LOVE AND WAR - l'amore e la guerra

di valecullen_thedevil93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** 1° CAPITOLO: "PRIMO INCONTRO (prima parte)" ***
Capitolo 3: *** 1° CAPITOLO: "PRIMO INCONTRO (ultima parte)" ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVE!!! COME PROMESSO, ECCO A VOI IL TITOLO DELLA MIA NUOVISSIMA STORIA!!! VI AVVERTO IL PROLOGO PARTE DAL CENTRO DELLA STORIA... NELLA PRIMA PARTE DESCRIVERO' I MOMENTI CHE PORTERANNO A QUELLA SITUAZIONE, NELLA SECONDA LE SUE CONSEGUENZE... IL PROLOGO E' MOLTO TRISTE MA RICORDATE CHE NIENTE E' COME SEMBRA ^^ A VOI IL PRIMO CHAPPY E PER FAVORE DITEMI CHE NE PENSATE!!!

Prologo:
Le lacrime scorrevano prepotenti lungo le mie guance. Cercavo di trattenere i singhiozzi che mi perforavano il petto ma, per quanto mi sforzassi, non ci riuscivo. Stavo per perdere una delle persone più importanti della mia vita e non avevo potuto fare niente per impedirlo. Ero troppo debole perfino per riuscire ad alzarmi dal letto, figurarsi balzare in piedi e combattere per difenderla.
Sul mio petto intanto, un piccolo frugoletto si dimenava piangendo, cercando di attirare la mia attenzione. Abbassai lo sguardo, con una mano gli accarezzai dolcemente i capelli biondi come i miei e me lo attaccai al seno. Sapevo che, appena venuti al mondo, i neonati reclamavano la loro prima poppata. Si attaccò con voracità e iniziò a succhiare.
Sospirai e voltai di nuovo la testa verso la porta della mia camera, aspettando la notizia che mi avrebbe distrutto la vita. Speravo con tutto me stessa che qualcuno avesse pietà di lei e me la riportasse. Dopotutto era solo una neonata; la sua unica colpa era quella di essere diversa, anche se io avrei detto speciale. Era mia figlia, e la consapevolezza che non l’avrei rivista mai più mi lacerava l’anima. Avevo avuto a malapena il tempo di tenerla in braccio, poi me l’avevano portata via per ucciderla. Ucciderla! Una parola che mi scatenava fitte insopportabili al cuore. Come potevano essere così crudeli? Come potevano anche solo concepire di separare una madre da sua figlia per sempre? Quello che stavano commettendo era un atto di crudeltà gratuita, che non avrebbe avuto ragione di esistere.
Ero riuscita a salvare il suo fratellino perché nessuno mi aveva mai visitata e si era accorto che aspettavo due gemelli. Dopo che tutti erano usciti, portandosi via la mia bambina, ero riuscita a partorire il secondo piccolo senza urlare, così nessuno si era accorto di niente. Se fossi riuscita a non far notare la sua presenza, almeno lui avrei potuto proteggerlo dalla follia che ormai aveva contagiato gli angel. Uriè, la mia migliore amica, mi aveva aiutata, perché era l’unica che sapeva come stavano veramente le cose.
All’improvviso sentii delle grida di giubilio e mi pietrificai. Le lacrime presero a scorrere più veloci di prima e il dolore stava diventando insopportabile.
Dopo un po’ Uriè entrò di corsa in camera, spaventatissima, «presto Raf, copri il piccolo con la coperta, sta arrivando tuo padre! E speriamo che non scoppi a piangere», mi disse.
Io mi affrettai a obbedire; posai il piccolo sul lato che non si vedeva entrando dalla porta e mi ricoprii fino alle ascelle con lenzuolo e coperta, in modo che non si vedessero rigonfiamenti.
Uriè si sedette al mio fianco, rivolta verso la porta, e mi prese la mano; vedevo anche nei suoi occhi il dolore che la decisione presa dai miei genitori le dava.
Mio padre entrò all’improvviso in stanza con sguardo gelido. Sapevo che mi odiava per quello che avevo fatto, ed era un miracolo che non mi avesse uccisa non appena aveva scoperto la verità. Io tremai di fronte ai suoi occhi, «l’abominio è stato eliminato. Spero che questo ti serva da lezione e che ti faccia imparare dai tuoi errori», mi disse gelandomi, incurante delle lacrime che sempre più copiose scendevano dai miei occhi.
Se ne andò senza dire altro, richiudendo la porta. E io urlai; urlai come non avevo mai fatto in vita mia, riversando in quelle urla tutta la rabbia e il dolore immenso che sentivo in quel momento. Il piccolo ricominciò a piangere, così lo presi in braccio e lo strinsi a me piangendo a dirotto e singhiozzando senza freni. Uriè, in lacrime come me, mi avvolse in un abbraccio protettivo, facendomi capire che non ero l’unica che soffriva in quel momento. Tenni stretto a me il mio bambino, promettendo a me stessa che avrei fatto di tutto per proteggerlo; la consapevolezza che mia figlia era morta, strappata a me da esseri immondi, e che non l’avrei rivista mai più, si faceva strada in me e mi corrodeva l’anima.

SPERO CHE QUESTA STORIA VI INTRIGHI PERCHE' IO MI STO DIVERTENDO MOLTISSIMO A SCRIVERE IL PRIMO CHAPPY ^^ ALLA PROSSIMA^^

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Capitolo 2
*** 1° CAPITOLO: "PRIMO INCONTRO (prima parte)" ***


SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVE!!! *ALLA BRUNO VESPA IN STRISCIA LA NOTIZIA XDXDXD* VISTO CHE IL PROLOGO VI E' PIACIUTO MOLTO HO DECISO DI FARVI UN BEL REGALINO... VISTO CHE HO GIA' PRONTO IL PRIMO CHAPPY VE LO POSTO SUBITO SUBITISSIMO ^^ SI PARTE DA UN PO' PIU' INDIETRO NELLA STORIA... QUESTO PASSAGGIO E' FONDAMENTALE PER FARVI CAPIRE CHE NIENTE E' COME SEMBRA E, SOPRATTUTTO, COME I NOSTRI BENIAMINI USCIRANNO DA QUESTO INCONTRO... PREPARATEVI A SENTIRNE DELLE BELLE XDXDXD A VOI IL VERDETTO... RECENSIONI IN FONDO COME AL SOLITO!!! ^^

LOVE AND WAR

CAPITOLO 1°: “PRIMO INCONTRO”
POV RAF
5 anni prima
Mi svegliai al suono delicato di qualcuno che bussava alla mia porta. Mi rigirai fra le coperte mugugnando qualcosa di indistinto e mi tirai il lenzuolo sopra la testa, chiaro segno che non avevo nessuna intenzione di lasciare il mio letto caldo.
«principessina. Principessina si alzi. Deve andare a lezione», mi disse una delle mie innumerevoli cameriere entrando in stanza, scoprendomi con un gesto secco.
Io mi lamentai gemendo a bocca chiusa e tuffai la testa sotto il cuscino, «uffa per favore Greta, lasciami dormire», la implorai con voce lamentosa. Anche se ero una principessa ero pur sempre una ragazzina di tredici anni; volevo avere anche del tempo per me, uscire con le amiche, dedicarmi ai miei hobby e fare dello sport, non andare ogni giorno a delle stupidissime lezioni angeliche, incentrate sul comportamento e le conoscenze che una principessa come me doveva avere. Mi sentivo stretta in queste vesti, quasi soffocare. Avevo voglia di uscire, godermi il mondo, e non rimanere sempre chiusa dentro questo castello ad ammuffire. I miei genitori non mi facevano mai uscire, dicevano che le strade erano pericolose, ma io, in realtà, credevo che ci fosse qualcosa da cui mi volevano tenere nascosta, anche se non capivo il motivo.
«no no, principessina Raf, non ci pensi nemmeno!», mi disse con voce autoritaria Greta, levandomi il cuscino dalla testa, «lei deve frequentare le sue lezioni, perciò si sbrighi ad alzarsi e a fare colazione, perché il maestro la sta già aspettando in sala prove», mi disse e, detto fatto, uscì.
Soffocai un grido di frustrazione nel materasso e, con uno sbuffo, mi alzai. Mi diressi nel mio bagno privato, dove trovai la vasca già bella e pronta. Le mie domestiche dovevano aver provveduto a riempirla. Dentro vi galleggiavano dei delicati petali di rosa rossa. Mi accigliai; dicevo sempre che preferivo le rose blu, ma non mi ascoltavano mai.
Lasciai cadere la mia vestaglia a terra e mi immersi nel piacevole tepore dell’acqua, lasciando che la mia mente smettesse di pensare. Dopo un po’, quando ormai l’acqua di era fatta fredda e io avevo i brividi lungo il corpo, mi decisi ad uscire. Mi avvolsi una asciugamano intorno al corpo e, con un altro più piccolo, cominciai a frizionare i miei lunghi capelli biondi per farli asciugare.
Tornai in camera per scegliere i vestiti quando la porta si spalancò, lasciando entrare la mia migliore amica Uriè. Teoricamente avrebbe dovuto essere solo la mia dama di compagnia, ma per me era molto di più; era la sorella che non avevo mai avuto, «buongiorno Raf!», urlò, contenta come al solito. Non sapevo da dove tirava fuori tutta quell’energia di prima mattina, visto che io a quell’ora ero sempre uno zombie. Corse ad abbracciarmi e io ricambiai la stretta.
Quando si staccò mi accorsi che aveva lasciato la porta aperta, «ehm Uriè», le dissi titubante e con la faccia in fiamme, «ti dispiacerebbe chiudere la porta? Sai non voglio mostrare le mie grazie al mondo».
Lei si voltò all’improvviso e si rese conto di verla lasciata spalancata, «oddio scusami!», urlò, e corse a chiuderla.
Io scoppiai a ridere e mi voltai verso il mio immenso armadio, facendo cadere l’asciugamano a terra. Aprii le ante e mi immersi nell’immensa cabina alla ricerca di qualcosa di comodo da mettere, cosa praticamente impossibile se si considerava il fatto che, essendo una principessa, dovevo essere sempre impeccabile e avere vestiti costosi e assolutamente scomodi.
Uriè mi si affiancò divertita; era consapevole di quanto odiassi la moda,  «allora che cosa vuoi per oggi Raf?», mi chiese ilare. Niente le faceva più piacere che immergersi nella moda, anche se come gusti era molto anticonformista.
Io ci pensai su, «direi short e maglietta», le dissi e lei sorrise, prima di immergersi fra gli innumerevoli corridoi della mia cabina armadio e uscire pochi secondi dopo con uno short di jeans e un top azzurro cielo, il mio colore preferito.
Li presi in mano sorridendo da un orecchio a un altro, insieme alla biancheria che mi aveva recuperato da un cassetto, «ancora non so come fai ad essere così rapida di prima mattina. Ma di sicuro so che non sarò mai maniacale come te», le dissi e scoppiai a ridere, seguita subito da lei.
Feci appena in tempo a vestirmi che Greta entrò di nuovo in camera, «signorina Raf, ancora così?», disse esasperata alzando gli occhi al cielo, «si sbrighi che il professore di dizione la attende in biblioteca», mi disse, e mi spinse con gentilezza ma allo stesso tempo con fermezza fuori dalla porta. Uriè sghignazzò sotto i baffi, sapeva che detestavo andare a quelle insulse lezioni. Mimai con le labbra un, «dopo me la paghi» e mi avviai al patibolo.
 
Uscii dalla biblioteca con un mal di testa atroce e l’irritazione alle stelle. Oddio non ce l’avrei mai fatta a seguire un’altra lezione da quel vecchio barbuto e con la pancia che sporgeva un chilometro. Era tutto un «stai dritta e non far cadere il libro dalla testa!» e «ricordati di camminare sempre a piccoli passi e di ondeggiare come se stessi danzando». Sbuffai; come se me ne fregasse qualcosa di camminare leggiadra come una ballerina.
Avevo solo un’altra lezione quella mattina, quella di storia. Esultai; era l’unica lezione che mi piaceva seguire. Amavo sentir parlare di quello che era successo e succedeva tutt’ora nel mio mondo; era il mio unico contatto con la realtà. Mi avviai saltellante verso la sala del castello adibita  a studio per la mia lezione. Arrivata, bussai alla porta e la voce roca del professore mi disse di entrare.
Aprii la porta e mi ritrovai di fronte il professor Arkhan, il mio insegnante di storia. Aveva capelli e barba bianchi, luminosi occhi azzurri nascosti da un paio di occhiali, ali e aureola splendenti di bianco e vestiva di una lunga tunica bianca. Mi sorrise e mi fece segno di accomodarmi. Mi sedetti al tavolo composta e aprii il libro.
«bene Raf», esordì il professore guardandomi severo negli occhi, come ad ammonirmi di qualcosa, «ormai sei abbastanza grande per sapere quello che accade al di fuori di queste mura. Perciò è tempo che ti parli della guerra e dei nostri avversari, i devil», mi disse con tono solenne, come se la guerra fosse qualcosa di cui andare fieri.
Io mi rabbuiai immediatamente e i miei occhi si velarono di lacrime. Come se non sapessi niente; avevo cercato da sola le mie informazioni, documentandomi su tutto quello che c’era a sapere. E avevo appreso cose da far accapponare la pelle. Mi estraniai mentre il professore cominciava a spiegare le origini dei devil e della guerra. Osservai la vita che scorreva fuori dalla finestra; il cielo azzurro e terso, l’immenso giardino del palazzo brulicante di vita e, più in la, le strade e le case della città, protagoniste del caos mattiniero che avvolgeva il mercato in piazza. Mi rattristai, perché qui ad Angie Town, la capitale del regno angelico, la guerra era un miraggio lontano che non intaccava la felicità e il quieto vivere del popolo. L’indifferenza assoluta degli angel mi lasciava inorridita, se pensavo che, in quel momento, dei miei simili stavano morendo in battaglia.
Bastava uscire dalle mura della città per scontrarsi con quest’amara verità; le baraccopoli addossate alle vie d’accesso al paese lasciavano vedere tutta la miseria e la disperazione che la guerra aveva portato con se, una stupida guerra che si protraeva da più di cinque secoli.
Personalmente pensavo che fosse inutile continuare a combattere; benchè detestassi i devil, rinomati per le loro crudeltà attuare ai danni del popolo angel, avevo pietà di loro, e ritenevo che far cessare la guerra sarebbe stata la scelta migliore per tutti. Non aveva senso continuare a massacrare un popolo che sapevamo essere ormai sconfitto. Inoltre gli eserciti erano allo stremo su entrambi i fronti, nonostante noi angel avessimo all’attivo decisamente più vittorie rispetto ai devil e avessimo strappato loro fette consistenti dei loro territori. Persino Zolfanello City, la loro capitale, era caduta e i devil avevano edificato una nuova città in un luogo sicuro e segreto, talmente tanto che non eravamo ancora riusciti ad individuarlo.
Il problema dei devil era che erano sfuggenti come il fumo. Le loro incursioni erano devastanti, perché riuscivano a penetrare nel nostro territorio senza farsi notare; così erano in grado di infliggere duri colpi ai nostri eserciti. Non avendo più le forze per affrontare uno scontro in campo aperto, basavano la loro strategia sulla guerriglia.
«principessa, principessa Raf, mi sta ascoltando?». Uno schiocco di dita di fronte a me mi fece sobbalzare e ritornare in me. Il professor Arkhan mi guardava a metà tra l’arrabbiato e l’interrogativo.
«mi scusi prof, stavo pensando a una cosa», gli dissi ed era la verità, perché c’era veramente un quesito che mi aveva sempre assillato da quando avevo appreso la nostra situazione politica. Forse ora avrei potuto trovare una risposta.
Lui con un cenno della testa mi fece segno di continuare, «stavo pensando alla situazione tra angel e devil», cominciai e lui si irrigidì, anche se non capii perché, «perché continuiamo a combattere? Ormai abbiamo vinto, li abbiamo praticamente sottomessi del tutto, perché continuare a sprecare vite? E poi, a rigor di logica, teoricamente i devil avrebbero perlomeno dovuto tenerci testa, loro sono nati per combattere. E invece abbiamo quasi sempre vinto noi. Perché?», gli chiesi, e lui mi fissò malissimo, come se avessi appena detto qualcosa di sconveniente e proibito.
«principessa, in battaglia non contano solo i muscoli ma anche il cervello. Se usato bene, può essere un’arma letale, perché l’intelligenza batte sempre la forza bruta, e quei devil non saprebbero ideare una strategia neanche se si spremessero le meningi per secoli», concluse con tono sprezzante ma allo stesso tempo teso.
Non mi permise di porgli altre domande che ricominciò a parlare, troncando così sul nascere la conversazione. Questa risposta sbrigativa e per nulla convincente mi lasciò confusa e perplessa. Gli angel non sapevano mentire, si riconosceva subito un angel che lo faceva, ed ero sicura che il professor Arkhan non mi avesse detto niente di vero. Ma perché mentire? Cosa aveva di così importante da nascondere che lo aveva spinto a dire cose non vere a me, la principessa degli angel? Anche se avevo tredici anni, era mio diritto e mio dovere sapere tutto ciò che c’era da conoscere sul mio popolo. Solo così avrei potuto essere una brava regina, ed avevo la netta sensazione che la cosa che mi stava nascondendo, qualunque cosa fosse, fosse molto importante. E il mio settimo senso non sbagliava mai.
Mi accorsi a malapena della lezione che finiva e del professore che mi congedava, dicendomi che la lezione successiva si sarebbe tenuta il giorno seguente. Continuavo a pensare  a quello che mi aveva tenuto nascosto e che, forse, avrebbe potuto cambiare in meglio le sorti del nostro mondo.
Mi incamminai con passo latente verso la mia camera, dove trovai Uriè ad aspettarmi, «ehi Raf, come sono andate le lezioni? Scommetto una noia vero? Tanto lo so che non le sopporti…», la sua voce si affievolì fino a sparire. Fissò con aria interrogativa la mia espressione seria e pensierosa, probabilmente chiedendosi cosa avessi per comportarmi in maniera tanto strana.
Chiusi la porta e le feci cenno di sedersi sul letto. Lei obbedì e, dopo averla raggiunta, le raccontai tutti i miei dubbi sugli angel, i devil e la guerra. Lei mi ascoltò paziente fino alla fine della mia spiegazione, ma la sua reazione fu secca e decisa, «non capisco come tu faccia a provare compassione per quegli esseri abietti, Raf!», esclamò non arrabbiata, furibonda, «hanno massacrato il nostro popolo, devastato il nostro regno e ridotto il nostro paese in ginocchio. Non capisco proprio come tu faccia a pensare cose del genere, sapendo quello che hanno fatto!», sbottò, rossa di rabbia.
«si lo so Uriè, questo è quello che sappiamo noi, che sanno tutti, ma prova ad essere obiettiva», le dissi con calma, provando a farla ragionare, «abbiamo sempre vinto noi ma, a rigor di logica, avrebbero dovuto essere loro a vincere la guerra. Invece non sono nemmeno stati in grado di tenerci testa. Non lo trovi abbastanza strano?», le chiesi come se fosse ovvio.
Vidi il suo sguardo varare sul dubbio, forse qualcosa stava nascendo dentro di lei. Dovevo battere il ferro finchè era caldo, «per non parlare del fatto che nessuno può uscire da Angie Town», continuai, accennando ad una legge che avevo sempre trovato assurda, «perché non possiamo uscire? I territori sono sicuri, perché privare i cittadini della libertà di passeggiare per i boschi? È come se volessero nasconderci qualcosa e, se permetti, a me pare molto sospetto il fatto che nessuno voglia mai parlare della guerra. Appena la si nomina, tutti si irrigidiscono, distolgono gli occhi e cambiano discorso», continuai la mia arringa, sotto il suo sguardo sempre più vacillante.
«sento che c’è qualcosa di grosso dietro a tutto questo», finii, «qualcosa che potrebbe cambiare le sorti del nostro paese. E non mi fermerò fino a che non avrò scoperto di cosa si tratta», conclusi, determinata come non mai a scoprire il motivo di tutto quel mistero.
Uriè sospirò e mi guardò negli occhi, «ammesso e non concesso che tu abbia ragione, credi che sarà facile cercare delle prove di qualcosa che potrebbe benissimo non esistere? Qualsiasi sia la cosa che tengono nascosto deve essere molto importante. Non puoi andare semplicemente in giro a chiedere “ehi sai qual è la verità sulla guerra che è in corso da cinque secoli contro i nostri nemici di sempre, i devil?”», mi chiese come se fosse una domanda retorica, «al minimo ti ridono in faccia e al massimo ti sbattono in galera e ti ci fanno marcire a vita. Mi spieghi come pensi di fare? Non voglio perdere la mia migliore amica», aggiunse preoccupata, prendendo una mia mano con la sua.
Ricambiai la stretta, che sapeva di famiglia, «non so come ma troverò il modo. Devo scoprire cosa si nasconde dietro a tutto questo. Ho bisogno di sapere che non mi lascerai da sola però», le dissi guardandola negli occhi.
Lei mi sorrise e mi strinse più forte la mano, «ovvio Raf! Non potrei mai lasciarti da sola ad affrontare una prova del genere. E poi anche io sono curiosa si conoscere la verità», mi disse guardandomi determinata negli occhi. E Uriè quando guardava negli occhi non mentiva mai. Le sorrisi e l’abbracciai di slancio. Non avrei mai potuto avere amica migliore di Uriè.
Lei si staccò e mi guardò, sorridendo furbescamente, «ora però non pensiamoci più. È ora ormai», mi disse e io capii all’istante e feci un mega sorriso a trentadue denti.
Ci alzammo e ci fiondammo dentro la mia cabina armadio. Arrivammo fino in fondo, dove c’era il reparto delle scarpe. Aprii un’anta della cassettiera a muro dove tenevo le scarpe e scoprii un pannello di comando. Vi poggiai sopra la mia mano e, dopo averla scannerizzata, aprì la porta segreta. La scarpiera si ritirò di lato, rivelando una stanza luminosa che conoscevamo solo io e Uriè.
Quella stanza era la nostra base; vi avevamo messo dentro tutto quello che nel mondo angel era proibito; le nostre armi, i libri proibiti, i nostri scritti più arditi, i nostri quadri più provocatori e tutto quello che non era consono ad una angel, compresi gli ingredienti per le nostre pozioni, passione decisamente più da devil che da angel.
Sorridemmo e ci cambiammo: togliemmo i vestiti da palazzo e ci mettemmo quelli che usavamo per l’allenamento. Casacche aderenti aperte sui lati, pantaloni di tessuto aderentissimi che scomparivano negli stivali col tacco (si, noi combattevamo con i tacchi) e la cintura con le armi. Avevo sempre la spada appesa al fianco sinistro, la frusta sul destro, l’arco e la faretra appesi sulla schiena, un pugnale infilato nello stivale destro e i sari, i pugnali da guerra, incastrati in due tasche invisibili ad occhio nudo all’altezza delle cosce. Sapevo maneggiare ognuna di queste armi, anche se Uriè preferiva l’ascia e la lancia.
Una delle cose assolutamente proibite per una angel era imparare l’arte della guerra, ritenuta un argomento di competenza esclusivamente per i maschi. Ma io e Uriè avevamo una vera passione per il combattimento; ci piaceva volteggiare leggiadre e letali e, grazie ai manuali sull’arte del combattimento che avevamo, diciamo, preso in prestito dalla biblioteca, avevamo imparato tutto quello che c’era da sapere sulle armi e sulla difesa a mani nude. Perciò tutti i giorni uscivamo sempre di nascosto dal castello e andavamo nella foresta che circondava la città ad allenarci.
Quando fummo pronte, io con il mio completo azzurro e bianco e Uriè con il suo completo giallo e arancio, ci avviammo attraverso un passaggio collegato alla stanza che portava fuori dalle mura. Così potevamo uscire senza essere viste.
Arrivate in fondo al passaggio, sollevammo una grata e uscimmo dalla base delle mura nella foresta. Aiutai Uriè ad uscire e, dopo aver rimesso a posto le sbarre, ci avventurammo fra gli alberi, fino a che non arrivammo a una piccola radura sormontata da una cascata che scendeva ripida da un’altura.  Era il nostro posto segreto per allenarci.
Come al solito, lasciammo le armi e cominciammo a fare degli esercizi per migliorare la nostra muscolatura, la nostra forza e anche il nostro corpo. Insomma, anche la parte estetica faceva la sua parte. Poi ci dedicammo alla lotta a mani nude; volevamo saperci difendere non solo con le armi ma anche senza. Semmai ci avessero disarmate, allora avremmo saputo come reagire. Infine passammo alle armi.
Rimanemmo lì per tre ore buone e, sfinite, ci accasciammo per terra, «non ti sopporto sai Raf?», mi disse Uriè sbuffando imbronciata, «mi batti sempre, accidenti a te! ma prima o poi ci riuscirò, non temere», sbottò arrabbiata più con se stessa che con me, visto che ogni volta non riusciva a battermi in nessuna delle nostre sfide.
Io scoppiai a riderle in faccia, «si certo Uriè, allenati qualche altro secolo e forse ce la farai», le dissi per prenderla in giro. Ovviamente non erano cose serie, semplicemente ci piaceva punzecchiarci.
Lei, fintamente indignata, distolse lo sguardo, «guarda che mi ritengo offesa. Perciò mi sento anche in dovere di fartela pagare», dissi ridendo e, all’improvviso, una secchiata d’acqua mi arrivò in faccia, facendomi urlare di sorpresa.
«Uriè!», urlai imbufalita, correndole dietro. Lei scappò ridendo, e da lì prese il via una gara di schizzi epocale.
Stavamo ancora giocando quando rumori sospetti attirarono la nostra attenzione. Ci fermammo e rimanemmo in silenzio perfetto, per ascoltare ogni minimo suono. Quello che sentimmo ci fece accapponare la pelle; dalla città le fanfare d’allarme suonavano a tutto spiano, e si sentiva rumore di passi che correvano verso di noi. Non erano vicini, ma era meglio levare le tende se non volevamo farci scoprire, per non parlare del fatto che non volevamo assolutamente incappare nella cosa che le guardie stavano inseguendo.
Raccogliemmo in fretta tutte le nostre cose e, proprio mentre stavamo per nasconderci dietro i cespugli che delimitavano la radura, una figura alta e muscolosa entrò nello spiazzo. Ci pietrificammo sul posto e ci guardammo negli occhi stupite come non mai; davanti a noi, un ragazzo all’incirca della nostra età, dai capelli nero-blu come la notte e un fisico da far invidia a un dio greco, ansimava con forza, tenendo lo sguardo basso e una mano sulle ginocchia, piegate dallo sforzo della corsa. Aveva un fagotto sotto il braccio, avvolto in un panno bianco, a cui sembrava tenere molto visto il modo in cui lo stringeva. Il problema è che era un devil, come testimoniavano le sue corna rosse e le sue ali da pipistrello.
I passi si facevano sempre più vicini e lui, con un sospiro, rialzò la testa, raddrizzò il busto, e fece per ricominciare a correre. Fu in quel momento che ci vide; quando i suoi occhi incrociarono i miei, mi ci persi dentro. Erano di un caldo colore ambra e risaltavano sul viso grazie alla stella rossa tatuata attorno all’occhio sinistro. Allargai la visuale e mi resi conto che quel ragazzo era davvero bellissimo; naso dritto, labbra rosse e carnose e lineamenti spigolosi e definiti. Insomma, un vero capolavoro della natura. Era vestito come un guerriero e sul suo fianco faceva bella mostra di se la spada.
Non appena ci vide si irrigidì, esattamente come noi. Ma non fu la sua espressione di odio e disprezzo che mi fece tremare. No; era la freccia conficcata nella sua spalla destra all’altezza della scapola. La ferita dava l’impressione di essere molto profonda e stava perdendo molto sangue. In effetti, mi stupivo di come fosse riuscito a scappare, perché la debolezza che scaturiva da una ferita del genere si propagava nel corpo in modo rapido e letale.
Lo fissammo incapaci di fare alcunché, esattamente come lui. Non sapevo perché, ma non riuscivo a provare l’istinto di ucciderlo. Era un devil, eppure non lo consideravo un nemico, bensì qualcuno da proteggere; forse perché era ferito, forse perché aveva la mia stessa età, o forse perché sapevo che se lo avessero preso lo avrebbero di sicuro ucciso. Non avrebbero avuto pietà di lui solo perché era un ragazzo.
Ci riscuotemmo tutti quando sentimmo delle voci provenire dalla foresta farsi sempre più vicine, «è andato da questa parte! Forza, quel bastardo non deve sfuggirci!».
Lui ci guardò impaurito, sapeva di non essere in grado di affrontare un combattimento ferito com’era. All’improvviso barcollò e cadde in ginocchio, portandosi la mano sinistra, quella libera dal fagotto, sulla spalla ferita. Stava perdendo le forze rapidamente, non sarebbe mai riuscito a scappare.
Perciò agii d’impulso. Corsi verso di lui, gli presi il braccio sano e me lo feci passare sulle spalle, aiutandolo ad alzarsi in piedi. Lui cercò di liberarsi ma, debole com’era, non ci riuscì. Cercai il suo sguardo e, quando lo trovai, lo pregai con gli occhi di fidarsi di me. Lui mi guardò stupito e meravigliato, come se non credesse ai propri occhi, ma smise di cercare di liberarsi.
«Raf, ma sei per caso impazzita?!», mi domandò Uriè scioccata, che nel frattempo ci aveva raggiunti, «non puoi aiutare un devil! Va contro tutte le nostre regole!», mi disse scandalizzata.
Io la guardai con fermezza negli occhi, facendole capire che ormai avevo deciso, «non lo lascerò morire Uriè. La mia coscienza non me lo permette e lo sai anche tu che ho ragione», le dissi. Ormai avevo già preso la mia decisione.
Lei sospirò e scosse la testa, «tanto con te è impossibile ragionare vero? E poi comunque hai ragione. Non potrei mai lasciarlo morire», disse, e io sorrisi.
Andò sull’altro lato e, sostenendolo dal fianco perché il braccio era ferito, mi aiutò a portarlo nella boscaglia e nasconderlo tra i cespugli. Ci accertammo di non aver dimenticato niente per non destare sospetti e, rannicchiati contro un albero, aspettammo.
Pochi secondi dopo una pattuglia angel entrò nello spiazzo, sicuramente alla ricerca del ragazzo che sentivo di dover proteggere. «non può essere andato lontano, maledizione! Trovatelo!», urlò il comandante, e subito i dodici angel si misero alla sua ricerca frenetica.
Lo sentii irrigidirsi di fianco a me, seguito da me; se continuava così ci avrebbero di sicuro trovati, e nulla mi avrebbe risparmiata dalla furia dei miei genitori, il re e la regina. Guardai il devil di fianco a me; era appoggiato completamente contro il mio fianco destro, la testa appoggiata sulla mia spalla e sul viso una smorfia di dolore. Dovevo inventarmi qualcosa anche per lui; sarebbe stato lui a pagare le peggiori conseguenze se fosse finita male.
Uriè mi guardò negli occhi e con la mano segnò il numero due. Compresi al volo cosa intendeva. La strategia due; la strategia del depistaggio. Io annuii e lei si allontanò rapidamente senza far rumore fra gli alberi. Lui mi rivolse uno sguardo interrogativo e io gli sorrisi rassicurante.
All’improvviso sentii dei passi farsi sempre più vicini. Mi pietrificai; un angel si stava avvicinando per controllare la macchia. Strinsi più forte a me il ragazzo chiudendo gli occhi, e anche lui si aggrappò a me come se fossi stata la sua ancora di salvezza, nascondendo la testa nell’incavo del mio collo, come a non voler vedere cosa sarebbe successo di lì a poco.
Ero già pronta a vederci scoperti quando Uriè entrò nella radura nell’altro lato rispetto a quello in cui eravamo. Le armi erano sparite, indossava un vestito lungo fino al ginocchio giallo limone, aveva la faccia spiritata e una ferita al braccio. Quando se l’era fatta? Doveva essersela inferta da sola per rendere più credibile la sua recita, qualunque fosse la recita che aveva in mente. Ringraziai ancora di più Uriè per quello che stava facendo.
Gli angel la notarono subito e si fiondarono verso di lei che, teatralmente, barcollò e fece finta di cadere a terra. Un soldato la prese la volo prima che toccasse il terreno. «che ti è successo?», le chiese il comandante, preoccupato per la ferita che aveva sul braccio.
Uriè aveva la faccia sconvolta, come se avesse visto un fantasma, «u-un devil», balbettò, visibilmente scossa da qualcosa, «è sfrecciato accanto a me in quella direzione», disse indicando una via agli angel totalmente opposta a noi, «io non stavo facendo niente, eppure quando mi è passato accanto, ha sguainato la spada e mi ha ferita al braccio. Oddio, non sapete la paura che ho avuto! Ho creduto di morire!», disse singhiozzando talmente bene che, se non avessi saputo che stava recitando, le avrei creduto anch’io. E poi dicevano che gli angel non sapevano mentire.
«tu!», disse il comandante indicando il soldato che aveva in braccio Uriè, «porta la ragazza a curarsi. Voi altri con me! Inseguiamolo!», e, detto fatto, tutti sparirono.
Rimanemmo soli nella radura e io tirai un sospiro di sollievo, sciogliendo la presa su di lui e appoggiando la testa al tronco.
«perché?», un sussurro debole e roco, ma che apparteneva a una voce tremendamente sensuale, una voce capace di sedurre una ragazza con una sola parola.
Mi voltai verso di lui, mio malgrado arrossendo, e lo fissai negli occhi, «perché sei un ragazzo come me. E, anche se sono nemici, i ragazzi non si uccidono. Mai», gli dissi dolcemente.
Lui, per la prima volta sorrise, un sorriso riconoscente e sincero, e mi attirò a se con il braccio buono, stringendomi a lui. Io rimasi sorpresa mai poi ricambiai l’abbraccio, spinta da non so quale forza misteriosa, «Grazie», sussurrò tra i miei capelli. Io sorrisi sul suo petto.
Sciolsi l’abbraccio e lo aiutai a rialzarsi da terra. Era molto debole, aveva bisogno di essere medicato al più presto. Lo aiutai ad arrivare fino al laghetto e lo feci sedere contro una roccia. Appoggiò di fianco a lui il fagotto. Lo aiutai a togliersi la maglia per avere una visuale migliore della ferita e, per qualche istante, rimasi imbambolata; aveva dei muscoli spettacolari.
«ti piace quello che vedi angioletto?», mi chiese lui con voce divertita ma debole.
Io sobbalzai di scatto e tornai a guardarlo negli occhi, arrossendo come un peperone. Non dissi niente e, cercando di tenere intatta la poca dignità che mi rimaneva dopo quell’episodio, immersi una pezza di stoffa presa dalla sua maglia nell’acqua.
Quando mi rialzai, trovai il suo sguardo sul mio sedere. Mi guardava come se avesse visto il sole per la prima volta. Sorrisi sadica; vendetta dolce vendetta. «ti piace quello che vedi diavoletto?», lo provocai.
Lui sobbalzò e ritornò con i suoi occhi nei miei. All’inizio sembrò imbarazzato ma si riprese subito, «perché non dovrei angioletto? Sono appena stato salvato da un gran bel pezzo di angel. Dovrò pur rifarmi gli occhi no?», disse facendo un sorrisetto ironico ma sincero. Aveva detto che ero bella e lo pensava davvero. Arrossii e distolsi lo sguardo.
Mi chinai verso di lui e lavai per quel potevo la ferita; come temevo la freccia era conficcata in profondità e, per fare una medicazione corretta, avrei dovuto estrarla.
«e comunque, io sono Sulfus angioletto», mi disse lui dolce.
Io lo fissai negli occhi ancora una volta e, di nuovo, mi ci persi dentro. Avevano un colore spettacolare, «Raf. Io sono Raf», gli dissi timidamente, abbassando di nuovo gli occhi sulla sua ferita.
Ma Sulfus mi sorprese. Mi prese una mano nella sua e mi fece il baciamano, «lieto di conoscerti mia principessa», mi disse e io mi pietrificai.
«come fai a sapere che sono la principessa degli angel?», gli chiesi incredula e allo stesso tempo un po’ spaventata. Ero una reale; avrebbe potuto decidere di uccidermi.
Lui ridacchiò, «il tuo ciondolo. Solo i reali lo portano», mi disse e io annuii. Tutti i reali portavano il ciondolo con il simbolo della nostra casata, ossia due ali azzurre di angel su sfondo bianco.
«e comunque guarda», mi disse, e alzò la mano sinistra per farmi vedere il polso, da cui pendeva un braccialetto. Il pendente era un sole nero e rosso attraversato da una spada. Il simbolo della casata dei devil. Il ciondolo che portavano solo i membri della famiglia reale.
«ma allora tu…», dissi guardandolo negli occhi.
Lui annuì serio, «sì, sono il principe dei devil. Ora vuoi uccidermi?», mi chiese duramente, negli occhi una punta di tristezza.
Io lo guardai e risposi senza esitazione, «no. Non potrei mai farlo», gli dissi sinceramente, e gli accarezzai una guancia. Lui sorrise, di un sorriso che illuminò tutta la radura.
All’improvviso mi prese la testa con la mano sana e fece scontrare le mie labbra con le sue. Rimasi per un attimo sorpresa ma non riuscii a trovare ne la forza ne la voglia per respingerlo. Mi resi conto che, inconsciamente, avevo bramato le sue labbra da quando aveva messo piede nella radura. Perciò chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue labbra, al mio primo bacio. Se qualcuno mi avesse detto che l’avrei scambiato con un devil gli avrei riso in faccia, ma adesso era diverso. Non riuscivo a pentirmi di questo bacio semplicemente perché lo volevo.
Le sue labbra si muovevano dolci insieme alle mie e le mie mani scivolarono dolcemente fra i suoi capelli, stringendolo a me. Il suo braccio andò sulla mia vita per stringermi di più a lui. Il bacio si approfondì ma rimase comunque dolce e tenero.
Dopo un’infinità di tempo ci staccammo e lui mi fissò negli occhi come rammaricato, «scusa io… non so proprio cosa mi sia preso», mi disse lasciando immediatamente la presa su di me e voltandosi dall’altra parte.
Io un po’ ci rimasi male ma gli presi la mano e lo costrinsi a voltarsi. Lo rassicurai con lo sguardo e Sulfus si rilassò di nuovo, «devo toglierti la freccia. Sei pronto?», gli chiesi preoccupata. In quella posizione estrarla avrebbe fatto un male atroce.
Lui annuì e serrò gli occhi. Io presi nella mano destra la freccia e, con un gesto secco, la tirai fuori. Lui aprì gli occhi dal dolore e, di scatto, guidata dall’istinto, lo strinsi a me. Sulfus seppellì il viso nel mio petto e si aggrappò a me con forza, cercando di soffocare l’urlo di dolore nell’incavo del mio seno appena accennato.
Quando finì si staccò lentamente e mi guardò riconoscente. Io sorrisi e gli avvolsi la ferita con la pezza di prima. Quando fu fasciato, soddisfatta alzai gli occhi e gli sorrisi.
Sulfus sorrise di rimando e, all’improvviso, mi prese la mano destra con la sua. Stavo per chiedergli cosa avesse quando, con un gesto secco, mi mise al polso il suo braccialetto, quello della casata reale, «così potrai sempre ricordarti di me», mi disse guardandomi tenero.
Io non riuscii a trattenere le lacrime, che scesero prepotentemente lungo le mie guance. Volevo ricambiare il gesto, perciò presi la catena della mia famiglia, quella che avevo al collo col simbolo della mia casata, e lo allacciai al suo. Sulfus sgranò gli occhi, «così anche tu potrai ricordarti di me», gli dissi e anche lui sorrise dolce.
All’improvviso sentii dei passi e mi voltai terrorizzata che potessero essere di nuovo gli angel. Non erano gli angel; erano molto peggio. Un intero squadrone di devil fissava me e Sulfus con espressione a tratti confusa e a tratti rabbiosa. Notai che quello che sembrava il comandante assomigliava molto a Sulfus. Aveva i suoi capelli blu e la sua stella rossa ma gli occhi erano neri come la notte.
Fissai Sulfus nel panico. Se lui era stato ben disposto verso di me, lo stesso poteva non essere vero per tutti gli altri devil. Ma lui non guardava me; guardava furibondo i suoi simili, come ad avvertirli.
Mi fissò con sguardo determinato, «aiutami ad alzarmi», mi disse, e io acconsentii. Lo sorressi dal fianco buono e lo aiutai a mettersi in piedi.
Quando lo toccai, i devil sembrarono scattare, «non lo toccare, stronza di una angel!», urlò uno di loro, lanciandosi a spada tratta verso di me.
Mi preparai allo scontro, che però non avvenne. Sulfus si parò davanti a me facendomi scudo col suo corpo, «stai lontano da lei!», urlò e il soldato si fermò all’istante.
Tutti i devil lo guardarono scioccati. Quello che assomigliava a lui si fece avanti, «Sulfus, ti rendi conto che quella è una angel?», gli chiese con sguardo serio e un po’ disgustato rivolto a me.
«padre», disse Sulfus guardandolo negli occhi. Sobbalzai; allora avevo visto giusto. Era il padre di Sulfus e quindi il re dei devil, «è vero, è una angel, ma una angel che mi ha salvato la vita. Se non fosse stato per lei, probabilmente ora non sarei qui a parlarti», gli disse con sguardo fermo.
Il re sgranò gli occhi, come tutti gli altri devil del resto. Poi mi fissò, per quanto Sulfus potesse permetterlo, visto che non aveva ancora smesso di farmi scudo col suo corpo.
«avvicinati mia cara. Ti do la mia parola d’onore che non ti faremo del male», mi disse il re, guardandomi in maniera rassicurante.
Fissai Sulfus che mi sorrise incoraggiante e, deglutendo, presi coraggio e, a testa alta, mi avviai verso di lui. Mi fermai a pochi passi, che colmò lui. Allungò una mano verso di me, «posso vedere la tua mano?», mi chiese.
Respirando a fatica, allungai la mia mano destra verso di lui che, con presa ferrea, mi prese il polso e lo fissò. O meglio, fissò il braccialetto che vi era appeso. Mi pietrificai; non sapevo come avrebbe preso il fatto che Sulfus mi avesse dato il braccialetto della sua casata.
«e così ti ha dato il braccialetto», mi disse lui lasciandomi il polso e fissandomi con un sorriso, «sai, questo è un gesto che fra noi devil ha un significato simbolico molto importante. Vuol dire che stimiamo e ci fidiamo di quella persona come se fosse un membro della nostra famiglia», concluse, sorridendo ancora di più.
Io mi voltai di scatto verso Sulfus, che si grattava la testa imbarazzato. Non mi aveva detto niente ma io l’avevo ricambiato esattamente per lo stesso motivo. Il re mi fissò con sguardo divertito, «lui non ti ha detto niente vero?», mi chiese, con una punta di ammirazione nella voce. Capii che mi apprezzava perché avevo dimostrato che potevo avere rispetto per loro.
Io feci un sorrisetto a Sulfus che ricambiò e mi raggiunse di fronte a suo padre. Con mia sorpresa mi avvolse la vita con il braccio. Io arrossii all’istante, soprattutto perché davanti a noi c’era suo padre, «no, non mi aveva detto niente vostra maestà», dissi e i devil sobbalzarono nel sentire che io sapevo chi era in realtà l’uomo di fronte a me, «ma le posso assicurare che ho ricambiato per lo stesso motivo», conclusi.
Solo allora il re sembrò notare il ciondolo appeso al collo di Sulfus. Lo fissò prima confuso poi stupito. Si voltò verso di me pieno di meraviglia, «da quel ciondolo deduco che tu sia la principessa angel», mi disse, e tutti i devil ammutolirono sorpresi.
«allora uccidiamola che aspettiamo?!», disse un devil con i capelli bianchi e gli occhi viola, «se la uccidiamo poniamo fine alla guerra, perché gli angel perderanno la loro discendente», spiegò tutto eccitato, guardandomi con occhi assassini.
Io rabbrividii dalla testa ai piedi e, inconsapevolmente, mi strinsi a Sulfus, che mi strinse forte contro di se e lanciò occhiate di fuoco a quel ragazzo, «tu osa toccarla e giuro che ti faccio frustare talmente tanto che implorerai la morte prima di arrivare alla fine», sibilò furibondo.
Il devil impallidì di colpo e, per la prima volta, mi resi conto di quanto Sulfus facesse paura. Lo sguardo era nero di rabbia, i muscoli tesi e pronti a scattare per difendermi. Lo fissai commossa; stava prendendo le mie difese contro i suoi simili nonostante il naturale odio e diffidenza che avrebbe dovuto provare verso una come me.
«stai fermo al tuo posto Tyrer», ordinò il re con voce imperiosa, «tutti voi state fermi al vostro posto. Nessuno toccherà questa ragazza», comandò con voce imperiosa e tutti furono costretti ad ubbidire. Poi il re si voltò verso di me, «hai salvato la vita a mio figlio. Ti ringrazio per questo. Ora abbiamo un debito con te. Dimmi cosa posso fare per ripagarti», mi disse fissandomi negli occhi.
Io sorrisi dolcemente, «voi non mi dovete niente. Ho fatto solo quello che la mia coscienza e il mio cuore mi dicevano di fare», dissi e il re rimase sorpreso dalla cosa, «l’unica cosa che vi chiedo è di trovare un modo pacifico di far finire la guerra. Non sopporto più di vedere le persone ammazzarsi l’un l’altra. L’unico desiderio che vorrei veder realizzato adesso è la cessazione della guerra», dissi con le lacrime agli occhi al pensiero di quante vite erano state stroncate per colpa di quelle stupide battaglie per il potere.
Il sovrano si intristì e, con mia enorme sorpresa, chinò la testa in segno di rispetto, «è difficile purtroppo e anche noi siamo stanchi del sangue e della morte. Ma ti assicuro che abbiamo fatto e continueremo a fare tutto il possibile perché la guerra finisca», mi disse e mi prese la mano facendomi un baciamano, esattamente come aveva fatto Sulfus prima. E di nuovo io arrossii.
«ma allora è un vizio di famiglia mettermi in imbarazzo», borbottai a bassa voce per non farmi sentire, ma sfortunatamente Sulfus mi udì lo stesso. Lo sentii ridacchiare sotto i baffi e lo fulminai; lui si sforzò di trattenere una risata.
Il re mi riprese il polso, «porta con te questo bracciale», mi disse con sguardo dolce, «sarai sempre la benvenuta tra di noi. Hai dimostrato di essere una buona amica per noi devil», e me lo lasciò. Io annuii. «credevo che ormai la gentilezza degli angel fosse tutta una diceria, perché in battaglia non ho mai visto angel compassionevoli. Ma tu oggi mi hai dimostrato che quel tipo di angel esiste davvero», mi disse, facendomi un bellissimo complimento.
Io ringraziai semplicemente facendo un piccolo inchino e lui sorrise. Infine, con un gesto della mano, ordinò ai suoi devil di ritirarsi. Tutti cominciarono a dirigersi verso la boscaglia. Tyrer si chinò a prendere il fagotto e lo portò con se. Sulfus fissò il padre che annuì e si avviò dietro agli altri, lasciandomi da sola con lui.
«beh a quanto pare finisce così», mi disse lui guardandomi negli occhi tristemente, «probabilmente noi non ci rivedremo mai più», aggiunse, voltandosi per non farmi vedere la sua espressione.
Le lacrime cominciarono a scorrere sul mio viso. Era possibile affezionarsi ad una persona nel giro di pochissimo tempo e poi soffrire perché la si vedeva andarsene via per sempre? Sì, per me era possibile, «io non so se davvero non ci rivedremo mai più», gli dissi prendendogli la mano da dietro, «ma so che non mi scorderò mai di te, Sulfus».
Lui si voltò di scatto e mi abbracciò col braccio buono, l’altro non riusciva a muoverlo. Seppellì il viso nei miei capelli e mi strinse forte a se. Io ricambiai la stretta, incapace di fermare le lacrime che scendevano dai miei occhi sulle mie guance.
Lentamente mi staccai da lui ma non riuscii a guardarlo in faccia, «ora devo andare. Uriè non può coprirmi a vita», gli dissi e stavo già per andarmene quando Sulfus mi afferrò di scatto un polso, mi fece voltare e fece aderire di nuovo le sue labbra alle mie. Mi aggrappai alle sue spalle forti e ricambiai il bacio. Fu molto diverso di quello di prima, molto più vorace e passionale.
Quando ci staccammo avevamo entrambi il fiatone, «scusami. Ma volevo finire con un bel ricordo di te. Non so perché ho questi istinti ma volevo ricordarti così», mi disse Sulfus tenero accarezzandomi una guancia e spazzando via le lacrime con la sua mano.
Io sorrisi, «a me in fondo non è dispiaciuto come primo bacio», gli dissi, rivelando una parte intima di me stessa che non avrei mai creduto di dire.
Lui mi fissò meravigliato ma poi sorrise a trentadue denti. Poi il suo sguardo si fece triste e mi lasciò andare, «ringrazia la tua amica anche da parte mia», mi disse con sguardo basso.
«lo farò», gli dissi con voce rotta, ma mi sforzai di trattenere le lacrime. Non volevo che mi vedesse piangere.
«ciao Raf», mi disse debolmente e si voltò verso la direzione in cui erano spariti i suoi simili.
«ciao Sulfus», gli risposi io con voce triste e spenta.
Lui raddrizzò le spalle, voltò la testa, mi fece un mezzo sorriso e si incamminò verso gli altri devil, inoltrandosi nella foresta e lasciandomi sola nella radura.
Quando sparì, inghiottito dagli alberi, anche io mi voltai e cominciai a camminare lentamente verso il castello, toccandomi le labbra che, bollenti, ricordavano ancora il tocco di quelle di Sulfus.
Come uno zombie arrivai alla grata, la sollevai e mi infilai nel passaggio. Feci tutto il percorso a ritroso fino ad arrivare alla nostra stanza segreta. Dentro trovai Uriè ad aspettarmi in ansia e furibonda. Non appena mi vide quasi mi saltò addosso, «per tutti gli angeli, Raf dov’eri finita? Non sai cosa mi sono dovuta inventare per coprire la tua assenza, per non dire cosa ho dovuto dire per giustificare la mia presenza nel bosco. Spero almeno che ne sia valsa la pena…», il discorso si interruppe bruscamente quando notò la mia faccia spiritata.
Non le feci dire altro, «Uriè per favore, vai dai miei genitori e digli che non mi sento bene per cui non scenderò a cena. E poi per favore lasciami da sola, ho bisogno di qualche ora per me», le dissi guardandola negli occhi.
Lei si accorse dei segni lucidi lasciati dalle lacrime e non obiettò, perché capì che era successo qualcosa di grosso. Semplicemente annuì e se ne andò, lasciandomi sola con i miei pensieri.
Mi spogliai, misi via le armi, mi feci una doccia e mi misi a letto indossando la camicia da notte di seta. Mi accoccolai sotto le coperte e mi addormentai subito, nel cuore e nella mente solo il nome e il volto di un ragazzo; Sulfus.

GIRL95DEVIL: AMMAZZA, SENZA NEANCHE LEGGERE VAI A VEDERE!!!^^ SONO MOLTO CONTENTA CHE LE MIE STORIE TI PIACCIANO COSI' TANTO ^^ EH BEH, OVVIO CHE SONO I LORO, LO SAI CHE LE MIE STORIE SONO DELLE RAF X SULFUS XDXDXD BEH UN PO' DA TE PERO' L'IDEA DEI GEMELLI MI E' SEMPRE PIACIUTA, E POI IL DOPPIO PARGOLO MI SERVE PER UNA FUNZIONE PRECISA NELLA STORIA CHE CON PARGOLO SINGOLO NON AVREI POTUTO FARE... ODDIO ADDIRITTURA GENIO NON LO SO MA CI VADO VICINO XDXDXD (GIRL: SI VALE, COME NO - VALE: ALMENO LASCIAMI VOLARE CON LA FANTASIA XDXDXD) SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII NON VEDO L'ORA CHE POSTI IL TUO CHAPPY PERCHE' STO MORENDO DI CURIOSITA'  *_* KISS ^^
MARIA95/YANI@15: EH Sì POSTO ANCHE QUESTA, SE LA POSTO DA UNA PARTE ALLORA E' GIUSTO CHE ANCHE L'ALTRA LA POSSA LEGGERE ^^ NON IMPORTA SE HAI ROTTO ANZI, SE MI ROMPI MI INCITI A SCRIVERE, QUINDI HAI IL DIRITTO DI SPACCARMI LE COSIDDETTE TUTTE LE VOLTE CHE VUOI XDXDXD E NON IMPORTA ANCHE PER IL RESTO, NON POTEVI SAPERE CHE MIA ZIA ERA MORTA, STA TRANQUILLA ^^ CIAO
THE_WEREWOLFGIRL_95/MAGIKA ALE: INFATTI COME VEDI HO ASPETTATO CHE TU RECENSISSI PRIMA DI POSTARE, COSì POTEVO RISPONDERTI XDXDXD AMMAZZA AFFRONTARE MAMME E SORELLE NON E' FACILE (TE LO DICE UNA CHE HA DUE SORELLE, UNA MAMMA E QUATTRO ZIE T_T) VIVA NOI CHE LE CONTRASTIAMO XDXDXD LO SO IL PROLOGO E' MOLTO TRISTE MA FOSSI IN TE ASPETTEREI A VERSARE LACRIME PER LA PICCOLA *SI DA MAZZATE IN TESTA PER EVITARE DI DIRE TUTTO* HAI RAGIONE IL PADRE DI RAF E' UN GRAN PEZZO DI *BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP* GIA', POVERA RAF, E' DAVVERO TERRIBILE VEDERSI SEPARATI PER SEMPRE DAL PROPRIO BAMBINO T_T PER QUANTO RIGUARDA SULFUS, TI DICO SOLO CHE NON POTEVA ESSERE CON LEI PER OVVI MOTIVI... SE RIPENSI A QUELLO CHE HO SCRITTO NEL PROLOGO E NELL'INTRODUZIONE DELLA STORIA, VEDRAI CHE CI ARRIVI DA SOLA ^^ CIAO KISS ^^

CIAO RAGAZZE, AL PROSSIMO AGGIORNAMENTO!!! ^^
 

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Capitolo 3
*** 1° CAPITOLO: "PRIMO INCONTRO (ultima parte)" ***


SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVE!!! COME VA RAGAZZE? BUON ANNO E BUON NATALE A TUTTE!!! ^^ VOLEVO POSTARE IL GIORNO DI CAPODANNO MA NON CI SONO RIUSCITA CAUSA LUNGHEZZA CHAPPY... MI E' VENUTO UN PO' PIU' LUNGO DI QUELLO CHE MI ASPETTAVO... TIPO 30 PAGINE DI WORD XDXDXD COMUNQUE ECCOLO QUI, FRESCO FRESCO DI SCRITTURA... L'HO FINITO CINQUE MINUTI FA, PIU' FRESCO DI COSI' XDXDXD ORA PIU' O MENO STESSI AVVENIMENTI DELLO SCORSO POV, MA VISTO CHE QUESTO E' POV DEL NOSTRO DIAVOLETTO, SE NE VEDRANNO MOLTE DI PIU' E MOLTO PIU' INCASINATE... INOLTRE SI RISOLVERA' QUALCHE ENIGMA LASCIATO IN SOSPESO CON LO SCORSO PEZZO: COSA HA FATTO SULFUS NEL CASTELLO? COS'ERA L'INVOLTO BIANCO CHE AVEVA SOTTO IL BRACCIO? E SOPRATTUTTO COSA HA PENSATO IL NOSTRO DIAVOLINO PORCELLINO DURANTE I DUE CALDISSIMI BACI CON RAF? XDXDXD LEGGERE PER SAPERE ^^ SOTTO LE RISPOSTE ALLE RECENSIONI!!! ^^

POV SULFUS
Mi svegliai avvolto nel mio sacco a pelo, ridestato dal mio sonno dal cinguettio degli uccelli, dal gorgogliare del ruscello vicino e dallo scoppiettare delle braci ormai spente del fuoco che avevamo acceso per la notte.
Mi alzai in piedi, districandomi dalle coperte, e mi stiracchiai. Mi guardai intorno  e notai che tutti erano ancora addormentati tranne Tyrer, che stava finendo il suo turno di guardia. Era meglio essere prudenti con le pattuglie di angel che facevano ronde continue per stanarci.
Non appena mi sentì alzare, Tyrer si voltò verso di me, «buongiorno principe», disse, accennando un inchino con la testa.
Io feci solo un rapido cenno e poi gli dissi, «vado a fare un bagno al ruscello. Ho bisogno di rinfrescarmi».
Lui all’istante scattò e cercò di fermarmi, «principe, è troppo pericoloso per lei andare da solo nella foresta. Se dovessero sopraggiungere degli angel…», disse, ma non lo lasciai finire. Se avessi incontrato degli angel avrei saputo come comportarmi, pensai, accarezzando la spada che pendeva dal mio fianco.
«non importa», gli dissi in un tono che non ammetteva repliche, guardandolo nei suoi occhi come l’ametista duri come la pietra, «se arriveranno degli angel, avranno quello che si meritano», conclusi determinato, con un espressione di odio puro e disprezzo in volto.
Tyrer non obiettò e io mi avviai verso il ruscello. Passai fra qualche albero e sbucai in una piccola radura attraversata da un fiume. Sospirai felice; dopo giorni e giorni di marcia e sudore, un bel bagno era proprio l’ideale. Mi tolsi vestiti e armi di dosso, appoggiando tutto lì per terra, e mi immersi contento nelle acque limpide e cristalline del fiume. La frescura e la sensazione di benessere avvolsero il mio corpo, rigenerandomi.
Rimasi lì per un po’, facendomi cullare dal dolce massaggio della corrente che scivolava lungo il mio corpo, rigenerando e rilassando i miei muscoli contratti dalla fatica per le lunghissime marce necessarie per entrare in territorio angel senza farsi vedere. Dopo un po’ mi rialzai, stendendomi li di fianco sulla riva per farmi asciugare dalla luce del sole. Avevo solo 15 anni ma avevo dei muscoli che facevano invidia anche ai devil adulti. Mi ero allenato per anni per prepararmi al mio ingresso nell’esercito e ora, finalmente, dopo tante insistenze, mio padre, il re dei devil, aveva acconsentito. Questa era la mia prima missione ma era una missione di vitale importanza per la riuscita della guerra; siccome il giro di violenze durava da circa cinquecento anni, noi eravamo ormai allo stremo delle forze. In più, non contenti, visto che amavamo renderci la vita difficile, avevamo scoperto che gli angel avevano rinvenuto l’ultimo uovo di drago esistente su tutta la faccia del nostro pianeta. Se si fosse schiuso quando fosse stato ancora presso gli angel, per noi sarebbe stata la fine. Perciò dovevamo assolutamente impedire che rimanesse in mano loro. Avevamo deciso di rubarlo ma non sarebbe stato facile, perché l’uovo era custodito ad Angie town, la capitale del regno angelico. Era una città altamente protetta, che raccoglieva dentro di se tutti gli angel scampati alle distruzioni dei loro villaggi a opera nostra. A volte ci dispiaceva di dover distruggere la vita di quelle persone ma la guerra era anche quello.
Non sarebbe stato facile entrare, ma noi avevamo un piano che speravamo funzionasse. Non sapevo come infatti, ma mio padre era riuscito a trovare una mappa del castello reale, completa di passaggi segretissimi di cui sospettavo che nemmeno gli angel ne conoscessero l’esistenza. Era una fonte preziosissima per noi, che così saremmo potuti entrare senza farci notare da nessuno. Quando gli angel avrebbero scoperto il furto, noi saremmo stati lontani chilometri e al sicuro da qualsiasi loro ritorsione nei nostri confronti.
Finalmente asciutto mi rialzai e mi reinfilai armi e vestiti. Tornai al campo, dove tutti ormai erano già svegli. Papà si voltò verso di me, «buongiorno figliolo», mi disse la voce calda. Il mito dei genitori devil più freddi del ghiaccio era solo una bufala.
Sorrisi a mia volta, «giorno papà», gli risposi, andandogli vicino e dandogli una forte pacca sulla spalla in segno di affetto.
Ci sedemmo per terra e tirammo fuori la nostra colazione, ossia un po’ di pane freddo portato con noi dall’inizio del viaggio. Non potevamo perdere tempo a cucinare; essere in pieno territorio angel comportava molti pericoli, specialmente a causa delle molte pattuglie che svolazzavano per tutto il regno alla ricerca di un qualsiasi segnale che dicesse loro dove eravamo. Se ci avessero scoperti, per noi sarebbe stata la fine, perciò dovevamo viaggiare rapidi e soprattutto a piedi, se avessimo volato sopra agli alberi, saremmo stati scoperti ancora prima di arrivare al confine.
«bene», disse mio padre dopo aver finito la colazione, «ora ripassiamo un’ultima volta il piano; quando arriveremo sotto le mura con tutta probabilità non avremo il tempo di farlo. Dovremo agire rapidi come le ombre per evitare di farci scoprire», asserì con espressione serissima.
Tutti annuimmo e ci preparammo ad ascoltare un’ultima quello che avevamo escogitato per far riuscire il nostro attacco,  «come sappiamo sarà Sulfus a portare a termine la fase più delicata del piano. Noi saremo solo un diversivo; attaccheremo le pattuglie di angel davanti alle mura della città. In questo modo Sulfus», disse voltandosi verso di me con occhi fieri, visto che alla mia età ero stato scelto per portare a termine una missione di così grande importanza, «potrà arrampicarsi indisturbato sulle mura che confinano con il castello ed entrare di soppiatto. Usa la mappa per arrivare alla sala del trono senza farti trovare. Poi, dopo aver preso l’uovo di drago custodito lì, esci rapidamente da quel posto maledetto facendo il percorso inverso. Stai molto attento una volta dentro, un palazzo pieno di angel non è semplice da affrontare. Ma tu sei il più agile e il più forte di tutti noi, sei certamente il più adatto a portare a termine questa missione. Ma sta attento; non voglio perdere mio figlio», mi disse, rivolgendosi direttamente a me con sguardo seriamente preoccupato.
Io gli sorrisi determinato e fiducioso nelle mie capacità, «non ti preoccupare papà. Odio talmente tanto gli angel che niente e nessuno mi fermerà. Se si metteranno sulla mia strada sarà decisamente peggio per loro».
Lui scoppiò in una fragorosa risata e mi diede una pacca sulla spalla talmente forte che mi tolse il fiato, «questo è il mio ragazzo!», ululò, seguito da tutti.
Quando ci fummo calmati, Tyrer, che era anche l’esploratore del gruppo, si sedette di fianco a me nel cerchio, dopo essere tornato da una delle sue ricognizioni, e prese la parola, « ci conviene muoverci. Restare troppo tempo in territorio angel è pericoloso e si è fermi ancora di più. Inoltre tra poco passeranno alcune pattuglie, è meglio cominciare a muoversi», ci disse preoccupato. Quando pronunciò il nome angel, i suoi occhi si riempirono di odio. Era assolutamente comprensibile questo suo ribrezzo verso gli angel; suo padre, un generale dell’esercito, era stato ucciso in un’imboscata ad opera di quei disgustosi moscerini alati che, esattamente come i vili che sono, lo avevano affrontato in dieci contro uno. Ovviamente lui non aveva avuto scampo. Da allora Tyrer odiava ancora di più gli angel, ed in battaglia era crudele quasi quanto loro.
Alle sue parole diventammo seri in un attimo e cominciammo immediatamente a smontare il nostro campo provvisorio. Rapidamente mettemmo via tutto e nascondemmo ogni traccia del nostro passaggio, specialmente i residui del fuoco.
All’istante ci rimettemmo in marcia. Su mezzogiorno saremmo arrivati in vista di Angie town e, una volta lì, avremmo avuto poco tempo per agire. Dovevamo essere rapidi e letali, era l’unico modo per sopravvivere.
Mio padre mi si avvicinò, «allora, sei preoccupato per la tua prima missione?», mi chiese sorridendomi e mettendomi una mano sulla spalla.
Io alzai la spalle in segno di diniego e sorrisi elettrizzato, «non sono preoccupato, ma euforico. Non vedo l’ora di mettere le mani su qualche sudicio angel per far pagare loro tutto quello che il nostro popolo sta passando per causa loro», gli dissi, prima determinato e poi furibondo. Se pensavo che per colpa loro il nostro popolo era costretto a fuggire, era ridotto alla fame e soffriva tutti i disagi che comportava il non avere una dimora fissa, mi saliva il sangue al cervello, ancora di più se pensavo che, in realtà, tutto quello che era accaduto nel corso di questi cinque secoli, tutto quello che il nostro popolo aveva dovuto patire, era tutto stato frutto della pazzia mentale di un uomo che aveva cominciato la guerra solo per uno stupido e inutile desiderio di potere. Certo detto da un devil sembrava strano, noi eravamo avidi per natura, ma ci guardavamo bene dal compiere delle scelte che avrebbero portato conseguenze non solo a noi ma anche a decine di migliaia di altre persone. Soprattutto se quelle persone facevano parte del nostro stesso popolo. Dopotutto, tutti non volevamo che una cosa; vivere in pace.
La presa forte di mio padre mi fece tornare con la mente concentrata sulla discussione, «lo so che tutto questo ti fa infuriare», mi disse dolcemente, stringendo la mano sulla mia spalla in segno di conforto, «ma ricordati che rabbia, furia e dolore, in battaglia sono delle pessime consigliere. Un guerriero mentre combatto deve essere lucido, freddo privo di emozioni, perché ricordati che la rabbia porta alla tomba. Un guerriero deve essere in grado di prendere le decisioni sul momento senza farsi condizionare dai sentimenti; solo così potrà riuscire ad adempiere al suo compito e ad uscirne vivo», mi ricordò con uno sguardo serio stampato in viso. Mi ritornarono subito in mente tutti gli allenamenti che avevamo sempre fatto insieme. Mio padre teneva particolarmente al fatto che fosse lui a darmi l’istruzione militaresca di cui avevo bisogno. Secondo lui, ogni generazione doveva insegnare a quella successiva in modo da perpetrare le tradizioni di padre in figlio e di madre in figlia. Solo così le nostre credenze e le nostre conoscenze sarebbero sopravvissute. Ma ora se volevo sopravvivere dovevo evitare di dare in escandescenze come una qualunque testa calda e dovevo concentrarmi, altrimenti per me non ci sarebbe stata nessuna speranza di tornare a casa e di rivedere i miei cari.
Dopo il nostro breve discorso nessuno parlò più. Marciammo in religioso silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Probabilmente, c’era chi pensava allo scontro imminente, sperando di riuscire a mettere le mani su qualche angel e così di vendicarsi. Purtroppo molti devil, come scopo nella vita, avevano solo la vendetta. Certo, la vendetta era un qualcosa di onorevole per noi devil, ma di certo non in questo caso; non valeva la pena ridursi a degli automi assetati di sangue solo perché gli angel volevano indurci, con il loro comportamento, a essere così. Se ci fossimo lasciati condizionare dai loro comportamenti, avremmo perso le poche speranze che ci restavano.
Oppure qualcun altro pensava semplicemente alle persone che aveva lasciato a casa. Molti di noi avevano famiglia; figli da riabbracciare, mogli da baciare una volta tornati a casa, madri e padri che aspettavano fiduciosi il nostro ritorno. Anche io pensavo a mia madre a alla mia sorellina, Fiamma, di appena quattro anni, che era ancora troppo piccola per capire cosa stesse realmente accadendo al nostro mondo.
E la paura, a questi pensieri, si instillava dentro di noi; non paura della morte in se, ma la paura di non rivedere più le persone a noi care, paura di tutte le cose che potremmo ancora fare nella vita. Ma tutti eravamo consapevoli che qualcuno sarebbe potuto non tornare a casa; chi andava in battaglia era a conoscenza del rischio a cui andava incontro, quello di non poter rivedere nessuno delle persone a noi care e di venire feriti mortalmente o abbastanza gravemente.
Ma tutti eravamo felici di rischiare per la nostra patria e il nostro popolo; lo facevamo per avere un posto in cui vivere in pace, senza essere perseguitati come cani braccati, perché i nostri figli e i nostri nipoti potessero essere liberi di correre per la foresta o di nuotare nel mare senza avere la costante paura che qualcuno li potesse uccidere da un momento all’altro. E tutti eravamo felici di dare la nostra vita per qualcosa in cui credavamo e che avrebbe fatto la felicità di tutti.
All’improvviso papà diede l’ordine di fermarci. Tendemmo tutti le orecchie e ci irrigidimmo; un rumore di passi e armi si avvicinava abbastanza rapidamente a noi. Con un rapido gesto, mio padre ci ordinò di nasconderci nella boscaglia. Subito ci mimetizzammo; alcuni salirono sugli alberi, come e mio padre, nascondendosi fra le fronde dei rami più alti, mentre i rimanenti, come Tyrer, si affrettarono a nascondersi dietro tronchi e cespugli.
Restammo in attesa per qualche minuto, tesi come corde di violino, convinti che una pattuglia angel si stesse avvicinando. Ci stavamo già preparando a tendere loro un’imboscata, quando sentimmo delle voci che non ci saremmo mai aspettati di sentire; voci di ragazze. Ed era risaputo che gli angel non facevano entrare le donne nell’esercito. Ci guardammo un po’ accigliati; che avessero di recente cambiato abitudini? Se era così, per noi era un grosso guaio; eravamo già inferiori numericamente, così per noi non ci sarebbe stato proprio più scampo.
Delle fresche risate arrivarono alle nostre orecchie giusto pochi secondi prima di veder sbucare sotto di noi due figure. Rimanemmo scioccati, perché era chiaro che non facevano parte dell’esercito. Erano due angel, due ragazze circa della mia età, ma non sembravano incarnare la classica tipologia angel: erano armate fino ai denti, indossavano corpetti e pantaloni degni di guerrieri devil e, soprattutto, alla loro vista il mio sesto senso non era scattato come faceva sempre quando incontravo uno di loro. Possibile che per noi non rappresentassero un pericolo?
Fissai mio padre, che era interdetto quanto me. Le osservai meglio; una delle ragazze indossava un completo giallo e arancio, era di etnia africana e vantava dei grandi occhi viola e dei lunghi capelli bruni e boccolosi. A giudicare da come era messa adesso, immaginai che una volta cresciuta sarebbe stata mille volte meglio di come era ora. Sospirai sconsolato; peccato che fosse una angel. Insomma, rimaniamo pur sempre devil, è ovvio per noi essere quasi dei, diciamo, esploratori dei corpi femminili. Di molti corpi femminili.
Ripresomi dai miei deliri mentali, mi voltai verso l’altra e… rimasi folgorato! Era un angel stupenda; i lunghi capelli biondi le ricadevano morbidi sulle spalle fino alla vita e il corpo degno di una dea sembrava ammaliarmi nelle sue curve perfette e provocanti. Perfino il seno, anche se appena accennato, sembrava gridare tutta la sua perfezione. All’improvviso si voltò, mostrandomi il suo viso; era un ovale perfetto, sopra il quale spiccavano gli occhi azzurro intenso e il ciuffo rosso della frangia. Ma ciò che mi catturò più di tutto fu la sua bocca; le labbra erano perfette e carnose, di un bellissimo color rosa scuro che mi attirava peggio di una calamita. Mi ritrovai a desiderarla come non avevo mai desiderato nessuna. All’istante mi riscossi e  mi diedi mentalmente dell’idiota. Ma che cavolo andavo a pensare! Era una angel, cazzo! Una mia nemica giurata! Non dovevo pensare queste cose di lei!
Decidemmo di restare immobili, era ovvio che non rappresentavano un pericolo per noi. Non aveva senso attaccare se sapevamo che non sarebbe servito a niente se non a farci scoprire. Perciò era meglio rimanere fermi e zitti e aspettare che se ne andassero.
Le facemmo passare sotto di noi, mentre continuavano amabilmente a parlare, senza accorgersi che il pericolo era in realtà a pochi passi da loro. Poco prima che sparissero fra il folto del bosco, ebbi modo di godere della visione del meraviglioso fondoschiena della mia dea. Un violento calore si impadronì di me mentre la fissavo e cercavo di trattenermi dallo saltarle addosso e farla mia in quel preciso istante.
Pochi secondi e le ragazze sparirono nel bosco senza notarci. Ritornammo sul sentiero e ci guardammo stupiti. Mio padre fu il primo a riprendersi dallo shock iniziale, «per tutti i diavoli dell’Averno, ma che erano quelle due? Non ho mai visto angel del genere, soprattutto che per noi non sembrano rappresentare un pericolo», ci disse scioccato e incredulo.
Tyrer si scaldò subito, «con tutto il rispetto sire, ma ogni angel per noi è un pericolo», ci disse sprezzante, ma con un velo di dubbio negli occhi.
Colsi la palla al balzo, «andiamo Tyrer. Non mi dirai che il tuo settimo senso si è attivato guardandole; perché credo di parlare a nome di tutti quando dico che nessuno ha sentito provenire da loro sentori di pericolo», gli dissi sicuro di me, chissà perché desideroso di difendere quelle ragazze, quelle nemiche, che neppure conoscevo.
Tyrer e tutti gli altri si guardarono e non ebbero il coraggio di proferire parola, perché sapevano che avevo ragione.
«meglio rimettersi in marcia. Quelle due sono un chiaro segno che siamo molto vicini alla capitale e che conviene non restare fermi per troppo tempo», disse papà e tutti all’istante annuimmo, dimenticando quello strano episodio.
Ricominciammo a marciare in silenzio e, dopo poco tempo, con cautela ci affacciammo dagli alberi e ci ritrovammo di fronte Angie town, la capitale del regno angelico. Era stata costruita nel cuore di una radura al centro della foresta allo scopo di poterla difendere meglio. Era molto controllata ed era anche molto difficile da raggiungere e individuare se non ne si conosceva l’esatta ubicazione.
«molto bene», disse mio padre sussurrando, «diamo inizio al piano. Sulfus raggiungi il punto stabilito, aspetta qualche minuto e poi comincia a salire», mi disse porgendomi corda e rampino. Notai che, incastrata tra la corda arrotolata, c’era una lettera indirizzata a me; fissai mio padre interrogativo ma lui con un cenno della testa mi disse di aspettare e così frenai la mia curiosità e mi misi l’attrezzatura in spalla.
Mi voltai e cominciai a correre rapidissimo verso il punto concordato; si trattava di un punto delle mura a ridosso del castello che mi avrebbe permesso di entrare direttamente sul piano della sala del trono. Arrivato al punto concordato, mi accucciai tra i cespugli per evitare di farmi trovare dalle sentinelle che camminavano lungo le mura. Approfittai di quel momento di calma e presi la lettera che mi aveva lasciato mio padre:
 
Scusa Sulfus ma questa parte del piano non te la potevo dire a voce, perché riguarda delle cose top secret che le persone al di fuori della famiglia reale non possono sapere. Sicuramente ti starai chiedendo come abbia fatto ad ottenere una mappa così dettagliata del castello dei nostri nemici, come facessi a sapere il punto esatto dove arrampicarsi e come fossi venuto a conoscenza del percorso esatto delle pattuglie degli angel. Ebbene, è ora che tu sappia la verità; devi sapere che da anni due angel lavorano come nostre spie all’interno del castello, passandoci informazioni vitali e fondamentali per le nostre missioni. Lo so che stai pensando, ma ti assicuro che di loro ti puoi fidare, in tanti anni non ci hanno mai tradito. Fidati di loro, sarà la migliore scelta che potrai fare. Ti aspettano nella stanza in cui sbucherai e ti consegneranno qualcosa di molto importante per la riuscita del nostro piano. Buona fortuna.
Zolfurus
 
Io rilessi tre volte quella lettera, incredulo per quello che c’era scritto sopra. Spie angel; avevamo delle spie angel! Angel che ci aiutavano! Sorrisi euforico; non credevo che avrei mai visto un angel compassionevole nella mia lunga esistenza.
Prima di cominciare a salire però dovevo fare una cosa; chiamai Basilisco, la mia mascotte, ed ordinai la metamorfosi. Mi trasformai in terreno e aspettai. Dopo pochi minuti si scatenò l’inferno. Perfino io, che ero praticamente dall’altro lato della città, sentivo il clangore delle armi e le urla di battaglia dei miei compagni e dei nostri nemici. All’istante gli angel sulle mura si allontanarono verso la porta d’ingresso alla città per dare manforte alle altre pattuglie. Ghignai; ora io avevo campo libero.
Uscii allo scoperto e sentii la barriera magica attraversarmi. Per un momento mi fermai, con il cuore in gola, pregando che nessun allarme scattasse. Per fortuna non successe niente.
Sospirai di sollievo e arrivai alla base delle mura. Se avessi potuto volare sarei arrivato molto prima in cima ma Angie town era protetta da un campo di forza che riconosceva i devil che la toccavano e, quindi, faceva scattare un allarme che avvertiva gli angel della nostra intrusione. Ma ora ero un terreno; il mio potere ora era nascosto, perciò irrintracciabile, infatti avevo superato la barriera senza difficoltà. Però così avrei dovuto arrampicarmi e sarebbe stata una bella faticaccia. Inoltre avrei anche avuto meno forze per combattere nel caso avessi subito un attacco.
Ma tanto dovevo fare così perciò, con una mano, feci roteare il rampino e lo lanciai sopra alle mura, sperando che si fissasse al primo tentativo. Per fortuna, si ancorò proprio di fianco alla finestra dalla quale sarei dovuto entrare nel palazzo. Mi avvolsi le mani in due pezzi di stoffa, in modo da evitare escoriazioni e avere una presa più salda, e mi fissai la spada alla schiena in modo che non intralciasse la mia salita. Non avevo ne altri armi ne l’armatura con me; se dovevo arrampicarmi era meglio farlo con il minor peso possibile addosso.
Saltai, aggrappandomi agile alla corda, e, puntellandomi agilmente con i piedi al muro, cominciai la mia scalata. Dovevo essere abbastanza veloce, papà e gli altri non potevano tenere occupati gli angel a lungo. Ma sapevo anche che, una volta dentro, avrei dovuto cavarmela da solo, sia per trovare l’uovo che per uscire. Non potevano sostenere un attacco a lungo, perciò era stato concordato che mi avrebbero dato quindici minuti di tempo per arrampicarmi e poi sarebbero stati costretti a rifugiarsi nel bosco. E a quel punto sarei stato da solo. Se avessi fallito, la missione non sarebbe stata replicabile perché gli angel avrebbero appreso la nostra tattica e, se avessimo ritentato, sarebbero stati sicuramente ad aspettarci al varco.
Riuscii ad arrivare in cima nel tempo stabilito. Spalancai la finestra e saltai dentro la stanza. Riavvolsi rapidamente il rampino proprio mentre le guardie angel, soddisfatte di se stesse, tornavano ai loro posti.
«tu devi essere Sulfus», disse una voce squillante ma allo stesso tempo dolce dietro di me. Per lo spavento feci un salto alto tre metri e mi girai velocissimamente, sguainando all’istante la spada. Davanti a me due angel in tenuta da palazzo mi fissavano mezze sorridenti e mezze divertite. Intanto la mia mente stava già elaborando le possibilità che avevo per riuscire a sfuggire a quelle due e scappare portando a casa la pelle. Solo in un secondo momento mi resi conto che mi avevano chiamato per nome; avrebbero potuto saperlo solamente se fossero state le spie di cui mi aveva parlato mio padre.
Perciò mi rilassai e rinfoderai la spada, «immagino che voi siate le due spie», esordii sorridendo.
Loro scoppiarono a ridere e mi vennero incontro per stringermi la mano, «io sono Dolce», disse la prima presentandosi. Tutto in lei era rosa o fucsia; dai capelli ai vestiti e alle unghie laccate. Il tutto molto spesso era accompagnato da una spessa dose di brillantini. L’unica cosa di colore diverso erano gli occhi, di un grigio-azzurro abbastanza intenso.
«io sono Miki invece», disse la seconda avvicinandosi a me e stringendomi la mano a sua volta. Questa aveva capelli corti blu legati sul lato destro da una treccia. Il lato sinistro era fermato da tantissime mollette colorate. Aveva grandi occhi azzurro ghiaccio e vestiva con uno stile decisamente più maschile che femminile. Era una ragazza molto sportiva ma, anche se non era decisamente il mio tipo, riconoscevo che, a chi piaceva quel genere di bellezza, doveva risultare molto attraente.
«ora che abbiamo finito i convenevoli passiamo alle questioni serie», disse Dolce con voce ferma e decisa, «vieni, aiutami», mi disse avvicinandosi all’armadio per tentare di rimuoverlo. Sia io che Miki andammo subito ad aiutarla.
Quando finalmente il mobile fu spostato, apparve una piccola porta di legno incassata nel muro, «questo passaggio porta direttamente sopra alla sala del trono», disse Dolce e io mi preparai a ricevere più informazioni possibili sulla missione, «è da lì che si accede alla sala dove è custodito l’uovo di drago. Purtroppo l’entrata è nota solo alla famiglia reale, noi sappiamo solo che è grazie a questo che riuscirai a risolvere l’enigma che si cela dietro la stanza del drago», concluse, porgendomi un oggetto avvolto in un panno bianco.
Lo presi, lo svolsi dal suo involucro e, quando mi resi conto di che cos’era, sgranai gli occhi; era il sigillo della casata reale degli angel, quello utilizzato dai sovrani per ufficializzare gli editti e gli annunci del regno.
«secondo le informazioni in nostro possesso, la serratura ha la forma di questo sigillo», continuò Miki, «potrai aprire il passaggio per la sala del drago solo con questo. Secondo quello che siamo riusciti a raccogliere, sono i troni la chiave per riuscire ad aprire la serratura e, di conseguenza, aprire il passaggio», concluse.
Io annuii e presi l’involto nel quale era protetto il sigillo. Mi infilai nel passaggio e cominciai a strisciare ma all’improvviso mi sentii richiamare, «stai molto attento Sulfus. Non potrai usare lo stesso passaggio per tornare indietro, dovrai usare la mappa che ti ha dato tuo padre per uscire», mi disse Dolce. Io annuii e, gattonando, mi inoltrai nel tunnel.
Era piuttosto buio ma grazie ad alcune grate incassate nel pavimento la luce riusciva a filtrare quel poco che bastava ad illuminare l’ambiente. Ad un certo punto sentii delle voci e, piano piano, per evitare di fare rumore, mi avvicinai alla fonte del rumore. Strisciando pianissimo, mi posizionai proprio sopra all’ultima grata alla fine del passaggio. Sbirciai e mi ritrovai a fissare la sala del trono dall’alto. Osservai tutti i dettagli e mi soffermai sulle persone sotto di me; un uomo sulla quarantina dai capelli bluastri, poco muscoloso e vestito benissimo, stava parlando con quello che sembrava il capitano delle guardie, «l’attacco è stato respinto?», chiese lui senza particolari inflessioni nella voce.
Il capitano fece un inchino rapido, «sì, mio signore», rispose e io sussultai; quello era il re degli angel! La rabbia mi invase e fui quasi sul punto di perdere la calma; la cosa che volevo di più in quel momento era saltare giù e infilzare quel bastardo con la mia spada. Era colpa sua se il mio popolo stava facendo la fame! Era colpa sua se decine di donne e bambini erano stati assassinati! Era colpa sua se eravamo costretti a nasconderci come  cani braccati!
stavo per perdere completamente il controllo e commettere qualche sciocchezza, quando mi tornarono in mente le parole che mi aveva rivolto mio padre prima dell’inizio della missione e, con molta difficoltà, mi calmai. Dovevo tenere a mente che la mia non era una missione per attaccare ma per recuperare qualcosa di molto prezioso.
«ci sono state perdite?», chiese di nuovo il re, il mostro, al suo altrettanto mostruoso comandante.
«si molte purtroppo», rispose lui improvvisamente rigido e impaurito, «e…», deglutì rumorosamente prima di continuare a parlare, tanto che lo sentii perfino io, «non siamo riusciti ad uccidere neanche uno di loro», disse con un sussurro fioco.
All’istante l’espressione del re passò dal soddisfatto al furente, «CHE COSA?!», urlò, furibondo, «è mai possibile che senza gli aiuti non riusciate ad uccidere un devil che sia uno?!», concluse, avanzando minaccioso verso l’angel. Mi resi conto che faceva davvero paura in quello stato; capii perché il re degli angel aveva una pessima reputazione fra di noi.
«muoviti», sibilò furente, «andiamo a controllare le perdite», e, senza dire altro, uscì dalla sala del trono a passo di carica. In quel momento giurai a me stesso che avrebbe pagato per mano mia tutto quello che ci aveva fatto.
Tirai un sospiro di sollievo; stavo per perdere il controllo e saltargli addosso per farlo a pezzi. Il suo comportamento aveva messo a dura prova la mia pazienza. Certo ero un devil, e in quanto tale provavo un certo piacere nel combattere, ma di certo non lo provavo nell’uccidere. Io non riuscivo a giustificare la violenza gratuita, di qualsiasi tipo fosse. E per questo odiavo gli angel ancora di più; non riuscivo a capire come potessero essere così freddi e glaciali, come non riuscissero a provare pietà nemmeno per un bambino indifeso. Purtroppo noi devil avevamo perso il conto di quanti bambini erano stati uccisi da quei mostri per la loro sete di potere e vendetta.
Mi riscossi e decisi che era il momento di agire. Facendo attenzione a non farla cadere di sotto e quindi di fare rumore e attirare di nuovo gli angel nella sala, svitai la grata. Riuscii ad afferrarla prima che si staccasse del tutto e precipitasse al suolo. La appoggiai di fianco a me nel passaggio e guardai in basso; era un salto abbastanza alto ma se si sapeva come atterrare non era un problema. L’addestramento serviva proprio a prepararsi per queste evenienze ed io ero stato addestrato fin da piccolo per compiere queste cose. Capii anche perché Dolce mi aveva detto che non avrei potuto usare lo stesso passaggio per uscire; era troppo in alto perché riuscissi a risalire. Avrei dovuto trovare un’altra maniera per andarmene.
Presi il coraggio a due mani, consapevole che le probabilità di farmi male erano alte, e saltai nel vuoto. Per un momento che mi sembrò lungo un’eternità, caddi libero e senza peso nell’aria. Poi, come era iniziato, finì; mi schiantai al suolo con un tonfo che sarebbe stato potente se non fosse stato attutito dallo spesso tappeto che correva per tutta la sala. Rotolai su me stesso per attutire l’impatto, ma non potei evitare alle mie ginocchia di urlare di dolore. Mi rialzai, ignorando l’intorpidimento alle giunture, e mi preparai all’azione, conscio di avere poco tempo a disposizione. Ben presto un angel sarebbe sicuramente entrato nella sala e, se mi avesse trovato lì, non ci avrebbe messo molto a chiamare i rinforzi. Di conseguenza on ci avrebbero messo molto a ridurmi a dei bocconcini di devil, visto che, per quanto bravo fossi, non potevo affrontare da solo l’intero reggimento angel presente all’interno del castello. Ghignai; già mi immaginavo i cartelli. Stuzzichini di devil per pranzo.
Mi distolsi dalle mie stupide elucubrazioni mentali e mi decisi ad agire. Presi la mappa; doveva essere lì la chiave per risolvere l’enigma legato alla stanza dell’uovo di drago. La srotolai e la osservai attentamente: la sala mostrava i vari passaggi che mi avrebbero permesso di uscire indisturbato dal castello. Ce n’era uno dietro la statua del capostipite della stirpe ed era segnato anche il tunnel dal quale mi ero calato poco prima. Infine, in corrispondenza dei due troni, era disegnato in rosso il simbolo della casata angel. Tuttavia, non vi erano altri indizi. Sbuffai di frustrazione; niente che già non sapessi. Stavo brancolando nel buio e ormai il mio tempo era agli sgoccioli.
Riposi la mappa, attaccandola alla cintura, e mi avviai verso i troni, come Dolce e Miki mi avevano detto. Erano di legno scuro intarsiato e, sulla sommità dello schienale, spiccava dentro un tondo il simbolo angel. Cominciai a girarci intorno, tastando ogni minima parte sperando di trovare un pulsante o una leva di qualsiasi tipo che mi permettesse di accedere alla sala del drago. Finito il trono del re passai a quello della regina, incontrando però il medesimo risultato. Ossia niente. Digrignai i denti dalla frustrazione; per tutti i diavoli dell’Averno, dove avevano nascosto quel dannato pulsante?
Sapevo che era lì, ero certo che la chiave per aprire il passaggio segreto fosse lì. Ma dov’era? Avevo controllato completamente i due troni e non avevo trovato fessure o interstizi di sorta che mi dicessero che era quello il punto che mi interessava.
Frustrato, ripresi la mappa. Fissai il punto dei troni, segnato da quel simbolo che indicava sicuramente dove si sarebbe dovuto aprire il passaggio. Mi arrovellai, cercando una soluzione, consapevole ormai di non avere più tempo. era passato troppo da quando quell’uomo se ne era andato, perciò era chiaro che a breve sarebbe tornato indietro. Dovevo trovare la soluzione di quell’enigma alla svelta. Ma più tempo perdevo, più il mio cervello diventava incapace di formulare un’ipotesi decente. Mi resi conto, con mio sommo orrore, che stavo andando nel panico più totale. Era come un circolo vizioso; più il tempo passava, più la soluzione dell’enigma mi sembrava lontana e irraggiungibile, mettendomi addosso la bruttissima sensazione di essere costantemente osservato e braccato.
Stavo per perdere il controllo e sfasciare qualcosa, quando il mio sguardo si posò sulla sommità dei troni. Più precisamente dove svettava maestoso il simbolo della casata reale. Mi pietrificai e mi diedi dell’idiota. Ma certo come avevo fatto a non pensarci prima! Che stupido!
Mi avvicinai al trono del re e ci salii sopra in piedi, in modo che il mio viso fosse esattamente di fronte al simbolo. A confermare la mia teoria, mi accorsi che le ali erano leggermente rientrate rispetto allo sfondo, perciò presi il sigillo dal suo involto e provai ad avvicinarlo al marchio. Si incastrò perfettamente. Facendo una leggera pressione, ruotai il tondo e, quando arrivai alla fine, lo premetti. Si udì uno tonfo e una sezione del pavimento davanti ai due troni si spostò di lato. Esultai; ce l’avevo fatta. Il re era stato molto furbo; non c’è miglior nascondiglio di quello che, essendo sotto gli occhi di tutti, nessuno si immaginerebbe mai.
Mi avvicinai al buco nel pavimento. Guardai dentro e vidi che una stretta scala a chiocciola scendeva nel buio. Se fossi stato in forma sempiterna avrei potuto farmi luce con i miei poteri, ma visto che non potevo trasformarmi se non volevo far scattare l’allarme, avrei dovuto arrangiarmi. Cominciai a scendere i primi gradini, facendo attenzione a dove mettevo i piedi. Quando fui completamente sotto, la botola si richiuse dietro di me, lasciandomi nell’oscurità più totale. Imprecai fra me e me; non che avessi paura, dopotutto l’oscurità era l’ambiente ideale per ogni devil, ma così non sarei riuscito a vedere un accidente. Perciò, per avere almeno un po’ più di sicurezza, appoggiai la mano destra sul muro, in modo che almeno capissi dove stavo andando.
Continuai a scendere, facendo attenzione a dove mettevo i piedi. Sarebbe stato alquanto imbarazzante morire per una caduta dalle scale dopo essere arrivato fino a lì. Non sapendo quanto era lunga la scala, quando arrivai all’ultimo gradino, convinto di dover continuare a scendere, feci un altro passo nel vuoto e, quando toccai il pavimento, per poco non caddi per terra.
Mi guardai intorno; e ora da che parte dovevo andare? Improvvisamente vidi una luce fioca provenire dal profondo del tunnel, una luce calda e rassicurante. Perciò incominciai a muovermi in quella direzione a passo veloce, conscio ormai di non avere più tempo. man mano che mi avvicinavo alla fine del tunnel, la luce diventava più intensa.
All’improvviso sbucai in una sala circolare. I miei occhi, ormai abituati al buio, vennero per un momento accecati dalla luce improvvisamente così intensa. Perciò istintivamente li chiusi e, quando li riaprii, mi si presentò davanti uno spettacolo mozzafiato; una sala circolare, illuminata da delle torce che correvano lungo tutto il suo perimetro, al cui centro spiccava un piedistallo. Su questo piedistallo, dentro una teca di cristallo, spiccava, in tutta la sua bellezza, l’uovo di drago. Era di un bianco purissimo e catturava la luce emessa dalle torce riflettendola tutto intorno; sembrava un diamante, tanto la sua lucentezza era abbagliante.
Incantato da una tale visione, mi avvicinai alla teca. Dimentico della prudenza, alzai il coperchio della teca e presi l’uovo in mano, non curandomi dell’eventuale presenza di trappole. Fu questo a segnare la mia rovina. Non appena rimossi l’uovo dalla teca, questa si alzò, come privata del peso che la teneva giù. Risvegliandomi dal mio stato di trance, mi diedi dell’idiota. Sapevo esattamente cosa significava una cosa del genere. Perciò mi voltai e mi lanciai verso l’uscita della sala; intanto, due pannelli laterali si alzarono, rivelando delle balestre automatizzate che cominciarono a scoccare i dardi all’istante. Io ero stato rapido quel tanto che bastava da evitarne la maggior parte, ma la mia rapidità non era stata abbastanza. Proprio quando stavo per varcare la soglia del tunnel, una balestra lanciò con schiacciante precisione un dardo che si conficcò in profondità nella mia spalla destra. Urlai di dolore, portandomi la mano sinistra alla spalla in un gesto automatico. Mi fissai la ferita; la freccia si era conficcata in profondità e il sangue stava uscendo copiosamente. A quella velocità, avrei perso le forze molto prima di riuscire ad arrivare alla foresta e a consegnare l’uovo a mio padre perché fosse al sicuro.
All’improvviso scattò l’allarme. Imprecai in tutte le lingue che conoscevo. Dovevo sbrigarmi ad uscire da lì; se fossi stato fortunato, gli angel ci avrebbero messo un po’ a capire da dove proveniva l’allarme e io sarei riuscito ad allontanarmi prima che mi trovassero.
Corsi verso il vicolo, sperando di riuscire a non sbattere contro qualcosa nonostante l’oscurità. Ero già immerso nel buio, quando dall’uovo di drago avvolto nel mio braccio destro si levò una pallida luce che illuminò l’ambiente circostante per circa cinque piedi. Proruppi in un’esclamazione di stupore; sembrava quasi che il drago all’interno dell’uovo volesse farmi scappare.
Confortato dalla luce, arrivai rapido fino alla scala e cominciai a salirla. Stavo per uscire nella sala quando una voce mi bloccò, una voce che avevo già sentito prima, «guardie, venite presto! Il ladro è nella sala del drago! Il sigillo è incastrato nel trono!», urlò il re e mi diedi dello stupido. Potevo anche evitare di lasciare una prova così evidente del mio passaggio. Perciò ridiscesi di corsa le scale e coprii l’uovo con il panno, impedendogli di fare luce e così rivelare la mia presenza. Poi ordinai a Basilisco di ritrasformarmi in sempiterno. Se volevo avere una possibilità di uscire da qui, dovevo costruirmela in forma di diavolo, nel pieno dei miei poteri.
Una volta terminata la trasformazione, mi acquattai in un angolo della scala, giusto in tempo per vedere il re degli angel aprire la botola e scendere la scala. Decisamente stupido; se sai che c’è qualcuno ad aspettarti, dovresti almeno aspettare i rinforzi. Questo giocava decisamente a mio favore.
Ignorando il dolore alla spalla destra, nel cui braccio stringevo l’uovo di drago, sguainai con la sinistra la spada. Per fortuna ero ambidestro e sapevo combattere con tutte e due le mani.
Il re, giunto a metà scala, batté le mani, e una luce potente si irradiò per tutto il corridoio. Io, per fortuna, mi ero nascosto in punto in cui sarebbe stato impossibile individuarmi ad occhio nudo, perciò rimasi immobile e aspettai. Non appena fu davanti a me, fulmineo gli diedi un calcio nella schiena che lo fece rovinare a terra e, premendo la spada sulla sua gola, lo feci alzare.
Mi chinai da dietro sul suo orecchio e sibilai, «prova a fare una mossa sbagliata e giuro che ti taglio la gola seduta stante. In effetti non vedo l’ora ma fortunatamente per te in questo momento mi servi vivo per uscire di qui», conclusi con voce glaciale. L’uomo venne scosso da numerosi brividi di paura e impotenza. Sapeva che, in quel momento, non poteva fare niente per contrastarmi.
«cammina!», gli ordinai, dandogli un leggero spintone, e lui cominciò a muoversi lentamente su per la scala.
A metà scala, un manipolo di guardie si riversò nell’apertura. Si fermarono non appena di resero conto di qual’era la situazione.
«state indietro!», urlai, premendo ancora di più la spada sulla gola dell’angel; sentii la carne lacerarsi leggermente sotto la pressione della lama, «se vi azzarderete a fare la più piccola mossa, giuro che lo ucciderò senza alcuno scrupolo!».
Gli angel, che sapevano bene che un devil come me non scherzava mai, si affrettarono ad allontanare la mani dalle armi e ad alzarle in segno di resa. Con un secondo spintone, intimai al re di ricominciare a salire, cosa che cominciò a fare con una leggera titubanza. Ciò mi permise di elaborare un piano di fuga che mi avrebbe permesso di uscire dal castello senza lasciarci la pelle o qualcos’altro.
Quando fui nella sala, vidi che almeno una dozzina di angel fissavano preoccupati il loro signore, consapevoli che con un solo movimento del mio braccio avrei potuto porre fine alla miserabile vita del loro re.
Senza farmi notare, guardai in alto e, con soddisfazione, notai che la botola dal quale ero saltato prima era ancora aperta. Ora che avevo le ali potevo benissimo fuggire da lì, ma prima dovevo prendere un po’ di tempo per far si che gli angel non mi seguissero attraverso il passaggio. Perciò, con un ghigno, lanciai con tutta la forza che avevo il re verso gli angel, che si affrettarono a prenderlo al volo prima che cadesse a terra. Ma non sapevano che uno dei miei poteri consisteva proprio nell’aumentare la mia forza fisica, che avevo attivato quando avevo spinto via quell’essere. Perciò non furono in grado di fermare una spinta così violenta e caddero tutti a terra come sacchi di patate.
Io invece non persi un secondo. Non appena ebbi mollato quell’uomo, scattai come una molla, dandomi anche la spinta con le gambe, e raggiunsi la botola nel soffitto, proprio mentre alcuni angel si stavano preparando ad inseguirmi. Non appena fui dentro il cunicolo, con un calcio riposizionai la grata sull’entrata e la fusi con il muro grazie al mio potere di evocare le fiamme. Ora da lì non avrebbero più potuto inseguirmi.
Ripresi un attimo fiato; la stanchezza cominciava a farsi sentire, per non parlare del fatto che ogni secondo che passava il dolore alla spalla sembrava farsi più acuto. Sospirai e chiamai Basilisco; gli ordinai di ritrasformarmi in terreno, così non avrebbero potuto seguire la mia avanzata dai loro rilevatori.
Poi, appoggiandomi solo sulla mano buona, visto che il braccio destro reggeva l’uovo, cominciai a gattonare verso la direzione da cui ero venuto. Cercavo di essere rapido, ma la ferita sembrava pulsare come se ci avessi poggiato sopra un ferro rovente. Inoltre continuava a sanguinare e se non mi fossi sbrigato a raggiungere i miei compagni e mio padre, la missione si sarebbe conclusa con un fallimento totale.
Riuscii, per miracolo, ad arrivare alla porta del cunicolo. Cominciai a spingere, sperando che Dolce e Miki fossero ancora lì e potessero aiutarmi.
All’improvviso, dall’altro lato della porta, sentii il rumore di legno che grattava sul pavimento e, con uno scatto, la porta si aprì. Io, che ero appoggiato ad essa, mi sbilancia per l’improvvisa assenza di sostegno e caddi al centro della stanza. Subito Dolce e Miki mi trascinarono fuori dal passaggio completamente, per poi richiuderlo ed esaminare la mia ferita, «maledizione!», sbraitò Miki, «non ho tempo sufficiente per curarti, quelle guardie ci stanno addosso!», urlò, sentendo le guardie che correvano fuori dalla stanza alla mia ricerca. Se non mi fossi sbrigato ad uscire da lì, saremmo morti tutti e tre.
Riuscii ad alzarmi, aiutato dalle ragazze, «voi nascondetevi», dissi loro, chiamando Basilisco, «io li attirerò fuori dal castello. Dobbiamo preservare la vostra copertura», conclusi, mentre entrambe mi guardavano preoccupate.
«non ce la farai mai, Sulfus», disse Dolce, gli occhi dilatati dalla paura, «la ferita è troppo profonda e tu ti stai indebolendo troppo rapidamente. Ti prenderanno prima che tu ti porti al sicuro», concluse con un’analisi ovvia della situazione.
«sono più forte di quel che sembra», asserii convinto, «ce la farò», dissi, guardandole con determinazione.
Loro esitarono e poi annuirono. Si nascosero nel passaggio, in attesa che le acque tornassero calme e io mi ritrasformai in sempiterno. Subito l’allarme ricominciò a suonare e sentii gli angel correre verso la mia camera. Io spalancai la finestra e mi gettai in picchiata verso il bosco. Sentii all’istante gli angel inseguirmi. Mi inoltrai nella foresta, zigzagando fra gli alberi per evitare che le sentinelle appostate sulle mura mi potessero colpire con le loro frecce.
Ero riuscito a distanziarli ma dovetti scendere a terra; ero ormai troppo stanco, dovevo limitarmi a correre. Perciò, stringendo saldamente l’uovo sotto il braccio, dopo tutta la fatica che avevo fatto non l’avrei mollato neanche in punto di morte, scattai. Ma la mia corsa era troppo lenta; ero debilitato dal troppo sangue perduto, ben presto gli angel mi avrebbero raggiunto e per me sarebbe stata la fine.
Improvvisamente la luce aumentò e mi ritrovai in una radura circolare di singolare bellezza. Al centro, da un leggero picco, scendeva una cascata di acque limpide come il cielo, che poi andavano a formare un bellissimo laghetto. La luce si rifletteva sulla cresta dell’acqua, creando dei bellissimi giochi di luce. Poggiai la mano sul ginocchio, ansimando come un mantice e cercando di riprendere fiato.
Con un sospiro mi rialzai, pronto a riprendere la mia corsa nonostante la debolezza mortale che si stava facendo strada nel mio corpo. Ma quando rialzai lo sguardo mi pietrificai; due angel davanti a me mi fissava sorprese e impaurite. Ma non erano due angel qualunque, erano le stesse ragazze che avevamo incrociato prima nel bosco. Incrociai per un breve attimo lo sguardo della mia dea; era profondo, intenso, pieno di preoccupazione e pena. Rimasi per pochi secondi perso in quelle due pozze di cielo tanto belle quanto pure.
Improvvisamente mi riscossi. Digrignai i denti e le fissai con odio; se avessi saputo che sarebbero state loro a consegnarmi ai loro simili, non le avrei difese a spada tratta come avevo fatto. Per loro provai solo disgusto; erano proprio come i loro simili, non capivo come avevo potuto pensare che fossero diverse.
Però il mio sesto senso continuava a dirmi che loro non erano mie nemiche, che mi avrebbero protetto e aiutato. Poi vidi i suoi occhi posarsi sulla mia spalla ferita e sgranarsi; erano pieni di timore, ma non sembrava avere paura di me, piuttosto di quello che le guardie avrebbero potuto farmi se mi avessero preso.
Improvvisamente un urlo ci riscosse, «è andato da questa parte! Forza, quel bastardo non deve sfuggirci!». Erano le guardie che si stavano rapidamente avvicinando.
Fissai un po’ impaurito le due ragazze; ero consapevole che se loro avessero deciso di affrontarmi, io non sarei sopravvissuto abbastanza a lungo per raccontarlo. Ero allo stremo delle forze e un combattimento era molto al di là delle mie possibilità.
Un violento capogiro mi colse e mi ritrovai in ginocchio a terra, sostenuto dalla mano appoggiata a terra, altrimenti sarei di sicuro stramazzato al suolo. Capii che era finita; la ferita ormai era un puro fuoco e avevo completamente perso le forze per andare avanti. Portai la mano destra alla spalla in inutile quanto disperato tentativo di fermare il sangue che continuava a scorrere e riuscire a recuperare almeno un po’ di forze per riuscire ad alzarmi in piedi e a scappare. Non mi restava che arrendermi all’inevitabile; ben presto gli angel sarebbero arrivati a prendermi e io sarei morto.
Tanto improvvisamente quanto inaspettatamente, sentii un bracco caldo intorno alla mia schiena, mentre una mano mi prendeva il braccio sinistro e lo metteva intorno a delle spalle dalla struttura delicata. Chiunque fosse mi aiutò a rialzarmi e, quando alzai gli occhi, incontrai quelli luminosi e profondi della mia dea; era lei che mi stava sostenendo. Mi scostai debolmente, non potevo permettermi di fidarmi di lei, ma il suo sguardo implorante mise a tacere ogni mia resistenza. Era assolutamente bellissima e sentivo non solo di avere una completa fiducia in lei, ma anche di essere totalmente nelle sue mani. Io ero la creta e lei la scultrice, non avrebbe dovuto fare altro che modellarmi.
«Raf, ma sei per caso impazzita?!», urlò l’altra furibonda venendoci incontro, «non puoi aiutare un devil! Va contro tutte le nostre regole!», urlò scandalizzata.
Ma lei, Raf, così si chiamava, mi sorprese; con sguardo deciso la fissò negli occhi, «non lo lascerò morire Uriè. La mia coscienza non me lo permette e lo sai anche tu che ho ragione», disse con decisione, aumentando inconsapevolmente la sua presa su di me, come a volermi proteggere dalla sua amica, Uriè. Capii che aveva già preso la sua decisione; mi avrebbe aiutato. E, per un lungo quanto magico istante, sentii una gioia completa e totalizzante invadermi il corpo.
Vidi Uriè scuotere la testa rassegnata e fissare Raf con un misto di compiacimento e tenerezza, «tanto con te è impossibile ragionare vero? E poi comunque hai ragione. Non potrei mai lasciarlo morire», concluse e sentii Raf sorridere.
Corse dall’altro e, sostenendomi solamente per il fianco, visto che il braccio mi faceva una male cane per colpa della freccia, aiutata da Raf, mi trascinò nella boscaglia, premurandosi di non lasciare niente al suo passaggio, in modo da non tradire la nostra presenza. Chinai la testa, amareggiato; erano state molto più accorte di me.
Ci accucciammo dietro i cespugli che delimitavano la radura e mi fecero appoggiare con la schiena contro il tronco di un albero. Loro si rannicchiarono di fianco a me e io, esausto, mi appoggiai completamente contro Raf, abbandonando il capo sulla sua spalla. Con una mano, mi accarezzò dolcemente i capelli.
Dopo pochi secondi, una pattuglia angel entrò nello spiazzo. «non può essere andato lontano, maledizione! Trovatelo!», urlò il capitano delle guardie e subito tutti gli angel si misero alla mia ricerca frenetica.
Se continuava in quel modo, molto presto ci avrebbero trovati, e allora per me sarebbe stata la fine. Inoltre, anche le ragazze se la sarebbero vista male; mi avevano aiutato, un crimine imperdonabile agli occhi degli angel, e se le avessero scoperte avrebbero potuto patire un destino peggiore del mio.
Evidentemente loro la pensavano allo stesso modo, perché Uriè, alzò la mano e mostrò il numero due. Non sapevo cosa significava, ma evidentemente quelle due dovevano avere un loro linguaggio in codice, perché Raf annuì e Uriè sparì rapidamente tra il fitto fogliame del bosco.
Fissai Raf preoccupato, sperai che non fosse sparita per consegnarmi agli angel. Lei mi restituì uno sguardo di rassicurazione ed io mi rilassai leggermente contro di lei. Avevo capito che di loro potevo fidarmi.
Improvvisamente udimmo un rumore di passi farsi più vicino e, sbirciando fra i rametti del cespuglio, ci accorgemmo che una guardia si stava avvicinando a noi. Così ci avrebbe trovati! Seguendo l’istinto, mi aggrappai a Raf, sperando in un qualche miracolo divino, e seppellii il viso nella sua spalla, non volendo vedere cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Anche Raf mi strinse spasmodicamente a se.
Tremanti, stavamo già per darci per spacciati quando, con mia sorpresa, Uriè spuntò dalla radura dal lato opposto al quale eravamo noi; ora indossava un vestitino giallo che le arrivava alle ginocchia, le armi erano sparite e, cosa più importante, una ferita faceva bella mostra di se sul suo braccio sinistro. doveva essersela fatta per depistare gli angel. Improvvisamente capii; quel numero che aveva indicato prima doveva rappresentare la strategia che avrebbero usato per depistare gli angel.
Uriè tremava visibilmente e, proprio mentre le guardie si affrettavano verso di lei, teatralmente barcollò e cadde per terra. Un soldato la prese prima che toccasse il terreno, «che ti è successo?», le chiese il comandante.
«u-un devil», balbettò come se avesse appena visto un fantasma passarle accanto, «è sfrecciato accanto a me in quella direzione», disse indicando una direzione completamente diversa da quella in cui ci trovavamo io e Raf. Feci un debole sorriso di scherno, ci erano cascati, «io non stavo facendo niente, eppure quando mi è passato accanto, ha sguainato la spada e mi ha ferita al braccio. Oddio, non sapete la paura che ho avuto! Ho creduto di morire!», concluse, singhiozzando talmente bene che gli avrei creduto persino io se non avessi saputo che stava fingendo. E meno male che gli angel non sapevano mentire!
«tu!», disse ad un soldato indicandolo, «porta la ragazza a curarsi. Voi altri con me! Inseguiamolo!», e detto fatto, sparirono nella foresta lasciandoci soli.
Vidi Raf sospirare di sollievo e sciogliere la presa che, inconsciamente, teneva ancora su di me. Appoggiò la testa al tronco e chiuse gli occhi.
Io non resistetti e le parlai, «perché?», le sussurrai con voce roca e debole per via della ferita. Volevo sapere perché, nonostante fosse una angel, mi avesse aiutato.
La vidi trasalire e voltarsi verso di me, le guance in fiamme. Le facevo quell’effetto? Dentro di me non potei fare altro che gongolare, «perché sei un ragazzo come me. E, anche se sono nemici, i ragazzi non si uccidono. Mai», mi disse sorridendomi dolcemente, fissandomi negli occhi.
Io rimasi piacevolmente sorpreso. Era la prima volta che sentivo parlare di un angel compassionevole. Non potei fare a meno di ricambiare il suo sorriso.
Spinto dall’istinto, la attirai a me con il braccio buono, abbracciandola. Per un attimo la sentii rigida ma poi mi circondò a sua volta con le braccia, stringendomi dolcemente a sé e seppellendo il viso nel mio petto. In quel momento venni invaso da una sensazione di dolcezza e beatitudine disarmante; sentire la sua pelle calda e liscia contro la mia mi stava mandando in estasi. Non ero mai stato tanto bene in vita mia. Seppellii il viso fra i suoi capelli e le sussurrai, «grazie».
La sentii sorridere sul mio petto. Poi sciolse l’abbraccio e mi aiutò a rialzarmi. Sostenendomi, poiché ero ancora piuttosto debole, mi aiutò ad arrivare fino al laghetto. Mi fece appoggiare contro una roccia e mi fece lasciare l’uovo li di fianco. Lei sembrava non rendersi conto di quello che conteneva quell’involto e forse era meglio così.
Con movimenti il più delicati possibile, mi tolse la maglietta in modo da avere una visuale migliore della ferita. La vidi bloccarsi imbambolata a fissarmi il petto. Sogghignai; stavo gongolando sempre di più, «ti piace quello che vedi angioletto?», le chiesi con voce divertita ma ancora debole.
Lei sobbalzò e rialzò gli occhi, arrossendo come un peperone. Ignorandomi, forse troppo imbarazzata dalla figuraccia appena fatta, si scostò da me, ritagliò una pezza dalla mia maglia per potermi fasciare e si chinò sul lago per intingerla d’acqua. Quando si abbassò, notai una catena scivolarle fuori dalla maglia; mi incuriosii, anche perché un sospetto andava formandosi dentro di me.
Poi d’improvviso mi resi conto della posizione in cui si trovava e non potei fare a meno di lasciar vagare il suo sguardo su quel perfetto fondoschiena che si ritrovava; sodo e tonico, sembrava chiamarmi e lanciare messaggi assolutamente erotici. Dio, come avrei voluto poter toccare quei glutei così sodi e sentire se erano davvero compatti come apparivano.
Purtroppo mi scordai di distogliere lo sguardo, troppo preso ad ammirarla, e Raf mi colse con le mani nella marmellata, o meglio, con lo sguardo sul fondoschiena. La vidi ridacchiare, gustandosi la sua rivincita, «ti piace quello che vedi diavoletto?», mi chiese, provocandomi.
Volevo guerra eh? E guerra avrebbe avuto, «perché non dovrei angioletto? Sono appena stato salvato da un gran bel pezzo di angel. Dovrò pur rifarmi gli occhi no?», la mia risposta, iniziata in tono ironico, virò verso un tono più dolce verso la fine. Probabilmente lei non se ne rendeva conto, ma era di una bellezza straordinaria e sapevo che, una volta grande, avrebbe fatto girare molte teste maschili al suo passaggio. A quel pensiero una fitta dolorosa mi percorse lo stomaco; non sapevo perché ma non potevo fare a meno di considerarla una mia proprietà, nonostante sapessi che l’ultima cosa al mondo che poteva succedere era un’eventuale storia tra di noi. Poi mi resi conto di quello che avevo pensato. Mio dio! Avevo davvero detto “storia”?! Ero messo peggio di quanto pensassi.
La vidi arrossire e abbassare lo sguardo imbarazzata. Sorrisi; probabilmente non era abituata ai complimenti. Si chinò verso di me e cominciò a tamponarmi la ferita, cercando di essere il più delicata possibile. Nonostante questo delle fitte sporadiche mi colpivano ma, fortunatamente, erano sempre piuttosto deboli. La vidi esaminare con occhio critico la ferita. Sospirò; ormai avevo capito anch’io che, se avesse voluto farmi una medicazione corretta, avrebbe dovuto estrarre la freccia. E in quella posizione, avrei sicuramente provato un dolore atroce.
Mentre mi medicava la ferita, posai gli occhi sulla collana che aveva al collo per confermare il sospetto che si era formato prima nella mia mente. E infatti, non appena riconobbi il ciondolo che portava al collo mi pietrificai; era il simbolo della casata angel. E come ogni devil sapeva, solo i membri della famiglia reale portavano quel marchio con loro, sia che fosse in forma di collana, sia che avesse l’aspetto di qualche altro ornamento.
La fissai incredulo; quella davanti a me era di sicuro la principessa degli angel. Quando avevamo avuto la notizia, tredici anni prima, che era nata, fra di noi era sceso lo sconforto; speravamo sempre che i regnanti di turno non creassero il loro erede, in modo che le lotte di potere sconvolgessero internamente il regno angel. Così noi avremmo avuto modo di riorganizzarci e magari riuscire a vincere la guerra. Mi chiesi se avrei dovuto approfittare della situazione e prenderla come ostaggio; tenere prigioniera la principessa degli angel ci avrebbe permesso di avere un enorme vantaggio sui nostri avversari. Ma poi mi vergognai di averci pensato; Raf stava andando contro tutto quello che imponeva la sua società per salvarmi. Non potevo farle un torto del genere.
Decisi che era ora che le carte venissero alla luce; anche lei doveva sapere la verità, «e comunque, io sono Sulfus angioletto», le dissi, sorridendole dolcemente.
Lei alzò il viso e ancora una volta rimasi folgorato dalla sua bellezza. Arrossì e distolse per un momento lo sguardo. Ora ne ero certo; non avrei mai potuto tradirla, «Raf. Io sono Raf», disse in un sussurro dolce ed emozionato.
Non contento le feci il baciamano, in un gesto di galanteria che ormai fra noi devil era scomparso del tutto. Lei se possibile arrossì ancora di più. Dio, era deliziosa con quel rossore che le colorava le guance, «lieto di conoscerti mia principessa», le dissi, palesando che io, in realtà, sapevo chi era.
La sentii pietrificarsi alla mia frase, «come fai a sapere che io sono la principessa degli angel?», mi chiese, il tono di voce preoccupato. La potevo capire; probabilmente aveva tratto le mie stesse conclusioni. Ma non avrei mai potuto farle del male.
«il tuo ciondolo», le dissi, sorridendole rassicurante, «solo i reali lo portano». La vidi rilassarsi e ricambiare il sorriso, aveva capito che non avevo intenzione di torcerle neanche un capello.
«e comunque guarda», le dissi, mostrandole il braccialetto che portavo al polso. Il pendente, un sole nero e rosso attraversato da una spada, era il simbolo della casata reale devil. Se, come sospettavo io, fosse stata acculturata sulla situazione dei nostri regni, sicuramente non ci avrebbe messo molto a fare due più due ed a capire tutto.
«ma allora tu…», disse balbettando, gli occhi grandi dalla sorpresa. Come avevo immaginato.
«sì, sono il principe dei devil. Ora vuoi uccidermi?», le chiesi, il tono di voce pieno di dolore nascosto male. Ti prego no dire di sì, pensai fra me e me; non potrei sopportarlo. Ero inspiegabilmente attratto da quella angel e, inoltre, mi fidavo ciecamente di lei. Se mi avesse dimostrato che mi sbagliavo, sarebbe stato un duro colpo per me.
«no. Non potrei mai farlo», mi disse sorridendo dolcemente e accarezzandomi con una mano la guancia. Il tocco della sua pelle calda contro la mia accese tutte le terminazioni nervose del mio corpo. Avrei tanto voluto stringerla tra le mie braccia per sentire se la sua pelle era davvero morbida come sembrava e se i suoi muscoli erano sodi come apparivano. Sorrisi ampiamente stavolta, felice della risposta; non avrei potuto chiedere di meglio.
Perciò, senza perdere altro tempo, consapevole che, probabilmente, dopo che saremmo tornati ognuno alle rispettive case, non ci saremmo rivisti mai più, immersi la mano sana nei suoi setosi capelli, l’attirai a me e la baciai dolcemente e delicatamente. La sentii per un attimo irrigidirsi, ed ebbi timore che mi avrebbe respinto. Invece, dopo il primo momento di esitazione, si sciolse e mi baciò a sua volta, stringendo le braccia attorno al mio collo.
Non fu bacio come quelli che mi davo di solito; questa era tenero e delicato, non forte e passionale come quelli che mi rifilavano sempre quelle sgualdrine che si trovavano in città. Eppure, nonostante questo, mai un bacio mi aveva provocato più brividi di quello e mi aveva dato più piacere. Era un primo bacio in piena regola. Raf fece scivolare le mani fra i miei capelli, stringendo dolcemente la presa, mentre il mio braccio scivolava dal suo viso alla sua vita e la stringevo al mio petto. Il contatto si approfondì, ma rimase comunque dolce e tenero.
Quando ci staccammo, ormai senza più fiato, mi resi conto di quello che avevo fatto. ma come potevo essere stato così stupido?! Non potevo permettermi di provare certi sentimenti per quella che, a conti fatti, era una mia nemica! Non potevo e non dovevo! Ma, dio, lo volevo con tutto me stesso!
Mi affrettai a riparare al danno commesso, «scusa io… non so proprio cosa mi sia preso», le dissi, distogliendo immediatamente lo sguardo per evitare che vi leggesse dentro quanto fosse stato difficile per me dire quelle parole. Però con la coda dell’occhio la vidi abbassare la testa, come se fosse delusa. Mi accigliai; che aveva? Però mi prese la mano e mi costrinse a voltarsi. Mi rassicurò con lo sguardo e io mi rilassai di nuovo.
Ritornò con lo sguardo sulla ferita e mi fissò con occhio critico, «devo toglierti la freccia. Sei pronto?», mi chiese, scrutandomi con sguardo preoccupato.
Io annuii; dovevo esserlo per forza. Serrai gli occhi. Lei prese in mano la freccia e, con un unico colpo secco, la estrasse dalla carne. Il dolore fu lancinante e si propagò nel mio corpo da capo a piedi. Spalancai gli occhi, sforzandomi di trattenere l’urlo di dolore che stava nascendo nella mia gola. Raf, capendo all’istante, mi abbracciò con forza e io soffocai la testa sul suo petto, cercando di soffocare il grido nell’incavo del suo seno ancora molto leggero.
Quando l’urlo si esaurì, la fissai negli occhi e la ringraziai con lo sguardo. Poi Raf riprese la pezza che aveva usato prima e la usò per fasciarmi la spalla.
Improvvisamente capii cosa dovevo fare; visto che volevo che si ricordasse di me per sempre e anche che sapesse che io la rispettavo come se fosse stata un membro del mio popolo, compresi che c’era un’unica cosa che potevo fare. Con rapido movimento della mano, presi il suo polso e ci attaccai il mio braccialetto, quello della casata. Da noi era un gesto molto importante, voleva dire che ti fidavi di quella persona.
La vidi fissarsi incredula la mano, come se non credesse ai propri occhi, «così potrai sempre ricordarti di me», le dissi, in un sussurro fioco e dolce.
Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, lacrime che scesero lente lungo il suo viso. la vidi stingersi il polso al petto, come se fosse stato una reliquia. Non ebbi il tempo di formulare un altro pensiero coerente, che vidi Raf togliersi la collana per darla a me. Fissai incredulo il ciondolo che ora pendeva dal mio collo, «così anche tu potrai ricordarti di me», mi disse, sorridendomi dolcemente. Io ricambiai.
A interrompere quel momento pressoché perfetto, arrivò il rumore di passi. Subito vidi Raf voltarsi verso il punto da cui veniva il rumore, preoccupata che potessero essere di nuovo gli angel. Ma io sapevo che non era così; avevo riconosciuto il rumore leggero e ovattato dei passi.
A confermare la mia teoria, papà e gli altri entrarono nella radura, fissando stupiti e disgustati Raf, che dal canto sembrava leggermente preoccupata. Io però non ci badai; stavo fissando con sguardo assassino i miei simili, ammonendoli di non azzardarsi a fare niente contro di lei. Capii che ero disposto a combattere contro i miei stessi simili pur di difenderla.
Raf si voltò verso di me e mi guardò interrogativa. Io la fissai determinato negli occhi, «aiutami ad alzarmi», le dissi e lei subito si portò al mio fianco, aiutandomi a rimettermi in piedi.
Non appena Raf mi toccò i devil scattarono. Tyrer si lanciò a spada tratta verso di lei, «non lo toccare, stronza di una angel!», urlò, caricando il colpo.
No, non l’avrei permesso, «stai lontano da lei!», gli urlai, parandomi davanti a Raf per farle scudo con il mio corpo. Tyrer fu costretto ad arrestarsi.
Tutti mi fissarono sorpresi e disgustati, «Sulfus, ti rendi conto che quella è una angel?», mi chiese mio padre cauto, sapendo quanto io fossi razionale e che difficilmente avrei avuto una reazione del genere senza i miei buoni motivi.
«padre», esordii, cercando di rimanere calmo e di spiegare a tutti la situazione. Non avvertii segni di sorpresa in Raf, evidentemente aveva già notato la somiglianza che correva fra me e lui, «è vero, è una angel, ma una angel che mi ha salvato la vita. Se non fosse stato per lei, probabilmente ora non sarei qui a parlarti», conclusi, sorridendo dolcemente a Raf, che ancora leggermente impaurita si stringeva a me.
A quel punto papà, convinto dal mio discorso, allungò lo sguardo verso Raf, ancora in parte coperta dal mio corpo, «avvicinati mia cara. Ti do la mia parola d’onore che non ti faremo del male», le disse. Raf mi fissò titubante ma io le sorrisi, rassicurandola. Sapevo che se mio padre dava la sua parola la manteneva.
Perciò Raf si raddrizzò e cominciò a camminare lentamente verso mio padre. Nella sua camminata riuscii finalmente a vedere la regalità che emanava la sua persona. Rimasi abbagliato da lei e notai che mio padre se ne era accorto. Accidenti, ora mi avrebbe fatto il terzo grado.
Raf si arrestò a pochi passi da papà, passi che colmò lui avvicinandosi a lei. Notai che era imbarazzata, ma non sembrava impaurita.
«posso vedere la tua mano?», le chiese papà e sia che Raf ci irrigidimmo. Avevamo entrambi lo stesso pensiero; come avrebbe reagito mio padre sapendo che avevo dato il bracciale della famiglia a lei?
«e così ti ha dato il braccialetto», le disse, non arrabbiato come mi aspettavo ma incredulo e felice di aver trovato qualcuno che condivideva le nostre convinzioni, «sai, questo è un gesto che fra noi devil ha un significato simbolico molto importante. Vuol dire che stimiamo e ci fidiamo di quella persona come se fosse un membro della nostra famiglia», le spiegò e io desiderai sotterrarmi dalla vergogna. Quello era un particolare che non avevo raccontato a Raf. Mi grattai la testa imbarazzato, proprio mentre Raf si voltava a guardarmi.
Papà sorrise divertito, vedendomi forse per la prima volta in difficoltà, «lui non ti ha detto niente vero?», le chiese.
Raf mi fece un mezzo sorrisetto di complicità che ricambiai. Poi la raggiunsi di fronte a papà e, ascoltando solamente il mio istinto, considerando che papà mi avrebbe comunque sottoposto a un interrogatorio, avvolsi la vita di Raf con il braccio buono. La vidi arrossire all’inverosimile, probabilmente perché eravamo esattamente di fronte a mio padre, ma si riprese in fretta, «no, non mi aveva detto niente vostra maestà», rispose, e vidi tutti trasalire quando si resero conto che sapeva chi era in realtà l’uomo di fronte a lei, «ma le posso assicurare che ho ricambiato per lo stesso motivo», concluse, lasciando papà di stucco.
Solo allora lui sembrò accorgersi del ciondolo che ora pendeva dal mio collo. Lo fissò sbalordito, raggiungendo la stessa conclusione che io avevo raggiunto prima di lui, «da quel ciondolo deduco che tu sia la principessa angel», le dissi con una punta di ammirazione nella voce, perché l’ultimo aiuto che un devil poteva aspettarsi era proprio quello della famiglia reale.
«allora uccidiamola che aspettiamo?!», gridò Tyrer, fissando i suoi occhi eccitati e assassini sulla mia angel, «se la uccidiamo poniamo fine alla guerra, perché gli angel perderanno la loro discendente», urlò sguainando la spada e facendo un passo minaccioso verso di noi.
Sentii Raf rabbrividire e stringersi istintivamente a me in cerca di protezione, una protezione che io non le avrei mai negato. Aumentai la presa sul suo fianco e fissai Tyrer con sguardo assassino, «tu osa toccarla e giuro che ti faccio frustare talmente tanto che implorerai la morte prima di arrivare alla fine»,sibilai inferocito come non mai verso di lui che, inconsciamente, arretrò di un passo.
Raf mi fissò commossa e riconoscente. Mi aveva visto andare contro i miei simili per proteggerla e questo per lei valeva più di qualsiasi cosa.
«stai fermo al tuo posto Tyrer», ordinò mio padre con una voce tale che avrebbe messo paura persino a me, «tutti voi state fermi al vostro posto. Nessuno toccherà questa ragazza», ordinò e tutti furono costretti, anche se di malavoglia, ad ubbidire.
Poi si rivolse di nuovo a Raf, «hai salvato la vita a mio figlio. Ti ringrazio per questo. Ora abbiamo un debito con te. Dimmi cosa posso fare per ripagarti», le disse gentilmente. Il nostro codice ci imponeva di ricambiare in qualche modo il favore che ci era stato fatto.
Raf sorrise dolcemente e la sua risposta spiazzò tutti, «voi non mi dovete niente. Ho fatto solo quello che la mia coscienza e il mio cuore mi dicevano di fare», disse, ma poi improvvisamente si intristì,«l’unica cosa che vi chiedo è di trovare un modo pacifico di far finire la guerra. Non sopporto più di vedere le persone ammazzarsi l’un l’altra. L’unico desiderio che vorrei veder realizzato adesso è la cessazione della guerra», ci disse, e tutti rimanemmo stupiti dal suo desiderio. Era la prima volta che incontravamo un angel che non era assetato di sangue. Capii che anche gli altri, soprattutto mio padre, anche se non lo volevano dare a vedere, erano rimasti molto colpiti dal mio angelo. Aspetta; mio?! Accidenti ero messo veramente male.
Con mia grossa sorpresa, papà chinò la testa in segno di rispetto, «è difficile purtroppo e anche noi siamo stanchi del sangue e della morte. Ma ti assicuro che abbiamo fatto e continueremo a fare tutto il possibile perché la guerra finisca», le rispose lui, la voce piena di ammirazione. Capii che papà non avrebbe più dubitato di lei; in questa breve conversazione gli aveva dimostrato di essere diversa, e questo lui non l’avrebbe di sicuro dimenticato.
Papà si chinò improvvisamente e le fece il baciamano. Raf arrossii all’istante all’inverosimile. La sentii borbottare qualcosa, «ma allora è un vizio di famiglia mettermi in imbarazzo», sussurrò, ma io la sentii lo stesso. Cercai di soffocare una risata con un colpo di tosse ma lei se ne accorse e mi fulminò con lo sguardo. Cercai di trattenermi.
Papà le riprese il polso, «porta con te questo bracciale», le disse, sfiorandoglielo con le dita, «sarai sempre la benvenuta tra di noi. Hai dimostrato di essere una buona amica per noi devil», poi la lasciò e la vidi annuire. Sapevo però che sarebbe stato pressoché impossibile rivederci. «credevo che ormai la gentilezza degli angel fosse tutta una diceria, perché in battaglia non ho mai visto angel compassionevoli. Ma tu oggi mi hai dimostrato che quel tipo di angel esiste davvero», le disse con mia grandissima sorpresa, facendole un complimento bellissimo.
Vidi gli occhi di Raf brillare, prima che lei facesse un inchino di riconoscenza. Dallo sguardo che fece, capii che papà aveva apprezzato molto il gesto. Infine ordinò a tutti di ritirarsi nella boscaglia. Tutti se ne andarono e anche Tyrer li seguì, dopo aver preso l’uovo di drago. Papà mi fissò e io con lo sguardo lo implorai di lasciarmi solo con Raf. Volevo almeno salutarla prima di separarci per sempre. Papà capì e seguì gli altri.
Ora era arrivato il momento che speravo non arrivasse mai; il momento della separazione, «beh a quanto pare finisce così», le dissi, il dolore ormai insopportabile. Non volevo separarmi da lei, non ero ancora pronto. Ma volente o nolente lo dovevo fare, «probabilmente noi non ci rivedremo mai più», le dissi voltandomi dall’altra parte perché, con mia sorpresa, i miei occhi si erano riempiti di lacrime. Non volevo che lei le vedesse.
Lei da dietro mi prese una mano nella sua, «io non so se davvero non ci rivedremo mai più», mi disse, e notai che anche la sua voce era piena di lacrime, «ma so che non mi scorderò mai di te, Sulfus».
Non resistetti oltre; mi girai di scattò e la attirai a me con il braccio buono visto che l’altro non riuscivo a muoverlo. La strinsi a me con forza, seppellendo il viso nei suoi capelli. Anche lei si aggrappò a me con tutte le forze che aveva, come se non volesse lasciarmi andare. Aspirai profondamente il suo odore, conscio che non avrei più potuto farlo. Sentii le lacrime che Raf stava versando bagnarmi il petto.
Dopo un po’ di tempo si staccò con lo sguardo, come se non volesse farmi vedere la sua espressione, «ora devo andare. Uriè non può coprirmi a vita», mi disse, voltandosi già pronta ad andarsene. No! Urlò la mia mente. Non ero ancora pronto a lasciarla andare; non lo ero, non lo ero! Non volevo che si allontanasse da me! E poi la desideravo come un disperato; non volevo che si andasse via prima di averla baciata di nuovo.
Perciò le strinsi un polso, la voltai verso di me e feci incollare febbrilmente le sue labbra alle mie. La sentii aggrapparsi alle mie spalle, mentre il mio braccio andava a saldarsi alla sua vita. Il bacio fu molto più passionale del precedente, fu in un certo senso disperato, perché entrambi sapevamo che sarebbe stato l’ultimo.
Ci staccammo ansanti. Lei aveva le guance rosse, le labbra gonfie e gli occhi lucidi; non esisteva visione più bella, «scusami. Ma volevo finire con un bel ricordo di te. Non so perché ho questi istinti ma volevo ricordarti così», le dissi cercando di spiegarmi, cancellando le guance che non accennavano a smettere di scendere sulle sue guance.
Lei però mi sorrise, «a me in fondo non è dispiaciuto come primo bacio», mi disse e sentii la gioia dilagare in me. Ero il primo! Sorrisi a trentadue denti, felice come non mai. Poi mi feci triste; era giunto davvero il momento, «ringrazia la tua amica anche da parte mia»,le dissi con voce spenta.
«lo farò», mi disse con voce rotta Raf. Sembrava si stesse sforzando di non piangere. Alla fine anche io stavo lottando contro il magone che mi aveva chiuso la gola.
«ciao Raf», le dissi debolmente, voltandomi verso dove erano scomparsi i miei simili, nonostante il mio cuore e la mia mente volessero rimanere con la ragazza che era al io fianco in quel momento.
«ciao Sulfus», mi disse in un sussurro fioco e debole. Mi cullai nell’illusione che anche lei volesse rimanere con me.
Voltai il viso verso di lei, le feci un mezzo sorriso che ricambiò e poi mi avviai verso la foresta. Quando la foresta si chiuse su di me, mi fermai per asciugare una lacrima che era riuscita a sfuggire al mio controllo.
Alzai lo sguardo e per poco non mi venne un colpo; tutti i ragazzi, papà compreso, erano appesi ai rami, cercando di passare inosservati. Erano assolutamente ridicoli ed era anche ovvio che avevano sentito e visto tutto. Che spioni!
Li fissai incredulo mentre tutti scendevano, cercando di non incontrare i miei occhi, «ehi Sulfus, allora fatto tutto?», mi chiese mio padre cercando di fare l’indifferente.
Non resistetti e scoppiai a ridere, «oddio quando fate così siete peggio delle vecchie comari di paese!», ululai, nonostante la tristezza che sentivo ancora dentro di me. Le loro facce erano troppo esilaranti.
Vidi tutti quanti distogliere gli occhi e mugugnare qualcosa senza senso. Poi papà si fece serio e mi si avvicinò. Esaminò la spalla ferita con occhio critico, «stai bene? Ti fa male?», mi chiese, controllando il bendaggio.
Io negai col capo, «non preoccuparti, Raf mi ha fasciato bene», gli dissi, mentre una nuova ondata di tristezza mi invadeva l’animo.
Papà sembrò notarlo e non mi chiese nient’altro, «a casa ne riparliamo. Ho l’impressione che dovrai darmi qualche spiegazione», mi disse seneramente, scompigliandomi affettuosamente i capelli.
Io gli sorrisi, grato che avesse capito che in quel momento volevo stare da solo, «forza andiamo», disse papà con tono perentorio, «gli angel ci cercheranno per mari e monti per riavere il loro uovo. È meglio sbrigarci. Torniamo a casa», concluse e tutti sorridemmo contenti. Almeno saremmo stati tranquilli per un po’ prima di riprendere a combattere.
Per tutto il pomeriggio marciammo e per tutto il tempo io non proferii parola. Ero ancora troppo addolorato per riuscire a parlare con qualcuno. Mi sembrava di sentire in ogni momento la morbidezza della pelle di Raf sotto le mie dita e la dolcezza del suo sapore sulla mia bocca. Cercai di smettere di pensarci, consapevole che non l’avrei rivista mai più e che ogni ricordo avrebbe fatto male più di una pugnalata, ma non ci riuscii. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a smettere.
Quando ci fermammo per la notte, mi avvolsi nel sacco a pelo, facendo attenzione alla spalla ferita, e guardai le stelle, immaginando che anche Raf, da qualche nel castello di Angie town, stava dormendo sotto lo stesso cielo.
«buonanotte Raf», sussurrai al vento e, sfiorando delicatamente la collana che mi aveva regalato, mi addormentai.

THE_WEREWOLFGIRL_97: CIAO AMORE!!! CHISSA' PERCHE' INTUIVO CHE IL VERDE ERA IL COLORE PER TE ^^ VISTO CHE GENIO? XDXDXD FELICE DI SAPERE CHE IL CHAPPY TI HA COLPITO IN MANIERA POSITIVA ^^ EHHHHHHHHHHHHHHHH LO SO CHE E' LA PIU' BELLA, MI SONO DIVERTITA DA MATTI A SCRIVERLA ^^ COME HO DETTO ALL'INIZIO DELLA STORIA, QUI NIENTE E' COME SEMBRA, CI SARANNO TALMENTE TANTI DOPPI E TRIPLI GIOCHI CHE VI FARO' GIRARE LA TESTA XDXDXD PER IL BACIO SI FORSE IN CONDIZIONI NORMALI SAREBBE STATO PRESTO, MA ENTRAMBI PENSANO CHE DOPO QUEL GIORNO NON SI RIVEDRANNO MAI PIU'... PERCIO' PER UNA VOLTA, AL BANDO LA RAGIONE, VIVA L'ISTINTO!!! XDXDXD BEH PER QUANTO RIGUARDA IL BRACCIALETTO HO GIA' UN IDEA, VEDRAI NEL PROSSIMO PEZZO, DI NUOVO DA PARTE DI RAF...PER QUANTO RIGUARDA LA MADRE DI SULFUS, TRANQUILLA E' VIVA, SOLO CHE ESATTAMENTE COME GLI ANGEL, I DEVIL NOV VOGLIONO LE FEMMINE NELL'ESERCITO... BAH MASCHILISTI è.é SPERO CHE IL CHAPPY TI SIA PIACIUTO KISS ^^
MARIA95/YANI95: CIAO MARIA!!! ECCO A TE IL CHAPPY FRESCO FRESCO DI PRODUZIONE... SPERO TI PIACCIA COME L'ALTRO KISS^^
CFRANCY: GRAZIE MILLE, FELICISSIMA CHE TI PIACCIA... PER L'ETA', DAL CONFRONTO FRA I DUE PEZZI NOTERAI CHE RAF, ESSENDO PIU' PICCOLA DI SULFUS, PROVA QUALCOSA CHE E' PIU' ATTRAZIONE CHE AMORE, SOLO CHE GIUSTAMENTE LEI NON SE NE RENDE CONTO, SULFUS INVECE, GIA' PIU' MATURO, PROVERA' QUALCOSA DI PIU' FORTE... ALMENO IO HO CERCATO DI DARE QUEST'IMPRESSIONE SE POI NON E' QUELLO CHE E' ARRIVATO MI DISPIACE MOLTO T-T ODDIO SE IL TUO SENSO CRITICO FA VERAMENTE COSI' PAURA DEVO RITEBERMI FORTUNATA XDXDXD SPERO CHE QUESTO CHAPPY TI PIACCIA COME L'ALTRO. IHIHIH PER L'INCONTRO HO QUALCHE IDEUZZA IN MENTE... MA NON DICO ALTRO XDXDXD KISS^^
THEBLACKANGEL: AHAHAH NON IMPORTA, AVEVI GIA' LETTO DALL'ALTRA PARTE D'ALTRONDE ANCH'IO SONO FUSA LA MAGGIOR PARTE DELLE VOLTE XDXDXD IHIHIHIH PER QUELLO CHE PENSA SULFUS ECCOTI SERVITA, ANCHE SE NON PENSA PENSIERI TROPPO SCABROSI... PER ORA!!! MUAHAHAHAH BEH IL REINCONTRO DOVRAI ASPETTARE UN PO', NON MOLTISSIMO MA UN PO'... E NON FARE PENSIERI CONTORTI, PRIMA DI QUELLO NE PASSA ACQUA SOTTO I PONTI XDXDXD PER L'ETA' PER ORA SONO PIU' PICCOLI, COME HAI VISTO NEL PRIMO CHAPPY HANNO RISPETTIVAMENTE 13 E 15 ANNI, MA DAL TIPO TERZO O QUARTO CAPITOLO IN POI AVRANNO 18 E 20 ANNI ^^ SAI PER FARE MAMMA E PAPA' BISOGNA AVERE UNA CERTA ETA' XDXDXD BUON NATALE ANCHE A TE CICCIA (ODDIO ADESSO CI RIDUCIAMO COME LE PUBBLICITA' DELLA WIND, TUTTE CICCIO E CICCIA XDXDXD) KISS ^^
NIMUEH: ODDIO ADDIRITTURA SENZA PAROLE.. NON ESAGERIAMO^^ FELICE CHE IL CHAPPY TI SIA COSI' PIACIUTO ^^ GIA' SULFUS LO FARO' SO SWEET IN QUESTA FICCY, PERCIO' PREPARATEVI A MOLTE DOSI DI MIELE IN FUTURO XDXDXD SU RAF SIAMO D'ACCORDISSIMO, IO ADORO LE PRINCIPESSE GUERRIERE, VIVA LE DONNE!!! XDXDXD SULLA BAMBINA NON RIVELO NULLA MA RICORDA... NIENTE E' COME SEMBRA!!! ^^ KISS^^
PS SI SCRIVE XENA XDXDXD


RAGAZZE AU REVOIR A TODOS!!! (OK FORSE DOVREI DECIDERE LA LINGUA XDXDXD)... PRESTO SUGLI SCHERMI ANCHE AMORE E MALEDIZIONI ^^ CI VEDIAMO AL PROSSIMO CHAPPY ^^

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