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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. First Level ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. This is real life ***
Capitolo 4: *** Capitolo III. The other side ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. Before the storm ***
Capitolo 6: *** Capitolo V. Absence ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI. Ridiculous ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII. Harper ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII. I know your game ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX. Big mistake ***
Capitolo 11: *** Capitolo X. Helping Hands ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI. The Dupont Circle’s maniac ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII. Existential balance ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII. Ideas ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV. Different points of view ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV. What I know about you ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI. What friends are for ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII. Arrogance ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII. Old friends ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX. The end? ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX. I don't like it ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI. Do you ever think of me? ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXII. The shape of my heart ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIII. Every morning ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIV. I'll find you out ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXV. Meddlers ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVI. Stuttering ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono (tranne quelli da me
inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS.
Questa storia non è a scopo di lucro.
Prologo
Nell’openspace
della B.A.U. di Quantico regnava un austero silenzio. Erano tutti chini
sulle rispettive scrivanie a compilare rapporti e profili preliminari.
Il supervisore del team osservava la tranquillità che in quel
momento abbracciava i membri del suo team. Improvvisamente la pace fu
interrotta.
- Ma sei impazzito? – un urlo proveniente dal cucinino.
- Falla finita! – una voce maschile indubbiamente alterata.
- Altrimenti? – una donna rispondeva a tono.
- Ascoltami bene, piccola peste saputella…
- Vedi di chiudere quel forno, rompiscatole.
- Ehi! Ora stai superando il limite.
- Vorrei spaccarti la testa solo per vedere se dentro c’è qualcosa oltre la segatura.
Invece di alzare le
proprie teste alla ricerca del motivo di quel baccano, Hotch e JJ
continuavano a lavorare con un’ombra di sorriso stampata in
faccia. Prentiss si affacciò dalla balaustra e sospirò
rumorosamente “Siamo alle solite…”
In quel momento Irons uscì dall’area relax seguita da un nervoso Reid, che gesticolava animatamente.
- Non
parliamo di chi ha cosa in testa, che è meglio – Chris si
avvicinò alla propria scrivania.
- Certo
ho più materia grigia di te – Irons si lasciò
cadere sulla sedia visibilmente contrariata dall’alterco.
- Non mi sembra di averti chiesto mica chissà che!
- La mia risposta è sempre la stessa, quindi non ti azzardare a tornare sull’argomento.
Hotch e JJ si scambiarono
uno sguardo divertito, il primo a voltarsi verso i due contendenti fu
la ragazza mulatta. Qualcuno doveva porre un freno a quei due, era
meglio interrompere la loro discussione. Una voce allegra alle sue
spalle la prevenne.
- Guai in paradiso? – Puka ghignava osservando i due.
- Tu non fare la spiritosa! – fu la risposta unanime dei due contendenti.
- Wow!
E’ la prima volta che siete d’accordo su qualcosa –
la ragazza scosse la testa e fece un segno all’indirizzo di
Prentiss.
- Puka,
nel mio ufficio – l’agente supervisore si rintanò
dietro la porta seguita dalla giovane informatica.
Hotch le guardò
perplesso, ma riportò subito l’attenzione su Isabel e
Chris che erano ancora in pieno scontro.
- Stavolta cosa hai combinato, Chris? – domandò fintamente disinteressato.
- Le ho semplicemente chiesto…
- Una
cosa pazzesca, ecco cosa mi hai chiesto – Isabel incrociò
le braccia in un gesto di disappunto.
- E’ una semplicissima cena in famiglia.
- Ho detto no!
- Ti voglio solo presentare ai miei.
- Ti
ricordo che i tuoi mi conoscono molto bene, sono una loro ex allieva
– prese l’I-PAD in mano e cominciò a cercare
qualcosa.
- Abbiamo intenzione di fare le cose sul serio, eh? – JJ era divertita dai loro continui battibecchi.
Chris era offeso dalla
reazione della propria ragazza e si mise a sedere con uno sguardo
corrucciato. Isabel dal canto suo era imbarazzata e preferiva tuffarsi
nel lavoro.
- Ricominciamo con la guerra del silenzio? – chiese Hotch.
I due alzarono
all’unisono la testa fulminando il malcapitato con uno sguardo,
poi si voltarono lentamente l'uno verso l’altra e scoppiarono a
ridere, seguiti dai due colleghi che ormai conoscevano benissimo le
loro sceneggiate.
La porta di Prentiss si
riaprì, lasciando uscire le due donne dall’ufficio. Emily
si incamminò lungo il corridoio sopraelevato e senza girarsi
parlò alla squadra.
- Tutti in sala riunioni, ORA!
Mi raccomando: lasciatemi un commentino (anche negativo, qui si accetta tutto^^)
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Capitolo 2 *** Capitolo I. First Level ***
1
Un grazie particolare a Purisuka, che mi fa da beta^^
Capitolo I. First level
Chris si
stiracchiò nel letto. La sera prima erano rientrati da un caso
piuttosto difficile a Houston e lui era rimasto a dormire da Isabel.
Voltò leggermente il capo per poterla guardare mentre dormiva.
Era girata di spalle e teneva il lenzuolo stretto al petto, la schiena
era scoperta e così gli occhi verdi potevano vagare su quella
pelle candida e liscia.
Si
avvicinò a lei per poter sentire l’odore dei suoi capelli.
Niente profumi per Isabel, niente trucco, niente espedienti per
alterare la realtà. La chioma bionda e ribelle odorava di menta,
scese con il naso lungo il collo per sentire il profumo della sua
pelle. La sentì rabbrividire a quel contatto appena accennato e
arricciò le labbra in un sorriso furbo.
Le
circondò la vita con un braccio e si tirò su con il
gomito dell’altro. Spostò le labbra sull’orecchio di
lei e vi soffiò leggermente. Avvertì di nuovo quel
fremito percorrere la pelle di lei.
- So che sei sveglia – un sussurro delicato – Puoi anche smetterla di fingere.
Irons
sentì le gote andarle in fiamme, mentre Reid le carezzava piano
il fianco. Riusciva sempre a turbarla con quei modi delicati. Di
solito, quando mettevano piede nell’appartamento dell’uno o
dell’altra, non era così. Si avvinghiavano appena la porta
si chiudeva alle loro spalle, non c’erano premure e delicatezze.
Era pura passione che divampava come un fuoco in un campo di sterpaglie.
Ma il
risveglio era diverso, Chris era diverso. La riempiva di tante piccole
attenzioni, la carezzava piano e dolcemente, le mormorava tenerezze
nell’orecchio. Era questo il problema: finché si trattava
di dare sfogo ai loro impulsi andava tutto bene, ma a confronto con
quel modo di fare da innamorati lei si sentiva come una verginella
spaventata.
Si era detta
e ripetuta più volte che con il tempo, conoscendosi meglio, le
cose sarebbero cambiate. Invece eccola lì, dopo due mesi era
ancora difficile per lei gestire quelle situazioni così intime
come il risveglio insieme. Sbuffò spazientita con sé
stessa, possibile che non riuscisse a rilassarsi con il proprio
ragazzo?
-
Vuoi dormire ancora un po’? – Chris aveva preso a
carezzarle piano la schiena – Non dobbiamo andare in ufficio, se
vuoi vado a comprare la colazione mentre tu riposi ancora.
-
Ma la vuoi smettere? – Isabel si tirò su di scatto
aggrappandosi al lenzuolo che usava per coprirsi come poteva.
- Smettere di fare cosa? – Reid la guardò stupito di quella reazione.
-
Di essere sempre così maledettamente gentile –
sbuffò ancora e tirò il lenzuolo per coprirsi meglio.
Chris per
tutta risposta scoppiò a ridere e si mise a sedere a sua volta.
La circondò con un braccio e le baciò il naso.
-
Eccola qui, la mia piccola peste scontrosa – sorrise
carezzandole una guancia – No, non la smetto di essere
“così maledettamente gentile”. Voglio solo
coccolarti un po’, cosa c’è di male?
-
Non mi piace, ecco cosa c’è di male – si
girò bruscamente per evitare di perdersi in quei due occhi verdi
che la fissavano divertiti – Non ho bisogno di quel genere di
premure, non sono una donzella in difficoltà e tu non sei il
principe azzurro sul cavallo bianco.
-
Per fortuna! Preferisco una donna vera – la costrinse a
girare la testa e la baciò – Doccia?
- Preferisco farla da sola – il tono era meno acido.
Afferrò
la maglietta che teneva sotto il cuscino e la indossò.
Lasciò il letto e si diresse sicura verso la porta. Non sapeva
neanche lei come, si ritrovò stretta contro la parete mentre il
corpo caldo di Chris le premeva contro. Chiuse gli occhi turbata
dalla vicinanza di lui, incapace di gestire tutte quelle sensazioni che
il contatto fra i loro corpi le procurava.
- Isabel – la voce roca di lui la fece sussultare – Smettila di giocare.
- Non sto giocando – le tremava la voce.
Chris la
afferrò per i polsi e la costrinse a girarsi. Aveva un sorriso
soddisfatto stampato sulle labbra mentre le tirava su le braccia fino a
poggiare le mani di lei sul suo petto. Lentamente allentò la
presa e fece scorrere le mani lungo quelle esili braccia bianche fino
ad afferrarle le spalle.
- Ricordati che tu sei mia – dicendo così tornò a baciarla con passione.
Irons era
senza fiato e completamente intontita da quel bacio. Aprì
lentamente le palpebre avvertendo l’indice del ragazzo disegnarle
i contorni delle labbra. Lui continuava fissarla in attesa di qualcosa.
- Do… doccia – riuscì in fine a balbettare lei.
- Questa è la mia ragazza – aveva vinto di nuovo.
Sbatté l’anta del frigo e si girò come una furia.
- Faccio il letto, mi vesto e usciamo – annunciò tornando in salotto.
- Frigo vuoto? – ironizzò Chris alzando un sopracciglio.
- Mpf.
Il ragazzo si
alzò e la prese fra le braccia, cullandola dolcemente. Le
posò un bacio fra i capelli e poi li scostò per guardarla
in viso.
-
Ecco il programma: tu rifai il letto, io esco e procuro il cibo
come gli uomini delle caverne. Dopo andiamo a fare la spesa e riempiamo
quell’ingordo frigorifero che non ne vuole sapere di trattenere
il cibo.
- Lo stai facendo di nuovo – Isabel corrugò la fronte contrariata.
- Cosa?
- Mi tratti come una donzella in difficoltà.
-
Ti tratto come la mia principessa, è diverso – le
fece l’occhiolino e uscì chiudendo piano la porta.
Isabel si
catapultò in camera da letto e cominciò a togliere le
lenzuola strattonandole. Era nervosa e agitata, tutta quella faccenda
la metteva di cattivo umore. Raggomitolò tutto in un fagotto e
poi lo scaraventò per terra con tutta la rabbia che aveva.
Aprì
con malagrazia l’armadio ed esaminò spassionatamente il
contenuto di quest’ultimo. Jeans, giacche sportive, tailleur che
non aveva mai messo… niente, non aveva niente da mettersi.
Chiuse le ante con violenza e si mise a sedere sul materasso
rimirandosi i piedi nudi.
Sentiva che
le lacrime stavano per arrivare e si buttò all’indietro
sul letto. Come diavolo aveva fatto a farsi convincere? Una cena in
famiglia, una cosa semplice… semplice un corno! Ci sarebbe stata
anche la Strauss, prozia di Chris ed ex capo sezione, Lizzy e Jack, i
coniugi Reid, le gemelle Crystal e Susan. Per non parlare del fatto che
non sarebbe stata una tranquilla cenetta in casa, no troppo facile. Da
Carlo’s! Uno dei locali più eleganti della città.
Già si
immaginava la scena. Lei che entrava con una gonna al ginocchio, una
camicia bianca e la sua aria insignificante al braccio di Chris. Belle
ed eleganti ragazze sedute al bar che guardavano la scena e
sghignazzavano, pensando che lei fosse la sorellina scema dello
strafigo di turno. Cavoli!
Quando Chris
tornò, la lavatrice era in funzione e le lenzuola erano state
cambiate. Isabel si era ricomposta e vestita con i soliti jeans e
maglietta. Era seduta al tavolo della cucina con lo sguardo perso nel
vuoto e un’aria da funerale.
Reid
posò il bicchiere di carta con il caffè davanti a lei e
poi aprì la confezione di ciambelle. Si mise a sedere ostentando
una calma epocale e cominciò a sfogliare il giornale. Sapeva che
quando Isabel era di quell’umore era meglio non darle spago,
altrimenti l’avrebbe impiccato.
- Io stasera non vengo – tono piatto da parte di lei.
-
Come? – Chris aveva rischiato di rovesciarsi il
caffè addosso per la sorpresa – Ne stiamo parlando da
settimane ormai.
-
No, tu ne stai parlando da settimane – precisò lei
continuando a guardare nel vuoto – Io non vengo, non me la sento.
-
Posso chiederti perché? – posò il giornale e
incrociò le braccia sul tavolo attendendo una risposta.
- Sarebbe imbarazzante – preferiva giocare sul sicuro, non voleva dirgli la verità.
-
Perché? Conosci già la mia famiglia. Persino zia
Erin ti conosce, anche se il vostro primo incontro non è stato
dei più… ehm…
- Ci ha beccati mentre stavamo per baciarci, non credi che sia un buon motivo per sentirsi in imbarazzo?
- Figurati, lei è stata la prima a buttarla sullo scherzo quando ne abbiamo riparlato.
- Parli di me con loro?
- Sei la mia ragazza, è normale che io parli di te alla mia famiglia.
- Io non vengo, punto.
-
Tu vieni, punto! – Reid picchiò la mano sul tavolo e
si alzò visibilmente irritato – Ti passo a prendere
stasera alle sette e mi aspetto di trovarti pronta. Fine della
discussione.
-
Perché l’ultima parola deve essere sempre la tua?
– Isabel continuò a fissare la cucina davanti a sé.
-
Sei solo di malumore, come quasi tutte le mattine. Vedrai che nel
pomeriggio di passa. Ci vediamo dopo – le baciò la fronte
e uscì prima che lei potesse ribattere.
Irons
sospirò rassegnata, quella poteva essere la fine della loro
storia. Se lui fosse passato a prenderla e lei non si fosse fatta
trovare, lui si sarebbe arrabbiato. Se gli avesse telefonato dicendogli
di non sentirsi bene, lui l’avrebbe trascinata di peso. Se lei
fosse andata, lui si sarebbe reso conto di quanto ridicoli fossero
insieme. Per lei sarebbe stato comunque game over.
Svuotò
il caffè nel lavandino e si decise a spostarsi in salotto. Si
rannicchiò sulla sua poltrona preferita e cominciò a
fissare un punto della parete. Se il telefono avesse squillato…
se fosse stato necessario il loro intervento in qualche cittadina
anonima del Paese. Ma sapeva che i miracoli non succedono e che doveva
trovare il modo di risolvere la situazione da sola.
Ma come? Come sarebbe riuscita a sopravvivere a quella serata?
Continua…
Mi raccomando: commentate^^
|
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Capitolo 3 *** Capitolo II. This is real life ***
2
Capitolo II. This is real life
Alla fine si
era decisa, se proprio doveva subire quell’umiliazione preferiva
farlo come se stessa. Le era balenata in testa l’idea di chiamare
Kathy o, addirittura, Elizabeth e farsi aiutare. Si era detta che
magari con un vestito nuovo, un salto dal parrucchiere, un po’ di
trucco… Stupidaggini! Lei non era così e non lo sarebbe
mai stata, se doveva affrontare quella serata l’avrebbe fatto nei
suoi panni.
Erano quasi
le sette, Chris sarebbe arrivato a momenti. Cominciava a pentirsi di
non avere chiamato qualcuno in soccorso, mentre si guardava
spassionatamente allo specchio. Aveva optato per una camicetta di raso
color lilla e una gonna dritta che le arrivava al ginocchio; e per
completare l’opera un paio di scarpe basse con pochissimo tacco.
Aveva fermato i capelli con delle mollette, lasciandoli sciolti sulla
schiena, e, come al solito, niente trucco, neanche un po’ di
lucida labbra.
Poggiò
una mano tremante sullo specchio, mentre l’immagine che questi
gli restituiva era quella di una ragazza come tante. Non brutta, non
bella, semplicemente una ragazza anonima. Ricacciò in dietro le
lacrime e si impose di non pensare a quanto fossero belle Elizabeth e
Kathy. Loro si che avrebbero fatto un figurone entrando in quel
ristorante alla moda.
Sentì
il campanello suonare e si avviò verso la porta con passo
funebre. Quella sera, per la prima volta, Chris avrebbe guardato altre
ragazze davanti a lei. Ragazze belle e desiderabile, eleganti nei loro
vestiti firmati e con le chiome perfettamente acconciate. Non avrebbe
potuto fare niente per evitarlo, le trasformazioni alla cenerentola
esistevano solo nei film e quella era la dura realtà.
Non ci
sarebbe stata la fata turchina ad aiutarla, trasformando i suoi vestiti
in uno splendido abito e trasformando lei in qualcosa che non era e non
sarebbe mai stata. Sospirò e si decise ad aprire la porta. Reid
era impeccabile nel suo completo scuro, i capelli lunghi stavano
disciplinatamente dietro le orecchie e gli occhi verdi mandavano una
luce particolare.
- Sei pronta? – le regalo uno dei suoi “famosi” sorrisi smaglianti.
- Prendo il cappotto – rispose lei passiva.
- Sei bellissima, sai? – la prese per la vita e le baciò i capelli.
- Sì, certo, come no – niente tono acido, era solo rassegnata – Andiamo o faremo tardi.
Almeno che non si dicesse che non era un tipo puntuale.
Chiuse la
porta e si allontano dal suo rifugio sicuro. Mentre erano in macchina,
continuò a sperare in una calamità naturale. Un
terremoto, un ciclone, qualsiasi cosa impedisse quella cena. Mentre si
fermavano davanti al locale, chiuse gli occhi e cercò di farsi
coraggio.
Come
entrarono, Chris le afferrò la mani in un gesto di possesso.
Storse la bocca contrariata, aveva già notato il folto gruppo di
avvenenti ragazze che stazionavano nel bar. Sperò che il
maître li facesse accomodare subito al tavolo. Dalla sala sarebbe
stato più difficile per lui ammirare quelle bellezze.
E come sempre
il destino ce l’aveva con lei. L’uomo dai baffetti curati
li mise al corrente che per sedersi dovevano aspettare che ci fossero
tutti e che nel frattempo potevano accomodarsi al bar. Perfetto! La
serata non era neanche cominciata e già si preannunciava
disastrosa.
Si voltarono entrambi sentendo una voce famigliare che li chiamava.
-
Ehi! Ciao Chris – Hotch gli stava andando incontro,
proveniente dal bar – Irons, stasera sei bellissima.
- Ciao Jack – Chris lo salutò con un’affettuosa pacca sulla spalla.
Isabel nel frattempo si stava esibendo in una delle sue più riuscite espressioni ironiche. “Sei bellissima – pensò – Certo, come no! Una vera miss. Mi chiedo perché invece di venire qui non mi sia presentata ad un concorso di bellezza”.
-
Ci vogliamo accomodare al bar? – Chris le prese nuovamente
la mano e lei fu trascinata, suo malgrado, verso la tana del lupo.
Era presente
anche Elizabeth, inappuntabile come sempre, forse anche più
bella del solito a giudicare dagli sguardi ammirati di certi uomini. Ci
furono i saluti di rito e poi si avviarono tutti e quattro per prendere
un drink. Gli sgabelli erano tutti occupati, ma fortunatamente
c’era un tavolo vuoto. Gli uomini si avviarono verso il bancone,
mentre le ragazze rimasero sedute.
-
Stasera sei veramente carina – Lizzy sfoggiò il
sorriso smagliante tipico della famiglia Reid – Sono contenta che
alla fine Chris ti abbia convinto.
-
Convinto? Direi che mi ha preso in ostaggio, forse questo
è più vicino alla realtà – Isabel non la
guardava neanche, tutta prese ad osservare il suo uomo fermo al bancone
circondato da donne molto eleganti – E ti prego di smetterla con
questa panzana del “quanto sei carina stasera”, sappiamo
entrambe qual è la verità.
Lizzy sollevò un sopracciglio incuriosita dal tono amaro dell’altra.
- E quale sarebbe questa verità?
- Eccole lì, le ragazze carine – rispose Irons indicando con il mento due bionde provocanti.
-
Tesoro – Elizabeth le poggiò una mano sul braccio
– guarda che tu a Chris piaci esattamente come sei, non ti
dovrebbe interessare quello che pensano gli altri.
-
Bisogna vedere se alla fine della serata sarà ancora
così… - guardò l’orologio per non vedere una
mora formosa che sorrideva invitante a Chris – Speriamo che gli
altri si sbrighino.
- Hai fame?
-
Sì – mentì spudoratamente, da quando aveva
messo piede lì dentro sentiva lo stomaco chiuso.
Reid e Hotch
tornarono al tavolo con i drink, ridendo fra loro per chissà
cosa. Appena poggiarono i bicchieri sul tavolo, Lizzy si alzò di
scatto.
- Noi ci assentiamo un momento – si rivolse alla bionda seduta vicino a lei – Andiamo?
Eccolo
là! Un altro stupido rituale che Isabel non aveva mai capito.
Capatina al bagno da parte delle donne, sempre rigorosamente in coppia.
Si alzò di malavoglia e seguì la sorella del suo ragazzo.
Si consolò pensando che almeno avrebbe avuto un attimo di
respiro lontana da quell’ambiente che non le era famigliare.
Rimase
imbambolata a guardare la toilette. Sembrava presa da una di quelle
irritanti soap-opera che guardava Kathy. Divanetto centrale, lavandini
in marmo, specchi dorati… decisamente non era il suo ambiente.
Elizabeth invece si muoveva sicura in quel posto e sembrava totalmente
a suo agio. Isabel la spiò di sottecchi. Indossava un vestito da
cocktail marrone scuro, corredato da scarpe in tinta dal tacco
vertiginoso, i capelli erano lasciati sciolti e si raccoglievano in
splendidi boccoli neri.
Si impose di
smetterla di osservarla, altrimenti la sua autostima sarebbe scesa
ancora. Tirò su la testa di scatto guardandosi allo specchio e
si chiese ironica quando mai la sua autostima fosse stata a livelli
accettabili. Si rispose che si sentiva all’altezza della
situazione solo sul lavoro, dove non contava l’aspetto fisico o
l’eleganza, ma il cervello e la preparazione.
- Sai, io ti invidio – Lizzy si stava tranquillamente lavando le mani.
- Tu invidi me? – Irons era sbalordita.
-
Perché fai quella faccia. Sei un’ottima profiler e
non ho mai sentito i miei genitori cosi entusiasti di qualcuno in
ambito lavorativo – sospirò mentre si asciugava le lunghe
dita affusolate – Deve essere bello essere brava nel proprio
lavoro.
-
Beh, anche tu una volta laureata potrai sentirti realizzata sul
lavoro. Chris mi ha detto che hai già ricevuto diverse offerte
– continuava a sbattere le palpebre, le sembrava impossibile
avere quel genere di conversazione con una ragazza come Lizzy.
-
Sarà… per il momento mi sto concentrando sui
preparativi del matrimonio. A proposito, ti andrebbe di farmi da
damigella?
- IO? – decisamente era la serata del “prendiamo in giro Isabel”.
- Non ho molte amiche e poi Chris fa da testimone a Jack, mi sembra l’ideale.
- Ma le tue sorelle?
-
Jack avrà quattro testimoni, quindi io avrò quattro
damigelle – Elizabeth le sorrise di nuovo – Crystal e Susan
mi ucciderebbero se non glielo facessi fare. Poi ci sei tu.
- E la quarta? – era veramente curiosa.
- Meredith, la mia migliore amica. Tu l’hai conosciuta?
- No, non credo. Perché dovrei conoscerla?
- E’ la figlia di Emily e Derek. Abbiamo la stessa età e siamo cresciute insieme.
- Capisco.
- Sarà meglio andare, altrimenti Chris crederà che io ti abbia rapita.
Pensò che magari qualcuno l’avesse rapita veramente… si sarebbe risparmiata quel supplizio.
Continua…
|
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Capitolo 4 *** Capitolo III. The other side ***
3
Capitolo III. The other side
Non capiva
l’atteggiamento di Isabel nei confronti di quella stupida cena.
Aveva fatto mille storie per accettare e ora se ne usciva che non
voleva venire. Assurda! Quella ragazza molte volte era totalmente
assurda.
Un sorriso
gli arricciò gli angoli delle labbra. Era testarda e
imprevedibile, ma lui adorava questo lato del suo carattere. Era una
battaglia per ogni più piccola cosa. La cena di famiglia era
solo l’ultima di un lungo elenco di cose che aveva dovuto sudarsi.
Si
preparò a suonare il campanello, ma prima fece un profondo
respiro e cercò di calmarsi. Quando aveva proposto la cena a
Isabel era convinto che si sarebbe trattato di una delle solite
riunioni di famiglia a casa dei suoi, invece loro avevano scelto
Carlo’s, uno dei ristoranti più eleganti di Washington D.C.
Che ci fosse
anche la prozia Erin significava che era qualcosa di più di una
semplice cenetta in famiglia. Sicuramente il fatto che Lizzy stesse per
sposare quella piaga di Jack c’entrava qualcosa. Conosceva bene
quel posto, prima di conoscere Isabel quello era stato il suo
territorio di caccia preferito. Il bar pullulava sempre di belle
ragazze disponibili. Rabbrividì temendo che qualcuna delle sue
vecchie “conquiste” fosse presente quella sera.
Si autoimpose
la calma. In fin dei conti Irons sapeva tutto del suo passato da
sciupafemmine, o meglio quasi tutto. Suonò deciso il campanello,
era inutile pensarci adesso. Sicuramente presentandosi già
accoppiato avrebbe stroncato sul nascere qualsiasi tipo di approccio da
parte di qualche vecchia conoscenza.
Si era
aspettato di dover litigare con la sua ragazza quella sera. Non sapeva
perché, era convinto che lei fosse ricorsa al parrucchiere e al
trucco pesante, nonché ad una capatina in qualche boutique.
Invece eccola lì, in tutta la sua naturale semplicità.
Gli sorrise contento, voleva uscire con lei, non con una bambolina da
non sciupare.
Le fece i
complimenti di rito e le baciò i capelli. Forse non sarebbe
stata una brutta serata, cominciava a pensare che tutto sarebbe filato
via liscio come l’olio. Forse…
Appena
entrati nel ristorante, afferrò la mano di Isabel come se fosse
la sua ancora di salvezza. Guardando verso il bar, l’aveva vista
seduta ad uno degli sgabelli, bella ed elegante come sempre. Pericolosa
come un serpente esotico.
Aveva cercato
di ignorarla dirigendosi a passo sicuro verso il maître, doveva
evitare di incrociarla e tutto sarebbe andato bene. Forse lei neanche
si sarebbe degnata di guardarlo, ma non se la sentiva di rischiare, non
con Irons lì con lui.
Alla risposta
negativa dell’uomo con i baffetti sentì un moto di stizza,
il suo disagio si accentuò quando quel piccolo indisponente
consigliò loro di aspettare al bar che anche gli altri
arrivassero. Strinse la mano della sua ragazza, non voleva che quelle
due si incontrassero. Lei era un tipo imprevedibile e vendicativo,
meglio evitare scenate quella sera.
Sospirò
di sollievo alla vista di Jack e si sentì al sicuro sapendo che
c’era anche Lizzy. Non si sarebbe avvicinata con tutte quelle
persone intorno a lui, non era il tipo.
Quando
arrivò il momento di avvicinarsi al bancone, prese
l’iniziativa e fece in modo da posizionarsi il più lontano
possibile dalla probabile fonte di guai della serata. Jack non
sembrò fare molto caso ai suoi movimenti per evitare la mora
formosa in abito rosso che sorrideva ammiccante.
Attendevano
le ordinazioni quando due ragazze bionde si avvicinarono con fare
seducente. Decisamente il genere che Chris gradiva prima di mettere la
testa a posto, belle, eleganti e decise a divertirsi. Sbuffò
spazientito mentre si voltava dall’altra parte, cercando di
evitare gli sguardi invitanti di quelle due, che evidentemente
cercavano compagnia.
-
Non vorreste offrire da bere a due ragazze assetate? – la
più sfacciata delle due aveva puntato Reid e non sembrava
intenzionata mollare la preda.
-
Le abbiamo già, due ragazze assetate – rispose
stizzito all’indirizzo delle due – Due vere signore, quindi
se permettete…
Le oltrepassò seguito da uno sghignazzante Hotch, che continuava a scuotere la testa.
- Qualcosa mi dice che fino a poco tempo fa non avresti esitato ad accontentare le belle signore…
-
Che vuoi che ti dica? Io e te ormai siamo fuori gioco. Oppure
vuoi provare a far arrabbiare la tua futura moglie? – Chris si
girò verso di lui con uno sguardo malizioso – Se ci tieni
alla tua virilità e vuoi conservarla dove si trova, io non mi
azzarderei a gesti inconsulti.
-
Potrei dare lo stesso consiglio a te. Non conosco bene Irons, ma
non mi sembra un tipo che passa sopra a certe cose…
I due scoppiarono a ridere mentre si avvicinavano al tavolo occupato dalle due ragazze.
- Siamo fregati, socio – rispose Reid, facendo l’occhiolino al suo amico.
Suo nonno e
la zia Erin erano appena arrivati, mentre loro aspettavano ancora il
ritorno delle ragazze dalla toilette. Chris si guardava in torno,
cercando con gli occhi un vestito rosso, lungo e sensuale.
Corrugò la fronte, vedendo uno scampolo di stoffa rossa
dirigersi verso i bagni.
Senza
pensare, si alzò di scatto e si scusò con i presenti.
Doveva evitare quell’incontro a tutti i costi, non voleva pensare
a cosa si sarebbero potute dire. La mora avrebbe sicuramente raccontato
una versione della storia ad uso e consumo di Isabel.
Riuscì
ad afferrare il braccio della ragazza mora prima che questa potesse
infilarsi nella porta della toilette delle donne. La fece voltare con
prepotenza e la guardò con occhi freddi come il ghiaccio.
-
Christopher, che sorpresa – disse lei, che non era
minimamente impressionata da quello sguardo glaciale – Pensavo
che mi avresti evitato per tutta la sera.
-
Vedi di darti una regolata, mia cara – non mollava la presa
sul braccio di lei – Non so che intenzioni tu abbia, ma ti
avverto…
-
Cosa? Non vuoi che incontri la biondina che ti sei trascinato
dietro – uno sguardo divertito attraversò gli occhi blu
della donna – Non mi dire che fai sul serio con la mocciosa. Ti
conosco bene, tu non sei fatto per quel genere di relazioni e lei non
è decisamente il tipo che possa intrigarti a lungo.
-
Smettila, Desiré. Non ti azzardare a fare o dire niente
– Chris era nervoso – Credevo di essere stato chiaro
l’ultima volta, la mia vita non è un affare che ti
riguarda.
- Come preferisci, stallone – un sorriso invitante le distese le morbide labbra rosse.
Reid
finalmente lasciò la presa, non era sicuro che Desiré si
sarebbe tenuta alla larga da Isabel ma non poteva fare altro se non
sperare che la mora trovasse qualcosa di più
“divertente” a cui dedicare la sua attenzione. La donna,
appena libera, si voltò verso i bagni con un sorrisetto
malizioso sulle labbra e fece per tornare al bancone del bar. Come
ripensandoci tornò indietro e scrutò Chris, guardandolo
direttamente negli occhi.
-
Se lei ti dovesse annoiare, sai dove trovarmi – dicendo
così lo carezzò in maniera eloquente al cavallo dei
pantaloni.
-
Falla finita – scostò il braccio di lei bruscamente
e si passò una mano fra i capelli – Tornatene al bar e
cerca qualcuno con cui spassartela, oppure, se preferisci, vattene
all’inferno. Qualsiasi cosa tu decida di fare ricordati solo che
se ti avvicini a lei te la farò pagare. Chiaro?
-
E’ sempre un piacere vederti, stallone – gli fece
l’occhiolino e tornò composta verso la sala.
Reid
sospirò rincuorato, aveva evitato il peggio o almeno così
credeva. Ebbe la netta sensazione di essere osservato, si girò e
gli sembrò di vivere un incubo.
Isabel era
ferma sulla porta del bagno e lo guardava sbigottita, visibilmente
ferita da quello che aveva visto. Aprì la bocca e allungò
una mano verso di lei, che si ritrasse e continuò a guardarlo.
Lizzy le
poggiò una mano sulla spalla e le sussurrò
all’orecchio di non fare scenate. La prese sotto braccio e la
riaccompagnò verso il tavolo.
- Mi hai profondamente deluso – mormorò al fratello mentre gli passava accanto.
Evidentemente
si era sbagliato. Non era andato tutto liscio come l’olio, Isabel
aveva visto quella scena fra lui e la formosa mora e chissà che
conclusioni ne aveva tratto. Persino sua sorella sembrava averlo
condannato senza appello.
Cos’altro poteva andare storto?
Continua…
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Capitolo 5 *** Capitolo IV. Before the storm ***
4
Capitolo IV. Before the storm
Per tutta la
sera Isabel cercò di evitare lo sguardo di Chris. Partecipava
alla conversazione in modo discontinuo, la testa altrove. Continuava a
rivedere quella donna che toccava la patta dei pantaloni di Reid,
quella scena le si era piantata nel cervello in modo ossessivo.
La serata
sembrò scivolare via senza ulteriori scossoni, sebbene gli altri
commensali avessero percepito la tensione fra i due ragazzi. Si
avviarono tutti insieme all’uscita e si salutarono cordialmente.
Collins strinse la ragazza in un abbraccio e la scostò da se con un sorriso.
-
Spero che tu sia stata bene, mi aspetto di vederti alla prossima
cena di famiglia – le carezzò una spalla.
- Grazie, professoressa – la ragazza evitò il contatto visivo.
- Ti prego, smettila con quella professoressa. Ormai non sei più una delle mie allieve.
Spencer si avvicinò e passò una mano intorno alla vita della moglie. Sorrise a Isabel e le strinse la mano.
-
E’ stato un vero piacere averti con noi. Venerdì
prossimo organizziamo una cena a casa nostra, spero che ti unisca anche
tu.
-
Grazie per l’invito – cercava di non impegnarsi
troppo, non era sicura che la settimana dopo lei e Chris sarebbero
stati ancora una coppia.
Il tragitto
dal ristorante a casa fu silenzioso, nessuno dei due voleva fare la
prima mossa. Christopher continuava a lanciarle occhiate preoccupate,
ma non osava chiederle qualcosa. Stava parcheggiando davanti casa di
lei e spense il motore.
Isabel aveva
messo una mano sulla maniglia, ma non sembrava intenzionata a scendere.
Chris decise che era arrivato il momento di chiarirsi. Posò la
mano su quella della ragazza e la strinse piano.
-
Isabel, io non so cosa tu abbia visto o abbia creduto di vedere
– le parole gli uscivano come macigni, scosse la testa cercando
di chiarirsi le idee – Credo che dovremo parlare…
-
Di cosa? – la voce di lei non tradiva la minima emozione
– Del fatto che quella donna ti abbia fatto delle avances molto
esplicite? O del fatto che sembrava vi conosceste molto bene?
- Possiamo parlarne con calma? Magari a casa tua? – tentava di essere conciliante.
- Va bene, sali – lei si ostinava a non guardarlo.
Reid sedeva rigido sul divano, mentre Irons era in piedi e guardava fuori dalla finestra. Erano entrambi tesi.
- Quella donna… - esordì Chris.
-
Ce l’ha un nome oppure non vi siete presentati? –
tono acido, voleva litigare per scaricare la frustrazione.
-
Desiré. Si chiama Desiré – chiuse gli occhi e
sospirò – L’ho conosciuta circa un anno fa. Come hai
potuto notare tu stessa, è molto…
“disinvolta”.
- C’è un termine molto più appropriato… comincia con la p – lei era astiosa.
- Sì, probabile. Comunque sai com’era la mia vita prima che ci conoscessimo.
- Quindi è una delle tue vecchie fiamme? Una notte e via? – un barlume di speranza.
-
No, non esattamente. Lei ti direbbe che stavamo insieme…
anche se diamo al termine significati diversi.
-
Cioè? – ora era veramente arrabbiata – Non
esistono significati diversi, se stai con una persona ci stai e basta!
Lui aveva
sempre insistito su un punto: lei era la prima con cui aveva una
relazione stabile ed ora se ne usciva fuori che prima aveva frequentato
quella mora formosa e sfrontata. Si chiese quante altre bugie le avesse
detto.
-
Non era un rapporto monogamo, da nessuna delle due parti –
si passò una mano sugli occhi, era stanco – Abbiamo tirato
avanti sei mesi, tra alti e bassi. Eravamo tutte e due coscienti del
fatto che non era niente di serio, che ci limitavamo a fare sesso
insieme.
- Tu non eri quello da una botta e via?
-
Lei… sa come stuzzicare la fantasia di un uomo – era
difficile trovare le parole – Sessualmente è molto
disinibita e…
-
Ci sa fare – Isabel finalmente si staccò dalla
finestra per voltarsi verso di lui – Ti manca?
-
Non essere assurda! – Chris scattò in piedi –
Non c’entra niente con noi, è qualcosa di completamente
diverso.
- In che modo è diverso? Non era la tua ragazza? – lo sguardo di lei trasudava odio.
-
No, non era la mia ragazza. Era un passatempo quando non avevo
niente di meglio da fare. Te l’ho detto: non era un rapporto
monogamo.
Si avvicinò a lei e l’afferrò per le spalle tirandola a se.
- Ti amo, non so più come fartelo capire. Lei non significa niente.
-
Eppure stasera sembrava intenzionata a ricominciare da dove
avevate lasciato. Se non eri interessato, perché non sei rimasto
al tavolo?
- L’avevo vista dirigersi verso i bagni e…
- Avevi paura che parlassimo?
-
Quando ho chiuso con lei, mi ha detto che me l’avrebbe
fatta pagare. Che nessuno la lasciava, che era lei che chiudeva le
storie.
- Quindi?
-
Avevo paura che ti desse una versione della storia un po’
riveduta. Quando le ho detto di girare alla larga, non mi è
piaciuto come si è voltata a guardare la porta della toilette.
Sapevo che voleva entrare per combinare qualche casino, come al suo
solito.
Si guardarono a lungo. Cercavano negli occhi dell’altro la risposta alle loro domande.
- Ti credo – disse infine Isabel – Ci sono altre donne con cui hai avuto quel genere di relazione?
- No – lui sorrise – Come hai detto tu, io ero quello da una botta e via.
- E ora? – gli posò le mani sul petto.
- Sono fuori dal mercato. Ho trovato quello che cercavo.
Si
chinò per baciarla e stringerla a se. Fu un bacio lento,
delicato, mentre con una mano le carezzava piano la schiena. Lei
cominciò ad armeggiare con la cravatta di lui, irruenta e
smaniosa. Chris le afferrò le mani e la guardò negli
occhi.
- Piano, non c’è fetta.
Lei lo
guardò dubbiosa, di solito a quel punto si strappavano i vestiti
di dosso reciprocamente. Allora perché lui l’aveva
fermata? Non voleva fare sesso con lei?
-
Lascia fare a me, stavolta – le disse mentre cominciava a
baciarle la guancia per poi scendere lentamente sul collo.
Isabel chiuse gli occhi e decise che in fin dei conti poteva anche lasciarlo fare.
Aveva la
testa appoggiata sul torace di lui e poteva sentire il cuore di Chris
che rallentava la sua corsa. Era completamente abbandonata e rilassata.
Sorrise
pensando che era la prima volta che non doveva preoccuparsi di
riattaccare qualche bottone o di dover buttare via le mutandine dopo il
passaggio del suo uomo. Per una volta la passione e la fretta erano
state accantonate.
Era stato
lento e delicato. Carezze, baci gentili, parole bisbigliate. Sentiva la
pelle d’oca al solo ricordo di come era stato tutto così
dolce. Lui era stato premuroso e l’aveva guardata negli occhi per
tutto il tempo.
Sentì
la mano di lui scorrere lentamente sulla sua schiena e allora fece
scivolare il suo braccio fino a stringerlo. Si accoccolò ancora
di più contro il suo “dio greco”, che riusciva a
farla sentire sempre un po’ speciale.
- Stai bene? – ancora premuroso.
- Mai stata meglio – si lasciava cullare dal suono del cuore di lui che batteva.
- Mi piace stare così.
- Così come?
- Con solo te addosso.
Delicatamente Isabel si tirò su, fino a sdraiare il suo esile corpo su quello possente e muscoloso di lui.
- Intendi così? – chiese maliziosa.
Lui le
sorrise e le scosto i capelli dal viso, con una carezza delicata. Poi
fece pressione sulla nuca per farle appoggiare la fronte contro la
propria.
-
Non sono mai stato così bene con nessuna – al
nominare le altre sentì il corpo di lei irrigidirsi leggermente
– Sai perché?
- No, perché? – si scostò per guardarlo negli occhi.
- Ti amo, Isabel. Tu sei l’unica.
E allora perché si sentiva come se tutto stesse per finire? Cos’era quel brutto presentimento?
Continua…
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Capitolo 6 *** Capitolo V. Absence ***
5
Capitolo V. Absence
Fu svegliata
dal sole che le batteva sulle palpebre. Si girò allungando una
mano e trovò l’altra metà del letto vuota. Si
tirò su di scatto, Chris aspettava sempre che lei si svegliasse
prima di alzarsi e il fatto di non trovarlo le fece provare
un’inquietudine strana.
Sul cuscino di lui era poggiato un biglietto che lei si affrettò a leggere:
“Dormivi così bene che non me la sono sentita di svegliarti.
Sai che gli uomini preistorici, per guadagnare i favori delle proprie donne, andavano alla ricerca di cibo?
Beh, in fin dei conti non ci siamo evoluti poi tanto. Il frigorifero è ancora vuoto, quindi vado a fare la spesa.
Prometto di portarti caffè e ciambelle.
Ti amo
Chris”
Stava di
nuovo giocando al cavaliere che soccorre la donzella in
difficoltà, ma la cosa non la infastidiva… almeno non
dopo la notte appena trascorsa. Abbracciò il guanciale che lui
aveva lasciato libero e vi affondò il viso. Sentiva ancora
l’odore di Chris e la cosa la fece sentire bene ed in pace con il
resto del mondo.
Decise di
alzarsi e rifare il letto prima che lui tornasse. Si ritrovò suo
malgrado a canticchiare mentre sbrigava le faccende di casa, quando se
ne accorse si fermò stupita e si guardò allo specchio.
“Cavolo,
Isabel! Da quando in qua di metti a cantare? E da quando hai quel
sorriso ebete stampato in faccia?” Il sorriso si allargò
ancora di più “Beh, mia cara, queste cose succedono da
quando Chris è nella mia vita”.
Decise di
aspettare lui per farsi la doccia. Anche se faceva sempre un sacco di
storie e cercava di infilarsi in bagno da sola, adorava quando lui le
insaponava la schiena o le lavava i capelli. Si disse che la vita era
fatta di piccoli piacere, perché negarseli?
Si accomodò sulla poltrona e si mise ad aspettare pazientemente che il suo uomo tornasse.
Camminava nervosa su e giù per il salotto con il telefono in mano.
- L’utente da lei chiamato non è al momento…
Attaccò
stizzita. Guardò di nuovo l’orologio, mezzogiorno. Chris
ormai era fuori da ore e non rispondeva al cellulare. Cominciava ad
essere preoccupa. Improvvisamente il telefono nelle sue mani
cominciò a suonare e lei rispose agitata.
- Chris! - gridò speranzosa.
-
Ehm… veramente sono Jack – rispose la voce del
collega – Stavo cercando Reid, ma ha il cellulare staccato.
Pensavo fosse con te…
- No, è uscito a fare la spesa. Jack? Sono preoccupata, non è da lui sparire così.
- Tu resta a casa, io vado a cercarlo.
-
Magari ha trovato traffico, oppure c’era molta gente al
supermercato – non ci credeva neanche lei – Gli si
sarà scaricata la batteria.
-
Sì, forse – Jack cercava di essere rassicurante
– Non preoccuparti, lo trovo e te lo riporto tutto intero…
così poi lo fai a pezzi tu.
- Spiritoso! – Jack riusciva sempre a strapparle un sorriso – Tieni informata.
Riattaccò
e si mise a sedere. Cercava in tutti i modi di calmarsi, dandosi
spiegazioni logiche e rassicuranti per quell’assenza da parte di
Chris.
Prentiss
continuava a picchiettare nervosamente sulla scrivania. Erano tutti
radunati nel suo ufficio in attesa di notizie. Erano ormai le sette di
sera e Chris era irreperibile da troppo tempo.
Puka
continuava la sua ricerca fra ospedali e obitori. JJ continuava farsi
scrocchiare le nocche, segno che era nervosa e sulla soglia della
rottura. Jack da parte sua si era seduto vicino a Isabel e le aveva
circondato lo spalle con un braccio, cercava di rincuorarla con scarsi
risultati.
“Dove
sei Chris?” Questa domanda continuava a rimbalzare nella mente di
Irons, sovraccarica di pensieri e di angosce. Sentiva che era successo
qualcosa di brutto e non sapeva come reagire. Ufficialmente lei e Chris
erano solo colleghi, quindi doveva cercare di trattenersi, ma
intimamente si sentiva morire.
I genitori e
le sorelle di Reid erano stati rimandati a casa, nella speranza che lui
si facesse vivo. Erano tutti traumatizzati, era molto tempo ormai che
non si trovavano più in una situazione del genere. Prentiss
continuava a sfoggiare una faccia da poker invidiabile, ma dentro stava
ribollendo. Ricordava ancora troppo bene cosa era successo a Hotch
senior. Il mietitore di Boston l’aveva aggredito brutalmente e la
squadra non sapeva che si trovava in un ospedale in fin di vita.
Come il telefono squillò, Emily rispose prontamente.
-
Agente supervisore Emily Prentiss – dal tono della voce non
traspariva niente – Sì, effettivamente è uno dei
miei agenti… Dove?... Perché?... Sto arrivando.
La squadra fu subito intorno a lei, timorosi di sapere le novità.
- Era la polizia di Washington, sezione omicidi – cominciò lei.
- Mio dio! – Isabel si sentiva mancare il fiato.
- Reid sta bene, ma è sotto custodia.
- Cosa? – Jack sbarrò gli occhi – Come sotto custodia? Che diavolo sta succedendo?
- E’ accusato di omicidio – precisò Emily.
Il resto del team si guardò sbigottito e incredulo, uno di loro accusato di omicidio? Cosa diavolo stava succedendo?
Il detective
Lavigne era un tipo corpulento sulla cinquantina, incipiente calvizie e
la pancia strabordante di chi beve troppa birra. Continuava a guardare
Prentiss e il resto della squadra dall’alto in basso, mentre
spostava uno stuzzicadenti da una parte all’altra della bocca.
- Senta “signora”… - provò a cominciare.
Emily lo fulminò con un’occhiata.
-
Agente Prentiss, prego – rimarcò il suo titolo
cercando di incutere rispetto – La prego di non tergiversare. Mi
avete contattato voi, dicendomi che uno dei miei uomini è sotto
custodia accusato di omicidio. Quindi ripeto la domanda: cosa è
successo?
-
Se proprio insiste – l’uomo tiro fuori dal taschino
un taccuino elettronico e cominciò a spiegare – Stanotte
è stata uccisa la signorina Desiré Johanson, ventisette
anni, bella ragazza. Il corpo è stato rinvenuto nel vicolo
dietro al ristorante Carlo’s… a quanto pare la donna si
recava sovente in quel posto. Il signor Reid è stato visto
discutere animatamente con la vittima poche ore prima
dell’omicidio.
-
E questo secondo lei basta a mettere in piedi un’accusa di
omicidio? – Jack era allibito – Solo perché hanno
discusso, non vuol dire che…
-
Tze Tze… ora venite anche ad insegnarmi a fare il mio
lavoro. Il suo amico ha fatto molto più che discutere con la
vittima, l’ha minacciata davanti a tutti. Un testimone l’ha
sentito dire, cito testualmente: “se ti avvicini a lei te la
farò pagare”. Non so a voi dell’F.B.I. come
sembri… a me sembra decisamente una minaccia.
- Voglio parlare con l’agente Reid – Prentiss era decisa.
- Non è possibile signora, lo stiamo interrogando.
-
Beh – intervenne Jack – Sa che io sono anche
avvocato? Christopher Reid è un mio assistito adesso, quindi voi
finite l’interrogatorio seduta stante!
L’uomo
grugnì contrariato, non sembrava il tipo che demorde facilmente.
Squadrò il giovane che aveva davanti e sbuffò spazientito.
- E ha anche l’abilitazione oltre al pezzo di carta? – rispose borioso.
- Non so lui, ma io sì – si girarono tutti verso il nuovo arrivato.
- Con chi ho il piacere? – dal tono si capiva che il detective era ironico.
-
Aaron Hotchner, sono il legale dell’agente Reid ed esigo di
conferire immediatamente con il mio assistito – nonostante
l’età Hotch sapeva ancora essere autoritario.
- D’accordo – si arrese Lavigne – Mi segua.
Hotch si girò verso il resto della squadra e annuì convinto.
- Appena ho parlato con lui vi raggiungo.
Tirarono tutti un sospiro di sollievo, meno Isabel che tirò la manica del tailleur di Prentiss.
- Cosa c’è Irons? – chiese Emily ancora nervosa.
- Potrei parlare in privato? – Isabel sembrava imbarazzata.
- Non ora, pensiamo prima a Reid.
-
Proprio di questo dovrei parlarle – provò di nuovo
Irons, ingoiò un paio di volte e poi tornò a parlare
– Lui ha un alibi.
- Era con te? – chiese Emily speranzosa.
- Sì – ammise la ragazza diventando rossa.
Continua…
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Capitolo 7 *** Capitolo VI. Ridiculous ***
6
Capitolo VI. Ridiculous
Chris
continuava a imporsi di non rispondere alle provocazioni del detective
seduto di fronte a lui. Si ostinava a guardarlo fisso ed a resistere
alla voglia di passarsi una mano nei capelli, per non tradire il
nervosismo che provava in quel momento.
-
Allora signor Reid? – riprese per l’ennesima volta
l’uomo – E’ vero che lei ha minacciato la signorina
Johanson?
Il ragazzo
esaminò spassionatamente l’uomo. Si era presentato come il
detective Morelli. Un uomo basso e tozzo, dai lineamenti scolpiti, ma
dal fisico ancora atletico. Sicuramente era più giovani di
quanto lasciasse supporre il viso scavato. Lo avevano fermato mentre
tornava a casa di Isabel, dopo aver fatto la spesa. Non gli avevano
permesso neanche di fare una telefonata e si erano comportati come se
il fatto di essere un agente federale fosse un motivo in più per
sospettare di lui.
- Voglio fare una telefonata.
La scena si
ripeteva identica dalla mattina. Il detective Morelli (o Lavigne quando
gli dava il cambio) faceva una domanda e lui rispondeva chiedendo di
fare una telefonata.
- Perché tutta questa fretta, in fin dei conti è solo una chiacchierata, no?
- Voglio fare una telefonata.
- Ehi, ora mi hai stufato! Sai dire qualcos’altro o a Quantico vi insegnano solo a pretendere?
- Voglio fare una telefonata.
Il detective sbatté la mano sul tavolo, frustrato dal muro che si ritrovava davanti.
- Ragazzo se non collabori la vedo brutta per te!
La porta si aprì all’improvviso.
-
Ora basta! – Hotch prese subito in mano la situazione
– Sono l’avvocato dell’agente speciale Reid e voglio
conferire da solo con il mio cliente. E’ inammissibile che
l’interrogatorio sia continuato nonostante lui avesse chiesto di
fare una telefonata!
Lavigne apparve alle spalle di Hotch e sbuffò all’indirizzo del collega.
-
Andiamo, questi due devono “conferire” – disse
in tono ironico allontanandosi, seguito dal collega.
-
Hotch! Non sono mai stato così felice di vederti –
Chris si prese la testa tra le mani, lasciandosi andare alla tensione
accumulata fino a quel momento.
-
Cosa è successo? – Aaron si mise a sedere vicino a
lui e cercò di abbassare la voce il più possibile.
-
Non ne ho la più pallida idea. Mi hanno fermato mentre mi
trovavo in macchina, hanno spianato le pistole e mi hanno dichiarato in
arresto per omicidio.
-
Ti hanno già accusato? – il più anziano era
visibilmente stupito della cosa – Su che basi?
-
Ho litigato con la vittima poco prima del delitto – Reid
alzò le braccia in segno di sconforto – Incredibile! Uno
litiga con una ragazza e subito viene accusato di omicidio. Io non vado
in giro ad uccidere la gente con cui ho un alterco.
- Avete solo litigato? – ormai Hotch era entrato in modalità avvocato.
-
Veramente, no. L’ho minacciata – ammise Chris –
Le ho detto che se si avvicinava a Irons gliel’avrei fatta
pagare. Ma non intendevo certo…
-
Lo so – Aaron gli batte una mano sul braccio in segno di
conforto – Lo so. Ti tireremo fuori di qui, vedrai. Hai un alibi?
- Ecco, io… - Reid si morse nervoso il labbro inferiore.
- Quando fai così ricordi tuo padre – Hotch si lasciò scappare un sorriso.
Chris
guardò il vecchio capo dei suoi genitori con sospetto, non era
sicuro della reazione di lui quando avrebbe svelato il suo alibi.
- Io ero… - tossicchiò nervoso.
-
Con la tua ragazza, immagino – Aaron si alzò e
continuò a sorridere – Come tuo padre, sei attratto dalle
colleghe. I problemi con il protocollo sono affari vostri, io ora ti
devo solo tirare fuori di qui.
- Grazie, Hotch.
- Figurati, se non ti tiro fuori di qui Lizzy da fuori di matto e se lei da fuori di matto…
- Tuo figlio da fuori di matto con te – fini il ragazzo con un sorriso.
-
Di tutte le donne di cui è pieno il mondo, quel testone si
doveva mettere proprio con tua sorella? – scosse la testa e
uscì dalla sala.
Quando
uscì dalla sala interrogatori vide Prentiss e Irons in piedi
davanti ai due detective. Mentre si avvicinava non riusciva a sentire
la conversazione, ma le facce dei due poliziotti parlavano chiaro. Non
credeva ad una parola di quello che le due donne stavano dicendo.
Improvvisamente
Lavigne scoppiò a ridere in faccia alla giovane agente, che lo
guardava spaesata e continuava a battere le palpebre come se non
capisse cosa stesse succedendo.
Hotch ero ora abbastanza vicino da sentire la risposta sprezzante di Morelli.
-
Sì, certo… e così lei sarebbe la ragazza del
casanova che abbiamo arrestato… come no – scoppiò a
ridere anche lui.
-
Ma per chi ci avete presi? – rincarò la dose Lavigne
– Noi non crediamo più a babbo natale da molto tempo, mie
care signore.
Prentiss divenne rossa in volto, mentre Irons cercava di ingoiare la propria umiliazione.
- Cosa sta succedendo? – Hotch guardava le due donne cercando di mantenere la calma.
-
Succede che gli agenti federali qui, stanno cercando di fornire
un alibi falso al suo assistito, mio caro avvocato – preciso
Morelli guardando di sbieco la giovane bionda.
-
Il mio assistito a un alibi ed è pronto a parlare con voi
– Hotch mise una mano sulla spalla di Isabel – E inoltre vi
pregherei di portare rispetto.
-
Andiamo a sentire quest’alibi – Morelli continuava a
sogghignare – Ma lei non parla con le due signore qui e viene di
là con noi. Inoltre non deve “conferire in privato”
con il signor Reid prima che ci abbia fornito il suo alibi.
-
Certo signori… “l’agente” Reid
sarà lieto di fornirvi l’alibi – lo sguardo di Hotch
era impenetrabile.
Isabel si era
rifugiata in bagno e continuava a guardarsi allo specchio. Quei due
stronzi l’avevano presa in giro, dopo che lei aveva confessato di
aver passato la notte con Chris. Si sentiva umiliata e ferita, vedeva
realizzarsi tutti gli incubi che aveva avuto da quando Reid era entrato
nella sua vita.
Chi mai
avrebbe creduto che un tipo come lui, uscisse con una ragazza qualunque
come lei? Si sentiva patetica e cercava di controllare le lacrime.
Ora doveva pensare solo ad aiutare Chris a tirarsi fuori da quel casino.
I tre uomini
entrarono insieme nella sala interrogatori, dove Chris era seduto
composto e attendeva che l’interrogatorio ricominciasse.
-
Bene signor… - Lavigne si fermò mentre Hotch lo
fulminava con uno sguardo – Agente Reid, il suo avvocato ci ha
comunicato che lei avrebbe un alibi.
-
Sì, è così – Chris era la quintessenza
della calma – Ero a cena con la mia famiglia, che può
confermare.
-
Il delitto è avvenuto circa un’ora dopo che vi hanno
visti lasciare il locale – precisò Morelli.
- Dopo essere uscito, ho riaccompagnato a casa la mia fidanzata e ho passato la notte da lei.
- E chi sarebbe la sua fidanzata? – chiese Morelli.
- L’agente speciale Isabel Irons – rispose Chris convinto.
I due agenti si guardarono di nuovo e scoppiarono a ridere all’unisono.
-
Ancora con questa storia? – Morelli sembrava il più
divertito dei due – E quindi lei, che ammettiamolo è un
bel ragazzo, sarebbe fidanzato con quella cosa bionda qui fuori?
Chris si alzò di scatto a fronteggiarlo, visibilmente adirato con Morelli.
- Non si permetta mai più di parlare in quel modo di lei!
Hotch cercava di trattenerlo per un braccio, ma il ragazzo era letteralmente fuori dai gangheri.
Continua…
|
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Capitolo 8 *** Capitolo VII. Harper ***
8
Capitolo VII. Harper
La porta della sala
interrogatori si aprì, una bella donna bionda sui quaranta
entrò nella sala guardando storto i due detective. Era piuttosto
elegante, stretta in un tailleur pantalone, e con i capelli
ordinatamente raccolti in uno chignon che le dava un’aria
austera. Due occhi neri si spostavano dai un’agente
all’altro, mentre la fronte era aggrottata in una smorfia di
contrarietà.
- Signora – scattò in piedi Morelli salutando la nuova arrivata.
Lavigne si alzò
con più calma e guardò la donna in modo torvo,
decisamente i due la conoscevano e non erano felici di vederla.
-
Agente Morelli, agente Lavigne… potete andare ora –
disse indicando con noncuranza la porta – Da qui in poi me ne
occupo io.
- Come vuole – grugnì Lavigne.
Come i due uscirono, la
sconosciuta si girò verso Hotch e Reid. Sorrise e si mise a
sedere, poggiando sul tavolo un fascicolo piuttosto esiguo.
- Mi
scuso per il comportamento dei due detective, sono tipi
piuttosto… “ingestibili” – mimò le
virgolette con le dita lunghe e affusolate, lasciando intravedere le
unghie perfettamente curate.
- Con chi ho il piacere? – chiese Hotch.
-
Scusatemi ancora per la mia mancanza – disse la donna
evidentemente contrita dalla situazione – Sono il sostituto
procuratore Harper, Eilen Haper. Sono io la responsabile
dell’inchiesta e tengo a precisare che lo stato di fermo del suo
cliente è stata una…
- Libera iniziativa? – cercò di andarle incontro Aaron.
-
Esatto! Credo che possiamo continuare questa chiacchierata in
modo più informale, tengo a precisare che siamo nella fase
preliminare dell’indagine e che quindi nessuno è stato
ancora formalmente accusato – si voltò verso Reid –
Allora, se vogliamo ricominciare… Agente Reid, lei conosceva la
defunta Desiré Johanson?
- Sì – ammise lui.
- Che tipo di rapporto vi legava?
- Non sei tenuto a rispondere – gli fece presente Hotch.
-
Voglio rispondere – un attimo di esitazione per riordinare
le idee – Ho conosciuto Desiré circa un anno fa. Era una
ragazza molto… ehm…
- Disponibile? – chiese Harper alzando un sopracciglio.
- Sì, si può dire così. Abbiamo cominciato a frequentarci, se mi passa il termini.
- In che senso?
- Ci
limitavamo a fare sesso, quando non c’era nessun’altro
all’orizzonte – ammise il ragazzo in evidente imbarazzo
– Comunque questa situazione è andata avanti per sei mesi
circa, anche se davamo definizioni e valori diversi al nostro rapporto.
- Provi
a spiegarmi meglio – disse la donna con un sorriso – Come
se fossi una bambina di sei anni.
-
Beh… diciamo che lei era più coinvolta di me, anche
se non disdegnava di distrarsi con altri uomini.
- Però? Perché c’è un però, immagino.
- Sì, andava in giro a dire che era la mia ragazza. Io non l’ho mai considerata tale.
- Poi?
- Dopo
sei mesi, le ho detto che non la volevo nella mia vita, che era una
storia di solo sesso e che non avevamo un futuro.
- Come la prese?
- Non
bene – ammise Chris – Cominciò a sbraitare che
nessuno la mollava, che era lei che metteva la parola fine alle sue
storie… non l’ho più rivista.
- Fino a ieri – fece notare il vice procuratore.
- Esatto, fino a ieri sera. Ero da Carlo’s per una cena di famiglia.
- Un posto molto elegante, come mai propri lì?
- Mia
sorella minore si sta per sposare e diciamo che era una specie
di… non so spiegarlo bene – ammise il ragazzo con un
sorriso – Insomma, sembrava un modo carino per festeggiare il suo
fidanzamento.
- Lei era lì da solo? Cioè, oltre alla sua famiglia, c’era qualcun altro?
-
Sì, la mia fidanzata – Chris era nervoso, non capiva
bene cosa stesse succedendo – Comunque, ho incontrato
Desiré.
- Come si chiama la sua fidanzata?
- Isabel Irons.
- Cosa vi siete detti lei e la signorina Johanson?
- Lei
aveva tutta l’intenzione di importunare la mia ragazza, con
chissà che storie assurde. La conoscevo abbastanza da capire che
voleva combinare qualcosa. Così l’ho fermata e le ho detto
di tenersi alla larga.
- Cosa le ha detto esattamente?
Hotch trattenne il
respiro e afferrò Chris per un braccio. Quello era un momento
critico dell’interrogatorio, sperò che il ragazzo fosse
abbastanza intelligente da non mentire.
- Le ho detto che se provava ad avvicinarsi a Isabel, io gliela avrei fatta pagare.
- Quindi l’ha minacciata? – Harper lo aveva portato proprio dove voleva lei.
-
Sì – Chris strinse i pugni – Ma non ho mai
pensato di farle del male fisicamente. Sono un’agente federale,
io i criminali li arresto.
- Certo, certo – concesse la donna – Dopo quest’alterco con la vittima, cosa ha fatto?
- Ho cenato con la mia famiglia, ci siamo salutati e ho riportato a casa Isabel.
- Poi è andato a casa?
- No, ho passato la notte con lei.
- La signorina Irons è disposta a confermarlo?
-
Può chiederglielo lei stessa – si intromise Hotch
– L’agente Isabel Irons è qui fuori e credo che non
abbia problemi a dire la verità.
- Bene,
più tardi parlerò con lei – scrisse qualcosa su un
foglio e poi tornò a guardare i due – Per il momento
è tutto, la prego di non lasciare Washington e di tenersi a
disposizione per ulteriori chiarimenti.
Chris annuì,
sembrava che tutto si stesse risolvendo per il meglio. Osservò
la donna alzarsi e avvicinarsi alla porta, poi come ripensandoci si
voltò di nuovo verso di lui.
- Lei è un profiler, giusto?
- Sì – Reid corrugò la fronte, chiedendosi il perché di quella domanda.
-
Quindi, se decidesse di uccidere qualcuno, saprebbe farlo
sembrare un omicidio perpetrato da uno psicopatico, esatto?
Chris la guardò a bocca aperta, mentre Hotch si alzò in piedi di scatto a fronteggiarla.
- Sta accusando il mio assistito di qualcosa?
- Mera curiosità – la donna uscì dalla stanza.
Harper si avvicinò a Emily, tendendole una mano e presentandosi.
- Ho sentito parlare molto bene di lei, agente Prentiss.
- Grazie, vice procuratore.
- Potrei parlare con la signorina Irons, cortesemente?
Prentiss la fissò furente, si chiese se anche questa donna avrebbe deriso Isabel.
-
Agente Irons, prego – cercò di controllarsi, ma dal
tono si capiva che era stata provocata oltre il limite.
Eilen la fissò stupita e poi scosse la testa con un sorriso.
-
Lavigne e Morelli sanno essere molto indisponenti a volte, ma
sono anche due ottimi detective – tornò seria e
guardò Prentiss – Mi scuso se quei due hanno detto o fatto
qualcosa di offensivo nei suoi confronti.
-
L’agente Irons aveva semplicemente comunicato loro di aver
passato la notte scorsa con l’agente Reid. Vuole sapere come
hanno reagito quei due? – Emily era furente, ma cercava di
controllarsi – Le hanno riso in faccia, accusandola, neanche
troppo velatamente, di aver dato un alibi falso al suo collega.
Harper corrugò la
fronte e si voltò verso una ragazza bionda che aveva
l’aria di aver pianto. “Quei due imbecilli!”
- Le rinnovo le mie scuse. Quindi l’agente Irons conferma l’alibi di Reid?
- Esatto – Prentiss sembrò calmarsi, dopo le ennesime scuse dell’altra.
- Lei conosce bene Irons? E’ una persona affidabile?
- E’ uno dei miei migliori agenti.
-
Quindi lei e Reid sono colleghi? – Harper sembrò
meditare su quella cosa – Credevo che il protocollo della vostra
Agenzia lo vietasse.
- Diciamo che molto viene lasciato alla discrezione dei superiori degli agenti interessati.
- E lei è d’accordo con questo legame?
- Il
loro lavoro non ne risente, quindi non sta a me decidere chi possono o
non possono frequentare fuori dall’ufficio.
Emily vide un lampo
passare negli occhi scuri della donna di fronte a lei. La fissò
intensamente, c’era qualcosa che non le quadrava e che non le
piaceva nell’atteggiamento così disponibile del vice
procuratore.
Continua…
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Capitolo 9 *** Capitolo VIII. I know your game ***
8
Capitolo VIII. I know your game
- Eilen
Harper, vice procuratore – la donna bionda tendeva la mano verso
Isabel che si limitò a fissare le unghie ben curate della sua
interlocutrice.
Harper ritirò la
mano e cominciò a fissarla, come a voler valutare quella ragazza
che sembrava estremamente arrabbiata. Un sorriso ironico le
piegò le labbra, chiuse gli occhi e scosse la testa. Decisamente
si trovava davanti qualcuno che non sapeva catalogare, era una
novità per lei.
- So che i detective Morelli e Lavigne sono stati molto scortesi con lei, ma…
- Io li definirei due stronzi – Irons strinse gli occhi, fino a farle diventare due fessure.
-
Ammetto che a volte lo penso anch’io, ma sanno fare il loro
lavoro – tornò a studiare la profiler – Agente
Irons, posso parlare con lei in privato?
- Ho
già riferito ai suoi detective quello che avevo da dire –
Isabel aveva una voglia matta di prendere a pugni qualcuno – Ma
naturalmente loro hanno trovato più “professionale”
ridermi in faccia, che ascoltarmi. Lei ha intenzione di prendermi sul
serio o vuole solo farmi perdere tempo?
- Mi
scuso per la mancanza di rispetto che lei ha subito, sono mortificata.
A differenza di quei due, io sono molto interessata a quello che ha da
dirmi.
Isabel scrollò le
spalle e guardò Prentiss, che prontamente si mise a fianco della
ragazza. Decise che la giovane aveva subito fin troppe umiliazioni quel
giorno e che era ora che prendesse in mano lei la situazione.
- Se
non le dispiace, desidero assistere al vostro colloquio – Emily
sfoderò il suo sorriso più convincente – Giusto per
assicurarmi che non ci siano altre “mancanze di rispetto”.
- Come
preferisce, agente Prentiss – Harper cercò di nascondere
il proprio disappunto – Se volete seguirmi, staremo più
comode di là, dove ci sono anche delle sedie.
I due agenti federali
seguirono il vice procuratore dentro una sala degli interrogatori. Su
una parete c’era il solito specchio finto, le mura erano di un
neutro color grigio, il tavolo e le sedie non sembravano
particolarmente comodi. Irons si chiese se ci fosse una telecamera
dietro lo specchio, giusto per sondare le reazioni del suo viso. Si
rispose che non aveva importanza, bastava dire la verità e tutto
si sarebbe aggiustato.
- Prego
accomodatevi – Harper si era seduta con le spalle allo specchio,
notando lo sguardo di Prentiss – Non ci sono apparecchi per la
registrazione audio-video, in fin dei conti è una chiacchierata
informale.
- Non
esistono “chiacchierate informali” con il vice procuratore,
con tutto il rispetto. So benissimo che qualsiasi cosa diciamo qui
dentro lei la vaglierà attentamente per poterla usare in un
secondo momento.
-
Giusto – ammise Eilen con un sorriso – Se dovessi
decidere che quello che state per dire mi può interessare
durante la fase processuale, sarà mia premura convocarvi per un
interrogatorio vero e proprio. Per il momento non siamo ancora in
quella fase dell’indagine.
- Però Chris è stato accusato di omicidio – fece notare Isabel.
-
Accusato? – la donna sembrava stupita – Deve esserci
stato un malinteso, non sono stati emessi mandati in quel senso. I
detective hanno preso… come l’ha definita l’avvocato
Hotchner? Ah, sì: “una libera iniziativa”.
-
Questa “libera iniziativa” dura da questa mattina,
signora – fece notare Isabel sempre più nervosa.
- Mi
dispiace, sono stata avvertita del fermo non autorizzato solo poche ore
fa e mi sono subito premurata di intervenire – altro sorriso.
Irons trovava quei
sorrisi falsi come gioielli di alta bigiotteria, ad un occhio meno
allenato sarebbero sembrati incoraggianti. Per lei, una profiler, erano
il preludio della caccia alle streghe.
- Cosa voleva chiedermi? – meglio entrare subito nel vivo del discorso.
- Può fornirmi i suoi movimenti di ieri?
- A
partire da che ora? – Isabel cominciò a studiarsi le mani
con fare noncurante, mentre pensava “Ecco che comincia
l’attacco”.
- Diciamo… dalle sette.
-
Credevo che l’omicidio fosse avvenuto molto più
tardi – Prentiss non capiva dove stesse andando a parare
l’altra.
- Voglio una panoramica completa, per potermi fare un’idea.
- Non
c’è problema – Isabel raddrizzò la schiena e
posò gli avambracci sul tavolo – Alle sette di ieri sera
il mio ragazzo, l’agente speciale Christopher Reid, è
passato a prendermi nel mio appartamento.
- Non avevate passato la giornata insieme? – Harper tirò fuori un block-notes elettronico.
- No – Isabel decise di rispondere in modo semplice, per non dare appigli alla donna.
- D’accordo… dopo che è passato a prenderla, dove siete andati?
- Da Carlo’s – “Aspetta che ti chieda lei i dettagli”.
- Eravate solo voi due?
- No, avevamo appuntamento con la famiglia di lui.
- Erano già lì quando siete arrivati?
- No, c’era solo l’agente Jack Hotchner e la sorella dell’agente Reid.
- Hotchner? Parente dell’avvocato? – sopracciglio alzato.
- Figlio – “Hai mancato il bersaglio, bella mia”.
- Se era una cena di famiglia, come mai c’era anche l’agente Hotchner?
- E’ fidanzato con Diane Elizabeth Reid, contano di sposarsi a giugno.
-
E’ normale per voi intrecciare così la vostra vita
privata e quella professionale? – “Vediamo come rispondi a
questo”.
- Mi sembra che stiamo uscendo fuori dal seminato – intervenne Prentiss.
- Mera
curiosità personale – Harper fece spallucce – Lei e
l’agente Reid siete sempre rimasti insieme?
- No,
prima di sederci al tavolo io e la signorina Reid siamo andate alla
toilette – “Lo sappiamo tutte e due, vedi di farla finita
con i giochetti”.
- Lei ha assistito alla discussione tra il suo fidanzato e la signorina Johanson?
- Quando sono uscita dalla toilette stavano parlando, ma non ho sentito cosa si dicevano.
- Notato qualcosa di strano?
- Reid aveva respinto la signorina Johanson, che stava chiaramente facendogli delle avances.
- Se non ha sentito, come fa a dirlo?
-
Diciamo che la mano della Johanson… beh si è prese
delle “libertà” – “Tu strega come fai a
capire su una ci prova con il tuo uomo?”.
- Dopo cosa avete fatto?
- Abbiamo cenato – risposta breve e coincisa.
- Dopo cena? – il procuratore si rendeva conto di stare perdendo al suo stesso gioco.
- Mi ha riaccompagnato a casa e poi si è fermato a dormire da me.
- Avete solo dormito? – Harper si compiacque nel vedere il rossore causato all’altra.
- Sei libera di non rispondere – Prentiss squadrò il viceprocuratore.
- Scusi – sorriso tirato – Sarebbe disposta a ripetere questa versione sotto giuramento?
-
Assolutamente. Se vuole non ho ancora fatto il bucato…
troverà il DNA di Reid sulle mie lenzuola – “Adesso
che mi rispondi, arpia?”.
- Non
credo sia necessario, la ringrazio comunque della sua
disponibilità. Per il momento è tutto, grazie della sua
collaborazione.
La faccia di Eilen Harper indicava che non era per niente contenta dell’esito della “chiacchierata informale”.
Il team stava lasciando
la stazione di polizia, seguito dallo sguardo indagatore del vice
procuratore. Un sorriso ironico piegò le labbra di Harper che si
voltò verso i detective Morelli e Lavigne.
- Allora? – Lavigne guardò la donna con un sorriso sul viso.
- Fate a pezzi le loro vite, voglio sapere anche quante volte al giorno vanno in bagno.
- Crede che sia stato veramente lui? – Morelli si studiava i piedi.
- Non vi avrei detto di fermarlo se non lo credessi.
-
Senta… però… - Morelli sembrava in evidente
imbarazzo – Non mi è piaciuto come ci ha detto di trattare
la ragazza. Spero almeno che sia servito.
-
Sfortunatamente no. La tecnica del tira e molla ha sempre
funzionato, ma lei non si è fidata di me dall’inizio.
- Non sempre i pesci abboccano al primo tentativo, capo – la consolò Lavigne.
- Ma questi di pesci non me li lascio sfuggire.
- E se invece fosse stato…
- Fai
quello che ti ho detto Morelli – Harper lo fulminò con lo
sguardo – Io non credo minimamente a questa favola del maniaco di
Dupont Circle.
Continua…
Commentate, please^^
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Capitolo 10 *** Capitolo IX. Big mistake ***
9
Capitolo IX. Big mistake
Erano nel parcheggio della stazione di polizia e stavano per entrare
nei SUV. Chris teneva la mano di Isabel e sembrava estremamente stanco,
era evidentemente provato dalla tensione di quella giornata che gli era
parsa interminabile.
Prentiss osservava Hotch, come se dovesse dirgli qualcosa ma non
volesse parlare davanti al resto della squadra. L’uomo, notando
quello sguardo, le si avvicinò e la prese in disparte.
- Per il momento non possiamo fare di più,
almeno finché non formalizzano le accuse – non aveva
ancora disinserito la modalità avvocato.
- Sono preoccupata. Quella donna, la Harper, ha fatto una “chiacchierata informale” con Irons.
- Sai cosa si sono dette?
- Ero presente. Hotch, non mi piace, non mi piace per
niente. Ha fatto delle domande fuori luogo, come se…
- Non piace neanche a me. Quel modo di fare, quei
continui sorrisi… quella donna ha qualcosa in mente –
Hotch incrociò le braccia e si mise ad osservare il resto del
team che chiacchierava – Possiamo fare delle ricerche su di lei?
- Chiederò a Puka di provvedere domani stesso
– Emily si accigliò un attimo – Quello che mi
preoccupa di più sono le domande che ha fatto sui rapporti
personali che intercorrono fra i membri della squadra.
- Parlane con Morgan e tenetevi pronti. Ho un brutto presentimento.
- Anch’io.
Guardarono i ragazzi che cercavano di tenere su di morale Reid. Erano
giovani e alcune volte le scelte che avevano fatto non erano in linea
con quello che veniva richiesto a degli agenti federali, ma erano bravi
nel loro lavoro e soprattutto non avevano mai permesso che le loro vite
influenzassero la loro professionalità.
- Sospeso? – Reid continuava a guardare
Prentiss come se fosse un animale raro – Cosa vuol dire che sono
sospeso?
L’intera squadra era stata convocata nella sala riunioni, oltre
loro erano presenti Morgan e un agente che non si era ancora presentato.
- Reid, mi dispiace – esordì Morgan – Purtroppo le circostanze ci impongono…
- Le circostanze? – JJ saltò in piedi
nervosa – Basta che due detective sciroccati accusino uno di noi,
senza prove concrete, tra l’altro, e veniamo automaticamente
sospesi?
- Non è cosi facile, agente Jordan – lo
sconosciuto si fece avanti e guardò uno per uno i presenti
– Io sono l’agente Damon Jefferson, della sezione
disciplinare. Il problema non è l’inchiesta che la polizia
sta conducendo sul vostro collega… Durante
l’interrogatorio, l’agente Reid, ha ammesso di aver…
fraternizzato con l’agente Irons. Ora, non vorrei sembrarvi
banale, ma immagino che tutti voi conosciate il protocollo.
- Tengo a precisare, agente Jefferson – si
intromise Prentiss – che il lavoro dei due non ha mai risentito
di questa relazione, di cui mi avevano prontamente messo al corrente.
- Non è solo questo – l’uomo si
tolse gli occhiali e cominciò a pulirli – In realtà
tutta la squadra è sospesa.
- Come? – Morgan si girò a quella
novità – Di cosa sta parlando? Prima nel mio ufficio mi ha
detto…
- Non le ho riferito tutto. Vede la polizia sta
portando avanti l’inchiesta e durante le indagini sono
uscite… delle… irregolarità, se vogliamo chiamarle
così, su alcune… ehm…
- Insomma! – Puka sbatté la mano sul tavolo – Si vuole spiegare o no?
- Bene, se proprio insiste – Jefferson si
rimise gli occhiali – L’agente Reid e l’agente Irons
hanno una relazione che va contro il protocollo. L’agente
Hotchner sta per imparentarsi con un collega, altra cosa che il bureau
non vede di buon occhio. L’agente Jordan… beh…
diciamo che pratica uno stile di vita alternativo, mentre lei, agente
Muller, è quella che da più da pensare.
Si guardarono tutti esterrefatti, l’Agenzia stava mettendo sotto
inchiesta le loro vite private. Morgan si girò a fronteggiare
l’uomo, visibilmente sul piede di guerra. Prentiss si era alzata
e gli si era posta al fianco, doveva difendere i suoi ragazzi.
- Mi sta dicendo – inizio Emily – che
sospende la mia squadra per scelte personali che nulla hanno a che fare
con il merito del loro lavoro?
- Non è così facile, agente Prentiss.
- No, è qui che si sbaglia – Morgan si
infilò le mani in tasca per vincere la voglia di prendere a
pugni l’agente – La questione è molto semplice: voi
state sospendendo un’intera squadra della B.A.U. per motivi che
esulano dalla professionalità degli stessi. E’ una caccia
alle streghe!
- La decisione è stata presa – Jefferson
si mise sulla difensiva – Non è una mia decisione, io mi
limito a riportarvi i provvedimenti che sono stati ritenuti necessari.
Per qualsiasi chiarimento potete rivolgervi al capo della mia sezione.
Ora se volete scusarmi…
- No, non la scuso – scattò Emily – Mi sa dire quanto durerà questa situazione?
- Almeno fino alla fine dell’inchiesta, agente. Non so dirvi altro.
L’uomo lasciò la stanza mentre sette paia di occhi lo
seguivano. Appena la porta alle sue spalle si chiuse, cominciò
la baraonda.
- Io li denunciò per discriminazione! –
sbottò JJ – “Stile di vita alternativo”, mi sa
di razzismo lontano un chilometro.
- E hai sentito cosa ha detto a me – Puka
prendeva a calci una parete – “quella che da più da
pensare”! STRONZO!
- Concordo e sottoscrivo – convenne Irons – Ma chi si credono di essere?
- Non ci posso credere! Tutto questo perché
due detective sciroccati sono convinti che io vada in giro ad uccidere
le donne.
- Questa è bella! Mi sospendono perché
mi sposo – Jack continuava a scuotere la testa allibito.
- Ragazzi, manteniamo la calma – Prentiss fece
un lungo respiro – Trasferiamo l’ufficio a casa mia. Siete
tutti sospesi e quindi non possiamo usare questo spazio.
- Usarlo per fare che? – JJ era avvilita.
- Qualcuno ce l’ha con noi, beh io non ho
intenzione di arrendermi – Emily strinse i pugni – Dobbiamo
indagare sull’omicidio della Johanson e su quelli che indagano su
di noi.
- Lavigne e Morelli? – chiese Chris.
- Io ci infilerei anche la Harper – Isabel lo guardò – Quella donna non mi convince.
- Bene, prendete le vostre cose – Morgan mise
un braccio sulle spalle della moglie – Io ufficialmente non so
niente. Siccome siete tutti sospesi dal servizio, ho concesso a Emily
di prendersi le ferie arretrate almeno fino a che la situazione non
sarà chiarita. Quello che fate nel vostro tempo libero…
io non lo so e non lo voglio sapere.
Detto questo lasciò la sala, sperando che i ragazzi trovassero il modo di togliersi dai guai.
Continua…
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Capitolo 11 *** Capitolo X. Helping Hands ***
10
Capitolo X. Helping hands
La casa di Prentiss era
accogliente, il salotto grande abbastanza per ospitare comodamente
l’intera squadra. Puka era svogliatamente semisdraiata sul
divano, fissava il vuoto e si tormentava un unghia. Gli altri
sorseggiavano del tè e cercavano di fare il riassunto della
situazione.
Emily mise la mano sulla
spalla della ragazza e la scosse leggermente. Puka si voltò
verso di lei, con gli occhi spenti. Non aveva mai visto
l’agguerrita punk gettare la spugna prima di cominciare a lottare.
- Cosa c’è? – le chiese il supervisore.
-
Pensavo… - sospirò e chiuse gli occhi – Io
non sono una profiler, l’unica cosa che posso fare in questo
momento è portarvi da mangiare.
- Ma cosa dici? – JJ le sorrise rassicurante.
- Non
ho a disposizione le apparecchiature che mi servirebbero per fare
quelle ricerche. Quello che ho in casa non mi fornirebbe la copertura
sufficiente… da quando lavoro per l’F.B.I. non mi sono
più preoccupata di avere l’occorrente per sezionare le
vite virtuali degli altri – fece spallucce rassegnata.
- Di
quello non preoccuparti – le disse Emily con uno sguardo furbo
– Tra poco avrai tutto quello che ti occorre.
- E come? Morgan mi farà sgattaiolare di soppiatto nel mio ufficio?
- Meglio, molto meglio – disse Prentiss mentre qualcuno suonava alla porta.
La padrona di casa non
parve particolarmente stupita e si alzò tranquillamente,
lasciando i ragazzi seduti sul divano con uno sguardo interrogativo
negli occhi. Si guardarono tra di loro chiedendosi chi potesse andare a
quell’ora del pomeriggio a trovare i coniugi Morgan.
Sentirono una serie di urletti estasiati e poi una sonora risata.
- Alla
buonora, cominciavo a temere che avessi dimenticato dove abito –
Prentiss sembrava stranamente allegra.
-
Figurati, dolcezza. Ho dovuto mettere insieme il materiale
più… ehm… idoneo – una squillante voce
allegra riempì la stanza.
Jack e Chris si guardarono sorridendo e saltarono in piedi quasi contemporaneamente.
- Zia Penny! – dissero all’unisono.
Penelope Garcia, ex
tecnico informatico della B.A.U., fece il suo ingresso nella sala
seguita da due ragazzi adolescenti che continuavano a lamentarsi per il
peso degli scatoloni.
- Voi
due ora la fate finita! – la rossa tutto pepe stava usando tutta
la potenza della propria cassa toracica – Vi avverto! Siete
già in punizione, volete peggiorare la vostra situazione?
- La colpa è sua! – i due ragazzi, evidentemente gemelli, si indicarono a vicenda.
- Siete
impossibili, che fine hanno fatto i miei due batuffoli di zucchero
filato? – scosse la testa in modo drammatico – Quando vi
siete trasformati in due combina guai?
I due ragazzi posarono gli scatoloni sul pavimento e cominciarono a guardarsi i piedi, visibilmente contriti.
- Cosa hanno combinato stavolta? – chiese Chris, visibilmente divertito.
- Era solo per vedere se ci riuscivamo! – disse uno dei due.
-
Già… si hackera il sito di un’Agenzia
governativa solo per vedere se si riesce – brontolò
Penelope – Roba da matti! Andate a prendere il resto in macchina
e, possibilmente, senza combinare altri guai.
- I monitor sono troppo pesanti – brontolò l’altro.
- Niente paura, ragazzi – Jack sorrise sotto i baffi – Vi daremo una mano io e Chris.
I due gemelli si
sorrisero e batterono il cinque. Poi, notando lo sguardo di
disapprovazione della madre, tornarono a fissare il pavimento. Come
lasciarono la stanza, Prentiss si avvicinò alla vecchia amica.
- Non
dovrei dirtelo io, però anche tu sei entrata nel sito
dell’F.B.I. – sembrava divertita da tutta la questione
– E’ così che ti abbiamo trovato, no?
- Non
era l’F.B.I. – Penelope guardò l’amica di
sottecchi – Ma devo ammettere che sono maledettamente bravi, non
si sono fatti beccare.
- E allora come fai a saperlo? – chiese Puka guardandola ammirata.
- Io sono più brava dei tecnici della C.I.A. – ammise candidamente.
Puka guardava sbalordita
i monitor e i server che Garcia le aveva procurato. Persino nel suo
ufficio non avrebbe potuto avere niente di meglio. Come in trans
cominciò a collegare i fili, sembrava una bambina in un negozio
di dolciumi. Penelope sorrise soddisfatta, mentre i due gemelli stava
con le mani in tasca e guardavano di sottecchi la madre.
- Se
avete bisogno di altro, non avete che da chiedere – disse allegra
– A Kevin non dispiace prestare un po’ di cose a dei vecchi
amici in difficoltà.
- Grazie, Garcia. Sei sempre la migliore – Prentiss abbraccio l’amica.
-
Figurati, zucchero. Chiedi e l’oracolo di Quantico
risolverà il tuo problema – si girò verso il resto
della squadra – Mi raccomando, inchiodateli!
Si avviò verso la
porta seguita dai figli, che camminavano dietro di lei con
l’espressione di due cani bastonati. Decisamente, per quanto
fosse dolce, Penelope aveva il pugno di ferro con i gemelli.
Cassandra continuava a
muovere velocemente le mani sui monitor, alla ricerca delle
informazioni che potevano tornare utili in quel frangente.
Improvvisamente metà dei monitor si oscurarono e la ragazza
sorrise torva.
- Provate a tenermi fuori – disse all’indirizzo dei due monitor rimasti in funzione.
Con rapidi gesti,
cambiò un paio di schermate e poi apparve il logo
dell’F.B.I. su tutti i monitor che erano tornati misteriosamente
in funzione.
- Puka, non dirmi che… - Prentiss sentiva una lieve nausea.
- Non preoccuparti, ho programmato io i sistemi di sicurezza. Non ci beccheranno mai! – rise sguaiata.
- Sei peggio dei gemelli Lynch – commentò Jack scuotendo la testa divertito.
- Io non mi faccio mica beccare dalla mamma – rispose la punk strizzandogli l’occhio.
-
Sarà meglio che non ti becchi nessuno –
l’ammonì Emily – Se mi trovo casa invasa dalla
S.W.A.T. ti faccio vedere io.
- Anche
se mi scoprissero, cosa di cui dubito fortemente, verrebbero
reindirizzato su un sito civetta e farebbero irruzione in un
seminterrato della vecchia Europa – rispose soddisfatta la
ragazza.
- Come fai a dire che dubiti che ti becchino? Ci sono altri tecnici oltre te – le fece notare Isabel.
-
Peccato che ad un controllo di routine non troverebbero mai il
trojan che ho inserito – ribatté Puka.
- Hai inserito un trojan nei computer dell’F.B.I.? – JJ era sconvolta.
-
Diverso tempo fa, ho pensato che era meglio essere previdenti
– spiegò Cassie senza scomporsi – Nel caso fossi
stata estromessa, perché “do da pensare”, volevo
essere sicura di poter accedere alle informazioni giuste.
- Ragazza previdente – disse Chris baciandole una tempia – E adesso?
-
Lasciatemi lavorare – Cassandra ormai era lanciata –
Datemi una mezz’oretta e saprò dirvi anche cosa la Harper
a mangiato a colazione.
Continua…
|
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Capitolo 12 *** Capitolo XI. The Dupont Circle’s maniac ***
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Capitolo XI. The Dupont Circle’s maniac
- Credo sia il momento di aggiornarvi – per un’ora buona Puka era rimasta incollata ai monitor.
Isabel, Prentiss e JJ erano sedute sul divano, mentre Jack e Chris
camminavano nervosi per il salotto. Non era una bella situazione.
Dovevano difendersi e non sapevano neanche chi fosse il nemico o
perché stesse facendo tutto questo.
- Cominciamo dalla Harper – disse sicura
Prentiss – Sono proprio curiosa di sapere qualcosa di più
sul nostro “caro” vice procuratore.
- Eilen Harper ha quarantasei anni. Laureata in legge
ad Harvard, è stata avvocato d’ufficio per dieci anni
prima di passare alla procura. Carriera brillante, oserei dire –
Puka guardo gli altri con una smorfia – La signorina Harper
è famosa per la sua caparbietà. Non molla mai, se si
mette in testa che qualcuno è colpevole lo perseguita al limite
della legalità.
- Come sta facendo con noi – Chris si mise a
sedere su una poltrona – Lei è convinta che io sia
colpevole e per dimostrarlo attacca anche voi, in modo che non possiate
difendermi.
- Non ho finito. Anche la nostra
“principessina” ha i suoi scheletri dell’armadio.
Primo fra tutti una denuncia per abuso di potere. Cinque anni fa si era
convinta che una ragazza di vent’anni avesse ucciso il suo
ragazzo, nonostante ci fossero prove a sostegno della tesi che il
ragazzo fosse stato aggredito per rubargli la macchina e
l’orologio – i monitor mostrarono diversi articoli che
citavano il caso – La nostra vice procuratore si mise di punta.
La ragazza veniva interrogata di continuo, pedinata dai poliziotti, i
suoi genitori e gli amici continuamente importunati per vedere se
cambiavano versione. Morale? La ragazza si è uccisa in seguito
al forte stress.
- Come è finita la causa? – Prentiss sembrava contrariata dalla condotta della Harper.
- Si è accordata in privato, anche se poi è stata sospesa per sei mesi.
- Era colpevole del reato, ma hanno deciso di
insabbiare il caso e dare un contentino ai parenti di quella povera
ragazza – tradusse Jack scuotendo la testa.
- Non è tutto – Cassandra sembrava
divertirsi – Sapete chi erano i poliziotti che lavorarono con lei
durante l’indagine?
- Fammi indovinare – disse Isabel – Morelli e Lavigne?
- Bingo, mia cara. Anche loro hanno il loro bel passato da nascondere.
- Furono coinvolti nella denuncia? – Emily sorrideva soddisfatta, avevano qualcosa in mano.
- Anche, ma non solo. Mark Lavigne è un
emerito stronzo, è stato indagato più volte dalla
disciplinare. Gli piace trattare i sospetti con il pugno di ferro, non
sempre metaforicamente. E’ stato coinvolto anche in un caso di
aggressione ai danni di un ragazzo gay che aveva l’unico torto di
avergli sorriso “ammiccante”.
- Omofobico – dedusse Chris.
- Io lo definirei un bastardo – Puka sorrise
ironica – Ma non credo che in tribunale sarebbe un accusa
fattibile.
- Morelli? – riprese il discorso Prentiss.
- Questa è la cosa più strana. Morelli
è pulito come un angioletto. Mai una multa, mai una lettera di
richiamo, niente di niente. Escludendo, naturalmente, la storia
dell’abuso d’ufficio dal quale si è tirato fuori
dicendo che era stata la Harper a ordinargli quel tipo di comportamento.
- Giochiamo a scarica barile, eh? – JJ
cominciò a far scrocchiare le nocche – Mi piacerebbe
lavorarmelo un po’, sono sicura che poi canterebbe come un
uccellino. Visti i precedenti, non dubito che direbbe che è
tutta colpa della “principessina” come l’hai definita
tu.
Scoppiarono tutti a ridere, tranne Puka che era stranamente seria.
- Avete mai sentito parlare del maniaco di Dupon Circle?
Si guardarono fra di loro sorpresi dalla domanda e poi scossero tutti la testa.
- Beh, a quanto pare quello di Desiré Johanson
non è stato l’unico omicidio avvenuto in quella zona.
Altre tre donne sono state uccise con le stesse modalità –
li informò Cassandra – Violentate e strangolate.
- Quindi hanno il DNA del colpevole – Chris si
alzò avvicinandosi agli schermi – Eppure non mi hanno
chiesto di sottopormi al test.
- Non mi stupisce, quella potrebbe essere una prova a
discolpa – gli fece notare Isabel – Anche quando gli ho
detto che potevano trovare il tuo DNA sulle mie lenzuola, mi ha
risposto che non era necessario.
- Forse perché non hanno il DNA – fece
sapere la punk – Il bastardo usa il preservativo. E’ furbo
e conosce la prassi. Quello della Johanson è il più
cruento e si differenzia per un particolare.
- Quale? – si informò Chris.
Sul monitor apparve la foto del corpo di Desiré, con il vestito
lacerato e un rivolo di sangue che le usciva dal naso. Il particolare
più macabro era la mano destra, che era stata recisa e buttata
poco più in là.
Isabel chiuse gli occhi, capendo finalmente perché la Harper si
fosse impuntata con Reid. Desiré aveva accarezzato con la mano
destra la patta dei pantaloni del ragazzo davanti ai bagni, cosa che
sicuramente qualcuno dei loro “testimoni” aveva notato.
Puka continuava a cercare notizie utili, mentre il resto della squadra
si dava da fare per stilare un profilo dell’S.I., avevano deciso
che l’unico modo per scagionare Chris era inchiodare l’uomo
che aveva ucciso quelle ragazze. Isabel non aveva fatto cenno a quello
che era successo fra Reid e Desirè appena fuori dalla toilette.
Pensava che il ragazzo avrebbe affrontato l’argomento con gli
altri durante il lavoro. Nonostante fossero passate due ore, lui non
aveva ancora menzionato il comportamento della ragazza. Irons
continuava a guardarlo di sottecchi, chiedendosi cosa lo trattenesse
dal rivelare quella che forse era l’arma più forte della
Harper.
Andò in cucina con la scusa di prendere una caffè, mentre
rimuginava ancora sulla strana reticenza di Chris. Mentre girava la
bevanda, il protagonista delle sue elucubrazione, fece il suo ingresso
nella cucina arredata in stile moderno. Si guardarono un attimo, poi
Reid si diresse al frigorifero e ne estrasse una bottiglietta
d’acqua.
- Sei piuttosto silenziosa oggi – le fece notare.
- Mai quanto te.
- Se non ho fatto altro che parlare mentre eravamo di là con gli altri? Mi si è seccata la gola.
- Sai che si può mentire anche per reticenza?
- Che vuoi dire? – Chris si girò verso di lei, piuttosto risentito.
- Alla Johanson è stata amputata la mano destra, questo non ti dice niente?
- Non capisco dove vuoi andare a parare – era sulla difensiva.
- Ti ha toccato, Chris! Ecco dove voglio andare a
parare – l’esasperazione traspariva dalla sua voce –
Diavolo! Ti ha fatto delle avances piuttosto esplicite e poi qualcuno
l’ha uccisa tagliandole la mano. Non credi che ci sia un nesso?
- Non penserai sul serio che sia stato io? Eri con me, non lo scordare.
- Non sto dicendo niente del genere – Isabel si
concentrò sul liquido nero contenuto nella tazza –
Dobbiamo dirlo agli altri, può voler dire che l’uomo che
cerchiamo era da Carlo’s e ha assistito alla scena.
Chris chiuse gli occhi e sospirò.
- Hai ragione, ma… è imbarazzante.
- Che una donna ci abbia provato con te? – sorrise – Sarebbe stata una scema a non farlo.
- Isabel…
- So perfettamente che quest’indagine
metterà a dura prova il mio amor proprio. E’ inutile
girarci intorno – fece un respiro profondo prima di continuare
– So perfettamente che quella sera parecchie ragazze presenti
volevano le tue attenzioni, credo sia naturale. Se non riesco ad
affrontare questa cosa vuol dire che è meglio che torni a casa e
lasci fare a voi.
Lui l’abbracciò da dietro e le diede un bacio delicato fra
i capelli. Poi poggiò il mento sulla sua spalla e le
parlò piano nell’orecchio.
- Ti amo. Non voglio che tu ti senta ferita, per me quelle ragazze non significano niente.
- Allora diglielo, Chris.
- Va bene – si arrese lui – Ma tu non
metterti in testa strane idee. Non mi piacciono quel tipo di avances.
Anche se devo ammettere che se lo facessi tu…
Isabel gli diede un pugno sul braccio.
- Smettila di fare lo scemo!
Continua…
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Capitolo 13 *** Capitolo XII. Existential balance ***
12
Capitolo XII. Existential balance
- Ricapitolando – Prentiss continuava a
massaggiarsi le tempie – C’è un maniaco che va in
giro a stuprare e uccidere giovani donne; tu conoscevi l’ultima
vittima con cui avevi appena litigato; lei ti ha palpato la patta dei
pantaloni; l’S.I. le ha tagliato la mano destra… Cerchiamo
di vedere il lato positivo.
- Perché, ce n’è uno? – chiese Jack continuando a giocare con una matita.
- Almeno sappiamo che il nostro soggetto ignoto era
all’interno del ristorante ed ha assistito al diverbio fra loro
– Prentiss aprì gli occhi e sbuffò avvilita –
Che altro abbiamo?
- Ho trovato i fascicoli riguardanti gli altri
omicidi – fece sapere Puka – La polizia brancola nel buio.
Tutta la squadra si concentrò sui dossier scovati
dall’informatica, cercando qualcosa che fosse sfuggito agli
investigatori. Improvvisamente Chris sbarrò gli occhi e
guardò Isabel sconcertato.
- Qualcosa non va? – chiese la ragazza notando le occhiate di lui.
- Conoscevo due delle altre vittime – fece sapere il ragazzo, visibilmente in imbarazzo.
- In che senso le conoscevi? – JJ lo fissava
con insistenza – Le conoscevi come conoscevi Desirè?
- Sì, più o meno. Frequentavano
Carlo’s, le ho rincontrate un paio di volte. Erano sempre al bar
intente a cercare compagnia.
- Bene, almeno sappiamo cosa avevano in comune le
vittime – Irons si rassegnò a dover fare confronti fra se
stessa e le ex del suo ragazzo – Erano… disponibili.
- Bell’eufemismo – constatò Puka
– Comunque sappiamo anche che almeno tre delle vittime
frequentavano Carlo’s, o almeno il bar del ristorante.
- Quindi erano donne eleganti, benestanti e disinibite – concluse JJ – Abbiamo una vittimologia.
- Cominciamo a lavorare su quella – decise Prentiss.
Era appena rientrata nel suo appartamento, distrutta dopo quella
giornata stressante. Le parole di Jefferson le rimbombavano nella testa
non dandole tregua. “Stile di vita alternativo”,
così aveva definito la sua relazione con Michele. Un moto di
rabbia la pervase, nonostante tutti dicessero che non faceva differenza
le tendenze sessuali di un’agente l’avevano sospesa
perché era gay.
Aprì la porta della camera da letto, dove la sua ragazza dormiva
placida. Si spogliò in fretta e sgattaiolò sotto le
lenzuola cercando di non svegliarla. L’esile bellezza bionda
sospirò soddisfatta quando sentì le forti braccia di
Jasmine circondarla. Si strinse ancora di più alla donna che
amava e affondò il volto nei suoi sottili capelli chiari.
Perché doveva essere tutto così difficile? Perché
doveva scegliere fra il lavoro che adorava e la donna che la rendeva
felice?
Puka continuava ad accarezzare distrattamente Lollipop, che dimostrava
tutto il suo apprezzamento per quelle attenzioni facendo sonoramente le
fusa.
La sua vita privata era caotica e imprevedibile. A differenza di JJ,
Jack, Chris e Isabel lei non aveva un compagno o una compagna. Non
sapeva neanche quale dei due stesse cercando.
Aveva sempre creduto che quando avesse incontrato la persona giusta
tutti i suoi casini sarebbero finalmente scomparsi come per incanto e
che avrebbe infine capito cosa voleva dalla vita.
Aveva ventinove anni, un lavoro che la appassionava, un
bell’appartamento e Lollipop che l’accoglieva tutte le
sere. Eppure la sua vita era vuota. Era stufa di non avere
nessuno a cui telefonare nel cuore della notte per avere un
po’ di sostegno emotivo. Invidiò i suoi amici e colleghi,
loro la persona giusta l’avevano trovata.
In tutta la sua vita le era capitato solo una volta di perdere
completamente la testa per qualcuno e come conseguenza Andrew le aveva
spezzato il cuore, mollandola per una ragazza più carina e
“classica”, come l’aveva definita lui stesso.
Buffonate! Lui voleva una donna facile da capire, che non comportasse
dispendio di forze e che si accontentasse di quello che lui era
disposto a dare. Lei non si era mai accontentata in vita sua, o tutto o
niente. Non esistevano le vie di mezzo.
Suo malgrado fu costretta ad ammettere con se stessa che la sua
situazione attuale “era” una via di mezzo. Si infilava nel
letto di qualunque essere umano fosse disposto a darle un po’ di
calore anche se per una notte sola, e questo era accontentarsi.
Fissò la propria immagine nello specchio. Era una punk, quello
era il suo stile, qualcosa che la faceva sentire forte e sicura di
sé. Ma era anche un modo per nascondersi al mondo, per evitare
di fare i conti con quello che avrebbe potuto essere e non era stato.
Si rannicchiò sotto le coperte con il suo gatto e cercò di prendere sonno.
Lizzy e Jack erano seduti sul divano dell’appartamento di
quest’ultimo. Hotch le stava raccontando la conversazione con
Jefferson e le stringeva la mano. Quando lui finì di riferirle
l’accaduto, lei tirò indietro la mano e cominciò a
fissare un punto del pavimento.
- Ti hanno sospeso per colpa mia? – chiuse gli occhi e trattenne il respiro.
- No, mi hanno sospeso perché sono degli asini pomposi.
- Ma è stato il nostro rapporto a dargli l’appiglio per farti questo.
Jack le mise due dita sotto il mento e la costrinse a girarsi. Le
sorrise con dolcezza e le spostò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
- Non devi preoccuparti.
- Tu ami il tuo lavoro – sembrava
sull’orlo del pianto – Se il nostro rapporto mette a
repentaglio la tua carriera…
- Elizabeth, la cosa più importante non
è il mio lavoro – le prese il viso fra le mani – Ti
amo, voglio sposarti e formare una famiglia solo nostra. Se mi
costringeranno a scegliere, io ho già preso la mia decisione.
- Tutto questo è assurdo.
La baciò sulla fronte e se la strinse contro.
- Non preoccuparti. In fin dei conti ho una laurea in legge, troverò qualcos’altro.
- Tu sei nato per fare il profiler e sei bravo. Se quei cretini non lo capiscono…
- La cosa più importante adesso è
tirare Chris fuori dai guai, vedrai che una volta fatto questo si
risolverà tutto.
- Speriamo.
- Andiamo a dormire ora. Domani sarà una giornata piuttosto impegnativa.
Per la prima volta da quando stavano insieme, si limitarono a dormire.
Elizabeth si chiese cosa sarebbe successo in futuro. Non metteva in
dubbio che se lo avessero messo davanti a quel tipo di decisione lui
avrebbe scelto lei.
Si soffermò su quello che ne sarebbe seguito. Trovare un nuovo
lavoro, rimpiangere la sua carriera di profiler, l’amarezza che
ne sarebbe seguita… Forse, un giorno, lui le avrebbe rinfacciato
tutto questo. Non riusciva a prendere sonno e si rigirava nel letto.
Rischiavano di perdere tutto quello che avevano.
Chris aveva insistito con Isabel perché si fermasse a casa sua.
Non voleva rimanere solo. La buttò sullo scherzo: nel caso il
maniaco agisse di nuovo era meglio avere un alibi. Lei aveva sorriso e
alla fine aveva ceduto.
In realtà desiderava restare con lei, sentiva il bisogno di
averla vicino. Tutto quello che era successo in poco più di due
giorni lo aveva destabilizzato.
Era stato accusato di un omicidio. Anche se la Harper non l’aveva
ancora incriminato era convinto che fosse solo questione di giorni.
Inoltre lo avevano sospeso dal servizio per via della sua relazione con
Irons. Il vice procuratore era decisa a rovinarlo e chi ne aveva fatto
le spese era la donna che amava e i suoi colleghi.
Si sentiva tremendamente in colpa e continuava a rimproverarsi. Se non
si fosse comportato come uno sciocco, se non si fosse divertito ad
infilarsi in più letti possibile, se non avesse minacciato
Desiré… la lista dei se sembrava non finire mai.
Si sorprese a sorridere mentre pensava che l’unico
“se” che non gli era venuto in mente era “se non
avessi avuto una storia con Isabel”. Era
un’eventualità che non voleva prendere neanche in
considerazione, da quando lei era nella sua vita era finalmente felice
ed appagato.
Si rese conto di essere egoista nel suo modo di pensare. Le conseguenze
di quello che provava per lei si erano ripercosse su entrambi. Si
girò a fissarla. Dormiva tranquillamente con la testa poggiata
sulla sua spalla e sembrava così dolce. Non voleva che lei
pagasse lo scotto delle scelte sbagliate che lui, e solo lui, aveva
fatto.
Continua…
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Capitolo 14 *** Capitolo XIII. Ideas ***
13
Rieccomi
qui, in ritardo mostruoso. Fra nausee e giramenti (non solo di testa)
ero rimasta veramente indietro... prometto di continuare a pubblicare
(anche se non giornalmente, mi impegno a farvi avere almeno un capitolo
a settimana)^^
Buona lettura
Capitolo XIII. Ideas
Isabel fu svegliata dal profumo di caffè appena fatto. Si
tirò su e si stiracchiò, rammaricandosi che Chris non
l’avesse aspettata come faceva sempre, ma oggi non potevano fare
tardi, dovevano fermare un S.I.
Si mise addosso la camicia di Chris che giaceva in terra, dove era
finita la sera prima durante la loro “litigata”. Sorrise
sentendo l’odore del ragazzo sulla stoffa e si permise di
chiudere gli occhi ed assaporare ancora un po’ quella sensazione
di benessere che accompagnava sempre il risveglio con lui.
Entrando in cucina lo vide di spalle, intento ad armeggiare ai
fornelli, mentre fischiettava. Sorrise pensando che era bello vederlo
così di buonumore, aggrottò le sopracciglia rendendosi
conto che lui era sempre allegro la mattina. Possibile che non si
alzasse mai con il piede sbagliato come succedeva a tutti i comuni
mortali?
- Rimani lì sulla porta o vieni a fare colazione?
- Come hai capito che ero qui? – chiese lei sorpresa.
Reid picchiettò con il dito sulla pentola di rame che teneva attaccata sopra l’isola della cucina.
- Sei un’imbroglione, lo sai?
- Mai detto di essere uno che segue le regole – si girò verso di lei con le braccia aperte.
- Cosa mi hai preparato di buono? – disse mentre si stringeva a lui.
- Frittelle, caffè e spremuta d’arancia. Va bene, principessa?
- Mi accontenterò per stavolta – si sciolse dall’abbraccio e andò verso il tavolo.
- Quale onore – Chris la superò e le
tenne la sedia mentre si sedeva – Ci organizzeremo meglio la
prossima volta.
- Dovresti smetterla di viziarmi così, finirò col diventare grassa.
- Sei tutta pelle e ossa, un po’ di peso non ti farebbe male.
- Già, peccato che non ingrasso sulle tette – rispose alzando un sopracciglio.
- In compenso hai il sedere più straordinario che abbia mai visto.
- Porco!
Alzò un braccio per colpirlo, ma lui prontamente le afferrò il polso e poi si chinò a baciarla.
- Buongiorno anche a te – si allontanò per prendere i piatti.
Guidava lui come sempre, mentre Isabel continuava a rimuginare sui
dossier che Puka aveva procurato. Con l’I-pad continuava a fare
avanti ed indietro con i dati raccolti dalla polizia, senza riuscire ad
approdare a nulla di concreto. Quel tipo era maledettamente in gamba,
visto che con quattro omicidi era riuscito a non lasciare la più
piccola traccia.
Continuavano a brancolare nel buio, essendo riuscita a lavorare solo
sulla vittimologia. Peccato che i bar del centro pullulassero di
ragazze che corrispondevano al profilo. Si mise a pensare che
nonostante quei bar fossero pieni di quel genere di ragazze, lei non ne
conosceva neanche una che rientrasse nel tipo prediletto dall’S.I.
Kathy era una bellissima ragazza, anche molto disinibita, ma
decisamente elegante non era un aggettivo che si poteva usare con lei.
Lizzie era bella ed elegante, ma decisamente non era disponibile. Della
squadra poi non c’era nessuna che rientrasse nel profilo, a parte
Prentiss che comunque non rispettava la fascia d’età che
era stata presa di mira.
Impossibile tenere sotto controllo tutti i bar, ma una soluzione doveva
pur esserci. Cominciò a giocherellare nervosamente con una
ciocca di capelli, rimproverandosi di non riuscire a trovare un modo
per restringere il campo. Non ricordava molto degli uomini presenti al
bar quella sera…
Improvvisamente sgranò gli occhi e diede un pugno sul cruscotto.
- Quando fai così significa che hai avuto un
idea – Chris continuava a concentrarsi sulla guida – Spara,
prima di scoppiare dalla voglia di dirmelo.
- Carlo’s.
- Sì, sappiamo che probabilmente è
lì che va a caccia. Mica possiamo metterci a seguire tutti
quelli che frequentano quel posto.
- Ma sappiamo anche che era presente la sera della cena di famiglia.
- E allora?
- Dici che Puka riesce ad avere l’elenco delle
persone che hanno usato la carta di credito lì quella sera?
- Potrebbe aver pagato in contanti – le fece notare Reid.
- In un posto del genere darebbe troppo
nell’occhio… e comunque da qualche parte dobbiamo pur
iniziare, no? E poi vediamo se la nostra cara Puka è
un’hacker abile quanto dice.
- Che vuoi dire?
- C’è un altro modo per sapere chi era presente lì quella sera.
- I verbali della polizia! – la prevenne lui – Sei un genio!
- Guarda che quello con il Q.I. stratosferico sei tu. Io mi accontento di essere nella media.
- Tu non sarai mai nella media, sei troppo speciale.
- Ruffiano!
- Modesta!
Erano tutti attenti ai movimenti di Cassandra, che da circa
mezz’ora continuava a manipolare le informazioni sui monitor.
Sebbene fosse entrata nel mainframe della polizia di Washington il
giorno prima, sembrava un problema trovare i nomi dei testimoni di
Morelli e Lavigne.
Intanto Prentiss era in cucina che preparava il caffè, non
trovando il coraggio di dire quello che le frullava in testa da un
po’ di tempo. Chris sarebbe andato su tutte le furie e di sicuro
non avrebbe potuto biasimarlo, anche lei avrebbe reagito male a quello
che stava per dire. Ma doveva fare qualcosa per portare la sua squadra
fuori da quel casino e non vedeva altre soluzioni.
Decise di aspettare che Puka terminasse la sua ricerca, forse non
sarebbe stato necessario attuare il piano che le era venuto in mente
durante la notte. Sperava che ci fosse qualcosa di rilevanti in quegli
incartamenti che stavano cercando con tanto affanno. Comunque anche
l’idea di trovare l’elenco di chi aveva usato la carta
quella sera non era male, doveva ammettere che la ragazza aveva una
testolina che sfornava idee in continuazione, tutte abbastanza buone
tra l’altro.
Jack si allontanò dagli altri e la raggiunse, era visibilmente
teso e preoccupato. Chiuse la porta alle sue spalle e fronteggiò
il suo capo, in completo silenzio si studiarono cercando di capire le
reciproche intenzioni.
- Tu hai un piano – esordì il ragazzo – Ma non vuoi dirci di che si tratta.
- Mi complimento, sei diventato un bravo profiler.
- Ti conosco da sempre – disse non distogliendo
il contatto visivo – Quando hai quello sguardo, vuol dire che hai
un’idea, che è pericolosa e che forse qualcuno di noi si
arrabbierà.
- Quindi?
- Credo di sapere cosa stai pensando. Per quello che
vale, per me potrebbe essere un buon piano, ma Chris…
- Non la prenderà bene – sospirò
lei afferrando la caraffa di caffè appena fatto – Vediamo
prima cosa trova Puka e poi decidiamo come procedere. Spero di non
dover litigare con lui, sa essere altamente indisponente quando vuole.
- Strano, suo padre non è così.
- Infatti, quel lato del suo carattere la preso tutto dalla madre.
- Sarah?
- Le litigate tra lei e tuo padre per lavoro erano
all’ordine del giorno. Carattere di ferro e testardaggine da
vendere, chi ti ricorda?
- Suo figlio, fatto e finito – rispose con un sorriso scuotendo la testa.
- Magari avessi a che fare con il più
malleabile Reid padre – sospirò la donna –
Raggiungiamo gli altri.
Continua…
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Capitolo 15 *** Capitolo XIV. Different points of view ***
14
Capitolo XIV. Different points of view
Vi
osservo da qui, non visto, ignorato. Osservo specialmente te, con
quell’aria superiore e quel vestito elegante che mette in risalto
il tuo corpo, tu che osservi tutti dall’alto in basso. Nessuno
è alla tua altezza, sei tu che decidi con chi giocare e chi
tenere in panchina ad attendere. Beh, stavolta hai trovato un giocatore
che non rispetta le regole e non obbedisce scodinzolando in attesa di
un tuo sorriso o di una tua carezza.
Tu mi
hai ignorato finora, mera tappezzeria nella tua vita, una di quelle
cose che nessuno guarda mai, a cui nessuno fa caso. Ora mi vedi? Ora mi
senti? Urla e piangi, fammi sentire che finalmente non sono più
sullo sfondo, finalmente sono in prima fila sul palcoscenico e tutto il
pubblico aspetta la mia battuta. Eccomi qui, miei cari, pronto a
recitare la mia parte fino in fondo.
Osservo
i tuoi bei capelli biondi, solitamente così ordinati,
aggrovigliati e che escono dalle forcine. Sei troppo concentrata sul
fatto di dimenarti, di impedirmi di prendere quello che è
già mio, per accorgerti che così facendo distruggi la
sottile impalcatura che regge insieme la finzione.
Io vi
conosco, mie care signore. Tutte uguali, tutte finte, nascoste dietro
il vostro trucco e dietro acconciature elaborate che attirano
l’attenzione, abiti eleganti e costosi che mettono in risalto i
vostri corpi scolpiti da ore di palestra e da sedute presso i centri
estetici. Tutta questa fatica per niente?
So
che in realtà vi serve, ne avete un disperato bisogno. Dietro
tutto quell’effetto scenico nascondete il nulla che vi
contraddistingue, voi mere illusioni desiderate dagli uomini che
vogliono solo un po’ di compagnia per una notte. Vuoti involucri
di vanità e stupidità, che cercate di sembrare migliori
di quanto siete.
Io
per voi non ho mai rappresentato niente, io non ero degno di assaggiare
quel mondo effimero. Bene, mi sono dato da solo questo privilegio.
Siete mie, ognuna di voi può essere la prossima e voglio che mi
conosciate.
Tu,
sgualdrina, che continui a supplicarmi, tu mi conosci? Sai chi sono? Ti
ricordi di me? Mentre affondo le mani nel tuo collo delicato e senti la
vita abbandonarti, sei finalmente riuscita a fare il collegamento
mentale? Sei riuscita a capire il perché?
Piangi
e urla per me, fammi sentire il tuo terrore! Preparati Washington, ho
appena cominciato a divertirmi. Tutte le puttane sono mie! Non quelle
luride disperate che infestano i marciapiedi, no. Quelle le lascio ai
falliti, ai disperati. Io voglio quelle prostitute che rallegrano lo
scenario della tua parte più scintillante, quelle ragazze
disponibile che barattano il sesso per una cena in un locale costoso.
Quelle che hanno stabilito una tariffa molto alta per la loro compagnia.
Quegli
stupidi poliziotti! Pensano che sia stato quel damerino dai capelli
neri a fare tutto questo. Non permetto a nessuno di prendersi il merito
del mio capolavoro, io vi farò sapere che esisto e che nessuno
può più ignorarmi!
So
chi sei bella bionda, tuo padre mi ha fatto un sacco di domande ma non
era interessato alle risposte. Pagherà caro l’errore di
avermi sottovalutato.
Prentiss continuava a
guardare Chris, indecisa se parlare o meno dell’idea che le era
venuta. Lo conosceva da quando era piccolo, l’aveva visto nascere
ed era sempre stata una sorta di zia per lui, eppure il pensiero di
esternare il suo piano la metteva a disaggio. Conoscendolo sarebbe
esploso come una pentola a pressione… Decisamente era testardo e
caparbio come sua madre, niente a che vedere con il dolce e malleabile
Reid senior, che era sempre stato disposto a giungere a qualche
compromesso durante la sua carriera nella squadra.
Jack era visibilmente
nervoso, avendo capito dove lei volesse andare a parare e timoroso di
dover mettersi fra quei due e fare da paciere. Si domandava come
avrebbe reagito Isabel, la conosceva troppo poco per capire quale
potesse essere la sua risposta a quel tipo di piano ma aveva dimostrato
di essere un tipo tosto, specialmente durante il caso del
“creatore di bambole” dove aveva dovuto addirittura sparare
al suo stesso fratello.
Isabel, da parte sua,
continuava a sfogliare i file sulle carte di credito usate da
Carlo’s le sere degli omicidi. C’erano nomi ricorrenti, ma
nessuno compariva nei tabulati tutte e quattro le sere incriminate,
quindi o l’S.I. pagava in contanti oppure il collegamento fra le
vittime era un altro.
Furono riscossi dai loro
pensieri, dall’improvviso scampanellare del citofono. Prentiss,
come padrona di casa, si alzò per andare a rispondere. I ragazzi
si guardarono fra di loro, chiedendosi chi potesse andare a cercarli
lì in quel momento così particolare delle loro carriere.
Il ritorno del loro capo li preoccupò non poco, Prentiss aveva
una faccia strana che non presagiva niente di buono.
- Chi era? – chiese Jack cercando di capire cosa stesse succedendo.
- Vuoi
dire chi è, visto che sta salendo – si avvicinò a
Puka – Fai sparire tutti i file che abbiamo recuperato hackerando
il mainframe della polizia.
- Perché? – chiese la ragazza stupita.
- Il detective Morelli ha deciso di onorarci con una visita inaspettata.
Istantaneamente
armeggiarono tutti con i propri I-pad, mentre Puka con poche rapide
mosse faceva sparire qualsiasi prova di quello che aveva fatto negli
ultimi due giorni. Proprio mentre tutti posavano le apparecchiature
elettroniche, il detective fece il suo ingresso nel salotto di casa
Morgan con un’aria decisamente contrita, molto diversa da
quell’atteggiamento indisponente che aveva usato durante il loro
ultimo incontro.
- A
cosa dobbiamo l’onore? – chiese Chris alzandosi in piedi
– E’ venuto per arrestarmi?
-
No… lei è stato completamente scagionato. Soprattutto
visto che ha un alibi di ferro per l’ultimo delitto.
- E da quando la mia parola sarebbe un alibi di ferro? – chiese Isabel ironica.
- Ieri
sera un’altra ragazza è stata stuprata e strangolata dopo
aver lasciato il ristorante Carlo’s.
- E come fa ha sapere che ho un alibi? – intervenne di nuovo Reid.
- Io e
Lavigne abbiamo sorvegliato casa sua tutta la notte, quindi sappiamo
che al momento del delitto si trovava nel suo appartamento in compagnia
della signorina Irons.
-
Agente Irons – ribadì Prentiss – Vorrei che non
scordasse che siamo agenti federali, un po’ di rispetto!
- Mi
scusi – l’uomo era in evidente difficoltà e
continuava a spostare il peso da un piede all’altro.
- E’ venuto fino a qui per dirmi solo questo? – Chris tornò a sedersi.
-
Veramente… ecco… il procuratore distrettuale ha tolto il
caso alla Harper, decidendo di occuparsene lui personalmente –
prese fiato cercando le parole giuste – Io…
pensavo… insomma…
- Ci sta chiedendo aiuto, detective? – JJ lo osservava divertita.
-
Sì. Anche se Harper e Lavigne erano convinti che il colpevole
fosse l’agente Reid, io non ci ho mai creduto. Mi dispiace per il
mio comportamento, ma non avevo altra scelta che seguire le istruzioni
che mi erano state impartite.
- Tipo? – Isabel era sul piede di guerra.
- Di
trattarla male e riderle in faccia, per esempio – confessò
l’uomo visibilmente contrito – Sono venuto qui anche per
scusarmi con tutti voi.
-
Grazie, detective – Prentiss incrociò le braccia e lo
fisso intensamente – Comunque non possiamo aiutarla neanche se
volessimo.
- So
della vostra sospensione… il procuratore se ne sta occupando
personalmente – fece sapere l’uomo.
-
Purtroppo la sospensione è partita dagli affare interni, dubito
che il suo superiore possa fare qualcosa – Emily fece il gesto di
accompagnarlo alla porta.
- Nel
caso, questo è il mio biglietto da visita. Qualsiasi cosa vi
serva, dossier, informazioni riservate…
- Come mai tutta questa disponibilità? – ormai erano davanti alla porta.
- La ragazza uccisa… era la figlia di Lavigne.
Continua…
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Capitolo 16 *** Capitolo XV. What I know about you ***
15
Capitolo XV. What I know about you
- E adesso? – Reid fissava Prentiss che era
appena rientrata nella stanza dopo aver accompagnato Morelli.
- Adesso, cosa? – interloquì Jack dal
divano – Siamo ancora tutti sospesi, il fatto che ora loro ci
chiedano aiuto non cambia il casino con la disciplinare.
- Ma il fatto che Chris non sia più sospettato
dovrà valere qualcosa – Puka, completamente digiuna di
tali faccende li guardava perplessa.
- Loro non ci hanno messo sotto inchiesta
perché Reid era sospettato – JJ si allenava con una molla
stringimano – Non credo che si risolverà tutto così
facilmente, la Harper ci ha messi in un bel casino.
- Fatemi fare un paio di telefonate – Emily
entrò nello studiolo e chiuse la porta dietro di sé.
- Sapete chi è il procuratore che si occupa di
questo caso? – Isabel cercava di essere pratica – Non
vorrei finire fra le grinfie di uno peggio della Harper.
- Per quello ci sono io! – Puka si girò
e cominciò di nuovo la danza delle mani sui monitor.
Prentiss era seduta alla scrivania dello studio e si reggeva la testa
con le mani. Aveva chiesto un grosso favore, un favore immenso e
probabilmente con questo aveva tracciato una linea rossa sui possibili
nomi da chiamare in caso di necessità. Non avrebbe potuto
chiedere ancora a quella persona di cercare di tirarli fuori dai guai e
non era neanche sicura che lei riuscisse a risolvere qualcosa.
Sbuffò indispettita e decise che era ora di raggiungere i
ragazzi, essendo inutile rimanere lì nell’attesa di una
chiamata che forse non sarebbe arrivata. Meglio tuffarsi nel lavoro e
togliersi dalla mente tutto quel gran casino, almeno finché non
avesse ricevuto risposta al suo S.O.S.
Erano tutti chini sui rispettivi I-pad, rimuginando sul caso, mentre
Puka era tutta presa da chissà quale ricerca. La ragazza
sembrava particolarmente concentrata nel ciberspazio e incurante di
quello che le avveniva intorno. Emily sorrise, ripensando alla prima
volta che Puka era entrata nella sede dalla B.A.U.
All’epoca Derek era ancora supervisore dell’unità e
lei gli faceva da secondo. Jack e Chris ancora non erano stati
arruolati, della vecchia squadra oltre loro due era rimasta solo Garcia
che era pronta a mollare gli ormeggi per seguire più da vicino i
gemelli (che davano non pochi problemi, vista la loro natura curiosa e
avventurosa). Era stata propria Penelope a scovare quell’abile
hacker che riteneva il meglio del meglio, ma Prentiss ricordava fin
troppo bene la faccia del marito alla comparsa dell’eccentrica
informatica.
Garcia in confronto sembrava una modella di Chanel. Puka si era
presentata con i capelli viola, piena di piercing e con un completino
in latex che aveva fatto rabbrividire persino l’informatica
uscente. Eppure aveva preso subito in simpatia quella ragazza strana e
vitale, sempre presa dietro qualcosa ma ligia al dovere e di una
professionalità che a volte rasentava una forma maniacale.
Le cene del venerdì che avevano reso tutti loro una famiglia,
più che una squadra, erano già un lontano ricordo. Questo
era il maggior rimpianto di Emily, non conoscere le vite private dei
“suoi ragazzi”, non essere partecipe delle loro scelte.
Avrebbe voluto essere per loro quello che Sarah e Rossi erano stati per
la vecchia squadra. Gioire delle vittorie, consolare delle sconfitte,
rallegrarsi della felicità della loro vita fuori
dall’ufficio.
Tante cose di loro le era venute a sapere per vie traverse. Che Jack e
Lizzie si frequentavano era stata una sorpresa (anche se ricordando
come lei lo guardava adorante da piccola, c’era da aspettarselo);
il fatto che Chris avesse messo la testa a posto grazie a Irons lo
sapeva perché era tutto avvenuto sotto i suoi occhi; che JJ
fosse gay l’aveva sempre sospettato, ma che addirittura avesse
una relazione stabile e convivesse era stata una vera sorpresa; di
Puka, sfortunatamente, non sapeva niente, anche il passato della punk
era avvolto nel mistero.
Se fossero usciti sani e salvi da tutta quella storia, si ripromise di
riprendere lei la tradizione che aveva instaurato Sarah e che era
andata perduta nel tempo. Quei ragazzi erano “suoi” in
molti sensi, si considerava una specie di mamma surrogata per alcuni di
loro e per gli altri provava un affetto che le ricordava i bei tempi
andati.
Derek sarebbe stato d’accordo con lei, anzi sarebbe stato
entusiasta di avere quei ragazzi in giro per casa una volta alla
settimana. Lontani dall’ufficio avrebbero trovato il modo di
aprirsi reciprocamente, di conoscersi meglio e di fidarsi gli uni degli
altri. Annuì convinta decisa ad accantonare quel proposito e
tornare a concentrarsi sul caso, in attesa che il telefono squillasse.
- Trovato! – Puka si girò verso gli
altri con un’espressione soddisfatta stampata sul volto.
- Trovato, cosa? – chiese Emily all’oscuro di quello che la ragazza stava cercando.
- Il procuratore che si occupa di questo caso –
rispose la ragazza con un’espressione del tipo “non
è ovvio?” – Dobbiamo sapere in mano a chi siamo, no?
Allora eccoci qui!
Tutta contenta fece apparire sullo schermo una foto a mezzo busto di un
attraente uomo sulla cinquantina. Un uomo decisamente affascinante e
dal sorriso rassicurante, vestito impeccabilmente e dall’aria
distinta.
- Malcom J. Blaire, la J sta per Junior –
cominciò ad esporre – Cinquantadue anni, sposato e padre
di tre figli, un maschio e due femmine. Famoso per il suo temperamento
calmo e razionale, è un tipo composto che gioca secondo le
regole. Nell’ambito giudiziario è conosciuto soprattutto
per la sua capacità di ammaliare le giurie e di portarle dalla
sua parte, ha all’attivo un sacco di cause vinte. Si occupa
sempre e solo di omicidi, il resto lo lascia ai suoi sottoposti.
- E la Harper allora? – Isabel sollevò un sopracciglio.
- La Harper prende l’iniziativa di occuparsi
dei casi di omicidio in via preliminare, chiudendo il caso prima di
arrivare al processo con un patteggiamento. Cosa che non piace molto al
nostro procuratore visto che ha chiesto più di una volta il
trasferimento della suddetta in un’altra divisione, possibilmente
non penale, ma le sue richieste sono cadute nel vuoto. A quanto pare
non siamo gli unici a non far parte del fan club della principessina
bionda.
- Quindi il caso di Chris è stata una sua iniziativa? – indagò ancora Jack.
- A quanto pare la notizia è arrivata prima a
lei che al procuratore e quindi ha deciso di sguinzagliare i suoi
scagnozzi per fare bella figura. Stavolta ha fatto il passo più
lungo della gamba – Cassandra sembrava gongolare del passo falso
del vice procuratore – Altra cosa interessante, il procuratore,
spesso e volentieri, le toglie i casi. Qualcosa mi dice che fra quei
due non scorra buon sangue.
- Non mi meraviglia, Blaire è una persona
tutta d’un pezzo – constatò Emily – La Harper
deve avere qualche santo in paradiso se lui non riesce a mandarla via
dal suo ufficio.
- Ho fatto altre ricerche… beh, la Harper ha
più di qualche santo in paradiso. Su un sito di gossip, gira
voce che abbia ottenuto il posto grazie al suo ex amante, un
senatore…
- Personcina tanto a modo, questa signorinella
– JJ aveva incrociato le braccia ed assunto un aria da cane da
caccia – Muoio dalla voglia di rivederla… un incontro
informale, per chiarirle cosa ne penso dei suoi metodi.
- Buona JJ – Emily si voltò verso il
telefono che aveva preso a squillare – Forse stanno arrivando
buone notizie, mi raccomando non perdiamo di vista il nostro obiettivo.
- Prendere il maniaco di Dupont Circle – le fece eco Chris.
Continua…
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Capitolo 17 *** Capitolo XVI. What friends are for ***
15
Capitolo XVI. What friend are for
Prentiss era concentrata sulla voce dall’altro capo del telefono,
improvvisamente si voltò verso Puka e le fece cenno di accendere
la TV. Le immagine del telegiornale scorrevano veloci sullo schermo, il
tema del giorno era il maniaco a cui davano la caccia e che aveva
già ucciso cinque giovani donne.
Il cronista era fermo davanti alla sede di Quantico e parlava
concitatamente, mentre sullo schermo scorrevano i nomi ed i dati delle
vittime accertate. Prentiss staccò la cornetta
dall’orecchio e fece cenno di alzare il volume.
- … la polizia di Washington D.C. ha
formalmente chiesto l’intervento dell’Unità Analisi
Comportamentali. Voci non confermate ci informano che l’F.B.I.
non ha ancora risposto alla richiesta del dipartimento di polizia. La
squadra dell’agente supervisore Emily Prentiss è famosa
per aver risolto molti casi simili, ma, a quanto pare, il bureau non ha
la minima intenzione di inviare questo team di esperti per fermare
quello che è ora noto come il “maniaco di Dupont
circle”. C’è da chiedersi se la sicurezza dei
cittadini non sia tenuta in scarsa considerazione da questi burocrati,
visto che non sembrano intenzionati ad aiutare nella cattura del killer
che, ricordiamo, ha già ucciso cinque volte. Il panico si sta
diffondendo nella popolazione femminile, così come…
Prentiss spense l’apparecchio con un sorriso compiaciuto, mentre tornava a parlare con il suo misterioso interlocutore.
- Mi rendo conto benissimo della situazione…
le posso assicurare che nessuno di noi ha parlato con la stampa –
altro sorriso furbo – Siamo a vostra completa disposizione per
risolvere questo increscioso… “incidente”.
Sì, posso contattarli tutti nel giro di pochi minuti. Certo
signore, senz’altro.
Riattaccò il telefono e si voltò verso la sua squadra, i ragazzi la guardavano stupiti e con gli occhi sgranati.
- Ma come diavolo…? – cominciò Chris non trovando le parole.
- Sapete che gli agenti di collegamento hanno buoni
rapporti con i reporter? – rispose Emily strizzando
l’occhio.
- JJ! – esclamò Jack con un sorriso luminoso.
- Non potremo chiedere altri favori in futuro,
però il capo dell’agenzia mi ha appena chiamata
informandomi che la vostra sospensione è stata temporaneamente
revocata. Potremo affrontare quelli della commissione interna dopo aver
risolto il caso. Non vorremo mica mettere in imbarazzo il bureau dando
conferma a queste “voci non confermate”?
- Quando si comincia? – chiese JJ impaziente.
- Ci vuole tutti alla stazione di polizia il prima
possibile. Quindi direi che è il caso di muoverci, visto che
dobbiamo passare prima a ritirare i vostri tesserini e le vostre
pistole.
Puka poggiò una mano sulla spalla di Prentiss e le regalò un sorriso luminoso.
- Capo, te l’ho mai detto che sei la migliore?
- E’ inutile che continui con le lusinghe,
tanto non se ne parla di quell’aumento di stipendio – le
rispose Emily tra il serio e il faceto.
- Peccato, ci speravo – sospirò Cassie con aria drammatica.
Erano seduti in sala riunioni, tutti visibilmente nervosi. Nonostante
la telefonata del capo dell’F.B.I. che revocava la loro
sospensione, erano stati informati che prima di riavere i tesserini e
le armi dovevano aspettare qualcuno. Morgan non si era fatto vedere,
mentre loro aspettavano di sapere cosa stava succedendo ancora.
Improvvisamente la porta si aprì lasciando entrare Derek seguito
da un uomo moro vestito con un tailleur e dall’aria
professionale, stringeva in mano una valigetta ventiquattrore e sorrise
all’indirizzo di Chris e Jack.
- E’ stato dato l’ordine che veniate
tutti assistiti da un avvocato, dovrete rilasciare delle dichiarazioni
davanti alla commissione prima di poter tornare al lavoro –
Morgan si mise a sedere e guardò ognuno di loro negli occhi
– Non voglio che vi facciate illusioni, la situazione è
piuttosto delicata e l’inchiesta interna è ancora in atto.
Questo è l’avvocato Henry LaMontagne, alcuni di voi lo
conoscono già, si è offerto di difendervi e mi sembra
un’ottima cosa vista la sua specializzazione in cause di lavoro.
Ognuno di voi parlerà da solo con l’avvocato e poi vi
recherete uno alla volta nella sala della commissione. Domande?
Sei teste fecero un segno di diniego per poi tornare a concentrarsi
sull’ultimo arrivato, che prese il posto lasciato libero da
Morgan e tirò fuori una serie di cartelle con un block-notes.
- Comincerei con Chris se non vi dispiace –
disse il bel ragazzo moro dagli occhi azzurri – Potete aspettare
nell’openspace mentre finisco di parlare con lui.
La squadra lasciò da soli i due che si guardavano sorridendo.
- Allora, Chris, sempre nei guai per colpa delle
gonnelle, eh? – esordì Henry appena restarono soli.
- Prima che tu possa farti un’idea sbagliata,
ti avverto che con l’agente Irons è una cosa seria. Non
rischierei il posto per la storia di una notte – tenne a
puntualizzare lui, mentre guardava l’amico di infanzia – Ci
sono dei precedenti: i miei genitori, Morgan e Prentiss…
- Sì, conosco la storia. Ho cercato di
prendere tutte le informazioni utili prima di venire qui… Ora
parliamo seriamente, non hai davanti il bambino con cui giocavi da
piccolo, ma il tuo avvocato. C’è qualcosa che dovrei
sapere?
- Hai detto di aver già preso informazioni, cosa potrei aggiungere?
- Da quanto tempo va avanti?
- Due mesi – Reid cominciò a picchiettare sul tavolo nervoso.
- Quindi era passato solo un mese da quanto la Irons
era entrata nell’Unità… questo non gioca molto a
nostro favore, ma dobbiamo giocare la mano anche con queste carte. Ci
sono stati episodi in cui il vostro legame ha interferito con il lavoro?
- No, assolutamente – il ragazzo assunse
un’espressione convinta – C’è una netta
separazione tra la nostra vita privata e il nostro lavoro. Non
permettiamo che i nostri sentimenti personali interferiscano nelle
indagini.
- Cerca di ricordartela a memoria questa risposta, la
commissione ti farà senz’altro domande simili.
Perché eri fra i sospetti per questo caso?
- Conoscevo una delle vittime e abbiamo discusso la
sera in cui è stata uccisa. Ci sono dei testimoni e io…
credo che una delle cose che le ho detto possa essere considerata una
minaccia.
- Hai un alibi?
- Ero con Isabel. Sono stato scagionato.
- Solo grazie alla parola della tua ragazza?
- No. La notte dell’ultimo omicidio i detective
incaricati dell’indagine mi tenevano sotto sorveglianza, ho
passato a casa tutta la notte e loro possono testimoniarlo.
- Eri solo?
- No – ammise lui in imbarazzo.
- Ancora Irons?
Chris annuì incerto. Le domande che gli stava rivolgendo erano
fatte con un tono inquisitorio che non gli piaceva per niente. Si
chiese da che parte stesse Henry.
- L’ex agente Hotchner ha dichiarato di essere
il tuo avvocato e ti ha assistito durante l’interrogatorio della
polizia e del vice procuratore. E’ corretto?
- Sì. Nonostante io avessi chiesto più
di una volta di fare una telefonata, gli agenti non mi lasciavano
chiamare nessuno. Hotch era stato avvertito da Jack ed è corso
in aiuto.
- Quindi sei rappresentato già da lui, corretto?
- Solo nell’inchiesta della polizia, non ho mai
avuto bisogno di un avvocato di fiducia… e poi, se proprio ne
devo scegliere uno, credo che quel ruolo sia tuo di diritto –
sorriso all’amico.
- Ti tirerò fuori dai guai, fidati vecchio mio
– Henry chiuse il fascicolo e lo guardò dritto in volto
– Ricordati: risposte brevi e coincise, ancora meglio solo un
sì o un no. Non strafare e non lasciarti innervosire, se ti
sembra che una domanda sia poco chiara dillo chiaramente e loro saranno
costretti a riformularla. Se dovessi accorgermi che fanno domande che
esulano dal seminato ti metterò una mano sul braccio e tu dovrai
tacere. Se farò obiezioni tu non mostrarti sorpreso, faccia da
poker e non parlare se non direttamente interpellato. Tutto chiaro?
- Cristallino.
- Andiamo.
Continua…
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Capitolo 18 *** Capitolo XVII. Arrogance ***
17
Capitolo XVII. Arrogance
Chris sedeva rigido di fronte alla commissione affari interni
dell’F.B.I., cercando di sembrare tranquillo e di trasmettere una
sensazione di sicurezza. Aveva ancora ben chiare le indicazioni di
Henry circa il modo di rispondere, si fidava di lui, l’aveva
visto all’opera in diversi processi e sapeva che era un ottimo
avvocato.
Le persone sedute dall’altra parte del tavolo erano due uomini e
una donna, tutti agenti con anni di servizio alle spalle, il più
giovane aveva all’incirca cinquant’anni. Sapeva che il suo
futuro all’interno del bureau dipendeva da quell’intervista
“informale”, tutto quello che sarebbe seguito non sarebbe
stato altro che una mera formalità. La decisione sarebbe stata
presa quel pomeriggio da quelle tre persone che non lo conoscevano ed
ignoravano tutto della sua vita.
La donna dai capelli neri, visibilmente frutto di tintura, fece
scattare la sua penna e poi sollevò gli occhi sull’agente
Reid.
- Credo possiamo cominciare – esordì
aspettando un cenno affermativo dagli uomini seduti al suo fianco
– Come sicuramente sa, questa è soltanto la fase
preliminare dell’indagine in corso su di lei e i suoi colleghi.
Sicuramente l’agente Jefferson vi avrà reso edotti sui
motivi che hanno condotto all’apertura dell’inchiesta. Ha
qualcosa da aggiungere, agente?
- No – forte e deciso, rammentò il
suggerimento di risposte brevi e che non dessero adito ad altre
interpretazioni.
- Vuole cortesemente fornire i suoi dati per il verbale?
- Agente speciale Christopher Reid, membro
dell’Unità Analisi Comportamentale sotto la diretta
supervisione dell’agente speciale Emily Prentiss.
- Agente Reid – esordì l’uomo
seduto alla destra, stempiato e con occhiali dalla montatura antiquata
– Ci è stato reso noto che lei intrattiene rapporti
“non professionali” con una sua collega, l’agente
speciale Isabel Irons. E’ corretto?
- Sì – contò mentalmente fino a
dieci per non aggiungere altro, sorrise pensando che non era
così difficile.
- Di che natura sono i suoi rapporti con il citato
agente? – intervenne l’uomo moro e con una vistosa
pancetta, seduto alla sinistra della donna.
Henry gli batté leggermente una mano sul braccio, come ad avvisarlo di essere onesto ma coinciso.
- Siamo fidanzati.
- Devo dedurre che abbiate già parlato di
matrimonio… - la donna mora sollevò un sopracciglio.
- E’ una domanda? – Henry si sporse in avanti.
- No – rispose la donna, sbuffando indispettita
– Ma questa lo è: agente, il suo supervisore era al
corrente della sua relazione impropria con la sua collega?
- Obiezione – Henry scarabocchiava svogliato
sul block-notes – Non credo che “relazione impropria”
sai un termine corretto, visto che il mio assistito ha chiarito il
fatto che sono fidanzati.
- Riformulo – sospirò la donna –
L’agente Prentiss era al corrente del vostro fidanzamento?
- Sì.
- Quando l’avete informata? – chiese l’uomo stempiato.
Chris rimase in silenzio fissando Henry che gli fece segno di proseguire con la risposta.
- Appena la nostra relazione è cominciata,
seguendo il protocollo abbiamo avvisato tempestivamente il nostro
diretto superiore.
- Parlando di protocollo – riprese la donna
– Lei sa che il protocollo dell’agenzia vieta di
fraternizzare con i colleghi?
- Sì – di nuovo LaMontagne gli fece
segno di proseguire – Ma so per esperienza che questo divieto va
incontro a molteplici interpretazione e, soprattutto, che sta alla
discrezionalità del superiore tollerare o meno tali situazioni.
Naturalmente, sempre che questo non interferisca con il lavoro degli
agenti.
- Non crede che una relazione come la vostra
interferisca con il vostro lavoro? – l’uomo moro si sporse
verso di lui, cercando di farlo cadere in contraddizione.
- No.
- Che prove può portare a suffragio di questa sua affermazione? – l’uomo non demordeva.
- I miei genitori, inoltre il capo sezione Morgan
è sposato con l’agente supervisore Prentiss, anche loro
erano colleghi all’epoca dell’inizio della loro relazione.
- Quindi secondo lei è una prassi normale intrattenere questo genere di rapporti con i propri colleghi?
- Il mio cliente ha già risposto ad una
domanda simile. Se non avete altro, direi che abbiamo finito –
Henry fece il gesto di chiudere il block-notes.
- No, non abbiamo finito – disse la donna,
guardando il giovane avvocato con astio – Cosa sa dirmi della
relazione fra sua sorella e il suo collega, l’agente Jack
Hotchner?
- Questo esula dal motivo della nostra conversazione
– Henry si alzò in piedi di scatto – Il mio cliente
è qui per rispondere delle accuse che gli sono state mosse, non
come testimone in un’altra procedure. Se volete risentirlo in
quella veste, dovrete convocarlo di nuovo dichiarando sulla
convocazione che verrà ascoltato come testimone.
Henry afferrò Chris per il braccio e lo trascinò fuori
dalla sala. Percorse il corridoio a passo spedito senza mai voltarsi a
guardare l’amico che camminava al suo fianco. Decisamente sapeva
il fatto suo ed era riuscito a tirarlo fuori da una situazione
piuttosto imbarazzante.
La commissione aveva già ascoltato Jack, JJ e Puka. Mancava solo
Isabel, che ora sedeva a fianco di Henry che cercava di metterla a suo
agio con domande poco impegnative. Non le staccava gli occhi di dosso
un momento e continuava a sorriderle, cosa che lei trovava estremamente
irritante.
- Ti interrogheranno sulla tua relazione con Chris
– continuò lui tranquillo – Lui ha sostenuto che
siete fidanzati, tu lo confermi?
- E’ una relazione seria – rispose lei senza scomporsi.
- Bene, ottima risposta. Cerca di essere breve e
coincisa e vedrai che andrà tutto bene. Se ti dovessero chiedere
se avete informato l’agente Prentiss della situazione…
- Mi limiterò a dire la verità.
- Cioè? – chiese lui tornando a sorriderle.
- Il nostro supervisore ne è stato informato appena c’è stato qualcosa di cui informarlo.
- Risposta troppo lunga, opta per qualcosa come “da subito” oppure “tempestivamente”.
- Non ho due anni, so parlare da sola senza che gli
altri mi mettano in bocca le parole – decisamente Henry non era
in cima alla sua lista di preferenze maschili – Vorrei
ricordarle, avvocato, che sono un esperta in tecniche di interrogatorio.
- Ma di solito sei tu ad interrogare non il contrario
– le batté una mano sul braccio in segno di
incoraggiamento – Se dovessero farti domandi che non riguardano
il tuo rapporto con Chris, non dire niente.
Camminavano lungo il corridoio fianco a fianco, lui aveva un sorriso da
bravo ragazzo stampato in faccia e finalmente Isabel capì cosa
l’irritava così tanto. Gli ricordava Mac, il suo ex
ragazzo, con cui Chris aveva avuto un “vivace scambio di
opinioni” nel garage, pochi piani più sotto. Aveva
imparato a diffidare da chi sembrava così bravo e perfetto, una
cosa che si poteva dire di lei era che non commetteva mai due volte lo
stesso errore.
Entrarono decisi nella sala riservata alla commissione e Irons prese
posto senza esitazioni. Sembrava rilassata e a suo agio, cosa che
costrinse i membri della commissione a guardarsi perplessi. Henry
sorrise compiaciuto, decisamente la ragazza ci sapeva fare.
- Vuole fornire i suoi dati? – la donna mora sembrava nervosa.
- Agente speciale Isabel Irons, B.A.U. sotto la
supervisione dell’agente Prentiss – riuscì persino a
sorridere conciliante mentre lo diceva.
- E’ stata informata del motivo per cui si trova qui?
- L’agente Jefferson ha precisato che sono
sotto inchiesta perché fidanzata con l’agente speciale
Christopher Reid, mio collega presso l’Unità Analisi
Comportamentale. La cosa violerebbe il protocollo, se non fosse che il
nostro diretto superiore è stato avvisato tempestivamente della
situazione e che il nostro lavoro non ha mai risentito della nostra
relazione.
Il fatto che lei avesse risposto già a qualsiasi domanda che
loro potevano farle aveva spiazzato i tre esaminatori, che si
guardarono stupiti e chiesero una piccola interruzione, allontanandosi
dalla stanza per qualche momento.
Isabel unì le mani sul tavolo e cominciò a far cozzare i
pollici l’uno contro l’altro, mentre canticchiava sotto
voce e si guardava in giro con l’aria di una ragazzina innocente
in gita scolastica. Henry la guardò ammirato, dicendosi che
sicuramente la ragazza aveva carattere e che non si vantava di essere
un esperta di tecniche di interrogatorio, lo era proprio.
I tre rientrarono con piglio deciso e ripresero posto. La donna si
schiarì la voce un paio di volte e poi la guardò
mordendosi le labbra, segno che qualsiasi cosa stesse per chiedere era
solo un modo per prendere tempo e non farla andare via senza che le
fosse stata rivolta almeno un’altra domanda.
- Cosa pensa il suo supervisore della faccenda?
- Questo credo proprio che lo dovreste chiedere a lei
– ignorò volutamente la mano di Henry sul suo braccio e
sgranò gli occhi in un’espressione di puro stupore –
Non leggo nel pensiero.
- Non ne avete mai parlato? Non le ha mai accennato che la cosa poteva causare problemi?
- Se ci fossero stati problemi, sono certa che
l’agente Prentiss ci avrebbe convocati e avrebbe esposto le sue
perplessità. Ciò non è mai avvenuto.
- Cosa sa della vita privata degli altri membri del suo team?
- Questo esula dal motivo della mia presenza qui – di nuovo ignorò il suo avvocato.
- Si rifiuta di rispondere?
- Risponderò quando mi convocherete come
testimone, in quel caso sono sicura che la citazione dichiarerà
espressamente che non sono stata convocata per l’inchiesta che
coinvolge il mio nome.
- Credo che la mia cliente abbia risposto a tutte le vostre domande, con permesso.
Come si allontanarono abbastanza dalla sala, Henry l’afferrò e la fece cozzare contro il muro.
- Dì un po’, ragazzina, cosa ti sei messa in testa.
- Non ti ho scelto io come avvocato, non so niente di
te e non vedo perché dovrei affidarti la mia difesa. Tanto
più che sono in grado di difendermi da sola.
- Sei arrogante, indisponente e da che ti conosco mi
prudono le mani – si staccò dal muro e la guardò
assorto prima di sorridere ironico – Capisco perché Chris
ha perso la testa per te.
Si allontanò lasciando lì spiazzata. Il tono con cui le aveva detto quelle cose… che fosse un complimento?
Continua…
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Capitolo 19 *** Capitolo XVIII. Old friends ***
18
Capitolo XVIII. Old friends
Isabel batteva il piede nervosa mentre scrutava il volto di Prentiss,
che dopo averle esposto il suo piano la guardava con una faccia da
poker. Mille pensieri diversi le affollavano la mente, l’idea era
ottima ma non era sicura che lei fosse la persona giusta per metterla
in pratica. Inoltre c’era il problema più grosso…
Chris.
Sapeva che lui non avrebbe preso bene la faccenda, ma se volevano
dimostrare che il loro legame non interferiva minimamente con il lavoro
avrebbe dovuto accettare la cosa senza fare scenate. Decise che gli
avrebbe parlato in privato, ma prima doveva chiarire un paio di cose
con il suo superiore.
- Il piano potrebbe funzionare, ma non credo di essere la persona più adatta.
- Perché? Non te la senti di rischiare?
– Prentiss la guardò in modo strano, come cercando di
valutarla.
- Ehi, sono qui, mi vede? Le sembro in qualche modo
anche vagamente simile a quelle ragazze? – Irons si alzò
in piedi di scatto e batté una mano sul tavolo – Non sono
una ragazza di classe e non sono bella, come pensa che potrei attirare
quell’uomo?
- Il tuo problema è la scarsa autostima, la
non esperienza nello scegliere i vestiti e una totale mancanza di
trucco – Emily ammiccò divertita – Lascia fare a me
e in un giorno ti trasformerò completamente. Certo, se tu non te
la sentissi di rischiare io ti capirei… anche se la squadra non
ti perderebbe di vista un solo istante.
- Riuscirebbe a trasformarmi? Cos’è,
agente Prentiss, la fata di Cenerentola sotto mentite spoglie? Credo
abbia lasciato a casa la bacchetta magica – la ragazza era
volutamente ironica e impertinente.
Il suo aspetto fisico era stato un cruccio fin dai tempi delle
superiori. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ottenere nulla
usando cosmetici e reggiseni imbottiti, era un disastro e nessuno era
mai riuscito a renderla anche vagamente attraente. Ora il suo
superiore, una donna bella e di classe, le proponeva di fare da esca e
le diceva che sarebbe riuscita a trasformarla. Era una cosa che
decisamente la lasciava perplessa e che la metteva in conflitto diretto
con tutti i timori che si portava dietro dai tempi
dell’adolescenza.
Sospirò mentre si massaggiava le tempie, con gesti lenti e
circolari, per alleviare l’emicrania che sentiva arrivare.
Persino Kathy aveva provato a renderla più
“interessante”, gettando la spugna dopo un pomeriggio
infruttuoso chiuse nel bagno a provare acconciature e make-up diversi.
Si chiese cosa aveva da perdere a lasciare fare il suo superiore e
trasformarsi in un manichino, una bambola a grandezza naturale che
qualcuno si sarebbe divertito a rendere passabile.
Aveva paura che l’esperimento di Prentiss risultasse un fiasco,
ma si rese conto di avere ancora più paura che la donna
riuscisse nell’intento. Come sarebbe stato essere diversa
esteriormente? Avrebbe cambiato anche il suo modo di essere interiore?
Avrebbe creato problemi nel suo già teso rapporto con Chris? E
come avrebbe reagito il suo ragazzo alla prospettiva di un’Isabel
diversa, più femminile e bella? Decise che era ora di scoprirlo.
- Ci sto – guardò il suo capo diritto
negli occhi, cercando di trasmettere quella sicurezza che in
realtà non provava.
- Per quanto riguarda Reid…
- Preferisco parlargli io, sarà più
facile – da brava attrice era risultata convincente, anche se
temeva che quella conversazione sarebbe stata tutto fuorché
“facile”.
- Allora lascio a te l’incombenza… cerca
di parlargli il prima possibile, perché domattina ti passo a
prendere nel tuo appartamento – Emily si alzò ad indicare
che il colloquio era finito.
Isabel scese nell’openspace, dove Jack e JJ stavano parlando
mentre sfogliavano ancora una volta il dossier. Due paia di occhi la
guardavano curiosi, mentre lei cercava Chris con lo sguardo. Del
ragazzo nessuna traccia e la cosa la mandava in bestia, specialmente
perché era sicura che dopo la “conversazione” sul
piano di Prentiss avrebbero litigato di brutto. Dubitava seriamente che
stavolta la lite sarebbe finita in camera da letto, aveva la nitida
immagine di Chris che usciva dal suo appartamento sbattendo la porta.
- Se cerchi Reid, sei sfortunata – la prevenne
Jasmine – Il suo avvocato lo ha portato fuori per un drink.
- E’ fuori con Lamontague?
- Sì – ammise Jack distogliendo lo sguardo.
- C’è qualcosa che dovrei sapere, Hotch?
- Beh, ecco… - il ragazzo non trovava il coraggio di formulare una spiegazione.
Puka, che aveva assistito alla conversazione appoggiata alla porta, si
avvicinò ad Isabel togliendo l’incombenza a Jack.
- Prima che ti conoscesse… insomma… -
prese un respiro e decise che non c’era un modo carino per dirlo
– Quei due andavano sempre a caccia insieme.
- Vuoi dire quel tipo di caccia? – Isabel sentì la rabbia montarle dentro.
- Esattamente quello a cui non si è più
dedicato da quando state insieme – annuì decisa Puka
– Ma questo non vuol dire che…
- Ti prego, non trattarmi come una ragazzina –
Irons afferrò la sua giacca – Domani non verrò in
ufficio, se qualcuno di voi lo vede può dirgli di chiamarmi?
E’ importante ed urgente.
Detto questo si allontanò con passo deciso all’ascensore.
Così l’avvocato spaccone era il compagno di bisbocce di
Chris, di bene in meglio! Si chiese cosa stessero facendo in quel
momento quei due, poi si rispose che era anche troppo ovvio. Sentiva di
non dovere più alcun genere di spiegazioni a Reid, se il bel
moro voleva tornare alla vita di prima lei non avrebbe fatto scenate.
Avrebbe agito di conseguenza concentrandosi sul lavoro e al diavolo
quel dongiovanni!
Chris guardava ostentatamente il fondo del suo bicchiere, mentre Henry
si guardava in giro sorridendo alle procaci ragazze sedute al bar. Si
sentiva in imbarazzo nel trovarsi in quel posto con Henry, dopo che si
era messo con Isabel non gli aveva mai fornito spiegazioni circa i suoi
continui rifiuti di andare in giro a rimorchiare.
Ora il suo vecchio amico, nonché figlioccio di suo padre, era
seduto davanti a lui con l’atteggiamento tipico delle loro serate
fuori. Il moro dagli occhi azzurri aveva la chiara intenzione di
divertirsi e Chris si trovava in difficoltà. Quel giorno Isabel
non aveva fatto mistero di provare antipatia profonda per Henry e non
sapeva niente dei loro trascorsi, figuriamoci se avesse saputo che loro
due si davano man forte quando uscivano alla ricerca di qualche bella
ragazza vogliosa di intrattenerli.
Sospirò, indeciso su come affrontare l’argomento e porre
un freno alle possibili intenzioni del suo vecchio socio. Alzò
finalmente gli occhi e si ritrovò lo sguardo dell’avvocato
piantato nel suo. Il ragazzo, di poco più grande di lui, lo
guardava con aria seria come se avesse aspettato quella spiegazione per
tutta la serata.
- Henry…
- Lo so, vecchio mio, lo so – afferrò il bicchiere e bevve tutto d’un sorso.
- Cosa credi di sapere esattamente? – un sorriso divertito piegò le labbra di Reid.
- Secondo te? Sarai tu il profiler tra noi due, ma io non sono sciocco…
- Mai sostenuto il contrario.
- Allora perché non me lo hai detto e basta?
E’ stato brutto venirlo a sapere solo perché vi siete
cacciati nei guai.
- Non sapevo come l’avresti presa…
nessuno sembrava convinto del mio cambiamento. Tu poi mi conosci anche
troppo bene.
- E proprio per questo, forse, sarei stato
l’unico a crederci da subito. Certo, dopo che ho conosciuto lei,
non ho più dubbi a riguardo.
- Cosa vuoi dire? – Reid era allarmato,
c’era qualcosa che non gli piaceva nel tono dell’amico.
- Ti invidio. Come te, mi sono sempre buttato in
mille avventure passeggere perché non trovavo quello che cercavo.
- Con Isabel non è tutto rose e fiori –
si stava mettendo sulla difensiva, non sapeva neanche lui perché.
- Lascia che ti dica una cosa: sei fortunato, quella
ragazza è unica nel suo genere. Se decidessi che non la vuoi
più…
- Henry, siamo amici da una vita, ma tu prova solo a guardarla e…
- Mi rifai i connotati – sorrise mentre faceva
cenno alla cameriera di portargliene un altro – Amico, torno a
ripeterti che non sono uno sciocco. Se fossi in te non mi lascerei
scappare un tipo come Irons, quella ragazza ha il fuoco nelle vene.
- Tu cerca di stargli lontano, altrimenti ci penso io
a farti bruciare – si guardarono e scoppiarono a ridere
all’unisono.
Continua…
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Capitolo 20 *** Capitolo XIX. The end? ***
19
Capitolo XIX. The end?
Isabel era seduta sul divano, aveva tirato fuori una bottiglia di vino
ed era intenzionata a finirla entro la serata. Troppo informazioni sul
passato di Chris, tutte nell’arco di pochi giorni, troppe da
digerire. Tutti i dubbi che l’avevano assalita prima di
cominciare una storia con lui, tornavano più prepotenti che mai.
Sapeva di essere innamorata di Reid e sapeva di non essere mai stata
così felice come in quei due mesi insieme. Eppure una parte di
lei le continuava a ripetere che era tutto troppo bello per essere vero
e per durare, il fatto che lui fosse uscito con LaMontagne senza
avvertirla confermava i suoi sospetti.
Aveva sempre pensato che lui non fosse pronto ad una relazione
monogama, che prima o poi i vecchi impulsi sarebbero tornati a farsi
sentire. Forse era per quello che non riusciva a lasciarsi andare
completamente, ad abbandonarsi alla loro storia. Sapeva che ne sarebbe
uscita con il cuore a pezzi e con un pugno di mosche.
Rischiava anche la sua carriera, ora che erano finiti nel mirino della
disciplinare. Era sicura che se fosse stato necessario,
l’avvocato-amico d’infanzia avrebbe sacrificato lei per
permettere a Reid di continuare a lavorare all’Unità. Quel
ragazzo non le piaceva, le aveva dato vibrazioni negative fin dal loro
primo incontro.
Per non parlare del fatto che non tollerava che le avesse messo le mani
addosso e l’avesse rimproverata, nonostante lei si fosse difesa
lasciando quelli della commissione interna senza nulla di concreto in
mano. Cominciava a pensare che il disappunto di Henry fosse dovuto
proprio al fatto che con la sua performance non gli aveva lasciato
spazio di manovra nel caso avesse deciso di scendere a patti.
La testimonianza era video registrata, nessuno avrebbe potuto trovare
da ridire su nulla. Questo la metteva a riparo da possibili conseguenze
e non lasciava spazio a possibili manovre per farla fuori. Quindi, il
caro avvocatino non avrebbe avuto nulla con cui contrattare la salvezza
di Reid.
Non che pensasse che Chris fosse al corrente di un’eventuale
piano del genere, sicuramente si sarebbe rifiutato di salvarsi
sacrificando lei. Però era anche vero che quei due erano amici e
che forse in quel preciso istante stavano trascorrendo la serata in
compagnia di due procaci ragazze, disponibili a lasciarsi spupazzare da
due bei tipi del genere.
Era arrivata alla fine della bottiglia quando sentì la chiave
della serratura girare, mandò giù quello che restava nel
bicchiere e prese la sua decisione. Era la cosa migliore, almeno
finché le cose non si fossero chiarite in un modo o
nell’altro. Inoltre quell’inchiesta era troppo
“delicata” e la posta in gioco troppo alta, non poteva
permettersi distrazioni di alcun tipo. Si disse che quello che stava
per fare, lo faceva per il bene di tutti.
- Ciao piccola – il ragazzo moro chiuse piano la porta e le si accostò.
- Posa le mie chiavi sul tavolo – non si alzò e non si voltò verso di lui.
- Come scusa? – Chris era disorientato.
- Ti ho detto di lasciare le chiavi del mio
appartamento sul tavolo – finalmente si girò verso di lui
con uno sguardo furente – Poi vattene e non tornare.
- Di che diavolo stai parlando? – l’afferrò per un braccio e la costrinse ad alzarsi.
- Spero che stasera tu abbia rinforzato la tua
amicizia con LaMontagne, non vorrei saperti solo a piangere… non
che tu abbia bisogno di lui per trovare consolazione.
- Isabel, non mi piace questo scherzo.
- Non è uno scherzo. Voglio che tu te ne vada
– lo scostò da se con decisione – Ho rischiato la
mia carriera per te… non sono disposta a correre rischi. Vattene
e da oggi in poi siamo solo colleghi.
- Isabel…
- Per te sono l’agente Irons e non voglio
tornare più sull’argomento – cominciò a
spintonarlo verso la porta.
- Smettila immediatamente! – in un attimo invertì le parti e la spinse contro la parete.
- Non capisci vero? – il volto di lei era rigato di lacrime.
- Sei confusa e impaurita, lo capisco benissimo
– le carezzò piano il viso – Vedrai che si
sistemerà tutto.
- Ho bisogno di tempo, ho bisogno di stare per conto
mio – chiuse gli occhi per non vedere il dolore che stava
causando all’uomo che amava – Ti prego, vai via.
- Non me ne vado, non rinuncio a noi.
- Se vuoi che in futuro ci sia ancora la
possibilità di un noi, vattene. Per una volta rispetta le mie
scelte, anche se non le capisci.
- Isabel – posò la propria fronte su
quella di lei e le carezzo il viso con le nocche – Ti
prego…
- Chris, ho accettato di fare una cosa, una cosa che
tu non approverai. Se noi due fossimo solo colleghi non ci troveresti
niente di strano, ma stando così le cose finiremmo con il dare
ragione a quelli della commissione. La nostra relazione interferisce
con il lavoro.
- Di che stai parlando? – si scostò da lei allarmato.
- Farò da esca.
- Sei impazzita? Chi te l’ha proposto?
- Il nostro capo.
- Ora Prentiss mi sentirà.
- No! Non provarci neanche. Lo vedi?
- Cosa pretendi, io arrivo qui e tu blateri che me ne
devo andare, che siamo solo colleghi. Poi come se niente fosse mi
sbatti in faccia che vogliono farti fare da esca. Come dovrei reagire?
Irons lo spostò con entrambe le mani e si incamminò verso la sua camera da letto.
- Io ora me ne vado a dormire e domani farò
quello che Prentiss mi ha chiesto. Tu hai solo una possibilità:
accettare la cosa e comportarti come un vero professionista.
L’abbracciò da dietro e la strinse a sé con tutte
le sue forze. Il pensiero che lei lo lasciasse lo stava facendo
impazzire.
- Accetto questa follia e ti proteggerò come
farei con una qualsiasi altra collega. Ma solo ad una condizione.
- Forse non hai capito. Questa non è una contrattazione – non cercò di divincolarsi.
- Non dire mai più che vuoi che me ne vada. Non ci credo che tu possa volere una cosa del genere.
- Sei sempre il solito presuntuoso.
- No, non è presunzione – affondò
il viso nei capelli di lei – Ti conosco, Isabel, so cosa provi
per me. Non può essere una finzione.
- Ora va. Per favore non rendere tutto ancora più difficile.
La fece voltare e le scostò i capelli dal viso bagnato di
lacrime. Con il pollice le asciugò gli occhi e poi le sorrise
dolcemente, prima di chinarsi e baciarla. Non le avrebbe mai permesso
di scappare così da quello che c’era fra di loro, era
testardo almeno quanto lei e glielo avrebbe dimostrato.
Continua…
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Capitolo 21 *** Capitolo XX. I don't like it ***
20
Capitolo XX. I don’t like it
Aveva fatto quello che gli aveva chiesto. L’aveva lasciata sola
nel suo appartamento ed era tornato a casa, solo e sconfortato
dall’atteggiamento deciso di lei. Era rischioso fare da esca,
Isabel lo sapeva bene. Allora perché si era prestata a quel
gioco? Perché gli aveva detto che era meglio considerarsi solo
colleghi?
Camminava nervosamente avanti ed indietro nell’openspace, sotto
lo sguardo preoccupato di Jack e JJ. Ogni volta che sentiva il
campanello dell’ascensore, si voltava con la speranza e la paura
che fosse lei. Temeva che Prentiss la cambiasse e lui voleva la sua
Isabel com’era sempre stata.
Non si sentiva pronto ad affrontare una donna nuova, magari più
consapevole del suo fascino e che si rendeva conto dell’effetto
che faceva su certi uomini il suo carattere forte e fiero. La paura che
lei potesse lasciarlo lo stava logorando dentro, così come la
paura che potesse succederle qualcosa.
Il suo pensiero tornò alla zia Ronnie. Anche lei doveva essersi
sentita protetta e al sicuro sotto lo sguardo attento della squadra,
eppure nel caso Hamilton era rimasta uccisa. Cosa avrebbe fatto se la
stessa cosa fosse successa di nuovo? Non riusciva neanche ad immaginare
come si sarebbe sentito se gli avessero strappato via Irons.
Dovevano comportarsi da professionisti, dimostrare che il loro legame
non era un impedimento al loro lavoro. Provò ad immaginare suo
padre in quella situazione, si chiese come avrebbe reagito lui. Il suo
pensiero si sposto su Morgan, il suo padrino, l’uomo che gli
aveva insegnato a giocare a football, che gli aveva insegnato come
conquistare una ragazza. Come si sarebbe sentito lui se l’esca
fosse stata Prentiss o, addirittura, la sua adorata figlia Meredith?
Sbuffò esasperato da quell’attesa snervante e si
incamminò con passo furente verso i corridoi interni. sentiva la
necessità di sfogarsi con qualcuno e l’unica persona che
in quel momento avrebbe potuto essere la voce della ragione era Puka.
La trovò come al solito impegnata a battere sulla tastiera,
mentre le informazioni e le immagini scorrevano alla velocità
della luce sui monitor che occupavano tutte le pareti del piccolo
ufficio. Non c’erano finestre né visuali che potessero
distoglierla dal suo lavoro, lì dentro si sentiva sempre
oppresso da un senso di claustrofobia. Si chiese come potesse passarci
tutte quelle ore Cassandra.
Eppure lei non sembrava risentire minimamente dell’ambiente
chiuso e asfittico, sempre troppo presa dal suo lavoro per notare chi
entrava od usciva.
- Allora, mio bel dongiovanni, cosa ti porta nella
tana del bianconiglio? – non si preoccupò neanche di
voltarsi.
- Sai cosa ha in mente Prentiss? –
ricominciò a passeggiare avanti ed indietro aprendo e chiudendo
i pugno.
- Vuole che Irons faccia da esca… bisogna
vedere se riuscirà a trasformarla nel prototipo della vittima
ideale del nostro S.I. – mentre diceva così, le foto delle
vittime cominciarono ad apparire in successione sul monitor principale.
- Quindi lo sapevate tutti eccetto me, giusto? – sentiva di essere sul punto di esplodere.
- Sei troppo coinvolto emotivamente. Se fossimo io o
JJ a fare da esca tu ti limiteresti a chiedere dove devi appostarti.
- Parli bene, mica è la tua ragazza!
- Prima di tutto è un agente federale, poi
è un ottima profiler e un’eccellente tiratrice. Ti ricordo
inoltre che era fra le prima del suo corso di autodifesa. Solo in
ultima battuta è la tua donna.
- Potresti guardarmi mentre dici queste stronzate?
- Se proprio ci tieni – Puka si girò ad
osservarlo poggiando la testa sul pugno chiuso – Sembri un
bambino. Smettila di agitarti, tutta la squadra la terrà
d’occhio ogni secondo. Cosa vuoi che succeda?
- Qualcosa potrebbe andare storto – sferrò un pugno contro la parete.
- Perché questo improvviso timore? – Cassie lo guardò stupita sollevando la testa.
- Cameron Leane – lo disse in un
sussurrò, ammettendo per la prima volta quale era il suo timore
più recondito.
- Chris, non permetteremo che le succeda niente.
Inoltre, Leane agì da sola senza avvertire nessuno. Non sono
riusciti ad arrivare in tempo, perché non sapevano esattamente
cosa avesse in mente l’agente Leane. Questa è una cosa del
tutto diversa.
- E se…
La punk si alzò e lo abbracciò da dietro, cercando di
consolarlo. Capiva cosa passasse per la mente di Reid in quel momento.
Aveva letto tutti i fascicoli e sapeva che dopo quell’incidente
la squadra si era lentamente, ma inesorabilmente, sgretolata. Anche lei
nutriva lo stesso timore, ma con motivazioni diverse. Si disse che
l’unica cosa che poteva fare per lui era trasmettergli la
sicurezza che neanche lei provava.
- Non lo permetteremo, MAI! Siamo una squadra e ci
prendiamo cura gli uni degli altri. Ti giuro che faremo in modo che non
le succeda niente. Ti fidi di noi?
- Devo… Isabel non mi ha lasciato scelta
– afferrò le esili braccia dell’informatica e se le
strinse ancora più addosso, quel contatto lo rincuorava.
Entrò nell’openspace seguendo Puka. Alzò lo sguardo
sentendo il fischio di ammirazione di JJ e i suoi occhi cercarono la
fonte di quell’approvazione così esplicita. Sentì
lo stomaco che gli si chiudeva, mentre osservava quella giovane donna
così estranea. Non era lei, le avevano portato via la sua Isabel.
I capelli, di solito disordinati, ricadevano sulle spalle in morbidi
boccoli che incorniciavano quel viso che tante volte aveva tenuto fra
le mani. Gli occhi erano messi in risalto da eye-liner, mascara e
ombretto scuro. Quella combinazione la faceva assomigliare ad una
cerbiatta, ma con un che di malizioso. Le morbide labbra, che aveva
assaporato anche la sera prima, erano messe in evidenza da
un’abile lavoro di matita e rossetto. Decisamente era
un’altra persona, non la ragazza trasandata che lui conosceva.
Il tutto era corredato da un vestito che metteva in risalto le sue
gambe lunghe e dritte, mentre il corpetto si stirava leggermente,
frutto evidente per lui di un reggiseno imbottito. Era il genere di
ragazza che non sarebbe passata inosservata in un bar. Sicuramente
più di un deficiente le avrebbe messo gli occhi addosso da
Carlo’s. Chris strinse i pugni e serrò la mascella, non
voleva vederla conciata in quel modo.
Sembrava una delle bamboline che erano entrate ed uscite dal suo letto.
Ragazze insulse che non avevano niente di intelligente da dire. Si
poggiò al muro ed incrociò le braccia, mentre il suo
sguardo si faceva ancora più torvo mano a mano che sentiva i
commenti dei suoi colleghi.
- Ehi, ragazzina, se lo avessi saputo che eri
così… - JJ le diede un’occhiata troppo esplicita
– Vi prego non ditelo a Michelle, altrimenti le scenate di
gelosia si sprecherebbero.
- Scommetto che se ti vedesse ora, anche Lizzy mi
darebbe il tormento – scherzò Jack con un sorriso furbo.
- Decisamente sei uno schianto – rincarò
la dose Puka – Mi congratulo con Chris, è l’unico
che si è accorto di chi ci passava sotto il naso tutti i giorni.
Isabel era in evidente imbarazzo per tutta l’attenzione che stava
ricevendo e per le occhiate che le lanciavano gli impiegati che
entravano ed uscivano dalla sala. Non era abituata a quel tipo di
sguardi e la cosa la metteva in agitazione. Si rendeva conto che in
realtà non era lei, non si sentiva a suo agio in quella veste.
Con gli occhi cerco Reid, speranzosa di vedere quello sguardo anche in
lui. Invece lui era appoggiato al muro evidentemente seccato da tutta
la situazione, per non parlare dello sguardo di biasimo misto a
rimprovero che gli leggeva in quel momento. L’unica persona che
voleva la guardasse come un qualcosa di appetitoso la fissava come se
non gli piacesse minimamente quello che vedeva.
Non c’era il solito calore negli occhi di lui, ora erano freddi
come il ghiaccio. Girò il viso verso Prentiss per non dover fare
i conti con l’uomo che amava, cercò di concentrarsi sul
piano che stava esponendo il suo capo. Il problema più grande
era che non riusciva a mandare giù quel groppo alla gola che le
stava togliendo il fiato.
Continua…
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Capitolo 22 *** Capitolo XXI. Do you ever think of me? ***
21
Capitolo XXI. Do you ever think of me?
Niente! Si sentiva frustrata e delusa. Aveva seguito i consigli di
Prentiss e del resto della squadra: ignorare e trattare male qualunque
uomo le si fosse avvicinato, il rifiuto era la causa scatenante dei
raptus del maniaco. In tutta la serata solo tre uomini avevano tentato
di abbordarla e lei aveva seguito il copione, li aveva liquidati con
poco parole fredde e taglienti facendo capire di essere troppo
superiore a loro per poterci anche solo parlare.
Ad un certo punto della serata, aveva avvertito un brivido lungo la
schiena, ma non era riuscita a dare un volto a quella sensazione di
cattiveria e astio. Aveva notato Prentiss e Jack che si confondevano
fra gli avventori del ristorante e la sorvegliavano da lontano, ora
sapeva che la macchina che la seguiva era guidata da JJ che aveva il
compito di assicurarsi che tornasse a casa sana e salva. Di Chris
neanche l’ombra.
Probabilmente non era così preoccupato come aveva fatto credere
la sera prima. Forse aveva ritenuto che la sorveglianza di tre membri
dell’unità bastasse a tenerla al sicuro. Sentì di
nuovo quel groppo in gola, aveva la sensazione di stare per perderlo e
non poteva fare nulla per impedirlo. Doveva concentrarsi sul lavoro,
non poteva pensare alla sua vita privata.
Parcheggiò, stando bene attenta che nessuno la stesse
osservando. JJ aveva accostato dietro di lei ed aspettava con il motore
acceso, facendo finta di parlare al cellulare. Si affrettò ad
aprire il portone, fece le scale di corsa e armeggiò con la
porta d’ingresso cercando di fare il prima possibile. Si sentiva
inquieta, aveva paura che il maniaco l’avesse notata ed ora
stesse solo aspettando l’occasione migliore per aggredirla.
Sprangò la porta prima ancora di accendere la luce, solo una
volta inserito l’antifurto si lasciò andare ad un sospiro
di sollievo. Fece scattare l’interruttore e sobbalzò
rendendosi conto di non essere da sola.
Lui era seduto sul divano, con le braccia mollemente abbandonate sulle
ginocchia e guardava davanti a sé. Si alzò di scatto,
avvicinandosi alla finestra. Fece un rapido movimento con le tendine e
si assicurò che JJ ripartisse indisturbata. Solo allora si
girò a fronteggiarla.
- Passata una bella serata?
- Mi hai spaventata – riuscì a dire lei ancora appoggiata alla porta.
- Prentiss ha pensato che fosse meglio che qualcuno
ti aspettasse a casa. Giusto nel caso che il maniaco decidesse di
aggredirti qui – Chris prese di nuovo posto sul divano e
tornò a guardarsi le mani – Ora sarà meglio che tu
vada a riposare, resterò per assicurarmi che vada tutto bene.
- Mi hai aspettata qui tutto il tempo? – quell’idea parve rincuorarla.
- Vai a dormire – serrò i pugni continuando a non guardarla.
- Chris…
- Non preoccuparti io dormirò sul divano – si allentò la cravatta.
- Forse dovremmo parlarne – provò lei.
- Di cosa? Non ci tengo a vederti conciata in quel modo, sembri una sgualdrina.
Fu come ricevere un pugno in pieno stomaco. Non era solo la frase in
sé, ma il rancore che traspariva dalla sua voce. Si chiese
perché lui si comportasse in quel modo, non riuscendo a capire
cosa lo spingesse a cercare di ferirla.
- Così sembro una sgualdrina? Certo, non sono
bella come quelle che frequentavi tu! – sentiva le lacrime
avvicinarsi – Io non posso provare ad essere bella, non è
vero? Ti faccio più comodo quando sembro un disastro ambulante
che gli altri prendono in giro. Ti fa sentire superiore.
- Non dire cazzate! – si alzò di scatto
a fronteggiarla – Sei semplicemente ridicola conciata in quel
modo. Sembri un pagliaccio.
- Non sarò mai come loro, è questo che
vuoi dire, giusto? – le lacrime erano arrivate, le sentiva
scendere sulle gote.
- No, non sarai mai come loro – chiuse gli
occhi e si passò una mano fra i capelli spettinati – Tu
sei meglio di loro e del loro mondo fasullo. Non capisci? Io non voglio
una bambola senz’anima.
- E allora cosa vuoi? – fece qualche passo avanti fino a fronteggiarlo.
- Voglio te, voglio la vera Isabel. Non
questo… manichino pitturato! – la prese per le braccia e
se la tirò contro – Capisci che inferno ho passato chiuso
qui ad aspettarti? Con la paura che ti potessero fare del male o…
- O cosa?
- Lascia stare, vai a dormire. Devi essere stanca
– delicatamente le tolse le mani dalle braccia e le
carezzò piano il viso – Promettimi che una volta finita
l’indagine butterai via tutta questa roba.
- Non ti piaccio? – si sentiva ferita dal
comportamento di lui – Tutti mi hanno detto che così sono
molto bella, ma a te non piaccio.
- Non è questo – le prese il viso fra le
mani e le poggiò la fronte contro la sua – Io… sei
bellissima, anche più del solito, ma…
- Ma? – ora le loro labbra erano pericolosamente vicine.
La risposta gli mori in gola, mentre il cellulare prese a suonare
insistentemente. Si allontanò da lei mentre rispondeva, chiuse
gli occhi mentre ascoltava le notizie che gli stava comunicando Puka.
Chiuse la comunicazione e si girò verso Isabel.
- Ne hanno trovata un’altra. Questa sera era
nel bar con te e il maniaco ha scelto lei – sospirò
buttando il telefono sul divano in malo modo – Sei soddisfatta
ora? Ti rendi conto che potevi esserci tu al posto di quella ragazza?
- Se ci fossi stata io, ora lo avremmo arrestato – risposte stizzita alla provocazione di lui.
- Oppure saresti in un vicolo con la gola squarciata.
Possibile che tu non capisca il pericolo che stai correndo?
- Gli altri mi proteggeranno.
- E se qualcosa andasse storto – si
avvicinò a lei con uno sguardo strano – Hai mai pensato
alle conseguenze? Cosa farei se ti succedesse qualcosa?
- Chris…
- Fammi finire – le posò delicatamente
le dita sulle labbra – Io ti amo e non so immaginare una vita
senza di te. Hai pensato a questo? Hai pensato a me?
- Se lo fermiamo… andrà tutto a posto, le accuse saranno ritirate e…
- Non mi importa niente della commissione! – le
strinse cosi forte i polsi da farle male – Non capisce che il
lavoro non conta niente per me se tu non sei al mio fianco?
- Chris non essere melodrammatico ora.
La sbatté contro il muro con violenza, mentre la fissava con gli occhi pieni di lacrime.
- HAI PENSATO A ME?
Continua…
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Capitolo 23 *** Capitolo XXII. The shape of my heart ***
22
Capitolo XXII. The shape of my heart
- Perché? – ormai stavano piangendo
entrambi – Perché per noi è sempre tutto
così difficile? Perché non riusciamo mai a capirci?
Chris le lasciò i polsi e la guardò stupito di quella
domanda. Si chiese quanti pensieri Isabel non avesse mai esternato,
quante cose tenesse solo per sé. Si sentiva colpevole di non
aver capito quanto per lei la loro storia fosse difficile, quanto la
ragazza stesse vivendo male quella che doveva essere una cosa
bellissima.
La strinse in un abbraccio caldo ed avvolgente, avrebbe voluto tenerla
al sicuro da tutti i mali e da tutte le sofferenze. Non gli piaceva
vederla piangere, non gli piaceva quel senso di colpa che lo
attanagliava ora che si rendeva conto che il dolore della ragazza era
lui a provocarlo.
- Ti amo… so di essere un’egoista, ma
non voglio lasciarti andare – aveva immerso il viso nei capelli
di lei, alla ricerca di quell’odore famigliare che ora la seduta
dal parrucchiere aveva portato via.
Isabel continuava ad essere rigida, le braccia abbandonate lungo i
fianchi. Non sapeva cosa dire o cosa fare, sentiva che la loro storia
era al punto di rottura anche per tutto quello che le frullava nella
testa e non aveva mai condiviso. I dubbi e le incertezze che
l’attanagliavano da sempre, quel senso di inadeguatezza, la
voglia di scappare lontano da qualsiasi cosa potesse ferirla.
Rivedeva costantemente la scena di Desiré che palpava la patta
di Chris, era diventata un’ossessione per lei. In un gesto il
riassunto di tutte le sue paure. Un giorno lui l’avrebbe lasciata
per qualcuna più bella ed affascinante, qualcuna che fosse alla
sua altezza. Il motivo per cui aveva accettato il piano di Prentiss era
anche la segreta speranza che potessero trasformarla in un’altra
persona, una donna attraente, qualcuna che Chris potesse sfoggiare al
braccio sentendosi orgoglioso.
Invece lui aveva detto chiaramente di non gradire quel cambiamento, che
lei era ridicola nel cercare di cambiare. Si era sentita offesa e
delusa, possibile che lui non avesse apprezzato il suo sforzo? Che non
avesse capito perché si era prestata a quel gioco così
pericoloso? E allora aveva reagito come al solito, l’aveva
provocato per litigare. I loro litigi finivano sempre, invariabilmente
sotto le lenzuola, ma stavolta era diverso… aveva cercato di
ferirlo, di farlo sentire come si sentiva lei tutti i giorni della sua
vita.
La domanda di lui l’aveva spiazzata. Lei pensava mai a lui? Aveva
pensato alle conseguenze? Non aveva messo in conto che le potesse
succedere qualcosa, aveva troppo fiducia nel resto del team per pensare
che qualcosa potesse andare storto. Non aveva calcolato i rischi,
né cosa avrebbe provato lui dopo, se….
Era stata egoista quanto lui, era innegabile. Invece di parlare, di
provare a spiegare come si sentiva, aveva agito come
un’adolescente ribelle. La sera prima l’aveva cacciato
fuori di casa, dicendogli che voleva indietro le chiavi e che fra loro
era tutto finito: perché l’aveva fatto? Semplice: sapere
che LaMontagne era stato il compagno di caccia di Reid l’aveva
fatta uscire dai gangheri. Aveva avuto paura che lui tornasse alle
vecchie abitudini, quindi meglio giocare d’anticipo e mettersi al
riparo…
Non aveva neanche provato a chiedere cosa stesse succedendo, cosa si
fossero detti e che intenzioni avesse il suo ragazzo. Era partita in
quarta per l’ennesima volta senza valutare i sentimenti degli
altri, ansiosa solo di proteggere sé stessa.
Stasera, mentre lui le apriva il cuore e le diceva cosa lo
preoccupasse, mentre lui cercava di spiegarle perché aveva
reagito in quel modo a tutta la faccenda, lei… beh, lei
l’aveva anche preso un po’ in giro. “Non fare il
melodrammatico”… come diavolo le era venuta fuori una
frase meno appropriata da dire ad un uomo che le aveva appena
dichiarato tutto il suo amore? Si diede della stupida e decise che ora
era il momento che lei aprisse finalmente il suo di cuore.
Non era sicura di sapere da che parte cominciare, però sapeva
che non voleva che tutto finisse così per mero orgoglio. Non
voleva che quel ragazzo, così importante per lei, uscisse dalla
sua vita perché non era mai stata in grado di aprirsi
completamente con qualcuno. Si chiese se non ci fosse qualcosa di
profondamente sbagliato in lei.
Sapeva che c’era un'unica cosa da dire e un unico gesto da
compiere per cominciare a far capire a lui cosa provava veramente e
cosa la muoveva nelle decisioni, spesso sbagliate, che prendeva.
- Perdonami, sono una stupida – lo strinse con
quanta forza aveva – Ti amo, Chris, non voglio perderti.
- E’ la prima volta… - lui le bisbigliava piano nell’orecchio.
- Come? – sbatté le palpebre non riuscendo a capire cosa lui intendesse.
- E’ la prima volta che mi dici ti amo – sorrise mentre le carezzava piano i capelli.
Erano ore che parlavano seduti sul divano, Isabel era un fiume in
piena. Sembrava che una volta cominciato non riuscisse più a
finire, sentiva di dover dire tutto. Cosa la tormentava, le sue
preoccupazioni, i suoi dubbi… e quell’incertezza che la
stava accompagnando dalla famosa cena da Carlo’s.
Chris si limitava ad ascoltarla ed annuire pensieroso, mentre le teneva
una mano fra le sue e guardava il cammino spento. Non voleva
interromperla, timoroso che lei potesse di nuovo chiudere quella porta
così faticosamente aperta.
- … e poi quando ho saputo che LaMontagne era
il tuo compagno di baldorie, credo di aver completamente perso il
controllo della situazione. Il fatto che foste usciti insieme a
bere… non so, a volte neanche io riesco a capirmi. Sapevo solo
che non volevo soffrire, non volevo aspettare che fossi tu a tirare in
ballo la cosa e così sono partita per la tangente come al solito
– riprese fiato, rendendosi conto di essere arrivata quasi alla
fine di quel pozzo oscuro che erano i suoi sentimenti e pensieri
– Non pensavo veramente quelle cose, credo fosse solo istinto di
autoconservazione. Per quanto riguarda stasera, io… Non mi
è piaciuto il tuo sguardo oggi pomeriggio, quel misto di
disapprovazione e rimprovero non era esattamente quello che mi
aspettavo. Voglio dire… gli altri hanno cominciato a farmi tutti
quei complimenti e mi aspettavo… lascia stare, è stupido.
- Continua – si girò finalmente a
guardarla – Tutto quello che hai detto finora non è
stupido, è quello che provi e che pensi. Cosa ti aspettavi?
- Che tu mi guardassi… insomma…
- Come avrei dovuto guardarti? – era incerto su cosa lei veramente volesse.
- Volevo che tu mi guardassi come gli uomini
normalmente guardano i tipi come Desiré… te l’ho
detto: è stupido.
- Io non ti guardo così? Credi di aver bisogno
di tutto questo – disse indicando il vestito, il trucco e i
capelli – per attirare la mia attenzione?
- Voglio sentirmi bella, anche solo per una volta in vita mia.
- E oggi ti sei sentita bella? – prese a
giocare con una ciocca di capelli che le aveva sciolto dalla
pettinatura.
- No… ogni volta che un uomo mi guardava,
pensavo alla tua reazione. Non mi sono sentita bella, mi sono sentita
un pagliaccio – abbandonò la testa contro la spalla di lui.
- Tu per me sei sempre bella, forse il problema sono io. Non ti faccio sentire quanto ti desidero?
- Vorrei solo… non so… Anzi lo so fin
troppo bene! Voglio entrare in un posto come Carlo’s e sentirmi
gli occhi degli altri uomini addosso, voglio che tu sia geloso e
possessivo!
- Vuoi che prenda di nuovo a pugni Mac? – disse
lui scherzando – Oppure potrei prendere a pugni Henry… lui
proprio se lo merita.
- Di cosa parli? – si strinse ancora di più a lui, per sentire il calore del suo corpo.
- Tu gli piaci e la cosa… vuoi sapere come mi
sono sentito? Geloso – Reid sospirò decidendo che era il
momento che anche lui vuotasse il sacco – Io sono sempre geloso
di te. Il solo pensiero che qualcun altro si accorga di quanto tu sia
speciale… Vuoi sapere perché ho reagito così oggi?
Cosa significava quello sguardo?
Isabel annuì contro il petto di lui.
- Avrei volentieri preso a pugni JJ, Jack e Puka. Sei
bellissima e non voglio che gli altri ti guardino. Io ti amo e sono
geloso e se tu non capisci questo… vuol dire che non sei questo
granché come profiler…
La ragazza si alzò di scatto e lo fulminò con gli occhi.
- Come ti permetti, pallone gonfiato? Chi è
che non sarebbe questo granché come profiler? – era
furente, non sopportava che qualcuno mettesse in dubbio la sua
abilità sul lavoro – Razza di cafone che non sei altro! Io
me lo sono sudato l’ingresso nelle squadra, non mi è
piovuto giù dal cielo.
- Stai dicendo che per me è stato diverso – si alzò anche lui con fare minaccioso.
- Il duro vallo a fare al bagno. Su di me quelle
occhiate non hanno il minimo affetto, ormai dovresti saperlo! Stronzo!
Chris strinse gli occhi a fessura e poi la guardò ancora un
attimo con il fiatone. Sembrava pronto ad esplodere. Le afferrò
un braccio e poi se la carico su una spalla.
- Cosa credi di fare, energumeno? – Irons si dimenava, cercando di liberarsi.
- Se dobbiamo proprio litigare, tanto vale che ti
faccia vedere quanto posso essere stronzo – rispose lui
scoppiando a ridere.
La buttò sul letto fra le risate di lei.
Continua…
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Capitolo 24 *** Capitolo XXIII. Every morning ***
23
Capitolo XXIII. Every morning
Fu svegliato dai rumori che provenivano dal bagno e dall’eco di
imprecazioni sommesse. Sbatté le palpebre un paio di volte e si
voltò, già aspettandosi di trovare l’altra parte
del letto vuota. Isabel si era alzata piuttosto presto visti i suoi
standard e il fatto che avevano fatto le ore piccole.
Si alzò, cercando i suoi boxer. Si chiese dove erano finiti,
quei maledetti dispettosi che sembravano essersi volatilizzati.
Sbuffò alzando gli occhi al soffitto ed è proprio
lì che si trovavano, attaccati ad una pala del lampadario a
ventole. Sorrise, pensando che la sera prima si erano lasciati
piuttosto trasportare durante la loro “litigata”.
Decisamente non avevano il senso della misura, quando discutevano e
decidevano di vedere chi avesse ragione…
Si arrampicò sul letto e recupero l’indumento, dicendosi
che avrebbe dovuto decidersi a chiedere un cassetto dove riporre le sue
cose quando passava la notte da lei… non sarebbe stato male
neanche liberare uno dei cassetti del mobile a casa sua. Non sia mai
Isabel decidesse di voler lasciare qualcosa.
Era assurdo che nonostante passassero così tanto tempo
l’uno a casa dell’altra, nessuno dei due avesse ancora un
posto dove mettere un cambio d’abito. A quel pensiero si
bloccò, mentre stava andando verso la fonte di tutto quel
trambusto. Era la prima volta in vita sua che avvertiva la
necessità di lasciare dei vestiti in una casa che non fosse la
sua… era una piacevole novità.
Entrò in bagno e vi trovò Isabel che combatteva una
guerra senza quartiere con il phon e una spazzola. Continuava ad
imprecare, mentre era chiaro che i suoi capelli non intendevano
collaborare. La ragazza tirò la spazzola contro la parete e
batté un piede, visibilmente indispettita.
- Problemi? – chiese Chris con aria noncurante.
- Vorrei sapere come diavolo fanno le altre ragazze a
sistemarsi i capelli senza l’intervento di un parrucchiere
professionista! Possibile che io sia un tale disastro? –
guardò il ragazzo con aria supplichevole.
- Che vorresti fare a quei cattivi capelli ribelli?
- Sistemarli in modo da non sembrare uno
spaventapasseri, ecco cosa! Mi basterebbe averli lisci e poter
fare… che so… uno chignon.
- Hai provato a passarci la piastra? E’ più facile lisciarli.
- Piastra? – la ragazza sembrava interdetta.
- Non hai una piastra per capelli?
Segno deciso di diniego e sguardo ancora più perso. Decisamente
non era da lei preoccuparsi così tanto del proprio aspetto. Read
sospirò in modo teatrale e poi andò a recuperare la
spazzola dal pavimento.
- Ok. Vediamo di organizzarci – si
sistemò alle spalle della ragazza e le prese il phon – Ora
cerco di aggiustarteli io, ma dobbiamo assolutamente fare un salto in
un negozio e comprarti una piastra. Almeno potrai fare da sola.
Lavorando di spazzola e getto caldo, riuscì a sistemarle i capelli in pochi minuti sotto lo sguardo stupito di lei.
- Sei anche un parrucchiere adesso? –
sollevò un sopracciglio sconcertata dai mille talenti del
ragazzo.
- Sono cresciuto in una casa con tre sorelle e una
madre, tutte molto attente al proprio aspetto – provò a
spiegare lui – A forza di vederle armeggiare tutte le sante
mattine, per non parlare delle ore che passavano in bagno il sabato
sera, qualcosa impari. Per il trucco fai da sola o anche lì ti
serve aiuto.
- Sapresti anche truccarmi? Nel caso la commissione
decida di buttarci fuori hai sempre un paio di lavori di ripiego
– Isabel lo stava prendendo chiaramente in giro.
- Ridi ridi, se non fosse per me avresti ancora quelle specie di cespuglio ornamentale in testa.
- Odioso!
- Vipera! Piuttosto, perché non vai a preparare la colazione mentre io mi faccio la doccia?
- Schiavista!
- Se non metto qualcosa sotto i denti, mi rifiuto di
continuare a discutere con te – dicendo così la spinse
fuori dalla porta e si infilò sotto il getto bollente
dell’acqua.
Come al solito Irons aveva insistito per la parità dei sessi.
Visto che lei aveva provveduto a preparare la colazione e il suo
appartamento era sprovvisto di lavastoviglie, Chris si ritrovò a
dover fare i piatti mentre la ragazza finiva di prepararsi.
Speravo che lei decidesse di mettersi qualcosa di più sobrio
rispetto al vestito mozzafiato della sera prima. Era decisamente troppo
provocante e lui rischiava di dover prendere a pugni un paio di uomini
prima di pranzo, se Isabel si fosse di nuovo presentata con quella mise
in ufficio.
Con sua somma soddisfazione la vide uscire dal bagno con uno dei suoi
completi da battaglia. Jeans sbiaditi, scarpe da ginnastica e una
maglia dolcevita. La soddisfazione durò pochi istanti, quando si
rese conto che la ragazza aveva messo un reggiseno push-up e che si era
truccata, anche se non in modo provocante come il giorno prima.
- Non c’era bisogno del trucco e del
reggiseno… andiamo in ufficio – dicendo così la
superò diretto in camera.
- Credo che continuerò a truccarmi così
anche una volta finita l’indagine – si voltò verso
di lui con aria seria.
- Isabel…
- Mi fa sentire bene.
- Allora perché non l’hai mai fatto
prima d’oggi? – si aggirava per la stanza raccattando
vestiti.
- Non avrei saputo da che parte cominciare – ammise lei incrociando le braccia e guardandosi i piedi.
- Tua madre non ti ha insegnato? – la vide
scuotere la testa – Neanche le tue amiche hai tempi del liceo?
- Non avevo amiche… la prima vera amica che io abbia mai avuto è stata Kathy.
- Beh, devo ammettere che sei carina così
– tornò a guardarsi nello specchio per allacciarsi la
cravatta.
- Grazie – gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro – A te da fastidio?
- Se ti trucchi in modo leggero no… ma non provare a strafare come ieri.
- Non mi ero truccata io, ci aveva pensato
l’estetista da cui mi aveva portato Prentiss. Comunque non era
mica un trucco volgare.
- Non ricominciamo, ok? Non mi va di litigare stamattina.
- Chris è geloso, Chris è geloso – cominciò a prenderlo in giro lei.
Il ragazzo si girò di scatto e l’afferrò in malo
modo per le braccia, tirandosela contro e guardandola in faccia.
- Non puoi neanche immaginare quanto.
- E non c’è niente che io possa fare per
farti passare questa gelosia? – cominciò a lisciargli la
giacca con fare provocante.
- Beh una cosa ci sarebbe…
- Ah sì? – avvicinò le labbra a quelle di Reid.
- Andiamo a vivere insieme.
- Quelli della commissione ci linciano perché
ci frequentiamo e tu vuoi andare a vivere insieme? – si
scansò per guardarlo bene in faccia.
- Non sono loro che decidono delle nostre vite. Se si
risolve tutto, cosa ci sarebbe di strano? In fin dei conti siamo
“fidanzati”.
- Ci frequentiamo da un paio di mesi!
- Due mesi, un anno, che differenza fa? Voglio che
tutte le mattine siano come oggi. Sì o no? – sé la
tirò ancora più vicina.
- Da me o da te? – chiese lei con un sorriso.
Continua…
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Capitolo 25 *** Capitolo XXIV. I'll find you out ***
24
Capitolo XXIV. I’ll find you out
All’interno della centrale di polizia era stata allestita una
piccola sala per loro, dove si erano radunati per fare il punto della
situazione. JJ continuava a percorrere la stanza a grandi falcate e si
faceva scrocchiare le nocche in modo ossessivo, sbirciava di sottecchi
Reid, sicura che prima o poi sarebbe esploso. Contro tutte le
previsioni sue e di Hotch, il ragazzo stava seduto ed aveva
l’aria più tranquilla ed innocente del mondo.
- Facciamo il punto della situazione –
esordì Prentiss – Ieri sera ha ucciso di nuovo, di nuovo
era una ragazza bionda, alta, elegante e notoriamente
“disponibile” al divertimento. Il mio piano di usare Irons
come esca non ha funzionato… Voi cosa suggerite?
- Proviamo ancora – disse Isabel sicura –
E’ la nostra sola possibilità, visto che il nostro S.I.
non lascia alcun tipo di traccia dietro di sé.
- Sembra che abbia una profonda conoscenza delle
tecniche investigative – rifletté a voce alta Puka, mentre
continuava a giocare con i monitor – Mi domando come
faccia…
- Potrebbe essere qualcuno che ha avuto già a che fare con la legge – suggerì Hotch.
- Oppure qualcuno che segue i serial polizieschi – fece notare JJ mettendosi finalmente a sedere.
- Direi che fare una ricerca incrociata con quegli
uomini che hanno avuto problemi con la giustizia non sarebbe male
– Chris sembrava molto concentrato sui dossier – In fin dei
conti deve aver cominciato da qualche parte. Sappiamo che non lascia
niente al caso, è metodico e organizzato. Deve aver cominciato
da ragazzo con infrazioni minori.
- Tipo? Datemi qualcosa per restringere il campo – Puka si girò verso il resto della squadra.
- Direi di cominciare con atti di voyeurismo –
Prentiss si avvicinò ai computer – Alcuni individui che si
dedicano a pratiche come il voyeurismo possono anche avere una
propensione ad assumere comportamenti violenti che possono sfociare in
gravi reati sessuali. Alcune ricerche hanno dimostrato che i voyeur
sono suscettibili a mostrare alcune caratteristiche che sono comuni, ma
non universali, nei reati sessuali più gravi come l'attenzione
meticolosa per i dettagli e la metodica pianificazione dedicata alla
selezione e preparazione delle attrezzature di spionaggio e
osservazione. Per quanto riguarda i tratti della
personalità del voyeur, questi soggetti tendono ad essere timidi
nel corso dell'adolescenza e con qualche difficoltà ad iniziare
o mantenere le relazioni.*
- Chiaro – assentì l’informatica – Altre caratteristiche?
- Cerchiamo un uomo tra i venticinque e i
trent’anni – cominciò Reid – Ha un lavoro non
soddisfacente che lo mette in secondo piano rispetto ai maschi alfa che
frequentano quei bar. Traspare un forte istinto di vendetta e odio nei
confronti di quelle donne, che, molto probabilmente, l’hanno
snobbato. Direi che non deve essere un tipo molto affascinante.
- Io direi che l’aspetto fisico non
c’entra – Isabel si alzò e cominciò a
camminare – Ho notato che molte di quelle ragazze badano
più alla disponibilità economica che all’avvenenza
degli uomini che le abbordano. Per esempio, c’era
quell’avvocato che non faceva altro che offrire da bere a delle
ragazze, ogni volta tirava fuori una platinum card. Era benestante, si
vedeva dai vestiti e dall’orologio costoso, e questo attraeva
quelle ragazze più del miele.
- Quindi potrebbe essere anche di bell’aspetto,
ma non economicamente all’altezza – interloquì Hotch
– Direi che stiamo cercando un ago nel pagliaio. Potrebbe essere
chiunque, anche il giovane associato di qualche studio legale.
- Oppure uno dei camerieri – JJ si era messa a
giocare con il suo stringimano a molle – Potrebbe essere anche
quell’omuncolo insignificante del maître.
- Concordo – assentì Prentiss –
Puka controlla i file relativi al personale di Carlo’s.
- Ma alcune vittime non frequentavano quel posto – fece notare Isabel.
- Quando sono avvenuti quei due omicidi? –
Prentiss prese in mano l’I-pad e cominciò a sfogliare
nervosamente i file.
- Gli omicidi sono avvenuti di martedì –
disse sicuro Chris – La cosa interessante è che quello
è il giorno di chiusura di Carlo’s.
- Quindi potrebbe essere un cliente che frequenta
entrambi i bar, oppure un dipendente con il doppio lavoro – Emily
si girò decisa verso la punk – E’ abbastanza per
restringere il campo?
- Cominciò con le carte di credito e poi mi
sposto sui dipendenti – annuì l’informatica –
Datemi un paio di ore per incrociare i dati.
- Il Freeway è un locale molto al di sotto
degli standard di Carlo’s – Isabel cominciò a
battersi un dito sul mento – Direi che potrebbero benissimo
tenere qualche dipendente in nero, specialmente se lavora per loro solo
una volta a settimana.
- Giusto – Emily si girò verso JJ e
Chris – Velocizziamo le cose. Reid e JJ andate immediatamente al
Freeway e cominciate ad informarvi. Isabel, vai nel tuo appartamento e
preparati per la serata. Hotch tu accompagnala e non perderla mai di
vista.
I quattro profiler scattarono in piedi e si diressero verso
l’uscita, tutti visibilmente nervosi ed ansiosi di chiudere quel
caso così complicato e controverso.
Jack sedeva composto sul divano di Isabel, mentre quest’ultima
era indaffarata a prepararsi. Cercavano di non parlare del caso per
stemperare un po’ l’atmosfera. Il discorso convergeva sulle
imminenti nozze di Hotch e Lizzy e sui preparativi per il grande evento.
- Sarà una cerimonia in grande – la voce di Irons arrivava ovattata da dietro la porta chiusa.
- Credo che ogni ragazza sogni un matrimonio da
fiaba, inoltre non mi sembra che le richieste di Elizabeth siano
così fuori dal comune… I nostri genitori ci daranno una
mano dal punto di vista finanziario.
- Altrimenti rischieresti la bancarotta – rise la ragazza.
- Non è poi così in grande… ci saranno si e no un centinaio di invitati…
- Quattro testimoni, quattro damigelle, la rolls, il
ricevimento in un country club… Non è esattamente quello
che io intendo con “matrimonio intimo”.
- Perché, tu come vorresti organizzarlo il tuo?
- Non ci ho mai pensato – ammise lei
guardandosi nello specchio – Presumo che comunque vorrei qualcosa
di semplice. Non sono fatta per la pompa magna.
- Invece credo che Chris adorerebbe un matrimonio in
grande. Più che altro perché sarebbe un evento vederlo
mettere la testa a posto una volta per tutte – Jack
scoppiò a ridere – Ne avete parlato.
- No.
- Forse è presto… - ammise il ragazzo afferrando una rivista.
- Siamo ancora troppo giovani per pensarci. Voglio
dire: io ho ventiquattro anni e lui solo uno di più. E’
prematuro.
- Lizzy ha solo ventidue anni – ricordò il ragazzo.
- Ma tu nei hai trenta… per te è arrivato il momento, no?
- Allora a te mancano ancora tre anni.
- Perché?
- I genitori di Chris si sono sposati quanto lui aveva ventotto anni e lei appena ventisette.
- Mica dobbiamo fare come loro per forza.
- E quindi non intendete dare una svolta al vostro rapporto.
- Credo che… insomma… noi… quando l’indagine sarà finita…
- Eh? – Jack saltò su con una faccia sorpresa – Ti ha chiesto di sposarlo?
- Figurati! Mi ha chiesto di andare a vivere insieme
– disse lei affacciandosi dalla porta – In fin dei conti
passiamo un sacco di tempo l’uno a casa dell’altro…
che senso ha pagare due affitti? Tu non hai mai proposto a Lizzy di
vivere insieme?
- No, le ho chiesto direttamente di diventare mia moglie.
- Uomo di altri tempi – Isabel sorrise e gli
fece l’occhiolino – Quelli come te sono in via di
estinzione.
- Può darsi… ma Lizzy, ecco… lei…
- E’ talmente speciale che non vuoi che qualcuno te la rubbi sotto al naso. Afferrato, socio.
- Smettila di prendermi in giro. Comunque posso farti una domanda indiscreta?
- Basta che non riguardi il sesso – disse lei chiudendo di nuovo la porta per nascondere il rossore.
- Anche tu eri una delle allieve del dottor Reid?
- Sì, era il mio professore.
- Intendevo… diciamo che ha un nutrito gruppo di fan, ecco.
- Beh, la cosa non mi sorprende. E’ un
bell’uomo, intelligente, sensibile, dolce… Credo di aver
avuto una cotta per lui come tutte.
- E come te la sei fatta passare? –
scherzò Jack – Hai visto il figlio e l’hai trovato
più appetibile?
- No… ho conosciuto la moglie e mi ha messo
addosso una tale fifa che mi è passato qualsiasi pensiero sul
dottor Reid – rise al ricordo del suo primo giorno
all’accademia – Sa essere estremamente…
terrorizzante!
- Decisamente. Ricordo ancora quando seguivo i suoi corsi.
- Non eri il cocco della maestra?
- Credo che nessuno lo sia mai stato. Sarah è molto severe e rigida sul lavoro.
- Non eri il primo della classe?
- Neanche Chris è mai riuscito ad esserlo, figurati io che non ho il suo Q.I.
- E’ molto alto, vero? So che è un genio, ma non abbiamo mai affrontato l’argomento.
- A metà strada fra suo padre e sua madre.
- Cioè? – si era affacciata di nuovo – Anche la professoressa Collins ha un Q.I. alto?
- Vediamo, Reid senior ha 187, Sarah 178 e Chris…
- No ti prego non dirmelo… mi sono fidanzata con Einstein!
I due scoppiarono a ridere.
Continua…
*Wikipedia
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Capitolo 26 *** Capitolo XXV. Meddlers ***
25
Capitolo XXV. Meddlers
Prentiss controllava ogni minimo movimento di Irons, era tesa e
nervosa, sentiva tutta la responsabilità di aver messo quella
ragazzi in una situazione di estremo pericolo. Reid e JJ non si erano
ancora visti e non avevano dato notizie, sembrava che la loro indagine
si protraesse troppo per i suoi gusti. Sicuramente, se come aveva
ipotizzato Isabel, tenevano qualche dipendente al nero, il proprietario
non sarebbe stato molto “cooperativo” nel dare quel nome
all’F.B.I. e, conoscendo il carattere di Reid, questo voleva dire
che lo stavano portando in centrale per mettergli una fifa blu addosso.
Hotch era posizionato dall’altro lato del bar e aveva provato ad
abbordare Isabel, per poterle dire qualcosa in modo da non destare
sospetti. Come da copione, Irons aveva mostrato scarso interesse per il
suo interlocutore, preferendo spostare la sua attenzione
sull’uomo di mezz’età seduto accanto a lei. Il tipo
sembrava un uomo di successo, vestito firmato, rolex e una carta di
platino che continuava a tenere in mano giocherellandoci, mentre
intratteneva la bionda agente sotto copertura.
Sperò con tutta se stessa che il resto dell’unità
si facesse vivo al più presto con notizie che potessero condurli
alla cattura dell’S.I. prima della fine della serata. Jack ora
era al suo fianco e sfoderò un sorriso affascinante mentre le
chiedeva se il posto vicino a lei era occupato.
- Una così bella donna tutta sola? – disse strizzandole l’occhio.
- Sta attento ragazzino, potrei anche farti pagare quest’ironia.
- D’accordo, d’accordo – disse il
ragazzo facendo spallucce – Decisamente le donne della nostra
squadra non subiscono il mio fascino.
- Vuoi che riferisca questa conversazione a Elizabeth?
- Non oseresti…
- Mettimi alla prova – sorridendo tornò
a scrutare Isabel e quello che vide non le piacque per nulla –
Cosa diavolo ci fa lui qui?
- Quindi si occupa di investimenti immobiliari?
– Isabel era terribilmente annoiata dalla boria del suo
interlocutore, ma cercava di essere affasciante e sorridente.
- Un lavoro che da un sacco di soddisfazioni. Niente
a che vedere con i rischi della borsa o della professione legale.
- Le piace giocare sul sicuro, vero? –
sfoderò un sorriso furbo e resistette alla voglia di mollare un
pugno a quell’idiota, quando le coprì una mano con le sue.
- Dammi del tu. Potrei fare molte cose per una
ragazza giovane ed intelligente come te – l’uomo stava
sfoderando tutto il suo repertorio di “viscideria”.
- Non credo che la signora sia interessata ad uno come te, a lei piace giocare d’azzardo.
Isabel si girò contrariata verso l’ultimo arrivato e si
trovò davanti due occhi blu che la guardavano ammirati.
- Avvocato LaMontagne… - Irons ritirò
le mani dal bancone e guardò l’ultimo arrivato piena di
ostilità – Non credevo che frequentasse questo posto.
- Strano, stavo per dire la stessa cosa – il
ragazzo si avvicinò all’uomo vicino a lei con uno sguardo
torvo.
L’agente immobiliare, capita l’antifona, si affrettò
a lasciare libero il posto e a confondersi con il resto della clientela.
- Quella non è decisamente la compagnia
più adatta a te, credevo avessi più buongusto –
Henry si mise a sedere a la guardò pieno di rimprovero.
- Non sono cose che la riguardano. Abbiamo già
affrontato l’argomento sul fatto che non è il mio avvocato
e non vedo come possa entrare nella mia vita privata – la bionda
distolse lo sguardo, preoccupata che il giovane mandasse a monte la sua
copertura.
- Non mi piace che si prende gioco dei miei amici – il tono era bellicoso.
- Sentimi bene, impiccione che non sei altro…
- la parola le morì in gola quando si rese conto di chi era
appena arrivato alle loro spalle.
- Agente Irons – la voce risuonò un
po’ troppo alta, visto il posto – Che coincidenza.
- Vice procuratore – disse la ragazza guardando disperata verso Prentiss e Hotch.
- Credevo che la sua prima visita qui fosse stata
un’eccezione. Non mi sembra il luogo più adatto ad una
come lei… - la Harper stava facendo di tutto per metterla in
difficoltà.
- Io… devo andare – Irons si alzò
di scatto, recuperò la borsetta e si diresse a passo sicuro
verso l’uscita.
Sapeva che Prentiss e Hotch l’avrebbero seguita, almeno uno dei
due… Probabile che Prentiss cercasse di strozzare la Harper per
aver fatto saltare un’operazione sotto copertura. Appena uscita
si diresse verso la sua macchina e si sentì afferrare per un
braccio.
Si girò con la pistola già in mano, quando si rese conto
di chi l’aveva trattenuta. Chris era visibilmente affannato,
segno evidente che aveva corso. Sembrava preoccupato e continuava a
guardarla mentre riprendeva fiato.
- Che ci fai qui? Cos’è la serata del mandiamo a monte la copertura di Isabel?
- Il barista… - ingoiò un paio di volte cercando di recuperare un respiro regolare.
- Il barista? Che centra quel ragazzo?
- E’ lui l’assassino.
Con la coda dell’occhio, vide JJ entrare altrettanto trafelata
all’interno del locale. Sicuramente stava correndo da Prentiss
per comunicarle le ultime novità.
- Lavora anche da Freeway? – chiese tornando a guardare Reid.
- Non solo… Puka ha scoperto che è
stato denunciato da adolescente per atti di osceni e perché era
stato sorpreso a spiare più di una volta le sue vicine di casa.
- Non potevate chiamarci? – Isabel face la mossa di tornare nel locale.
- Ci abbiamo provato. Il cellulare di Prentiss
risulta spento, quello di Hotch non da segni di vita e non ci sembrava
il caso di chiamare il tuo…
- Perché?
- L’hai lasciato a casa – rispose il
ragazzo prendendo un profondo respiro – Decisamente stasera era
impossibile rintracciarvi.
- Almeno per voi due…
- Che vuoi dire?
- La Harper ha appena fatto saltare la mia copertura
chiamandomi “agente Irons” davanti a tutti e poi…
- Che altro è andato storto?
- Il tuo caro amico LaMontagne e il suo dover fare
sempre il duro della situazione, ecco cosa è andato storto!
- Henry è qui? Ci ha provato con te? – Chris si rabbuiò.
- No, faceva la parte dell’amico che difendeva
il tuo onore. Ma se si avvicina di nuovo… non mi importa se
siete amici di infanzia! Io gli do una ginocchiata così forte
che mando i suoi testicoli a fare compagnia alle tonsille!
- Impossibile – rispose il moro con un sorriso.
- Perché?
- Ad Henry hanno levato le tonsille quando aveva cinque anni.
Continua…
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Capitolo 27 *** Capitolo XXVI. Stuttering ***
26
Capitolo XXVI. Stuttering
Isabel e Chris corsero all’interno del locale, cercando di
raggiungere il resto del team. Videro JJ parlare concitatamente con
Prentiss, mentre Hotch continuava a guardarsi intorno come alla ricerca
di qualcosa. Irons puntò gli occhi sul bancone del bar alla
ricerca del loro sospettato numero uno, notando immediatamente
l’assenza del giovane ragazzo biondo.
L’aveva visto tutte e tre le volte che era stata da Carlo’s
senza mai notarlo veramente, non che fosse brutto. Semplicemente si
tende a non notare le persone che lavorano in posti come quello,
specialmente visto la marea umana piena di tipi
“interessanti” che circolavano in posti come quello. Ora
che ci rifletteva, ricordava vagamente di avergli sorriso dopo che lui
le aveva servito il drink e di averlo ringraziato, il fatto che lui
balbettasse leggermente era l’unica cosa che le era rimasta
impressa di quel giovane.
Si avvicinò a Prentiss che come Jack cercava qualcosa o qualcuno
all’interno del locale, notando lo sguardo sconcertato del suo
capo e del suo collega. Tornò a guardare verso il bancone, Henry
era ancora dove l’aveva lasciato che sorseggiava il suo drink ed
aveva attaccato bottone con una bella ragazza mora e formosa. Storse la
bocca notando il classico atteggiamento dell’uomo alfa a caccia,
decisamente il ragazzo non aveva perso tempo dopo la loro piccola
“discussione”… aveva decisamente una faccia di
bronzo che lei avrebbe volentieri spaccato.
Si girò verso il resto della squadra quando si rese conto di quello che stavano dicendo.
- Come sarebbe a dire che stava parlando con lui?
– JJ si voltò di scatto verso il bar con gli occhi
sgranati.
- Il ragazzo le ha detto qualcosa e lei gli ha
risposto in modo… direi imperioso – rese noto Hotch
– Non aveva decisamente un atteggiamento amichevole nei confronti
del ragazzo…
- Di chi state parlando? – chiese Isabel non riuscendo a fare il collegamento.
- Dopo che hai lasciato il locale, il barista a
rivolto qualche parola alla Harper e lei l’ha trattato piuttosto
male… - rese noto Prentiss – L’ho vista allontanarsi
in direzione dei bagni, poi è sopraggiunta JJ con le ultime
novità, ma ormai erano tutti e due fuori dalla nostra visuale.
Chris prese l’iniziativa, avviandosi a passo sicuro verso il bancone.
- Hotch, dietro i bagni c’è
un’uscita di sicurezza. Corri a controllare – il ragazzo
attraverso il locale a grandi falcate.
- JJ vai con lui – Prentiss si voltò
verso Isabel – Tu con me, usciamo dall’uscita principale e
controlliamo i vicoli qui intorno.
- Forse il maître a visto qualcosa – disse Irons poco convinta.
- Chiederemo mentre passiamo… ci mancava solo
questa – Emily si avviò verso l’ingresso principale
seguita dalla giovane profiler.
Erano in strada da circa dieci minuti, come supposto da Emily il
maître all’ingresso non aveva visto ne la Harper ne il
barista. Isabel sentiva il sudore colarle lungo la schiena mentre
perlustrava i vicoli vicini al ristorante.
Sentì dei passi correre nella sua direzione e si girò di
scatto con la pistola spianata. Vide Reid alzare le mani in segno di
resa per poi girarsi verso il loro capo.
- Il barista ha staccato dieci minuti fa. Una volta
arrivato il cambio si è diretto alla porta di servizio senza
dire niente a nessuno.
- Dobbiamo trovarlo – disse Emily estraendo la
pistola – ma soprattutto dobbiamo trovare la Harper. Se gli ha
risposto male…
- Lei sarà il suo prossimo bersaglio –
finì Chris estraendo l’arma a sua volta – Dobbiamo
avvertire la polizia?
- Ci penso io. Voi due continuate a perlustrare la zona.
Si avviarono fianco a fianco lungo il vicolo buio, sperando di arrivare
in tempo. Di JJ e Hotch neanche l’ombra, forse si erano
incamminati nella parte opposta. Se il barista avesse seguito la solita
procedura, alla Harper rimanevano si e no ancora dieci minuti prima di
essere uccisa…
Appena voltato l’angolo, notarono un movimento appena dietro i
cassonetti dell’immondizia e poi un rantolo soffocato. Reid
scattò in avanti con la pistola puntata, mentre Isabel lo
aggirava lentamente per non incrociare il fuoco con lui.
- F.B.I.! Lasciala andare – Chris teneva sotto
tiro il giovane biondo che si faceva scudo dietro il corpo di Eilen
Harper.
Irons non riusciva a capire se la donna fosse solo svenuta o cosa, il
corpo floscio era tenuto in piedi dall’S.I. che le teneva il
braccio intorno al collo. Nel buio del vicolo non riusciva a notare se
la donna respirasse ancora, nonostante tutto il male che aveva cercato
di fare loro sperava che il vice-procuratore fosse ancora viva.
- Hai sentito cosa ti ho detto? – Chris
alzò ulteriormente la voce, forse nella speranza di essere
sentito dagli altri – Lasciala andare. ORA!
- E’ una d-d-d-d-donna ca-t-t-ttiva! Ma io le ho d-d-d-d-dato una b-b-b-bella lezione!
- Lasciala andare – si intromise Isabel
cercando di tenerlo sotto tiro – Possiamo aiutarti, ma tu devi
lasciarla andare.
- Aiutarmi? Io n-n-n-non ho b-b-b-bisogno di aiuto! Tutti mi temono! Io s-s-s-s-sono il m-m-m
- Tu sei solo un patetico, piccolo insignificante
barista – lo interruppe Irons – Senza neanche la spina
dorsale di affrontare queste donne a viso aperto. Hai bisogno di
nasconderti nel buio di un lurido vicolo per trovare la forza di
avvicinarle.
- Non è vero! – il ragazzo ora era
furioso con lei e la sua balbuzie gli rendeva impossibile comunicare.
- Balle! Se tu fossi veramente uno con le palle
avresti provato ad adescarle nel ristorante, davanti a tutti…
Fammi indovinare. Con lei hai usato la scusa di avere qualche
informazione sul caso, vero? – lo schernì ancora Isabel
– Solo una stupida come lei poteva cascarci.
- I p-p-p-p-poliziotti…
- Ti hanno interrogato? E tu credi di essere un vero
duro solo perché non hanno capito chi avevano davanti? Scommetto
che sono stati Lavigne e Morelli… due veri geni! Lavigne ha
addirittura permesso alla figlia di venire qui perché tu potessi
ucciderla… Non ti sei reso conto che sono solo due perdenti?
– abbassò la pistola e si sforzò di ridere,
sperando di essere convincente – Noi siamo quelli che prendono i
malati come te, infatti ti abbiamo smascherato. Con i veri
professionisti non hai scampo, puoi vantarti solo con quegli stupidi
detective…
Il ragazzo ormai era furioso, scaraventò lontano il corpo della
Harper e si avventò contro la ragazza. Isabel perse
l’equilibrio mentre Chris premeva il grilletto, la detonazione
risuonò per tutto il vicolo.
La strada era illuminata dai lampeggianti della polizia e delle
ambulanze. Prentiss stava parlando con i poliziotti, rilasciando una
dichiarazione sugli ultimi avvenimenti. Isabel non la perdeva di vista
un momento, visto che di lì a poco anche a lei avrebbero posto
delle domande su quello che era successo.
Era seduta sulla sponda di una delle ambulanza, mentre un paramedico
che medicava la tempia. Nel tentativo di schivare l’attacco di
Lawerence, il barista del Carlo’s, aveva perso l’equilibrio
cadendo in malo modo e battendo la testa contro una grondaia. La ferita
era superficiale, ma i paramedici insistevano perché andasse in
ospedale per un anti-tetanica.
Come l’uomo la lasciò sola, Reid si mise a sedere accanto
a lei coprendole le spalle con la propria giacca. Irons si voltò
verso di lui e gli sorrise, appoggiando poi la testa sulla sua spalla,
mentre lui la stringeva con un braccio.
In quel momento sopraggiunsero JJ, Hotch e il detective Morelli. Si
fermarono a pochi passi da loro e il poliziotto cominciò a
grattarsi la testa, in evidente imbarazzo.
- E pensare che l’avevamo anche
interrogato… Ce lo siamo fatti scappare da sotto il naso –
ammise di malavoglia.
- Cosa vi aveva detto? – Irons lo guardava insistentemente.
- Beh, ecco…
- Era il principale accusatore di Reid, vero?
- Come fa a saperlo? – l’uomo la guardò stralunato.
- Quello che ha fatto alla Johanson. Doveva aver assistito alla scena ed esserne rimasto colpito.
- Già… - Morelli si schiarì la
voce – Non l’abbiamo interrogato a fondo… io avrei
voluto, ma…
- La sua balbuzie irritava il detective Lavigne – finì per lui Chris.
- E’ sempre così parlare con voi
profiler? Finite sempre le frasi degli altri? – chiese un
po’ indispettito.
- Solo a volte – si intromise JJ con un
sorrisetto soddisfatto stampato sul viso – E solo quando le
risposte sono ovvie.
- Come sta la Harper? – chiese Jack voltandosi verso Prentiss.
- L’hanno portata in ospedale. Pare che
l’abbia conciata piuttosto male. Ha una brutta commozione
celebrare ed ha rischiato il soffocamento – il detective
riportò di nuovo la sua attenzione sulla coppia seduta sul bordo
dell’ambulanza – Uno dei camerieri a sentito Lawerence dire
alla Harper che aveva delle informazioni sul maniaco. Credo che non
sapremo mai tutta la verità su come abbordava le sue
vittime… visto che è morto.
- E così l’ha convinta a seguirlo in
questo vicolo – constatò Reid con un sospiro –
Decisamente la Harper è un tipo caparbio. Ha rischiato la vita
pur di mettersi in mezzo.
- Già… effettivamente lei è un
po’… al diavolo! Tanto non lavorerò più con
lei. E’ una vera stronza, di un’arroganza che rasenta il
limite – sorrise soddisfatto di aver vuotato il sacco –
Comunque dopo questa storia non penso che neanche i “suoi
amici” riusciranno a tenerla fuori dai guai.
- Cosa intende dire? – JJ corrugò la fronte.
- E’ stata aperta un’inchiesta interna
sul suo modo di lavorare ai casi… Dopo quello che è
successo, persino Lavigne ha smesso di proteggerla. Abbiamo vuotato il
sacco sul tipo di ordini che ci impartiva.
- Passerete dei guai anche voi – fece notare Isabel.
- A me mancano un paio di mesi alla pensione,
probabile che mi mandino in pensione anticipata… Lavigne…
dopo quello che è successo a sua figlia, dubito fortemente che
gli importi qualcosa del suo lavoro. Agente Hotchner, agente
Jordan… vi devo chiedere di seguirmi e rilasciare una
dichiarazione. Per quanto riguarda voi due – disse indicando con
il mento Reid e Irons – Potete andare in ospedale per
l’anti-tetanica, uno dei miei verrà a raccogliere la
deposizione con calma.
- Grazie – Chris accentuò la stretta sulle spalle di Isabel.
Appena rimasti soli il ragazzo punto i suoi occhi verdi sulla bionda seduta al suo fianco.
- Ora mi dici come ti è venuto in mente di provocarlo in quel modo? – sembrava divertito.
- Tuo nonno.
- Mio nonno?
- E il killer del sentiero.
- Non ti seguo – ammise il ragazzo.
- Quando il killer del sentiero prese tuo
nonno… beh, il tipo era armato con un fucile a pompa, mentre
Jason era disarmato. Sai come ha fatto a fermarlo?
- Dovrei cominciare a leggere i vecchi dossier come
fai tu – disse con una mezza risata – Come ha fatto?
- Visto che soffriva di balbuzie, l’ha
provocato fino a fargli perdere il controllo. In questo modo la
balbuzie è aumentata e nel tentativo di concentrarsi su quello
che doveva dire…
- Si è lasciato distrarre – finì
il ragazzo moro con un sorriso – Decisamente devo mettermi a
studiare i vecchi casi.
- Decisamente – Isabel gli sorrise, prima di sporgersi per baciarlo.
Continua…
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Capitolo 28 *** Epilogo ***
epilogo
Epilogo
- Ti rendi conto, spero, che qui dentro non
c’è abbastanza spazio per i miei vestiti – Chris
guardava con aria critica l’armadio a muro di Isabel.
- Ma se è semivuoto! Cavolo, Chris, ma quanti
vestiti hai? – la ragazza era seduta sul bordo del letto e
continuava a massaggiarsi il braccio dove le avevano fatto
l’antitetanica.
- Ehmmm… - il ragazzo moro si girò storcendo la bocca – Mpf! Quelli che mi servono.
- Sei più vanitoso di una ragazza. Io
l’ho visto il tuo armadio. E’ stracolmo – lo sguardo
della ragazza si era fatto torvo – Secondo te dove dovrei mettere
la mia roba?
- Ho un’idea. Visto che non c’è
abbastanza spazio in nessuno dei due appartamenti, ne potremmo prendere
uno più grande… magari con un armadio a muro degno di
questo nome.
- E dove li prendiamo i soldi? Ti ricordo che da
domani saremo di nuovo sospesi e questo vuol dire niente stipendio
chissà per quanto tempo.
- Potremmo vendere il mio – propose il ragazzo
– Con il ricavato ne prendiamo uno più grande e paghiamo
un piccolo mutuo.
- L’appartamento è tuo? Ma la tua famiglia quanti soldi ha?
- Beh… per la mia laurea sia il nonno che i
miei mi avevano regalato dei soldi… poi ho cominciato subito a
lavorare. Avevo anche un po’ di risparmi.
- Torno a ripetere che riesci sempre a stupirmi.
Si chinò sul letto poggiando le mani sul materasso e risalendo
con le labbra dall’angolo della bocca di lei fino
all’orecchio.
- Potrei sorprenderti ancora anche in altri campi.
Isabel sentì le gote andarle in fiamme.
Una settimana dopo, appartamento dei Morgan
L’atmosfera era abbastanza rilassata, quando Chris e Isabel
fecero il loro ingresso con un dolce che avevano comprato in una
pasticceria piuttosto rinomata. Prentiss aveva aperto loro la porta e
li scorto in salone, dove Morgan stava preparando degli aperitivi. Puka
era comodamente sprofondata nella grande poltrona di pelle e continuava
a rimirare il suo drink. JJ era in piedi dietro Michelle e la teneva
stretta in un abbraccio, mentre Lizzy e Jack sedevano composti sul
divano bianco.
- Finalmente siete arrivati – biascicò
la punk sollevando appena un sopracciglio – Stavo cominciando a
preoccuparmi.
- Sembri di umore nero – osservò Chris scompigliandole i capelli.
- Sbornia triste… anche se siamo qui per
festeggiare – rispose la ragazza sprofondando ancora di
più nella poltrona.
- Cosa festeggiamo? – chiese Isabel prendendo posto accanto a Lizzy.
- Uno – cominciò a risponderle Derek
stappando una bottiglia di vino – La Harper è stata
rimossa dal suo incarico e la disciplinare le sta alitando sul
collo… credo che non si trovi bene nella parte della
perseguitata.
- Anche perché di solito era le persecutrice – fece notare Emily prendendo un bicchiere.
- Due – continuò il moro ignorandola
– Mi ha chiamato la commissione interna poco prima che lasciassi
l’ufficio. L’indagine si è conclusa e da
lunedì ritornerete tutti al lavoro.
I membri del team si guardarono l’un l’altro per poi
scoppiare a ridere felici. Decisamente avevano molto da festeggiare.
L’unica che non sembrava partecipare alla generale euforia era
Puka, che rimaneva chiusa in un tetro silenzio.
- Tre – continuò Emily, ignorando
l’umore pestifero dell’informatica – Ci sono state
accordate due settimane di ferie. Direi che abbiamo vinto su tutti i
fronti.
- Che bello – disse in tono sarcastico Cassandra.
- Tu dovresti festeggiare più di tutti – le disse Morgan togliendole il bicchiere di mano.
- E perché? – chiese la ragazza
osservandolo dal basso – Il mio essere “quella che da
più da pensare” non conta?
- Conta… visto che ti hanno accordato
l’aumento che mi chiedi da oltre un anno – disse Prentiss
sedendosi sul bracciolo e lisciandole i capelli – Su col morale,
Puka, si è risolto tutto per il meglio. E comunque non siamo qui
per questo.
- E allora perché siamo qui? – chiese JJ stringendo ancora di più la vita di Michelle.
- Perché credo sia ora di riesumare vecchie tradizioni – rese noto Prentiss.
- La cena del venerdì? – chiese Chris sorridendo.
- Qui non è grande come dai tuoi, ma per il momento ci entriamo tutti…
- Per il momento? – chiese Jack.
- Dipende quanto ci metterete a mettere su famiglia
– gli rispose Derek strizzandogli l’occhio – Basta
blaterare! Io proporrei un brindisi.
Si alzarono tutti in piedi, partecipando a quella piccola festa improvvisata.
Puka camminava barcollando verso la sua autovettura, seguita da Isabel
e Chris che si lanciavano occhiate eloquenti. Aveva bevuto per tutta la
sera ed era rimasta sempre in silenzio… decisamente c’era
qualcosa che non andava. Isabel prese l’iniziativa afferrandola
per un braccio e togliendole le chiavi di mano.
- Ehi! – sbottò la punk voltandosi di
scatto e rischiando di perdere l’equilibrio – Le mie
chiavi! Se non me le dai come ci torno a casa?
- Ti portiamo noi – rispose la bionda
allungando una mano vuota verso Chris – Dammi le chiavi, vado a
prendere l’auto.
Il moro annuì e mentre la sua ragazza si allontanava si
girò di nuovo verso la sua amica, che sembrava avere dei grossi
problemi.
- Mi dici cosa ti sta succedendo?
- Succede che sono patetica – sputò
fuori l’informatica poggiandosi contro la portiera –
Guardami! Sono l’unica dell’unità ad essere
single… e non so neanche cosa io stia cercando.
- Lo saprai quando lo troverai – la consolò Chris scostandole il ciuffo dal viso.
- Non so neanche se cerco un uomo o una donna –
mollò un pugno contro la carrozzeria dell’auto.
- Beh… se alla fine scegli una donna… magari io potrei assistere.
- Porco!
- Scema! – l’abbracciò
stringendosela contro – Un giorno incontrerai una persona
speciale e non può essere altrimenti.
- Perché?
- Perché solo una persona speciale si merita
di portarsi via la mia migliore amica – la scostò da se e
le diede un bacio sulla fronte – Piccola teppista alcolizzata!
Smettila di pensare a tutte queste assurdità, io vorrei sapere
come ti viene in mente…
- Quello che ha detto Jefferson.
- Ancora? Non dare retta a quello che pensano certi
sciocchi bigotti. Tu sei quella che sei, e io non cambierei neanche una
virgola.
- Ma tu non sei innamorato di me – la ragazza
chiuse gli occhi – Io… vorrei solo… non voglio
più tornare in una casa vuota.
- Non fare l’errore di metterti con il primo
che capita solo perché soffri di solitudine. Mi aspetto qualcosa
di meglio da te. La Puka che conosco io non si arrende facilmente e non
si accontenta mai.
- Come è?
- Cosa?
- Avere una storia seria – la ragazza
alzò gli occhi scuri su quelli verdi di lui – Come
è avere qualcuno che si preoccupa per te?
- Non voglio dirti bugie… a volte è
bellissimo, altre… beh non è sempre tutto rose e fiori.
Ma quando trovi la persona giusta sai che ne vale la pena.
In quel momento arrivò Isabel con la macchina ed accompagnarono
Puka a casa. La ragazza rimuginò a lungo su quello che le aveva
detto Reid. Voleva anche lei qualcuno di speciale… e non si
sarebbe accontentata mai. Alla faccia di quei quattro bacchettoni della
disciplinare! Lei non dava da pensare, lei era solo ciò che era.
Si addormentò soddisfatta, con il rumore delle fusa di Lollipop
che le dormiva accanto.
Fine
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