Falling in love di Ciribiricoccola (/viewuser.php?uid=31922)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I've got you ***
Capitolo 2: *** Can't stop diggin' the way you make me feel ***
Capitolo 3: *** We'll be going through the motions, go go go! ***
Capitolo 4: *** Party girl ***
Capitolo 5: *** For tonight you'd better stay with me ***
Capitolo 6: *** Met this girl ***
Capitolo 7: *** I'm looking at you from another point of view ***
Capitolo 8: *** Let's convince ourselves it's all under control ***
Capitolo 9: *** Please please ***
Capitolo 10: *** Is it all just a sign of what is meant to be? ***
Capitolo 11: *** I don't know what to do, what to say ***
Capitolo 12: *** It cheers you up when you feed it, but everyone needs to eat ***
Capitolo 13: *** You're pushing me out when I wanted in ***
Capitolo 14: *** Everybody's having fun to the sound of love ***
Capitolo 15: *** This is goodbye ***
Capitolo 16: *** I drowned all those feelings in the flood ***
Capitolo 1 *** I've got you ***
clarissa
McFlyane e non... Salve a tutte!
E... date un caloroso bentornato a Clarissa!!!
Sì,
è tornata, l'ho fatta tornare, non potevo farne a meno, non dopo
una storia così lunga ed importante come "Point of view", che mi
auguro vi abbia segnato come ha segnato me.
In
questa seconda parte della sua storia con i McFly succederanno un
pò di cose. Già so che vi arrabbierete e che proverete
ansia come avete fatto in "P.O.V.", ma non voglio anticiparvi niente!
Per adesso vi lascio il primo capitolo, che può essere visto
anche un pò come il prologo di tutta la vicenda. Non
preoccupatevi se lo troverete noioso, perchè... il bello deve
ancora venire. Si sa, Clarissa deve carburare un pò prima delle
sue sgassate :).
Spero di ritrovare le mie fantastiche recensitrici di "P.O.V.", e magari anche qualche new entry! Ma intanto... buona lettura!
Un abbraccio dalla vostra sempre fedele
Ciry
NB: i McFly non mi appartengono, questa storia è frutto della mia fantasia e viene pubblicata senza scopo di lucro.
Clarissa sorrise, stupita,
e raggiunse Danny in camera da letto.
“Hai suonato quel che
penso?” gli domandò speranzosa, interrompendo il suo strimpellare a letto.
“Cosa? I Beatles?” chiese
il ragazzo a sua volta, ammiccando.
“Tu suoni i Beatles?!”
“Qualche volta…”
“C’è vita dopo Bruce
Springsteen? Non ci posso credere!” esclamò la ragazza, prendendolo in giro e
facendogli scuotere la testa con un sorriso.
“Sì, riesco a suonare
anche altre canzoni, ok?”
“Sì, ma quella non era né Yesterday, né Help!, né nessun’altra commercialata!”
“E allora?”
“E allora conosci anche
gli inediti dei Beatles, tu?” gli fece, avvicinandosi al letto per poi sedersi
accanto a lui.
Danny scosse nuovamente il
capo, reprimendo una risata, e tornò a strimpellare senza risponderle… Pochi
secondi dopo, confermò i sospetti della sua ragazza, canticchiando.
Who knows how long I've
loved you…
You know I love you still…
“Lo sapevo!” lo interruppe
Clarissa, stampandogli un bacio sulla tempia.
“Donna di poca fede che si
ostina a credermi un musicista ottuso ed ignorante…” la canzonò il ragazzo, per
poi posare la sua chitarra acustica accanto al letto ed intrappolare la
fidanzata nella propria stretta affettuosa.
Clarissa finse di
lamentarsi, simulò una ferrea resistenza per qualche istante e poi scoppiò a
ridere, ricambiando l’abbraccio di Danny e lasciandosi finalmente baciare con
trasporto.
La osservò dormire e
sorrise, divertito: aveva la bocca semi-aperta e aveva sbavato sul cuscino, ma
anche un po’ sul suo torace.
Le accarezzò delicatamente
i capelli e sospirò, un po’ stanco, ma felice.
Il braccio di lei si mosse
per cingergli meglio il busto.
Si spostò leggermente per
darle più spazio e accoglierla sotto la sua spalla, dopodiché si mise a fissare
il soffitto, pensieroso.
Era riuscita a farlo
sentire un uomo felice e forse neanche se n’era resa conto.
Era determinata, forte e
capace di trasmettergli un’energia che non aveva mai saputo di possedere.
Era tutto racchiuso lì, in
quel metro e sessanta stentato, in quella testolina bionda.
Semplicemente incredibile.
Aveva sempre pensato che
lo fosse, ma da un paio di anni a questa parte, l’effetto che aveva su di lui
si era rivelato ogni giorno più forte, più positivo, più devastante e più
benefico.
Anche i ragazzi non
mancavano di farglielo notare: gli dicevano che erano una coppia perfetta, che
a lui faceva bene una relazione così, stabile e serena.
Ma soprattutto divertente.
Perché Clarissa era più
divertente di quanto mai potesse immaginare!
Lo faceva ridere ogni
volta che provava, senza successo, a suonare la chitarra e, due minuti dopo, si
spazientiva.
Lo faceva sentire compreso
quando lei si dimostrava d’accordo con i suoi punti di vista, anche quelli più
bislacchi.
E lo faceva diventare
letteralmente pazzo a letto.
Si ricordava, e anche
piuttosto piacevolmente, di molte ragazze disinibite che gli avevano fatto
compagnia nelle sue notti brave, e Clarissa non era certamente la prima che
faceva sesso con lui, no. Nessuno dei due era un novellino.
Lui, poi, poteva sfoggiare
un’esperienza piuttosto notevole; Clarissa no, era solo al suo secondo ragazzo.
Ebbene, sembrava nata
apposta.
Bella da star male, senza
nessuna vergogna, passionale, versatile ed instancabile.
Se due anni prima glielo
avessero detto, non ci avrebbe mai creduto: aveva sempre conosciuto la Clarissa
riservata e meditabonda, seppur anche socievole e alla mano.
E chi se lo immaginava che
potesse avere un’altra faccia, così opposta a quella che mostrava al mondo?
Clarissa si svegliò,
muovendosi pigramente al suo fianco, e lo distolse dai suoi pensieri.
“Mmmhhh…”
“Buongiorno…”
“’Giorno…”
“Dormito bene?”
“Sì… Tu? Hai dormito?”
“No, non tanto…”
“Uffa…” si lamentò la
ragazza “Potevi svegliarmi, almeno ti facevo compagnia, invece di lasciarti a
tu per tu con il soffitto…”
“Guarda, che mi sono
divertito a guardarti mentre spargevi saliva dappertutto!” ridacchiò Danny.
“Che schifo!” reagì lei,
mettendosi una mano davanti alla bocca per poi ridere insieme a lui.
“Dan, non esiste. Ok? Non
mangerò roba cucinata su quel fornello!”
“C’è una macchia d’olio,
Clarissa, una! Singola, sola!”
“E non voglio neanche
sapere da quanto è lì! Mi basta sapere che c’è e basta…”
“Va bene, va bene, ora
prendo lo sgrassatore e…”
“Ogni volta devo fartelo
notare, prima che tu ti applichi! Non ci arrivi proprio!”
“Quante volte sarà
successo, forza?!”
“Più di una volta, e io me
lo ricordo, non negarlo!”
“Più di una volta, sì,
ovvero due!”
“Magari!”
“Clarissa, lasciatelo
dire: sei noiosa, quando fai così...”
“E tu sei negligente, va
bene? Mi giro un attimo, per una mezza giornata non penso a pulire la cucina e
figurati se mi posso affidare a te!”
Clarissa uscì dalla cucina
e andò a chiudersi nella stanza degli ospiti, sbuffando rumorosamente.
Si era appena accasciata
sul letto, quando il cellulare vibrò nella tasca laterale dei suoi jeans.
“Pronto?”
“Thompson! Ti disturbo,
stavi mangiando?”
“Buongiorno, Tom… No, no,
tranquillo, ero qui in camera a… non fare niente…”
“Ho interrotto te e Danny?
Ti supplico, dimmi di no o mi metto a ridere come un isterico!”
Clarissa sorrise e
ribatté: “No! Sono sola, in questo momento!”
“Ah! Jones è fuori?”
“No, sta in cucina…”
“Ti prepara i
manicaretti?”
“No, pulisce il piano
cottura, dato che lo ha lasciato incustodito per due giorni… Io mi ritrovo a
fare l’inventario e questa casa automaticamente diventa un porcile…”
Colta l’arrabbiatura nella
voce della sua migliore amica, Tom sdrammatizzò: “Tu sei una fiscalista e lui
un musicista, neanche riesco a capire come due come voi riescano a stare
insieme, quindi sii buona, dài, non maltrattarmelo troppo, eh?”
“Tom…” sospirò di rimando
Clarissa “La convivenza è questo ed altro. Io non dico che lui sia un
fannullone che bivacca dalla mattina alla sera, è solo che a volte… non
collabora,non c’è niente da fare!”
“Datevi tempo, piccioncini!
Penso di potermi permettere di darvi questo consiglio! La strada è lunga e
tortuosa, e alla fine, forse, arriva l’armonia… Sottolineo il FORSE: Gi ancora
si ostina a lasciare accesi tutti i lampadari di casa al suo passaggio, perché
il buio mentre cammina le da fastidio… e conviviamo da tempo immemore!”
La ragazza sbuffò, presa
in contropiede: sapeva che Tom aveva ragione, come aveva avuto ragione
moltissime altre volte con lei.
“Fate i bravi, Claire,
su…” la esortò il ragazzo, per poi chiederle: “Perché stasera non venite a cena
da noi? La zia di Gi ha portato le tagliatelle fresche!”
“Perché no? È allettante
la cosa! Se non ammazzo prima il tuo amico chitarrista, veniamo da voi alle
sette e mezza, ok?”
“Dio ci salvi… Perfetto,
sette e mezza, casa Fletcher. E portamelo intero! A stasera, Claire, ciao!”
“Ciao, ciao…”
Riattaccò e si mise una
mano tra i capelli, sospirando.
Lei fiscalista e lui
musicista.
Sì, ci aveva azzeccato,
come al solito.
Ma lui aveva bisogno di
lei per sentirsi sicuro e stabile.
E lei aveva bisogno di lui
per sentirsi viva.
Danny bussò alla porta e,
non ricevendo risposta, si affacciò qualche secondo dopo, trovandola seduta sul
bordo del matrimoniale.
“Ehi…” la chiamò piano;
lei si voltò a fissarlo, inespressiva.
“Io di là ho… sistemato.
Ti va una bistecca ai ferri?” propose il chitarrista.
“… Per me fa lo stesso” fu
la laconica risposta da parte di lei, che però si pentì quasi immediatamente.
Sperò che non se ne
andasse o che non si arrabbiasse per il tono che aveva usato.
E infatti le si sedette
accanto, poggiando la fronte contro la sua tempia.
“Mi dispiace, so di fare
ancora schifo come casalingo… ma voglio migliorare…” le disse con voce triste.
Clarissa cedette, si voltò
per appoggiare la propria fronte contro la sua e ribatté: “Scusa anche tu… Sono
una… fiscalista. E dovrei smettere di esserlo, lo so.”
Danny le baciò il naso e
commentò con una punta di amarezza nella voce: “Litighiamo sempre per delle
cazzate…”.
La ragazza sorrise, un po’
triste, e non rispose, limitandosi a tenere lo sguardo basso.
Danny la imitò nel suo
mutismo per un po’, finché non le prese il viso tra le mani per rassicurarla…
“E se ci venissimo
incontro a vicenda? Sicuramente andrebbe meglio, ti pare?” propose.
La ragazza tentennò un po’
prima di annuire e aggiunse: “Non sarà facile, lo sai, vero?”
“Ma se non ci proviamo,
non lo sapremo mai…”
Il suo sorriso ottimista
la rinfrancò.
Lo strinse a sé, godendosi
il profumo naturale della sua pelle, mescolato a quello pungente dello
sgrassatore.
Danny la mordicchiò
scherzosamente sul collo, facendola sobbalzare.
“Ahi, scemo!” esclamò con
un sorriso.
“Ho fame!” reagì il
ragazzo.
“Romantico… come al
solito!”
“Ti porterò in cucina in
braccio!”
“Ma non ci pensare
neanche, non sono mica parapl…”
Protestò inutilmente,
orami intrappolata tra le braccia del suo ragazzo.
Quel testone.
Quell’adorabile testone.
Clarissa gli schiaffò un
bacio in guancia e si lasciò portare in cucina per pranzare, finalmente.
***
Note:
Danny canticchia la canzone dei Beatles, "I will". Non c'è nessuno scopo di lucro!
I titoli utilizzati nella FF sono tutti tratti dalle canzoni dei McFly, sia nei titoli che nei testi.
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Capitolo 2 *** Can't stop diggin' the way you make me feel ***
clarissa
Salve a tutti!!!
Posto
più che volentieri questo secondo capitolo per due ragioni: il
primo è stato noioso e statico, e anche se era necessario
costruirlo in quel modo, era altrettanto giusto dargli al più
presto un successore! E l'altra ragione... bé, magari dopo
averlo postato avrò più attenzione su questa storia da
parte vostra :).
Detto
questo, ringrazio RubyChubb, ormai onnipresente come critica,
sostenitrice ed amica quando scrivo una storia. E anche quando, invece
che Ciry, sono solo Silvia :).
E grazie anche a chi ha visitato la mia storia senza recensirla!
un pensierino è comunque più che gradito, anzi, è linfa :)
Ciry
La cena a base di
tagliatelle ai funghi cucinate da Gi aveva rasserenato gli animi di tutti, e
soprattutto aveva riempito a dovere gli stomaci: Tom e Danny stavano giocando
con Marvin in giardino, mentre Clarissa e Giovanna bevevano del tè freddo,
sedute sul divano in salotto, di fronte ad un gioco da tavolo a cui Danny aveva
vinto e che ora nessuno considerava più.
“Che pace, quando i
bambini non sono nei dintorni!” scherzò Gi, facendo riferimento ai due ragazzi.
Clarissa commentò con una
risatina mentre beveva, e gettò un veloce sguardo fuori dalla finestra per
scorgere Danny, massacrato alle braccia dai piccoli artigli del gatto.
“Tranquilla…” le fece
l’amica, sorridendole con fare canzonatorio “Non scapperà da un momento
all’altro, ormai lo hai preso al guinzaglio… e poi guarda verso questa
benedetta finestra da quasi mezz’ora, a intermittenza! Gli verrà il torcicollo
e neanche te lo rinfaccerà!”
La bionda fece finta di
offendersi e fece una smorfia prima di affermare: “Non posso farci niente, va
bene, brutta invidiosa?!”
Giovanna rise e ribatté:
“Per carità! Ho deciso di non commettere mai nella vita l’errore di infatuarmi
di Danny quindici anni fa, quando vidi per la prima volta la sua stanza! Un
trauma, decisamente peggiore di quello che mi causò la vista della camera del
tuo amico, là fuori!”
“Lascia stare Fletcher,
strega! Lui è sempre stato adorabile, e lo sai!” reagì l’amica con tono
scherzoso, ma convinta della sua affermazione.
“Ma sì, ma sì… Molto
spesso lo è … ma molto spesso è anche detestabile, fidati…”
“Personalità da
musicista…”
“Personalità da rompipalle,
altroché! Negli ultimi anni è diventato ancora più pignolo di prima, poco ci
manca prima che trovi il coraggio di fargli lo scherzo di poggiare un bicchiere
bagnato sul tavolino da fumo senza sottobicchiere! Solo per vedere come
reagisce! Perché c’è da riderne…”
“Tom… A Tom importa di
queste stronzate?”
“Sì! Ma non si mette ad
alzare la voce e a dire Cazzo, Giovanna,
una volta per tutte, impara che ci vuole il sottobicchiere!... No! Lui
borbotta! Inizia con un gorgoglio sommesso, mi lancia due o tre occhiate
fulminanti, ma intanto non mi dice niente di umanamente comprensibile! E alla
fine, quando gli chiedo cosa c’è che non va, lui sbotta, mi indica il bicchiere
e dice sempre e solo Ma ci arrivi o parlo
con i muri?!!!! “
Clarissa inarcò un sopracciglio,
perplessa, e Giovanna annuì, commentando: “Lo so, all’inizio anche io restavo
perplessa… Ora ci ho fatto l’abitudine…”
“Sai, non… non riesco
proprio a vedercelo!” intervenne l’altra.
“Ma è ovvio: tu non vivi
con lui tutti i giorni, ventiquattro ore al giorno… Vi siete sempre frequentati
da amici, più fuori casa che dentro, e poi lui con gli amici è diverso, è più… permissivo...
E’ normale, direi!”
“Però hai fatto bene ad
avvisarmi! Stavo per mettere il mio bicchiere sul tavolino!” esclamò la
ragazza, prima di scoppiare a ridere con Gi, che subito dopo le domandò: “E
Dan? Come ci stai, tu, con quel mezzo matto? E’ un tenerone, vero? L’ho sempre
visto come un orsacchiotto cresciuto!”
Clarissa inclinò
leggermente il capo, ponderando una risposta soddisfacente, e rispose esitante:
“Ehm… Danny è… affettuoso, sì, molto…
No, sul serio, non posso lamentarmi, perché, tutto sommato, non gli manca
nulla! Mi fa sentire bene, ma sul serio, non come una cotta qualunque…”
“Ma…?”
“Ma…”
“Non ti ascolta?”
“Bé, non è proprio ques…”
“Non è abbastanza bravo a
letto?”
“Gi, no!!!”
“No cosa?! No, non è bravo
a letto o no, non ho ragione?!”
“Non… non hai ragione,
no!”
“Ah! Bé, meno male! E
allora cosa c’è che non va?!”
Clarissa sospirò ed
esclamò: “Se mi fai parlare…!”
“Sì sì sì, per carità,
scusa. Parla.”
La ragazza si tirò
indietro i capelli, abbassando per un attimo lo sguardo, poi riprese: “Non ci
starei ancora, dopo due anni, se non mi trovassi davvero bene. E non m’importa
se c’è gente che dice che solo durante i primi anni tutto è una meraviglia e i
difetti non li noti… La nostra storia è la nostra storia, così come ogni altra
coppia ha la propria! Io sono… estremamente fortunata. Fortunata a stare con
Danny e a starci anche bene! Sono innamorata di lui, Gi, non scherzo. E’ solo
che, a volte… l’immagine che ho di lui… e che ho sempre avuto… si macchia un
po’. Tutto qui…”
Giovanna annuì lentamente,
in silenzio, e dopo qualche secondo le disse: “E’ sempre stato perfetto, bello
come il sole, senza neanche l’ombra di un difetto… e poi…”
“E poi” intervenne l’amica
“spunta fuori che è sempre in ritardo quando si tratta di andare a fare spese
per la casa insieme… E poi… non parliamo di come lascia il bagno o la cucina…
Insomma, cacchio, quando tocca me o la chitarra è perfetto, preciso, efficace,
completamente… funzionale! E invece, per certe piccolezze…”
Si interruppe bruscamente,
sentendo il rumore della porta-finestra che si apriva sotto la spinta di Tom,
seguito da Danny. Giovanna si voltò, capì al volo di non dover fare ulteriori
domande e lanciò un’occhiata di intesa alla ragazza, prima di rotearle l’indice
destro davanti, per rimandare a più tardi la conversazione.
“Amore! Ci avete lasciato
un po’ di tè? Marv non ne può più!” esclamò Tom, tenendo in braccio il povero
micio, distrutto dal troppo giocare.
Gi si voltò verso di lui,
gli prese delicatamente il felino dalle braccia, gli baciò velocemente il naso
e rispose: “Sì, è in frigo che aspetta!”
Clarissa sorrise di fronte
alla scena mentre Danny le sedeva accanto, poi lasciò che Marvin, sceso dal
petto della sua amica, si prendesse il suo posticino caldo sul divano, proprio
accanto a lei.
“Quello non è un gatto normale!
Guarda che mi ha fatto!” se ne uscì Danny, scherzoso, mostrandole gli
avambracci pieni di graffi.
“Oh, poverino!” ribatté la
ragazza, fingendosi disperata “Questo grosso e feroce leone ti ha distrutto!”
“Già… Ho bisogno… di
cure!” le disse lui, abbassando la voce e finendo per farle il solletico dopo
averla abbracciata.
Clarissa rise e prese un
altro bicchiere di tè insieme a Danny.
Quando, per caso, si
ritrovò a poggiare il proprio bicchiere sul tavolino da fumo senza il
sottobicchiere, fece per riprenderselo, ma poi si trattenne ed osservò la
reazione di Tom.
Assolutamente tranquillo,
come se non fosse mai esistito alcun bicchiere sul tavolo.
Giovanna le lanciò
un’occhiata complice e scosse impercettibilmente la testa con un sorriso.
“Noi ci vediamo in studio
la prossima settimana! E tu, tu, demone travestito da donna, non sciuparmelo!
Non ho chitarristi di riserva!”
“No, sta’ tranquillo, te
la riporto intera, la tua ragazza!”
Clarissa abbracciò Tom,
che per ricambiare le solleticò la vita, poi salutò anche Gi, che le disse
piano in un orecchio, approfittando dei saluti che i ragazzi si stavano
scambiando: “Comunque non andare in paranoia per niente, state andando
benissimo così, Claire…”
La ragazza annuì prima di
ricevere un veloce bacio in fronte dall’amica.
“Perché ridevate come
ossesse prima, tu e Gi?” le chiese Dan, cingendole le spalle con un braccio.
Clarissa fece la gnorri e
rispose: “Barzellette, pettegolezzi, cose da donne!”
“Scommetto che l’oggetto
delle barzellette eravamo io e Tom!” insinuò il chitarrista, iniziando a
ridacchiare.
“Siete i famosi McFly per
il mondo, non per noi, mia cara primadonna…” lo rimise al suo posto lei,
maliziosa.
“E vorresti farmi credere
che non stavate sparlando di noi?!”
Clarissa non aveva mai
avuti segreti con Danny: non era mai riuscita a nascondergli niente, né le cose
belle, né le cose brutte.
Neanche quelle insignificanti.
Aveva sempre sentito il
bisogno di condividere quante più cose possibili con lui.
“Dan. Abbiamo parlato di
cicli mestruali, di figure di merda delle nostre peggiori nemiche e ci quanto
siamo incapaci di fare diete! Impiccione!”
“Ah!” esclamò il ragazzo,
un po’ stupito dal tono deciso della fidanzata “Va bene! Allora… bé, ok, mi
risparmio la curiosità!”.
Mentre si rannicchiava un
po’ di più sotto la spalla del ragazzo, Clarissa si morse il labbro inferiore,
sentendosi in colpa.
Ma rimase in silenzio.
Nel bagno di casa, inspirò profondamente ad occhi chiusi per non imprecare di fronte al
lavandino completamente inzaccherato, con tanto di specchio pieno di schizzi
d’acqua.
Danny era stato in bagno
cinque minuti prima di lei.
“Deficiente, cosa ci hai
fatto, una nuotata, qua dentro, eh?” mugugnò a denti stretti mentre si
accingeva ad asciugare il tutto con un panno assorbente.
Pochi secondi dopo, si
stava lavando svogliatamente i denti, lasciando allo spazzolino elettrico il
compito di strusciare e ripulire i denti.
Lei era occupata a fissare
la propria immagine allo specchio, meditabonda.
“Lo strozzerei, quando fa così…” pensò per poi scuotere la testa.
Claire, vagli incontro, stai zitta e vagli
incontro…
Un po’ assonnato, Danny
sbadigliò mentre stava navigando su Internet con il suo portatile sulle cosce,
sotto le coperte.
Aveva voglia di fare un
po’ di coccole a Clarissa, ma se non si fosse sbrigata… lo avrebbe presto
trovato ronfante nel mondo dei sogni.
Le era sembrata vagamente
irritata dalle domande che lui le aveva rivolto mentre tornavano a casa, poco
prima, dunque voleva rimediare, facendo un po’ il romanticone.
Il ciclo, ancora una
volta, era vicino, e il suo tempismo, doveva ammetterlo, non era stato dei
migliori: sapeva che, al minimo passo falso, la sua ragazza avrebbe scatenato
il finimondo.
“D’ora in poi, un po’ più d’attenzione…” si autoammonì in silenzio,
anche se un pizzico di angoscia gli saliva allo stomaco all’idea di dover
pesare ogni singola parola di fronte a lei, durante quei giorni.
Dan, su, non è niente, valle incontro come hai
promesso!
Le sue mani grandi, da
sempre la parte di lui che più amava, le cinsero i fianchi con una lentezza
maliziosa a lei ormai familiare, ma mai noiosa, per fortuna.
“Divertita stasera?” le chiese
sottovoce nel buio.
“Mh-mh…” affermò lei con
un sorriso tranquillo.
“E… quanto sei stanca?”
“Cosa?”
Pericolo: la spia rossa
del sospetto, resa più permalosa dal ciclo mestruale vicino, lo fece correre ai
ripari: quel tono non gli piaceva per niente.
Disse con disinvoltura:
“Volevo farmi perdonare per aver fatto la figura del giornalista impiccione
prima, mentre stavamo rientrando…”
Clarissa si voltò verso di
lui, intenerita, e chiese con voce minuscola: “E come?”
Danny sbuffò una piccola
risata sulla sua fronte e le appoggiò la testa sul torace, mentre lasciava che
le sue gambe si intrecciassero, anzi, si avvinghiassero, alle sue,
sottolineando ancora di più la differenza di altezza tra di loro, cosa che a
lui aveva sempre fatto molta tenerezza.
Il suo sospiro compiaciuto
lo tranquillizzò definitivamente, così iniziò ad accarezzargli la spalla,
rimanendo in silenzio e godendosi il suo profumo, quello che di notte le
sentiva sempre addosso: una piacevole mistura di chissà quale crema idratante e
della sua pelle fresca, lavata da poco.
Clarissa passò una mano
sul petto nudo del fidanzato, e disegnò dei grandi cerchi invisibili con il
palmo, percependo a tratti il battito tranquillo del suo cuore.
Le venne automatico
stamparvi sopra un piccolo bacio, mentre sorrideva con aria soddisfatta senza
che lui lo sapesse.
Sì, si riteneva davvero
molto fortunata.
E anche se a volte i suoi
errori, piccoli o grandi che fossero, la facevano irritare, lui rimaneva
comunque un ragazzo meraviglioso, il suo ragazzo, suo e di nessun’altra, quello
a cui non avrebbe mai e poi mai rinunciato.
“Domani devi andare in
studio?” gli domandò, alzando lo sguardo verso di lui.
Scorse il riflesso dei
suoi occhi azzurri mentre le rispondeva: “No, per adesso no, Tom sarà pronto
solo la prossima settimana con i pezzi…”
“Devi andare da mamma
allora?”
“…No…” fece lui, esitante
“Almeno, non mi ha chiamato, vuol dire che ci andrò nel fine settimana, come al
solito… Perché?”
Vide i suoi grandi occhi
scuri scintillare e seppe che stava sorridendo. Come lui.
“Domani ho il turno
pomeridiano, entro alle due…” la sentì insinuare, mentre la mano, dal torace,
si era spostata sul ventre.
“Oh… Cristo santo…” pensò, eccitandosi, colto alla sprovvista e
piacevolmente sorpreso da tanto spirito di inziativa.
Per risponderle, puntò
sull’ironia e ribatté: “Fantastico… Avrai più tempo per dormire… Non sei
contenta?”
Alla sua risata appena
accennata seguirono dei movimenti lenti e ben studiati: si stava mettendo a
cavalcioni sopra di lui; Danny finì per sentire le sue ciocche di capelli
ribelli sul viso.
“Non devi fare… lo
spiritoso…” lo ammonì con voce roca e sorridente “Non quando... sei mezzo nudo.
E, per giunta, sotto di me…”
Il ragazzo roteò gli occhi
e li chiuse per qualche istante, godendosi l’eccitazione crescente, e intanto
accarezzò con lentezza le cosce di Clarissa, percorrendole per intero fino ad
arrivare al fondoschiena, coperto da un paio di pantaloncini che ben presto
finirono sul pavimento.
***
Per chi non conosca l'identità di MARVIN...
bè, è il pelosissimo, rossissimo e bellissimo gatto rosso
di Tom e Giovanna :) Purtroppo ho trovato solo una sua foto da piccolo,
ma fidatevi se vi dico che ora è un discreto gattone!
Il titolo del capitolo è preso dal ritornello di "The way you make me feel", dei McFly.
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Capitolo 3 *** We'll be going through the motions, go go go! ***
claire
Ciao di nuovo!
Da
quando ho creato la serie "McClaire" (all'incirca 3 settimane fa), ci
sono state ben 10 visite! Sto facendo dell'ironia, è ovvio,
perchè mi piacerebbe che ce ne fossero di più,
però devo anche dire che 10 è un bel numero, se
consideriamo che le mcflyane su EFP sembrano non essere molte!
Mi sento piuttosto rincuorata :).
Posto
il nuovo capitolo, ancora una volta puntuale, e soprattutto aiutata
dalla fortuna, perchè a quest'ora non sarei qui se il temporale
tremendo di ieri avesse continuato a rompere le scatole qui in
Toscana...
Vi
avverto in anticipo: siete davanti ad un noioso (ma necessario)
capitolo di transizione, non vogliatemene e cercate di capire che senza
queste righe la storia non avrebbe senso!
Ringrazio
ancora una volta RubyChubb per le sue recensioni :) esattamente
ciò che mi ci vuole, sempre, per farmi andare avanti su questo
sito.
So che siete là, da qualche parte, voi, lettrici mcflyane,
quindi non siate pigre :P e oltre a seguire Tom su Twitter,
recensitemi, ve ne sarei grata :)
Alla prossima settimana!
***
Si avviò in libreria a
piedi, come sempre, lasciando che l’aria ventosa degli ultimi giorni la
svegliasse un po’.
Nonostante si fosse
lavata, vestita e pettinata, si sentiva tutta scombussolata, e quella brezza
priva di orientamento che si insinuava ovunque in strada di certo non la
aiutava a stabilizzarsi.
“Anne?” chiamò, cercando
con gli occhi la collega nel retro- bottega.
Non ricevette risposta,
così si tolse borsa e cappotto, dopodiché, una volta appuntata sulla camicetta
la targhetta con il suo nome al servizio dei clienti, entrò nel negozio,
ritrovandosi dietro il bancone.
“Claire! Sono qui!” si
sentì chiamare dalla sua socia, che attirò la sua attenzione alzando un braccio
dallo scaffale delle biografie.
Clarissa annuì dopo aver
notato la sua presenza e fece per sistemare alcuni volumi lasciati vicino alla
cassa, ma Anne la invitò con un gesto ad avvicinarsi.
“Cosa c’è? Non ho trovato
posta nella buca delle lettere…” esordì, convinta che la collega le avrebbe
richiesto la corrispondenza.
“No, no, quale posta!”
intervenne l’altra, spostandosi al suo fianco per mostrarle una persona che non
aveva ancora visto.
“Ti volevo presentare il
nostro nuovo collega! È arrivato ieri da Nizza!”
Il ragazzo, fino ad allora
accucciato davanti agli scaffali più bassi, si alzò e sorrise timidamente.
“Daniel, ti presento
Clarissa! E, Clarissa, questo è Daniel, lo studente in erasmus che stavamo
aspettando!”
“Oh!” esclamò la ragazza,
sorpresa “E’… in anticipo!”
“Piccole noie burocratiche
all’università, spero che non sai un problema per voi…” commentò Daniel, mostrando
un buon inglese.
Anne scosse vigorosamente
la testa e ribatté: “Non devi assolutamente preoccuparti! Sei arrivato solo una
settimana prima del previsto, non è niente, anzi! Ti servirà ad integrarti
meglio! Claire, io stavo sistemando i nuovi ordini, sono arrivati oggi tutti
insieme, maledetti fattorini! Ti spiace far fare un giro turistico alla nostra
new entry?”
“No di certo! Vieni con
me!” lo invitò lei, sorridendo davanti ai suoi occhi vergognosi.
“… E questa è la sezione
dedicata all’infanzia. Abbiamo suddiviso i libri interattivi da quelli
semplici, ed entrambi i gruppi sono ordinati per autore…”
“Ho visto che avete anche
una sezione dedicata alla letteratura gay!”
“Sì! Come mai tanto…
stupore?” domandò Clarissa di fronte all’incredulità di Daniel.
“Pardon! È solo che… nel mio paese, in Francia… non ci sono molte
librerie con libri che… parlano dell’omosessualità…”
Dopo aver ascoltato
attentamente il suo accento incrinato a causa del nervosismo, la ragazza cercò
di tranquillizzarlo dicendogli: “L’Inghilterra è anche questo! E non
preoccuparti, non c’è niente di male a non trattare la letteratura gay…”
“Poverino, perché si vergogna tanto? Non c’è niente di male a essere
gay…” pensò, impietosita, mentre il francesino tornava a sorriderle,
tentando di liberarsi dell’imbarazzo.
Nel giro di una mezz’ora,
Clarissa aveva finito di informare Daniel su tutto ciò che avrebbe comportato
il suo lavoro, e lo aveva spedito nel retro del negozio, per mandare alcune
e-mail a varie case editrici; il ragazzo si era messo davanti al computer con
entusiasmo e lei lo aveva lasciato soddisfatta.
“Ma che carino che è!”
confessò ad Anne, durante un momento in cui nessuno era entrato in libreria “Si
vede che è contento di lavorare qui, ha molta voglia di fare!”
“Sì, più di quanto non ne
abbiamo mai avuta noi!” commentò l’altra con ironia, facendo ridere la collega,
che però ritorno quasi subito seria per cambiare argomento.
“Sai cosa mi ha chiesto
prima? Mi ha fatto una tenerezza…” esclamò, mettendo una mano sul braccio di
Anne, che la guardò con aria interrogativa.
“Gli stavo mostrando le
varie sezioni… e lui ha cominciato a dire che era stupito che ci fosse anche
quella gay, perché in Francia non trattano molto la letteratura omosessuale…
Sembrava quasi contento di sapere che avessimo una sezione gay, insomma! Magari
dalle sue parti ancora non lo accettano, poverino…”
“Eh? Ma di che parli?”
intervenne Anne, perplessa.
“Della sua omosessualità,
dài! Pensi che non me ne sia accorta? È così timido, e poi, insomma, dai discorsi
che…”
“Oh, ma per carità, Alice
nel paese delle meraviglie, scendi dalla nuvoletta rosa gay!” la canzonò la
collega, trattenendosi a stento dal ridere “Daniel non è omosessuale!”
“Non è gay?” fece eco la
ragazza, stupita.
“Ma no che non lo è! Ci ho
parlato stamattina, abbiamo praticamente fatto colazione insieme! È fidanzato
con un’iper gnocca delle sue parti, tale… Nadine, Céline, non ricordo, mi ha
fatto vedere una sua foto, una biondina niente male! Comunque, è ben lontano
dall’essere gay! E se vogliamo proprio dirla tutta, non è neanche così timido
come sembra! Basta dargli un po’ di tempo e ti riempie il cervello di
chiacchiere!”
Clarissa, gli occhi
sbarrati per la sorpresa, replicò: “Sembrava tutto il contrario!!!”
Anne sospirò teatralmente,
alzò gli occhi al cielo e commentò: “Torna a sistemare i dizionari, Alice, te
ne prego…”
“E smettila!” concluse la
ragazza, ridacchiando mentre si avviava verso la sezione dei libri scolastici.
“Ah, e comunque…” la fermò
la collega, verso la quale si voltò “Prenditi un integratore o del magnesio
puro dopo esserti scopata a dovere quel manzo del tuo ragazzo: il tuo lavoro
risente dei suoi effetti devastanti!”
“Anne!!!” la richiamò
Clarissa, arrossita fino alla punta dei
capelli.
L’altra si mise a ridere e
ribadì: “Lo sai che dico la verità, piccola ninfomane! E se fossi al tuo posto,
sarei nelle tue stesse condizioni! Ma credimi, lui neanche si ricorderebbe il
proprio cognome!!!”
La bionda la mandò
scherzosamente a quel paese e per poco non rise in faccia ad un’anziana cliente
appena entrata.
~~~~~
“Mamma ti ha vista?”
“Mamma è stata la prima a
consigliarmi di farmi quest’acconciatura!”
“Ah…”
Non avrebbe mai capito
abbastanza sua sorella per stare dietro a lei e alle sue “fasi”: attualmente,
si stava godendo quella dei “mitici anni ‘60”, così se ne andava in giro
vestita con abitini vintage stretti in vita, il cerchietto tra i capelli e la
cotonatura sulla nuca.
“Ma perché, non ti piace?”
“Bé, non è che non…”
Ancor prima che potesse
finire la frase, Vicky era già sparita dalla sua vista ed era finita in cucina,
a sistemare le “provviste” provenienti dalle mani materne nel frigo.
Danny la raggiunse e
chiese: “Cos’ha preparato stavolta?”
“Una torta salata e una
millefoglie con la crema di lamponi… Maledetto figlio maschio andato a
convivere!” rispose la ragazza per poi mostrargli la lingua da sopra lo
sportello dell’elettrodomestico.
Danny si leccò mentalmente
i baffi e ridacchiò dell’invidia bonaria della sorella.
“Claire è in libreria?”
domandò poco dopo Vicky, seduta sul divano in salotto.
“Sì, oggi entrava nel
pomeriggio…”
“Non la vedo mai, porca
vacca…” sospirò lei “e quando la vedo, è sempre sconvolta, o per il lavoro, o
perché tu la fai stancare!”
“Ah, sarebbe colpa mia!!!”
esclamò il ragazzo, prima di tirarle una cuscinata.
“Certo! Chi altro al mondo
la fa sfiancare sotto le lenzuola?!” fu la risposta dell’altra, che rilanciò il
cuscino al mittente.
“Tu non la conosci…”
insinuò il chitarrista con tono malizioso.
“Ma conosco te!” ribatté
subito la moretta “E a 26 anni suonati hai gli ormoni di un quattordicenne!”
Danny si arrese e scoppiò
a ridere rumorosamente.
“Siamo molto… innamorati…”
provò a giustificarsi.
I due occhi azzurri
davanti a lui, identici ai suoi, gli sorrisero.
“Questo l’hanno sempre
saputo anche i muri! Buon per voi! Continuate così, anche tra cinquant’anni…
Cazzo, guarda che ore sono, Dan…”
Vicky salutò Danny verso
le sei, due ore dopo quella sua famosa frase, che ripeteva sempre ogni volta
che, invece di andarsene come avrebbe dovuto, si tratteneva per dire “un’ultima
cosa”…
Il ragazzo, come al
solito, la ascoltò e rise alle sue battute.
Dopo che se ne fu andata,
ripensò alle sue parole sulla sua storia con Claire.
Quasi non riusciva a
credere che i suoi sentimenti si vedessero così tanto anche all’esterno della
loro coppia.
Erano indubbiamente
“agevolati” sotto quel punto di vista, in quanto tutti coloro che li
frequentavano li conoscevano piuttosto bene, e chissà quanto avevano speculato
sui loro sentimenti…
Sorrise tra sé e sé,
appagato, e si ingegnò per buttare giù qualche nota che gli ronzava in testa da
qualche giorno…
Mancava solo mezz’ora alla
chiusura.
Anne e Clarissa avevano
appena finito di spiegare a Daniel come si gestiva un ordine e come si
corrompeva un fattorino per accelerare il suo lavoro nelle consegne, quando due
coppie entrarono in libreria, facendo alzare gli occhi al cielo ad Anne di
nascosto.
“Venire a comprare un
libro di venerdì, alle sette di sera…” sibilò, prima di voltarsi verso i
clienti con un affabile sorriso.
Clarissa la ignorò e
propose a Daniel: “Dài, và dietro ad Anne e fammi vedere come interagisci coi
clienti! Ti va?”
Il ragazzo, dopo essersi
irrigidito un po’ per il timore, sussurrò: “Ok, ci provo…” e raggiunse Anne
alla cassa.
“In cosa posso aiutarvi,
signori?” si propose la giovane, ammiccando con discrezione verso Daniel,
perché prendesse mentalmente nota dell’approccio al cliente.
Un tizio basso, baffuto,
accompagnato da una giovanissima ragazza, borbottò: “Noi, noi… stavamo dando
un’occhiata e…”
“Anne, non li servire,
questi signori: sono degli impostori!” intervenne Clarissa, mettendosi a ridere
mentre incrociava le braccia sul petto.
“Claire!!!” esclamò la
collega, scandalizzata.
Daniel impallidì.
E il tizio baffuto
ribatté, mentre la sua accompagnatrice imitava Clarissa nella risata: “Ciao,
occhio di falco, anche io ti voglio tanto bene!”
Clarissa scosse la testa e
gli ordinò, scherzosa: “Ma togliti quei baffi, Poynter, che sembrano due ratti
morti sotto il tuo naso!”
“Concordo pienamente!”
cinguettò la ragazza accanto a lui, togliendosi gli occhiali da sole.
Dougie si strappò i baffi
finti, lamentandosi per il dolore, e Frankie gli tolse
l’improbabile bombetta scura dal capo per poi indossarla e andare incontro a
Clarissa.
“Ciao, Clairy, scusa la
scenetta…” la salutò, abbracciandola.
“Sono abituata, non
preoccuparti…” la tranquillizzò l’altra con un sorriso.
“Potresti anche salutare
noi, cafona!” si sentì chiamare dalla voce di Harry.
Se lo vide apparire
accanto, con il volto coperto quasi del tutto da un paio di Carrera neri ed una
grossa sciarpa dai motivi scozzesi.
Vicino a lui, una ragazza
sconosciuta aveva un sorriso tirato.
“Mi avete spaventato lo
staff, razza di pazzi…” esclamò Clarissa, prima di verificare con un’occhiata
le condizioni di Anne e Daniel.
Lei era effettivamente
rimasta a bocca aperta: non aveva mai incontrato i McFly dal vivo, conosceva
molte delle loro canzoni, le cantava sempre quando le passavano alla radio e
sosteneva che Dougie fosse “proprio un bel tipino”, pur dimenticando spesso il
suo nome…
Daniel era sconcertato,
non sapeva cosa dire, ma almeno sembrava non averli riconosciuti.
“Ragazzi, questi sono i
miei amici…” li presentò la bionda “Doug, Frankie, Harry e…”
Si interruppe, poiché non
sapeva chi fosse la quarta.
“Ah, già!” intervenne
Harry, prendendo per mano la moretta anonima “Chiedo scusa: lei è Cassie!”
“Ciao a tutti…” fu il suo
laconico saluto, accompagnato da un sorriso di circostanza.
Clarissa sorrise e preferì continuare le sue
presentazioni…
“E questi sono Anne e
Daniel! Lavorano con me!”
Entrambi mantennero un
mutismo emozionato, o forse solo imbarazzato.
Poi Dougie sbottò:
“Dev’essere un supplizio lavorare tutto il giorno a contatto con le ascelle
perennemente pezzate di Thompson!”
Ed Anne scoppiò a ridere,
una risata sguaiata, nervosa.
Clarissa diede dello scemo
a Dougie prima di chiedere al gruppo: “Che cosa fate da queste parti?”
“Stiamo andando ad una
festa, un localino discreto che ha aperto da poco… e visto che passavamo di
qui, abbiamo pensato di fare un saluto, ma ai tuoi due amici intelligenti è
venuto in mente di farlo in incognito!” rispose Frankie.
“E poi andiamo a ballare!”
aggiunse Harry.
“Vieni anche tu, Claire,
dài!” la invitò Dougie.
“Grazie, ma lo sapete che
io…” cominciò la ragazza, mettendo le mani avanti per rifiutare.
“Clarissa, non essere
stupida!” esclamò Anne all’improvviso “Chiudiamo noi qui! Daniel ha bisogno di
fare pratica!”
Clarissa fulminò la sua
collega con gli occhi: che ipocrita! Se fossero stati presenti tre ragazzi
qualunque, e non due membri dei McFly, avrebbe starnazzato “Cazzo, Claire, vai e divertiti, che cosa te ne frega, tanto troverò
degli straordinari per te, prima o poi!”.
“Ti portiamo a casa, ti
cambi, chiami Jones e andiamo! Che ci vuole?” aggiunse Harry.
Tanto insistettero e tanto
si lagnarono all’idea di un rifiuto, che Clarissa dovette per forza accettare.
Anche se l’idea di
mangiare e di ballare in un locale pieno di musica assordante non le piaceva,
per quanto discreto ed isolato potesse essere.
Una volta sotto casa sua e
di Danny, Harry la informò: “Vi aspettiamo qui sotto, non metteteci
un’eternità, cortesemente!”
“Dan! Amore!”
Danny si sporse con la
sedia girevole sulla soglia della sala di registrazione…
“Ciao! Sei tornata prima?”
“Sì, perché… vieni, che ti
spiego meglio, è tardi, vieni, su!
“Eccomi!!!”
Vedendola indaffarata a
saccheggiare il proprio guardaroba, il ragazzo le domandò: “Vai da qualche
parte?”
“Andiamo, vuoi dire…” gli rispose lei, indossando al volo un
semplice vestitino nero “Dan, ti prego, vieni anche tu! Ci sono Harry, Doug,
Frankie e… la nuova ragazza di Harry, credo… che mi vogliono portare a cena in
un locale, una discoteca, non ho capito bene, si sa solo che è un posto nuovo e
discreto… Sono qui sotto che aspettano e… Danny?”
Il chitarrista, rimasto ad
ascoltare, sospirò, un po’ deluso, e ribatté: “Avevo… preparato la cena…”
Clarissa, che si stava
mettendo in fretta e furia i sandali, si fermò con una gamba sospesa per aria e
lo fissò, sentendosi una stronza.
“Amore!!” pigolò,
sinceramente dispiaciuta.
Avrebbe continuato, per
scusarsi, per accordarsi e magari rifiutare l’invito dei ragazzi, ma il suo
ragazzo scosse la testa, sorrise e disse: “Non importa, dài… metto tutto in
frigo, tiro fuori una camicia e andiamo!”
“Ma…” iniziò lei.
Troppo tardi: era già
corso via, verso la cucina.
Clarissa rallentò il ritmo
dei preparativi, intristita.
“Aveva preparato la cena…” pensò, rimettendo in ordine il letto
invaso dai propri vestiti.
“Claire! Harry si sta attaccando
al clacson, sei pronta?!” la chiamò Danny pochi minuti più tardi.
Clarissa rispose con i
suoi passi frettolosi per le scale.
Aveva raccolto i capelli
mossi in una coda morbida, poi aveva messo una stola d’oro sul vestito nero
semplice, un regalo che lui le aveva fatto l’anno prima.
I sandali dorati, nuovi,
non molto alti nei loro cinque centimetri di tacco, l’avrebbero fatta stare più
o meno in equilibrio per tutta la serata.
Il chitarrista le cinse la
vita minuta con un braccio e le disse, sorridente: “Sei bellissima…”
Lei arrossì, scuotendo la
testa, e ribatté: “Non sei da buttare neanche tu!”
E non lo era, affatto.
I jeans scuri consumatissimi,
contrastanti con l’eleganza della camicia nera dai riflessi color porpora e con
i suoi ricci spettinati, di nuovo lasciati crescere liberi e ribelli, lo
rendevano più affascinante del solito.
“Scusa, non avevo idea che
tu avessi preparato la cena per noi due…” gli disse, guardandolo con gli occhi
truccati e velati di senso di colpa.
Lui scosse la testa, si
chinò su di lei per un fulmineo morsetto sul collo e ribadì: “Domani sarà
sempre tutto buono,vedrai! Scendiamo, prima che partano senza di noi…”
***
Piccolo angolo delle infos!
Chi è Frankie (diminutivo di Francesca): la fidanzata di Dougie, nonché membro delle Saturdays!
Dopo un piccolo periodo di diffidenza nei suoi confronti, adesso sono
contenta che abbia dato una sistemata al piccoletto del gruppo :)
E per quanto riguarda Harry... Forse
non tutti capiscono perchè non nomino Izzie, come in "Point of
view"... Bé, purtroppo nel frattempo si sono lasciati :(, e per
quanto ne so io, adesso Harry fa il single felice a tempo pieno! Ho
voluto dargli una fidanzata fittizia in questa storia, poi capirete
perché...
Per il titolo di questo capitolo, ho utilizzato le parole di "Going
through the motions", ovviamente dei McFly. Nessuno scopo di lucro!
|
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Capitolo 4 *** Party girl ***
claire
Per la quarta volta, ciao a tutto il popolo di EFP!
Trasgredendo,
per questa settimana soltanto, alla mia personale regola di postare
ogni venerdì, vi lascio il quarto capitolo oggi, prima di
mettermi a studiare e di fare i bagagli: non tornerò fino a
lunedì!
Sono contenta che piano piano questa storia stia ingranando :) e vi devo ringraziare per l'attenzione!
In particolare dico un sentitissimo grazie a...
@RubyChubb:
non mandarmi a Compiobbi, mai più, ti prego, l'ultima volta che
mi ci hai mandato in una recensione mi si è bloccata la crescita
U_U! Lietissima che finora la storia ti sia piaciuta, mi raccomando,
seguila, perché credo che di questo passo continuerà a
piacerti! Le tue ipotesi potrebbero avere un fondamento... o forse no?!
@GiulyB:
un'altra fedelissimaaaa, che bello, grazie per esserti fatta di nuovo
viva :)! E grazie per le recensioni a raffica ad ogni capitolo, non me
le aspettavo! La vedi nera, eh, questa situazione? Bé, sappi che
non sarà tutto rose e fiori, altrimenti sai che noia...
Succederà qualcosa, sì, qualcosa di brutto! Qualcosa che
nella mia testa ho definito "megaodioso", come il "Vi megaodio tutti!"
del Dottor Cox di "Scrubs"! Stay tuned :)... Ah, per quanto riguarda il
nostro Judd, bé, ma vai a sapere cosa combina con le ragazze
lui, io non avevo più saputo niente dopo lo "split up" con
Izzie, quindi ho pensato di far prima direttamente con un'altra
fidanzata ^^! E non fare così con Frankie, dài, tutto
sommato è una brava bimba XD!
@saracanfly:
hai silenziosamente messo la mia storia tra le preferite, come Ruby, e
ti ho scoperta :P attendo anche il tuo parere... Le tue recensioni a
"Point of view" mi furono molto utili, a suo tempo! Intanto, ti
ringrazio :).
E dopo
questo piccolo angolo dei ringraziamenti, vi lascio alla breve (ma,
spero, intensa) lettura! Questo capitolo è più corto
rispetto agli altri, ma anche più saturo di eventi...
Alla prossima settimana e ancora grazie!
Ba mush!
***
Arrivarono al locale con
due macchine: Danny e Clarissa seguirono il resto del gruppo fino ad un piccolo
ma confortevole locale appena fuori città, ancora mezzo vuoto al loro arrivo.
“Dan, ti presento Cassie…
e, Cas, questo è il mio altro collega, Danny!”
Danny rispose alle
presentazioni fatte da Harry stringendo calorosamente la mano della sua nuova ragazza, che
per la seconda volta in tutta la serata parlò senza il bisogno di essere
interpellata.
“Piacere!” gli disse,
sfoderando un sorriso spontaneo, a cui però Clarissa non fece caso, presa
com’era da una conversazione con Frankie...
“Davvero l’aveva preparata
lui? Poverino, mi dispiace, forse non avremmo dovuto…” iniziò la vocalist,
sorridendo mestamente alla bionda, che però la interruppe…
“Non è colpa vostra! Sono
stata io che non ho insistito per rimanere a casa e ora…”
“Ti farai perdonare più
tardi, in pista!” ammiccò l’altra, indicando la grande piattaforma da ballo
nella stanza comunicante alla sala- ristorante.
La musica partì quasi
subito dopo la fine della loro cena.
Danny bevve un sorso della
sua birra, picchiettando il piede destro sul pavimento, al ritmo di un
tormentone dell’estate precedente; accanto a lui, avvolta dal suo braccio,
Clarissa se ne stava rannicchiata sul divanetto, chiacchierando ancora con
Frankie, mentre Cassie, improvvisamente dotata di una parlantina notevole, si
interessava di musica con Harry e Dougie.
“Non avevo idea che il
basso potesse essere così complicato da suonare! Ma non ci fare caso, il mio
orecchio musicale è praticamente inesistente!” esclamò, dopo che il bassista le
aveva spiegato quanto occorreva allenarsi con il proprio strumento a sei corde,
da lui ultimamente utilizzato sempre più spesso.
“E’ un mostro, il
piccoletto, qua, dovresti sentirlo dal vivo!” la informò
Harry, dando una sonora pacca sulla gamba dell’amico.
“E tu invece, Danny? Tu
suoni la chitarra, vero?” chiese la moretta.
Il ragazzo annuì,
rispondendo: “Davvero non hai ancora sentito dal vivo come suona il tamburello
Judd?”
Cassie si mise a ridere,
spostando lo sguardo sul batterista, che rispose diplomaticamente: “Dovresti
venire a un nostro concerto, sai? Jones non solo è un eccellente chitarrista,
suona bene anche col culo, se poco prima di un live mangia fagioli!”
“E’ un talento
incompreso!” aggiunse Dougie, facendo ridere ancora di più la ragazza, che in
un sorso finì la sua seconda vodka alla pesca.
“Di cosa state
sghignazzando, pettegole?! Poynter, quanto hai bevuto?” si inserì Frankie,
scherzosa.
“Sono divertentissimi!”
intervenne Cassie, tirandosi indietro i capelli con una mano e sventolandosi la
faccia paonazza con l’altra.
“Harry, ma sul serio vuoi
che ascolti già tutte le vostre cazzate messe insieme?” rincarò la dose
Clarissa per poi fare una linguaccia a Danny, che per tutta risposta la
solleticò a tradimento sui fianchi.
In quel momento il ritmo
delle canzoni cambiò, facendosi più veloce e cadenzato.
Frankie aprì le danze,
giustificandosi con Clarissa con un entusiasta “Finalmente, adoro questa
canzone!”.
La bionda la salutò,
guardandola muoversi in pista insieme ad una piccola folla.
“Balliamo anche noi,
ragazze, su, su, su!!!” cinguettò Harry, battendo le mani e levandosi in piedi
con il sedere in fuori.
Dougie lo seguì a ruota,
lanciando dei gridolini esilaranti, ma prima trascinò con sé anche Cassie, che
di conseguenza esclamò: “Danny, vieni anche tu!!!”.
Il chitarrista si ritrovò
a dover poggiare velocemente la sua bottiglia di birra sul divanetto, e con
l’altra mano già presa da quella di Cassie, non riuscì ad agganciare anche
Clarissa.
Rimase da sola sul
divanetto, i piedi gonfi nonostante lo scarso movimento e l’espressione spiazzata.
Quella serie di canzoni
dance tanto famose aveva fatto accorrere in fretta molta più gente in pista, quindi molta
più confusione.
E in un secondo, aveva
perso di vista il suo ragazzo ed i suoi amici.
Fece spallucce, afferrando
la birra di Danny per sorseggiarla un po’, dato che lei aveva finito da un
pezzo il suo daiquiri.
Più tardi,
vide Frankie spuntare dalla pista: le stava andando incontro sculettando e
ridacchiando.
“Claire! Ma che ci fai
ancora qui seduta?!” le domandò, stupita, mentre si accucciava davanti a lei.
“Niente, sono qui che
bevo!” ammise l’altra, candidamente.
La cantante socchiuse gli
occhi, scrutandola con sospetto, poi insinuò: “Non ti va a genio quella Cassie,
sbaglio?”
“Perché, scusa?”
“Oh, niente… “ le rispose,
facendo la gnorri “Ha portato tutti a ballare con lei, credevo fosse una cosa
che ti aveva dato fastidio…”
“Ma no, mica siamo
ragazzini al liceo, insomma…” la liquidò la bionda, spostandosi un po’ per
farla sedere accanto a sé.
Dopo qualche secondo di
silenzio, mentre Frankie si stava riprendendo con un sorso di cocktail fruttato,
Clarissa le chiese d’un tratto: “Ma perché, sta ballando con i ragazzi?”
Lei la guardò, tacendo un saccente “Sei gelosa!” e
rispose in tono neutrale: “Solo con Harry e Dan. Dougie sta assistendo ad una
dama alcolica...”
“Ah…”
“Ho capito, vado a
chiamartelo…” se ne uscì l'amica, alzandosi subito in piedi.
“Frankie, no, aspetta!” la
fermò l'altra, prendendola per un braccio.
La ragazza si divincolò senza
troppo sforzo e ribadì: “Sarò discreta, te lo prometto! Non farò capire niente
a nessuno!”
“Ma cosa st…”
Era già sparita. Di nuovo.
Senza ascoltarla minimamente.
E pochi secondi dopo, era
riapparsa, a braccetto con il chitarrista.
“Claire si ubriacherà se
continua a stare lì da sola!” la sentì gridare sopra la musica nell’orecchio di
Danny, che per tutta risposta scoppiò a ridere, prima di sedersi accanto alla
fidanzata.
“Amore, perché non ci hai
raggiunti?!” la investì, ridanciano più che mai “Stavamo dando lezioni di
aerobica a tutti con Harry e Cassie, eravamo meglio di Jane Fonda!”
Clarissa scosse la testa,
sforzandosi di ridere con lui, e rispose: “Mi fanno un po’ male i piedi, non
avevo voglia di ballare…”
“Ma sì che ne hai…”si
oppose il chitarrista, tirandola per le mani perché si alzasse insieme a lui.
“No, Dan, non ne ho
voglia, davvero…” si oppose la ragazza, evitando di guardarlo mentre lo
fronteggiava.
Le girava un po’ la testa,
la musica le rimbombava fastidiosamente nelle orecchie…
Danny le mise le mani sui
fianchi, muovendoglieli a ritmo di musica.
“Vedi? Stai ballando!”
esclamò contento, ignaro del suo nervosismo crescente.
Decise di assecondarlo,
magari ci avrebbe preso gusto…
Si stavano muovendo da un
buon quarto d’ora a bordo pista.
Clarissa stava attenta a
non fare movimenti troppo bruschi con la testa, sempre più pesante ad ogni
secondo che passava, e intanto cercava di ignorare alcune fastidiose fitte allo
stomaco.
Non aveva bevuto granché,
ma doveva essere colpa della birra di Danny, non esattamente la più leggera del
mondo…
Forse era anche colpa
della crema di whisky di Dougie, lasciata a metà.
Senza contare quello che
aveva ordinato lei…
Il tutto mescolato alla
cena abbondante…
Aveva giusto iniziato a
provare ad apprezzare quel ritmo musicale così martellante, quando dalla calca
uscirono Dougie e Frankie, mano nella mano, subito seguiti da Harry e Cassie.
“Thompson, vieni a fare
aerobica con noi!!!” la esortò il bassista con voce stridula, battendole le
mani davanti al viso.
La ragazza spinse via
quelle palme rumorose, borbottando un confuso “No, Doug, no…” mentre, dietro di
lei, Danny le cingeva la vita con entrambe le braccia, accennando dei passi di danza e
facendola ballonzolare.
Harry, insospettito dalla
cera poco rassicurante dell’amica, si avvicinò per chiederle: “Claire, ti senti
male?”, ma lei non riuscì a sentirlo chiaramente.
Tese l’orecchio per
cercare di captare a pieno la frase, ma dopo tre tentativi falliti, il
batterista ci rinunciò.
Cassie, impensierita come
il fidanzato, affiancò Danny, beccandosi un’occhiataccia- ignorata- dalla sua
fidanzata, e gli gridò all’orecchio: “Dan, credo che la tua ragaz…
AAAAAAAAAAAHHH, MA CHE CAZZO!!!!!”
Danny, un timpano fuori
uso, fece appena in tempo a sostenere il peso improvvisamente morto di Clarissa,
e per poco lui stesso non capitombolò a terra.
Cassie si allontanò
immediatamente, furiosa: aveva una caviglia ed un piede impregnati di vomito.
Clarissa sentì le
ginocchia cedere, poi una mano le si piazzò sulla fronte, quasi cavandole un
occhio.
“Danny, è bollente!!!”
sentì strillare Frankie.
“Portiamola via,
portiamola via!!!”
Si sentì presa in braccio
e riuscì a scorgere Danny che le urlava: “Amore! Amore, adesso andiamo fuori,
ti facciamo prendere un po’ d’aria... Mi senti, Clarissa?!”
“Claire!!! Claire, stai su
con la testa!” le ordinò Dougie, sostenendole il capo.
Oh… Merda, ho vomitato…
Una volta fuori dal
locale, sdraiata sul sedile posteriore del suv di Danny, si riprese un po’ ed
aprì gli occhi.
Ridacchiò piano, sentendo
in lontananza la voce acuta e lamentosa di Cassie che copriva quella di Harry….
“Ti porto dei fazzoletti,
aspet…”
“Mi ha vomitato sul piede,
cazzo, te ne rendi conto?!”
“Ma non l’avrà di certo
fatto apposta!!!”
“Ma l’ha fatto!!!”
“Claire? Tesoro?”
La voce dolce di Frankie
la rincuorò.
“Mmmhhh…” mugugnò, nel
tentativo di rassicurare tutti quanti, sempre continuando a ghignare.
“Scotta, Dan, credo stia…
delirando, o qualcosa del genere…” sentì Dougie, che infatti le aveva messo una
mano sulla fronte sudata.
E poi sentì parlare Danny,
che le stava passando un fazzoletto umido sulle labbra.
“Torniamo a casa… E’ molto
meglio…”.
***
Il
titolo del capitolo è anche quello del nuovissimo singolo dei
McFly! Ovviamente, qui è usato in senso ironico :P... e senza
nessuno scopo di lucro, as usual...
|
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Capitolo 5 *** For tonight you'd better stay with me ***
claire
Ciao, cari/e!
Nessuna
recensione per il capitolo all'insegna delle schifezze! Uhm... U_U... O
siete proprio tutti in ferie, o volete farmi capire che faccio schifo
come scrittrice! Opto per la prima, mi fido di voi :)
L'ultima
volta che ho postato vi ho proposto un capitolo breve, invece stavolta
gli appassionati della lettura potranno gioire di una luuuunga serie di
righe! Scusate l'irregolarità, ma spezzettare i vari momenti di
questa storia non è sempre facile!
Le jonesiane potrebbero aver bisogno dei fazzoletti.
Per asciugarsi la saliva, intendo.
Vi ho avvertite! Adesso vi lascio alla lettura!
Alla prossima e grazie per il vostro sostegno, seppur silenzioso... :) Quanto siete timide!
Ciry
***
Ad occhi socchiusi,
osservava il quartiere in cui viveva, grigio a causa delle nuvole minacciose
che si erano presentate dopo pranzo e non se ne erano più andate.
Almeno c’era un po’ di
vento fresco.
Lo sentiva sul viso, le
faceva pizzicare il naso.
I pomeriggi vuoti in cui
non aveva niente da fare le davano sempre da pensare.
Per dire la verità,
avrebbe avuto qualcosa con cui occupare il tempo, per esempio pulire i vetri.
Ma con quel tempo che
minacciava un acquazzone, no, non se la sentiva.
Rifletteva, con la fronte
ancora calda per la febbre, fortunatamente in calo.
Rimuginava.
Una cosa che non l’aveva
mai portata a niente di buono.
A farle da sottofondo
musicale, Danny nel suo studio di registrazione, con la porta aperta; non lo
sentiva granché bene, in lontananza, semi- coperto dal brusio dei motori e del
chiacchiericcio umano in strada, ma forse si stava riscaldando, canticchiando
qualcosa di tranquillo, accompagnandosi con la chitarra, che produceva sempre un
giro in Mi minore, plni- plen, plin- plen…
Aveva scoperto che cosa
l’aveva fatta stare male, la sera prima.
La crema di carciofi
avariata.
Ne era certa, perché anche
Dougie l’aveva ordinata, e la mattina seguente l’aveva chiamata apposta per
annunciarle che aveva passato la notte sul water.
Harry e Danny, invece, non
avevano avuto proprio niente, perché avevano mangiato carne.
Frankie e Cassie avevano
cenato con un piatto unico, un’insalatona mista, quindi anche loro non erano rimaste
intossicate.
Forse il suo stomaco non
aveva retto alla tremenda centrifuga di crema scaduta mescolata agli alcolici.
Avrebbe dovuto stare più
attenta, perché lo sapeva, era sempre stata abituata ai boccali di birra
chiara, sempre piccoli, sempre leggeri, sempre consumati a stomaco pieno, dopo
una cena preparata dalle sue stesse mani…
Ma quella sera, la testa
era da tutt’altra parte.
Cassie.
Fissazioni infondate o
idee con una base solida, non le importava che cosa fossero quelle che in quel
momento stavano invadendo pian piano il suo cervello.
Stava iniziando a
detestarla.
Era gelosa.
Ci aveva ballato
praticamente tutta la sera.
Non che si fossero
attaccati l’uno all’altra per un lento.
Ma, guarda caso, se lui
diceva “A”, allora anche lei diceva “A”. E se lei andava a ballare, lui la seguiva.
Doveva riconoscere,
nonostante tutto, che era anche un po’ colpa sua.
Si era mostrata asociale,
insofferente, cosa poteva aspettarsi?
Avrebbe solo desiderato un
po’ più d’attenzione, ecco tutto.
Ma questo non bastava a
giustificarla, anzi, serviva solo a farla apparire ancora più stupida ed
egoista.
Aveva vomitato l’anima.
Che razza di figura…
L’unica soddisfazione, in
mezzo a quello schifo, era stato rigurgitare sul suo piedino immacolato, vestito
di un tacco dodici, un sandalo aperto con gioiello, un tantino pacchiano.
Lo avrebbe rifatto.
Così impari a fare la socievole soltanto col mio
uomo.
Stronza.
Decise di zittire il
proprio cervello e di accendersi una sigaretta: ne prese una dal pacchetto di
Danny, lasciato proprio lì, sul tavolo della terrazza, e la accese con gesti
secchi, gli occhi infastiditi dal fumo che, mosso dal vento, le era entrato negli
occhi.
“Irishgirl in London…” la chiamò il suo ragazzo, cantilenando sulle
note di Sting “Non dovresti fumare quando stai male…”
Si voltò per fulminarlo:
era spuntato silenziosamente, non l’aveva sentito smettere di suonare, e ora
stava per mangiarsi del gelato.
“Fammi fumare in pace,
Jones… cazzo… Non lo faccio da un’eternità e mezzo…” sbottò, prima di ficcarsi
nuovamente la Marlboro in bocca.
Diventava volgare, quando
si arrabbiava.
Danny sghignazzò
divertito, facendola stizzire ancora di più, e posò sul tavolo gelato e
cucchiaio per abbracciarla da dietro.
“Va bene, sei
convalescente, puoi anche picchiarmi, se vuoi…” le propose, giocoso, mentre
infilava il naso nei suoi capelli.
Clarissa lo ignorò, rigida
e determinata, sbuffando fuori il fumo.
Lui non demorse.
“Che cos’hai, amore?”
domandò, premuroso.
La ragazza sospirò
rumorosamente prima di rispondere, lo sguardo fisso davanti a sé.
“Ho passato una serata un
po’ movimentata: ho mangiato roba andata a male in un locale francamente barboso,
ho bevuto per noia, sono rimasta seduta quasi sempre per via delle scarpe e ho
vomitato sui piedi altrui. Quindi credo, ma forse è solo una mia impressione,
di avere il diritto almeno ad un po’ di pace e a un po’ di fumo!”
La lasciò parlare,
animata, mentre faceva volteggiare la sigaretta.
Sembrava un dittatore
durante un comizio.
Non le fece capire che,
quando le venivano i cinque minuti, era ancora più divertente del solito.
“E se dopo cena andassimo
a teatro?”
Bingo.
Clarissa si voltò verso di
lui con aria interrogativa.
“A teatro? A vedere cosa?”
Le rispose con un piccolo
sorriso: “Priscilla… Sono riuscito ad
accaparrarmi due biglietti, volevo farti una sorpresa…”
I suoi occhi si
spalancarono, euforici.
La sua voce, invece,
mantenne un certo contegno.
“Ma tu avevi detto che il
film non ti era sembrato un granché…” insinuò, in cerca di un pretesto per
discutere.
Prevedibile.
Prese subito la palla al
balzo.
“Sì, il film non mi è
piaciuto, è vero. Ma chissà, sul palcoscenico magari è tutta un’altra storia…
Ho spulciato tra alcune recensioni e sembra fenomenale!”
Lei lo scrutò, un po’
sospettosa, poi replicò con aria confusa: “Tu a teatro… Non accade quasi mai,
un evento del genere… Te ne accorgi, vero?”
Danny ridacchiò,
disinvolto.
“Non sono il tipo da
teatro, ma ogni tanto la tua influenza mi porta a cambiare idea, tutto qui!”
La vide sorridere sotto i
baffi, al di là del fumo.
E con quella conferma
assodata, smise di preoccuparsi.
~~~.~~~
Mangiando schifezze
dolciarie di vario tipo, seduti ad un angolo della piazza del mercato a
Covent’s Garden, Clarissa gesticolava animatamente; gli occhi le brillavano.
“Ma hai visto i costumi?!
Li hai visti?! Erano la fine del mondo, con quelle parrucche poi, vuoi che non
pesassero un chilo l’una?!”
“Questo non lo so, però
quella con tutti i fiori e le paillettes… Io non credo di aver mai visto niente
di simile in vita mia…” concordò il suo ragazzo con un sorriso, ancora
intontito dallo spettacolo, che effettivamente gli era piaciuto moltissimo.
“E quando c’è stata la
coreografia di I will survive? Le hai
sentite le coriste? Mi sono venuti i brividi!!!” intervenne di nuovo la
ragazza, prima di imboccarlo con un marshmellow alla fragola.
L’altro annuì con la bocca
piena e replicò dopo qualche secondo…
“Bravissime, sì, da urlo…
Ne è valsa proprio la pena andarci, sì! Mi è piaciuto tutto ciò che ho visto,
per una volta che sono stato a teatro!”
Clarissa lo investì con un
abbraccio, gli baciò la guancia con le labbra cosparse di zucchero di caramella
ed esclamò: “Tu, uomo rozzo delle caverne, dedito al videonoleggio, apprezzi il
teatro, finalmente! Stare con me ti è servito a qualcosa!”
Per tutta risposta, Danny
ribatté imitando i gesti ed i versi di una scimmia, facendola scoppiare a
ridere.
Quando entrambi si
ritrovarono con i dolci finiti e lo stomaco dolorante per le troppe risate,
Danny le chiese: “Come ti senti? La febbre è scesa?”
Con la sua grande mano
sulla fronte, lei gli rispose: “Me la sono misurata prima di uscire,
praticamente non ce l’ho più! Credo che alla fine sia stato vomitare che mi ha
fatto bene, perché dovevo aver fatto indigestione o qualcosa di simile…”
Il ragazzo la abbracciò e
ammise: “Ci hai fatto… e mi hai fatto… prendere un infarto…”
Clarissa immerse una mano
nei suoi ricci, si mise a ridere piano e ribatté: “Vi preoccupate come tante
balie anche se mi taglio con la carta… Tu poi, mi hai viziata peggio di Nora…”
Il chitarrista si finse
offeso, così si staccò dall’abbraccio della fidanzata e sbottò: “Ok, allora
adesso faccio lo stronzo: mi alzo e me ne vado, tu torni a casa a piedi!”
Nel vederlo scattare in
piedi per andarsene, la ragazza rimase indifferente di proposito, e anche dopo
che si era allontanato da lei, non fece alcuna mossa per trattenerlo, anzi…
“Va bene!” esclamò a voce
alta “Aspetterò che arrivi qualcuno più bello di te che mi dia un passaggio,
Jones! E quando sarò arrivata a casa, sbatterò ben bene la porta, così ti
sveglierai!!!”
In quel momento, si stupì
del suo stesso tempismo: vide due sagome spuntare dal marciapiede; Danny passò
loro accanto senza battere ciglio.
“Daniel!!!” gridò invece la ragazza, alzandosi in piedi.
Il giovane francese,
accompagnato da una ragazza, si voltò verso di lei, e la guardò confuso per
qualche attimo, non avendola riconosciuta.
Anche Danny si voltò,
domandando: “Cosa?”
“Clarissa?” la chiamò il
collega, avvicinandosi a piccoli passi.
La bionda gli andò
incontro, salutandolo con la mano, e gli disse: “Ti fai un giro turistico by
night?”
Il ragazzo annuì con un
sorriso ed aggiunse: “Siamo andati a vedere un film qui vicino… non ho capito
granché, ma era bello!”
Si mise a ridere, seguito
a ruota dal novello collega e dalla sua accompagnatrice, che si presentò per
prima: “Piacere, sono Pilar!”
Mentre la bionda le
stringeva la mano dicendole il proprio nome, Daniel spiegò: “Pilar viene dalla
Spagna e vive nel mio stesso palazzo… Tra studenti, abbiamo subito fatto
amicizia!”
“Aspetta, anche io ti devo
presentare il mio ragazzo!” intervenne Clarissa, che invitò Danny a gesti per
farlo avvicinare.
Di fronte ai due studenti,
il chitarrista salutò con un “Salve!” i nuovi arrivati e strinse loro le mani;
Pilar gli disse, vagamente confusa: “Sai che assomigli tantissimo ad un
cantante famoso?”
“Ah, davvero?” si finse
stupito il ragazzo, trattenendo una risata.
Clarissa gli diede una
gomitata nelle costole ed esclamò: “Smetti di fare lo scemo, Dan…”
“Dan? Come… Danny Jones?” intervenne
la ragazza, spalancando gli occhi.
“E’ il mio nome, sì…”
ammise lui con un sorriso.
Pilar si mise una mano sul
petto, stupefatta, e sibilò: “Danny Jones dei McFly, non ci credo…”
“Pilar…” la rimbrottò
Daniel, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.
La spagnola lo ignorò
totalmente e continuò, tutto d’un fiato: “Mi piacciono tutte le vostre canzoni,
mia sorella è letteralmente pazza di voi! Non pensavo avrei mai incontrato
nessuno di voi!”
“Grazie!” le disse Danny,
lusingato “Per il prossimo tour, terremo in conto anche la Spagna, sicuramente…
Sei spagnola, vero? Non avrò fatto una figura di m…”
“No, no, sono spagnola, è
vero!” lo interruppe la studentessa, al settimo cielo “Si sente così tanto?”
“Sì… ma il tuo inglese è
buono!”
“Concordo!” affermò anche
Clarissa, mentre la ragazza stava diventando rossa per le lusinghe.
Daniel ridacchiò
nervosamente e disse: “Scusatela, ha quasi 25 anni, capisco che a volte può
sembrare incredibile…”
“Piantala, mangialumache!”
lo rimproverò scherzosamente Pilar, riprendendosi dall’imbarazzo per poi voltarsi
di nuovo verso Danny e chiedergli: “Posso chiederti un autografo?”
“Certo!” accettò il
chitarrista; automaticamente, Clarissa trovò nella sua borsa un pezzo di carta
ed una penna, e glieli allungò…
“La dura vita delle
fidanzate delle celebrità…” sospirò teatralmente, ammiccando alla ragazza, che
le sorrise per poi commentare: “Non sono affari miei, ma state veramente bene
insieme!”
“Che carina, grazie…”
ribatté la bionda, compiaciuta.
“Un autografo l’ho fatto!”
annunciò il chitarrista, che poi si rivolse a Pilar “Tua sorella, invece, come
si chiama?”
“Ah, già, mi stavo quasi
dimenticando di lei! Si chiama… si chiama Lola, sì!” sogghignò lei, di nuovo
rossa per la vergogna e l’euforia.
“Anche tu sei qui in
erasmus, come Daniel?” le chiese Clarissa.
L’altra affermò: “Sì! Vengo
dalla facoltà di Legge, sono qui per un praticantato di sei settimane, seguo i
processi, mi faccio un po’ le ossa, un giorno vorrei diventare avvocato!”
“Non ti chiamerò mai per
farmi assistere!” la canzonò il francese.
“Sei cattivo, Daniel!” lo
ammonì scherzosamente Clarissa “Interessante, l’avvocato! Buona fortuna!”
“In bocca al lupo per il
praticantato!” aggiunse Danny, porgendole il secondo autografo.
“Grazie, grazie mille…
Siete stati gentilissimi! Complimenti ancora per la musica e… non so più che
dire!” concluse la spagnola con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Grazie a te!” le fece
Danny, sorridendole.
“Pilar, vieni, torniamo a
casa, basta rompere le scatole!” intervenne Daniel, ridacchiando mentre la
prendeva forzatamente sottobraccio.
“Sì, anche noi ce ne
andiamo a nanna adesso… ci vediamo domani in libreria, Daniel! Buonanotte, ciao
Pilar, è stato un piacere!” si congedò Clarissa; accanto a lei, Danny agitò la
mano per salutare i due studenti.
“Ok, Clarissa, a domani!
Ciao a tutti!”
“Che carina! Quando sono
così, piacciono anche a me!” commentò Clarissa con un tenero sorriso.
“Sì, dài, ci ha raccontato
tutta la sua vita, ma era simpatica… Tutti gli spagnoli sono simpatici, specie
se parlano inglese…” ribatté Danny, il sorriso e lo sguardo rivolti alla
strada, mentre guidava verso casa.
La fidanzata gli diede un
colpetto sulla coscia ed esclamò ridacchiando: “Quando sei tu a parlare
spagnolo, fai pena!”
“Hola, como estas!”
“Julio Iglesias dei
poveri!”
“Cara piccola irlandese,
non giocare con il fuoco, lo sai che potresti bruciarti…” la provocò lui,
allungando una mano per solleticarle la pancia.
Clarissa prontamente
gliela schiaffeggiò e disse: “Uh, che paura, è meglio che me ne stia zitta in
questo caso, non sia altro che per evitare di sentire le tue acrobazie
linguistiche mentre borbotti in dialetto, contadinaccio inglese!”
“Claire…” cantilenò il
chitarrista, allargando il sorriso “Smettila…”
“Hai paura, eh, Jones?”
sghignazzò l’altra “Irlanda - Inghilterra: uno a zero, palla al centro!”
Danny sterzò
improvvisamente nella prima traversa alla sua sinistra, abbandonando la strada
principale, deserta, per poi addentrarsi in un viottolo ancora più deserto.
“Dan, dove cazzo vai?!”
domandò la sua ragazza, colta alla sprovvista.
Lui non le rispose ed
accostò la vettura al muro di un vicoletto.
“Ebbene?!” insistette lei,
spazientendosi.
Fece a malapena in tempo a
slacciarsi la cintura.
Danny le fu addosso in
tempo zero: la prese per la vita, la attirò a sé e la baciò a lungo e
intensamente, vincendo senza problemi la magra resistenza di lei.
“Che… che significa
questo?” balbettò, riprendendo fiato, spiazzata, dopo che era riuscita a
staccarsi da lui.
Danny, ansante, ghignò
nella penombra, dopodiché si riavvicinò a lei, così tanto da farla aderire allo
sportello con la schiena.
“Ti avevo avvertito, non
mi hai voluto ascoltare…” le sussurrò sulle labbra per poi assalirle il collo
con le proprie.
Clarissa trasalì e sbottò,
assai poco convinta della sua stessa irritazione: “Oh, mio Dio, ma è da
perfetti cretini reagire così ad una battuta, Jones, perché non capisci mai
quan…”
“Ssshhh!” la ammonì lui,
rimanendo con la bocca a pochi millimetri dalla sua pelle, nell’incavo della
spalla.
“Adesso non parlare e
sconta la pena, da brava…” le ordinò, insinuando la mano destra sotto la sua
gonna, mentre la sinistra, abilissima, sganciava i bottoni della sua camicetta.
La ragazza, eccitata
eppure indispettita, replicò con un tono che voleva sembrare deciso: “Non ho
intenzione di… Dan, domani mattina apro io la libreria, non possiamo fare
tardi, lo sai…”
Lo sentì mugugnare mentre
tentava di allontanare la sua mano da sotto la gonna, stringendo le cosce l’una
contro l’altra, ma non riuscì a farlo desistere.
Continuò a toccarla, ad
avvicinarsi sempre di più ai suoi punti più sensibili.
Con la mano sinistra,
ormai libera dall’ostacolo del tessuto, passò le dita sotto i seni.
Il suo petto minuto e
sollevato gli fece capire che stava trattenendo il fiato per la tensione, in
attesa che accadesse qualcos’altro, il passaggio successivo, quello più spinto.
Continuò
ad accarezzarla
in quella fascia, osservandone con muta soddisfazione gli effetti:
Clarissa si stava mordendo il labbro inferiore, gli occhi chiusi, il
fiato corto e le narici dilatate… Con una mano, stringeva
spasmodicamente il
corrimano dello sportello, con le nocche bianche per la
pressione… L’altra mano se ne stava
sulla spalla del chitarrista, ferma, forte, con le unghie piantate nel tessuto
della camicia, bramose di arrivare alla pelle nuda…
“Danny…” lo chiamò in un
sospiro, aprendo gli occhi per puntarli nei suoi.
Si ritrovò con la sua
faccia sopra, muta e in attesa.
Gli occhi blu così
famelici e maliziosi da far paura.
Gli sorrise, eccitata da
quella situazione.
Danny le morse piano il labbro
inferiore.
Lei lo baciò velocemente
per poi parlare…
“Danny, ti prego, dico sul
serio… Non possiamo star qui tutta la notte… Non che non ci stia pensando, ma…”
Con una mossa di cui lei
non si accorse minimamente, il suo ragazzo abbassò del tutto il sedile su cui
era seduta, di scatto.
L’aria si smosse sotto i
suoi vestiti a causa dell’improvviso spostamento: un brivido freddo le
attanagliò il petto, e da sotto il suo reggiseno Danny notò le sporgenze dei
capezzoli turgidi.
“Danny…
Oh, cazzo, ti
prego, ascoltami…” gemette Clarissa mentre lo vedeva
abbassarsi sul suo petto, senza spostare il reggiseno e
continuando con la
tortura della lenta carezza poco sopra lo stomaco.
“Ti adoro quando fai la
difficile…” le disse, sorridendo dolcemente, prima di afferrare tra i denti il
laccio elastico tra le coppe dell'indumento intimo; lo sollevò di qualche centimetro
per poi rilasciarlo e farlo scattare.
Clarissa inarcò la schiena
trattenendo un gemito, poi strinse gli occhi e catapultò le mani sulla testa
del ragazzo.
“Dan. Ascoltami. Porca
puttana, non farti pregare e non farmi essere volgare.” gli intimò, tirandolo
per i capelli affinché la guardasse.
Per tutta risposta,
ricevette uno sguardo degno di un paio di sonori schiaffi: sorridente, soddisfatto,
forse persino un po’ sadico.
“Potresti…” gli chiese,
sbattendo freneticamente le palpebre ed incespicando nelle parole “Potresti…
ecco, voglio dire… velocizzare le cose? Almeno questo?”
Danny strisciò sul suo
corpo fino a fissarla negli occhi.
“Sei un’incorruttibile
donna in carriera…” la canzonò con un ghigno insopportabile, mentre con una
mano le sollevava la coscia destra.
“Ho un posto da mantenere,
non faccio parte di nessun gruppo famoso, io…” sibilò lei, fingendosi
arrabbiata, mentre le dita di entrambe le mani scendevano sulla camicia,
insinuandosi tra le asole.
“Potresti diventare famosa
anche tu, sai?” le propose il ragazzo, facendo strusciare pian piano i loro
nasi “Se dichiarassi alla stampa, che so, di essere la mia groupie, allora…”
Il rumore secco di uno
strappo lo gelò.
Sentì tintinnare qualcosa
di piccolo nei meandri della sua macchina.
Sotto di lui, Clarissa
alzò un sopracciglio, insieme all’angolo destro della bocca, mentre un bottone
solitario terminava la sua caduta al centro del suo petto.
“Io sono la tua fidanzata,
non la tua groupie. E tu chiacchieri troppo…” gli bisbigliò, lasciando andare i
lembi della camicia strappata.
Il chitarrista trasformò
lentamente la sua espressione inebetita in un altro sorriso, ancora più
euforico dei precedenti.
“Sei proprio
un’impertinente, sai? Cosa devo fare con te?” gli chiese, mentre faceva
scendere la mano dalla coscia all’inguine.
“Devo dirti tutto io?”
domandò la ragazza a sua volta, buttandogli le braccia al collo, aspettando fremente
che lui scoprisse che era pronta, e lo era da un pezzo.
Sentì le sue dita
spostarle le mutandine.
Sorrise, gettando indietro
la testa mentre inspirava profondamente.
“… Non ce n’è bisogno…”
affermò il chitarrista con voce roca, estraendo indice e medio dalla sua
vagina.
L’aveva sentita calda, bagnata, gonfia.
Vi si avvicinò con il
bacino, liberato dai pantaloni in pochi secondi.
"Ti punirò come si deve
per essere stata così indisponente… e per avermi strappato la camicia…” le
disse piano all’orecchio.
“Cristo, Jones…” rantolò
l’altra, in risposta, ridacchiando “Al tuo posto, a quest’ora mi sarei punita
già da un pezzo, mentre tu parli, parli, non stai zitto un secondo e int…”
Non finì la frase.
Spalancò la bocca e
strinse gli occhi, nell’espressione di un grido soffocato.
Dopo qualche attimo, mosse
morbidamente eppure con decisione il bacino; Danny la imitò e ben presto si
ritrovarono a gemere senza ritegno.
“Jones, non… non fermarti…
Così, sì… Non smettere!” ansimò Clarissa, aggrappata alla sua schiena.
Danny aumentò la forza
delle sue spinte e si abbassò sul suo viso, chiedendole con la voce rotta
dall’eccitazione: “Ti piace?”
La ragazza rispose con
altri gemiti, sempre più forti e frequenti, finché pochi minuti dopo non
raggiunse l’orgasmo, piantando le unghie nella schiena del fidanzato, che
arrivò all’apice pochi istanti più tardi, spingendo il bacino fino in fondo a
quello della fidanzata.
Si insaponò la schiena,
attenta a non bagnarsi i capelli raccolti in uno chignon alto e un po’
scomposto.
Danny aprì la tenda della
doccia e si piazzò alle sue spalle.
“Faccio io, dammi…” le
propose, prendendole la spugna dalla mano.
“Grazie…” rispose lei,
girando la testa per un bacetto veloce.
Il ragazzo lavò ogni
centimetro del suo piccolo dorso, sorridendo lievemente alla vista della
cicatrice poco sotto il collo, la stessa che aveva Tom.
Si soffermò per qualche
secondo sulla curva della vita, poi sui fianchi…
“Danny! Lavati!” sbottò
subito la ragazza, che aveva percepito la sua erezione sulle natiche.
Si voltò per strappargli
la spugna dalle mani, salvo poi tirargliela sul viso.
“Va bene, va bene! Cazzo…”
imprecò il chitarrista ad occhi chiusi, sommersi dalla schiuma.
Clarissa si sciacquò in
fretta e lo lasciò nella doccia da solo, scoppiando a ridere.
La trovò a letto, i
capelli sciolti, il pigiama, la vaschetta di gelato al fior di latte tra le
mani, il cucchiaio in bocca.
Ridacchiò.
Dopo aver fatto l’amore,
aveva sempre voglia di gelato.
Lui si fumava una
sigaretta sul balcone e lei correva verso il freezer, alla ricerca della sua
dose di zuccheri da reintegrare.
“Posso assaggiare?” le
domandò, una volta accanto a lei sotto le coperte.
Lei gli ficcò in bocca una
cucchiaiata bella carica.
“Morivo di fame…” sospirò,
prima di ricominciare a mangiare mentre lui inghiottiva.
“Posso farti una domanda?”
le fece, di nuovo a bocca vuota.
Clarissa lo ascoltò e lui
disse, un po’ esitante: “E’ una novità… quella di chiamarmi per cognome mentre…
mentre lo facciamo…”
Lei annuì, pensierosa, e
aggiunse: “Mi è presa così, stasera… Perché?”
“Perché… sinceramente…
preferisco quando mi chiami per nome…non so perché, ma...” ammise il ragazzo, grattandosi la testa,
lievemente in imbarazzo.
“Oohh… Ma che cucciolo…”
la sentì esclamare, toccata, prima che lo abbracciasse calorosamente.
“Ti chiamerò sempre e solo
per nome, se ti piace di più, d’accordo…” lo rassicurò, accarezzandogli i
ricci.
Danny si accoccolò contro
il suo petto e sorrise, beato.
“Ma ad una sola
condizione” la sentì aggiungere subito dopo, quasi glaciale.
Si raddrizzò
immediatamente, guardandola in viso, confuso.
“Non chiedermi mai più se
mi piace come mi stai… trivellando. È volgare e materialista!” gli sputacchiò
in faccia, seria.
“Ma senti questa!” pensò, esterrefatto, spiazzato dall’incoerenza
della sua fidanzata, la stessa che una mezz’ora prima lo stava pregando di
scoparla con quanta più forza possibile.
“Ok… va bene, promesso.
Non lo farò più!” promise, tacendo le proprie perplessità.
Clarissa ritrovò il
sorriso, lo baciò sul naso, macchiandolo di gelato, poi sbadigliò ed annunciò:
“Io dormo… non ne posso più… Buonanotte, amore…”
Anche lui le diede la
buonanotte, baciandola sulla fronte prima di spegnere la luce.
Si divertì a guardarla
nella semioscurità, a debita distanza, mentre cadeva addormentata a bocca
aperta e perdeva saliva dall’angolo sinistro della bocca.
Era proprio lei, sì.
Prima gli faceva fare
sesso alla velocità della luce, come un toro, condendo il tutto con le sue
provocazioni e i suoi gemiti mirabolanti.
E poi dormiva come i
sassi, sbavando sulla federa del cuscino.
Si addormentò con quella
buffa immagine di lei, appagato e pacioso come un bambino.
***
"Priscilla",
o meglio "Priscilla- Queen of the desert", è un musical
australiano del 2006 (che prende spunto da "The adventures of
Priscilla- Queen of the desert", film del 1994) approdato con successo
in Inghilterra nel 2009! Viene citato senza alcuno scopo di lucro!
Idem per la citazione (nel titolo del capitolo) dal testo di "Stay with
me", una cover dei McFly il cui papà è Rod Stewart.
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Capitolo 6 *** Met this girl ***
claire
Cari e
care, vi saluto sulle note di Stravinsky, una vera ispirazione
per la creazione di questo capitolo alquanto strambo (almeno quanto la
sua "Rite of Spring")...
Vi
devo dire che per una settimana non ci sarò, da domani
sarò in vacanza, senza PC, quindi la prossima pubblicazione
potrebbe subire dei ritardi. Non preoccupatevi, rimedierò il
più velocemente possibile!
Intanto
godetevi questo pezzettino in più di Claire & Co.! Devo
ammettere che io stessa, scrivendolo, mi sono stranita. E sono certa
che voi farete lo stesso leggendolo.
Non c'è bisogno che vi dica di stare all'erta, lo capirete riga dopo riga...
Ringrazio RubyChubb per le recensioni sempre costanti e puntuali :) spero che anche questo capitolo ti piaccia!
Un grazie bello grande va anche ai miei lettori in generale!
Buone vacanze, io mi godrò le mie :) Ci vediamo a fine mese!
Ciry
***
Quella notte…
“Ma allora lavorate
insieme, in questa libreria…”
“Sì, te l’ho detto, è da
una settimana, più o meno…”
“E com’è?”
“Com’è cosa?”
“Lavorare con lei… E’
simpatica?”
“Sì, è carina…”
“E nient’altro?”
Daniel fece spallucce.
Tutto quello che Clarissa
gli diceva entrava ed usciva dalle sue orecchie più o meno alla velocità della
luce.
I suoi occhi si
ricordavano più volentieri il suo piccolo sedere, sicuramente sodo.
Pilar si alzò dal letto,
si rivestì e tirò fuori dalla tasca dei jeans gli autografi fatti da Danny.
“Dio, che figo…” sospirò
in estasi, sventolandoseli davanti al viso “Sai cos’ha scritto nella dedica per
Lola, mia sorella? Ci ha scritto A Lola…
La la la la Lo- la! E’ anche spiritoso, proprio come pensavo!”
Il ragazzo la guardò con
aria interrogativa e chiese, apatico: “E che cosa sarebbe?”
La spagnola, tentennante,
gli spiegò: “Lola è una cover che
hanno inciso e… il ritornello faceva così… Tutto qui…”
Daniel si alzò dal letto e
andò verso il bagno, sbuffando con fare annoiato.
“Sarà anche famoso, ma in
quanto a umorismo... sta messo meglio il mio criceto…”
La ragazza scosse la
testa, indossò le infradito ed insinuò: “Cos’è, sei geloso di lui? O
invidioso?”
Sulla soglia della porta,
lui le rispose con un sorrisetto: “Non è granché… Lei meriterebbe di meglio, ma
io posso farci poco… Mi faccio una doccia… Quando rientro, non voglio trovarti
ancora qui, ok?”
“Me ne stavo andando,
tranquillo…” ribatté l’altra, acida, fulminandolo con lo sguardo.
Daniel ammiccò, poi chiuse
la porta dietro di sé.
Una volta ritornata nel
suo piccolo appartamento, due piani sotto quello di Daniel, Pilar sospirò
profondamente e si addormentò dopo essersi rigirata nel letto per lunghissimi
minuti.
Neanche l’autografo di
Danny riuscì a tirarla su di morale.
~~~
La mattina dopo…
Il profumo delicato e
dolce di un cornetto caldo si fece strada nelle narici di Clarissa, che alzò
gli occhi assonnati da una pila di CD appena arrivati, tutti da sistemare negli
appositi scaffali della sezione musicale.
“Bonjour, Clarissa! Ho comprato cornetti per due! Spero ti
piacciano…” la salutò Daniel.
La collega gli sorrise
beata e disse: “Buongiorno… Sai che, teoricamente, non è consentito mangiare durante
l’orario di servizio, vero?”
Il ragazzo storse la bocca
in un mezzo sorriso, da vero teppista, ed affermò: “Anne. Devi dare la colpa a
lei se adesso trasgredisco le regole… e se corrompo il resto dello staff in
questa libreria!”
“Anne è nata corrotta,
quindi rimango solo io…” ridacchiò la bionda, allungando una mano per ricevere
la profumata colazione.
“Io mi prendo il caffè al
distributore… Tu vuoi qualcosa? Offro io!” le propose lui, mentre già si
avviava nel retrobottega.
Clarissa optò per un tè caldo.
Davanti all’illegale primo
pasto della mattinata, la ragazza sorrise al francese e gli chiese, fingendosi
maligna: “Devi farti perdonare qualcosa? O peggio, devo farti un favore?”
Lo vide ridacchiare, la
bocca nascosta educatamente da una mano, poiché piena.
“Porto solo un po’ di
cortesia tipicamente francese in giro per il mondo!” la canzonò una volta
inghiottito il boccone.
Lei si finse stupita e
sospirò con un sorriso: “Che benedizione per noi inglesi cafoni!”
“Ma non eri irlandese?” le
ricordò Daniel.
“Sì, è vero…” fu la
risposta “E’ solo che ormai è questa casa mia… Non torno in Irlanda da anni!”
“Bene, allora vorrà dire
che per te farò un’eccezione!” le fece il ragazzo con tono divertito “Le mie
lezioni di bon ton e cortesia valgono solo per gli inglesi che sono inglesi al
cento per cento… e scusa per la ripetizione, ma la mattina faccio fatica a
parlare la vostra lingua senza combinare qualche casino!”
Clarissa lo rassicurò con
una risatina e scosse la testa.
Le sorrise, rinfrancato.
“Il tuo inglese è buono,
non devi preoccuparti!” si complimentò, prima che finisse la colazione in un
ultimo sorso di tè.
“E tu? Tu non parli
francese?”
“No… Non ho mai avuto
l’occasione di impararlo, a dir la verità!”
“Te lo insegnerò io!” si
propose il giovane, andando verso il cesto della pattumiera per gettar via i bicchieri di carta.
“Come si dice Al lavoro in francese, allora?” gli
domandò Clarissa.
“Si dice Au travail… perché?”
“Au travail!!! “ lo richiamò lei, facendogli segno di seguirlo
al bancone con un sorriso compiaciuto.
~~~
Cassie si frugò le tasche
dei pantaloni, indagò anche in quelle dell’impermeabile che avrebbe indossato
di lì a pochi minuti, ma invano.
Imprecò a denti stretti.
L’aveva perso sul serio.
Credeva di esserselo
tolto, insieme al compagno, a metà serata, e di averli messi da parte.
Ma aveva ricordato male.
L’unica cosa ben definita
di quell’uscita era stata la cascata di vomito sul suo sandalo, sul suo piede.
Nonostante lei avesse
ritenuto che la sua arrabbiatura fosse legittima, Harry le aveva dato contro,
aveva sminuito il suo problema, e così avevano litigato.
Era tornata a casa con la
scarpa sporca tenuta tra indice e pollice, a debita distanza dal suo corpo.
Per calmarsi le ci erano
volute una notte di sonno e una buona pulita alla scarpa inzaccherata.
Certo, Clarissa non
l’aveva fatto apposta, di sicuro non si era divertita a vomitare l’anima.
Era quello che Harry aveva
provato a spiegarle, ma lei era troppo arrabbiata.
Avevano fatto pace per
telefono, dopodiché lui le aveva consigliato caldamente- per non dire ordinato-
di andarsi a scusare con la ragazza di Danny; le aveva dato l’indirizzo della
libreria e aveva aggiunto un “Ci conto” che non ammetteva repliche.
A quel punto, era sorto un
problema imprevisto: Cassie non riusciva più a trovare il suo orecchino.
In un primo momento pensò:
“Poco importa, lo cercherai poi, non è
importante per lei vederti con o senza orecchini…”
Poi ebbe un lampo di
genio.
Si morse subito il labbro
inferiore, incerta sul da farsi, ma la sua esitazione durò poco.
Decise di tentare, e
soprattutto di fregarsene delle conseguenze.
“Pronto, tesoro?”
“Buongiorno! Dove sei?”
“A casa, stavo per uscire,
ma ho scoperto una cosa…”
“Mh?”
“Ho perso un orecchino
l’altra sera, quando siamo usciti con i tuoi amici… Non è nella tua macchina,
vero?”
“L’abbiamo pulita insieme
ieri, l’avremmo trovato!”
“Appunto… Dato che costano
un bel po’, vorrei ritrovare quello che mi manca, mi girano un po’ le scatole…”
“Vuoi chiamare al locale
per controllare se lo hanno ritrovato lì?”
“No, no, non è lì che l’ho
perso, ne sono sicura!” esclamò immediatamente lei, continuando la sue recita
improvvisata “Credo che mi sia caduto quando… quando mi sono affacciata alla
macchina del tuo amico per vedere come stava Clarissa!”
“Dici che è nell’auto di
Danny? Mi sembra… un po’ improbabile…”
“Ti dispiacerebbe
chiedergli se lo ha trovato?”
Harry stette in silenzio
per alcuni istanti, poi rispose con tono scettico: “Ok, lo chiamo, ma…”
“Fammelo sapere subito
allora!” lo investì la ragazza, prima di concludere con “Aspetto che mi
richiami!”
“…Ok, ok! Allora a tra
poco… Ciao…”
“Ciaociaociao!”
Harry osservò con aria
perplessa il proprio cordless.
Dopodiché fece spallucce e
compose il numero di casa di Danny e Clarissa.
“Pronto?” sentì da una voce
debole, impastata dal sonno.
Ridacchiò nel
rispondergli: “Buongiorno! Sei mattiniero!”
“Judd, sono le nove e
mezza, sei indecente!” belò il chitarrista, sbadigliando subito dopo aver
parlato.
“Ti chiamo per
un’emergenza, almeno, Cassie dice che è un’emergenza ed io non posso oppormi,
devo eseguire gli ordini, non dare la colpa a me!”
“Cassie? Cosa vuole
Cassie?”
“Vuole il suo orecchino, è
convinta di averlo perso nella tua macchina quando siamo usciti tutti insieme…”
“Vuoi dire…?”
“Sì, quando Claire si è sentita
male… A proposito, come sta?”
“Come vuoi che stia? Non
ha fatto in tempo a mettersi a letto che si è rialzata ed è andata a
lavorare…!”
“Ah, bene! Cassie voleva
scusarsi con lei per quella piazzata, dopo che… Insomma, le ho dato l’indirizzo
della libreria, ma ora con questo orecchino è andata in paranoia e mi ha
chiesto di richiamarla se ce l’avevi tu! Controlleresti in macchina?”
Sentì alcuni lievi rumori,
segno che Danny si stava muovendo, poi la sua voce gli rispose: “Come vuoi…
Proviamo a guardare…”
Con l’eco risuonante nel
garage, il chitarrista annunciò al telefono: “Harry, l’ho trovato! Era ai piedi
del sedile posteriore!”
“Non l’avrei mai detto!”
esclamò l’amico, sorpreso “Ero già pronto a disperarmi, avrei giurato che lo
avesse perso per la strada! Adesso la richiamo!”
“Allora lo metto da parte,
su in casa…”
“Grazie, Dan, mi hai
salvato la giornata!”
Con una risatina, il
ragazzo salutò il suo batterista e dopo aver riattaccato risalì in casa,
poggiando l’orecchino dorato su un mobile vicino al portone d’entrata.
Neanche due minuti più
tardi, mentre stava ancora facendo colazione, il telefono squillò di nuovo.
Era Harry, ancora una
volta.
“Che ti sei dimenticato?”
esordì.
“Dan, se sei in mutande
vestiti…” lo avvertì l’amico con tono angosciato “Cassie sta per arrivare sotto
casa tua…”
“Ah! Rivuole l’orecchino,
suppongo!” ribatté l’altro, stupito “Pare che valga più di tutto l’oro del
mondo!”
“Se scopro che è
bigiotteria, giuro che le rido in faccia, dovesse prendermi a schiaffi per tre
giorni di seguito…” concluse Harry con aria rassegnata.
“Va bene, allora l’aspetto
qui!”
“Ma dovevi uscire?”
“Sì, ma alle undici, mica
adesso…”
“Meno male, almeno non ti
ha svegliato lei con le sue scampanellate…”
“Infatti sei stato tu con
il telefono, stronzo!” lo apostrofò Danny, ridendo.
Il ragazzo sbeffeggiò la
risata del socio dall’altra parte della cornetta e lo salutò dicendogli: “Riconsegnale
l’orecchino e non darle spago, altrimenti ti farà una testa così con le sue
chiacchiere!”.
Le aprì la porta in jeans,
maglietta e infradito. Non conosceva una versione più casalinga di quella.
Faticò a non arricciare il
naso quando un’ondata di profumo gli invase le narici, nel momento in cui lei
si era avvicinata per baciargli le guance, anche se alla fine aveva sfiorato
l’aria.
“Spero di non disturbarti,
Harry mi ha detto che potevo venire…” si scusò lei, giungendo le mani e facendo
tintinnare alcuni dei suoi bracciali d’oro e d’argento.
“Non c’è nessun problema!
Accomodati, il tuo orecchino è sul mobile…” la invitò lui, con tono cortese.
Cassie gli sorrise,
raggiante, e lui attribuì tanta improvvisa gaiezza al ritrovamento del cosetto
scintillante, forse anche a un po’ di stupidità.
Appena le ridiede
l’agognato accessorio, la ragazza allungò singolarmente una mano curatissima
verso il suo viso per fargli una carezza piena di gratitudine.
“Grazie, davvero grazie
mille, ero disperata…” cinguettò davanti al suo interlocutore, sorridente ma
perplesso.
“Figurati, siamo stati…
fortunati, avresti potuto perderlo per strada!”
“E invece ce l’avevi tu,
meno male!” sottolineò la ragazza per poi ravvivarsi i capelli con una mano e
chiedere: “Clarissa? Non c’è? È a lavorare, malata com’è?”
Danny decise di non fare
caso all’espressione e al tono vagamente falsi della moretta e rispose: “Sì,
sai… Claire andrebbe a lavorare anche con il colera! E comunque adesso sta
bene, è stato solo un problema allo stomaco, le è passato nel giro di qualche
ora…”
“Bene, molto bene! Stavo
andando a trovarla in libreria, spero di poterla salutare!”
“La troverai di sicuro,
sono solo in due o tre nel negozio…” la informò il chitarrista, a corto di
argomenti e anche un po’ laconico.
Cassie diede un piccolo
colpo di tosse nei secondi muti che scorsero tra di loro, poi lo travolse di
nuovo con la sua ondata olezzante, stringendolo brevemente a sé con un braccio,
e gli disse: “Grazie mille ancora! Adesso devo scappare, però usciamo qualche
altra volta, che ne dici?”
“Certo! Ci metteremo
d’accordo con il resto del gruppo!” la accontentò Danny, in vena di convenevoli.
“Certo! Certo… Ti saluto!
Ciao, Dan, grazie ancora!”
“Ciao… ciao!”
Chiuse il portone e storse
la bocca in una smorfia dubbiosa mentre rientrava in cucina.
Si aspettava che fosse più
o meno così, con la parlantina inversamente proporzionale al suo intelletto.
Ma smuovere mari e monti
per un orecchino…
O era stato Harry a
gonfiare verbalmente la propria versione dei fatti, o era stata lei ad essere
davvero paranoica.
Decise di farsi i fatti
propri al riguardo e tornò ad addentare il bacon.
~~~
“Claire, sono arrivati
questi manifesti ieri pomeriggio… Cosa ci faccio?” domandò Daniel, mostrando
alla ragazza alcuni poster adesivi.
“Ah, sono quelli dei
saldi! Dalli a me, li attacco qui fuori!” si propose la collega.
Il giovane le allungò il
materiale e se ne tornò al bancone, pronto ad accogliere i primi clienti della
giornata.
Cassie rimuginò, tastando
entrambi gli orecchini con la mano nella tasca del cappotto.
Pensò a quanta fortuna
aveva avuto, dato che la trovata dell’orecchino era stata un po’ come un salto
nel buio; aveva decisamente tirato ad indovinare per poi tenere le dita
incrociate, perché in realtà non si ricordava con precisione dove avrebbe
potuto perdere quell’oggettino, tanto prezioso quanto fortunato.
Ci aveva azzeccato, l’aveva
smarrito nel posto giusto.
Li indossò, senza smettere
di camminare, ma la sua andatura era pigra.
Non aveva più voglia di
andare dove Harry le aveva detto di precipitarsi.
Il suo orecchino lo aveva
riavuto.
Danny lo aveva rivisto, e
anche con grande soddisfazione.
Non le era importato di
aver fatto la figura della superficialotta alla ricerca spasmodica di un pendente
qualunque: alla fine, aveva ottenuto quello che voleva, almeno per il momento.
Tutto al più, sarebbe
stato lui a dire alla fidanzata che lei era passata, che aveva speso due parole
per lei…
Senza accorgersene, era
quasi arrivata a destinazione.
Non ricordava molto bene
com’era fatto il negozio, perciò non fece caso a Clarissa che, a pochi metri da
lei, era appena uscita dalla libreria, quasi del tutto coperta alla sua vista
dal manifesto steso che doveva attaccare in vetrina.
Fece per attraversare la
strada e tornarsene a casa, elaborando mentalmente una scusa da inventare a
Harry, per quando avrebbe scoperto che non aveva parlato con Clarissa…
Quando fu proprio la sua
voce a fermarla.
“Cassie?” si sentì
chiamare.
Strinse fulmineamente gli
occhi, trattenendo un’imprecazione, e si voltò.
Sì, era proprio lei.
E l’insegna parlava
chiaro: era proprio una libreria, QUELLA libreria.
“Clarissa! Ti ho trovata
finalmente!” le pigolò, improvvisando nuovamente, camminandole incontro.
“Mi stavi… cercando?”
domandò la ragazza, poggiando i poster sul marciapiede.
“Certo! Ho un senso
dell’orientamento penoso, ma finalmente siamo qui, nel posto giusto!” ridacchiò
lei, tirandosi addosso l’altra nell’atto di abbracciarla affettuosamente.
Clarissa trattenne il
fiato, nauseata dal troppo profumo, e si staccò gentilmente dalla sua stretta,
chiedendole: “Come mai da queste parti? Dove hai lasciato Harry?”
“E’ a casa, sai, a
bivaccare e a giocare con la batteria…” la liquidò la ragazza, per poi
continuare, cambiando argomento: “Volevo vederti per chiederti scusa, Claire! L’altra
sera ho fatto la pazza e non so neanche perché, scusami, so che tu non l’hai
fatto apposta di…”
“No, no, no, Cassie, ci
mancherebbe altro!” la interruppe la bionda, scuotendo la testa “Sono stata io!
Di certo non mi sono divertita a farlo, però… avrei dovuto spostarmi, andare in
bagno, e invece ho combinato solo un gran casino, mi dispiace…”
“Ma non dirlo neanche!”
insistette Cassie, mettendole le mani sulle spalle “Guardami, sono ancora viva,
la mia scarpa è come nuova, non è successo niente! Ero venuta solo a dirti che…
puoi stare tranquilla!”
“… Ah!” esclamò l’altra,
mascherando la propria confusione con un sorriso conciliante.
E mentre lei le parlava di
quanto le circostanze fossero state buffe e sfortunate durante quella
celeberrima serata, Clarissa la fissava, assecondando i suoi discorsi senza
veramente ascoltarla.
Non poté fare a meno di
etichettarla definitivamente come “antipatica”, con tutti quei battiti di
ciglia impregnate di mascara e la sua voce cantilenante che la menzionava di
continuo in via fin troppo confidenziale: Claire,
Claire, Claire…
E credeva anche di avere
ragione! La stava tranquillizzando!!!
Alla fine, trovò il modo
di liberarsi di lei, intrufolandosi in una delle sue sporadiche pause tra un
monologo ed un risolino.
“Grazie per essere venuta
fin qui, non me l’aspettavo…” esordì, prendendole le mani con una decisione
mascherata da calore amichevole “Mi fa piacere averti visto, e ora devo
lasciarti perché…”
“Giusto! Il lavoro è il
lavoro!” la sovrastò l’altra, annuendo con un enorme, bianchissimo sorriso “E’
stato bello anche per me! Spero di vederti presto, magari… non so, usciamo con
i ragazzi!!!”
“Certo, tanto basta una
telefonata e siamo d’accordo!” rincarò la dose Clarissa.
“Perfetto! Allora… Ci
salutiamo! A risentirci, spero!”
La strinse per le spalle
minute per baciare l’aria vicino alla sue guance, senza darle il tempo di
ricambiare; a Clarissa non restò che sollevare la mano per congedarsi.
Nel guardarla
allontanarsi, mentre tornava lentamente al lavoro, scosse impercettibilmente il
capo, pensierosa.
Che problemi aveva quella
ragazzetta?
Harry stava davvero con
lei?
Harry ha seri problemi con il genere femminile…
Quel pensiero veritiero
non la rassicurò: quella Cassie era davvero troppo anche per gli standard
discutibili di quello strampalato del suo amico.
“Clarissa?” si sentì
richiamare dalla voce di Daniel.
Si voltò di scatto,
riprendendosi dalle proprie perplessità, ed esclamò: “Scusami! Era passata una…
a… salutarmi…”
“E’ carina la tua amica!” ammiccò
il ragazzo, le mani in tasca ed un sorrisetto furbo sulla soglia del negozio.
“Non è mia amica!” lo
contraddisse subito l’altra, iniziando a stendere il manifesto sulla vetrina “No,
non lo è affatto…”.
***
Il
titolo del chapter è lo stesso della canzone dei McFly,
risalente al loro primo album "Room on the third floor". nessuno scopo
di lucro.
|
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Capitolo 7 *** I'm looking at you from another point of view ***
claire
Mio Dio, ma è tardissimo! Vi saluto alla velocità della luce, sperando di sapere che state tutti bene!!
Scusate il ritardo, ho cercato di pubblicare il prima possibile per
farvi contenti, e anche perchè così riuscirò a
gestire meglio tutto il resto del materiale che ho in cantiere :)
Magari un giorno vi rivelerò qualcosina al riguardo!
Dopo le vacanze devastanti, gli esami e in attesa di una settimana very busy,
eccomi qui, con un nuovo capitolo. Vi avverto, lo odierete XD Sarete
voi a dirmi per cosa!! Io l'ho odiato scrivendolo, ma d'altronde era
necessario, essenziale! Sapete, bisogna pur accendere la miccia prima
di fare esplodere una bomba!!!...
Passiamo alla parte più bella! Grazie a TUTTI, come al solito, ma in particolare a...
@RubyChubb: Odiami, caVa,
odiami!!!! E poi quella dei capitoli lunghi sei tu, non io, cosa vuoi
da me?! :P Queste righe ti manderanno in visibilio per l'isteria,
già lo so! Grazie per esserci sempre!!!
@GiulyB: Grazie mille anche a
te, sono contenta che il capitolo precedente ti sita sembrato
"godibile". Peccato che in questo caso penserai il contrario XD Ma un
pò per uno non fa male a nessuno, mettila così XD Grande
ammirazione per essere in pari nonostante la tua dichiarata pigrazia :D
:D!
Ed ora, mcflyani e non... à vous! Devo lasciarvi in fretta e furia, ma tornerò presto!
Baci
Ciry
***
Si afflosciò sopra il divano, in attesa che il suo ragazzo
venisse a salutarla decentemente, andando oltre quel Ciao! urlato dal
piano superiore. Era stanca morta.
“Dan, ma che stai facendo,
hai messo radici al computer?!” sbottò spazientita dopo
due minuti di silenzio totale.
Invece di una risposta diretta,
sentì i passi frettolosi del fidanzato e il sorriso ricomparve
sulle sue labbra, rincuorato e divertito: si sarebbe precipitato da
lei, baciandola con gli interessi per scusarsi del ritardo!...
“Ehi! Scusami, ero a ribaltare casa, non trovavo una cosa…”
Lo vide sfrecciare davanti a lei
con un mucchio di scartoffie tra le braccia e solo quando si
alzò dal divano e gli andò incontro, palesemente
desiderosa di un bacetto, lui glielo concesse. Sulla fronte, un
velocissimo schiocco prima che tornasse a concentrarsi sulle proprie
carte, sparpagliate sopra il grande tavolo del salotto.
“Ma… che cos’è quella roba?” domandò, confusa.
“Sono tutti i testi e le
melodie che sono riuscito a mettere su negli ultimi mesi” le
rispose lui, parlando in fretta, con gli occhi illuminati
dall’eccitazione “Oggi ho incontrato alcuni produttori con
Tom e sarebbero interessati a fare qualche pezzo con noi! Quando ce
l’hanno detto, lui ha risposto sì sì a tutte le loro domande, come al solito, e poi, quando siamo rimasti soli, mi ha fatto Porta
qualche canzone delle tue domani, io ho fatto qualcosa, per ora
però ho solo qualche bozza, voglio lavorarci ancora qualche
giorno, non mi fido… Io sono rimasto di sasso, non era mai successo che affidasse tutto a me!!!”
“Bè, ma… non ci
saranno solo pezzi tuoi e basta, alla fine, no?” domandò
Clarissa con aria retorica, fissando uno spartito pasticciato
d’inchiostro blu e caffè.
Danny alzò lo sguardo su di
lei, ammutolì per qualche istante ed infine ribatté,
vagamente perplesso: “Ma è dai miei pezzi che si
partirà, Claire… Lo sai che l’ultima volta che
è successo, è stato per Wonderland…”
“Sì, sì, lo so, ma… Ti sei offeso, scusa?”
“No, non sono offeso, è che…” il chitarrista cercò le parole adatte…
“Non ti vedo… contenta, ecco…” concluse, incrociando le braccia al petto.
La sua ragazza alzò le
spalle con un sorriso rassicurante e affermò: “Ma certo
che sono contenta… E’ solo che sono anche stanca, tutto
qui… e poi voglio sentire che cosa ne ricaverete, da questo
lavoro, prima di entusiasmarmi, sai…”
Il suo sorriso venne ricambiato,
entrambi si tranquillizzarono e lui scosse la testa, sospirando:
“C’è un sacco di lavoro da fare coi ragazzi, mi
sento come se dovessi avere il controllo del mondo da un momento
all’altro…”
Clarissa lo baciò sulla
tempia prima di dirgli: “A stomaco vuoto nessuno ragiona come si
deve, adesso preparo la cena e vedrai che…”
“Ah, aspetta, no” la
interruppe lui, con una smorfia di disappunto “Ho già
cenato con una pizza, devo essere in studio nel giro di un’ora
per vedere se riusciamo a registrare qualche demo…”
Non riuscì a nascondere una
punta di delusione, che le salì immediatamente agli occhi;
riuscì a scacciarla prima che lui potesse dirle qualsiasi cosa e
si mostrò accondiscendente. Del resto, non era la prima volta
che capitava in due anni…
“Va bene… Farete tardi?” domandò, cauta.
“Sinceramente non ne ho idea… Tu non aspettarmi sveglia, comunque, ok?”
Era certa che sarebbe tornato a notte fonda.
Si mise il cuore in pace, annuì in silenzio e lo lasciò al suo nuovo tesoro cartaceo per rinchiudersi in cucina.
Quando se ne fu andato, lo
salutò come sempre, riservandogli il consueto bacio a stampo,
quello che a volte lui reclamava una seconda volta, perché non
era riuscito a sentire del tutto le proprie labbra sulle sue.
Quella volta, avrebbe potuto essere
lei quella a lamentarsi, ma aveva taciuto di fronte al suo entusiasmo
per il progetto di cui si sarebbe occupato con la band.
Non era certo la prima volta che si
assentava per lavoro, ma quando si era messa con lui, i McFly stavano
attraversando un periodo di quiete, una sorta di anno sabbatico
trascorso a rilassarsi dopo il matrimonio di Tom. Di certo nessuno di
loro era mai rimasto con le mani in mano: si trovavano spesso insieme a
suonare in studio, in molte occasioni erano partiti per qualche giorno
in giro per l’Europa, a fare comparsate in TV, portandosi dietro
Gi, Frankie e lei, mai abbastanza avvezza ai fotografi per considerarli
“parte della tappezzeria” ed ignorarli bellamente, no.
Tendeva sempre a rivolgere degli sguardi inquieti verso i loro
obbiettivi, sentendosi addosso degli sguardi fin troppo invadenti.
Almeno, allora stavano insieme costantemente.
Di un nuovo album non aveva ancora
sentito parlare: né Danny, né gli altri le avevano
rivelato mai niente. Ma sembrava essere giunto il momento per mettersi
al lavoro e registrarne uno, chissà di che stampo e in
chissà quanto tempo.
Da amica di Harry, Dougie e Tom,
aveva sempre tollerato in passato con rassegnata pazienza la loro
assenza prolungata, i loro appuntamenti mancati, gli imprevisti e le
dimenticanze.
Da fidanzata di Danny, ancora non sapeva come comportarsi di preciso, ma decise di non farsi paranoie inutili prima del tempo.
Si
tratta solo di stare un po’ meno tempo insieme e di non
stressarlo più del dovuto, Claire, non essere stupida…
Guarda il lato positivo: avrai più tempo per te!
Dopo una cena a base di insalatona mista, il telefono di casa squillò.
“Pronto?”
“Ciao, tesoro…”
Sorrise di cuore.
“Nora… Come stai?”
“Un po’ raffreddata, ma niente di serio… E tu? Ti sento un po’ stanca…”
“E’ il lavoro,
tranquilla, per il resto sto bene!” la tranquillizzò,
divertita dal suo intuito sempre infallibile.
“E il tuo fidanzato? E’ lì con te?”
“No, stasera Dan è
uscito presto per andare a suonare con i ragazzi, ma non so dirti molto
di più…” mentì con disinvoltura, vincolata
com’era all’obbligo della riservatezza sulle questioni di
lavoro della band.
“E così ti ha lasciata
da sola ai fornelli, eh?” ridacchiò la vecchia signora,
ricambiata dalla ragazza, che le domandò: “Come vanno le
cose lassù?”
“Abbastanza bene, e ti ho
chiamata per un motivo ben preciso, anzi, due! Volevo prima di tutto
sgridarti sonoramente per non essere più tornata a casa! Sai che
è passato più di un anno?!”
Alla parola “casa”,
Clarissa storse la bocca, ma si limitò a ribattere: “Hai
ragione, lo so, lo so, è che sono sempre stata piena di lavoro,
e poi mi sono trasferita qui da Danny da pochi mesi, non ho trovato un
attimo per…”
“Ti sculaccerò
comunque appena ti vedo!” la sovrastò l’amica in
tono canzonatorio “Tra un mesetto circa sai che giorno è?
Barbara compie gli anni! E tu non puoi mancare, dico bene?”
Sapeva perché le stava
rivolgendo quel tono buffo, eppure severo: l’anno prima non aveva
partecipato al compleanno della madre adottiva a causa dei preparativi
alla convivenza con Danny, per non parlare delle ferie che non le
davano mai…
Quell’anno, non avrebbe potuto non essere presente, non un’altra volta. Non voleva.
“Me lo ricordo,
sì, e stavolta mi sono organizzata, sai? Ho dovuto fare carte
false per avere qualche giorno libero il prossimo mese, ma ce
l’ho fatta e stai sicura che verrò! Porto anche Dan, va
bene?”
“Mi pare ovvio! Altrimenti
finirà che lo vedrò soltanto in TV!”
concordò la signora in tono concitato.
“Se gli dico che è per il compleanno di Barbara, accetterà sicuramente, stai tranquilla!”
“Va bene, piccola, va bene,
puoi smettere di rassicurarmi, sono almeno vent’anni che me ne
sto tranquilla di continuo, con tutto quello che non ho da fare nella
vita, se non lavorare a maglia e leggere giornaletti gossippari
perché i libri sono scritti troppo in piccolo per la mia
miopia!”
“E aggiungici anche i
pettegolezzi con Barbara e con le signore del vostro circolino,
Nora…” insinuò la ragazza, sorridendo al pensiero
di tutte quelle attempate donne dai capelli bianchissimi, patite di
tè, biscotti e radio alle cinque del pomeriggio, che
accarezzavano e pizzicavano Danny sulle guance, cicaleggiando “Ma che bel ragazzone!”, “Santo cielo, ma quanto sei alto?!”, “Fatti dare un bacio!!”…
“Verranno anche loro alla
festa! Paula farà la torta al limone, ragione in più per
cui dovrai essere presente, hai capito, esule dei miei stivali?”
“Sì, nonna, sì,
ho capito…” cantilenò lei di rimando, facendola
ridere per quel nomignolo, tanto artificioso quanto plausibile.
Si salutarono con la promessa di
risentirsi e mettersi d’accordo per il mese successivo, e al suo
ritorno in cucina Clarissa notò l’arrivo di un SMS sul
cellulare: era Anne.
Daniel ed io stasera ci rinchiudiamo in un pub, abbiamo voglia di patatine fritte, ma non di cucinarle! Ti unisci a noi?
Declinò l’invito,
scrivendo che aveva già cenato e che sarebbe andata a letto
presto, e così fu, suo malgrado, perché provò a
guardare un film alla televisione, ma gli occhi le si chiudevano
davanti allo schermo.
Sentì le lenzuola spostarsi
leggermente, così d’istinto le tirò piano verso di
sé, socchiudendo a malapena gli occhi, stordita.
Un impercettibile schiocco di
labbra sui suoi capelli spettinati le diede la conferma che Danny era
tornato; si girò mollemente verso di lui.
“Ciao…” sussurrò con un sorriso stanco.
Lui se la strinse al petto,
ricambiando il saluto, e le disse: “Scusa, ti ho
svegliata… Torna pure a dormire…”
Vedendolo sbadigliare, Clarissa
confermò: “Sei stanco anche tu, vedo… Allora
buonanotte, amore…”
“’Notte…”
Al mattino, non lo trovò a
letto e capì subito perché: non era stata solo la sveglia
a farla alzare dal letto, ma anche la sua musica.
Stava già suonando, di prima mattina.
Stupita da tanto senso del dovere,
decise di non disturbarlo e sgattaiolò silenziosamente in cucina
per prepararsi la colazione, constatando immediatamente che lui
l’aveva preceduta, dato l’odore di pancetta bruciata che le
arrivò alle narici, facendole storcere la bocca.
“Gesù…”
boccheggiò mentre apriva la finestra, accorgendosi anche della
padella lasciata sporca sui fornelli…
Che nervi…
Avrebbe avuto giusto il tempo per
una colazione veloce, dunque si preparò solo un caffè in
fretta e furia, dopodiché fece capolino nella “sala della
musica”, come la chiamava lui.
“Buongiorno, musicista…” fece, trovandolo con la chitarra tra le mani ed una matita in bocca.
“Ciao, amore!” la
salutò lui di rimando, restando seduto sul suo sgabello
“Ti ho svegliata io? Troppo casino?”
“No, tranquillo… Tra
poco devo andare, avevo messo la sveglia…” lo
giustificò la ragazza prima di affondare la bocca nella sua
guancia destra, un po’ più pungente del giorno prima.
“Stavo preparando due o tre
robette…Oggi pomeriggio, parliamo con uno di quei pezzi grossi
di cui ti parlavo ieri: vuole sentire se e come modificare il
sound…”
“Mi farai sapere com’è andata, allora, ok? Ci sei stasera, no?”
“Credo… credo di
sì! Per cena penso proprio che avremo finito!” le rispose
il chitarrista, seppur con una piccola nota d’incertezza nella
voce a cui Clarissa non fece troppo caso.
“Bene” gli disse,
pizzicandogli piano il naso per poi allontanarsi “Allora io vado
e resto fino alla chiusura… Se torni prima di me, li metti tu i
piatti in lavastoviglie? Ci sono solo la mia tazzina da caffè e
la padella che hai usato prima, poi per il resto è carica, va
bene?”
“Sì, me ne occupo io!” confermò Danny prima di lasciarla correre ai preparativi della routine.
Gli augurò di corsa buona
fortuna, aggiungendo il solito bacetto a stampo, ed uscì,
lasciandoselo alle spalle, iperconcentrato e teso.
~~~
“Doug?”
“Mh?”
“Tu… Voglio dire, Frankie non è qui…”
“Ovvio, no. È uscita
prima di me, credo volesse fare shopping con Rochelle…
Perché me lo chiedi?”
“Aspetta… Tom?”
“Dimmi…”
“Dov’è Gi?”
“Gi?”
“Sì, Gi!”
“L’ho… lasciata
a casa… Respirava… Credo che sarà ancora viva al
mio ritorno… Che doman…”
“Se nessuno di noi ha portato le ragazze… perché Cassie è qui?”
La domanda a bassa voce di Danny
aleggiò nell’aria senza risposta per qualche secondo,
sopra il fumo delle sigarette e del caffè.
Tom fu il primo a rompere il silenzio, con serenità.
“Forse era curiosa di vedere
come se la cava Harry! Non lo ha mai visto suonare!”
ipotizzò, sorseggiando il suo espresso.
L’amico chitarrista scosse la
testa sbuffando fuori il fumo della sua sigaretta e ribatté:
“Non avrebbe dovuto. Voglio dire, stiamo lavorando, no?”
“Che parolone!” intervenne Dougie con un gesto plateale della mano.
“Doug!” lo riprese
Danny, cercando di mantenere la calma “Dovremmo starcene
concentrati per evitare che quelli là dentro ci prendano a calci
in culo, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono le
distrazioni, e le ragazze qui sono distrazioni!”
“Eddài, Dan, prova a
calmarti…” gli disse l’altro, battendogli una mano
sulla schiena per poi rivolgersi a Dougie: “Suoniamo i suoi
pezzi, si sente come se stesse camminando sulle uova!”
“Andiamo, li abbiamo imparati
tutti nel giro di due settimane! Come se non li conoscessimo!”
sdrammatizzò il bassista.
“Sì, però non
avete capito!” sbottò ancora il loro collega “Il
punto è che il lavoro è lavoro! Se si mescola tutto,
qui…”
“Harry è
affidabilissimo e questo lo sai… Si sta solo prendendo cinque
minuti di pausa per stare con Cassie, poi lei torna al di là del
vetro e noi suoniamo in studio, capito? Di certo non se ne sta seduta
sulla grancassa…” gli spiegò Tom, cercando di
tranquillizzarlo.
“Sta venendo qui,
c’è anche lei, zitti” li ammonì Dougie,
telegrafico mentre sorrideva con lo sguardo al batterista con la sua
ragazza.
“Ragazzi, tutto a
posto?” domandò subito Harry una volta fuori
dall’edificio, guardando le facce dei suoi amici.
Tom annuì con un sorriso e
aggiunse, indicando Danny: “Abbiamo solo un piccolo episodio di
paranoia tra noi, niente di che… Ha paura di fare fiasco!”
Il batterista ammiccò al collega e volle rinfrancarlo.
“Dan, ho improvvisato su uno
dei pezzi mentre stavamo registrando, è andato tutto alla grande
alla prima, stai tranquillo, quelli sono entusiasti, non ce li
bocceranno!”
“E’ vero, siete tutti
bravissimi!” rincarò la dose Cassie, sorridendo allegra
“Io li ho visti molto soddisfatti, e poi piacciono anche a me!
Per oggi sono la vostra rappresentante delle orecchie del popolo!”
“Grande Cassie con le orecchie del popolo!” esultò Dougie, offrendole la mano per battere il cinque.
Danny sorrise, ritrovando un po’ di razionalità e calma.
“Ok, ok, andrà tutto bene, lo so anch’io… Devo solo…”
“Smettere di fumare” lo
interruppe Tom, togliendogli il pacchetto di sigarette dalle mani
“Devi cantare ancora per un po’, quindi ti conviene, o il
microfono ti manderà a fanculo…”
“Mammina, rientriamo? Voglio
suonare, mammina!” cinguettò Harry, avvicinandosi al
chitarrista biondo, che lo respinse con una smorfia divertita.
“Oh, sì, mammina,
dài, insegnami a suonare il pianoforte come sai fare tu, ti
prego, mammina, insegnami il tuo pezzo migliore…”
continuò Dougie con una vocetta infantile.
“Jingle Bells!” sparò Harry, scatenando l’ilarità generale.
“Se fossi vostra madre, vi
avrei dati in adozione!” se ne uscì la vittima della gag,
senza smettere di ridere.
Danny li osservò con il
sorriso sulle labbra, seguendoli con Cassie accanto, che
dichiarò divertita: “Se sul lavoro siete sempre
così divertenti, verrò a trovarvi più
spesso!”
Spostò gli occhi spensierati sul chitarrista, che non riuscì a trattenere una risatina nervosa e inascoltata.
***
In
questo capitolo ho citato una certa Rochelle, alias Rochelle Wiseman,
collega della nostra Frankie nel gruppo delle Saturdays! Nessun motivo
pertiacolare per cui ho scelto proprio lei, mi piaceva il nome :)
E per quanto riguarda il titolo del capitolo, è tratto da "P.O.V." dei McFly, senza scopo di lucro, come sempre!
Questo capitolo si basa su presupposizioni ed ipotesi, tutte
provenienti dalla mia imamginazione, poiché di fatto non so come
lavora un artista e come si rapporta con un produttore! Ho provato a
ritrarre un contesto plausibile e spero di non scandalizzare nessuno se
ho scritto degli sfondoni :).
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Capitolo 8 *** Let's convince ourselves it's all under control ***
clarissa
Salve
a tutti e perdonate il ritardo! E' in corso un noiosissimo periodo di
scarsa ispirazione, sto cercando di combatterlo come meglio posso!
In questo capitolo mi concentro su dei brevi ma incisivi momenti che,
spero, apprezzerete. La brevità generale è sorta
spontaneamente mentre scrivevo, ma rileggendo non ho trovato
alcunché da correggere o da "allungare": avrei solo farcito
inutilmente degli attimi che, proprio perchè sono tali, devono
essere corti, concisi, ma determinanti per essere degni di attenzione.
E dal momento che non scrivo per Harmony, non mi dilungherò mai
su struggenti momenti di innamoramento/sesso favolistico/dolore da
cuore spezzato :P!
Posso solo dirvi questo prima di augurarvi buona lettura, senza
dimenticare però di ringraziare tutti coloro che mi leggono e
chi mi recensisce.
@RubyChubb: Uffa, te e i
capitoli chilometrici :P. Ti ho già detto che sei tu l'addetta
ai capitoli che sembrano infiniti! Io sono per le "pilloline", quelle
che ti fanno salire la rabbia :P:P:P Grazie per la fiducia,
comunque!!!!!
***
“Hai letto, Claire?” domandò Daniel durante la
pausa- pranzo, indicando a Clarissa una pagina del quotidiano gratis
che aveva preso in metropolitana.
“Letto cosa?” si incuriosì la ragazza, avvicinandosi per sbirciare l’articolo di giornale.
“Apriranno presto un nuovo
locale a Camden” le spiegò il francese “Io non ci
sono ancora mai stato da quelle parti! Com’è?”
“Camden è…
Ecco, io non ci vado molto spesso, non è proprio il mio
genere…” confessò l’altra “Però
è forte! Negozi di ogni tipo, un mercatino incredibile e un
sacco di gente assurda che gira per le strade senza dare
nell’occhio, perché lì quasi tutto è
assurdo!”
“Le pays des merveilles,
insomma!” recitò il ragazzo, che poi tradusse : “Il
paese delle meraviglie, come direste voi… “
“Una specie, sì!” confermò la collega “Ma quale sarebbe il locale che devono aprire?”
“Non sono sicuro, ma credo
che si tratti di una grande discoteca… Un locale a tema che per
ogni festa che organizza sceglie un soggetto diverso… Sembra
forte! Aprirà il mese prossimo!”
“Potresti farci un salto con… come si chiama… quella tua amica spagnola…” propose Clarissa.
Daniel rispose con una smorfia contrariata: “Pilar?... No, non credo…”
“Dici che non andrebbe in
posti del genere? Di solito, Camden attira un sacco di studenti, anche
stranieri…” obiettò la ragazza, perplessa.
“No, è che…”
Il ragazzo sembrò cercare le parole adatte.
“Insomma, Pilar non è il massimo della compagnia per me…”
L’altra ribatté
prontamente: “Se nel tuo giro non trovi nessuno con cui andarci,
potresti accennare la cosa a Anne! Lei adora queste cose! Feste, bevute
gratis, fare le ore piccole ballando… Avrai capito che tipo
è, no?!”
Lui parve pensare a quella proposta
per qualche istante, poi se ne uscì: “Vedrò!
Comunque all’inaugurazione manca ancora almeno un mese!”
Clarissa liquidò la faccenda
con una battuta ironica: “Dovrebbero aprire più librerie,
altro che discoteche!”
Daniel ridacchiò per poi
chiederle, curioso: “Se il tuo fidanzato fa parte di un gruppo
famoso, andrete di continuo a decine di feste esclusive, no?”
Lei scosse la testa con fare apatico.
“A me non sono mai piaciuti
granché gli eventi mondani…” affermò
“Ci sono stata poche volte, potrei addirittura contarle sulle
dita di una mano. E ogni volta è sempre andata a finire con
Danny sbronzo! Fortuna che c’era l’autista! Però io
mi sono sempre annoiata… Non mi piace quell’ambiente,
insomma. Per la maggior parte, gli invitati sono snob, oppure
invadenti. E comunque, sempre troppi!”
Daniel annuì e aggiunse: “Bisogna sapersi divertire, anche senza alcool… o peggio, la droga…”
“Se ce n’era, io non l’ho vista” tagliò corto l’altra, sulla difensiva.
“Scusa, mi sono spiegato
male!” si giustificò il ragazzo “Non voglio certo
dire che il tuo fidanzato o… i suoi amici… ne fanno
uso…”
Clarissa gli sorrise, più
rilassata, e replicò: “Non fa niente, tranquillo. É
che sono abituata a smentire ogni genere di sciocchezza che circola su
di loro!”
“Posso immaginare lo
stress” concordò il francese in tono comprensivo “A
volte penso che la stampa sia fatta solo di provinciali
bigotti…”
“Come ipotesi, è
plausibile!” esclamò Clarissa con una smorfia divertita
“In Francia sono tremendi come da noi?”
“Ti dico solo che poco ci
manca prima che conosciamo quante paia di mutande possiede il nostro
Presidente!” scherzò Daniel, facendola ridere.
“Se ti prometto di eliminare
giornalisti e paparazzi, accompagnami tu
all’inaugurazione!” le disse poi, cogliendola alla
sprovvista.
“Grazie dell’eroismo,
mio caro…” gli rispose, scompigliandogli i capelli con un
sorriso “Ma se aprono davvero tra un mese, non credo che ci
sarò… Me ne vado per qualche giorno in Irlanda, mia madre
compie gli anni…”
Cercando di mascherare una punta di
delusione, il ragazzo ribatté, ironico: “Davanti a tali
cause di forza maggiore, anche il discendente di un antico
rivoluzionario deve arrendersi!”
“Quale antico rivoluzionario?” indagò la sua collega con sguardo interessato.
“In famiglia mi hanno
spiegato che non so quale mio antenato, con il mio stesso nome, ha
combattuto durante la Rivoluzione Francese… Ma era solo un
borghese, niente di più!”
“Accidenti, hai detto
niente!” esclamò Clarissa, sinceramente colpita “Io
non so neanche se ce l’ho, un antenato! Se sì, sarà
stato sicuramente un personaggio di un certo spessore…”
“Vale a dire?”
La ragazza trattenne a stento una
risata nel rispondere: “Non saprei! Forse un contadino che viveva
su una scogliera, sai, in mezzo alla natura, sommerso dal
letame…”
“Sei perfida! Abbiamo appena
finito di pranzare!” la canzonò il ragazzo, rifilandole
scherzosamente un leggero schiaffo sul braccio, che lei ricambiò
immediatamente con un altrettanto lieve pizzicotto.
~~~
Al suo ritorno a casa, dopo un
turno sfiancante passato con Anne e Daniel a trasportare scatoloni
pieni di nuovi libri dal camion delle consegne al magazzino, non
trovò nessuno, ma non se ne preoccupò, perché
erano appena le otto.
Pensò che Danny stesse
finendo le sue “faccende”, come le chiamava lei, con i
ragazzi, così si limitò a sospirare sulla porta
d’ingresso, già pronta ad armarsi di buona volontà
per finire di caricare la lavastoviglie e preparare le cena.
Mezz’ora dopo, stava
cucinando, sorpresa di se stessa per aver trovato un briciolo
d’energia creativa da applicare ai fornelli.
“Dunque… La sfoglia ce
l’ho…” ragionò a voce alta, lanciando
un’occhiata al rotolo di pasta- sfoglia che poco prima giaceva
abbandonata nel frigo.
“Poi… Ok, i pomodori,
il formaggio, una melanzana, un paio di zucchine… Basteranno?
Sì, me le farò bastare…” concluse, prima di
preparare il forno affinché fosse riscaldato a dovere poco
più tardi, pronto per accogliere la sua torta salata.
Danny era un divoratore vorace di
torte salate, l’aveva sempre saputo, e poi sua madre glielo aveva
sempre ribadito, accompagnando un saggio consiglio: “Se torna a casa stressato o stanco, fagliene mangiare una fetta! Resuscita come Lazzaro, parola mia!”.
Così si era esercitata per
mesi con la pasta- sfoglia da stendere, le verdure da tagliuzzare ed il
formaggio da stenderci sopra; fino al momento di infornare non aveva
mai avuto particolari problemi, ma doveva ammettere che qualche volta
le era capitato di ritrovarsi tra le mani delle torte un po’
bruciacchiate… Aveva imparato da poco ad azzeccare la tempistica
e a sfornare creazioni che Danny divorava sempre con piacere.
In quel momento aveva appena
infornato la sua ennesima torta, preparata con cura e
meticolosità apposta per il suo fidanzato.
Il telefonino squillò a pochi passi da lei, sopra il tavolo: la stava chiamando Tom.
“Pronto?”
“Thompson? Ciao! Sei già a casa, ti disturbo?”
“Ciao, Fletcher… Sono tornata una mezz’ora fa, stavo… preparando la cena. Perché?”
“La cena, eh? Me lo
aspettavo…” borbottò Tom, per poi continuare:
“Ti ho chiamato io perché al momento Dan sta parlando con
uno dei produttori, discutono dei suoi testi…”
“Aspetta” lo interruppe Clarissa, intuendo cosa stava per dire “Non tornate per cena, vero?”
Il chitarrista sospirò e
ribatté, rassegnato: “Esatto. Scusa, è che…
ci stanno spremendo come limoni e la giornata non è ancora
finita...”
“Non preoccuparti, me
l’aspettavo…” lo tranquillizzò l’amica,
lo sguardo sul forno illuminato.
“Dan aveva il cellulare
scarico, così ti ho avvertito io da parte sua” aggiunse il
ragazzo, sentendola vagamente delusa nella voce.
Con una risatina appena accennata,
si sentì rispondere: “Si è dimenticato di metterlo
in carica stanotte… Un giorno dimenticherà anche la
testa… Comunque, grazie per aver chiamato!”
“Figurati… E’ una bella seccatura, lo so…”
Si mise a giocherellare
nervosamente con una ciocca di capelli, detestando per un attimo Tom,
che con il suo intuito non l’avrebbe mai lasciata in pace.
“Mi ci abituerò, non
preoccuparti” lo rassicurò, nel tentativo di sviarlo dai
suoi pensieri più profondi “So che state lavorando, non
voglio essere un peso e assillarlo…”
“Sono sicuro che appena lo
faranno sentire un po’ meno sotto pressione, recupererà il
tempo perduto!” la rasserenò a sua volta il biondino,
facendola sospirare per il sollievo.
Lo convinse a riattaccare poco dopo.
“Digli che va tutto bene e che sicuramente starò dormendo quando lui tornerà a casa, solo questo!”
“Agli ordini! Non preoccuparti, comunque, ok?”
“Tom?”
“Sì?”
“Me lo hai già detto tre volte, di non preoccuparmi…”
“Sì, e ora sono alla quarta, e con questo?”
Clarissa rise del suo tono
fintamente indignato e lo salutò, sentendosi se non altro meno
irritata di quando la conversazione era iniziata.
Si accorse che durante la
telefonata le era arrivato un messaggio da parte di Giovanna: le
chiedeva se avesse già saputo dei ragazzi che non sarebbero
tornati per cena; per risponderle, la chiamò.
“Perché non vieni a
cena da me? Ho una torta salata intera da consumare, appena
fatta!” la incalzò non appena rispose.
L’amica accettò volentieri, aggiungendo ironica: “Che pazienza, non è vero?”
Clarissa sbuffò con un sorriso e ribatté: “Vita da artisti. Ce la siamo cercata, Gi!”
La risata di Giovanna la
contagiò mentre la sentiva affermare: “Tra… venti
minuti al massimo sono da te! Ci strafogheremo alla faccia loro!”
Le gambe di entrambe appoggiate al tavolino da fumo ed alcune briciole sparse sul divano.
Mangiare in salotto era molto più comodo e divertente che in cucina.
Giovanna si complimentò con
Clarissa per l’ottima torta e la distrasse a suon di chiacchiere
da quella sua strana sensazione di vuoto misto al disappunto, la stessa
che in passato anche lei aveva conosciuto.
Nonostante le risate e il vino,
però, lo sguardo ignaro della biondina restava patinato di
disagio e senso di insoddisfazione; Giovanna decise di cambiare tattica
tutto d’un colpo e di affrontare il problema piuttosto che
evitarlo.
“Claire” la
richiamò, mentre la vedeva indaffarata nel lavare le poche
stoviglie che avevano usato; la ragazza si voltò a guardarla, in
attesa, scorse lo stesso sguardo indagatore di Tom e si preparò
psicologicamente ad una domanda scomoda…
“Ci sei rimasta male, non è vero?” insinuò con tono comprensivo l’amica.
L’altra esitò per qualche attimo prima di annuire ad occhi chiusi.
“Non è lecito che mi
senta così…” precisò prima di tornare con
gli occhi nel lavello pieno di schiuma.
Giovanna la contraddisse:
“Lecito o meno, provi quel che provi e posso assicurarti che
è una cosa normale, sai?”
“Io invece credo che sia una
delle mie tante paranoie inutili e ingiustificate, come al
solito…” ribadì la ragazza, iniziando a pulire dopo
aver finito anche il risciacquo.
La moretta le si avvicinò e
insistette: “Per anni anch’io restavo delusa o arrabbiata
se Tom mi dava buca o arrivava paurosamente in ritardo ad un nostro
appuntamento, tutto perché doveva suonare, finire
un’intervista, aspettare che il traffico si sbloccasse mentre
tornavano da chissà dove con gli altri… Molti dei nostri
anniversari li abbiamo passati al telefono. C’è stato un
periodo in cui ho pensato di lasciarlo, sai?”
Clarissa la fissò,
interdetta, e ribatté: “Un periodo di debolezza sembra
normale per tutti fuorché per voi due, lasciatelo dire!”
L’altra ridacchiò
prima di continuare: “Volevo mollarlo, Claire… Non
riuscivo ad accettare il fatto di dover stare così lontani,
spesso per mesi… Avevo pensato ad ogni cosa: come dirglielo,
quando, dove, in che modo affrontare le conseguenze… però
poi mi sono fermata! Avevo pensato anche a come sarei stata senza di
lui…”
“E…?”
“E…”
Le si inumidirono gli occhi, ma seppe controllarsi così bene che Clarissa neanche fece in tempo a pensare di consolarla.
“Nella mia testa non
c’era nessuna immagine di me senza di lui. Avevo accumulato tanta
frustrazione per colpa delle mie fissazioni riguardo il nostro rapporto
così incostante… però non riuscivo… non
sono mai riuscita a volere niente di diverso. E sia chiaro, non lo dico
perché mi sono accontentata. Ne abbiamo parlato a lungo, quando
gli ho spiegato cosa stavo provando. Lui si è spaventato
tantissimo e da allora, sì, capita che stiamo lontani per
settimane, mesi, magari perché anche io vado in
tournée…”
“Detta così, sembra
che non ci sia via d’uscita!” intervenne l’altra,
lasciandosi prendere dal panico; Giovanna le mise una mano sul braccio,
scuotendo la testa con un sorriso dolce.
“Ti sbagli. Io e Tom siamo
cresciuti tantissimo! Abbiamo imparato a convivere con i rispettivi
ritmi di vita, e adesso ci capiamo al volo su tutto, anche al telefono,
senza guardarci! È un modo diverso di stare vicino alla persona
che ami, e anche se può suonarti triste o poco appagante, devi
sempre pensare che per ogni partenza c’è sempre un
ritorno…”
Clarissa rimase in silenzio davanti alle sue parole.
Non sapeva fino a che punto crederci.
Tom era un ragazzo molto diverso da Danny, almeno quanto lei era diversa da Gi.
Però era anche vero che le coppie di tutto il mondo avevano centinaia, migliaia di cose in comune.
Nessuna di loro era unica o speciale, se non per chi la componeva.
“Mancavi molto a Tom, quando era in giro con i ragazzi?” le chiese, speranzosa.
Gi annuì e rispose:
“Anche lui, come me, cercava di non dare a vedere niente,
perché voleva mantenere la serenità tra di noi, quando
invece stava solo crescendo la tensione, e noi neanche ce ne stavamo
accorgendo… Pensa che quando parlavamo per telefono, non
riuscivo neanche a capire se fosse triste per la lontananza o se se ne
stesse fregando altamente! Era quello che mi faceva più male,
perché io ero molto più emotiva sotto quel punto di
vista, spesso ci litigavo e lo accusavo di darmi per scontata, di non
prendermi più in considerazione!”
Le telefonate tra lei e Danny non
erano mai state frequenti: avevano entrambi un accentuato senso pratico
che li vedeva soddisfatti con qualche messaggino o anche solo qualche
squillo per dare conferme a domande come “Mi fai sapere quando arrivi?”, “Ci vediamo in X posto a X ora?”…
Dal canto suo, ogni tanto Clarissa
sentiva il bisogno di chiamarlo e di sentire la sua voce, solo per
essere sicura di risentirla come la stessa di quando si erano lasciati,
magari anche per chiacchierare e ridere un po’ insieme, come
piaceva fare a entrambi.
Lui quel giorno non l’aveva
chiamata perché la batteria del suo telefonino era morta, ma
evidentemente non aveva neanche ritenuto necessario parlare con lei
attraverso il cellulare di Tom o di qualcun altro.
Perché dovrebbe chiamarti? Tornerà a casa entro stanotte, e poi non è andato in guerra! si rimproverò in silenzio, anche se con ben poca convinzione.
Perché avrebbe tanto voluto
sentirsi dire “Faremo tardi” da una voce più vicina
a lei di quella di Tom.
Avrebbe voluto che ci avesse
pensato, perché sapeva quanto lei lo considerasse un punto di
riferimento della propria vita.
“Che cosa pensi, cuoca triste?” le domandò Gi, indagando con dolcezza nei suoi occhi scuri.
Clarissa le sorrise, sforzandosi un
po’, e rispose: “Pensavo che sarebbe stato lui a chiamarmi
per dire che avrebbero fatto tardi. E invece mi ha chiamato tuo
marito…”
“A me ha mandato un sms. Con te è stato molto più premuroso!” scherzò l’altra.
“Ma non era Danny. Capisci? È stato sempre Tom a dirmi che aveva il cellulare scarico…”
Annuì, la moretta,
spiegandole: “Telefono morto o meno, penso tu sappia che
spesso… semplicemente non ci arrivano. Li dobbiamo riprendere,
ci dobbiamo discutere, a volte dobbiamo anche fare la figura delle
stronze… ma personalmente, non conosco altri modi per far capire
a nessuno di loro che voglio, pretendo le attenzioni che do a mia
volta…”
Assimilò ed accettò
dentro di sé quell’ultima frase, pur soccombendo sotto il
peso della disillusione.
Era un ragazzo. Il suo ragazzo adorato, ma pur sempre un ragazzo.
Aveva e avrebbe sempre avuto i
difetti tipici di qualunque altro rappresentante del genere maschile, e
pretendere il contrario sarebbe stato folle da parte sua.
Lo amava così com’era, su questo non c’era dubbio.
Ma, tra tanti difetti, doveva
proprio avere quello di essere… distratto, e fare la figura del
menefreghista o del maniaco del lavoro.
“Parlaci, Claire” la
incoraggiò Giovanna “Fagli capire come ti senti, non
tenerti tutto dentro, altrimenti ti farai solo del male, finirai per
passare dalla parte del torto. Vedrai che, se parlerete, saprete
arrivare ad un compromesso!”
Aveva ragione. Non doveva essere
tanto pessimista, perché se c’era una cosa che non mancava
nel rapporto tra lei e Danny, era proprio il dialogo!
Avevano sempre parlato di tutto, in
qualsiasi momento, da sempre, anche durante la loro amicizia: lui,
più scherzoso e casinista di Tom, la faceva ridere, la spronava
nei momenti d’incertezza e l’ascoltava; lei era
l’unica ragazza in grado di capirlo, dopo sua madre e sua
sorella, e anche capace di tenerlo con i piedi per terra quando i suoi
progetti, piccoli o grandi che fossero, si facevano troppo fantasiosi e
bislacchi.
Con il tempo, il loro legame non
aveva fatto altro che consolidarsi: niente segreti, nessuna mezza
verità malcelata… Qualche volta alcuni screzi stupidi su
questioni di poco conto, oppure delle cose che, da “non
dette”, facevano presto ad essere rivelate, perché nessuno
dei due era capace di nascondere alcunché all’altro troppo
a lungo.
“Sì, credo che lo farò presto…” ribadì alla fine, con sollievo di Gi.
“Ci siamo sempre detti tutto, non vedo perché non dovremmo farlo anche adesso…”
“Brava! Così si fa!” la incoraggiò la ragazza.
“Ma… non è
che… lo spavento? O lo stresso troppo?” si bloccò
quasi subito l’altra, preoccupata.
Giovanna scosse energicamente il
capo e le disse: “E’ il tuo ragazzo, mica uno sconosciuto!
Ti dico che capirà! Tanto più perché non dovrai
dargli nessuna cattiva notizia! Dovrai solo dirgli chiaramente che ti
senti frastornata, sperduta e che vuoi il suo aiuto per adattarti a
quello che è il suo lavoro… Tutto qui!”
Clarissa annuì lentamente, pensierosa mentre già formulava nella sua testa il discorso da fare a Danny…
“E’ vero, è
vero, sì…” concordò “Appena troveremo
un po’ di tempo per stare insieme, gliene parlerò!”
Giovanna la lasciò poco
prima che Danny tornasse a casa; le ore si erano fatte piccole, quasi
le due del mattino, ed il sonno di Clarissa era fin troppo leggero per
permetterle di addormentarsi come un sasso.
Dopo averne parlato per mezza serata con Gi, aveva voglia di vederlo, senza un motivo particolare.
Non voleva parlargli subito di
tutto quello che la stava spaventando, sentiva che non sarebbe stato il
momento giusto, con lui stanco e provato da una giornata di lavoro.
No, gli avrebbe soltanto accennato
qualcosa, giusto per indirizzarlo sulla giusta strada e per attirare la
sua attenzione. In seguito, sarebbe andata dritta al nocciolo della
questione, magari durante uno dei loro giorni liberi, sperando che
sarebbe arrivato presto.
Lo stava aspettando, voltata verso la sua parte del letto, quando rientrò.
Mentre lo sentiva salire le scale, si tirò su a sedere e si sistemò velocemente i capelli con le dita.
Attirato dalla luce stranamente
ancora accesa in camera da letto, Danny fece capolino dalla porta
accostata per metà e sorrise, spossato, nel vederla lì
semi-sdraiata, immersa nel suo solito enorme pigiama chiaro, con i
capelli sciolti.
“Ciao… Ancora in
piedi?” le fece, andando ad accasciarsi scompostamente sul loro
giaciglio per finire con la testa sulle gambe di lei.
“Non avevo sonno” ribatté la ragazza, ricambiando il suo sorriso mentre gli accarezzava una guancia ruvida.
“Fammi alzare da qui, prima
che mi addormenti così, come un barbone…”
borbottò prima di strapparle un bacetto e trascinarsi verso il
bagno.
Pregò che si
sbrigasse, sentendo scorrere l’acqua nella doccia: trepidava
dalla voglia di guardarlo e dirgli come si era sentita. Neanche
riusciva più a ricordarsi il discorso pacato e razionale che
aveva pianificato di propinargli. Per fortuna, nel giro di neanche un
quarto d’ora era fuori dal bagno, fresco di bagnoschiuma e
dentifricio…
Una volta vicino a lei, se lo strinse al petto affettuosamente, poggiando le labbra sulla sua testa mentre guardava nel vuoto.
“Com’è andata? Siete piaciuti ai produttori?” esordì, disinvolta.
Danny sospirò, sfiancato, e
rispose soddisfatto: “Direi di sì… Vogliono
incontrarci di nuovo per sentire altri pezzi, quelli che oggi non
abbiamo portato perché ancora sono delle bozze… Abbiamo
due settimane per perfezionarli, poi andiamo e… speriamo
bene!”
Lei sorrise, a contatto con i suoi
riccioli scomposti, e ribatté: “Grandi… Mi
piacerebbe sentire questi pezzi, qualche volta…”
“A proposito”
intervenne lui, voltandosi per guardarla con uno sguardo mortificato
“Scusa per oggi. So che ti ha chiamato Tom, perché io
avevo il cellulare scarico e poi mi avevano chiamato per parlarmi nel
dettaglio di alcuni miei arrangiamenti… Avrei dovuto avvertirti
io, non lui o gli altri, scusa…”
Clarissa scosse la testa con aria
comprensiva: “Non ti preoccupare! Sospettavo che avreste fatto
tardi, e comunque alla fine è venuta Gi a cena!”
Gli tornò il sorriso sulle
labbra: “La prossima volta cercheremo di chiudere la faccenda in
giornata, promesso…”
Rinfrancata da
quell’affermazione, la ragazza annuì contenta e si
lasciò baciare sul collo, cercando di mantenere un certo
contegno per quel ciò che si era ripromessa di dire.
“Sai, con Gi abbiamo parlato
un po’…” cominciò, cercando di non reagire al
solletico della barba di Danny, che per tutta risposta mugugnò
con un distratto “Mh- mmhh…”
“No, sul serio, Dan, se non
ci fosse stata lei ieri, non avrei saputo con chi sfogarmi!”
insistette lei, irrigidendosi un poco.
“Sfogarti? Di che si
tratta?” le domandò infatti il ragazzo, rendendola
segretamente trionfante nel suo intento di fargli venire un po’
di curiosità.
Con tono calmo e sereno,
iniziò a spiegargli: “Le ho parlato di come mi sento
spiazzata, ora che so che dovrai assentarti un po’ di più,
per via del vostro nuovo progetto insieme ai ragazzi… e lei mi
ha rassicurata, mi ha detto di non preoccuparmi, perché anche
lei qualche tempo fa aveva lo stesso problema con Tom…”
“Ah, sì! Mi ricordo,
sì…” esclamò Danny “In effetti non
è stato un bel periodo! Fletcher era sempre nervoso,
deconcentrato, dovevamo stare tutti attenti a come parlargli, bastava
poco per farlo incazzare come una scimmia… Non dovresti
ricordartelo anche tu?”
“E come facevo?! Voi stavate
in giro, io rimanevo a casa! E poi allora non avevamo poi tanta
confidenza con Giovanna, di certo non veniva a sfogarsi con me…
E poi, figurati Tom, pur di non far preoccupare nessuno sarebbe stato
capace di accumulare di tutto fino a scoppiare…”
“Comunque alla fine la
faccenda si risolse…” tagliò corto il ragazzo,
tranquillo “Stettero chiusi in camera di Tom… quanto?
Mezza giornata! Tutto il tempo a… parlare, suppongo… e
quando uscirono, erano tornati come prima…”
Clarissa lo contraddisse: “Casomai erano cresciuti… come coppia, intendo…”
“E secondo te noi avremo gli stessi problemi?”
“Non lo so! Io spererei di
no, però… lo sai, no, come sono paranoica io…
Volevo starmene tranquilla, ma stasera non ce l’ho fatta! Ho
dovuto parlare con qualcuno che c’era già passato per
stare meglio!”
Danny protese il collo e riuscì a baciarla sul mento, facendola sorridere con aria divertita.
“Adesso sono qui” la
confortò, parlandole piano nell’orecchio “E ho
intenzione di restarci. Ok?”
Scacciata l’incertezza dalla
sua mente, Clarissa fece sì con la testa e abbracciò il
suo ragazzo, che la accolse contro il proprio petto, non senza
allungare il braccio per spegnere l’abat-jour sul comodino.
I suoi movimenti lenti e sinuosi
contrastavano con quelli di lui, più frettolosi e smaniosi di
averla, con le mani che miravano prima a toglierle i vestiti e solo
dopo ad accarezzarla; Clarissa tentò invano di fargli seguire la
sua linea, di rallentarlo, ma alla fine si arrese e decise di
assecondarlo, seppur con riluttanza, consolata dal buio che la rendeva
invisibile ai suoi occhi, l’ultima cosa con cui avrebbe voluto
confrontarsi in quei minuti che scorrevano fin troppo velocemente,
eppure con una lentezza insopportabile.
La penetrò senza violenza
né forzature, ma fece male lo stesso ed un gemito di dolore le
sfuggì per giungere alle orecchie del chitarrista uguale a tanti
altri gemiti che avevano condiviso; lo baciò speranzosa mentre
lo sentiva muoversi sopra di lei, ma non cambiò niente, se non
che Danny aumentò la stretta sui suoi fianchi.
Cinque minuti più tardi, dormiva.
Nel dormiveglia si era voltato, dandole le spalle.
Lei era rimasta ferma nella posizione in cui era stata lasciata, un po’ indolenzita.
Era furiosa, aveva voglia di svegliarlo e di dargli un ceffone.
Ma che cosa gli avrebbe detto?
“Ci hai messo tre minuti a venire, maledetto idiota! Che ti prende?!”
“Perché non sei rimasto con me, dopo, razza di stronzo?”
Poco dopo, trovò la voglia
di alzarsi per andare in bagno: sentiva il bisogno di lavarsi. Rimase
con gli occhi fissi nello specchio per un po’, a chiedersi che
cosa non andasse, ma concluse che il sonno le aveva annebbiato la
mente, rendendola ancora più pedante nelle sue stupide
ossessioni che invece doveva imparare ad accantonare.
Lui è qui e ti starà vicino. Come puoi non fidarti?
Una volta tornata a letto, vide che
si era rigirato, e ora era a pancia in su, nel bel mezzo di un sonno
pesantissimo; convinta di non svegliarlo, accese la piccola lampada sul
suo comodino e lo scrutò in viso, ritrovando la serenità
in quei lineamenti completamente rilassati.
È stato solo un attimo. Era stanco e basta. Non essere stupida, dormi adesso…
***
Per
il titolo di questo capitolo, la scelta è caduta su una frase di
"Corrupted", made in McFly, ovvio. NO LUCRO, ancora più ovvio.
|
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Capitolo 9 *** Please please ***
claire
Carissimi, spero che non siate arrabbaiti con me per la lunga attesa!
Questo capitolo è stato un PARTO, ve lo giuro: ha richiesto
minuziose cure, meningi spremute più volte e anche un pizzico di
fantasia in più, ma alla fine devo confessarvi che ne sono molto
soddisfatta.
Non abbiatamene se vi sto propinando una storia "a spirale", come la
chiamo io, ovvero un racconto che sembra non arrivare mai al punto: non
è così. E' che io mi diverto ad esporre le paranoie
più recondite e tremende dei miei personaggi :) Clarissa
è nata così, e io le voglio bene lo stesso :) Fate uno
sforzo e imparate ad affezionarvi anche voi!
Siamo comunque vicini al momento CLOU, quello in cui spero direte
"COOOOOOOOOOOSA?!", quindi non preoccupatevi e abbiate fede! Io vi
farò pescatrici di McFly, sarò la Crista portatrice di FF
paranoiche :P!
Ringrazio, come al solito, le mie recensitrici, i miei lettori, alcuni
silenziosi e altri no, che mi incoraggiano ad andare avanti nella
scrittura e che micriticano sempre in maniera costruttiva! Siete meglio
di un corso di scrittura creativa, ragazzi! Spero di sapervi ripagare!
Ci sentiamo prestissimo...
Ciry
***
Al mattino seguente, ricacciò nel dimenticatoio i brutti
pensieri e si sforzò di essere di buon umore; il compito venne
in qualche modo facilitato da Danny, che fece colazione con lei, ma con
un’aria così meditabonda e assente che non sembrava
neanche essere lì a tavola.
Clarissa lo prese quasi per un colpo di fortuna e si consolò al
pensiero di non dover rispondere a domande scomode ed imbarazzanti: lei
non aveva voglia di rispondere, lui aveva ben altro per la testa.
“Cosa fai oggi?”
“Mh?”
Si riscosse dal suo monologo interiore, stupita della sua domanda.
“Oggi sei in libreria tutto il giorno?”
“Oh… Sì, oggi
sì, perché sono arrivati un sacco di volumi scolastici,
dobbiamo ancora prezzarli, sistemarli…”
“Capisco…”
“Tu non… non dovevi provare con i ragazzi?”
Scosse la testa. “Oggi sistemo un po’ di testi e poi… cado in coma sul divano! Sono sfiancato da ieri!”
Sorrise intenerita davanti alla sua
stanchezza e si alzò per sgomberare con calma il tavolo dalla
sua tovaglietta americana.
“Pensi che tra un mese avrete
finito con i produttori?” azzardò timidamente, dandogli le
spalle mentre riponeva la scodella dello zucchero su una mensola
“Te lo chiedo perché ci sarebbe il compleanno di Barbara e
noi siamo invitati…”
“Sì, certo!”
confermò lui, prima di finire il suo caffè “E poi,
comunque non staremmo via a lungo, no?”
“No, no… Si tratta solo di un paio di giorni, al massimo tre!”
“Perfetto! Allora troveremo
un pomeriggio libero per comprarle un regalo!” concluse il
chitarrista, alzandosi per avvicinarsi a lei e abbracciarla.
“Va tutto bene?” domandò, notando la sua espressione vacua.
La ragazza gli sorrise con disinvoltura e lo distrasse con un veloce bacio a stampo.
“Certo! Solo un po’ stanca!”
Una volta rassicurato, il suo ragazzo le accarezzò una guancia e poi si allontanò per andare in bagno.
Rimasta sola, Clarissa chiuse gli occhi e abbassò il capo con aria sconfitta, mordendosi l’interno delle guance.
Gli aveva mentito e non aveva capito né come, né perché.
In libreria, Anne la scrutò,
sfoderando immediatamente il suo occhio indagatore, ma decise di tenere
le proprie opinioni per sé, almeno finché la sua collega
non avrebbe abbassato la guardia.
“Buongiorno, Miss
Quadrifoglio!” scherzò vedendola entrare “Spero tu
abbia fatto un po’ di pesi prima di venire qui, perché i
libri da trasportare sono pesanti come macigni!”
Clarissa le mostrò la lingua
e ribatté in tono lamentoso: “Ma per certe cose non
dovrebbe esserci Daniel?!”
“Certo, ma lui arriva dopo pranzo! Fino ad allora siamo noi a dover sgobbare!”
La vide sbuffare e trascinarsi attraverso il negozio con una teatralità che la fece sghignazzare.
“Su, non
prendertela…” ironizzò “E’ solo uno
studente francese, non possiamo approfittare del fatto che è un
uomo!”
“Stavo cominciando ad
adagiarmi sugli allori all’idea che un paio di braccia maschili
potessero fare il lavoro sporco…” ribatté
l’altra, ricambiando la sua battuta con un sorriso.
Anne si rassicurò un poco nel vederla di buon umore.
“Non è grazie al tuo
contributo che le donne oggi sono emancipate. Fila a mettere la divisa,
lavativa!” le ordinò.
Durante la mattinata, ebbero il
loro bel da fare, tra lettori pignoli che preferivano un’edizione
di libro piuttosto che un’altra, mamme in preda all’ansia
perché non erano arrivati tutti i testi scolastici, bambini che
facevano i capricci per farsi comprare un libro di fiabe troppo
costoso…
Si alternavano ora dopo ora al
bancone e al magazzino, e più il tempo passava, più Anne
scrutava il viso di Clarissa senza che la diretta interessata se ne
accorgesse: aveva imparato a conoscerla piuttosto bene e una delle sue
prime conclusioni era stata che la sua amica non sapeva mentire,
però era molto brava a contenere, accumulare e reprimere, come
una pentola a pressione.
Il suo viso era un mix di sorrisi e sospiri troppo vicini nel loro susseguirsi per non risultare ipocriti.
Sotto quel punto di vista quasi la
detestava, perché non le andava per niente a genio il fatto che,
pur essendo sua amica, avesse quasi paura di disturbarla per
raccontarle i suoi problemi. Era controproducente da parte sua e
limitante per lei, che di conseguenza si preoccupava ancora di
più e sentiva spuntar fuori il suo istinto materno
dall’alto dei suoi trent’anni, portati male fin troppo
spesso nella sua vita, ma talvolta più che coerenti con la sua
età cerebrale.
Verso l’ora tanto agognata di
pranzo, considerando che Daniel sarebbe arrivato solo nel giro di una
mezz’ora, i clienti diminuirono e lei ne approfittò per
tentare di tastare il terreno.
“Va tutto bene, Clarissa? Mi
sembri giù di corda… Ti stai ammalando?” le chiese,
nascondendo i propri sospetti dietro al pretesto della salute.
Clarissa fece spallucce e
negò con la testa, commentando: “Non è normale
essere un po’ stanchi dopo una mattinata intera di
sfacchinamento?”
“Certo, ma tu sei entrata con
la stessa faccia che hai adesso!” ribatté prontamente la
ragazza, per poi offrirle il suo aiuto: “C’è
qualcosa che non va di cui vorresti parlare?”
Com’era prevedibile, la vide
assumere un’aria improvvisamente tranquilla, sembrava quasi voler
sfottere lei e le sue preoccupazioni. “Ma no! È una cosa
da niente, poi lo sai come sono fatta io, con le mie
paranoie…”
“Riguarda Danny?”
“Sì, ma… non è niente, Anne, davvero…”
“Non puoi parlarmene perché ti hanno fatto pressione dalla stampa o… cosa?”
“No! Dio, ci mancherebbe solo
questo!” esclamò Clarissa, scandalizzata, per poi
spiegarle sbrigativamente: “E’ solo che Danny ha tanto
lavoro ultimamente e io sono abituata ad averlo quasi sempre a
casa… Tutto qui! Ma è questione di
abitudine…”
Anne si rilassò,
sorridendole con fare comprensivo: “Ti sei cercata un musicista,
tesoro mio… Non dirmi che ti aspettavi che tornasse a casa tutte
le sere per cena…”
Clarissa passò sulla
difensiva, incrociando le braccia e ribattendo seria: “Infatti
non mi sto lamentando. Mi sto abituando, è diverso.”
“Va bene, va
bene…” si arrese la collega, che non voleva vederla in
collera “Se il problema è solo questo e se sai già
come risolverlo, tanto meglio per tutti. Non volevo farmi gli affari
tuoi tanto per fare, lo sai…”
“… Non lo dire. Anzi,
scusa… E’ che non è sempre facile, tutto
qui…” sospirò la bionda, una mano tra i capelli.
Anne le sorrise di nuovo, le tese le braccia e fece: “Facciamo il Ringo?”
L’altra ridacchiò,
divertita, e l’abbracciò, mettendo a contrasto la pelle
chiarissima con quella dell’amica, nera come l’ebano.
“A volte faccio la mamma rompipalle, ne sono consapevole!” scherzò la più grande.
“E io, da brava figlia, ti faccio venire l’ansia!” fu la replica di Clarissa.
“Mi è già passata, non pensarci più! E se vuoi parlare, il mio numero lo conosci…”
“Interrompo qualcosa? Cose da ragazze?”
La voce che intervenne le fece voltare entrambe verso l’entrata del negozio: era arrivato Daniel.
“Sei in anticipo, straniero!” lo ammonì spiritosamente Anne, restando abbracciata a Clarissa.
“In Francia sarei premiato, mia cara!” si difese con altrettanto umorismo il ragazzo.
Anne ignorò la sua uscita e gli intimò: “Vieni qui a renderti utile! E’ in corso un abbraccio!”
Con un sorriso incuriosito sulle
labbra, Daniel ubbidì e circondò con le braccia sia Anne
che Clarissa per poi chiedere: “A che cosa è dovuto
l’abbraccio?”
“La nostra Claire ha solo qualche piccolo ed insignificante problema con Danny!”
“Ma è questione di abitudine!” ribadì l’interessata.
Il ragazzo esclamò semplicemente: “Ah!” e non volle sapere altro.
Rise sotto i baffi mentre le altre due non gli stavano prestando attenzione.
~~~
La preziosa, anche se datata
Telecaster venne riposta sul suo piedistallo come un neonato nella sua
culla: Danny doveva fare una pausa dopo un’intera mattinata senza
pranzo trascorsa ad aggiustare melodie, testi ed arrangiamenti con una
pignoleria che a tratti infastidiva persino lui stesso.
Non avendo nessuna voglia di
cucinare, rimediò un panino procurandosi del pane tostato con
del formaggio ed un pomodoro, non era granché affamato come al
suo solito.
La sua povera testa stava
già dando segni di cedimento dopo neanche una settimana di
lavoro ed era la prima volta che succedeva, dato che non aveva mai
avuto modo di sentirsi così responsabile nei confronti della
band e dei produttori; i ragazzi, specialmente Tom, lo avevano invitato
alla tranquillità, pur sapendo che in ballo c’erano i suoi
pezzi, perché dicevano che tutto sarebbe andato per il meglio,
visto quanto ci avevano lavorato sopra e quanto sarebbe stato
facile sviluppare quelli che ancora non avevano terminato.
Facile per loro pensarla così! pensò mentre masticava svogliatamente.
Sapeva già che alla fine
avrebbe fatto a modo suo, sopportando le sue stesse ansie e logorree e
facendole sopportare anche agli altri; del resto, si sarebbe trattato
solo di due settimane, dopodiché avrebbe potuto rilassarsi un
pochino con la consapevolezza di aver dato l’anima e quindi di
avere una coscienza limpida come l’aria. Le soddisfazioni
sarebbero arrivate, ne era quasi certo, e sarebbero state enormi.
Ma in quel momento non voleva
pensarci. Dieci minuti di quiete nel suo cervello, non chiedeva altro.
Finì il panino e si trascinò in salotto per poi lasciarsi
cadere all’indietro sul grande divano.
Nel cercare una posizione comoda
per sonnecchiare un po’, lo sguardo gli cadde in un angolo della
spalliera e allora notò quella macchia ormai celebre in casa sua
e di Clarissa.
Lui l’aveva soprannominata scherzosamente “Max”.
Era una sbiadita e piccola chiazza
di rossetto di Clarissa, un tempo rossa - rosso corallo, come
specificava sempre lei, parlando del suo cosmetico preferito griffato
Max Factor – ora solo vagamente rosea, nessuno
l’avrebbe notata se non con un’occhiata da vicino, molto
approfondita.
Con la mente ritornò alle origini di quella macchia, che ormai aveva quasi un anno di età…
Lui e Clarissa quel giorno avevano
litigato, o meglio, Clarissa aveva litigato con lui, perché
aveva deciso di non mettere più piede in quella che un tempo era
solo ed esclusivamente casa sua: al tempo, l’appartamento era
l’habitat ideale per un musicista perennemente rapito dal suo
strumento e poco avvezzo ai lavori di casa, se non quelli più
essenziali che davano all’ambiente un aspetto pressoché
accettabile. L’occhio femminile e quasi clinico di Clarissa si
era ovviamente accorto della patina di ordine assai sottile e aveva
protestato per questo, dopo sempre più frequenti richiami,
lamentandosi più che sonoramente, per farla breve, di trovarsi
molto a disagio in un appartamento tanto grande e tanto sporco.
La tremenda sentenza finale era
stata “Qui non ci vengo più!” e Danny a quel punto
aveva alzato gli occhi al cielo, chiedendosi cosa aveva fatto di male
al mondo.
Di fronte ad una fidanzata tanto
bellicosa con le mani piazzate sui fianchi e lo sguardo che lanciava
fiamme ossidriche, il chitarrista non aveva avuto altra scelta se non
la persuasione, perché di alzare la voce non se ne parlava: non
voleva farlo, e comunque sarebbe stato controproducente, come un
suicidio.
“Ti prometto che appena
avrò un po’ di tempo metterò un po’ di
ordine…” aveva esordito con sincerità, ma non era
bastato: a Clarissa non convincevano quei “appena avrò un po’ di tempo”, né tantomeno quel “un PO’ di ordine”.
Gli aveva risposto con un’occhiataccia ed un applauso sarcastico,
cosa che lo aveva animato non poco, ma aveva cercato comunque di
contenersi.
“Va bene, ok, hai ragione
anche tu, da domani, appena finisco di suonare con i ragazzi,
troverò qualche ora per pulire!”. Si era giocato la carta
dell’immediatezza, confidando nella propria coerenza.
Clarissa aveva replicato con una
ramanzina sul pessimo tempismo maschile che aveva fatto finta di
ascoltare, perché stava già pensando alla prossima cosa
da dirle.
“Claire, parliamone con calma, dài, stai facendo una scena per nulla…”
Lo avesse mai detto.
Era partita a razzo con accuse del tipo “Non ti interessa quello che ti dico”, “Non te ne sbatte un cazzo di niente”, “Quando dico qualcosa io, le parole vanno al vento”…
Gli sembrava di essere Simba, il cucciolo de “Il Re Leone”, in mezzo ad un branco di gnu impazziti in corsa.
Alla fine aveva reagito, dandogli
della noiosa e spiegandogli anche il motivo: perché aveva la
mania dell’igiene, secondo lui.
Allora gli animi si erano davvero
scaldati e lei, dalla sua limitatissima statura, gli aveva puntato
l’indice contro la faccia, criticandolo come il peggior
sporcaccione del globo.
Nessuno dei due voleva mollare la
presa e cambiare le proprie ragioni, così era stato Danny il
primo a trovare una via d’uscita da quella lite a spirale: aveva
riso della rabbia di Clarissa, provocandola e costringendola a
rifilargli uno spintone.
Con uno scatto, poco prima di
indietreggiare le aveva afferrato i polsi e se l’era attirata
verso il torace per poi stringerla.
Si era ribellata con strilli degni
di un’aquila ed un linguaggio di uno scaricatore di porto, ma
alla fine aveva vinto lui, zittendola con un bacio, rubato
prepotentemente.
L’aveva schiaffeggiato, rossa
come un peperone, intimandogli di ascoltarla mentre stava parlando, ma
lui aveva continuato a far finta di non sentire e a strapparle
effusioni sempre più intense e più vicine tra di loro,
con sempre meno spazio per le parole.
La resistenza aveva gradualmente
lasciato spazio all’arrendevolezza, ed i piccoli ma tenaci pugni
chiusi della sua ragazza erano tornati ad essere le mani amorevoli e
maliziose che gli erano sempre piaciute.
Sorrise con una punta di cupidigia
al ricordo di quanto era seguito a quella sorta di lotta che sembrava
essersi conclusa, ma in realtà era solo ai preliminari…
Con movimenti rapidi e fluidi, si sganciò la cintura e sollevò i fianchi per abbassarsi i jeans.
Con suo grandissimo stupore,
l’aveva legato usando la sua stessa cinghia, con le braccia al di
sopra della testa. Senza neanche provare a ribellarsi, aveva riso come
un matto nella sua posizione supina, chiedendole il perché di
quella mossa insolita e lei, mordendosi il labbro inferiore in un
sorriso famelico, era rimasta con gli occhi sulla sua piccola ma
accurata operazione, sibilando: “Perché te lo meriti,
stronzetto!”.
Forse era stato l’uso della
parolaccia, magari anche solo il tono in cui gli aveva parlato, ma gli
era scattato qualcosa dentro, una bramosia animale insolita nel loro
rapporto, ma affascinante da sperimentare per la prima volta sul
divano, con Clarissa sopra di lui che si stava godendo la sua vendetta.
Si era divertito a farsi
strumentalizzare un po’ da lei, che aveva giocato a farlo
arrivare al limite per poi ricominciare da capo, con un’altra
tattica, altri baci a fior di labbra e altri stuzzicamenti vari che lo
avevano portato a disapprovare con un morsetto all’orecchio di
lei, che lo aveva schiaffeggiato di nuovo, stavolta senza rabbia.
“Slegami immediatamente…” le aveva sussurrato, impaziente.
La ragazza aveva scosso la testa, gli occhi birichini che luccicavano di soddisfazione.
“Liberami subito, piccola sex grenade, o sarà peggio per te!”
A sentire quel nomignolo, aveva
lasciato momentaneamente cadere la sua maschera di panterona sexy per
ridere come una bambina, accasciata sul suo petto quando i muscoli
dell’addome si erano fatti doloranti.
Grazie a quel momento di
ilarità, lo aveva slegato senza farsi pregare, ma da quel
momento Clarissa aveva smesso quasi subito di ridere per tornare la sexy grenade di poco prima, solo che stavolta era stato Danny a prendere in mano le redini della piccante situazione.
La potenza del ricordo mescolata
alla sua rielaborazione enfatica nel tempo divenne un mix appagante per
il chitarrista, che si limitò a chiudere gli occhi mentre la
mano aveva già iniziato a scorrere sulla sua erezione…
Con la schiena della sua ragazza davanti, aveva già dimenticato perché avevano iniziato a discutere.
Aveva prevalso il piacere dato dal
sesso aggressivo e intrigante ed era stato accantonato il romanticismo:
sapevano di essere innamorati persi l’uno dell’altra, non
c’era bisogno di dimostrarselo in ogni singola occasione;
avrebbero fatto i piccioncini più tardi, quando il divano
avrebbe ceduto sotto i loro movimenti convulsi, o forse quando qualcuno
nel vicinato li avrebbe querelati per rumori molesti.
Entrambi non erano affatto a favore
dell’atto sessuale discreto e silenzioso: Danny aveva una natura
rumorosa e canterina a cui rimanere fedele, e Clarissa si opponeva alla
propria indole, generalmente riguardosa e quieta, mostrandone il lato B
quando l’occasione lo richiedeva: un litigio o un po’ di
sano sesso, per l’appunto.
Aggrappata alla spalliera del
sofà con le braccia, si era offerta volentieri al fidanzato che
l’aveva voluta così, in quella posizione divinamente
gradevole, per prenderla e sentire i suoi muscoli stringerlo in un modo
che… lo metteva in serie difficoltà tempistiche ogni
volta che la penetrava, tanto era il piacere.
Doveva ammetterlo, era stata un po’ una sfida. E per una volta, aveva vinto, in un certo senso.
Avevano esordito con qualcosa di
“anomalo”, che non si era mai verificato prima nei loro
amplessi: abbracciandola da dietro, Danny aveva sfiorato le natiche di
Clarissa e lei aveva inarcato la schiena, cogliendolo in contropiede.
Non sapeva come comportarsi, l’aveva guardata con
un’espressione confusa e le aveva chiesto silenziosamente una
conferma o un rifiuto.
Lei si era tirata su per qualche
secondo, aveva girato la testa per guardarlo e con un bacio decisamente
ardente gli aveva risposto per poi tornare ad appoggiarsi alla
spalliera, le mani impegnate a tenere i glutei distanziati.
Con tutta la delicatezza di cui era
stato capace, l’aveva penetrata; dopo tanto leccare, lubrificare,
toccare, i flebili gemiti di lei erano diventati sempre più
acuti e potenti, fino a che non era sopraggiunto l’orgasmo dopo
pochi minuti; del piacere di Clarissa, Danny aveva sentito le
contrazioni ed il calore, così forti e... diversi dal solito da
far quasi esplodere anche lui, che però voleva di più. E
anche la sua ragazza voleva di più.
Sospirò mentre un altro brivido di eccitazione gli stava attraversando la spina dorsale.
La sua mano aveva accelerato i movimenti, così come il suo cuore aveva aumentato i battiti, facendolo ansimare.
Se solo Clarissa non fosse andata a lavorare quel giorno…
Gli mancava quel non so che di animalesco in lei, voleva riprovare una cosa del genere prima o poi, magari al suo ritorno.
Voleva stare di più con lei,
voleva farci l’amore fino allo sfinimento, finché ne
avrebbero avuto il tempo, prima che gli impegni di entrambi,
soprattutto quelli di lui, fossero diventati più fitti.
Si lasciò sfuggire un gemito
strozzato, scosso da un’ondata di godimento improvvisa, ma ancora
non abbastanza grande da travolgerlo…
Clarissa l’aveva baciato con
spasmodicità dopo il primo orgasmo, leggermente tremante per i
brividi e per la posizione ottimale ma faticosa da mantenere,
soprattutto se il peso finiva quasi interamente sulle braccia; Danny
l’aveva sostenuta con le mani sul ventre mentre lei gli aveva
gettato le braccia al collo, pur continuando a dargli le spalle.
“Tu non hai… finito, vero?” aveva bisbigliato con un sorriso curioso.
Il chitarrista aveva scosso
lentamente la testa e poi l’aveva invitata sottovoce a rimettersi
nella posizione di prima, ma più comoda, con la testa appoggiata
sul sedile.
Dopo quei momenti di sfiancante
aggressività, le tenerezze avevano trovato più
spazio nei loro movimenti e atteggiamenti: Danny l’aveva
penetrata da dietro per poi incurvare la schiena su quella di lei,
baciandole la spalla destra e il collo mentre le sue orecchie godevano
nel sentirla fremere sempre di più, alla ricerca di un altro
apice. Intanto, lui la sentiva sempre più bagnata mentre con una
mano le stuzzicava il clitoride e fremeva la pensiero di raggiungere
l’orgasmo insieme a lei.
Quasi come un’invocazione
accolta, pochi minuti dopo a entrambi avevano ceduto le ginocchia e si
erano ritrovati sdraiati l’uno sopra l’altra, Clarissa a
reprimere un grido di piacere contro un cuscino, Danny a morderle una
spalla, sfiancato ma più soddisfatto che mai.
Ripensò al momento in cui la
ragazza, dopo essersi ripresa, si era rigirata sotto di lui,
guardandolo in faccia per poi avvolgerlo con gambe e braccia e baciarlo
ancora una volta e fargli sentire con il proprio corpo il suo umido
calore.
Quell’immagine lo portò all’estasi dei sensi.
Un piccolo getto caldo gli bagnò la mano sinistra, un piccolo surrogato del ricordo di Clarissa in quegli ultimi minuti.
Riaprì gli occhi, stordito, e pensò a lei, a quando sarebbe tornata a casa.
Volgendo lo sguardo alla macchia di
rossetto, sorrise nel ricordare che la sua ragazza se n’era
vergognata non poco di primo impatto: non riusciva a credere che per
l’eccitazione avesse morso anche il tessuto della spalliera,
macchiandola di rosso, un rosso che non sarebbe mai andato via del
tutto.
~~~
A fine giornata, Anne aveva mal di
testa, Clarissa aveva sonno e Daniel aveva fame; un trio più
sgangherato di loro non poteva sussistere in tutta Londra, non dopo
quel tour de force spossante che li aveva visti fare avanti e indietro
con gli scatoloni pieni di libri tra le braccia, alle prese con la
contabilità, sorridenti davanti ai clienti e in preda
all’angoscia nel retro della libreria, dove i nuovi arrivi da
trasferire sugli scaffali sembravano non finire mai.
“Ragazzi, voi andate pure,
siete stravolti… Mi spaventerete i clienti con queste facce,
chiudo io la baracca…” aveva annunciato Anne verso le
sette di sera; Clarissa e Daniel l’avevano guardata con immensa
gratitudine e le avevano chiesto, anche se solo per formalità,
se per caso non avesse bisogno di ulteriori aiuti.
“Non mi prendete per il culo e filate a casa, tutti e due. Ruffiani” era stata la risposta della ragazza.
Fuori dal negozio, Daniel prese la sua bicicletta e chiese a Clarissa: “Vai a casa a piedi?”
“Sì, come sempre! Tu vai in bici?”
“Per una volta che usciamo insieme dal turno, ti accompagno per un pezzo! Ti va?”
La ragazza sorrise.
“Ok, volentieri!”
Camminando insieme, solo il mezzo
di trasporto del giovane francese tra di loro, chiacchierarono del
più e del meno, scherzando prevalentemente su alcuni clienti che
quel giorno avevano fatto richieste improbabili o ordini strani, degni
di una barzelletta.
Giunti quasi al bivio in cui si
sarebbero dovuti separare per tornare alle rispettive case, Clarissa si
fermò come al solito davanti ad una vetrina di un negozio di
scarpe, uno dei suoi preferiti, anche se non ci aveva mai comprato
niente.
“Oddio, ma guarda che
carine!” aveva esclamato, richiamando l’attenzione di
Daniel, che di conseguenza spostò lo sguardo nella sua stessa
direzione: un paio di pantofole che sembravano molto morbide, nere e
fucsia, troneggiavano in un angolo insieme ad altre ciabatte da donna.
Sorrise mentre le chiedeva: “Perché non le compri?”
La ragazza si voltò verso di
lui e scosse la testa con un sorriso rammaricato: “Costano un
po’ troppo per le mie finanze… Non ho ancora incassato lo
stipendio, quello del mese scorso l’ho praticamente prosciugato e
poi sto mettendo un po’ di soldi da parte per il viaggio in
Irlanda e per il regalo di mia madre, voglio prenderle qualcosa di
bello…”
“Quanto costano
esattamente?” replicò il ragazzo, allungando lo sguardo
verso la vetrina per scorgere il prezzo su un cartellino plastificato.
“Trenta sterline!”
sentenziò, tranquillo “Se ti piacciono tanto, dovresti
farci un pensierino, prima che qualcun altro le compri…”
“Non mi tentare,
Daniel…” scherzò l’altra, aggiungendo:
“Non ho neanche tutti i soldi sufficienti adesso… Sono
uscita di casa con dieci sterline!”
“Capirai! Il resto posso prestartelo io!” ribatté il ragazzo con disinvoltura.
Clarissa spalancò gli occhi
ed esclamò, agitandogli un dito davanti: “No, no, non se
ne parla! Ci mancherebbe altro! Sono pantofole, niente di estremamente
vitale!”
“Ma se ti piacciono, perché no?” ridacchiò il giovane, determinato nelle sue intenzioni.
“Daniel, no, davvero, ci
conosciamo da neanche un mese e tu vuoi già farmi dei prestiti,
non esiste!” si oppose la ragazza.
“Non ti sarai offesa!” insinuò l’altro, fingendosi indignato.
“No, non mi sono offesa, ma
non voglio chiederti soldi! A malapena lo faccio con Anne, e solo
quando ce n’è la stretta necessità!”
“Se lo fai con lei, non vedo perché non puoi farlo con me!”
“Ma Daniel! Non è che voglio… aspetta, dove vai? Daniel? Ehi!”
Le aveva rifilato la bicicletta per
tenerla occupata mentre lui entrava in quel negozio, lasciandola con un
palmo di naso; ancor prima che potesse seguirlo ed impedirgli di fare
qualsiasi cosa, lo vide parlare con il commesso, indicando le pantofole
che le piacevano.
“Ma è…
matto!” esclamò sottovoce al di là della vetrina,
schiaffandosi una mano sulla fronte.
Una volta uscito, Daniel le allungò la busta plastificata da cui faceva capolino la scatola, trionfante.
“Ecco, hai visto?! Non ci voleva poi molto, n’est- ce pas?”
Meravigliandosi del suo sorrisetto
compiaciuto, si mise a ridacchiare per la sorpresa e gli rispose:
“Ti avevo detto di non prestarmi neanche una sterlina e tu ne hai
sganciate direttamente trenta!”
“Prendilo come un regalo, che ne so, di... consolazione!” le consigliò il francese.
“Ah, sì? E per cosa dovrei essere consolata?” lo sfidò lei.
“Bè, per la giornata faticosa che per te non era iniziata neanche molto bene, per esempio…”
La ragazza ammutolì di colpo e Daniel ne approfittò per allungarle nuovamente le pantofole.
“Non… non dovevi
disturbarti, davvero. Questo è troppo…”
brontolò la sua collega prendendole mentre arrossiva come un
peperone sotto il suo sguardo divertito.
“Ma cosa vuoi che sia! Mi ha
fatto piacere!” sdrammatizzò lui, scoppiando a ridere
davanti ai suoi occhi bassi.
“Te le ridarò tutte e
trenta, puoi scommetterci!” gli promise la giovane, mettendo
subito le mani avanti, ma Daniel non ne volle sapere.
“Ti ho detto che è un
regalo” le ripeté “e se vuoi, puoi anche vederlo
come un ringraziamento per avermi insegnato tutto sul tuo
mestiere!”
“Daniel, due stronzate su come fare la commessa non valgono trenta sterline!”
“Trenta sterline, trenta
sterline, smettila di ripeterlo o te ne compro un altro paio solo per
farti cambiare numero!” la prese in giro il ragazzo; Clarissa
rise della battuta e lo ringraziò ancora una volta, lusingata
anche se in imbarazzo; poco dopo si salutarono, accorgendosi
dell’ora sempre più tarda: erano quasi le otto.
“Devo correre, Daniel, scusa,
il mio ragazzo a quest’ora si starà disperando davanti al
frigo con lo stomaco in rivolta…”
“Vado anch’io,
tranquilla, per stasera altri ragazzi hanno organizzato una cena a base
di pizza e sarà meglio che li raggiunga a casa prima che la mia
si freddi!”
“Ci vediamo domani o…?”
“Domani? Non credo… Io
sono di mattina, tu di pomeriggio… Se vuoi, pranziamo insieme
con Anne durante la pausa e poi io me ne vado!”
“Ma tu non studi mai? Lavori, mangi e basta?” lo stuzzicò lei con un sorriso.
Il ragazzo le mostrò la
lingua e rispose: “Manca un mese e mezzo agli esami che devo
dare! Faccio tutto con calma io!”
“Quand’è
così…! Allora ci vediamo domani, Daniel, grazie ancora
per le pantofole! Me ne ricorderò, giuro!”
“Pas de problème!” la salutò il francese mentre si allontanava sulla sua bici.
“Dan! Sono a casa!” annunciò a voce alta, certa che fosse al piano superiore, nel suo studio.
Invece le spuntò davanti, affacciandosi dalla cucina.
“Ehilà! Stavo per chiamarti!” le disse andandole incontro.
“Scusami, è che dopo
aver finito in negozio… sono passata a prendere
queste…” gli spiegò la fidanzata per poi mostrargli
la scatola del negozio di scarpe; Danny spiò il contenuto e
commentò: “Carine!”
Con un sorriso, lei ribatté nascondendo il disagio: “Me le ha… consigliate… Daniel…”
“Daniel?”
Il chitarrista non riusciva a ricordarsi del suo omonimo.
“Sì, il francesino che
lavora da noi! Abbiamo fatto un po’ di strada insieme ed è
stato lui a suggerirmele…”
Il ragazzo recepì
l’informazione con un sorriso di circostanza e cambiò
totalmente argomento dopo un attimo di esitazione.
Daniel. Il francesino… Mah.
“Ho preparato la cena! Vieni!” la invitò, prendendola per mano.
“Tu che prepari la cena? Ti
senti bene?” scherzò Clarissa, beccandosi una linguaccia
per poi seguirlo in cucina con un’idea già formata in
testa.
Avrebbe scommesso il suo stipendio che…
“Insalatona!” rivelò il suo ragazzo, confermando le sue supposizioni.
Gli sorrise prima di stampargli un
bacio in fronte e lo schernì dolcemente: “Chissà
che fatica avrai fatto per prepararla…!”
“Guarda che questa è un’antica ricetta! Te la ricordi, no? La famigerata insalatona D&C, la nostra insalatona per eccellenza!”
“Certo, il sogno di ogni dietista!” commentò l’altra, divertita.
Il ragazzo le tolse il cappotto,
facendosi dare del gentiluomo, poi la fece accomodare a tavola e le
disse: “Inizia a mangiare, ti raggiungo subito…”
Dopo che tutti e due si ritrovarono nel piatto una porzione più che generosa a testa dell’insalatona D&C,
Danny scrutò con aria perplessa la sua ragazza, che stava solo
sbocconcellando la cena con un’espressione assente.
“Ti vedo stanca…” constatò, premuroso.
Lei annuì lentamente, accennando un sorriso, e confermò: “Ho davvero tanto sonno, sì…”
“Se non hai fame, lasciala pure… La metto in frigo…” propose lui.
“Scusa… E’ che ho mangiato qualcosa oggi pomeriggio e adesso non ho neanche fame…”
“Ma figurati, non è un problema… Dai qua, metto a posto io…”
Clarissa si alzò da tavola
per dare una mano a sparecchiare, ma Danny la scacciò dalla
stanza sovrastandola nelle parole.
“Dan, sono due piatti e ce la f…”
“Vai di là! Sul divano, da brava, aspettami lì!”
“Sì, ci vado dopo, or…”
“Testona. Vai a sdraiarti, io arrivo subito!”
Alla fine ci rinunciò e si trascinò in salotto con un sorriso confuso sulle labbra.
Cosa stava accadendo al suo fidanzato musicista tramutato in casalingo?
Trenta secondi sul sofà
erano bastati per farla cadere in un altalenante dormiveglia che Danny
interruppe posizionandosi sopra di lei e facendo sentire il suo peso.
Clarissa fece una smorfia e balbettò: “D- Dan, non sei una piuma…”
“Se ti sposti un pochino, mi
faccio piccolo piccolo accanto a te…” le sussurrò
di rimando il chitarrista. La ragazza eseguì pigramente e se lo
ritrovò alle spalle che l’abbracciava, avvolgendola in una
stretta affettuosa che terminava con la mano sul suo seno. Rimase con
gli occhi chiusi, godendosi il tepore che le dava il corpo del suo
fidanzato.
“Lo sai chi ho rivisto oggi,
dopo tanto tempo?” la incuriosì, aggiungendo un minuscolo
bacio sull’orecchio.
“Mh- mh?” rispose lei, scuotendo la testa sul cuscino.
“Max…”
“Chi?”
“Max… Max Factor…”
Udì la sua piccola risata
sommessa e aspettò una reazione un po’ più animata
di quella che stava mostrando… ma lei si limitò a
controbattere: “Sì, lo conosco anch’io…”
Deciso a non fermarsi al primo ostacolo, il ragazzo continuò a parlarle piano con tono suadente.
“E se… facessimo ad un’altra macchia? Anche se non è sul divano va bene, sai…”
Lei sfuggì con
l’orecchio alla sua bocca, raggomitolandosi di più e
continuando a ridacchiare, forse per il solletico provocato dalla barba
di lui a contatto con la sua pelle, infine si girò per
abbracciarlo e sospirò con un sorriso un po’ triste:
“Mi piacerebbe… ma stasera sono a pezzi, amore, sul
serio…”
No, non mi fare questo…
“Se sei a pezzi posso farti un massaggio…” propose ancora Danny in tono carezzevole.
Clarissa iniziò a sentirsi scomoda su quel divano e anche vagamente infastidita dall’insistenza del suo ragazzo.
“Dan… No… Per favore…” replicò a voce bassa, cercando di avere un certo tatto.
Senza esagerare, era davvero stanca
e sentiva che le sarebbero bastati cinque minuti per cadere nel sonno
più profondo. Ma se fosse stato solo quello il problema, lo
avrebbe accantonato volentieri per fare l’amore con lui, le fosse
costato il triplo della stanchezza dopo.
Non era solo quello.
Non voleva ritrovarsi di nuovo a
fare la pupattola di un fidanzato preso dal troppo lavoro che la usava
come un valvola di sfogo.
Lo avrebbe sostenuto in tutte le
maniere possibili ed immaginabili, ma il Danny di cui si era innamorata
non l’avrebbe mai e poi mai sfiorata senza amore.
Finché sarebbe stato sotto
pressione, niente rapporti. Lo avrebbe coccolato, incoraggiato,
viziato, fatto riposare, calmato.
Ma il suo corpo , quello se lo sarebbe tenuto per sé.
Danny la fissò con
espressione delusa e lei, sentendosi in colpa, ma non per questo
corrompibile, gli disse con dolcezza: “E’ stata una
giornata pesante. Tu sei rimasto qui tutto il giorno a comporre e
scrivere, io sono stata a sfacchinare. Siamo stanchi tutti e due. Ti
dispiace se vado a letto?”
Lui non era esattamente stanco.
Aveva sonnecchiato dopo essersi masturbato pensando a lei, e se glielo
avesse rivelato forse non avrebbe reagito in maniera tanto reticente.
Non riusciva proprio a capire
perché non volesse saperne di lui, di solito non era
così: c’erano stati dei momenti in cui gli aveva detto di
no, ma con qualche moina aveva cambiato idea, era più che
normale, data l’età e gli ormoni in circolo, per non
parlare dell’alchimia fisica che condividevano.
Quella sera aveva decisamente dato forfait. E lui non poteva farci niente.
Ci rimase male.
Aveva organizzato cena e dopocena su misura per lei, e nessuno dei due era stato neanche cominciato.
Sentendosi rifiutato, si
limitò a scuotere il capo per consentire a Clarissa di alzarsi e
andare a prepararsi per il letto. Le disse che sarebbe arrivato nel
giro di un’ora, perché doveva sistemare alcuni spartiti.
Voleva solo smaltire l’
irritazione alle sue spalle, perché non voleva farla sentire in
colpa per essere stata… stanca morta.
Dopo aver rimuginato a vuoto per un
po’, salì le scale e con uno sbadiglio entrò nel
bagno, lasciato vuoto da un pezzo.
Doccia veloce, spazzolino da denti
e via, in boxer. Uscì dalla toilette per entrare nella stanza da
letto tre passi dopo, sentendosi una sorta di pensionato in anticipo
che raggiunge la moglie brontolona sotto le coltri. Gli mancava solo il
giornale sportivo da leggere tra le mani.
Appena fu di fronte al letto, notò le nuove pantofole della fidanzata.
E gliele ha consigliate… coso... Daniel.
Non ci vedeva niente di che.
Scrollò a malapena la testa, infastidito da se stesso per essere così stupidamente geloso.
Quando fu sdraiato sotto le
lenzuola, Clarissa si accorse della sua presenza e strisciò fino
a poggiare la testa sul suo torace; un barlume di speranza gli
illuminò la mente mentre la accoglieva con un abbraccio.
“Ti posso dare un bacio?” la sentì sussurrare innocentemente.
“Dove?” chiese lui, ironico, sperando nella risposta giusta.
“Sulla bocca, scemo…” fu la replica che lo fece sorridere nel buio.
Lo baciò castamente,
soffermandosi sulle sue labbra per pochi secondi, poi fece schioccare
le proprie e si separò da lui, tornando a stringerlo come un
orsacchiotto di peluche.
Danny sospirò, rassegnato. Lei lo ignorò e le disse solo: “Mi sei mancato oggi”.
Si sentì quasi in colpa per aver sperato in una scopata selvaggia di fronte ad una ragazza tanto adorabile.
“… Anche tu mi sei mancata. Tanto” le replicò, stringendola un po’ di più sul suo petto.
Il sonno arrivò a tarda
notte, mentre cercava invano di scacciare quella sensazione di
risentimento nei confronti di Clarissa.
***
Un paio di cosette!
- Cos'è la sexy grenade, ossia la granata del sesso...
E' molto semplice, ho solo voluto mettere in bocca a Danny un gioco di
parole un pò cretino! In casi normali si direbbe sex bomb, ma date le proporzioni mignon di Clarissa, del suo fisico, non si può parlare di bomba, vi pare? Con una seconda di seno, poi... Naa, è molto meglio definirla granata :) Più piccola, ma ugualmente efficace, come avrete letto...
- L'insalatona D&C è più che nota ai miei lettori più "anziani", diciamo :D D&C sta per "Danny & Clarissa" e l'insalata in questione è composta da: lattuga/carote/
funghi/ mele/ sedani/pomodori/prosciutto/ananas/
pancetta! Una cosa sconvolgentemente immangiabile per noi italiani, lo
so, ma andate in Inghilterra e questa roba è quasi la prassi nei
ristoranti!!! In questo caso io ho aggiunto qualche ingrediente a caso,
è vero, questo per rendere unica la ricetta dell'insalatona di
Danny e Claire, quella che per la prima volta viene preparata nell'ottavo capitolo di "Point of view", per chi fosse curioso di saperlo!
- Il marchio MAX FACTOR, così come FENDER TELECASTER, viene
citato senza alcuno scopo di lucro (per chi se lo chiedesse, nel
capitolo mi riferivo alla chitarra nera di Danny, quella più
consunta che ha, direi!).
- Le pantofole di Clarissa in realtà sono le mie XD Ma io ho speso meno: 10 euro!
- Il titolo del capitolo è l'omonimo della hit mcflyana "Please please"; no scopo di lucro!
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Capitolo 10 *** Is it all just a sign of what is meant to be? ***
clarissa
Eccomi qui!
A furia di spremermi le meningi, il "parto" di questo capitolo è
avvenuto! Anche questa è andata, via! Il ritardo rispetto ai
tempi standard è avvenuto per via dell'inizio dei corsi
all'università, un pò di stress e la totale mancanza di
voglia, ma voi lettori non dovete preoccuparvene, il vostro compito lo
dice la vostra stessa definizione...
Che altro dire? Ehm, sono a corto di parole...
Ah, sì: buona lettura!
***
Le settimane passarono, piene di lavoro, di stimoli, di concentrazione e di stress.
Senza che né Clarissa,
né Danny avessero avuto anche solo il tempo di accorgersene, la
tensione saturò lentamente il loro rapporto, iniziando dalle
cose più piccole…
“Allora, abbiamo detto che tua madre è un’appassionata di candele aromatiche e affini, giusto?”
“Sì…”
“Ottimo, abbiamo un sacco di
opzioni, ci sono le fragranze più assurde tra cui scegliere, e
poi per ogni aroma c’è un effetto terapeutico ben preciso!
Dici che ne avrebbe bisogno per… non so, lo stress, conciliare
il sonno, come energizzante…?”
“…Eh?”
Anne puntò i piedi in mezzo
alla corsia degli oggetti per la casa nel centro commerciale e
sbottò, infastidita: “Claire! Non ho un pene, ho venti
chili di grasso superfluo piuttosto che di muscoli e non parlo con
l’accento di un fascinoso contadino dedito alla mungitura, ma non
per questo devi snobbare la mia presenza!”
La parola “pene” fece
voltare verso di loro molte delle persone presenti nei dintorni, anche
se solo per un attimo; tanto bastò a Clarissa per sbottare a sua
volta con aria stanca: “Lo sai che non ti snobbo! Non dire
stronzate!”
Lo sguardo spento dell’amica e collega portò Anne a ridimensionare i propri toni.
“Si può sapere cosa
c’è che non va stavolta? Che è successo, non
è tornato neanche stanotte?” domandò, prendendola
cautamente a braccetto, come per sostenerla.
Clarissa scosse la testa e rispose:
“Mi aveva detto che tutto sarebbe finito nel giro di due
settimane, ed è passato quasi un mese… Mi aveva detto che
si sarebbe liberato un pomeriggio per comprare il regalo di Barbara
insieme a me, e invece quando gliel’ho ricordato al telefono, ha
detto che se n’era dimenticato e che era alle prove…”
“Ma lo sai che quando sono
così impegnati è già tanto se si ricordano dove
hanno la loro stessa testa…” provò a contraddirla
l’altra con il suo sarcasmo.
“Due giorni fa sono stata da
Giovanna… e c’era anche Tom. Stavano guardando un
film… E l’altra settimana sono uscita con Doug e
Frankie…”
“Sei andata da sola?”
La vide annuire.
Anne si morse il labbro inferiore, rammaricata.
“Vorresti dire che… tutti riescono a conciliare vita privata e lavoro… a parte Danny?”
Clarissa le puntò gli occhi addosso e confermò la sua versione con un cenno di assenso della testa.
“Va in studio con gli altri
la mattina alle nove” aggiunse “Verso le sei, tornano quasi
tutti a casa. Lo so perché Tom me lo ha detto. E lui se ne sta
lì… con i produttori… a fare… non lo so
cosa fanno… E quando torna… io sto già dormendo, o
faccio finta di dormire…”
“Fai finta di dormire?” chiese Anne stupefatta.
“Faccio finta di dormire, sì” ripeté la ragazza, amareggiata, senza poi aggiungere altro.
L’amica sembrò non
capire e, preoccupata, osò domandare a voce bassa: “Voi
non… Da quanto non state insieme… biblicamente,
intendo…?”
La bionda arrossì
violentemente e non volle rispondere, si strinse soltanto nelle spalle
e riprese a camminare lungo la corsia. Anne la fissò da ferma e
sospirò, intristita.
“Ascoltami, Claire.
Guardami…” la richiamò con gentilezza mentre lei
passava con lo sguardo apatico dalle candele al lampone ai suoi occhi
neri.
“Questa non è la prima
volta che Danny gioca a fare l’artista egocentrico e lo sai anche
tu, mi hai sempre detto che in passato è stato anche peggio di
così, con tutte le sue responsabilità di cantautore,
produttore e-“
“Ma allora non stavamo ancora insieme, Anne…” la interruppe Clarissa.
“Fammi finire…”
obiettò l’amica “Stavo dicendo… Sì,
insomma, quando decide di drogarsi di lavoro è qualcosa di
insostenibile, e tu lo hai tollerato di buon grado a suo tempo solo
perché eri amica sua e degli altri. Adesso la situazione
è ben diversa, è vero, ma in fondo cos’altro
è cambiato? Andrà a finire così anche stavolta,
non dirmi che non lo sai… Danny con la chitarra appiccicata al
petto come se fosse un’appendice per un mese intero… Danny
che rompe le palle al mondo quando qualcosa non gli torna, anche la
più insignificante… Danny che fa le ore piccole in
studio… Ma poi gli passa, e lo sai anche senza che io te lo
spieghi! Devi soltanto avere un po’ di pazienza, è inutile
che tu ti strugga per qualcosa che non puoi combattere… Non
c’è partita! Tu se tu e la musica è la
musica…”
La ragazza ascoltò senza
avere troppa voglia di farlo e replicò con una punta di fastidio
nella voce: “Io sono la sua ragazza!”
L’altra si affrettò a
chiarire: “E lui non amerà mai nessun’altra come te.
Lo so. Sì. Hai perfettamente ragione. Ma come la metti con la
musica, eh? Strimpella e si sgola da quando ne ha memoria… Ci
sono uomini che hanno il calcio, il rutto libero o altre cazzate come
priorità… Lui ha la musica…”
Clarissa si massaggiò le
tempie, sentendo il cervello esploderle in una serie di sentimenti
discordanti e martellanti che da qualche tempo riusciva sempre
più raramente a controllare.
Aveva la sensazione che tutto
stesse andando a rotoli con Danny, ma allo stesso tempo riteneva di non
avere motivo di pensarla così, dato che non avevano litigato per
nessuna ragione.
Era furiosa con lui, che non aveva
mai tempo e voglia di parlare con lei della loro situazione,
però subito dopo si sentiva in colpa all’idea di
rinfacciargli il fatto di lavorare troppo, quando tutto poteva essere
frutto di una delle sue tante paranoie o della sua eccessiva ricerca di
attenzioni.
Pensava che un bel giorno sarebbe
esplosa in un attacco di rabbia a causa di quel penosissimo mese che
stava trascorrendo, e intanto tentava di farsi forza, convincendosi del
fatto che alla successiva occasione sarebbe stata più preparata,
più forte e quindi più serena.
Sapeva quanto la musica fosse
fondamentale per Danny, però si sentiva quasi inferiore nella
sua posizione di partner sentimentale, secondo lui la più
importante, la più bella, la più… qualsiasi cosa
le avesse detto da quando si erano messi insieme.
La sua invisibile, astratta rivale
era più micidiale di qualsiasi altra ragazza al mondo e lei
stava miseramente perdendo terreno. Perché se Clarissa era
presente da tanto tempo nella vita del suo chitarrista, la musica
c’era sempre stata. Sempre.
Prima che un’ennesima ondata di demoralizzazione la investisse, Anne le tese una mano.
“Distraiti, tesoro mio”
la incoraggiò, determinata “Per adesso è
così e devi metterti il cuore in pace. Appena potrai, lo
placcherai al muro e gliene dirai quattro, dopo averlo picchiato con
una spranga di ferro magari…”
Clarissa allargò la bocca in
una piccola risata di fronte a quella battuta e si lasciò
coccolare dalla sua amica, che la strinse sul seno con fare materno.
“Allora, vorresti
cortesemente darmi un parere sul regalo per quella povera donna di tua
madre? Perché andrà a finire che glielo comprerò
io soltanto, se continui a friggerti il cervello
nell’acqua!”
“Sì, sì,
dài, diamo un’occhiata anche ai portacandele, non voglio
regalarle solo un paio di ceri a caso…”
~~~
Tom chiamò a sé tutta la pazienza che possedeva.
“Danny…”
esordì, cercando di mantenere un tono pacato e diplomatico
“Adesso sono le tre passate e per sistemare questo pezzo abbiamo
mangiato a velocità supersonica. Cominciamo ad essere un
po’ stanchi, mi spieghi che cosa cambia se adesso stacchiamo per
una mezz’ora? Non ce li dimentichiamo gli accordi nel giro di
trenta minuti…”
“Io sono qui fuori a
fumare!” annunciò Harry, posando le bacchette della sua
batteria “O inizierà il mio cervello a farlo! Con
permesso…”
Dougie gli rivolse un’occhiata preoccupata prima di constatare che il chitarrista lo aveva fulminato con lo sguardo.
Tom ignorò quel frenetico
incrociarsi di furtive sbirciate e tornò a parlare con Danny,
sperando di distrarlo: “Prendiamo un po’ d’aria, che
ne dici? Siamo qui dentro dalle nove e-“
“Io… chiamo Frankie,
ho… tre sue chiamate perse!” intervenne il bassista, che
si allontanò un po’ esitante con il cellulare in mano.
I due chitarristi lo guardarono
chiudersi la porta alle spalle: Tom lo supplicò invano di
rimanere con lo sguardo, Danny lo fulminò come aveva fatto con
Harry.
“Credo di sapere cosa non
volete dirmi…” insinuò con fare irritato, poggiando
delicatamente la sua Telecaster su un piedistallo.
Il suo amico di una vita sospirò rumorosamente e mise le mani avanti con cautela…
“Siamo stanchi, ma non della
tua musica, ok? Siamo semplicemente… un po’ provati dalla
giornata. E a volte non riusciamo a starti dietro, sei così
entusiasta che-“
“Ah, dunque adesso sarebbe colpa mia!” lo sovrastò l’altro in tono sarcastico.
“Non sto dicendo
questo!” si oppose Tom, esasperato “Dio, ma che problema
hai? È un tuo progetto, ma ci siamo dentro tutti!!! Non crederai
che noi ce ne sbattiamo e che tu sei l’unico che ci tiene sul
serio!”
“Non vorrei arrivare a
crederlo!” lo affrontò il chitarrista, stizzito mentre
impilava alcune pagine di spartiti senza guardarlo.
L’altro alzò le
braccia in segno di resa e fece per allontanarsi, giusto perché
non voleva dargli la soddisfazione di iniziare un litigio.
Sulla porta, si bloccò.
“Se c’è qualcosa che non va… puoi parlarne, lo sai…” gli disse, serio.
Dopo aver ricevuto il mutismo
ostinato di Danny come risposta, sospirò rumorosamente e lo
lasciò da solo nello studio.
Si sgranchì le gambe e si
scrocchiò le dita indolenzite di fronte ad una tazza di
caffè retta da Dougie, che nel frattempo stava dividendo una
sigaretta con Harry.
“Cosa cazzo
avrà… lo sa solo lui…” osservò il
batterista, riprendendosi la cicca dalle labbra del collega.
Tom scosse la testa, scoraggiato, e
prese la tazza tra le mani replicando: “Non può essere
così insopportabile solo per tutta questa storia della
produzione, ne sono sicuro… ma non sono riuscito a farlo
parlare…”
“Dici che è Claire il problema?” si inserì il bassista, perplesso.
Il biondo arricciò il labbro
e scosse la testa. “Ho visto Clarissa in questi giorni, non
sembrava… arrabbiata o comunque in pensiero per
qualcosa…” dichiarò, meditabondo.
Harry sorrise divertito: “E fu così che in realtà progettava un omicidio!”
“Sì, l’omicidio di Jones!” rincarò Dougie, ridacchiando.
“Parli del diavolo…”
I due amici si voltarono verso
l’entrata, dove Tom stava guardando dopo aver attirato la loro
attenzione con le sue ultime parole.
Mani in tasca, viso tirato e occhi bassi.
Danny stava camminando incerto verso l’uscita, verso tutti loro.
Harry estrasse una sigaretta dal
proprio pacchetto, chiese a Dougie l’accendino e appena il
chitarrista gli passò accanto senza l’intenzione di
fermarsi, lo incalzò in tono rilassato: “L’ultima te
l’ho fregata io stamattina, Dan… Tieni, saldo il mio
debito…”
“Ti senti un po’ meglio, vero?”
Danny annuì espirando il fumo dalle narici. Tom si agitò davanti al suo sguardo vuoto fisso nel nulla.
“Ma dì qualcosa! E che
cazzo!” proruppe, stringendogli l’avambraccio sinistro con
le mani per poi scuoterlo.
“Fletcher ha detto Cazzo, Dan, io vuoterei il sacco!” sdrammatizzò Harry.
Dougie intervenne per ultimo, in
modo più diretto: “Abbiamo malignato e concluso che
Clarissa non te la da più da un pezzo!”
Subito il diretto interessato reagì con ostilità: “Cosa ne sapete voi?! Un cazzo!”
“Io non voglio saperlo!” si difese Tom, quasi scandalizzato.
“E’ ovvio che c’è qualcosa che non va al riguardo e che muori dalla voglia di dircelo…”
Dougie aveva rigirato il dito nella piaga.
Come da lui previsto, Danny
gettò il mozzicone di sigaretta nella grata di un tombino e si
passò le mani tra i capelli con stanca lentezza. Stava per
cedere.
“Non c’è…
tempo” sentenziò, lasciando penzolare le braccia mentre si
voltava verso i suoi amici, che lo fissarono perplessi, in attesa di
ulteriori spiegazioni.
“Ultimamente, quando sono a
casa io, è lei che deva andare a lavorare… o viceversa. E
quando magari torno la sera tardi… la trovo addormentata, non
posso svegliarla e chiederle se…”
“Dovete farlo la mattina
presto, quando siete belli carichi!!!” gli consigliò
animatamente il bassista, facendo trattenere a stento una risata da
parte di Harry.
“Chiudi il
becco…” gli intimò Tom senza sorridere, per poi
tornare a rivolgersi al chitarrista: “Dan, io ho visto Clarissa
qualche sera fa. È venuta a trovare Gi e… poi mi ha detto
di quando è uscita con Doug…”
“Confermo” asserì il biondino.
“Insomma… Non è
che non c’è tempo: casomai tu non ne hai per
lei…” azzardò Harry “Perché non state
un po’ più insieme, anche solo per uscire un po’ il
pomeriggio, Jones? Ormai sono settimane che ti rinchiudi qui dentro e,
francamente, rischi soltanto di diventare insopportabile, sia per noi
che per la tua ragazza…”
Danny cercò di non dare a
vedere la stizza di fronte alle parole del collega, che si era portato
l’onnipresente nuova fidanzata da casa allo studio, e si
limitò a dire in tono piatto: “Ah. Se lo dici
tu…”
“Ragazzi! Vi ho portato un
po’ di caffè, ho fatto bene?” squillò la voce
di Cassie alle loro spalle. Harry fu il primo a voltarsi verso di lei
con un sorriso riconoscente.
“Arrivi giusto in tempo!” le disse, facendosi da parte per farla fermare accanto a lui.
“L’ho preparato un
secondo fa, è caldo caldo, e ho anche i bicchierini di
carta!” continuò la ragazza, offrendo la caraffa di vetro
piena a tutti. Tom si negò, avendo già assunto abbastanza
caffeina per quella giornata, ma il resto del gruppo accettò ben
volentieri.
“Vi vedo un po’
taciturni. Siete solo stanchi o devo preoccuparmi?” avanzò
la ragazza del batterista davanti alle facce meditabonde della band.
Harry scosse la testa e la
tranquillizzò dicendo: “Niente di che, è Danny che
ci fa lavorare come muli…”
“Che palle!”
esclamò l’amico, sentendosi preso in causa. Cassie se ne
uscì con una piccola risata e ribatté: “Non dargli
retta, Dan… ma in effetti dovresti pensare seriamente di
prenderti un po’ di tempo libero…”
Dougie e Tom concordarono
immediatamente con un sorriso eloquente rivolto al collega, un ghigno
che parlava chiaro: “Te l’avevamo detto”…
Ignorandoli bellamente, Danny ribatté: “Ci stavo pensando, solo che non è facile…”
“Siete praticamente alla fine
del progetto, cosa vuoi che sia qualche ora di libera uscita? Clarissa
non ne sarebbe contenta?”
“Già, Clarissa non ne
sarebbe contenta?” ripeté Dougie con un sorrisetto
insolente stampato sulla faccia; Tom gli tirò uno scappellotto
sul collo con disinvoltura per ridimensionare i suoi sfottò.
Con le spalle al muro, il ragazzo rispose: “Certo, ne sarebbe contenta, di sicuro…”
“E allora, che problema
c’è?” insistette Cassie “Sai, capisco che con
il lavoro che fa e con il vostro… codice di
comportamento… lei non sia mai stata presente qui negli
studi… Infatti io mi sento decisamente una clandestina
illegale!”
“Non sei una
clandestina!” intervenne il batterista, abbracciandola con un
sorriso “Non mi avevi mai sentito suonare e abbiamo risolto il
problema!”
La ragazza lo baciò a stampo
sulle labbra per sciogliere la stretta affettuosa subito dopo e
continuare il suo discorso…
“Sono sicura che affronterai
meglio anche questa cosa del nuovo progetto musicale se ti fermi e
pensi un po’ a te, se trascorri più tempo a casa, con
Clarissa… L’ho detto anche a lei, qualche volta potremmo
uscire tutti insieme e farvi distrarre un po’!”
Tanto disse e tanto persuase quella
singolare ragazza… che alla fine Danny si lasciò
convincere, anche grazie all’aiuto dei suoi amici e colleghi, che
lo rassicurarono sul progetto e lo invogliarono a prendersi più
serate libere, magari da alternare: a volte goliardiche uscite tra
amici, a volte qualche romantica cena con Claire, magari anche un
cinema…
Si ricordò proprio di quanto
la sua ragazza gli aveva annunciato di recente: era questione di dieci
giorni, poi sarebbe arrivato il compleanno di Barbara; secondo gli
aggiornamenti provenienti direttamente da lei, avrebbe organizzato la
festa qualche giorno dopo la data ufficiale della sua nascita per
comodità e per avere più amici possibili presenti, lui e
Clarissa compresi.
Si sentì improvvisamente in
colpa per non essere riuscito ad accompagnare la sua ragazza a comprare
un regalo alla festeggiata: sapeva che ci teneva molto e l’aveva
delusa, come aveva fatto più di una volta in quelle ultime
settimane.
Quella sera prese coraggio e alle
sei decise di staccare i jack dalla sua chitarra: aveva finito. Avrebbe
ripreso il giorno dopo, con calma e senza nessuna ansia di arrivare in
ritardo.
~~~
Stava combattendo con discreto
successo i dolori mestruali, armata di una tisana dal sapore poco
gradevole ma accettabile dal momento che vi aveva immerso tre
cucchiaini di zucchero dentro. Stava cercando di scegliere con la
massima cura la carta da regalo più adatta al suo acquisto per
Barbara, ma le risultava difficile, visto che Anne le aveva fatto
comprare le fantasie più belle!
Voltò di scatto la testa non
appena udì la porta d’ingresso aprirsi ed un mazzo di
chiavi tintinnare in maniera familiare.
“Londra chiama Dublino!”
Il cuore mancò un battito.
Cercò immediatamente di
riprendersi e trattenne il respiro per poi assumere
un’espressione fredda e distaccata, soprattutto irritata.
Non riusciva a credere che fosse
tornato nel tardo pomeriggio, dopo tutte quelle cene trascorse da sola,
spesso in casa, davanti a un piatto pre-cotto.
Ma non riusciva neanche a
perdonargli la promessa non mantenuta che le aveva fatto: non
l’aveva accompagnata a comprare il regalo per sua madre.
Capriccio infantile o meno, doveva fargli pesare quel grosso cruccio.
Non rispose al suo scherzoso
richiamo ed incrociò le braccia sotto il seno in attesa di
vederlo varcare la soglia del salotto.
Pochi secondi e si
ritrovarono a dieci passi di distanza, come in una buffa riproduzione
di un duello in stile western. Solo che Danny non capiva di farne
parte. Sorrise amabilmente e le andò incontro, intuendo dalla
sua faccia adirata solo la punta dell’iceberg.
“Amore. Com’è
andata oggi?” le domandò prima di stringerla a sé,
sorridendole vagamente nervoso.
Clarissa rimase impassibilmente rigida nel suo abbraccio e rispose freddamente: “Benissimo”.
Aveva voglia di prenderlo a
schiaffi, di tirargli addosso qualche mobile, di effettuare un
body-slam sul suo stomaco e, infine, di abbracciarlo fortissimo.
“Sei furiosa e ne hai tutto
il diritto…” obiettò il chitarrista mentre le
incorniciava il viso nelle grandi mani, con delicatezza.
“Perché sei tornato?” ribatté lei, lapidaria.
Vagamente disorientato dal tono
della domanda, il ragazzo rispose conciliante: “Ho parlato con i
ragazzi, c’era anche Cassie… e sono riusciti a farmi
capire che ho bisogno di staccare un po’ la spina… Secondo
loro, sono diventato paranoico e non mi fa bene, tanto più
perché ormai il progetto che abbiamo iniziato è
praticamente finito e… quindi… ho pensato Ma sì, adesso me ne vado a casa, mi rilasso per qualche giorno, sto con il mio amore…”
“Che premura…” commentò sarcastica l’altra, alzando un sopracciglio.
Danny incassò anche quel
colpo e continuò, accarezzandole una guancia con il pollice:
“Lo so cosa vuoi dirmi. E te lo dico subito: hai ragione. Non ci
sono stato, avrei dovuto e invece sono rimasto a suonare per tutto il
tempo… Scusami, davvero… Vedo che ci hai già
pensato, al regalo!”
Ebbe un tuffo al cuore quando notò una scatola sul tavolo accanto a dei nastri colorati e alla carta da regalo.
“Sono stata al centro
commerciale. Con Anne. Abbiamo preso il regalo, sì.”
replicò la ragazza, telegrafica e tagliente “E’ un
candelabro in argento. Con due candele. Al patchouli.”
Lesse tra le righe di quella dettagliata descrizione, decifrando un rancoroso “Anche tu sapresti queste cose se fossi venuto con me”. Sospirò mestamente, con un senso di colpa sempre più acuito.
“Posso fare qualcosa per
essere perdonato?” chiese in tono triste “So che è
colpa mia e delle mie fissazioni, odio vederti così quando
faccio qualcosa di sbagliato…”
Vide Clarissa allentare
impercettibilmente la tensione sul proprio volto: la ruga in mezzo alla
fronte, inconfondibile segno di rabbia, divenne meno evidente, e gli
occhi guardarono altrove, smettendo di penetrarlo sadicamente.
Dalla sua bocca non uscì una parola. La sua schiena rimase dritta e rigida come quella di un despota.
Danny tentò la sorte facendo leva sulla propria vena comica.
“Mi bevo il tuo schifosissimo
intruglio di erbe, alla goccia, giuro! Guarda, lo faccio…”
la avvertì, e pochi secondi dopo stava davvero vuotando la
grossa tazza della fidanzata e ingurgitando la nauseabonda tisana.
Davanti alla sua smorfia di estremo disgusto, Clarissa si lasciò
scappare un principio di risata che tentò immediatamente di
reprimere, ma era troppo tardi: Danny l’aveva già vista
cedere.
“Beccata! Hai riso, adesso
non hai scampo!” l’ammonì, tornando ad abbracciarla,
stavolta ricevendo una reazione, seppur non del tutto positiva: la
ragazza puntò i pugni contro il suo torace, come per spingerlo
via, ed abbassò lo sguardo per non farsi vedere mentre ancora
ridacchiava.
“Insisterò
finché non mi avrai ufficialmente perdonato, andrò
incontro a prove ancora più terribili!” gracchiò il
ragazzo prima di aggiungere: “Come questa!”
Clarissa lanciò un piccolo
grido sentendosi sollevare sulla schiena di lui. Cominciò a
tempestare di colpi il dorso del fidanzato protestando animatamente, ma
ridendo tra un insulto e l’altro.
“Idiota, lasciami
immediatamente! Mettimi giù, smettila di… Danny, cazzo,
non sono un sacco di patate! Sei sordo?! Ho detto di mettermi
giù, razza di scemo!!!”
“Se ti metto giù, mi perdoni?!”
“Mettimi giù!!!”
“Ti amo tanto, anche quando mi rompi la schiena con il tuo dolce peso e i tuoi pugnetti malefici…”
La sentì ridere, forse sorpresa, e poi dire, stremata: “Mollami subito, voglio scendere…”
Obbedì, facendole toccare di
nuovo il pavimento con i piedini ridicolamente minuscoli rispetto ai
suoi. Era un po’ spettinata e ansante per via
dell’agitatissima protesta che aveva messo su poco prima.
“Se non ti avessi già
picchiato abbastanza, ti tirerei un ceffone…” gli disse,
puntandogli un indice contro il petto “Tu, i tuoi orari del
cazzo, le tue promesse non mantenute e… e vaffanculo, ok?”
Ghignava nel dirgli tutte quelle
parole come in una presa in giro, ma riusciva a sentire una nota
dolente nella sua voce, una punta di vero rancore che non voleva
andarsene.
Sopportò la colorita
ramanzina, la lasciò finire di parlare, poi le prese le mani,
ostinatamente chiuse come due piccoli martelli, e le disse a bassa
voce: “Lo giuro, è la prima e ultima volta che ti tratto
così. Ho capito il mio errore e voglio rimediare. Mi dai una
possibilità?”
La ragazza lo scrutò in
silenzio, serissima per qualche istante, poi scosse la testa in un
tentativo maldestro di gettare indietro alcune ciocche ribelli e
sorrise tiepidamente…
“Non farlo più, Jones. Chiaro? Perché è stato frustrante.”
Le baciò la fronte, contento, e le promise: “Chiaro, piccola. Chiarissimo…”
Si abbracciarono, dopo che finalmente Clarissa aveva teso le braccia verso il suo collo.
Danny baciò ripetutamente i
suoi capelli, facendola sorridere e arrossire, e assaporò il
sapore della sua pelle tepida mentre con le labbra aveva raggiunto
anche le guance morbide.
“Cosa ti va di fare stasera?” buttò lì, il naso che sfiorava il suo profilo.
Lei alzò gli occhi al cielo
con un sorrisetto e rispose: “Ho il ciclo… Ho voglia di
mangiarmi il mondo intero, meglio se ricoperto da zucchero, glassa,
caramello, qualcosa di dolce da far schifo…”
Si sentì replicare con fare
accomodante: “Allora ci vestiamo… e cerchiamo un
ristorante come si deve da svuotare… ok?”
Riuscì a farle recuperare il
sorriso e a riconquistarsi la sua fiducia dopo una cena, due ciambelle,
un gelato, una cialda affogata nel caramello (divisa a metà con
lui, perché “cominciava ad essere piena”) ed un
massaggio sulla schiena leggermente indolenzita a causa dei dolori
mestruali.
“Ti andrebbe bene
partire… diciamo il prossimo sabato? Se riesco a trovare un volo
in giornata lo prendo subito, così non dobbiamo svegliarci a
un’ora assurda per il check- in…” gli propose
Clarissa, alzando leggermente la testa dal materasso su cui stava per
cadere nel dormiveglia.
Danny si fermò con le mani
qualche istante per riflettere, poi rispose: “Sì! Per me
va bene! Se ci aggiudichiamo un volo pomeridiano è meglio,
sì… Sai, volevo uscire un po’ con i ragazzi nel
fine settimana…”
“Ok, speriamo bene…
Dan, mi sto… addormentando…”. La ragazza
sbadigliò per poi sorridere pigramente al fidanzato.
“Grazie del massaggio…”
Il chitarrista chinò la
testa sulla curva della spina dorsale e vi stampò un bacetto
prima di lasciar alzare Clarissa per farle rimettere la T- Shirt del
pigiama.
Una volta sotto le lenzuola, si
rannicchiarono in un abbraccio tutto loro che vedeva la biondina
sommersa dalle braccia di lui, a sua volta “legato” dalle
sue gambe dalle cosce in giù.
Quell’abbraccio divenne una
lunga serie di baci e di carezze a fior di pelle, una tortura a cui
entrambi si prestarono volentieri e senza freni, almeno finché
Clarissa non sentì la mano di Danny andare oltre
l’elastico del morbido pantalone scuro che indossava.
Con poca convinzione nel suo
sussurro, si oppose più per istinto che per vera resistenza:
“… No… Dan, ho il-“
“Ssshhh… Tranquilla…” la rassicurò lui sottovoce per poi baciarla piano sulle labbra.
Lo lasciò continuare, si
aggrappò a lui, ai lembi della sua canotta, ai sospiri che le
regalava, in sincronia con i suoi.
Chiuse gli occhi mentre lo stringeva e le mani l’aiutarono a immaginarlo, a vederlo nonostante il buio.
Era bellissimo con i capelli da lei spettinati.
La sua bocca aveva un buon sapore, anche nella sua vaga nota di fumo che aveva imparato ad amare, come tutto il resto di lui.
Nonostante si conoscessero bene
nella loro intimità e in quasi ogni centimetro dei loro corpi,
le sue dita a volte ancora sbagliavano o si perdevano, colpa
dell’eccitazione che lo rapiva, così lei si ritrovava a
guidarlo con la mano, paziente e intenerita dal suo essere imperfetto,
per questo ancora più bello.
Un suo movimento leggermente
maldestro la fece irrigidire, ma entrambi cercarono di passare oltre
quel gesto poco importante: Danny tornò a toccarla con
più delicatezza e Clarissa iniziò a fantasticare per
stimolare le reazioni positive del suo stesso corpo.
Non vedeva alcun reato nel pensare
anche a qualcun altro mentre era a letto con il suo ragazzo, anzi, la
considerava una fantasiosa soluzione ai momenti in cui il contesto
doveva essere ravvivato in qualche modo, se voleva raggiungere
l’apice del piacere con meno sforzo e in modo… diverso dal
solito, così lo definiva.
Lo sconosciuto che la possedeva nel
suo immaginario mentre faceva l’amore con Danny non aveva quasi
mai avuto un volto ben preciso o familiare e non era mai stato la
stessa persona per due volte di seguito. Era tutti e nessuno, era un
ragazzo carino entrato in libreria o un bel signore di mezza età
intravisto in metropolitana, a volte era persino Dougie, ma solo per
brevissimi e sfuggenti fotogrammi, stralci del passato che ogni tanto
tornavano a farsi vivi nella sua mente, tirandole buffi scherzi.
In quel momento, Danny
era… solo Danny. Era più che sufficiente, stava
cominciando a farle girare la testa e a muoversi dentro di lei come
più le piaceva.
Con due dita l’aveva penetrata in entrambi gli orifizi e la stava facendo gemere sempre più forte.
Lui amava sentire quel suo lamento appagato e appagante.
Lei amava sentirlo muoversi ed espandere dentro di lei quella sensazione oscenamente immensa di goduria mescolata alla lussuria.
Nella sua fantasia, qualcun altro stava stuzzicando il suo ano, ma ancora non aveva dei lineamenti ben definiti…
Doveva pensarci, osare ancora un po’…
“Sì…”
ansimò, sentendo come irriconoscibile la propria voce. Danny
mosse le dita ancora più velocemente e cercò le sue
labbra per un lungo e profondo bacio che la fece gemere nella sua bocca.
La fantasia si fece più
delineata e spinta: era incastrata tra due ragazzi, uno di loro era il
suo fidanzato, voleva che fosse lui perché era sempre presente
nei suoi trip erotici, se lo meritava, ne era più che degno:
fare l’amore con lui, come anche solo i preliminari, era
fantastico.
Ma non c’era solo lui al mondo.
Di nascosto, quasi vergognandosene,
ma con una punta di malizia che rendeva la sua fantasticheria ancora
più eccitante, volle vedere un’altra persona alle sue
spalle.
Quella con cui stava facendo sesso anale, mentre Danny la scopava davanti.
L’orgasmo arrivò improvvisamente in un’unica grande vampata di calore partita dallo stomaco.
“Daniel!” gemette Clarissa prima di contorcersi sotto le mani di Danny.
Il chitarrista la baciò
intensamente, coprendo i suoi gemiti, e sospirò con voce roca:
“Se ridici il mio nome completo in quel modo…
impazzisco…”
Con gli occhi spalancati nel buio,
calmò il proprio respiro ma non riuscì a replicare. Si
limitò ad abbracciarlo spasmodicamente per nascondere il viso
nel suo petto, come se avesse potuto vederla, scoprirla.
Il chitarrista ricambiò la
stretta, vedendovi un gesto tipicamente affettuoso e romantico, il
platonismo trionfante dopo la materiale fisicità. Le cinse le
spalle con un braccio e sorrise nel baciarle la nuca e
nell’ascoltare il suo respiro che si stava regolarizzando.
La ragazza sbatté finalmente
le palpebre, atterrita, e dopo aver sentito il bacio sulla testa le
richiuse e le strinse forte, decisa a dimenticare quella stupida
fantasia che aveva sviluppato poco prima.
Daniel.
Che assurdità.
Non sapeva perché le aveva dato tanto fastidio immaginarsi con lui.
Forse perché…
Ti è piaciuto pensare che fosse lui a buttartelo nel culo, non è vero?
Il suo cuore non accennò a rallentare i battiti.
Troietta.
“Amore… Tutto bene?”
Alle premure del fidanzato, rispose con voce apparentemente serena.
“Certo, sto bene…”
Tremava dentro.
~~~
Iniziò a preparare la
valigia con entusiasmo, soddisfatta della sua prontezza, ma anche della
fortuna che aveva avuto nel prenotare il volo con così poco
anticipo: sarebbero partiti sabato pomeriggio a mezzogiorno e mezzo.
Ancora 48 ore e avrebbe finalmente rivisto Barbara, Nora, la sua terra
natale, quella sorta di “sconosciuta” che,
inspiegabilmente, le mancava nonostante avesse fatto da cornice alla
sua sgangheratissima vita, piena di momenti da dimenticare.
Anche se qualche ricordo si salvava, prezioso e brillante in mezzo a quel pesante grigiore della sua esistenza.
Erano la sua consolazione, il
motivo per cui non aveva paura di tornare ogni tanto, anche se lei
aveva percorso una strada diversa.
Non vedeva l’ora di respirare
ancora una volta quella bizzarra atmosfera fatta di amarezza e calore:
sapeva che all’impatto iniziale, brusco e carico di repulsione,
sarebbe seguito l’abbraccio di Barbara e dopo anche quello di
Nora, e allora tutto sarebbe tornato a posto nella sua anima scossa;
l’aspro sapore nella sua bocca sarebbe diventato dolce e infine
frizzante grazie alla festa, sicuramente paragonabile ad una sagra dei
dolciumi locali, colma di chiacchiere di attempate signore sedute nelle
loro sedie di plastica in giardino, un po’ acciaccate ma ancora
arzille e sempre in vena di spettegolare un po’, con leggerezza,
specie se in presenza di volti semi- nuovi, come quelli di Clarissa e
Danny, che sarebbero stati sicuramente coccolati, viziati e farciti a
dovere dalla festeggiata e non solo.
Quando si accorse che il suo turno
pomeridiano si stava avvicinando, mise da parte il suo trolley in
camera da letto e pranzò velocemente da sola con
un’insalata preparata in due minuti.
Mangiando, fece uno scrupoloso
elenco mentale di che cosa mancava ancora da mettere in valigia; per un
attimo si preoccupò anche di quella di Danny, ancora vuota, ma
lasciò subito perdere: inutile sprecare tempo ad avvisare uno
che faceva i bagagli all’ultimo momento e che, miracolosamente,
non si dimenticava mai niente a casa!
A proposito di dimenticanze,
proprio quel testa di rapa aveva scordato accanto alla finestra
l’accendino, di nuovo. Ne avrebbe comprato uno nuovo, convinto di
averlo perso, così la sua collezione si sarebbe arricchita per
l’ennesima volta al suo ritorno.
Aveva ancora la testa un po’
tra le nuvole, ma da quella sera aveva seriamente iniziato a darle
più attenzioni, era ritornato il solito Danny, quello
equilibrato ed imbranato tutto musica, amici e complicità
silenziosa appena si scambiava un’occhiata con lei.
Era contenta del fatto che quello strano senso di panico fosse sparito, ora che lui era tornato ad essere più presente.
Certo, non aveva potuto fare a meno di pensare a Daniel, a come lo aveva pensato senza un apparente motivo.
Era carino, con un accento
straniero che quasi le faceva tenerezza, affabile, sempre pronto ad
ascoltarla quando l’accompagnava a casa dal lavoro,
spiritoso…
Ma sì, e allora? Cos’è, non posso pensare a lui come a un ragazzo carino? si rimbeccò da sola mentre si preparava per uscire di casa.
Una volta scesa in strada,
camminò a passo sostenuto e liquidò quell’ultimo
sprazzo di negatività dal suo cervello con una solida
giustificazione dettata dalla razionalità, nonché da un
pizzico di umanità…
Mai
fantasticato su un tuo collega di lavoro? Ebbene, adesso sai che si
può. Contenta? Adesso vai a lavorare e ricordati quanto sei
felice con Dan.
E poi anche lui è fidanzato.
“Ciao a tutti!” esordì allegramente avvicinandosi al bancone.
“Ciao! Siamo pimpanti oggi!” la salutò Anne, sorridendole.
“Bonjour,
Clarissa!” esclamò Daniel, in equilibrio su una scala
mentre stava impilando dei libri sugli scaffali più alti.
Agitando le mani per mimare il suo
buongiorno, la ragazza andò nel retrobottega per sistemarsi e
poco dopo accorse per aiutare lo studente nella sistemazione dei volumi.
“Sai che quel locale di cui
ti avevo parlato settimane fa è stato inaugurato lo scorso fine
settimana?” la informò il francese mentre Anne stava
servendo un cliente.
Clarissa rimase perplessa qualche
secondo per poi ribattere: “Ah, sì, mi ricordo! Ma non
doveva aprire tra… una settimana o due?”
“Credo che i lavori di
ristrutturazione siano finiti in anticipo! Dicono sia stata una cosa
fichissima, il tema scelto per la festa inaugurale era… il
futurismo! Ho visto alcune foto su Facebook, erano tutti vestiti da
urlo!”
Clarissa ridacchiò e disse:
“Sarebbe piaciuta molto ai miei amici e al mio ragazzo! Per il
loro ultimo album si sono dedicati ad una cosa simile!”
“Perché una volta non ci andiamo?”
La proposta giunse inaspettata e la diretta interessata alzò le spalle con un’aria spiazzata.
“Ma… non
saprei…” borbottò, incerta “Che ne sappiamo
di come vestirci, quanto si paga per entrare…?”
“Io sono iscritto al gruppo
ufficiale su Facebook!” puntualizzò Daniel “Le donne
non pagano il venerdì, altrimenti sono dieci sterline per questo
primo mese di promozione! E le feste in costume si svolgono una volta a
settimana, mi aggiornerò sul tema su Internet!”
“Ma… ma sai già
tutto!” constatò l’altra, stupita; venne ricambiata
con uno sguardo sorridente che la pregava di farlo contento.
“Daniel, non lo so se…
Senti, comunque se dicessi di sì, non posso venirci questa
settimana né la prossima, perché vado in Irlanda da mia
madre per qualche giorno!”
“Ok, ok, però
andiamoci, ti prego!” la implorò il ragazzo senza smettere
di sorridere “Non voglio chiederlo a Pilar, ti ho spiegato
perché…”
“E che mi dici di Anne? Lei non ha accettato?”
“Anne… Lo chiederò anche a lei, certo!” mentì lui “Però vieni anche tu!”
Davanti a tanta insistenza, Clarissa preferì tagliare la testa al toro.
“Va bene, va bene!”
confermò, esasperata “Ma prega che il tema non sia al
limite dell’assurdo, perché altrimenti ti tiro un bidone,
ti avverto!”
Lui la ringraziò nella sua
lingua, contentissimo, e non la disturbò più, anzi,
divenne persino più collaborativo e silenzioso.
Clarissa si ritrovò a
fissarlo di nascosto in alcuni momenti, vagamente frastornata dai suoi
modi gentili e discreti, dal suo bizzarro entusiasmo per quella
discoteca in cui voleva trascinarla, bardata in chissà che modo.
Ad un certo punto, si decise a fare
due chiacchiere con Anne e la trovò alle prese con alcune carte
della contabilità.
“Ci vuoi venire con me e Daniel a ballare?” buttò lì.
La ragazza alzò lo sguardo per risponderle ironica: “Si va a caccia o a bere?”
“E’ un locale in cui si
fanno feste a tema, scema, si fa per ridere…”
obiettò l’amica “Daniel dice che sembra la fine del
mondo, se non ci andiamo ce ne pentiremo per il resto dei nostri
giorni… Qualcosa del genere, insomma, mi ha fatto une testa
così e volevo sapere se-“
“Ferma i lavori, cara!”
la interruppe l’altra “Non so se ne sei al corrente, ma io
a breve me ne andrò in ferie, e si dia il caso che parta
Domenica! Me ne vado, levo le tende per una decina di giorni!”
“Ah…” replicò Clarissa in tono deluso “E… dove vai?”
“Mi unisco ai miei per una
capatina in Scozia, niente di che! Vorrà dire che farete
baldoria senza la sottoscritta! E poi lo sai che io vado a ballare solo
per provarci coi tipi carini, bel culo e portafoglio possibilmente
gonfio…”
“Posso prestarti Dan ogni tanto, se vuoi!” propose la bionda scherzosamente.
“Non dirlo! Clarissa, non
dirlo neanche per scherzo! Pazza, sei solo una pazza!”
sbottò Anne prima di scoppiare a ridere, rossa come un peperone.
“Ma davvero non vuoi venire a fare due salti in compagnia?” insisté ancora una volta la ragazza, speranzosa.
“Vedremo dopo le mie vacanze,
ok? Nel frattempo tu e Daniel potreste andare fare un giro di
perlustrazione, un collaudo, così se anche io vorrò
venirci non avrò brutte sorprese!”
“Usurpatrice!”
l’apostrofò Clarissa prima di tornare al suo daffare con
aria rassegnata, anche se col sorriso sulle labbra.
Anne in ferie. Non ci voleva.
Ma del resto, perché
disperarsi? Anche se sapeva che non avrebbe potuto invitare i ragazzi,
Danny compreso, per evitare spiacevoli epiloghi imbarazzanti fatti di
folle di fan isteriche, avrebbe potuto portare con sé Frankie, o
magari Gi, giusto per non rimanere soltanto con Daniel.
Perché, doveva ammetterlo, stare sola con lui avrebbe potuto farla sentire non poco a disagio.
Quando chiudere i battenti per
quella giornata fu compito di Clarissa, Daniel terminò di
spazzare il pavimento, si assicurò che la libreria fosse in
ordine e raggiunse la collega per accompagnarla lungo il consueto
tratto di strada da percorrere insieme.
“Allora, quand’è che parti esattamente?”
“Sabato, in tarda mattinata! Non vedo l’ora!” esclamò la ragazza.
“E’ da molto che non vedi tua madre?”
“Non la vedo da un anno, sì… La sento spesso per telefono, ma non è la stessa cosa…”
“Ma non poteva rimanere a Watford? Mi avevi detto ci viveva da un sacco di tempo!”
“Sì, il problema
è che poi sono successe così tante cose… La
signora che dava vitto e alloggio a Nora è morta, quindi lei
è voluta tornare a Dublino… Barbara si è
trattenuta qui per qualche mese dopo la sua partenza, però poi
ha deciso di partire per occuparsi di lei: aveva capito che io stavo
bene, che mi ero sistemata, avevo trovato una casa e un lavoro…
e così adesso sono entrambe laggiù…”
“Si direbbe che vi volete molto bene…” osservò Daniel con un sorriso intenerito.
Clarissa annuì e
ribatté con serenità: “Sono tutta la mia famiglia,
non potrebbe essere altrimenti…”
“Rivedrai anche il tuo autista di famiglia alla festa?”
“Elroy? Credo di sì, Nora mi ha detto che ci sarà anche lui…”
“Mi piacerebbe conoscerlo, sembra un tipo simpatico da come me ne hai parlato!”
“Ti porterò qualche foto allora!”
“Grazie! E fai anche qualche fotografia al paesaggio, se non ti dispiace: non sono mai stato in Irlanda!”
“Sarà fatto, ok!”
“Merci!”
Giunti al bivio, si salutarono con
due veloci bacetti sulla guancia, gesto in cui Daniel aveva preso
l’iniziativa e a cui lei non si era sottratta per buona
educazione.
“Ci vediamo quando torni! Io domani ho lezione in facoltà…” la informò il ragazzo.
Clarissa ribatté scherzosa: “Allora non combinare troppi disastri in libreria in mia assenza!”
“Donna di poca fede!”
la rimproverò con una risata l’altro, prima di aggiungere:
“Piuttosto, pensa alla proposta che ti ho fatto sul locale!”
La ragazza alzò gli occhi al
cielo, poi si ricordò di informarlo delle ferie di Anne. Lo
studente fece spallucce, praticamente disinteressato al fatto che la
loro collega non avrebbe tenuto loro compagnia, poi riprese: “Ci
andremo io e te, no?”
“Bè…”.
Esitò la biondina… “Possiamo riparlarne quando
torno, con più calma, ok?”
Daniel sorrise, conciliante, e annuì per poi salutarla definitivamente.
Guardandola allontanarsi di soppiatto, le fissò il fondoschiena.
Alzò l’angolo sinistro della bocca in un ghigno malizioso, poi prese a pedalare sulla sua bicicletta.
Decise di aspettare prima di sentirsi trionfante al cento per cento.
Il bello doveva ancora venire.
~~~
“Non capisco perché hai bisogno di preparare i bagagli un mese prima di partire…”
“Ho iniziato solo ieri, ci ho messo dentro due cose!”
“Ma partiamo domani a mezzogiorno!”
“Sì, e se io non mi
organizzo per tempo, finisco sempre per fare casino e metà delle
cose che voglio portarmi dietro rimarrà a casa!”
“Ok, come vuoi… Io la preparerò domattina…”
“I biglietti ce li hai tu?”
“Sono nel cassetto del mobile nell’ingresso…”
“Sicuro?”
“Claire, sì!”
“Ok, calmati!”
“Ma…”
Danny rimase bloccato in un sorriso
spiazzato mentre fumava alla finestra; Clarissa lo fulminò con
lo sguardo e si difese dicendo: “Ti conosco, spesso e volentieri
tu le cose le perdi!”
“Ce li ho messi un minuto fa, in quel cassetto, Clarissa, sono più che sicuro…”
“Sarà meglio! Mi passi quel paio di jeans?”
“Ma non volevi metterli domani per la partenza?”
La ragazza rimase interdetta
qualche secondo, poi scosse la testa e sospirò:
“Sì, è vero…”
“Guarda che stasera hai tempo per finire di sistemare tutte le tue cose…”
“No” si oppose subito
l’altra, alzando l’indice destro con aria saputa “No,
perché stasera voglio andare a letto presto, al contrario di te.
E al massimo voglio aggiungere al bagaglio quelle due o tre cosette che
sicuramente adesso non sto ricordando! Niente di più, niente di
meno!”
“Non farò tardi
neanche io, se è per questo!” puntualizzò il
chitarrista “Una birra, due tiri al biliardo e sono a casa!”
“Già, peccato che parti da casa alle dieci e mezzo!”
“Sì, ma solo perché danno da bere la birra gratis dopo le undici…”
“Dan. Tornerai all’alba, già lo so.”
“Donna di poca fede!” la schernì lui con un sorrisetto per poi gettare il mozzicone dalla finestra.
Clarissa per tutta risposta lo
fissò inebetita, tanto che il chitarrista fu costretto a
chiederle: “Ehi… Tutto ok? Che ho detto?”
“… Niente. No,
niente…” gli rispose lei, frettolosa “Stavo pensando
a… a cosa prendere dal bagno per la valigia…”
Donna di poca fede. Pensano entrambi la stessa cosa di te, non lo trovi… bizzarro?
Si impose la calma ed il sangue
freddo davanti allo specchio del bagno, mentre stava scegliendo quali
prodotti raggruppare sul ripiano, in bella vista, prima di spostarli
nel suo bagaglio.
Hai notato che hanno tutti e due gli occhi azzurri?
“Quelli di Danny sono
azzurri. Daniel ce li ha più scuri. Non sono come i
suoi…” sussurrò tra sé e sé,
infastidita.
Ti metterai ne guai, Clarissa.
Si puntò gli occhi addosso, nella superficie vetrata. Inspirò rumorosamente, le narici ben dilatate.
“Stà zitta” intimò a denti stretti.
Sbatté gli sportelli che
aveva aperto ed uscì dalla stanza, decisa a distrarsi in cucina:
si sarebbe messa a preparare la cena, così non avrebbe pensato a
niente.
Sentì i passi di Danny farsi sempre più vicini alle sue spalle.
“Ti metti già
all’opera? Che prepari di buono?” curiosò,
appoggiando il mento sulla sua nuca; la ragazza si scostò con
una piccola risata e rispose: “Credo che
improvviserò… Mettiti pure comodo…”
Una grossa bistecca al sangue
così grossa da dover essere divisa in due e una porzione
generosa di verdure grigliate a testa, il tutto accompagnato da un buon
vino rosso; Clarissa ne bevve tre abbondanti bicchieri con grande
stupore di Danny, che invece lo assaggiò soltanto, in attesa di
bere con gli amici più tardi.
“Era tutto buonissimo! Anzi,
più buono del solito!” si complimentò, alzandosi
per aiutarla a sparecchiare.
La fidanzata replicò con un
grande sorriso soddisfatto e con le guance arrossate
dall’imbarazzo - o dal vino – e commentò:
“Avevo voglia di svagarmi un po’… in cucina!”
“Vedo che ci hai dato dentro
anche con il vino… Hai l’occhio brillo!” le fece
notare lui, picchiettando l’indice sul suo naso e facendola
traballare.
“Ho bevuto un po’ solo
per calmarmi, lo sai che sono sempre nevosa prima di un viaggio!”
si giustificò l’altra, mentendo spudoratamente.
Danny rise e la baciò sonoramente su una guancia, poi entrambi si dedicarono alle ultime faccende in cucina.
Un paio d’ore più
tardi, dopo aver guardato un film stesi sul divano, il ragazzo si
preparò velocemente per la sua uscita tra amici: nel giro di una
scarsa mezz’ora era già pronto.
“Non restare sveglia per aspettarmi, ok?” la avvertì, premuroso.
“Certo che no!”
concordò con ironia la fidanzata “Farete l’alba, ve
lo dico io! Prima una birra, poi un biliardo, poi lo champagne per
brindare al progetto che state realizzando, poi un’altra birra
perché domani partiamo, poi Dougie con le sue barzellette sceme
di cui riderete come matti, poi forse uno di voi
vomiterà… e prima di tornare a casa, kebab delle cinque
del mattino, perché altrimenti non sapreste come far assorbire
tutto l’alcool ingerito! Sentito che bel programma?”
Danny sospirò, ma senza
arrabbiarsi; piuttosto sorrise e prima di salutarla con un bacio a
stampo le disse: “Ti stupirò! Come ho sempre fatto!”
“Divertiti! Scemo!” lo canzonò lei, ridendogli in faccia.
Si sentì chiamare dalla porta di casa dopo neanche cinque secondi.
“Claire?”
“Mmmhhh?”
“E dài, affacciati!”
Obbedì, facendo capolino dal salotto.
“Ti amo…” le disse dolcemente.
“Ooohhh!” esclamò di rimando la ragazza con aria smielata “Fai proprio bene, mio caro!”.
Per impedirgli di vendicarsi di
quella sua uscita così inaspettata, gli andò incontro per
prima, unendo le mani nascoste nelle maniche della felpa dietro al suo
collo per poi mettersi in punta di piedi e baciarlo.
“Ti amo anch’io…
E adesso vattene!”. Lo salutò così, con un sorriso
sincero, innamorato. E infine tornò alla sua televisione,
ripromettendosi di andare a letto nel giro di un’ora al massimo.
Le tre del mattino.
Aprì gli occhi a causa di
una pipì impellente: colpa del vino e della birretta fresca
trovata in frigo poco prima, mentre non riusciva ancora a prendere
sonno.
Non era ancora tornato.
Sbuffò, mostrando allo
specchio del bagno un broncio assonnato e contrariato, ma tutto sommato
molto tollerante, perché era abituata alle uscite di Danny che
sfociavano in albe e, in un paio d’occasioni, in tarde mattinate.
Si ributtò nel letto subito dopo aver svuotato la vescica e si riaddormentò in pochi minuti.
La sveglia sarebbe suonata alle otto e mezza.
Le sei. La timida luce del sole la svegliò molto prima del previsto, infiltrandosi attraverso la finestra.
Alla vista della parte sinistra del letto ancora intatta, sbatté il palmo sul materasso in un gesto di stizza.
“Ma allora è cretino…” gracchiò con la voce impastata dal sonno.
Il telefono di casa squillò e per poco non le perforò un timpano, vicino com’era al letto.
Si rizzò subito a sedere e nell’afferrare la cornetta pensò preoccupata che fosse successo qualcosa…
“Pronto?”
“Claire? Dormivi?”
Tom.
“Mi sono svegliata adesso… Tom, che è successo?”
“Non è niente di grave, devi stare calma…”
Automaticamente, Clarissa si agitò.
“Tom, dove sei? Dove siete tutti?”
Lo sentì schiarirsi la voce nervosamente…
“Al pronto soccorso…” ammise.
“Cos’è successo?” domandò immediatamente la ragazza, lapidaria, alzandosi in piedi.
“Dan e Harry. Si sono…
Claire, c’è stato un po’ di casino, sono venuti alle
mani, ma erano ubr-“
“DIMMI SUBITO DOVE SIETE, STO ARRIVANDO!” le gridò nell’orecchio l’amica.
Tom l’accontentò subito e gli venne riattaccata la cornetta in faccia.
“E’ incazzata
nera…” commentò abbattuto di fronte allo sguardo
interrogativo di Dougie, che sedeva accanto a lui nella sala
d’aspetto.
“Oh, santa merda…” sospirò il bassista, le mani tra i capelli “E adesso?”
“… E adesso… e
adesso mi piacerebbe tanto sapere dov’è finita
quell’altra stronza…”
“Forse è meglio che non sia qui, non credi?”
“Già… ma vorrei lo stesso vederla, giusto per sapere cosa cazzo le è preso!”
“Io non vorrei essere nei panni di Jones…”
“Cristo santo…”
La videro percorrere a enormi
falcate il corridoio: aveva indossato una tuta in fretta e furia,
s’intravedevano le chiavi dell’automobile spuntare dalla
sua mano destra chiusa a pugno.
Lei odiava guidare, lo faceva solo se strettamente necessario.
I capelli raccolti in una coda alta
e disordinata lasciarono in vista i suoi occhi, più grandi del
solito e carichi di sonno, ma anche di un qualcosa di esplosivo che
Dougie e Tom cercarono di trattare con i guanti.
“Stanno bene, adesso stanno
bene” esordì il suo coetaneo, mettendogli le mani sulle
spalle; lei si scostò, seccata, e domandò con un filo di
voce: “Dove sono adesso?”
“Sono nella stanza a fianco,
c’è il dottore che li sta visitando, ci ha detto di
aspettare, tornerà presto…” provò
tranquillizzarla il chitarrista, ma invano: Clarissa scoppiò in
un pianto improvviso e isterico.
“Cosa cazzo devo
aspettare!!!” abbaiò tra le lacrime mentre cominciava a
camminare freneticamente in cerchio, così che i due ragazzi non
riuscivano ad avvicinarla.
“Clarissa, erano coscienti
quando li abbiamo portati qui, non è niente di serio!”
esclamò Dougie, che a fatica le stava dietro.
“E’ stata una stronzata
da niente, avevano bevuto troppo e poi le cose sono
degenerate…” aggiunse Tom, cercando di afferrarle le mani,
incollate al viso.
In risposta ebbero solo dei
singhiozzi, ma se non altro la loro amica si fermò in mezzo alla
stanza, stanca di camminare; Tom ne approfittò per abbracciarla
forte e le disse a bassa voce: “Dan sta bene. Tra poco ti ci
lasceranno parlare, vedrai…”
“Vuoi che ti
spieghiamo… com’è andata?” le propose con
cautela Dougie, allungando una mano per accarezzarle un braccio.
La ragazza annuì debolmente per poi abbassare le mani e rivelare il volto sconvolto.
“Harry aveva portato anche
Cassie… Anche se nessuno di noi glielo aveva chiesto, neanche
accennato…” iniziò il suo migliore amico.
Dougie, sedendosi accanto a lei con
un bicchiere d’acqua da darle, continuò: “Ci siamo
fatti una birra, poi abbiamo cambiato locale e abbiamo giocato a
bowling… Verso le tre ci siamo spostati di nuovo e siamo finiti
in un disco- pub, dove abbiamo continuato a bere per un
po’…”
“Ci siamo messi a ballare,
Dan era a pochi passi da me, ognuno di noi si stava facendo gli affari
propri… E mentre Harry era fuori a fumare da solo…”
Clarissa trasalì davanti all’esitazione di Tom.
“Cos’è successo? Dan si è sentito male?” domandò con voce tremula.
Dougie scosse la testa e le disse
direttamente: “Cassie ha iniziato a strusciarsi addosso a lui,
Claire. E’ stata lei a prendere l’iniziativa. Jones stava
soltanto ballando e non la notava nemmeno!”
La ragazza lo fissò
inebetita, a bocca aperta; cercò una risposta diversa da parte
di Tom, ma anche lui si ritrovò a confermare: “E’
vero. L’ho vista anch’io. Ci stava provando. E Danny ha
provato a respingerla più volte, ma non ce la faceva,
perché… perché era troppo ubriaco e credeva che
lei stesse solo… scherzando… le rideva in faccia, faceva no con la testa, ma…”
“E Harry dove cazzo era nel frattempo?!” sibilò l’amica, furibonda.
“Judd è arrivato quasi
subito! E appena ha visto cosa stava succedendo… non ha
più capito un cazzo. Anche lui aveva bevuto un po’ troppo,
quindi invece di limitarsi a mandare a fanculo Cassie, ha attaccato
briga con Dan…”
“Non è durata molto la cosa, comunque: siamo riusciti a bloccarli…” intervenne il bassista.
La loro amica fece scorrere gli occhi su entrambi i loro visi, disorientata ed incredula.
“Si sono picchiati? E’ questo che volete dirmi? Hanno fatto a botte?”
Dopo aver cercato invano con lo sguardo di delegare a Dougie quella risposta, Tom annuì gravemente senza dire una parola.
Clarissa si alzò in piedi per poi voltarsi verso di loro, con le braccia che le penzolavano inerti lungo i fianchi.
“Danny e Harry hanno fatto a
botte perché… perché quella zoccola ha
tentato… Io non…” balbettò, sull’orlo
di una crisi di nervi.
“Tieni presente che erano
sbronzi, Clarissa” puntualizzò il bassista “Non
stavano certo ragionando…”
“E poi non è stato
difficile fermarli” aggiunse Tom “E’ solo che prima
che ci fossimo accorti di qualsiasi cosa, se le stavano già
dando di santa ragione sul pavimento e… Harry ha fatto battere
la testa a Dan, che a sua volta gli ha aperto un labbro con un
pugno…”
L’amica li ascoltava in
silenzio, quasi insensibile nel suo doloroso stupore, nella sua
stanchezza fisica e mentale, nel suo stress schiacciante che le era
piombato addosso tutto d’un colpo.
“Comunque adesso hanno fatto qualche lastra a entrambi, stiamo aspettando i risultati…” concluse Dougie.
“Il dottore ci ha detto che sono svegli, la sbronza è passata del tutto…” la informò Tom.
Lei annuì lentamente, senza
essere sicura di aver capito tutto. Ma aveva compreso abbastanza per
sentirsi in diritto di essere nello stato in cui si trovava.
“Ok…” sospirò, esausta “Aspettiamo il dottore…”
Un’ora più tardi, verso le sette e trenta, il medico curante li chiamò a sé.
Clarissa ascoltò nei minimi
dettagli le diagnosi: il labbro inferiore spaccato per Harry e un lieve
trauma cranico per Danny, che doveva rimanere in osservazione per le
successive 24 ore.
Le caddero le braccia davanti a
quel responso, ma l’irremovibilità del dottore la
trattenne dal porre domande scomode o richieste eccezionali.
Fu Tom il primo a preoccuparsi della sua situazione.
“Claire… Ma non dovevate partire oggi…?”
La sua amica annuì lentamente guardando il vuoto davanti a sé. Il chitarrista desiderò sotterrarsi.
Dougie provò ad intervenire: “Forse, se ne parlate, potrai andare tu da sola…”
“Sarà meglio che gli
resti vicino…” mormorò la ragazza in tono piatto
“Cercherò di ottenere il rimborso dei biglietti quanto
prima…”
Nessuno dei due le suggerì più niente.
Pochi minuti più tardi poterono entrare nella stanza doppia in cui avevano sistemato i ragazzi.
Si stavano chiedendo scusa a vicenda, come due ragazzini stupidi.
Harry parlava a denti stretti per
non muovere troppo la bocca e Danny non lo guardava mentre replicava,
perché se muoveva la testa sentiva dolore.
“Mi dispiace per il casino, Judd… La prossima volta, però, non portare Cassie…”
“Giuro su quanto ho di più caro al mondo che appena la trovo mi sentirà, quella stronza…”
“Che cosa le è saltato in mente non lo so, te lo dico sinceramente!”
“Ma io ti credo! Non è stata colpa tua! Sono io che non ci ho visto più!”
“E io di certo non ti ho fermato, anzi… Siamo stati due coglioni…”
“Sì, due coglioni fatti e finiti… Non vedo l’ora di essere fuori di qui…”
“Harry, tu puoi andartene, se
vuoi! Così magari scopri dov’è scappata
Cassie” precisò Tom con un sorriso sarcastico.
“E io? Me ne sto qui come un coglione?” domandò il chitarrista.
Dougie gli rispose: “Hai battuto la testa, stupido, certo che devi restare qui…”
Clarissa fu riconoscente al suo
amico per aver esplicitato le condizioni in termini pacati: lei non ci
sarebbe riuscita. Né in quel preciso istante, né in
quelli a venire.
Lo stava odiando. Gli avrebbe preso
volentieri la testa tra le mani per poi scuoterla apposta per sentirlo
urlare dal dolore, e magari anche per verificare se gli era rimasto
ancora un briciolo di cervello.
Si era spaventata a morte per colpa sua, era convinta che avesse fatto un incidente.
E invece era lì, in quel
letto, vestito di tutto punto, com’era uscito, con i capelli
completamente spettinati, la camicia macchiata di vino, un monumento di
lagne e lamenti per una botta in testa che avrebbe richiesto, seppur
nel suo piccolo, un periodo di riabilitazione che andava anche oltre
quelle semplici 24 ore al pronto soccorso.
“Amore…” la chiamò con voce stanca e uno sguardo da cane bastonato.
Gli si avvicinò, inespressiva.
Lui le prese una mano fredda, la baciò e le sussurrò: “Mi dispiace tanto…”
Per quanto potesse sembrarle sinceramente mortificato, non volle rabbonirsi.
Aveva rovinato tutto.
Niente più Irlanda, niente più festa di Barbara, niente più regalo di compleanno.
Aveva aspettato quel momento per più di un anno.
“Cercherò di farmi rimborsare i biglietti” disse laconica.
“Ma perché, tu non vai?” le domandò lui, stupito.
Scosse la testa.
Il ragazzo provò ad opporsi: “Claire, devi andare! È tua madre!”
“Tu hai più bisogno di me” lo bloccò la fidanzata, senza cambiare tono di voce.
“Ma come sarebbe a dire, è soltanto uno stupido bernoccolo…” scherzò lui, poco convinto.
“Anche volendo, non potrei
partire e presentarmi là da sola” continuò la
ragazza, per poi puntargli gli occhi addosso con freddezza “Con
che faccia spiegherei cos’è successo? Dovrei pur dire la
verità, no? Mi sembra il minimo, con Barbara. E come spiegherei
che il mio ragazzo non è potuto venire perché si è
ubriacato, ha picchiato un suo caro amico e si è quasi spaccato
la testa?”
Aveva alzato la voce senza rendersene conto e tutti si erano voltati a guardarla.
Le occhiaie le rendevano gli occhi vitrei. Sotto di lei, appoggiato al cuscino, Danny era muto e spaventato.
“Claire…”. Harry
tentò prudentemente di inserirsi, ma senza successo: lei lo
ignorò completamente, come se non lo avesse neanche sentito.
“Tu non vai in Irlanda e
neanche io ci vado. Resteremo qui. Così quella tua grossa testa
di cazzo guarirà e tu ti sarai fatto le tue meritatissime ferie.
Spero tu sia contento di questo…” concluse con aria
sprezzante.
“Vieni via, Clarissa…” la richiamò con calma Tom.
Danny balbettò di rimando,
sentendosi in tremendo imbarazzo: “Se… se per te è
un problema così… così grave, ecco,
potresti… sì, puoi anche partire senza di me e, insomma,
cosa vuoi che ti dic-“
“Jones!” lo rimproverò Dougie “Stà un po’ zitto…”
“Ragazzi, potreste ascoltarmi
un attimo?” Harry cercò inutilmente di attirare
l’attenzione per dire la sua.
“Sei uno stronzo!!!”
sbottò Clarissa, divincolandosi con violenza dalla stretta
gentile di Tom “Avevi detto che non saresti tornato tardi e mi
hai fatto prendere un colpo!!! Hai mandato tutto a puttane, tutto a
puttane, maledizione!!!”
“Basta! Basta, Claire!” gridò Dougie nel tentativo di placare la sua rabbia che fallì miseramente.
“Non te n’è
fregato un cazzo di quello che ti ho chiesto!!!” continuò
la ragazza, le lacrime che scendevano sulle guance, lacrime di rabbia
“Hai bevuto come una spugna e ora guardati! Guardati!!! Bravo,
complimenti! Sei stato davvero il miglior coglione dell’anno!!!
Io non ho parole, sul serio, non ne ho più per insultarti!”
“Clarissa, finiscila!”. Anche Tom si ritrovò costretto ad alzare la voce.
“E vaffanculo pure tu!”
gli sputò in faccia lei, prima di spintonarlo da parte per
uscire, ancora più furiosa di prima.
Senza la minima esitazione, il chitarrista le corse dietro.
Doug rimase allibito a fissare
Danny e Harry di fronte a sé. Il batterista abbassò lo
sguardo con un sospiro sconfortato; l’altro iniziò a dire:
“Io davvero n-non…”
“Chiudi il becco, Dan. È meglio…” lo ammutolì il bassista, scuro in volto.
“Claire!! Claire!!!”
“Lasciami in pace, Tom!!!”
“No, fermati subito! Subito, ho detto!”
“Vai a farti fottere!!!”
“Questa non l’ho sentita, ok?!”
Finalmente la raggiunse, anche se
ormai Clarissa era arrivata alla sua macchina. Tom riprese fiato per
qualche secondo dopo quella corsa che gli aveva fatto fare e poi disse:
“Non devi guidare in queste condizioni. Ti accompagno io a
casa…”
L’amica fece per opporsi, ma
appena fece per aprir bocca si portò una mano alla fronte e si
lasciò sfuggire l’ennesimo singhiozzo… Si mise
nuovamente a piangere, ma sommessamente.
“Io… Io non lo
so…” provò a spiegarsi “Io mi domando
perché ha voluto…”
“Ssshhh” la
zittì dolcemente il ragazzo, avvicinandosi “Ascoltami. Sei
molto stanca, sei sotto stress e hai bisogno di dormire un po’.
Fammi guidare. Che ne dici?”
Le prese con gentilezza le chiavi
dalla mano e l’accompagnò a casa, rispettando il suo
tormentato silenzio insieme al suo sguardo bagnato e assente che
guardava fuori dal finestrino.
Una volta
nell’appartamento le preparò una camomilla e gliela fece
bere, anche se all’inizio lei mostrava qualche resistenza.
Finita la bevanda calda, le rimboccò le coperte in camera da letto e le chiese: “Vuoi che resti qui?”
L’ombra di un sorriso le attraversò il viso.
“No, stai tranquillo, vai pure… Non voglio che Gi stia in pensiero…”
“Se vuoi, posso dire a Doug di passare…”
“No, no, adesso voglio solo… dormire un po’, o almeno provarci…”
“D’accordo, ma non mi piace che tu stia qui da sola fino a domattina…”
“Chiamerò Frankie più tardi, ok? Le chiedo se vuole pranzare con me…”
“Perfetto. Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa, tengo il cellulare a portata di mano…”
“Grazie… Non preoccuparti, davvero… Adesso mi riprendo…”
Tom le sorrise, rincuorato, e la baciò sulla fronte prima di salutarla.
Rimasta da sola, Clarissa telefonò a Barbara.
“Come sarebbe a dire, non vieni?”
“Scusami, Barb, davvero… Io non posso proprio…”
“Ma avevi prenotato l’aereo e…”
“E’ che… mi vogliono con urgenza… in libreria…”
“Ma insomma, Claire, non potevi… non so, dire di no? Non è tua amica Anne?”
“Barbara, non ho potuto rifiutare, scusami, te lo sto dicendo!” esclamò a ragazza, spazientita.
Quel tono non convinse la sua mamma adottiva.
“Dimmi la verità, tesoro…”
“Barbara, io…”
“Davvero, Claire. Dimmi come
stanno le cose. Cos’è successo? Sai che non mi arrabbio se
me lo racconti…”
“E’ che… è successo tutto all’improvviso e…”
“Tu e Danny avete litigato? È lì con te adesso?”
“Scusa, è che…
non voglio parlarne adesso… Posso richiamarti io? Devo calmarmi
e al momento ti direi solo un sacco di stupidaggini senza
senso…”
“Va bene, d’accordo…”
“Mi dispiace tantissimo, Barb… Io volevo venire sul serio…”
“Lo so, angelo mio, lo so.
Dài, non prendertela così. richiamami quando sarai un
po’ più tranquilla, ok? Ci penserò io a dirlo a
Nora ed Elroy…”
“Grazie… Si arrabbieranno di sicuro…”
“Non se gli spiego che la tua voce al telefono mi è sembrata molto triste…”
Clarissa tirò su col naso e sbuffò in una piccola risata.
“Te ne accorgi sempre, vero?”
“Certo, tesoro… Adesso
cerca di tirarti un po’ su, va bene? Ci risentiamo quando vorrai,
cerca di non farmi aspettare troppo, ti dispiace?”
“Ti richiamo appena possibile, promesso… Grazie e scusa ancora…”
“Stai serena, tesoro mio, ciao…”
Qualche lacrima solcò ancora il suo viso per un tempo indefinito di cui lei non tenne conto.
Poi si addormentò
Sognò.
Era su un aereo per Dublino, tra le mani aveva il regalo di Barbara e la soddisfazione si leggeva chiaramente nei suoi occhi.
Nel sedile accanto al suo, posto- finestrino, c’era Daniel.
Le sorrideva, invitante.
“Ci andremo io e te, no?”
***
Il titolo del capitolo è tratto da "Silence is a scary sound", no lucro!!!
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Capitolo 11 *** I don't know what to do, what to say ***
claire
Eeeeee salve a tutti, di nuovo, o meglio, salve a chi si ricorda ancora di me :).
Come posso descrivere questo nuovo capitolo?
Difficile?
Penoso?
Malaugurante?
In ogni caso, un capitolo che non apprezzo granché, come avrete capito! Fatemi sapere se la pensate allo stesso modo!
Ba mush!
Ciry
***
Mangiò con appetito nonostante avesse l’umore sotto i
piedi: non aveva toccato cibo per tutto il giorno, era rimasta immobile
a letto, tra il sonno e la veglia, meditabonda, triste; aveva pianto
svariate volte e per non continuare a farlo all’infinito aveva
provato a chiudere gli occhi nel tentativo di addormentarsi
profondamente, ma senza successo, perché aveva recuperato tutte
le energie fisiche nel giro di mezza giornata.
Poco prima delle sei aveva chiamato
Frankie, come promesso a Tom, e lei era accorsa subito a casa sua,
armata di solidarietà e cena take-away direttamente da
McDonald’s: Dougie le aveva detto tutto, non doveva spiegarle
niente.
Sorrise con fare materno nel vederla masticare.
“Ti senti meglio
adesso?” chiese con gentilezza mentre finiva le sue patatine.
Clarissa ricambiò il suo sguardo dolce ed annuì
lentamente con la bocca piena.
“Perché non mi hai
chiamata subito, Claire? Guarda in che stato sei, avrei potuto fare
qualcosa in più se…”
Si interruppe davanti all’amica che scuoteva il capo con aria rassegnata.
“Volevo stare da sola,
Fran… Volevo un po’ di tempo per
riprendermi…” replicò con voce spenta.
L’altra la fissò,
sentendosi impotente, e seppe solo ribadire: “Dan è stato
un perfetto cretino… Parte di tutto questo casino è anche
colpa sua… Ma non riesco a credere che Cassie abbia fatto una
cosa del genere… Ubriaca o meno, una dovrebbe cercare di
mantenere la dignità invece di fare la cretina con il primo che
capita!”
“Già… ma
è andata in un altro modo…” sospirò la
bionda abbassando lo sguardo sui resti della cena.
“Si è trattato di una grossa cazzata…”
“Lo so…”
“… Non vuoi parlarne, vero?”
Frankie si sentì in colpa
per aver insistito troppo, ma Clarissa tornò con gli occhi su di
lei per tranquillizzarla e disse stancamente: “No, è solo
che… adesso… adesso non so davvero cosa
fare…”
“Cosa intendi…?”
La scrutò apprensiva mentre si alzava in piedi e rassettava la tavola: era sfuggente, si sottraeva ai suoi sguardi.
“Claire?” la
chiamò timidamente, cercando di attirare la sua attenzione,
anche solo di farsi guardare per vedere cosa avrebbero rivelato quegli
occhi grandi e segnati dal pianto.
Clarissa gettò le scatole unte degli hamburger nella pattumiera e le rispose quasi in automatico, pur dandole le spalle.
“E’ da qualche tempo che… non va più così bene tra noi…”
Frankie spalancò gli occhi e non proferì parola. La lasciò continuare.
“Io… non so, forse non
sono fatta per lui... per i suoi tempi, il suo lavoro… o forse
lui non è fatto per me… per quello che chiedo
io…”
“E tu che cosa chiedi?” domandò cautamente la moretta.
La sua amica si voltò.
Aveva le lacrime agli occhi.
“Chiedo un ragazzo che stia con me… e che non mi crei problemi quando non è con me…”
Si lasciò abbracciare dalla
sua crocerossina del giorno che, per quanto ignorasse la sua reale
condizione, voleva farla sorridere, voleva farle pensare positivo,
voleva trasmetterle tutto il suo calore di amica.
“Claire, non fare
così…” la pregò, anche lei sull’orlo
del pianto “Dovresti parlarci… So che ora come ora avresti
solo voglia di prenderlo a pugni e di non vederlo mai più,
però è l’unico modo per sapere se vale la
pena…continuare…”
Con il mento appoggiato sulla sua
spalla, l’altra lasciò scendere alcuni fini rivoli salati
e replicò debolmente: “Devo parlargli di una cosa
così grave quando appena ieri sera si è quasi fracassato
il cranio… Quello stupido…”
“Il momento giusto
verrà fuori da sé, ok?” la rassicurò la
vocalist, accarezzandole affettuosamente la schiena “Stagli
vicino, prenditi il tuo tempo e aspetta che anche lui sia
pronto…”
“E se… se alla fine…?”
La voce le tremò e Frankie si staccò dall’abbraccio per guardarla dritto negli occhi, seria.
“Non fasciarti la testa prima
di rompertela” affermò con fermezza “Se parti con
questo spirito, vuol dire che hai già preso una decisione.”
“No! Dio, no!” balbettò Clarissa di rimando spalancando gli occhi, quasi scandalizzata.
“E allora non buttarti subito nello sconforto! Ok?”
La ragazza annuì, le mani unite che le coprivano la faccia stanca dagli occhi in giù.
“E’ una cosa importante
e va fatta in due. Tu sei intelligente e anche Danny lo è,
nonostante… possa non sembrarlo…” ironizzò
l’altra con un sorriso che la contagiò per qualche istante.
Ripeterono gli stessi discorsi con
parole diverse per tutta la sera, o meglio, Clarissa se ne restò
seduta sul divano ad ascoltare i consigli di Frankie e pregò con
tutta se stessa di riuscire a seguirli e di non farsi vincere dalle sue
stesse paure, dalla rabbia o dall’istintiva, stupida voglia di
vendicarsi del suo fidanzato, il guastafeste che ora stava pagando le
conseguenze della sua notte brava in modo più che soddisfacente.
Quando lo dirai a Barb, stai pur certa che ne resterà delusa.
Lui voleva solo divertirsi come al solito e poi tornare a casa, nient’altro…
Potevi dargli
retta e partire da sola. A quest’ora saresti arrivata e avresti
fatto tutti contenti. Ma tu ti saresti sentita una merda per tutto il
week end.
Cosa starà facendo adesso? Penserà che sono una stronza pazzoide che se ne frega di lui…
È stata lei a rovinare tutto. Quella puttana.
Non ho voglia di vederlo adesso, finirei solo per insultarlo…
Giuro che quando torna a casa lo tengo a letto per una settimana intera, così starà lontano dai guai…
Non ne poteva più di quei
pensieri vorticanti in mille direzioni nella sua testa, ma allo stesso
tempo non riusciva farne a meno: interloquire con se stessa non era
produttivo come esternare le proprie sensazioni con un amico, ma era
esattamente quello il punto: Clarissa dava ragione a Clarissa, sia che
dicesse X o Y.
L’amico di turno
l’avrebbe contraddetta, le avrebbe proposto delle alternative,
l’avrebbe sicuramente anche incoraggiata, ma mai quanto lei
riusciva a farlo con se stessa.
Quando Frankie se ne andò
erano quasi le due di notte. Avrebbero continuato a parlare ancora per
ore, ma il cellulare della mora aveva squillato.
Dougie aveva chiamato la sua ragazza, chiedendole se per caso fosse riuscita a convincere Clarissa a uscire.
“Vi state dando alla pazza
gioia, è per questo che non sei ancora a casa?!” aveva
azzardato con una risatina, ma lei gli aveva risposto negativamente per
poi riassumergli brevemente la loro serata tra donne; il bassista si
era segretamente tranquillizzato all’idea che la sua
preziosissima fidanzata fosse rimasta tra quattro mura e che non fosse
uscita con l’amica, senza la sua custodia, senza neanche quella
di Jones, così aveva dato la buonanotte a entrambe.
“Il tuo amico Poynter
è maniacalmente geloso e non riesce a nasconderlo neanche per
telefono…” era stato il commento della cantante.
Una volta da sola in casa, Clarissa
rifletté sul da farsi e concluse che aveva un sonno tremendo,
voleva assolutamente riposare e farsi trovare sveglia al ritorno di
Danny, che sarebbe rientrato in mattinata.
Prima di coricarsi afferrò
la cornetta del telefono e compose il numero di casa di Barbara in un
impeto d’incoscienza.
Sapeva che avrebbe risposto con la voce piena di sonno, sapeva che l’avrebbe spaventata a morte.
Ma le doveva quella telefonata. Inoltre, voleva essere sgombra da altri pensieri per il ritorno del suo ragazzo.
“… Adesso mi spiego un paio di cose, sì… “
“E’ andata così…”
“E tu sei ancora un po’ sconvolta, ti sento dalla voce…”
“Non sono sconvolta, sono incazzata, Barb!”
“Ssshhh, non dire certe cose,
sai benissimo di essere preoccupata per lui adesso, di certo non lo
vorresti con la testa rotta!”
“No, ma… Ma santo Dio, era tutto pronto! Non ci vediamo da un anno e…”
“Non credere che non ci abbia pensato anch’io!”
“E allora vedi che anche tu vorresti tanto che non avesse fatto una stronzata simile?”
“Sì. Ma se avessi
avuto la sua età, ok, forse non mi sarei procurata un trauma
cranico, ma una sbronza sì! Perché sarei stata una
normalissima ragazza un po’ brilla e più che tranquilla
all’idea di partire con calma il giorno dopo! È stato
anche sfortunato, Clarissa, le circostanze sono state praticamente
ingestibili!”
“Come se lui fosse la povera vittima!”
“E’ stato anche una vittima!”
“Perché lo difendi?”
“E perché tu vuoi dargli contro a tutti i costi?”
Il tono esasperato di Clarissa divenne rassegnato di fronte ai toni diplomatici e irrimediabilmente giusti della sua matrigna.
“Ha fatto qualcosa di
stupido, come spesso capita a chiunque…” riprese la donna
con la sua voce bassa e calma.
Dall’altro capo del filo, la
figlia sospirò: “… Ok. Ma ammetti che adesso
è anche per colpa sua se non sono da te!”
“Certo, è innegabile.
E dato che si trattava del mio compleanno, sarò io stessa a
dargli una tirata di orecchie quando capiterà l’occasione.
Nel frattempo, pensaci tu per me… ma non farlo sentire come
l’elefante che è entrato in cristalleria e ha distrutto
tutto…”
“Mi ci vorrà una buona dose di tolleranza per non strozzarlo…”
“E la troverai. È il tuo fidanzato e siete innamorati pazzi l’uno dell’altra…”
Arrossì sentendo quella frase: erano innamorati e si vedeva. La cosa la lusingava.
Ma era difficile godere a pieno di quell’affermazione in quel contesto spiacevole.
“Va bene…”
concluse infine la ragazza “Gli parlerò. Sarò
buona, sarò calma…”
“Brava. Mi dirai com’è andata quando avrete risolto, se vorrai. Va bene, tesoro?”
“Sì, d’accordo…”
“E basta con quel muso
lungo… Ci scommetto il catering della mia festa che hai il
broncio in questo momento…”
Beccata in pieno. Clarissa sorrise divertita.
“Ecco, adesso non ce l’hai più…” le sorrise Barbara sentendola ridacchiare.
“Prometto di venirti a trovare appena tutto sarà sistemato qui, ok? Voglio darti il regalo di persona.”
“Va bene, sai che io ti
aspetto e che non ho nessuna fretta! Tu chiamami se hai bisogno di
qualcosa, tesoro mio, va bene? Non tenerti tutto dentro…”
“No, tranquilla…”
Si salutarono serenamente e Clarissa si addormentò con facilità, rilassata sotto le lenzuola.
Non fece nessun sogno. Semplicemente dormì, e con lei anche il suo cervello.
~~~
Erano ore che tirava fuori la stessa scusa. Harry non voleva crederci, era sbigottito.
“Non hai nient’altro da dire?”
Cassie fece spallucce con aria colpevole e borbottò confusamente: “Te l’ho detto, mi spiace…”
“Ma…”
Era sempre stato abituato a trattare le ragazze con il massimo riguardo.
Ma anche a parlare con franchezza.
“… Cazzo, pianti un
casino dell’altro mondo, scappi via come una ladra, ti ritrovo a
casa mia e tutto quello che sento è ‘Mi
dispiace’!”
“Mi ero spaventata, Harry!” fu la giustificazione che lo fece innervosire ancora di più.
“Cassie! Ti ho lasciata da
sola per cinque minuti! Sono andato a fumare! E ti ho ritrovata a fare
la… la zoccola con un mio amico!” esclamò ad alta
voce, scandendo bene le parole, così forse le avrebbe
chiarificato meglio quanto fosse incazzato in quel momento.
Non riuscì a sentirsi in
colpa per averla insultata, non mentre stava constatando con squallore
quanto lei fosse passiva ed indifferente rispetto a tutto ciò
che aveva causato.
“Anche io avevo
bevuto…” gli spiegò in tono risentito “Ma
almeno io non ho provocato danni, né a me stessa, né agli
altri! Ho fatto una stupidaggine, va bene, c’è bisogno di
crocefiggermi per questo? È morto qualcuno?”
“Scusa tanto, sai!” la
schernì amaramente il batterista “Non è successo
niente, è vero! Ci siamo solo picchiati come due perfetti idioti
e a quest’ora, se fosse dipeso da te, sarei ancora lì in
discoteca, sul pavimento! Scusa se mi sono permesso di farti notare che
sei una stronza!”
Cassie lo fulminò con
un’occhiata indignata e ribadì: “Ti ricordo che se
sono scappata è stato solo per il casino che hai combinato tu!
Avresti potuto semplicemente dire a me o a Danny di stare al proprio
posto e invece hai voluto fare lo splendido! Me ne sono andata per quel
motivo! E sono stata tutto il tempo qui ad aspettarti!”
“Ah, e così spunta
fuori che dovevo tenerti a bada come i bambini dell’asilo?! E
comunque grazie per aver tenuto il cellulare spento per tutto il tempo,
amore mio, sei un angelo!”
“Avevo la batteria scarica!”
“Ma pensa che sfortuna!”
Considerò seriamente
l’idea di sbatterla fuori casa, non era possibile che volesse
avere ragione quando invece era nel torto più evidente! Dopo
aver parlato il labbro li faceva male e il dolore non faceva altro che
renderlo ancora più irascibile; una voce in un angolo della sua
coscienza tentava di imporgli la calma, di non fargli alzare la voce in
presenza di una ragazza colpevole solo di essere ostinatamente stupida,
ma lui non voleva ascoltarla. Voleva solo smaltire la rabbia in qualche
modo.
Prima si era incazzato con Danny.
Poi subito dopo con Cassie.
Infine, ci si era messo anche il labbro ferito a farlo stare ancora peggio.
Per non parlare della scenata di
Clarissa, quella che avrebbe voluto fermare ma forse anche sostenere,
perché poteva comprendere come si fosse sentita: sola, senza un
sostegno, nei casini fino al collo.
Solo che a lui sarebbero bastati
alcuni punti e degli antidolorifici per guarire. La sua amica invece
avrebbe avuto bisogno di una buona dose di convincenti spiegazioni da
parte del suo ragazzo. Chissà se lo avrebbe ascoltato o mandato
a quel paese. Non si sarebbe stupito della seconda opzione, e di questa
ipotesi si sentiva in parte responsabile, perché se, oltre a
Dan, anche lui non avesse bevuto troppo… forse le cose sarebbero
andate in un altro modo.
“Ascolta, Cas…”
sospirò, esasperato “Io ho bisogno di… starti
lontano per un po’. Non voglio incazzarmi più del dovuto.
Lasciami solo, ok?”
La ragazza si strinse nelle spalle e chiese titubante: “Vuoi che… me ne vada?”
“Sì, brava. Voglio che tu te ne vada, adesso.”
“E… pensi che potremmo sentirci qualche volta?”
“Cassie, ho bisogno di pensare, senza pressioni, chiaro?”
“Ok, ok. allora… prenditi pure tutto il tempo che vuoi, d’accordo. Ciao, Harry…”
“Ciao…”
“Mi dispiace davvero tanto…”
“Me lo hai già detto. Ciao…”
Attese il suono della porta che si
era chiusa alle sue spalle e sospirò per l’ennesima volta,
stanco morto nel fisico e nella mente.
Non avrebbe voluto trattarla così, ma non aveva avuto altra scelta.
Se ne era lavata le mani, di lui,
del suo gesto malizioso e stupido, delle conseguenze che avrebbe dovuto
affrontare insieme a lui.
Scosse la testa, scoraggiato, e si
ripromise di chiamare al più presto Clarissa per sentire se
almeno lei stava meglio di lui, cosa di cui però dubitava.
~~~
“Sei sveglio? Per che ora arrivi?”
Forse sarebbe andata a prenderlo
lei stessa se non le avessero detto che ci avrebbe pensato
un’autoambulanza a riaccompagnare Danny a casa. Gli avrebbe
tenuto il broncio per tutto il tragitto, ma almeno lui avrebbe
apprezzato la cortesia. Forse.
La risposta al suo SMS arrivò quasi subito.
“Al massimo un’ora… Tu sei a casa?”
“Ti aspetto qui.”
Apatica e fredda come i suoi
messaggi, si preparò dopo aver fatto colazione: una tuta in
velluto scuro sostituì il pigiama, ed una severa coda di cavallo
le imprigionò i capelli, esaltando i suoi grandi occhi che si
stavano preparando a rimanere indifferente davanti a qualsiasi cosa.
Quando il campanello suonò,
andò ad aprire e vide una volontaria, una ragazza più o
meno della sua età dietro a Danny, seduto su una sedia a
rotelle, più per prassi che per necessità.
“Buongiorno” la salutò con un caldo sorriso “Sono venuta a riportarle il convalescente…”
Clarissa ricambiò la sua
allegria con un’occhiata di tiepida simpatia e le disse:
“Mille grazie del passaggio…”
“Ma le pare… Per
l’ambulanza non si preoccupi: ci abbiamo pensato noi, nessun
disturbo!” la informò la giovane mentre Danny si alzava.
“Come, prego?”
“Abbiamo fatto una colletta
tra colleghi e… insomma, l’abbiamo fatto
volentieri!” confessò l’altra, lasciandola a bocca
aperta.
“Hanno voluto pagarmi lo
strappo fino a casa a tutti i costi, ho dovuto pregarli per metterci
una sterlina di tasca mia!” intervenne il chitarrista con una
risata.
“Ah!” si ritrovò ad esclamare la fidanzata, sbigottita “Allora… grazie due volte!”
“Si figuri! Buona giornata! E grazie degli autografi, Danny!”
“Grazie a voi, saluta gli altri!”
Clarissa assisté muta a quei
saluti allegri e informali mentre guardava la volontaria tornare verso
l’autoambulanza con la sedia a rotelle.
Danny appoggiò il
portafogli, il cellulare e le scartoffie mediche sul mobile
dell’ingresso per poi voltarsi verso di lei. Accennò un
sorriso forzato, non ricambiato.
“Alcuni di loro mi hanno
riconosciuto e… niente, abbiamo scambiato due chiacchiere
durante il loro turno di notte, io… non riuscivo a
dormire…” le spiegò tenendo gli occhi bassi.
Lo vedeva estremamente stanco,
aveva gli occhi cerchiati e il suo colorito non era dei migliori; la
sua camicia era tutta stropicciata e fuori dai jeans, macchiati di un
cocktail sconosciuto sulle cosce; i capelli si erano afflosciati e ora
gli ricadevano sulla fronte, scomposti e appiccicaticci a causa del gel.
Era uno straccio.
“Dovresti riposare adesso” gli consigliò in tono neutrale, le braccia incrociate sul petto.
Il chitarrista annuì, incerto, e puntò svogliatamente un dito verso le scale.
“Vado… a farmi una doccia…”
Lei annuì e fece per allontanarsi da lui e andare verso il salotto.
Lui fu più veloce: appena gli voltò le spalle, la raggiunse e l’abbracciò da dietro.
La sentì irrigidirsi
all’istante ma tentò lo stesso di non lasciarla andare, di
vincere la sua resistenza e la propria vergogna.
“Scusami. Mi dispiace, sul serio…” le sussurrò pianissimo con la bocca appoggiata al suo orecchio.
La ragazza trattené l’impulso di voltarsi e dargli un ceffone.
Attese qualche istante prima di reagire.
Percepì la sua stretta debole ma insistente sulla sua vita e gli sfiorò le mani, poggiandovi sopra le proprie.
Il suo alito puzzava ancora di alcool e i suoi capelli di fumo, di sudore…
Scorse un piccolo taglietto rosso sulla nocca del medio destro.
Forse se lo era procurato picchiandosi con Harry.
Deglutì con forza e non gli
mostrò i suoi occhi lucidi mentre rispondeva con fare
rassicurante: “Parliamone più tardi, quando ti sentirai
meglio… Rilassati un po’ ora…”
“… Ok…”
La lasciò andare, non senza
esitazioni, e sparì al piano superiore, così come lei si
eclissò nel salotto, in preda ai suoi pensieri tutt’altro
che piacevoli.
Non lo hai mai
chiamato, né sei mai andata a trovarlo. Sì, erano solo 24
ore, ma fatti un paio di domande e capirai perché ha stretto
amicizia coi volontari…
C’erano stati degli attimi in
cui avrebbe voluto massacrarlo di botte con le sue stesse mani ed in
quel momento un abnorme senso di colpa si stava mescolando al suo
risentimento, dando forma ad un macigno grosso come una casa che
gravava sulla sua testa, sul suo stomaco.
Per andare a
trovare Barb ci saranno altre occasioni, anche se magari non
sarà sempre il suo compleanno. Perché te la sei presa a
morte con lui?
Perché l’istinto aveva prevalso sulla ragione.
Perché i suoi programmi erano stati mandati all’aria da una sbronza.
Perché un’odiosa semi-sconosciuta lo aveva provocato.
Perché il suo tempismo tipicamente maschile faceva schifo.
Lo squillo del telefono la
distrasse bruscamente e la costrinse a rispondere per evitare un mal di
testa già sbocciato poco prima.
“Pronto?”
“Claire… Sono Harry, ciao…”
“Ehi, buongiorno… Sei a casa?”
“Sì, sì, sono tornato ieri sera tardi… Danny, è a casa anche lui?”
“Sì, adesso sta facendo la doccia, è tornato pochi minuti fa… Vuoi che ti faccia richiamare?”
“Veramente volevo chiederti se hai due minuti, volevo parlare con te…”
Si sistemò alla meglio sul divano per ascoltarlo a dovere e lo esortò: “Ti ascolto, dimmi…”
“Volevo solo spiegarti la mia
versione dei fatti, niente di più… Ti ho vista sconvolta
al pronto soccorso e mi sono sentito un perfetto stronzo, perché
è stata anche colpa mia se è successo tutto questo
casino…”
Clarissa sorrise intenerita: “Non preoccuparti per me… Sto già meglio…”
“Ma è giusto che io ti
spieghi, solo per farti capire chi ha fatto cosa… Tom e Doug
hanno omesso alcuni particolari quando ti hanno riassunto la cosa,
forse perché pensavano che a malapena avresti sopportato il
fatto di sapere che Cassie ci aveva provato con Dan…”
“Che cosa mi sono persa…?”
“Hai notato che al pronto soccorso lei non c’era, no?”
“In effetti… l’ho notato, sì…”
“Ebbene, sappi che se
l’era data a gambe durante la confusione generale. Ha preso ed
è scappata mentre io e Dan… insomma, ha pensato bene di
togliersi d’impaccio per non doversi assumere le sue
responsabilità!”
“Cosa?!” esclamò la ragazza incredula.
“Una carognata bella e buona,
sì” confermò il batterista con disinvoltura
“Ha tolto le tende dal locale, ha spento il telefonino e mi ha
aspettato a casa. Casa mia. Quando l’ho vista… ti
risparmio le parole che sono volate!”
“Avete litigato?”
“Tu cosa avresti fatto al mio posto?”
“… Harry, ma che
figlia di una…” Clarissa si tappò al bocca prima di
completare la frase, furiosa.
“La penso come te. Ma vorrei
anche essere stato meno drasitco… le ho detto di andarsene, di
lasciarmi solo per un po’. Ho la testa che mi scoppia e ho
bisogno di un po’ di tempo per riflettere su questa
cosa…”
“Che bastarda… Ti ha lasciato nella merda…”
“Sì, e proprio per
questo voglio andarci con i piedi di piombo! Si è dimostrata
inaffidabile, furba come una volpe! Mi ha detto che se n’era
andata perché era troppo ubriaca e spaventata per restare
lì, pensa te… E chi se lo aspettava… Ad averlo
saputo prima, di certo non avrei perso tempo con lei…”
Dall’altra parte della
cornetta, l’amica sospirò: “Adesso posso dirti che
non mi è mai piaciuta? In qualche modo sospettavo che prima o
poi avrebbe combinato qualche cazzata, anche se quel che ha fatto va
oltre ogni aspettativa, cazzo! Ma… tu come stai?”
“Non lo so, ti
dirò… Mi sento meglio fisicamente, ma… dentro sto
una merda” ammise il ragazzo mestamente “Cassie ha un sacco
di difetti, ma non è sempre così… e io avrei
voluto essere meno duro ieri sera…”
“Harry, non avresti risolto niente nel non farle notare nulla o nel perdonarle subito ogni cosa!”
“Sì, è
che… insomma, non è che non le voglio bene e che non mi
pesa fare discorsi del genere con lei, accusarla di certe
cose…”
“Se l’è meritato! D’ora in poi starà più attenta! Ma tu… la rivuoi con te?”
“E’ una bella domanda…” rispose il batterista, meditabondo “Ci devo pensare…”
“Non voglio influenzarti… ma stai attento. Molto attento,ok?” l’avvertì Clarissa.
Lo sentì sorridere:
“Stai tranquilla, starò più che attento, voglio
prendermela con calma e decidere cos’è meglio per
me… Piuttosto, tu pensa a curare la testa di quell’altro
poveraccio… e non odiarlo, se puoi…”
La ragazza chiuse gli occhi e
ribatté rassegnata: “Certo che no… Chi è
convalescente va assistito, non odiato…”
“E’ anche il tuo ragazzo, forse dovresti amarlo…”
“Bé, adesso lo amo un po’ meno, se posso permettermi…”
“E’ pentito, Claire, lo
sai anche senza che te lo dica io. Ed è un bravo ragazzo,
abbiamo solo fatto un’immensa stronzata e ci è andata
proprio male. Fossi in te, proverei a dialogarci e a
chiarire…”
“Sì, lo farò di
sicuro, è che… non mi va giù questa cosa…
Era tutto pronto e ora invece… si resta a casa. Ci sono rimasta
male, tutto qui!”
“Posso fare qualcosa? Mi sento in parte responsabile!” si propose l’amico.
“Non preoccuparti, passerà anche questa…”
“Dico davvero, Clarissa, non fare complimenti, io… “ insisté l’altro.
“Harry, no, no,
tranquillo!” lo interruppe la ragazza, comprensiva “Mi
riterrò più che ripagata se la prossima volta che uscite
tutti insieme resterete sobri… Davvero…”
“E va bene, sarà
fatto… E’ dura prometterti certe cose, ma è giusto
che sia così!” scherzò Harry, facendola ridere un
po’.
Al momento dei saluti si
scambiarono numerose raccomandazioni: Harry la pregò di fare la
pace con Danny, Clarissa gli consigliò di prendere le dovute
cautele con Cassie.
Quando ormai la conversazione era
finita, notò che l’appartamento era silenzioso, non si
sentiva più scorrere neanche l’acqua dal bagno: Danny
doveva essere andato a dormire.
Si alzò dal sofà per
andare a controllare le ricette mediche lasciate all’entrata e
nel frattempo notò un SMS sul proprio cellulare…
“Salut, Clarissa! Sei
già arrivata? Volevo chiederti di spedirmi una cartolina se ne
hai voglia! Non vedo l’ora di vedere le foto di Dublino! Bacioni
– Daniel”
Sorrise tristemente.
Povero Daniel: non avrebbe ricevuto né la cartolina, né le foto. E sì che gliele aveva promesse.
Non gli rispose per mancanza di
voglia, optò per una chiamata che però avrebbe fatto
più tardi, magari mentre era fuori casa, a comprare gli
antidolorifici per Danny.
***
Il titolo di questo capitolo è stato estrapolato da "Not alone" dei Mc. No lucro!
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Capitolo 12 *** It cheers you up when you feed it, but everyone needs to eat ***
clarissa
Pensavate che non
avrei più aggiornato, vero?
Sono contenta di dovervi contraddire, anzi, mi scuso con voi per avervi
fatto aspettare così tanto: il mio pc è momentaneamente
"all'ospedale", mi devo arrangiare con quello di mia sorella, 30 volte
più lento, anche per quanto riguarda i programmi per
l'impostazione dell'HTML!
Rimedio con un capitolone farcito di ansia e torture psicologiche e,
facendo una piccola e veloce statistica... posso dirvi che al momento
clou mancano circa 2 capitoli, o uno e mezzo, ancora devo decidere!
Tenete duro, dài!!!!!!
Per adesso vi auguro buona lettura... Non mi abbandonate, vi prego :D!
Ciry
***
Dato
che le sue ferie erano diventate praticamente forzate, ne
approfittò per
recuperare quel poco sonno che la levataccia mattutina le aveva tolto:
si
appisolò sul divano per un paio d’ore senza mai cadere in
un sonno profondo, e
al suo risveglio notò dall’immobilità aleggiante
nell’appartamento che Danny
era ancora a letto. Si decise ad andare a vedere come stava…
Scivolò
silenziosamente attraverso la porta socchiusa e non riuscì a
reprimere un lieve
sorriso.
Dormiva
composto, a pancia in su, con la schiena perfettamente aderente al
materasso e
la testa sostenuta da due cuscini, sembrava un anziano allettato ed in
anticipo
sui tempi.
Di
solito, più aveva sono e più si addormentava in
improbabili posizioni degni di
un trapezista, tanto che più di una volta lei lo aveva
rimbeccato perché si
raggomitolava nelle lenzuola, lasciandola senza uno straccio di
coperta, o per
via di qualche gomitata involontaria nel cuore della notte, durante un
acrobatico cambio di posizione.
“Danny…”
lo chiamò piano con una mano appoggiata sul suo petto. Non vi fu
risposta.
“Dan…?”
ripeté, scuotendogli leggermente il torace. Non sentì
nessuna replica.
Era
assolutamente immobile, praticamente sordo e cieco ad ogni richiamo.
Sembrava
quasi che…
“Danny…
Danny…”. Cominciò a invocare il suo nome a voce
più alta, a prenderlo a
schiaffetti sul viso. Dopo pochi secondi lo vide svegliarsi,
frastornato.
Balbettò
qualcosa d’incomprensibile e Clarissa smise di schiaffeggiarlo,
sentendosi
immediatamente sollevata; il cuore recuperò i suoi battiti
regolari.
“Che…
che c’è?” bofonchiò il ragazzo, confuso.
“…
Non mi sentivi!” esclamò lei, contenendo il suo spavento.
Il
chitarrista sbuffò in un accenno di risata e replicò
strusciandosi le mani
sugli occhi: “Scusami, sono… mi sento
rincoglionito…”
La
sua ragazza ignorò i suoi sorrisi e continuò: “Io
sto uscendo… Vado in farmacia
a comprarti gli antidolorifici, ok? Non ci metterò
molto…”
“Va
bene…”
“Non
alzarti se proprio non è necessario, ok?”
“Ma
la testa non mi fa più così male…”
“Aspetta
ancora un po’, Dan. Riposati e dopo pranzo ne riparliamo,
d’accordo?”
“…Ok,
hai ragione…”
“E
togli un cuscino, o diventerai gobbo…” sospirò
infine Clarissa, tirando via
delicatamente uno dei due guanciali da sotto la sua testa. Danny non
protestò e
si riadagiò a letto mantenendo un silenzioso timore nei suoi
confronti.
La
osservò riporre il cuscino nell’armadio di fronte al loro
letto, prendere un
paio di jeans e una giacca e sparire nel bagno senza più
degnarlo di uno
sguardo.
Alzò
gli occhi verso il soffitto e sospirò preoccupato.
Giuro che se ci
va bene anche stavolta non farò più il coglione, lo
giuro, lo giuro, ma ti
prego, fa che non mi mandi a fare in culo, ti prego…
Si
sentì in imbarazzo con se stesso a causa di quella specie di
preghiera rivolta
a chissà chi, probabilmente ad un Dio che non aveva mai preso
troppo in
considerazione nella sua vita.
Aveva
bisogno di lei, voleva le sue cure, le sue premure, ma non così.
Era
insofferente, quasi sembrava un robot.
Ed
era colpa sua, sì, lo sapeva molto bene. L’aveva ferita,
si era reso ridicolo
ai suoi occhi.
Non
era mai stata un tipo da scenate o da decisioni impulsive e drastiche:
non
l’aveva mai sentita urlargli addosso, né l’aveva mai
minacciato di lasciarlo,
di tornarsene a casa propria.
Ma
era anche vero che quello che stavano affrontando era il loro primo
vero
periodo nero, il loro primo momento post- litigio.
Clarissa
non parlava. Faceva quel che doveva fare, ma senza alcuna energia,
senza
sorrisi, senza passione. Niente. Se ne stava in silenzio e questo gli
faceva
paura, perché erano già passate diverse ore e ancora non
era riuscito a farle
tornare il sorriso, a ristabilire la pace, neanche a parlare con lei.
Avrebbe
fatto qualunque cosa per rimediare, però sentiva che doveva
essere lei a
permetterglielo; in quel momento, qualsiasi cosa avesse fatto per
sistemare la
faccenda avrebbe solo peggiorato la loro situazione, sarebbe risultata
inopportuna.
Detestava
avere le mani legate, ma non era nella posizione di poter scegliere. Si
limitò
a fissare il soffitto con rassegnazione ed il mal di testa tornò
a farsi
sentire…
“Io
vado…” gli annunciò Clarissa pochi minuti
più tardi, pronta per uscire “Hai
bisogno di qualcos’altro?”
Danny
fece per scuotere il capo, ma poi azzardò una richiesta
avventata… :
“Sigarette?”
“Credo
che tu possa farne a meno per una settimana… Ma se
insisti…” rispose lei con
fare laconico, incrociando le braccia sul petto.
Il
ragazzo si schiarì la voce per poi opporsi con aria pentita:
“No, è vero. Non
comprarle, no, posso anche stare senza per qualche giorno…”
“Ok,
allora… vado…”
“…
Ok…”
Scomparse
dalla sua vista dopo quel saluto scialbo, se quello poteva considerarsi
un
saluto.
Si
passò una mano sulla fronte e gonfiò il petto per
prepararsi ad un grande,
deluso sospiro…
“Ho
dimenticato…”
Se
la ritrovò di nuovo davanti, le mani impegnate a cercare
qualcosa nella borsa.
“…
Gli spicci. Sono rimasta senza” lo informò vedendolo
sbalordito.
Aprì
il cassetto del suo comodino e ne tirò fuori una piccola scatola
contenente un
sacco di monete, sempre utili nei casi di emergenza; ne prese una
manciata, li
mise nel portafogli e restò accucciata accanto al letto,
rivolgendo lo sguardo
verso di lui. Uno sguardo dubbioso.
Il
chitarrista quasi si sentì in dovere di parlare.
“Sei…
sei ancora molto arrabbiata?” domandò timidamente.
La
ragazza si alzò e lo squadrò mentre faceva il giro del
letto per raggiungerlo.
“Un
po’…” gli rispose una volta seduta sul bordo,
accanto a lui.
Lui
mise la mano sulla sua e propose esitante: “… Vuoi che ne
parliamo?”
Clarissa
scosse impercettibilmente la testa e rispose: “Adesso no. Ho da
fare e ancora
non sono del tutto lucida. Ma grazie per esserti
preoccupato…”
Gli
sfiorò una guancia con tenerezza e gli diede un piccolo bacio in
fronte per poi
salutarlo.
Danny
le sorrise, sinceramente rincuorato, e ricambiò con un gesto
della mano.
Ci
aveva tanto sperato e alla fine era accaduto: uno spiraglio si era
aperto nella
corazza della sua fidanzata.
Avrebbe
dovuto fare molta attenzione da quel momento in poi, ma si sentiva
piuttosto
coraggioso.
Riconquistare
la sua fiducia. Faceva paura il solo pensiero.
Ma
quel bacio innocente era il suo portafortuna e non lo avrebbe sprecato.
Chiuse
gli occhi per dormire ancora un po’ e tentò di girarsi
lentamente su un fianco,
muovendo piano la testa; miracolosamente non ci nessuna dolorosa
conseguenza e
poté assopirsi in santa pace.
~~~
Dopo
aver ringraziato il farmacista, Clarissa uscì dal centro
commerciale con il
sacchetto degli antidolorifici in una mano e quello della spesa
nell’altra;
sistemò tutto nella sua piccola utilitaria e si mise a cercare
le chiavi
dell’auto nella borsa, ma al loro posto estrasse il cellulare che
stava
squillando; credendo che Danny la stesse chiamando, rispose velocemente
senza
neanche guardare lo schermo.
“Pronto?”
“Bonjour, Clarissa!”
Dopo
un istante di perplessità e stupore, si stampò una mano
in fronte, tornando con
la mente alla famosa chiamata che avrebbe dovuto fare a Daniel per
spiegargli
che non era a Dublino in quel momento.
“Daniel,
ciao!...” lo salutò nervosamente.
“Ciao!
Sento un po’ di confusione, sei occupata? Sei già immersa
nel verde irlandese?”
La
ragazza rivolse gli occhi al di là del finestrino, verso il
traffico tranquillo
della strada, e replicò con tranquilla disinvoltura,
sorprendendosi di se
stessa: “Sai, non sono più partita!”
Silenzio
dall’altra parte. Poi il ragazzo esclamò esterrefatto:
“Come, scusa?!”
“Esatto…
Sono sempre qui…” precisò l’altra, tentando
di mantenere un tono sereno.
“Ma…
avevi i biglietti!!! Cos’è successo?!” insistette il
francese, preoccupandosi.
“Sai,
Danny… Danny si è fatto male poco prima della partenza e
adesso deve stare a
casa…” spiegò Clarissa con imbarazzo;
fortunatamente attraverso il telefono il
suo collega non poteva vederla arrossire.
Daniel
ribadì con un’ombra di stizza nella voce: “Ma
è incredibile… Senti, mi sembra
da stupidi stare a parlare al telefono così quando siamo
entrambi a Watford!
Possiamo vederci e parlarne? Se ti va…”
La
ragazza esitò prima di rispondere e controllò l’ora
esatta sul suo orologio.
Appena le nove e quaranta. Era presto.
Danny
l’avrebbe aspettata per pranzo, di sicuro non si sarebbe
azzardato a fare
troppe domande su come mai non era tornata subito a casa dopo aver
fatto la
spesa.
Lei
non aveva granché da fare, se non rientrare entro un orario
decente, così da
avere più tempo per preparare il pranzo.
“Clarissa?
Ci sei ancora?” la richiamò il ragazzo.
Lei
si riscosse e balbettò in risposta: “Sì, sì,
scusami, stavo pensando a cosa
avevo da fare, ma… sono libera, ok, possiamo vederci! Dove sei
adesso?”
“Al
momento in biblioteca, esco tra cinque minuti… ci vediamo al
bistrot? È a due passi
da lì…”
“Al
bistrot? Non hai fatto colazione?”
“Indovinato…
Tu sì?”
“A
dir la verità… un po’ di fame ce
l’ho…”
“Allora
ti invito ufficialmente al bistrot per universitari di Watford! Che
appuntamento galante, très charmant!”
scherzò Daniel con una risatina, che la sua amica
ricambiò aggiungendo: “Va
bene, ma solo se offri tu, da bravo gentiluomo!”
“Certo,
per chi mi hai preso?! Devo però dire che tremo all’idea,
perché tu, a dispetto
del tuo fisico, mangi per tre!” la schernì lui, sempre
ridendo.
Clarissa
esclamò fingendosi offesa: “Voi francesi siete veramente
degli indelicati!
Fammi mettere in moto, ti raggiungo prima che tu abbia il coraggio di
darmi
anche della ritardataria!”
“D’accordo,
allora a tra poco! Permalosa!”
“Ciao,
scemo!”
Ridacchiò distrattamente mentre riponeva
il
telefono nella borsa e si allacciava la cintura.
E’ ancora meglio
che parlare con Anne, perché… lui è davvero
troppo… carino e divertente. Sì,
carino e divertente.
Era
contenta al pensiero di potersi distrarre un po’ e si ripromise
di godersi
quell’oretta che doveva venire, anche solo per non soccombere del
tutto sotto
il peso della tensione che aleggiava in casa.
~~~
Si
sistemò i capelli lisci
in un ordinato chignon, fissando arcigna lo schermo del suo computer
sistemato sul
suo tavolo da lavoro, come lei adorava definirlo.
Il capo le stava facendo
pressione attraverso un’altra e-mail e lei odiava la pressione,
odiava sentirla
premere sul suo cranio e farle scoppiare la testa.
Nonostante ciò non voleva
assolutamente mollare.
Aveva raccolto del
materiale, era a buon punto. Per il suo principale avrebbe potuto
semplicemente
chiuderla lì e consegnargli l’articolo, uno dei tanti,
ignorato in mezzo ai
tanti trafiletti di gossip, voci di corridoio, indiscrezioni scritte in
termini
maliziosi e civettuoli.
No.
Harry
le aveva davvero
aperto un mondo, quindi perché non prenderselo? Perché
non approfittarne?
Aveva ascoltato i pareri
di tanti, arrivando spesso a pagare o a registrare le conversazioni di
nascosto
con il suo lettore MP3: Danny e Clarissa, Clarissa e Danny, loro due
non erano
la coppia perfetta che tutti immaginavano.
C’era chi malignava su di
lei, così angelica a vedersi quanto arpia e bacchettona
estenuante nel privato.
Altri semplicemente non la
vedevano fatta per lui, il chitarrista dei McFly, il latin lover,
l’eterno
bello e impossibile.
All’inizio si trattava
solo di spulciare tra i pettegolezzi, unirli in un minestrone unico e
farli
pubblicare, giusto per fare un po’ di soldi sulla
curiosità stupida dei
lettori.
Poi la faccenda era
diventata personale.
Danny
era bello da star
male, era l’uomo dei suoi sogni.
Erotici.
La perfetta giovane rock
star, un ragazzo simpatico, alla mano, disinvolto con la sua sigaretta
tra le
dita e da spogliare con gli occhi.
Più Cassie lo guardava,
più si chiedeva cosa diamine ci facesse con una come Clarissa,
la più anonima
ragazza del mondo.
Scialba, priva di personalità, insopportabile nella
sua perfetta innocenza.
Come diavolo era
possibile?
Ma aveva dei difetti, sì,
decisamente.
Prima di tutto, era poco
attenta al suo uomo, decisamente distratta: l’aveva seguita a
debita distanza
negli ultimi tempi, sapeva che orari aveva al lavoro, che tipo di
persone
frequentava… e più volte l’aveva vista passeggiare
e chiacchierare
amichevolmente con quel ragazzetto che lavorava con lei in libreria.
Fare un tratto di strada
verso casa doveva sembrare molto romantico. Per Cassie certi episodi
erano come
una manna dal cielo.
Lei ci aveva provato in
tutti i modi ad accorciare i tempi, a rendere le cose più facili
e a fare colpo
su Danny, ma a quanto pareva lui era un irrecuperabile caso di uomo
fedele,
oppure era lei stessa a non essere stata ancora sufficientemente chiara
con
lui. Avrebbe presto risolto quell’inconveniente.
Ma una mossa sbagliata da
parte della fidanzata santarellina doveva pur avvenire per sferrare il
colpo
decisivo. Ed il suo intuito le diceva di aspettare e di avere fiducia,
perché
quel commesso dal’accento straniero sembrava molto interessato
alla biondina,
quasi deciso ad intrigarla.
Senza che lui lo sapesse,
era diventato un suo complice, avrebbe quasi voluto dargli un compenso,
fargli
trovare una banconota da cinquanta nella buca delle lettere senza alcun
preavviso o motivo.
Ma prima i risultati. Erano
quelli che Cassie voleva vedere.
Dopodiché avrebbe avuto il
suo scoop, il suo primo vero scoop.
Il capo le avrebbe offerto
un aumento, forse una promozione!
E lei avrebbe portato a
casa sia i soldi che Danny. Ne era più che certa.
Avrebbe fatto boom. Ma non
nella sua testa.
Nel giornale per il quale
scriveva.
Nella vita di Danny.
Nella vita di quella
povera sciacquetta.
Che comunque era molto
fotogenica.
~~~
Per reprimere
il desiderio
di fumare, Danny si era messo a svuotare il frigo con costante
lentezza: dopo
un budino al cioccolato era il turno di una grossa fetta di formaggio
fresco;
se la stava gustando in cucina, in piedi davanti ai fornelli mentre con
una
mano indagatrice si stava tastando il collo e la nuca per percepire
l’eventuale
presenza di bernoccoli.
Il campanello suonò
all’improvviso e lo fece sobbalzare sul posto per lo spavento
preso in mezzo al
silenzio della casa.
Andò ad aprire la porta in
fretta, credendo che Clarissa avesse dimenticato il proprio mazzo di
chiavi.
Il sottile sorriso che
aveva iniziato a tendere si ritirò quasi all’istante alla
vista di Cassie.
La salutò con un borbottio
ed un cenno del capo… “Cassie…” , facendole
capire che non era affatto contento
di vederla.
“So che sei
arrabbiatissimo con me…” esordì lei, l’aria
pentita di chi sapeva di aver
sbagliato “Ho appena finito di litigare con Harry, ho cercato di
spiegarmi, ma…
è evidente che lui non vuole sentire ragioni… Così
sono venuta da te speran-“
“Se vuoi, posso
tranquillamente dirti che hai fatto la cosa giusta e poi tornarmene in
casa,
così chiudo la questione in modo facile e veloce, come hai fatto
tu” la
interruppe bruscamente il chitarrista.
Cassie si morse il labbro
inferiore con aria sempre più colpevole.
Si aspettava una reazione
simile dopo la scenata di Harry, ma era decisa a rimediare. A modo suo.
“Danny, ti prego,
ascoltami almeno tu, è da quando è successo che sto da
cani, non riesco neanche
a guardarmi allo specchio e… mi sento una perfetta stronza, so
che non avrei
dovuto-“
“No che non avresti
dovuto, cazzo!” la aggredì Danny, innervosito “Se
non si regge l’alcol, allora
non si beve!”
Finì la frase e subito si
rese conto di quanto suonasse ridicola in bocca a lui, proprio a lui;
ebbe
voglia di mordersi la lingua e anche Cassie lo fissò basita per
qualche
istante, come se avesse pensato la stessa identica cosa.
Tornò alla carica dopo
pochi secondi, supplicandolo: “Fammi entrare e ti
spiegherò ogni cosa, Danny.
Davvero… Io vorrei che almeno tu mi parlassi… Harry
adesso è furioso con me,
non so che f-“
“Va bene, ok, entra” si
arrese infine il ragazzo, scostandosi svogliatamente dalla soglia di
casa per
farla passare “Ma solo pochi minuti!”.
“Quando
vi ho visti fare a
botte…all’inizio volevo intervenire e farvi smettere, ma
poi siete caduti per
terra, mi sono sentita spintonare da tutta la gente che stava
accorrendo e… poi
ti ho visto lì sul pavimento, mi sei sembrato mezzo morto
e… Dio, se penso a
quanto avevo bevuto… Non ragionavo, credimi!”
Danny
non poteva sapere
che Cassie gli stava mentendo, che in realtà era fuggita per
comodità.
Perciò le sembrò sincera.
La ascoltò con attenzione, anche se mantenne un’aria
scettica per tutta la
durata del suo discorso…
“Sono
scappata. Ho trovato
un taxi quasi per caso e sono corsa a casa di Harry, avevo le chiavi. E
lì mi
sono rintanata fino al suo rientro! Non sapevo cosa fare, chi chiamare,
avevo
la batteria del telefono scarica e avevo solo voglia di
vomitare… Non ho
pensato a voi, a Harry… Solo il mattino dopo, quando l’ho
rivisto, ho
ricollegato tutto e avrei voluto spaccarmi da sola la faccia! Sono
stata
un’idiota incosciente, l’ho lasciato solo mentre…
aveva bisogno di me…”
“Cassie, io resto del
parere che avresti dovuto rimanere a casa quella sera…”
l’ammonì lui, scuro in
volto.
La ragazza obiettò: “Ma
come potevo sapere che sarebbe finita così?! Tutti stavamo
bevendo, ma ce la
stavamo spassando senza fare del male a nessuno! Ti giuro che non so
cosa mi è
preso!!!”
“Non sai cosa ti è preso!”
fece eco l’altro, seccato.
“No, Danny, no!” affermò
lei con forza “Ho fatto delle cose che normalmente neanche mi
sognerei di
pensare! Ti ho messo in imbarazzo, ho fatto una figura da sgualdrina,
ho
praticamente umiliato Harry e ho causato tutto il resto! Non hai idea
di come
mi sento…”
“Io ho un tremendo mal di
testa, un week end andato a puttane e una settimana di anitodolorifici!
Harry
ha il labbro spaccato! Fai un po’ tu!!”
“Farei qualsiasi cosa per
tornare indietro e… starmene a casa, come dici tu. Sul serio,
Danny…” gli disse
la ragazza, intristita e con lo sguardo basso “Adesso voglio
chiedere scusa a
tutti, voglio poter rimediare, perché Harry è un ragazzo
speciale per me, non
voglio rovinare quello che c’è tra di noi… e poi ci
siete voialtri, come faccio
a guardarvi in faccia adesso? Vorrei poter far sì che voi vi
fidiate di nuovo
di me…”
Non che Danny
avesse mai
pensato di fidarsi di Cassie o di considerarla una grande amica, ma la
pietà
che provava nei suoi confronti, mista ad un briciolo di comprensione,
lo fece
riflettere.
“Anche
io e Harry abbiamo
di che chiedere scusa…” iniziò mestamente
“Abbiamo fatto una cazzata e adesso
ne paghiamo le conseguenze. Siamo più o meno nella stessa
barca…”
“Mio Dio, non dirmi che
Clarissa adesso sa che io ho… insomma, che ti ho
provocato?” avanzò Cassie
ansiosamente.
Il chitarrista annuì
gravemente, spiegandole che la sua ragazza aveva saputo tutta la storia
da Tom
e Dougie.
“So che da sobria non lo
avresti mai fatto, quindi… non farti troppe paranoie, anche
Claire lo ha
capito…”
“E’ così imbarazzante… Mi
vorrei sotterrare…”
“Harry non ha voluto darti
ascolto?”
“E come poteva? Era
sconvolto, ferito, stanco… Ha tutte le ragioni del mondo per non
volermi vedere
adesso! Lo chiamerò a breve comunque… Vorrei potergli
stare vicino e spiegarmi
anche con lui… Tu mi credi?”
Davanti agli occhi lucidi
di quella poveretta, Danny annuì, anche se senza troppa
convinzione.
Cassie si strinse
timidamente a lui, replicando: “Sono contenta di questo! Avevo
così tanto
bisogno di parlare, di sfogarmi, di spiegare tutto quanto…
Grazie, Danny,
grazie, non so come tu faccia a sopportarmi in questo
momento…”
Ed infatti la tollerava a
malapena, ma cos’altro avrebbe dovuto fare? Tirare un pugno anche
a lei,
sbatterle la porta in faccia? No, perché era una donna, e per di
più era una
donna stupida, ma pentita. Lo aveva involontariamente intrappolato e
non c’era
più scampo ormai, doveva sostenerla, incoraggiarla, consolarla.
“Dobbiamo tutti prenderci
un po’ di tempo per riflettere e per… rientrare nei
ranghi…” le spiegò, rigido
nella sua posizione seduta mentre Cassie lo abbracciava con trasporto
“Credo
che allora potremmo parlarne tutti insieme e chiarire, non è
successo niente di
irreparabile…”
L’altra si scostò per
guardarlo negli occhi da molto vicino e gli disse con aria
riconoscente:
“Adesso comincio a sentirmi meglio, sai? Temevo di non riuscire a
trovare
neanche un’anima disposta ad ascoltarmi…”
“Sì, bé… Tutti sbagliamo,
è umano…” farfugliò il chitarrista,
all’affannosa ricerca di qualche parola di
circostanza adatta a quel momento imbarazzante che avrebbe voluto far
passare
il più velocemente possibile.
Cassie tornò a stringerlo
a sé con più slancio e a lui non restò che
ricambiare l’abbraccio per non
sembrare maleducato o anche solo per non far sì che lei stessa
gli mettesse le
braccia intorno alla sua vita.
~~~
“Il suo
è stato un gesto
stupido…”
“C’è da dire che aveva
anche bevuto… Non era proprio in sé…”
“Ancora peggio allora, non
pensi? Al suo posto, io non sarei andato in giro ad ubriacarmi la sera
prima di
partire per un viaggio…”
“Dan, tu non conosci i
ragazzi, non hanno mai fatto chissà quali danni, neanche dopo
dieci birre…”
“C’è sempre una prima
volta, come hai potuto notare…”
Clarissa
abbassò gli occhi
sul suo tè alla pesca, quasi terminato e con alcune briciole di
biscotti sul
fondo della tazza; Daniel addentò con disinvoltura il suo
cornetto e aspettò
una sua replica che però non arrivò, con sua grande
soddisfazione. Dopo aver
ingoiato il boccone dolce continuò: “Mi dispiace di essere
stato tanto…
triviale. Ma ho tratto le mie conclusioni da quel che hai raccontato,
Claire.
Con questo non voglio giudicare Danny o i suoi amici! Voglio solo dire
che
hanno fatto una grossa stupidaggine e che lui avrebbe dovuto astenersi
dal bere
per primo. Sarebbe stato chiedere troppo?”
La ragazza scosse la testa
e tornò a guardarlo nel rispondergli imbarazzata:
“Lui… è fatto così… Vuole
divertirsi, divertirsi… e a volte si dimentica tutto il
resto…”
“Oh, andiamo!” si agitò il
ragazzo “Non si sarà dimenticato di te, voglio
sperare!”
Ignara dei doppi fini di
lui, Clarissa fece per dire qualcosa ma si bloccò subito,
assumendo invece
un’espressione interdetta ed improvvisamente risentita, ferita.
“… No!” replicò infine,
ricomponendosi e cercando di apparire sicura di sé.
Daniel fece spallucce,
annuì e ribatté: “Vogliamo dire che… non
sapeva a cosa stava andando incontro,
che non sapeva che bere alcool fa diventare alticcio chiunque, dopo
una, due,
dieci, cento birre?”
“Piantala di… di fare
insinuazioni!” l’accusò l’altra, infastidita
ma vacillante nella sua
convinzione.
“Clarissa, io sto
semplicemente facendomi delle domande!” si difese il ragazzo.
“Questi sono giudizi belli
e buoni! È per questo che ti sto dicendo di smetterla!”
“Va bene, va bene, e così
sia!” sbottò il francese.
“Bene!”
“Certo, non si può dire
che il tuo fidanzato non sia intoccabile… è un uomo
fortunato!”
Quella frecciatina
sarcastica la fece riflettere mentre Daniel si stava alzando per pagare
il
conto e andarsene. Gli andò dietro e appena fuori dal bistrot
disse: “Danny non
è intoccabile. Sono io che…”
Il ragazzo la fissò, in
attesa. “Che… cosa?” ripeté.
Clarissa si sistemò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio destro, guardò altrove
con aria ansiosa e rispose:
“Che… che a volte lo idealizzo. Lo sopravvaluto.”
Non lo vide arrivare
accanto a lei, ma sentì il suo braccio sulle spalle e la sua
voce gentile che
le diceva: “E’ normale, Claire. Sbagliare è umano.
Vieni, facciamo un giro, non
parliamone se non vuoi…”
Iniziando a camminare con
lui verso il centro, quasi protetta dalla sua stretta, si sentì
quasi sollevata
per aver finalmente detto la verità, a lui come a se stessa.
Nonostante questo, non
riuscì a non fare caso ad un senso di delusione che si stava
dilatando come una
macchia d’olio su una tovaglia, tra le fibre del cotone. Nella
sua fibra.
Come
aveva programmato,
tornò a casa per mezzogiorno meno un quarto, anche se un
po’ a malincuore,
perché avrebbe preferito restare tutto il pomeriggio con Daniel,
a parlare, a
ridere un po’, a farsi aprire gli occhi; si sentiva quasi
illuminata dalle sue
constatazioni e non riusciva a dargli torto, anche se le risultava
difficile
accettare quella che alla fine era la verità.
Come aveva scritto un
famoso poeta di cui non aveva voglia di ricordare il nome, si sentiva
più
saggia e più triste, infinitamente più triste. E tornare
a casa, con Danny che
l’aspettava… No, avrebbe voluto decisamente essere
altrove. Con Daniel. A
parlare di tutto e di niente.
Aprì
la porta con le mani
ingombrate dalle buste della spesa ed essendo sovrappensiero non
notò subito la
voce che si alternava a quella di Danny in salotto. Filò subito
in cucina, ma
ci pensò lui a richiamarla.
“Claire, vieni in salotto? C’è Cassie…”
Quel nome le
diede una
sorta di scossa elettrica alla schiena. Si irrigidì
all’istante per poi
camminare con passo deciso verso il salotto.
Cosa stava facendo quella
snobista sul suo divano accanto al suo ragazzo? Cosa voleva?
La guardò frastornata e
non seppe reagire davanti ai suoi occhi imploranti perdono.
“Ciao Clarissa…” azzardò
l’ospite indesiderata, alzandosi in piedi e andandole lentamente
incontro;
quasi automaticamente l’altra indietreggiò di un passo e
Danny intervenne
dicendo: “Cassie è venuta a chiederci scusa, è
arrivata mentre eri ancora fuori
e… mi ha spiegato un po’ di cose”.
“Non sai quanto mi ha
fatto bene venire qui e trovare una faccia amica che mi ha dato
ascolto,
Claire…” aggiunse la ragazza.
Clarissa per poco non
trasalì, tanto era scandalizzata.
“Avete parlato” constatò,
sulla difensiva. Cassie e Danny annuirono serenamente e lei
ribatté con fredda
tranquillità: “Perfetto. Il problema è
risolto”.
“Come, scusa…?” replicò
l’altra, confusa.
Danny provò ad opporsi:
“E’ venuta a scusarsi anche con te per-“
“Ragazzi!” li richiamò
all’ordine lei, decisa “Quella sera io non c’ero. Ho
avuto le risposte che
cercavo e tutte le spiegazioni del caso. Non facciamone un dramma
e…
chiudiamola qui. Francamente comincio a non poterne più”.
Il chitarrista fissò la
sua fidanzata sbalordito, cercò inutilmente il suo sguardo per
tentare di
capire come mai stesse parlando così. Cassie, in compenso,
annuì fin troppo
velocemente e commentò con un sorriso: “Stai facendo la
cosa giusta, Claire…
Grazie per aver capito, davvero…”.
Clarissa ricambiò con una
smorfia fintamente soddisfatta e la salutò frettolosamente con
la scusa di
dover preparare il pranzo; fu Danny ad accompagnarla alla porta.
“Grazie ancora di tutto,
Dan… Non lo dimenticherò!”
“Oh, figurati…”
“Adesso andrà tutto per il
meglio, ne sono certa… Se non ci fossi stato tu… con
Claire…”
“Adesso non esag-“
Lo abbracciò
all’improvviso, facendo finire parte dei capelli lunghi nella sua
bocca. Il
ragazzo sputacchiò via stordito le ciocche e strinse
tiepidamente il busto
della ragazza, che fortunatamente concluse il suo ennesimo attacco di
gratitudine nel giro pochi attimi per poi andarsene definitivamente.
Quando fece il suo
ingresso in cucina, trovò Clarissa concentrata su un pollo da
tagliare a pezzi.
“Vuoi una mano?” le
domandò.
Preceduta dal suono secco
delle forbici che spezzavano le ossa delle ali, la fidanzata lo
informò: “Le
tue medicine sono sul mobile dell’ingresso, nel sacchetto
piccolo”.
“Ah, ok, grazie…” ribatté
l’altro, vagamente spiazzato “Tu… stai bene? Ti vedo
un po’ scossa…”
“Sto benissimo. Mi
stupisce solo il fatto che tu inviti certa gente a casa. Ma
l’appartamento è
tuo…” insinuò lei senza neanche guardarlo,
bensì rimanendo con gli occhi fissi
sul pollo.
“Te l’ho detto, era venuta
per chiederci scusa e… mi ha spiegato com’è andata,
aveva bevuto anche lei e se
fosse stata sobria non avrebbe certo fatto niente di tutto quel-“
“Già” lo interruppe la
bionda, scattando nei suoi occhi con i propri, fredda e furiosa
“Ma lei non era
sobria. E neanche tu. E nemmeno Harry. Avevate bevuto. Non avevate
pensato ad
altro, evidentemente…”
“Claire… Ma perché non mi
fai fini-“
“Danny. Se tu mi fai
incazzare adesso più di quanto già non lo sia, va a
finire che il pranzo te lo
prepari da solo e che a me passa l’appetito. E io ho fame, va
bene?”
“… Ok, ma…”
“Per favore… Stai zitto…”
Cadde
il silenzio. Danny
si mise a sedere, sconvolto, e Clarissa tornò a spezzare il
pollo con le
forbici, facendovi forza sopra così tante volte che le vennero i
crampi alle
mani.
~~~
Visitando il
suo profilo
su Facebook quello stesso pomeriggio, smaltì svogliatamente le
decine di
messaggi privati e notifiche, pensando annoiata che avrebbe dovuto
connettersi
un po’ più spesso per non farsi crollare addosso quelle
montagne virtuali di
posta.
In mezzo al nuovo
materiale da visionare, trovò alcuni inviti ad improbabili feste
di vario tipo,
sicuramente spediti da gente che doveva fare pubblicità a locali
ed eventi; tra
questi ultimi, uno veniva da Daniel e riguardava l’ormai
celeberrimo locale da
lui nominato fino allo sfinimento. Ci cliccò sopra mentre
scuoteva la testa con
un sorriso: quasi sperava che se ne fosse dimenticato. Macché,
era deciso ad
andarci, con lei.
Si trattava di una festa
in grande stile: DJ, solo musica in linea con il tema prescelto, prima
bevuta
gratis per tutti, ambiente spazioso e super addobbato, promozioni per
gli
studenti e persino un mini-concorso per il costume più originale
della serata.
La ragazza
decise di
mandare un messaggio a Daniel.
Ciao Dan!
Ho
ricevuto il tuo
invito per andare ad una di quelle cavolo di feste in quel cavolo di
locale in
cui tu vorresti praticamente vivere :P!
Sono
quasi tentata
di cedere e dirti di sì, ma mi dici dove troviamo dei costumi
ottocenteschi???
Io ho un solo abito da cerimonia e non so se andrà bene,
l’ho usato ad un
matrimonio, fammi sapere!
Claire
Dopo
neanche cinque minuti il collega le aveva già risposto,
probabilmente dalla
libreria.
Bonjour
;)!
Non ci
sono problemi
per i costumi!!! Se mi dici di no solo per questo dovrò pensare
che ti sto
antipatico :P:P:P!
Io ho
trovato un
paio di bei completi da uomo in stile ottocentesco su Internet e ne ho
ordinato
uno, mi dovrebbe arrivare nel giro di cinque giorni, e considerando che
la
festa è tra dieci giorni… pas de problème! Per
quanto riguarda il tuo vestito,
secondo me puoi stare tranquilla: se non è dal taglio troppo
moderno puoi
mettere tranquillamente quello! Se vuoi ordinare un costume, invece,
contattami
e lo cerchiamo insieme!
Dany
Si
grattò pensierosa la testa, ponderando su come modificare il
proprio vestito da
damigella, quando Danny interruppe i suoi pensieri arrivando in camera.
Le si
sedette accanto, nel letto, ma senza sbirciare sullo schermo del pc.
“Che
stai facendo?” s’incuriosì.
“Niente,
mi aggiornavo su Facebook…” fu la risposta laconica.
“Ho
preso la prima pasticca…” la informò lui,
speranzoso di ricevere un po’ della
sua attenzione.
“Ricordati
che devi prenderne una ogni 12 ore e che l’altra pastiglia devi
prenderla solo
se il dolore dovesse aumentare…” l’avvertì
lei, voltandosi a guardarlo. Danny
ne fu contento, le sorrise e annuì.
“Mi
dispiace per prima…” osò, allungando una mano per
sfiorarle un braccio “Cassie
è piombata in casa senza avvertire. Mi ha riempito la testa di
scuse, voleva
sfogarsi e spiegare le sue ragioni…”
Clarissa
replicò con una smorfia indispettita: “Mi ha dato fastidio
vederla dopo quel
che ha fatto…”
“E’
passato, amore… Non c’è stato niente…”
“Lo
so… Lo so… Ad ogni modo, sarei stata meglio senza
vederla…”
“E
invece con me come la metti?”
La
domanda la spiazzò, ma lei non lo diede a vedere.
“Come
metto cosa?” chiese, facendo la gnorri.
“Non
sopporti neanche me?”chiese l’altro a bruciapelo.
Clarissa
sospirò, spense il computer e si sdraiò, stanca.
“Se
vuoi saperlo, sto provando a non essere incazzata con te…”
gli spiegò “Mi serve
del tempo…”
“E…io
posso fare qualcosa?”
La
ragazza deglutì nervosamente, distolse lo sguardo dal suo ed
incrociò le
braccia sul petto; non si ritrasse quando la mano di Danny finì
sul suo viso
teso.
“Se
ti lasci aiutare da me… possiamo provare ad uscirne indenni. Che
ne dici?” le
propose a bassa voce, scivolando più vicino a lei.
Clarissa
si girò su un fianco per guardarlo negli occhi e non disse
niente: lo baciò in
fronte e lo strinse a sé, le lacrime agli occhi di entrambi.
Danny
chiuse gli occhi e sorrise speranzoso nell’incavo del suo collo.
Clarissa
tirò su con il naso e colse il proprio riflesso nello specchio.
Era
disperata.
***
Per l'angolo della letteratura: l'autore
citato nel capitolo è... Samuel Coleridge :). Per maggiori
informazioni leggetevi "La ballata del vecchio marinaio"!
Il titolo del capitolo è preso direttamente dalla mcsong
"Corrupted". No scopo di lucro!
|
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Capitolo 13 *** You're pushing me out when I wanted in ***
claire
Ri-eccoci!
Più o meno puntuale, torno con un nuovo capitolo! Vi avverto, al
prossimo... BOOOM, scoppia tutto XD! Al prossimo capitolo saremo a
metà storia, manco io ci credo!!!
Queste sono le ultime righe a base di paranoia per Clarissa, dopodiché si passerà all'azione! State pronte/i!
Alla prossima!
Ciry
***
Una
settimana era praticamente volata; non le sembrava quasi vero.
Anne
era tornata dalla sua vacanza in Scozia, lei aveva cominciato a sistemare il
suo vestito a dovere per la festa con l’aiuto della collega e di sua madre, che
faceva la sarta, e Daniel la contattava sempre più spesso per prendere un
caffè, chiacchierare un po’, per piccole uscite, più che altro pomeridiane
amichevoli e spensierate che in quel periodo le ci volevano più che mai, dato
che Danny era da poco rientrato nella routine lavorativa e qualche volta si assentava per
delle ospitate televisive con il resto del gruppo.
“Dan
sta meglio adesso? Fa ancora male il bernoccolo?” domandò Anne in mattinata.
“Ha
finito il ciclo di antidolorifici, è praticamente rinato, fidati! Adesso è
tornato a girare peggio di una trottola…” le rispose distrattamente Clarissa.
“Posso
farti una domanda, anche se so che ti fa incazzare da morire parlare della
questione?” la interpellò ancora l’amica, che al suo ritorno aveva subito
saputo ogni cosa accaduta in sua assenza: Danny, la rissa, il viaggio
annullato, la crisi, Daniel.
La
bionda piazzò le mani sui fianchi, finse di mettere il muso e replicò: “Se ti
dicessi di no, ti arrabbieresti più di me… Cosa c’è?”
La
ragazza abbozzò un sorriso e chiese: “Siete ancora in crisi?”
“Crisi…
è una parola grossa…” rispose vagamente l’altra tentando di sostenere lo
sguardo della sua interlocutrice, che la conosceva fin troppo bene.
“Tu
non racconti mai niente al riguardo e lo sai che a me sta bene così, Claire…”
si spiegò Anne “Siamo amiche, tu chiami e io rispondo, e viceversa, altrimenti abbiamo
sempre detto che è bene che entrambe sbolliamo da sole la rabbia, la tristezza
e tutte le altre cazzate… E’ solo che ultimamente sei strana…”
“Strana?”
“Sì…
Sei… come assorta, non lo so, sei in un mondo tutto tuo, come se il tuo
cervello stesse sviluppando una paranoia o chissà cos’altro e tu neanche te ne
rendessi conto…”
Clarissa
sorrise divertita e ribatté: “Io mi sento bene, francamente! Non è che sei tu a
preoccuparti troppo solo perché in questi giorni mi sono sfogata anche con te?”
“Bè,
sì, anche, però…”
“Bella,
stai tranquilla” la interruppe la collega, andandole incontro per abbracciarla
affettuosamente “Se mi vedi così è semplicemente perché sto riflettendo, mi sto
prendendo un po’ di tempo per rielaborare tutto quel che è successo… e sia tu
che Daniel mi state dando una grossa mano…”
Confusa
dalla sua stretta, l’amica tentennò: “Ecco, a proposito di Daniel…”
“Ah,
te l’ho detto? Questo sabato andiamo alla festa!!!”
“Eh?”
“La
festa a tema, Anne!” esclamò Clarissa “Quel locale figo, nuovo…”
“Ah,
sì, sì, hai ragione, me lo avevi detto! Gesù, ma come vi concerete? Cos’è che
stai confabulando con mia madre?”
La
ragazza sciolse l’abbraccio per spiegare meglio all’amica l’idea del suo
costume…
“Io
sarò una dama dell’Ottocento! Con Cherisa abbiamo trovato un modo per non
modificare in maniera definitiva il vestito che ho usato per il matrimonio di
Tom ed è venuta fuori una bomba, te lo assicuro! Tua madre è un genio!”
“Mi
sto preoccupando…”
Clarissa
rise per poi continuare: “Dico davvero! Ha visto il colore rosa del modello
originale e ci ha abbinato qualche fascia dorata, attaccandola con il velcro… e
per il resto, ha cucito sul corpetto dei fiorellini e delle trine, anche quelle
dorate, ma basterà tagliare qualche filo e tutto tornerà come prima!”
Anne
storse la bocca e commentò: “Cherisa ti ha conciata come un Transformer
barocco! Lo sapevo, ha fatto quasi la stessa cosa anche con il mio vestito
della comunione!”
L’amica
scosse la testa ridacchiando e obiettò: “E’ stata bravissima, pensa che mi ha
persino detto dove procurarmi un sottogonna!”
“Metterai
anche un sottogonna?!”
“Certo,
nell’ottocento non usavano i vestiti fini come oggi!”
La
collega alzò gli occhi al cielo e replicò: “L'ho detto e lo ripeto: sembrerai un
Transformer barocco! E non voglio sapere come avrà il coraggio di combinarsi il
mangialumache…”
“Neanche
io ho ancora visto il suo costume, a dir la verità…”
“Ma
che peccato…”
“Anne,
oggi sei acido allo stato puro!” la rimbeccò l’amica ironicamente.
L’altra
si girò a guardarla, per niente rallegrata, e chiarì: “Mi sta sulle palle, ok?
È sulla buona strada per prendere un calcio nel culo!”
Clarissa sostituì il suo sorriso con un’aria perplessa e
fece per domandarle se qualcosa non andasse, ma la ragazza la bruciò sul tempo
dicendo: “Non parliamone, ok? Così sto meglio e mi passa…”
“Ok…”
asserì lei docilmente, tornando al lavoro.
“Ma…
Danny lo sa che vai a questa festa con Daniel?”
“Certo”
mentì disinvolta la collega, lo sguardo fisso su alcuni libri appena imbracciati.
“Forse
non è una buona idea per lui… esporsi in luogo pubblico, vero?”
“Infatti,
almeno non adesso… Lo assedierebbero per fargli un sacco di
domande sul nuovo progetto...” continuò l’amica.
Anne
annuì con fare comprensivo e tornò sulle proprie scartoffie.
“Peccato
però” aggiunse con un sorriso vagamente triste “forse si sarebbe divertito ad
una festa simile! Dev’essere frustrante non poter girare liberamente dove vuoi
quando sei così… famoso…”
L'altra mosse nuovamente il capo in segno affermativo, fece spallucce con una
smorfia rassegnata e commentò: “E’ il suo lavoro, sai… e comunque non avrebbe
potuto lo stesso… Ha un po’ da fare ultimamente, come capita spesso… Va bé…”
~~~
A
casa era da sola; non se ne stupì: Danny le aveva accennato di due o tre
interviste da registrare in TV, molto probabilmente sarebbe arrivato in tarda
serata. Si rimboccò dunque le maniche per una cena monodose a base di pasta,
non il suo piatto forte, ma aveva voglia di vedere se quella volta le sarebbe
venuta cotta nel modo giusto e con una salsa decente.
Il
cellulare la interruppe ancor prima che potesse iniziare a sbucciare i pelati.
Danny.
“Pronto?”
“Ehi!
Dove sei, ancora in libreria?”
“Ciao…
No, sono a casa, stavo per cenare…”
“Noi
abbiamo quasi finito qui, dovrei essere a casa tra un paio d’ore!”
“Ok,
ma… cenate lì?”
“Abbiamo
finito adesso di cenare, veramente…”
Un’occhiata
all’orologio le confermò che erano appena le otto.
“Va
bene, allora… ci vediamo più tardi…” disse placidamente al ragazzo.
Il
chitarrista esitò dall’altra parte del telefono, strinse le labbra per un
istante e poi annuì replicando: “Sì, a dopo, torno presto… Ciao, amore…”
“Ciao…”
Si
sentì strana nel salutarlo in quel modo, ma quali che fossero i suoi pensieri,
era inutile pensarci dopo aver riattaccato.
Si
lasciò sfuggire un sospiro, lo represse quasi subito con stizza lamentandosi
silenziosamente con se stessa per la serie di pensieri negativi che fremevano
per invaderle la testa, e ritornò ai fornelli.
Danny
fissò il proprio telefonino per qualche istante, dopodiché lo intascò
passandosi la mano libera tra i capelli in un gesto di stanchezza.
“Jones,
vieni? Ho voglia di fumare!” lo invitò Dougie, spuntato alle sue spalle con la
sua voce allegra.
Gli
rispose con un cenno affermativo del capo e lo seguì senza troppa voglia fino
ad una finestra di un anonimo corridoio appena fuori dagli studi televisivi.
Il
bassista gli allungò il proprio accendino per la sua Marlboro, poi lo
osservò con fare sospettoso, cosa di cui l’amico si accorse presto.
“Era
Clarissa, l’ho chiamata per dirle che ore avremmo fatto stasera… lo informò,
facendo il vago.
Il
ragazzo ne approfittò per consigliarlo animatamente: “E scopate un po’ quando
varcherai quella benedetta soglia della camera da letto!”
Danny
espirò il fumo dalle narici con una risatina amareggiata e ribatté: “Sarà
difficile. Ultimamente mi sembra di dover invadere un accampamento militare
circondato dal filo spinato!”
“Ah,
non si batte chiodo?”
Davanti
al no del chitarrista, Dougie sospirò per poi commentare: “Se l’è legata al
dito, Dan. Non so che altro dirti. Non l’ho mai vista tanto furiosa, e la
conosco da quando la conosci tu…”
“Ho
capito, ma co-“
“Siete
qui! Vi avevo persi, tra cinque minuti ricominciamo!”
Sentendosi
richiamati da Tom, i due amici si voltarono e lo videro a pochi passi da loro
mentre faceva segno di sbrigarsi.
“Vieni
un attimo qui, dài!” lo pregò Dougie.
“Doug,
bisogna rientrare!”
“Trenta
secondi, Fletcher!”
“E
che palle... Se vi dico che bisogna muoversi…”
Il
paziente chitarrista andò incontro ai suoi colleghi con aria insofferente e
domandò a Dougie: “Ebbene, che c’è?”
“Hai
sentito Claire ultimamente?”
“Claire?”
“Sì!
Ci hai più parlato dopo quella volta del pronto soccorso?”
Tom
rifletté prima di rispondere e spostò lo sguardo su Danny.
“E’
successo qualcosa?” chiese.
L’altro
si passò una mano sugli occhi, sbuffò e rispose con voce spenta: “Non è
successo niente, casomai…”
“Io…
non l’ho più sentita…” confessò il
collega “E’ da un po’ che non parlo con lei,
a dir la verità… Non si è più fatta viva,
non con me, almeno…”
“Idem
per me. Ha solo cenato con Frankie giorni fa!” aggiunse Dougie.
“E Harry? Harry l’ha sentita?”
“Sì,
per telefono, ma solo perché lui voleva chiarire con lei e dirle della serata
in discoteca, niente di più…” gli spiegò Tom.
Danny,
rassegnato, gettò il mozzicone fuori dalla finestra e alzò le braccia al cielo,
salvo poi farle ricadere pesantemente lungo i fianchi.
“Non
so più cosa pensare… o cosa devo fare…”
“Dan,
perché non le lasci ancora un po’ di tempo? Ha accumulato un sacco di cose,
come al solito, e alla fine è esplosa. Si deve riprendere…” lo confortò il
chitarrista, mettendogli un braccio intorno alle spalle mentre si avviavano
verso lo studio, seguiti da Dougie.
“Una
volta ogni tanto ha ragione lui, Jones…” asserì il bassista, beccandosi una
smorfia canzonatoria dal biondo come risposta.
Danny
annuì con convinzione e disse: “Ci proverò, ok”.
Un
dvd, poi a letto. Serata magra, ma sicuramente rilassante e scacciapensieri.
Stava
cercando una commedia leggera da godersi insieme ad una stecca di cioccolato al
latte, quando di nuovo il cellulare attirò la sua attenzione con la vibrazione
fastidiosa che la fece accorrere con un sonoro sbuffo di disappunto.
Daniel.
Rispose
con aria sorpresa: “Pronto!”
“Bonsoir!”
“Dany,
ciao!”
“Ciao!
Ti ho disturbata?”
“No,
macché! Ero… a girarmi i pollici…”
“Come?
Scusa, Danny non è lì con te?”
“No,
te l’ho detto, oggi è via fino a tardi, è impegnato con la TV…”
“Ah,
è vero, scusa, me l’ero dimenticato… Comunque, ti ho chiamata per chiederti
del costume! Il mio è arrivato stamattina, me lo sono ritrovato a casa tornando
dall’università!”
“Ha
fatto presto! E com’è, com’è??”
“Non
te lo dico neanche se memorizzi ogni singolo vocabolo di francese!” la canzonò
il ragazzo, ridacchiando “E’ una sorpresa, lo vedrai alla festa! Il tuo,
piuttosto, è pronto?”
“Sì,
la mamma di Anne mi ha dato una mano con il vestito del matrimonio!”
“Ah,
allora hai deciso per quello! Cosa ne hai ricavato?”
“Non
te lo dico neanche se impari l’irlandese in ventiquattro ore!” lo riprese lei,
divertita “Anche io conservo la rivelazione per la festa!”
“Se
la mette così, mademoiselle…
tratterrò la mia curiosità!” si arrese il francese, che subito le propose:
“Dato che non hai niente da fare, e io neanche… se non sei già in pigiama,
possiamo andare a bere qualcosa!”
“Ma
gli studenti non dovrebbero fare le ore piccole sui libri?”
“Ma
io lo faccio sempre, è giusto che ogni tanto mi prenda una pausa!”
“Ah,
tu lo fai sempre!” fece eco la ragazza in tono ironico.
Daniel
ridacchiò e ribatté: “Smetti di fare la maestrina con me, non è una buona
copertura per nascondere il fatto che te la tiri!”
“Io
che me la tiro?! Questa non la sapevo neanche io!” esclamò lei, fingendosi
offesa e scoppiando a ridere con lui, che però continuò a punzecchiarla: “Se
non è vero perché allora non esci con me? Fidanzato geloso? I francesi ti
stanno antipatici?”
Alzando
gli occhi al cielo con un sorriso inconsapevolmente civettuolo, Clarissa
rispose scherzosa: “Il mio fidanzato non è geloso, ma… sì, i francesi mi stanno
antipatici da quando ho conosciuto te! È per questo che usciremo unsieme: così potrò
prenderti un po’ per il culo, se non ti spiace!”
“Ah,
vogliamo effettuare uno scontro internazionale? La Regina Elisabetta contro il
nostro Sarko?”
“Correggiti!
Facciamo il tuo Sarko contro la mia McAleese! Sono irlandese!”
“Bon, bon,
bon, e così sia!” sbottò Daniel,
sghignazzando “Facciamo tra un’oretta sotto casa tua?”
“Aggiudicato!
Conosco un posticino carino, birra buona e bagni spaziosi!”
“Bagni
spaziosi?”
“Dovrò
pur sistemare tutte le mie cose da qualche parte mentre faccio pipì per la
troppa birra, no?”
Il
francesino rise dall’altra parte della cornetta e la prese bonariamente in
giro: “Tu sei tutta matta!”
“Grazie,
altrettanto!” replicò prontamente la bionda, disinvolta “A più tardi,
puntuale!”
“Agli
ordini, capo! A dopo!”
Dopo
aver posato il telefono sul tavolo, si avviò velocemente al piano
superiore, in camera: non sapeva cosa mettersi e aveva solo un’ora per
decidere; una buffa smania eccitante s’impadronì dei suoi gesti veloci e
indagatori e dei suoi occhi attenti a selezionare i vestiti nell’armadio.
~~~
“…
E allora l’irlandese dice Perché ho visto
arrivare il francese con le angurie!”
“…
Questa… questa era cattiva!”
Daniel
non riuscì a mantenere la faccia offesa e scoppiò a ridere di cuore, contagiato
da Clarissa e dalla sua barzelletta.
“E
il francese rise dei suoi stessi conterranei! Missione compiuta!” annunciò
trionfante la ragazza, innalzando la sua seconda birra media.
“Non
cantare vittoria troppo presto!” la avvertì l’altro, puntandole l’indice contro
il naso “Solo perché adesso non mi vengono in mente barzellette sugli inglesi,
non significa che-“
“Hai
bevuto troppo e ora il tuo cervello fa aquagym nella birra!” lo beffeggiò lei,
continuando a ridere.
“Ha
parlato l’irlandese doc temprata dall’alcol e dal doppio malto! Ti ricordo che
anche tu ridi da tre ore per qualsiasi cosa!”
“Ma
non è vero!!!”
“Sì
che è vero! Propongo un brindisi!!!”
“Un
altro?! A cosa?”
“Al
tuo stato di brezza!”
A
quelle parole, la bionda chinò la testa sul tavolo per lasciarsi andare
all’ennesimo scoppio d’ilarità, imitata ovviamente da Daniel, che però non
capiva perché la sua amica si fosse messa di nuovo a ridere; quando ebbe
recuperato la minima capacità di parlare, l’altra gli spiegò con le lacrime
agli occhi: “Si dice stato d’ebbrezza!!!
Quale brezza e brezza!!!”
Lo
studente si schiaffò una mano sulla bocca per l’imbarazzo e replicò
ridacchiando: “Sono un povero studente in Erasmus, abbi pietà di me!”
“Oh,
senti!”
“Sento
cosa?”
“La
panca!”
“E’
di legno, sì!”
“No,
scemo, sta vibrando!”
Daniel
poggiò entrambe le mani sulla cassapanca per poi sentenziare con un sorriso
sbilenco: “E’ il tuo cellulare, ubriacona!”
“E’
il mio che?...” domandò Clarissa vagamente intontita per poi precipitarsi con le
mani nella borsa e constatare che la stavano chiamando: era Danny.
Imprecò
a denti stretti, diventando improvvisamente seria, e impose velocemente il
silenzio al collega, puntandosi un dito sulle labbra.
“Pronto?”
rispose, tentando di assumere un tono serio e tranquillo.
“Dove
sei, Claire?!” fu la domanda agitata che arrivò dalla voce del suo fidanzato.
“Sono
al pub, Danny! Sono… sono con Anne!” rispose immediatamente lei, evitando di
incrociare lo sguardo confuso di Daniel “Scusa, pensavo di tornare prima di te
e non ho-“
“Cazzo,
ma mi hai fatto… mi è preso un colpo!” sbottò il chitarrista stizzito,
interrompendola.
Clarissa
ammutolì, spiazzata, e rimase a bocca aperta davanti a Daniel, che continuava a
guardarla, intuendo a grandi linee la conversazione in corso tra i due.
“Co-come…?”
boccheggiò poi, assumendo un tono vagamente critico e sarcastico.
Dalll’altro
capo della linea, Danny si morse la lingua, strinse gli occhi con rabbia e
rispose: “… Scusami. Scusa, sono solo stanco morto e… niente, credevo che ti
avrei trovata qui, non ti ho vista e…”
“Stavo
per venire via, comunque” intervenne lei, risoluta “Tra poco sarò a casa”
“No,
ma stai tranquilla, non c’è fret-“
“Tranquillo”
lo sovrastò l’altra, ignorando volutamente le sue scuse e le sue opposizioni
“Tempo mezz’ora e sono lì. Ciao, a tra poco…”
“Cl-“
Chiuse
la conversazione con un gesto secco. Gettò il telefono nel fondo della borsa e
si rivolse allo sguardo disorientato e apprensivo di Daniel.
“Problemi
con Danny?” domandò lui.
“Dany,
forse è il caso che… guarda che ore sono…” borbottò in risposta lei, indicando
l’orologio del locale, che segnava l’una e mezza.
Senza
fare storie, il ragazzo annuì e ribatté: “Mi dispiace. Avrei dovuto capire che
potevano esserci problemi… Anche io sarei geloso se Céline uscisse con uno che
non conosco…”
“Lascia
stare, non è colpa tua…” lo difese l’altra, alzandosi con un sorriso forzato e
la testa improvvisamente pesante.
“Ti
accompagno a casa, vuoi? Mi sembri stanca…”
“No,
no, per carità!” si oppose decisa la collega “Se Danny ti vede e capisce che
non sei Anne…”
“Ah,
già…”
“Mi
dispiace, Dany. Ho fatto un po’ di casino, ma-“
“Nessun
problema, Claire! Io sono stato benissimo!” commentò il francese con un sorriso
affettuoso.
Clarissa
ricambiò con una smorfia divertita e un buffetto sul braccio stranamente
impacciato e pieno d’imbarazzo.
“Grande,
anche io mi sono divertita…”
“Adesso
dobbiamo conservare le energie per la festa!” le ricordò lui in tono scherzoso.
“Sei
una tortura con questa festa benedetta!!!” proruppe la ragazza con un sorriso contento.
Aprì
più silenziosamente che poté la porta ed entrò in punta di piedi, affrontando
l’oscurità dell’appartamento.
Trovò
la via delle scale e le percorse con le scarpe in mano, lentamente, fino ad
arrivare alla camera da letto, riscaldata da una luce soffusa, quella del
comodino di Danny.
Inspirò
ad occhi chiusi prima di fare il suo ingresso e spinse delicatamente l’uscio.
“Ciao…”
la salutò il ragazzo, a torso nudo, con un piccolo sorriso. Era già a letto e
stava sfogliando senza troppo interesse una rivista musicale.
Clarissa
replicò con un sorriso sfumato di sonno e appoggiò la borsa su una sedia per
poi recuperare il pigiama dal cassetto del suo comodino.
“Divertita
con Anne?” le chiese il fidanzato, girato verso di lei, che rispose serena con
il viso nascosto dai capelli: “Sì, sì, è stata una serata tranquilla, tra
donne… e ora ho sonno…”
Si
alzò da terra e s’incamminò verso il bagno, scivolando zitta zitta, via dal suo
sguardo premuroso che l’aspettava accanto a sé.
Si
vestì per la notte davanti allo specchio, si lavò i denti davanti allo
specchio, si struccò fiaccamente davanti allo specchio.
Non
osò guardarsi in faccia neanche per un istante.
Quasi
le prendeva il voltastomaco all’idea che lui non sapesse niente, con quegli
occhi grandi e speranzosi che la scrutavano curiosi e quasi ottimisti, nella
speranza di riaverla come prima, di avere il permesso di tornare da lei.
Ma non c’è più
niente come prima!
Cazzo, smetti di
guardarmi così! Non ti sopporto più!
Quasi
rabbiosamente si raccolse i capelli in una coda morbida ed uscì dalla stanza.
Diede
la buonanotte a Danny con un lieve bacio sulle labbra e spense la luce,
dandogli le spalle.
Neanche
dopo due minuti lo sentì strisciare timidamente con le mani sulla sua vita;
lasciò che l’avvolgesse ed aprì gli occhi nel buio, preoccupata.
Percepì
il suo respiro sulla nuca, incassò un minuscolo bacio sui capelli e richiuse
gli occhi, sentendoli pizzicare.
Voleva
piangere.
Si
trattenne con un grande sforzo e deglutì.
“Ti
amo…”
Lo
ascoltò sussurrarle all’orecchio e il suo corpo, già rilassato sul materasso…
Le
sembrò di sentirlo afflosciarsi, liquefarsi per lo sconforto.
Si
morse il labbro inferiore e un secondo dopo ribatté a voce bassa e sorridente:
“ Ti amo anch’io… Ti dispiace se… se dormo? Perché… sono stanca morta, sul
serio…”
“Ssshhh,
tranquilla… Dormi pure, anche io sono a pezzi…”
“Ok…
Poi mi dici com’è andata…”
“Va
bene… ‘Notte, amore mio…”
“Buonanotte…”
Rimase
abbracciato a lei, aggrappato al suo vitino minuto; le grandi mani si
intrecciavano con le sue, calde e lisce nonostante i piccoli calli causati
dalla chitarra.
Clarissa
lasciò scendere una lacrima, una sola poco prima di addormentarsi come un
sasso, come le succedeva ogni volta che beveva.
Durante
il dormiveglia ringraziò il cielo per quella sua debolezza.
***
Piccolo
angolo della cultura: cito la signora McAleese (Mary), in quanto
è l'attuale Presidente d'Irlanda. E Sarko, bé, lo sapete
tutti... è Monsieur Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica
francese!
Per
quanto riguarda il titolo del chapter, è preso da "Too close for
comfort", singolo dei Mc risalente ai tempi di "Wonderland". Nessuno
scopo di lucro.
Per
chi non sappia come è fatto il costume di Clarissa, basato sul
modello del suo vestito da testimone di nozze, vi basterà
sbirciare nell'ultimo capitolo di "Point of view"!
E adesso, un ringraziamento speciale...
Lo sapete che vi sono sempre grata per le vostre letture, i vostri
commenti, le vostre visite in generale. Chi è fan dei McFly,
come me, ha qualcosa in comune con la sottoscritta e per questo...
è un pò speciale :).
Chi legge le mie storie sui McFly... è ancora più speciale :).
E chi le commenta... ha di certo un grande pezzo della mia gratitudine,
in quanto mi sostiene tantissimo, vista la mia perenne insicurezza.
C'è
sempre stata una persona che a tale proposito è sempre stata un
validissimo sostegno, qui su EFP (fin dai tempi delle FF sui Tokio
Hotel XD) come nella vita.
E' una ragazza fuori dall'ordinario, in tutti i sensi, e io la
considero un'amica. Amica nella vita, quando ci scriviamo e parliamo
dei nostri problemi, consigliandoci e consolandoci a vicenda (almeno,
ci proviamo :]); amica su EFP, per essere sempre stata franca nel
commentare le mie storie, per la sua VOGLIA di recensire e per essere
stata tra le prime a credere nelle mie capacità :). Ruby,
"Falling in love" è per te, se la vuoi. Ti voglio bene,
rintronata, fai la brava e continua a scrivere le tue montagnate di
capitoli <3.
Momento lacrimevole giunto alla fine! Ai posteri l'ardua sentenza XD A presto!
|
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Capitolo 14 *** Everybody's having fun to the sound of love ***
claire
Scusandomi per l'osceno ritardo con cui
pubblico il nuovo capitolo... vi saluto :)
Vorrei innanzitutto ringraziarvi per le
numerose letture alla mia storia e alla mia serie "McClaire" :) e poi
mi piacerebbe accennare a qualche piccolo aneddoto su questo nuovo
capitolo, che io ho soprannominato "la bomba", perché... lo
capirete ben presto! Posso solo dirvi che ci sarà una svolta e
che il prossimo capitolo che posterò vi mostrerà i cocci
da raccogliere dopo lo scoppio di questa "bomba"!
Stavolta ho perfino usufruito di una "soundtrack", perchè mi
sembrava ci stesse proprio bene... e la mia scelta è caduta su
due canzoni: una è il pezzo- simbolo di "Falling in love" in
generale ("Careless
whispers" - The Seether) e l'altra fa da sottofondo musicale a
questo capitolo in generale ("Careless whispers"-
George Michael). Se sarete bravi bravi bravi, capirete
perchè ho scelto questi due brani così uguali (in quanto
una è la cover dell'altra!) eppure così diversi :)...
Ovviamente cito queste due canzoni senza scopo di lucro, esattamente come la canzone dei McFly che mi è servita per dare il titolo al chap, "Transylvania".
Buona lettura dunque, e al prossimo
chapter!
Un bacio
Ciry
***
Il
calendario segnava Sabato 15 Novembre.
Un’insolita
euforia che faticava a rimanere discretamente nascosta aveva contagiato
Clarissa fin dal momento in cui si era svegliata.
Era
il “giorno del ballo”, lo aveva ribattezzato così,
anche se in realtà non
sapeva se nel locale in cui sarebbe andata quella sera ci sarebbe stato
un
ballo vero e proprio.
Immaginava
quella serata come colorata, scintillante, piena di vestiti sfarzosi, e
quasi
sperava che oltre a bere e a seguire il ritmo della musica dance
avrebbe
anche assistito ad una scena filmica, da prom liceale americano: il
classico
momento dei balli lenti, le coppie guancia a guancia, luci soffuse e
ballate
smielate in sottofondo.
Seppur
con fatica, aveva ammesso a se stessa che lei per prima avrebbe voluto
far parte
di uno scenario del genere insieme a Daniel, il suo accompagnatore
ufficiale.
Danny
l’aveva portata a ballare in diverse occasioni, doveva
riconoscerlo; ogni volta
che la trascinava in qualche locale o discoteca, poi, entrambi erano
sempre
tirati a lucido: tacchi e gonna per lei, camicia e scarpe lucide per
lui.
Solo
che Danny non sapeva ballare.
Clarissa
si divertiva in pista con lui, sì, ma solo perché lo
vedeva scoordinato e
assolutamente spavaldo nelle sue improbabili coreografie a ritmo di
musica
house.
Di
conseguenza, di balli lenti non si poteva proprio parlare; ci avevano
provato
qualche volta, con pessimi risultati: i piedi di lui inciampavano in
quelli di
lei, non si decidevano mai su chi dei due doveva condurre, gli sguardi
erano
perennemente abbassati sul pavimento… No, in quel senso erano
una pessima
coppia.
Del
resto, il chitarrista aveva una visione tutta sua del romanticismo:
sarebbe
stato capace di dirle cose meravigliose in musica, ma sarebbe risultato
poco
credibile in un gesto “tipico” come una dichiarazione
d’amore in ginocchio, un
mazzo di fiori comprato solo per farle una sorpresa o, per
l’appunto, un lento
in mezzo ad una pista da ballo.
Lei,
al contrario, non disdegnava affatto i sogni di bambina, quelli che si
realizzavano solo nei migliori cartoni animati, per principesse e
principi
azzurri. Era un’inguaribile romantica.
E
forse quella sera avrebbe realizzato un suo minuscolo desiderio.
Forse.
Si
sforzava di rimanere coi piedi per terra, di riflettere razionalmente
sulla
probabilità che avrebbe potuto non esserci né un
romantico cavaliere, né un
romantico walzer… ma non ci riusciva, era più forte di
lei.
Era
felice di fantasticare, era felice di essere in trepidazione.
Per
tenersi occupata nel suo giorno libero finì di aggiornare il
sito della
libreria e si mise a navigare su Internet in cerca di qualche idea per
un’acconciatura che stesse bene con il suo costume, appeso bene
in vista al
gancio di una delle ante dell’armadio in camera sua e di Danny.
Lo adorava,
forse ancora più di prima; non seppe resistere e, dopo avergli
lanciato
un’occhiata fugace, si alzò e se lo provò per
l’ennesima volta.
Le
trine bianche del sottogonna facevano capolino sotto l’orlo del
tessuto rosa
chiaro; alla luce il corpetto pieno di roselline in organza dorata
appuntate
qua e là brillava come una pepita; alla gonna liscia era stato
sapientemente
cucito dai fianchi in giù un altro pezzo di organza, anche in
quel caso dorata,
ed il risultato era che somigliava al vestito di Cenerentola, solo di
diverso
colore. Cherisa aveva poi cucito apposta per lei un paio di lunghi
guanti di
satin, dorati e lunghi fino al gomito; erano bellissimi,
s’intonavano alla
perfezione con tutto il resto.
Scrutandosi
allo specchio ebbe l’illuminazione che cercava e optò per
un grande fermaglio a
forma di rosa da applicare tra i capelli, magari lateralmente,
un’ottima idea
per l’accessorio che le mancava.
Dopo
essersi provata anche il fermaglio, velocemente sistemato vicino
all’orecchio
sinistro, sorrise al proprio riflesso e si accarezzò i capelli,
pensando di
renderli più mossi con l’arricciatore.
Lo
scatto della porta d’ingresso la distolse dai propri programmi e
la voce di
Danny la mise in allarme: non doveva vederla con quel vestito. Non
voleva farsi
vedere, non le andava, sentiva il disagio prendere il sopravvento su di
lei al
solo pensiero.
“Claire!
Ci sei?” si sentì chiamare dabbasso.
“Sì!!”
rispose di rimando, senza aggiungere altro, tanto era occupata a
togliersi
frettolosamente l’abito per rimetterlo al suo posto; ce la fece
appena in
tempo, pochi istanti prima che il suo ragazzo entrasse in camera.
Lui
aprì la porta e la vide ferma in mezzo alla stanza con i capelli
spettinati e
lo sguardo agitato.
“…
Tutto ok?” domandò, alzando la mano libera ed
indietreggiando con il busto.
“Sì,
sì!” si affrettò a rispondere la ragazza
“Stavo solo… cercando un’idea per
l’acconciatura di stasera…”
“Già,
vai stasera dunque…” si ricordò l’altro con
aria distratta mentre si avviava
verso il letto per sedersi e togliere le scarpe.
“Sì…
Ceno e poi… vado…” confermò vaga lei.
“Sapete
già come tornare o... volete un passaggio per il ritorno?”
“Credo…
credo che se faremo tardi…” annaspò Clarissa, che
non era preparata ad una
domanda del genere.
“Se
farete tardi…?” la incalzò Danny senza troppa
insistenza, prendendo la sua
chitarra nell’angolo della stanza.
Non
la vide prendere un sospiro e rispondere con un’espressione
più tesa che mai.
“Se
faremo tardi… non tornerò a casa a dormire… Non so
che ora faremo, dunque per
sicurezza… mi preparo la borsa…”
“Ma
siete solo voi due o c’è anche altra gente?”
“No…
solo io ed Anne…”
“Allora
una macchina vi basta…”
“Certo!”
“Dormi
da lei allora?”
“Danny,
non lo so!”
La
risposta giunse inaspettatamente nervosa e scocciata; Danny alzò
gli occhi
dalla Telecaster e fissò la sua fidanzata, sconcertato.
~~~
“Greg,
sono impegnata, non so se potrò andare a qu-“
“La
mia non era una richiesta, Cassie.”
“Ma
sai che ho quell’articolo strepitoso in ballo!”
“E
adesso ne avrai uno in più! Non sei contenta? Un vero
giornalista dovrebbe
essere versatile, mondano…”
“Mondano,
certo, una festa in maschera a due chilometri da qui in un locale che
passerà
di moda in tempo zero!”
“Brava,
scrivi tutte queste cose nell’articolo che dedicherai alla
serata, e allega
delle belle foto…”
“Non
lo faccio quel servizio!”
“Allora
non ti pubblicherò neanche quello sui McFly! Come la vedi
adesso?”
Cassie
vibrò un calcio furioso al cestino della pattumiera vicino alla
sua scrivania,
scaraventandolo nel corridoio.
“Bene,
quel rumore mi fa pensare che ti sia messa a ragionare. Fatti le ossa,
novellina, ne hai di strada da fare!” la canzonò il suo
principale prima di
riattaccarle il telefono in faccia.
La
ragazza lanciò il cordless alle sue spalle, sul letto, e
sospirò rumorosamente
con una mano tra i capelli.
Non
le ci voleva.
Greg
l’aveva obbligata a realizzare un servizio a suo dire inutile e
di poca
visibilità su un locale che avrebbero inaugurato quella sera con
una sorta di
festa in maschera ed un mini concorso dal sapore vagamente infantile
per i suoi
gusti.
Avrebbe
dovuto fotografare, prendere appunti, pensare a quali zuccherosi
termini
elogiativi ed ipocriti usare per recensire quella stupida discoteca, e
non ne
aveva nessuna voglia, non in quel periodo.
Harry
stava ricominciando a parlarle, anche se solo via messaggio, pochi sms
dal tono
neutrale, e lei stava continuando a battere il ferro con Danny: ogni
tanto gli
scriveva, usando sempre gli sms, e gli dava il buongiorno o la
buonanotte,
oppure gli chiedeva come stava, senza mai sbilanciarsi oltre, e lui
rispondeva
sempre.
“Calmati,
Cassie, calmati…” sussurrò a se stessa alzandosi e
andando verso l’armadio per
cercare un vestito decente in vista di quella che per lei sarebbe
sicuramente
stata una noiosissima serata.
“Fai
un paio di foto, inventi due stronzate… e riparti da dove ti eri
fermata…”
Dopo
la stizza iniziale si calmò e tornò a sedersi alla
scrivania, davanti al pc che
mostrava il suo articolo ormai quasi completo.
Qualche
congettura, alcuni piccoli dettagli gonfiati qua e là, e infine
il suo tocco
personale: parole ricolme di sarcasmo mascherato da pungente ma
semplice
ironia.
Adorava
esprimersi in quel modo, con quello stile tutto suo che, sì,
prendeva a modello
dei pionieri del giornalismo che avevano tutta la sua ammirazione, ma
che in
definitiva rispecchiava lei, la sua personalità, la sua tempra
di
“scribacchiatrice”, come la definiva ogni tanto Greg quando
voleva prenderla
bonariamente in giro.
Mancava
solo il dettaglio fondamentale, la parte più succulenta da
leggere, quella che
le avrebbe assicurato una promozione nel suo piccolo angolo del gossip.
Estrasse
il cellulare dalla tasca dei jeans e spedì un sms…
“Ciao
Danny! Va tutto bene? Di recente ho incontrato Clarissa in giro,
sembrava un
po’ giù…”
Mentì
spudoratamente, non era vero che aveva “incontrato”
Clarissa.
L’aveva
seguita, questo sì.
Aveva
seguito lei ed il suo amichetto francese.
Stava
cominciando a perdere la pazienza, tra i due sembrava non esserci
niente di più
che un’affettuosa amicizia, eppure doveva pur fare un passo falso
quella
ragazzina.
Se
non lo avrebbe fatto lei… allora sarebbe stato Danny a farlo.
Occorreva
solo uno “sgambetto”, indurlo a
“sbagliare”…
Cassie
sorrise rinfrancata: sarebbe tutto andato a suo favore in ogni caso, a
prescindere da chiunque si sarebbe mosso per primo.
Se
Clarissa avrebbe finito per tradirlo… e se lei ne avrebbe
ricavato le prove…
O
se Danny l’avrebbe preceduta tradendola con lei, la compagnona
pentita, l’amica
vicina e premurosa…
“Leviamoci
questa palla di serata di torno!” esclamò con
determinazione, rivolta a se
stessa “Prima arriva domani, prima potrò tornare a cose
più importanti…”
~~~
Danny
rispose al messaggio di Cassie facendo il vago e affermando
semplicemente che
Clarissa era un po’ stanca per via del lavoro; lievemente
stranito dal suo
interesse per la fidanzata, tornò a suonare per scacciare via
tutti i pensieri
mentre la sua ragazza stava preparandosi in bagno da non sapeva
più quanto
tempo.
Non
credeva che una festa in maschera l’avrebbe appassionata tanto,
ma pensandoci
bene non era poi così sorprendente la cosa, dato che per il
matrimonio di Tom
si era fatta un sacco di complessi solo per il vestito della
cerimonia… E poi
con lei ci sarebbe stata Anne, che lui conosceva poco, ma abbastanza
per
intuire quanto amasse fare la femmina scrupolosa e pignola in certe
occasioni,
decisamente più di Clarissa, che si era lasciata contagiare a
sua volta.
Dopo
due bozze di canzoni adattate con calma e pazienza ai testi che Tom gli
aveva
fornito, una mezza dozzina di sigarette ed un film visto in DVD per la
seconda
o terza volta, Clarissa finalmente scese al piano terra; portava ancora
la
tuta, ma si era sistemata i capelli in uno chignon da cui cadevano
alcuni
boccoli, decorato con un fiore posizionato lateralmente. Era persino
truccata
di tutto punto, sembrava una bambola di porcellana con le guance rosse
e piene.
“Allora
sei sempre viva!” scherzò alzandosi dal divano mentre lei
si avviava in cucina.
La
sentì reagire con una lieve risata e la raggiunse per vederla
indaffarata ai
fornelli, anche se erano appena la sette.
“Fatti
vedere, dài, qual è il risultato di tutte quelle ore in
bagno?” la incitò lui con
un dito sotto il suo mento.
“No,
dài, non sono ancora pronta…” resistette la ragazza
per poi ritrarsi e
abbassare ancora di più lo sguardo mentre armeggiava con una
scatola di riso.
“E
se te lo chiedo per favore?” insistette l’altro, mantenendo
il suo sorriso
curioso.
Clarissa
sbuffò e alzò gli occhi un po’ di malavoglia,
arricciando le labbra
indispettita.
Danny
allargò il proprio sorriso accarezzandole una guancia con il
dorso della mano.
I
capelli sollevati in quell’acconciatura avevano ancora i leggeri
riflessi rossi
un po’ sbiaditi dopo che aveva scelto di non tingersi più
la chioma; il fiore
rosa metteva in risalto quel colore così particolare, gli
conferiva un’aria
aggraziata e piena di calore.
Gli
occhi della sua fidanzata viaggiavano a disagio in giro per tutta la
stanza, ma
lui non ne era infastidito, anzi, gli piaceva guardarla sbattere le
palpebre
illuminate dai colori iridescenti dell’ombretto rosato che
sfociava nel marrone
agli angoli più esterni, per non parlare delle ciglia allungate
dal mascara.
“Sono
contento che stasera ci sia Anne con te…” le
sussurrò maliziosamente
“Scaraventerà lontano qualunque ragazzo ti si
avvicinerà, e sono sicuro che
saranno molti… Sei bellissima…”
“…
Sì…” fu la replica di lei, che si lasciò
sfiorare la guancia ancora per qualche
istante prima di tornare al suo daffare con ancora più fretta di
prima addosso
“Hai fame? Pensavo di fare il risotto con i funghi…”
“Buono!
Vuoi una mano? Voglio rendermi utile, non so cosa fare!”
“Bé,
potresti… affettare i funghi. Io preparo il brodo…”
“Va
bene, principessa cuoca!” asserì il chitarrista prima di
darle un bacio su una
tempia e mettersi alla ricerca dei funghi tra le mensole della cucina.
Clarissa
sorrise arrossendo e le vennero gli occhi lucidi… Subito li
chiuse per un istante,
decisa a ricacciare indietro le lacrime.
Avrebbe
tanto voluto non mentirgli.
Ma
quella era la sua serata. La voleva vivere a pieno, senza la sua
gelosia o le
proprie paranoie mescolate ad improbabili sensi di colpa.
Aveva
tutto sotto controllo: quattro salti, una bevuta gratis, un po’
di sane risate
con Daniel e l’atmosfera da sogno che sperava di godersi in
attesa dell’alba
che avrebbe voluto guardare con lui.
A
causa di un errore di Clarissa, che per sbaglio aveva zuccherato il
riso invece
di salarlo, la cena fu servita solo un quarto alle nove.
La
ragazza era arrabbiata con se stessa e si lamentava di avere sempre la
testa
tra le nuvole; Danny, dal canto suo, prendeva le sue difese e la
rassicurava
affermando che mangiare più tardi del solito non era un
problema, dato che
comunque lui non aveva programmi per quella sera e lei aveva sempre
molto tempo
per arrivare puntuale all’appuntamento davanti al locale, alle
dieci.
“L’ho
anche preparato in fretta, sarà venuta una schifezza
collosa…” sentenziò lei
guardando schifata nella pentola in cui il riso stava finendo di
cuocere.
Danny
aggiunse mezzo bicchiere d’acqua e ribatté sereno:
“Sarà buonissimo, non ti
preoccupare! Ancora un minuto e ci facciamo una bella
mangiata…”
E
in effetti il riso risultò essere buono, con gran sollievo di
lei ed un
divertito “Te l’avevo detto!” di lui. Il chitarrista
notò però con aria
leggermente spiazzata che la sua ragazza stava ingollando il risotto
voracemente ed in fretta, alternando i bocconi a dei lunghi sorsi
d’acqua.
“Amore,
arriverai in tempo… sono a malapena le nove e
dieci…” le disse.
L’altra
ribadì con la bocca piena: “Devo ancora mettere il vestito
e sistemarmi a
dovere il trucco…”
“Ma
se sei a posto così!” si oppose ridacchiando lui.
“No
che non sono a posto! Sento anche i capelli che stanno venendo
giù, porca
puttana, devo correre, altrimenti…”
“Non
ti faranno entrare nel locale perché avevi la carrozza
lenta?” la schernì
ancora il ragazzo.
“…
Anne è una puntuale! E anche io devo essere puntuale!” fu
la replica finale
della fidanzata, che finì di spolverare il suo piatto.
A
Danny non rimase che scuotere la testa con un sorriso ironico…
“Un
giorno vi rinchiuderanno in qualche oscuro antro del reparto
neurologico, me lo
sento!”
Lei
lo ignorò del tutto e si alzò praticamente di scatto
dalla sedia per prendere
le proprie stoviglie e poggiarle vicino al lavello.
“Ti
dispiace lavare tu i piatti stasera? Ho paura di non fare in tempo
a…”
“Vatti
a preparare, Cenerentola, per oggi hai casalingato abbastanza…
No?” la liquidò
il ragazzo attirandola a sé da seduto.
Clarissa
gli sorrise grata e lo lasciò con un bacio a schiocco sui
capelli prima di
saltare via verso le scale.
Non
aveva voluto disturbarla, così dopo aver sparecchiato si era
perso nella
tormentosa ricerca delle capsule per la lavastoviglie senza domandarle
dove
diavolo le avesse messe, salvo poi trovarle in una mensola sopra il
frigorifero, insieme ai guanti di gomma e alle spugne verdi e gialle.
Quando
ebbe finito con le pulizie lo sguardo gli cadde sull’orologio
appeso al muro
della cucina: mancavano venti minuti alle dieci. Non fece neanche in
tempo a
pensare se fosse pronta o meno che la sentì scendere.
Gli
ricordò vagamente quelle principesse che nei cartoni animati
correvano nel
bosco o lungo i corridoi di un castello, impaurite nonostante tutto il
loro
coraggio mentre fuggivano da un mostro spaventoso o da uno stregone
maligno.
La
gonna tenuta sollevata sopra le caviglie con entrambe le mani, il fiato
corto,
gli occhi che cercavano una via d’uscita, i bei capelli che
oscillavano ad ogni
movimento, le scarpe con il tacco che rintoccavano seccamente sul
pavimento.
Solo
che la sua principessa era l’unica al mondo a portare un
impermeabile legato in
vita sopra l’abito, insieme ad una borsetta piena di paillettes
dorate che
luccicava impazzita mentre ondeggiava sostenuta dalla fine tracolla,
insieme ad un'altra borsa più grande, da viaggio, con dentro un
cambio.
“Ho
preso tutto? Le chiavi… sì…Telefono, soldi…
sì…” la sentì fare mente locale
mentre le si avvicinava con aria ammirata, quasi estasiata.
“Hai
controllato la borsa prima di cena… Non ti dimentichi
niente…” le ricordò
premuroso mettendole le mani sulle spalle “Sei
bellissima…”
“Gr-grazie…”
balbettò lei con un sorriso imbarazzato ed una carezza sul suo
viso “Adesso…
sono pronta e…”
“Devi
andare, sì” la anticipò l’altro sorridendole
“Sei sicura che non vuoi che ti
accompagni?”
“Certo,
non preoccuparti, è meglio che vada da sola con la mia macchina,
così se
facciamo davvero l’alba… torno senza doverti
disturbare!”
“Ma
non mi disturberesti…”
“No,
dico davvero, vado da sola, ti prego, ho una fretta del diavolo
e-“
“Ok,
ok, ho capito! Zuccona!” rise il chitarrista per poi baciarla
delicatamente
sulle labbra “Divertitevi, salutami la pazzoide della tua amica
e… tornate a
casa intere, d’accordo?”
Clarissa deglutì e sorrise forzatamente nel
rispondere: “Sì… Va bene, te la saluto… Non
aspettarmi sveglio, ci vediamo
quando torno… Ciao…”
“Ciao,
fai la brava…”
Prima
che lei si chiudesse la porta alle spalle gli sorrise di nuovo
velocemente e
lui la ricambiò.
I
suoi “Ti amo” ultimamente la mettevano a disagio, lo aveva
capito, dunque aveva
pensato di non dirlo per un po’, sperando che un giorno sarebbe
stata lei a
tornare a dirglielo.
Giustamente,
teneva a quei particolari che solo apparentemente non pesavano sul loro
rapporto… “Ti amo” era una grossa affermazione in
realtà, entrambi lo sapevano,
perciò non se lo dicevano di continuo, soprattutto quando magari
usavano un
tono distratto nell’affermarlo.
La
sua fidanzata stava superando una crisi come meglio poteva. Lui stava
cercando di
aiutarla. Se ne sarebbero usciti entrambi, sarebbero tornati a dirselo
più di
prima e anche con più convinzione, ne era certo.
Stava
per andare al piano superiore, davanti al pc, quando il telefono di
casa
squillò: era Tom.
“Ciao,
Jones!”
“Ehilà!
Che si dice da quelle parti?”
“Niente
di che, ho Marvin sulla pancia, sta dormendo come un ghiro e mi sta
tenendo lo
stomaco in caldo! Ti ho chiamato per sentire a che punto sei con le
canzoni!”
“Io
sono a buon punto, direi… Oggi ci ho passato mezza giornata
sopra! Perché?”
“Ho
sentito Harry e Doug, anche loro sono ben messi al riguardo,
c’è solo Judd che
ha qualche perplessità su dei passaggi e… mi domandavo se
domani potevamo
venire da te a discuterne…”
“Per
me non ci sono problemi! Ma quando dovreste venire?”
“Ti
va bene in mattinata? Così se giungiamo ad una conclusione
decente potremmo
trovare del tempo per registrare dei demo…”
“Perfetto!
Per che ora vi aspetto?”
“Facciamo
le dieci, ok? Sai, per Poynter alle nove è sempre
l’alba…”
“Povero
bambino!” esclamò Danny ridacchiando “Va bene,
allora ci vediamo domattina!”
“A
domani, buonanotte!”
“Ciao…”
~~~
Arrivò
puntualissima e se ne accorse solo dopo aver posteggiato la sua
utilitaria nel
parcheggio vicino al locale che già sembrava essere piuttosto
gremito, a
giudicare dalla corposa fila di persone che stavano aspettando di
entrare,
tutte agghindate e vestite come se si stesse tenendo un ricevimento
alla reggia
di Versailles.
Scese
dalla macchina e chiamò immediatamente Daniel, sperando che non
fosse in ritardo.
Rispose
al terzo squillo.
“Clarissa?”
“Daniel,
dove sei? Io sono arrivata adesso, sono al parcheggio…”
“Ciao!
Io sono all’entrata, vienimi incontro, sono tra gli ultimi della
fila…”
La
ragazza cominciò ad incamminarsi ed intanto constatò
preoccupata: “C’è una coda
piuttosto lunga, sei sicuro che…?”
“Sì,
è lunga ma scorre piuttosto velocemente!” la
tranquillizzò il francese “Non
farti problemi, io ti aspetto!”
“Aspetta,
ma come sei vestito?”
Il
ragazzo ridacchiò e rispose: “Sono il più bello di
tutti, che domande! Ho una
giacca nera, degli stivali e un mantello! Ciao!”
“Ma-“
Aveva
riattaccato.
Rimase
con il telefono nella mano, confusa, e continuò a camminare
verso la fila…
Dopo
aver allungato il collo in mezzo a tante teste acconciate o mascherate,
finalmente lo scorse; non perse tempo e accelerò il passo per
avvicinarlo e
piazzarsi accanto a lui, tra le proteste di chi era dietro di loro.
“Dan!”
lo chiamò afferrandogli il braccio.
Lui
si voltò sorridendole ed esclamò: “Ce l’hai
fatta!”
Subito
la loro attenzione venne richiamata dalla gente che, vedendosi superare
da
Clarissa, aveva iniziato a brontolare e a inveire contro di lei; la
ragazza si
voltò imbarazzata come non mai e tentò senza successo di
boccheggiare un paio
di scuse, ma Daniel prese di petto la situazione ed esclamò
rivolto alla
piccola folla: “E’ la mia ragazza! Era andata in macchina a
prendermi le
sigarette, ci sono problemi?”
Istantaneamente
non si sentì più un solo borbottio lamentoso, tutti
fecero finta che il ragazzo
non si fosse rivolto a loro e tornarono a farsi gli affari propri.
L’altra
sorrise sollevata e disse: “Grazie, mi hai salvato da… un
linciaggio, credo…”
“Prego,
non c’è di che!” ribatté tranquillo lui
“Sei pronta a scatenarti?”
“Non
so quanto ci si può scatenare con il mio vestito…”
ribadì perplessa la bionda
“Spero che diano qualche ballo lento, almeno potrò ballare
senza la paura di
sentire qualcosa che si strappa!!! Hanno fatto miracoli per trasformare
quest’abito, non vorrei mandare tutto all’aria!”
“Sembra
un vestito molto carino, cappotto a parte che non mi fa vedere
granché…”
insinuò lo studente con una smorfia divertita davanti alla quale
Clarissa rise
per poi affermare: “Anche tu stai molto bene, mi piace il
mantello! Il nero sta
bene con tutto, di certo non risulteremo una brutta coppia per via dei
colori…”
“Hai
ragione! E comunque anche io spero che ci sarà qualche
lento…”
La
ragazza si voltò a fissarlo incuriosita e lui replicò
sorridente: “Vestiti così
sarebbe molto scenografico ballare un walzer piuttosto che agitarsi con
la
musica house! Faremmo bella figura al mini concorso!”
“Ti
sei iscritto al mini concorso?!”
Daniel
gettò indietro la testa e rise davanti all’espressione
sbalordita dell’amica.
“Sì,
l’ho fatto!” ammise divertito “E ho preso il
cartellino con il numero anche per
te! Siamo la coppia 54!”
“Daniel,
ma io non so ballare!” contestò l’altra, cominciando
ad agitarsi.
“Stai
tranquilla!” intervenne il giovane, mettendole una mano attorno
alle spalle e
coprendole la schiena con parte del proprio mantello “Da bambino
prendevo
lezioni di ballo da sala, credo che qualcosa mi sia rimasto in
testa… tutto al
più potremmo ridere di noi stessi e dire che ci siamo
divertiti!”
“…
Sì… Gesù, sento che cadrò con il culo per
terra dopo averti pestato i piedi…”
ipotizzò lei, fingendosi angosciata mentre ridacchiava
nervosamente.
Daniel
scosse la testa e rise insieme a lei, avvicinandola un po’ di
più a sé, finché
la ragazza stessa non gli circondò la vita con un braccio.
Quaranta
minuti più tardi Clarissa si stava godendo il suo primo cocktail
offerto dalla
casa, condividendo la cannuccia con Daniel e facendo ondeggiare il
busto a
tempo di musica, fortunatamente per loro non un pezzo house, ma una
semplice
canzone dance, un tormentone di dieci anni prima che entrambi si
ricordavano e
apprezzavano.
Lo
scenario era bellissimo in quella ampia stanza illuminata di tutti i
colori,
addobbata come se fosse un castello e piena di gente vestita
pomposamente, come
prevedeva il tema; in confronto lei si sentiva quasi insignificante, ma
Daniel
le aveva fatto molti complimenti per i quali era piacevolmente
arrossita… Si
stava rilassando, la testa era piena di musica e il suo sorriso non si
era mai
spento.
“Perché
non balliamo un po’?” la invitò il ragazzo ad un
certo punto, vedendo che il
cocktail era finito.
La
ragazza esitò per qualche istante, ma alla fine rispose di
sì ed insieme
raggiunsero la pista per poi cominciare ad accennare qualche passo di
danza con
aria divertita…
“E’
libero qui?”
“Sì,
accomodati!”
“Grazie…”
“Anche
tu qui per il concorso?”
“Sì,
anche per quello… Devo fare una recensione per il quotidiano
locale…”
“Io
devo scattare due foto e intervistare i padroni del posto…
Piacere, Walter…”
“Io
sono Cassie, ciao…”
“Quanti
anni hai, Cassie?”
“Ventisette…”
“Sei
molto carina…”
“Grazie!”
“Posso
offrirti qualcosa al bar mentre aspettiamo che inizi il
concorso?”
“No,
ti ringrazio…”
“Sicura?
Non fare complimenti…”
“Walter,
no. Ti ringrazio davvero, ma no. Sono interessata a un tipo che
è molto più cazzuto, muscoloso, capelluto e giovane di
te! Ti dispiace?”
L’anonimo
reporter lasciò immediatamente il suo posto accanto a Cassie,
borbottando
“Puttana” e guadagnandosi un’ultima occhiataccia
della ragazza prima di sparire
definitivamente dalla sua vista.
“Povero
idiota…” brontolò a sua volta scuotendo il capo
mentre sistemava la sua
macchina fotografica per scattare delle fotografie decenti; il concorso
sarebbe
iniziato nel giro di un’ora e lei non vedeva l’ora che
fosse già finito; per
essere lì da solo mezz’ora aveva già annotato
abbastanza cretinate sul suo
taccuino, elogiando il buffet, le bevande, il servizio al bar,
l’arredamento
pacchiano, tutti gli sfigati travestiti che erano accorsi per ballare
commercialate sentite e risentite…
“Benvenuti
a questa fantastica inaugurazione, signore e signori!”
tuonò una voce da un
microfono in tutta la sala. La folla intera si voltò verso la
consolle del DJ
per scorgere il proprietario della discoteca; Clarissa smise di
prendere
lezioni improvvisate di walzer da Daniel per applaudire come tutti.
“E’
una fantastica serata, voi tutti sembrate avere dei costumi stupendi e
in linea
con la nostra festa a tema, ma solo una tra le coppie iscritte al
nostro
concorso vincerà stasera per i costumi più belli! Siete
dunque pregati di fare
spazio nella pista da ballo e di attendere le informazioni dei nostri
PR che a
breve raggiungeranno le coppie che mostreranno i loro numeri
d’iscrizione!
Bando alle ciance, diamo inizio alla gara!”
La
musica ricominciò e i due ragazzi applicarono sui vestiti
l’adesivo del numero
54, come previsto; Clarissa era nervosa ed elettrizzata all’idea
di partecipare
ad un concorso, anche se non sapeva cosa sarebbe successo, né se
e cosa
avrebbero vinto lei e Daniel, che appoggiava il suo entusiasmo mentre
tornava
ad insegnarle alcuni passi di balli da sala.
Cassie
si alzò e impugnò decisa la macchina fotografica per poi
mettere a fuoco il
centro della sala; con l’occhio concentrato dentro
all’obbiettivo per poco non
credette di avere le traveggole.
Clarissa.
Il suo amico. Pochi metri sotto di lei, alla sua destra.
Chiacchieravano e
accennavano passi di danza sotto i suoi occhi.
Ridevano,
intrecciavano le mani, si stringevano l’uno contro l’altra.
La
reporter sorrise maligna e cominciò a scattare qualche
fotografia senza dare
nell’occhio.
Clarissa
che sorrideva al francesino.
Clarissa
che appoggiava le mani sulle spalle del francesino.
Clarissa
e il francesino che si abbracciavano scoppiando a ridere.
Clarissa
che guardava negli occhi il francesino.
Non
avrebbe mai potuto chiedere di meglio dalla Dea Fortuna.
“Salve,
ragazzi, posso sapere i vostri nomi?”
“Clarissa, Clarissa Thompson…”
“Daniel Coupries!”
Una
ragazza sconosciuta vestita da gran dama annotò i nomitativi e
li informò: “Le
coppie partecipanti sono sessanta. Ci sarà per prima cosa una
sfilata sulla
passerella in fondo alla sala. La giuria vi voterà e a seconda
del verdetto che
riceverete potrete passare alle semifinali, che consistono in una
piccola gara
di ballo, un lento o un brano dance a seconda del gusto del DJ. Anche
in quel
caso ci sarà la stessa giuria a votarvi e se sarete fortunati
potrete passare
alla prova finale, che è quella più divertente
perché è una gara di karaoke!
Chi vince anche quella ha vinto il concorso e si aggiudica i prossimi
cinque
ingressi gratuiti validi per una persona a testa. Tutto chiaro, avete
delle
domande?”
“No,
tutto chiaro, grazie mille” la congedò Daniel sicuro.
Quando la dama se ne fu andata, Clarissa esclamò
eccitata: “Sarà una cosa fichissima, ma continuo a vedermi
col culo per terra,
o sulla passerella o sulla pista da ballo!”
“Sei
troppo pessimista, mademoiselle” la
canzonò benevolmente il ragazzo, poggiando platealmente le mani
sul panciotto
di satin bianco e dorato “Vieni, cominciamo ad andare verso la
passerella e
divertiamoci, non è quella la cosa più importante?”
“Non
ho mai sfilato, sai? Non ho neanche mai assistito ad una sfilata!”
“Sul
serio? Danny non ti ci ha mai portata? Che ne so, durante una gita a
Parigi
magari!”
“Oh,
sì, siamo stati un week end a Parigi qualche mese fa, ed
è stato anche durante
la settimana della moda per quanto mi ricordi, ma… siamo stati
in giro per
negozi!”
“Che
spreco, lascia che te lo dica! La prossima volta che vorrai tornarci ti
farò io
da guida!”
“Merci,
garçon!” ribatté lei nella sua
lingua, facendolo sorridere pieno di sorpresa.
“Stai
imparando, brava!” si complimentò facendole
l’occhiolino e provocando un lieve
rossore sulle sue guance.
Cassie
iniziò a scrivere freneticamente sul proprio block notes,
sistemandosi ogni
tanto un ciuffo di capelli che si ostinava a ostruirle la vista.
Scrisse,
scrisse e scrisse fino all’inizio vero e proprio del concorso,
poi tornò a
scattare fotografie con il cuore che le batteva a mille per la gioia.
Amava
il suo lavoro.
La
coppia camminò con passo leggero e un paio di modesti sorrisi
sino alla cima
della passerella, poi tornò indietro, ma prima Daniel fece
compiere a Clarissa
un lento giro su se stessa che strappò un applauso al pubblico.
Lei
era piuttosto scettica, credeva che non avrebbero mai superato il turno
e
attribuiva la colpa a se stessa per non aver sfilato a dovere,
abbagliata dalle
luci stroboscopiche e forse anche da qualche fotografo di cui stava
cercando di
non preoccuparsi.
E
invece lei e Daniel passarono il turno, un membro della giuria si
complimentò
proprio con Clarissa per la semplice eleganza del suo abito e per la
sontuosa
imponenza di quello del suo accompagnatore.
“Sei
stato grande, hai fatto decisamente colpo!” gli disse la bionda
abbracciandolo
contenta.
“E
tu sei stata meravigliosa, Claire, dico davvero!” ricambiò
il ragazzo
stringendola a sé con affetto.
“Credevo
che sarei caduta!”
“Sei
stata formidabile, non riuscivo a staccarti gli occhi di
dosso…” le disse
ancora lui, staccandosi dall’abbraccio per guardarla negli occhi
e sorridere
dolcemente.
L’altra
lo imitò, seppur vagamente impacciata, e ribadì
timidamente: “Grazie, sei
gentile…”
“Andiamo
adesso, che ne dici? Ci aspetta la prova più bella!”
“Oddio,
voglio morire… La gara di ballo!”
“Niente
panico! Ti sai muovere, vedrai che andrà tutto bene!”
“No,
no, io… mi tremano le gambe!” si oppose la ragazza con una
risata agitata.
Daniel
le propose immediatamente: “Abbiamo ancora qualche minuto,
perché non ci
beviamo una cosa? Facciamo un paio di shottini veloci?”
“Shottini…?
Non lo so, Dan, io non vorrei agitarmi ancora di
più…” esitò la sua amica,
fissandolo preoccupata.
“Ti
prendi troppo sul serio! Sono solo due bicchierini!” la
liquidò lui prima di
prenderla per mano e trascinarla verso il bar.
La
sua espressione era uguale a quella impressa sul suo viso la sera in
cui le
vomitò sulle scarpe: ebete, solo molto più sorridente
rispetto alla serata
passata con i suoi amici e con Danny.
Si
divertiva a trovarla assolutamente stupida nel suo voler bere pur non
sapendo
reggere neanche una goccia di alcool.
Le
scattò una decina di foto mentre ingollava un paio di shot,
probabilmente rum e
pera, insieme al suo cavaliere senza macchia e senza paura, forse anche
senza
scrupoli, e rise insieme a lei, che forse stava apprezzando la
conversazione
con l’amichetto.
Il
suo ghigno però era più famelico, pieno di soddisfazione.
Ci
sarebbe voluto qualche giorno per smaltire tutto quel materiale,
selezionarlo e
farlo pubblicare, ma di sicuro ne sarebbe valsa la pena.
Cassie
fece svanire il suo sorriso gradualmente al pensiero che ancora non
c’erano
prove inequivocabili di un bel paio di corna, ma non si
scoraggiò e decise di
attendere fino alla fine della serata, anzi, di andare anche oltre, di
tampinarli, di controllare dove sarebbero andati… Ognuno a casa
propria o
insieme in un motel? Era proprio curiosa di saperlo, ma soprattutto di
catturare un momento del genere…
Per
la gara di ballo le coppie furono sistemate in cerchio sulla
pista ;
tutti erano stati informati circa lo svolgimento della competizione: il
DJ
avrebbe esordito con un rock ‘n’ roll, per poi sfumare in
una ballata e infine
in un pezzo dance. Durante il ballo i membri della giuria avrebbero
ispezionato
le varie coreografie per poi giudicare le migliori nel giro di qualche
minuto
dopo la fine della musica.
Clarissa
appariva rilassata e estasiata all’idea di fare quattro salti,
stringeva la
mano a Daniel e rideva ad ogni sua battuta incoraggiante mentre il
ragazzo,
dal canto suo, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso e aveva
praticamente
dimenticato il suo status di fidanzata, peraltro di un cantante famoso,
anche
se per lui Danny Jones non era proprio nessuno. Era determinato sul da
farsi,
aveva a lungo progettato le proprie intenzioni con lei, non poteva
chiedere di
meglio di una Clarissa tanto ben disposta.
Il
suono di una chitarra elettrica dalle corde vissute e sporcate da
amplificatori
degli anni ’60 li fece muovere quasi come se avessero preso la
scossa: la gente
cominciò a ballare, le gonne iniziarono a frusciare e i
pantaloni a sollevarsi,
mostrando le caviglie.
Clarissa
osservò per un istante una coppia vicina che stava ballando
davvero bene, così
provo a imitare i passi della ragazza: afferrò la mano di
Daniel, tese il
braccio per poi tornare verso di lui con una piroetta che le fece
temere una
caduta, cosa che non accadde solo perché il suo partner si
dimostrò prontissimo
nell’agguantarla per i fianchi e assecondare i suoi passi con un
sorriso
malizioso che la ragazza si ritrovò a ricambiare senza che se ne
rendesse quasi
conto.
Le
sembrava di rivivere una famosa scena del musical “Grease”,
quella dove al
ballo della scuola la band attaccava con il rock e tutti gli studenti
impazzivano nella grande palestra del liceo.
Un
tempo si sarebbe data della ridicola al solo pensiero di poter pensare
di
rivivere una cosa del genere, ma in quel momento realizzò di non
avere alcun
pensiero, anzi, di essere totalmente alla mercé della bella
musica, della sua
testa leggera e delle mosse di Daniel, che la stava accompagnando
divinamente,
come un novello John Travolta.
Dopo
tre minuti che passarono come trenta secondi il DJ scretchò sui
vinili, la
folla si fermò improvvisamente… dopodiché, a due a
due, ogni coppia si fuse in
un solo corpo pronto a danzare sulle note di una celebre ballata di cui
Clarissa non riusciva a ricordare il titolo, poteva solo riconoscerne
l’autore,
George Michael.
“Mia
madre adora questa canzone!” esclamò Daniel attirandola
vicino a sé.
“Come
si intitola? Non me lo ricordo più!” fece lei.
“Ma
come?! E’ un classico! Careless whispers!”
“Aaah,
sì, è vero! È che mi gira un po’ la testa
e…”
“Ti
arrampichi sugli specchi per non confessare che non conosci gli anni
ottanta!”
la prese in giro l’amico prima di farle fare un giro su se
stessa; la ragazza
rise divertita e lo liquidò con una linguaccia prima di
ritornare appoggiata al
suo torace, con il fiatone a causa del ballo precedente, ma ancora
piena
di energie.
Il
giovane abbassò lo sguardo sul suo capo e disse a voce
abbastanza alta per permetterle
di sentirlo sopra la canzone: “Ti stai divertendo? Io sì,
è una delle serate
più belle di tutta la mia vita…”
L’altra
alzò lo sguardo, meravigliata, e lo fissò senza parlare.
“C’est vrai” ribadì
semplicemente il
francese con un intenso sorriso.
Il
suo flash si confuse in mezzo a quelli di altre macchine fotografiche,
tutte
impegnate a imprigionare una stupida gara con in palio uno stupido
premio; non
invidiava affatto nessuno dei partecipanti, si limitava a scuotere la
testa con
l’aria di chi compatisce l’umanità con freddezza
mentre cercava costantemente
con il proprio obbiettivo l’unica coppia che a lei
interessava…
Erano
piuttosto in disparte, ma decisamente presi da quel lento
strappalacrime: la
mano destra di lei intrecciata alla sinistra di lui… e la destra
del francesino
se ne stava ben salda sul suo vitino anoressico avvolgendolo quasi del
tutto,
tanto era striminzito…
Forse
stavano parlando, non avrebbe saputo dirlo con precisione, ma non
stavano
andando a tempo e apparivano estraniati dal resto del gruppo, quasi
certamente
non era alla canzone che stavano pensando.
Clarissa
arrossì violentemente abbassando gli occhi e confermò con
il cuore a mille: “E’
una bella serata anche per me… Molto bella…”
“Allora
ne è valsa la pena stressarti tutto questo tempo per venire
qui…” insinuò il
ragazzo avvicinandosi ancora di più con la scusa di farsi
sentire.
L’amica
e collega ridacchiò timidamente e annuì prima di tornare
a guardarlo senza dire
una parola.
Daniel
aggrottò le sopracciglia con fare ironico e chiese: “Che
cosa c’è? Ti sto
pestando i piedi e non me ne sto accorgendo? Ti senti poco bene?”
“No,
sto benissimo!” rispose subito l’altra, prendendo un bel
respiro prima di
continuare: “E’ che… non ricordo di aver mai passato
del tempo così, a ballare,
a divertirmi come ho sempre voluto… Voglio dire, neanche
immaginavo che un
giorno avrei fatto parte di una scenetta del genere, sai… tipo
ballo di fine
liceo nei film americani!”
Lo
vide ridere davanti alla sua confessione e assunse un’aria
vagamente perplessa,
però le sue parole la fecero ricredere…
“Rido
perché ho… ho pensato la stessa identica cosa! Io e te
qui, vestiti come nobili
di altri tempi, a ballare come due studenti innamorati! Ho temuto fino
all’ultimo che avresti rifiutato di venire alla festa con me
proprio per questo
motivo, ma… ora so che non è così e mi sento da
dio… All’inizio sembrava quasi
che dovessi chiederti un favore, ma adesso… penso che le cose
siano cambiate…”
La
ragazza si morse ansiosamente il labbro inferiore e percepì la
sua stretta più
forte sul proprio girovita.
Le
stava esplodendo il cuore nel petto, non riusciva a sentire i propri
pensieri
in mezzo a tutta quella confusione: la musica, la gente, gli occhi di
lui, i
battiti accelerati, le sembrava di avere un tornado nel cervello, un
tornado
che stava stravolgendo ogni cosa al suo passaggio.
“…
Bingo.”
Cassie
scattò. E sorrise gioiosa.
Ce
l’aveva fatta. O meglio… loro ce l’avevano fatta,
finalmente, se la si voleva
vedere così.
Attivò
il multiscatto per avere più fotogrammi di quel lunghissimo
momento, il suo
momento di gloria, e quando il flash ebbe finito di lampeggiare sopra
le loro
teste corse a controllare il risultato.
Un
bacio lungo, intenso, zoomato, carico di una voglia repressa che le
ricordò
vagamente alcuni baci filmici in stile “Via col vento”.
Clarissa
era praticamente persa tra le braccia del suo partner, che la avvolgeva
come
una piovra mentre le ficcava la lingua in gola; lei, più bassa
di lui, a
malapena riusciva ad accarezzargli i capelli, ma era evidente che se
avesse
potuto… gli avrebbe gettato le braccia al collo.
La
reporter accentuò il suo sorriso davanti ad una delle
fotografie: il
multiscatto aveva catturato un’immagine piuttosto netta di due
lingue che,
lasciate semi-scoperte dalle labbra, stavano facendo conoscenza.
“Danny
Danny…” mormorò sorridente tra sé e
sé, gli occhi fissi sullo schermo “Questo è
solo l’inizio…”
“Perdonami.
L’ho fatto senza pensare. O almeno ci avevo pensato
ma…”
“…”
“Volevo
farlo da così tanto tempo…”
“…
Davvero?”
Si
guardarono stupiti, le labbra arrossate ed i visi in fiamme.
Clarissa
non volle staccarsi da lui, restò con le mani sul suo torace
coperto dalla
giacca e deglutì con grande sforzo, aspettando.
“…
Sì. Mi sei sempre piaciuta, Claire” confessò
Daniel, sollevando una mano dalla
sua vita per accarezzarle una guancia “Sei la ragazza più
carina, dolce e
comprensiva che io abbia mai conosciuto…”
E
la tua
fidanzata?
Per
un momento l’attenzione della bionda fu catturata dal pensiero di
quella
ragazza sconosciuta, magari bella e gentile, che in Francia stava
aspettando il
ritorno di Daniel.
Prima
che potesse continuare a pensare, lui premette di nuovo le labbra sulle
sue e
una vampata di calore la fece sospirare e stringere un lembo del suo
mantello
nero.
Si
sentì divorata da quel bacio. Inarcò la schiena per
stringersi ancora di più al
ragazzo.
La
gara di ballo stava per giungere al termine: il DJ stava facendo
sussultare le
casse con il pezzo dance e tutti stavano lanciando grida di
approvazione
nell’aria mentre le coppie si stavano pian piano distaccando per
muoversi
liberamente in pista.
Clarissa
e Daniel rimasero immobili finché la ragazza non lo
strattonò vicino ad un
tavolo del buffet quasi spoglio.
“Claire…
La gara…” le ricordò lui con aria stupita.
“Non
me ne importa più niente!” ribatté l’altra,
lapidaria e con il fiato corto
“Voglio andare via…”
“Vuoi…
vuoi andare via?” fece eco il suo accompagnatore, confuso.
“Dan,
portami a casa tua, ti prego” disse lei tutto d’un fiato
“Non voglio tornare,
non stanotte, ti supplico, voglio… voglio stare con te e…
e…”
Daniel
mascherò abilmente un ghigno soddisfatto con un sorriso sorpreso
e intervenne
dicendo: “Va bene, va bene… tutto quello che vuoi! Hai la
macchina?”
“E’
qua fuori, nel parcheggio. Andiamo, adesso.”
Estratte
le chiavi dell’auto dalla borsetta, Clarissa prese Daniel per
mano e insieme
andarono verso l’uscita con passo spedito.
Cassie
riuscì a scorgerli appena in tempo e con la macchina fotografica
ben salda
intorno al collo si precipitò giù per le scale
così da poterli seguire: anche
lei era venuta alla festa con la propria macchina, e comunque non aveva
certo
intenzione di restare a quella palla di festa ancora per molto.
“Dove
devo andare?”
“Sto
a un quarto d’ora da qui, gira a destra e poi tutto a dritto
per…non so,
cinquecento metri, più o meno…”
“Ok…
Parto…”
Si
sforzò di non sorridere davanti al suo petto ansante che metteva
in risalto il
seno leggermente pressato nel corpetto dell’abito, e tenne
d’occhio la strada
per darle indicazioni.
Non
si sarebbe mai aspettato quel tipo d’iniziativa da parte sua, ma
del resto non
poteva che esserne contento e si limitò a tenere lo sguardo
dritto davanti a
sé, tronfio nella consapevolezza che di lì a pochi minuti
quel bel vestito
sarebbe volato via, come tutto il resto.
|
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Capitolo 15 *** This is goodbye ***
clarissa
Buona
neve a tutti! Tranne che a me, logicamente, dato che io odio la neve,
specie quella degli ultimi giorni che ha causato diversi sbalzi di
corrente in casa mia, impedendomi di lavorare decentemente al computer!
Fortunatamente adesso sta piovendo, confido che tutta la robaccia
bianca si sciolga entro domani!
Ecco a voi finalmente... i "cocci" della bomba esplosa nel capitolo
precedente. Ci siete rimasti male per caso? Non ho visto neanche una
recensione... Spero che non siate arrabbiati con me :) Da questo
capitolo inizia ufficialmente la seconda parte della storia! Mi auguro
che ne appreziate il primo stralcio, fatemelo sapere!
Un grosso abbraccio da CIRY e...BUONE
FESTE!!!!
***
I sensi di colpa avevano cominciato a morderla nel sonno, agitato e
altalenante.
Era cosciente di ciò che
aveva fatto: ricordava tutto, sapeva tutto.
Perciò quando aprì
gli occhi, definitivamente sveglia, desiderò di essere dentro ad
un incubo.
Ma così non era.
Era pieno giorno, le finestre
spalancate mostravano un cielo piovoso, annuvolatosi da poco a
giudicare dal sole che tentava ostinatamente di filtrare tra le nubi.
Si passò una mano sul viso
mentre tentava di rialzarsi, coperta dal lenzuolo e infreddolita
dall’umidità che impregnava le pareti di quel minuscolo
appartamento di cui solo in quel momento stava iniziando ad osservare i
dettagli.
La camera- tipo di uno studente
universitario: pochi poster, qualche fotografia attaccata
all’armadio e allo specchio, una scrivania in disordine, i
vestiti sulla sedia.
Il suo abito giaceva sgraziatamente
sulla moquette, così come il fiore che aveva usato per la sua
acconciatura, ormai ridotta ad uno chignon sgangherato.
Non sapeva che ore fossero: il
cellulare aveva la batteria scarica e si era spento, al muro non
c’era nessun orologio e lei non ne portava al polso.
Sospirò angosciata prima di
alzarsi e solo allora notò che accanto a lei non c’era
nessuno.
Forse Daniel se n’era andato,
o semplicemente si era chiuso in bagno.
Voleva farsi una doccia e tentare
di dimenticare.
Voleva tornare a casa a tutti i
costi.
Voleva abbracciare Danny con tutte
le sue forze, piangere un po’ e non dirgli niente di quella sera.
Voleva insabbiare l’intera
faccenda, come se niente fosse accaduto.
Voleva evitare di pensare a cosa
sarebbe successo se solo lui avesse scoperto...
Il rumore di una porta che si
apriva la fece sussultare.
“… Ehi. Ben
svegliata…”
Soltanto il tono apatico con cui lo
disse la ferì e confermò tutti i suoi pensieri.
Voleva andarsene.
Subito.
~~~
Cassie sbadigliò prima di
sorseggiare il suo cappuccino in tazza grande da portar via.
Seria e composta al suo posto sulla
metropolitana, controllò ancora una volta con discrezione le
fotografie all’interno di una comune busta da lettere grande, al
sicuro nella propria borsa.
Sorrise, al settimo cielo.
La luce non era delle migliori, ma
i tratti dei volti si distinguevano chiaramente.
I due sorrisi più raggianti
che avesse mai visto. E che avrebbero reso il suo ancora più
euforico.
Sperò solo che niente
avrebbe mandato all’aria il suo piano: voleva agire nel massimo
riserbo e centrare il bersaglio.
Le sarebbero serviti solo dieci
secondi, forse anche meno, da sola in quella strada. Il resto sarebbe
venuto da sé.
Iniziò a ponderare
distrattamente sulle parole che avrebbe usato per scaricare Harry senza
troppi problemi, poi notò con fastidio l’ora sul suo
telefonino.
Erano le dieci e mezza passate, la
sua corsa aveva ritardato di un quarto d’ora.
~~~
“Io… devo
andare…”
“… Ok!”
“Ci… ci vediamo in
… negozio…”
“Certo! Oh, scusa, il
telefono…”
Clarissa lasciò Daniel al
suono del cellulare e ne approfittò per finire di vestirsi in
tutta fretta, ricacciando il costume nella borsa e agganciando alla
meglio una camicia a quadri sgualcita insieme ad un paio di jeans, il
suo cambio insieme alle scarpe da ginnastica.
La sera precedente non avrebbe
creduto di doverlo usare.
Mentre si stava sciogliendo i
capelli per coprire un succhiotto sula lato destro del collo
pensò che non avrebbe neanche dovuto mai prepararlo e portarselo
dietro.
L’ansia accelerò
l’attività dei suoi polmoni, facendole venire un
inspiegabile fiatone; a pochi passi da lei, Daniel parlava al telefono
in francese.
Non sapeva di cosa stesse parlando.
Ma le sue risatine e le occhiate
che ogni tanto le lanciava non le lasciarono dubbi.
Bastò che lui le desse le
spalle, girandosi su un fianco sopra il letto disfatto, a torso nudo,
come se fosse in vacanza.
Corse fuori, imboccando le scale
più velocemente che poteva, e subito dopo salì in
macchina, incontrando i propri occhi nello specchietto retrovisore.
Faceva paura, ma non le importava.
“Devo andare a casa, devo
andare a casa…” iniziò a bisbigliare con le dita
premute sulle guance sporche di mascara colato.
Quando finalmente si ricordò
quale strada percorrere per tornare da Danny, si mise in moto.
Dei lavori in corso che avevano
creato una notevole coda di veicoli a metà strada la fecero
angosciare ancora di più.
~~~
Mr. Danny Jones
Era tutto quello che c’era
scritto sull’etichetta della busta, ovviamente in caratteri Times
New Roman, nessuna calligrafia manuale che avrebbe sicuramente destato
sospetti.
La buca delle lettere era grande a
sufficienza per contenere la sua consegna.
Si guardò intorno con fare
circospetto e notò in lontananza soltanto una vecchietta
accompagnata da una ragazza, entrambe le davano le spalle e camminavano
lentamente verso il centro del paese.
“Perfetto!”
esclamò sottovoce prima di lanciare un’ultima occhiata
verso la porta d’ingresso, a pochi passi di distanza.
Inspirò profondamente,
assaporò un’ultima volta il silenzio della strada ed
infine lasciò scivolare la busta nella buca delle lettere.
Un istante dopo se ne stava andando
a passo accelerato per riuscire a prendere la prima metro disponibile.
Ferma per qualche secondo ad un
passaggio pedonale con il semaforo rosso, scrisse un veloce sms a
Danny…
“Buongiorno Danny! Volevo solo chiederti
se oggi pomeriggio sei libero per un caffè! È un
po’ che non ci vediamo, colpa del lavoro ! Fammi sapere!”
~~~
“Se la alziamo di mezzo tono
è meglio…”
“Perché?”
“Così si può
armonizzare più facilmente l’assolo… Che ne
dite?”
“Per me va benissimo, non mi
cambia niente!”
“Prima
proviamola…”
Tom prese appunti sul suo block
notes ricolmo di spartiti improvvisati e Danny si preparò ad
eseguire l’assolo di una nuova demo insieme a Dougie; fu Harry ad
interromperli ancor prima che iniziassero.
“Dan, il campanello.
L’hai sentito?” domandò confuso, puntando lo sguardo
verso il piano inferiore.
Il chitarrista restò in
ascolto un istante prima di accertarsi della cosa, poi prese la via
delle scale per verificare se avessero davvero suonato alla
porta…
“Torno subito, mi sa che
è Claire…”
“Il signor Jones?”
“Sì,
buongiorno…”
“Salve, c’è da
firmare per un pacco…”
“Subito… Firmo
qui?”
“Sì sì, a
sinistra…”
Il fattorino consegnò a
Danny il pacchetto che aspettava, contenente una collezione rarissima
di plettri.
“La ringrazio,
arrivederci…”
“A lei… Ha della posta
nella buca delle lettere, comunque…”
“Ah, grazie!
Buongiorno!”
Per svuotare la buca dovette
munirsi della chiave; ne uscirono alcuni depliant pubblicitari, una
bolletta consegnata tre giorni prima che credeva sarebbe arrivata in
ritardo… e una strana busta gialla con sopra solo il suo nome.
La fissò perplesso mentre
rientrava in casa; sembrava contenere della carta.
“Dan! Ideona per
l’assolo!” strepitò Tom dal piano di sopra.
“Arrivo!!!”
gridò di rimando il suo amico, che salì con la busta in
mano, curioso di aprirla.
“Cos’è? È
roba nostra?”
“No, è solo…
Non lo so cos’è, c’è scritto solo il mio
nome…”
“Fai vedere…”
s’incuriosì Dougie.
“Voglio aprirla io!” si
oppose il chitarrista.
“E’ una
bomba…” ipotizzò scherzosamente Harry.
“E’ una lettera di
Babbo Natale, vuole dirti che quest’anno non riceverai nessun
regalo…” lo prese in giro Tom.
“E’ la dichiarazione
d’amore di un travestito!” esclamò il bassista.
“Sì, siete tutti
davvero molto incoraggianti…” li liquidò Danny un
istante prima di strappare via la striscia di carta.
“Foto?”
“Che foto?”
“Sono foto sconce?”
“Dan?”
Tom vide il sorriso del suo collega
svanire gradualmente.
Il suo sguardo improvvisamente
vitreo lo spaventò.
Lanciò una veloce occhiata
preoccupata a Dougie e Harry, che però si limitarono a fissarlo
perplessi.
“Dan, che…?”
osò domandare, posando la chitarra.
L’altro non rispose.
Dougie mise da parte il suo basso e
Harry si alzò al suo fianco.
“Che succede?” chiesero
all’unisono.
Finalmente il chitarrista si decise
a rispondere ai loro richiami, anche se con un solo sguardo.
Abbassò le fotografie e li
scrutò, incredulo, sbigottito.
Era diventato improvvisamente
pallido.
Tom, il più vicino a lui,
fece per allungare un braccio e prendere le foto.
“Dan, ma cosa hai-“
Il ragazzo si ritirò
bruscamente, facendo un passo indietro, ed esclamò a voce alta:
“No!”
La reazione di Dougie fu immediata.
“Jones! Ma che
cazzo…” intervenne, più stupito che seccato.
“Cosa sono, minacce? Roba
minatoria?” si preoccupò Harry, tentando di avvicinarlo,
ma Danny indietreggiò ancora senza dire una parola.
Tutti si guardarono spiazzati,
chiedendosi silenziosamente cosa diamine stesse succedendo al loro
collega.
Quando Tom tentò un altro
approccio, iniziò dicendo: “Dan, perché
non…?”.
Danny lo interruppe, lapidario.
“Mi ha tradito.”
Quella frase fece il giro della
stanza, galleggiò per aria ed infine si abbatté sulle
loro menti impreparate. Dougie strabuzzò gli occhi per primo,
subito imitato da Tom. Harry scosse violentemente la testa e
scattò in avanti per strappare le fotografie dalle mani di
Danny, che però lo bruciò sul tempo lanciandole.
Le stampe volarono sul pavimento,
colorate e inequivocabili.
~~~
Maledisse con tutto il cuore quei
lavori in corso anche una volta che la sua utilitaria fu parcheggiata
sotto casa.
Con il cuore che le batteva a mille
cercò di darsi una veloce sistemata: passò una salvietta
struccante sul viso, spalmò alla meglio del fondotinta sul
succhiotto seminascosto dai capelli e si autoimpose la calma; le ci
vollero dieci minuti buoni prima di poter uscire dall’auto con
una faccia stanca ma credibile.
L’ansia contenuta a fatica
non le fece notare le auto dei ragazzi parcheggiate a pochi metri dalla
casa, quindi non si preoccupò di salutare nessuno una volta
varcata la soglia dell’appartamento, anzi, attribuì il
silenzio al fatto che Danny stesse dormendo, e infatti salì le
scale con la borsa sottobraccio.
“… E’
lei?” chiese Harry con un filo di voce.
Danny annuì, le dita premute
sugli occhi.
Tom balbettò incerto:
“… Cosa facciamo?”
Dougie scosse la testa sconvolto
tenendo una foto tra le mani.
Fu sufficiente un piccolo scatto
della porta dello studio perché Danny si precipitasse a
spalancarla, catapultando dentro anche Clarissa, che lo guardò
attonita.
“Ehi!” la sentirono
esclamare, sorpresa nella sua voce acuta, troppo acuta per risultare
naturale.
Dougie trasalì e nascose la
foto dietro la schiena.
“Claire…”
esordì Tom, cercando di mantenere un tono pacato…
“Dove sei stata?” lo
sovrastò l’altro chitarrista, inchiodando gli occhi in
quelli della fidanzata.
“Cosa…?” fece la
ragazza, iniziando a rimbalzare da un punto all’altro della
stanza con lo sguardo.
Harry si mise una mano davanti alla
bocca e si preparò al peggio.
“Ti ho chiesto dove sei
stata. Ieri sera.” ripeté Danny, facendosi sempre
più vicino.
Lei si abbracciò il busto,
quasi ricurva davanti alla sua presenza, così tanto più
massiccia di fronte alla propria…
“Alla festa a Camden. Te lo
avevo detto…” azzardò a bassa voce.
Tom chiuse gli occhi in preda allo
sconforto.
“Dan…”
tentò di intervenire il bassista.
Ma l’altro non lo prese
minimamente in considerazione.
“Con chi ci sei andata? Dimmi
la verità”
Clarissa gettò
un’occhiata furtiva al di là del suo ragazzo e scorse i
suoi tre amici che la fissavano con espressioni sconvolte.
Si sentì tremare dentro ed
improvvisò confusamente: “Dovevo andarci con…
Dovevo incontrarmi con Anne, però… però poi mentre
andavo là mi è arrivato un messaggio e…”
“Sei patetica.
Smettila.”
La sua interruzione le fece alzare
lo sguardo, ma subito si pentì amaramente di aver sollevato gli
occhi per guardare quelli di lui.
Erano furiosi.
Un paio di iridi color gelo stavano
squarciando le sue, opache e bugiarde.
Cadde nel panico quasi
all’istante ed annaspò confusamente: “Io non…
non capisco d-di che…”
“Ti ho detto di stare
zitta.” la fermò nuovamente lui, perentorio.
Stava sbattendo ripetutamente
contro un muro di mattoni, si stava anche facendo male.
Ma non voleva arrendersi. Anche se
non aveva senso giustificarsi, anche se sapeva che sarebbe stato
inutile.
“Perché non mi lasci
parlare?!” sbottò esasperata, distendendo rigidamente le
braccia lungo i fianchi.
Con la coda dell’occhio fece
appena in tempo a scorgere Dougie che scuoteva freneticamente la testa
sillabando una serie di “no”, ma non capì il motivo
di tutta quell’agitazione finché Danny non si voltò
verso di lui per strappargli la fotografia da dietro la schiena.
Mentre Clarissa sbarrava gli occhi
davanti all’evidenza di quello scatto, la verità nuda e
cruda, Danny esultò vittorioso dentro di sé per poi
sentir mancare un battito al cuore.
“Chi… Chi le ha
sc-“
“Questa sei tu. Ieri sera.
Con un altro.” scandì il ragazzo in tono spaventoso e
monocorde.
La fidanzata arrossì
violentemente per la vergogna, deglutì e balbettò:
“Danny, io… io…”
Si fermò, capendo che lui
non la stava ascoltando: si era voltato, ridacchiando amaramente.
Cercò disperatamente un
appoggio negli altri tre suoi amici, e solo Harry ebbe il coraggio di
ribattere incerto: “Perché non ci calmiamo e non proviamo
a… ragionare un po’?”
Confortata dalle parole del
batterista, la ragazza aggiunse un timido: “Danny,
ascolta…”
Non lo avesse mai anche solo
pensato.
“SEI RIDICOLA!!!”
Sussultarono tutti quanti, lei
più di chiunque sotto quell’insulto gridato a squarciagola.
Per istinto incrociò le
braccia davanti al viso, ma non servì a niente davanti alla
rabbia del suo ragazzo.
“SEI RIDICOLA, BUGIARDA!!!
UNA RIDICOLA PUTTANA BUGIARDA!!!” continuò a urlare Danny
in preda alla rabbia più cieca.
Prima ancora che finisse la frase,
Tom e Harry lo placcarono trattenendolo per le braccia e sbraitarono
sopra di lui: “Danny, fermati!”, “Calmati,
calmati!”…
Dougie li superò di corsa
per trascinare via Clarissa. “Claire, vieni via!” le
ordinò spaventato, percependo la sua resistenza.
“Lasciatemi!!!”
protestò il chitarrista, furibondo, mentre la bionda cercava
invano di liberarsi dalla stretta del bassista.
“Ragiona, cazzo! Non ti
lascio di certo in queste condizioni!” ringhiò di rimando
Harry, stringendogli ancora di più il braccio.
“Jones, ti devi
calmare!!!” aggiunse Tom, esterrefatto.
“Danny, ascoltami, ti
prego!” supplicò Clarissa con le lacrime agli occhi e
Dougie che le serrava la vita con decisione.
“Cazzo, non la voglio
picchiare, non sono così stupido, lasciatemi subito andare,
maledetti idioti cerebrolesi!!!” abbaiò di nuovo il
ragazzo, divincolandosi come un indemoniato.
Tom e Harry si decisero a lasciarlo
andare con uno spintone arrabbiato, ma lo tennero d’occhio mentre
brancolava verso la ragazza con l’indice puntato verso la sua
faccia.
“Tu” le disse,
sorridendole furente “Sei una puttana molto fortunata, hai
capito? Ricordatelo, sei una puttana fortunata. Perché sei
uscita a divertirti, hai scopato con un altro, sei riuscita a mentirmi
per non so quanto tempo e adesso hai tutti loro a difenderti, capito,
piccola bastarda?”
L’altra replicò con un
filo di voce, distrutta: “Danny…”
“Piantala, Jones,
maledizione!!!” intervenne Dougie, prendendola di peso e
allontanandola da lui.
“Ho finito…”
concluse il chitarrista, voltandosi verso le scale “Non voglio
più vederti. Fai le valigie e vattene da casa mia. Mi hai capito
bene?”
Tom subito obiettò:
“Danny, non dire certe cazzate ades-“
“E’ finita, piantatela
tutti quanti!” lo sovrastò l’altro “Non avete
idea di come mi possa sentire adesso per colpa di questa stronza.
Perciò non osate dire neanche una parola. Basta così.
È chiaro?!”
Ognuno di loro ammutolì,
fatta eccezione per i lievi singhiozzi di Clarissa, che lo fissò
scendere velocemente le scale.
Aveva scorto i suoi occhi lucidi.
Stava per mettersi a piangere.
Come lei.
“Danny!” lo
chiamò con voce tremante.
Dougie la trattenne ancora una
volta e Tom le andò accanto bisbigliandole: “Claire,
calmati, ora è incazzato e non sta rag-“
“Danny!!”
continuò lei a voce sempre più alta.
“No, Claire,
smettila…” cercò di calmarla Harry “Senti,
ora ci sediamo e-“
Il rumore del portone sbattuto con
forza li gelò.
Clarissa emise un gemito strozzato
e si tolse di dosso Dougie con una gomitata nelle costole che
mandò il bassista gambe all’aria.
“DANNY!!!”
strillò isterica volando giù per le scale.
Inciampò rovinosamente nel
tappeto del corridoio, si rialzò senza badare al dolore alla
caviglia, ignorò i richiami dei ragazzi, spalancò la
porta e corse fuori per scorgere l’auto di Danny che stava
facendo manovra per entrare in strada.
“NO!!!”
Il suo gridò
riecheggiò nella strada senza però riuscire a sovrastare
il rombo del motore che, ingranata la prima marcia, si allontanò
velocemente insieme al suo ex-fidanzato lungo la via.
Senza pensarci due volte la ragazza
si mise a correre a perdifiato dietro alla vettura, incurante del
dolore alla gamba e delle grosse gocce di pioggia che le stavano
pungendo gli occhi.
Sentì distintamente Tom
urlare il suo nome alla sua destra: stava tentando di raggiungerla
correndo sul marciapiede. Lei accelerò per seminarlo e non
pensò minimamente di fermarsi all’incrocio che avrebbe
messo fine alla sua corsa disperata.
Un’auto le tagliò la
strada e frenò a pochi centimetri da lei, paralizzata davanti ai
fari di quella Mercedes guidata da un anziano signore, che la
fissò allibito con il busto incollato al sedile.
“CLARISSA!!!”
urlò Tom impaurito, raggiungendola con il fiatone.
La sua amica non mosse un muscolo,
semplicemente si afflosciò sull’asfalto umido.
Il chitarrista si chinò su
di lei e le sollevò la testa, credendola svenuta; in
realtà era cosciente e piangeva, ansante a causa della corsa.
“Mio Dio, giuro che non
l’avevo vista! Mi è spuntata davanti
all’improvviso!” si giustificò il guidatore della
Mercedes, uscendo spaventatissimo dalla propria auto e convinto di aver
investito la ragazza.
“Chiami un’ambulanza!
Subito! La chiami, la prego!” lo supplicò il ragazzo
lanciandogli un’occhiata piena di angoscia per poi dedicarsi
nuovamente a Clarissa.
“Claire? Claire, mi senti, ci
sei?!” domandò in preda al panico.
L’altra rispose con una serie
di singhiozzi e sussulti, dopodiché allungò una mano
verso il suo amico per farsi aiutare a rialzarsi.
“Tom, aiutami…”
gemette con il volto rigato dalle lacrime.
Lui la strinse a sé,
riparandola in parte dalla pioggia battente, e ribatté:
“Sta arrivando un’ambulanza, stai tranquilla, andrà
tutto bene…”
“Tom, ti prego, prendi la
macchina e seguiamolo, ti prego, ti prego, Tom, non posso… Non
posso lasciarlo andare così, ti scongiuro, Tom, andiamo a
prendere la tua macchina…” farneticò l’altra
senza rispondere al suo abbraccio, bensì tendendo le braccia
verso la strada.
Il ragazzo si lasciò
scappare un singhiozzo traboccante di paura e continuò a
stringerla e a cullarla sotto la pioggia senza rispondere ai suoi
lamenti insistenti, fino all’arrivo dell’ambulanza.
~~~
Gli occhi vigili e premurosi di
Dougie notarono un movimento delle ciglia a malapena percettibile.
“Forse si sta
svegliando…” azzardò rivolto a Harry e Tom, seduti
dall’altra parte del letto.
Il batterista si alzò per
spegnere la luce bianca ed invadente sopra la testa di Clarissa e
attese il suo risveglio, che non tardò ad arrivare: trenta
secondi dopo li stava guardando tutti e tre, disorientata e triste con
le pupille dilatate.
Si schiarì la voce
debolmente prima di sussurrare: “… Ospedale?
Perché?”
Tom le rispose prendendole una
mano: “Ti hanno iniettato un calmante per farti dormire,
Claire… Hai avuto un crollo nervoso e scottavi per la febbre
alta quando sei arrivata qui…”
La ragazza sospirò
stancamente e chiuse gli occhi voltandosi verso Dougie.
“Scusami per la
gomitata…” gli disse mestamente.
Il bassista scosse la testa con un
sorriso intenerito e si piegò verso di lei per baciarle la
fronte.
Clarissa lasciò scorrere
silenziosamente alcune lacrime di commozione lungo le guance, poi
rielaborò quanto era successo prima del suo arrivo in ospedale e
continuò a piangere, coprendosi il viso con le mani per la
vergogna.
I tre ragazzi si guardarono
intristiti e tentarono di consolarla come meglio poterono…
“Noi non ti giudichiamo per
quello che è successo, Claire…” chiarì
Harry, sfiorandole una gamba da sopra il lenzuolo.
Dougie le scosse leggermente le
spalle e aggiunse: “Vedrai che tutto si aggiusterà, non
sei sola…”
Tom le accarezzò i capelli e
le disse: “Guardami, Thompson, un secondo…”
La sua amica abbassò con
riluttanza le mani e le lasciò scivolare sul grembo, rivelando
il viso smorto e stravolto dal dolore. Lo guardò come se gli
stesse chiedendo aiuto, in attesa di qualcosa che l’avrebbe fatta
stare nuovamente bene.
Il chitarrista rimase colpito dai
suoi occhi colpevoli e flagellati dal rimorso.
Le pizzicò una guancia con
un piccolo sorriso e le propose: “Vieni a stare da me e Gi per
qualche tempo. Cosa ne dici?”
La ragazza, sorpresa da un’
idea tanto inaspettata, si passò una mano tra i capelli
spettinati e umidicci per poi cercare un consiglio dagli altri due suoi
amici.
Harry annuì con convinzione
e le consigliò: “Ti farebbe bene, perché non dici
di sì? Hai bisogno di staccare un po’ da tutto questo
casino, anzi, ne avete bisogno tutti e due per chiarivi le
idee…”
“Possiamo andare noi a
prendere le tue cose, basta che tu ci faccia un elenco…”
si inserì Dougie, conciliante.
Stupefatta dall’aiuto che
tutti quanti volevano darle, Clarissa riuscì solo a scuotere
affermativamente la testa lentamente mentre la mano di Tom stringeva
più intensamente la sua.
“Il tempo di farti uscire di
qui… e si va a casa…” le confermò in tono
rassicurante.
Lei abbassò lo sguardo sulle
loro mani intrecciate e rispose alla stretta, accennando un sorriso.
~~~
Non aveva percorso molta strada: si
era fermato in una zona industriale momentaneamente deserta per motivi
a lui sconosciuti, il luogo ideale per mettersi a urlare
nell’abitacolo della macchina e prendere a pugni il volante, il
cruscotto, fino a ferirsi le nocche.
Dopo aver dato fondo ai polmoni,
devastato, si era acceso una sigaretta per poi fumarla fuori dal
finestrino abbassato, e allora aveva cominciato a piangere, alternando
singhiozzi dolorosi a lacrime rabbiose e piene di rancore.
Più ci pensava e meno capiva
perché fosse successo proprio a lui, a loro.
Qualche sconosciuto aveva pensato
bene di aprirgli gli occhi sulla vera Clarissa, quella che da
chissà quanto tempo lo stava tradendo, quella che aveva spazzato
via tutta la loro storia d’amore in una notte.
Ma perché?
Il fumo volava via dalla sua bocca,
così come le sue domande senza risposta.
Anche lui aveva avuto non poche
occasioni per tradirla, ma non si era mai sognato di farlo: era pazzo
di lei, soltanto di lei, non sarebbe mai riuscito a ferirla in nessun
modo.
Lei lo aveva fatto per poi negare
tutto.
Non gli sembrava quasi vero, ma era
successo veramente.
Molte cose in quel momento
risultarono chiare: il suo distacco, la sua freddezza,
l’indifferenza calata tutto d’un colpo sul loro
rapporto…
Ma perché?
Cos’era successo?
Lo squillo del cellulare lo
riportò alla realtà.
Gettò il mozzicone e si
preparò a riattaccare in faccia a Tom, Harry, Dougie o a
chiunque lo stesse chiamando con l’intenzione di “farlo
ragionare”…
Ma rispose, perché era
Cassie.
“Pronto?”
La voce vivace e sorridente di lei
lo travolse.
“Buongiorno, Dan! Hai
ricevuto il mio messaggio di prima?”
Distrattamente il chitarrista
rispose in tono spento: “Ehm, no, scusami, non ho mai guardato il
telefono oggi…”
“Ti ho beccato in un brutto
momento per caso? Mi sembri… strano…”
insinuò la ragazza, segretamente gongolante dall’altra
parte della cornetta.
Lo sentì sospirare e
rispondere: “Non sto molto bene, diciamo
così…”
“Nel messaggio ti avevo
chiesto di vederci per un caffè… E’ sempre valido
ovviamente, se vuoi parlare un po’… Ti sento
decisamente… giù di morale. Sbaglio?”
“No, hai ragione… Ho
proprio bisogno di uscire un po’…” confermò
l’altro, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
Cassie sorrise e ribatté:
“Non so cosa ti sia successo, ma vedrai che un po’ di
caffè e qualche chiacchiera ti aiuteranno. Ok?”
“Sì…
Grazie…”
“Ma ti pare. Ci vediamo verso
le quattro da qualche parte?”
“Sì, certo, non
ho… niente da fare… Posso dirti più tardi dove?
Adesso non ho in mente nessun posto decente…”
“Tranquillo, non
c’è fretta!” lo rassicurò lei, accomodante
“Quando sei pronto chiamami, io sono qui… A più
tardi allora!”
“A dopo, ciao…”
Riattaccò con un tiepido
sorriso sulle labbra.
Si sentì meglio
all’idea di potersi sfogare con qualcuno che non fosse se stesso
o i suoi amici, troppo coinvolti nella faccenda per considerarli
imparizali in quel momento.
Gli avrebbe fatto bene parlarne un
po’, magari davanti a una birra.
Con Cassie, che si era sempre
mostrata gentile nei suoi confronti. Ma sì...
Se la prese con calma e decise di
fumarsi un’altra sigaretta prima di ripartire.
Lasciò scorrere tutte e
lacrime che restavano e singhiozzò con discrezione, la mano
libera dalla cicca premuta sulla bocca.
Perché
cazzo lo hai fatto? Accidenti a te…
***
Il
titolo del capitolo è tratto dalla canzone dei Mc "Bubblewrap".
Nessuno scopo di lucro.
|
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Capitolo 16 *** I drowned all those feelings in the flood ***
claire
Popolo
mcflyano, invoco il vostro perdono. Prima Natale, poi il veglione di
Capodanno, infine la Befana... senza contare gli esami
universitari che avrò a breve! Sono stata sommersa da baci del
parentado, spumante, dolci, brindisi e tutto il corredo immancabile ad
ogni festività! Ma adesso sono qui, sono tornata con uno dei
miei capitoloni da lametta (li odio, ve lo giuro). Chissà quanto
li apprezzerete! Magari molto, se vi è rimasto un pò di
spumante che scorre nelle vene ;)! Fatemi sapere!
Un bacio a tutti
Ciry
***
Si incontrarono
davanti ad un tè freddo e ad un whiskey.
Cassie non
poteva sapere che lui non lo beveva quasi mai, perché non gli piaceva il suo
strano sapore amaro di alcool quasi “affumicato”.
Ma era qualcosa
di forte, ne aveva bisogno, la birra non sarebbe bastata in quel momento. Forse
più tardi, a casa…
“Sembra che ti
sia crollato addosso il mondo, spero tu non stia tentando di nasconderlo…
perché non ci stai riuscendo…” gli fece notare la ragazza, gli occhi
comprensivi che cercavano di attirare quelli del chitarrista, che rispose con
un sospiro ed un sorso della sua bevuta.
“Scusami, è che…
mi sento ancora… frastornato…” si scusò in preda ad un triste imbarazzo mentre
evitava di guardarla.
“E’ successo
qualcosa con i ragazzi? Avete litigato?” chiese la ragazza in tono apprensivo.
“No, no, loro…
sono coinvolti, ma non sono responsabili di niente, alla fine…”
“Che vuoi dire?
Siete nei guai con il lavoro, ti hanno detto qualcosa…?”
“No, il lavoro è
a posto…”
Cassie allungò
una mano verso la sua, stretta intorno al bicchiere, e domandò cautamente: “…
Clarissa?”
Con gli occhi
abbassati sul liquore, Danny ebbe per un attimo un vuoto di memoria al suono di
quel nome, come se non conoscesse nessuno che lo possedesse.
Quel momento
strano e sereno scivolò via per lasciar subentrare il malessere subito dopo:
una marea di immagini di lei si rovesciarono nel suo cervello, compresa
l’ultima in ordine cronologico, quella che più di tutte avrebbe voluto
dimenticare all’istante.
Clarissa sotto
la pioggia nel suo specchietto retrovisore, in lacrime e urlante mentre correva
dietro al suo SUV.
Avrebbe potuto
risultare imbarazzante come immagine, se solo non fosse stata la sua ragazza.
Difatti era
un’immagine terribile. Quasi inconcepibile, tanto l’ atterriva.
“Danny?” lo
richiamò gentilmente l’amica, vedendolo assente.
“Sì…” replicò il
chitarrista a bassa voce, con un nodo in gola “Io e Clarissa ci siamo
lasciati.”
Cassie si morse
il labbro inferiore con un’espressione contrita prontamente stampata in faccia.
“Non ci posso
credere!” esclamò con un filo di voce, simulando incredulità “Ma come… come è
possibile? È successo così, da un giorno a un altro?”
Danny annuì e
bevve un sorso di whiskey.
“Sì” ammise, il
volto impietrito dalla collera mista alla tristezza “E’ buffo, ma è andata
proprio così…”
“Ti andrebbe, non
so… di parlarne?” osò l’altra “Se hai bisogno di uno sfogo, io ho tutto il
tempo del mondo...”
Il ragazzo le
rivolse un sorriso sincero, anche se spento, e si schiarì la voce prima di
iniziare a raccontare tutte le cose che Cassie già sapeva fin troppo bene.
~~~
Dopo aver
lasciato l’ospedale, Clarissa era tornata verso casa con i ragazzi per poi
restare nell’auto di Tom, parcheggiata a pochi metri dall’appartamento; aveva
fornito a Harry e Dougie una veloce ma completa lista di tutte le cose che avrebbe
dovuto portare via e i due amici avevano promesso di portarle tutto il
necessario in giornata.
“Adesso pensa a
riposare un po’, ok?” le consigliò Dougie dal marciapiede, mentre la ragazza
tentava di sorridergli al di là del finestrino abbassato, dal sedile del
passeggero.
Il bassista le
accarezzò una guancia, impietosito, e la salutò dicendole: “Si sistemerà tutto.
Datevi solo un po’ di tempo. A stasera…”
Clarissa agitò
una mano per dirgli “Ciao” e si trattenne dal scuotere negativamente il capo:
avrebbe soltanto fatto intestardire ulteriormente il suo amico.
Harry e Tom
suonarono alla porta, nessuno aprì.
“La sua macchina
non c’è, credo sia ancora… fuori…” ipotizzò il batterista “Forse Clarissa ha le
chiavi…”
“Dovremmo…
chiedergliele…” concluse il collega, preoccupato.
L’altro sospirò
e concluse: “Lo faccio io…”.
Raggiunse Dougie
e Clarissa e si rivolse alla ragazza, armato di tutta la delicatezza di cui era
capace: “Claire… Non avresti le chiavi di casa? In casa non c’è nessuno e…”
In un gesto
stanco e lento ricevette il mazzo adornato da un pupazzetto di gomma.
“Quelle del
portone sono la più grande e poi quella colorata di blu” lo avvertì
inespressiva.
Harry annuì e
preferì non aggiungere altro; si limitò ad invitare Dougie a seguirlo con un
cenno. Il bassista allora salutò l’amica con un gesto della mano a cui lei
rispose con un sorriso forzato.
Mentre alzava il
finestrino, Tom tornò a sedersi al posto di guida.
“Claire?” la
chiamò a bassa voce.
“Mh?”
Si voltò a
guardarlo e lui non le disse niente, le sorrise soltanto.
Tentò di
rispondere con un altro sorriso, ma proprio quando stava per riuscirci un
singhiozzo le invase la gola, uscì soffocato e la costrinse a coprirsi il viso
con le mani un’ennesima volta, per non farsi vedere di nuovo in lacrime.
Il chitarrista
piegò gli angoli della bocca in giù e le passò gentilmente una mano sul
ginocchio destro, tentando di consolarla.
“Non ci vorrà
molto, ok? Dieci minuti e saremo arrivati…” la rassicurò, sperando che lo
stesse ascoltando in mezzo ai propri singulti.
“Claire… Tesoro,
entra!”
Giovanna la strinse
a sé come una mamma con la propria figlia.
Clarissa chiuse
gli occhi rossi e pizzicanti e si abbandonò all’abbraccio, cingendo debolmente
a sua volta la schiena della moglie di Tom, rincuorato e ottimista dietro di
lei.
“Ehi, che ne
dici di un bagno caldo? Ti ho preparato la vasca di sopra, perché non vai a
rilassarti un po’?” le propose gentilmente la ragazza dopo averle tolto il
cappotto.
Gettando
un’occhiata alle scale, il chitarrista le fece notare: “Si è fatta male alla
caviglia, non dovrebbe fare troppi sforzi!”
“Oddio, e
adesso?” si chiese Giovanna.
“Non importa”
intervenne la loro ospite, zoppicando verso il primo gradino “Mi appoggio al
muro e sposto il peso sull’altra gamba, Tom, non è un problema…”
“Aspetta, vengo
con te!” le andò dietro l’altra.
“Ma non ce n’è
bisogno…” si oppose la ragazza.
“Claire, per
favore…” la persuase Tom, paziente.
La sua migliore
amica si arrese con un sospiro rassegnato e lasciò che Giovanna la prendesse
sottobraccio mentre insieme salivano verso il bagno.
“Qui ci sono gli
asciugamani, te li lascio sulla sedia…”
“Grazie, Gi… Non
c’era bisogno di-“
“Se vuoi lavarti
anche i capelli, il phon è nello sportello in basso a sinistra. Ok?”
Giovanna spostò
lo sguardo su di lei.
Si guardarono,
confuse. Clarissa non diceva niente.
“Pensi… pensi di
lavarteli?” chiese timidamente l’altra, conciliante.
La ragazza si
portò una mano alla testa, le dita si infilarono tra le ciocche bionde umide e
appiccicaticce a causa della lacca.
Una veloce
occhiata allo specchio le mostrò il proprio riflesso.
I residui del
trucco erano colati lungo le guance.
Gli occhi erano
rossi, gonfi, orrendi.
Aveva i vestiti
sporchi di acqua fangosa e polvere di asfalto.
Era troppo.
Giovanna le si
parò davanti e l’abbracciò, soffocando un suo singhiozzo nell’incavo della
spalla, dove Clarissa nascose il viso.
La lasciò
piangere e non le disse una parola, si limitò a cullarla nella sua stretta
finché non la sentì calmarsi.
“Usa pure tutto
quello che trovi sul bordo, ci sono shampoo e balsami per un esercito…” le
disse infine prima di lasciarla sola in bagno.
L’amica accennò
un sorriso e mormorò un altro “Grazie”, dopodiché si spogliò dando le spalle
allo specchio e accumulando i vestiti in un angolo.
Per rimuovere la
schiuma dello shampoo dalla testa, la immerse per metà, annegando
anche le orecchie nel suono ovattato dell’acqua che gorgogliava ad ogni suo
movimento.
Si strinse nelle
spalle, provando vergogna mentre fissava il soffitto bianco, come se quest’ultimo
potesse spiarla nella sua nudità esposta e rea confessa.
Quel corpo, così
abituato a sentire Danny, con la sua pelle, le sue mani, il suo calore… avrebbe
dovuto abituarsi alla solitudine.
Solo in quel
momento realizzava che non avrebbe mai voluto fare ciò che aveva fatto.
Era intontita,
su di giri, frastornata dal fascino nuovo del primo che le era passato davanti.
Non che fossero
giustificazioni, le sue, solo constatazioni: lei in primis si considerava
colpevole.
E… perseguibile.
Portare via tutte
le sue cose da quella casa, piangere a dirotto, subire le sue grida, i suoi
insulti, il suo disprezzo…
La parte più
brutta doveva ancora venire.
L’irrefrenabile
voglia di tornare indietro. Un indignitoso aggrapparsi alle più flebili
speranze.
L’accettazione.
Le lacrime
sgorgarono senza alcun singhiozzo, spontanee e silenziose.
Si coprì il viso
con le mani per poi rannicchiarsi su se stessa mentre risollevava il capo
bagnato.
Con il fiato
grosso per il nodo che le serrava la gola, passò una spugna imbevuta di
bagnoschiuma sulle braccia, sulle gambe, sul collo…
Strusciò,
strusciò, strofinò fino ad arrossarsi.
Maledetta. Che cos’hai fatto.
Sei una puttana, devi soffrire, non ti
meriti altro.
Alla rabbia
verso di sé seguì un pianto isterico che le provocò delle convulsioni. Furiosa,
scagliò la spugna nell’acqua e si tirò i capelli ruggendo ad occhi sbarrati. Il
batticuore le impedì di sentire la propria voce distorta dalla collera.
“Claire? Claire,
va tutto bene? Ti sei fatta male?”
Giovanna bussò
due volte a vuoto e se ne stette in attesa davanti alla porta. Tom la raggiunse
dopo pochi secondi, preoccupato quanto lei.
“Non si sarà
fatta male alla gamba?” azzardò incerto.
“Ma se è caduta
dovrebbe lamentarsi, si dovrebbe sentire qualche… qualche rumore, insomma…”
balbettò sua moglie.
“Clarissa? “
tentò il chitarrista, colpendo la porta con discrezione “Hai bisogno d’aiuto?”
Niente.
La ragazza fissò
il marito, indecisa sul da farsi, e un suo cenno la convinse a fare capolino
nel bagno…
“Ehi, abbiamo
sentito dei rumori…” esordì a bassa voce per poi interrompersi bruscamente, il
respiro morto in gola.
Tom la richiamò
perplesso: “Gi? Che c’è?”
“Claire, oddio…”
Non guardò
neanche per un istante il suo corpo nudo.
La prese in
braccio, infradiciandosi quasi completamente, e prese a schiaffeggiarle il
volto per tentare di risvegliarla con Giovanna al suo fianco, che la copriva alla meglio con un
asciugamano, in preda al panico, mentre cercava il medico di famiglia al
telefono.
~~~
“Come sta?”
“Un po’ meglio,
il peggio è passato…”
“Ha bisogno di
essere ricoverata?”
“No, ma quello
che le è successo è una sorta di… campanello d’allarme. La vostra amica ha
bisogno di farmaci. E di riposare.”
“Che tipo di
farmaci?”
“Tranquillanti.
Leggeri, almeno per il momento. Vorrei farle fare un ciclo di dieci giorni con
un farmaco nuovo, leggero, non la scombussolerà più di tanto, solo dormirà un
po’ più profondamente, almeno all’inizio…”
“Tranquillanti?
Per Claire?”
“Ce n’è bisogno,
Tom.”
“Ho capito, ma…”
“Dottore, non
avrà bisogno, non so, di parlare con qualcuno?”
“Io non sono uno
psichiatra, ma… da quel che ho capito, la ragazza necessita solo di serenità e
di amici con cui stare. Fondamentalmente è molto abbattuta, ma risponde agli
stimoli, sia nel fisico che nella mente. Non è depressa, né isterica.”
“Certo che no.
Non lo è mai stata.”
“Non volevo dire
questo, Tom.”
“Lo scusi,
dottore… Ci siamo spaventati moltissimo, credevamo che volesse… che volesse
uccidersi.”
“Parlatene con
lei appena sarà un po’ più in forze. Abbiamo fatto una chiacchierata durante
la visita e le sue intenzioni non erano quelle. Ma voi la conoscete sicuramente
meglio di me…”
“Grazie per
essere accorso subito… Non volevamo trascinarla di nuovo in ospedale…”
“Dovere, dovere.
Chiamatemi ogni volta che ne avrete bisogno. E statele vicino.”
“Di sicuro.
Grazie ancora, dottore, arrivederci…”
“Buonasera a
voi.”
Tom si chiuse la
porta alle spalle e incrociò gli sguardi ancora scossi di Giovanna e Dougie,
corso a casa Fletcher dopo che aveva chiamato il collega per dirgli che aveva
con sé parte delle cose di Clarissa da consegnarle.
“Vogliamo andare
a vedere… come sta?” propose proprio il bassista, esitante, puntando le scale con gli occhi.
Giovanna fece
spallucce con aria dubbiosa e Tom si fece avanti per primo: “Sì, controlliamo
se è sveglia…”
“Credo che mi
verrà un’influenza paurosa, ma sono qui…” la sentì dire appena entrò nella
stanza, seguita dai due musicisti.
“Si può?”
domandò Dougie.
“Certo che
potete… “ rispose la ragazza con un sorriso gentile mentre si sistemava meglio
l’asciugamano sulla testa per tamponare i capelli umidi.
Tom e il
bassista le sedettero accanto, Giovanna la fissò rincuorata dai piedi del suo
letto, nella stanza degli ospiti.
“Ti fa ancora
male la caviglia?” si informò “Non sarebbe meglio spalmarci qualche pomata
sopra?”
“Tranquilla, era
solo una storta, non si è neanche gonfiata…” la rassicurò la bionda,
rivolgendosi poi ai due ragazzi: “Voi state bene?”
Dougie ridacchiò
nervosamente, imitato da Tom, che rispose per entrambi: “Adesso sì. Adesso sì…”
“Non volevo fare
quello che state pensando” intervenne subito la ragazza, seria “E’ stato… è
stato un momento. Ha cominciato a girarmi la testa e sono svenuta. Tutto qui.”
“Un-“
“Crollo nervoso.
Sì, Doug. È stato quello e… sono svenuta perché non ho retto.”
“Vuoi riposarti
un po’, Claire? Ti ho messo i vestiti a lavare, il cambio lo ha portato Doug…”
fece Giovanna, premurosa.
Dougie confermò:
“Ti ho preso i vestiti, i libri e tutta la roba per il bagno. Al resto penserà
Harry, l’ho lasciato ancora indaffarato in casa…”
“Grazie,
Poynter” ribatté Clarissa, spettinando grossolanamente i capelli dell’amico “E
grazie anche per aver portato il borsone pieno di tutta la roba fin quassù…”
“Di niente.
Forse Judd si farà vivo in serata. Ti farà sapere lui. Io vado adesso, Frankie
vorrà sapere come stai… Ci vediamo in questi giorni, ok?”
“Volentieri,
certo…”
“Riposati!”
Un bacetto
veloce sulla fronte e il bassista uscì dalla stanza dopo aver salutato anche l’amico.
Giovanna lo accompagnò fino alla porta d’ingresso.
Clarissa e Tom
rimasero soli.
La ragazza gli
lanciò un’occhiata sorridente e gli disse: “Non è successo niente. Devi stare
tranquillo, ok?”
Il chitarrista
ribatté con aria angosciata: “Lo so. È che… per un attimo ho avuto paura sul
serio…”
Lei spense il
suo sorriso e lo avvertì: “Il dottore mi ha detto che dovrò prendere dei
tranquillanti. La cosa non mi piace, ma se dicono che mi farà stare meglio… Ho
paura. Mi sento come se in qualsiasi momento potessi rivivere quello che è
successo…”
“E’ finito,
Claire. Sei qui, lontana da tutto e da tutti. Ci siamo noi con te, ok? Ci sono
io…” la rassicurò il ragazzo, stringendole la mano destra.
L’altra aumentò
la stretta e ribatté con voce tremante: “Ho sbagliato. E adesso devo pagare. È
come se… come se stessi cercando di portare in salita un masso enorme sulle
spalle. Sono stanca, mi sento sempre stanca, io non so se…”
“Ce la farai” la
interruppe l’altro, guardandola negli occhi “Non importa quanto ci vorrà o
quante ricadute avrai. Non lascerò che tu ti arrenda. Te lo prometto, fosse
l’ultima cosa che faccio.”
Clarissa annuì
con il labbro inferiore tremulo e abbracciò il suo migliore amico, ricacciando
indietro le lacrime.
“Andrà tutto
bene, sì…” mormorò, facendosi coraggio.
“Questo è lo
spirito giusto…” sorrise Tom, accarezzandole la schiena.
~~~
Si incontrarono
in corridoio e Danny sobbalzò per la sorpresa. Harry lo salutò per primo.
“Ciao. Scusa,
sono solo venuto a… prendere alcune cose di Claire…”
“…Ah” fu la
replica apatica del chitarrista, che mollò le chiavi dell’auto sul mobile vicino
alla porta per poi dirigersi in cucina, alla ricerca di una birra fresca in
frigorifero.
Il batterista
continuò ad accumulare indisturbato gli effetti personali della sua amica in un
grosso zaino: pochi indumenti che Dougie non era riuscito a far entrare nel
borsone, qualche CD, un paio di fotografie incorniciate, i medicinali, un
aspirapolvere, alcuni prodotti di bellezza. Gli ci era voluto un po’ per
trovare tutto quanto, ma il peso finale non sembrava essere granché
ingombrante. Si caricò la sacca sulle spalle ed imbracciò l’aspirapolvere.
Dando una rapida
occhiata all’orologio constatò che si erano già fatte le sei. Decise di
andarsene.
Ma non prima di
aver chiesto una cosa a Danny…
“Io qui ho
finito” annunciò all’amico seduto al tavolo, pensieroso e freddo “Le chiavi per
entrare me le ha date Clarissa. Che cosa ci faccio?”
Gliele sventolò
davanti con disinvoltura dopo averle estratte dalla tasca dei jeans; il
chitarrista gli si avvicinò per togliergliele e rispose impassibile: “Queste
sono di casa mia. Le terrò io.”
Annuì,
camuffando una nota di delusione negli occhi, e fece per salutarlo con un
semplice “Ci vediamo”.
Ma l’altro lo
costrinse a fermarsi sull’uscio.
“Ha mandato te,
dunque. Si è fatta servire e riverire. Siete stati molto… cortesi…” insinuò con
sarcasmo con la voce stranamente impastata.
Il ragazzo
ridusse gli occhi a due fessure e ribatté lapidario: “Io e Dougie ci siamo
offerti di portare tutte le sue cose a casa di Tom, che la ospiterà per un po’
di tempo. È finita in ospedale per una crisi di nervi. Giusto perché tu lo
sappia.”
Lo lasciò a quel
modo, sbattendo il portone.
Danny rimase
immobile in mezzo all’ ingresso, la bottiglia di birra in una mano e il mazzo
di chiavi nell’altra.
Sbuffò
stancamente e scosse la testa, disgustato.
Che amici del cazzo…
Cassie sì che
gli era stata d’aiuto. Lei non lo aveva lasciato solo.
Lo aveva difeso
a spada tratta, gli aveva offerto il proprio sostegno e aveva concluso la loro
rinfrancante chiacchierata con un bel “Chiamami
se hai bisogno di me, Dan. Io ci sono.”.
Lei c’era. Lei.
Loro…
Loro erano da
Clarissa. A consolare, aiutare, difendere, sostenere Clarissa.
Gli scappò una
risata amara mentre tornava in cucina.
Qui la vittima sono io… e che succede?
Che vanno tutti da lei, povera piccola innocante troia.
Stronzi.
Finì la sua
prima bevuta e ne prese una seconda, preferendo un bicchiere di vodka.
Dopo due lunghe
sorsate si ritrovò a fissare il soffitto con gli occhi lucidi.
Si sentiva
triste. Solo. Abbandonato. Rifiutato senza un motivo. Rimpiazzato.
… Ospedale?
Gli ritornarono
in mente le ultime parole di Harry pochi istanti più tardi, in mezzo alle
immagini sfocate di Clarissa, prima sorridente e poi urlante dietro alla sua
auto.
***
Titolo del capitolo: direttamente dai versi di "Down goes another one", dell'album "Radio: ACTIVE". No lucro!!!
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