolo in attesa, con il sopracciglio sollevato.
Il ragazzo la fissò impalato, stranito da quella trovata assurda e ancora di più dal fatto che lei avesse effettivamente intenzione di aiutarlo, guardandola esitante, ma vedendola stranamente sincera.
Di una cosa era certo, non voleva per nulla al mondo scegliere la seconda opzione.
Le urla erano ormai a pochi passi di distanza, ancora qualche secondo e l’avrebbero trovato.
La ragazza davanti a lui lo fissava, ancora tenendolo per il colletto, aspettando che si decidesse.
E lui, senza sapere quale follia lo spingesse a farlo, decise improvvisamente di fidarsi di lei.
Chinò rapido il viso, avvicinandolo al suo e premendo leggero le labbra su quelle di lei, appoggiandosi al muro nel punto più nascosto e circondandola con le braccia, calandosi nella parte, quella di una normale coppietta qualunque impegnata a scambiarsi effusioni, e pregando dentro di sé che quel piano improbabile funzionasse, sentendo la massa urlante di ragazze sbucare poco lontano da loro correndo scompostamente, e ritrovandosi a serrare gli occhi, aspettando che passasse il peggio. Si strinse istintivamente un poco di più alla ragazza, e per un momento si sentì distogliere dal pensiero delle proprie fanatiche inseguitrici, distratto dall’aver appena realizzato che la sensazione delle labbra di lei e del loro calore non gli dispiaceva per niente. Rimase per un istante immobile e stupito, spiazzato da quella situazione. Lei, come da copione, l’aveva soltanto lasciato fare rimanendo impassibile tra le sue braccia fino a quel momento. Eppure, nell’istante in cui il moro premette di più la bocca su quella di lei, la avvertì reagire quasi involontariamente, rispondendo muovendo lentamente le labbra sulle sue, incerta, ma come incapace di trattenersi, provocandogli una lieve stretta dalle parti dello stomaco e il bisogno istintivo di avere di più. Sentì i proprio muscoli in tensione rilassarsi a poco a poco, stupendosi di non sentirsi più a disagio, ma solo allettato da quel contatto, rispondendo ai lievi movimenti delle labbra di lei, scoprendone il sapore, la morbidezza, e non volendo staccarsene. Lei  approfondì un poco il bacio, posandogli esitante le mani sulla schiena, e lui avvertì chiaramente da parte sua la stessa strana e inspiegabile attrazione fisica che provava lui stesso, e una sintonia tra di loro quasi perfetta, spiazzante, mai provata prima. Improvvisamente non gli parve più di essere con una sconosciuta, non sapendosi spiegare il motivo di questa sensazione, ma lasciandosi andare, quasi inavvertitamente, intensificando quel bacio e sentendole fare lo stesso, fino ad avvertirla allontanarsi leggermente, dividendo con una certa riluttanza le labbra da quelle di lui e rimanendo a guardarlo, come risvegliandosi di colpo, seppur rimanendo aggrappata alla sua maglia.
Si ritrovò a fissarla a sua volta, ancora tenendola vicina a sé ed esitando a staccarsi da lei, senza più la fretta di allontanarsi e quasi dimenticando il motivo per cui si era infilato in quella situazione. Scrutò i suoi occhi senza parlare, non sapendo nemmeno cosa dire, spiazzato ma incapace di interrompere quel momento.
La ragazza sembrò riprendersi per prima, riscuotendosi e arrossendo di botto, distogliendo lo sguardo dal suo. 
“Ok… se ne sono andate” commentò, portandosi in un gesto nervoso i capelli dietro l’orecchio.
Il moro sbattè le palpebre, tornando bruscamente alla realtà e staccandosi subito da lei, facendo un passo indietro e cercando di riscuotersi, guardandosi intorno e realizzando solo in quel momento  che aveva ragione, che il suo piano aveva insperatamente avuto successo, mentre lui era troppo occupato a perdersi in quelle sensazioni per rendersene conto.
“Oh, ehm… vero,fantastico” mormorò con un certo impaccio, ancora intento a recuperare l’uso delle proprie facoltà mentali. Tornò a guardare lei, che nel frattempo si ricomponeva, riguadagnando il proprio contegno altezzoso e scostante, e a sua volta cercò di rimettere delle distanze tra sé e quella sconosciuta, ma suo malgrado si sentì riconoscente. Dopotutto l’aveva appena salvato dalla morte certa o peggio. “Allora, insomma… grazie” aggiunse sincero, lanciandole nuovamente un’occhiata.
“Di nulla” replicò lei, ma senza guardarlo “io… beh, dovrei andare adesso… devo cambiarmi maglia”.
Sembrò sul punto di allontanarsi così, ma lui si ritrovò a ribattere senza averlo deciso, trattenendola:
“Senti, scusami davvero per quella. Posso farmi perdonare e… magari sdebitarmi?"
La ragazza si fermò tornando a guardarlo in viso, studiandolo, come soppesando le sue parole, mentre lui si chiedeva, per l’ennesima volta quel giorno, cosa accidenti gli fosse passato per la testa. Sapeva solo di aver sentito la curiosità verso di lei vincere sulla propria diffidenza, e ora attendeva, giocherellando con i propri occhiali da sole e fissandola. Gli sembrava impossibile che una ragazza non cogliesse al volo una proposta del genere da parte sua, e per quanto quella che aveva di fronte fosse sicuramente un tantino fuori di testa, si ritrovò a sperare davvero che accettasse. Non poteva non accettare.
Lei comunque non si scompose troppo, replicando dopo qualche secondo, pensierosa:
“Io avrei fretta, ma se vuoi…” Si interruppe per frugare nella borsa, con un leggero cipiglio, estraendone poi un rossetto e un pezzettino di carta e scribacchiando qualcosa, tendendoglielo una volta finito. “Questo è il mio numero. Per la maglietta passi, ma per il gelato magari…”
Lo guardò con un mezzo sorriso, il primo che le vedeva rivolgergli, e dentro di sé lui si sentì stranamente euforico, prendendo lentamente il foglietto dalla sua mano e sollevando il sopracciglio invitante, cogliendo la palla al balzo per vincere del tutto la sua ritrosia, guardandola con un ampio sorriso.
“Stavo giusto per proporti una cena…”
“A me basta che alla fine ci sia un gelato” ribattè lei con una scrollata di spalle, ammiccandogli prima di voltargli le spalle.
“Stai alla larga dai guai Bill Kaulitz… non so se avrai di nuovo la fortuna di venire salvato, la prossima volta” aggiunse divertita allontanandosi, facendogli capire di averlo riconosciuto, alla fine.
Il ragazzo rimase a guardarla allontanarsi, completamente scioccato e senza parole. Non gli capitava da ere geologiche di invitare fuori una ragazza, e sapeva che ce ne sarebbero state migliaia, anche senza contare le assatanate di poco prima, che avrebbero fatto carte false pur di avere un tale incommensurabile privilegio.
E invece lei, pur sapendo con chi aveva a che fare, si comportava come se quello a cui era stata fatta una generosa concessione fosse lui. Era qualcosa di inaudito. Non poteva che essere pazza, quella…
“Ehi!!”
Esclamò improvvisamente, colto da un’improvvisa realizzazione, chiamandola prima che fosse troppo lontana. La ragazza si fermò, voltandosi a guardarlo interrogativa. Lui esitò un istante, inclinando poi il capo e scrutandola, lo sguardo curioso e incerto.
“Io però non so il tuo nome…”
Sulle labbra di lei comparve un sorrisetto, e si portò un dito alle labbra, mordicchiandolo appena e fingendo di pensarci su.
 
“Hai un altro motivo per invitarmi fuori…”
Gli ammiccò, prima di sorridere nuovamente e tornare a voltarsi, avviandosi di nuovo per la propria strada.
Lui rimase a fissarla allontanarsi, stupito, un po’ irritato, intrigato. Abbassò gli occhi sulle cifre scarlatte che comparivano sul biglietto nella propria mano e suo malgrado sorrise fra sé e sé.
Ci poteva giurare che l’avrebbe invitata fuori. L’aveva spiazzato, al punto che davvero la voleva rivedere, e mentre piegava il foglietto e lo infilava in tasca, decise che non se la sarebbe fatta scappare facilmente. Dopotutto lui era Bill Kaulitz, e quando Bill Kaulitz decideva una cosa, l’avrebbe senz’altro realizzata.
Certo, sempre se fosse sopravvissuto al ritorno a casa.
 

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Capitolo 2
*** Due. ***


2)

Era passata poco più di una settimana da quel bizzarro incontro e dovette ammettere a se stessa di averci sperato, un po’, di vedere brillare il display del proprio cellulare con un numero sconosciuto lampeggiante. Ovviamente, non era stato così e, infondo, avrebbe dovuto saperlo. Non seppe a cosa dovere tutto quello strano interesse, probabilmente, solo al fatto di poter raccontare alla sua Charlotte di essere uscita con il cantante dei Tokio Hotel.

Ok, non che si trattasse di chissà chi, infondo, dato che alla fine, non le era apparso poi tanto diverso da un ragazzetto qualunque, ma sarebbe stato fico poterlo dire, un motivo in più per pavoneggiarsi un po’ e lei adorava farlo. Trovava sempre il modo di adularsi, di ammirarsi, era una dannata narcisista. Per quel motivo, il fatto che non l’avesse mai richiamata, le stava rodendo abbastanza. Per lei si trattava di una piccola sconfitta personale.
Quella sera, dopo essersi preparata alla perfezione, badando bene ai dettagli, come sempre, si era recata in un locale nuovo, da sola. Lotte odiava il troppo casino, così, decisa a non rinunciare ad una serata mondana, si era recata per conto proprio, sicura che comunque, avrebbe trovato qualche conoscente, come sempre.
Scese dall’auto, mentre l’aria della sera le accarezzò i capelli lunghi e castani, lasciandoli svolazzare liberi, come lei, liberi, come il vento. Volteggiò sui tacchi alti, una delle tante proprie passioni e si strinse nel cappottino che le copriva le gambe fino a metà coscia, fasciate nelle calze scure, decorate. Il locale le apparve gremito, le luci abbagliarono la sua pelle candida e la musica accarezzò l’udito, la serata si prospettava interessante.

Non faticò a trovare un gruppetto di conoscenti, inserendosi tra di loro, sedendo al bancone del bar e lasciandosi offrire da bere. Portò il bicchiere alle labbra, sorridendo ad un amico, fino a bloccarsi in un istante, incontrando due occhi inconfondibili, di un castano fondente, caldo, contornati leggermente da uno strato di matita scura, rendendoli ancora più profondi, più espressivi. Pensò che sembrassero occhi appartenenti ad un bambino, curiosi verso il mondo, verso la gente, occhi mai distratti. Si riscosse dai suoi pensieri, dando la colpa di quell’attenta osservazione al suo dannato vizio di descrivere nella propria mente le sensazioni che gli altri le davano.
Era sempre sembrata una tipa superficiale e, probabilmente, era stata proprio lei a voler essere considerata tale, non avendo mai voluto mai confondersi troppo con gli altri, non regalando mai fino infondo se stessa, a nessuno, forse per paura, forse involontariamente. Deglutì appena, quando quegli stessi occhi incrociarono i propri, lasciandola un po’ spiazzata, ma non più di qualche istante, tornando a mantenere la stessa espressione sfuggente di sempre, ostentando indifferenza, sentendosi nuovamente colta nel vivo, ripensando al fatto di non esser stata richiamata, permalosa come suo solito.
Non fu comunque l’unica a non rimanere impassibile a quello sguardo, incrociato tra tanti, ma anche qualcun altro ne era rimasto sorpreso, trovandosi a ricordare quanto fosse stato stupido e sprovveduto, qualcuno che, quella sera, aveva accettato l’invito del migliore amico, Andreas che aveva insistito per averlo tra i primi clienti del nuovo locale, appena aperto, assicurandogli un pubblico selezionato con attenzione, permettendogli di sentirsi al sicuro. Si era sentito sollevato all’idea di poter sempre contare su un locale del genere, nel quale sentirsi soltanto Bill, senza bisogno di scorte a seguirlo o di raccomandazioni di un manager apprensivo. In quel momento, si trovò a sorridere impercettibilmente, sicuro che ormai non avrebbe più rivisto quella ragazza minuta e strana, per colpa della propria stupidità, approfittando, quindi di quel momento e muovendo dei passi verso di lei, senza pensarci più di tanto, spinto dalla voglia di parlarle.
“Ciao, Ragazza del gelato.” Abbozzò, trovandolesi davanti.
Lei lo guardò, sorridendo con scherno, fingendosi per niente accomodante, nascondendo alla perfezione lo strano formicolio allo stomaco, provocato da quell’incontro. “Ciao, ragazzotiinvitoacenaeticomproduegelatiepoinonfaccionulladituttoquesto”.
Sfarfallò le lunghe ciglia sugli occhi grandi e verdi, non perdendo occasione per rinfacciarglielo, piccata, lasciando lui a grattarsi la nuca, imbarazzato e ad emettere un risolino.
”Non mi sono dimenticato, te lo assicuro, è che il gelato spalmato sulla maglia non è stato l'unico danno che ho fatto, considerando che ho piegato il biglietto e il rossetto si è spappolato tutto, rendendo il numero illeggibile, anche se devo dire che il colore era molto carino e, francamente, non credevo che, quindi, avrei avuto un'altra l'occasione di rivederti e mi fa piacere che invece sia successo, nonostante io abbia sicuramente perso punti con tutto questo.”
Pronunciò, tutto d’un fiato, regalandole, poi, un sorriso luminoso e infantile, che la costrinse a sorridere, vagamente divertita da quella valanga di parole, accavallando poi le gambe, in modo provocante e scostandosi i capelli indietro.
“E chi ti dice di averne mai acquistati?” Domandò, provocatoria.
“Uhm… solo una sensazione, sono sempre stato perspicace.” Sollevò un sopracciglio, sedendosi vicino a lei e ordinando da bere, ormai dimentichi, entrambi, delle persone vicine.
“Spesso, però, ci si sbaglia.” Commentò lei, appoggiando il viso al palmo della propria mano, guardandolo, curiosa.
“Fidati, su certe cose, sbaglio raramente, danni a parte.” Ammiccò l’altro, portandosi il bicchiere alle labbra, osservandola, da sopra.
“Tu sei un po’ troppo sicuro di te.” Lo ammonì, ma senza rimprovero e per niente infastidita da quello.
“Me lo dicono spesso, ma non lo trovo negativo, dopotutto, non sarei quello che sono.”
Lei lo guardò stringersi nelle spalle, con un’espressione noncurante, convinto delle proprie parole e sorrise, ribattendo, solo per non dargliela vinta. “No, no, non è negativo, solo che spesso bisogna stare attenti a non farsi male, dato che a volte, le certezze crollano.”
“Forse, ma si può sempre riprendersele.” Le sorrise, guardandola fissa negli occhi per un momento, prima di affondare di nuovo le labbra nel bicchiere. Risposta che piacque molto alla ragazza, avendo sempre provato ammirazione nelle persone sicure di sé, trovandosi, quindi, piacevolmente sorpresa, ma non certo pronta a non avere l’ultima parola.
“Può darsi di sì, può darsi di no… chi lo sa?”
“Sei ansiosa di far crollare le mie certezze, quindi?” Domandò, sorseggiando il proprio drink, leccandosi impercettibilmente le labbra, guardandola interessato, intrigato da quel botta e risposta.
“Ansiosa? Assolutamente no, non darti troppa importanza con me, Kaulitz.” Ridacchiò, passandosi le dita tra i capelli.
“Ovvio che no, io ti devo solo una cena per sdebitarmi, non pensavo mica che tu intendessi essere chiamata per altro.”Sollevò un sopracciglio, annuendo tranquillamente.
“E’ la prima cosa giusta che ti sento dire da tutta la sera.” Gli donò un sorriso angelico, lei.
“Oh, sono assolutamente onorato da questa concessione.” Commentò, divertito, attratto da quella ragazza che faceva tanto la difficile, senza dargliela vinta, come chiunque altra avrebbe fatto, facendogli saltare i nervi.
“Eh, fai bene, non è mica da tutti dire una cosa giusta in una sera!” Proseguì, saltando puoi fuori, improvvisamente: “Senti, vuoi ballare?” Propose, come fosse normale, alzandosi dallo sgabello e sistemando il vestitino sulle gambe, quasi distrattamente, lasciando lui completamente spiazzato, a sollevare le sopracciglia in un’espressione stupita. Si ritrovò, però, a pensare alla prontezza con la quale gli aveva proposto di baciarla, dopo una manica di insulti, scuotendo la testa e pensando che per lei, quell’imprevedibilità, doveva essere normale, alzandosi e punzecchiandola: “Volentieri, anche se non vedo orde di ragazze in agguato da cui nascondermi generosamente.” “Uhm… sai che hai ragione? Vorrà dire che mi metterò a cercare qualcuno da salvare.” Prese tra le dita il bicchiere, finendo la propria bevuta e abbandonandolo al bancone, riavviando i capelli.
“Oh, non ti credevo così altruista!” Ribatté, divertito, senza preoccuparsi di fermarla.
“Vedi che a volte, ci si sbaglia?” Gli fece l’occhiolino, ammiccando, allontanandosi poi tra la gente, raggiungendo gli amici di prima, soffermandosi a parlare con uno di essi, per niente interessata a quello che aveva da dirle, ma abituata a passare serate in quel modo, assecondando gli altri, tentando di divertirsi e mantenere le distanze, non sdegnando baci rubati e poi dimenticati, volendo approfittare di ogni istante della vita, volendola vivere a pieno, senza pensieri, eppure, trovandosi di continuo a puntare lo sguardo verso Bill, cercandolo anche senza volerlo, quasi pensando di tornare da lui e riproporli la richiesta predente, ma dandosi immediatamente della stupida. Infondo, aveva gettato l’amo e lui, volutamente, non aveva abboccato.
Scrollò le spalle, aspettandoselo infondo, da uno come lui e tornando a fingere di prestare attenzione alle chiacchiere dell’amico. Un ragazzo normale, ma pur sempre alla sua portata.
Il ragazzo notò lo sguardo di lei spesso rivolto verso di sé, mantenendo, però, un atteggiamento indifferente, ripagandola della stessa moneta, per averlo lasciato lì, sfidandolo, ma vedendola poi insieme ad un altro, un tipo senza il minimo stile fra l'altro, secondo il suo “modestissimo”parere e sentendosi stranamente colto nel vivo, trovando impensabile che potesse essere preferito a lui e sbuffando tra sé, non disposto a farsi fregare così.
Senza la minima esitazione, si alzò dallo sgabello, raggiungendola e sfiorandole una spalla per avere la sua attenzione, rivolgendole un lieve sorriso e tendendole la mano, come invitandola a lasciare lì quel tipo e ballare con lui, guardandola negli occhi. Lei ebbe come un leggero brivido a quel contatto, rendendosi conto di averci sperato fino a quell’istante, sul subito, volendo piantarlo lì, per non aver colto la prima occasione, ma lasciando morire lì le proprie difese per la prima volta con lui, scusandosi con l’amico e congedandolo, senza troppi fronzoli, afferrando la mano dell’altro e avvicinandoglisi, quasi timorosa, lasciandosi poi andare e sollevando le braccia attorno al suo collo, sorridendogli.
“Ce ne hai messo di tempo…”
“Eh, ti ho vista molto occupata nel salvare gente sola e bisognosa, non volevo disturbare." Le confessò, guardandola sottecchi e prendendo a muoversi, contro di lei, le mani leggermente posate sui suoi fianchi.
“Vedi che ti sbagli ancora? Non stavo salvando nessuno, stavolta ero io ad aver bisogno d'aiuto...”
La leggera risata di lui, la fece sorridere. “Tranquilla, avevo avuto una sensazione anche di questo.”
“Beh allora, in questo caso, devo dire che hai detto un’altra cosa giusta.”
“Attenta, è già la seconda volta che lo dici. ” Continuò lui, tenendole testa e prendendo confidenza con la loro vicinanza, muovendosi a ritmo di musica, insieme a lei.
“Già, devo darmi una regolata…” Si strinse un po’ a lui, istintivamente, sentendosi a proprio agio.
“Eh, non vorrei dover cominciare a sentirmi troppo importante” Ridacchiò, divertito. “ E comunque, in questo caso, niente gelati, o cene, siamo alla pari.”
Lei lo guardò, assumendo un broncio infantile, mantenendo le braccia attorno al suo collo, ma scansandosi appena da lui, indispettita. “Oh beh, come vuoi.”
“Eh, visto che ci siamo salvati a vicenda e che io dovevo solo sdebitarmi, mi sembra che tutto quadri, no?” La punzecchiò ancora, iniziando a piacergli il farlo, avvicinandola però, di nuovo a sé.
“… Quindi saremmo pari, ma… siamo ancora qui. Questo è strano…” Lo provocò, tenendo gli occhi fissi nei suoi.
“Hai finito le scuse per fuggire?”
“Ho paura di sì…” Rispose, arrendendosi a quell’evidenza, aderendo appena al suo corpo.
Un leggero sorriso gli increspò le labbra, perdendosi per un attimo negli occhi di lei, sentendoli vivi, vispi, attratto per un attimo anche dal colore intenso del suo rossetto rosso, avvicinandosi al suo viso, una stretta allo stomaco a fargli compagnia, mormorando vicino alle sue labbra: “Bene.”
“Già..” Rispose, lei, sentendo il respiro di lui sulle proprie labbra e socchiudendo gli occhi, così, come altre volte, come con tanti altri, come tante altre sere, eppure una sensazione strana dentro di sé, nata nel momento in cui le proprie labbra incontrarono quelle di lui, ritrovando quel sapore che scoprì aver avuto voglia di assaporare di nuovo, abbandonandosi a quel bacio, schiudendo le labbra su quelle del ragazzo, sospirando appena.
Quel ragazzo, che, in quel momento si trovò a chiudere gli occhi a sua volta, catturando le labbra morbide e carnose di lei, non sentendo estraneità, in quel contatto, volendo, invece approfondirlo di più, inclinando il viso di lato, affondando piano nella sua bocca e risalendo con la mano sulla sua nuca, avvicinandola ancora un po’ di più a sé, intensificando il loro bacio e accarezzando la sua lingua con la propria , stuzzicandola con il piercing che fece sorridere lei, rimanendo piacevolmente sorpresa dal contatto freddo con il metallo, assecondando i suoi movimenti, stringendosi a lui. Si ritrovò a sorridere sulle sue labbra, fino a che non fu costretta a dividersi, per riprendere fiato, rimanendo immobile a guardarlo, nella sua stessa posizione, spiazzati entrambi, come tornati sulla terra dopo un viaggio sulla luna, in confusione.
Fu lei a decidere di dover riacquistare lucidità, non avendo forse dovuto farlo, per non incappare nei suoi soliti pensieri, nelle sue insicurezze, ogni qual volta le sue emozioni si fanno più forti, volendo impedire che le facessero perdere il controllo, essendo sempre stata severa con se stessa, in questo caso, faticando a volte, a dominare la propria irrazionalità, irruenza, istintività, talvolta ai limiti dell’assurdo, ma riuscendovi nei rapporti con gli altri, grazie al suo essere testarda e contraddittoria.
“Scusa, credo che… che si sia fatto tardi, dovrei andare.” Si staccò da lui, suo malgrado a malincuore, facendo un passo indietro e stringendo la propria borsa a tracolla, abbassando lo sguardo e portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Bill si trovò a guardarla, non volendo che se ne andasse, muovendo un passo verso di lei, ancora spiazzato da quel bacio intenso.
“Ok, ma, sei sicura? Insomma, potrei, magari… accompagnarti a casa, se proprio devi andare.”
“NO!!!” Pronunciò a voce alta, di botto, alzando di scatto il volto verso il suo. “Cioè, grazie, ma sono in auto, non c’è bisogno, grazie ancora, ci vediamo!” Continuò, di fretta, voltandogli immediatamente le spalle e allungando il passo, quasi correndo via, sparendo tra la folla, lasciandolo a bocca aperta a guardarla sparire, preso alla sprovvista, rinunciando ad inseguirla, non sapendo nemmeno perché, infondo, ci tenesse tanto a trattenere con sè quella sconosciuta.
La ragazza si lasciò lui, quel bacio e quelle sensazioni alle spalle, dietro la porta di quel maledetto locale, tornando alla realtà con il colpo secco dello sportello della propria auto, infilando la chiave, e girandola, ma non ricevendo alcuna risposta del veicolo. Prese, così, ad imprecare, iniziando a pensare di aver dimenticato i fari accesi e che la sfiga l’avesse presa di mira, sbattendo la fronte sul volante due volte e gridando:
“Merda! Cazzo! Merda!”
Uscì poi da lì, mollando un calcio alla ruota e incrociando le braccia al petto, furiosa e iraconda, calciando poi anche un sasso capitato vicino a lei. Il cantante, dopo essere rimasto in mezzo alla pista da ballo come un idiota, si avviò fuori, scuotendo la testa, non avendo altro motivo per restare là dentro e raggiungendo la propria macchina, fermato, però, da un grugnito poco rassicurante.
“Uhm.. ehi!” Pronunciò lei, richiamando la sua attenzione, un ghigno sconsolato sul volto. Lasciandolo a sollevare un sopracciglio, sorpreso di rivederla, avendola vista dissolversi in stile apparizione e sparizione e aspettando che dicesse qualcosa.
“Ecco... scusami.. mi chiedevo se... insomma... ho combinato un casino, nel senso che ho lasciato i fari accesi, credo e quindi deve essersi consumata la batteria, allora diciamo che sarei a piedi e che a quest'ora non mi va di chiamare un taxi, resterei troppo qua fuori da sola, e non credo sia il caso, voglio dire... non è un posto raccomandabile, quindi non so, magari tu, magari noi, no, andava meglio prima, magari potresti accompagnarmi, sempre che la proposta sia ancora valida, e non abbia altro da fare, o ti sia di strada, perché potresti benissimo alloggiare dall’altra parte della città, quindi non vorrei che… insomma, hai capito, credo, spero.”
Il sopracciglio del ragazzo aveva quasi raggiunto l’attaccatura dei capelli, mentre la osservava sproloquiare e rovesciargli addosso parole, aspettando di sentirla smettere, divertito, per poi esitare a rispondere, a posta.
“Facciamo che ti propongo uno scambio: La mia offerta è ancora valida, ma tu in cambio mi lasci di nuovo il tuo numero. Questa volta ho una penna.”Colse la palla al balzo, esultando tra sé.
“Ok, grazie mille.” Rispose lei, educatamente, ma senza l’ironia e il sarcasmo di poco prima, avviandosi verso la sua BMW e salendovi, in silenzio, guardando fuori dal finestrino, mentre lui, di tutt’altro umore, felice di quell’imprevisto, metteva in moto l’auto.
“Allora, dove ti porto?”
“Non è molto lontano, percorri questa strada fino alla fine e imbocca la prima a destra, sto a metà di quella.” Rispose, guardando ancora fuori, i lampioni ad illuminarle il volto, contratto in un’espressione tirata.
Lui seguì le indicazioni, guardando lei di tanto in tanto, un po’ spiazzato da quel silenzio e da quell’improvviso cambio di umore, non capendo cosa le fosse preso, ma non conoscendo, alla fine niente di lei, trovandola sempre più misteriosa e strana.
“Ecco, ci siamo quasi, svolta lì.”Lo avvertì, continuando a mantenere le difese, ormai imposte, riconoscendo poi il portone di casa e indicandoglielo.
“Quella è casa mia.” Biascicò, togliendo la cintura, seria.
“Ok”
Parcheggiò davanti ad essa, spegnendo il motore e volendo prolungare ancora un po’ quel momento con lei, guardandola, ma avvertendo la sua ritrosia, sollevato dal fatto di saper almeno dove poterla cercare, nel caso in cui si volatilizzasse di nuovo.
“Beh, grazie ancora. Adesso non siamo più alla pari, dato che mi hai salvata due volte.” Sorrise appena, senza però allegria, sistemando il cappottino e stringendo la borsa, portando una mano sullo sportello, per uscire da lì.
“Tranquilla, puoi sdebitarti quando vuoi e io una cena te la offrirei volentieri, comunque.” Abbozzò lui, guardando il sorriso di lei spegnersi lentamente.
“Ah, sì, certo, ok, grazie, davvero, ma non ce n’è bisogno.”
“Ma mi farebbe piacere.” Insistette.
“Sì, anche a me.” Rispose evasiva e frettolosa, costringendolo a non andare oltre, non volendo apparire troppo invedente, ma continuando a non capire quel suo comportamento.
“Buonanotte, Bill.” Fece per uscire, ma bloccandosi di colpo, voltandosi di scatto verso di lui, inspiegabilmente insoddisfatta da quel saluto, trovandosi ad avvicinarsi a lui, premendo le labbra sulle sue, stringendo gli occhi, per qualche istante, fino a scendere dall’auto e chiudendo lo sportello, salendo di corsa le scale e chiudendosi la porta elle spalle, poggiandovi la schiena e portandosi una mano sul viso, scuotendo la testa, decidendo in quel momento di cacciare via le emozioni provate quella sera.
“Buonanotte, ragazza del gelato.” Pronunciò lui, dopo esser rimasto immobile per svariati secondi, realizzando la pazzia e l’imprevedibilità di quella ragazza, di ogni suo gesto, mordendosi appena il labbro, come a catturare il suo sapore, rimasto impresso sulla sua bocca, sentendosi irrimediabilmente incuriosito da lei, partendo poi con l’auto, dopo aver lanciato uno sguardo alla luce accesa della sua finestra, sorridendo impercettibilmente e svoltando, riversandosi su quella strada che, si promise, avrebbe percorso di sicuro di nuovo.

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Capitolo 3
*** Tre. ***


3)
   Mi scuso per i capitoli scritti senza spazi e capoversi, ma ho problemi con l'editor... spero possiate leggere lo stesso. Un saluto a tutti e buona lettura =) Erano passati un paio di giorni da quell’incontro assolutamente inaspettato e piuttosto  spiazzante, e nonostante i vari impegni che l’avevano tenuto occupato, lasciandogli ben poco tempo libero per rimuginare sull’accaduto, Bill non era riuscito a togliersela dalla testa. Aveva creduto di aver perso ogni possibilità di rivederla, e invece quello stesso strano caso che gliel’aveva fatta piombare tra capo e collo quel giorno in cui l’aveva travolta per strada, stranamente sembrava aver deciso di dargli un’altra possibilità, tornando a fargliela incontrare senza che potesse prevederlo minimamente. Ne era stato davvero contento, e ancora non si spiegava perché. Ma in fondo non poteva negare a se stesso che quella ragazza lo intrigasse e incuriosisse come non mai. Era ancora un mistero, non sapeva praticamente nulla di lei, nemmeno il suo nome, ma questo non gli aveva impedito di lasciarsi stranamente andare con lei, non sentendola estranea, ma al contrario, avvertendo tra loro una sottile connessione che non sapeva affatto definire, ma che l’aveva incuriosito al punto da desiderare fortemente di non farsela sfuggire un’altra volta, ma di tornare a cercarla e scoprirla un po’ di più, non appena avesse potuto. E precisamente per questo motivo quel pomeriggio si trovò a evadere nuovamente di casa da solo,  salendo in macchina e dirigendosi verso casa di lei. Si rallegrò per il fatto di sapere ora dove la ragazza misteriosa abitasse, e si disse che se il caso gli era stato amico fino a quel momento, non significava che lui non potesse dargli una mano di propria iniziativa.
Arrivò a destinazione, raggiungendo la via dove l’aveva lasciata qualche sera prima e parcheggiò cautamente, constatando poi che per sua fortuna la zona sembrava tranquilla e ben poco frequentata in quel momento, permettendogli di scendere dall’auto senza ansia e salire le scale fino alla sua porta. Sì ritrovò a prendere un profondo respiro, stranamente e stupidamente nervoso, per poi suonare il campanello e rimanere in attesa di un suo segno di vita.
 
 Quella domenica, si era concessa di dormire fino a mezzogiorno e si sentiva assai bene, una bella doccia le aveva rigenerato corpo e mente e in quel momento, mentre si guardava allo specchio lavando i denti, decise che quella sarebbe stata una bella giornata.
Non fece in tempo a finire l'operazione minuziosa per far splendere la propria dentatura, che qualcuno suonò alla porta. Sicura che fosse Charlotte, vi si diresse subito, con il dentifricio sparso un po' ovunque e lo spazzolino a penzolare dalle labbra, una coda alta, le ciocche dei capelli lunghi che le ricadevano sul viso arrossato, aprendo poi la porta e trovandoselo davanti, sgranando gli occhi.
 
“Ciao “ Biascicò spiazzata.
 
Il ragazzo, che la attendeva appoggiato allo stipite, rimase a guardarla interdetto per qualche secondo, un po' per il buffo sobbalzo inspiegabile che il suo stomaco aveva compiuto alla vista della ragazza, e un po' per il bizzarro spettacolo che si era trovato davanti, ritrovandosi a sbattere le palpebre per un momento, fissandola spiazzato, ma riprendendosi rapido, rivolgendole uno dei propri migliori sorrisi.
 
"Ciao a te. Spero di non aver interrotto nulla"  Replicò ammiccando lievemente, con un piccolo cenno in direzione del dentifricio che le riempiva il viso.
 
"Fì, lo hai faffo... mi ftavo lavando i denti, fe non fplenderanno come devono, è folo colpa tua"
Farfugliò lei in sua direzione con un mezzo sorriso, in realtà felice per quella visita inaspettata. Si scansò un attimo lasciandolo passare, dirigendosi in bagno per rimediare a quell'innocente danno. "Entra, arrivo fubito".
 
"Mi assumerò le mie responsabilità"  Commentò il moro, mordendosi il labbro con un sorriso divertito e seguendola con lo sguardo, per poi entrare in casa come gli aveva detto, rimanendo a guardarsi intorno aspettandola, un po' impacciato.
 
La ragazza si recò in bagno, dandosi una sistemata ed una truccata, veloce, sparendo poi per qualche minuto in camera a rendersi quantomeno presentabile. Si sentì un po' un'adolescente in calore, quando, di fronte ad uno specchio, si trovò indecisa su cosa indossare. Scosse un po' la testa, decidendo che se ne sarebbe fregata. Era solo un ragazzo e come tale non avrebbe badato ai dettagli. Optò, quindi per un abbigliamento molto casual, jeans e maglietta, tornando da lui e rivolgendogli un sorriso.
 
"Dunque? Cosa ci fai da queste parti?" Gli domandò, appoggiandosi al muro, con sguardo provocatorio.
 
Lui scrollò le spalle, fingendo un'espressione annoiata e guardandola sottecchi.
 
"Mah, ero in giro a sbrigare i soliti impegni e del tutto casualmente sono capitato qui. Allora mi è venuto in mente che mi devo ancora sdebitare di un certo gelato con una certa ragazza e quindi..."
 
Inclinò il capo, il sorriso che di nuovo gli spuntava sulle labbra, guardandola e attendendo una reazione, ritrovandosi a sperare, come un ragazzino, che accettasse il suo invito tra le righe.
 
Lei sollevò un sopracciglio, incrociando, poi, le braccia al petto, mordendosi un labbro, fingendo di soppesare quella richiesta. In realtà, il loro incontro di qualche sera prima non l'aveva lasciata per nulla indifferente, in particolar modo la propria reazione. Ma ci aveva pensato su e si era resa conto di avere a che fare solo con un ragazzo, come le capitava da tempo ormai. Non aveva mai pensato troppo ad uscire con sconosciuti. Accettava e basta, solo fino a  che le andava, solo fino a che avrebbe avuto tutto sotto controllo. Anche quella volta doveva andare così, anche quella volta non ci sarebbe stato nulla di diverso.
Scrollò quindi le spalle e afferrò la borsetta.
 
"Era l'ora Kaulitz"  Rispose, avviandosi alla porta e aspettando che anche lui facesse lo stesso.
 
Sorrise di nuovo, soddisfatto, quasi incredulo per un istante, prima di ripetersi mentalmente che nessuna ragazza avrebbe potuto rifiutare quella proposta da lui. Eppure con lei era diverso, da quel poco tempo che le era stato a contatto non aveva capito molto, ma sicuramente almeno due cose. Ovvero, che quella ragazza attirava senza scampo la sua attenzione, il suo interesse e che era praticamente impossibile prevedere come si sarebbe comportata, come avrebbe reagito ogni volta.
 Ma era anche quello a renderla così intrigante e in qualche modo diversa dalle altre, pensò mentre la seguiva fuori di casa, con il proprio passo sicuro.
 
La ragazza prese a camminare, insieme a lui, improvvisamente senza parole. Non potè non trovare un po’ strana quella compagnia, quel ragazzo famoso, ma che al tempo stesso le pareva essere così semplice.
 
“Credo che stia per piovere...” Le venne da dire, osservando per un attimo le nuvole grigiastre, intente a scurire il cielo. Le era sempre piaciuta la pioggia, la ispirava e la rilassava, quando non aveva niente da fare.
"Forse è perchè ti sei deciso ad offrirmi quel benedetto gelato" Ridacchiò.
 
Il ragazzo si voltò a guardarla di sbieco, con aria fintamente imbronciata, sollevando gli occhiali da sole sopra la testa.
"Come sei impaziente. Non ho specificato quando, ma avrei in ogni caso onorato la parola data"
Replicò in tono enfatico. "E poi... se la memoria non mi inganna, la tua quota di debiti nei miei confronti è anche più alta" La guardò con un piccolo ghigno sul volto divertito.
 
"Quelli sono solo dettagli" Gli sorrise lei, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, come suo vizio.
Continuò a camminargli accanto, lo sguardo un po' basso, fino a venire improvvisamente attratta da un'insegna che subito le fece venire l'acquolina in bocca.
 
"Oddio... scusa ma quando lo vedo non resisto" Commentò, aumentando il passo e entrando spedita da McDonald's, senza nemmeno aspettarlo, sicura che fosse una delle solite star schizzinose che piuttosto che mangiare in un posto simile si sarebbero fatte mettere a pane e acqua.
Ma il ragazzo, contro ogni sua aspettativa, rimase spiazzato solo per una frazione di secondo, per poi una volta realizzato dove si trovassero, affrettarsi a seguirla dentro e raggiungerla subito, un'espressione estatica da bambino sul viso.
 
"Direi che possiamo non resistere in due allora" 
 
Lei si trovò a guardarlo sorpresa, sorridendo a quell'affermazione, voltandosi poi verso la ragazza alla cassa e iniziando ad ordinare le peggiori schifezze da portare via.
 
"McRoyal Deluxe, patatine grandi, coca cola, anche un Crispy McBacon, grazie!"
 
Bill spalancò gli occhi, fissandola scioccato e percorrendo con lo sguardo la sua figura, dalle dimensioni tutt'altro che imponenti.
"Dove hai intenzione di mettere tutta quella roba?"
 
"Ho intenzione di smaltirla..."  Sfarfallò le ciglia lei, allungandosi, poi a prendere la varietà di sacchetti colmi di pietanze.
 
"Ah ecco...perchè quel panino da solo è più grande di te" Ridacchiò il ragazzo, facendole una linguaccia e ordinando anche per sè, determinato a non farsi battere da quella insospettabile rivale in scorpacciate e rimediando una quantità di cibo da far concorrenza a un cenone natalizio.
 
Rise anche lei alla vista delle sue braccia altrettanto cariche di cibo, avviandosi quindi alla cassa, pagando per entrambi e aspettandolo poi fuori, impaziente di dare fondo alle proprie generose provviste.
 
Le si riaffiancò poco dopo, sgranocchiando con gusto una patatina fritta e ammiccando alla ragazza.
"Era da troppo tempo che non ci venivo"
 
"Io no, ogni volta che ci passo davanti devo fermarmi, è più forte di me" Gli replicò lei, allungando una mano nel suo sacchetto e fregandogli una patatina, masticandola soddisfatta. Venne immediatamente fulminata daun guizzo degli occhi castani del ragazzo, che sollevò il pericolosamente il sopracciglio.
 
"Ehi! Mangiati le tue, ladra" Le intimò, premurandosi di sottolineare il concetto allungandosi a bere un sorso di coca cola dalla cannuccia della ragazza.
 
Lei la tolse di scatto, rischiando di rovesciare tutto, senza però demordere e fregando un'altra patatina.
"No, che gusto c'è, se no?!"
 
Per tutta risposta il moro le appioppò  uno schiaffetto sulla mano, impedendole il furto e guardandola storto, prima di rubarne con un gesto fulmineo una delle sue.
"Mh, forse però hai ragione"
 
"Non farlo mai più!" Lo minacciò lei, le sopracciglia sollevate, lanciandogli una patatina in fronte.
 
Il ragazzo la fissò con sguardo oltraggiato.
"Questa la paghi!"  Esclamò per poi scattare di nuovo e tornare all'assalto, prendendole una manciata di patatine e infilandosele rapido in bocca, masticando soddisfatto e guardandola con un ghigno di sfida.
 
La ragazza rimase a bocca spalancata, guardandolo oltraggiata per qualche secondo, lasciando poi tremare il labbro e stringendosi i sacchetti al petto. In un attimo gli aveva voltato le spalle e si era allontanata da lui, sedendosi a gambe incrociate sull'erba del parco lì vicino e riprendendo a mangiare, in silenzio.
 
Bill restò come un idiota a guardarla, preso alla sprovvista da quell'ennesimo cambio di personalità.
Non si sarebbe sorpreso troppo se per ripicca la ragazza gli avesse infilato su per il naso la cannuccia o avesse attuato un'altra adorabile vendetta del genere, ma di sicuro non si aspettava che lei ci potesse rimanere male. Si grattò la nuca, avvicinandolesi poi incerto e accucciandosi di fronte a lei, guardandola interdetto.
Non venne degnato di uno sguardo dalla giovane, che continuò a mangiare in silenzio, finendo le poche patatine rimaste e scartando il panino, lo sguardo basso, senza fiatare.
 
Si morse il labbro, imbarazzato, non sapendo come rimediare a quella situazione assurda. Possibile che fosse così idiota da offendere una ragazza senza nemmeno capire come ci fosse riuscito?
Abbassò gli occhi sul cibo tra le proprie mani e prese esitante le proprie patatine, azzardandosi a tendergliele davanti al viso, cercando i suoi occhi con un piccolo sorriso speranzoso.
 
La ragazza sollevò gli occhi verdi. Guardò il sacchetto. Guardò lui. E poi guardò di nuovo il sacchetto, mentre un ghigno le compariva improvvisamente sul volto e lo afferrava rapida, divorando le patatine in un batter d'occhio e lasciando il ragazzo esterrefatto.
 
"Quanto sarai stupido? " Gli domandò tra le risate, mentre faceva sparire anche l'ultima patatina.
 
Bill sgranò gli occhi guardandola allibito e sentendosi effettivamente un cretino nel rendersi conto di essersi fatto fregare come un bambino ingenuo e raggirabile.
"No, quanto sarai infame te!" Esclamò sconvolto, piombando a sedere sull’erba accanto a lei e guardandola impermalito, non esitando a rincarare subito la dose. "Infame, cattiva e pure subdola! E ora mi toccherà anche morire di fame!"
 
Lei non sembrò affatto scomporsi, mentre finiva di gustarsi il bottino del proprio furto e concludeva l’opera leccandosi la punta delle dita.
"Davvero buone, sei stato proprio gentile."
Ammiccò, guardandolo con la coda dell'occhio e notando la sua espressione imbronciata. Rimase in silenzio per qualche secondo, prima di scoppiare all’improvviso in una fragorosa risata argentina.
 
Suo malgrado il moro non seppe resistere a lungo, contagiato dalla ragazza, seguendola a ruota e sganasciandosi con lei, perfettamente conscio della comicità della situazione. La guardò in viso, continuando a lasciarsicoinvolgere in quella risata aperta e sincera, sentendosi stupido e semplice come raramente gli capitava di poter essere davvero, e sentendosi bene per questo.
 
I minuti passavano in fretta, spensierati, così come le era sempre piaciuto. Adorava non dover pensare, non doversi difendere, semplicemente lasciarsi trasportare dagli eventi e quel tempo trascorso con lui le sembrò proprio così.
 
"Non hai paura delle tue fan, oggi?"
 
Bill scosse lievemente le spalle. Per la verità non ci aveva proprio pensato. Era abituato a starsene blindato in casa, a doversi preoccupare di tutto e avere ogni minima cosa sotto controllo, ma quel giorno era uscito con l'unico obiettivo di lasciare tutto da parte per un po' e vedere lei. Lei che per qualche assurda ragione aveva monopolizzato i suoi pensieri al punto che, stranamente, anche il timore di venir riconosciuto per strada era passato in secondo piano.
"Beh, il timore di vedere di nuovo una mandria di fanatiche allo stato brado che mi punta, ogni tanto mi viene. Ma non si può non correre mai rischi, no?"
Le ammiccò con un lieve sorriso dei suoi.
 
"Dipende... ma no, in generale, no"
Abbassò lo sguardo, pulendosi le mani una volta finito di mangiare, sollevando d’un tratto il viso, distratta da una goccia d’acqua improvvisamente caduta sulla pelle,  presto seguita da un’altra, e un’altra ancora.
 
"Figo, inizia a piovere"
 
"Ecco. E secondo me invece è perchè ho lasciato che qualcuno mi rubasse del cibo senza punirlo fisicamente" Mugugnò lui scherzoso, calcandosi meglio il berretto sui capelli, ancora sorridendo, benché decisamente meno entusiasta di lei all'idea di infradiciarsi del tutto, distruggendo gli amati capelli e i vestiti.
 
La ragazza ridacchiò, alzandosi in piedi e raccattando le cartacce, mentre la pioggia iniziava a cadere più forte, prendendo a bagnarli entrambi, cosa a cui però lei sembrava non fare affatto caso.
"Quello è perchè sei abbastanza stupido" Commentò divertita, porgendogli la mano.
 
La guardò male, afferrando la sua mano e stringendola, mentre si sollevava in piedi a propria volta.
"No, è che volevo essere galante. Ma non credere che ora sarò io ad offrire il gelato a te, eh"
Ribattè con un sorrisetto, stringendosi un po' nelle spalle nell'inutile tentativo di schivare le gocce di pioggia, senza lasciarle la mano.
 
"Ma se ti ho offerto il pranzo! Mi pare il minimo, che almeno quello tu me lo offra."
Iniziò a camminare più rapidamente, sciogliendo la stretta della sua mano e sfuggendogli, sotto la pioggia che sembrava intensificarsi sempre di più.
 
"Ah beh, ho capito, allora te lo offro e poi me lo mangio io, è così che funziona se non sbaglio!" Ridacchiò seguendola e incespicando, le mani a tentare di coprirsi dall’acqua torrenziale, rinunciando però  poco dopo con un sospiro, ormai bagnato come un pulcino e rassegnato a una doccia fuori programma.
 
"Vedremo se riuscirai"
Gli fece un occhiolino, ammiccandogli, prendendo poi a correre come una bambina, sotto la pioggia, amando la sensazione delle gocce sulla pelle, in quell'aria mite.
 
Il ragazzo stette a guardarla scuotendo appena la testa, un lieve sorriso sulle labbra.
Aveva sempre detestato la pioggia e il doversi muovere sotto uno scomodo ombrello, anche se a dirla tutta, negli ultimi tempi c'era sempre qualcuno pagato per risparmiargli persino la fatica di doverlo reggere in mano.
In quel momento invece si ritrovò a godere di quella sensazione di libertà, di quella consapevolezza di potersi infradiciare senza doverne rendere conto a nessuno, di poter rimanere con lei a scherzare sotto quella pioggia innocua, senza pressioni, senza pensare a niente che non fossero loro. Sorrise istintivamente e si ritrovò a scattare rapido, prendendo a rincorrerla.
 
Lei ad un tratto sì bloccò, lasciandosi raggiungere da lui e prendendolo per un braccio, facendolo fermare.
"Lo senti...?" Domandò, inclinando  il volto all'insù, verso il cielo grigio, gli occhi chiusi, la pioggia che le percorreva il viso.
 
Il ragazzo la guardò confuso, percorrendo con lo sguardo il suo viso bagnato, i suoi lineamenti distesi, i lunghi capelli umidi di pioggia.
"...che cosa?" sussurrò.
 
"L'odore della pioggia e il suo rumore. Non ti fa sentire libero?"
 
Bill la fissò di colpo, chiedendosi se gli avesse letto nel pensiero, per dire esattamente quello che lui stesso stava scoprendo in quel momento, in quella prima volta che si lasciava pervadere da quella sensazioni nuove e sorprendenti.
Socchiuse gli occhi, respirando profondamente e riempiendosi i polmoni di quell'aria fresca e profumata e le orecchie di quel ticchettio incessante, morbido, sentendosi scivolare le gocce fredde sulla pelle.
 
 "Sì...completamente libero"
 
Lei sorrise, restando immobile per qualche istante, fregandosene completamente dei vestiti e dei capelli ormai del tutto bagnati, volendo solo sentire e godere appieno di quella sensazione, senza nemmeno domandarsi perchè avesse deciso di condividerla con lui.
 
Gli sembrò che il tempo si fosse in qualche modo fermato, mentre rimaneva lì accanto a lei, il viso rivolto al cielo, il braccio ancora tra le sue dita, immobili e soli nel parco deserto a parte loro due. Gli unici a non essere fuggiti al riparo, gli unici a godere di quel diluvio che, a cose normali, lui stesso non avrebbe mai apprezzato affatto.
Sorrise lievemente, schiudendo di nuovo gli occhi per guardarla.
 
Lei tornò in sé, come risvegliata da un sogno, guardando lui e sorridendogli.
"Andiamo?"
Senza attendere risposta si avviò, diretta verso la gelateria vicina. Nemmeno tutta quell’acqua le aveva tolto la voglia del gelato che le spettava.
 
Bill ridacchiò tra sè, sempre più colpito da lei, pensando che in fondo, quel gelato, glielo doveva sul serio.
 Si affrettò a raggiungerla nella gelateria, dove le prese un cono generosamente assortito, incurante degli sguardi del gelataio che sembrava altamente interdetto, nel trovarsi lì due ragazzi apparentemente pazzi, bagnati fradici eppure in cerca di gelato, come fosse un soleggiato e limpido pomeriggio di agosto.
Ma per come si sentiva lui, avrebbe potuto anche essere così.
 
"Grazie"
La ragazza sorrise, una volta fuori, battendo le mani e prendendo il cono dalle sue, affondandovi le labbra e socchiudendo gli occhi, assaporandolo con gusto, mentre si incamminavano di nuovo senza fretta. Il temporale, rapido com’era arrivato, stava cessando a poco a poco, mentre le gocce di pioggia si facevano più rade e le nuvole si muovevano veloci, nel cielo sopra Amburgo, come sempre continuamente mutevole.
 
“Prego. Sembra parecchio buono”
La guardò ammiccando, mentre sulle labbra gli si allargava un gran sorriso.
“E soprattutto, stavolta è ancora integro… non puoi proprio lamentarti”.
 
Sollevò gli occhi, incontrando quelli sorridenti di lui  e rimanendo per un momento inspiegabilmente  abbagliata.
“Questo perchè nessuno ha deciso di franarmi addosso...”
Ribattè ridacchiando, continuando ad assaporare il gelato, distogliendo lo sguardo.
 
"Eh, mi sto impegnando. Ma se la cosa ti farebbe piacere, basta dirlo" Replicò il moro scherzoso, cercando di non osservarla più del dovuto mentre leccava di gusto quel malefico gelato.
 
“Oh beh, o magari stavolta.... potrebbero scambiarsi i ruoli”
Mormorò lei in tono furbo, fingendo improvvisamente di inciampare verso di lui e lasciando che una piccola quantità di gelato gli si infrangesse sul viso del ragazzo, sporcandolo di cioccolato.
“Ops” Ammiccò soddisfatta.
 
Bill strizzò gli occhi, avvertendo la consistenza fredda e appiccicosa del gelato sulla guancia e sul mento. Rimase immobile per un istante, prima di riaprirli e guardarla tra l'allibito, l'indignato e il divertito.
"...mi hai spiaccicato il gelato in faccia?!” Esclamò fintamente sconvolto, con aria teatrale.
 
“Mi pare di sì, vuoi uno specchietto? Così lo vedi meglio” Ridacchiò lei prendendolo in giro, allegra.
 
Il ragazzo scosse  la testa con espressione fintamente spazientita, cercando poi di catturare con la lingua il gelato sul proprio viso, non riuscendo però a raggiungerlo e sbuffando divertito.
"Ecco, adesso come rimedio al tuo danno?"
 
La ragazza sorrise e frugò nella propria borsa, avvicinandosi poi a lui divertita e prendendo a pulirgli il viso con un fazzolettino di fortuna. Nel farlo, si ritrovò di nuovo incatenata agli occhi nocciola del ragazzo, non riuscendo a evitarlo, rallentando il gesto della mano lungo la sua guancia liscia.
 
Lui la lasciò fare, sentendo i propri battiti accelerare improvvisamente all'averla così vicina di nuovo, incontrando il suo sguardo e perdendovisi, senza dire nulla. Per qualche motivo, gli sembrava di non poter smettere di guardarla.
 
Tolse le ultime tracce di gelato dalla sua pelle, restando però con la mano sul suo viso, incantata da lui, inaspettatamente, e sentendosi come in un'altra dimensione, non capendo minimamente perché lui le facesse quell’effetto.
“Credo di... di averlo tolto...”
 
"Sì… grazie” Mormorò il ragazzo, spostando lo sguardo sulle sue labbra e poi di nuovo ai suoi occhi. Non sapeva cosa gli stesse succedendo, ma si ritrovò a tendere lentamente il viso verso quelle labbra, senza poterne fare a meno, senza resistere alla tentazione di riassaggiarle, come qualche sera prima.
 
La ragazza lasciò cadere la mano lungo il fianco, senza però ritrarsi. Si sentì immersa in una situazione strana, troppo nuova per poterla gestire, non riuscendo a comandare le proprie azioni e trovandosi di nuovo a volere le sue labbra, a propria volta, facendo un passo avanti e alzando il viso verso di esse, cercandole.
 
Il moro chiuse gli occhi, smettendo di pensare. Abbassò il volto, incontrando le sue labbra con le proprie e sentendo di nuovo il loro sapore misto al gusto del gelato. Vi affondò dolcemente, assaporandole, perdendosi in quel bacio, completamente, sentendola rispondere allo stesso modo, con la stessa intensità.
 
 Portò le mani tra i capelli di lui, avvicinandolo a sé ancora di più, mentre lo baciava con trasporto, dimenticando ogni pensiero, sentendo la loro attrazione troppo forte per poter essere ignorata e quindi abbandonandovisi, divorando le sue labbra e protendendo il corpo verso il suo.
Ansimò senza fiato, dopo quelli che le parvero minuti interminabili, o forse ore, improvvisamente staccandosi con forza, contro la propria volontà, in un faticoso ma deciso tentativo di riprendere il controllo, che contro ogni aspettativa, le stava totalmente sfuggendo di mano.
 
“Devo andare” Sbottò in tono precipitoso, facendo un passo indietro e evitando lo sguardo del ragazzo, che rimase guardarla colto alla sprovvista e confuso, il viso arrossato, le labbra ancora dischiuse, senza capire, respirando affannosamente.
 
“Cos… ma perché? Che succede?” Mormorò col fiato corto, facendo un passo verso di lei, ma vedendola ritrarsi, di nuovo seria e scostante, come la prima volta che l’aveva incontrata.
 
“Non succede niente. E’ tardissimo, devo andare. Ciao Bill” Replicò fredda e distaccata.
 
Il moro tentò di replicare, ma la ragazza si ricompose in fretta, senza aggiungere altro e senza degnarlo di un’occhiata, voltandogli le spalle e riavviandosi nella direzione da cui erano venuti, il passo rapido e nervoso, lasciandolo nuovamente solo e spiazzato.
 
Rimase lì, impotente e immobile, a guardarla sparire lentamente alla vista, con il suo sapore, misto a quello dolce del gelato, ancora sulle labbra e la mente piena di pensieri e domande, a cui era sicuro che nemmeno quel giorno sarebbe riuscito a trovare risposta. 

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Capitolo 4
*** Vier ***


4)

I due giorni seguenti, erano trascorsi normalmente, aveva raccontato tutto a Lotte, badando bene, però, a negarle le sue perenni paranoie. Non aveva intenzione di dar voce a quei pensieri troppo profondi, che celavano l’importanza assurda che stava dando a quei casuali ed effimeri incontri. Lei era lei, lei era forte, lei non si lasciava scalfire così da un ragazzetto qualunque. Lo avrebbe deciso da sola quando sarebbe arrivato il momento giusto e no, non era quello. Quello che non sapeva era che l’amica la conosceva ormai troppo bene per lasciarsi liquidare con descrizioni approssimative. Conosceva ogni suo sorriso, ogni sua mimica facciale ed era troppo al corrente di quanto lasciassero trapelare quelle guance arrossate al solo pronunciare quel nome. Sapeva anche che era inutile insistere con lei, perché se c’era qualcosa che a nessuno era dato fare, era farle cambiare idea.

Camminavano tranquille, osservando attentamente le vetrine della via più famosa del centro. Lotte guardava l’amica, roteando ogni tanto gli occhi nel vedere l’isteria dell’altra nel contemplare scarpe e abiti ultrafirmati. Ovviamente, non sarebbero nemmeno mai entrate in una di quelle boutique, ma di sicuro avrebbero preso spunto per copiare quelle bellezze.

“Oddio quelle scarpe…cioè, guardale porca miseria! Lotte guardaleeeeeeeeeeeee!” Allungò quell’urletto isterico per richiamare l’attenzione della ragazza bionda, che si degnò solo dopo qualche istante di osservare il paio di sandali tacco 12, oggetto del desiderio dell’amica. Non fece però in tempo a commentare che venne distratta da una figura vagamente familiare e bizzarra che, in quel momento, stava uscendo da uno di quei negozi, carica di sacchetti.

“Mi vuoi cagare?! Io li esigo, li esigo, li esigo!!!” Continuò, l’altra, isterica.

“Sì ok, è che…”

“Cosa?!”

“Fai prima a dire… “chi”” Spiegò la bionda, ormai fissa a guardare il ragazzo moro che si stava inesorabilmente avvicinando alle due ragazze.

“Lotte  cosa stai dicen...”  Si bloccò, non appena i suoi occhi verdi incontrarono quelli castani e mimetici del cantante, sentendo di nuovo quella sgradevole sensazione di ansia che in un attimo le aveva afferrato lo stomaco. SI trovò a deglutire, facendo un passo indietro, senza nemmeno averlo deciso, apparendo già visibilmente impanicata, particolare che non sfuggì all’amica.

“Ehi, calmati” Le suggerì, stringendole appena un braccio, rassicurante.

“Sono calmissima.” Asserì, gelida, non tradendo però l’agitazione che lasciava trasparire in ogni parte di sé.

“Ciao.” Esordì lui, con voce pacata, nonostante, anche lui venne percorso da una leggera scossa dopo quell’incrocio di sguardi. Di nuovo il destino gli aveva fatti trovare l’uno di fronte all’altra, di nuovo non si era domandato il perché, di nuovo pensò che fosse terribilmente come doveva essere.

“Ciao.” Rispose per gentilezza, stringendosi nelle spalle e abbozzando un leggero sorriso. “Lei è Charlotte.”

Tentò così di togliersi dall’imbarazzo. I due si strinsero la mano, come da copione, presentandosi cordialmente, fino a che lo sguardo di lui, non tornò a posarsi su quello di lei. Tutta quella tensione non sfuggì a Charlotte, nonostante fosse rimasta abbagliata dal sorriso mozzafiato del ragazzo.

“Buffo sapere il nome della tua amica e non il tuo. Dovrò continuare a chiamarti “Ragazza del gelato” ancora per molto?” Scherzò lui, tentando di alleviare la tensione.

“Beh, è originale, molto meglio di un banalissimo nome comune.”

“Non so perché, ma dubito che qualcosa che ti appartiene possa essere banale.” Commentò, sincero.

“Boh, non lo so, comunque, di sicuro, non è niente di ché. “ Replicò, quasi infastidita. “E’ stato un piacere incontrarti di nuovo, solo che si è fatto un po’ tardi, noi dovremmo andare.” Aggiunse, beccandosi un’occhiataccia da Lotte e una delusa da lui.

“Quanta fretta… vi avrei offerto volentieri qualcosa da bere, se vi va.” Rispose subito, il cantante, con quel bisogno impellente di trattenerla, di non volerla lasciare fuggire di nuovo.

“Oh ma sì, ci farebbe piacere! Gli innumerevoli appuntamenti che ci aspettano possono tranquillamente essere rimandati di qualche minuto.” Si affrettò a dire la bionda, guardando sottecchi l’amica, sicura che fosse quello che avrebbe voluto, nonostante la sua testardaggine.

“Ma io, non credo che… insomma…” Balbettò l’altra, rimasta allibita dalla prontezza di Lotte.

“Ottimo. Ho la macchina poco lontano, andiamo a farci una bevuta e poi vi accompagno.” Sorrise lui, vagamente elettrizzato da quell’opportunità.

Non ci fu modo di ribattere, così lo seguì, insieme all’amica che incenerì con uno sguardo di fuoco, fino a sistemarsi sul sedile di pelle nera dell’auto sportiva del ragazzo, lo sguardo perso chissà dove, silenziosa. La bionda si accomodò dietro, sicura di aver fatto la cosa giusta e trovando assenso nello sguardo del ragazzo, intento a guardare la ragazza di fianco a sé, provando a penetrare in quella miriade di pensieri silenziosi ma pesanti come macigni.

Il tragitto verso il pub, fu breve e, dopo aver parcheggiato, i tre entrarono dentro il locale, piuttosto lussuoso, dove Bill salutò un po’ chiunque, segno che doveva essere un abitudinario del posto, probabilmente uno degli unici nei quali poteva tranquillamente restare, senza dover fuggire a gambe levate.

Il tempo trascorso là dentro, non fu propizio, come lui aveva sperato. SI trovò, infatti a scambiare parole con la bionda, tentando di coinvolgere anche l’altra, che, stavolta però, si mostrò più sfuggente del solito, commentando di tanto in tanto con monosillabi disinteressati. I due continuarono a ridere e scherzare, forse nervosamente, ma comunque a proprio agio e Bill si trovò a ringraziare mentalmente Lotte che, con la sua loquacità, lo aveva tolto dall’imbarazzo. L’altra si trovò intenta a sfuggire gli sguardi del ragazzo, rigirando la cannuccia nel proprio bicchiere, completamente estraniata, il cuore pesante e lo stomaco sottosopra, non essendosi mai trovata in una situazione del genere, una situazione ingestibile, troppo nuova e pesante per lei. Per lei, che per la prima volta, si era trovata a pensare che quel ragazzo non fosse uno dei tanti, ma l’unico che, veramente, l’aveva fatta uscire di senno, l’unico che, per non lasciarsi rapire, avrebbe dovuto evitare.

“Chi si vede!” Una voce piuttosto bassa e gutturale interruppe il silenzio dei suoi pensieri, catturandole l’attenzione e facendole alzare gli occhi verso un ragazzo appena sopraggiunto. Alto, il sorriso strafottente, un cappellino da baseball che non riusciva a nascondere gli occhi allungati e furbi, simile a quelli di Bill, ma che lasciavano trapelare qualcosa di diverso.

“Tom! Pensavo tu fossi ancora a poltrire.” Commentò il cantante, verso colui che, dal nome, venne riconosciuto dalle due come suo fratello.

“Chi dorme non piglia pesci.” Rispose, posando gli occhi sulle due ragazze e salutandole con un gesto sbrigativo della mano, che le due ricambiarono. “Sopravvissute ai monologhi di mio fratello?” Domandò, restando in piedi, vicino alla ragazza dai capelli castani, beccandosi lo sguardo scocciato di Lotte, da sempre allergica ai ragazzi dalla battuta facile e spesso di pessimo gusto, superficiali, come veniva descritto lui.

L’altra invece si sentì in un qualche modo sollevata da quell’intrusione di leggerezza, trovandosi a sorridergli e rispondergli a tono.

“Per ora…”

“Dattela a gambe, appena puoi o diventerai di zucchero. Le sue parole sanno di miele.”

Le sussurrò, divertito, prendendo in giro il fratello, mentre lei ridacchiò.

“Almeno le mie hanno un buon odore.” Sfarfallò le lunghe ciglia, il gemello, infastidito ma rassegnato. Segno che tra loro, doveva essere sempre stato così.

“Se è di questo che ti accontenti…” Scrollò le spalle, l’ultimo arrivato, prima di venir distratto dal suono del proprio cellulare che, però, spense dopo poco. “Giusto, avevo un appuntamento, mi ero dimenticato. E’ stato un piacere, alla prossima!”

“Era l’ora…” Commentò, sbuffando il moro, mentre l’altro se ne andò, molleggiando dentro ai pantaloni larghi, lasciando la bionda a guardarlo con una smorfia e l’altra divertita.

“Scusatelo, purtroppo esiste anche lui.”  Continuò.

“E’ simpatico.” Aggiunse lei, tornando poi nel suo mutismo difensivo, mentre l’atmosfera, tornò ad essere come la precedente, costringendola ad alzarsi.

“Scusate, torno subito.” Mormorò, dirigendosi verso il bagno, la voglia di spezzare quell’alone di tensione sempre più alta, entrando dentro e sciacquandosi il viso con l’acqua fresca, irritata al massimo per quell’impotenza, per il non riuscire a fregarsene e trattarlo come tutti gli altri.

“Ehi…” Abbozzò Lotte, affacciatasi in quel momento alla porta del bagno.

“Tu hai combinato più danni della grandine.” La fulminò l’altra, asciugando il viso.

“Scusami, solo che, insomma, non potevi piantarlo lì così.”

“Sono giorni che provo a piantarlo lì e ci stavo riuscendo. Potevi tranquillamente non mettermi i bastoni tra le ruote.”

“Non è vero, lo volevi rivedere, volevi accettare la sua proposta e lo vuoi anche ora...perchè ti devi convincere che in questo ci sia per forza qualcosa che non va bene?”

L’altra la guardò duramente, colta nel vivo, parandolesi davanti con sguardo di rimprovero, fino a sorpassarla, scocciata.

“Perché non ti fai gli affari tuoi?”

La bionda sospirò, restando per un attimo immobile, prima di raggiungerla da lui, convinta che si stesse tarpando le ali da sola.

“Non mi sento molto bene, Bill, non è che potresti riaccompagnarci?” Chiese la ragazza, attenta a non guardarlo più del dovuto.

“Sì, certo.” La scrutò, intuendo la scusa, ma non volendo insistere oltre. Si avviò fuori con loro, sconfitto, avendo pensato ad una serata diversa, eppure sapendo che doveva aspettarsi qualcosa del genere, ma forse, non ancora abituato agli sbalzi d’umore di quella ragazza strana. Il viaggio in auto, stavolta, fu ancora più pesante e silenzioso, aggravato dal fatto che anche la bionda non avesse più molta voglia di parlare, trovatasi a ringraziare il cielo una volta raggiunta casa e scesa di macchina, dopo aver salutato entrambi.

“Grazie della serata.” Commentò l’altra, una volta arrivati sottocasa.

“Beh, di niente.” Rispose il moro, sapendo che in realtà, non c’era nulla da ringraziare in quel momento.

“Senti mi dispiace.” Tornò a dire la ragazza, sentendosi in dovere di dover dire qualcosa. “E’ che, davvero, non è il momento. Ok, magari non sono nemmeno tenuta a dire nulla, io non so niente di te, né tu di me, magari faccio questo discorso per niente. Infondo c’è stato qualche bacio rubato così e via, niente di importante. Ma se per caso hai pensato a qualcosa di diverso, allora posso solo dirti che qualsiasi cosa tu abbia pensato, non è il momento.”

Il ragazzo tacque, senza interromperla, prima di ribattere:

“Hai già deciso tutto questo? E’ vero non so nulla, ma è una pretesa così assurda voler scoprire un po’ di te?”

“No no, affatto. Solo che non ne vedo il motivo. Non sono in cerca di avventure, di relazioni né di amicizie, sono nervosa, scorbutica, lunatica e anche una stronza se mi ci metto. Quindi credimi, non c’è interesse a conoscermi e anche ci fosse, non è ricambiato.”  Ribatté, lapidaria.

L’altro la scrutò negli occhi, come a scavarle dentro.

“Davvero? La mia impressione non era stata questa e sai che sbaglio difficilmente. Comunque, anche io fino a qualche settimana fa non stavo cercando niente, eppure in qualche modo, ho trovato te. Non significa davvero nulla?”

La ragazza si morse appena il labbro, deglutendo e abbassando lo sguardo, prima di rispondere.

“No, non significa niente. Non credo al destino e a queste cazzate. E’ stata una coincidenza che io fossi dietro quell’angolo e tale deve rimanere. E’ stato comunque un piacere conoscerti, Bill. Ora devo andare.”

Aprì la portiera, sbattendola poi, cercando di contenere la rabbia, senza riuscirci davvero, avendo ottenuto quello che voleva, eppure non sentendosi per nulla soddisfatta, tantomeno sollevata. Salì le scale e si lasciò cadere sul letto, sperando di riuscire a prendere sonno.

Il ragazzo rimase lì a stringere il volante con forza, prima di partire con un rombo, sparendo nella notte, chiedendosi se davvero fosse valsa la pena di tenere tanto a qualcosa che non aveva nemmeno mai avuto la possibilità di nascere. 

 

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Capitolo 5
*** Fünf ***


Ecco la prima parte del quinto capitolo.

Charlotte si sentì per la prima volta stranamente nervosa, mentre saliva i gradini fino a fermarsi davanti alla porta di casa della propria migliore amica. Semplicemente non le era mai capitato e anche in quel momento, si disse che non aveva alcun motivo di esserlo, considerando che la ragione per cui era lì era precisamente quella di essere sincera con lei. Come era convinta che tra vere amiche dovesse necessariamente essere.
 Suonò il campanello, attendendo che la ragazza le aprisse e trovandosela davanti pochi secondi dopo, sorridente e di buon umore al vederla, come sempre.
 “Ma buonasera!” 
La salutò la ragazza castana, intenta a sgranocchiare una caramella, lasciando che l’altra la seguisse in soggiorno, senza bisogno di invitarla a entrare, in quella casa dove Lotte si muoveva ormai come fosse propria.
 “Ehilà, come va?”
 La bionda entrò lievemente titubante, chiudendosi la porta alle spalle e guardando l’amica scrollare con noncuranza le spalle. In effetti era una domanda piuttosto inutile, considerando quanto assiduamente si frequentavano. 
“Tutto ok, niente di nuovo” 
Replicò l’amica, guardandola poi allegra e incuriosita.
 “Allora, cosa volevi? Sei qui per una seratina tra noi?”
 
La bionda si morse leggermente il labbro, esitante. 

“Ehm...in realtà no, amo. Avrei già un invito fuori e...ecco, ero qui per parlartene”.
“Ma sei un danno!” Commentò l’altra, con uno sbuffo di disappunto, avendo già immaginato una delle solite piacevoli sere in sua compagnia.
“Va beh, pazienza. Su, sputa il rospo” Attese incuriosita, chiedendosi perché l’amica sembrasse leggermente a disagio.
Lotte attese un istante, incerta, incontrando i suoi occhi attenti, per poi confessare tutto d’un fiato:

“Bill mi ha chiesto di uscire”.

Per un momento il silenzio calò sulla stanza. La ragazza si impietrì, fissandola, schiudendo le labbra per ribattere, ma senza che alcuna parola le uscisse di bocca. Strinse istintivamente i pugni, spiazzata completamente, tanto dalla rivelazione, quanto dalla reazione che quella notizia le aveva appena suscitato.
“…Ah.” Si limitò a rispondere, non trovando parole per esprimere qualunque cosa stesse provando, qualunque sensazione contrastante si stesse agitando dentro di sé. “...L'ho incontrato un paio di volte, dopo quella serata insieme a te” , prese a spiegare Lotte, con una certa ansia di renderle chiara la situazione.
“Abbiamo parlato un po’, mi ha detto che non ne hai più voluto sapere di rivederlo, come immaginavo e quindi, quando oggi mi ha proposto di uscire, ho accettato pensando di non farti nessun torto, però mi sembrava giusto dirtelo...” Prese fiato, attendendo una reazione, sapendo che l’amica non aveva motivo di mentirle, se tutto ciò le avesse dato fastidio. Loro due si erano sempre dette tutto, in fondo.
“Non ti preoccupare, non c'era bisogno che ti prendessi la briga di dirmelo. Vai pure, divertitevi” Commentò la ragazza castana, voltando le spalle all’amica e prendendo a sistemare in giro, per affaccendarsi in una qualunque attività che le permettesse di fingere indifferenza e non guardarla. All’improvviso, stranamente, non si sentiva più affatto in vena di scherzare con lei.
“…Sicura?” Mormorò la bionda, incerta.
“Sì.” Rispose la ragazza quasi in un ringhio, sperando solo che l’altra se ne andasse in fretta e inventando una scusa su due piedi, nell’aggiungere: “Tra l’altro mi sono dimenticata di dover uscire anche io, quindi è meglio se vado a prepararmi. Ci sentiamo eh…”.
“Ok… allora a presto amo, buona serata”. Lotte abbozzò un sorriso, voltandosi poi e avviandosi di nuovo verso la porta, uscendo di nuovo in strada. Sperava non l’avesse presa male, nonostante conoscesse il tono che aveva usato e sapesse che non era dei più tranquilli. Pensò però di nuovo di non aver fatto niente di male, dopotutto, di non aver fatto nulla contro l’amica, piuttosto il contrario. L’aveva cercata di convincere a dare al ragazzo una possibilità, spronandola quanto poteva e ottenendo solo di farla arrabbiare, visto che lei non ne aveva voluto sapere e le aveva intimato di farsi gli affari propri. Non aveva quindi più insistito, rispettando le scelte dell’amica e non forzandola verso qualcosa che non volesse. E non poteva ora buttare via l'occasione che le si è presentata con lui, che fin da quel primo incontro, quando l’avevano trovato a girare per negozi, l’aveva colpita e affascinata come difficilmente altri ragazzi avevano mai fatto.
La ragazza castana chiuse la porta dietro di lei, dopo averla lasciata uscire senza guardarla, rimanendovi appoggiata contro e ritrovandosi inspiegabilmente furiosa. Non ne aveva un apparente motivo, anzi, teoricamente sarebbe dovuta essere del tutto indifferente a quella situazione, non stava forse andando tutto come previsto? Lui era uscito dalla sua vita, si era messo evidentemente il cuore in pace e l’aveva lasciata perdere, era proprio quello che lei sperava di ottenere. Era del tutto libera. Eppure in quel momento, non si sentì affatto tale. Scosse la testa con rabbia, sbuffando nervosa e non potendo fare a meno di desiderare una qualunque distrazione, per non dover pensare, per rimuovere quelle sensazioni assurde che all’improvviso l’avevano invasa, andando in camera e prendendo a prepararsi davvero, con tutta l’intenzione di passare una serata in allegria, senza rimanere a rodere su qualcosa che nella sua vita non aveva la minima importanza. Che non doveva avere la minima importanza.

Una serata diversa. Era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento, in cui lo stress ricominciava a farsi sentire, le pressioni della casa discografica e del manager non lo lasciavano respirare e di nuovo ogni aspetto della propria vita lo faceva sentire un uccello in gabbia, fra l’altro sull’orlo di un esaurimento nervoso. Ad essere sinceri, Bill non sapeva se gli uccelli in gabbia fossero soggetti ad esaurimenti nervosi, ma senz’altro la trovava una definizione calzante per il proprio stato d’animo. Non quella sera però. Si rilassò sul comodo sedile della propria BMW, pensando solo che lo aspettava una serata piacevole in compagnia di una ragazza. Certo, non della ragazza a cui, per quasi una settimana, aveva continuato a pensare con un misto di rimpianto e rancore, dopo essere stato liquidato con freddezza, prima ancora che qualunque cosa tra loro potesse davvero iniziare. Forse si era fatto già troppi film, troppe illusioni assurde, da inguaribile sognatore qual era, eppure aveva davvero avuto la sensazione che quella misteriosa ragazza, scostante e strana quanto sorprendente, non sarebbe stata una qualunque. Non lo era stata nemmeno per quel poco tempo che aveva passato con lei, per quel poco che avevano condiviso. Ma di certo non sarebbe rimasto tutta la vita a rimpiangere una storia mai iniziata, poco ma sicuro. Era con quel pensiero, che aveva iniziato a conoscere meglio la ragazza bionda, la sua amica. L’aveva rincontrata non del tutto casualmente qualche giorno prima, girovagando cocciutamente dalle parti dove viveva la ragazza misteriosa. Ricordando che la sua compagnia l’aveva salvato dall’imbarazzo dell’ultima disastrosa serata passata con l’altra, si era fermato a salutarla. Da allora si erano sentiti qualche volta e il ragazzo aveva scoperto di trovarsi a proprio agio con lei, a giudicare da quelle conversazioni vivaci e gradevoli. Invitarla fuori quella sera gli era sembrata una buona idea, e mentre fermava la macchina sotto casa di lei, guardandola avvicinarsi subito sorridente, era ancora di questo avviso.
“No, è una cosa veramente stupida, ma ti assicuro che non è da tutti riuscirci”
“Ma smettila, scommetto che non ci vuole niente!”
“Avanti, provaci allora!” Lotte ridacchiò, incrociando le braccia sul tavolino e rimanendo a fissare divertita il moro, che con aria concentrata brandiva la cannuccia del proprio cocktail, ormai finito, tentando di sollevare, aspirandoli, i cubetti di ghiaccio dal fondo del bicchiere, con evidente impegno e nessun risultato, nonostante gli sforzi titanici.
“Mi è caduto! Dai, ma l’hai visto, ci ero quasi riuscito” Esclamò, fissando con aria indignata il cubetto incriminato, scatenando nuovamente le risate della bionda seduta di fronte a lui, sollevando quindi lo sguardo su di lei e sbuffando imbronciato.
“Te l’avevo detto!”
“Sì va beh, ma secondo me c’è il trucco”
“Ma quale trucco, non sei capace Bill, rassegnati” Gli sorrise lei, rubandogli l’altra cannuccia e mostrandogli la propria superiorità, eseguendo perfettamente il giochino e guardandolo soddisfatta.
Lui assunse un atteggiamento da divo, commentando con un sopracciglio inarcato: “E’ solo perché è una cosa stupida. E io non posso fare cose stupide, sono troppo avanti”.
“Invece secondo me, una volta a casa, ti metterai ad allenarti per tutta la notte fino a imparare, solo per non darmi la soddisfazione di averti umiliato” Commentò lei prontamente, ammiccando e costringendolo ad abbandonare il cipiglio per seguirla in un’ennesima risata.
“Accidenti, come l’hai capito?” Scherzò guardandola sganasciarsi all’idea. Sembrava così semplice ridere, con lei.
“Sarà che non mi sembri il tipo da arrendersi facilmente, Kaulitz” Gli ammiccò la ragazza, ricomponendosi un po’ e rimanendo a guardarlo sorridente.
Sorrise anche lui, sapendo che la bionda aveva colto nel segno, eppure trovandosi a ripensare per un momento al proprio ultimo fallimento, a quell’altra ragazza che non era riuscito a conquistare, per la quale forse non era stato abbastanza caparbio da lottare. Allontanò rapido quel pensiero dalla mente. Non era affatto così, lui non aveva niente da rimproverarsi. Era lei che forse non meritava tanto, lei che era stata così sfuggente e fredda da impedirgli anche solo di avere una possibilità. E ormai era un capitolo chiuso. Tornò a concentrare le proprie attenzioni sulla ragazza che era lì con lui, non faticando a ritrovare il buon umore. Non si era sbagliato su di lei, era in gamba e davvero una compagnia piacevole e c’era voluto loro pochissimo, per rompere il ghiaccio e trovarsi in quel locale a chiacchierare animatamente del più e del meno, in un’atmosfera rilassata e allegra. Aveva scoperto molte cose su di lei, a partire dal fatto che se ci si metteva riusciva ad essere logorroica quasi quanto lui stesso, dandogli la possibilità di dare vita a sproloqui in cui nessuno dei due riusciva ad avere la meglio; che avevano più di una passione in comune, la maggiore delle quali era proprio la musica. Era rimasto piuttosto sorpreso, nel sentirla parlare con cognizione di causa di quello che dopotutto era il proprio mestiere, ma ancora di più quando la ragazza aveva proposto di farsi una cantata assieme, prima o poi, se mai lui ne avesse avuto voglia e tempo, e doveva ammettere che quell’idea l’aveva persino allettato. Avevano riso e scherzato per buona parte della serata, anche per le cose più stupide, con estrema naturalezza e Lotte era davvero riuscita a metterlo a proprio agio, senza mai essere troppo invadente. Insomma, era stato davvero bene e pensò di non poter chiedere di meglio.
Si riscosse dalle proprie considerazioni quando la bionda attirò la sua attenzione, posando il bicchiere vuoto sul tavolo e proponendo: “E se andassimo da qualche altra parte? E’ ancora abbastanza presto”
“Oh sì, c’è un altro locale figo in cui volevo portarti, ti va?” Replicò subito lui, alzandosi dallo sgabello e porgendole con sguardo ammiccante il braccio, a cui lei si aggrappò prontamente, con un sorriso.
“Direi!”
Il ragazzo ricambiò il sorriso, mentre insieme uscivano dal locale, avviandosi spediti e tranquilli verso la macchina, presto di nuovo immersi in una allegra conversazione, pregustando il resto della serata che ancora li attendeva.

Aveva passato una serata pallosissima. Aveva finito per uscire, come previsto, ritrovandosi in un locale con qualche conoscente di cui non le importava granchè, a bere e fingere di divertirsi un mondo, quasi più per convincere se stessa piuttosto che chi le stava intorno. Per convincersi di essere precisamente dove voleva essere, per convincersi che il ricordo insistente di due magnetici occhi nocciola non le avesse occupato la mente per tutta la sera. Eppure, nonostante tutti i propri sforzi, il fastidio che aveva provato al pensiero di lui che usciva con un’altra, un’altra che per di più era la propria migliore amica, non aveva cessato di farsi sentire, pungente e cattivo. La ragazza sospirò, quasi sollevata, quando i ragazzi che erano con lei si accinsero a lasciare il locale, seguendoli fuori anche lei, l’umore sotto i tacchi, cercando con lo sguardo la propria auto, ma rimanendo impietrita, quando i propri occhi, forse per un ennesimo, crudele scherzo del destino, si posarono invece su due figure, poco lontane e terribilmente familiari.

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