Die Uhr- L'orologio

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Haus ***
Capitolo 2: *** Dibattiti e companatico ***
Capitolo 3: *** La legna e la neve ***
Capitolo 4: *** Di sartoria e orologeria ***
Capitolo 5: *** Quando un orologio si ferma ***
Capitolo 6: *** Hanukkah ***
Capitolo 7: *** Scambio equivalente ***
Capitolo 8: *** Il tempo gira in tondo ***



Capitolo 1
*** Haus ***


1- Haus
Die Uhr - L'orologio


Die Uhr
"Forse il mondo non viene creato.
Forse niente viene creato.
Semplicemente c'è, c'è stato, ci sarà sempre...
Un orologio senza orologiaio."

(Dottor Manhattan,
"Watchmen")


Haus

Dopo essere saliti su quell'autocarro guidato dal sosia di Scar, Ed e Al erano ben consapevoli che la loro avventura era appena iniziata. Erano consapevoli anche del fatto che stavolta non si tornava indietro, perché il portale era stato definitivamente chiuso.
E non sarebbero tornati mai più nel mondo che fino a quel momento avevano chiamato "casa".
Perciò era il caso che cominciassero a chiamare in quel modo il mondo nel quale erano ormai destinati a vivere. Nel Paese in cui si trovavano ora si diceva "Haus". Una parola che somigliava ad un sospiro.

La loro missione era trovare la bomba all'uranio portata in quel mondo, ma non sarebbe stato tanto semplice. Da un lato perché l'alchimia non era dalla loro, in quel mondo, e poi avrebbero dovuto fare ricerche approfondite e aspettare di vedere come si sarebbero messe le cose.
Avevano saputo che a Monaco era stato tentato un colpo di Stato, fortunatamente sventato, ma erano entrambi certi che quella fosse soltanto la punta di un iceberg molto più grande, e le cose non sarebbero migliorate.
Dovevano fare il punto della situazione, ma al momento sarebbe anche stato utile andare verso nord: verso la capitale, Berlino.
Noa aveva dato loro l'indirizzo di una famiglia che l'aveva ospitata per un po' alla fine dell'ultima guerra: lei era solo una ragazzina, all'epoca, ma ricordava bene la loro generosità. Aveva conservato l'indirizzo di quella casa come una reliquia, e ora l'aveva dato ai due fratelli Elric, raccomandando loro di andarci.
- Sono fra le persone migliori che abbia mai incontrato. Se le cose in questo Paese dovessero iniziare ad andare male, loro non si faranno trascinare. Avere qualcuno su cui contare è importante, e questa famiglia saprà aiutarvi -.
In realtà Ed non pensava affatto di stabilirsi a casa di queste persone. All'inizio sarebbe stato certamente utile avere un tetto sopra la testa in una città grande come Berlino, ma lui e Al si sarebbero presto trovati un alloggio per conto loro.
Quando qualche settimana dopo giunsero nella capitale, iniziarono subito la loro ricerca.

- Stahlheimer Straße... Ed, forse dovremmo chiedere a qualcuno – disse Al, tenendo in mano il foglietto con l'indirizzo, guardandosi attorno senza successo.
- Già, lo penso anch'io. Proviamo a chiedere a quel venditore ambulante. Di solito sono quelli che conoscono meglio le vie di una città -.
Era l'inizio di dicembre, e l'inverno era alle porte di Berlino. Sembrava che il freddo li avesse seguiti, risalendo la Germania assieme a loro.
Dopo aver ricevuto le indicazioni, si erano affrettati a raggiungere quella via situata nella parte nord della città. L'aria era gelida, il buio era calato presto e il cielo pesante sopra le loro teste suggeriva neve. Ed sperava davvero che quella gente fosse come Noa aveva detto, perché altrimenti non sarebbe stato facile trovare un posto dove stare.
Giunsero finalmente alla Stahlheimer Straße e trovarono il numero: era una casa di città, stretta fra le altre, col muro un po' scrostato ma la porta forte e pesante. Non doveva appartenere a gente ricca, ma di sicuro c'era da mangiare.
Provarono a bussare e aspettarono. In lontananza un orologio suonò le sei del pomeriggio: come poteva essere già così buio?
I lampioni si erano già accesi; ciò nonostante, quando la porta della casa iniziò a socchiudersi, la luce calda che intravidero sembrò loro più confortante che mai.


Ora, Ed e Al ne avevano viste tante. A volte pensavano di averne viste fin troppe.
Ed aveva spiegato a suo fratello che quel mondo, in qualche modo speculare a quello da cui venivano, era abitato dalle controparti di persone che potevano anche conoscere. Anche Al aveva visto Scar e Lust- che tuttavia non erano Scar e Lust- alla guida dell'auto che aveva dato loro il primo passaggio per arrivare a Berlino.
Erano spiegazioni perfettamente ragionevoli, e sapevano bene che c'era questa possibilità, per quanto remota.
Ma rimasero entrambi esterrefatti quando videro che ad aprire la porta fu Winry.

- Sì? Posso aiutarvi? - chiese la ragazza sulla soglia, aspettando una risposta da quei due che la stavano guardando come fosse stata un fantasma.
- Scusate, ma si può sapere chi siete? - domandò di nuovo.
- Ah, sì! Ecco, noi... - inaspettatamente fu Al a riprendersi per primo, mentre Ed sembrava ancora ammutolito, e tirò fuori il foglietto con l'indirizzo – Una nostra amica di nome Noa ci ha dato questo. Ha detto che forse avreste potuto ospitarci... se non è di troppo disturbo... -.
- Noa, hai detto? - fece la ragazza- Winry- studiando il foglietto – Ah, ma certo! Noa! Entrate pure, qui fuori si gela! -.
Quando aprì meglio la porta Ed poté constatare- con sommo stupore- che quella ragazza aveva in realtà i capelli molto più corti di Winry. Somigliava alla pettinatura che aveva lui da bambino, con la sfumatura alta e ciuffi più abbondanti ai lati della testa. Stava molto bene.
- Datemi i vostri cappotti – fece pratica, non appena furono nel vestibolo. Poi si voltò verso l'interno della casa, chiamando ad alta voce: - Zia! -.
- Che c'è, Win? Chi era alla porta? - fece la voce di una donna adulta dalla stanza vicina.
Win? Allora si chiamava Winry anche lei? (¹)
- Ci sono due ragazzi, degli amici di Noa! Hanno bisogno di un posto dove stare -.
- Noa? Quella ragazza zingara che abbiamo ospitato qualche anno fa? -.
Nel dire ciò la donna era spuntata da una soglia, pulendosi le mani su un grembiule e sistemandosi in fretta i capelli biondi raccolti sulla nuca. Quando su di loro cadde uno sguardo di brace che avevano ormai imparato a conoscere da molto tempo, rischiarono seriamente di uscirsene fuori con un poco adatto: "Tenente Hawkeye!".
- Vi ha mandati lei qui? Da dove venite? -.
- Da... da Monaco – rispose Ed, che sembrava aver finalmente recuperato l'uso della parola.
- Avete fatto un viaggio così lungo? - intervenne Winry. Va bene, va bene: la ragazza che sembrava Winry. Win.
- Già – fece Al con un sorriso enigmatico, pensando che risalire la Germania era in realtà ben poca cosa rispetto all'attraversare il confine tra due mondi.
A Ed quella storia cominciava a sembrare assurda. Non potevano essere ospitati dalla Winry e dal tenente Hawkeye di quel mondo; oltretutto non potevano piombare in quel modo in casa d'altri pretendendo che dessero un letto a due sconosciuti. Che sconosciuti non erano, ma tant'è...
- Sono contenta che quella ragazza si ricordi ancora di noi – sorrise invece la donna – E se vi ha mandati qui significa che si fida molto. Potete restare quanto volete -.
- Dice davvero, signora? - chiese Al.
Lei annuì.
- Certo. E ora scusatemi, ma vado ad aggiungere altre due porzioni di patate alla zuppa – disse, dirigendosi verso la stanza che doveva essere la cucina, per poi affacciarsi sulla soglia – Win, mostra loro la camera con i due letti che c'è di sopra. Vorranno sistemarsi un po', prima di cena -.
Pratica ed efficiente, pensò Ed. Beh, almeno in questo sembrava proprio il tenente Hawkeye che conoscevano.
- Sì – rispose la ragazza, per poi far loro un cenno – Venite -.
Dopo aver salito le scale e raggiunto la stanza, pulita e accogliente, la giovane disse:
- Qui accanto c'è il bagno, se ne avete bisogno. Ora scendo a dare una mano a mia zia, vi chiamo quando è pronta la cena -.
I due ringraziarono e lei fece per andarsene, ma ad un tratto sembrò venirle in mente una cosa.
- A proposito, come vi chiamate? Con tutto questo trambusto su Noa, non ve l'ho ancora chiesto -.
- Edward e Alphonse Elric – rispose Ed, accennando anche ad Al.
- Siete fratelli? -.
Al annuì, per poi chiedere:
- Tu invece ti chiami... Win? -.
- Sì – sorrise divertita – In realtà è il diminutivo di un nome da Valchiria come Winfrieda, ma vi prego di chiamarmi Win anche voi -.
Oh, niente di più facile, pensò Ed. Vide Al lanciargli un'occhiata strana, come a chiedergli cosa fossero le Valchirie, e lui fece un'espressione del tipo “te lo spiego dopo”.
- E io posso chiamarvi Ed e Al? Sapete, tendo ad accorciare i nomi: lo trovo molto più comodo -.
Annuirono entrambi, in silenzio, ma Win non si accorse che non avevano neanche aperto bocca.
- Va bene, allora vi chiamo dopo. Fate come se foste a casa vostra! - si congedò, scendendo le scale.
Oh, ci si sentivano a casa. Si scambiarono un'occhiata, rischiando di mettersi a ridere. Erano stanchissimi per il viaggio e le lunghe ore trascorse al freddo, ma in quel momento il loro cuore si scaldò come non capitava da tempo.
Ed e Al. Certe cose non cambiavano mai. Grazie al cielo.




(¹) Però letto alla tedesca, quindi “vin”.



Con mia grande gioia, questa fic si è classificata prima al contest “Quotes from Watchmen” di DarkRose86, vincendo anche il premio per la miglior fanfiction.
Scopo di tale contest era scrivere una storia ispirata ad una frase tratta dal film “Watchmen”. Quella che ho scelto io è riportata all'inizio, e tutta questa fic è liberamente ispirata ad essa.

Come si evince dall'introduzione, questa storia è un'ipotesi di come possono essere andate le cose dopo la fine del film di “Full Metal Alchemist”. Perciò la serie “Brotherhood” non viene presa in esame, qui.
In realtà credo proprio che diventerà una serie, perché ci sono già altre tre storie bell'e pronte (mi sono fatta un po' prendere la mano, lo so). Ma le ho scritte col cuore, davvero.

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Capitolo 2
*** Dibattiti e companatico ***


2- Dibattiti e companatico Dibattiti e companatico


Die Uhr 2


Non passò molto tempo che sentirono bussare alla porta.
- La cena è pronta! - annunciò la voce di quella ragazza appena conosciuta. Una voce che tuttavia avrebbero già saputo riconoscere in ogni sfumatura.
Seguirono Win in cucina, dove la tavola era già apparecchiata per cinque persone e sua zia stava mescolando qualcosa in una pentola da cui veniva un profumino invitante.
- C'è anche mio zio, è appena tornato dal lavoro. Si sta dando una rinfrescata in bagno, cominceremo a mangiare quando arriva -.
Ed a Al fecero per annuire, ma avevano appena accennato a muovere la testa che un peso misterioso li travolse, e tutti i loro sforzi per non finire a terra si rivelarono inutili.
- Ma cosa... - fece Ed, quando sentì una lingua ruvida leccargli entusiasta la faccia.
- Ehi, Ed! Guarda! - la voce di Al sembrò attirare quella massa calda e pelosa, e il peso si spostò dalle sue gambe per buttarsi su Al senza tanti complimenti.
Passandosi sul viso il dorso della mano per pulirsi dalla saliva, Ed guardò accanto a sé: riconobbe immediatamente quel cane dal pelo bianco e nero, anche se le sue zampe erano sane e non c'era traccia di automail. Den. Il cane di Winry.
- Ehi Ned, basta. Lascia stare i nostri ospiti! - Win dovette prenderlo per il collare e tirarlo indietro di peso per farlo allontanare da Al, che gli stava affettuosamente accarezzando le orecchie – È strano che vi faccia tutte queste feste, di solito è molto diffidente con gli estranei -.
Osservò il cane e poi loro, piuttosto sorpresa.
- Se non fosse impossibile, giurerei che vi conosca da sempre -.
Ed e Al, ancora seduti sul pavimento, scrutarono attentamente il cane davanti a loro, intento a sbattere con impeto la coda sul pavimento. Sembrava davvero felice di vederli, e di tanto in tanto emetteva sonori guaiti per indurre la sua padrona a lasciargli il collare. Al allungò una mano, e l'animale prese a leccarla con entusiasmo.
Possibile?, si chiese Ed. Possibile che gli animali in qualche modo avvertissero il collegamento tra i due mondi, e sentissero "a naso" di conoscere determinate persone, anche se non le avevano mai viste? Non aveva alcuna spiegazione logica, eppure quel cane era saltato loro addosso come avrebbe potuto fare Den se fossero tornati a Resembool.
- Credo che a questo punto dovrete andare a lavarvi le mani di nuovo – intervenne la zia di Win, rimasta in silenzio fino a quel momento – Ormai è pronto, potete sedervi a tavola -.
Win riuscì a far tornare Ned nella sua cuccia situata in un angolo della stanza, una cesta con una vecchia coperta, e indicò loro il bagno al pianterreno.
Quando tornarono in cucina con le mani pulite, presero posto a tavola.
- Mia zia Eliza ha fatto una zuppa di patate. Sentirete che bontà! - esclamò Win, portando una brocca d'acqua e sedendosi davanti a loro.
- Oh, non è niente di speciale – rispose lei – Di questi tempi bisogna un po' arrangiarsi -.
Dei passi in corridoio annunciarono che lo zio di Win stava arrivando, e infatti poco dopo apparve sulla soglia della cucina.
Ed e Al si voltarono per salutarlo, entrambi intimamente curiosi di vedere come potesse essere il marito dell'irriducibile tenente Hawkeye, e videro Mustang sulla porta. Che li stava guardando.
Mustang?!
Loro guardarono lui, al momento incapaci di pronunciare anche il più semplice “Buonasera”.
Poi l'uomo si rivolse alla nipote.
- Win, ma quanti ragazzi ti sei trovata? Non te ne basta uno? -.
Lei rise.
- Portate pazienza – fece Riza- anzi no, la signora Eliza- portando in tavola una grossa pentola – È sempre così, dovrete farci l'abitudine -.
- Donna, parlami con rispetto – dichiarò lui prendendo posto – Ricordati che sono io a portare il pane in tavola -.
- E io la minestra. Quindi siamo pari -.
Durante quello scambio di battute Win non aveva battuto ciglio, intenta a versare l'acqua nei bicchieri di tutti. All'ultima frase della zia ridacchiò sommessamente, il che fece pensare a Ed e Al che quelle scenette fossero piuttosto frequenti.
Contando anche il fatto che nessuno sembrava essersi accigliato nemmeno per un secondo.
- Questo è mio zio Roderich – lo presentò Win – E loro sono Edward e Alphonse -.
L'uomo fece loro un cenno, indugiando leggermente su Ed, quasi il suo volto gli fosse stato familiare.
- Mi è stato detto che venite da Monaco. Dovete aver fatto un lungo viaggio -.
- Sì, è così – rispose laconicamente Ed, ancora incredulo di trovarsi a tavola con Winry, Mustang e il tenente Hawkeye. Ma non si erano lasciati il passato alle spalle?
- E Noa? Come sta quella ragazza? È dalla fine della guerra che non la vediamo -.
- Sta bene. Però non sappiamo dove fosse diretta, quando ci siamo lasciati non ci ha detto dove avesse intenzione di andare -.
- Starà seguendo il vento, come fanno quelli della sua gente. Anche quando era qui, c'erano giorni in cui sembrava si sentisse in gabbia – allungò le braccia per prendere il piatto che la moglie gli stava porgendo – Grazie, Liza -. (¹)
Quando vennero riempiti i piatti di tutti, Ed e Al aspettarono che ad iniziare fossero loro, ma non sembravano intenzionati a farlo. Li videro invece abbassare la testa e mormorare qualcosa in una lingua che non conoscevano. Al guardò di sottecchi Ed, ma dall'espressione di quest'ultimo capì che non sapeva cosa stessero facendo. Tuttavia li imitarono, abbassando leggermente il capo.
- Bene, anche oggi abbiamo del pane in tavola. Possiamo dirci fortunati – dichiarò lo zio di Win alzando la testa – Buon appetito -.
Gli rispose un coro di “grazie” e “altrettanto”, poi per qualche minuto regnò il silenzio, riempito soltanto dal rumore dei cucchiai e dai respiri profondi di Ned sistemato nella sua cuccia.
- Neanche Noa diceva le preghiere prima di mangiare – fu Win a parlare per prima, lanciando loro un'occhiata da sopra il piatto.
Questa suonava nuova. Le preghiere?
- Per ringraziare di ciò che avete nel piatto – spiegò la ragazza.
- Non... non dobbiamo ringraziare la signora Eliza? - chiese Al, leggermente confuso.
- Beh, sì. Ma anche il Signore -.
- E chi è? - domandò di nuovo Al.
La zia di Win sorrise.
- Da come mi sembrate sorpresi, non dovete essere nemmeno cristiani – rifletté.
- No, infatti – rispose Ed, mentre Al non sembrava ancora capirci niente.
- Cioè... non avete una religione? - chiese Win, sorpresa – E in che dio credete? -.
Al sembrò intuire qualcosa, perché si voltò verso Ed chiedendo:
- Dio? Come quello di Ishbar? -.
Il fratello mosse leggermente la testa, indeciso.
- Sì e no – rispose. Negli anni che aveva passato lì aveva imparato che quel mondo era pieno di quelle che venivano chiamate “religioni”: praticamente tutti credevano in qualcosa o Qualcuno che andava al di là della logica razionale, della scienza e della realtà. Aveva imparato che ce n'erano diverse, mentre alcune sembravano uguali ma differivano in sfumature ritenute “sostanziali”; aveva imparato che la gente poteva ferire e uccidere in nome di esse, anche se queste dicevano chiaramente che farlo era peccato.
Ecco, peccato. Aveva sempre detto che il suo era il corpo di un peccatore, ma aveva capito che in quel mondo lo si intendeva in modo un po' diverso. Lui aveva sfidato le leggi dell'alchimia, non era andato contro la volontà di un dio.
Però non aveva mai assistito a delle preghiere prima di mangiare. E, a dire il vero, non aveva ancora capito che cosa significasse esattamente la parola “pregare”. Con l'accezione che aveva in quel mondo.
- Ehi, pronto? Mi avete sentito? - la voce di Win lo riportò alla realtà.
- Beh, ecco... in verità non te lo so dire – rispose Ed – Io e mio fratello non abbiamo mai avuto un dio in cui credere... e a dire il vero non ne abbiamo mai sentito il bisogno -.
- E allora come rispondete alle vostre domande? -.
- Domande? - chiese Al. Per tutte le cose che si era chiesto aveva sempre trovato una risposta nell'alchimia, o fra le pieghe dei suoi misteri – Che tipo di domande? -.
- Non so... – Win sembrava presa un po' alla sprovvista e ci pensò su un attimo – Chi ha creato il mondo. Perché esistiamo. Cose di questo genere -.
- Beh... a noi è stato insegnato che “uno è tutto e tutto è uno”. Che ogni cosa è collegata in un flusso di vita, anche la morte – rispose Al, ricordando forse l'unico assioma in cui avessero mai creduto. Ma perché l'avevano compreso.
- E chi ha creato questo tutto? - insistette Win.
- Nessuno – stavolta fu Ed a rispondere. Avevano completamente lasciato perdere la zuppa, che si stava raffreddando nel piatto – Probabilmente è sempre esistito, e continuerà ad esistere -.
- Ma qualcuno deve averlo creato! -.
- E perché? Forse il mondo non viene creato. Forse niente viene creato. Semplicemente c'è, c'è stato e ci sarà sempre – Ed concluse tale dichiarazione incrociando le braccia con aria risoluta.
Ma Win non sembrava convinta.
- Sentite, voi dite che tutto è collegato. Che tutto è come un meccanismo, giusto? Ma dietro ad ogni ingranaggio c'è qualcuno, che l'ha pensato e poi creato. Prendete un orologio: funziona perfettamente, ogni rotellina incastonata al proprio posto. Come potrebbe esistere se nessuno l'avesse costruito? -.
- Forse in questo caso non c'è nessun orologiaio. Forse è tutto unito per... - Al cercò la parola giusta - … alchimia -.
Ecco. Tornavano sempre lì. A quella parola che si apriva la strada tra la lingua e il palato, uscendo sulle labbra e scorrendo fluida, e che spiegava tutto ciò in cui avevano sempre creduto. In quel mondo non valeva, quindi forse era davvero quella la loro “religione”, dato che non potevano dimostrarne la validità. O, perlomeno, lo era stata.
- Ma... -.
La risata di suo zio bloccò Win, sul punto di ribattere qualcos’altro. Anche la signora Eliza stava sorridendo, e si resero conto solo in quel momento che i due avevano seguito la loro discussione spostando lo sguardo da un lato all'altro del tavolo, come in un duello d'altri tempi.
- Certo che siete dei bei tipi, voi due! - esclamò il signor Roderich, prendendo un pezzo di pane – È la prima sera che state qui, e già intavoliamo un dibattito teologico di queste dimensioni! Ma da dove saltate fuori? -.
Oh, solo da un portale che dava su un altro mondo. Ma erano dettagli.
Ripresero a mangiare, finendo la zuppa ormai fredda ma comunque squisita.
- A proposito – disse Ed quando ebbe terminato e ringraziato la cuoca – Non vogliamo disturbare più del necessario, e già da domani cominceremo a cercare un alloggio... -.
Ma il gesto secco dello zio di Win lo bloccò.
- Non diciamo sciocchezze, rimarrete qui finché ne avrete bisogno. Non avete idea di quanto siano esorbitanti gli affitti in questo periodo: per una soffitta ghiacciata e piena di pulci sarebbero capaci di chiedervi una fortuna, non credo riuscireste a pagare -.
- Ma noi... -.
- Lo zio Rod ha ragione! Dai, rimanete qui! Da quando ho finito la scuola non vedo più nessuno! - implorò Win, supplicandoli come una bambina.
- Oh, mi fa piacere sapere che apprezzi così tanto la mia compagnia – le disse sua zia.
- No, non volevo dire questo – la ragazza arrossì, mordendosi la lingua – È solo che rimanendo chiusa nel mio laboratorio per ore mi sento un po' isolata -.
- Beh, questo è vero – la signora Eliza passò del pane a Ed e Al – Anch'io lavoro tutto il giorno, e per forza di cose stiamo in due stanze separate. Un po' di compagnia ci farebbe bene. Che ne dite? -.
- Che lavoro fate? - chiese Al, prendendo un boccone del suo panino.
- Io cucio abiti e rammendo vestiti, mentre Win ripara orologi. Non possiamo certo farlo nella stessa stanza, rischierei di sporcare le stoffe di olio e grasso per gli ingranaggi -.
- Ripari orologi? - domandò Ed, rivolto a Win.
- Sì, beh... diciamo che l'esempio dell'orologiaio non era casuale – la ragazza arrossì – So che può sembrare un po' strano che una donna faccia queste cose, ma era il lavoro di mio padre e... -.
I due fratelli scossero contemporaneamente la testa.
- No, non è affatto strano – sorrise Al.
Gli orologi erano il minimo.


- Che cosa è successo oggi? - chiese Eliza chiudendo gli ultimi bottoni della camicia da notte e infilandosi sotto le pesanti coperte.
- Niente -.
- E allora cos'è stata quell'invettiva a cena contro gli affitti? -.
- Era solo per convincere quei due ragazzi. Il più grande mi sembrava davvero intenzionato ad andarsene il più presto possibile. Non va bene, di questi tempi -.
La donna si sistemò di fianco, avvertendo il calore del marito accanto a sé anche senza toccarlo.
- Rod... -.
- Sai, vorrei sbagliarmi, ma le cose stanno cambiando sul serio. Non credo ci sarà un altro colpo di Stato, stavolta potrebbero tentare la via delle elezioni... chiunque siano e qualunque cosa stiano facendo – a cena si era trattenuto a stento dal chiedere ragguagli ai due fratelli, quando aveva udito che venivano da Monaco – Ma le voci che ho sentito non mi piacciono per niente -.
- Credo che al momento chiunque prometta qualcosa di grande, anche se assurdo, potrebbe far strada. Finché la gente ha la pancia vuota non pensa, lo sai – rifletté Eliza.
- Già. È proprio per questo che tutta questa faccenda non mi piace -.
La donna si sistemò meglio contro il guanciale, gli occhi stanchi per le lunghe ore passate sulla macchina da cucire. Tuttavia, quando percepì le dita del marito fra i capelli, sentì che Rod aveva ancora qualcosa da dirle.
- Quel ragazzo, il più grande dei due... - bisbigliò piano - ... non ti sembra che somigli al vecchio amico di Win? -.
Il materasso era ghiacciato, ma il tepore che si stava sviluppando tra i due corpi, trattenuto dalla pesante stoffa della camicia da notte, stava cullando Eliza come se si fosse trovata direttamente tra le braccia di Morfeo. Fece perciò uno sforzo enorme per cercare di ritrovare quel ricordo tra le pieghe della memoria.
- Edmund, dici? Ma... è morto a tredici anni. Quel ragazzo, Edward, deve averne almeno diciotto... - sbadigliò, sistemandosi meglio contro la spalla del marito - ... come fai a dire che gli somiglia? -.
- Non so... è una sensazione -.
- Dormi, Rod. Rimarranno con noi per un po'; hai tutto il tempo di chiedergli se è il fantasma di un ragazzino morto di tubercolosi due anni fa -.






(¹) In giapponese non c'è differenza tra la "r" e la "l": quindi, tecnicamente, due nomi come "Riza" e "Liza" sarebbero considerati identici.


Rispondendo alle recensioni:
MusaTalia: già il fatto di averti incuriosita, con tutte le tue premesse, mi dà una responsabilità non da poco... ma tanto la storia è già tutta scritta, perciò in realtà non mi preoccupo. ^^
Personalmente sono ancora piuttosto ignorante sulla serie "Brotherhood"- devo superare lo scoglio della grafica, che non mi piace assolutamente- ma sono innamorata sia della prima serie che del film. Forse per quanto mi hanno fatto pensare, forse perché sono capitati in un momento della mia vita per cui mi ci sono identificata parecchio... ma li sosterrò sempre!
Le tue domande troveranno risposta- anzi, alcune l'hanno già trovata in questo capitolo- e devo dire che non avevo affatto pensato all'orologio d'argento, scrivendo la storia. Ma ci sta, è proprio vero, anche se qui l'orologio conduttore della storia sarà un altro.
Ora, saltiamo di palo in frasca e parliamo d'altro: ho dato un'occhiata alla tua pagina- ovviamente- e sappi che anch'io adoro libro e film de "Il castello errante di Howl" (poi Miyazaki in generale, ma è un'altra storia...). Oltretutto, leggendo il libro, sono saltata su come una pazza quando ho scoperto di aver avuto ragione su una cosa: vedendo il film e come Howl aveva stretto il patto con Calcifer, mi era venuto in mente il primo verso di una certa poesia di John Donne- "Go and catch a falling star"- e scoprire che in effetti ha ispirato il libro è stato... incredibile!
Beh, la finisco con queste chiacchiere e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.
Avis: ti ringrazio di avermi accordato tanta fiducia mettendo la storia già nei Preferiti, ne sono lusingata. ^^
Anch'io ho fantasticato fin troppo sul seguito del film, oltretutto perché ha inserito Ed e Al nella storia, quindi a grandi linee sappiamo tutti com'è andata. Questo mi affascina molto, devo dire, anche perché di recente mi sono interessata parecchio alla storia tedesca dell'ultimo secolo, e immaginarci dentro Ed e Al è... estremamente stimolante. Fin troppo, devo dire.
Per quanto riguarda le coppie, ho messo "accenni" perché in effetti ho affrontato la cosa in modo un po' particolare... almeno per quanto riguarda l'accenno di Ed/Win. Ma non anticipo niente.
Lady Moonlight: come vedi io ci ho fantasticato parecchio, su ciò che sarebbe potuto succedere dopo la fine del film. ^^
Comunque mi sento in dovere di avvisarti: ci saranno degli accenni di Ed/Win, sviluppati però in modo un po' particolare... che non ti anticipo!

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Capitolo 3
*** La legna e la neve ***


3- La legna e la neve La legna e la neve


Quella notte nevicò.
Una neve pesante come una trapunta, che avvolse nel silenzio l'intera Berlino. La prima neve, senza vento e ghiaccio, era sempre la migliore.
Quando Ed e Al si svegliarono, la mattina dopo, sentirono il freddo penetrare dalle pareti; un freddo che però non riusciva ad intaccare la tiepida tana che si erano fatti sotto le coperte. Un freddo che era il primo respiro dell'inverno berlinese.
- Ti ci dovrai abituare, Al – mormorò Ed dal suo letto – In Germania l'inverno non perdona -.
Il fratello non fece in tempo a ribattere qualcosa, che dal corridoio si sentì una voce canticchiare quella che sembrava una filastrocca per bambini. Perfetta con quello scenario candido fuori dalla finestra.
- Abc, die Katze lief im Schnee. Als sie wieder raus kam, hat sie weiße Stiefel an. Da ging der Schnee hinweg, da lief die Katz im Dreck... -. (¹)
- Non sapevo che Winry sapesse cantare – ridacchiò Ed – È intonata -.
- Non è Winry, Ed – disse piano Al.
- Sì, lo so. Pensavo solo che... -.
- Ascolta – lo interruppe l'altro – Io credo che... dovresti ricordarti che Winry è a Resembool, dall'altra parte del portale. La ragazza fuori da questa porta si chiama Win. Winfrieda -.
Ed si fece serio sotto la coperta, evitando di guardare il fratello.
- Che cosa vorresti dire? -.
- Non sto dicendo che non sia la controparte di Winry in questo mondo – si affrettò a chiarire Al – Solo... dovresti ricordarti che non è lei, ecco -.
- Questo lo so – borbottò Ed, buttando da un lato le coperte e alzandosi dal letto, iniziando a vestirsi.
Al sospirò piano, senza farsi sentire. Sapeva che Ed si sarebbe arrabbiato, ma doveva dirglielo. Si alzò anche lui, cercando di non rabbrividire troppo.

Quella mattina si offrirono di andare a prendere la legna per la stufa dall'uomo che ne procurava per tutto il quartiere. Dato che anche quella scarseggiava, Win aveva scritto loro gli indirizzi di diversi falegnami a cui chiedere di poter comprare trucioli e resti di lavorazione ad un prezzo ragionevole.
Facendo il giro dei laboratori, ne approfittarono per conoscere un po' quella città in cui avrebbero dovuto fermarsi per parecchio tempo.
- Certo che fa veramente freddo – disse Al, rabbrividendo per l'ennesima volta.
- Resisti, ne manca soltanto uno. Il laboratorio del signor Braun dovrebbe essere da queste parti... ah, eccolo! -.
Bussò al portone, e l'omone che aprì li squadrò con diffidenza, chiedendo aspramente che diavolo volessero. Dopo aver spiegato da parte di chi venivano, però, divenne molto più gentile.
- Oh, ma certo, ma certo! Entrate pure! Wilhelm! - chiamò a voce alta e qualcuno in fondo allo stanzone, forse un ragazzino, alzò la testa – Vammi a prendere la cassetta che tengo da parte! -.
Mentre il garzone correva, l'uomo si rivolse a Ed e Al.
- Sapete, Eliza ha confezionato a mia moglie un abito magnifico con delle stoffe che costavano pochissimo. Conosco quella ragazza da quando era alta così – con la mano fece un segno nell'aria, all'altezza dello stomaco di Ed – È bravissima con ago e filo, ne era appassionata fin da piccola -.
Certo, era un lavoro di precisione anche quello. In un certo senso, una continuità tra i due mondi rimaneva sempre.
- Ecco, signor Braun – il ragazzino magro e sparuto di prima arrivò trascinando una cassetta piena di pezzi di legno di varie forme.
- Aspetta, ti aiuto – fece Al, e nel chinarsi lo vide finalmente in faccia.
L'espressione che fece rivelò a Ed che doveva trattarsi di un'altra loro conoscenza, tuttavia lo stupì il sorriso che Al rivolse al ragazzino. Un sorriso che esprimeva riconoscenza, come se non avesse avuto la possibilità di farlo prima.
- È molto gentile, ma non credo riusciremo a portarla tutta. Abbiamo un carretto con noi, ma è già pieno -.
- In questo caso può aiutarvi Wilhelm. Vai con loro, ragazzo -.
- Sì, signor Braun – mentre Wilhelm annuiva obbediente, Ed lo vide finalmente in viso. Wrath. Sporco e pelle ossa, come quando lo avevano trovato sull'isola assieme alla maestra Izumi.
Prese fra le braccia un carico di legna fin troppo pesante per uno della sua età e li precedette fuori in strada.
- Aspetta – disse Ed, raggiungendolo – Devo orientarmi un attimo, è tutta la mattina che giriamo... -.
- Oh, ma io conosco l'indirizzo! Seguitemi! - e s'incamminò con tanto impeto che Ed e Al, col carretto dietro ostacolato dalla neve, dovettero quasi mettersi a correre.
- Ehi, piano Wr... ehm, Wilhelm! - esclamò Ed.
Il ragazzino si voltò, sorpreso.
- Perché non cammini di fianco a noi? - intervenne Al – Potremmo chiacchierare un po', che ne dici? -.
Wilhelm annuì, e li aspettò finché non lo raggiunsero.
- Allora... lavori da molto in quella falegnameria? -.
- Solo da un paio d'anni. La mamma è malata, e le medicine di questi tempi costano uno sproposito. Quindi devo darmi da fare, capite? -.
Una madre malata. Certo che capivano.
- Abiti qui vicino? - domandò ancora Al.
- Sì, nella strada accanto al laboratorio del signor Braun. Così nella pausa posso portare qualcosa da mangiare a mia madre -.
Somigliava a Wrath, questo sì. Ma i capelli corti e scompigliati e l'espressione malgrado tutto serena lo facevano sembrare quasi un'altra persona. I suoi vestiti erano leggeri e quasi strappati, eppure non pativa il freddo nemmeno un po'.
- E tuo padre? -.
- È morto in guerra. La casa l'abbiamo venduta, e adesso io e mia madre viviamo in una soffitta. A lei penso io -.
Ed lo fissò, ammutolito. A sconvolgerlo non era stato tanto ciò che Wilhelm aveva detto- per quanto terribile- ma la naturalezza con cui l'aveva fatto. La guerra aveva portato via a quel ragazzino il padre e la casa- e forse, anche la madre non sarebbe vissuta a lungo- eppure lui continuava a camminare nella neve senza prendersela con nessuno.
Ma era così giovane che probabilmente non aveva mai visto altro che la guerra. Quel periodo doveva sembrargli il migliore che avesse mai vissuto, dato che non rischiava più di morire ogni giorno.
- Eccoci, siamo arrivati – annunciò Wilhelm, fermandosi davanti alla porta da cui erano usciti quella mattina. Ma che strada avevano fatto, per arrivarci così in fretta? - Ho preso una scorciatoia, così posso fare un salto dalla mamma prima di tornare al lavoro -.
Mise la legna fra le braccia di Ed e fece per correre via, quando Al lo chiamò.
- Aspetta un momento – si frugò in una tasca, tirandone fuori un mazzetto di marchi che gli erano rimasti dopo il viaggio. Di quei tempi la cartamoneta non valeva praticamente niente – Non è molto, ma al momento nemmeno noi siamo così ricchi -.
Prese la mano del ragazzino e gli mise sul palmo aperto le banconote, mentre lui lo guardava a bocca aperta.
- Hai detto che passerai da tua madre prima di tornare al lavoro, no? Così puoi portarglieli subito -.
Al sentir nominare la madre, Wilhelm chiuse la bocca e annuì piano, facendo un breve sorriso. Poi si voltò e scappò via lesto come una lepre, nel silenzio della via innevata.
Al rimase a guardare nella direzione in cui era scomparso, mentre cominciava a cadere di nuovo la neve, la prima della giornata.
- Non è Wrath, Al – disse Ed, riprendendo le parole di quella mattina.
- Lo so. Ma anche lui voleva disperatamente tornare da sua madre -.  (²)
Bussò alla porta e, quando Win gli aprì, portò in fretta la legna dentro casa per evitare che si bagnasse.
- Che cos'ha? È successo qualcosa? - chiese la ragazza, prendendo qualche ceppo dalle braccia di Ed. Aveva uno sbaffo nero su una guancia, probabilmente olio per gli ingranaggi.
- È solo che... gli è sembrato di vedere una persona che conosceva – rispose lui.
- Oh, e vive qui a Berlino? -.
- No, è... morta durante la guerra -.
Win non rispose, sporgendosi dalla soglia oltre la sua spalla e osservando il cielo con aria critica. Per l'ennesima volta Ed si ritrovò a pensare che i capelli tagliati in quel modo le stessero davvero bene, le davano un'aria sbarazzina.  
- È una fortuna che siate andati a prendere la legna voi, stamattina. Nevicherà di certo fino a domani -.  
 
 







(¹) "Abc, il gatto corse nella neve. Quando ne uscì, aveva addosso degli stivali bianchi. Là la neve scivolò, là il gatto corse sul fango..."
(²) Vi ricordo che, nel film, Al riesce ad aprire il portale trasmutando Gluttony e Wrath, e quest'ultimo muore per aiutarlo



Ho sempre amato molto la figura di Wrath, e... non so voi, ma la sua parte nel film mi ha sinceramente commosso. Gli Homunculus non erano quelli che non avevano un'anima?


Rispondendo alle recensioni:
MusaTalia: la faccenda del dibattito teologico mi è venuta in mente perché ho letto parecchio della letteratura europea del dopoguerra, specialmente tedesca, e il concetto di Dio salta sempre fuori: "Dio è morto", Dio che non c'era nei campi di concentramento o su quelli di battaglia... e trovo che nella fic su un anime (perché io mi rifaccio a quello) come "Full Metal Alchemist", che tratta temi molto seri, non stoni. Oltretutto, come ho detto nel capitolo, il tema stesso del "peccato" è citato in FMA, quindi... Comunque è un argomento che tornerà ancora, in uno dei prossimi capitoli.
Sì, nella Win che ripara orologi ci ho sguazzato parecchio, attingendo qua e là, un po' per essere in linea con la frase che doveva ispirare la storia e un po' perché è un tema che mi piace moltissimo. ^^
Purtroppo della saga di Howl ho letto solo il primo, ma ho intenzione di procurarmi anche gli altri. Già in certi punti mi ha fatto morire dal ridere "Il castello errante", quindi mi chiedo se anche gli altri proseguano sulla stessa scia... oltretutto ho un debole per Calcifer, il mio amato demone del fuoco! Devo dire che, da quando ho visto il film, osservo con molta più attenzione il fuoco che c'è nella stufa di casa mia... non si sa mai!
Per quanto riguarda l'ambientazione storica ho cercato di limitarmi al minimo indispensabile, più che altro per non commettere errori. Oltretutto nel 1923, dopo il Putsch di Monaco, Hitler viene sottoposto a processo e sarà condannato al carcere nel 1924, perciò non si parla ancora apertamente di nazismo... manca un bel po', ma sono tempi difficili comunque.
walpurgis: tranquilla, il personaggio di Win non ha nessuna intenzione di prendere il posto di Winry... è simile (dovevo pur cercare di mantenere i personaggi IC!), ma non è lei. E in questo capitolo qualcuno l'ha ricordato a Ed...
Avis: sono felice che i personaggi ti sembrino IC, perché è una cosa a cui tengo sempre molto. In realtà, per quanto riguarda il periodo storico, ho cercato di limitarmi per non commettere errori... e non temo di spoilerare qualcosa dicendoti che Ed e Al non modificheranno proprio niente. Non nella macrostoria, perlomeno. Comunque ti lascio alla lettura. ^^
Shatzy: oh, sono felice che la storia ti piaccia! Sì, i tratti principali dei personaggi rimangono gli stessi- più che altro perché nel contest c'era anche la voce “IC dei personaggi” di cui tener conto- anche se mi sento più libera nel trattarli, avendo la scusa delle controparti al di là del portale. XD
Ti ringrazio per i complimenti che mi fai, spero davvero di meritarmeli. Anzi, sono io a doverti ringraziare, perché anche se sostengo senza riserve il Roy/Ai non avrei mai provato a scrivere qualcosa su di loro, se non avessi letto le tue storie al riguardo. Questa fic non è incentrata solamente su tale coppia, ma chissà che non arrivi qualcos'altro...

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Capitolo 4
*** Di sartoria e orologeria ***


4- Di sartoria e orologeria Di sartoria e orologeria


Invece quella notte la neve fece una pausa, per ricominciare a cadere abbondante la mattina dopo.
Vista l'infreddatura presa il giorno prima, Ed e Al trovarono più saggio stare a casa, anche perché una polmonite non avrebbe certo giovato alla loro missione.
Quella mattina, entrando in cucina, sentirono la signora Eliza dire qualcosa al marito con tono paziente, come quello che si usa con i bambini testardi.
- Rod, lascia perdere. Farai tardi al lavoro, ci penso io -.
- No, è un lavoro da uomini. Dovrò pur rendermi utile in qualche modo, no? -.
- Non portavi già il pane a casa? -.
L'uomo, accucciato davanti alla cucina economica, si voltò verso la moglie.
- Ah, ah -.
La signora Eliza appoggiò una mano sulla fronte e scosse piano la testa, mentre il marito infilava un altro ceppo nello sportello aperto. Ned se ne stava in un angolo, ben lontano da loro.
- Senti, tu non vuoi avere sulla coscienza anche questi due ragazzi, non è vero? Quindi lascia fare a me -.
Win, che stava apparecchiando per la colazione, spiegò allegramente:
- L'ultima volta che lo zio Rod ha cercato di accendere la stufa, ha quasi dato fuoco alla casa -.
- Ancora con questa storia? - sbottò lui in tono offeso, per poi rivolgersi a Ed e Al – È stato solo un incidente. È che col fuoco non vado molto d'accordo -.
Rimase a guardare per un momento le facce dei due, che chissà perché stavano facendo delle smorfie alquanto strane, per poi riconcentrarsi sulla stufa.
- Perché non ti accendi? - la apostrofò, quasi risentito.
Win, opportunamente voltata dall'altra parte e intenta a controllare che i cucchiaini fossero ben puliti, rischiò veramente di scoppiare a ridere, mentre la signora Eliza si morse le labbra quasi a sangue.
- Guarda che ti ho visto, Liza – borbottò il signor Rod, per poi alzarsi con l'orgoglio del guerriero ferito in battaglia – E va bene, lascerò fare a questi due ragazzi. Sono già in ritardo per il lavoro -.
Detto questo prese un pezzo di pane e uscì.
- Oh, gli passerà – fece la signora Eliza, dedicandosi alla stufa e accendendola in men che non si dica, manco avesse avuto i guanti di Mustang – Questa scena si ripete un giorno sì e uno no, fa parte della routine quotidiana -.
Dopo colazione, quando la donna fece per sparecchiare, Al la fermò.
- Aspetti, facciamo noi – proteggendosi le mani con uno straccio, prese la pentola piena d'acqua calda posizionata sulla cucina economica e la versò nel lavandino, riempiendolo a sufficienza.
- Come sarebbe? - chiese Win – Volete lavare i piatti? -.
- Sì, certo – rispose Ed – Poi rigoverneremo la cucina -.
- Oh – anche la signora Eliza sembrava piuttosto sorpresa – Quindi voi due... sapete occuparvi dei lavori di casa? -.  (¹)
- Sì, perché? - fece Al, mettendo a mollo i piatti sporchi e cominciando a lavarli.
- Questa poi! Ma siete sicuri di venire solo da Monaco? - esclamò Win.
- Scusa, ma senti da che pulpito viene la predica. Tu non ripari orologi? - ribatté Ed.
Win ci pensò su.
- In effetti... -.
- Va bene, allora – disse la signora Eliza, dirigendosi verso la porta – Quando avrete finito, riempite di nuovo la pentola d'acqua e rimettetela sul fuoco, per favore. E controllate che la stufa non si spenga -.
- Certo! - rispose Al.
- Ho un sacco di lavoro da sbrigare: prima comincio, meglio è. Grazie mille per l'aiuto – detto questo, si diresse verso la propria stanza da lavoro.
Anche Win sembrava essersi convinta.
- D'accordo, allora vado anch'io – guardò prima Al, poi Ed – Certo che siete strani -.
E uscì anche lei, tallonata da Ned.


Quando ebbero finito, Al diede un'occhiata fuori dalla finestra.
- Che facciamo? Non possiamo uscire con questo tempo, la neve non accenna a fermarsi -.
- Mah... non lo so – fece Ed, uscendo in corridoio.
Dirigendosi verso le scale, d'un tratto sentì la mano del fratello su una spalla e si fermò. Ad un cenno di Al, notò che la porta davanti alla quale era appena passato era socchiusa. Si avvicinò e sbirciò dentro, sorridendo d'istinto non appena riconobbe la signora Eliza.
Il miglior cecchino dell'esercito con un paio di occhiali dalla montatura dorata, chino su una macchina da cucire. Adesso che le aveva viste tutte.
- Dici che le serva una mano? - bisbigliò Al.
- Mmm... non so... prova a chiederglielo – rispose Ed, che non aveva poi molta voglia di darsi al cucito.
- E tu? -.
- Farò un salto in camera a sistemare i fogli con le informazioni di cui disponiamo -.
Al annuì, mentre Ed si allontanava lungo il corridoio, e bussò alla porta.
- È permesso? - chiese, entrando.
- Salve – disse la signora Eliza, fermandosi un momento – Com'è che tuo fratello se l'è svignata? -.
- Oh, lui... - non le sfuggiva niente, eh? - Non è molto appassionato di ago e filo... -.
- Capisco -.
- Posso aiutarla? -.
La donna si guardò intorno, pensierosa.
- In realtà non c'è molto da fare. Sto finendo di rifinire questa camicia, poi inizierò un nuovo lavoro -.
Al si avvicinò al tavolo su cui erano sistemate delle grandi porzioni di stoffa, sopra alle quali erano stati fissati con degli spilli dei pezzi di carta di forme diverse.
- È per tagliare le forme dei modelli? - chiese.
- Sì, quei pezzi di carta mi servono come base per la segnata a gesso. È solo dopo che si taglia definitivamente -.
Al si guardò attorno, e vide lì accanto un oggetto piatto e bianco. Lo toccò. Gesso. Che strano sentire di nuovo quella consistenza sulle dita, anche se si trattava di un gesso per sartoria.
- Vuole che lo faccia io? - domandò, voltandosi verso la donna.
- Che cosa? La segnata? -.
Al annuì, e la signora Eliza per un momento non seppe cosa rispondere. Di solito si occupava personalmente di tutto, e non poteva permettersi di sprecare il minimo pezzo di stoffa. Inoltre non era affatto convinta che un ragazzo fosse capace di segnare il tessuto col gesso. Però... però, anche se stavano da loro solo da un paio di giorni, aveva già capito che era lui il più tranquillo dei due fratelli. Il meno spavaldo, molto più mite dell'altro. Non pensava affatto che fosse tipo da dire di saper fare una cosa, quando ciò non era vero.
Certo, lo conosceva da troppo poco tempo per poter esserne sicura. Ma non si era mai sbagliata nel giudicare le persone: altrimenti non avrebbe mai sposato quello che ora era suo marito.
- Va bene – disse, alzandosi – Prova con questo -.
Gli mise davanti un pezzo di stoffa verde scuro che sarebbe servito per una giacca, con il modello di carta già fissato.
- Devi lasciare un orlo di un centimetro per la cucitura, ma mi raccomando che sia uniforme -.
- Ho capito -.
Al iniziò a segnare il contorno del modello, facendo attenzione a ciò che la signora Eliza gli aveva detto. Ed era bello tenere di nuovo un gesso tra le dita, farlo scorrere su una superficie anche solo per tracciare una linea dritta.
Dal canto suo, la signora Eliza si stupì profondamente nel vedere l'abilità con cui quel ragazzo maneggiava il gesso: sembrava non avesse fatto altro per tutta la vita. Non fosse stata troppo orgogliosa per ammetterlo, l'avrebbe forse definito anche più bravo di lei.
Comunque fu contenta di non essersi sbagliata.
- Visto che te la cavi così bene, puoi fare la segnata anche degli altri mentre io finisco qui – disse, tornando alla macchina da cucire – Grazie per l'aiuto -.
- Si figuri, è il minimo – rispose Al, finendo quel modello e passando al successivo.
Alla fine, tutti i cerchi alchemici che aveva tracciato si stavano rivelando utili anche in quel mondo.         


Ed, dal canto suo, non era andato in camera. Era stato in procinto di salire le scale, quando aveva sentito il trillo improvviso di una sveglia. Seguendone il suono, aveva finito per entrare in quello che era il laboratorio di Win.
- Ehi, ciao! - fece lei – Era ora che mi venissi a trovare nel mio antro! -.
- Veramente ho solo seguito il suono di una sveglia... -.
- Ah, questa! - alzò un bell'orologio coperto d'argento, con una specie di timpano sulla sommità – Ho appena finito di ripararla. Ha un gran bel trillo! -.
La sistemò su uno scaffale, per poi dedicarsi a un orologio da taschino.
- Ah, quel Max! Ha solo otto anni ed è già la terza volta che sporca di marmellata l'orologio di suo nonno. Secondo me lo infila direttamente nel vasetto; come fa a finirne anche negli ingranaggi? -.
Mentre Win inveiva contro il povero Max, Ed iniziò a guardarsi intorno. Che bella, quella stanza: era accogliente quanto la cucina, si vedeva che chi stava lì dentro faceva il suo lavoro con passione.
Ned, che se ne stava tranquillo accanto alla sedia di Win, lo raggiunse per rimediare qualche carezza.
- Certo che ce ne sono di veramente belli! - commentò Ed, passando un dito sul tetto di un orologio a cucù.
- L'universo degli orologi è estremamente affascinante – convenne lei senza voltarsi, concentrata sul proprio lavoro.
- Gli orologi controllano il tempo... - fece Ed, misurando a larghi passi la stanza - … o è il tempo a controllare gli orologi? -.
- Ah, ah. Non ricominciare con le sottigliezze filosofiche, questo è il mio campo -.
Ed fece un largo sorriso, contento che non potesse vederlo. Accarezzò con lo sguardo gli orologi allineati sugli scaffali, aguzzando la vista quando ne notò uno in un angolo che sembrava ancora incompleto. Strano: Win non li riparava, gli orologi? O ne costruiva anche?
Si avvicinò, incuriosito, e lo prese per vederlo meglio. Era piuttosto grosso, e sotto l'orologio vero e proprio c'era una specie di scatola in legno ancora aperta; dentro vide una piastra girevole che si sarebbe di certo azionata allo scoccare dell'ora. In Germania ne aveva visti parecchi, di quel genere: orologi-carillon che al momento giusto azionavano una specie di giostra, con delle figurine che apparivano una dopo l'altra e a volte si muovevano. Capitava di vederne anche negli orologi della torre comunale, ed era sempre uno spettacolo. Quello di Monaco era bellissimo.
Guardò meglio e in fondo al tavolo vide effettivamente delle statuine in fila, forse pronte per essere fissate sulla piastra girevole, e due ante intagliate che dovevano di certo fungere da “porta” per la scatola.
Le guardò, e smise di respirare.
Voltò in fretta l'orologio, e il quadrante lo lasciò sconvolto.
- Oh... santo... cielo -.
Quei mozziconi di parole fecero voltare Win, che vide quale orologio stava guardando.
- Ah, quello! Ti piace? -.
- Di... di chi è? -.
- È mio. Lo sto costruendo io -.
L'occhiata a un tempo sconvolta e supplichevole di Ed la lasciò di stucco.
- Ehi, cosa c'è? Va tutto bene? -.
- Tu... cosa... come... - lanciò uno sguardo di sfuggita all'orologio, per poi tornare a guardare la ragazza – Come fai a saperlo? -.
- Calmati, che ti prende? - il turbamento nei suoi occhi gli ricordò per l'ennesima volta che quella non era Winry, e non poteva essere abituata a sentirlo sbraitare.
Respirò a fondo. Poi indicò le figurine sul tavolo: - Quelle – e l'orologio accanto a lui – e questo... -.
Stava quasi tremando. Perché? Pensava che quello fosse ormai un capitolo chiuso della sua vita, per quanto fosse stato l'intera sua vita.
- Perché li hai fatti così? - fu la domanda più sensata che riuscì a formulare.
Win si alzò, avvicinandosi a lui. Allungò una mano, prendendo una delle figurine e accarezzandola piano: rappresentava una grossa armatura con un pennacchio in testa e un panno di stoffa attorno alla vita. Tra le altre in fila c'erano un soldato con una vaporosa divisa blu e una lingua di fuoco che gli usciva da un dito; un ragazzino pallido dai capelli lunghi e sfrondati; un grosso cane col pelo più lungo sulla testa e sul dorso, pelo che somigliava a dei capelli.
Forse Win li avrebbe descritti così, ma per Ed altri non erano che Al, Mustang, Envy e Nina. O, per meglio dire, la Chimera in cui erano stati fusi Nina e il suo cane Alexander.
- Non li ho fatti io – mormorò Win, posando la figurina dell'armatura – Riparo orologi, non sono così brava ad intagliare il legno -.
Si voltò verso di lui.
- Li ha fatti Ed -.
 






 
(¹) Non dimenticate che siamo nel 1923! Un uomo che lavava i piatti doveva essere pura fantascienza (lo è anche adesso, a volte).



Rispondendo alle recensioni:
MusaTalia: in effetti era proprio ciò che la presenza della neve voleva comunicare, sono contenta che sia arrivato. ^^
In effetti credo sia molto difficile riuscire a vedere qualcuno con lo stesso aspetto di chi conosciamo come un'altra persona... è assurdo pensare che si hanno dei ricordi, con tale persona, che però l'altro non ha. Dev'essere una situazione che va al di là del surreale...
Dopo questo capitolo so che mi ucciderai, visto che non si capirà niente fino al prossimo... ma le tue domande troveranno risposta, non temere!
Avis: a me Wrath è sempre piaciuto molto, e se sono riuscita a farlo apprezzare anche a qualcuno che lo detesta... bene, molto bene! ^^

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Capitolo 5
*** Quando un orologio si ferma ***


5- Quando un orologio si ferma Quando un orologio si ferma


Anche se avrebbero dovuto ticchettare tutti insieme, gli orologi di quella stanza scandivano il tempo ognuno per conto suo, andando al proprio ritmo, infischiandosene degli altri. E il risultato era una cacofonia assordante, che rimbombava nel silenzio come il cuore di Edward, impazzito come il tempo.
- Chi è Ed? - sussurrò senza fiato.
- Un mio vecchio amico -.
Questo non spiegava nulla. Come? Cosa? Perché?
- E dov'è adesso? -.
- È morto due anni fa. Tubercolosi -.
Ed prese l'orologio indicando il quadrante, su cui era chiaramente disegnato un cerchio alchemico.
- Ha fatto lui anche questo? -.
Win annuì.
- Lui l'ha disegnato su un foglio, poi io l'ho riportato qui. Ma quest'orologio ho cominciato a costruirlo solo qualche tempo dopo la sua morte -.
- E perché? -.
La ragazza prese l'orologio e le figurine in legno, portandole sul tavolo da lavoro. Si sedette, picchiettando leggermente il quadrante ancora senza lancette.
- Lo sai che quando cade una bomba, gli orologi si fermano nell'istante in cui questa scoppia? - chiese – Tutti immobili, alla stessa ora, come se il tempo si fosse fermato nel momento in cui i loro padroni sono morti -.
Si avvicinò anche Ed, appoggiandosi al ripiano del tavolo.
- È per questo che vivi con i tuoi zii? -.
- Quando quella bomba ha colpito casa nostra, gli orologi ancora interi del laboratorio di mio padre si sono fermati tutti alla stessa ora. Una cosa spettrale, se ci pensi -.
Lo guardò.
- Io non c'ero, ero con Edmund a giocare dai suoi cugini, in un altro quartiere -.
Edmund?
- Ed? -.
Win annuì.
- Mio padre mi aveva già insegnato un po' il mestiere, e a me piaceva moltissimo. Quando sono venuta ad abitare qui ho lavorato come apprendista da un vecchio orologiaio del quartiere. Poi, quando lui è morto, ho cominciato io -.
Prese le figurine una ad una, poggiandole sulla piastra girevole dell'orologio.
- Alla fine dovrà venire così – spiegò – Metterò quelle due ante a chiudere la porticina sotto l'orologio, e quando scoccherà l'ora si apriranno, mostrando questi personaggi apparire uno dopo l'altro -.
Poggiò le ante intarsiate sull'apertura, chiudendola e nascondendo alla vista Al, Mustang, Envy e la Chimera. Due ante che a Ed ricordavano fin troppo il Portale.
- Com'è che ti sei spaventato così tanto? - domandò Win – Sono così brutti? -.
No, assolutamente. Erano fin troppo fedeli agli originali.
- Perché il tuo amico... Edmund ha rappresentato queste figure? Ha lavorato di fantasia? - chiese Ed.
Win scosse la testa.
- No, le ha intagliate in base a quel ricordava dei suoi sogni -.
Sogni?
- Durante le ultime settimane della malattia aveva iniziato a fare dei sogni stranissimi, quasi ossessivi – mormorò Win, gli occhi fissi sull'orologio – Il medico diceva che forse erano una conseguenza della febbre alta, ma Ed non riusciva a pensare ad altro. Mi raccontava tutti i particolari che riusciva a ricordare, e per farmi capire meglio ha intagliato questi personaggi e le ante della porticina, oltre a disegnare questo strano cerchio -.
Prese l'orologio fra le mani, osservandolo meglio.
- Chissà cosa dovrebbe rappresentare... da quel che diceva, nei sogni c'erano delle persone che li usavano per fare delle specie di magie -.
Non proprio.
- Ci sto lavorando da due anni, ma devo ancora completarlo. Ho intenzione di farne il lavoro migliore di tutta la mia vita -.
- Perché? -.
- In un certo senso... - Win sorrise tristemente - ... è una specie di monumento alla memoria di tutte le persone a cui volevo bene e non ci sono più. Gli orologi dei miei genitori e il mondo fantastico di Ed -.
Quella conversazione suonava quasi surreale: Ed non era più così sicuro di essere nel mondo al di là del portale. Gli sembrava di trovarsi in un corridoio sospeso tra i due mondi, dove gli elementi di entrambi si mescolavano senza alcuna logica.
Win si appoggiò allo schienale della sedia.
- Lo sai? Edmund... - sorrise – … era sì il mio migliore amico, ma avrebbe anche potuto essere l'amore della mia vita -.
Con un tonfo, Ed piombò giù dal corridoio tra i due mondi.
- Come? -.
- Pensa che gli ho dato il primo e unico bacio della mia vita – arrossì – Chissà perché ti sto raccontando tutte queste cose... -.
Infatti non era esattamente il tipo di conversazione che Ed era abituato ad avere con una ragazza, tuttavia un particolare risvegliò il suo interesse.
- L'hai baciato? Ma non hai detto che era... -.
- Malato, sì -.
- La tubercolosi è una malattia infettiva! - boccheggiò Ed.
- Lo so – rispose semplicemente lei – Ma non m'importava -.
- È stato un gesto da incoscienti, te ne rendi conto? -.
- È stata la cosa più giusta che abbia mai fatto, invece. Ora il mio primo bacio giace in una tomba, ma se mi fossi tirata indietro l'avrei rimpianto per tutta la vita. È stato bello, sai? -.
No, non lo sapeva. Arrossì violentemente.   
- Magari ci saremmo sposati, anche se era più piccolo di me -.
Forse quella conversazione gli stava sfuggendo un po' di mano.
- Non puoi saper... -.
- Glielo avrei chiesto io – lo interruppe Win, guardando nel vuoto – Anche se so che non si fa, ma sarebbe rimasto tra noi. E poi avrei avuto di nuovo una famiglia -.
Guardò Ed.
- Non fraintendermi: voglio molto bene ai miei zii e so di essere fortunata ad averli. Sarei potuta finire all'orfanotrofio, lo sai? - sospirò, sorridendo leggermente – Dev'essere bello avere un fratello -.
- Sì – anche Ed sorrise, ricordando quante volte avesse rischiato di perderlo – Sono fortunato anch'io -.
Win tornò a rivolgere la sua attenzione all'orologio.
- Ricordi il discorso dell'altro giorno, a cena? - domandò d'un tratto.
- Il “dibattito teologico”, secondo tuo zio? -.
- Sì, quello – rispose lei ridendo piano – Sai, ci ho riflettuto molto -.
Aprì le ante della porticina, sbirciando dentro come una novella Alice.
- Se questi personaggi fossero reali, se vivessero davvero in un loro mondo dentro l'orologio, sarei io il loro creatore? E quindi potrei punirli e distruggerli quando voglio? Sono io il creatore del loro mondo? -.
Tirò fuori le figurine una ad una, mettendole in fila.
- Sai, ci sono persone che dicono che l'ultima guerra è stata una punizione divina. Che Dio non c'era, sui campi di battaglia, perché ha abbandonato l'uomo per punirlo. Un po' come il diluvio universale -.
Ed ascoltava in silenzio. Sì, del diluvio universale aveva sentito parlare.
- Ma se io fossi il creatore del mondo dentro l'orologio, non vorrei mai distruggere le mie creature. Nemmeno per punirle -.
Guardò Ed, sorridendo amaramente.
- Ah già, ma tu non credi che ci sia alcun creatore. Dicevi che tutto esiste per conto suo, giusto? -.
Lui fece per annuire, quando una voce alle loro spalle li fece quasi sobbalzare.
- Sarà – disse Al, appoggiato al muro accanto alla porta – Ma a me sembra che un discorso del genere sia solo un espediente per scaricare le responsabilità -.
Né Ed né Win l'avevano sentito entrare e Ned, seppure l'aveva visto, era rimasto in silenzio. Al si avvicinò al tavolo, con un'espressione grave in volto.
- Io non so niente di queste cose – continuò, osservando la figurina dell'armatura con aria quasi malinconica – Ma mi sembra che definire una guerra una punizione divina significhi lavarsene le mani. Di chi è stata colpa, allora? Se non esiste un creatore, perlomeno la responsabilità può essere solo degli uomini -.
Ed guardava suo fratello, rendendosi conto per l'ennesima volta che Al era davvero cresciuto moltissimo. Erano stati separati solo per un paio d'anni, questo sì, ma era quasi strano rivedere sul suo viso delle espressioni collegate a ciò che stava dicendo. L'ultima volta che ne aveva decifrato la mimica facciale, Al aveva dieci anni. Ma ora il suo non era più lo sguardo di un bambino: era quello di un adulto.
- Anche a me è sempre sembrata un'assurdità – ammise Win – Ma certe cose una donna non può dirle così apertamente -.
Dopo un momento di silenzio, la ragazza batté le mani tanto all'improvviso che a Ed e Al venne quasi un colpo.
- Di' un po', a te piace? - chiese, accennando all'orologio – Tuo fratello ha quasi avuto un infarto, quando l'ha visto, anche se non ho ancora capito perché. Tu almeno non mi sembri sconvolto -.
- È bellissimo – ammise sinceramente Al – E queste figurine sono fantastiche! -.
- Davvero? Quale ti piace di più? -.
- Questa – l'armatura.
- Non l'avrei mai detto – fu il commento di Ed. Si guardarono, e quasi scoppiarono a ridere. Sembrava così lontano, ormai.
- Qui dietro, dove c'è l'ingranaggio, ho lasciato posto anche per il meccanismo di un carillon. Mi piacerebbe che, quando scocca l'ora, le figurine si muovessero sulle note di una musica... ma devo ancora trovare quella adatta -.
- Non mi dire che sai costruire anche i carillon! - esclamò Ed.
- Conosco qualche nozione di base, ma l'esperto in questo campo è mio zio. Mi ha detto che quando avrò scelto una melodia, ci penserà lui a costruirlo. Poi inserirlo qui sarà un gioco da ragazzi -.
Eh? Ed guardò Al, sicuro di aver capito male. Ma l'espressione del fratello non lasciò spazio ad alcun dubbio.
- Ehi, che vi prende? In realtà mio zio costruisce carillon per passione, non per lavoro. Pensate che ne aveva addirittura fatto uno per mia zia, quando erano fidanzati. È di sicuro nascosto da qualche parte: la zia Eliza lo custodisce come una reliquia -.
L'incredulità lasciò posto ad un ampio sorriso. Oh, a Ed sarebbe piaciuto così tanto che il portale si aprisse ancora una volta- una soltanto- per correre a riferirlo al colonnello Mustang. Non riusciva nemmeno ad immaginare che faccia avrebbe fatto.
Probabilmente Al ci riuscì, invece, perché emise il tipico singulto di chi cerca di trattenersi dallo scoppiare a ridere. Il che non sarebbe stato gentile nei confronti del signor Roderich.
- Insomma, ma cosa sono quelle facce? Avete fatto delle espressioni strane anche stamattina, mentre mio zio accendeva il fuoco- cioè, ci provava... -.
Le parole di Win fecero sorgere, nitida come se l'avessero avuta davanti, la scena della stufa. E allora non ce la fecero più.
Risero forte come non capitava loro da una vita. Ed era incredibile vedere la faccia di Al ridere a crepapelle. Di nuovo, dopo tanto tempo.      




Rispondendo alle recensioni:
MusaTalia: spero che questo capitolo abbia risposto a tutte le tue domande... o quasi. Sono contenta che ti siano piaciuti tutti i particolari di quello scorso, dato che ho passato parecchio tempo a rifletterci su. E spero che Al ti sia piaciuto anche qui. ^^

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Capitolo 6
*** Hanukkah ***


6- Hanukkah Hanukkah


Qualche giorno dopo, entrando in cucina all'ora di colazione, Ed e Al furono investiti da una Win particolarmente entusiasta.
- È il primo giorno di Hanukkah! - annunciò.
- Hanukkah? E che cos'è? -.
- La “festa delle luci”: una festa ebraica – spiegò lei.
- Ebraica? -.
- Noi siamo ebrei – disse, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Al guardò Ed in quel modo che Win aveva ormai imparato a riconoscere.
- L'ebraismo è una religione – sospirò.
- Ah... - Al sembrò illuminarsi – E... che cosa si festeggia? -.
- La purificazione del tempio di Gerusalemme dopo le profanazioni compiute dai Greci quando lo occuparono. Ci fu un miracolo, sapete? Sembrava non ci fosse abbastanza olio per tenere accesa la menorah, ossia il candelabro che dovrebbe ardere giorno e notte; invece l'olio bastò per otto giorni. La durata di Hanukkah -.
- Oh – fece Al – Ma non è che l'olio l'aveva portato qualcuno? -.
- No, è stato un miracolo! -.
- Ne sei sicura? -.
La gomitata che ricevette nelle costole da Ed gli fece capire che forse era il caso di smetterla con le domande di senso pratico.
Per sviare la discussione, il maggiore degli Elric annusò l'aria e domandò:
- Cos'è questo profumino? -.
- Le frittelle che prepariamo in quest'occasione – rispose la signora Eliza – Ancora un minuto e sono pronte -.
- Comunque, tornando a noi – riprese Win – È la festa delle luci per questo motivo, e si ricorda accendendo ogni giorno una candela del candelabro a otto braccia -.
Ecco perché su quel candelabro sopra il davanzale ardeva una fiammella soltanto, allora.
- È anche una cosa simbolica, in realtà – disse il signor Rod sedendosi su una sedia – Siamo ormai in inverno, la stagione del buio, e le candele rappresentano la luce che vince sull'oscurità -.
La debole fiamma della prima candela si rifletteva sul vetro della finestra, sola nel buio di quella mattina di dicembre. Si era nel momento in cui i lampioni si spengono, ma la luce del giorno non è ancora così potente da illuminare le strade.
- La luce che vince sull'oscurità... - mormorò Ed assorto, osservando il riflesso del fuoco sul vetro.
Piccola e apparentemente insignificante, quella fiammella stava aspettando le sue sette sorelle.
- Però è un peccato – continuò il signor Rod – Ormai non ci sono più bambini in questa casa, e non è la stessa cosa -.
- Uh? Perché? - domandò Al.
- Perché Hanukkah è la festa dei bambini – disse la signora Eliza, portando in tavola un vassoio di frittelle dall'aria invitante.
- Dopo colazione vi faccio vedere una cosa! - esclamò Win, allontanando Ned dal tavolo e prendendo posto.


Dopo colazione, infatti, Win tornò in cucina con uno strano oggetto di legno.
- Che cos'è? Sembra una trottola -.
- Infatti è una trottola. Per giocare – replicò la ragazza – Si chiama dreidel, e qui sui lati sono incise quattro lettere dell'alfabeto ebraico -.
- Scusa, ma cosa c'entra una trottola con una festa religiosa? - domandò Ed – Ho capito che è la festa dei bambini, ma... -.
- Perché Dio gioca – rispose il signor Rod, ancora seduto a tavola con la moglie. Sembrava divertirsi un mondo a guardare quei tre alle prese con una trottola, quasi fossero stati davvero dei bambini.
- Dio gioca? - Al non ricordava che i sopravvissuti di Ishbar gli avessero mai detto una cosa simile – E a cosa? -.
- Gioca il gioco del mondo – rispose tranquillamente lo zio di Win.
- Per decidere il destino degli uomini? - chiese Ed senza riuscire a trattenersi, percependo immediatamente le occhiate di Al e Win su di sé.
Il signor Rod stava forse per dire qualcosa, quando Win appoggiò il dreidel sul pavimento e lo fece ruotare. Rimasero tutti a guardarlo in silenzio, qualcuno perso nei ricordi d'infanzia, qualcun altro affascinato da quella nuova e strana festività.
Quando la trottola si fermò, Win la prese delicatamente in mano, quasi fosse stata un pulcino.
- Sapete, anche questa l'ha costruita Ed. Va che è una meraviglia -.
Passò il dreidel ad Al, che fece per provarlo a sua volta, ma si bloccò nell'udire la voce del signor Rod.
- Hai raccontato loro di Edmund? -.
- Sì, perché? Ho fatto male? - chiese Win, sorpresa.
- Certo che no, ma... -.
- Hanno visto anche l'orologio. A momenti Edward prendeva un colpo! - aggiunse.
- Ehi, insomma! - protestò l'interpellato. Continuavano a prenderlo in giro solo perché si era un po' sorpreso nel trovare tracce del suo mondo proprio ora che doveva cercare di dimenticarselo. Insomma.
- Tuo fratello non mi è sembrato così sconvolto – osservò lei.
- Solo perché stava pensando... alla faccenda di cui abbiamo parlato dopo – ribatté Ed – Sta' sicura che è rimasto a bocca aperta anche lui -.
- E perché, se è lecito chiederlo? - domandò il signor Rod, interrompendoli.
- Perché... beh, perché... - Ed lanciò un'occhiata ad Al, chiedendo aiuto.
- Perché... era davvero molto singolare! - rispose lui, non trovando niente di meglio – Già... non avevamo mai visto niente del genere -.
- Ma come? Se non ricordo male, tu ieri mi hai chiesto... - intervenne Win, rivolgendosi a Ed - … come facevo a saperlo. Ma a sapere cosa? -.
- Che... ehm, che... - stavolta Al sembrava non poter essere di alcun aiuto – Ecco... -.
- Forse dovreste lasciarli in pace, che ne dite? - quando la signora Eliza aprì bocca, si girarono tutti a guardarla – Sembra un interrogatorio -.
Pareva rivolta in particolar modo al marito, che fece finta di nulla e prese un altro pezzo di frittella.
- Il capo di questa famiglia ha parlato – decretò poi il signor Rod, beccandosi una leggera occhiataccia dalla moglie – E adesso è meglio che esca -.
Si alzò, prese la giacca e andò.
- Sapete, credo che lo faccia apposta – il commento della signora Eliza li fece voltare tutti e tre, un'espressione interrogativa dipinta in volto – A farmi arrabbiare la mattina presto, così ha la scusa del lavoro e sa che per stasera mi sarà passata -.
Cominciò a sparecchiare con un sospiro irritato mentre Ed, Al e Win cercavano di non ridere e provavano ancora il dreidel.


Ma quella sera non gli andò così liscia.
- Allora? - la voce perentoria della moglie lo bloccò l'istante prima che riuscisse ad infilarsi a letto.
- Allora cosa? -.
- Lo sai benissimo -.
Il signor Rod sospirò.
- Liza, possiamo almeno discuterne sotto le coperte? Il pavimento è gelato -.
- E sia – concesse lei – Ma guai a te se fingi di addormentarti -.
- Non accadrà, signor tenente – scherzò lui, imitando il saluto militare e sdraiandosi prima che la donna potesse dirgli qualcosa.
Cercò di voltarsi verso l'armadio, in un ultimo tentativo di resistenza, ma una mano sulla spalla lo fece desistere subito.
Si limitò allora a poggiare la schiena contro il materasso, il viso rivolto al soffitto.
- Si può sapere che ti è preso? -.
L'uomo non rispose, continuando a rimuginare su qualcosa che la signora Eliza temeva di conoscere.
- Non può essere Edmund, Rod – gli si appoggiò su una spalla, mormorando quelle parole nel tentativo di farlo ragionare – È morto. Win ha voluto vederlo nel suo letto, e poi nella bara. C'è stato il funerale -.
- Lo so. Ma l'hai visto anche tu, è identico. Come fa Win a non accorgersene? -.
- Perché lei sa che il suo migliore amico si trova al cimitero. O perlomeno il suo corpo. Se sei convinto di una verità, non c'è dubbio che tenga -.
- Liza, sii sincera: tu trovi che gli somigli? -.
- Io... - si morse le labbra. Sì, l'aveva pensato anche lei la prima sera che lo aveva visto – Questo sì, ma non è lui. Edmund aveva un carattere molto diverso: lui non si metteva mai a discutere con Win -.
- Già... - il signor Rod si voltò su un fianco, il viso a un soffio da quello della moglie – Ma come spieghi quello che ha detto stamattina? Dalle parole di Win, sembrava che lui sapesse già qualcosa sugli strani sogni di Edmund... com'è possibile? -.
La signora Eliza lo guardò bene negli occhi.
- Rod, lascialo in pace. Lui e suo fratello hanno attraversato tutta la Germania per arrivare fin qui. E poi... - le venne in mente una cosa, e quasi sorrise - … credi che Noa non ce l'avrebbe fatto sapere, se l'avesse creduto in qualche modo collegato a Edmund? L'aveva conosciuto anche lei, ricordi? -.
Quest'ultimo ragionamento sembrò quasi far capitolare l'uomo, ormai prossimo a rassegnarsi. Già; se Noa non aveva avvertito niente di strano, che senso aveva che lui se la prendesse tanto?
- Senti, lasciami fare un ultimo tentativo – disse infine – Niente di assillante, non preoccuparti, e starò attento che Win non sia presente. Voglio solo... provare un metodo più diretto -.
- Mi ascolti bene, signor Roderich Mühlstein – lo apostrofò lei, la voce lenta e minacciosa – Se dopo questo “tentativo” quei due ragazzi dovessero andarsene, andrai a cercarli tu stesso, a costo di rastrellare l'intera Berlino -.
- Sissignore – sussurrò il signor Rod, contento di averle strappato il consenso. La baciò lentamente, un bacio che voleva forse essere della buonanotte, ma dopo vari minuti di effusioni si ritrovò sopra di lei.
- Liza, senti... - mormorò con voce roca, carezzandole piano i capelli.
- Mmh? -.
- Perché non facciamo un bambino? -.
- Eh? -.
- Win prima o poi se ne andrà, lo sai, e sarebbe bello avere di nuovo qualcuno per cui festeggiare degnamente Hanukkah. Non lo pensi anche tu? -.
- Mmm... forse – quella gamba che le stava alzando la camicia da notte, scaldandole i polpacci nudi, non la aiutava affatto a pensare – Ma di questi tempi come facciamo? Cosa gli daremmo da mangiare? -.
- Sbaglio o stiamo mantenendo due ospiti? I bambini si adattano, e noi non faremo la fame. Inoltre pensa un po'... - le strofinò il naso sotto l'orecchio, nel punto che più gli piaceva perché si trovava proprio al crocevia tra viso, collo e capelli. Il punto in cui quel buon profumo d'orzo era più intenso - … concepire un bambino ad Hanukkah. Non è un bell'augurio? -.
- Ah, e pensi poi di dirglielo? - sospirò a fatica la donna, percependo il calore sotto la stoffa del pigiama che stringeva tra le dita.
- Non si sa mai, i tempi cambiano – rifletté lui, che dopo un breve momento di indecisione aveva iniziato a seguire la via del collo – Ogni generazione è completamente diversa dalla precedente, chissà che non migliorino le cose -.
- Quindi il tuo piano è migliorare il mondo attraverso... - lungo bacio nel punto in cui le clavicole si incontrano, poi sulla gola. Sorrise - … un nuovo orologio che inizia a ticchettare, come direbbe Win? -.
Lo sentì sorridere a sua volta sotto il mento, mentre cominciava a sbottonarle la camicia da notte.
- Ma se ricordi il discorso di quei tre la prima sera, non ti viene un dubbio? - le chiese, arrivando finalmente a massaggiarle le spalle nude.
- Un dubbio? - che dubbio? Ormai pensare iniziava a costarle una certa fatica.
La pesante stoffa le si staccò dal ventre, dove sentì un peso fin troppo ben identificato dire:
- Che forse da qualche parte c'è già. C'è già, c'è stato e ci sarà finché noi non gli permetteremo di venire qui –.
La camicia da notte finì da qualche parte in mezzo alle lenzuola, assieme ad un pigiama di lana.
Un sussurro all'orecchio la scaldò quasi più di quelle gambe nude contro le sue.
- Magari vuole un invito scritto, il piccoletto -.





Guarda caso, questo aggiornamento è caduto proprio alla Vigilia di Natale. Auguri a tutti!
E fatemi un regalo... lasciatemi un commentino!



Shatzy: direi che qui c'è un bel po' di Rod/Liza, dato che abbiamo iniziato a chiamarlo così... XD
Comunque sia, forse può farti piacere sapere che ho già in mente un prequel su questa storia, interamente incentrato sulla coppia... sapere che lo leggerai potrebbe spronarmi non poco nello scriverlo, dato che parecchie idee ci sono già. A proposito, sai che mi sono accorta solo ora, spulciando un po' il tuo account, che avevi già scritto tu qualcosa su Roy e Riza al di là del portale? Arrivo tardi, ma arrivo. Non ho ancora avuto il tempo di leggere come si deve, ma da quel poco che ho visto la mia storia sarà davvero diversissima.
Per quanto riguarda il capitolo precedente, le statuine rappresentano più che altro i personaggi di FMA un po' più... lontani dal nostro mondo: l'armatura, la Chimera, un soldato con divisa e “armi” differenti e un Homunculus. È più che altro per questo che ho deciso di mettere loro come personaggi dell'orologio (è Envy quello rappresentato, non Wrath), non tanto per la vicinanza a Ed- anche se ci sta. ^^
MusaTalia: se avevi già intuito cosa sarebbe avvenuto in questo capitolo vuol dire che sei una lettrice attenta, perché avevo disseminato indizi qua e là, e questo non può che farmi piacere. ^^
La faccenda degli orologi l'ho imparata da un racconto tedesco su cui siamo stati per mesi, in letteratura, tanto che me lo ricordavo quasi a memoria: mi ha sempre fatto venire i brividi, comunque.
Oh, se ti piace Al- e condivido, è il mio personaggio preferito- ti anticipo già che nella prossima storia della serie sarà lui il protagonista, e farà un incontro decisamente inaspettato.
Anche a te buon Natale e felice Anno Nuovo- come hai visto, il capitolo è in tema. ^^

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Capitolo 7
*** Scambio equivalente ***


7- Scambio equivalente Scambio equivalente


Si era ormai al settimo giorno di Hanukkah, e le fiammelle accese sul candelabro erano quasi al completo.
Win era uscita a riconsegnare un orologio riparato, e Ed e Al stavano tagliando le verdure per la cena mentre la signora Eliza terminava di rifinire un vestito.
Fu in quel frangente che il signor Rod, tornato un po' prima del solito, entrò in cucina e porse un pezzo di carta ai due fratelli.
Entrambi si lavarono le mani prima di toccarlo, e quando Ed lo prese si accorse che era una fotografia. Una foto in bianco e nero, tenuta con cura.
- Visto che mia nipote vi ha parlato del suo vecchio amico... - disse il signor Rod, scrutandoli attentamente in viso – Questa è una foto di qualche anno fa -.
Al guardò da sopra la spalla del fratello, ritrovandosi a pensare che, se ci fosse stato anche lui, quella sarebbe anche potuta essere una foto dei vecchi tempi a Resembool.
C'erano Win e Ned cucciolo, e un bambino identico a Ed. Forse appena più magro e dall'aria più tranquilla, ma senza dubbio lui.
Il signor Roderich si sedette al tavolo della cucina, con l'espressione di chi non sa più cosa pensare.
- Sai, ti somiglia molto – troppo, fu la parola che aleggiò nell'aria.
Ed tentò una risata, che tuttavia non gli riuscì molto bene. Era quasi assurdo vedersi in una foto per cui non aveva mai posato.
- Eppure non mi sembra di avere dei parenti che vivono a Berlino... giusto, Al? - provò, con risultati poco convincenti.
Il fratello annuì soltanto, ancora concentrato sulla fotografia. Il silenzio divenne tale che si poteva sentire il fuoco crepitare nella stufa.
- Sentite, non voglio spaventarvi, e nemmeno vi sto... - il signor Rod cercò la parola adatta, anche se forse non c'era niente che si adattasse a quella situazione - … accusando di qualcosa. Vorrei solo capire -.
Ed scosse la testa. No, non poteva capire. Aveva già provato a raccontare ad Alfons del mondo da cui veniva, e lui non gli aveva mai creduto.
- Noi... ce ne andremo presto. Abbiamo una cosa molto importante da fare, e non vi coinvolgeremo in alcun modo. Ma sappia che con Edmund non c'entriamo niente. Non l'abbiamo mai conosciuto -.
- Però sapete del mondo di cui parlava -.
- Sì, questo sì – stavolta fu Al a rispondere – Ma nemmeno noi siamo in grado di dirle perché facesse quegli strani sogni -.
Il signor Roderich si voltò un momento verso il candelabro, osservandone le sette fiamme allungarsi nell'aria.
- Voi avete detto di venire da Monaco, giusto? Ma a quanto pare, nel posto in cui stavate prima non c'erano religioni, né tanto meno ebrei. Eppure siamo sparsi in tutta Europa, sapete? -.
Oh-oh.
- Insomma, che cosa vuole sentirsi dire? - sospirò Ed.
- Non è che per caso voi due venite proprio dal mondo di cui parlava Edmund? -.
In realtà era una domanda fatta tanto per dire, perché il signor Rod si era reso conto di aver esagerato un po', e non voleva rischiare che quei due ragazzi se ne andassero per davvero, come aveva detto sua moglie. Aveva solo cercato di alleggerire un po' i toni di quella conversazione.
Ma il silenzio che calò subito dopo suonò come se entrambi avessero gridato: “Sì!” a gola spiegata.
Li guardò in volto, esterrefatto.
- Che cosa? - mormorò, la voce che quasi gli venne a mancare.
- Sì, in realtà è così – rispose piano Ed, per poi sorridere amaramente – Veniamo da un mondo che non è stato creato da nessuno, eppure è uguale a questo -.
- Uguale a questo? -.
- Sì, come se quel che vede al di là di uno specchio fosse un universo a sé – Ed allargò rassegnato le braccia – Non so spiegarlo meglio di così -.
- Oh... - malgrado l'assurdità di quella situazione, la sua mente capì – Uno specchio... quindi ci sarebbero anche le stesse persone? È per questo che sei identico a Edmund? -.
- Sì – fece Ed, preso in contropiede. Quell'uomo ci aveva messo un attimo ad incassare la notizia dell'esistenza di un altro mondo.
Ma quando lo vide infilarsi una mano fra i capelli e appoggiarsi al tavolo, capì che in realtà era sbigottito.
- Un altro mondo... eh, già – disse piano, come a se stesso.
Unì le mani sopra al tavolo, ignorandoli per qualche momento, e si voltò poi a guardare di nuovo il candelabro. Rimase a fissarlo per alcuni minuti, assorto, rivolgendo tutta la sua attenzione alla candela ancora spenta.
Se qualcuno avesse osservato l'ombra del candelabro dalla strada, avrebbe visto solo sette fiamme. Ma ciò non significava che non ci fosse ancora un'altra candela che attendeva di essere vista.
- Sapete, le nostre Scritture dicono che, in principio di ogni cosa, Dio “separò le acque di sotto dalle acque di sopra” - si voltò verso i due fratelli – Forse, in quel frangente, ha anche separato il nostro mondo dal vostro -.
Al scosse piano la testa.
- No, da noi non c'è niente di “separato”. Uno è tutto e tutto è uno -.
- Ah, già – il signor Roderich sorrise – Il discorso della prima sera -.
Sospirò sonoramente.
- Beh, suppongo di aver avuto quello che volevo – rifletté ad alta voce – È da quando siete arrivati che ci rimugino sopra, credevo di essere impazzito e di vedere un fantasma -.
Si alzò, dirigendosi verso la porta della cucina.
- Scusatemi, vado a fare qualcosa di normale. Magari in bagno -.
Ed e Al non fecero in tempo a guardarsi in faccia che riapparve sulla soglia.
- Ah, un attimo; ancora una cosa. Se non ho capito male, avete detto che di là le persone sono uguali a quelle di questo mondo – aspettò di vederli annuire, poi riprese: - Per caso avete conosciuto anche il me stesso dell'altra parte? -.
Le espressioni che fecero risposero per loro.
- Sì, eh? E... come sono? Cosa faccio? Cioè... cosa fa lui? - ci pensò sopra un momento – Sì, perché siamo due persone diverse, come te e Edmund... -.
Ed aprì la bocca. Poi la richiuse. Pensò a cosa dire, e aprì e richiuse la bocca un altro paio di volte, mentre il signor Rod attendeva sulla soglia.
- Accende il fuoco in un baleno – disse Al al suo fianco.
- Oh, davvero? Questo dovrei dirlo a Liza – aggrottò le sopracciglia – Hmm... no, meglio di no -.
E se ne andò definitivamente in bagno.
Dopo qualche istante di silenzio, Ed chiese:
- “Accende il fuoco in un baleno”? -.
- Beh, è stata la prima cosa che mi è venuta in mente – fece Al grattandosi la testa – Che gli potevo dire? -.
Si guardarono in faccia, augurandosi entrambi che il signor Rod fosse davvero nel bagno in fondo al corridoio, perché esplosero in una risata che fece sobbalzare Ned nel sonno.


Pensavano che a cena sarebbe scoppiato il finimondo, invece fu tutto normale. Lo zio di Win si comportò come se niente fosse accaduto- come se non avesse appena saputo che esisteva un altro mondo, da qualche parte.
- È un gran peccato – disse Win, lanciando un'occhiata al candelabro – Domani è l'ultimo giorno di Hanukkah, che tristezza -.
- Beh, dura già otto giorni. Pensa che i cristiani, per il Natale, ne hanno soltanto uno – fece la signora Eliza.
- Questo me lo dici tutti gli anni – replicò Win, sospirando – Però è triste lo stesso -.


Quella sera, sotto le coperte, Ed e Al non riuscivano a smettere di pensarci.
- Allora... - disse Ed a un certo punto - … forse è semplicemente per questo che Ned mi è saltato addosso la prima sera. Pensava che fossi tornato -.
- Ma... si è messo a leccare anche me. Come lo spieghi? - osservò Al.
Già. Come spiegarlo?
Ed sistemò meglio la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi.
Ciò che più di tutto non riusciva a dimenticare era quel ragazzino che sorrideva dalla foto. La sua controparte in quel mondo. Aveva sempre saputo che c'era, da qualche parte, solo non aveva mai seriamente pensato di potersene imbattere. Peccato non averlo potuto incontrare, anche se sarebbe stato un bel problema. Ed era un peccato per Win, che fosse morto due anni prima...
Spalancò gli occhi.
No. Era assurdo.
Cercò di dormire, ma il sonno era come svanito nel nulla.
E tentò di soffocare quella vocina che nella sua testa stava dicendo: “Due anni fa tu hai attraversato il portale”.
Due anni prima Edmund era morto. E, per diverse settimane prima di morire, era stato ossessionato da quei sogni sul suo mondo, tanto da parlarne a Win e scolpirne dei ricordi tangibili.
- Al – chiamò nel buio, come qualcuno che sta affogando – L'ho ucciso io -.
Si alzò, mettendosi seduto sul letto, mentre Al accendeva una luce e lo ascoltava.
- Ti ricordi quando ti ho parlato di Alfons? Quel giovane che costruiva razzi e ti somigliava moltissimo? -.
Al annuì.
- Io sono certo che fosse lui la tua controparte in questo mondo. Era malato da molto tempo, ma... - alzò il viso per guardare il fratello - … ma è morto quando io ho riattraversato il portale, come se in qualche modo fosse già stato stabilito che sarei tornato con te -.
Una scossa sembrò attraversare la schiena di Al, che saltò praticamente a sedere.
- Vuoi dire che... si tratta sempre del principio dello scambio equivalente? Anche qui? -.
Ed annuì.
- Credo di sì. Forse regola lo scambio tra i due mondi. Forse si era già squarciato qualcosa, prima ancora che attraversassi il portale: per questo Edmund aveva iniziato a fare tutti quei sogni sul nostro mondo -.
Ed si guardò le mani, una color carne e l'altra molto più pallida.
- È morto quando sono arrivato io. Sono un assassino – mormorò.
- Non più di me, se la nostra ipotesi è corretta – disse di rimando Al – Sai, anch'io prima di attraversare il portale facevo strani sogni su noi due che costruivamo una macchina per andare nello spazio. Ma come potevamo saperlo? -.
Ed scosse la testa.
- Non potevamo – ammise, ributtandosi sul materasso mentre Al spegneva di nuovo la luce.
Ma ciò non cambiava il fatto che fosse comunque tutta colpa sua. Come sempre.
“Avrebbe anche potuto essere l'amore della mia vita” aveva detto Win. “Gli avrei chiesto di sposarmi, così avrei avuto di nuovo una famiglia”.
Lui aveva fatto una trasmutazione umana, per riuscirci.
E aveva ucciso un ragazzino di tredici anni con la sua sola presenza in quel mondo, semplicemente attraversando il portale.
- Ed – sentì la voce di Al dal letto accanto – Smettila di incolparti. Non è stata colpa tua -.
- Sì, lo so. Lo so -.
Ma non riusciva a smettere di pensare a come l'avrebbe presa Win, se avesse saputo di avere in casa l'assassino del suo migliore amico.






Quest'idea mi è venuta la prima volta che ho visto il film di Fma. Mi è sembrato troppo... “preciso” il momento della morte di Alfons, e quando poi Al ha attraversato il portale mi è subito venuto il dubbio: “Vuoi vedere che c'entra anche qui lo scambio equivalente?”. Non so, è solo un'ipotesi. Voi che ne pensate?


MusaTalia: no, davvero ti sto facendo apprezzare la prima serie e il film? Quale risultato! Scherzi a parte, non sai quanto gongolo quando leggo le tue recensioni, anche se mi stai viziando un po' troppo. Felice che il Rod/Liza ti sia piaciuto; anche tu mi invogli a scrivere un'intera long su di loro, perché in effetti qui non ho dedicato moltissimo spazio a tale coppia. Ma è la prima volta che tratto il Roy/Ai (o una specie), perciò ci sono andata con i piedi di piombo. Quasi quasi potrei lanciarmi nell'impresa, però. ^^
Buon anno!
Shatzy: adesso devi aspettare solo nove mesi per vedere il pargolo! ^^ Scherzi a parte, come hai visto anche Ed e Al hanno spifferato tutto- a parte il fatto che Ed andava a raccontarlo come niente fosse perfino nel film, secondo me è già tanto se non lo hanno internato.
In effetti ho studiato tedesco per alcuni anni, a scuola, ma la cultura e la letteratura germaniche mi hanno sempre affascinato. Ovviamente mi sono informata un bel po' per scrivere questa storia, e se l'atmosfera risulta in qualche modo “autentica” non posso che esserne felice. Tengo sempre molto alle ambientazioni.
In ogni caso il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e non so se la trama lasci qualche dubbio, ma certi aspetti verranno comunque approfonditi più avanti.
Tra l'altro, devo ancora ringraziarti per la recensione a “Di specchi, fuoco e foto” nel fandom di “Cardcaptor Sakura”: a me non sono sembrate granché quelle tre drabble, ma se a qualcuno sono piaciute ben venga! Se ritornerai in “periodo Clamp” sappi che ho pubblicato un'altra long incentrata su Nadeshiko, personaggio che trovo estremamente affascinante anche se un po' fuori di testa- ritengo che Sakura abbia preso da lei. ù_ù
Anzi, se vuoi leggere qualcos'altro su di lei ti consiglio “Vento (una storia di cibo cucinato male” di Return_to_Nibelheim: io la trovo semplicemente splendida.
Spero che tu stia meglio, e ne approfitto per farti tanti auguri di buon anno nuovo!


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Capitolo 8
*** Il tempo gira in tondo ***


8- Il tempo gira in tondo Il tempo gira in tondo


Era da un po' che i due fratelli Elric avevano trovato lavoro, perché non avevano nessuna intenzione di approfittare della gentilezza di Win e dei suoi zii. Al aveva iniziato a lavorare presso un vecchio farmacista: le sostanze presenti sugli scaffali gli erano più o meno tutte note, e ci aveva messo un attimo a comprendere le varie miscele che i clienti richiedevano. Medicine o veleni; nient'altro.
I costi erano davvero proibitivi, ma ogni tanto riusciva a passare al giovane Wilhelm qualche grammo di medicina in più senza fargliela pagare, e il ragazzino lo ringraziava sempre con un largo sorriso.
Ed, dal canto suo, era riuscito ad infilarsi all'Università di Berlino come assistente di un professore di chimica. Era uno dei professori più anziani, pacato e tranquillo, che prima dell'ultima guerra aveva assistito a quella franco-prussiana. Tutto sommato, non era preoccupato per i tempi che correvano: sosteneva che sarebbe morto prima dello scoppio della prossima guerra, per cui era il caso che continuasse le sue ricerche finché poteva.
Ed aveva inconsciamente ringraziato il cielo quando l'aveva incontrato la prima volta: una faccia completamente sconosciuta, finalmente. Un estraneo, in ogni senso del termine.
Un estraneo bizzarro, comunque. L'unica cosa che gli aveva chiesto prima di prenderlo a collaborare con sé era stata la legge di Lavoisier.
- La massa complessiva dei reagenti è uguale alla massa complessiva dei prodotti – aveva risposto pronto Ed, che aveva imparato da tempo i nomi delle leggi chimico-fisiche di quel mondo.
- In altre parole?
Ed sorrise sardonico, sperando che l'uomo non fraintendesse la sua espressione.
- Nulla si crea e nulla si distrugge...
- ... ma tutto si trasforma – completò l'anziano professore, squadrandolo attentamente. Chissà se immaginava che quello poteva anche essere il principio base dell'alchimia – Bene. Vieni, ti mostro il laboratorio.

 
In realtà Ed sospettava che quella domanda non fosse servita a niente, e che il professore volesse piuttosto vedere le sue capacità sul campo, decidendo in seguito se farlo rimanere o no.
Comunque fosse, arrivò il 1924. E ogni mattina lui continuava a recarsi lì.
Si era consigliato con Al prima di presentare richiesta come assistente di laboratorio; di comune accordo, avevano pensato che se c'era un posto in cui raccogliere informazioni su quella terribile arma che stavano cercando, quello era di certo l'università.
Tuttavia non sembrava esserci alcuna novità.
- Edward, mi piace come lavori – disse il professore una mattina di gennaio, mentre Ed si destreggiava abilmente tra le provette – Ma cerca di stare calmo. Non credo che salveremo il mondo entro la fine del mese.
Ed doveva averlo guardato in modo piuttosto perplesso, perché l'uomo sorrise e spiegò:
- Ti comporti come se tutte le risposte fossero nella scienza. Mi spiace doverti rivelare che non è affatto così.
- Ma... professore – aveva risposto lui, non sapendo come ribattere – Io... pensavo che...
- No, no – si era tolto gli occhiali, strofinandosi gli occhi stanchi le cui palpebre erano piene di rughe – Prova a riflettere un momento: la scienza si limita a descrivere un mondo che esiste comunque, ci affatichiamo tanto a cercare delle leggi che la natura applica con naturalezza, con quell'uguaglianza che all'uomo sarà sempre sconosciuta. Aiutiamo la nostra specie, questo sì, ma non siamo Dio.
Ed aveva aperto la bocca, ma l'aveva anche richiusa. Dio. Perché quella... cosa, che di scientifico non aveva assolutamente niente, continuava a perseguitarlo così? Perché la gente di quel mondo non riusciva a pensare ad altro?
- Sì, come no... - bofonchiò, alle prese con un travaso delicato.
- Prego?
Ed arrossì, leggermente imbarazzato. Per quanto quell'anziano professore fosse miope, a quanto pareva con l'udito non aveva problemi.
- Sei ateo?
- Io... beh, diciamo di sì...
- In qualcosa devi pur credere, però. Altrimenti perché avresti dovuto salutare quell'orfano di guerra, l'altro giorno?
Ah, già. Uscendo dal cortile dell'università aveva incontrato Wilhelm di ritorno dalla farmacia. Al doveva essere riuscito a fargli avere parecchia medicina in più, perché aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
- In realtà sua madre è ancora viva. Ma come fa a sapere che è...?
- Si riconoscono a colpo d'occhio, non temere. E non tutti quelli che studiano o lavorano qui l'avrebbero salutato come hai fatto tu. Non siamo mai stati tutti sulla stessa barca.
Ed non rispose. La guerra era finita da parecchi anni, ormai, ma la crisi non dava segni di miglioramento. E sembrava che ognuno avesse la propria opinione personale, al riguardo.
Tuttavia, dopo quelle settimane, si ritrovava a dare ragione a Noa: la famiglia del signor Roderich non si stava facendo trascinare da niente di sbagliato, ed era un vero sollievo.
Sorrise inconsciamente, mentre la soluzione iniziava la reazione desiderata.


Aveva sempre paragonato la chimica di quel mondo all'alchimia, in un certo senso. Niente magie: una semplice combinazione di elementi che, se trattati nel modo giusto, davano il risultato sperato.
Era anche vero che non avrebbe mai riparato una radio con la chimica, ma l'aver scoperto quel piccolo, innocente legame gli bastava.
Non aveva ancora trovato notizie sulla famosa arma che lui e Al dovevano cercare; nei laboratori attigui a quello dove lavorava si andava facendo parecchia ricerca relativa all'ambito bellico, che il professore tuttavia non approvava.
- Senta, professore – disse un giorno Ed – Ha mai sentito parlare di una... bomba all'uranio?
- Bomba all'uranio? - l'uomo alzò le sopracciglia cespugliose, pensandoci sopra – In ambienti accademici non mi sembra... sarebbe una nuova arma?
Ed annuì, e tacque un momento per accertarsi che non ci fosse nessuno oltre a loro.
- Un'arma terribile, da quello che so. Non conosco precisamente i suoi effetti, perché nessuno l'ha ancora utilizzata, ma ritengo che bombe normali e carri armati sembrerebbero dei giocattoli, in confronto – spiegò.
- Capisco... beh, la cosa non mi stupisce. In ogni nuova guerra si utilizzano nuove armi: nell'ultima hanno usato il gas, e so che da parecchio tempo si vanno facendo esperimenti sulla radioattività dell'uranio... - raddrizzò la schiena, sembrando ancora più stanco – È un elemento potenzialmente letale in ogni sua forma: non riesco nemmeno ad immaginare che effetti potrebbe avere se ne venisse realizzata una bomba...
Sospirò.
- Sai, Edward, non dare per scontato che ci saremo sempre. Non dico solo in quanto individui, ma come umanità. Possiamo credere ciò che vogliamo, ma siamo più fragili di un soffione – sorrise, perso in qualche ricordo lontano – Sai che da bambino vivevo in campagna?
Ed impiegò un attimo a seguire il filo di quel ragionamento, perché a volte il professore saltava di palo in frasca.
- Sì – disse poi – Anch'io vivevo in campagna.
- Quando scoppierà la guerra, mollerò tutto e tornerò al mio villaggio natale. Prenderò una mucca e un maiale e aspetterò serenamente la morte – sorrise soddisfatto – Che bel programma.
- Lei... crede che scoppierà un'altra guerra?
- Se lo stomaco della gente continua a rimanere vuoto, è probabile. Su, lavami queste provette.


A febbraio cominciò a piovere. Piovve tanto che Ed temette che la signora Eliza si fosse presa un virus allo stomaco portato da quella strana perturbazione, perché la donna accusava frequenti nausee e sembrava particolarmente infastidita dall'odore delle cipolle. Andò dal medico, ma ci volle un po' perché quei sintomi passassero.
Una volta in cui fece un salto nel laboratorio di Win per esaminare i progressi dell'orologio, la trovò che vi si stava proprio dedicando.
- Ehi, Win, adesso tua zia si sente meglio? - domandò Ed dopo un po'.
- Eh? Ah sì, le nausee le sono passate – rispose lei, concentrata sull'ingranaggio della sua impresa.
- E che cos'aveva? Non credo una malattia infettiva, visto che poi non l'ha presa nessuno...
- Come? - stavolta Win aveva alzato gli occhi dal proprio lavoro, guardandolo quasi divertita.
- Perché stava male? - ripeté Ed.
- Perché è incinta.
- Ah, è... cosa?
- Aspetta un bambino – spiegò lei.
- Sì, ho capito... m-ma... - balbettò Ed, sbigottito.
- Dovrebbe essere intorno al secondo mese – lo informò – Se tutto va bene, mio cugino nascerà per settembre.
- Oh. È... è bellissimo – dopo la sorpresa iniziale, Ed si scoprì sinceramente contento. Un bambino. All'improvviso rivide, con gli occhi della memoria, la moglie di Hughes e la nascita della piccola Elycia. Sorrise. Chissà se lo Hughes di quel mondo si era già dichiarato alla sua Glacier.
Win si voltò verso il suo orologio, tornando al lavoro.
- Che c'è? Non sei contenta? - le chiese.
- Certo che lo sono. È solo che... sai, è come se questo bambino incalzasse ulteriormente il tempo. Prima voi due, e adesso lui – disse senza voltarsi, sospirando – Non capisco più se stiamo andando avanti o indietro.
Qualcosa di quel discorso gli stava sfuggendo, perché le parole di Win gli risultarono tutt'altro che chiare.
- Che cosa vuoi dire?
- Guarda che non sono una sciocca. Mi sono accorta da tempo che sei identico a Edmund – lo guardò, con un sorriso triste – Ma non sei lui.
Tornò ad occuparsi del quadrante, su cui stava finalmente sistemando le lancette.
- Sai, a forza di riparare orologi ho imparato una cosa – seguì col dito il cerchio delle ore, partendo dal numero XII e tornandovi lentamente – Il tempo gira in tondo, ma non è mai lo stesso. Per questo è come se un riflesso di Ed fosse tornato attraverso di te.
Sospirò.
- Io lo so che devo andarmene da qui. Perché il tempo va avanti, senza che nessuno gli dica di farlo – guardò Ed, sorridendo – Forse.
Lui sorrise di rimando, ben sapendo che il tempo sarebbe andato avanti anche per loro.
- Ah già, mio zio ha anche cominciato a costruirmi il carillon – aggiunse – Sai, è così di buonumore che ne ho approfittato...
- Quindi hai scelto la melodia?
- Sì, credo di sì... - rispose Win, titubante.
- Non sembri molto convinta.
Lei sorrise, quasi colpevole.
- È che sono una perfezionista. Deformazione professionale – si giustificò – Ne sarò veramente convinta solo quando la sentirò col meccanismo in funzione.
- Se quella canzone si è finalmente fatta scegliere, sono sicuro che andrà bene – disse Ed, infilando la porta per andare subito a dire ad Al della signora Eliza.
Però... - pensò, mentre percorreva il corridoio e saliva le scale- però gli sarebbe davvero piaciuto vedere il signor Roderich alle prese con il carillon. Chissà se gli riusciva meglio che accendere il fuoco.


Una mattina di marzo, quando finalmente un sole malaticcio aveva iniziato a far capolino da dietro le nubi cariche di pioggia, Win si precipitò in camera dei due fratelli.
- Ehi, sveglia! L'ho finito! - esclamò, con una tonalità di voce leggermente troppo alta per quell'ora.
- Eh? Cosa? - borbottò Ed, ancora intontito dal sonno.
- L'orologio! Avanti, alzatevi!  

Due minuti dopo, non ancora svegli del tutto, si trovavano nel laboratorio di Win. La ragazza spostò tutti i suoi attrezzi dal tavolo, caricò l'orologio e regolò l'ora.
- È un momento solenne, niente sbadigli! - li ammonì.
Attesero un paio di minuti, facendo del loro meglio per tenere gli occhi aperti, ma quando scoccò l'ora il sonno si volatilizzò come fumo nel vento.
Le ante del Portale si aprirono rivelando i personaggi all'interno, mentre una melodia tintinnante si diffondeva dal quadrante, una nota dopo l'altra. Una melodia che non conoscevano, ma che a Ed fece quasi venire un nodo alla gola. (¹)
- Che... che canzone è? - chiese Al, che non riusciva a staccare gli occhi dall'orologio.
- Una vecchia melodia russa. La trovavo adatta, voi che ne dite?
Era... estraniante. Le figurine si muovevano in circolo, seguendo quella musica, ed era come se quello da cui lui e Al venivano fosse davvero diventato un mondo dentro l'orologio. Nient'altro che il ricordo del sogno di qualcun altro.
Che esisteva da tempo immemore e sarebbe continuato per sempre. Ma da un'altra parte. Dove loro non c'erano.
- Lo sai, Win? - mormorò Ed – È davvero bellissimo. Sono sicuro che tuo padre non avrebbe saputo fare un lavoro migliore.
Lei gli sorrise orgogliosa. Forse, senza rendersene conto, quella ragazza aveva davvero capito qualcosa. Altrimenti perché mostrare il suo tesoro a due forestieri che conosceva solo da qualche mese, prima ancora che ai suoi zii? Perché non trovare strano il fatto che loro stessero quasi per mettersi a piangere di fronte a un orologio?
Ed promise di nuovo, a se stesso e a quell'oggetto, che avrebbe fatto qualunque cosa per salvare quel mondo. Che avrebbe impedito a chiunque di usare quell'arma assurda e, se fosse scoppiata una guerra, che avrebbe protetto quella famiglia. Anche se Al avesse dovuto prendere un'altra strada.
Lo doveva anche a quel ragazzino che era morto per colpa sua, e che forse era stato una persona migliore di lui.
Se nessuno aveva creato il mondo, nessuno l'avrebbe fatto finire.
Le note del carillon si spensero lentamente, le porticine si chiusero e il mondo nell'orologio tornò al buio.
La lancetta scoccò il minuto.





(¹) Per la melodia del carillon immaginatevi “Bratja”, la canzone di “Full Metal Alchemist” 



Sapete, questo finale suona beffardo anche a me che l'ho scritto. Perché sappiamo tutti com'è andata poi a finire.
Il titolo di questo capitolo è una citazione tratta da “Cent'anni di solitudine” di Gabriel Garcìa Màrquez- che all'epoca in cui è ambientata la storia non era ancora stato pubblicato. XD
In realtà questa frase ha ispirato anche l'intera serie che leggerete (spero), dato che si adatta alla perfezione alla storia di Ed e Al: il tempo ha girato in tondo, per loro, portandoli ad incontrare sconosciuti già noti- a volte veri e propri fantasmi- e a rivivere storie simili alle avventure passate (come vedrete), in una girandola di tempo e ricordi che si rincorrono.

Invito tutti coloro che hanno letto, seguito, ricordato e preferito questa storia a commentare perlomeno l'ultimo capitolo... anche per farmi sapere cosa ve ne è sembrato. ^^

Se questa storia vi è piaciuta, vi invito a leggere anche il suo spin-off: “Regentage- Giorni di pioggia”.
Inserirò lì le risposte alle recensioni di questo capitolo.


Rispondendo alle recensioni:
Shatzy: dato che non c'è un'interpretazione ufficiale della morte di Alfons Heiderich, credo siamo liberi di immaginarci ciò che vogliamo... e visto che lo scambio equivalente regna imperante, ho pensato che magari non c'è proprio verso di liberarsene.
A mio parere Ed è talmente abituato a sentirsi il responsabile di tutto che forse non si libererà mai dei suoi sensi di colpa... anche nell'anime, perfino quando non c'entrava niente, riusciva comunque a sentirsi parte in causa. O_O
Immedesimandosi un po', io credo sia difficile sapere che il trovarsi in un altro mondo, lontani da casa propria per sempre, sia il risultato di una concatenazione di eventi a cui abbiamo dato inizio noi e noi soltanto. Perché l'idea della trasmutazione umana è stata di Ed, e senza quella non sarebbe successo nulla di ciò che è accaduto dopo- o, perlomeno, i fratelli Elric non ne sarebbero stati coinvolti. Ma che discorso contorto! Se comincio con le mie teorie su FMA non la finisco davvero più... e pensare che non ho nemmeno letto il manga! Va bene, basta, la concludo qui. ^^
Spero che ti sia piaciuto anche l'ultimo capitolo, anche se non è che succeda molto... più che altro, si sedimentano un po' di cose. Alla prossima! ^^
MusaTalia: ti dirò, se c'è una cosa che non riesco proprio ad immaginarmi sono Roy o la sua controparte in preda ad una crisi isterica... Ed sì, e ci starebbe anche bene, ma Mustang... o_o
Io finora ho scritto soltanto di Ed e Al, forse perché sono talmente realistici da sembrare veri, delle persone in carne ed ossa (e metallo)... e poi muovere dei ragazzi è in linea di massima più semplice che destreggiarsi con degli adulti- almeno per me.
Anche a me piace speculare su ciò che leggo, specialmente se quello che leggo mi piace davvero- e non capita spesso nemmeno a me. Ci sono parecchi autori, qui su EFP, che meritano davvero, anche se ovviamente sono quelli che di solito ricevono meno recensioni... quindi anch'io cerco di sbrodolarmi un po', in quei casi. ^^
Sperando che anche l'ultimo capitolo ti sia piaciuto... alla prossima! ^^
Birby: spero che nemmeno l'ultimo capitolo ti abbia deluso (sarebbe molto triste cadere proprio sull'ultimo!), ma ti assicuro che la storia non finisce qui. Se ti piace Al- tra parentesi, il mio personaggio preferito ^^- sappi che la prossima storia è incentrata soprattutto su di lui.
Oh, bene: i sostenitori dello scambio equivalente tra i due mondi si moltiplicano! So che non c'è un'interpretazione “ufficiale” al riguardo, ma questa la trovo terribilmente affascinante... per quanto terribile.
Per quanto riguarda Win... non so, ho in mente degli sviluppi un po' diversi rispetto al personaggio che conosciamo; anche se a dire il vero non sono mai riuscita ad inquadrarla bene, la trovo un po' sfuggente. Ma forse è solo una mia impressione...
E sì, anch'io adoro la parte del funerale di Alfons, soprattutto la musica. È così... non so come definirla, ma se “Bratja” è perfetta per la prima serie di Fma, il “Requiem” è perfetto per il film.

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