All the colours of the rainbow

di Witch_Hazel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I hate pink ***
Capitolo 2: *** I love blue ***
Capitolo 3: *** Brown like chocolate - parte 1 ***



Capitolo 1
*** I hate pink ***


i_hate_pinkDisclaimer: il personaggio maschile che non viene nominato (ma è riconoscibilissimo) non mi appartiene, non pretendo di aver riprodotto il suo reale carattere. Non scrivo a scopo di lucro.



Ivy ha sempre odiato il rosa. Non sa perché, ma è un colore le cui vibrazioni la urtano in particolar modo. Successe quando una conoscente le regalò una sciarpa rosa, quando la commessa della profumeria tentò in tutti modi di venderle un rossetto rosa e sta succedendo ora davanti a quel tipo con un’assurda cresta rosa che dovrebbe servire in modo “esclusivo e rigoroso”, come ha indicato il suo boss. E la cosa suona decisamente strana detta da lui, visto che storce il naso di fronte al secondo orecchino al lobo destro di lei, o allo smalto viola, o all’anello con teschio di Terence: come poteva accettare questi tizi decisamente….particolari? Appariscenti? Bizzarri? Mistero della fede. Sta di fatto che prima di discutere gli ordini pensa al suo stipendio, a quanto le servano i soldi di questa sera e si morde la lingua, senza proferir parola.
Peccato che ci sia Terence, che non ha certo il dono dell’obbedienza e che è riuscito a mantenere il posto probabilmente solo perché sarebbe quasi in grado di ballare il Bolero di Ravel con tre piatti per avambraccio.
<< Da dove sono usciti questi, dal Biafra? >> brontola appoggiando i piatti vuoti che ha appena raccolto dal tavolo incriminato.
<< Non saprei – risponde Ivy – forse sono un po’ troppo pallidi per venire dal Biafra... >>
Il cuoco le consegna due secondi che afferra prontamente.
<< …forse la Corte dei Miracoli è più appropriata >>
Terence le lancia uno sguardo in tralice prendendo altri tre piatti.
<< Tu e le tue citazioni letterarie del cavolo >>
Ivy sopprime una risatina sotto i baffi mentre consegna una costata di manzo e un’insalata di patate. Terence le lancia occhiate truci dall’altra parte del tavolo che si sforza di ignorare per non scoppiare a ridere davanti ai clienti che probabilmente penserebbero che lei li ritiene ridicoli. Cosa non così tanto distante da realtà poi…e infatti: occhiataccia da manuale dal tipo dell’insalata di patate con la cresta rosa. Bingo! Ivy, scoraggiata, crede di essersi giocata la lauta mancia da parte della Corte dei Miracoli itinerante.
Il servizio continua fino al dessert con Ivy sempre più preoccupata per l’alzataccia che le spetta. Accompagna con Terence il carrello dei dolci al tavolo, pronta a servirli ai loro ospiti d’onore.
<< Sembra che ti abbia punto al mosca tze tze >>
La ragazza alza gli occhi al cielo.
<< Son è orario di metafore, Ren, specie se sono così brutte. >>
<< Però per il tuo sarcasmo è sempre ora, piccola strega! – esclama lui tra con una punta di fastidio – comunque cerca di essere come dire…un po’ più amabile, perché io la mancia la voglio, ok? >>
<< zi, badrone >>
Sono troppo vicini al tavolo perché Terence la possa mandare a quel paese con tutta l’espressività e la gestualità di cui potrebbe (e vorrebbe) disporre; si accontenta di un’occhiata glaciale che dà ad Ivy lo spunto per sembrare un po’ meno latte cagliato e un po’ più yogurt.
Servono i dolci, preparano i caffè…velocemente si fa l’una di notte e i personaggi bizzarri se ne vanno, lasciando una mancia lautissima che loro si dividono.
<< Chissà, magari non sembravo poi così tanto acida… >> esclama Ivy pensierosa togliendosi la divisa pezzo per pezzo.
<< Ma va’. È che sono abituati a lasciare mance esorbitanti e non ci fanno neanche più caso – dice il suo collega, saccente – anzi, magari se ammiccavi un po’ di più invece di 100 sterline a testa ce ne lasciavano 200! >>
Il dito medio di Ivy, con l’unghia perfettamente smaltata di viola, fa capolino nel campo visivo del ragazzo.
<< Sei una stronza! >> le urla, per poi schioccarle un bacio sulla guancia.
<< è per questo che mi ami >> replica lei, piatta.
<< Come ti pare. A domani, strega! >>
Lui esce, mentre lei piega il grembiule e lo butta di malagrazia nell’armadietto. Mentre si infila il cappotto e si imbacucca nell’enorme sciarpa nera, calcola che le rimangono a tutt’ora, cinque ore di sonno, calcolando il tragitto fino a casa e una doccia, fanno quattro: la premessa ideale per addormentarsi a lezione. Sbuffa irritata uscendo. Le luci sono quasi tutte spente, il locale sistemato, finiti i conteggi della cassa se ne andranno tutti gli altri. Fa un saluto generale e fa per andarsene quando il boss si avvicina.
<< Grazie per essere venuta stasera, Ivy. Hai fatto un buon lavoro. Domani sera puoi restare a casa. >>
Ivy borbotta un grazie imbarazzato e sorpreso ed esce prima che cambi idea. Lui è fatto così, bisogna cogliere la palla al balzo.
È strano, ma non sente sonno o stanchezza, anche se ha trottato per sette ore nella sala del ristorante. Imbocca istintivamente la strada centrale, evita sempre le scorciatoie buie di notte. In fondo, la serata non era andata poi così male: avevano fatto un servizio strepitoso, lei e Terence, nonostante la cresta rosa di quel tizio la disturbasse non poco, aveva ricevuto una mancia più che soddisfacente e persino i complimenti del boss. Pensa anche che dopo la lezione di domani mattina ha pausa fino al pomeriggio e quindi può anche tornarsene a dormire e magari, con un caffè doppio, può anche farcela a svegliarsi presto.
D’improvviso devia verso il parco. I suoi passi sono leggeri: è serena. E Ivy, quando è serena, fischietta, e comincia a farlo, incurante del fatto che il parco sia buio pesto, a parte qualche lampioncino qua e là. Tutta questa felicità va coronata con una pausa sigaretta e, visto che ha decretato che domani mattina ce la può fare, perché non fumarla in tutta tranquillità sulla sua panchina preferita in riva al laghetto? Tra questi pensieri aggrovigliati piacevolmente nella sua testa, si inoltra sul sentiero di ghiaia bianca rischiarato a tratti regolari dai lampioni canticchiando “Libiam ne’ lieti calici”, celebre valzer della Traviata di Giuseppe Verdi. Ivy fischiava concitata camminando al tempo della musica che fischiettava, nel banchetto immaginario che stava avendo luogo nella sua testa, mentre frugava con una mano nella borsa per ritrovare l’accendino, la panchina a due passi.
2…
1…
Sorpresa! La panchina non è libera e il suo attuale occupante si è pigliato un bello spavento. Ivy smette di canticchiare presa dal panico. Lo sconosciuto sposta la testa per vedere meglio i suoi lineamenti. Esce un sospiro di sollievo.
<< Accidenti a te! Pensavo fosse un serial killer >> Un voce maschile matura.
<< Se si annunciassero tutti cantando la Traviata avremmo risolto parte dei problemi del mondo. Ehi – Ivy è presa dall’orrore – ma tu sei il tizio di prima! >>
<< Tizio a chi? – esclama indispettito - ma tu sei la cameriera acida del ristorante! Ringrazia che il caffè era buono altrimenti mio fratello mica mi convinceva a lasciarti la mancia! >>
<< Touchè >> soffia lei, coprendo il resto della distanza che la separa dalla panchina. Si siede sull’angolo lasciato libero da lui perché no, non le va di farsi indispettire da questo tipo dopo tutti quei pensieri felici, vuole solo fumarsi una sigaretta e godersi il momento, senza dover per forza discutere con questo qui che spunta come il prezzemolo ovunque. Prezzemolo rosa per giunta.
<< Ehi, ma che fai? >> chiede lui allarmato.
Lei lo ignora bellamente estraendo lo zippo dalla borsa e una sigaretta dal pacchetto.
<< Guarda che non attacca eh! >>
Unica risposta: uno sguardo interrogativo che brilla nella penombra creata dal lampione.
<< Non riuscirai a sedurmi facendo finta di essere una “bad girl” >>
Per poco la sigaretta non le cade di bocca, mentre non sa se ridere o sputargli addosso un po’ di sano veleno. Visto che non vuole arrabbiarsi e vuole rimanere felice per almeno un altro quarto d’ora, Ivy opta per una risata, dopo aver assicurato la sigaretta tra l’indice e il medio della mano sinistra.
Lui ricambia lo sguardo interrogativo di poco prima.
<< Senti – dice lei, dopo aver soffocato gli ultimi lembi di riso che le solleticavano la gola – voglio solo fumarmi questa fottuta sigaretta e andarmene, sedurti non è di certo in cima alla mia lista delle cose da fare >>
La fiamma dell’accendino le illumina per qualche secondo il viso in un bagliore giallognolo. Lui la guarda, curioso, uno sguardo un po’ pesante, che in condizioni normali la irriterebbe non poco.
<< Mi ritieni così brutto? >>
Qualcosa nel suo tono di voce fa già presagire che la risposta positiva non può essere contemplata, lui sa di non essere brutto e sa che gli altri non lo ritengono tale, il che la trasforma in una domanda di circostanza, che gli serve solo a tenere viva questa specie di conversazione che lei si sta adoperando a sopprimere.
Una boccata di fumo esce dalla bocca di Ivy.
<< No, non sei brutto, è il rosa che mi dà sui nervi. >>
<< Il…rosa? >> evidentemente l’ego del Tizio non è settato per una risposta di questo genere, pensa lei.
<< Sì, i tuoi capelli rosa mi irritano. Mi irrita qualsiasi cosa sia rosa in effetti. Probabilmente era per questo che stasera non ero proprio amabile. >>
<< Ma non è rosa! È color melograno! >>
Ivy lo guarda come se avesse appena detto che la luna è di formaggio, ma decide di non esprimersi.
<< Come ti pare >>
Aspira una boccata di fumo insieme al silenzio che è ritornato momentaneamente.
Lui però non si accontenta.
<< Ma cosa diamine stai fumando? >> chiede all’improvviso, fiutando l’aria come un mastino affamato.
<< Sono sigarette olandesi, il tabacco è aromatizzato al cioccolato >> risponde lei, asciutta ma non aspra.
<< Fico! Me ne dai una? >>
Ivy si prende qualche secondo più del dovuto per decidere: comprare le sigarette costa e lei fraziona all’infinito i pacchetti per spendere meno. Tuttavia, per una può anche fare uno sforzo. Prende dalla borsa il pacchetto di sigarette e gliene allunga una insieme all’accendino. Guarda sconsolata le tre che le rimangono.
<< Suvvia, a Natale siamo tutti più buoni… >> mormora più a se stessa che al suo strambo interlocutore.
Le restituisce l’accendino. Nei suoi occhi si intravede una scintilla di stupore.
<< Natale? Ma è stato due mesi fa! E comunque è solo una sigaretta, santo Iddio… >>
Lei gli lancia un’occhiataccia tremenda.
<< Senti, non so com’è il tuo conto in banca e nemmeno mi interessa, ma, a giudicare dalle mance che lasci, non sei certo povero in canna. Io per pagare l’affitto e mangiare lavoro sei sere a settimana al ristorante e a malapena riesco a comprarmene un pacchetto ogni due mesi, cioè una sigaretta a settimana più un’extra al mese. >>
Lui sta per aggiungere qualcosa, ma lei lo blocca aggiungendo:
<< Ah, e per quanto riguarda il Natale, vorrà dire che sono già a posto per il prossimo. >>
<< Extra? >>
<< Sì, extra – spiegò lei – per momenti particolarmente belli o brutti >>
Lui si incuriosisce:
<< E questo che tipo di momento era? >>
Lei riflette un po’ mentre la sigaretta si consuma lenta.
<< Non lo so a dire la verità. Mi sentivo bene, in pace. Era un bel momento. >>
Lui sorride nel buio. Lei finisce la sigaretta e pensa che magari sarebbe il caso di andare a dormire, ma pensa che sarebbe da maleducata andarsene mentre lui stava ancora finendo la sua. Così decide di restare ancora un po’, fissando i riflessi tremolanti della luna sull’acqua del laghetto.
<< Cos’era quella cosa che cantavi prima? >>
Sulle labbra di lei sorge un sorriso amaro, che spera il buio celi.
<< Era un’aria della Traviata di Giuseppe Verdi. S’intitola “Libiamo ne’ lieti calici” >>
<< Ti piace l’opera? >> indaga lui, prendendo le ultime boccate della sua sigaretta.
<< No, piaceva molto a mia madre però. Mi portava sempre a vedere l’opera a teatro, quando c’era. Io ho sempre preferito le cose che potevo comprendere immediatamente tipo, che so, una commedia di Shakespeare, però la accompagnavo comunque. E mi rimanevano in testa alcuni motivi. >>
Ivy pensa che la Traviata è come la vita: si è tanto felici e spensierati, ma non si sa mai quando tutto questo può venirti sottratto, d’improvviso.
<< Era carino >> sentenzia lui.
<< Credo sia uno dei movimenti più allegri in opera. Poi la scena del ballo mette allegria. Ti fa sperare che per una volta, forse, l’opera sarà a lieto fine. Illusione decisamente disattesa. >>
<< Sei una persona fondamentalmente triste, vero? >>
Lei lo guarda, e pensa che sotto a quei ridicoli capelli rosa magari c’è pure un cervello che funziona ogni tanto. Sì, lei è una persona triste. Perché quando si è tristi, si assapora meglio la felicità, mente lei.
<< Fondamentalmente non ti fai mai gli affari tuoi? >>
<< Mi limito a farmi gli affari di chi considera ridicoli i miei capelli >> provoca.
<< Allora ti farai gli affari di un mucchio di gente, immagino. >>
<< A volte eviterei di farmi quelli di mio fratello, però vivendo insieme è impossibile. >>
Lei crede che la conversazione stia assumendo toni troppo privati. Sente che se stesse a sentirlo, magari, il tizio coi capelli rosa potrebbe starle simpatico. E, oltre al fatto che quei capelli rosa la irriterebbero continuamente, si affezionerebbe a lui e questo rende le persone stupide. Lei non vuole essere una persona stupida, è già una persona triste ed è più che sufficiente. Preferisce rimanere una persona triste che odia il rosa.
<< Ora è meglio che vada, altrimenti domattina chi si sveglia? >>
<< Già, anche io vado, altrimenti manderanno la CIA a cercarmi. Grazie della sigaretta. >>
Lei recupera la borsa e si alza in piedi. Lui fa altrettanto. È più alto di lei, ha il fisico asciutto.
<< Ciao. >>
<< Ciao. >>
E le loro strade si separano.


Comincia a fare caldo, nonostante piova sempre. Il binomio la atterrisce sempre, Ivy. Il caldo va col sole, la pioggia va col freddo, gli ibridi sono tollerati solo durante le mezze stagioni. Ma, visto che “non esistono più le mezze stagioni” e il globo manda tempo atmosferico e temperature a random, Ivy si è stancata di stizzirsi se non apprezza il tempo che c’è. Così guarda la pioggia che tintinna sul vetro con un bicchiere di tè freddo in mano. Oggi di studiare non se ne parla proprio, la testa va per conto suo in luoghi che esistono solo nelle storie di Lewis Carroll, decisamente inadatte alla coltivazione del sapere umano. Il cellulare squilla.
<< Ciao Ivy >>
È il Boss.
<< Ciao. Dimmi. >> lo sguardo apatico verso la pioggia si riflette nel suo tono di voce.
<< Dovresti passare di qui. È urgente. >>
<< Arrivo. >>
Ivy attacca e si prepara ad uscire, con il senso dell’attesa che comincia a corrodere piano piano la fortezza dell’apatia.
Le gocce cominciano a caderle sulla testa. Si è dimenticata l’ombrello, di nuovo.
<< Vabbè, pazienza >>
Arriva in poco tempo al ristorante e bussa sul vetro facendosi vedere, il Boss le apre. Ora il suo cuore rimbomba per l’agitazione di un colloquio con il suo capo celeberrimo per la mancanza di magnanimità.
<< è arrivato questo per te stamattina. Non volevo che gli altri lo vedessero, allora ti ho chiamato oggi. >>
Un pacco marrone, talmente malridotto che sembra aver attraversato mezzo oceano su una zattera le viene consegnato dall’uomo, la cui attesa, negli occhi, è quasi pari al suo stupore. Ivy prende il pacco e si siede ad uno dei tavolini sparecchiati del locale. Il boss le dà un tagliacarte per aprirlo e lei esegue l’operazione con cura maniacale, quasi con paura. All’interno, tra due strati di carta da imballaggio, una stecca di sigarette e una lettera.

Ciao Ragazza Che Odia Il Rosa,
non mi avevi detto il tuo nome e così ho deciso di farti recapitare il pacco al ristorante (sperando che lavori ancora lì). Mio fratello dice che queste sigarette sono le migliori della West Coast. Spero che abbia ragione, perché ti dureranno per un bel pezzo. Perlomeno fino alla mia prossima visita.
Saluti
J.
P.S. ora ho i capelli blu, spero sia di tuo gradimento

Ivy scoppia a ridere, ringrazia il capo che la guarda confuso e se ne va. Ha smesso di piovere adesso e l’asfalto ha quel profumo che si sente solo dopo un temporale. Ivy percorre la strada con calma, col sorriso. Si ferma solo quando arriva alla panchina in riva al lago. Scarta con cura il pacchetto, prende una sigaretta e la accende. Pensa a sua madre, che le diceva sempre che fumare fa male, nonostante fumasse a sua volta, pensa alla sua amica Kenny, che le ha fatto provare la prima sigaretta, pensa a Gandalf e al tabacco da pipa di Pianilungone, a suo padre, che decisamente non approverebbe e alla sua coinquilina che odia la puzza di fumo, a Ren, che la prende sempre in giro…
Ed è felice di essere una persona stupida che odia il rosa.


Nugae
Questa è la prima opera che scrissi che avesse per protagonista un personaggio noto. La protagonista si chiama sempre Ivy, ma non c'è nessun collegamento con "Voglia di cozze", era un periodo che ero in fissa con questo nome...uhm, in effetti lo sono ancora xD

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Capitolo 2
*** I love blue ***


i_love_blue
“I was driving through the misty rain
Just a-searching for a mystery train
Bopping through the wild blue
Trying to make a connection with you”
(Bruce Springsteen - Radio Nowhere)

Ivy sta inginocchiata davanti al rachitico albero di Natale con una sigaretta tra le labbra e le lucine colorate tra le mani. Seguitando ad ignorare gli ammonimenti di morte del suo coinquilino, chiede:
<< Rimembrami, perché non abbiamo ancora sostituito questo scheletrico albero che mi ricorda più Jack Sckellington che altro? >>
<< Fammi pensare – risponde Terence, diventato coinquilino oltre che collega – ah già, perché i nostri conti sono in rosso. >>
Ivy sospira, cogliendo perfettamente solo in quel momento il concetto di “Nightmare Before Christmas”.
Nonostante tutte le rosee previsioni di gioventù, è Natale, sono al verde, devono lavorare entrambi e il cenone post lavorativo sarebbe stato costituito da un invitante menù composto da cracker al formaggio e shortbread.
<< Odio il Natale. >>
<< Non è vero >> le dice, infilandosi il piumino e un berretto natalizio ridicolo che si ostina a indossare ogni anno.
<< Sì che è vero >>
Spegne la sigaretta con malagrazia nel posacenere e inserisce la spina nella presa per controllare la disposizione delle lucine. Un mare di puntini blu inonda la stanza.
<< Vado a vedere di trovare una bottiglia di whisky a buon mercato, almeno possiamo bere per dimenticare. Toglimi una curiosità: perché blu? >>
Lei guarda le lucine con aria assorta.
<< è il mio colore preferito. >>

Terrence è uscito da dieci minuti quando Ivy riceve una sfiancante telefonata da sua madre, che ha approfittato dell’assenza della figlia per andare a farsi la settimana bianca in Lapponia. Dopo venti estenuanti minuti in lode della finnica terra Ivy ha inventato chissà quale pretesto e ha riagganciato. Prende un bicchiere d’acqua e apre la scatola con le decorazioni blu per l’albero rachitico. Sta quasi pensando di essere giunta ad un livello di patetismo tale da cantare una canzoncina da sola, quando il campanello improvvisamente suona. Ivy apre senza controllare lo spioncino, pensando che sia il suo coinquilino, troppo carico di alcolici per riuscire a estrarre le chiavi di casa dalla tasca. Invece trova una bella sorpresa: Jay, il tipo di quasi un anno prima, che aveva quella ridicola cresta rosa (sostenendo tra l’altro che si trattasse di color melograno e dimostrando di avere un’idea decisamente opinabile dei colori) e con cui aveva chiacchierato per un’ora al parco, si trova esattamente davanti a lei in tutta la sua fulgida bellezza. Con i capelli blu.
<< Buon Natale Ivy! >> esclama questi a braccia aperte.
Lei richiude la porta con un calcio e corre in bagno a sciacquarsi il con l’acqua gelata, pensando che, magari, è giunto il fatale momento di smettere di fumare.

Non saprebbe dire dopo quanto ha sentito la porta aprirsi e la voce di Terrence giungerle alle orecchie: la sta chiamando. Si precipita fuori dal bagno.
<< Ren, grazie a Dio! Tu non sai…eh?? >>
Arrivata nel misero salotto davanti al suo volto si para una coppia decisamente male assortita: Terrence, capelli lunghi e neri, cappotto di pelle, berretto natalizio e una scorta di alcolici che avrebbe stordito un’intera legione romana e Jay, con un cappottino grigio e i capelli decisamente, schifosamente blu. I suoi capelli sono blu (e già lo sapeva dalla lettera, ma certo non si aspettava di vederli dal vivo!), i suoi occhi, anche, sono blu. Il suo albero di natale è blu. E rachitico. Si sente assalire da una nausea incipiente, sicura che assecondando lo stimolo di sicuro vomiterebbe blu: ha mangiato marmellata di mirtilli a colazione. Fortuna che dovrebbe essere una tonalità rilassante!
<< Ciao Ivy! Si può sapere perché mi hai sbattuto la porta in faccia? >>
<< Si può sapere chi è questo tizio coi capelli blu? >>
La ragazza si massaggia le tempie tentando di trovare la giusta dose di pazienza e perseveranza di convincersi che no, non è una candid camera e che no, non si sveglierà improvvisamente in una camera d’albergo lappone.
<< No no no, le faccio io le domande! Tu! – punta il tizio blu – si può sapere che diamine ci fai qui? E tu! – puntò Terence – si può sapere perché l’hai fatto entrare? >>
<< Beh, era lì fuori dalla porta e mi ha detto che ti cercava e che tu non gli avevi aperto la porta. >>
Ivy decide di tralasciare momentaneamente il fatto che la porta, in effetti, era stata aperta, ma anche richiusa, per rivolgersi al soggetto blu aspettando non troppo pazientemente spiegazioni.
<< Beh, io sono passato per farti gli auguri di Natale! >>
Ivy guardò il pavimento cercando di fare il punto della situazione: sono nel salotto del suo deprimente appartamento, in una deprimente serata di Natale davanti ad un albero con le lucine che avrebbero fatto più onore ad un set di un film horror che ad uno scenario natalizio, lei si sente come appena uscita da uno scontro a fuoco, Terrence sembra uno metallaro alcolizzato psicopatico e pericoloso e tutto questo quadretto strampalato sta venendo deplorevolmente presentato davanti ad una rock star multimilionaria in cui si è reincarnato temporaneamente un puffo canterino. Cosa potrebbe andare peggio, a parte vomitare i mirtilli sull’albero, a questo punto?
<>
Ecco cosa può andare peggio.

Ivy a quel punto prende una bottiglia a casaccio dalla borsa di Terrence e si dirige in cucina. Prende un bicchiere dalla loro dispensa, poi ci ripensa e ne prende altri due. Apre la bottiglia: è scotch. ne versa un po’ per ogni bicchiere e si siede al tavolo.
<< Ivy, per favore, finiscila di fare la melodrammatica. Sembra che sia appena morto qualcuno o che ti abbiano detto che uno space shuttle sta per schiantarsi sul nostro condominio. Non ti pare di esagerare? >>
A lei, presa com’è dalle sue apocalittiche elucubrazioni, non sembra proprio di esagerare, mentre si beve tutto lo scotch in un fiato. Anzi, si sta complimentando con se stessa per l’eccellente autocontrollo che la sta trattenendo dallo scappare a vomitare in bagno. Jay e Terrence sono ancora in piedi davanti a lei, il suo coinquilino con uno sguardo di rimprovero, il cantante con uno sguardo sorpreso di chi decisamente non si aspettava questo tipo di teatrino. Aveva tentato di immaginare svariate volte, in effetti, come avrebbe potuto reagire la stramba ragazza alla sua vista e di tutte le prospettive che la sua mente era riuscita a partorire, quel tipo di tragedia greca non era certo compreso. Certo, non si conoscono, si sono parlati solo una volta, ma lui fino a qualche minuto prima era convinto di essere riuscito a cogliere qualcosa in lei che va oltre la coltre dello spettacolo di avvelenato cinismo che si accanisce ad offrire a tutti. Ora, però, la sua proverbiale convinzione vacilla davanti ad una cameriera semi sconosciuta che si sta scolando scotch come acqua fresca e tenta in tutto e per tutto di evitare di guardarlo. E pensare che le ha pure mandato un regalo, qualche mese prima, maledizione! Cosa gli diceva la testa in quel periodo? E, soprattutto, cosa ci fa ora in quella misera cucina? Attende. Aspetta per vedere i suoi occhi tristi, per una volta alla luce.
Ivy improvvisamente si alza e mette il bicchiere nel lavello. Lascia gli altri due ancora intatti sul tavolo, ancora colmi di liquido alcolico, come li aveva preparati.
<< Ren, non so se hai visto l’ora, ma tra poco dobbiamo andare al lavoro, quindi io vado a prepararmi. >>
Il collega non le risponde, sempre più basito. Lei si dirige verso l’ospite inatteso, forzando il suo autocontrollo al limite.
<< Grazie mille per essere passato, Jay. - gli tende la mano, sempre guardando altrove - Spero passerai un buon Natale. >>
Si percepisce chiaramente che vuole sfuggire a quella stretta, a quella stanza al più presto. Lui, però, non è uomo da darsi per vinto molto facilmente, e fa un ultimo tentativo.
<< Jared, mi chiamo Jared >>
Lei, finalmente alza lo sguardo su di lui, e le loro pupille si incontrano, rivelando all’uomo uno sguardo sorpreso e triste.
<< Buon Natale, Jared >>
Lo sguardo di chi vorrebbe fuggire il più lontano possibile.


Non osa rivolgere la parola a Terrence per il resto del tempo. Lui seguita a lanciarle occhiate di rimprovero da oltre un’ora, attendendo illuminazioni sul suo comportamento da squilibrata. Sono sulla strada per il lavoro e Ivy si strascica dietro le scarpe come un’infinità di pensieri pesanti come una zavorra. Lei sa benissimo chi è Jared Leto. Anche se aveva tentato di ignorare per i primi due giorni il richiamo di quell’iniziale tracciata sul biglietto dentro al pacco, era finita per cedere al richiamo della curiosità e aveva picchiettato sulla tastiera le uniche informazioni che aveva su quell’uomo: “j”, “cresta” e “rosa”. Tutto aveva rimandato ad un nome: Jared Leto. C’era qualcosa, in quel nome che sapeva di pretenzioso e di ricercato, Ivy si era detta che il suono insolito che produceva sulle labbra in effetti si adattava abbastanza bene alla figura che in realtà aveva conosciuto solo alla flebile luce di un lampione. In poco tempo era riuscita ad assorbire un numero di informazioni decisamente  non quantificabile, scoprendo che la Corte dei Miracoli itinerante non era altro che il gruppo di cui faceva parte, i 30 Seconds to Mars, con cui girava il mondo e faceva concerti. Aveva scoperto anche che faceva l’attore, ma, d’improvviso, aveva anche deciso di non considerare più il nome Jared Leto nelle sue giornate. C’era semplicemente una J in un pezzo di carta, arcuata quasi come una parentesi. Chiusa.
A pensarla così, si era sentita molto adulta e responsabile, ma un seme di tristezza si era conficcato nel suo fianco, e lei l’aveva lasciato lì, a mettere radici.
Il campanello sopra alla porta del ristorante tintinna ed esce dai suoi pensieri mentre entra al ristorante.

<< Buon Natale! >> esclama un coro di voci esclamò appena al di là della porta.
Ivy resta decisamente ammutolita sulla soglia, mentre la porta si richiude dietro di lei con un altro scampanellio.  C’è un discreto mucchio di persone, nella sala, ad attorniare i tavoli che sono stati riuniti per creare una specie di buffet.
<< Vedo che l’effetto sorpresa l’ha impietrita >>
<< Eh già >> risponde Terrence al Boss con un sorriso a trentadue denti che rivela quanto in realtà sia consapevole di cosa stava avvenendo.
Ivy guarda l’allegra compagnia tra cui scorge il Boss, Louis, lo chef, Germaine, la pasticciera e alcuni dei cuochi della cucina. Intravede altro personale del ristorante, tutta gente che conosce e che la guarda con un sorriso gentile. Sta immobile come una statua con l’espressione forbita di una triglia sotto sale, senza sapere se arrabbiarsi o stupirsi o buttarsi sul ricchissimo buffet.
<< Ma cosa sta succedendo qui? >> si decide la sua bocca a formulare, davanti allo sguardo divertito del capo.
<< Abbiamo organizzato una cena di Natale per tutti quelli di noi che non hanno la possibilità di stare in famiglia quest’anno. Ho pensato che sarebbe stato carino riunirci e stare insieme >> spiega con ovvietà il Boss.
<< E...perché io non sono stata informata? >>
<< Perché - interviene Terrence addentando una tartina - sapendo quanto sei asociale eravamo sicuri che avresti rifiutato e te ne saresti stata a casa da sola come un cane la sera di Natale. >>
Ivy di slancio abbraccia Terrence e si profonde in ringraziamenti al capo. In effetti, era stata acida come un limone per una settimana e si sta rendendo conto che il fatto era dovuto al presentimento di dover trascorrere un Natale triste e solitario, in compagnia, dell’albero Jack e dell’amico Jack (meglio conosciuto come Jack Daniels). In effetti, la sua tendenza al melodramma deve aver irritato tutti in quei giorni e comincia a sentirsi in colpa, soprattutto nei confronti di....
<< E tu cosa ci fai qui?? >>
Jared Leto si trova lì, di fianco al buffet, insieme alla sua compagnia itinerante, alias i 30 Seconds to Mars, che le fa un cenno di saluto dal buffet.
<< Buffo, è la seconda volta che me lo chiedi oggi. Avevo chiamato per prenotare un tavolo al ristorante, il tuo Boss però mi ha detto che sarebbe stato chiuso per questa specie di party privato, così ho esercitato tutto il mio fascino per convincerlo ad ammetterci alla vostra festicciola. >>
Ivy alza gli occhi al cielo prima di rispondere:
<< Gli hai promesso un extra sul conto? >>
<< Reputi il mio fascino così poco irresistibile? >>
Ancora una volta, si tratta di una domanda, pensa la ragazza, che non ammette una risposta diversa da “no, Jared, tu sei veramente bellissimo e irresistibile”.
<< No. - Ivy calibra una pausa prima di continuare - Conosco solo abbastanza bene il mio capo da sapere che non si farebbe abbindolare da un tizio dai capelli blu. >>
<< Ah, dimenticavo che con te non si può proprio discutere riguardo al colore dei miei capelli. >>
<< Beh, è un passo avanti: di solito dicono che con me non si può discutere in generale. >> scherza lei.
<< Ed è davvero un peccato, si perdono tutte le tue divertentissime battute acide! >>
Ivy si serve qualcosa da bere e prende qualche tartina. Parla del più e del meno, conosce Shannon, il fratello di Jared, e Tomo con la sua simpatica fidanzata, Vicky e non riesce ad immaginarsi come abbia fatto a convincerli tutti a partecipare a una specie di banchetto con persone a loro sconosciute. Ma sono simpatici e a lei va bene così. Torna da Jared, che sta osservando fuori dalla finestra: è iniziato a nevicare. Gli porge una fetta di budino al cioccolato, con una dose piuttosto generosa di panna montata.
<< Grazie >> sorride lui.
<< è la mia offerta di pace. >>
Lui la guarda confuso.
<< Oggi mi sono comportata come una psicopatica, mi spiace per quello che è successo. Avrei dovuto risparmiarti quella scena d’isteria da parte mia. >>
Lui mette in bocca un cucchiaino di budino e chiude gli occhi estasiato. Lei inizia a guardare fuori la neve fare tutto sempre più bianco, ovattato e distante dalla realtà.
<< Perchè hai fatto quella scenata? >>
<< Ero triste. Sai, pensavo che avrei passato il Natale davanti al mio albero rachitico con biscotti e whisky. Non è esattamente il tipo di celebrazione che avrei sognato. Poi sei arrivato tu e hai visto la miseria della mia vita, racchiusa in quei quaranta metri quadrati. Insomma, mi sono sentita una persona decisamente mediocre e insignificante in tutto l’insieme. >>
<< E quale sarebbe il Natale che avresti voluto? >>
<< Hai presente tutta la famiglia riunita davanti al caminetto con la cioccolata calda? Più o meno così. Pensare che a casa nostra nemmeno c’è, un caminetto. Comunque, immagino che ti sembrerò patetica. >>
Lui la guarda con un misto di curiosità a trionfo negli occhi.
<< No, non è patetico. Anzi, in un certo senso mi aspettavo che ci fosse un parte sentimentale in te. >>
<< Naa, è solo perché è Natale. Non dirlo a nessuno però, ho una reputazione da difendere. >>
Guardano la neve entrambi, in silenzio, il vociare alle loro spalle è allegro. Qualcuno chiama Jared e lui abbandona la sua postazione. Ivy rimane lì, incollata al vetro, fino a che lui non ritorna, portandole un calice di vino leggero e aromatico.
<< Ti va lo stesso, anche se non è scotch? >>
<< Certo, anzi...probabilmente è meglio così >>
Beve un sorso, mentre vede i loro volti vagamente riflessi nel vetro della finestra. Le sembra stranamente intimo come momento, è una scena in cui vedrebbe bene due amici di vecchia data, mentre loro due, tranne che un’ora su una panchina al parco, non condividono nulla. A parte quel biglietto, con quella J scribacchiata in fondo, su un angolo.
<< In realtà sapevo già che il tuo nome è Jared. >>
Lui la guarda interrogativo, mentre lei pensa che il mix tra vino e scotch sia stato letale per i suoi neuroni.
<< Quando mi è arrivato il tuo pacco con le sigarette non ho resistito e ho fatto delle ricerche. Ho scoperto così cosa fai nella vita, la tua musica, i film in cui hai recitato....e poi, ad un certo punto, non ce l’ho più fatta. Ho pensato che stavo troppo fantasticando, che dovevo convincermi che la tua cortesia era un atto dovuto al caso, più che qualcosa dovuto al fatto che io potessi aver suscitato in te qualche tipo di simpatia e... >>
<< Frena, frena, frena! Cosa stai dicendo? >> la interrompe lui.
<< Sto dicendo, Jared, che ho passato il periodo in cui sono convinta che tutte le persone arrivino per restare. Mi ero illusa, per qualche giorno, di aver trovato un nuovo amico, una persona un po’ bizzarra con cui avrei potuto parlare ogni tanto. Siamo seri, però: tu sei una rock star, per quanto ti degni in realtà di restare nella vita di qualcuno che non sia tuo fratello o un componente di una tua band? Per quanto ancora potresti ritenere interessante un cameriera che finge di essere indipendente e adulta, ma che in realtà vorrebbe essere in Lapponia a passare il Natale con sua madre? >>
Jared la guarda, soppesando parola per parola il suo discorso, un discorso che si è evidentemente pentita di aver fatto. Ha snudato un pezzo di sé inconsapevolmente, ha esposto un fianco ai colpi dell’infida sorte. Si pente, ma non può più rimangiare ormai. Attende il verdetto.
<< Ivy, io sono famoso, non lo posso negare, e non posso nemmeno fingere che la cosa mi infastidisca, ma, nonostante questo, io sono una persona normale. Non sono l’uomo dei sogni, credo di aver lasciato una scia di cuori infranti un po’ dovunque, e sono un grandissimo stronzo, ma credo di avere il pregio di non aver mai illuso nessuno, quindi, il fatto che io sia ancora qui a parlare con te significa che trovo interessante fare conversazione con te e gradirei farlo di nuovo. Quindi, per favore finiscila con le paranoie. Sono incostante, ma non sparirò. >>
Ivy guarda il suo bicchiere, pensando di essere proprio una stupida. E che quel Natale, tutto sommato, non sta andando proprio male.
<< Jared? >>
<< Sì? >>
<< Mi piace il tuo nuovo colore di capelli. >>
Jared sorride.
<< Vedi di non abituartici, non durerà a lungo. >>
<< In effetti lo immaginavo. >>
I bicchieri tintinnano.



Nugae
So che questo capitolo è schifosamente lungo e schifosamente surreale, ma se siete riusciti ad arrivare fino in fondo meritate tutta la mia stima e le mie scuse. Mi scuso, per prima cosa, perchè questo capitolo sarebbe dovuto essere un regalo per tutte le mie amiche e anche un ringraziamento a candidalametta, BerryG e Hurricane93 per aver recensito la precedente OS, kirej per aver inserito la raccolta tra le seguite  e tutti i lettori silenti :).  Purtroppo in questo periodo sono su e giù da Leeds e tra le vacanze di Natale e gli esami da preparare mi sono attardata decisamente troppo! Comunque durante la mia settimana libera prima dell’inizio delle lezioni ho deciso di mettermi in riga. Non credo sinceramente di aver reso alla perfezione questo capitolo, sono ovviamente aperta alle critiche e ai suggerimenti. See you soon!

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Capitolo 3
*** Brown like chocolate - parte 1 ***


brown_like_chocolate_1
Under the burning sun
I take a look around
Imagine if this all came down
I'm waiting for the day to come
(30 Seconds to Mars- Oblivion)

Fu l’assistente di volo a svegliarla con dolcezza: stavano per atterrare. Ormai era talmente avvezza ai gridolini della madre e della sorella da riuscire ad addormentarsi persino quando raggiungevano il livello degli ultra suoni. Poco male: erano anni che non si faceva una dormita così piacevole, praticamente da quando aveva iniziato l’università e, contemporaneamente, a lavorare. Ma ora che si era finalmente laureata, si era arrogata il diritto di prestare l’attenzione molto meno e perdersi in pensieri fini a se stessi molto più spesso. Aveva deciso di concedersi quel lusso per un po’ almeno, con buona pace di tutti, persino del Boss, che con un sorriso le aveva regalato ben due settimane di ferie, ferie che sua madre aveva già pensato di riempire col suo regalo di laurea.

<< Signorina, stiamo atterrando a Los Angeles, la prego allacciarsi la cintura. >>

Quello era il fantomatico regalo, un viaggio nella città degli angeli. Che non aveva ancora capito, in realtà, se fosse per lei, la figlia neolaureata, o per la madre stessa.

 

Ennesimo sbuffo.

<< Suvvia, Ivy, non siamo ancora a metà del giro che abbiamo programmato e io e mamma abbiamo appuntamento alla manicure! >>

Ivy scrollò le spalle con cipiglio annoiato. Decisamente doveva rivedere il suo catalogo di espressioni facciali, si appuntò.

<< è solo il terzo giorno di vacanza: non capisco questa vostra ossessione per vedere tutta Los Angeles nel giro di poche ore visto che staremo qui per ben due settimane. Oltretutto è un progetto veramente utopico. >>

La sorella si rivolse alla madre, che stava squadrando un tubino elegante in una luccicante vetrina:

<< Ma mamma, non avevi detto che era diventata un po’ meno acida dopo la laurea? >>

<< Sì, l’ho detto - rispose la donna, continuando a fissare l’abito rapita - ma è rimasta comunque permalosa >>.

Ivy alzò gli occhi al cielo, decidendo di non prestare orecchio a quello scambio di frecciatine che sua madre e sua sorella si stavano scambiando, di cui era l’argomento. Fu quando decise di dare un’occhiata in giro che lo vide.

Stava lanciando sguardi distratti alle vetrine del centro, ogni tanto digitava qualcosa sulla tastiera del cellulare, con l’indice correggeva la posizione degli occhiali da sole. Era decisamente Shannon Leto e Ivy era decisamente in panico. E da brava cretina che si rispetti, visto che aveva accuratamente evitato di avvisare il fratello che sarebbe stata “nei paraggi” sapendo che si stavano concedendo una delle loro rare pause durante quel tour pressoché infinito, non solo non mosse nemmeno un muscolo, ma continuò a fissarlo imbambolata, quasi le fosse apparsa la Madonna. L’unico neurone che non era ancora in standby aveva avuto la brillante idea di mettersi a pregare che lui, nonostante tutto, non si accorgesse di lei, visto che doveva essere abituato e abbastanza allenato a sopportare gli sguardi opprimenti di folle di ragazze in preda a crisi ormonali o lobotomizzate. Però, il caso volle, come nelle migliori e più stucchevoli fanfictions, che lui alzasse la testa in quel momento.

“Magari non mi riconosce”.

Aveva iniziato a camminare verso di lei. Ecco, pure l’ultimo neurone aveva urlato “allarme rosso!”.

<< Hey Ivy! >>

Stretta di mano e abbraccio cordiale, il tutto mentre sua madre e sua sorella avevano indecorosamente perso il controllo delle loro mandibole.

<< Ciao Shannon >> replicò senza troppo entusiasmo. Non che non fosse felice di vederlo, ma avrebbe preferito che quella scenetta non si svolgesse davanti a sua madre e sua sorella.

<< Ehm....Ivy? >>

Ecco, appunto.

<< Sì mamma? >>

<< Chi è questo aitante giovanotto? >>

L’aveva veramente definito “aitante giovanotto”? O. Dio.

Sua sorella, nel frattempo, sembrava aver perso le più banali capacità di articolazione di suoni più complessi di “oh” e “ah”. Sarebbe sicuramente entrata a far parte del lobotomizzate - team.

<< Lui è Shannon mamma, un mio conoscente. >>

Preferì essere sincera ma vaga, era già abbastanza surreale di per sé come situazione.

La donna strinse la mano a Shannon mentre Ivy cercava un modo per scomparire all’istante, quando fu la sua stessa genitrice a trarla d’impaccio, ma, evidentemente in cattiva (pessima!) fede, visto le occhiate ammiccanti che iniziò a lanciare alla figlia che credeva aver fatto un voto di fedeltà perpetua ai libri.

<< Accidenti, come si è fatto tardi! Io e Marlene dobbiamo tornare all’hotel per l’appuntamento, ma tu tesoro puoi restare qui con il tuo amico Shannon. Sono sicura che avrete molte cose di cui parlare… >>

Detto questo prese la figlia minore e la trascinò con sé senza dare ad Ivy alcun tempo per replicare. Comunque, pensò, almeno un problema era risolto. Anzi, due.

Si voltò verso Shannon, che stava ridacchiando sotto i baffi.

<< Carina tua madre. Molto...fantasiosa. >>

Ivy finse di ponderare sulla sua affermazione:

<< Fantasiosa dici? Io avrei usato la parola “invadente”, ma credo andrà bene comunque. >>

<< Temo sia arrivato il momento delle “molte cose” di cui dobbiamo parlare: cosa diamine ci fai a Los Angeles? >>

<< Ehm.... >>

 

 

Ivy e Shannon non si potevano certo considerare amici, anche se, durante gli scambi di email con Jared, si erano sempre inviati dei saluti reciprocamente. Quando si erano conosciuti a Natale, Ivy aveva pensato che fosse una persona piacevole e interessante, ma non aveva avuto occasione di approfondire la conoscenza con lui. Certo, il suo impatto  fisico era decisamente notevole, come sua madre aveva notato e manifestato abbastanza apertamente. Trovarsi a bere un caffè, anzi, un frappuccino, con lui, quindi, le risultava abbastanza surreale visto che oltre una reciproca simpatia di certo non erano compagni di merende. Comunque, si ritrovò a pensare, l’impatto dell’incontro con lui, era stato decisamente attutito, visto che Jared sarebbe stato molto più drammatico e teatrale.

Ci aveva pensato, in effetti, ad avvisarlo che sarebbe stata a Los Angeles per due settimane. Però, dopo aver visto le foto degli ultimi concerti e aver constato che tutta la band si stava letteralmente consumando di lavoro e aver ricevuto una mail di Jared che le annunciava qualche giorno di vacanza, non aveva avuto il cuore di dirglielo. Conoscendo almeno un poco il cantante, avrebbe di certo organizzato qualche mirabolante tour per farle esplorare la città e fare un sacco di cose divertenti, con il risultato che lui non avrebbe riposato nemmeno un poco.

Raccontò tutto questo a Shannon, mentre lui si beveva un caffè americano e il suo frappuccino si scioglieva inesorabilmente.

<< ....e questo è quanto. >> sentenziò tuffandosi nella sua bevanda onde evitare di dover affrontare lo sguardo del suo interlocutore.

<< Sai com’è fatto, si arrabbierà. >>

<< Io in realtà pensavo di fargli un favore lasciandolo riposare, ma il timore della sua ira funesta mi sta facendo pensare di non aver proprio capito un fico secco. >>

Shannon la guardò divertito.

<< Pensavo che avessi imparato qualcosa dalla scenata di Natale! >>

<< Vuoi la sincera verità? Credo che questa cosa dell’imparare dagli errori sia una grandissima stronzata. Se uno è come è, agisce di conseguenza, non riuscirà a deviare dal suo percorso. Quindi io mi comporto sempre da idiota. >> sentenziò.

Shannon, decisamente attonito di fronte a questa esternazione improvvisa, sbarrò gli occhi.

<< Effettivamente forse ho un po’ esagerato vista la situazione... >> sentenziò Ivy, pensando di avergli dato un po’ troppa confidenza. Ipotesi confermata dal silenziò che calò tra i due. Avrebbe sinceramente voluto tagliarsi la lingua da sola ogni tanto. Anzi, da quando aveva incontrato Jared, le era successo molto più spesso del solito.

<< Facciamo così. - sentenziò l’altro d’improvviso - possiamo fingere che gli abbiamo organizzato una sorpresa. >>

Ivy lo guardò scettica.

<< Credi davvero che abboccherà a questa storiella? Non è molto plausibile, visto che la conversazione più lunga che abbiamo mai fatto sta avvenendo in questo preciso istante. >>

Shannon finì il proprio caffè, e prima di rispondere si prese il proprio tempo per distendersi sulla poltroncina del locare e sfoderare uno sguardo, anzi, lo sguardo: quello di chi la sa lunga:

<< è mio fratello: so esattamente come prenderlo. >>

Ivy si prese qualche secondo di riflessione, constatando che il suo interlocutore non avrebbe contemplato alcuna obiezione da parte sua. Probabilmente non aveva nessuna voglia di sorbirsi i malumori di Jared in caso avesse scoperto che Ivy era stata  Los Angeles in incognito. Si accordò quindi con lui per la fantomatica sorpresa. Stavano per uscire quando Shannon improvvisamente disse:

<< Ho visto le foto della tua laurea che hai mandato a Jared, complimenti! >>

<< Grazie! Ora posso passare al grado successivo >>

<< C’era solo tua madre, però, mi sembra....>>

Lei per qualche secondo sembrò distante, con la mente persa chissà dove:

<< Sì, in effetti c’era solo mia madre. Grazie di tutto Shannon, ci sentiamo presto. Fammi sapere se tuo fratello abbocca. >>

Shannon la guardò camminare per strada, pensando che ciò che di Ivy si vedeva da fuori era soltanto la superficie.

Nugae:

Immagino pensaste di esservi liberate di me...beh, sono ancora qua invece. Sono stati mesi pienissimi e il tempo per scrivere effettivamente non esisteva affatto. Avevo già scritto gran parte di questo capitolo, ma non era ancora ultimato e, vista la lunghezza ho deciso di dividerlo in 2 parti. Avrei in mente di pubblicare la seconda abbastanza presto, tesi permettendo.... Intanto vi saluto tutte e vi mando un bacio e mille scuse per la straordinaria attesa!

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