Natale in giallo

di VictoriaBook
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La notte efferata ***
Capitolo 2: *** Destinazione Amberville ***
Capitolo 3: *** Gradisce una tazza di tè? ***



Capitolo 1
*** La notte efferata ***


<< Dave, dove diavolo è finito il fascicolo dell'omicidio di Oxford Street?>>

" A volte penso davvero di impazzire. Sul serio, non ce la faccio più."

Al commissariato del distretto di Camden Town a Londra regnava il delirio.

<< Nella cartella rossa, come sempre. E cerca di calmarti Anne. >>

<< Non dirmi di calmarmi, eh! Anche perché io sono calmissima! >>

" Giuro che non lo sopporto. E tutta questa confidenza, poi? "

La notte di Natale, poi, erano tutti più nervosi. Figuriamoci due come David e Anne. 

Per uno strano scherzo del destino erano finiti a lavorare insieme. 

Anzi, il commissario Anderson lavorava là già da cinque anni. 

Poi, era arrivata Miss Wilson a sconvolgere il suo equilibrio ormai collaudato. Anne era una poliziotta, per ora solo vice commissario, giovane e saccente con ambizioni da investigatrice; il commissario David la trovava davvero insopportabile. 

Teoricamente due personaggi così diversi dovrebbero essere destinati ad diventare quasi complementari. E in effetti, in un certo senso lo erano. Ma da quando Miss Wilson era arrivata il commissario aveva trovato la vittima ideale per le sue frecciatine velenose, i suoi sguardi sprezzanti e il suo atteggiamento di superiorità. Già, perché lui si sentiva superiore al resto dell'umanità. Ogni volta che gli capitava l'occasione ostentava il suo formidabile intuito, il suo sesto senso. Non aveva del tutto torto. 

Il commissario David era davvero un fuoriclasse; era brillante e incredibilmente acuto. La razionalità e il senso pratico, al contrario, non erano certo il suo punto forte. Non era affatto uno stratega, uno di quegli investigatori da romanzo giallo che sbrogliano ingarbugliati delitti seduti a tavolino. La sua tattica era aspettare le soluzioni. Secondo lui sarebbero sempre venute a galla da sole. E, bisogna ammetterlo, la sua tattica si era sempre rivelata vincente. 

<< Trovata! Dovresti smetterla di metterci pile di libri sopra! >>

Ma Anne no, lei non era così. Lei era astuta, calcolatrice, perspicace. 

Infatti, non sopportava l'animo sonnacchioso e fintamente indolente di David, perché lei teneva sempre gli occhi aperti. Niente poteva sfuggire al suo sguardo e alla sua mente veloce e brillante. 

Mr Wilson la giudicava una ragazzina presuntuosa e scolastica. 

Ma certo aveva della qualità innegabili; aveva ricevuto una promozione d'oro e si era lasciata alle spalle la piccola realtà cittadina per spiccare il volo verso il fascino inebriante di Londra. 

Nonostante non fosse esattamente un idillio, la loro era una squadra vincente. Anche se non volevano riconoscerlo. 

Quella, poi, era la notte di Natale. E la notte di Natale, si sa, è spesso molto pericolosa. E loro lo sapevano bene. 

La mente umana è una bomba innescata e quella notte rischiava di farla esplodere. Forse è colpa di tutta quella finta allegria, finta bontà, finto candore. Insomma, era una notte ipocrita. 

Ma, su questo potevano giurarci entrambi, gli istinti delle persone non potevano resistere a lungo e qualcuno avrebbe sicuramente fatto qualche brutto scherzetto. Era la prassi. 

<< Tregua, ragazzina. Mangiamo qualcosa, su. >>

Anne sbuffò forzatamente. << D'accordo, però piantala di chiamarmi ragazzina. Non sono mica una liceale, eh! Guarda che sono laureata e sai molto bene che posso competere tranquillamente con te... >>

<< Sì, sì, lo so. Ma ricordati che oggi è la vigilia di Natale, quindi fa' la brava. >> Intento tirò fuori dal mini-bar due panini imbottiti e due lattine di birra. << Ecco il nostro cenone!>>

Anne guardò il loro banchetto con aria leggermente delusa, poi la bocca le si piegò in un mezzo sorriso. 

<< Beh, auguri e buon appetito, allora! >> Si fece scappare una risatina trattenuta. Non era da lei lasciarsi andare troppo. 

Mentre addentava la sua cena era intenta a guardare fuori dalla finestra. Riusciva ancora a intravedere il suo riflesso grazie alle luce di un lampione che si rifletteva sul vetro; una ragazza bella e splendente. 

Gli occhi scuri cangianti e attraversati da un fugace velo di malinconia; le labbra piegate in un broncio che facevano tendere leggermente verso l'alto il naso già all'insù per sua natura. Ma quella chioma rossa, proprio l'odiava. Le dava un'aria ribelle che non le si addiceva per niente. 

Perché Anne non era ribelle; anzi, proprio il contrario. E, segretamente, invidiava la mentalità flessibile di David. Lo invidiava sempre, ogni volta che, come in quel momento, senza farsi vedere, scrutava i suoi occhi grigi e vitrei. Invidiava la sua gestualità sicura e irreprensibile e, soprattutto, il suo essere un uomo d'azione. La sua capacità di tramutare i pensieri in fatti nell'esatto momento in cui attraversavano la sua mente. 

Ma qualcosa interruppe bruscamente il turbinio di pensieri che attraversavano confusamente la mente di Anne e costrinse il commissario David a svegliarsi dal suo finto torpore. Era lo squillo del telefono. 

Brutto segno. Anne trasalii; poi si alzò bruscamente dando le spalle allo sguardo curioso e indagatore di David. Lui sapeva già cosa aspettarsi. - Commissariato di Camden Town-, rispose Anne, nervosamente. 

Stava ascoltando attentamente la voce che attraversava il filo del telefono e annuiva. Poi riattaccò. 

<< C'è stato un omicidio ad Amberville. O, almeno, così sembrerebbe. 

E' morta la signora Stevenson... >>

David guardava fuori dalla finestra. Sembrava che non stesse ascoltando, invece aveva in mente cos'avrebbero dovuto fare. 

<< Uno di noi deve andarci, mi sembra ovvio. >> Era pensieroso, ma fece caso all'aria sconvolta della sua, ormai, collega. 

<< Anne, è tutto a posto? >> Chiese titubante. 

<< Sì, sì. E' solo che... >> Si avvicinò alla sedia e ci sprofondò. 

<< Sai, io la conoscevo la signora Stevenson... >> Continuò- 

<< Io vengo da Amberville, vivevo dalle parti della sua villa. >>

Il commissario era un po' stupito. Lavorava con lei già da alcuni mesi ma adesso non aveva realizzato che quel paesino sperduto chiamato Amberville fosse proprio quello da cui veniva Anne. 

Lei continuò a parlare. 

<< Conoscevo la signora Stevenson solo perché, come ti detto, io e la mia famiglia abitavamo lì vicino. Era la tipica vecchia signora inglese. 

Ricca, un po' pettegola e snob. Ma non era cattiva, per niente. 

Mi ha sempre dato la sensazione di essere, in fondo, una persona un po' amareggiata dalla vita, una vecchia signora che consolava i suoi fallimenti con qualche partita a briscola e un po' di pettegolezzi. >>

Il commissario fece cenno di aver capito. 

<< Senti, se vuoi ci posso andare io. >>

Lei ci pensò su un attimo. << No, sarebbe la mia prima occasione per mettermi alla prova veramente. Dicono che è stato un omicidio, quindi c'è bisogno del fiuto di una futura investigatrice. >> Si lasciò andare ad un debole sorriso sghembo. << E poi, in fin dei conti mica la conoscevo bene. Insomma, non ci ero neanche così affezionata. Solo che è un po' sconvolgente che qualcuno sia stato assassinato proprio la notte di Natale. E' triste, non trovi? >>

Adesso a David faceva un po' tenerezza. << Sì, lo so. Ma non mi stupisce più di tanto. Faccio questo lavoro da più di vent'anni ormai e da allora non mi piace più così tanto la notte di Natale. Per qualche strana ragione sono tutti più vulnerabili e qualcuno è disposto a sporcare di sangue il candore della neve. >> Ma non c'era amarezza in quello che diceva. 

Dopo un interminabile momento di silenzio Anne guardò l'orologio appeso vicino alla porta. Quell'orologio era sempre indietro di sette minuti. Nessuno di loro aveva mai voglia di sistemarlo quindi, ormai, si erano abituati a fare un rapido calcolo mentale per capire che ore fossero. 09:51.

Erano quasi le dieci. 

<< Vado. Prendo il treno e poi vado a piedi fino alla villa. E' proprio vicino alla stazione. >> Afferrò il cappotto che era appeso nel vecchio appendiabiti e la borsa, poi si diresse verso la porta. 

- Sta' attenta, ragazzina. E chiamami, mi raccomando. -

- Sì, non ti preoccupare! - 

La porta si chiuse dietro di sé e Anne si immerse nel freddo pungente della notte.  

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Capitolo 2
*** Destinazione Amberville ***


La strada era quasi deserta. L'unico rumore perfettamente percepibile era quello di qualche macchina che sfrecciava ingoiando l'asfalto;

Anne immaginava che a guidare quelle auto fossero persone sole o, più verosimilmente, che si trattasse di qualcuno che stava raggiungendo la propria famiglia. 

Un uomo camminava nel marciapiede di fronte e, mentre aspettava il taxi, Anne fantasticava sulla sua vita. Lo faceva sempre... Cercava di scorgere le vite delle persone che incontrava. Soprattutto quando si trattava di qualcuno che poteva scrutare solo per poco; magari incrociava lo sguardo di una persona al semaforo, ci scambiava un sorriso, e poi la vedeva andare via sotto i suoi occhi. Allora pensava e ripensava a dove potesse essere diretta, che lavoro faceva, dove abitava, che sogni inseguiva. Quella dei sogni, poi, era proprio la parte più affascinante. Anche perché Anne, nella sua visione delle cose, vedeva le persone come cieche creature che vengono appoggiate per un po' sopra un sasso che rotola nel buio e, finché hanno la possibilità di mantenersi in equilibrio, le immaginava intente a cercare un baricentro e a rincorrere spasmodicamente il loro sogno di felicità. Cosa non accade mentre si aspetta un taxi.

Finalmente ne arrivò uno tipicamente londinese; andava veloce perché non c'era nessun'altra macchina ad affollare la strada.

Anne gli fece cenno di fermarsi e si intrufolò nella macchina. 

- Buonasera!- 

Un anziano signore borbottò dal sedile davanti: 

- Buonasera! Dove la porto, signorina?- 

- Alla stazione di King's Cross, grazie. - 

Con un po' di fatica il vecchio tassista ingranò la marcia e partì.

 

 

                                                       * 

 

 

- Sono 15 sterline, signorina. -

Anne cercò nervosamente nella borsa. - Ecco a lei. Buonasera! - 

Uscì dalla macchina. Come sempre, sbattendo la portiera un po' troppo forte. 

Stranamente la stazione era molto affollata e c'era un viavai di gente. 

Dopo aver fatto il biglietto Anne si diresse velocemente verso il binario 7. Non dovette neanche aspettare. Il treno arrivò come una saetta e inchiodò, intrappolato tra i binari. 

Anne si fece spazio tra il campanello di gente pronta a salire sul treno ed entrò prendendo posto nello scompartimento meno affollato. 

C'erano solo tre persone sedute lì. Una vecchia signora vestita in modo impeccabile e con i capelli acconciati in una piega vecchio stile; 

un ragazzo dall'aria distratta e indolente che non faceva altro che guardare fuori dal finestrino mentre ascoltava musica con un volume talmente alto che anche gli altri sentivano. Si sentiva anche perché c'era silenzio in quel vagone. Infatti anche l'altra passeggera era silenziosa. Era una ragazza sulla trentina, a giudicare dall'aspetto: 

era abbastanza curata e aveva l'aria pensierosa, tipica di chi sta pensando a come risolvere i propri problemi, piccoli o grandi. 

Anne tirò fuori dalla borsa il suo Ipod verde e, tra le tante canzoni, scelse I don't want to miss a thing degli Aerosmith.

Adorava ascoltarla quando aveva bisogno di fare chiarezza su qualcosa oppure, come in quel caso, quando doveva preparare la sua mente a un po' di acrobazie cerebrali. Insomma, se quello di Amberville era veramente un omicidio, lei avrebbe dovuto vederci chiaro. 

Quella degli Stevenson era, almeno apparentemente, una famiglia normale. La signora Allisone, morta quella stessa notte, era sposata da ormai tantissimi anni con il signor Edward Stevenson, medico di fama internazionale. Era una persona più che rispettabile nonché un uomo affascinate e affabile. Lui e sua moglie avevano due figlie: Sarah e Emily. Sarah era la figlia maggiore; era una ragazza solare e raggiante. E poi, era davvero bella. Una di quelle persone che quando ti passano affianco ti giri a guardarle. 

Emily, invece, era la secondogenita. Non assomigliava affatto a sua sorella. Emily era una ragazza lunare e introversa. Almeno, questa era l'impressione che dava a primo impatto. 

A Road Hill, il quartiere dove abitava la famiglia Stevenson, girava la voce che Emily non ci stesse neanche tanto con la testa. 

Dicevano che stava sempre chiusa nella sua camera, che si trovava nel secondo piano della casa, a scrivere. In effetti lei era una scrittrice, ma nessuno dei suoi libri aveva mai visto la luce.

Secondo molti viveva una sorta di complesso di inferiorità verso sua sorella maggiore, che invece appariva come la stella più luminosa della famiglia. E una personalità così è sicuramente molto ingombrante. Ma la gente, si sa, chiacchiera. 

E quelle, magari, erano solo chiacchiere. 

 

      

                                                        *

 



Dopo circa un'ora finalmente il treno frenò bruscamente alla fermata di Road Hill. Così si arrivava direttamente ad Amberville. 

Anne, che si era un po' assopita durante il viaggio, scese dal treno e uscì dalla stazione. La casa degli Stevenson si trovava in periferia ed era molto vicina alla stazione. 

C'era molto buio fuori, ma almeno le luminarie natalizie rischiaravano un po' la strada e quel percorso, seppur breve, le sembrò meno inquietante. Anche se, inevitabilmente, Anne si voltava di scatto ad ogni fruscio che sentiva. Deformazione professionale. 

Camminò percorrendo il marciapiede per circa mezz'ora, fino a quando non arrivo al quartiere di Road Hill. Anche la sua casa di trovava nei paraggi. 

Si infilò in quel dedalo di stradine ricoperte di ghiaia abitate dalla gente che faceva parte dell'élite cittadina. Dagli alberi sbucava una grande casa in stile vittoriano dove, evidentemente, c'era molta confusione. 

Dalle finestre si vedeva che le luci erano quasi tutte accese e si sentiva chiasso. 

Appena fu più vicina Anne vide che parcheggiata fuori c'era anche la macchina della polizia. Di notte, quando c'è buio, vengono dubbi anche sulle cose che si conoscono e si sanno, ma era sicura di essere nel posto giusto. In fondo, quello era il suo mondo. Anne si sapeva orientare bene nei quartieri della sua piccola cittadina.

Imboccò il sentiero che portava alla casa e man mano che si avvicinava vedeva ingrandirsi sempre di più le figure di una ragazza e un uomo, che doveva essere sicuramente l'ispettore. 

Un brivido di freddo le percorse la schiena, ma Anne non era certo una che si tirava indietro. 

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Capitolo 3
*** Gradisce una tazza di tè? ***


<< Buonasera, sono il vice commissario Wilson. >>

Le due sagome che si stagliavano nel buio si voltarono. 

<< La aspettavamo, signorina Wilson. Sono l'ispettore Holmes.

L'abbiamo dovuta contattare perché purtroppo ci sono state delle emergenze nel nostro distretto e avevamo bisogno di un detective. 

Camden Town era la soluzione migliore.>>

<> Anne si girò a guardare la ragazza in piedi vicino all'ispettore. La riconobbe subito; era Sarah, la figlia maggiore della signora Stevenson. Aveva lo sguardo vuoto. 

<< Anne, è un sollievo sapere che il caso è stato affidato a te. >>

Anne e Sarah avevano solo pochi anni di differenza e, anche se non si erano mai frequentate, capitava che si incontrassero. 

Amberville non è poi così grande. 

Anne abbracciò la ragazza, ma avvertì subito lo sguardo sospettoso dell'ispettore. Doveva mantenere un certo distacco professionale. 

<> Disse l'ispettore. 

Entrambi si voltarono verso Sarah, che annuì. I due si spostarono di qualche metro. << Si tratta quasi sicuramente di un omicidio. Il corpo senza vita della signora Stevenson è nella sua camera da letto e nel comodino c'è un bicchiere che contiene tracce di cianuro, molto probabilmente. Non è pensabile che si tratti di un suicidio dato che la signora non poteva più camminare e non se lo sarebbe potuto procurare. Sicuramente qualcuno gliel'ha somministrato spacciandolo per un innocuo bicchiere d'acqua, magari per le sue medicine. Ora, ci chiediamo chi possa essere stato. >>

Anne ascoltava attentamente. << Non credo che qualcuno si sia introdotto nell'abitazione. Ma questo significherebbe...>>

L'ispettore non le diede il tempo di terminare la frase: << ... Che l'assassino si trovava tra le mura della casa. >>

Anne l'aveva già capito da sola, ma sentirlo aveva un sapore inquietante. << Andiamo, ora. Mantenga il sangue freddo e sia lucida. >> Fece un sospirò. << Ora saliamo su, in casa... >>

<< Ci accompagna, signorina? >> Disse poi, rivolgendosi a Sarah.

Lei annuì e fece strada ai due, che la seguirono. 

C'era una rampa di scale in legno che separava il giardino dalla casa. 

Salito l'ultimo gradino si trovarono davanti ad una porta in vetro che faceva intravedere la sagoma di una donna robusta e tarchiata.

Era una notte fredda e la veranda era particolarmente esposta al vento. La donna, da dentro, aprì la porta permettendo ai tre di entrare. Dopo Sarah e l'ispettore anche Anne si fece avanti ed entrò dentro. La porta si richiuse con un sibilo dietro di lei e Anne non riuscì a trattenere un sussulto. 

 

 

                                                       * 

 

Di spalle, davanti alla finestra del grande salone della casa, c'era un uomo. Stava in piedi, rigido e con le braccia conserte. Guardava fuori dalla finestra, sembrava che stesse aspettando che da un momento all'altro le risposte che cercava si scrivessero da sole sul vetro.

<< E' il signor Stevenson. Credo che sia sotto choc. >> Disse a bassa voce l'ispettore.

Anne gli si avvicinò e gli toccò delicatamente una spalla. Lui si girò e appoggiò il suo sguardo su di lei ma in realtà non la stava guardando. Aveva gli occhi appannati di lacrime ma, almeno all'apparenza, sembrava che avesse il pieno controllo di sé. 

<< Sono addolorata, dottor Stevenson. Davvero. >>

Lui, che riconobbe in lei le ragazzina di paese che era fino a poco tempo prima, le diede un buffetto su una guancia come avrebbe potuto fare con una delle sue figlie e si voltò di nuovo a guardare il vuoto. 

Il silenzio stava riempiendo la stanza quasi fino a farla scoppiare. 

All'improvviso, però, fu spezzato da un rumore cristallino e sfaccettato. Sembrava un rumore di vetri rotti. Come il rumore che si sente ai matrimoni, quando viene rotto scaramanticamente un piatto di vetro lanciandolo al suolo. In quel frangente, però, aveva avuto tutt'altro effetto. 

Sarah si precipitò nel corridoio, che si trovava oltre il salone. 

Il corridoio apriva la strada a un dedalo di stanze, tra cui le camere da letto. Le luci erano tutte spente e Sarah si immerse nel buio, in parte mitigato dalla fioca luce della sala da pranzo. 

<< Su, stai calma, Emily. Cerca di non agitarti, fai un respiro profondo. >> Era la voce di Sarah, che veniva continuamente spezzata da quella che, secondo la logica di Anne, doveva essere necessariamente quella di Emily. 

<< Su, ecco brava. >>

L'ispettore si avvicinò a Anne. << Come avrà immaginato, si tratta della secondogenita degli Stevenson. Purtroppo non è completamente in sé. E' una ragazza molto problematica e instabile. 

Appena siamo arrivati era terribilmente sconvolta. Ho il timore che, in situazioni del genere, possa essere quasi pericolosa. >>

Disse ad Anne, con un tono di voce così basso che sembrava un sussurro. 

<< Dov'è il corpo della signora Stevenson? >> Disse Anne di risposta, anche se non aveva nulla a che fare con quello che le aveva appena detto l'ispettore. 

<< Mi segua. >> E si diresse verso la porta che si trovava al lato della stanza. Era un'altra entrata che permetteva di accedere al corridoio. 

In fondo c'era una stanza che saltava subito all'occhio perché la luce all'interno era accesa e rischiarava il buio del resto del corridoio. 

Quella era la camera da letto della signora Stevenson. Anne e l'ispettore si diressero lì. La porta era quasi completamente aperta e Anne si fece subito avanti. Quello slancio di spavalderia, però, vacillò per un momento quando il suo sguardo cadde sul letto che stava ospitando il cadavere della donna. 

La signora Stevenson giaceva su quelle lenzuola color lavanda.

Le braccia ricadevano senza vita ai lati del corpo, terminando nelle mani pallide e ossute. La pelle del viso era del tutto distesa tanto da rubarle qualche anno di vecchiaia e qualche ruga. Ma le labbra livide tradivano il suo stato, tutt'altro che invidiabile. 

La camicia da notte bianca candida le conferiva un'aria da spiritello tormentato e lo stesso facevano i capelli bianchi, che però godevano ancora della messa in piega. 

<< Tutto a posto, signorina Wilson? >> attirò l'attenzione l'ispettore. 

<< Si, naturalmente. Non creda che sia così vulnerabile. >> 

<< No, certo. Il bicchiere nel quale abbiamo trovato tracce di cianuro è  lì sul comodino, ma la prego di non toccarlo. Siamo in procinto di raccogliere le prove e portare via il cadavere. >>

<< Capisco. Immagino che ora ci sia un'indagine da fare. >>

<< Naturalmente. E' proprio per questo che l'abbiamo chiamata, per collaborare nell'indagine. Questo caso patisce uno strano paradosso. 

La banalità dell'omicidio è sconcertante quanto lo è l'indecifrabilità del movente che ha spinto l'assassino ad agire. >>

La mente di Anne, però, era già completamente immersa nel caso. 

<< Direi di tornare di là. >> Disse, poi. 

I due, così, tornarono nel grande salone. L'uno con l'atteggiamento di chi ha già visto tanto e ormai ai cadaveri ci ha fatto il callo e l'altra con l'aria visibilmente soprappensiero. 

Dalla cucina, alla quale si poteva accedere direttamente dal salone stesso, sbucò una donna robusta e tarchiata. Era la stessa sagoma che Anne aveva intravisto dal vetro della porta d'ingresso. 

Guardandola con più attenzione si poteva notare che la donna indossava un grembiule bianco candido e aveva i capelli raccolti in una coda ordinatissima. Era la cameriera della famiglia Stevenson. 

<< Gradisce una tazza di tè? >> Olga si ricordava bene di Anne. Il suo ricordo, però, non va oltre l'infanzia della ragazza, che da allora era decisamente cambiata. Ma quello sguardo vispo e inquisitore Olga lo riconosceva ancora. Aveva una buona memoria e tutti la sottovalutavano. 

L'ispettore attirò Anne verso di sé: << Non mi sembra il caso di familiarizzare in questo momento. Si ricordi che lei è qua in veste di pubblico ufficiale. E poi dobbiamo andare in commissariato: per quanto mi riguarda sono tutti sospettati. >>

<< Conosco la famiglia Stevenson da sempre e non credo saranno necessarie inutili formalità. Non si agiti, ispettore. >>

Anne si liberò da quella presa leggera ma irritante e rivolse di nuovo lo sguardo verso la cameriera. Olga, ecco come si chiamava. Le era tornato in mente il suo nome. 

<< Sì, grazie. Un tè lo bevo volentieri. >>

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