Falling in love

di Ciribiricoccola
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I've got you ***
Capitolo 2: *** Can't stop diggin' the way you make me feel ***
Capitolo 3: *** We'll be going through the motions, go go go! ***
Capitolo 4: *** Party girl ***
Capitolo 5: *** For tonight you'd better stay with me ***
Capitolo 6: *** Met this girl ***
Capitolo 7: *** I'm looking at you from another point of view ***
Capitolo 8: *** Let's convince ourselves it's all under control ***
Capitolo 9: *** Please please ***
Capitolo 10: *** Is it all just a sign of what is meant to be? ***
Capitolo 11: *** I don't know what to do, what to say ***
Capitolo 12: *** It cheers you up when you feed it, but everyone needs to eat ***
Capitolo 13: *** You're pushing me out when I wanted in ***
Capitolo 14: *** Everybody's having fun to the sound of love ***
Capitolo 15: *** This is goodbye ***
Capitolo 16: *** I drowned all those feelings in the flood ***



Capitolo 1
*** I've got you ***


clarissa

McFlyane e non... Salve a tutte!

E... date un caloroso bentornato a Clarissa!!!

Sì, è tornata, l'ho fatta tornare, non potevo farne a meno, non dopo una storia così lunga ed importante come "Point of view", che mi auguro vi abbia segnato come ha segnato me. 

In questa seconda parte della sua storia con i McFly succederanno un pò di cose. Già so che vi arrabbierete e che proverete ansia come avete fatto in "P.O.V.", ma non voglio anticiparvi niente! Per adesso vi lascio il primo capitolo, che può essere visto anche un pò come il prologo di tutta la vicenda. Non preoccupatevi se lo troverete noioso, perchè... il bello deve ancora venire. Si sa, Clarissa deve carburare un pò prima delle sue sgassate :).

Spero di ritrovare le mie fantastiche recensitrici di "P.O.V.", e magari anche qualche new entry! Ma intanto... buona lettura!

Un abbraccio dalla vostra sempre fedele

Ciry

NB: i McFly non mi appartengono, questa storia è frutto della mia fantasia e viene pubblicata senza scopo di lucro.


Clarissa sorrise, stupita, e raggiunse Danny in camera da letto.

“Hai suonato quel che penso?” gli domandò speranzosa, interrompendo il suo strimpellare a letto.
“Cosa? I Beatles?” chiese il ragazzo a sua volta, ammiccando.
“Tu suoni i Beatles?!”
“Qualche volta…”
“C’è vita dopo Bruce Springsteen? Non ci posso credere!” esclamò la ragazza, prendendolo in giro e facendogli scuotere la testa con un sorriso.
“Sì, riesco a suonare anche altre canzoni, ok?”
“Sì, ma quella non era né Yesterday, né Help!, né nessun’altra commercialata!”
“E allora?”
“E allora conosci anche gli inediti dei Beatles, tu?” gli fece, avvicinandosi al letto per poi sedersi accanto a lui.

Danny scosse nuovamente il capo, reprimendo una risata, e tornò a strimpellare senza risponderle… Pochi secondi dopo, confermò i sospetti della sua ragazza, canticchiando.

Who knows how long I've loved you…
You know I love you still…

“Lo sapevo!” lo interruppe Clarissa, stampandogli un bacio sulla tempia.
“Donna di poca fede che si ostina a credermi un musicista ottuso ed ignorante…” la canzonò il ragazzo, per poi posare la sua chitarra acustica accanto al letto ed intrappolare la fidanzata nella propria stretta affettuosa.
Clarissa finse di lamentarsi, simulò una ferrea resistenza per qualche istante e poi scoppiò a ridere, ricambiando l’abbraccio di Danny e lasciandosi finalmente baciare con trasporto.

 

 

La osservò dormire e sorrise, divertito: aveva la bocca semi-aperta e aveva sbavato sul cuscino, ma anche un po’ sul suo torace.
Le accarezzò delicatamente i capelli e sospirò, un po’ stanco, ma felice.
Il braccio di lei si mosse per cingergli meglio il busto.
Si spostò leggermente per darle più spazio e accoglierla sotto la sua spalla, dopodiché si mise a fissare il soffitto, pensieroso.


Era riuscita a farlo sentire un uomo felice e forse neanche se n’era resa conto.
Era determinata, forte e capace di trasmettergli un’energia che non aveva mai saputo di possedere.
Era tutto racchiuso lì, in quel metro e sessanta stentato, in quella testolina bionda.
Semplicemente incredibile.
Aveva sempre pensato che lo fosse, ma da un paio di anni a questa parte, l’effetto che aveva su di lui si era rivelato ogni giorno più forte, più positivo, più devastante e più benefico.

Anche i ragazzi non mancavano di farglielo notare: gli dicevano che erano una coppia perfetta, che a lui faceva bene una relazione così, stabile e serena.
Ma soprattutto divertente.
Perché Clarissa era più divertente di quanto mai potesse immaginare!
Lo faceva ridere ogni volta che provava, senza successo, a suonare la chitarra e, due minuti dopo, si spazientiva.
Lo faceva sentire compreso quando lei si dimostrava d’accordo con i suoi punti di vista, anche quelli più bislacchi.
E lo faceva diventare letteralmente pazzo a letto.
Si ricordava, e anche piuttosto piacevolmente, di molte ragazze disinibite che gli avevano fatto compagnia nelle sue notti brave, e Clarissa non era certamente la prima che faceva sesso con lui, no. Nessuno dei due era un novellino.
Lui, poi, poteva sfoggiare un’esperienza piuttosto notevole; Clarissa no, era solo al suo secondo ragazzo.
Ebbene, sembrava nata apposta.

Bella da star male, senza nessuna vergogna, passionale, versatile ed instancabile.
Se due anni prima glielo avessero detto, non ci avrebbe mai creduto: aveva sempre conosciuto la Clarissa riservata e meditabonda, seppur anche socievole e alla mano.
E chi se lo immaginava che potesse avere un’altra faccia, così opposta a quella che mostrava al mondo?

 

Clarissa si svegliò, muovendosi pigramente al suo fianco, e lo distolse dai suoi pensieri.

“Mmmhhh…”
“Buongiorno…”
“’Giorno…”
“Dormito bene?”
“Sì… Tu? Hai dormito?”
“No, non tanto…”
“Uffa…” si lamentò la ragazza “Potevi svegliarmi, almeno ti facevo compagnia, invece di lasciarti a tu per tu con il soffitto…”
“Guarda, che mi sono divertito a guardarti mentre spargevi saliva dappertutto!” ridacchiò Danny.
“Che schifo!” reagì lei, mettendosi una mano davanti alla bocca per poi ridere insieme a lui.

 

 

 
“Dan, non esiste. Ok? Non mangerò roba cucinata su quel fornello!”
“C’è una macchia d’olio, Clarissa, una! Singola, sola!”
“E non voglio neanche sapere da quanto è lì! Mi basta sapere che c’è e basta…”
“Va bene, va bene, ora prendo lo sgrassatore e…”
“Ogni volta devo fartelo notare, prima che tu ti applichi! Non ci arrivi proprio!”
“Quante volte sarà successo, forza?!”
“Più di una volta, e io me lo ricordo, non negarlo!”
“Più di una volta, sì, ovvero due!”
“Magari!”
“Clarissa, lasciatelo dire: sei noiosa, quando fai così...”
“E tu sei negligente, va bene? Mi giro un attimo, per una mezza giornata non penso a pulire la cucina e figurati se mi posso affidare a te!”

Clarissa uscì dalla cucina e andò a chiudersi nella stanza degli ospiti, sbuffando rumorosamente.
Si era appena accasciata sul letto, quando il cellulare vibrò nella tasca laterale dei suoi jeans.

“Pronto?”
“Thompson! Ti disturbo, stavi mangiando?”
“Buongiorno, Tom… No, no, tranquillo, ero qui in camera a… non fare niente…”
“Ho interrotto te e Danny? Ti supplico, dimmi di no o mi metto a ridere come un isterico!”
Clarissa sorrise e ribatté: “No! Sono sola, in questo momento!”
“Ah! Jones è fuori?”
“No, sta in cucina…”
“Ti prepara i manicaretti?”
“No, pulisce il piano cottura, dato che lo ha lasciato incustodito per due giorni… Io mi ritrovo a fare l’inventario e questa casa automaticamente diventa un porcile…”

Colta l’arrabbiatura nella voce della sua migliore amica, Tom sdrammatizzò: “Tu sei una fiscalista e lui un musicista, neanche riesco a capire come due come voi riescano a stare insieme, quindi sii buona, dài, non maltrattarmelo troppo, eh?”
“Tom…” sospirò di rimando Clarissa “La convivenza è questo ed altro. Io non dico che lui sia un fannullone che bivacca dalla mattina alla sera, è solo che a volte… non collabora,non c’è niente da fare!”
“Datevi tempo, piccioncini! Penso di potermi permettere di darvi questo consiglio! La strada è lunga e tortuosa, e alla fine, forse, arriva l’armonia… Sottolineo il FORSE: Gi ancora si ostina a lasciare accesi tutti i lampadari di casa al suo passaggio, perché il buio mentre cammina le da fastidio… e conviviamo da tempo immemore!”

La ragazza sbuffò, presa in contropiede: sapeva che Tom aveva ragione, come aveva avuto ragione moltissime altre volte con lei.

“Fate i bravi, Claire, su…” la esortò il ragazzo, per poi chiederle: “Perché stasera non venite a cena da noi? La zia di Gi ha portato le tagliatelle fresche!”
“Perché no? È allettante la cosa! Se non ammazzo prima il tuo amico chitarrista, veniamo da voi alle sette e mezza, ok?”
“Dio ci salvi… Perfetto, sette e mezza, casa Fletcher. E portamelo intero! A stasera, Claire, ciao!”
“Ciao, ciao…”

Riattaccò e si mise una mano tra i capelli, sospirando.
Lei fiscalista e lui musicista.
Sì, ci aveva azzeccato, come al solito.
Ma lui aveva bisogno di lei per sentirsi sicuro e stabile.
E lei aveva bisogno di lui per sentirsi viva.

 
Danny bussò alla porta e, non ricevendo risposta, si affacciò qualche secondo dopo, trovandola seduta sul bordo del matrimoniale.

“Ehi…” la chiamò piano; lei si voltò a fissarlo, inespressiva.
“Io di là ho… sistemato. Ti va una bistecca ai ferri?” propose il chitarrista.
“… Per me fa lo stesso” fu la laconica risposta da parte di lei, che però si pentì quasi immediatamente.
Sperò che non se ne andasse o che non si arrabbiasse per il tono che aveva usato.
E infatti le si sedette accanto, poggiando la fronte contro la sua tempia.

“Mi dispiace, so di fare ancora schifo come casalingo… ma voglio migliorare…” le disse con voce triste.
Clarissa cedette, si voltò per appoggiare la propria fronte contro la sua e ribatté: “Scusa anche tu… Sono una… fiscalista. E dovrei smettere di esserlo, lo so.”
Danny le baciò il naso e commentò con una punta di amarezza nella voce: “Litighiamo sempre per delle cazzate…”.
La ragazza sorrise, un po’ triste, e non rispose, limitandosi a tenere lo sguardo basso.
Danny la imitò nel suo mutismo per un po’, finché non le prese il viso tra le mani per rassicurarla…

“E se ci venissimo incontro a vicenda? Sicuramente andrebbe meglio, ti pare?” propose.
La ragazza tentennò un po’ prima di annuire e aggiunse: “Non sarà facile, lo sai, vero?”
“Ma se non ci proviamo, non lo sapremo mai…”

Il suo sorriso ottimista la rinfrancò.
Lo strinse a sé, godendosi il profumo naturale della sua pelle, mescolato a quello pungente dello sgrassatore.
Danny la mordicchiò scherzosamente sul collo, facendola sobbalzare.
“Ahi, scemo!” esclamò con un sorriso.
“Ho fame!” reagì il ragazzo.
“Romantico… come al solito!”
“Ti porterò in cucina in braccio!”
“Ma non ci pensare neanche, non sono mica parapl…”

Protestò inutilmente, orami intrappolata tra le braccia del suo ragazzo.
Quel testone.
Quell’adorabile testone.

Clarissa gli schiaffò un bacio in guancia e si lasciò portare in cucina per pranzare, finalmente.

***
Note:
Danny canticchia la canzone dei Beatles, "I will". Non c'è nessuno scopo di lucro!
I titoli utilizzati nella FF sono tutti tratti dalle canzoni dei McFly, sia nei titoli che nei testi.


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Capitolo 2
*** Can't stop diggin' the way you make me feel ***


clarissa

Salve a tutti!!!

Posto più che volentieri questo secondo capitolo per due ragioni: il primo è stato noioso e statico, e anche se era necessario costruirlo in quel modo, era altrettanto giusto dargli al più presto un successore! E l'altra ragione... bé, magari dopo averlo postato avrò più attenzione su questa storia da parte vostra :).

Detto questo, ringrazio RubyChubb, ormai onnipresente come critica, sostenitrice ed amica quando scrivo una storia. E anche quando, invece che Ciry, sono solo Silvia :).

E grazie anche a chi ha visitato la mia storia senza recensirla!

un pensierino è comunque più che gradito, anzi, è linfa :)

Ciry

La cena a base di tagliatelle ai funghi cucinate da Gi aveva rasserenato gli animi di tutti, e soprattutto aveva riempito a dovere gli stomaci: Tom e Danny stavano giocando con Marvin in giardino, mentre Clarissa e Giovanna bevevano del tè freddo, sedute sul divano in salotto, di fronte ad un gioco da tavolo a cui Danny aveva vinto e che ora nessuno considerava più.

“Che pace, quando i bambini non sono nei dintorni!” scherzò Gi, facendo riferimento ai due ragazzi.
Clarissa commentò con una risatina mentre beveva, e gettò un veloce sguardo fuori dalla finestra per scorgere Danny, massacrato alle braccia dai piccoli artigli del gatto.
“Tranquilla…” le fece l’amica, sorridendole con fare canzonatorio “Non scapperà da un momento all’altro, ormai lo hai preso al guinzaglio… e poi guarda verso questa benedetta finestra da quasi mezz’ora, a intermittenza! Gli verrà il torcicollo e neanche te lo rinfaccerà!”
La bionda fece finta di offendersi e fece una smorfia prima di affermare: “Non posso farci niente, va bene, brutta invidiosa?!”
Giovanna rise e ribatté: “Per carità! Ho deciso di non commettere mai nella vita l’errore di infatuarmi di Danny quindici anni fa, quando vidi per la prima volta la sua stanza! Un trauma, decisamente peggiore di quello che mi causò la vista della camera del tuo amico, là fuori!”
“Lascia stare Fletcher, strega! Lui è sempre stato adorabile, e lo sai!” reagì l’amica con tono scherzoso, ma convinta della sua affermazione.
“Ma sì, ma sì… Molto spesso lo è … ma molto spesso è anche detestabile, fidati…”
“Personalità da musicista…”
“Personalità da rompipalle, altroché! Negli ultimi anni è diventato ancora più pignolo di prima, poco ci manca prima che trovi il coraggio di fargli lo scherzo di poggiare un bicchiere bagnato sul tavolino da fumo senza sottobicchiere! Solo per vedere come reagisce! Perché c’è da riderne…”
“Tom… A Tom importa di queste stronzate?”
“Sì! Ma non si mette ad alzare la voce e a dire Cazzo, Giovanna, una volta per tutte, impara che ci vuole il sottobicchiere!... No! Lui borbotta! Inizia con un gorgoglio sommesso, mi lancia due o tre occhiate fulminanti, ma intanto non mi dice niente di umanamente comprensibile! E alla fine, quando gli chiedo cosa c’è che non va, lui sbotta, mi indica il bicchiere e dice sempre e solo Ma ci arrivi o parlo con i muri?!!!! “
Clarissa inarcò un sopracciglio, perplessa, e Giovanna annuì, commentando: “Lo so, all’inizio anche io restavo perplessa… Ora ci ho fatto l’abitudine…”
“Sai, non… non riesco proprio a vedercelo!” intervenne l’altra.
“Ma è ovvio: tu non vivi con lui tutti i giorni, ventiquattro ore al giorno… Vi siete sempre frequentati da amici, più fuori casa che dentro, e poi lui con gli amici è diverso, è più… permissivo... E’ normale, direi!”
“Però hai fatto bene ad avvisarmi! Stavo per mettere il mio bicchiere sul tavolino!” esclamò la ragazza, prima di scoppiare a ridere con Gi, che subito dopo le domandò: “E Dan? Come ci stai, tu, con quel mezzo matto? E’ un tenerone, vero? L’ho sempre visto come un orsacchiotto cresciuto!”
Clarissa inclinò leggermente il capo, ponderando una risposta soddisfacente, e rispose esitante: “Ehm…  Danny è… affettuoso, sì, molto… No, sul serio, non posso lamentarmi, perché, tutto sommato, non gli manca nulla! Mi fa sentire bene, ma sul serio, non come una cotta qualunque…”
“Ma…?”
“Ma…”
“Non ti ascolta?”
“Bé, non è proprio ques…”
“Non è abbastanza bravo a letto?”
“Gi, no!!!”
“No cosa?! No, non è bravo a letto o no, non ho ragione?!”
“Non… non hai ragione, no!”
“Ah! Bé, meno male! E allora cosa c’è che non va?!”
Clarissa sospirò ed esclamò: “Se mi fai parlare…!”
“Sì sì sì, per carità, scusa. Parla.”

La ragazza si tirò indietro i capelli, abbassando per un attimo lo sguardo, poi riprese: “Non ci starei ancora, dopo due anni, se non mi trovassi davvero bene. E non m’importa se c’è gente che dice che solo durante i primi anni tutto è una meraviglia e i difetti non li noti… La nostra storia è la nostra storia, così come ogni altra coppia ha la propria! Io sono… estremamente fortunata. Fortunata a stare con Danny e a starci anche bene! Sono innamorata di lui, Gi, non scherzo. E’ solo che, a volte… l’immagine che ho di lui… e che ho sempre avuto… si macchia un po’. Tutto qui…”
Giovanna annuì lentamente, in silenzio, e dopo qualche secondo le disse: “E’ sempre stato perfetto, bello come il sole, senza neanche l’ombra di un difetto… e poi…”
“E poi” intervenne l’amica “spunta fuori che è sempre in ritardo quando si tratta di andare a fare spese per la casa insieme… E poi… non parliamo di come lascia il bagno o la cucina… Insomma, cacchio, quando tocca me o la chitarra è perfetto, preciso, efficace, completamente… funzionale! E invece, per certe piccolezze…”

Si interruppe bruscamente, sentendo il rumore della porta-finestra che si apriva sotto la spinta di Tom, seguito da Danny. Giovanna si voltò, capì al volo di non dover fare ulteriori domande e lanciò un’occhiata di intesa alla ragazza, prima di rotearle l’indice destro davanti, per rimandare a più tardi la conversazione.

“Amore! Ci avete lasciato un po’ di tè? Marv non ne può più!” esclamò Tom, tenendo in braccio il povero micio, distrutto dal troppo giocare.
Gi si voltò verso di lui, gli prese delicatamente il felino dalle braccia, gli baciò velocemente il naso e rispose: “Sì, è in frigo che aspetta!”
Clarissa sorrise di fronte alla scena mentre Danny le sedeva accanto, poi lasciò che Marvin, sceso dal petto della sua amica, si prendesse il suo posticino caldo sul divano, proprio accanto a lei.
“Quello non è un gatto normale! Guarda che mi ha fatto!” se ne uscì Danny, scherzoso, mostrandole gli avambracci pieni di graffi.
“Oh, poverino!” ribatté la ragazza, fingendosi disperata “Questo grosso e feroce leone ti ha distrutto!”
“Già… Ho bisogno… di cure!” le disse lui, abbassando la voce e finendo per farle il solletico dopo averla abbracciata.
Clarissa rise e prese un altro bicchiere di tè insieme a Danny.
Quando, per caso, si ritrovò a poggiare il proprio bicchiere sul tavolino da fumo senza il sottobicchiere, fece per riprenderselo, ma poi si trattenne ed osservò la reazione di Tom.
Assolutamente tranquillo, come se non fosse mai esistito alcun bicchiere sul tavolo.
Giovanna le lanciò un’occhiata complice e scosse impercettibilmente la testa con un sorriso.

 

 

“Noi ci vediamo in studio la prossima settimana! E tu, tu, demone travestito da donna, non sciuparmelo! Non ho chitarristi di riserva!”
“No, sta’ tranquillo, te la riporto intera, la tua ragazza!”

Clarissa abbracciò Tom, che per ricambiare le solleticò la vita, poi salutò anche Gi, che le disse piano in un orecchio, approfittando dei saluti che i ragazzi si stavano scambiando: “Comunque non andare in paranoia per niente, state andando benissimo così, Claire…”
La ragazza annuì prima di ricevere un veloce bacio in fronte dall’amica.

 

“Perché ridevate come ossesse prima, tu e Gi?” le chiese Dan, cingendole le spalle con un braccio.
Clarissa fece la gnorri e rispose: “Barzellette, pettegolezzi, cose da donne!”
“Scommetto che l’oggetto delle barzellette eravamo io e Tom!” insinuò il chitarrista, iniziando a ridacchiare.
“Siete i famosi McFly per il mondo, non per noi, mia cara primadonna…” lo rimise al suo posto lei, maliziosa.
“E vorresti farmi credere che non stavate sparlando di noi?!”

Clarissa non aveva mai avuti segreti con Danny: non era mai riuscita a nascondergli niente, né le cose belle, né le cose brutte.
Neanche quelle insignificanti.
Aveva sempre sentito il bisogno di condividere quante più cose possibili con lui.

“Dan. Abbiamo parlato di cicli mestruali, di figure di merda delle nostre peggiori nemiche e ci quanto siamo incapaci di fare diete! Impiccione!”
“Ah!” esclamò il ragazzo, un po’ stupito dal tono deciso della fidanzata “Va bene! Allora… bé, ok, mi risparmio la curiosità!”.

Mentre si rannicchiava un po’ di più sotto la spalla del ragazzo, Clarissa si morse il labbro inferiore, sentendosi in colpa.
Ma rimase in silenzio.

 

Nel bagno di casa, inspirò profondamente ad occhi chiusi per non imprecare di fronte al lavandino completamente inzaccherato, con tanto di specchio pieno di schizzi d’acqua.
Danny era stato in bagno cinque minuti prima di lei.
“Deficiente, cosa ci hai fatto, una nuotata, qua dentro, eh?” mugugnò a denti stretti mentre si accingeva ad asciugare il tutto con un panno assorbente.

Pochi secondi dopo, si stava lavando svogliatamente i denti, lasciando allo spazzolino elettrico il compito di strusciare e ripulire i denti.
Lei era occupata a fissare la propria immagine allo specchio, meditabonda.

Lo strozzerei, quando fa così…” pensò per poi scuotere la testa.
Claire, vagli incontro, stai zitta e vagli incontro…

 

Un po’ assonnato, Danny sbadigliò mentre stava navigando su Internet con il suo portatile sulle cosce, sotto le coperte.
Aveva voglia di fare un po’ di coccole a Clarissa, ma se non si fosse sbrigata… lo avrebbe presto trovato ronfante nel mondo dei sogni.
Le era sembrata vagamente irritata dalle domande che lui le aveva rivolto mentre tornavano a casa, poco prima, dunque voleva rimediare, facendo un po’ il romanticone.
Il ciclo, ancora una volta, era vicino, e il suo tempismo, doveva ammetterlo, non era stato dei migliori: sapeva che, al minimo passo falso, la sua ragazza avrebbe scatenato il finimondo.
D’ora in poi, un po’ più d’attenzione…” si autoammonì in silenzio, anche se un pizzico di angoscia gli saliva allo stomaco all’idea di dover pesare ogni singola parola di fronte a lei, durante quei giorni.

Dan, su, non è niente, valle incontro come hai promesso!

 

 
Le sue mani grandi, da sempre la parte di lui che più amava, le cinsero i fianchi con una lentezza maliziosa a lei ormai familiare, ma mai noiosa, per fortuna.
“Divertita stasera?” le chiese sottovoce nel buio.
“Mh-mh…” affermò lei con un sorriso tranquillo.
“E… quanto sei stanca?”
“Cosa?”

Pericolo: la spia rossa del sospetto, resa più permalosa dal ciclo mestruale vicino, lo fece correre ai ripari: quel tono non gli piaceva per niente.

Disse con disinvoltura: “Volevo farmi perdonare per aver fatto la figura del giornalista impiccione prima, mentre stavamo rientrando…”
Clarissa si voltò verso di lui, intenerita, e chiese con voce minuscola: “E come?”
Danny sbuffò una piccola risata sulla sua fronte e le appoggiò la testa sul torace, mentre lasciava che le sue gambe si intrecciassero, anzi, si avvinghiassero, alle sue, sottolineando ancora di più la differenza di altezza tra di loro, cosa che a lui aveva sempre fatto molta tenerezza.
Il suo sospiro compiaciuto lo tranquillizzò definitivamente, così iniziò ad accarezzargli la spalla, rimanendo in silenzio e godendosi il suo profumo, quello che di notte le sentiva sempre addosso: una piacevole mistura di chissà quale crema idratante e della sua pelle fresca, lavata da poco.

Clarissa passò una mano sul petto nudo del fidanzato, e disegnò dei grandi cerchi invisibili con il palmo, percependo a tratti il battito tranquillo del suo cuore.
Le venne automatico stamparvi sopra un piccolo bacio, mentre sorrideva con aria soddisfatta senza che lui lo sapesse.

Sì, si riteneva davvero molto fortunata.

E anche se a volte i suoi errori, piccoli o grandi che fossero, la facevano irritare, lui rimaneva comunque un ragazzo meraviglioso, il suo ragazzo, suo e di nessun’altra, quello a cui non avrebbe mai e poi mai rinunciato.

“Domani devi andare in studio?” gli domandò, alzando lo sguardo verso di lui.
Scorse il riflesso dei suoi occhi azzurri mentre le rispondeva: “No, per adesso no, Tom sarà pronto solo la prossima settimana con i pezzi…”
“Devi andare da mamma allora?”
“…No…” fece lui, esitante “Almeno, non mi ha chiamato, vuol dire che ci andrò nel fine settimana, come al solito… Perché?”

Vide i suoi grandi occhi scuri scintillare e seppe che stava sorridendo. Come lui.

“Domani ho il turno pomeridiano, entro alle due…” la sentì insinuare, mentre la mano, dal torace, si era spostata sul ventre.

“Oh… Cristo santo…” pensò, eccitandosi, colto alla sprovvista e piacevolmente sorpreso da tanto spirito di inziativa.

Per risponderle, puntò sull’ironia e ribatté: “Fantastico… Avrai più tempo per dormire… Non sei contenta?”
Alla sua risata appena accennata seguirono dei movimenti lenti e ben studiati: si stava mettendo a cavalcioni sopra di lui; Danny finì per sentire le sue ciocche di capelli ribelli sul viso.
“Non devi fare… lo spiritoso…” lo ammonì con voce roca e sorridente “Non quando... sei mezzo nudo. E, per giunta, sotto di me…”
Il ragazzo roteò gli occhi e li chiuse per qualche istante, godendosi l’eccitazione crescente, e intanto accarezzò con lentezza le cosce di Clarissa, percorrendole per intero fino ad arrivare al fondoschiena, coperto da un paio di pantaloncini che ben presto finirono sul pavimento.

***

Per  chi non conosca l'identità di MARVIN... bè, è il pelosissimo, rossissimo e bellissimo gatto rosso di Tom e Giovanna :) Purtroppo ho trovato solo una sua foto da piccolo, ma fidatevi se vi dico che ora è un discreto gattone!

Il titolo del capitolo è preso dal ritornello di "The way you make me feel", dei McFly.

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Capitolo 3
*** We'll be going through the motions, go go go! ***


claire

Ciao di nuovo!

Da quando ho creato la serie "McClaire" (all'incirca 3 settimane fa), ci sono state ben 10 visite! Sto facendo dell'ironia, è ovvio, perchè mi piacerebbe che ce ne fossero di più, però devo anche dire che 10 è un bel numero, se consideriamo che le mcflyane su EFP sembrano non essere molte!
Mi sento piuttosto rincuorata :).

Posto il nuovo capitolo, ancora una volta puntuale, e soprattutto aiutata dalla fortuna, perchè a quest'ora non sarei qui se il temporale tremendo di ieri avesse continuato a rompere le scatole qui in Toscana...

Vi avverto in anticipo: siete davanti ad un noioso (ma necessario) capitolo di transizione, non vogliatemene e cercate di capire che senza queste righe la storia non avrebbe senso!

Ringrazio ancora una volta RubyChubb per le sue recensioni :) esattamente ciò che mi ci vuole, sempre, per farmi andare avanti su questo sito.
So che siete là, da qualche parte, voi, lettrici mcflyane, quindi non siate pigre :P e oltre a seguire Tom su Twitter, recensitemi, ve ne sarei grata :)

Alla prossima settimana!

***

Si avviò in libreria a piedi, come sempre, lasciando che l’aria ventosa degli ultimi giorni la svegliasse un po’.

Nonostante si fosse lavata, vestita e pettinata, si sentiva tutta scombussolata, e quella brezza priva di orientamento che si insinuava ovunque in strada di certo non la aiutava a stabilizzarsi.

 

 

“Anne?” chiamò, cercando con gli occhi la collega nel retro- bottega.
Non ricevette risposta, così si tolse borsa e cappotto, dopodiché, una volta appuntata sulla camicetta la targhetta con il suo nome al servizio dei clienti, entrò nel negozio, ritrovandosi dietro il bancone.

“Claire! Sono qui!” si sentì chiamare dalla sua socia, che attirò la sua attenzione alzando un braccio dallo scaffale delle biografie.
Clarissa annuì dopo aver notato la sua presenza e fece per sistemare alcuni volumi lasciati vicino alla cassa, ma Anne la invitò con un gesto ad avvicinarsi.

 
“Cosa c’è? Non ho trovato posta nella buca delle lettere…” esordì, convinta che la collega le avrebbe richiesto la corrispondenza.
“No, no, quale posta!” intervenne l’altra, spostandosi al suo fianco per mostrarle una persona che non aveva ancora visto.
“Ti volevo presentare il nostro nuovo collega! È arrivato ieri da Nizza!”

Il ragazzo, fino ad allora accucciato davanti agli scaffali più bassi, si alzò e sorrise timidamente.

“Daniel, ti presento Clarissa! E, Clarissa, questo è Daniel, lo studente in erasmus che stavamo aspettando!”
“Oh!” esclamò la ragazza, sorpresa “E’… in anticipo!”
“Piccole noie burocratiche all’università, spero che non sai un problema per voi…” commentò Daniel, mostrando un buon inglese.
Anne scosse vigorosamente la testa e ribatté: “Non devi assolutamente preoccuparti! Sei arrivato solo una settimana prima del previsto, non è niente, anzi! Ti servirà ad integrarti meglio! Claire, io stavo sistemando i nuovi ordini, sono arrivati oggi tutti insieme, maledetti fattorini! Ti spiace far fare un giro turistico alla nostra new entry?”
“No di certo! Vieni con me!” lo invitò lei, sorridendo davanti ai suoi occhi vergognosi.

 

 

“… E questa è la sezione dedicata all’infanzia. Abbiamo suddiviso i libri interattivi da quelli semplici, ed entrambi i gruppi sono ordinati per autore…”
“Ho visto che avete anche una sezione dedicata alla letteratura gay!”
“Sì! Come mai tanto… stupore?” domandò Clarissa di fronte all’incredulità di Daniel.
Pardon! È solo che… nel mio paese, in Francia… non ci sono molte librerie con libri che… parlano dell’omosessualità…”
Dopo aver ascoltato attentamente il suo accento incrinato a causa del nervosismo, la ragazza cercò di tranquillizzarlo dicendogli: “L’Inghilterra è anche questo! E non preoccuparti, non c’è niente di male a non trattare la letteratura gay…”

Poverino, perché si vergogna tanto? Non c’è niente di male a essere gay…” pensò, impietosita, mentre il francesino tornava a sorriderle, tentando di liberarsi dell’imbarazzo.

 

 

Nel giro di una mezz’ora, Clarissa aveva finito di informare Daniel su tutto ciò che avrebbe comportato il suo lavoro, e lo aveva spedito nel retro del negozio, per mandare alcune e-mail a varie case editrici; il ragazzo si era messo davanti al computer con entusiasmo e lei lo aveva lasciato soddisfatta.

“Ma che carino che è!” confessò ad Anne, durante un momento in cui nessuno era entrato in libreria “Si vede che è contento di lavorare qui, ha molta voglia di fare!”
“Sì, più di quanto non ne abbiamo mai avuta noi!” commentò l’altra con ironia, facendo ridere la collega, che però ritorno quasi subito seria per cambiare argomento.
“Sai cosa mi ha chiesto prima? Mi ha fatto una tenerezza…” esclamò, mettendo una mano sul braccio di Anne, che la guardò con aria interrogativa.
“Gli stavo mostrando le varie sezioni… e lui ha cominciato a dire che era stupito che ci fosse anche quella gay, perché in Francia non trattano molto la letteratura omosessuale… Sembrava quasi contento di sapere che avessimo una sezione gay, insomma! Magari dalle sue parti ancora non lo accettano, poverino…”
“Eh? Ma di che parli?” intervenne Anne, perplessa.
“Della sua omosessualità, dài! Pensi che non me ne sia accorta? È così timido, e poi, insomma, dai discorsi che…”
“Oh, ma per carità, Alice nel paese delle meraviglie, scendi dalla nuvoletta rosa gay!” la canzonò la collega, trattenendosi a stento dal ridere “Daniel non è omosessuale!”
“Non è gay?” fece eco la ragazza, stupita.
“Ma no che non lo è! Ci ho parlato stamattina, abbiamo praticamente fatto colazione insieme! È fidanzato con un’iper gnocca delle sue parti, tale… Nadine, Céline, non ricordo, mi ha fatto vedere una sua foto, una biondina niente male! Comunque, è ben lontano dall’essere gay! E se vogliamo proprio dirla tutta, non è neanche così timido come sembra! Basta dargli un po’ di tempo e ti riempie il cervello di chiacchiere!”
Clarissa, gli occhi sbarrati per la sorpresa, replicò: “Sembrava tutto il contrario!!!”
Anne sospirò teatralmente, alzò gli occhi al cielo e commentò: “Torna a sistemare i dizionari, Alice, te ne prego…”
“E smettila!” concluse la ragazza, ridacchiando mentre si avviava verso la sezione dei libri scolastici.
“Ah, e comunque…” la fermò la collega, verso la quale si voltò “Prenditi un integratore o del magnesio puro dopo esserti scopata a dovere quel manzo del tuo ragazzo: il tuo lavoro risente dei suoi effetti devastanti!”
“Anne!!!” la richiamò Clarissa, arrossita  fino alla punta dei capelli.
L’altra si mise a ridere e ribadì: “Lo sai che dico la verità, piccola ninfomane! E se fossi al tuo posto, sarei nelle tue stesse condizioni! Ma credimi, lui neanche si ricorderebbe il proprio cognome!!!”
La bionda la mandò scherzosamente a quel paese e per poco non rise in faccia ad un’anziana cliente appena entrata.

 

 

~~~~~

 

 

“Mamma ti ha vista?”
“Mamma è stata la prima a consigliarmi di farmi quest’acconciatura!”
“Ah…”

Non avrebbe mai capito abbastanza sua sorella per stare dietro a lei e alle sue “fasi”: attualmente, si stava godendo quella dei “mitici anni ‘60”, così se ne andava in giro vestita con abitini vintage stretti in vita, il cerchietto tra i capelli e la cotonatura sulla nuca.

“Ma perché, non ti piace?”
“Bé, non è che non…”

Ancor prima che potesse finire la frase, Vicky era già sparita dalla sua vista ed era finita in cucina, a sistemare le “provviste” provenienti dalle mani materne nel frigo.
Danny la raggiunse e chiese: “Cos’ha preparato stavolta?”
“Una torta salata e una millefoglie con la crema di lamponi… Maledetto figlio maschio andato a convivere!” rispose la ragazza per poi mostrargli la lingua da sopra lo sportello dell’elettrodomestico.
Danny si leccò mentalmente i baffi e ridacchiò dell’invidia bonaria della sorella.

“Claire è in libreria?” domandò poco dopo Vicky, seduta sul divano in salotto.
“Sì, oggi entrava nel pomeriggio…”
“Non la vedo mai, porca vacca…” sospirò lei “e quando la vedo, è sempre sconvolta, o per il lavoro, o perché tu la fai stancare!”
“Ah, sarebbe colpa mia!!!” esclamò il ragazzo, prima di tirarle una cuscinata.
“Certo! Chi altro al mondo la fa sfiancare sotto le lenzuola?!” fu la risposta dell’altra, che rilanciò il cuscino al mittente.
“Tu non la conosci…” insinuò il chitarrista con tono malizioso.
“Ma conosco te!” ribatté subito la moretta “E a 26 anni suonati hai gli ormoni di un quattordicenne!”
Danny si arrese e scoppiò a ridere rumorosamente.
“Siamo molto… innamorati…” provò a giustificarsi.
I due occhi azzurri davanti a lui, identici ai suoi, gli sorrisero.
“Questo l’hanno sempre saputo anche i muri! Buon per voi! Continuate così, anche tra cinquant’anni… Cazzo, guarda che ore sono, Dan…”

 
Vicky salutò Danny verso le sei, due ore dopo quella sua famosa frase, che ripeteva sempre ogni volta che, invece di andarsene come avrebbe dovuto, si tratteneva per dire “un’ultima cosa”…
Il ragazzo, come al solito, la ascoltò e rise alle sue battute.

Dopo che se ne fu andata, ripensò alle sue parole sulla sua storia con Claire.

Quasi non riusciva a credere che i suoi sentimenti si vedessero così tanto anche all’esterno della loro coppia.
Erano indubbiamente “agevolati” sotto quel punto di vista, in quanto tutti coloro che li frequentavano li conoscevano piuttosto bene, e chissà quanto avevano speculato sui loro sentimenti…

Sorrise tra sé e sé, appagato, e si ingegnò per buttare giù qualche nota che gli ronzava in testa da qualche giorno…

 

 

 

Mancava solo mezz’ora alla chiusura.
Anne e Clarissa avevano appena finito di spiegare a Daniel come si gestiva un ordine e come si corrompeva un fattorino per accelerare il suo lavoro nelle consegne, quando due coppie entrarono in libreria, facendo alzare gli occhi al cielo ad Anne di nascosto.

“Venire a comprare un libro di venerdì, alle sette di sera…” sibilò, prima di voltarsi verso i clienti con un affabile sorriso.
Clarissa la ignorò e propose a Daniel: “Dài, và dietro ad Anne e fammi vedere come interagisci coi clienti! Ti va?”
Il ragazzo, dopo essersi irrigidito un po’ per il timore, sussurrò: “Ok, ci provo…” e raggiunse Anne alla cassa.

 

“In cosa posso aiutarvi, signori?” si propose la giovane, ammiccando con discrezione verso Daniel, perché prendesse mentalmente nota dell’approccio al cliente.
Un tizio basso, baffuto, accompagnato da una giovanissima ragazza, borbottò: “Noi, noi… stavamo dando un’occhiata e…”
“Anne, non li servire, questi signori: sono degli impostori!” intervenne Clarissa, mettendosi a ridere mentre incrociava le braccia sul petto.
“Claire!!!” esclamò la collega, scandalizzata.

Daniel impallidì.

E il tizio baffuto ribatté, mentre la sua accompagnatrice imitava Clarissa nella risata: “Ciao, occhio di falco, anche io ti voglio tanto bene!”
Clarissa scosse la testa e gli ordinò, scherzosa: “Ma togliti quei baffi, Poynter, che sembrano due ratti morti sotto il tuo naso!”
“Concordo pienamente!” cinguettò la ragazza accanto a lui, togliendosi gli occhiali da sole.

Dougie si strappò i baffi finti, lamentandosi per il dolore, e Frankie gli tolse l’improbabile bombetta scura dal capo per poi indossarla e andare incontro a Clarissa.

“Ciao, Clairy, scusa la scenetta…” la salutò, abbracciandola.
“Sono abituata, non preoccuparti…” la tranquillizzò l’altra con un sorriso.
“Potresti anche salutare noi, cafona!” si sentì chiamare dalla voce di Harry.
Se lo vide apparire accanto, con il volto coperto quasi del tutto da un paio di Carrera neri ed una grossa sciarpa dai motivi scozzesi.
Vicino a lui, una ragazza sconosciuta aveva un sorriso tirato.

“Mi avete spaventato lo staff, razza di pazzi…” esclamò Clarissa, prima di verificare con un’occhiata le condizioni di Anne e Daniel.
Lei era effettivamente rimasta a bocca aperta: non aveva mai incontrato i McFly dal vivo, conosceva molte delle loro canzoni, le cantava sempre quando le passavano alla radio e sosteneva che Dougie fosse “proprio un bel tipino”, pur dimenticando spesso il suo nome…
Daniel era sconcertato, non sapeva cosa dire, ma almeno sembrava non averli riconosciuti.

“Ragazzi, questi sono i miei amici…” li presentò la bionda “Doug, Frankie, Harry e…”
Si interruppe, poiché non sapeva chi fosse la quarta.
“Ah, già!” intervenne Harry, prendendo per mano la moretta anonima “Chiedo scusa: lei è Cassie!”
“Ciao a tutti…” fu il suo laconico saluto, accompagnato da un sorriso di circostanza.
 Clarissa sorrise e preferì continuare le sue presentazioni…
“E questi sono Anne e Daniel! Lavorano con me!”
Entrambi mantennero un mutismo emozionato, o forse solo imbarazzato.
Poi Dougie sbottò: “Dev’essere un supplizio lavorare tutto il giorno a contatto con le ascelle perennemente pezzate di Thompson!”
Ed Anne scoppiò a ridere, una risata sguaiata, nervosa.
Clarissa diede dello scemo a Dougie prima di chiedere al gruppo: “Che cosa fate da queste parti?”
“Stiamo andando ad una festa, un localino discreto che ha aperto da poco… e visto che passavamo di qui, abbiamo pensato di fare un saluto, ma ai tuoi due amici intelligenti è venuto in mente di farlo in incognito!” rispose Frankie.
“E poi andiamo a ballare!” aggiunse Harry.
“Vieni anche tu, Claire, dài!” la invitò Dougie.
“Grazie, ma lo sapete che io…” cominciò la ragazza, mettendo le mani avanti per rifiutare.
“Clarissa, non essere stupida!” esclamò Anne all’improvviso “Chiudiamo noi qui! Daniel ha bisogno di fare pratica!”

Clarissa fulminò la sua collega con gli occhi: che ipocrita! Se fossero stati presenti tre ragazzi qualunque, e non due membri dei McFly, avrebbe starnazzato “Cazzo, Claire, vai e divertiti, che cosa te ne frega, tanto troverò degli straordinari per te, prima o poi!”.

“Ti portiamo a casa, ti cambi, chiami Jones e andiamo! Che ci vuole?” aggiunse Harry.

Tanto insistettero e tanto si lagnarono all’idea di un rifiuto, che Clarissa dovette per forza accettare.
Anche se l’idea di mangiare e di ballare in un locale pieno di musica assordante non le piaceva, per quanto discreto ed isolato potesse essere.

 

 

Una volta sotto casa sua e di Danny, Harry la informò: “Vi aspettiamo qui sotto, non metteteci un’eternità, cortesemente!”

 

“Dan! Amore!”

Danny si sporse con la sedia girevole sulla soglia della sala di registrazione…
“Ciao! Sei tornata prima?”
“Sì, perché… vieni, che ti spiego meglio, è tardi, vieni, su!
“Eccomi!!!”

Vedendola indaffarata a saccheggiare il proprio guardaroba, il ragazzo le domandò: “Vai da qualche parte?”
Andiamo, vuoi dire…” gli rispose lei, indossando al volo un semplice vestitino nero “Dan, ti prego, vieni anche tu! Ci sono Harry, Doug, Frankie e… la nuova ragazza di Harry, credo… che mi vogliono portare a cena in un locale, una discoteca, non ho capito bene, si sa solo che è un posto nuovo e discreto… Sono qui sotto che aspettano e… Danny?”
Il chitarrista, rimasto ad ascoltare, sospirò, un po’ deluso, e ribatté: “Avevo… preparato la cena…”

Clarissa, che si stava mettendo in fretta e furia i sandali, si fermò con una gamba sospesa per aria e lo fissò, sentendosi una stronza.

“Amore!!” pigolò, sinceramente dispiaciuta.

Avrebbe continuato, per scusarsi, per accordarsi e magari rifiutare l’invito dei ragazzi, ma il suo ragazzo scosse la testa, sorrise e disse: “Non importa, dài… metto tutto in frigo, tiro fuori una camicia e andiamo!”
“Ma…” iniziò lei.
Troppo tardi: era già corso via, verso la cucina.

Clarissa rallentò il ritmo dei preparativi, intristita.

Aveva preparato la cena…” pensò, rimettendo in ordine il letto invaso dai propri vestiti.

 

 
“Claire! Harry si sta attaccando al clacson, sei pronta?!” la chiamò Danny pochi minuti più tardi.
Clarissa rispose con i suoi passi frettolosi per le scale.

Aveva raccolto i capelli mossi in una coda morbida, poi aveva messo una stola d’oro sul vestito nero semplice, un regalo che lui le aveva fatto l’anno prima.
I sandali dorati, nuovi, non molto alti nei loro cinque centimetri di tacco, l’avrebbero fatta stare più o meno in equilibrio per tutta la serata.

Il chitarrista le cinse la vita minuta con un braccio e le disse, sorridente: “Sei bellissima…”
Lei arrossì, scuotendo la testa, e ribatté: “Non sei da buttare neanche tu!”

E non lo era, affatto.

I jeans scuri consumatissimi, contrastanti con l’eleganza della camicia nera dai riflessi color porpora e con i suoi ricci spettinati, di nuovo lasciati crescere liberi e ribelli, lo rendevano più affascinante del solito.

“Scusa, non avevo idea che tu avessi preparato la cena per noi due…” gli disse, guardandolo con gli occhi truccati e velati di senso di colpa.
Lui scosse la testa, si chinò su di lei per un fulmineo morsetto sul collo e ribadì: “Domani sarà sempre tutto buono,vedrai! Scendiamo, prima che partano senza di noi…”

***
Piccolo angolo delle infos!

Chi è Frankie (diminutivo di Francesca): la fidanzata di Dougie, nonché membro delle Saturdays! Dopo un piccolo periodo di diffidenza nei suoi confronti, adesso sono contenta che abbia dato una sistemata al piccoletto del gruppo :)
E per quanto riguarda Harry... Forse non tutti capiscono perchè non nomino Izzie, come in "Point of view"... Bé, purtroppo nel frattempo si sono lasciati :(, e per quanto ne so io, adesso Harry fa il single felice a tempo pieno! Ho voluto dargli una fidanzata fittizia in questa storia, poi capirete perché...

Per il titolo di questo capitolo, ho utilizzato le parole di "Going through the motions", ovviamente dei McFly. Nessuno scopo di lucro!

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Capitolo 4
*** Party girl ***


claire

Per la quarta volta, ciao a tutto il popolo di EFP!

Trasgredendo, per questa settimana soltanto, alla mia personale regola di postare ogni venerdì, vi lascio il quarto capitolo oggi, prima di mettermi a studiare e di fare i bagagli: non tornerò fino a lunedì!

Sono contenta che piano piano questa storia stia ingranando :) e vi devo ringraziare per l'attenzione!

In particolare dico un sentitissimo grazie a...

@RubyChubb: non mandarmi a Compiobbi, mai più, ti prego, l'ultima volta che mi ci hai mandato in una recensione mi si è bloccata la crescita U_U! Lietissima che finora la storia ti sia piaciuta, mi raccomando, seguila, perché credo che di questo passo continuerà a piacerti! Le tue ipotesi potrebbero avere un fondamento... o forse no?!

@GiulyB: un'altra fedelissimaaaa, che bello, grazie per esserti fatta di nuovo viva :)! E grazie per le recensioni a raffica ad ogni capitolo, non me le aspettavo! La vedi nera, eh, questa situazione? Bé, sappi che non sarà tutto rose e fiori, altrimenti sai che noia... Succederà qualcosa, sì, qualcosa di brutto! Qualcosa che nella mia testa ho definito "megaodioso", come il "Vi megaodio tutti!" del Dottor Cox di "Scrubs"! Stay tuned :)... Ah, per quanto riguarda il nostro Judd, bé, ma vai a sapere cosa combina con le ragazze lui, io non avevo più saputo niente dopo lo "split up" con Izzie, quindi ho pensato di far prima direttamente con un'altra fidanzata ^^! E non fare così con Frankie, dài, tutto sommato è una brava bimba XD!

@saracanfly: hai silenziosamente messo la mia storia tra le preferite, come Ruby, e ti ho scoperta :P attendo anche il tuo parere... Le tue recensioni a "Point of view" mi furono molto utili, a suo tempo! Intanto, ti ringrazio :).

E dopo questo piccolo angolo dei ringraziamenti, vi lascio alla breve (ma, spero, intensa) lettura! Questo capitolo è più corto rispetto agli altri, ma anche più saturo di eventi...

Alla prossima settimana e ancora grazie!

Ba mush!

***

Arrivarono al locale con due macchine: Danny e Clarissa seguirono il resto del gruppo fino ad un piccolo ma confortevole locale appena fuori città, ancora mezzo vuoto al loro arrivo.

 
“Dan, ti presento Cassie… e, Cas, questo è il mio altro collega, Danny!”

Danny rispose alle presentazioni fatte da Harry stringendo calorosamente la mano della sua nuova ragazza, che per la seconda volta in tutta la serata parlò senza il bisogno di essere interpellata.
“Piacere!” gli disse, sfoderando un sorriso spontaneo, a cui però Clarissa non fece caso, presa com’era da una conversazione con Frankie...

“Davvero l’aveva preparata lui? Poverino, mi dispiace, forse non avremmo dovuto…” iniziò la vocalist, sorridendo mestamente alla bionda, che però la interruppe…
“Non è colpa vostra! Sono stata io che non ho insistito per rimanere a casa e ora…”
“Ti farai perdonare più tardi, in pista!” ammiccò l’altra, indicando la grande piattaforma da ballo nella stanza comunicante alla sala- ristorante.

 

 
La musica partì quasi subito dopo la fine della loro cena.

Danny bevve un sorso della sua birra, picchiettando il piede destro sul pavimento, al ritmo di un tormentone dell’estate precedente; accanto a lui, avvolta dal suo braccio, Clarissa se ne stava rannicchiata sul divanetto, chiacchierando ancora con Frankie, mentre Cassie, improvvisamente dotata di una parlantina notevole, si interessava di musica con Harry e Dougie.

“Non avevo idea che il basso potesse essere così complicato da suonare! Ma non ci fare caso, il mio orecchio musicale è praticamente inesistente!” esclamò, dopo che il bassista le aveva spiegato quanto occorreva allenarsi con il proprio strumento a sei corde, da lui ultimamente utilizzato sempre più spesso.
“E’ un mostro, il piccoletto, qua, dovresti sentirlo dal vivo!” la informò Harry, dando una sonora pacca sulla gamba dell’amico.
“E tu invece, Danny? Tu suoni la chitarra, vero?” chiese la moretta.
Il ragazzo annuì, rispondendo: “Davvero non hai ancora sentito dal vivo come suona il tamburello Judd?”
Cassie si mise a ridere, spostando lo sguardo sul batterista, che rispose diplomaticamente: “Dovresti venire a un nostro concerto, sai? Jones non solo è un eccellente chitarrista, suona bene anche col culo, se poco prima di un live mangia fagioli!”
“E’ un talento incompreso!” aggiunse Dougie, facendo ridere ancora di più la ragazza, che in un sorso finì la sua seconda vodka alla pesca.
“Di cosa state sghignazzando, pettegole?! Poynter, quanto hai bevuto?” si inserì Frankie, scherzosa.
“Sono divertentissimi!” intervenne Cassie, tirandosi indietro i capelli con una mano e sventolandosi la faccia paonazza con l’altra.
“Harry, ma sul serio vuoi che ascolti già tutte le vostre cazzate messe insieme?” rincarò la dose Clarissa per poi fare una linguaccia a Danny, che per tutta risposta la solleticò a tradimento sui fianchi.

In quel momento il ritmo delle canzoni cambiò, facendosi più veloce e cadenzato.
Frankie aprì le danze, giustificandosi con Clarissa con un entusiasta “Finalmente, adoro questa canzone!”.
La bionda la salutò, guardandola muoversi in pista insieme ad una piccola folla.

“Balliamo anche noi, ragazze, su, su, su!!!” cinguettò Harry, battendo le mani e levandosi in piedi con il sedere in fuori.
Dougie lo seguì a ruota, lanciando dei gridolini esilaranti, ma prima trascinò con sé anche Cassie, che di conseguenza esclamò: “Danny, vieni anche tu!!!”.
Il chitarrista si ritrovò a dover poggiare velocemente la sua bottiglia di birra sul divanetto, e con l’altra mano già presa da quella di Cassie, non riuscì ad agganciare anche Clarissa.

Rimase da sola sul divanetto, i piedi gonfi nonostante lo scarso movimento e l’espressione spiazzata.
Quella serie di canzoni dance tanto famose aveva fatto accorrere in fretta molta più gente in pista, quindi molta più confusione.
E in un secondo, aveva perso di vista il suo ragazzo ed i suoi amici.
Fece spallucce, afferrando la birra di Danny per sorseggiarla un po’, dato che lei aveva finito da un pezzo il suo daiquiri.

 

Più tardi, vide Frankie spuntare dalla pista: le stava andando incontro sculettando e ridacchiando.

“Claire! Ma che ci fai ancora qui seduta?!” le domandò, stupita, mentre si accucciava davanti a lei.
“Niente, sono qui che bevo!” ammise l’altra, candidamente.
La cantante socchiuse gli occhi, scrutandola con sospetto, poi insinuò: “Non ti va a genio quella Cassie, sbaglio?”
“Perché, scusa?”
“Oh, niente… “ le rispose, facendo la gnorri “Ha portato tutti a ballare con lei, credevo fosse una cosa che ti aveva dato fastidio…”
“Ma no, mica siamo ragazzini al liceo, insomma…” la liquidò la bionda, spostandosi un po’ per farla sedere accanto a sé.
Dopo qualche secondo di silenzio, mentre Frankie si stava riprendendo con un sorso di cocktail fruttato, Clarissa le chiese d’un tratto: “Ma perché, sta ballando con i ragazzi?”
Lei la guardò, tacendo un saccente “Sei gelosa!” e rispose in tono neutrale: “Solo con Harry e Dan. Dougie sta assistendo ad una dama alcolica...”
“Ah…”
“Ho capito, vado a chiamartelo…” se ne uscì l'amica, alzandosi subito in piedi.
“Frankie, no, aspetta!” la fermò l'altra, prendendola per un braccio.
La ragazza si divincolò senza troppo sforzo e ribadì: “Sarò discreta, te lo prometto! Non farò capire niente a nessuno!”
“Ma cosa st…”

Era già sparita. Di nuovo. Senza ascoltarla minimamente.
E pochi secondi dopo, era riapparsa, a braccetto con il chitarrista.

“Claire si ubriacherà se continua a stare lì da sola!” la sentì gridare sopra la musica nell’orecchio di Danny, che per tutta risposta scoppiò a ridere, prima di sedersi accanto alla fidanzata.
“Amore, perché non ci hai raggiunti?!” la investì, ridanciano più che mai “Stavamo dando lezioni di aerobica a tutti con Harry e Cassie, eravamo meglio di Jane Fonda!”
Clarissa scosse la testa, sforzandosi di ridere con lui, e rispose: “Mi fanno un po’ male i piedi, non avevo voglia di ballare…”
“Ma sì che ne hai…”si oppose il chitarrista, tirandola per le mani perché si alzasse insieme a lui.
“No, Dan, non ne ho voglia, davvero…” si oppose la ragazza, evitando di guardarlo mentre lo fronteggiava.
Le girava un po’ la testa, la musica le rimbombava fastidiosamente nelle orecchie…
Danny le mise le mani sui fianchi, muovendoglieli a ritmo di musica.
“Vedi? Stai ballando!” esclamò contento, ignaro del suo nervosismo crescente.
Decise di assecondarlo, magari ci avrebbe preso gusto…

 

Si stavano muovendo da un buon quarto d’ora a bordo pista.
Clarissa stava attenta a non fare movimenti troppo bruschi con la testa, sempre più pesante ad ogni secondo che passava, e intanto cercava di ignorare alcune fastidiose fitte allo stomaco.
Non aveva bevuto granché, ma doveva essere colpa della birra di Danny, non esattamente la più leggera del mondo…
Forse era anche colpa della crema di whisky di Dougie, lasciata a metà.
Senza contare quello che aveva ordinato lei…
Il tutto mescolato alla cena abbondante…

Aveva giusto iniziato a provare ad apprezzare quel ritmo musicale così martellante, quando dalla calca uscirono Dougie e Frankie, mano nella mano, subito seguiti da Harry e Cassie.

“Thompson, vieni a fare aerobica con noi!!!” la esortò il bassista con voce stridula, battendole le mani davanti al viso.
La ragazza spinse via quelle palme rumorose, borbottando un confuso “No, Doug, no…” mentre, dietro di lei, Danny le cingeva la vita con entrambe le braccia, accennando dei passi di danza e facendola ballonzolare.
Harry, insospettito dalla cera poco rassicurante dell’amica, si avvicinò per chiederle: “Claire, ti senti male?”, ma lei non riuscì a sentirlo chiaramente.
Tese l’orecchio per cercare di captare a pieno la frase, ma dopo tre tentativi falliti, il batterista ci rinunciò.
Cassie, impensierita come il fidanzato, affiancò Danny, beccandosi un’occhiataccia- ignorata- dalla sua fidanzata, e gli gridò all’orecchio: “Dan, credo che la tua ragaz… AAAAAAAAAAAHHH, MA CHE CAZZO!!!!!”

Danny, un timpano fuori uso, fece appena in tempo a sostenere il peso improvvisamente morto di Clarissa, e per poco lui stesso non capitombolò a terra.
Cassie si allontanò immediatamente, furiosa: aveva una caviglia ed un piede impregnati di vomito.

Clarissa sentì le ginocchia cedere, poi una mano le si piazzò sulla fronte, quasi cavandole un occhio.
“Danny, è bollente!!!” sentì strillare Frankie.
“Portiamola via, portiamola via!!!”
Si sentì presa in braccio e riuscì a scorgere Danny che le urlava: “Amore! Amore, adesso andiamo fuori, ti facciamo prendere un po’ d’aria... Mi senti, Clarissa?!”
“Claire!!! Claire, stai su con la testa!” le ordinò Dougie, sostenendole il capo.

 
Oh… Merda, ho vomitato…

 

Una volta fuori dal locale, sdraiata sul sedile posteriore del suv di Danny, si riprese un po’ ed aprì gli occhi.
Ridacchiò piano, sentendo in lontananza la voce acuta e lamentosa di Cassie che copriva quella di Harry….

“Ti porto dei fazzoletti, aspet…”
“Mi ha vomitato sul piede, cazzo, te ne rendi conto?!”
“Ma non l’avrà di certo fatto apposta!!!”
“Ma l’ha fatto!!!”

 

“Claire? Tesoro?”

La voce dolce di Frankie la rincuorò.

“Mmmhhh…” mugugnò, nel tentativo di rassicurare tutti quanti, sempre continuando a ghignare.
“Scotta, Dan, credo stia… delirando, o qualcosa del genere…” sentì Dougie, che infatti le aveva messo una mano sulla fronte sudata.
E poi sentì parlare Danny, che le stava passando un fazzoletto umido sulle labbra.
“Torniamo a casa… E’ molto meglio…”.

***

Il titolo del capitolo è anche quello del nuovissimo singolo dei McFly! Ovviamente, qui è usato in senso ironico :P... e senza nessuno scopo di lucro, as usual...

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Capitolo 5
*** For tonight you'd better stay with me ***


claire

Ciao, cari/e!

Nessuna recensione per il capitolo all'insegna delle schifezze! Uhm... U_U... O siete proprio tutti in ferie, o volete farmi capire che faccio schifo come scrittrice! Opto per la prima, mi fido di voi :)

L'ultima volta che ho postato vi ho proposto un capitolo breve, invece stavolta gli appassionati della lettura potranno gioire di una luuuunga serie di righe! Scusate l'irregolarità, ma spezzettare i vari momenti di questa storia non è sempre facile!

Le jonesiane potrebbero aver bisogno dei fazzoletti.
Per asciugarsi la saliva, intendo.

Vi ho avvertite! Adesso vi lascio alla lettura!

Alla prossima e grazie per il vostro sostegno, seppur silenzioso... :) Quanto siete timide!

Ciry

***

Ad occhi socchiusi, osservava il quartiere in cui viveva, grigio a causa delle nuvole minacciose che si erano presentate dopo pranzo e non se ne erano più andate.
Almeno c’era un po’ di vento fresco.
Lo sentiva sul viso, le faceva pizzicare il naso.

I pomeriggi vuoti in cui non aveva niente da fare le davano sempre da pensare.
Per dire la verità, avrebbe avuto qualcosa con cui occupare il tempo, per esempio pulire i vetri.
Ma con quel tempo che minacciava un acquazzone, no, non se la sentiva.

Rifletteva, con la fronte ancora calda per la febbre, fortunatamente in calo.
Rimuginava.
Una cosa che non l’aveva mai portata a niente di buono.

A farle da sottofondo musicale, Danny nel suo studio di registrazione, con la porta aperta; non lo sentiva granché bene, in lontananza, semi- coperto dal brusio dei motori e del chiacchiericcio umano in strada, ma forse si stava riscaldando, canticchiando qualcosa di tranquillo, accompagnandosi con la chitarra, che produceva sempre un giro in Mi minore, plni- plen, plin- plen

Aveva scoperto che cosa l’aveva fatta stare male, la sera prima.
La crema di carciofi avariata.
Ne era certa, perché anche Dougie l’aveva ordinata, e la mattina seguente l’aveva chiamata apposta per annunciarle che aveva passato la notte sul water.
Harry e Danny, invece, non avevano avuto proprio niente, perché avevano mangiato carne.
Frankie e Cassie avevano cenato con un piatto unico, un’insalatona mista, quindi anche loro non erano rimaste intossicate.

Forse il suo stomaco non aveva retto alla tremenda centrifuga di crema scaduta mescolata agli alcolici.
Avrebbe dovuto stare più attenta, perché lo sapeva, era sempre stata abituata ai boccali di birra chiara, sempre piccoli, sempre leggeri, sempre consumati a stomaco pieno, dopo una cena preparata dalle sue stesse mani…
Ma quella sera, la testa era da tutt’altra parte.

Cassie.
Fissazioni infondate o idee con una base solida, non le importava che cosa fossero quelle che in quel momento stavano invadendo pian piano il suo cervello.
Stava iniziando a detestarla.
Era gelosa.

Ci aveva ballato praticamente tutta la sera.
Non che si fossero attaccati l’uno all’altra per un lento.
Ma, guarda caso, se lui diceva “A”, allora anche lei diceva “A”. E se lei andava a ballare, lui la seguiva.

Doveva riconoscere, nonostante tutto, che era anche un po’ colpa sua.
Si era mostrata asociale, insofferente, cosa poteva aspettarsi?
Avrebbe solo desiderato un po’ più d’attenzione, ecco tutto.
Ma questo non bastava a giustificarla, anzi, serviva solo a farla apparire ancora più stupida ed egoista.

Aveva vomitato l’anima.
Che razza di figura…
L’unica soddisfazione, in mezzo a quello schifo, era stato rigurgitare sul suo piedino immacolato, vestito di un tacco dodici, un sandalo aperto con gioiello, un tantino pacchiano.
Lo avrebbe rifatto.

Così impari a fare la socievole soltanto col mio uomo.
Stronza.

Decise di zittire il proprio cervello e di accendersi una sigaretta: ne prese una dal pacchetto di Danny, lasciato proprio lì, sul tavolo della terrazza, e la accese con gesti secchi, gli occhi infastiditi dal fumo che, mosso dal vento, le era entrato negli occhi.

Irishgirl in London…” la chiamò il suo ragazzo, cantilenando sulle note di Sting “Non dovresti fumare quando stai male…”

Si voltò per fulminarlo: era spuntato silenziosamente, non l’aveva sentito smettere di suonare, e ora stava per mangiarsi del gelato.

“Fammi fumare in pace, Jones… cazzo… Non lo faccio da un’eternità e mezzo…” sbottò, prima di ficcarsi nuovamente la Marlboro in bocca.
Diventava volgare, quando si arrabbiava.

Danny sghignazzò divertito, facendola stizzire ancora di più, e posò sul tavolo gelato e cucchiaio per abbracciarla da dietro.

“Va bene, sei convalescente, puoi anche picchiarmi, se vuoi…” le propose, giocoso, mentre infilava il naso nei suoi capelli.

Clarissa lo ignorò, rigida e determinata, sbuffando fuori il fumo.
Lui non demorse.

“Che cos’hai, amore?” domandò, premuroso.

La ragazza sospirò rumorosamente prima di rispondere, lo sguardo fisso davanti a sé.
“Ho passato una serata un po’ movimentata: ho mangiato roba andata a male in un locale francamente barboso, ho bevuto per noia, sono rimasta seduta quasi sempre per via delle scarpe e ho vomitato sui piedi altrui. Quindi credo, ma forse è solo una mia impressione, di avere il diritto almeno ad un po’ di pace e a un po’ di fumo!”

La lasciò parlare, animata, mentre faceva volteggiare la sigaretta.
Sembrava un dittatore durante un comizio.
Non le fece capire che, quando le venivano i cinque minuti, era ancora più divertente del solito.
“E se dopo cena andassimo a teatro?”

Bingo.

Clarissa si voltò verso di lui con aria interrogativa.
“A teatro? A vedere cosa?”
Le rispose con un piccolo sorriso: “Priscilla… Sono riuscito ad accaparrarmi due biglietti, volevo farti una sorpresa…”

I suoi occhi si spalancarono, euforici.
La sua voce, invece, mantenne un certo contegno.

“Ma tu avevi detto che il film non ti era sembrato un granché…” insinuò, in cerca di un pretesto per discutere.

Prevedibile.
Prese subito la palla al balzo.

“Sì, il film non mi è piaciuto, è vero. Ma chissà, sul palcoscenico magari è tutta un’altra storia… Ho spulciato tra alcune recensioni e sembra fenomenale!”
Lei lo scrutò, un po’ sospettosa, poi replicò con aria confusa: “Tu a teatro… Non accade quasi mai, un evento del genere… Te ne accorgi, vero?”

Danny ridacchiò, disinvolto.
“Non sono il tipo da teatro, ma ogni tanto la tua influenza mi porta a cambiare idea, tutto qui!”

La vide sorridere sotto i baffi, al di là del fumo.
E con quella conferma assodata, smise di preoccuparsi.

 

 

~~~.~~~

 

 

Mangiando schifezze dolciarie di vario tipo, seduti ad un angolo della piazza del mercato a Covent’s Garden, Clarissa gesticolava animatamente; gli occhi le brillavano.

“Ma hai visto i costumi?! Li hai visti?! Erano la fine del mondo, con quelle parrucche poi, vuoi che non pesassero un chilo l’una?!”
“Questo non lo so, però quella con tutti i fiori e le paillettes… Io non credo di aver mai visto niente di simile in vita mia…” concordò il suo ragazzo con un sorriso, ancora intontito dallo spettacolo, che effettivamente gli era piaciuto moltissimo.
“E quando c’è stata la coreografia di I will survive? Le hai sentite le coriste? Mi sono venuti i brividi!!!” intervenne di nuovo la ragazza, prima di imboccarlo con un marshmellow alla fragola.
L’altro annuì con la bocca piena e replicò dopo qualche secondo…
“Bravissime, sì, da urlo… Ne è valsa proprio la pena andarci, sì! Mi è piaciuto tutto ciò che ho visto, per una volta che sono stato a teatro!”
Clarissa lo investì con un abbraccio, gli baciò la guancia con le labbra cosparse di zucchero di caramella ed esclamò: “Tu, uomo rozzo delle caverne, dedito al videonoleggio, apprezzi il teatro, finalmente! Stare con me ti è servito a qualcosa!”
Per tutta risposta, Danny ribatté imitando i gesti ed i versi di una scimmia, facendola scoppiare a ridere.

Quando entrambi si ritrovarono con i dolci finiti e lo stomaco dolorante per le troppe risate, Danny le chiese: “Come ti senti? La febbre è scesa?”
Con la sua grande mano sulla fronte, lei gli rispose: “Me la sono misurata prima di uscire, praticamente non ce l’ho più! Credo che alla fine sia stato vomitare che mi ha fatto bene, perché dovevo aver fatto indigestione o qualcosa di simile…”
Il ragazzo la abbracciò e ammise: “Ci hai fatto… e mi hai fatto… prendere un infarto…”
Clarissa immerse una mano nei suoi ricci, si mise a ridere piano e ribatté: “Vi preoccupate come tante balie anche se mi taglio con la carta… Tu poi, mi hai viziata peggio di Nora…”
Il chitarrista si finse offeso, così si staccò dall’abbraccio della fidanzata e sbottò: “Ok, allora adesso faccio lo stronzo: mi alzo e me ne vado, tu torni a casa a piedi!”
Nel vederlo scattare in piedi per andarsene, la ragazza rimase indifferente di proposito, e anche dopo che si era allontanato da lei, non fece alcuna mossa per trattenerlo, anzi…
“Va bene!” esclamò a voce alta “Aspetterò che arrivi qualcuno più bello di te che mi dia un passaggio, Jones! E quando sarò arrivata a casa, sbatterò ben bene la porta, così ti sveglierai!!!”

In quel momento, si stupì del suo stesso tempismo: vide due sagome spuntare dal marciapiede; Danny passò loro accanto senza battere ciglio.
“Daniel!!!”  gridò invece la ragazza, alzandosi in piedi.

 

Il giovane francese, accompagnato da una ragazza, si voltò verso di lei, e la guardò confuso per qualche attimo, non avendola riconosciuta.
Anche Danny si voltò, domandando: “Cosa?”
“Clarissa?” la chiamò il collega, avvicinandosi a piccoli passi.
La bionda gli andò incontro, salutandolo con la mano, e gli disse: “Ti fai un giro turistico by night?”
Il ragazzo annuì con un sorriso ed aggiunse: “Siamo andati a vedere un film qui vicino… non ho capito granché, ma era bello!”
Si mise a ridere, seguito a ruota dal novello collega e dalla sua accompagnatrice, che si presentò per prima: “Piacere, sono Pilar!”
Mentre la bionda le stringeva la mano dicendole il proprio nome, Daniel spiegò: “Pilar viene dalla Spagna e vive nel mio stesso palazzo… Tra studenti, abbiamo subito fatto amicizia!”
“Aspetta, anche io ti devo presentare il mio ragazzo!” intervenne Clarissa, che invitò Danny a gesti per farlo avvicinare.
Di fronte ai due studenti, il chitarrista salutò con un “Salve!” i nuovi arrivati e strinse loro le mani; Pilar gli disse, vagamente confusa: “Sai che assomigli tantissimo ad un cantante famoso?”
“Ah, davvero?” si finse stupito il ragazzo, trattenendo una risata.
Clarissa gli diede una gomitata nelle costole ed esclamò: “Smetti di fare lo scemo, Dan…”
“Dan? Come… Danny Jones?” intervenne la ragazza, spalancando gli occhi.
“E’ il mio nome, sì…” ammise lui con un sorriso.
Pilar si mise una mano sul petto, stupefatta, e sibilò: “Danny Jones dei McFly, non ci credo…”
“Pilar…” la rimbrottò Daniel, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.
La spagnola lo ignorò totalmente e continuò, tutto d’un fiato: “Mi piacciono tutte le vostre canzoni, mia sorella è letteralmente pazza di voi! Non pensavo avrei mai incontrato nessuno di voi!”
“Grazie!” le disse Danny, lusingato “Per il prossimo tour, terremo in conto anche la Spagna, sicuramente… Sei spagnola, vero? Non avrò fatto una figura di m…”
“No, no, sono spagnola, è vero!” lo interruppe la studentessa, al settimo cielo “Si sente così tanto?”
“Sì… ma il tuo inglese è buono!”
“Concordo!” affermò anche Clarissa, mentre la ragazza stava diventando rossa per le lusinghe.
Daniel ridacchiò nervosamente e disse: “Scusatela, ha quasi 25 anni, capisco che a volte può sembrare incredibile…”
“Piantala, mangialumache!” lo rimproverò scherzosamente Pilar, riprendendosi dall’imbarazzo per poi voltarsi di nuovo verso Danny e chiedergli: “Posso chiederti un autografo?”
“Certo!” accettò il chitarrista; automaticamente, Clarissa trovò nella sua borsa un pezzo di carta ed una penna, e glieli allungò…
“La dura vita delle fidanzate delle celebrità…” sospirò teatralmente, ammiccando alla ragazza, che le sorrise per poi commentare: “Non sono affari miei, ma state veramente bene insieme!”
“Che carina, grazie…” ribatté la bionda, compiaciuta.
“Un autografo l’ho fatto!” annunciò il chitarrista, che poi si rivolse a Pilar “Tua sorella, invece, come si chiama?”
“Ah, già, mi stavo quasi dimenticando di lei! Si chiama… si chiama Lola, sì!” sogghignò lei, di nuovo rossa per la vergogna e l’euforia.
“Anche tu sei qui in erasmus, come Daniel?” le chiese Clarissa.
L’altra affermò: “Sì! Vengo dalla facoltà di Legge, sono qui per un praticantato di sei settimane, seguo i processi, mi faccio un po’ le ossa, un giorno vorrei diventare avvocato!”
“Non ti chiamerò mai per farmi assistere!” la canzonò il francese.
“Sei cattivo, Daniel!” lo ammonì scherzosamente Clarissa “Interessante, l’avvocato! Buona fortuna!”
“In bocca al lupo per il praticantato!” aggiunse Danny, porgendole il secondo autografo.
“Grazie, grazie mille… Siete stati gentilissimi! Complimenti ancora per la musica e… non so più che dire!” concluse la spagnola con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Grazie a te!” le fece Danny, sorridendole.
“Pilar, vieni, torniamo a casa, basta rompere le scatole!” intervenne Daniel, ridacchiando mentre la prendeva forzatamente sottobraccio.
“Sì, anche noi ce ne andiamo a nanna adesso… ci vediamo domani in libreria, Daniel! Buonanotte, ciao Pilar, è stato un piacere!” si congedò Clarissa; accanto a lei, Danny agitò la mano per salutare i due studenti.
“Ok, Clarissa, a domani! Ciao a tutti!”

 

 

 

“Che carina! Quando sono così, piacciono anche a me!” commentò Clarissa con un tenero sorriso.
“Sì, dài, ci ha raccontato tutta la sua vita, ma era simpatica… Tutti gli spagnoli sono simpatici, specie se parlano inglese…” ribatté Danny, il sorriso e lo sguardo rivolti alla strada, mentre guidava verso casa.
La fidanzata gli diede un colpetto sulla coscia ed esclamò ridacchiando: “Quando sei tu a parlare spagnolo, fai pena!”
Hola, como estas!”
“Julio Iglesias dei poveri!”
“Cara piccola irlandese, non giocare con il fuoco, lo sai che potresti bruciarti…” la provocò lui, allungando una mano per solleticarle la pancia.
Clarissa prontamente gliela schiaffeggiò e disse: “Uh, che paura, è meglio che me ne stia zitta in questo caso, non sia altro che per evitare di sentire le tue acrobazie linguistiche mentre borbotti in dialetto, contadinaccio inglese!”
“Claire…” cantilenò il chitarrista, allargando il sorriso “Smettila…”
“Hai paura, eh, Jones?” sghignazzò l’altra “Irlanda - Inghilterra: uno a zero, palla al centro!”

Danny sterzò improvvisamente nella prima traversa alla sua sinistra, abbandonando la strada principale, deserta, per poi addentrarsi in un viottolo ancora più deserto.

“Dan, dove cazzo vai?!” domandò la sua ragazza, colta alla sprovvista.
Lui non le rispose ed accostò la vettura al muro di un vicoletto.

“Ebbene?!” insistette lei, spazientendosi.

Fece a malapena in tempo a slacciarsi la cintura.

Danny le fu addosso in tempo zero: la prese per la vita, la attirò a sé e la baciò a lungo e intensamente, vincendo senza problemi la magra resistenza di lei.

“Che… che significa questo?” balbettò, riprendendo fiato, spiazzata, dopo che era riuscita a staccarsi da lui.

Danny, ansante, ghignò nella penombra, dopodiché si riavvicinò a lei, così tanto da farla aderire allo sportello con la schiena.

“Ti avevo avvertito, non mi hai voluto ascoltare…” le sussurrò sulle labbra per poi assalirle il collo con le proprie.
Clarissa trasalì e sbottò, assai poco convinta della sua stessa irritazione: “Oh, mio Dio, ma è da perfetti cretini reagire così ad una battuta, Jones, perché non capisci mai quan…”
“Ssshhh!” la ammonì lui, rimanendo con la bocca a pochi millimetri dalla sua pelle, nell’incavo della spalla.
“Adesso non parlare e sconta la pena, da brava…” le ordinò, insinuando la mano destra sotto la sua gonna, mentre la sinistra, abilissima, sganciava i bottoni della sua camicetta.
La ragazza, eccitata eppure indispettita, replicò con un tono che voleva sembrare deciso: “Non ho intenzione di… Dan, domani mattina apro io la libreria, non possiamo fare tardi, lo sai…”

Lo sentì mugugnare mentre tentava di allontanare la sua mano da sotto la gonna, stringendo le cosce l’una contro l’altra, ma non riuscì a farlo desistere.
Continuò a toccarla, ad avvicinarsi sempre di più ai suoi punti più sensibili.

Con la mano sinistra, ormai libera dall’ostacolo del tessuto, passò le dita sotto i seni.
Il suo petto minuto e sollevato gli fece capire che stava trattenendo il fiato per la tensione, in attesa che accadesse qualcos’altro, il passaggio successivo, quello più spinto.

Continuò ad accarezzarla in quella fascia, osservandone con muta soddisfazione gli effetti: Clarissa si stava mordendo il labbro inferiore, gli occhi chiusi, il fiato corto e le narici dilatate… Con una mano, stringeva spasmodicamente il corrimano dello sportello, con le nocche bianche per la pressione… L’altra mano se ne stava sulla spalla del chitarrista, ferma, forte, con le unghie piantate nel tessuto della camicia, bramose di arrivare alla pelle nuda…

“Danny…” lo chiamò in un sospiro, aprendo gli occhi per puntarli nei suoi.

Si ritrovò con la sua faccia sopra, muta e in attesa.
Gli occhi blu così famelici e maliziosi da far paura.
Gli sorrise, eccitata da quella situazione.
Danny le morse piano il labbro inferiore.
Lei lo baciò velocemente per poi parlare…
“Danny, ti prego, dico sul serio… Non possiamo star qui tutta la notte… Non che non ci stia pensando, ma…”
Con una mossa di cui lei non si accorse minimamente, il suo ragazzo abbassò del tutto il sedile su cui era seduta, di scatto.
L’aria si smosse sotto i suoi vestiti a causa dell’improvviso spostamento: un brivido freddo le attanagliò il petto, e da sotto il suo reggiseno Danny notò le sporgenze dei capezzoli turgidi.

“Danny… Oh, cazzo, ti prego, ascoltami…” gemette Clarissa mentre lo vedeva abbassarsi sul suo petto,  senza spostare il reggiseno e continuando con la tortura della lenta carezza poco sopra lo stomaco.
“Ti adoro quando fai la difficile…” le disse, sorridendo dolcemente, prima di afferrare tra i denti il laccio elastico tra le coppe dell'indumento intimo; lo sollevò di qualche centimetro per poi rilasciarlo e farlo scattare.
Clarissa inarcò la schiena trattenendo un gemito, poi strinse gli occhi e catapultò le mani sulla testa del ragazzo.

“Dan. Ascoltami. Porca puttana, non farti pregare e non farmi essere volgare.” gli intimò, tirandolo per i capelli affinché la guardasse.
Per tutta risposta, ricevette uno sguardo degno di un paio di sonori schiaffi: sorridente, soddisfatto, forse persino un po’ sadico.
“Potresti…” gli chiese, sbattendo freneticamente le palpebre ed incespicando nelle parole “Potresti… ecco, voglio dire… velocizzare le cose? Almeno questo?”

Danny strisciò sul suo corpo fino a fissarla negli occhi.

“Sei un’incorruttibile donna in carriera…” la canzonò con un ghigno insopportabile, mentre con una mano le sollevava la coscia destra.
“Ho un posto da mantenere, non faccio parte di nessun gruppo famoso, io…” sibilò lei, fingendosi arrabbiata, mentre le dita di entrambe le mani scendevano sulla camicia, insinuandosi tra le asole.
“Potresti diventare famosa anche tu, sai?” le propose il ragazzo, facendo strusciare pian piano i loro nasi “Se dichiarassi alla stampa, che so, di essere la mia groupie, allora…”

 
Il rumore secco di uno strappo lo gelò.
Sentì tintinnare qualcosa di piccolo nei meandri della sua macchina.
Sotto di lui, Clarissa alzò un sopracciglio, insieme all’angolo destro della bocca, mentre un bottone solitario terminava la sua caduta al centro del suo petto.

“Io sono la tua fidanzata, non la tua groupie. E tu chiacchieri troppo…” gli bisbigliò, lasciando andare i lembi della camicia strappata.

 
Il chitarrista trasformò lentamente la sua espressione inebetita in un altro sorriso, ancora più euforico dei precedenti.
“Sei proprio un’impertinente, sai? Cosa devo fare con te?” gli chiese, mentre faceva scendere la mano dalla coscia all’inguine.
“Devo dirti tutto io?” domandò la ragazza a sua volta, buttandogli le braccia al collo, aspettando fremente che lui scoprisse che era pronta, e lo era da un pezzo.

Sentì le sue dita spostarle le mutandine.

Sorrise, gettando indietro la testa mentre inspirava profondamente.

“… Non ce n’è bisogno…” affermò il chitarrista con voce roca, estraendo indice e medio dalla sua vagina.

L’aveva sentita calda, bagnata, gonfia.

Vi si avvicinò con il bacino, liberato dai pantaloni in pochi secondi.

 "Ti punirò come si deve per essere stata così indisponente… e per avermi strappato la camicia…” le disse piano all’orecchio.
“Cristo, Jones…” rantolò l’altra, in risposta, ridacchiando “Al tuo posto, a quest’ora mi sarei punita già da un pezzo, mentre tu parli, parli, non stai zitto un secondo e int…”

Non finì la frase.

Spalancò la bocca e strinse gli occhi, nell’espressione di un grido soffocato.
Dopo qualche attimo, mosse morbidamente eppure con decisione il bacino; Danny la imitò e ben presto si ritrovarono a gemere senza ritegno.

 

“Jones, non… non fermarti… Così, sì… Non smettere!” ansimò Clarissa, aggrappata alla sua schiena.
Danny aumentò la forza delle sue spinte e si abbassò sul suo viso, chiedendole con la voce rotta dall’eccitazione: “Ti piace?”

La ragazza rispose con altri gemiti, sempre più forti e frequenti, finché pochi minuti dopo non raggiunse l’orgasmo, piantando le unghie nella schiena del fidanzato, che arrivò all’apice pochi istanti più tardi, spingendo il bacino fino in fondo a quello della fidanzata.

 

 

 

 

Si insaponò la schiena, attenta a non bagnarsi i capelli raccolti in uno chignon alto e un po’ scomposto.
Danny aprì la tenda della doccia e si piazzò alle sue spalle.

“Faccio io, dammi…” le propose, prendendole la spugna dalla mano.
“Grazie…” rispose lei, girando la testa per un bacetto veloce.

Il ragazzo lavò ogni centimetro del suo piccolo dorso, sorridendo lievemente alla vista della cicatrice poco sotto il collo, la stessa che aveva Tom.
Si soffermò per qualche secondo sulla curva della vita, poi sui fianchi…

“Danny! Lavati!” sbottò subito la ragazza, che aveva percepito la sua erezione sulle natiche.
Si voltò per strappargli la spugna dalle mani, salvo poi tirargliela sul viso.
“Va bene, va bene! Cazzo…” imprecò il chitarrista ad occhi chiusi, sommersi dalla schiuma.
Clarissa si sciacquò in fretta e lo lasciò nella doccia da solo, scoppiando a ridere.

 

 

La trovò a letto, i capelli sciolti, il pigiama, la vaschetta di gelato al fior di latte tra le mani, il cucchiaio in bocca.

Ridacchiò.
Dopo aver fatto l’amore, aveva sempre voglia di gelato.
Lui si fumava una sigaretta sul balcone e lei correva verso il freezer, alla ricerca della sua dose di zuccheri da reintegrare.

 
“Posso assaggiare?” le domandò, una volta accanto a lei sotto le coperte.

Lei gli ficcò in bocca una cucchiaiata bella carica.

“Morivo di fame…” sospirò, prima di ricominciare a mangiare mentre lui inghiottiva.
“Posso farti una domanda?” le fece, di nuovo a bocca vuota.
Clarissa lo ascoltò e lui disse, un po’ esitante: “E’ una novità… quella di chiamarmi per cognome mentre… mentre lo facciamo…”
Lei annuì, pensierosa, e aggiunse: “Mi è presa così, stasera… Perché?”

“Perché… sinceramente… preferisco quando mi chiami per nome…non so perché, ma...” ammise il ragazzo, grattandosi la testa, lievemente in imbarazzo.
“Oohh… Ma che cucciolo…” la sentì esclamare, toccata, prima che lo abbracciasse calorosamente.
“Ti chiamerò sempre e solo per nome, se ti piace di più, d’accordo…” lo rassicurò, accarezzandogli i ricci.

Danny si accoccolò contro il suo petto e sorrise, beato.

“Ma ad una sola condizione” la sentì aggiungere subito dopo, quasi glaciale.

Si raddrizzò immediatamente, guardandola in viso, confuso.

“Non chiedermi mai più se mi piace come mi stai… trivellando. È volgare e materialista!” gli sputacchiò in faccia, seria.

Ma senti questa!” pensò, esterrefatto, spiazzato dall’incoerenza della sua fidanzata, la stessa che una mezz’ora prima lo stava pregando di scoparla con quanta più forza possibile.

“Ok… va bene, promesso. Non lo farò più!” promise, tacendo le proprie perplessità.
Clarissa ritrovò il sorriso, lo baciò sul naso, macchiandolo di gelato, poi sbadigliò ed annunciò: “Io dormo… non ne posso più… Buonanotte, amore…”
Anche lui le diede la buonanotte, baciandola sulla fronte prima di spegnere la luce.


Si divertì a guardarla nella semioscurità, a debita distanza, mentre cadeva addormentata a bocca aperta e perdeva saliva dall’angolo  sinistro della bocca.

Era proprio lei, sì.

Prima gli faceva fare sesso alla velocità della luce, come un toro, condendo il tutto con le sue provocazioni e i suoi gemiti mirabolanti.
E poi dormiva come i sassi, sbavando sulla federa del cuscino.

Si addormentò con quella buffa immagine di lei, appagato e pacioso come un bambino.

***

"Priscilla", o meglio "Priscilla- Queen of the desert", è un musical australiano del 2006 (che prende spunto da "The adventures of Priscilla- Queen of the desert", film del 1994) approdato con successo in Inghilterra nel 2009! Viene citato senza alcuno scopo di lucro!
Idem per la citazione (nel titolo del capitolo) dal testo di "Stay with me", una cover dei McFly il cui papà è Rod Stewart.

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Capitolo 6
*** Met this girl ***


claire

Cari e care,  vi saluto sulle note di Stravinsky, una vera ispirazione per la creazione di questo capitolo alquanto strambo (almeno quanto la sua "Rite of Spring")...

Vi devo dire che per una settimana non ci sarò, da domani sarò in vacanza, senza PC, quindi la prossima pubblicazione potrebbe subire dei ritardi. Non preoccupatevi, rimedierò il più velocemente possibile!

Intanto godetevi questo pezzettino in più di Claire & Co.! Devo ammettere che io stessa, scrivendolo, mi sono stranita. E sono certa che voi farete lo stesso leggendolo.
Non c'è bisogno che vi dica di stare all'erta, lo capirete riga dopo riga...

Ringrazio RubyChubb per le recensioni sempre costanti e puntuali :) spero che anche questo capitolo ti piaccia!
Un grazie bello grande va anche ai miei lettori in generale!

Buone vacanze, io mi godrò le mie :) Ci vediamo a fine mese!

Ciry

***

Quella notte…

 

“Ma allora lavorate insieme, in questa libreria…”
“Sì, te l’ho detto, è da una settimana, più o meno…”
“E com’è?”
“Com’è cosa?”
“Lavorare con lei… E’ simpatica?”
“Sì, è carina…”
“E nient’altro?”

Daniel fece spallucce.
Tutto quello che Clarissa gli diceva entrava ed usciva dalle sue orecchie più o meno alla velocità della luce.
I suoi occhi si ricordavano più volentieri il suo piccolo sedere, sicuramente sodo.

Pilar si alzò dal letto, si rivestì e tirò fuori dalla tasca dei jeans gli autografi fatti da Danny.

“Dio, che figo…” sospirò in estasi, sventolandoseli davanti al viso “Sai cos’ha scritto nella dedica per Lola, mia sorella? Ci ha scritto A Lola… La la la la Lo- la! E’ anche spiritoso, proprio come pensavo!”
Il ragazzo la guardò con aria interrogativa e chiese, apatico: “E che cosa sarebbe?”
La spagnola, tentennante, gli spiegò: “Lola è una cover che hanno inciso e… il ritornello faceva così… Tutto qui…”
Daniel si alzò dal letto e andò verso il bagno, sbuffando con fare annoiato.
“Sarà anche famoso, ma in quanto a umorismo... sta messo meglio il mio criceto…”
La ragazza scosse la testa, indossò le infradito ed insinuò: “Cos’è, sei geloso di lui? O invidioso?”
Sulla soglia della porta, lui le rispose con un sorrisetto: “Non è granché… Lei meriterebbe di meglio, ma io posso farci poco… Mi faccio una doccia… Quando rientro, non voglio trovarti ancora qui, ok?”
“Me ne stavo andando, tranquillo…” ribatté l’altra, acida, fulminandolo con lo sguardo.
Daniel ammiccò, poi chiuse la porta dietro di sé.

Una volta ritornata nel suo piccolo appartamento, due piani sotto quello di Daniel, Pilar sospirò profondamente e si addormentò dopo essersi rigirata nel letto per lunghissimi minuti.

Neanche l’autografo di Danny riuscì a tirarla su di morale.

 

 

~~~

 

La mattina dopo…

 

Il profumo delicato e dolce di un cornetto caldo si fece strada nelle narici di Clarissa, che alzò gli occhi assonnati da una pila di CD appena arrivati, tutti da sistemare negli appositi scaffali della sezione musicale.

Bonjour, Clarissa! Ho comprato cornetti per due! Spero ti piacciano…” la salutò Daniel.
La collega gli sorrise beata e disse: “Buongiorno… Sai che, teoricamente, non è consentito mangiare durante l’orario di servizio, vero?”
Il ragazzo storse la bocca in un mezzo sorriso, da vero teppista, ed affermò: “Anne. Devi dare la colpa a lei se adesso trasgredisco le regole… e se corrompo il resto dello staff in questa libreria!”
“Anne è nata corrotta, quindi rimango solo io…” ridacchiò la bionda, allungando una mano per ricevere la profumata colazione.
“Io mi prendo il caffè al distributore… Tu vuoi qualcosa? Offro io!” le propose lui, mentre già si avviava nel retrobottega.
Clarissa optò per un tè caldo.

 

Davanti all’illegale primo pasto della mattinata, la ragazza sorrise al francese e gli chiese, fingendosi maligna: “Devi farti perdonare qualcosa? O peggio, devo farti un favore?”
Lo vide ridacchiare, la bocca nascosta educatamente da una mano, poiché piena.
“Porto solo un po’ di cortesia tipicamente francese in giro per il mondo!” la canzonò una volta inghiottito il boccone.
Lei si finse stupita e sospirò con un sorriso: “Che benedizione per noi inglesi cafoni!”
“Ma non eri irlandese?” le ricordò Daniel.
“Sì, è vero…” fu la risposta “E’ solo che ormai è questa casa mia… Non torno in Irlanda da anni!”
“Bene, allora vorrà dire che per te farò un’eccezione!” le fece il ragazzo con tono divertito “Le mie lezioni di bon ton e cortesia valgono solo per gli inglesi che sono inglesi al cento per cento… e scusa per la ripetizione, ma la mattina faccio fatica a parlare la vostra lingua senza combinare qualche casino!”
Clarissa lo rassicurò con una risatina e scosse la testa.
Le sorrise, rinfrancato.
“Il tuo inglese è buono, non devi preoccuparti!” si complimentò, prima che finisse la colazione in un ultimo sorso di tè.
“E tu? Tu non parli francese?”
“No… Non ho mai avuto l’occasione di impararlo, a dir la verità!”
“Te lo insegnerò io!” si propose il giovane, andando verso il cesto della pattumiera per gettar  via i bicchieri di carta.
“Come si dice Al lavoro in francese, allora?” gli domandò Clarissa.
“Si dice Au travail… perché?”
Au travail!!! “ lo richiamò lei, facendogli segno di seguirlo al bancone con un sorriso compiaciuto.

 

 

~~~

 

 

Cassie si frugò le tasche dei pantaloni, indagò anche in quelle dell’impermeabile che avrebbe indossato di lì a pochi minuti, ma invano.
Imprecò a denti stretti.
L’aveva perso sul serio.
Credeva di esserselo tolto, insieme al compagno, a metà serata, e di averli messi da parte.
Ma aveva ricordato male.
L’unica cosa ben definita di quell’uscita era stata la cascata di vomito sul suo sandalo, sul suo piede.

Nonostante lei avesse ritenuto che la sua arrabbiatura fosse legittima, Harry le aveva dato contro, aveva sminuito il suo problema, e così avevano litigato.
Era tornata a casa con la scarpa sporca tenuta tra indice e pollice, a debita distanza dal suo corpo.
Per calmarsi le ci erano volute una notte di sonno e una buona pulita alla scarpa inzaccherata.
Certo, Clarissa non l’aveva fatto apposta, di sicuro non si era divertita a vomitare l’anima.
Era quello che Harry aveva provato a spiegarle, ma lei era troppo arrabbiata.
Avevano fatto pace per telefono, dopodiché lui le aveva consigliato caldamente- per non dire ordinato- di andarsi a scusare con la ragazza di Danny; le aveva dato l’indirizzo della libreria e aveva aggiunto un “Ci conto” che non ammetteva repliche.

A quel punto, era sorto un problema imprevisto: Cassie non riusciva più a trovare il suo orecchino.
In un primo momento pensò: “Poco importa, lo cercherai poi, non è importante per lei vederti con o senza orecchini…
Poi ebbe un lampo di genio.
Si morse subito il labbro inferiore, incerta sul da farsi, ma la sua esitazione durò poco.
Decise di tentare, e soprattutto di fregarsene delle conseguenze.

“Pronto, tesoro?”
“Buongiorno! Dove sei?”
“A casa, stavo per uscire, ma ho scoperto una cosa…”
“Mh?”
“Ho perso un orecchino l’altra sera, quando siamo usciti con i tuoi amici… Non è nella tua macchina, vero?”
“L’abbiamo pulita insieme ieri, l’avremmo trovato!”
“Appunto… Dato che costano un bel po’, vorrei ritrovare quello che mi manca, mi girano un po’ le scatole…”
“Vuoi chiamare al locale per controllare se lo hanno ritrovato lì?”
“No, no, non è lì che l’ho perso, ne sono sicura!” esclamò immediatamente lei, continuando la sue recita improvvisata “Credo che mi sia caduto quando… quando mi sono affacciata alla macchina del tuo amico per vedere come stava Clarissa!”
“Dici che è nell’auto di Danny? Mi sembra… un po’ improbabile…”
“Ti dispiacerebbe chiedergli se lo ha trovato?”
Harry stette in silenzio per alcuni istanti, poi rispose con tono scettico: “Ok, lo chiamo, ma…”
“Fammelo sapere subito allora!” lo investì la ragazza, prima di concludere con “Aspetto che mi richiami!”
“…Ok, ok! Allora a tra poco… Ciao…”
“Ciaociaociao!”

Harry osservò con aria perplessa il proprio cordless.
Dopodiché fece spallucce e compose il numero di casa di Danny e Clarissa.

“Pronto?” sentì da una voce debole, impastata dal sonno.
Ridacchiò nel rispondergli: “Buongiorno! Sei mattiniero!”
“Judd, sono le nove e mezza, sei indecente!” belò il chitarrista, sbadigliando subito dopo aver parlato.
“Ti chiamo per un’emergenza, almeno, Cassie dice che è un’emergenza ed io non posso oppormi, devo eseguire gli ordini, non dare la colpa a me!”
“Cassie? Cosa vuole Cassie?”
“Vuole il suo orecchino, è convinta di averlo perso nella tua macchina quando siamo usciti tutti insieme…”
“Vuoi dire…?”
“Sì, quando Claire si è sentita male… A proposito, come sta?”
“Come vuoi che stia? Non ha fatto in tempo a mettersi a letto che si è rialzata ed è andata a lavorare…!”
“Ah, bene! Cassie voleva scusarsi con lei per quella piazzata, dopo che… Insomma, le ho dato l’indirizzo della libreria, ma ora con questo orecchino è andata in paranoia e mi ha chiesto di richiamarla se ce l’avevi tu! Controlleresti in macchina?”
Sentì alcuni lievi rumori, segno che Danny si stava muovendo, poi la sua voce gli rispose: “Come vuoi… Proviamo a guardare…”

Con l’eco risuonante nel garage, il chitarrista annunciò al telefono: “Harry, l’ho trovato! Era ai piedi del sedile posteriore!”
“Non l’avrei mai detto!” esclamò l’amico, sorpreso “Ero già pronto a disperarmi, avrei giurato che lo avesse perso per la strada! Adesso la richiamo!”
“Allora lo metto da parte, su in casa…”
“Grazie, Dan, mi hai salvato la giornata!”
Con una risatina, il ragazzo salutò il suo batterista e dopo aver riattaccato risalì in casa, poggiando l’orecchino dorato su un mobile vicino al portone d’entrata.

 
Neanche due minuti più tardi, mentre stava ancora facendo colazione, il telefono squillò di nuovo.

Era Harry, ancora una volta.

“Che ti sei dimenticato?” esordì.
“Dan, se sei in mutande vestiti…” lo avvertì l’amico con tono angosciato “Cassie sta per arrivare sotto casa tua…”
“Ah! Rivuole l’orecchino, suppongo!” ribatté l’altro, stupito “Pare che valga più di tutto l’oro del mondo!”
“Se scopro che è bigiotteria, giuro che le rido in faccia, dovesse prendermi a schiaffi per tre giorni di seguito…” concluse Harry con aria rassegnata.
“Va bene, allora l’aspetto qui!”
“Ma dovevi uscire?”
“Sì, ma alle undici, mica adesso…”
“Meno male, almeno non ti ha svegliato lei con le sue scampanellate…”
“Infatti sei stato tu con il telefono, stronzo!” lo apostrofò Danny, ridendo.
Il ragazzo sbeffeggiò la risata del socio dall’altra parte della cornetta e lo salutò dicendogli: “Riconsegnale l’orecchino e non darle spago, altrimenti ti farà una testa così con le sue chiacchiere!”.

 

 

Le aprì la porta in jeans, maglietta e infradito. Non conosceva una versione più casalinga di quella.
Faticò a non arricciare il naso quando un’ondata di profumo gli invase le narici, nel momento in cui lei si era avvicinata per baciargli le guance, anche se alla fine aveva sfiorato l’aria.

“Spero di non disturbarti, Harry mi ha detto che potevo venire…” si scusò lei, giungendo le mani e facendo tintinnare alcuni dei suoi bracciali d’oro e d’argento.
“Non c’è nessun problema! Accomodati, il tuo orecchino è sul mobile…” la invitò lui, con tono cortese.

Cassie gli sorrise, raggiante, e lui attribuì tanta improvvisa gaiezza al ritrovamento del cosetto scintillante, forse anche a un po’ di stupidità.
Appena le ridiede l’agognato accessorio, la ragazza allungò singolarmente una mano curatissima verso il suo viso per fargli una carezza piena di gratitudine.

“Grazie, davvero grazie mille, ero disperata…” cinguettò davanti al suo interlocutore, sorridente ma perplesso.
“Figurati, siamo stati… fortunati, avresti potuto perderlo per strada!”
“E invece ce l’avevi tu, meno male!” sottolineò la ragazza per poi ravvivarsi i capelli con una mano e chiedere: “Clarissa? Non c’è? È a lavorare, malata com’è?”
Danny decise di non fare caso all’espressione e al tono vagamente falsi della moretta e rispose: “Sì, sai… Claire andrebbe a lavorare anche con il colera! E comunque adesso sta bene, è stato solo un problema allo stomaco, le è passato nel giro di qualche ora…”
“Bene, molto bene! Stavo andando a trovarla in libreria, spero di poterla salutare!”
“La troverai di sicuro, sono solo in due o tre nel negozio…” la informò il chitarrista, a corto di argomenti e anche un po’ laconico.
Cassie diede un piccolo colpo di tosse nei secondi muti che scorsero tra di loro, poi lo travolse di nuovo con la sua ondata olezzante, stringendolo brevemente a sé con un braccio, e gli disse: “Grazie mille ancora! Adesso devo scappare, però usciamo qualche altra volta, che ne dici?”
“Certo! Ci metteremo d’accordo con il resto del gruppo!” la accontentò Danny, in vena di convenevoli.
“Certo! Certo… Ti saluto! Ciao, Dan, grazie ancora!”
“Ciao… ciao!”

Chiuse il portone e storse la bocca in una smorfia dubbiosa mentre rientrava in cucina.

Si aspettava che fosse più o meno così, con la parlantina inversamente proporzionale al suo intelletto.
Ma smuovere mari e monti per un orecchino…
O era stato Harry a gonfiare verbalmente la propria versione dei fatti, o era stata lei ad essere davvero paranoica.

Decise di farsi i fatti propri al riguardo e tornò ad addentare il bacon.

 

 

~~~

 

 

“Claire, sono arrivati questi manifesti ieri pomeriggio… Cosa ci faccio?” domandò Daniel, mostrando alla ragazza alcuni poster adesivi.
“Ah, sono quelli dei saldi! Dalli a me, li attacco qui fuori!” si propose la collega.
Il giovane le allungò il materiale e se ne tornò al bancone, pronto ad accogliere i primi clienti della giornata.

 

 

Cassie rimuginò, tastando entrambi gli orecchini con la mano nella tasca del cappotto.

Pensò a quanta fortuna aveva avuto, dato che la trovata dell’orecchino era stata un po’ come un salto nel buio; aveva decisamente tirato ad indovinare per poi tenere le dita incrociate, perché in realtà non si ricordava con precisione dove avrebbe potuto perdere quell’oggettino, tanto prezioso quanto fortunato.
Ci aveva azzeccato, l’aveva smarrito nel posto giusto.
Li indossò, senza smettere di camminare, ma la sua andatura era pigra.
Non aveva più voglia di andare dove Harry le aveva detto di precipitarsi.
Il suo orecchino lo aveva riavuto.
Danny lo aveva rivisto, e anche con grande soddisfazione.
Non le era importato di aver fatto la figura della superficialotta alla ricerca spasmodica di un pendente qualunque: alla fine, aveva ottenuto quello che voleva, almeno per il momento.
Tutto al più, sarebbe stato lui a dire alla fidanzata che lei era passata, che aveva speso due parole per lei…

Senza accorgersene, era quasi arrivata a destinazione.
Non ricordava molto bene com’era fatto il negozio, perciò non fece caso a Clarissa che, a pochi metri da lei, era appena uscita dalla libreria, quasi del tutto coperta alla sua vista dal manifesto steso che doveva attaccare in vetrina.

Fece per attraversare la strada e tornarsene a casa, elaborando mentalmente una scusa da inventare a Harry, per quando avrebbe scoperto che non aveva parlato con Clarissa…
Quando fu proprio la sua voce a fermarla.

“Cassie?” si sentì chiamare.

Strinse fulmineamente gli occhi, trattenendo un’imprecazione, e si voltò.

Sì, era proprio lei.

E l’insegna parlava chiaro: era proprio una libreria, QUELLA libreria.

“Clarissa! Ti ho trovata finalmente!” le pigolò, improvvisando nuovamente, camminandole incontro.
“Mi stavi… cercando?” domandò la ragazza, poggiando i poster sul marciapiede.
“Certo! Ho un senso dell’orientamento penoso, ma finalmente siamo qui, nel posto giusto!” ridacchiò lei, tirandosi addosso l’altra nell’atto di abbracciarla affettuosamente.
Clarissa trattenne il fiato, nauseata dal troppo profumo, e si staccò gentilmente dalla sua stretta, chiedendole: “Come mai da queste parti? Dove hai lasciato Harry?”
“E’ a casa, sai, a bivaccare e a giocare con la batteria…” la liquidò la ragazza, per poi continuare, cambiando argomento: “Volevo vederti per chiederti scusa, Claire! L’altra sera ho fatto la pazza e non so neanche perché, scusami, so che tu non l’hai fatto apposta di…”
“No, no, no, Cassie, ci mancherebbe altro!” la interruppe la bionda, scuotendo la testa “Sono stata io! Di certo non mi sono divertita a farlo, però… avrei dovuto spostarmi, andare in bagno, e invece ho combinato solo un gran casino, mi dispiace…”
“Ma non dirlo neanche!” insistette Cassie, mettendole le mani sulle spalle “Guardami, sono ancora viva, la mia scarpa è come nuova, non è successo niente! Ero venuta solo a dirti che… puoi stare tranquilla!”
“… Ah!” esclamò l’altra, mascherando la propria confusione con un sorriso conciliante.

E mentre lei le parlava di quanto le circostanze fossero state buffe e sfortunate durante quella celeberrima serata, Clarissa la fissava, assecondando i suoi discorsi senza veramente ascoltarla.
Non poté fare a meno di etichettarla definitivamente come “antipatica”, con tutti quei battiti di ciglia impregnate di mascara e la sua voce cantilenante che la menzionava di continuo in via fin troppo confidenziale: Claire, Claire, Claire…
E credeva anche di avere ragione! La stava tranquillizzando!!!

Alla fine, trovò il modo di liberarsi di lei, intrufolandosi in una delle sue sporadiche pause tra un monologo ed un risolino.

“Grazie per essere venuta fin qui, non me l’aspettavo…” esordì, prendendole le mani con una decisione mascherata da calore amichevole “Mi fa piacere averti visto, e ora devo lasciarti perché…”
“Giusto! Il lavoro è il lavoro!” la sovrastò l’altra, annuendo con un enorme, bianchissimo sorriso “E’ stato bello anche per me! Spero di vederti presto, magari… non so, usciamo con i ragazzi!!!”
“Certo, tanto basta una telefonata e siamo d’accordo!” rincarò la dose Clarissa.
“Perfetto! Allora… Ci salutiamo! A risentirci, spero!”
La strinse per le spalle minute per baciare l’aria vicino alla sue guance, senza darle il tempo di ricambiare; a Clarissa non restò che sollevare la mano per congedarsi.

Nel guardarla allontanarsi, mentre tornava lentamente al lavoro, scosse impercettibilmente il capo, pensierosa.

Che problemi aveva quella ragazzetta?
Harry stava davvero con lei?

Harry ha seri problemi con il genere femminile…
Quel pensiero veritiero non la rassicurò: quella Cassie era davvero troppo anche per gli standard discutibili di quello strampalato del suo amico.

“Clarissa?” si sentì richiamare dalla voce di Daniel.
Si voltò di scatto, riprendendosi dalle proprie perplessità, ed esclamò: “Scusami! Era passata una… a… salutarmi…”
“E’ carina la tua amica!” ammiccò il ragazzo, le mani in tasca ed un sorrisetto furbo sulla soglia del negozio.
“Non è mia amica!” lo contraddisse subito l’altra, iniziando a stendere il manifesto sulla vetrina “No, non lo è affatto…”.

***

Il titolo del chapter è lo stesso della canzone dei McFly, risalente al loro primo album "Room on the third floor". nessuno scopo di lucro.

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Capitolo 7
*** I'm looking at you from another point of view ***


claire Mio Dio, ma è tardissimo! Vi saluto alla velocità della luce, sperando di sapere che state tutti bene!!

Scusate il ritardo, ho cercato di pubblicare il prima possibile per farvi contenti, e anche perchè così riuscirò a gestire meglio tutto il resto del materiale che ho in cantiere :) Magari un giorno vi rivelerò qualcosina al riguardo!
Dopo le vacanze devastanti, gli esami e in attesa di una settimana very busy, eccomi qui, con un nuovo capitolo. Vi avverto, lo odierete XD Sarete voi a dirmi per cosa!! Io l'ho odiato scrivendolo, ma d'altronde era necessario, essenziale! Sapete, bisogna pur accendere la miccia prima di fare esplodere una bomba!!!...

Passiamo alla parte più bella! Grazie a TUTTI, come al solito, ma in particolare a...

@RubyChubb: Odiami, caVa, odiami!!!! E poi quella dei capitoli lunghi sei tu, non io, cosa vuoi da me?! :P Queste righe ti manderanno in visibilio per l'isteria, già lo so! Grazie per esserci sempre!!!

@GiulyB: Grazie mille anche a te, sono contenta che il capitolo precedente ti sita sembrato "godibile". Peccato che in questo caso penserai il contrario XD Ma un pò per uno non fa male a nessuno, mettila così XD Grande ammirazione per essere in pari nonostante la tua dichiarata pigrazia :D :D!

Ed ora, mcflyani e non... à vous! Devo lasciarvi in fretta e furia, ma tornerò presto!

Baci

Ciry


***







Si afflosciò sopra il divano, in attesa che il suo ragazzo venisse a salutarla decentemente, andando oltre quel Ciao! urlato dal piano superiore. Era stanca morta.

“Dan, ma che stai facendo, hai messo radici al computer?!” sbottò spazientita dopo due minuti di silenzio totale.
Invece di una risposta diretta, sentì i passi frettolosi del fidanzato e il sorriso ricomparve sulle sue labbra, rincuorato e divertito: si sarebbe precipitato da lei, baciandola con gli interessi per scusarsi del ritardo!...

“Ehi! Scusami, ero a ribaltare casa, non trovavo una cosa…”
Lo vide sfrecciare davanti a lei con un mucchio di scartoffie tra le braccia e solo quando si alzò dal divano e gli andò incontro, palesemente desiderosa di un bacetto, lui glielo concesse. Sulla fronte, un velocissimo schiocco prima che tornasse a concentrarsi sulle proprie carte, sparpagliate sopra il grande tavolo del salotto.
“Ma… che cos’è quella roba?” domandò, confusa.
“Sono tutti i testi e le melodie che sono riuscito a mettere su negli ultimi mesi” le rispose lui, parlando in fretta, con gli occhi illuminati dall’eccitazione “Oggi ho incontrato alcuni produttori con Tom e sarebbero interessati a fare qualche pezzo con noi! Quando ce l’hanno detto, lui ha risposto sì sì a tutte le loro domande, come al solito, e poi, quando siamo rimasti soli, mi ha fatto Porta qualche canzone delle tue domani, io ho fatto qualcosa, per ora però ho solo qualche bozza, voglio lavorarci ancora qualche giorno, non mi fido… Io sono rimasto di sasso, non era mai successo che affidasse tutto a me!!!”
“Bè, ma… non ci saranno solo pezzi tuoi e basta, alla fine, no?” domandò Clarissa con aria retorica, fissando uno spartito pasticciato d’inchiostro blu e caffè.
Danny alzò lo sguardo su di lei, ammutolì per qualche istante ed infine ribatté, vagamente perplesso: “Ma è dai miei pezzi che si partirà, Claire… Lo sai che l’ultima volta che è successo, è stato per Wonderland…”
“Sì, sì, lo so, ma… Ti sei offeso, scusa?”
“No, non sono offeso, è che…” il chitarrista cercò le parole adatte…
“Non ti vedo… contenta, ecco…” concluse, incrociando le braccia al petto.
La sua ragazza alzò le spalle con un sorriso rassicurante e affermò: “Ma certo che sono contenta… E’ solo che sono anche stanca, tutto qui… e poi voglio sentire che cosa ne ricaverete, da questo lavoro, prima di entusiasmarmi, sai…”
Il suo sorriso venne ricambiato, entrambi si tranquillizzarono e lui scosse la testa, sospirando: “C’è un sacco di lavoro da fare coi ragazzi, mi sento come se dovessi avere il controllo del mondo da un momento all’altro…”
Clarissa lo baciò sulla tempia prima di dirgli: “A stomaco vuoto nessuno ragiona come si deve, adesso preparo la cena e vedrai che…”
“Ah, aspetta, no” la interruppe lui, con una smorfia di disappunto “Ho già cenato con una pizza, devo essere in studio nel giro di un’ora per vedere se riusciamo a registrare qualche demo…”
Non riuscì a nascondere una punta di delusione, che le salì immediatamente agli occhi; riuscì a scacciarla prima che lui potesse dirle qualsiasi cosa e si mostrò accondiscendente. Del resto, non era la prima volta che capitava in due anni…
“Va bene… Farete tardi?” domandò, cauta.
“Sinceramente non ne ho idea… Tu non aspettarmi sveglia, comunque, ok?”
Era certa che sarebbe tornato a notte fonda.
Si mise il cuore in pace, annuì in silenzio e lo lasciò al suo nuovo tesoro cartaceo per rinchiudersi in cucina.


Quando se ne fu andato, lo salutò come sempre, riservandogli il consueto bacio a stampo, quello che a volte lui reclamava una seconda volta, perché non era riuscito a sentire del tutto le proprie labbra sulle sue.
Quella volta, avrebbe potuto essere lei quella a lamentarsi, ma aveva taciuto di fronte al suo entusiasmo per il progetto di cui si sarebbe occupato con la band.
Non era certo la prima volta che si assentava per lavoro, ma quando si era messa con lui, i McFly stavano attraversando un periodo di quiete, una sorta di anno sabbatico trascorso a rilassarsi dopo il matrimonio di Tom. Di certo nessuno di loro era mai rimasto con le mani in mano: si trovavano spesso insieme a suonare in studio, in molte occasioni erano partiti per qualche giorno in giro per l’Europa, a fare comparsate in TV, portandosi dietro Gi, Frankie e lei, mai abbastanza avvezza ai fotografi per considerarli “parte della tappezzeria” ed ignorarli bellamente, no. Tendeva sempre a rivolgere degli sguardi inquieti verso i loro obbiettivi, sentendosi addosso degli sguardi fin troppo invadenti.
Almeno, allora stavano insieme costantemente.
Di un nuovo album non aveva ancora sentito parlare: né Danny, né gli altri le avevano rivelato mai niente. Ma sembrava essere giunto il momento per mettersi al lavoro e registrarne uno, chissà di che stampo e in chissà quanto tempo.
Da amica di Harry, Dougie e Tom, aveva sempre tollerato in passato con rassegnata pazienza la loro assenza prolungata, i loro appuntamenti mancati, gli imprevisti e le dimenticanze.
Da fidanzata di Danny, ancora non sapeva come comportarsi di preciso, ma decise di non farsi paranoie inutili prima del tempo.
Si tratta solo di stare un po’ meno tempo insieme e di non stressarlo più del dovuto, Claire, non essere stupida… Guarda il lato positivo: avrai più tempo per te!


Dopo una cena a base di insalatona mista, il telefono di casa squillò.

“Pronto?”
“Ciao, tesoro…”

Sorrise di cuore.

“Nora… Come stai?”
“Un po’ raffreddata, ma niente di serio… E tu? Ti sento un po’ stanca…”
“E’ il lavoro, tranquilla, per il resto sto bene!” la tranquillizzò, divertita dal suo intuito sempre infallibile.
“E il tuo fidanzato? E’ lì con te?”
“No, stasera Dan è uscito presto per andare a suonare con i ragazzi, ma non so dirti molto di più…” mentì con disinvoltura, vincolata com’era all’obbligo della riservatezza sulle questioni di lavoro della band.
“E così ti ha lasciata da sola ai fornelli, eh?” ridacchiò la vecchia signora, ricambiata dalla ragazza, che le domandò: “Come vanno le cose lassù?”
“Abbastanza bene, e ti ho chiamata per un motivo ben preciso, anzi, due! Volevo prima di tutto sgridarti sonoramente per non essere più tornata a casa! Sai che è passato più di un anno?!”
Alla parola “casa”, Clarissa storse la bocca, ma si limitò a ribattere: “Hai ragione, lo so, lo so, è che sono sempre stata piena di lavoro, e poi mi sono trasferita qui da Danny da pochi mesi, non ho trovato un attimo per…”
“Ti sculaccerò comunque appena ti vedo!” la sovrastò l’amica in tono canzonatorio “Tra un mesetto circa sai che giorno è? Barbara compie gli anni! E tu non puoi mancare, dico bene?”
Sapeva perché le stava rivolgendo quel tono buffo, eppure severo: l’anno prima non aveva partecipato al compleanno della madre adottiva a causa dei preparativi alla convivenza con Danny, per non parlare delle ferie che non le davano mai…
Quell’anno, non avrebbe potuto non essere presente, non un’altra volta. Non voleva.
“Me lo ricordo, sì, e stavolta mi sono organizzata, sai? Ho dovuto fare carte false per avere qualche giorno libero il prossimo mese, ma ce l’ho fatta e stai sicura che verrò! Porto anche Dan, va bene?”
“Mi pare ovvio! Altrimenti finirà che lo vedrò soltanto in TV!” concordò la signora in tono concitato.
“Se gli dico che è per il compleanno di Barbara, accetterà sicuramente, stai tranquilla!”
“Va bene, piccola, va bene, puoi smettere di rassicurarmi, sono almeno vent’anni che me ne sto tranquilla di continuo, con tutto quello che non ho da fare nella vita, se non lavorare a maglia e leggere giornaletti gossippari perché i libri sono scritti troppo in piccolo per la mia miopia!”
“E aggiungici anche i pettegolezzi con Barbara e con le signore del vostro circolino, Nora…” insinuò la ragazza, sorridendo al pensiero di tutte quelle attempate donne dai capelli bianchissimi, patite di tè, biscotti e radio alle cinque del pomeriggio, che accarezzavano e pizzicavano Danny sulle guance, cicaleggiando “Ma che bel ragazzone!”, “Santo cielo, ma quanto sei alto?!”, “Fatti dare un bacio!!”
“Verranno anche loro alla festa! Paula farà la torta al limone, ragione in più per cui dovrai essere presente, hai capito, esule dei miei stivali?”
“Sì, nonna, sì, ho capito…” cantilenò lei di rimando, facendola ridere per quel nomignolo, tanto artificioso quanto plausibile.
Si salutarono con la promessa di risentirsi e mettersi d’accordo per il mese successivo, e al suo ritorno in cucina Clarissa notò l’arrivo di un SMS sul cellulare: era Anne.

Daniel ed io stasera ci rinchiudiamo in un pub, abbiamo voglia di patatine fritte, ma non di cucinarle! Ti unisci a noi?

Declinò l’invito, scrivendo che aveva già cenato e che sarebbe andata a letto presto, e così fu, suo malgrado, perché provò a guardare un film alla televisione, ma gli occhi le si chiudevano davanti allo schermo.





Sentì le lenzuola spostarsi leggermente, così d’istinto le tirò piano verso di sé, socchiudendo a malapena gli occhi, stordita.
Un impercettibile schiocco di labbra sui suoi capelli spettinati le diede la conferma che Danny era tornato; si girò mollemente verso di lui.
“Ciao…” sussurrò con un sorriso stanco.
Lui se la strinse al petto, ricambiando il saluto, e le disse: “Scusa, ti ho svegliata… Torna pure a dormire…”
Vedendolo sbadigliare, Clarissa confermò: “Sei stanco anche tu, vedo… Allora buonanotte, amore…”
“’Notte…”






Al mattino, non lo trovò a letto e capì subito perché: non era stata solo la sveglia a farla alzare dal letto, ma anche la sua musica.
Stava già suonando, di prima mattina.
Stupita da tanto senso del dovere, decise di non disturbarlo e sgattaiolò silenziosamente in cucina per prepararsi la colazione, constatando immediatamente che lui l’aveva preceduta, dato l’odore di pancetta bruciata che le arrivò alle narici, facendole storcere la bocca.
“Gesù…” boccheggiò mentre apriva la finestra, accorgendosi anche della padella lasciata sporca sui fornelli…
Che nervi…
Avrebbe avuto giusto il tempo per una colazione veloce, dunque si preparò solo un caffè in fretta e furia, dopodiché fece capolino nella “sala della musica”, come la chiamava lui.
“Buongiorno, musicista…” fece, trovandolo con la chitarra tra le mani ed una matita in bocca.
“Ciao, amore!” la salutò lui di rimando, restando seduto sul suo sgabello “Ti ho svegliata io? Troppo casino?”
“No, tranquillo… Tra poco devo andare, avevo messo la sveglia…” lo giustificò la ragazza prima di affondare la bocca nella sua guancia destra, un po’ più pungente del giorno prima.
“Stavo preparando due o tre robette…Oggi pomeriggio, parliamo con uno di quei pezzi grossi di cui ti parlavo ieri: vuole sentire se e come modificare il sound…”
“Mi farai sapere com’è andata, allora, ok? Ci sei stasera, no?”
“Credo… credo di sì! Per cena penso proprio che avremo finito!” le rispose il chitarrista, seppur con una piccola nota d’incertezza nella voce a cui Clarissa non fece troppo caso.
“Bene” gli disse, pizzicandogli piano il naso per poi allontanarsi “Allora io vado e resto fino alla chiusura… Se torni prima di me, li metti tu i piatti in lavastoviglie? Ci sono solo la mia tazzina da caffè e la padella che hai usato prima, poi per il resto è carica, va bene?”
“Sì, me ne occupo io!” confermò Danny prima di lasciarla correre ai preparativi della routine.
Gli augurò di corsa buona fortuna, aggiungendo il solito bacetto a stampo, ed uscì, lasciandoselo alle spalle, iperconcentrato e teso.



~~~



“Doug?”
“Mh?”
“Tu… Voglio dire, Frankie non è qui…”
“Ovvio, no. È uscita prima di me, credo volesse fare shopping con Rochelle… Perché me lo chiedi?”
“Aspetta… Tom?”
“Dimmi…”
“Dov’è Gi?”
“Gi?”
“Sì, Gi!”
“L’ho… lasciata a casa… Respirava… Credo che sarà ancora viva al mio ritorno… Che doman…”
“Se nessuno di noi ha portato le ragazze… perché Cassie è qui?”

La domanda a bassa voce di Danny aleggiò nell’aria senza risposta per qualche secondo, sopra il fumo delle sigarette e del caffè.
Tom fu il primo a rompere il silenzio, con serenità.
“Forse era curiosa di vedere come se la cava Harry! Non lo ha mai visto suonare!” ipotizzò, sorseggiando il suo espresso.
L’amico chitarrista scosse la testa sbuffando fuori il fumo della sua sigaretta e ribatté: “Non avrebbe dovuto. Voglio dire, stiamo lavorando, no?”
“Che parolone!” intervenne Dougie con un gesto plateale della mano.
“Doug!” lo riprese Danny, cercando di mantenere la calma “Dovremmo starcene concentrati per evitare che quelli là dentro ci prendano a calci in culo, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono le distrazioni, e le ragazze qui sono distrazioni!”
“Eddài, Dan, prova a calmarti…” gli disse l’altro, battendogli una mano sulla schiena per poi rivolgersi a Dougie: “Suoniamo i suoi pezzi, si sente come se stesse camminando sulle uova!”
“Andiamo, li abbiamo imparati tutti nel giro di due settimane! Come se non li conoscessimo!” sdrammatizzò il bassista.
“Sì, però non avete capito!” sbottò ancora il loro collega “Il punto è che il lavoro è lavoro! Se si mescola tutto, qui…”
“Harry è affidabilissimo e questo lo sai… Si sta solo prendendo cinque minuti di pausa per stare con Cassie, poi lei torna al di là del vetro e noi suoniamo in studio, capito? Di certo non se ne sta seduta sulla grancassa…” gli spiegò Tom, cercando di tranquillizzarlo.
“Sta venendo qui, c’è anche lei, zitti” li ammonì Dougie, telegrafico mentre sorrideva con lo sguardo al batterista con la sua ragazza.

“Ragazzi, tutto a posto?” domandò subito Harry una volta fuori dall’edificio, guardando le facce dei suoi amici.
Tom annuì con un sorriso e aggiunse, indicando Danny: “Abbiamo solo un piccolo episodio di paranoia tra noi, niente di che… Ha paura di fare fiasco!”
Il batterista ammiccò al collega e volle rinfrancarlo.
“Dan, ho improvvisato su uno dei pezzi mentre stavamo registrando, è andato tutto alla grande alla prima, stai tranquillo, quelli sono entusiasti, non ce li bocceranno!”
“E’ vero, siete tutti bravissimi!” rincarò la dose Cassie, sorridendo allegra “Io li ho visti molto soddisfatti, e poi piacciono anche a me! Per oggi sono la vostra rappresentante delle orecchie del popolo!”
“Grande Cassie con le orecchie del popolo!” esultò Dougie, offrendole la mano per battere il cinque.
Danny sorrise, ritrovando un po’ di razionalità e calma.
“Ok, ok, andrà tutto bene, lo so anch’io… Devo solo…”
“Smettere di fumare” lo interruppe Tom, togliendogli il pacchetto di sigarette dalle mani “Devi cantare ancora per un po’, quindi ti conviene, o il microfono ti manderà a fanculo…”
“Mammina, rientriamo? Voglio suonare, mammina!” cinguettò Harry, avvicinandosi al chitarrista biondo, che lo respinse con una smorfia divertita.
“Oh, sì, mammina, dài, insegnami a suonare il pianoforte come sai fare tu, ti prego, mammina, insegnami il tuo pezzo migliore…” continuò Dougie con una vocetta infantile.
Jingle Bells!” sparò Harry, scatenando l’ilarità generale.
“Se fossi vostra madre, vi avrei dati in adozione!” se ne uscì la vittima della gag, senza smettere di ridere.
Danny li osservò con il sorriso sulle labbra, seguendoli con Cassie accanto, che dichiarò divertita: “Se sul lavoro siete sempre così divertenti, verrò a trovarvi più spesso!”
Spostò gli occhi spensierati sul chitarrista, che non riuscì a trattenere una risatina nervosa e inascoltata.


***

In questo capitolo ho citato una certa Rochelle, alias Rochelle Wiseman, collega della nostra Frankie nel gruppo delle Saturdays! Nessun motivo pertiacolare per cui ho scelto proprio lei, mi piaceva il nome :)

E per quanto riguarda il titolo del capitolo, è tratto da "P.O.V." dei McFly, senza scopo di lucro, come sempre!

Questo capitolo si basa su presupposizioni ed ipotesi, tutte provenienti dalla mia imamginazione, poiché di fatto non so come lavora un artista e come si rapporta con un produttore! Ho provato a ritrarre un contesto plausibile e spero di non scandalizzare nessuno se ho scritto degli sfondoni :).

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Capitolo 8
*** Let's convince ourselves it's all under control ***


clarissa Salve a tutti e perdonate il ritardo! E' in corso un noiosissimo periodo di scarsa ispirazione, sto cercando di combatterlo come meglio posso!

In questo capitolo mi concentro su dei brevi ma incisivi momenti che, spero, apprezzerete. La brevità generale è sorta spontaneamente mentre scrivevo, ma rileggendo non ho trovato alcunché da correggere o da "allungare": avrei solo farcito inutilmente degli attimi che, proprio perchè sono tali, devono essere corti, concisi, ma determinanti per essere degni di attenzione.
E dal momento che non scrivo per Harmony, non mi dilungherò mai su struggenti momenti di innamoramento/sesso favolistico/dolore da cuore spezzato :P!

Posso solo dirvi questo prima di augurarvi buona lettura, senza dimenticare però di ringraziare tutti coloro che mi leggono e chi mi recensisce.

@RubyChubb: Uffa, te e i capitoli chilometrici :P. Ti ho già detto che sei tu l'addetta ai capitoli che sembrano infiniti! Io sono per le "pilloline", quelle che ti fanno salire la rabbia :P:P:P Grazie per la fiducia, comunque!!!!!


***



“Hai letto, Claire?” domandò Daniel durante la pausa- pranzo, indicando a Clarissa una pagina del quotidiano gratis che aveva preso in metropolitana.

“Letto cosa?” si incuriosì la ragazza, avvicinandosi per sbirciare l’articolo di giornale.
“Apriranno presto un nuovo locale a Camden” le spiegò il francese “Io non ci sono ancora mai stato da quelle parti! Com’è?”
“Camden è… Ecco, io non ci vado molto spesso, non è proprio il mio genere…” confessò l’altra “Però è forte! Negozi di ogni tipo, un mercatino incredibile e un sacco di gente assurda che gira per le strade senza dare nell’occhio, perché lì quasi tutto è assurdo!”
Le pays des merveilles, insomma!” recitò il ragazzo, che poi tradusse : “Il paese delle meraviglie, come direste voi… “
“Una specie, sì!” confermò la collega “Ma quale sarebbe il locale che devono aprire?”
“Non sono sicuro, ma credo che si tratti di una grande discoteca… Un locale a tema che per ogni festa che organizza sceglie un soggetto diverso… Sembra forte! Aprirà il mese prossimo!”
“Potresti farci un salto con… come si chiama… quella tua amica spagnola…” propose Clarissa.
Daniel rispose con una smorfia contrariata: “Pilar?... No, non credo…”
“Dici che non andrebbe in posti del genere? Di solito, Camden attira un sacco di studenti, anche stranieri…” obiettò la ragazza, perplessa.
“No, è che…”
Il ragazzo sembrò cercare le parole adatte.
“Insomma, Pilar non è il massimo della compagnia per me…”
L’altra ribatté prontamente: “Se nel tuo giro non trovi nessuno con cui andarci, potresti accennare la cosa a Anne! Lei adora queste cose! Feste, bevute gratis, fare le ore piccole ballando… Avrai capito che tipo è, no?!”
Lui parve pensare a quella proposta per qualche istante, poi se ne uscì: “Vedrò! Comunque all’inaugurazione manca ancora almeno un mese!”
Clarissa liquidò la faccenda con una battuta ironica: “Dovrebbero aprire più librerie, altro che discoteche!”
Daniel ridacchiò per poi chiederle, curioso: “Se il tuo fidanzato fa parte di un gruppo famoso, andrete di continuo a decine di feste esclusive, no?”
Lei scosse la testa con fare apatico.
“A me non sono mai piaciuti granché gli eventi mondani…” affermò “Ci sono stata poche volte, potrei addirittura contarle sulle dita di una mano. E ogni volta è sempre andata a finire con Danny sbronzo! Fortuna che c’era l’autista! Però io mi sono sempre annoiata… Non mi piace quell’ambiente, insomma. Per la maggior parte, gli invitati sono snob, oppure invadenti. E comunque, sempre troppi!”
Daniel annuì e aggiunse: “Bisogna sapersi divertire, anche senza alcool… o peggio, la droga…”
“Se ce n’era, io non l’ho vista” tagliò corto l’altra, sulla difensiva.
“Scusa, mi sono spiegato male!” si giustificò il ragazzo “Non voglio certo dire che il tuo fidanzato o… i suoi amici… ne fanno uso…”
Clarissa gli sorrise, più rilassata, e replicò: “Non fa niente, tranquillo. É che sono abituata a smentire ogni genere di sciocchezza che circola su di loro!”
“Posso immaginare lo stress” concordò il francese in tono comprensivo “A volte penso che la stampa sia fatta solo di provinciali bigotti…”
“Come ipotesi, è plausibile!” esclamò Clarissa con una smorfia divertita “In Francia sono tremendi come da noi?”
“Ti dico solo che poco ci manca prima che conosciamo quante paia di mutande possiede il nostro Presidente!” scherzò Daniel, facendola ridere.
“Se ti prometto di eliminare giornalisti e paparazzi, accompagnami tu all’inaugurazione!” le disse poi, cogliendola alla sprovvista.
“Grazie dell’eroismo, mio caro…” gli rispose, scompigliandogli i capelli con un sorriso “Ma se aprono davvero tra un mese, non credo che ci sarò… Me ne vado per qualche giorno in Irlanda, mia madre compie gli anni…”
Cercando di mascherare una punta di delusione, il ragazzo ribatté, ironico: “Davanti a tali cause di forza maggiore, anche il discendente di un antico rivoluzionario deve arrendersi!”
“Quale antico rivoluzionario?” indagò la sua collega con sguardo interessato.
“In famiglia mi hanno spiegato che non so quale mio antenato, con il mio stesso nome, ha combattuto durante la Rivoluzione Francese… Ma era solo un borghese, niente di più!”
“Accidenti, hai detto niente!” esclamò Clarissa, sinceramente colpita “Io non so neanche se ce l’ho, un antenato! Se sì, sarà stato sicuramente un personaggio di un certo spessore…”
“Vale a dire?”
La ragazza trattenne a stento una risata nel rispondere: “Non saprei! Forse un contadino che viveva su una scogliera, sai, in mezzo alla natura, sommerso dal letame…”
“Sei perfida! Abbiamo appena finito di pranzare!” la canzonò il ragazzo, rifilandole scherzosamente un leggero schiaffo sul braccio, che lei ricambiò immediatamente con un altrettanto lieve pizzicotto.




~~~




Al suo ritorno a casa, dopo un turno sfiancante passato con Anne e Daniel a trasportare scatoloni pieni di nuovi libri dal camion delle consegne al magazzino, non trovò nessuno, ma non se ne preoccupò, perché erano appena le otto.
Pensò che Danny stesse finendo le sue “faccende”, come le chiamava lei, con i ragazzi, così si limitò a sospirare sulla porta d’ingresso, già pronta ad armarsi di buona volontà per finire di caricare la lavastoviglie e preparare le cena.

Mezz’ora dopo, stava cucinando, sorpresa di se stessa per aver trovato un briciolo d’energia creativa da applicare ai fornelli.
“Dunque… La sfoglia ce l’ho…” ragionò a voce alta, lanciando un’occhiata al rotolo di pasta- sfoglia che poco prima giaceva abbandonata nel frigo.
“Poi… Ok, i pomodori, il formaggio, una melanzana, un paio di zucchine… Basteranno? Sì, me le farò bastare…” concluse, prima di preparare il forno affinché fosse riscaldato a dovere poco più tardi, pronto per accogliere la sua torta salata.
Danny era un divoratore vorace di torte salate, l’aveva sempre saputo, e poi sua madre glielo aveva sempre ribadito, accompagnando un saggio consiglio: “Se torna a casa stressato o stanco, fagliene mangiare una fetta! Resuscita come Lazzaro, parola mia!”.
Così si era esercitata per mesi con la pasta- sfoglia da stendere, le verdure da tagliuzzare ed il formaggio da stenderci sopra; fino al momento di infornare non aveva mai avuto particolari problemi, ma doveva ammettere che qualche volta le era capitato di ritrovarsi tra le mani delle torte un po’ bruciacchiate… Aveva imparato da poco ad azzeccare la tempistica e a sfornare creazioni che Danny divorava sempre con piacere.

In quel momento aveva appena infornato la sua ennesima torta, preparata con cura e meticolosità apposta per il suo fidanzato.
Il telefonino squillò a pochi passi da lei, sopra il tavolo: la stava chiamando Tom.

“Pronto?”
“Thompson? Ciao! Sei già a casa, ti disturbo?”
“Ciao, Fletcher… Sono tornata una mezz’ora fa, stavo… preparando la cena. Perché?”
“La cena, eh? Me lo aspettavo…” borbottò Tom, per poi continuare: “Ti ho chiamato io perché al momento Dan sta parlando con uno dei produttori, discutono dei suoi testi…”
“Aspetta” lo interruppe Clarissa, intuendo cosa stava per dire “Non tornate per cena, vero?”
Il chitarrista sospirò e ribatté, rassegnato: “Esatto. Scusa, è che… ci stanno spremendo come limoni e la giornata non è ancora finita...”
“Non preoccuparti, me l’aspettavo…” lo tranquillizzò l’amica, lo sguardo sul forno illuminato.
“Dan aveva il cellulare scarico, così ti ho avvertito io da parte sua” aggiunse il ragazzo, sentendola vagamente delusa nella voce.
Con una risatina appena accennata, si sentì rispondere: “Si è dimenticato di metterlo in carica stanotte… Un giorno dimenticherà anche la testa… Comunque, grazie per aver chiamato!”
“Figurati… E’ una bella seccatura, lo so…”
Si mise a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli, detestando per un attimo Tom, che con il suo intuito non l’avrebbe mai lasciata in pace.
“Mi ci abituerò, non preoccuparti” lo rassicurò, nel tentativo di sviarlo dai suoi pensieri più profondi “So che state lavorando, non voglio essere un peso e assillarlo…”
“Sono sicuro che appena lo faranno sentire un po’ meno sotto pressione, recupererà il tempo perduto!” la rasserenò a sua volta il biondino, facendola sospirare per il sollievo.

Lo convinse a riattaccare poco dopo.

“Digli che va tutto bene e che sicuramente starò dormendo quando lui tornerà a casa, solo questo!”
“Agli ordini! Non preoccuparti, comunque, ok?”
“Tom?”
“Sì?”
“Me lo hai già detto tre volte, di non preoccuparmi…”
“Sì, e ora sono alla quarta, e con questo?”
Clarissa rise del suo tono fintamente indignato e lo salutò, sentendosi se non altro meno irritata di quando la conversazione era iniziata.
Si accorse che durante la telefonata le era arrivato un messaggio da parte di Giovanna: le chiedeva se avesse già saputo dei ragazzi che non sarebbero tornati per cena; per risponderle, la chiamò.

“Perché non vieni a cena da me? Ho una torta salata intera da consumare, appena fatta!” la incalzò non appena rispose.
L’amica accettò volentieri, aggiungendo ironica: “Che pazienza, non è vero?”
Clarissa sbuffò con un sorriso e ribatté: “Vita da artisti. Ce la siamo cercata, Gi!”
La risata di Giovanna la contagiò mentre la sentiva affermare: “Tra… venti minuti al massimo sono da te! Ci strafogheremo alla faccia loro!”



Le gambe di entrambe appoggiate al tavolino da fumo ed alcune briciole sparse sul divano.
Mangiare in salotto era molto più comodo e divertente che in cucina.
Giovanna si complimentò con Clarissa per l’ottima torta e la distrasse a suon di chiacchiere da quella sua strana sensazione di vuoto misto al disappunto, la stessa che in passato anche lei aveva conosciuto.
Nonostante le risate e il vino, però, lo sguardo ignaro della biondina restava patinato di disagio e senso di insoddisfazione; Giovanna decise di cambiare tattica tutto d’un colpo e di affrontare il problema piuttosto che evitarlo.
“Claire” la richiamò, mentre la vedeva indaffarata nel lavare le poche stoviglie che avevano usato; la ragazza si voltò a guardarla, in attesa, scorse lo stesso sguardo indagatore di Tom e si preparò psicologicamente ad una domanda scomoda…
“Ci sei rimasta male, non è vero?” insinuò con tono comprensivo l’amica.
L’altra esitò per qualche attimo prima di annuire ad occhi chiusi.
“Non è lecito che mi senta così…” precisò prima di tornare con gli occhi nel lavello pieno di schiuma.
Giovanna la contraddisse: “Lecito o meno, provi quel che provi e posso assicurarti che è una cosa normale, sai?”
“Io invece credo che sia una delle mie tante paranoie inutili e ingiustificate, come al solito…” ribadì la ragazza, iniziando a pulire dopo aver finito anche il risciacquo.
La moretta le si avvicinò e insistette: “Per anni anch’io restavo delusa o arrabbiata se Tom mi dava buca o arrivava paurosamente in ritardo ad un nostro appuntamento, tutto perché doveva suonare, finire un’intervista, aspettare che il traffico si sbloccasse mentre tornavano da chissà dove con gli altri… Molti dei nostri anniversari li abbiamo passati al telefono. C’è stato un periodo in cui ho pensato di lasciarlo, sai?”
Clarissa la fissò, interdetta, e ribatté: “Un periodo di debolezza sembra normale per tutti fuorché per voi due, lasciatelo dire!”
L’altra ridacchiò prima di continuare: “Volevo mollarlo, Claire… Non riuscivo ad accettare il fatto di dover stare così lontani, spesso per mesi… Avevo pensato ad ogni cosa: come dirglielo, quando, dove, in che modo affrontare le conseguenze… però poi mi sono fermata! Avevo pensato anche a come sarei stata senza di lui…”
“E…?”
“E…”
Le si inumidirono gli occhi, ma seppe controllarsi così bene che Clarissa neanche fece in tempo a pensare di consolarla.
“Nella mia testa non c’era nessuna immagine di me senza di lui. Avevo accumulato tanta frustrazione per colpa delle mie fissazioni riguardo il nostro rapporto così incostante… però non riuscivo… non sono mai riuscita a volere niente di diverso. E sia chiaro, non lo dico perché mi sono accontentata. Ne abbiamo parlato a lungo, quando gli ho spiegato cosa stavo provando. Lui si è spaventato tantissimo e da allora, sì, capita che stiamo lontani per settimane, mesi, magari perché anche io vado in tournée…”
“Detta così, sembra che non ci sia via d’uscita!” intervenne l’altra, lasciandosi prendere dal panico; Giovanna le mise una mano sul braccio, scuotendo la testa con un sorriso dolce.
“Ti sbagli. Io e Tom siamo cresciuti tantissimo! Abbiamo imparato a convivere con i rispettivi ritmi di vita, e adesso ci capiamo al volo su tutto, anche al telefono, senza guardarci! È un modo diverso di stare vicino alla persona che ami, e anche se può suonarti triste o poco appagante, devi sempre pensare che per ogni partenza c’è sempre un ritorno…”

Clarissa rimase in silenzio davanti alle sue parole.
Non sapeva fino a che punto crederci.
Tom era un ragazzo molto diverso da Danny, almeno quanto lei era diversa da Gi.
Però era anche vero che le coppie di tutto il mondo avevano centinaia, migliaia di cose in comune.
Nessuna di loro era unica o speciale, se non per chi la componeva.

“Mancavi molto a Tom, quando era in giro con i ragazzi?” le chiese, speranzosa.
Gi annuì e rispose: “Anche lui, come me, cercava di non dare a vedere niente, perché voleva mantenere la serenità tra di noi, quando invece stava solo crescendo la tensione, e noi neanche ce ne stavamo accorgendo… Pensa che quando parlavamo per telefono, non riuscivo neanche a capire se fosse triste per la lontananza o se se ne stesse fregando altamente! Era quello che mi faceva più male, perché io ero molto più emotiva sotto quel punto di vista, spesso ci litigavo e lo accusavo di darmi per scontata, di non prendermi più in considerazione!”

Le telefonate tra lei e Danny non erano mai state frequenti: avevano entrambi un accentuato senso pratico che li vedeva soddisfatti con qualche messaggino o anche solo qualche squillo per dare conferme a domande come “Mi fai sapere quando arrivi?”, “Ci vediamo in  X posto a X ora?”…
Dal canto suo, ogni tanto Clarissa sentiva il bisogno di chiamarlo e di sentire la sua voce, solo per essere sicura di risentirla come la stessa di quando si erano lasciati, magari anche per chiacchierare e ridere un po’ insieme, come piaceva fare a entrambi.
Lui quel giorno non l’aveva chiamata perché la batteria del suo telefonino era morta, ma evidentemente non aveva neanche ritenuto necessario parlare con lei attraverso il cellulare di Tom o di qualcun altro.
Perché dovrebbe chiamarti? Tornerà a casa entro stanotte, e poi non è andato in guerra! si rimproverò in silenzio, anche se con ben poca convinzione.
Perché avrebbe tanto voluto sentirsi dire “Faremo tardi” da una voce più vicina a lei di quella di Tom.
Avrebbe voluto che ci avesse pensato, perché sapeva quanto lei lo considerasse un punto di riferimento della propria vita.

“Che cosa pensi, cuoca triste?” le domandò Gi, indagando con dolcezza nei suoi occhi scuri.
Clarissa le sorrise, sforzandosi un po’, e rispose: “Pensavo che sarebbe stato lui a chiamarmi per dire che avrebbero fatto tardi. E invece mi ha chiamato tuo marito…”
“A me ha mandato un sms. Con te è stato molto più premuroso!” scherzò l’altra.
“Ma non era Danny. Capisci? È stato sempre Tom a dirmi che aveva il cellulare scarico…”
Annuì, la moretta, spiegandole: “Telefono morto o meno, penso tu sappia che spesso… semplicemente non ci arrivano. Li dobbiamo riprendere, ci dobbiamo discutere, a volte dobbiamo anche fare la figura delle stronze… ma personalmente, non conosco altri modi per far capire a nessuno di loro che voglio, pretendo le attenzioni che do a mia volta…”

Assimilò ed accettò dentro di sé quell’ultima frase, pur soccombendo sotto il peso della disillusione.
Era un ragazzo. Il suo ragazzo adorato, ma pur sempre un ragazzo.
Aveva e avrebbe sempre avuto i difetti tipici di qualunque altro rappresentante del genere maschile, e pretendere il contrario sarebbe stato folle da parte sua.
Lo amava così com’era, su questo non c’era dubbio.
Ma, tra tanti difetti, doveva proprio avere quello di essere… distratto, e fare la figura del menefreghista o del maniaco del lavoro.

“Parlaci, Claire” la incoraggiò Giovanna “Fagli capire come ti senti, non tenerti tutto dentro, altrimenti ti farai solo del male, finirai per passare dalla parte del torto. Vedrai che, se parlerete, saprete arrivare ad un compromesso!”

Aveva ragione. Non doveva essere tanto pessimista, perché se c’era una cosa che non mancava nel rapporto tra lei e Danny, era proprio il dialogo!
Avevano sempre parlato di tutto, in qualsiasi momento, da sempre, anche durante la loro amicizia: lui, più scherzoso e casinista di Tom, la faceva ridere, la spronava nei momenti d’incertezza e l’ascoltava; lei era l’unica ragazza in grado di capirlo, dopo sua madre e sua sorella, e anche capace di tenerlo con i piedi per terra quando i suoi progetti, piccoli o grandi che fossero, si facevano troppo fantasiosi e bislacchi.
Con il tempo, il loro legame non aveva fatto altro che consolidarsi: niente segreti, nessuna mezza verità malcelata… Qualche volta alcuni screzi stupidi su questioni di poco conto, oppure delle cose che, da “non dette”, facevano presto ad essere rivelate, perché nessuno dei due era capace di nascondere alcunché all’altro troppo a lungo.

“Sì, credo che lo farò presto…” ribadì alla fine, con sollievo di Gi.
“Ci siamo sempre detti tutto, non vedo perché non dovremmo farlo anche adesso…”
“Brava! Così si fa!” la incoraggiò la ragazza.
“Ma… non è che… lo spavento? O lo stresso troppo?” si bloccò quasi subito l’altra, preoccupata.
Giovanna scosse energicamente il capo e le disse: “E’ il tuo ragazzo, mica uno sconosciuto! Ti dico che capirà! Tanto più perché non dovrai dargli nessuna cattiva notizia! Dovrai solo dirgli chiaramente che ti senti frastornata, sperduta e che vuoi il suo aiuto per adattarti a quello che è il suo lavoro… Tutto qui!”
Clarissa annuì lentamente, pensierosa mentre già formulava nella sua testa il discorso da fare a Danny…
“E’ vero, è vero, sì…” concordò “Appena troveremo un po’ di tempo per stare insieme, gliene parlerò!”


Giovanna la lasciò poco prima che Danny tornasse a casa; le ore si erano fatte piccole, quasi le due del mattino, ed il sonno di Clarissa era fin troppo leggero per permetterle di addormentarsi come un sasso.
Dopo averne parlato per mezza serata con Gi, aveva voglia di vederlo, senza un motivo particolare.
Non voleva parlargli subito di tutto quello che la stava spaventando, sentiva che non sarebbe stato il momento giusto, con lui stanco e provato da una giornata di lavoro.
No, gli avrebbe soltanto accennato qualcosa, giusto per indirizzarlo sulla giusta strada e per attirare la sua attenzione. In seguito, sarebbe andata dritta al nocciolo della questione, magari durante uno dei loro giorni liberi, sperando che sarebbe arrivato presto.

Lo stava aspettando, voltata verso la sua parte del letto, quando rientrò.
Mentre lo sentiva salire le scale, si tirò su a sedere e si sistemò velocemente i capelli con le dita.
Attirato dalla luce stranamente ancora accesa in camera da letto, Danny fece capolino dalla porta accostata per metà e sorrise, spossato, nel vederla lì semi-sdraiata, immersa nel suo solito enorme pigiama chiaro, con i capelli sciolti.
“Ciao… Ancora in piedi?” le fece, andando ad accasciarsi scompostamente sul loro giaciglio per finire con la testa sulle gambe di lei.
“Non avevo sonno” ribatté la ragazza, ricambiando il suo sorriso mentre gli accarezzava una guancia ruvida.
“Fammi alzare da qui, prima che mi addormenti così, come un barbone…” borbottò prima di strapparle un bacetto e trascinarsi verso il bagno.

Pregò che si sbrigasse, sentendo scorrere l’acqua nella doccia: trepidava dalla voglia di guardarlo e dirgli come si era sentita. Neanche riusciva più a ricordarsi il discorso pacato e razionale che aveva pianificato di propinargli. Per fortuna, nel giro di neanche un quarto d’ora era fuori dal bagno, fresco di bagnoschiuma e dentifricio…
Una volta vicino a lei, se lo strinse al petto affettuosamente, poggiando le labbra sulla sua testa mentre guardava nel vuoto.
“Com’è andata? Siete piaciuti ai produttori?” esordì, disinvolta.
Danny sospirò, sfiancato, e rispose soddisfatto: “Direi di sì… Vogliono incontrarci di nuovo per sentire altri pezzi, quelli che oggi non abbiamo portato perché ancora sono delle bozze… Abbiamo due settimane per perfezionarli, poi andiamo e… speriamo bene!”
Lei sorrise, a contatto con i suoi riccioli scomposti, e ribatté: “Grandi… Mi piacerebbe sentire questi pezzi, qualche volta…”
“A proposito” intervenne lui, voltandosi per guardarla con uno sguardo mortificato “Scusa per oggi. So che ti ha chiamato Tom, perché io avevo il cellulare scarico e poi mi avevano chiamato per parlarmi nel dettaglio di alcuni miei arrangiamenti… Avrei dovuto avvertirti io, non lui o gli altri, scusa…”
Clarissa scosse la testa con aria comprensiva: “Non ti preoccupare! Sospettavo che avreste fatto tardi, e comunque alla fine è venuta Gi a cena!”
Gli tornò il sorriso sulle labbra: “La prossima volta cercheremo di chiudere la faccenda in giornata, promesso…”
Rinfrancata da quell’affermazione, la ragazza annuì contenta e si lasciò baciare sul collo, cercando di mantenere un certo contegno per quel ciò che si era ripromessa di dire.
“Sai, con Gi abbiamo parlato un po’…” cominciò, cercando di non reagire al solletico della barba di Danny, che per tutta risposta mugugnò con un distratto “Mh- mmhh…”
“No, sul serio, Dan, se non ci fosse stata lei ieri, non avrei saputo con chi sfogarmi!” insistette lei, irrigidendosi un poco.
“Sfogarti? Di che si tratta?” le domandò infatti il ragazzo, rendendola segretamente trionfante nel suo intento di fargli venire un po’ di curiosità.
Con tono calmo e sereno, iniziò a spiegargli: “Le ho parlato di come mi sento spiazzata, ora che so che dovrai assentarti un po’ di più, per via del vostro nuovo progetto insieme ai ragazzi… e lei mi ha rassicurata, mi ha detto di non preoccuparmi, perché anche lei qualche tempo fa aveva lo stesso problema con Tom…”
“Ah, sì! Mi ricordo, sì…” esclamò Danny “In effetti non è stato un bel periodo! Fletcher era sempre nervoso, deconcentrato, dovevamo stare tutti attenti a come parlargli, bastava poco per farlo incazzare come una scimmia… Non dovresti ricordartelo anche tu?”
“E come facevo?! Voi stavate in giro, io rimanevo a casa! E poi allora non avevamo poi tanta confidenza con Giovanna, di certo non veniva a sfogarsi con me… E poi, figurati Tom, pur di non far preoccupare nessuno sarebbe stato capace di accumulare di tutto fino a scoppiare…”
“Comunque alla fine la faccenda si risolse…” tagliò corto il ragazzo, tranquillo “Stettero chiusi in camera di Tom… quanto? Mezza giornata! Tutto il tempo a… parlare, suppongo… e quando uscirono, erano tornati come prima…”
Clarissa lo contraddisse: “Casomai erano cresciuti… come coppia, intendo…”
“E secondo te noi avremo gli stessi problemi?”
“Non lo so! Io spererei di no, però… lo sai, no, come sono paranoica io… Volevo starmene tranquilla, ma stasera non ce l’ho fatta! Ho dovuto parlare con qualcuno che c’era già passato per stare meglio!”
Danny protese il collo e riuscì a baciarla sul mento, facendola sorridere con aria divertita.
“Adesso sono qui” la confortò, parlandole piano nell’orecchio “E ho intenzione di restarci. Ok?”
Scacciata l’incertezza dalla sua mente, Clarissa fece sì con la testa e abbracciò il suo ragazzo, che la accolse contro il proprio petto, non senza allungare il braccio per spegnere l’abat-jour sul comodino.


I suoi movimenti lenti e sinuosi contrastavano con quelli di lui, più frettolosi e smaniosi di averla, con le mani che miravano prima a toglierle i vestiti e solo dopo ad accarezzarla; Clarissa tentò invano di fargli seguire la sua linea, di rallentarlo, ma alla fine si arrese e decise di assecondarlo, seppur con riluttanza, consolata dal buio che la rendeva invisibile ai suoi occhi, l’ultima cosa con cui avrebbe voluto confrontarsi in quei minuti che scorrevano fin troppo velocemente, eppure con una lentezza insopportabile.
La penetrò senza violenza né forzature, ma fece male lo stesso ed un gemito di dolore le sfuggì per giungere alle orecchie del chitarrista uguale a tanti altri gemiti che avevano condiviso; lo baciò speranzosa mentre lo sentiva muoversi sopra di lei, ma non cambiò niente, se non che Danny aumentò la stretta sui suoi fianchi.


Cinque minuti più tardi, dormiva.
Nel dormiveglia si era voltato, dandole le spalle.
Lei era rimasta ferma nella posizione in cui era stata lasciata, un po’ indolenzita.
Era furiosa, aveva voglia di svegliarlo e di dargli un ceffone.
Ma che cosa gli avrebbe detto?
“Ci hai messo tre minuti a venire, maledetto idiota! Che ti prende?!”
“Perché non sei rimasto con me, dopo, razza di stronzo?”

Poco dopo, trovò la voglia di alzarsi per andare in bagno: sentiva il bisogno di lavarsi. Rimase con gli occhi fissi nello specchio per un po’, a chiedersi che cosa non andasse, ma concluse che il sonno le aveva annebbiato la mente, rendendola ancora più pedante nelle sue stupide ossessioni che invece doveva imparare ad accantonare.
Lui è qui e ti starà vicino. Come puoi non fidarti?
Una volta tornata a letto, vide che si era rigirato, e ora era a pancia in su, nel bel mezzo di un sonno pesantissimo; convinta di non svegliarlo, accese la piccola lampada sul suo comodino e lo scrutò in viso, ritrovando la serenità in quei lineamenti completamente rilassati.
È stato solo un attimo. Era stanco e basta. Non essere stupida, dormi adesso…

***
Per il titolo di questo capitolo, la scelta è caduta su una frase di "Corrupted", made in McFly, ovvio. NO LUCRO, ancora più ovvio.


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Capitolo 9
*** Please please ***


claire Carissimi, spero che non siate arrabbaiti con me per la lunga attesa!
Questo capitolo è stato un PARTO, ve lo giuro: ha richiesto minuziose cure, meningi spremute più volte e anche un pizzico di fantasia in più, ma alla fine devo confessarvi che ne sono molto soddisfatta.

Non abbiatamene se vi sto propinando una storia "a spirale", come la chiamo io, ovvero un racconto che sembra non arrivare mai al punto: non è così. E' che io mi diverto ad esporre le paranoie più recondite e tremende dei miei personaggi :) Clarissa è nata così, e io le voglio bene lo stesso :) Fate uno sforzo e imparate ad affezionarvi anche voi!

Siamo comunque vicini al momento CLOU, quello in cui spero direte "COOOOOOOOOOOSA?!", quindi non preoccupatevi e abbiate fede! Io vi farò pescatrici di McFly, sarò la Crista portatrice di FF paranoiche :P!
Ringrazio, come al solito, le mie recensitrici, i miei lettori, alcuni silenziosi e altri no, che mi incoraggiano ad andare avanti nella scrittura e che micriticano sempre in maniera costruttiva! Siete meglio di un corso di scrittura creativa, ragazzi! Spero di sapervi ripagare!

Ci sentiamo prestissimo...

Ciry

***



Al mattino seguente, ricacciò nel dimenticatoio i brutti pensieri e si sforzò di essere di buon umore; il compito venne in qualche modo facilitato da Danny, che fece colazione con lei, ma con un’aria così meditabonda e assente che non sembrava neanche essere lì a tavola.
Clarissa lo prese quasi per un colpo di fortuna e si consolò al pensiero di non dover rispondere a domande scomode ed imbarazzanti: lei non aveva voglia di rispondere, lui aveva ben altro per la testa.

“Cosa fai oggi?”
“Mh?”
Si riscosse dal suo monologo interiore, stupita della sua domanda.
“Oggi sei in libreria tutto il giorno?”
“Oh… Sì, oggi sì, perché sono arrivati un sacco di volumi scolastici, dobbiamo ancora prezzarli, sistemarli…”
“Capisco…”
“Tu non… non dovevi provare con i ragazzi?”
Scosse la testa. “Oggi sistemo un po’ di testi e poi… cado in coma sul divano! Sono sfiancato da ieri!”
Sorrise intenerita davanti alla sua stanchezza e si alzò per sgomberare con calma il tavolo dalla sua tovaglietta americana.
“Pensi che tra un mese avrete finito con i produttori?” azzardò timidamente, dandogli le spalle mentre riponeva la scodella dello zucchero su una mensola “Te lo chiedo perché ci sarebbe il compleanno di Barbara e noi siamo invitati…”
“Sì, certo!” confermò lui, prima di finire il suo caffè “E poi, comunque non staremmo via a lungo, no?”
“No, no… Si tratta solo di un paio di giorni, al massimo tre!”
“Perfetto! Allora troveremo un pomeriggio libero per comprarle un regalo!” concluse il chitarrista, alzandosi per avvicinarsi a lei e abbracciarla.
“Va tutto bene?” domandò, notando la sua espressione vacua.
La ragazza gli sorrise con disinvoltura e lo distrasse con un veloce bacio a stampo.
“Certo! Solo un po’ stanca!”
Una volta rassicurato, il suo ragazzo le accarezzò una guancia e poi si allontanò per andare in bagno.
Rimasta sola, Clarissa chiuse gli occhi e abbassò il capo con aria sconfitta, mordendosi l’interno delle guance.
Gli aveva mentito e non aveva capito né come, né perché.






In libreria, Anne la scrutò, sfoderando immediatamente il suo occhio indagatore, ma decise di tenere le proprie opinioni per sé, almeno finché la sua collega non avrebbe abbassato la guardia.
“Buongiorno, Miss Quadrifoglio!” scherzò vedendola entrare “Spero tu abbia fatto un po’ di pesi prima di venire qui, perché i libri da trasportare sono pesanti come macigni!”
Clarissa le mostrò la lingua e ribatté in tono lamentoso: “Ma per certe cose non dovrebbe esserci Daniel?!”
“Certo, ma lui arriva dopo pranzo! Fino ad allora siamo noi a dover sgobbare!”
La vide sbuffare e trascinarsi attraverso il negozio con una teatralità che la fece sghignazzare.
“Su, non prendertela…” ironizzò “E’ solo uno studente francese, non possiamo approfittare del fatto che è un uomo!”
“Stavo cominciando ad adagiarmi sugli allori all’idea che un paio di braccia maschili potessero fare il lavoro sporco…” ribatté l’altra, ricambiando la sua battuta con un sorriso.
Anne si rassicurò un poco nel vederla di buon umore.
“Non è grazie al tuo contributo che le donne oggi sono emancipate. Fila a mettere la divisa, lavativa!” le ordinò.


Durante la mattinata, ebbero il loro bel da fare, tra lettori pignoli che preferivano un’edizione di libro piuttosto che un’altra, mamme in preda all’ansia perché non erano arrivati tutti i testi scolastici, bambini che facevano i capricci per farsi comprare un libro di fiabe troppo costoso…
Si alternavano ora dopo ora al bancone e al magazzino, e più il tempo passava, più Anne scrutava il viso di Clarissa senza che la diretta interessata se ne accorgesse: aveva imparato a conoscerla piuttosto bene e una delle sue prime conclusioni era stata che la sua amica non sapeva mentire, però era molto brava a contenere, accumulare e reprimere, come una pentola a pressione.
Il suo viso era un mix di sorrisi e sospiri troppo vicini nel loro susseguirsi per non risultare ipocriti.
Sotto quel punto di vista quasi la detestava, perché non le andava per niente a genio il fatto che, pur essendo sua amica, avesse quasi paura di disturbarla per raccontarle i suoi problemi. Era controproducente da parte sua e limitante per lei, che di conseguenza si preoccupava ancora di più e sentiva spuntar fuori il suo istinto materno dall’alto dei suoi trent’anni, portati male fin troppo spesso nella sua vita, ma talvolta più che coerenti con la sua età cerebrale.
Verso l’ora tanto agognata di pranzo, considerando che Daniel sarebbe arrivato solo nel giro di una mezz’ora, i clienti diminuirono e lei ne approfittò per tentare di tastare il terreno.
“Va tutto bene, Clarissa? Mi sembri giù di corda… Ti stai ammalando?” le chiese, nascondendo i propri sospetti dietro al pretesto della salute.
Clarissa fece spallucce e negò con la testa, commentando: “Non è normale essere un po’ stanchi dopo una mattinata intera di sfacchinamento?”
“Certo, ma tu sei entrata con la stessa faccia che hai adesso!” ribatté prontamente la ragazza, per poi offrirle il suo aiuto: “C’è qualcosa che non va di cui vorresti parlare?”
Com’era prevedibile, la vide assumere un’aria improvvisamente tranquilla, sembrava quasi voler sfottere lei e le sue preoccupazioni. “Ma no! È una cosa da niente, poi lo sai come sono fatta io, con le mie paranoie…”
“Riguarda Danny?”
“Sì, ma… non è niente, Anne, davvero…”
“Non puoi parlarmene perché ti hanno fatto pressione dalla stampa o… cosa?”
“No! Dio, ci mancherebbe solo questo!” esclamò Clarissa, scandalizzata, per poi spiegarle sbrigativamente: “E’ solo che Danny ha tanto lavoro ultimamente e io sono abituata ad averlo quasi sempre a casa… Tutto qui! Ma è questione di abitudine…”
Anne si rilassò, sorridendole con fare comprensivo: “Ti sei cercata un musicista, tesoro mio… Non dirmi che ti aspettavi che tornasse a casa tutte le sere per cena…”
Clarissa passò sulla difensiva, incrociando le braccia e ribattendo seria: “Infatti non mi sto lamentando. Mi sto abituando, è diverso.”
“Va bene, va bene…” si arrese la collega, che non voleva vederla in collera “Se il problema è solo questo e se sai già come risolverlo, tanto meglio per tutti. Non volevo farmi gli affari tuoi tanto per fare, lo sai…”
“… Non lo dire. Anzi, scusa… E’ che non è sempre facile, tutto qui…” sospirò la bionda, una mano tra i capelli.
Anne le sorrise di nuovo, le tese le braccia e fece: “Facciamo il Ringo?”
L’altra ridacchiò, divertita, e l’abbracciò, mettendo a contrasto la pelle chiarissima con quella dell’amica, nera come l’ebano.
“A volte faccio la mamma rompipalle, ne sono consapevole!” scherzò la più grande.
“E io, da brava figlia, ti faccio venire l’ansia!” fu la replica di Clarissa.
“Mi è già passata, non pensarci più! E se vuoi parlare, il mio numero lo conosci…”
“Interrompo qualcosa? Cose da ragazze?”

La voce che intervenne le fece voltare entrambe verso l’entrata del negozio: era arrivato Daniel.
“Sei in anticipo, straniero!” lo ammonì spiritosamente Anne, restando abbracciata a Clarissa.
“In Francia sarei premiato, mia cara!” si difese con altrettanto umorismo il ragazzo.
Anne ignorò la sua uscita e gli intimò: “Vieni qui a renderti utile! E’ in corso un abbraccio!”
Con un sorriso incuriosito sulle labbra, Daniel ubbidì e circondò con le braccia sia Anne che Clarissa per poi chiedere: “A che cosa è dovuto l’abbraccio?”
“La nostra Claire ha solo qualche piccolo ed insignificante problema con Danny!”
“Ma è questione di abitudine!” ribadì l’interessata.
Il ragazzo esclamò semplicemente: “Ah!” e non volle sapere altro.
Rise sotto i baffi mentre le altre due non gli stavano prestando attenzione.



~~~




La preziosa, anche se datata Telecaster venne riposta sul suo piedistallo come un neonato nella sua culla: Danny doveva fare una pausa dopo un’intera mattinata senza pranzo trascorsa ad aggiustare melodie, testi ed arrangiamenti con una pignoleria che a tratti infastidiva persino lui stesso.
Non avendo nessuna voglia di cucinare, rimediò un panino procurandosi del pane tostato con del formaggio ed un pomodoro, non era granché affamato come al suo solito.
La sua povera testa stava già dando segni di cedimento dopo neanche una settimana di lavoro ed era la prima volta che succedeva, dato che non aveva mai avuto modo di sentirsi così responsabile nei confronti della band e dei produttori; i ragazzi, specialmente Tom, lo avevano invitato alla tranquillità, pur sapendo che in ballo c’erano i suoi pezzi, perché dicevano che tutto sarebbe andato per il meglio, visto quanto ci avevano lavorato sopra e quanto sarebbe stato facile sviluppare quelli che ancora non avevano terminato.
Facile per loro pensarla così! pensò mentre masticava svogliatamente.
Sapeva già che alla fine avrebbe fatto a modo suo, sopportando le sue stesse ansie e logorree e facendole sopportare anche agli altri; del resto, si sarebbe trattato solo di due settimane, dopodiché avrebbe potuto rilassarsi un pochino con la consapevolezza di aver dato l’anima e quindi di avere una coscienza limpida come l’aria. Le soddisfazioni sarebbero arrivate, ne era quasi certo, e sarebbero state enormi.
Ma in quel momento non voleva pensarci. Dieci minuti di quiete nel suo cervello, non chiedeva altro. Finì il panino e si trascinò in salotto per poi lasciarsi cadere all’indietro sul grande divano.
Nel cercare una posizione comoda per sonnecchiare un po’, lo sguardo gli cadde in un angolo della spalliera e allora notò quella macchia ormai celebre in casa sua e di Clarissa.
Lui l’aveva soprannominata scherzosamente “Max”.
Era una sbiadita e piccola chiazza di rossetto di Clarissa, un tempo rossa - rosso corallo, come specificava sempre lei, parlando del suo cosmetico preferito griffato Max Factor – ora solo vagamente rosea, nessuno l’avrebbe notata se non con un’occhiata da vicino, molto approfondita.
Con la mente ritornò alle origini di quella macchia, che ormai aveva quasi un anno di età…


Lui e Clarissa quel giorno avevano litigato, o meglio, Clarissa aveva litigato con lui, perché aveva deciso di non mettere più piede in quella che un tempo era solo ed esclusivamente casa sua: al tempo, l’appartamento era l’habitat ideale per un musicista perennemente rapito dal suo strumento e poco avvezzo ai lavori di casa, se non quelli più essenziali che davano all’ambiente un aspetto pressoché accettabile. L’occhio femminile e quasi clinico di Clarissa si era ovviamente accorto della patina di ordine assai sottile e aveva protestato per questo, dopo sempre più frequenti richiami, lamentandosi più che sonoramente, per farla breve, di trovarsi molto a disagio in un appartamento tanto grande e tanto sporco.
La tremenda sentenza finale era stata “Qui non ci vengo più!” e Danny a quel punto aveva alzato gli occhi al cielo, chiedendosi cosa aveva fatto di male al mondo.
Di fronte ad una fidanzata tanto bellicosa con le mani piazzate sui fianchi e lo sguardo che lanciava fiamme ossidriche, il chitarrista non aveva avuto altra scelta se non la persuasione, perché di alzare la voce non se ne parlava: non voleva farlo, e comunque sarebbe stato controproducente, come un suicidio.
“Ti prometto che appena avrò un po’ di tempo metterò un po’ di ordine…” aveva esordito con sincerità, ma non era bastato: a Clarissa non convincevano quei “appena avrò un po’ di tempo”, né tantomeno quel “un PO’ di ordine”. Gli aveva risposto con un’occhiataccia ed un applauso sarcastico, cosa che lo aveva animato non poco, ma aveva cercato comunque di contenersi.
“Va bene, ok, hai ragione anche tu, da domani, appena finisco di suonare con i ragazzi, troverò qualche ora per pulire!”. Si era giocato la carta dell’immediatezza, confidando nella propria coerenza.
Clarissa aveva replicato con una ramanzina sul pessimo tempismo maschile che aveva fatto finta di ascoltare, perché stava già pensando alla prossima cosa da dirle.
“Claire, parliamone con calma, dài, stai facendo una scena per nulla…”

Lo avesse mai detto.

Era partita a razzo con accuse del tipo “Non ti interessa quello che ti dico”, “Non te ne sbatte un cazzo di niente”, “Quando dico qualcosa io, le parole vanno al vento”
Gli sembrava di essere Simba, il cucciolo de “Il Re Leone”, in mezzo ad un branco di gnu impazziti in corsa.
Alla fine aveva reagito, dandogli della noiosa e spiegandogli anche il motivo: perché aveva la mania dell’igiene, secondo lui.
Allora gli animi si erano davvero scaldati e lei, dalla sua limitatissima statura, gli aveva puntato l’indice contro la faccia, criticandolo come il peggior sporcaccione del globo.
Nessuno dei due voleva mollare la presa e cambiare le proprie ragioni, così era stato Danny il primo a trovare una via d’uscita da quella lite a spirale: aveva riso della rabbia di Clarissa, provocandola e costringendola a rifilargli uno spintone.
Con uno scatto, poco prima di indietreggiare le aveva afferrato i polsi e se l’era attirata verso il torace per poi stringerla.
Si era ribellata con strilli degni di un’aquila ed un linguaggio di uno scaricatore di porto, ma alla fine aveva vinto lui, zittendola con un bacio, rubato prepotentemente.
L’aveva schiaffeggiato, rossa come un peperone, intimandogli di ascoltarla mentre stava parlando, ma lui aveva continuato a far finta di non sentire e a strapparle effusioni sempre più intense e più vicine tra di loro, con sempre meno spazio per le parole.
La resistenza aveva gradualmente lasciato spazio all’arrendevolezza, ed i piccoli ma tenaci pugni chiusi della sua ragazza erano tornati ad essere le mani amorevoli e maliziose che gli erano sempre piaciute.


Sorrise con una punta di cupidigia al ricordo di quanto era seguito a quella sorta di lotta che sembrava essersi conclusa, ma in realtà era solo ai preliminari…
Con movimenti rapidi e fluidi, si sganciò la cintura e sollevò i fianchi per abbassarsi i jeans.


Con suo grandissimo stupore, l’aveva legato usando la sua stessa cinghia, con le braccia al di sopra della testa. Senza neanche provare a ribellarsi, aveva riso come un matto nella sua posizione supina, chiedendole il perché di quella mossa insolita e lei, mordendosi il labbro inferiore in un sorriso famelico, era rimasta con gli occhi sulla sua piccola ma accurata operazione, sibilando: “Perché te lo meriti, stronzetto!”.
Forse era stato l’uso della parolaccia, magari anche solo il tono in cui gli aveva parlato, ma gli era scattato qualcosa dentro, una bramosia animale insolita nel loro rapporto, ma affascinante da sperimentare per la prima volta sul divano, con Clarissa sopra di lui che si stava godendo la sua vendetta.
Si era divertito a farsi strumentalizzare un po’ da lei, che aveva giocato a farlo arrivare al limite per poi ricominciare da capo, con un’altra tattica, altri baci a fior di labbra e altri stuzzicamenti vari che lo avevano portato a disapprovare con un morsetto all’orecchio di lei, che lo aveva schiaffeggiato di nuovo,  stavolta senza rabbia.
“Slegami immediatamente…” le aveva sussurrato, impaziente.
La ragazza aveva scosso la testa, gli occhi birichini che luccicavano di soddisfazione.
“Liberami subito, piccola sex grenade, o sarà peggio per te!”
A sentire quel nomignolo, aveva lasciato momentaneamente cadere la sua maschera di panterona sexy per ridere come una bambina, accasciata sul suo petto quando i muscoli dell’addome si erano fatti doloranti.
Grazie a quel momento di ilarità, lo aveva slegato senza farsi pregare, ma da quel momento Clarissa aveva smesso quasi subito di ridere per tornare la sexy grenade di poco prima, solo che stavolta era stato Danny a prendere in mano le redini della piccante situazione.


La potenza del ricordo mescolata alla sua rielaborazione enfatica nel tempo divenne un mix appagante per il chitarrista, che si limitò a chiudere gli occhi mentre la mano aveva già iniziato a scorrere sulla sua erezione…


Con la schiena della sua ragazza davanti, aveva già dimenticato perché avevano iniziato a discutere.
Aveva prevalso il piacere dato dal sesso aggressivo e intrigante ed era stato accantonato il romanticismo: sapevano di essere innamorati persi l’uno dell’altra, non c’era bisogno di dimostrarselo in ogni singola occasione; avrebbero fatto i piccioncini più tardi, quando il divano avrebbe ceduto sotto i loro movimenti convulsi, o forse quando qualcuno nel vicinato li avrebbe querelati per rumori molesti.
Entrambi non erano affatto a favore dell’atto sessuale discreto e silenzioso: Danny aveva una natura rumorosa e canterina a cui rimanere fedele, e Clarissa si opponeva alla propria indole, generalmente riguardosa e quieta, mostrandone il lato B quando l’occasione lo richiedeva: un litigio o un po’ di sano sesso, per l’appunto.
Aggrappata alla spalliera del sofà con le braccia, si era offerta volentieri al fidanzato che l’aveva voluta così, in quella posizione divinamente gradevole, per prenderla e sentire i suoi muscoli stringerlo in un modo che… lo metteva in serie difficoltà tempistiche ogni volta che la penetrava, tanto era il piacere.
Doveva ammetterlo, era stata un po’ una sfida. E per una volta, aveva vinto, in un certo senso.
Avevano esordito con qualcosa di “anomalo”, che non si era mai verificato prima nei loro amplessi: abbracciandola da dietro, Danny aveva sfiorato le natiche di Clarissa e lei aveva inarcato la schiena, cogliendolo in contropiede. Non sapeva come comportarsi, l’aveva guardata con un’espressione confusa e le aveva chiesto silenziosamente una conferma o un rifiuto.
Lei si era tirata su per qualche secondo, aveva girato la testa per guardarlo e con un bacio decisamente ardente gli aveva risposto per poi tornare ad appoggiarsi alla spalliera, le mani impegnate a tenere i glutei distanziati.
Con tutta la delicatezza di cui era stato capace, l’aveva penetrata; dopo tanto leccare, lubrificare, toccare, i flebili gemiti di lei erano diventati sempre più acuti e potenti, fino a che non era sopraggiunto l’orgasmo dopo pochi minuti; del piacere di Clarissa, Danny aveva sentito le contrazioni ed il calore, così forti e... diversi dal solito da far quasi esplodere anche lui, che però voleva di più. E anche la sua ragazza voleva di più.


Sospirò mentre un altro brivido di eccitazione gli stava attraversando la spina dorsale.
La sua mano aveva accelerato i movimenti, così come il suo cuore aveva aumentato i battiti, facendolo ansimare.
Se solo Clarissa non fosse andata a lavorare quel giorno…
Gli mancava quel non so che di animalesco in lei, voleva riprovare una cosa del genere prima o poi, magari al suo ritorno.
Voleva stare di più con lei, voleva farci l’amore fino allo sfinimento, finché ne avrebbero avuto il tempo, prima che gli impegni di entrambi, soprattutto quelli di lui, fossero diventati più fitti.
Si lasciò sfuggire un gemito strozzato, scosso da un’ondata di godimento improvvisa, ma ancora non abbastanza grande da travolgerlo…


Clarissa l’aveva baciato con spasmodicità dopo il primo orgasmo, leggermente tremante per i brividi e per la posizione ottimale ma faticosa da mantenere, soprattutto se il peso finiva quasi interamente sulle braccia; Danny l’aveva sostenuta con le mani sul ventre mentre lei gli aveva gettato le braccia al collo, pur continuando a dargli le spalle.
“Tu non hai… finito, vero?” aveva bisbigliato con un sorriso curioso.
Il chitarrista aveva scosso lentamente la testa e poi l’aveva invitata sottovoce a rimettersi nella posizione di prima, ma più comoda, con la testa appoggiata sul sedile.
Dopo quei momenti di sfiancante aggressività,  le tenerezze avevano trovato più spazio nei loro movimenti e atteggiamenti: Danny l’aveva penetrata da dietro per poi incurvare la schiena su quella di lei, baciandole la spalla destra e il collo mentre le sue orecchie godevano nel sentirla fremere sempre di più, alla ricerca di un altro apice. Intanto, lui la sentiva sempre più bagnata mentre con una mano le stuzzicava il clitoride e fremeva la pensiero di raggiungere l’orgasmo insieme a lei.
Quasi come un’invocazione accolta, pochi minuti dopo a entrambi avevano ceduto le ginocchia e si erano ritrovati sdraiati l’uno sopra l’altra, Clarissa a reprimere un grido di piacere contro un cuscino, Danny a morderle una spalla, sfiancato ma più soddisfatto che mai.


Ripensò al momento in cui la ragazza, dopo essersi ripresa, si era rigirata sotto di lui, guardandolo in faccia per poi avvolgerlo con gambe e braccia e baciarlo ancora una volta e fargli sentire con il proprio corpo il suo umido calore.
Quell’immagine lo portò all’estasi dei sensi.
Un piccolo getto caldo gli bagnò la mano sinistra, un piccolo surrogato del ricordo di Clarissa in quegli ultimi minuti.
Riaprì gli occhi, stordito, e pensò a lei, a quando sarebbe tornata a casa.
Volgendo lo sguardo alla macchia di rossetto, sorrise nel ricordare che la sua ragazza se n’era vergognata non poco di primo impatto: non riusciva a credere che per l’eccitazione avesse morso anche il tessuto della spalliera, macchiandola di rosso, un rosso che non sarebbe mai andato via del tutto.



~~~




A fine giornata, Anne aveva mal di testa, Clarissa aveva sonno e Daniel aveva fame; un trio più sgangherato di loro non poteva sussistere in tutta Londra, non dopo quel tour de force spossante che li aveva visti fare avanti e indietro con gli scatoloni pieni di libri tra le braccia, alle prese con la contabilità, sorridenti davanti ai clienti e in preda all’angoscia nel retro della libreria, dove i nuovi arrivi da trasferire sugli scaffali sembravano non finire mai.

“Ragazzi, voi andate pure, siete stravolti… Mi spaventerete i clienti con queste facce, chiudo io la baracca…” aveva annunciato Anne verso le sette di sera; Clarissa e Daniel l’avevano guardata con immensa gratitudine e le avevano chiesto, anche se solo per formalità, se per caso non avesse bisogno di ulteriori aiuti.
“Non mi prendete per il culo e filate a casa, tutti e due. Ruffiani” era stata la risposta della ragazza.


Fuori dal negozio, Daniel prese la sua bicicletta e chiese a Clarissa: “Vai a casa a piedi?”
“Sì, come sempre! Tu vai in bici?”
“Per una volta che usciamo insieme dal turno, ti accompagno per un pezzo! Ti va?”
La ragazza sorrise.
“Ok, volentieri!”

Camminando insieme, solo il mezzo di trasporto del giovane francese tra di loro, chiacchierarono del più e del meno, scherzando prevalentemente su alcuni clienti che quel giorno avevano fatto richieste improbabili o ordini strani, degni di una barzelletta.
Giunti quasi al bivio in cui si sarebbero dovuti separare per tornare alle rispettive case, Clarissa si fermò come al solito davanti ad una vetrina di un negozio di scarpe, uno dei suoi preferiti, anche se non ci aveva mai comprato niente.
“Oddio, ma guarda che carine!” aveva esclamato, richiamando l’attenzione di Daniel, che di conseguenza spostò lo sguardo nella sua stessa direzione: un paio di pantofole che sembravano molto morbide, nere e fucsia, troneggiavano in un angolo insieme ad altre ciabatte da donna.
Sorrise mentre le chiedeva: “Perché non le compri?”
La ragazza si voltò verso di lui e scosse la testa con un sorriso rammaricato: “Costano un po’ troppo per le mie finanze… Non ho ancora incassato lo stipendio, quello del mese scorso l’ho praticamente prosciugato e poi sto mettendo un po’ di soldi da parte per il viaggio in Irlanda e per il regalo di mia madre, voglio prenderle qualcosa di bello…”
“Quanto costano esattamente?” replicò il ragazzo, allungando lo sguardo verso la vetrina per scorgere il prezzo su un cartellino plastificato.
“Trenta sterline!” sentenziò, tranquillo “Se ti piacciono tanto, dovresti farci un pensierino, prima che qualcun altro le compri…”
“Non mi tentare, Daniel…” scherzò l’altra, aggiungendo: “Non ho neanche tutti i soldi sufficienti adesso… Sono uscita di casa con dieci sterline!”
“Capirai! Il resto posso prestartelo io!” ribatté il ragazzo con disinvoltura.
Clarissa spalancò gli occhi ed esclamò, agitandogli un dito davanti: “No, no, non se ne parla! Ci mancherebbe altro! Sono pantofole, niente di estremamente vitale!”
“Ma se ti piacciono, perché no?” ridacchiò il giovane, determinato nelle sue intenzioni.
“Daniel, no, davvero, ci conosciamo da neanche un mese e tu vuoi già farmi dei prestiti, non esiste!” si oppose la ragazza.
“Non ti sarai offesa!” insinuò l’altro, fingendosi indignato.
“No, non mi sono offesa, ma non voglio chiederti soldi! A malapena lo faccio con Anne, e solo quando ce n’è la stretta necessità!”
“Se lo fai con lei, non vedo perché non puoi farlo con me!”
“Ma Daniel! Non è che voglio… aspetta, dove vai? Daniel? Ehi!”
Le aveva rifilato la bicicletta per tenerla occupata mentre lui entrava in quel negozio, lasciandola con un palmo di naso; ancor prima che potesse seguirlo ed impedirgli di fare qualsiasi cosa, lo vide parlare con il commesso, indicando le pantofole che le piacevano.
“Ma è… matto!” esclamò sottovoce al di là della vetrina, schiaffandosi una mano sulla fronte.

Una volta uscito, Daniel le allungò la busta plastificata da cui faceva capolino la scatola, trionfante.
“Ecco, hai visto?! Non ci voleva poi molto, n’est- ce pas?”
Meravigliandosi del suo sorrisetto compiaciuto, si mise a ridacchiare per la sorpresa e gli rispose: “Ti avevo detto di non prestarmi neanche una sterlina e tu ne hai sganciate direttamente trenta!”
“Prendilo come un regalo, che ne so, di... consolazione!” le consigliò il francese.
“Ah, sì? E per cosa dovrei essere consolata?” lo sfidò lei.
“Bè, per la giornata faticosa che per te non era iniziata neanche molto bene, per esempio…”
La ragazza ammutolì di colpo e Daniel ne approfittò per allungarle nuovamente le pantofole.
“Non… non dovevi disturbarti, davvero. Questo è troppo…” brontolò la sua collega prendendole mentre arrossiva come un peperone sotto il suo sguardo divertito.
“Ma cosa vuoi che sia! Mi ha fatto piacere!” sdrammatizzò lui, scoppiando a ridere davanti ai suoi occhi bassi.
“Te le ridarò tutte e trenta, puoi scommetterci!” gli promise la giovane, mettendo subito le mani avanti, ma Daniel non ne volle sapere.
“Ti ho detto che è un regalo” le ripeté “e se vuoi, puoi anche vederlo come un ringraziamento per avermi insegnato tutto sul tuo mestiere!”
“Daniel, due stronzate su come fare la commessa non valgono trenta sterline!”
“Trenta sterline, trenta sterline, smettila di ripeterlo o te ne compro un altro paio solo per farti cambiare numero!” la prese in giro il ragazzo; Clarissa rise della battuta e lo ringraziò ancora una volta, lusingata anche se in imbarazzo; poco dopo si salutarono, accorgendosi dell’ora sempre più tarda: erano quasi le otto.
“Devo correre, Daniel, scusa, il mio ragazzo a quest’ora si starà disperando davanti al frigo con lo stomaco in rivolta…”
“Vado anch’io, tranquilla, per stasera altri ragazzi hanno organizzato una cena a base di pizza e sarà meglio che li raggiunga a casa prima che la mia si freddi!”
“Ci vediamo domani o…?”
“Domani? Non credo… Io sono di mattina, tu di pomeriggio… Se vuoi, pranziamo insieme con Anne durante la pausa e poi io me ne vado!”
“Ma tu non studi mai? Lavori, mangi e basta?” lo stuzzicò lei con un sorriso.
Il ragazzo le mostrò la lingua e rispose: “Manca un mese e mezzo agli esami che devo dare! Faccio tutto con calma io!”
“Quand’è così…! Allora ci vediamo domani, Daniel, grazie ancora per le pantofole! Me ne ricorderò, giuro!”
Pas de problème!” la salutò il francese mentre si allontanava sulla sua bici.




“Dan! Sono a casa!” annunciò a voce alta, certa che fosse al piano superiore, nel suo studio.
Invece le spuntò davanti, affacciandosi dalla cucina.
“Ehilà! Stavo per chiamarti!” le disse andandole incontro.
“Scusami, è che dopo aver finito in negozio… sono passata a prendere queste…” gli spiegò la fidanzata per poi mostrargli la scatola del negozio di scarpe; Danny spiò il contenuto e commentò: “Carine!”
Con un sorriso, lei ribatté nascondendo il disagio: “Me le ha… consigliate… Daniel…”
“Daniel?”
Il chitarrista non riusciva a ricordarsi del suo omonimo.
“Sì, il francesino che lavora da noi! Abbiamo fatto un po’ di strada insieme ed è stato lui a suggerirmele…”
Il ragazzo recepì l’informazione con un sorriso di circostanza e cambiò totalmente argomento dopo un attimo di esitazione.

Daniel. Il francesino… Mah.

“Ho preparato la cena! Vieni!” la invitò, prendendola per mano.
“Tu che prepari la cena? Ti senti bene?” scherzò Clarissa, beccandosi una linguaccia per poi seguirlo in cucina con un’idea già formata in testa.
Avrebbe scommesso il suo stipendio che…
“Insalatona!” rivelò il suo ragazzo, confermando le sue supposizioni.
Gli sorrise prima di stampargli un bacio in fronte e lo schernì dolcemente: “Chissà che fatica avrai fatto per prepararla…!”
“Guarda che questa è un’antica ricetta! Te la ricordi, no? La famigerata insalatona D&C, la nostra insalatona per eccellenza!”
“Certo, il sogno di ogni dietista!” commentò l’altra, divertita.
Il ragazzo le tolse il cappotto, facendosi dare del gentiluomo, poi la fece accomodare a tavola e le disse: “Inizia a mangiare, ti raggiungo subito…”

Dopo che tutti e due si ritrovarono nel piatto una porzione più che generosa a testa dell’insalatona D&C, Danny scrutò con aria perplessa la sua ragazza, che stava solo sbocconcellando la cena con un’espressione assente.
“Ti vedo stanca…” constatò, premuroso.
Lei annuì lentamente, accennando un sorriso, e confermò: “Ho davvero tanto sonno, sì…”
“Se non hai fame, lasciala pure… La metto in frigo…” propose lui.
“Scusa… E’ che ho mangiato qualcosa oggi pomeriggio e adesso non ho neanche fame…”
“Ma figurati, non è un problema… Dai qua, metto a posto io…”
Clarissa si alzò da tavola per dare una mano a sparecchiare, ma Danny la scacciò dalla stanza sovrastandola nelle parole.
“Dan, sono due piatti e ce la f…”
“Vai di là! Sul divano, da brava, aspettami lì!”
“Sì, ci vado dopo, or…”
“Testona. Vai a sdraiarti, io arrivo subito!”
Alla fine ci rinunciò e si trascinò in salotto con un sorriso confuso sulle labbra.
Cosa stava accadendo al suo fidanzato musicista tramutato in casalingo?

Trenta secondi sul sofà erano bastati per farla cadere in un altalenante dormiveglia che Danny interruppe posizionandosi sopra di lei e facendo sentire il suo peso.
Clarissa fece una smorfia e balbettò: “D- Dan, non sei una piuma…”
“Se ti sposti un pochino, mi faccio piccolo piccolo accanto a te…” le sussurrò di rimando il chitarrista. La ragazza eseguì pigramente e se lo ritrovò alle spalle che l’abbracciava, avvolgendola in una stretta affettuosa che terminava con la mano sul suo seno. Rimase con gli occhi chiusi, godendosi il tepore che le dava il corpo del suo fidanzato.
“Lo sai chi ho rivisto oggi, dopo tanto tempo?” la incuriosì, aggiungendo un minuscolo bacio sull’orecchio.
“Mh- mh?” rispose lei, scuotendo la testa sul cuscino.
“Max…”
“Chi?”
“Max… Max Factor…”
Udì la sua piccola risata sommessa e aspettò una reazione un po’ più animata di quella che stava mostrando… ma lei si limitò a controbattere: “Sì, lo conosco anch’io…”
Deciso a non fermarsi al primo ostacolo, il ragazzo continuò a parlarle piano con tono suadente.
“E se… facessimo ad un’altra macchia? Anche se non è sul divano va bene, sai…”
Lei sfuggì con l’orecchio alla sua bocca, raggomitolandosi di più e continuando a ridacchiare, forse per il solletico provocato dalla barba di lui a contatto con la sua pelle, infine si girò per abbracciarlo e sospirò con un sorriso un po’ triste: “Mi piacerebbe… ma stasera sono a pezzi, amore, sul serio…”

No, non mi fare questo…

“Se sei a pezzi posso farti un massaggio…” propose ancora Danny in tono carezzevole.

Clarissa iniziò a sentirsi scomoda su quel divano e anche vagamente infastidita dall’insistenza del suo ragazzo.
“Dan… No… Per favore…” replicò a voce bassa, cercando di avere un certo tatto.

Senza esagerare, era davvero stanca e sentiva che le sarebbero bastati cinque minuti per cadere nel sonno più profondo. Ma se fosse stato solo quello il problema, lo avrebbe accantonato volentieri per fare l’amore con lui, le fosse costato il triplo della stanchezza dopo.
Non era solo quello.
Non voleva ritrovarsi di nuovo a fare la pupattola di un fidanzato preso dal troppo lavoro che la usava come un valvola di sfogo.
Lo avrebbe sostenuto in tutte le maniere possibili ed immaginabili, ma il Danny di cui si era innamorata non l’avrebbe mai e poi mai sfiorata senza amore.
Finché sarebbe stato sotto pressione, niente rapporti. Lo avrebbe coccolato, incoraggiato, viziato, fatto riposare, calmato.
Ma il suo corpo , quello se lo sarebbe tenuto per sé.

Danny la fissò con espressione delusa e lei, sentendosi in colpa, ma non per questo corrompibile, gli disse con dolcezza: “E’ stata una giornata pesante. Tu sei rimasto qui tutto il giorno a comporre e scrivere, io sono stata a sfacchinare. Siamo stanchi tutti e due. Ti dispiace se vado a letto?”

Lui non era esattamente stanco. Aveva sonnecchiato dopo essersi masturbato pensando a lei, e se glielo avesse rivelato forse non avrebbe reagito in maniera tanto reticente.
Non riusciva proprio a capire perché non volesse saperne di lui, di solito non era così: c’erano stati dei momenti in cui gli aveva detto di no, ma con qualche moina aveva cambiato idea, era più che normale, data l’età e gli ormoni in circolo, per non parlare dell’alchimia fisica che condividevano.
Quella sera aveva decisamente dato forfait. E lui non poteva farci niente.
Ci rimase male.
Aveva organizzato cena e dopocena su misura per lei, e nessuno dei due era stato neanche cominciato.
Sentendosi rifiutato, si limitò a scuotere il capo per consentire a Clarissa di alzarsi e andare a prepararsi per il letto. Le disse che sarebbe arrivato nel giro di un’ora, perché doveva sistemare alcuni spartiti.
Voleva solo smaltire l’ irritazione alle sue spalle, perché non voleva farla sentire in colpa per essere stata… stanca morta.


Dopo aver rimuginato a vuoto per un po’, salì le scale e con uno sbadiglio entrò nel bagno, lasciato vuoto da un pezzo.
Doccia veloce, spazzolino da denti e via, in boxer. Uscì dalla toilette per entrare nella stanza da letto tre passi dopo, sentendosi una sorta di pensionato in anticipo che raggiunge la moglie brontolona sotto le coltri. Gli mancava solo il giornale sportivo da leggere tra le mani.
Appena fu di fronte al letto, notò le nuove pantofole della fidanzata.
E gliele ha consigliate… coso... Daniel.
Non ci vedeva niente di che.
Scrollò a malapena la testa, infastidito da se stesso per essere così stupidamente geloso.
Quando fu sdraiato sotto le lenzuola, Clarissa si accorse della sua presenza e strisciò fino a poggiare la testa sul suo torace; un barlume di speranza gli illuminò la mente mentre la accoglieva con un abbraccio.
“Ti posso dare un bacio?” la sentì sussurrare innocentemente.
“Dove?” chiese lui, ironico, sperando nella risposta giusta.
“Sulla bocca, scemo…” fu la replica che lo fece sorridere nel buio.

Lo baciò castamente, soffermandosi sulle sue labbra per pochi secondi, poi fece schioccare le proprie e si separò da lui, tornando a stringerlo come un orsacchiotto di peluche.
Danny sospirò, rassegnato. Lei lo ignorò e le disse solo: “Mi sei mancato oggi”.
Si sentì quasi in colpa per aver sperato in una scopata selvaggia di fronte ad una ragazza tanto adorabile.
“… Anche tu mi sei mancata. Tanto” le replicò, stringendola un po’ di più sul suo petto.

Il sonno arrivò a tarda notte, mentre cercava invano di scacciare quella sensazione di risentimento nei confronti di Clarissa.

***

Un paio di cosette!

- Cos'è la sexy grenade, ossia la granata del sesso... E' molto semplice, ho solo voluto mettere in bocca a Danny un gioco di parole un pò cretino! In casi normali si direbbe sex bomb, ma date le proporzioni mignon di Clarissa, del suo fisico, non si può parlare di bomba, vi pare? Con una seconda di seno, poi... Naa, è molto meglio definirla granata :) Più piccola, ma ugualmente efficace, come avrete letto...

- L'insalatona D&C è più che nota ai miei lettori più "anziani", diciamo :D D&C sta per "Danny & Clarissa" e l'insalata in questione è composta da:
lattuga/carote/ funghi/ mele/ sedani/pomodori/prosciutto/ananas/ pancetta! Una cosa sconvolgentemente immangiabile per noi italiani, lo so, ma andate in Inghilterra e questa roba è quasi la prassi nei ristoranti!!! In questo caso io ho aggiunto qualche ingrediente a caso, è vero, questo per rendere unica la ricetta dell'insalatona di Danny e Claire, quella che per la prima volta viene preparata nell'ottavo capitolo di "Point of view", per chi fosse curioso di saperlo!

- Il marchio MAX FACTOR, così come FENDER TELECASTER, viene citato senza alcuno scopo di lucro (per chi se lo chiedesse, nel capitolo mi riferivo alla chitarra nera di Danny, quella più consunta che ha, direi!).

- Le pantofole di Clarissa in realtà sono le mie XD Ma io ho speso meno: 10 euro!

- Il titolo del capitolo è l'omonimo della hit mcflyana "Please please"; no scopo di lucro!

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Capitolo 10
*** Is it all just a sign of what is meant to be? ***


clarissa Eccomi qui!

A furia di spremermi le meningi, il "parto" di questo capitolo è avvenuto! Anche questa è andata, via! Il ritardo rispetto ai tempi standard è avvenuto per via dell'inizio dei corsi all'università, un pò di stress e la totale mancanza di voglia, ma voi lettori non dovete preoccuparvene, il vostro compito lo dice la vostra stessa definizione...

Che altro dire? Ehm, sono a corto di parole...

Ah, sì: buona lettura!


***




Le settimane passarono, piene di lavoro, di stimoli, di concentrazione e di stress.

Senza che né Clarissa, né Danny avessero avuto anche solo il tempo di accorgersene, la tensione saturò lentamente il loro rapporto, iniziando dalle cose più piccole…


“Allora, abbiamo detto che tua madre è un’appassionata di candele aromatiche e affini, giusto?”
“Sì…”
“Ottimo, abbiamo un sacco di opzioni, ci sono le fragranze più assurde tra cui scegliere, e poi per ogni aroma c’è un effetto terapeutico ben preciso! Dici che ne avrebbe bisogno per… non so, lo stress, conciliare il sonno, come energizzante…?”
“…Eh?”
Anne puntò i piedi in mezzo alla corsia degli oggetti per la casa nel centro commerciale e sbottò, infastidita: “Claire! Non ho un pene, ho venti chili di grasso superfluo piuttosto che di muscoli e non parlo con l’accento di un fascinoso contadino dedito alla mungitura, ma non per questo devi snobbare la mia presenza!”
La parola “pene” fece voltare verso di loro molte delle persone presenti nei dintorni, anche se solo per un attimo; tanto bastò a Clarissa per sbottare a sua volta con aria stanca: “Lo sai che non ti snobbo! Non dire stronzate!”
Lo sguardo spento dell’amica e collega portò Anne a ridimensionare i propri toni.
“Si può sapere cosa c’è che non va stavolta? Che è successo, non è tornato neanche stanotte?” domandò, prendendola cautamente a braccetto, come per sostenerla.
Clarissa scosse la testa e rispose: “Mi aveva detto che tutto sarebbe finito nel giro di due settimane, ed è passato quasi un mese… Mi aveva detto che si sarebbe liberato un pomeriggio per comprare il regalo di Barbara insieme a me, e invece quando gliel’ho ricordato al telefono, ha detto che se n’era dimenticato e che era alle prove…”
“Ma lo sai che quando sono così impegnati è già tanto se si ricordano dove hanno la loro stessa testa…” provò a contraddirla l’altra con il suo sarcasmo.
“Due giorni fa sono stata da Giovanna… e c’era anche Tom. Stavano guardando un film… E l’altra settimana sono uscita con Doug e Frankie…”
“Sei andata da sola?”
La vide annuire.
Anne si morse il labbro inferiore, rammaricata.
“Vorresti dire che… tutti riescono a conciliare vita privata e lavoro… a parte Danny?”
Clarissa le puntò gli occhi addosso e confermò la sua versione con un cenno di assenso della testa.
“Va in studio con gli altri la mattina alle nove” aggiunse “Verso le sei, tornano quasi tutti a casa. Lo so perché Tom me lo ha detto. E lui se ne sta lì… con i produttori… a fare… non lo so cosa fanno… E quando torna… io sto già dormendo, o faccio finta di dormire…”
“Fai finta di dormire?” chiese Anne stupefatta.
“Faccio finta di dormire, sì” ripeté la ragazza, amareggiata, senza poi aggiungere altro.
L’amica sembrò non capire e, preoccupata, osò domandare a voce bassa: “Voi non… Da quanto non state insieme… biblicamente, intendo…?”
La bionda arrossì violentemente e non volle rispondere, si strinse soltanto nelle spalle e riprese a camminare lungo la corsia. Anne la fissò da ferma e sospirò, intristita.
“Ascoltami, Claire. Guardami…” la richiamò con gentilezza mentre lei passava con lo sguardo apatico dalle candele al lampone ai suoi occhi neri.
“Questa non è la prima volta che Danny gioca a fare l’artista egocentrico e lo sai anche tu, mi hai sempre detto che in passato è stato anche peggio di così, con tutte le sue responsabilità di cantautore, produttore e-“
“Ma allora non stavamo ancora insieme, Anne…” la interruppe Clarissa.
“Fammi finire…” obiettò l’amica “Stavo dicendo… Sì, insomma, quando decide di drogarsi di lavoro è qualcosa di insostenibile, e tu lo hai tollerato di buon grado a suo tempo solo perché eri amica sua e degli altri. Adesso la situazione è ben diversa, è vero, ma in fondo cos’altro è cambiato? Andrà a finire così anche stavolta, non dirmi che non lo sai… Danny con la chitarra appiccicata al petto come se fosse un’appendice per un mese intero… Danny che rompe le palle al mondo quando qualcosa non gli torna, anche la più insignificante… Danny che fa le ore piccole in studio… Ma poi gli passa, e lo sai anche senza che io te lo spieghi! Devi soltanto avere un po’ di pazienza, è inutile che tu ti strugga per qualcosa che non puoi combattere… Non c’è partita! Tu se tu e la musica è la musica…”
La ragazza ascoltò senza avere troppa voglia di farlo e replicò con una punta di fastidio nella voce: “Io sono la sua ragazza!”
L’altra si affrettò a chiarire: “E lui non amerà mai nessun’altra come te. Lo so. Sì. Hai perfettamente ragione. Ma come la metti con la musica, eh? Strimpella e si sgola da quando ne ha memoria… Ci sono uomini che hanno il calcio, il rutto libero o altre cazzate come priorità… Lui ha la musica…”

Clarissa si massaggiò le tempie, sentendo il cervello esploderle in una serie di sentimenti discordanti e martellanti che da qualche tempo riusciva sempre più raramente a controllare.

Aveva la sensazione che tutto stesse andando a rotoli con Danny, ma allo stesso tempo riteneva di non avere motivo di pensarla così, dato che non avevano litigato per nessuna ragione.
Era furiosa con lui, che non aveva mai tempo e voglia di parlare con lei della loro situazione, però subito dopo si sentiva in colpa all’idea di rinfacciargli il fatto di lavorare troppo, quando tutto poteva essere frutto di una delle sue tante paranoie o della sua eccessiva ricerca di attenzioni.
Pensava che un bel giorno sarebbe esplosa in un attacco di rabbia a causa di quel penosissimo mese che stava trascorrendo, e intanto tentava di farsi forza, convincendosi del fatto che alla successiva occasione sarebbe stata più preparata, più forte e quindi più serena.
Sapeva quanto la musica fosse fondamentale per Danny, però si sentiva quasi inferiore nella sua posizione di partner sentimentale, secondo lui la più importante, la più bella, la più… qualsiasi cosa le avesse detto da quando si erano messi insieme.
La sua invisibile, astratta rivale era più micidiale di qualsiasi altra ragazza al mondo e lei stava miseramente perdendo terreno. Perché se Clarissa era presente da tanto tempo nella vita del suo chitarrista, la musica c’era sempre stata. Sempre.
Prima che un’ennesima ondata di demoralizzazione la investisse, Anne le tese una mano.

“Distraiti, tesoro mio” la incoraggiò, determinata “Per adesso è così e devi metterti il cuore in pace. Appena potrai, lo placcherai al muro e gliene dirai quattro, dopo averlo picchiato con una spranga di ferro magari…”
Clarissa allargò la bocca in una piccola risata di fronte a quella battuta e si lasciò coccolare dalla sua amica, che la strinse sul seno con fare materno.
“Allora, vorresti cortesemente darmi un parere sul regalo per quella povera donna di tua madre? Perché andrà a finire che glielo comprerò io soltanto, se continui a friggerti il cervello nell’acqua!”
“Sì, sì, dài, diamo un’occhiata anche ai portacandele, non voglio regalarle solo un paio di ceri a caso…”




~~~




Tom chiamò a sé tutta la pazienza che possedeva.
“Danny…” esordì, cercando di mantenere un tono pacato e diplomatico “Adesso sono le tre passate e per sistemare questo pezzo abbiamo mangiato a velocità supersonica. Cominciamo ad essere un po’ stanchi, mi spieghi che cosa cambia se adesso stacchiamo per una mezz’ora? Non ce li dimentichiamo gli accordi nel giro di trenta minuti…”
“Io sono qui fuori a fumare!” annunciò Harry, posando le bacchette della sua batteria “O inizierà il mio cervello a farlo! Con permesso…”
Dougie gli rivolse un’occhiata preoccupata prima di constatare che il chitarrista lo aveva fulminato con lo sguardo.
Tom ignorò quel frenetico incrociarsi di furtive sbirciate e tornò a parlare con Danny, sperando di distrarlo: “Prendiamo un po’ d’aria, che ne dici? Siamo qui dentro dalle nove e-“
“Io… chiamo Frankie, ho… tre sue chiamate perse!” intervenne il bassista, che si allontanò un po’ esitante con il cellulare in mano.
I due chitarristi lo guardarono chiudersi la porta alle spalle: Tom lo supplicò invano di rimanere con lo sguardo, Danny lo fulminò come aveva fatto con Harry.
“Credo di sapere cosa non volete dirmi…” insinuò con fare irritato, poggiando delicatamente la sua Telecaster su un piedistallo.
Il suo amico di una vita sospirò rumorosamente e mise le mani avanti con cautela…
“Siamo stanchi, ma non della tua musica, ok? Siamo semplicemente… un po’ provati dalla giornata. E a volte non riusciamo a starti dietro, sei così entusiasta che-“
“Ah, dunque adesso sarebbe colpa mia!” lo sovrastò l’altro in tono sarcastico.
“Non sto dicendo questo!” si oppose Tom, esasperato “Dio, ma che problema hai? È un tuo progetto, ma ci siamo dentro tutti!!! Non crederai che noi ce ne sbattiamo e che tu sei l’unico che ci tiene sul serio!”
“Non vorrei arrivare a crederlo!” lo affrontò il chitarrista, stizzito mentre impilava alcune pagine di spartiti senza guardarlo.
L’altro alzò le braccia in segno di resa e fece per allontanarsi, giusto perché non voleva dargli la soddisfazione di iniziare un litigio.
Sulla porta, si bloccò.
“Se c’è qualcosa che non va… puoi parlarne, lo sai…” gli disse, serio.
Dopo aver ricevuto il mutismo ostinato di Danny come risposta, sospirò rumorosamente e lo lasciò da solo nello studio.


Si sgranchì le gambe e si scrocchiò le dita indolenzite di fronte ad una tazza di caffè retta da Dougie, che nel frattempo stava dividendo una sigaretta con Harry.
“Cosa cazzo avrà… lo sa solo lui…” osservò il batterista, riprendendosi la cicca dalle labbra del collega.
Tom scosse la testa, scoraggiato, e prese la tazza tra le mani replicando: “Non può essere così insopportabile solo per tutta questa storia della produzione, ne sono sicuro… ma non sono riuscito a farlo parlare…”
“Dici che è Claire il problema?” si inserì il bassista, perplesso.
Il biondo arricciò il labbro e scosse la testa. “Ho visto Clarissa in questi giorni, non sembrava… arrabbiata o comunque in pensiero per qualcosa…” dichiarò, meditabondo.
Harry sorrise divertito: “E fu così che in realtà progettava un omicidio!”
“Sì, l’omicidio di Jones!” rincarò Dougie, ridacchiando.
“Parli del diavolo…”
I due amici si voltarono verso l’entrata, dove Tom stava guardando dopo aver attirato la loro attenzione con le sue ultime parole.
Mani in tasca, viso tirato e occhi bassi.
Danny stava camminando incerto verso l’uscita, verso tutti loro.
Harry estrasse una sigaretta dal proprio pacchetto, chiese a Dougie l’accendino e appena il chitarrista gli passò accanto senza l’intenzione di fermarsi, lo incalzò in tono rilassato: “L’ultima te l’ho fregata io stamattina, Dan… Tieni, saldo il mio debito…”


“Ti senti un po’ meglio, vero?”
Danny annuì espirando il fumo dalle narici. Tom si agitò davanti al suo sguardo vuoto fisso nel nulla.
“Ma dì qualcosa! E che cazzo!” proruppe, stringendogli l’avambraccio sinistro con le mani per poi scuoterlo.
“Fletcher ha detto Cazzo, Dan, io vuoterei il sacco!” sdrammatizzò Harry.
Dougie intervenne per ultimo, in modo più diretto: “Abbiamo malignato e concluso che Clarissa non te la da più da un pezzo!”
Subito il diretto interessato reagì con ostilità: “Cosa ne sapete voi?! Un cazzo!”
“Io non voglio saperlo!” si difese Tom, quasi scandalizzato.
“E’ ovvio che c’è qualcosa che non va al riguardo e che muori dalla voglia di dircelo…”
Dougie aveva rigirato il dito nella piaga.
Come da lui previsto, Danny gettò il mozzicone di sigaretta nella grata di un tombino e si passò le mani tra i capelli con stanca lentezza. Stava per cedere.
“Non c’è… tempo” sentenziò, lasciando penzolare le braccia mentre si voltava verso i suoi amici, che lo fissarono perplessi, in attesa di ulteriori spiegazioni.
“Ultimamente, quando sono a casa io, è lei che deva andare a lavorare… o viceversa. E quando magari torno la sera tardi… la trovo addormentata, non posso svegliarla e chiederle se…”
“Dovete farlo la mattina presto, quando siete belli carichi!!!” gli consigliò animatamente il bassista, facendo trattenere a stento una risata da parte di Harry.
“Chiudi il becco…” gli intimò Tom senza sorridere, per poi tornare a rivolgersi al chitarrista: “Dan, io ho visto Clarissa qualche sera fa. È venuta a trovare Gi e… poi mi ha detto di quando è uscita con Doug…”
“Confermo” asserì il biondino.
“Insomma… Non è che non c’è tempo: casomai tu non ne hai per lei…” azzardò Harry “Perché non state un po’ più insieme, anche solo per uscire un po’ il pomeriggio, Jones? Ormai sono settimane che ti rinchiudi qui dentro e, francamente, rischi soltanto di diventare insopportabile, sia per noi che per la tua ragazza…”
Danny cercò di non dare a vedere la stizza di fronte alle parole del collega, che si era portato l’onnipresente nuova fidanzata da casa allo studio, e si limitò a dire in tono piatto: “Ah. Se lo dici tu…”
“Ragazzi! Vi ho portato un po’ di caffè, ho fatto bene?” squillò la voce di Cassie alle loro spalle. Harry fu il primo a voltarsi verso di lei con un sorriso riconoscente.
“Arrivi giusto in tempo!” le disse, facendosi da parte per farla fermare accanto a lui.
“L’ho preparato un secondo fa, è caldo caldo, e ho anche i bicchierini di carta!” continuò la ragazza, offrendo la caraffa di vetro piena a tutti. Tom si negò, avendo già assunto abbastanza caffeina per quella giornata, ma il resto del gruppo accettò ben volentieri.

“Vi vedo un po’ taciturni. Siete solo stanchi o devo preoccuparmi?” avanzò la ragazza del batterista davanti alle facce meditabonde della band.
Harry scosse la testa e la tranquillizzò dicendo: “Niente di che, è Danny che ci fa lavorare come muli…”
“Che palle!” esclamò l’amico, sentendosi preso in causa. Cassie se ne uscì con una piccola risata e ribatté: “Non dargli retta, Dan… ma in effetti dovresti pensare seriamente di prenderti un po’ di tempo libero…”
Dougie e Tom concordarono immediatamente con un sorriso eloquente rivolto al collega, un ghigno che parlava chiaro: “Te l’avevamo detto”…
Ignorandoli bellamente, Danny ribatté: “Ci stavo pensando, solo che non è facile…”
“Siete praticamente alla fine del progetto, cosa vuoi che sia qualche ora di libera uscita? Clarissa non ne sarebbe contenta?”
“Già, Clarissa non ne sarebbe contenta?” ripeté Dougie con un sorrisetto insolente stampato sulla faccia; Tom gli tirò uno scappellotto sul collo con disinvoltura per ridimensionare i suoi sfottò.
Con le spalle al muro, il ragazzo rispose: “Certo, ne sarebbe contenta, di sicuro…”
“E allora, che problema c’è?” insistette Cassie “Sai, capisco che con il lavoro che fa e con il vostro… codice di comportamento… lei non sia mai stata presente qui negli studi… Infatti io mi sento decisamente una clandestina illegale!”
“Non sei una clandestina!” intervenne il batterista, abbracciandola con un sorriso “Non mi avevi mai sentito suonare e abbiamo risolto il problema!”
La ragazza lo baciò a stampo sulle labbra per sciogliere la stretta affettuosa subito dopo e continuare il suo discorso…
“Sono sicura che affronterai meglio anche questa cosa del nuovo progetto musicale se ti fermi e pensi un po’ a te, se trascorri più tempo a casa, con Clarissa… L’ho detto anche a lei, qualche volta potremmo uscire tutti insieme e farvi distrarre un po’!”

Tanto disse e tanto persuase quella singolare ragazza… che alla fine Danny si lasciò convincere, anche grazie all’aiuto dei suoi amici e colleghi, che lo rassicurarono sul progetto e lo invogliarono a prendersi più serate libere, magari da alternare: a volte goliardiche uscite tra amici, a volte qualche romantica cena con Claire, magari anche un cinema…
Si ricordò proprio di quanto la sua ragazza gli aveva annunciato di recente: era questione di dieci giorni, poi sarebbe arrivato il compleanno di Barbara; secondo gli aggiornamenti provenienti direttamente da lei, avrebbe organizzato la festa qualche giorno dopo la data ufficiale della sua nascita per comodità e per avere più amici possibili presenti, lui e Clarissa compresi.
Si sentì improvvisamente in colpa per non essere riuscito ad accompagnare la sua ragazza a comprare un regalo alla festeggiata: sapeva che ci teneva molto e l’aveva delusa, come aveva fatto più di una volta in quelle ultime settimane.
Quella sera prese coraggio e alle sei decise di staccare i jack dalla sua chitarra: aveva finito. Avrebbe ripreso il giorno dopo, con calma e senza nessuna ansia di arrivare in ritardo.



~~~




Stava combattendo con discreto successo i dolori mestruali, armata di una tisana dal sapore poco gradevole ma accettabile dal momento che vi aveva immerso tre cucchiaini di zucchero dentro. Stava cercando di scegliere con la massima cura la carta da regalo più adatta al suo acquisto per Barbara, ma le risultava difficile, visto che Anne le aveva fatto comprare le fantasie più belle!
Voltò di scatto la testa non appena udì la porta d’ingresso aprirsi ed un mazzo di chiavi tintinnare in maniera familiare.
Londra chiama Dublino!”

Il cuore mancò un battito.
Cercò immediatamente di riprendersi e trattenne il respiro per poi assumere un’espressione fredda e distaccata, soprattutto irritata.
Non riusciva a credere che fosse tornato nel tardo pomeriggio, dopo tutte quelle cene trascorse da sola, spesso in casa, davanti a un piatto pre-cotto.
Ma non riusciva neanche a perdonargli la promessa non mantenuta che le aveva fatto: non l’aveva accompagnata a comprare il regalo per sua madre.
Capriccio infantile o meno, doveva fargli pesare quel grosso cruccio.
Non rispose al suo scherzoso richiamo ed incrociò le braccia sotto il seno in attesa di vederlo varcare la soglia del salotto.

Pochi secondi e si ritrovarono a dieci passi di distanza, come in una buffa riproduzione di un duello in stile western. Solo che Danny non capiva di farne parte. Sorrise amabilmente e le andò incontro, intuendo dalla sua faccia adirata solo la punta dell’iceberg.
“Amore. Com’è andata oggi?” le domandò prima di stringerla a sé, sorridendole vagamente nervoso.
Clarissa rimase impassibilmente rigida nel suo abbraccio e rispose freddamente: “Benissimo”.
Aveva voglia di prenderlo a schiaffi, di tirargli addosso qualche mobile, di effettuare un body-slam sul suo stomaco e, infine, di abbracciarlo fortissimo.
“Sei furiosa e ne hai tutto il diritto…” obiettò il chitarrista mentre le incorniciava il viso nelle grandi mani, con delicatezza.
“Perché sei tornato?” ribatté lei, lapidaria.
Vagamente disorientato dal tono della domanda, il ragazzo rispose conciliante: “Ho parlato con i ragazzi, c’era anche Cassie… e sono riusciti a farmi capire che ho bisogno di staccare un po’ la spina… Secondo loro, sono diventato paranoico e non mi fa bene, tanto più perché ormai il progetto che abbiamo iniziato è praticamente finito e… quindi… ho pensato Ma sì, adesso me ne vado a casa, mi rilasso per qualche giorno, sto con il mio amore…”
“Che premura…” commentò sarcastica l’altra, alzando un sopracciglio.
Danny incassò anche quel colpo e continuò, accarezzandole una guancia con il pollice: “Lo so cosa vuoi dirmi. E te lo dico subito: hai ragione. Non ci sono stato, avrei dovuto e invece sono rimasto a suonare per tutto il tempo… Scusami, davvero… Vedo che ci hai già pensato, al regalo!”
Ebbe un tuffo al cuore quando notò una scatola sul tavolo accanto a dei nastri colorati e alla carta da regalo.
“Sono stata al centro commerciale. Con Anne. Abbiamo preso il regalo, sì.” replicò la ragazza, telegrafica e tagliente “E’ un candelabro in argento. Con due candele. Al patchouli.”
Lesse tra le righe di quella dettagliata descrizione, decifrando un rancoroso “Anche tu sapresti queste cose se fossi venuto con me”. Sospirò mestamente, con un senso di colpa sempre più acuito.
“Posso fare qualcosa per essere perdonato?” chiese in tono triste “So che è colpa mia e delle mie fissazioni, odio vederti così quando faccio qualcosa di sbagliato…”
Vide Clarissa allentare impercettibilmente la tensione sul proprio volto: la ruga in mezzo alla fronte, inconfondibile segno di rabbia, divenne meno evidente, e gli occhi guardarono altrove, smettendo di penetrarlo sadicamente.
Dalla sua bocca non uscì una parola. La sua schiena rimase dritta e rigida come quella di un despota.
Danny tentò la sorte facendo leva sulla propria vena comica.
“Mi bevo il tuo schifosissimo intruglio di erbe, alla goccia, giuro! Guarda, lo faccio…” la avvertì, e pochi secondi dopo stava davvero vuotando la grossa tazza della fidanzata e ingurgitando la nauseabonda tisana. Davanti alla sua smorfia di estremo disgusto, Clarissa si lasciò scappare un principio di risata che tentò immediatamente di reprimere, ma era troppo tardi: Danny l’aveva già vista cedere.
“Beccata! Hai riso, adesso non hai scampo!” l’ammonì, tornando ad abbracciarla, stavolta ricevendo una reazione, seppur non del tutto positiva: la ragazza puntò i pugni contro il suo torace, come per spingerlo via, ed abbassò lo sguardo per non farsi vedere mentre ancora ridacchiava.
“Insisterò finché non mi avrai ufficialmente perdonato, andrò incontro a prove ancora più terribili!” gracchiò il ragazzo prima di aggiungere: “Come questa!”
Clarissa lanciò un piccolo grido sentendosi sollevare sulla schiena di lui. Cominciò a tempestare di colpi il dorso del fidanzato protestando animatamente, ma ridendo tra un insulto e l’altro.
“Idiota, lasciami immediatamente! Mettimi giù, smettila di… Danny, cazzo, non sono un sacco di patate! Sei sordo?! Ho detto di mettermi giù, razza di scemo!!!”
“Se ti metto giù, mi perdoni?!”
“Mettimi giù!!!”
“Ti amo tanto, anche quando mi rompi la schiena con il tuo dolce peso e i tuoi pugnetti malefici…”
La sentì ridere, forse sorpresa, e poi dire, stremata: “Mollami subito, voglio scendere…”
Obbedì, facendole toccare di nuovo il pavimento con i piedini ridicolamente minuscoli rispetto ai suoi. Era un po’ spettinata e ansante per via dell’agitatissima protesta che aveva messo su poco prima.
“Se non ti avessi già picchiato abbastanza, ti tirerei un ceffone…” gli disse, puntandogli un indice contro il petto “Tu, i tuoi orari del cazzo, le tue promesse non mantenute e… e vaffanculo, ok?”
Ghignava nel dirgli tutte quelle parole come in una presa in giro, ma riusciva a sentire una nota dolente nella sua voce, una punta di vero rancore che non voleva andarsene.
Sopportò la colorita ramanzina, la lasciò finire di parlare, poi le prese le mani, ostinatamente chiuse come due piccoli martelli, e le disse a bassa voce: “Lo giuro, è la prima e ultima volta che ti tratto così. Ho capito il mio errore e voglio rimediare. Mi dai una possibilità?”
La ragazza lo scrutò in silenzio, serissima per qualche istante, poi scosse la testa in un tentativo maldestro di gettare indietro alcune ciocche ribelli e sorrise tiepidamente…
“Non farlo più, Jones. Chiaro? Perché è stato frustrante.”
Le baciò la fronte, contento, e le promise: “Chiaro, piccola. Chiarissimo…”
Si abbracciarono, dopo che finalmente Clarissa aveva teso le braccia verso il suo collo.
Danny baciò ripetutamente i suoi capelli, facendola sorridere e arrossire, e assaporò il sapore della sua pelle tepida mentre con le labbra aveva raggiunto anche le guance morbide.
“Cosa ti va di fare stasera?” buttò lì, il naso che sfiorava il suo profilo.
Lei alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto e rispose: “Ho il ciclo… Ho voglia di mangiarmi il mondo intero, meglio se ricoperto da zucchero, glassa, caramello, qualcosa di dolce da far schifo…”
Si sentì replicare con fare accomodante: “Allora ci vestiamo… e cerchiamo un ristorante come si deve da svuotare… ok?”




Riuscì a farle recuperare il sorriso e a riconquistarsi la sua fiducia dopo una cena, due ciambelle, un gelato, una cialda affogata nel caramello (divisa a metà con lui, perché “cominciava ad essere piena”) ed un massaggio sulla schiena leggermente indolenzita a causa dei dolori mestruali.

“Ti andrebbe bene partire… diciamo il prossimo sabato? Se riesco a trovare un volo in giornata lo prendo subito, così non dobbiamo svegliarci a un’ora assurda per il check- in…” gli propose Clarissa, alzando leggermente la testa dal materasso su cui stava per cadere nel dormiveglia.
Danny si fermò con le mani qualche istante per riflettere, poi rispose: “Sì! Per me va bene! Se ci aggiudichiamo un volo pomeridiano è meglio, sì… Sai, volevo uscire un po’ con i ragazzi nel fine settimana…”
“Ok, speriamo bene… Dan, mi sto… addormentando…”. La ragazza sbadigliò per poi sorridere pigramente al fidanzato. “Grazie del massaggio…”
Il chitarrista chinò la testa sulla curva della spina dorsale e vi stampò un bacetto prima di lasciar alzare Clarissa per farle rimettere la T- Shirt del pigiama.
Una volta sotto le lenzuola, si rannicchiarono in un abbraccio tutto loro che vedeva la biondina sommersa dalle braccia di lui, a sua volta “legato” dalle sue gambe dalle cosce in giù.
Quell’abbraccio divenne una lunga serie di baci e di carezze a fior di pelle, una tortura a cui entrambi si prestarono volentieri e senza freni, almeno finché Clarissa non sentì la mano di Danny andare oltre l’elastico del morbido pantalone scuro che indossava.
Con poca convinzione nel suo sussurro, si oppose più per istinto che per vera resistenza: “… No… Dan, ho il-“
“Ssshhh… Tranquilla…” la rassicurò lui sottovoce per poi baciarla piano sulle labbra.
Lo lasciò continuare, si aggrappò a lui, ai lembi della sua canotta, ai sospiri che le regalava, in sincronia con i suoi.
Chiuse gli occhi mentre lo stringeva e le mani l’aiutarono a immaginarlo, a vederlo nonostante il buio.
Era bellissimo con i capelli da lei spettinati.
La sua bocca aveva un buon sapore, anche nella sua vaga nota di fumo che aveva imparato ad amare, come tutto il resto di lui.
Nonostante si conoscessero bene nella loro intimità e in quasi ogni centimetro dei loro corpi, le sue dita a volte ancora sbagliavano o si perdevano, colpa dell’eccitazione che lo rapiva, così lei si ritrovava a guidarlo con la mano, paziente e intenerita dal suo essere imperfetto, per questo ancora più bello.
Un suo movimento leggermente maldestro la fece irrigidire, ma entrambi cercarono di passare oltre quel gesto poco importante: Danny tornò a toccarla con più delicatezza e Clarissa iniziò a fantasticare per stimolare le reazioni positive del suo stesso corpo.
Non vedeva alcun reato nel pensare anche a qualcun altro mentre era a letto con il suo ragazzo, anzi, la considerava una fantasiosa soluzione ai momenti in cui il contesto doveva essere ravvivato in qualche modo, se voleva raggiungere l’apice del piacere con meno sforzo e in modo… diverso dal solito, così lo definiva.
Lo sconosciuto che la possedeva nel suo immaginario mentre faceva l’amore con Danny non aveva quasi mai avuto un volto ben preciso o familiare e non era mai stato la stessa persona per due volte di seguito. Era tutti e nessuno, era un ragazzo carino entrato in libreria o un bel signore di mezza età intravisto in metropolitana, a volte era persino Dougie, ma solo per brevissimi e sfuggenti fotogrammi, stralci del passato che ogni tanto tornavano a farsi vivi nella sua mente, tirandole buffi scherzi.

In quel momento, Danny era… solo Danny. Era più che sufficiente, stava cominciando a farle girare la testa e a muoversi dentro di lei come più le piaceva.
Con due dita l’aveva penetrata in entrambi gli orifizi e la stava facendo gemere sempre più forte.
Lui amava sentire quel suo lamento appagato e appagante.
Lei amava sentirlo muoversi ed espandere dentro di lei quella sensazione oscenamente immensa di goduria mescolata alla lussuria.
Nella sua fantasia, qualcun altro stava stuzzicando il suo ano, ma ancora non aveva dei lineamenti ben definiti…
Doveva pensarci, osare ancora un po’…
“Sì…” ansimò, sentendo come irriconoscibile la propria voce. Danny mosse le dita ancora più velocemente e cercò le sue labbra per un lungo e profondo bacio che la fece gemere nella sua bocca.
La fantasia si fece più delineata e spinta: era incastrata tra due ragazzi, uno di loro era il suo fidanzato, voleva che fosse lui perché era sempre presente nei suoi trip erotici, se lo meritava, ne era più che degno: fare l’amore con lui, come anche solo i preliminari, era fantastico.
Ma non c’era solo lui al mondo.
Di nascosto, quasi vergognandosene, ma con una punta di malizia che rendeva la sua fantasticheria ancora più eccitante, volle vedere un’altra persona alle sue spalle.
Quella con cui stava facendo sesso anale, mentre Danny la scopava davanti.

L’orgasmo arrivò improvvisamente in un’unica grande vampata di calore partita dallo stomaco.
“Daniel!” gemette Clarissa prima di contorcersi sotto le mani di Danny.
Il chitarrista la baciò intensamente, coprendo i suoi gemiti, e sospirò con voce roca: “Se ridici il mio nome completo in quel modo… impazzisco…”

Con gli occhi spalancati nel buio, calmò il proprio respiro ma non riuscì a replicare. Si limitò ad abbracciarlo spasmodicamente per nascondere il viso nel suo petto, come se avesse potuto vederla, scoprirla.
Il chitarrista ricambiò la stretta, vedendovi un gesto tipicamente affettuoso e romantico, il platonismo trionfante dopo la materiale fisicità. Le cinse le spalle con un braccio e sorrise nel baciarle la nuca e nell’ascoltare il suo respiro che si stava regolarizzando.
La ragazza sbatté finalmente le palpebre, atterrita, e dopo aver sentito il bacio sulla testa le richiuse e le strinse forte, decisa a dimenticare quella stupida fantasia che aveva sviluppato poco prima.

Daniel.

Che assurdità.

Non sapeva perché le aveva dato tanto fastidio immaginarsi con lui.
Forse perché…

Ti è piaciuto pensare che fosse lui a buttartelo nel culo, non è vero?

Il suo cuore non accennò a rallentare i battiti.

Troietta.

“Amore… Tutto bene?”
Alle premure del fidanzato, rispose con voce apparentemente serena.
“Certo, sto bene…”

Tremava dentro.  


~~~





Iniziò a preparare la valigia con entusiasmo, soddisfatta della sua prontezza, ma anche della fortuna che aveva avuto nel prenotare il volo con così poco anticipo: sarebbero partiti sabato pomeriggio a mezzogiorno e mezzo. Ancora 48 ore e avrebbe finalmente rivisto Barbara, Nora, la sua terra natale, quella sorta di “sconosciuta” che, inspiegabilmente, le mancava nonostante avesse fatto da cornice alla sua sgangheratissima vita, piena di momenti da dimenticare.
Anche se qualche ricordo si salvava, prezioso e brillante in mezzo a quel pesante grigiore della sua esistenza.
Erano la sua consolazione, il motivo per cui non aveva paura di tornare ogni tanto, anche se lei aveva percorso una strada diversa.
Non vedeva l’ora di respirare ancora una volta quella bizzarra atmosfera fatta di amarezza e calore: sapeva che all’impatto iniziale, brusco e carico di repulsione, sarebbe seguito l’abbraccio di Barbara e dopo anche quello di Nora, e allora tutto sarebbe tornato a posto nella sua anima scossa; l’aspro sapore nella sua bocca sarebbe diventato dolce e infine frizzante grazie alla festa, sicuramente paragonabile ad una sagra dei dolciumi locali, colma di chiacchiere di attempate signore sedute nelle loro sedie di plastica in giardino, un po’ acciaccate ma ancora arzille e sempre in vena di spettegolare un po’, con leggerezza, specie se in presenza di volti semi- nuovi, come quelli di Clarissa e Danny, che sarebbero stati sicuramente coccolati, viziati e farciti a dovere dalla festeggiata e non solo.

Quando si accorse che il suo turno pomeridiano si stava avvicinando, mise da parte il suo trolley in camera da letto e pranzò velocemente da sola con un’insalata preparata in due minuti.
Mangiando, fece uno scrupoloso elenco mentale di che cosa mancava ancora da mettere in valigia; per un attimo si preoccupò anche di quella di Danny, ancora vuota, ma lasciò subito perdere: inutile sprecare tempo ad avvisare uno che faceva i bagagli all’ultimo momento e che, miracolosamente, non si dimenticava mai niente a casa!
A proposito di dimenticanze, proprio quel testa di rapa aveva scordato accanto alla finestra l’accendino, di nuovo. Ne avrebbe comprato uno nuovo, convinto di averlo perso, così la sua collezione si sarebbe arricchita per l’ennesima volta al suo ritorno.
Aveva ancora la testa un po’ tra le nuvole, ma da quella sera aveva seriamente iniziato a darle più attenzioni, era ritornato il solito Danny, quello equilibrato ed imbranato tutto musica, amici e complicità silenziosa appena si scambiava un’occhiata con lei.
Era contenta del fatto che quello strano senso di panico fosse sparito, ora che lui era tornato ad essere più presente.
Certo, non aveva potuto fare a meno di pensare a Daniel, a come lo aveva pensato senza un apparente motivo.
Era carino, con un accento straniero che quasi le faceva tenerezza, affabile, sempre pronto ad ascoltarla quando l’accompagnava a casa dal lavoro, spiritoso…
Ma sì, e allora? Cos’è, non posso pensare a lui come a un ragazzo carino? si rimbeccò da sola mentre si preparava per uscire di casa.
Una volta scesa in strada, camminò a passo sostenuto e liquidò quell’ultimo sprazzo di negatività dal suo cervello con una solida giustificazione dettata dalla razionalità, nonché da un pizzico di umanità…
Mai fantasticato su un tuo collega di lavoro? Ebbene, adesso sai che si può. Contenta? Adesso vai a lavorare e ricordati quanto sei felice con Dan.
E poi anche lui è fidanzato.



“Ciao a tutti!” esordì allegramente avvicinandosi al bancone.
“Ciao! Siamo pimpanti oggi!” la salutò Anne, sorridendole.
Bonjour, Clarissa!” esclamò Daniel, in equilibrio su una scala mentre stava impilando dei libri sugli scaffali più alti.
Agitando le mani per mimare il suo buongiorno, la ragazza andò nel retrobottega per sistemarsi e poco dopo accorse per aiutare lo studente nella sistemazione dei volumi.

“Sai che quel locale di cui ti avevo parlato settimane fa è stato inaugurato lo scorso fine settimana?” la informò il francese mentre Anne stava servendo un cliente.
Clarissa rimase perplessa qualche secondo per poi ribattere: “Ah, sì, mi ricordo! Ma non doveva aprire tra… una settimana o due?”
“Credo che i lavori di ristrutturazione siano finiti in anticipo! Dicono sia stata una cosa fichissima, il tema scelto per la festa inaugurale era… il futurismo! Ho visto alcune foto su Facebook, erano tutti vestiti da urlo!”
Clarissa ridacchiò e disse: “Sarebbe piaciuta molto ai miei amici e al mio ragazzo! Per il loro ultimo album si sono dedicati ad una cosa simile!”
“Perché una volta non ci andiamo?”
La proposta giunse inaspettata e la diretta interessata alzò le spalle con un’aria spiazzata.
“Ma… non saprei…” borbottò, incerta “Che ne sappiamo di come vestirci, quanto si paga per entrare…?”
“Io sono iscritto al gruppo ufficiale su Facebook!” puntualizzò Daniel “Le donne non pagano il venerdì, altrimenti sono dieci sterline per questo primo mese di promozione! E le feste in costume si svolgono una volta a settimana, mi aggiornerò sul tema su Internet!”
“Ma… ma sai già tutto!” constatò l’altra, stupita; venne ricambiata con uno sguardo sorridente che la pregava di farlo contento.
“Daniel, non lo so se… Senti, comunque se dicessi di sì, non posso venirci questa settimana né la prossima, perché vado in Irlanda da mia madre per qualche giorno!”
“Ok, ok, però andiamoci, ti prego!” la implorò il ragazzo senza smettere di sorridere “Non voglio chiederlo a Pilar, ti ho spiegato perché…”
“E che mi dici di Anne? Lei non ha accettato?”
“Anne… Lo chiederò anche a lei, certo!” mentì lui “Però vieni anche tu!”
Davanti a tanta insistenza, Clarissa preferì tagliare la testa al toro.
“Va bene, va bene!” confermò, esasperata “Ma prega che il tema non sia al limite dell’assurdo, perché altrimenti ti tiro un bidone, ti avverto!”
Lui la ringraziò nella sua lingua, contentissimo, e non la disturbò più, anzi, divenne persino più collaborativo e silenzioso.
Clarissa si ritrovò a fissarlo di nascosto in alcuni momenti, vagamente frastornata dai suoi modi gentili e discreti, dal suo bizzarro entusiasmo per quella discoteca in cui voleva trascinarla, bardata in chissà che modo.
Ad un certo punto, si decise a fare due chiacchiere con Anne e la trovò alle prese con alcune carte della contabilità.

“Ci vuoi venire con me e Daniel a ballare?” buttò lì.
La ragazza alzò lo sguardo per risponderle ironica: “Si va a caccia o a bere?”
“E’ un locale in cui si fanno feste a tema, scema, si fa per ridere…” obiettò l’amica “Daniel dice che sembra la fine del mondo, se non ci andiamo ce ne pentiremo per il resto dei nostri giorni… Qualcosa del genere, insomma, mi ha fatto une testa così e volevo sapere se-“
“Ferma i lavori, cara!” la interruppe l’altra “Non so se ne sei al corrente, ma io a breve me ne andrò in ferie, e si dia il caso che parta Domenica! Me ne vado, levo le tende per una decina di giorni!”
“Ah…” replicò Clarissa in tono deluso “E… dove vai?”
“Mi unisco ai miei per una capatina in Scozia, niente di che! Vorrà dire che farete baldoria senza la sottoscritta! E poi lo sai che io vado a ballare solo per provarci coi tipi carini, bel culo e portafoglio possibilmente gonfio…”
“Posso prestarti Dan ogni tanto, se vuoi!” propose la bionda scherzosamente.
“Non dirlo! Clarissa, non dirlo neanche per scherzo! Pazza, sei solo una pazza!” sbottò Anne prima di scoppiare a ridere, rossa come un peperone.
“Ma davvero non vuoi venire a fare due salti in compagnia?” insisté ancora una volta la ragazza, speranzosa.
“Vedremo dopo le mie vacanze, ok? Nel frattempo tu e Daniel potreste andare fare un giro di perlustrazione, un collaudo, così se anche io vorrò venirci non avrò brutte sorprese!”
“Usurpatrice!” l’apostrofò Clarissa prima di tornare al suo daffare con aria rassegnata, anche se col sorriso sulle labbra.
Anne in ferie. Non ci voleva.
Ma del resto, perché disperarsi? Anche se sapeva che non avrebbe potuto invitare i ragazzi, Danny compreso, per evitare spiacevoli epiloghi imbarazzanti fatti di folle di fan isteriche, avrebbe potuto portare con sé Frankie, o magari Gi, giusto per non rimanere soltanto con Daniel.
Perché, doveva ammetterlo, stare sola con lui avrebbe potuto farla sentire non poco a disagio.



Quando chiudere i battenti per quella giornata fu compito di Clarissa, Daniel terminò di spazzare il pavimento, si assicurò che la libreria fosse in ordine e raggiunse la collega per accompagnarla lungo il consueto tratto di strada da percorrere insieme.

“Allora, quand’è che parti esattamente?”
“Sabato, in tarda mattinata! Non vedo l’ora!” esclamò la ragazza.
“E’ da molto che non vedi tua madre?”
“Non la vedo da un anno, sì… La sento spesso per telefono, ma non è la stessa cosa…”
“Ma non poteva rimanere a Watford? Mi avevi detto ci viveva da un sacco di tempo!”
“Sì, il problema è che poi sono successe così tante cose… La signora che dava vitto e alloggio a Nora è morta, quindi lei è voluta tornare a Dublino… Barbara si è trattenuta qui per qualche mese dopo la sua partenza, però poi ha deciso di partire per occuparsi di lei: aveva capito che io stavo bene, che mi ero sistemata, avevo trovato una casa e un lavoro… e così adesso sono entrambe laggiù…”
“Si direbbe che vi volete molto bene…” osservò Daniel con un sorriso intenerito.
Clarissa annuì e ribatté con serenità: “Sono tutta la mia famiglia, non potrebbe essere altrimenti…”
“Rivedrai anche il tuo autista di famiglia alla festa?”
“Elroy? Credo di sì, Nora mi ha detto che ci sarà anche lui…”
“Mi piacerebbe conoscerlo, sembra un tipo simpatico da come me ne hai parlato!”
“Ti porterò qualche foto allora!”
“Grazie! E fai anche qualche fotografia al paesaggio, se non ti dispiace: non sono mai stato in Irlanda!”
“Sarà fatto, ok!”
Merci!”
Giunti al bivio, si salutarono con due veloci bacetti sulla guancia, gesto in cui Daniel aveva preso l’iniziativa e a cui lei non si era sottratta per buona educazione.
“Ci vediamo quando torni! Io domani ho lezione in facoltà…” la informò il ragazzo.
Clarissa ribatté scherzosa: “Allora non combinare troppi disastri in libreria in mia assenza!”
“Donna di poca fede!” la rimproverò con una risata l’altro, prima di aggiungere: “Piuttosto, pensa alla proposta che ti ho fatto sul locale!”
La ragazza alzò gli occhi al cielo, poi si ricordò di informarlo delle ferie di Anne. Lo studente fece spallucce, praticamente disinteressato al fatto che la loro collega non avrebbe tenuto loro compagnia, poi riprese: “Ci andremo io e te, no?”
“Bè…”. Esitò la biondina… “Possiamo riparlarne quando torno, con più calma, ok?”
Daniel sorrise, conciliante, e annuì per poi salutarla definitivamente.

Guardandola allontanarsi di soppiatto, le fissò il fondoschiena.
Alzò l’angolo sinistro della bocca in un ghigno malizioso, poi prese a pedalare sulla sua bicicletta.
Decise di aspettare prima di sentirsi trionfante al cento per cento.
Il bello doveva ancora venire.




~~~





“Non capisco perché hai bisogno di preparare i bagagli un mese prima di partire…”
“Ho iniziato solo ieri, ci ho messo dentro due cose!”
“Ma partiamo domani a mezzogiorno!”
“Sì, e se io non mi organizzo per tempo, finisco sempre per fare casino e metà delle cose che voglio portarmi dietro rimarrà a casa!”
“Ok, come vuoi… Io la preparerò domattina…”
“I biglietti ce li hai tu?”
“Sono nel cassetto del mobile nell’ingresso…”
“Sicuro?”
“Claire, sì!”
“Ok, calmati!”
“Ma…”
Danny rimase bloccato in un sorriso spiazzato mentre fumava alla finestra; Clarissa lo fulminò con lo sguardo e si difese dicendo: “Ti conosco, spesso e volentieri tu le cose le perdi!”
“Ce li ho messi un minuto fa, in quel cassetto, Clarissa, sono più che sicuro…”
“Sarà meglio! Mi passi quel paio di jeans?”
“Ma non volevi metterli domani per la partenza?”
La ragazza rimase interdetta qualche secondo, poi scosse la testa e sospirò: “Sì, è vero…”
“Guarda che stasera hai tempo per finire di sistemare tutte le tue cose…”
“No” si oppose subito l’altra, alzando l’indice destro con aria saputa “No, perché stasera voglio andare a letto presto, al contrario di te. E al massimo voglio aggiungere al bagaglio quelle due o tre cosette che sicuramente adesso non sto ricordando! Niente di più, niente di meno!”
“Non farò tardi neanche io, se è per questo!” puntualizzò il chitarrista “Una birra, due tiri al biliardo e sono a casa!”
“Già, peccato che parti da casa alle dieci e mezzo!”
“Sì, ma solo perché danno da bere la birra gratis dopo le undici…”
“Dan. Tornerai all’alba, già lo so.”
“Donna di poca fede!” la schernì lui con un sorrisetto per poi gettare il mozzicone dalla finestra.
Clarissa per tutta risposta lo fissò inebetita, tanto che il chitarrista fu costretto a chiederle: “Ehi… Tutto ok? Che ho detto?”
“… Niente. No, niente…” gli rispose lei, frettolosa “Stavo pensando a… a cosa prendere dal bagno per la valigia…”


Donna di poca fede. Pensano entrambi la stessa cosa di te, non lo trovi… bizzarro?

Si impose la calma ed il sangue freddo davanti allo specchio del bagno, mentre stava scegliendo quali prodotti raggruppare sul ripiano, in bella vista, prima di spostarli nel suo bagaglio.

Hai notato che hanno tutti e due gli occhi azzurri?
“Quelli di Danny sono azzurri. Daniel ce li ha più scuri. Non sono come i suoi…” sussurrò tra sé e sé, infastidita.

Ti metterai ne guai, Clarissa.
Si puntò gli occhi addosso, nella superficie vetrata. Inspirò rumorosamente, le narici ben dilatate.
“Stà zitta” intimò a denti stretti.
Sbatté gli sportelli che aveva aperto ed uscì dalla stanza, decisa a distrarsi in cucina: si sarebbe messa a preparare la cena, così non avrebbe pensato a niente.
Sentì i passi di Danny farsi sempre più vicini alle sue spalle.
“Ti metti già all’opera? Che prepari di buono?” curiosò, appoggiando il mento sulla sua nuca; la ragazza si scostò con una piccola risata e rispose: “Credo che improvviserò… Mettiti pure comodo…”


Una grossa bistecca al sangue così grossa da dover essere divisa in due e una porzione generosa di verdure grigliate a testa, il tutto accompagnato da un buon vino rosso; Clarissa ne bevve tre abbondanti bicchieri con grande stupore di Danny, che invece lo assaggiò soltanto, in attesa di bere con gli amici più tardi.
“Era tutto buonissimo! Anzi, più buono del solito!” si complimentò, alzandosi per aiutarla a sparecchiare.
La fidanzata replicò con un grande sorriso soddisfatto e con le guance arrossate dall’imbarazzo - o dal vino – e commentò: “Avevo voglia di svagarmi un po’… in cucina!”
“Vedo che ci hai dato dentro anche con il vino… Hai l’occhio brillo!” le fece notare lui, picchiettando l’indice sul suo naso e facendola traballare.
“Ho bevuto un po’ solo per calmarmi, lo sai che sono sempre nevosa prima di un viaggio!” si giustificò l’altra, mentendo spudoratamente.
Danny rise e la baciò sonoramente su una guancia, poi entrambi si dedicarono alle ultime faccende in cucina.

Un paio d’ore più tardi, dopo aver guardato un film stesi sul divano, il ragazzo si preparò velocemente per la sua uscita tra amici: nel giro di una scarsa mezz’ora era già pronto.
“Non restare sveglia per aspettarmi, ok?” la avvertì, premuroso.
“Certo che no!” concordò con ironia la fidanzata “Farete l’alba, ve lo dico io! Prima una birra, poi un biliardo, poi lo champagne per brindare al progetto che state realizzando, poi un’altra birra perché domani partiamo, poi Dougie con le sue barzellette sceme di cui riderete come matti, poi forse uno di voi vomiterà… e prima di tornare a casa, kebab delle cinque del mattino, perché altrimenti non sapreste come far assorbire tutto l’alcool ingerito! Sentito che bel programma?”
Danny sospirò, ma senza arrabbiarsi; piuttosto sorrise e prima di salutarla con un bacio a stampo le disse: “Ti stupirò! Come ho sempre fatto!”
“Divertiti! Scemo!” lo canzonò lei, ridendogli in faccia.
Si sentì chiamare dalla porta di casa dopo neanche cinque secondi.
“Claire?”
“Mmmhhh?”
“E dài, affacciati!”
Obbedì, facendo capolino dal salotto.
“Ti amo…” le disse dolcemente.
“Ooohhh!” esclamò di rimando la ragazza con aria smielata “Fai proprio bene, mio caro!”.
Per impedirgli di vendicarsi di quella sua uscita così inaspettata, gli andò incontro per prima, unendo le mani nascoste nelle maniche della felpa dietro al suo collo per poi mettersi in punta di piedi e baciarlo.
“Ti amo anch’io… E adesso vattene!”. Lo salutò così, con un sorriso sincero, innamorato. E infine tornò alla sua televisione, ripromettendosi di andare a letto nel giro di un’ora al massimo.





Le tre del mattino.
Aprì gli occhi a causa di una pipì impellente: colpa del vino e della birretta fresca trovata in frigo poco prima, mentre non riusciva ancora a prendere sonno.
Non era ancora tornato.
Sbuffò, mostrando allo specchio del bagno un broncio assonnato e contrariato, ma tutto sommato molto tollerante, perché era abituata alle uscite di Danny che sfociavano in albe e, in un paio d’occasioni, in tarde mattinate.
Si ributtò nel letto subito dopo aver svuotato la vescica e si riaddormentò in pochi minuti.
La sveglia sarebbe suonata alle otto e mezza.





Le sei. La timida luce del sole la svegliò molto prima del previsto, infiltrandosi attraverso la finestra.
Alla vista della parte sinistra del letto ancora intatta, sbatté il palmo sul materasso in un gesto di stizza.
“Ma allora è cretino…” gracchiò con la voce impastata dal sonno.
Il telefono di casa squillò e per poco non le perforò un timpano, vicino com’era al letto.
Si rizzò subito a sedere e nell’afferrare la cornetta pensò preoccupata che fosse successo qualcosa…
“Pronto?”
“Claire? Dormivi?”

Tom.

“Mi sono svegliata adesso… Tom, che è successo?”
“Non è niente di grave, devi stare calma…”
Automaticamente, Clarissa si agitò.
“Tom, dove sei? Dove siete tutti?”
Lo sentì schiarirsi la voce nervosamente…
“Al pronto soccorso…” ammise.
“Cos’è successo?” domandò immediatamente la ragazza, lapidaria, alzandosi in piedi.
“Dan e Harry. Si sono… Claire, c’è stato un po’ di casino, sono venuti alle mani, ma erano ubr-“
“DIMMI SUBITO DOVE SIETE, STO ARRIVANDO!” le gridò nell’orecchio l’amica.
Tom l’accontentò subito e gli venne riattaccata la cornetta in faccia.

“E’ incazzata nera…” commentò abbattuto di fronte allo sguardo interrogativo di Dougie, che sedeva accanto a lui nella sala d’aspetto.
“Oh, santa merda…” sospirò il bassista, le mani tra i capelli “E adesso?”
“… E adesso… e adesso mi piacerebbe tanto sapere dov’è finita quell’altra stronza…”
“Forse è meglio che non sia qui, non credi?”
“Già… ma vorrei lo stesso vederla, giusto per sapere cosa cazzo le è preso!”
“Io non vorrei essere nei panni di Jones…”
“Cristo santo…”






La videro percorrere a enormi falcate il corridoio: aveva indossato una tuta in fretta e furia, s’intravedevano le chiavi dell’automobile spuntare dalla sua mano destra chiusa a pugno.
Lei odiava guidare, lo faceva solo se strettamente necessario.
I capelli raccolti in una coda alta e disordinata lasciarono in vista i suoi occhi, più grandi del solito e carichi di sonno, ma anche di un qualcosa di esplosivo che Dougie e Tom cercarono di trattare con i guanti.
“Stanno bene, adesso stanno bene” esordì il suo coetaneo, mettendogli le mani sulle spalle; lei si scostò, seccata, e domandò con un filo di voce: “Dove sono adesso?”
“Sono nella stanza a fianco, c’è il dottore che li sta visitando, ci ha detto di aspettare, tornerà presto…” provò tranquillizzarla il chitarrista, ma invano: Clarissa scoppiò in un pianto improvviso e isterico.
“Cosa cazzo devo aspettare!!!” abbaiò tra le lacrime mentre cominciava a camminare freneticamente in cerchio, così che i due ragazzi non riuscivano ad avvicinarla.
“Clarissa, erano coscienti quando li abbiamo portati qui, non è niente di serio!” esclamò Dougie, che a fatica le stava dietro.
“E’ stata una stronzata da niente, avevano bevuto troppo e poi le cose sono degenerate…” aggiunse Tom, cercando di afferrarle le mani, incollate al viso.
In risposta ebbero solo dei singhiozzi, ma se non altro la loro amica si fermò in mezzo alla stanza, stanca di camminare; Tom ne approfittò per abbracciarla forte e le disse a bassa voce: “Dan sta bene. Tra poco ti ci lasceranno parlare, vedrai…”
“Vuoi che ti spieghiamo… com’è andata?” le propose con cautela Dougie, allungando una mano per accarezzarle un braccio.
La ragazza annuì debolmente per poi abbassare le mani e rivelare il volto sconvolto.

“Harry aveva portato anche Cassie… Anche se nessuno di noi glielo aveva chiesto, neanche accennato…” iniziò il suo migliore amico.
Dougie, sedendosi accanto a lei con un bicchiere d’acqua da darle, continuò: “Ci siamo fatti una birra, poi abbiamo cambiato locale e abbiamo giocato a bowling… Verso le tre ci siamo spostati di nuovo e siamo finiti in un disco- pub, dove abbiamo continuato a bere per un po’…”
“Ci siamo messi a ballare, Dan era a pochi passi da me, ognuno di noi si stava facendo gli affari propri… E mentre Harry era fuori a fumare da solo…”
Clarissa trasalì davanti all’esitazione di Tom.
“Cos’è successo? Dan si è sentito male?” domandò con voce tremula.
Dougie scosse la testa e le disse direttamente: “Cassie ha iniziato a strusciarsi addosso a lui, Claire. E’ stata lei a prendere l’iniziativa. Jones stava soltanto ballando e non la notava nemmeno!”
La ragazza lo fissò inebetita, a bocca aperta; cercò una risposta diversa da parte di Tom, ma anche lui si ritrovò a confermare: “E’ vero. L’ho vista anch’io. Ci stava provando. E Danny ha provato a respingerla più volte, ma non ce la faceva, perché… perché era troppo ubriaco e credeva che lei stesse solo… scherzando… le rideva in faccia, faceva no con la testa, ma…”
“E Harry dove cazzo era nel frattempo?!” sibilò l’amica, furibonda.
“Judd è arrivato quasi subito! E appena ha visto cosa stava succedendo… non ha più capito un cazzo. Anche lui aveva bevuto un po’ troppo, quindi invece di limitarsi a mandare a fanculo Cassie, ha attaccato briga con Dan…”
“Non è durata molto la cosa, comunque: siamo riusciti a bloccarli…” intervenne il bassista.
La loro amica fece scorrere gli occhi su entrambi i loro visi, disorientata ed incredula.
“Si sono picchiati? E’ questo che volete dirmi? Hanno fatto a botte?”
Dopo aver cercato invano con lo sguardo di delegare a Dougie quella risposta, Tom annuì gravemente senza dire una parola.
Clarissa si alzò in piedi per poi voltarsi verso di loro, con le braccia che le penzolavano inerti lungo i fianchi.
“Danny e Harry hanno fatto a botte perché… perché quella zoccola ha tentato… Io non…” balbettò, sull’orlo di una crisi di nervi.
“Tieni presente che erano sbronzi, Clarissa” puntualizzò il bassista “Non stavano certo ragionando…”
“E poi non è stato difficile fermarli” aggiunse Tom “E’ solo che prima che ci fossimo accorti di qualsiasi cosa, se le stavano già dando di santa ragione sul pavimento e… Harry ha fatto battere la testa a Dan, che a sua volta gli ha aperto un labbro con un pugno…”
L’amica li ascoltava in silenzio, quasi insensibile nel suo doloroso stupore, nella sua stanchezza fisica e mentale, nel suo stress schiacciante che le era piombato addosso tutto d’un colpo.
“Comunque adesso hanno fatto qualche lastra a entrambi, stiamo aspettando i risultati…” concluse Dougie.
“Il dottore ci ha detto che sono svegli, la sbronza è passata del tutto…” la informò Tom.
Lei annuì lentamente, senza essere sicura di aver capito tutto. Ma aveva compreso abbastanza per sentirsi in diritto di essere nello stato in cui si trovava.
“Ok…” sospirò, esausta “Aspettiamo il dottore…”


Un’ora più tardi, verso le sette e trenta, il medico curante li chiamò a sé.
Clarissa ascoltò nei minimi dettagli le diagnosi: il labbro inferiore spaccato per Harry e un lieve trauma cranico per Danny, che doveva rimanere in osservazione per le successive 24 ore.
Le caddero le braccia davanti a quel responso, ma l’irremovibilità del dottore la trattenne dal porre domande scomode o richieste eccezionali.
Fu Tom il primo a preoccuparsi della sua situazione.
“Claire… Ma non dovevate partire oggi…?”
La sua amica annuì lentamente guardando il vuoto davanti a sé. Il chitarrista desiderò sotterrarsi.
Dougie provò ad intervenire: “Forse, se ne parlate, potrai andare tu da sola…”
“Sarà meglio che gli resti vicino…” mormorò la ragazza in tono piatto “Cercherò di ottenere il rimborso dei biglietti quanto prima…”
Nessuno dei due le suggerì più niente.
Pochi minuti più tardi poterono entrare nella stanza doppia in cui avevano sistemato i ragazzi.


Si stavano chiedendo scusa a vicenda, come due ragazzini stupidi.
Harry parlava a denti stretti per non muovere troppo la bocca e Danny non lo guardava mentre replicava, perché se muoveva la testa sentiva dolore.
“Mi dispiace per il casino, Judd… La prossima volta, però, non portare Cassie…”
“Giuro su quanto ho di più caro al mondo che appena la trovo mi sentirà, quella stronza…”
“Che cosa le è saltato in mente non lo so, te lo dico sinceramente!”
“Ma io ti credo! Non è stata colpa tua! Sono io che non ci ho visto più!”
“E io di certo non ti ho fermato, anzi… Siamo stati due coglioni…”
“Sì, due coglioni fatti e finiti… Non vedo l’ora di essere fuori di qui…”
“Harry, tu puoi andartene, se vuoi! Così magari scopri dov’è scappata Cassie” precisò Tom con un sorriso sarcastico.
“E io? Me ne sto qui come un coglione?” domandò il chitarrista.
Dougie gli rispose: “Hai battuto la testa, stupido, certo che devi restare qui…”
Clarissa fu riconoscente al suo amico per aver esplicitato le condizioni in termini pacati: lei non ci sarebbe riuscita. Né in quel preciso istante, né in quelli a venire.

Lo stava odiando. Gli avrebbe preso volentieri la testa tra le mani per poi scuoterla apposta per sentirlo urlare dal dolore, e magari anche per verificare se gli era rimasto ancora un briciolo di cervello.
Si era spaventata a morte per colpa sua, era convinta che avesse fatto un incidente.
E invece era lì, in quel letto, vestito di tutto punto, com’era uscito, con i capelli completamente spettinati, la camicia macchiata di vino, un monumento di lagne e lamenti per una botta in testa che avrebbe richiesto, seppur nel suo piccolo, un periodo di riabilitazione che andava anche oltre quelle semplici 24 ore al pronto soccorso.

“Amore…” la chiamò con voce stanca e uno sguardo da cane bastonato.
Gli si avvicinò, inespressiva.
Lui le prese una mano fredda, la baciò e le sussurrò: “Mi dispiace tanto…”

Per quanto potesse sembrarle sinceramente mortificato, non volle rabbonirsi.
Aveva rovinato tutto.
Niente più Irlanda, niente più festa di Barbara, niente più regalo di compleanno.
Aveva aspettato quel momento per più di un anno.

“Cercherò di farmi rimborsare i biglietti” disse laconica.
“Ma perché, tu non vai?” le domandò lui, stupito.
Scosse la testa.
Il ragazzo provò ad opporsi: “Claire, devi andare! È tua madre!”
“Tu hai più bisogno di me” lo bloccò la fidanzata, senza cambiare tono di voce.
“Ma come sarebbe a dire, è soltanto uno stupido bernoccolo…” scherzò lui, poco convinto.
“Anche volendo, non potrei partire e presentarmi là da sola” continuò la ragazza, per poi puntargli gli occhi addosso con freddezza “Con che faccia spiegherei cos’è successo? Dovrei pur dire la verità, no? Mi sembra il minimo, con Barbara. E come spiegherei che il mio ragazzo non è potuto venire perché si è ubriacato, ha picchiato un suo caro amico e si è quasi spaccato la testa?”

Aveva alzato la voce senza rendersene conto e tutti si erano voltati a guardarla.
Le occhiaie le rendevano gli occhi vitrei. Sotto di lei, appoggiato al cuscino, Danny era muto e spaventato.
“Claire…”. Harry tentò prudentemente di inserirsi, ma senza successo: lei lo ignorò completamente, come se non lo avesse neanche sentito.
“Tu non vai in Irlanda e neanche io ci vado. Resteremo qui. Così quella tua grossa testa di cazzo guarirà e tu ti sarai fatto le tue meritatissime ferie. Spero tu sia contento di questo…” concluse con aria sprezzante.
“Vieni via, Clarissa…” la richiamò con calma Tom.
Danny balbettò di rimando, sentendosi in tremendo imbarazzo: “Se… se per te è un problema così… così grave, ecco, potresti… sì, puoi anche partire senza di me e, insomma, cosa vuoi che ti dic-“
“Jones!” lo rimproverò Dougie “Stà un po’ zitto…”
“Ragazzi, potreste ascoltarmi un attimo?” Harry cercò inutilmente di attirare l’attenzione per dire la sua.
“Sei uno stronzo!!!” sbottò Clarissa, divincolandosi con violenza dalla stretta gentile di Tom “Avevi detto che non saresti tornato tardi e mi hai fatto prendere un colpo!!! Hai mandato tutto a puttane, tutto a puttane, maledizione!!!”
“Basta! Basta, Claire!” gridò Dougie nel tentativo di placare la sua rabbia che fallì miseramente.
“Non te n’è fregato un cazzo di quello che ti ho chiesto!!!” continuò la ragazza, le lacrime che scendevano sulle guance, lacrime di rabbia “Hai bevuto come una spugna e ora guardati! Guardati!!! Bravo, complimenti! Sei stato davvero il miglior coglione dell’anno!!! Io non ho parole, sul serio, non ne ho più per insultarti!”
“Clarissa, finiscila!”. Anche Tom si ritrovò costretto ad alzare la voce.
“E vaffanculo pure tu!” gli sputò in faccia lei, prima di spintonarlo da parte per uscire, ancora più furiosa di prima.
Senza la minima esitazione, il chitarrista le corse dietro.
Doug rimase allibito a fissare Danny e Harry di fronte a sé. Il batterista abbassò lo sguardo con un sospiro sconfortato; l’altro iniziò a dire: “Io davvero n-non…”
“Chiudi il becco, Dan. È meglio…” lo ammutolì il bassista, scuro in volto.


“Claire!! Claire!!!”
“Lasciami in pace, Tom!!!”
“No, fermati subito! Subito, ho detto!”
“Vai a farti fottere!!!”
“Questa non l’ho sentita, ok?!”
Finalmente la raggiunse, anche se ormai Clarissa era arrivata alla sua macchina. Tom riprese fiato per qualche secondo dopo quella corsa che gli aveva fatto fare e poi disse: “Non devi guidare in queste condizioni. Ti accompagno io a casa…”
L’amica fece per opporsi, ma appena fece per aprir bocca si portò una mano alla fronte e si lasciò sfuggire l’ennesimo singhiozzo… Si mise nuovamente a piangere, ma sommessamente.
“Io… Io non lo so…” provò a spiegarsi “Io mi domando perché ha voluto…”
“Ssshhh” la zittì dolcemente il ragazzo, avvicinandosi “Ascoltami. Sei molto stanca, sei sotto stress e hai bisogno di dormire un po’. Fammi guidare. Che ne dici?”
Le prese con gentilezza le chiavi dalla mano e l’accompagnò a casa, rispettando il suo tormentato silenzio insieme al suo sguardo bagnato e assente che guardava fuori dal finestrino.

Una volta nell’appartamento le preparò una camomilla e gliela fece bere, anche se all’inizio lei mostrava qualche resistenza.
Finita la bevanda calda, le rimboccò le coperte in camera da letto e le chiese: “Vuoi che resti qui?”
L’ombra di un sorriso le attraversò il viso.
“No, stai tranquillo, vai pure… Non voglio che Gi stia in pensiero…”
“Se vuoi, posso dire a Doug di passare…”
“No, no, adesso voglio solo… dormire un po’, o almeno provarci…”
“D’accordo, ma non mi piace che tu stia qui da sola fino a domattina…”
“Chiamerò Frankie più tardi, ok? Le chiedo se vuole pranzare con me…”
“Perfetto. Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa, tengo il cellulare a portata di mano…”
“Grazie… Non preoccuparti, davvero… Adesso mi riprendo…”
Tom le sorrise, rincuorato, e la baciò sulla fronte prima di salutarla.
Rimasta da sola, Clarissa telefonò a Barbara.

“Come sarebbe a dire, non vieni?”
“Scusami, Barb, davvero… Io non posso proprio…”
“Ma avevi prenotato l’aereo e…”
“E’ che… mi vogliono con urgenza… in libreria…”
“Ma insomma, Claire, non potevi… non so, dire di no? Non è tua amica Anne?”
“Barbara, non ho potuto rifiutare, scusami, te lo sto dicendo!” esclamò a ragazza, spazientita.
Quel tono non convinse la sua mamma adottiva.
“Dimmi la verità, tesoro…”
“Barbara, io…”
“Davvero, Claire. Dimmi come stanno le cose. Cos’è successo? Sai che non mi arrabbio se me lo racconti…”
“E’ che… è successo tutto all’improvviso e…”
“Tu e Danny avete litigato? È lì con te adesso?”
“Scusa, è che… non voglio parlarne adesso… Posso richiamarti io? Devo calmarmi e al momento ti direi solo un sacco di stupidaggini senza senso…”
“Va bene, d’accordo…”
“Mi dispiace tantissimo, Barb… Io volevo venire sul serio…”
“Lo so, angelo mio, lo so. Dài, non prendertela così. richiamami quando sarai un po’ più tranquilla, ok? Ci penserò io a dirlo a Nora ed Elroy…”
“Grazie… Si arrabbieranno di sicuro…”
“Non se gli spiego che la tua voce al telefono mi è sembrata molto triste…”
Clarissa tirò su col naso e sbuffò in una piccola risata.
“Te ne accorgi sempre, vero?”
“Certo, tesoro… Adesso cerca di tirarti un po’ su, va bene? Ci risentiamo quando vorrai, cerca di non farmi aspettare troppo, ti dispiace?”
“Ti richiamo appena possibile, promesso… Grazie e scusa ancora…”
“Stai serena, tesoro mio, ciao…”


Qualche lacrima solcò ancora il suo viso per un tempo indefinito di cui lei non tenne conto.
Poi si addormentò
Sognò.
Era su un aereo per Dublino, tra le mani aveva il regalo di Barbara e la soddisfazione si leggeva chiaramente nei suoi occhi.
Nel sedile accanto al suo, posto- finestrino, c’era Daniel.
Le sorrideva, invitante.
“Ci andremo io e te, no?”


***

Il titolo del capitolo è tratto da "Silence is a scary sound", no lucro!!!

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Capitolo 11
*** I don't know what to do, what to say ***


claire Eeeeee salve a tutti, di nuovo, o meglio, salve a chi si ricorda ancora di me :).

Come posso descrivere questo nuovo capitolo?

Difficile?
Penoso?
Malaugurante?

In ogni caso, un capitolo che non apprezzo granché, come avrete capito! Fatemi sapere se la pensate allo stesso modo!

Ba mush!

Ciry


***


Mangiò con appetito nonostante avesse l’umore sotto i piedi: non aveva toccato cibo per tutto il giorno, era rimasta immobile a letto, tra il sonno e la veglia, meditabonda, triste; aveva pianto svariate volte e per non continuare a farlo all’infinito aveva provato a chiudere gli occhi nel tentativo di addormentarsi profondamente, ma senza successo, perché aveva recuperato tutte le energie fisiche nel giro di mezza giornata.

Poco prima delle sei aveva chiamato Frankie, come promesso a Tom, e lei era accorsa subito a casa sua, armata di solidarietà e cena take-away direttamente da McDonald’s: Dougie le aveva detto tutto, non doveva spiegarle niente.

Sorrise con fare materno nel vederla masticare.
“Ti senti meglio adesso?” chiese con gentilezza mentre finiva le sue patatine. Clarissa ricambiò il suo sguardo dolce ed annuì lentamente con la bocca piena.
“Perché non mi hai chiamata subito, Claire? Guarda in che stato sei, avrei potuto fare qualcosa in più se…”
Si interruppe davanti all’amica che scuoteva il capo con aria rassegnata.
“Volevo stare da sola, Fran… Volevo un po’ di tempo per riprendermi…” replicò con voce spenta.
L’altra la fissò, sentendosi impotente, e seppe solo ribadire: “Dan è stato un perfetto cretino… Parte di tutto questo casino è anche colpa sua… Ma non riesco a credere che Cassie abbia fatto una cosa del genere… Ubriaca o meno, una dovrebbe cercare di mantenere la dignità invece di fare la cretina con il primo che capita!”
“Già… ma è andata in un altro modo…” sospirò la bionda abbassando lo sguardo sui resti della cena.
“Si è trattato di una grossa cazzata…”
“Lo so…”
“… Non vuoi parlarne, vero?”
Frankie si sentì in colpa per aver insistito troppo, ma Clarissa tornò con gli occhi su di lei per tranquillizzarla e disse stancamente: “No, è solo che… adesso… adesso non so davvero cosa fare…”
“Cosa intendi…?”

La scrutò apprensiva mentre si alzava in piedi e rassettava la tavola: era sfuggente, si sottraeva ai suoi sguardi.
“Claire?” la chiamò timidamente, cercando di attirare la sua attenzione, anche solo di farsi guardare per vedere cosa avrebbero rivelato quegli occhi grandi e segnati dal pianto.
Clarissa gettò le scatole unte degli hamburger nella pattumiera e le rispose quasi in automatico, pur dandole le spalle.
“E’ da qualche tempo che… non va più così bene tra noi…”
Frankie spalancò gli occhi e non proferì parola. La lasciò continuare.
“Io… non so, forse non sono fatta per lui... per i suoi tempi, il suo lavoro… o forse lui non è fatto per me… per quello che chiedo io…”
“E tu che cosa chiedi?” domandò cautamente la moretta.
La sua amica si voltò.
Aveva le lacrime agli occhi.
“Chiedo un ragazzo che stia con me… e che non mi crei problemi quando non è con me…”
Si lasciò abbracciare dalla sua crocerossina del giorno che, per quanto ignorasse la sua reale condizione, voleva farla sorridere, voleva farle pensare positivo, voleva trasmetterle tutto il suo calore di amica.
“Claire, non fare così…” la pregò, anche lei sull’orlo del pianto “Dovresti parlarci… So che ora come ora avresti solo voglia di prenderlo a pugni e di non vederlo mai più, però è l’unico modo per sapere se vale la pena…continuare…”
Con il mento appoggiato sulla sua spalla, l’altra lasciò scendere alcuni fini rivoli salati e replicò debolmente: “Devo parlargli di una cosa così grave quando appena ieri sera si è quasi fracassato il cranio… Quello stupido…”
“Il momento giusto verrà fuori da sé, ok?” la rassicurò la vocalist, accarezzandole affettuosamente la schiena “Stagli vicino, prenditi il tuo tempo e aspetta che anche lui sia pronto…”
“E se… se alla fine…?”
La voce le tremò e Frankie si staccò dall’abbraccio per guardarla dritto negli occhi, seria.
“Non fasciarti la testa prima di rompertela” affermò con fermezza “Se parti con questo spirito, vuol dire che hai già preso una decisione.”
“No! Dio, no!” balbettò Clarissa di rimando spalancando gli occhi, quasi scandalizzata.
“E allora non buttarti subito nello sconforto! Ok?”
La ragazza annuì, le mani unite che le coprivano la faccia stanca dagli occhi in giù.
“E’ una cosa importante e va fatta in due. Tu sei intelligente e anche Danny lo è, nonostante… possa non sembrarlo…” ironizzò l’altra con un sorriso che la contagiò per qualche istante.




Ripeterono gli stessi discorsi con parole diverse per tutta la sera, o meglio, Clarissa se ne restò seduta sul divano ad ascoltare i consigli di Frankie e pregò con tutta se stessa di riuscire a seguirli e di non farsi vincere dalle sue stesse paure, dalla rabbia o dall’istintiva, stupida voglia di vendicarsi del suo fidanzato, il guastafeste che ora stava pagando le conseguenze della sua notte brava in modo più che soddisfacente.

Quando lo dirai a Barb, stai pur certa che ne resterà delusa.

Lui voleva solo divertirsi come al solito e poi tornare a casa, nient’altro…

Potevi dargli retta e partire da sola. A quest’ora saresti arrivata e avresti fatto tutti contenti. Ma tu ti saresti sentita una merda per tutto il week end.

Cosa starà facendo adesso? Penserà che sono una stronza pazzoide che se ne frega di lui…

È stata lei a rovinare tutto. Quella puttana.

Non ho voglia di vederlo adesso, finirei solo per insultarlo…

Giuro che quando torna a casa lo tengo a letto per una settimana intera, così starà lontano dai guai…

Non ne poteva più di quei pensieri vorticanti in mille direzioni nella sua testa, ma allo stesso tempo non riusciva farne a meno: interloquire con se stessa non era produttivo come esternare le proprie sensazioni con un amico, ma era esattamente quello il punto: Clarissa dava ragione a Clarissa, sia che dicesse X o Y.
L’amico di turno l’avrebbe contraddetta, le avrebbe proposto delle alternative, l’avrebbe sicuramente anche incoraggiata, ma mai quanto lei riusciva a farlo con se stessa.

Quando Frankie se ne andò erano quasi le due di notte. Avrebbero continuato a parlare ancora per ore, ma il cellulare della mora aveva squillato.
Dougie aveva chiamato la sua ragazza, chiedendole se per caso fosse riuscita a convincere Clarissa a uscire.
“Vi state dando alla pazza gioia, è per questo che non sei ancora a casa?!” aveva azzardato con una risatina, ma lei gli aveva risposto negativamente per poi riassumergli brevemente la loro serata tra donne; il bassista si era segretamente tranquillizzato all’idea che la sua preziosissima fidanzata fosse rimasta tra quattro mura e che non fosse uscita con l’amica, senza la sua custodia, senza neanche quella di Jones, così aveva dato la buonanotte a entrambe.
“Il tuo amico Poynter è maniacalmente geloso e non riesce a nasconderlo neanche per telefono…” era stato il commento della cantante.




Una volta da sola in casa, Clarissa rifletté sul da farsi e concluse che aveva un sonno tremendo, voleva assolutamente riposare e farsi trovare sveglia al ritorno di Danny, che sarebbe rientrato in mattinata.
Prima di coricarsi afferrò la cornetta del telefono e compose il numero di casa di Barbara in un impeto d’incoscienza.
Sapeva che avrebbe risposto con la voce piena di sonno, sapeva che l’avrebbe spaventata a morte.
Ma le doveva quella telefonata. Inoltre, voleva essere sgombra da altri pensieri per il ritorno del suo ragazzo.


“… Adesso mi spiego un paio di cose, sì… “
“E’ andata così…”
“E tu sei ancora un po’ sconvolta, ti sento dalla voce…”
“Non sono sconvolta, sono incazzata, Barb!”
“Ssshhh, non dire certe cose, sai benissimo di essere preoccupata per lui adesso, di certo non lo vorresti con la testa rotta!”
“No, ma… Ma santo Dio, era tutto pronto! Non ci vediamo da un anno e…”
“Non credere che non ci abbia pensato anch’io!”
“E allora vedi che anche tu vorresti tanto che non avesse fatto una stronzata simile?”
“Sì. Ma se avessi avuto la sua età, ok, forse non mi sarei procurata un trauma cranico, ma una sbronza sì! Perché sarei stata una normalissima ragazza un po’ brilla e più che tranquilla all’idea di partire con calma il giorno dopo! È stato anche sfortunato, Clarissa, le circostanze sono state praticamente ingestibili!”
“Come se lui fosse la povera vittima!”
“E’ stato anche una vittima!”
“Perché lo difendi?”
“E perché tu vuoi dargli contro a tutti i costi?”

Il tono esasperato di Clarissa divenne rassegnato di fronte ai toni diplomatici e irrimediabilmente giusti della sua matrigna.

“Ha fatto qualcosa di stupido, come spesso capita a chiunque…” riprese la donna con la sua voce bassa e calma.
Dall’altro capo del filo, la figlia sospirò: “… Ok. Ma ammetti che adesso è anche per colpa sua se non sono da te!”
“Certo, è innegabile. E dato che si trattava del mio compleanno, sarò io stessa a dargli una tirata di orecchie quando capiterà l’occasione. Nel frattempo, pensaci tu per me… ma non farlo sentire come l’elefante che è entrato in cristalleria e ha distrutto tutto…”
“Mi ci vorrà una buona dose di tolleranza per non strozzarlo…”
“E la troverai. È il tuo fidanzato e siete innamorati pazzi l’uno dell’altra…”

Arrossì sentendo quella frase: erano innamorati e si vedeva. La cosa la lusingava.
Ma era difficile godere a pieno di quell’affermazione in quel contesto spiacevole.

“Va bene…” concluse infine la ragazza “Gli parlerò. Sarò buona, sarò calma…”
“Brava. Mi dirai com’è andata quando avrete risolto, se vorrai. Va bene, tesoro?”
“Sì, d’accordo…”
“E basta con quel muso lungo… Ci scommetto il catering della mia festa che hai il broncio in questo momento…”
Beccata in pieno. Clarissa sorrise divertita.
“Ecco, adesso non ce l’hai più…” le sorrise Barbara sentendola ridacchiare.
“Prometto di venirti a trovare appena tutto sarà sistemato qui, ok? Voglio darti il regalo di persona.”
“Va bene, sai che io ti aspetto e che non ho nessuna fretta! Tu chiamami se hai bisogno di qualcosa, tesoro mio, va bene? Non tenerti tutto dentro…”
“No, tranquilla…”

Si salutarono serenamente e Clarissa si addormentò con facilità, rilassata sotto le lenzuola.
Non fece nessun sogno. Semplicemente dormì, e con lei anche il suo cervello.  




~~~




Erano ore che tirava fuori la stessa scusa. Harry non voleva crederci, era sbigottito.
“Non hai nient’altro da dire?”
Cassie fece spallucce con aria colpevole e borbottò confusamente: “Te l’ho detto, mi spiace…”
“Ma…”

Era sempre stato abituato a trattare le ragazze con il massimo riguardo.
Ma anche a parlare con franchezza.

“… Cazzo, pianti un casino dell’altro mondo, scappi via come una ladra, ti ritrovo a casa mia e tutto quello che sento è ‘Mi dispiace’!”
“Mi ero spaventata, Harry!” fu la giustificazione che lo fece innervosire ancora di più.
“Cassie! Ti ho lasciata da sola per cinque minuti! Sono andato a fumare! E ti ho ritrovata a fare la… la zoccola con un mio amico!” esclamò ad alta voce, scandendo bene le parole, così forse le avrebbe chiarificato meglio quanto fosse incazzato in quel momento.
Non riuscì a sentirsi in colpa per averla insultata, non mentre stava constatando con squallore quanto lei fosse passiva ed indifferente rispetto a tutto ciò che aveva causato.

“Anche io avevo bevuto…” gli spiegò in tono risentito “Ma almeno io non ho provocato danni, né a me stessa, né agli altri! Ho fatto una stupidaggine, va bene, c’è bisogno di crocefiggermi per questo? È morto qualcuno?”
“Scusa tanto, sai!” la schernì amaramente il batterista “Non è successo niente, è vero! Ci siamo solo picchiati come due perfetti idioti e a quest’ora, se fosse dipeso da te, sarei ancora lì in discoteca, sul pavimento! Scusa se mi sono permesso di farti notare che sei una stronza!”
Cassie lo fulminò con un’occhiata indignata e ribadì: “Ti ricordo che se sono scappata è stato solo per il casino che hai combinato tu! Avresti potuto semplicemente dire a me o a Danny di stare al proprio posto e invece hai voluto fare lo splendido! Me ne sono andata per quel motivo! E sono stata tutto il tempo qui ad aspettarti!”
“Ah, e così spunta fuori che dovevo tenerti a bada come i bambini dell’asilo?! E comunque grazie per aver tenuto il cellulare spento per tutto il tempo, amore mio, sei un angelo!”
“Avevo la batteria scarica!”
“Ma pensa che sfortuna!”

Considerò seriamente l’idea di sbatterla fuori casa, non era possibile che volesse avere ragione quando invece era nel torto più evidente! Dopo aver parlato il labbro li faceva male e il dolore non faceva altro che renderlo ancora più irascibile; una voce in un angolo della sua coscienza tentava di imporgli la calma, di non fargli alzare la voce in presenza di una ragazza colpevole solo di essere ostinatamente stupida, ma lui non voleva ascoltarla. Voleva solo smaltire la rabbia in qualche modo.
Prima si era incazzato con Danny.
Poi subito dopo con Cassie.
Infine, ci si era messo anche il labbro ferito a farlo stare ancora peggio.
Per non parlare della scenata di Clarissa, quella che avrebbe voluto fermare ma forse anche sostenere, perché poteva comprendere come si fosse sentita: sola, senza un sostegno, nei casini fino al collo.
Solo che a lui sarebbero bastati alcuni punti e degli antidolorifici per guarire. La sua amica invece avrebbe avuto bisogno di una buona dose di convincenti spiegazioni da parte del suo ragazzo. Chissà se lo avrebbe ascoltato o mandato a quel paese. Non si sarebbe stupito della seconda opzione, e di questa ipotesi si sentiva in parte responsabile, perché se, oltre a Dan, anche lui non avesse bevuto troppo… forse le cose sarebbero andate in un altro modo.  

“Ascolta, Cas…” sospirò, esasperato “Io ho bisogno di… starti lontano per un po’. Non voglio incazzarmi più del dovuto. Lasciami solo, ok?”
La ragazza si strinse nelle spalle e chiese titubante: “Vuoi che… me ne vada?”
“Sì, brava. Voglio che tu te ne vada, adesso.”
“E… pensi che potremmo sentirci qualche volta?”
“Cassie, ho bisogno di pensare, senza pressioni, chiaro?”
“Ok, ok. allora… prenditi pure tutto il tempo che vuoi, d’accordo. Ciao, Harry…”
“Ciao…”
“Mi dispiace davvero tanto…”
“Me lo hai già detto. Ciao…”

Attese il suono della porta che si era chiusa alle sue spalle e sospirò per l’ennesima volta, stanco morto nel fisico e nella mente.
Non avrebbe voluto trattarla così, ma non aveva avuto altra scelta.
Se ne era lavata le mani, di lui, del suo gesto malizioso e stupido, delle conseguenze che avrebbe dovuto affrontare insieme a lui.
Scosse la testa, scoraggiato, e si ripromise di chiamare al più presto Clarissa per sentire se almeno lei stava meglio di lui, cosa di cui però dubitava.




~~~




“Sei sveglio? Per che ora arrivi?”

Forse sarebbe andata a prenderlo lei stessa se non le avessero detto che ci avrebbe pensato un’autoambulanza a riaccompagnare Danny a casa. Gli avrebbe tenuto il broncio per tutto il tragitto, ma almeno lui avrebbe apprezzato la cortesia. Forse.
La risposta al suo SMS arrivò quasi subito.

“Al massimo un’ora… Tu sei a casa?”
“Ti aspetto qui.”

Apatica e fredda come i suoi messaggi, si preparò dopo aver fatto colazione: una tuta in velluto scuro sostituì il pigiama, ed una severa coda di cavallo le imprigionò i capelli, esaltando i suoi grandi occhi che si stavano preparando a rimanere indifferente davanti a qualsiasi cosa.
Quando il campanello suonò, andò ad aprire e vide una volontaria, una ragazza più o meno della sua età dietro a Danny, seduto su una sedia a rotelle, più per prassi che per necessità.
“Buongiorno” la salutò con un caldo sorriso “Sono venuta a riportarle il convalescente…”
Clarissa ricambiò la sua allegria con un’occhiata di tiepida simpatia e le disse: “Mille grazie del passaggio…”
“Ma le pare… Per l’ambulanza non si preoccupi: ci abbiamo pensato noi, nessun disturbo!” la informò la giovane mentre Danny si alzava.
“Come, prego?”
“Abbiamo fatto una colletta tra colleghi e… insomma, l’abbiamo fatto volentieri!” confessò l’altra, lasciandola a bocca aperta.
“Hanno voluto pagarmi lo strappo fino a casa a tutti i costi, ho dovuto pregarli per metterci una sterlina di tasca mia!” intervenne il chitarrista con una risata.
“Ah!” si ritrovò ad esclamare la fidanzata, sbigottita “Allora… grazie due volte!”
“Si figuri! Buona giornata! E grazie degli autografi, Danny!”
“Grazie a voi, saluta gli altri!”
Clarissa assisté muta a quei saluti allegri e informali mentre guardava la volontaria tornare verso l’autoambulanza con la sedia a rotelle.

Danny appoggiò il portafogli, il cellulare e le scartoffie mediche sul mobile dell’ingresso per poi voltarsi verso di lei. Accennò un sorriso forzato, non ricambiato.
“Alcuni di loro mi hanno riconosciuto e… niente, abbiamo scambiato due chiacchiere durante il loro turno di notte, io… non riuscivo a dormire…” le spiegò tenendo gli occhi bassi.
Lo vedeva estremamente stanco, aveva gli occhi cerchiati e il suo colorito non era dei migliori; la sua camicia era tutta stropicciata e fuori dai jeans, macchiati di un cocktail sconosciuto sulle cosce; i capelli si erano afflosciati e ora gli ricadevano sulla fronte, scomposti e appiccicaticci a causa del gel.
Era uno straccio.

“Dovresti riposare adesso” gli consigliò in tono neutrale, le braccia incrociate sul petto.
Il chitarrista annuì, incerto, e puntò svogliatamente un dito verso le scale.
“Vado… a farmi una doccia…”
Lei annuì e fece per allontanarsi da lui e andare verso il salotto.
Lui fu più veloce: appena gli voltò le spalle, la raggiunse e l’abbracciò da dietro.
La sentì irrigidirsi all’istante ma tentò lo stesso di non lasciarla andare, di vincere la sua resistenza e la propria vergogna.
“Scusami. Mi dispiace, sul serio…” le sussurrò pianissimo con la bocca appoggiata al suo orecchio.
La ragazza trattené l’impulso di voltarsi e dargli un ceffone.
Attese qualche istante prima di reagire.
Percepì la sua stretta debole ma insistente sulla sua vita e gli sfiorò le mani, poggiandovi sopra le proprie.
Il suo alito puzzava ancora di alcool e i suoi capelli di fumo, di sudore…
Scorse un piccolo taglietto rosso sulla nocca del medio destro.
Forse se lo era procurato picchiandosi con Harry.
Deglutì con forza e non gli mostrò i suoi occhi lucidi mentre rispondeva con fare rassicurante: “Parliamone più tardi, quando ti sentirai meglio… Rilassati un po’ ora…”
“… Ok…”
La lasciò andare, non senza esitazioni, e sparì al piano superiore, così come lei si eclissò nel salotto, in preda ai suoi pensieri tutt’altro che piacevoli.

Non lo hai mai chiamato, né sei mai andata a trovarlo. Sì, erano solo 24 ore, ma fatti un paio di domande e capirai perché ha stretto amicizia coi volontari…

C’erano stati degli attimi in cui avrebbe voluto massacrarlo di botte con le sue stesse mani ed in quel momento un abnorme senso di colpa si stava mescolando al suo risentimento, dando forma ad un macigno grosso come una casa che gravava sulla sua testa, sul suo stomaco.

Per andare a trovare Barb ci saranno altre occasioni, anche se magari non sarà sempre il suo compleanno. Perché te la sei presa a morte con lui?

Perché l’istinto aveva prevalso sulla ragione.
Perché i suoi programmi erano stati mandati all’aria da una sbronza.
Perché un’odiosa semi-sconosciuta lo aveva provocato.
Perché il suo tempismo tipicamente maschile faceva schifo.

Lo squillo del telefono la distrasse bruscamente e la costrinse a rispondere per evitare un mal di testa già sbocciato poco prima.

“Pronto?”
“Claire… Sono Harry, ciao…”
“Ehi, buongiorno… Sei a casa?”
“Sì, sì, sono tornato ieri sera tardi… Danny, è a casa anche lui?”
“Sì, adesso sta facendo la doccia, è tornato pochi minuti fa… Vuoi che ti faccia richiamare?”
“Veramente volevo chiederti se hai due minuti, volevo parlare con te…”
Si sistemò alla meglio sul divano per ascoltarlo a dovere e lo esortò: “Ti ascolto, dimmi…”
“Volevo solo spiegarti la mia versione dei fatti, niente di più… Ti ho vista sconvolta al pronto soccorso e mi sono sentito un perfetto stronzo, perché è stata anche colpa mia se è successo tutto questo casino…”
Clarissa sorrise intenerita: “Non preoccuparti per me… Sto già meglio…”
“Ma è giusto che io ti spieghi, solo per farti capire chi ha fatto cosa… Tom e Doug hanno omesso alcuni particolari quando ti hanno riassunto la cosa, forse perché pensavano che a malapena avresti sopportato il fatto di sapere che Cassie ci aveva provato con Dan…”
“Che cosa mi sono persa…?”
“Hai notato che al pronto soccorso lei non c’era, no?”
“In effetti… l’ho notato, sì…”
“Ebbene, sappi che se l’era data a gambe durante la confusione generale. Ha preso ed è scappata mentre io e Dan… insomma, ha pensato bene di togliersi d’impaccio per non doversi assumere le sue responsabilità!”
“Cosa?!” esclamò la ragazza incredula.
“Una carognata bella e buona, sì” confermò il batterista con disinvoltura “Ha tolto le tende dal locale, ha spento il telefonino e mi ha aspettato a casa. Casa mia. Quando l’ho vista… ti risparmio le parole che sono volate!”
“Avete litigato?”
“Tu cosa avresti fatto al mio posto?”
“… Harry, ma che figlia di una…” Clarissa si tappò al bocca prima di completare la frase, furiosa.
“La penso come te. Ma vorrei anche essere stato meno drasitco… le ho detto di andarsene, di lasciarmi solo per un po’. Ho la testa che mi scoppia e ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere su questa cosa…”
“Che bastarda… Ti ha lasciato nella merda…”
“Sì, e proprio per questo voglio andarci con i piedi di piombo! Si è dimostrata inaffidabile, furba come una volpe! Mi ha detto che se n’era andata perché era troppo ubriaca e spaventata per restare lì, pensa te… E chi se lo aspettava… Ad averlo saputo prima, di certo non avrei perso tempo con lei…”
Dall’altra parte della cornetta, l’amica sospirò: “Adesso posso dirti che non mi è mai piaciuta? In qualche modo sospettavo che prima o poi avrebbe combinato qualche cazzata, anche se quel che ha fatto va oltre ogni aspettativa, cazzo! Ma… tu come stai?”
“Non lo so, ti dirò… Mi sento meglio fisicamente, ma… dentro sto una merda” ammise il ragazzo mestamente “Cassie ha un sacco di difetti, ma non è sempre così… e io avrei voluto essere meno duro ieri sera…”
“Harry, non avresti risolto niente nel non farle notare nulla o nel perdonarle subito ogni cosa!”
“Sì, è che… insomma, non è che non le voglio bene e che non mi pesa fare discorsi del genere con lei, accusarla di certe cose…”
“Se l’è meritato! D’ora in poi starà più attenta! Ma tu… la rivuoi con te?”
“E’ una bella domanda…” rispose il batterista, meditabondo “Ci devo pensare…”
“Non voglio influenzarti… ma stai attento. Molto attento,ok?” l’avvertì Clarissa.
Lo sentì sorridere: “Stai tranquilla, starò più che attento, voglio prendermela con calma e decidere cos’è meglio per me… Piuttosto, tu pensa a curare la testa di quell’altro poveraccio… e non odiarlo, se puoi…”
La ragazza chiuse gli occhi e ribatté rassegnata: “Certo che no… Chi è convalescente va assistito, non odiato…”
“E’ anche il tuo ragazzo, forse dovresti amarlo…”
“Bé, adesso lo amo un po’ meno, se posso permettermi…”
“E’ pentito, Claire, lo sai anche senza che te lo dica io. Ed è un bravo ragazzo, abbiamo solo fatto un’immensa stronzata e ci è andata proprio male. Fossi in te, proverei a dialogarci e a chiarire…”
“Sì, lo farò di sicuro, è che… non mi va giù questa cosa… Era tutto pronto e ora invece… si resta a casa. Ci sono rimasta male, tutto qui!”
“Posso fare qualcosa? Mi sento in parte responsabile!” si propose l’amico.
“Non preoccuparti, passerà anche questa…”
“Dico davvero, Clarissa, non fare complimenti, io… “ insisté l’altro.
“Harry, no, no, tranquillo!” lo interruppe la ragazza, comprensiva “Mi riterrò più che ripagata se la prossima volta che uscite tutti insieme resterete sobri… Davvero…”
“E va bene, sarà fatto… E’ dura prometterti certe cose, ma è giusto che sia così!” scherzò Harry, facendola ridere un po’.

Al momento dei saluti si scambiarono numerose raccomandazioni: Harry la pregò di fare la pace con Danny, Clarissa gli consigliò di prendere le dovute cautele con Cassie.
Quando ormai la conversazione era finita, notò che l’appartamento era silenzioso, non si sentiva più scorrere neanche l’acqua dal bagno: Danny doveva essere andato a dormire.
Si alzò dal sofà per andare a controllare le ricette mediche lasciate all’entrata e nel frattempo notò un SMS sul proprio cellulare…

“Salut, Clarissa! Sei già arrivata? Volevo chiederti di spedirmi una cartolina se ne hai voglia! Non vedo l’ora di vedere le foto di Dublino! Bacioni – Daniel”

Sorrise tristemente.
Povero Daniel: non avrebbe ricevuto né la cartolina, né le foto. E sì che gliele aveva promesse.
Non gli rispose per mancanza di voglia, optò per una chiamata che però avrebbe fatto più tardi, magari mentre era fuori casa, a comprare gli antidolorifici per Danny.

***

Il titolo di questo capitolo è stato estrapolato da "Not alone" dei Mc. No lucro!

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Capitolo 12
*** It cheers you up when you feed it, but everyone needs to eat ***


clarissa

Pensavate che non avrei più aggiornato, vero?
Sono contenta di dovervi contraddire, anzi, mi scuso con voi per avervi fatto aspettare così tanto: il mio pc è momentaneamente "all'ospedale", mi devo arrangiare con quello di mia sorella, 30 volte più lento, anche per quanto riguarda i programmi per l'impostazione dell'HTML!
Rimedio con un capitolone farcito di ansia e torture psicologiche e, facendo una piccola e veloce statistica... posso dirvi che al momento clou mancano circa 2 capitoli, o uno e mezzo, ancora devo decidere! Tenete duro, dài!!!!!!
Per adesso vi auguro buona lettura... Non mi abbandonate, vi prego :D!

Ciry

***

Dato che le sue ferie erano diventate praticamente forzate, ne approfittò per recuperare quel poco sonno che la levataccia mattutina le aveva tolto: si appisolò sul divano per un paio d’ore senza mai cadere in un sonno profondo, e al suo risveglio notò dall’immobilità aleggiante nell’appartamento che Danny era ancora a letto. Si decise ad andare a vedere come stava…

Scivolò silenziosamente attraverso la porta socchiusa e non riuscì a reprimere un lieve sorriso.
Dormiva composto, a pancia in su, con la schiena perfettamente aderente al materasso e la testa sostenuta da due cuscini, sembrava un anziano allettato ed in anticipo sui tempi.
Di solito, più aveva sono e più si addormentava in improbabili posizioni degni di un trapezista, tanto che più di una volta lei lo aveva rimbeccato perché si raggomitolava nelle lenzuola, lasciandola senza uno straccio di coperta, o per via di qualche gomitata involontaria nel cuore della notte, durante un acrobatico cambio di posizione.

“Danny…” lo chiamò piano con una mano appoggiata sul suo petto. Non vi fu risposta.
“Dan…?” ripeté, scuotendogli leggermente il torace. Non sentì nessuna replica.
Era assolutamente immobile, praticamente sordo e cieco ad ogni richiamo.
Sembrava quasi che…
“Danny… Danny…”. Cominciò a invocare il suo nome a voce più alta, a prenderlo a schiaffetti sul viso. Dopo pochi secondi lo vide svegliarsi, frastornato.
Balbettò qualcosa d’incomprensibile e Clarissa smise di schiaffeggiarlo, sentendosi immediatamente sollevata; il cuore recuperò i suoi battiti regolari.
“Che… che c’è?” bofonchiò il ragazzo, confuso.
“… Non mi sentivi!” esclamò lei, contenendo il suo spavento.
Il chitarrista sbuffò in un accenno di risata e replicò strusciandosi le mani sugli occhi: “Scusami, sono… mi sento rincoglionito…”
La sua ragazza ignorò i suoi sorrisi e continuò: “Io sto uscendo… Vado in farmacia a comprarti gli antidolorifici, ok? Non ci metterò molto…”
“Va bene…”
“Non alzarti se proprio non è necessario, ok?”
“Ma la testa non mi fa più così male…”
“Aspetta ancora un po’, Dan. Riposati e dopo pranzo ne riparliamo, d’accordo?”
“…Ok, hai ragione…”
“E togli un cuscino, o diventerai gobbo…” sospirò infine Clarissa, tirando via delicatamente uno dei due guanciali da sotto la sua testa. Danny non protestò e si riadagiò a letto mantenendo un silenzioso timore nei suoi confronti.
La osservò riporre il cuscino nell’armadio di fronte al loro letto, prendere un paio di jeans e una giacca e sparire nel bagno senza più degnarlo di uno sguardo.
Alzò gli occhi verso il soffitto e sospirò preoccupato.

Giuro che se ci va bene anche stavolta non farò più il coglione, lo giuro, lo giuro, ma ti prego, fa che non mi mandi a fare in culo, ti prego…

Si sentì in imbarazzo con se stesso a causa di quella specie di preghiera rivolta a chissà chi, probabilmente ad un Dio che non aveva mai preso troppo in considerazione nella sua vita.
Aveva bisogno di lei, voleva le sue cure, le sue premure, ma non così.
Era insofferente, quasi sembrava un robot.
Ed era colpa sua, sì, lo sapeva molto bene. L’aveva ferita, si era reso ridicolo ai suoi occhi.
Non era mai stata un tipo da scenate o da decisioni impulsive e drastiche: non l’aveva mai sentita urlargli addosso, né l’aveva mai minacciato di lasciarlo, di tornarsene a casa propria.
Ma era anche vero che quello che stavano affrontando era il loro primo vero periodo nero, il loro primo momento post- litigio.
Clarissa non parlava. Faceva quel che doveva fare, ma senza alcuna energia, senza sorrisi, senza passione. Niente. Se ne stava in silenzio e questo gli faceva paura, perché erano già passate diverse ore e ancora non era riuscito a farle tornare il sorriso, a ristabilire la pace, neanche a parlare con lei.
Avrebbe fatto qualunque cosa per rimediare, però sentiva che doveva essere lei a permetterglielo; in quel momento, qualsiasi cosa avesse fatto per sistemare la faccenda avrebbe solo peggiorato la loro situazione, sarebbe risultata inopportuna.
Detestava avere le mani legate, ma non era nella posizione di poter scegliere. Si limitò a fissare il soffitto con rassegnazione ed il mal di testa tornò a farsi sentire…

“Io vado…” gli annunciò Clarissa pochi minuti più tardi, pronta per uscire “Hai bisogno di qualcos’altro?”
Danny fece per scuotere il capo, ma poi azzardò una richiesta avventata… : “Sigarette?”
“Credo che tu possa farne a meno per una settimana… Ma se insisti…” rispose lei con fare laconico, incrociando le braccia sul petto.
Il ragazzo si schiarì la voce per poi opporsi con aria pentita: “No, è vero. Non comprarle, no, posso anche stare senza per qualche giorno…”
“Ok, allora… vado…”
“… Ok…”
Scomparse dalla sua vista dopo quel saluto scialbo, se quello poteva considerarsi un saluto.
Si passò una mano sulla fronte e gonfiò il petto per prepararsi ad un grande, deluso sospiro…
“Ho dimenticato…”
Se la ritrovò di nuovo davanti, le mani impegnate a cercare qualcosa nella borsa.
“… Gli spicci. Sono rimasta senza” lo informò vedendolo sbalordito.
Aprì il cassetto del suo comodino e ne tirò fuori una piccola scatola contenente un sacco di monete, sempre utili nei casi di emergenza; ne prese una manciata, li mise nel portafogli e restò accucciata accanto al letto, rivolgendo lo sguardo verso di lui. Uno sguardo dubbioso.
Il chitarrista quasi si sentì in dovere di parlare.
“Sei… sei ancora molto arrabbiata?” domandò timidamente.
La ragazza si alzò e lo squadrò mentre faceva il giro del letto per raggiungerlo.
“Un po’…” gli rispose una volta seduta sul bordo, accanto a lui.
Lui mise la mano sulla sua e propose esitante: “… Vuoi che ne parliamo?”
Clarissa scosse impercettibilmente la testa e rispose: “Adesso no. Ho da fare e ancora non sono del tutto lucida. Ma grazie per esserti preoccupato…”
Gli sfiorò una guancia con tenerezza e gli diede un piccolo bacio in fronte per poi salutarlo.
Danny le sorrise, sinceramente rincuorato, e ricambiò con un gesto della mano.
Ci aveva tanto sperato e alla fine era accaduto: uno spiraglio si era aperto nella corazza della sua fidanzata.
Avrebbe dovuto fare molta attenzione da quel momento in poi, ma si sentiva piuttosto coraggioso.
Riconquistare la sua fiducia. Faceva paura il solo pensiero.
Ma quel bacio innocente era il suo portafortuna e non lo avrebbe sprecato.
Chiuse gli occhi per dormire ancora un po’ e tentò di girarsi lentamente su un fianco, muovendo piano la testa; miracolosamente non ci nessuna dolorosa conseguenza e poté assopirsi in santa pace.

 

 

~~~

 

 

Dopo aver ringraziato il farmacista, Clarissa uscì dal centro commerciale con il sacchetto degli antidolorifici in una mano e quello della spesa nell’altra; sistemò tutto nella sua piccola utilitaria e si mise a cercare le chiavi dell’auto nella borsa, ma al loro posto estrasse il cellulare che stava squillando; credendo che Danny la stesse chiamando, rispose velocemente senza neanche guardare lo schermo.

“Pronto?”
Bonjour, Clarissa!”
Dopo un istante di perplessità e stupore, si stampò una mano in fronte, tornando con la mente alla famosa chiamata che avrebbe dovuto fare a Daniel per spiegargli che non era a Dublino in quel momento.
“Daniel, ciao!...” lo salutò nervosamente.
“Ciao! Sento un po’ di confusione, sei occupata? Sei già immersa nel verde irlandese?”
La ragazza rivolse gli occhi al di là del finestrino, verso il traffico tranquillo della strada, e replicò con tranquilla disinvoltura, sorprendendosi di se stessa: “Sai, non sono più partita!”
Silenzio dall’altra parte. Poi il ragazzo esclamò esterrefatto: “Come, scusa?!”
“Esatto… Sono sempre qui…” precisò l’altra, tentando di mantenere un tono sereno.
“Ma… avevi i biglietti!!! Cos’è successo?!” insistette il francese, preoccupandosi.
“Sai, Danny… Danny si è fatto male poco prima della partenza e adesso deve stare a casa…” spiegò Clarissa con imbarazzo; fortunatamente attraverso il telefono il suo collega non poteva vederla arrossire.
Daniel ribadì con un’ombra di stizza nella voce: “Ma è incredibile… Senti, mi sembra da stupidi stare a parlare al telefono così quando siamo entrambi a Watford! Possiamo vederci e parlarne? Se ti va…”
La ragazza esitò prima di rispondere e controllò l’ora esatta sul suo orologio. Appena le nove e quaranta. Era presto.
Danny l’avrebbe aspettata per pranzo, di sicuro non si sarebbe azzardato a fare troppe domande su come mai non era tornata subito a casa dopo aver fatto la spesa.
Lei non aveva granché da fare, se non rientrare entro un orario decente, così da avere più tempo per preparare il pranzo.
“Clarissa? Ci sei ancora?” la richiamò il ragazzo.
Lei si riscosse e balbettò in risposta: “Sì, sì, scusami, stavo pensando a cosa avevo da fare, ma… sono libera, ok, possiamo vederci! Dove sei adesso?”
“Al momento in biblioteca, esco tra cinque minuti… ci vediamo al bistrot? È a due passi da lì…”
“Al bistrot? Non hai fatto colazione?”
“Indovinato… Tu sì?”
“A dir la verità… un po’ di fame ce l’ho…”
“Allora ti invito ufficialmente al bistrot per universitari di Watford! Che appuntamento galante, très charmant!” scherzò Daniel con una risatina, che la sua amica ricambiò aggiungendo: “Va bene, ma solo se offri tu, da bravo gentiluomo!”
“Certo, per chi mi hai preso?! Devo però dire che tremo all’idea, perché tu, a dispetto del tuo fisico, mangi per tre!” la schernì lui, sempre ridendo.
Clarissa esclamò fingendosi offesa: “Voi francesi siete veramente degli indelicati! Fammi mettere in moto, ti raggiungo prima che tu abbia il coraggio di darmi anche della ritardataria!”
“D’accordo, allora a tra poco! Permalosa!”
“Ciao, scemo!”
Ridacchiò distrattamente mentre riponeva il telefono nella borsa e si allacciava la cintura.

E’ ancora meglio che parlare con Anne, perché… lui è davvero troppo… carino e divertente. Sì, carino e divertente.

Era contenta al pensiero di potersi distrarre un po’ e si ripromise di godersi quell’oretta che doveva venire, anche solo per non soccombere del tutto sotto il peso della tensione che aleggiava in casa.

 

 

~~~

 

 

Si sistemò i capelli lisci in un ordinato chignon, fissando arcigna lo schermo del suo computer sistemato sul suo tavolo da lavoro, come lei adorava definirlo.
Il capo le stava facendo pressione attraverso un’altra e-mail e lei odiava la pressione, odiava sentirla premere sul suo cranio e farle scoppiare la testa.
Nonostante ciò non voleva assolutamente mollare.
Aveva raccolto del materiale, era a buon punto. Per il suo principale avrebbe potuto semplicemente chiuderla lì e consegnargli l’articolo, uno dei tanti, ignorato in mezzo ai tanti trafiletti di gossip, voci di corridoio, indiscrezioni scritte in termini maliziosi e civettuoli.

No.

Harry le aveva davvero aperto un mondo, quindi perché non prenderselo? Perché non approfittarne?
Aveva ascoltato i pareri di tanti, arrivando spesso a pagare o a registrare le conversazioni di nascosto con il suo lettore MP3: Danny e Clarissa, Clarissa e Danny, loro due non erano la coppia perfetta che tutti immaginavano.
C’era chi malignava su di lei, così angelica a vedersi quanto arpia e bacchettona estenuante nel privato.
Altri semplicemente non la vedevano fatta per lui, il chitarrista dei McFly, il latin lover, l’eterno bello e impossibile.
All’inizio si trattava solo di spulciare tra i pettegolezzi, unirli in un minestrone unico e farli pubblicare, giusto per fare un po’ di soldi sulla curiosità stupida dei lettori.
Poi la faccenda era diventata personale.

Danny era bello da star male, era l’uomo dei suoi sogni.
Erotici.
La perfetta giovane rock star, un ragazzo simpatico, alla mano, disinvolto con la sua sigaretta tra le dita e da spogliare con gli occhi.
Più Cassie lo guardava, più si chiedeva cosa diamine ci facesse con una come Clarissa, la più anonima ragazza del mondo.
Scialba, priva di personalità, insopportabile nella sua perfetta innocenza.

Come diavolo era possibile?
Ma aveva dei difetti, sì, decisamente.
Prima di tutto, era poco attenta al suo uomo, decisamente distratta: l’aveva seguita a debita distanza negli ultimi tempi, sapeva che orari aveva al lavoro, che tipo di persone frequentava… e più volte l’aveva vista passeggiare e chiacchierare amichevolmente con quel ragazzetto che lavorava con lei in libreria.
Fare un tratto di strada verso casa doveva sembrare molto romantico. Per Cassie certi episodi erano come una manna dal cielo.
Lei ci aveva provato in tutti i modi ad accorciare i tempi, a rendere le cose più facili e a fare colpo su Danny, ma a quanto pareva lui era un irrecuperabile caso di uomo fedele, oppure era lei stessa a non essere stata ancora sufficientemente chiara con lui. Avrebbe presto risolto quell’inconveniente.
Ma una mossa sbagliata da parte della fidanzata santarellina doveva pur avvenire per sferrare il colpo decisivo. Ed il suo intuito le diceva di aspettare e di avere fiducia, perché quel commesso dal’accento straniero sembrava molto interessato alla biondina, quasi deciso ad intrigarla.
Senza che lui lo sapesse, era diventato un suo complice, avrebbe quasi voluto dargli un compenso, fargli trovare una banconota da cinquanta nella buca delle lettere senza alcun preavviso o motivo.
Ma prima i risultati. Erano quelli che Cassie voleva vedere.
Dopodiché avrebbe avuto il suo scoop, il suo primo vero scoop.
Il capo le avrebbe offerto un aumento, forse una promozione!
E lei avrebbe portato a casa sia i soldi che Danny. Ne era più che certa.
Avrebbe fatto boom. Ma non nella sua testa.
Nel giornale per il quale scriveva.
Nella vita di Danny.
Nella vita di quella povera sciacquetta.
Che comunque era molto fotogenica.

 

 

~~~

 

 

Per reprimere il desiderio di fumare, Danny si era messo a svuotare il frigo con costante lentezza: dopo un budino al cioccolato era il turno di una grossa fetta di formaggio fresco; se la stava gustando in cucina, in piedi davanti ai fornelli mentre con una mano indagatrice si stava tastando il collo e la nuca per percepire l’eventuale presenza di bernoccoli.
Il campanello suonò all’improvviso e lo fece sobbalzare sul posto per lo spavento preso in mezzo al silenzio della casa.
Andò ad aprire la porta in fretta, credendo che Clarissa avesse dimenticato il proprio mazzo di chiavi.
Il sottile sorriso che aveva iniziato a tendere si ritirò quasi all’istante alla vista di Cassie.
La salutò con un borbottio ed un cenno del capo… “Cassie…” , facendole capire che non era affatto contento di vederla.
“So che sei arrabbiatissimo con me…” esordì lei, l’aria pentita di chi sapeva di aver sbagliato “Ho appena finito di litigare con Harry, ho cercato di spiegarmi, ma… è evidente che lui non vuole sentire ragioni… Così sono venuta da te speran-“
“Se vuoi, posso tranquillamente dirti che hai fatto la cosa giusta e poi tornarmene in casa, così chiudo la questione in modo facile e veloce, come hai fatto tu” la interruppe bruscamente il chitarrista.
Cassie si morse il labbro inferiore con aria sempre più colpevole.
Si aspettava una reazione simile dopo la scenata di Harry, ma era decisa a rimediare. A modo suo.
“Danny, ti prego, ascoltami almeno tu, è da quando è successo che sto da cani, non riesco neanche a guardarmi allo specchio e… mi sento una perfetta stronza, so che non avrei dovuto-“
“No che non avresti dovuto, cazzo!” la aggredì Danny, innervosito “Se non si regge l’alcol, allora non si beve!”
Finì la frase e subito si rese conto di quanto suonasse ridicola in bocca a lui, proprio a lui; ebbe voglia di mordersi la lingua e anche Cassie lo fissò basita per qualche istante, come se avesse pensato la stessa identica cosa.
Tornò alla carica dopo pochi secondi, supplicandolo: “Fammi entrare e ti spiegherò ogni cosa, Danny. Davvero… Io vorrei che almeno tu mi parlassi… Harry adesso è furioso con me, non so che f-“
“Va bene, ok, entra” si arrese infine il ragazzo, scostandosi svogliatamente dalla soglia di casa per farla passare “Ma solo pochi minuti!”.

 

“Quando vi ho visti fare a botte…all’inizio volevo intervenire e farvi smettere, ma poi siete caduti per terra, mi sono sentita spintonare da tutta la gente che stava accorrendo e… poi ti ho visto lì sul pavimento, mi sei sembrato mezzo morto e… Dio, se penso a quanto avevo bevuto… Non ragionavo, credimi!”

Danny non poteva sapere che Cassie gli stava mentendo, che in realtà era fuggita per comodità.
Perciò le sembrò sincera. La ascoltò con attenzione, anche se mantenne un’aria scettica per tutta la durata del suo discorso…

“Sono scappata. Ho trovato un taxi quasi per caso e sono corsa a casa di Harry, avevo le chiavi. E lì mi sono rintanata fino al suo rientro! Non sapevo cosa fare, chi chiamare, avevo la batteria del telefono scarica e avevo solo voglia di vomitare… Non ho pensato a voi, a Harry… Solo il mattino dopo, quando l’ho rivisto, ho ricollegato tutto e avrei voluto spaccarmi da sola la faccia! Sono stata un’idiota incosciente, l’ho lasciato solo mentre… aveva bisogno di me…”
“Cassie, io resto del parere che avresti dovuto rimanere a casa quella sera…” l’ammonì lui, scuro in volto.
La ragazza obiettò: “Ma come potevo sapere che sarebbe finita così?! Tutti stavamo bevendo, ma ce la stavamo spassando senza fare del male a nessuno! Ti giuro che non so cosa mi è preso!!!”
“Non sai cosa ti è preso!” fece eco l’altro, seccato.
“No, Danny, no!” affermò lei con forza “Ho fatto delle cose che normalmente neanche mi sognerei di pensare! Ti ho messo in imbarazzo, ho fatto una figura da sgualdrina, ho praticamente umiliato Harry e ho causato tutto il resto! Non hai idea di come mi sento…”
“Io ho un tremendo mal di testa, un week end andato a puttane e una settimana di anitodolorifici! Harry ha il labbro spaccato! Fai un po’ tu!!”
“Farei qualsiasi cosa per tornare indietro e… starmene a casa, come dici tu. Sul serio, Danny…” gli disse la ragazza, intristita e con lo sguardo basso “Adesso voglio chiedere scusa a tutti, voglio poter rimediare, perché Harry è un ragazzo speciale per me, non voglio rovinare quello che c’è tra di noi… e poi ci siete voialtri, come faccio a guardarvi in faccia adesso? Vorrei poter far sì che voi vi fidiate di nuovo di me…”

Non che Danny avesse mai pensato di fidarsi di Cassie o di considerarla una grande amica, ma la pietà che provava nei suoi confronti, mista ad un briciolo di comprensione, lo fece riflettere.

“Anche io e Harry abbiamo di che chiedere scusa…” iniziò mestamente “Abbiamo fatto una cazzata e adesso ne paghiamo le conseguenze. Siamo più o meno nella stessa barca…”
“Mio Dio, non dirmi che Clarissa adesso sa che io ho… insomma, che ti ho provocato?” avanzò Cassie ansiosamente.
Il chitarrista annuì gravemente, spiegandole che la sua ragazza aveva saputo tutta la storia da Tom e Dougie.
“So che da sobria non lo avresti mai fatto, quindi… non farti troppe paranoie, anche Claire lo ha capito…”
“E’ così imbarazzante… Mi vorrei sotterrare…”
“Harry non ha voluto darti ascolto?”
“E come poteva? Era sconvolto, ferito, stanco… Ha tutte le ragioni del mondo per non volermi vedere adesso! Lo chiamerò a breve comunque… Vorrei potergli stare vicino e spiegarmi anche con lui… Tu mi credi?”
Davanti agli occhi lucidi di quella poveretta, Danny annuì, anche se senza troppa convinzione.
Cassie si strinse timidamente a lui, replicando: “Sono contenta di questo! Avevo così tanto bisogno di parlare, di sfogarmi, di spiegare tutto quanto… Grazie, Danny, grazie, non so come tu faccia a sopportarmi in questo momento…”
Ed infatti la tollerava a malapena, ma cos’altro avrebbe dovuto fare? Tirare un pugno anche a lei, sbatterle la porta in faccia? No, perché era una donna, e per di più era una donna stupida, ma pentita. Lo aveva involontariamente intrappolato e non c’era più scampo ormai, doveva sostenerla, incoraggiarla, consolarla.
“Dobbiamo tutti prenderci un po’ di tempo per riflettere e per… rientrare nei ranghi…” le spiegò, rigido nella sua posizione seduta mentre Cassie lo abbracciava con trasporto “Credo che allora potremmo parlarne tutti insieme e chiarire, non è successo niente di irreparabile…”
L’altra si scostò per guardarlo negli occhi da molto vicino e gli disse con aria riconoscente: “Adesso comincio a sentirmi meglio, sai? Temevo di non riuscire a trovare neanche un’anima disposta ad ascoltarmi…”
“Sì, bé… Tutti sbagliamo, è umano…” farfugliò il chitarrista, all’affannosa ricerca di qualche parola di circostanza adatta a quel momento imbarazzante che avrebbe voluto far passare il più velocemente possibile.
Cassie tornò a stringerlo a sé con più slancio e a lui non restò che ricambiare l’abbraccio per non sembrare maleducato o anche solo per non far sì che lei stessa gli mettesse le braccia intorno alla sua vita.

 

 

~~~

 

 

“Il suo è stato un gesto stupido…”
“C’è da dire che aveva anche bevuto… Non era proprio in sé…”
“Ancora peggio allora, non pensi? Al suo posto, io non sarei andato in giro ad ubriacarmi la sera prima di partire per un viaggio…”
“Dan, tu non conosci i ragazzi, non hanno mai fatto chissà quali danni, neanche dopo dieci birre…”
“C’è sempre una prima volta, come hai potuto notare…”

Clarissa abbassò gli occhi sul suo tè alla pesca, quasi terminato e con alcune briciole di biscotti sul fondo della tazza; Daniel addentò con disinvoltura il suo cornetto e aspettò una sua replica che però non arrivò, con sua grande soddisfazione. Dopo aver ingoiato il boccone dolce continuò: “Mi dispiace di essere stato tanto… triviale. Ma ho tratto le mie conclusioni da quel che hai raccontato, Claire. Con questo non voglio giudicare Danny o i suoi amici! Voglio solo dire che hanno fatto una grossa stupidaggine e che lui avrebbe dovuto astenersi dal bere per primo. Sarebbe stato chiedere troppo?”
La ragazza scosse la testa e tornò a guardarlo nel rispondergli imbarazzata: “Lui… è fatto così… Vuole divertirsi, divertirsi… e a volte si dimentica tutto il resto…”
“Oh, andiamo!” si agitò il ragazzo “Non si sarà dimenticato di te, voglio sperare!”
Ignara dei doppi fini di lui, Clarissa fece per dire qualcosa ma si bloccò subito, assumendo invece un’espressione interdetta ed improvvisamente risentita, ferita.
“… No!” replicò infine, ricomponendosi e cercando di apparire sicura di sé.
Daniel fece spallucce, annuì e ribatté: “Vogliamo dire che… non sapeva a cosa stava andando incontro, che non sapeva che bere alcool fa diventare alticcio chiunque, dopo una, due, dieci, cento birre?”
“Piantala di… di fare insinuazioni!” l’accusò l’altra, infastidita ma vacillante nella sua convinzione.
“Clarissa, io sto semplicemente facendomi delle domande!” si difese il ragazzo.
“Questi sono giudizi belli e buoni! È per questo che ti sto dicendo di smetterla!”
“Va bene, va bene, e così sia!” sbottò il francese.
“Bene!”
“Certo, non si può dire che il tuo fidanzato non sia intoccabile… è un uomo fortunato!”
Quella frecciatina sarcastica la fece riflettere mentre Daniel si stava alzando per pagare il conto e andarsene. Gli andò dietro e appena fuori dal bistrot disse: “Danny non è intoccabile. Sono io che…”
Il ragazzo la fissò, in attesa. “Che… cosa?” ripeté.
Clarissa si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro, guardò altrove con aria ansiosa e rispose: “Che… che a volte lo idealizzo. Lo sopravvaluto.”
Non lo vide arrivare accanto a lei, ma sentì il suo braccio sulle spalle e la sua voce gentile che le diceva: “E’ normale, Claire. Sbagliare è umano. Vieni, facciamo un giro, non parliamone se non vuoi…”
Iniziando a camminare con lui verso il centro, quasi protetta dalla sua stretta, si sentì quasi sollevata per aver finalmente detto la verità, a lui come a se stessa.
Nonostante questo, non riuscì a non fare caso ad un senso di delusione che si stava dilatando come una macchia d’olio su una tovaglia, tra le fibre del cotone. Nella sua fibra.

 

Come aveva programmato, tornò a casa per mezzogiorno meno un quarto, anche se un po’ a malincuore, perché avrebbe preferito restare tutto il pomeriggio con Daniel, a parlare, a ridere un po’, a farsi aprire gli occhi; si sentiva quasi illuminata dalle sue constatazioni e non riusciva a dargli torto, anche se le risultava difficile accettare quella che alla fine era la verità.
Come aveva scritto un famoso poeta di cui non aveva voglia di ricordare il nome, si sentiva più saggia e più triste, infinitamente più triste. E tornare a casa, con Danny che l’aspettava… No, avrebbe voluto decisamente essere altrove. Con Daniel. A parlare di tutto e di niente.

Aprì la porta con le mani ingombrate dalle buste della spesa ed essendo sovrappensiero non notò subito la voce che si alternava a quella di Danny in salotto. Filò subito in cucina, ma ci pensò lui a richiamarla.
“Claire, vieni in salotto? C’è Cassie…”

Quel nome le diede una sorta di scossa elettrica alla schiena. Si irrigidì all’istante per poi camminare con passo deciso verso il salotto.
Cosa stava facendo quella snobista sul suo divano accanto al suo ragazzo? Cosa voleva?
La guardò frastornata e non seppe reagire davanti ai suoi occhi imploranti perdono.
“Ciao Clarissa…” azzardò l’ospite indesiderata, alzandosi in piedi e andandole lentamente incontro; quasi automaticamente l’altra indietreggiò di un passo e Danny intervenne dicendo: “Cassie è venuta a chiederci scusa, è arrivata mentre eri ancora fuori e… mi ha spiegato un po’ di cose”.
“Non sai quanto mi ha fatto bene venire qui e trovare una faccia amica che mi ha dato ascolto, Claire…” aggiunse la ragazza.
Clarissa per poco non trasalì, tanto era scandalizzata.
“Avete parlato” constatò, sulla difensiva. Cassie e Danny annuirono serenamente e lei ribatté con fredda tranquillità: “Perfetto. Il problema è risolto”.
“Come, scusa…?” replicò l’altra, confusa.
Danny provò ad opporsi: “E’ venuta a scusarsi anche con te per-“
“Ragazzi!” li richiamò all’ordine lei, decisa “Quella sera io non c’ero. Ho avuto le risposte che cercavo e tutte le spiegazioni del caso. Non facciamone un dramma e… chiudiamola qui. Francamente comincio a non poterne più”.
Il chitarrista fissò la sua fidanzata sbalordito, cercò inutilmente il suo sguardo per tentare di capire come mai stesse parlando così. Cassie, in compenso, annuì fin troppo velocemente e commentò con un sorriso: “Stai facendo la cosa giusta, Claire… Grazie per aver capito, davvero…”.
Clarissa ricambiò con una smorfia fintamente soddisfatta e la salutò frettolosamente con la scusa di dover preparare il pranzo; fu Danny ad accompagnarla alla porta.
“Grazie ancora di tutto, Dan… Non lo dimenticherò!”
“Oh, figurati…”
“Adesso andrà tutto per il meglio, ne sono certa… Se non ci fossi stato tu… con Claire…”
“Adesso non esag-“
Lo abbracciò all’improvviso, facendo finire parte dei capelli lunghi nella sua bocca. Il ragazzo sputacchiò via stordito le ciocche e strinse tiepidamente il busto della ragazza, che fortunatamente concluse il suo ennesimo attacco di gratitudine nel giro pochi attimi per poi andarsene definitivamente.
Quando fece il suo ingresso in cucina, trovò Clarissa concentrata su un pollo da tagliare a pezzi.
“Vuoi una mano?” le domandò.
Preceduta dal suono secco delle forbici che spezzavano le ossa delle ali, la fidanzata lo informò: “Le tue medicine sono sul mobile dell’ingresso, nel sacchetto piccolo”.
“Ah, ok, grazie…” ribatté l’altro, vagamente spiazzato “Tu… stai bene? Ti vedo un po’ scossa…”
“Sto benissimo. Mi stupisce solo il fatto che tu inviti certa gente a casa. Ma l’appartamento è tuo…” insinuò lei senza neanche guardarlo, bensì rimanendo con gli occhi fissi sul pollo.
“Te l’ho detto, era venuta per chiederci scusa e… mi ha spiegato com’è andata, aveva bevuto anche lei e se fosse stata sobria non avrebbe certo fatto niente di tutto quel-“
“Già” lo interruppe la bionda, scattando nei suoi occhi con i propri, fredda e furiosa “Ma lei non era sobria. E neanche tu. E nemmeno Harry. Avevate bevuto. Non avevate pensato ad altro, evidentemente…”
“Claire… Ma perché non mi fai fini-“
“Danny. Se tu mi fai incazzare adesso più di quanto già non lo sia, va a finire che il pranzo te lo prepari da solo e che a me passa l’appetito. E io ho fame, va bene?”
“… Ok, ma…”
“Per favore… Stai zitto…”

Cadde il silenzio. Danny si mise a sedere, sconvolto, e Clarissa tornò a spezzare il pollo con le forbici, facendovi forza sopra così tante volte che le vennero i crampi alle mani.

 

 

~~~

 

 

Visitando il suo profilo su Facebook quello stesso pomeriggio, smaltì svogliatamente le decine di messaggi privati e notifiche, pensando annoiata che avrebbe dovuto connettersi un po’ più spesso per non farsi crollare addosso quelle montagne virtuali di posta.
In mezzo al nuovo materiale da visionare, trovò alcuni inviti ad improbabili feste di vario tipo, sicuramente spediti da gente che doveva fare pubblicità a locali ed eventi; tra questi ultimi, uno veniva da Daniel e riguardava l’ormai celeberrimo locale da lui nominato fino allo sfinimento. Ci cliccò sopra mentre scuoteva la testa con un sorriso: quasi sperava che se ne fosse dimenticato. Macché, era deciso ad andarci, con lei.
Si trattava di una festa in grande stile: DJ, solo musica in linea con il tema prescelto, prima bevuta gratis per tutti, ambiente spazioso e super addobbato, promozioni per gli studenti e persino un mini-concorso per il costume più originale della serata.

La ragazza decise di mandare un messaggio a Daniel.

 

Ciao Dan!

Ho ricevuto il tuo invito per andare ad una di quelle cavolo di feste in quel cavolo di locale in cui tu vorresti praticamente vivere :P!

Sono quasi tentata di cedere e dirti di sì, ma mi dici dove troviamo dei costumi ottocenteschi??? Io ho un solo abito da cerimonia e non so se andrà bene, l’ho usato ad un matrimonio, fammi sapere!

Claire

 

Dopo neanche cinque minuti il collega le aveva già risposto, probabilmente dalla libreria.

 

Bonjour ;)!

Non ci sono problemi per i costumi!!! Se mi dici di no solo per questo dovrò pensare che ti sto antipatico :P:P:P!

Io ho trovato un paio di bei completi da uomo in stile ottocentesco su Internet e ne ho ordinato uno, mi dovrebbe arrivare nel giro di cinque giorni, e considerando che la festa è tra dieci giorni… pas de problème! Per quanto riguarda il tuo vestito, secondo me puoi stare tranquilla: se non è dal taglio troppo moderno puoi mettere tranquillamente quello! Se vuoi ordinare un costume, invece, contattami e lo cerchiamo insieme!

Dany

 

Si grattò pensierosa la testa, ponderando su come modificare il proprio vestito da damigella, quando Danny interruppe i suoi pensieri arrivando in camera. Le si sedette accanto, nel letto, ma senza sbirciare sullo schermo del pc.
“Che stai facendo?” s’incuriosì.
“Niente, mi aggiornavo su Facebook…” fu la risposta laconica.
“Ho preso la prima pasticca…” la informò lui, speranzoso di ricevere un po’ della sua attenzione.
“Ricordati che devi prenderne una ogni 12 ore e che l’altra pastiglia devi prenderla solo se il dolore dovesse aumentare…” l’avvertì lei, voltandosi a guardarlo. Danny ne fu contento, le sorrise e annuì.
“Mi dispiace per prima…” osò, allungando una mano per sfiorarle un braccio “Cassie è piombata in casa senza avvertire. Mi ha riempito la testa di scuse, voleva sfogarsi e spiegare le sue ragioni…”
Clarissa replicò con una smorfia indispettita: “Mi ha dato fastidio vederla dopo quel che ha fatto…”  
“E’ passato, amore… Non c’è stato niente…”
“Lo so… Lo so… Ad ogni modo, sarei stata meglio senza vederla…”
“E invece con me come la metti?”
La domanda la spiazzò, ma lei non lo diede a vedere.
“Come metto cosa?” chiese, facendo la gnorri.
“Non sopporti neanche me?”chiese l’altro a bruciapelo.
Clarissa sospirò, spense il computer e si sdraiò, stanca.
“Se vuoi saperlo, sto provando a non essere incazzata con te…” gli spiegò “Mi serve del tempo…”
“E…io posso fare qualcosa?”
La ragazza deglutì nervosamente, distolse lo sguardo dal suo ed incrociò le braccia sul petto; non si ritrasse quando la mano di Danny finì sul suo viso teso.
“Se ti lasci aiutare da me… possiamo provare ad uscirne indenni. Che ne dici?” le propose a bassa voce, scivolando più vicino a lei.
Clarissa si girò su un fianco per guardarlo negli occhi e non disse niente: lo baciò in fronte e lo strinse a sé, le lacrime agli occhi di entrambi.
Danny chiuse gli occhi e sorrise speranzoso nell’incavo del suo collo.
Clarissa tirò su con il naso e colse il proprio riflesso nello specchio.
Era disperata.

***

Per l'angolo della letteratura: l'autore citato nel capitolo è... Samuel Coleridge :). Per maggiori informazioni leggetevi "La ballata del vecchio marinaio"!
Il titolo del capitolo è preso direttamente dalla mcsong "Corrupted". No scopo di lucro!

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Capitolo 13
*** You're pushing me out when I wanted in ***


claire

Ri-eccoci! Più o meno puntuale, torno con un nuovo capitolo! Vi avverto, al prossimo... BOOOM, scoppia tutto XD! Al prossimo capitolo saremo a metà storia, manco io ci credo!!!

Queste sono le ultime righe a base di paranoia per Clarissa, dopodiché si passerà all'azione! State pronte/i!

Alla prossima!

Ciry

***

Una settimana era praticamente volata; non le sembrava quasi vero.

Anne era tornata dalla sua vacanza in Scozia, lei aveva cominciato a sistemare il suo vestito a dovere per la festa con l’aiuto della collega e di sua madre, che faceva la sarta, e Daniel la contattava sempre più spesso per prendere un caffè, chiacchierare un po’, per piccole uscite, più che altro pomeridiane amichevoli e spensierate che in quel periodo le ci volevano più che mai, dato che Danny era da poco rientrato nella routine lavorativa e qualche volta si assentava per delle ospitate televisive con il resto del gruppo.

 
“Dan sta meglio adesso? Fa ancora male il bernoccolo?” domandò Anne in mattinata.
“Ha finito il ciclo di antidolorifici, è praticamente rinato, fidati! Adesso è tornato a girare peggio di una trottola…” le rispose distrattamente Clarissa.
“Posso farti una domanda, anche se so che ti fa incazzare da morire parlare della questione?” la interpellò ancora l’amica, che al suo ritorno aveva subito saputo ogni cosa accaduta in sua assenza: Danny, la rissa, il viaggio annullato, la crisi, Daniel.
La bionda piazzò le mani sui fianchi, finse di mettere il muso e replicò: “Se ti dicessi di no, ti arrabbieresti più di me… Cosa c’è?”
La ragazza abbozzò un sorriso e chiese: “Siete ancora in crisi?”
“Crisi… è una parola
grossa…” rispose vagamente l’altra tentando di sostenere lo sguardo della sua interlocutrice, che la conosceva fin troppo bene.
“Tu non racconti mai niente al riguardo e lo sai che a me sta bene così, Claire…” si spiegò Anne “Siamo amiche, tu chiami e io rispondo, e viceversa, altrimenti abbiamo sempre detto che è bene che entrambe sbolliamo da sole la rabbia, la tristezza e tutte le altre cazzate… E’ solo che ultimamente sei strana…”
“Strana?”
“Sì… Sei… come assorta, non lo so, sei in un mondo tutto tuo, come se il tuo cervello stesse sviluppando una paranoia o chissà cos’altro e tu neanche te ne rendessi conto…”
Clarissa sorrise divertita e ribatté: “Io mi sento bene, francamente! Non è che sei tu a preoccuparti troppo solo perché in questi giorni mi sono sfogata anche con te?”
“Bè, sì, anche, però…”
“Bella, stai tranquilla” la interruppe la collega, andandole incontro per abbracciarla affettuosamente “Se mi vedi così è semplicemente perché sto riflettendo, mi sto prendendo un po’ di tempo per rielaborare tutto quel che è successo… e sia tu che Daniel mi state dando una grossa mano…”
Confusa dalla sua stretta, l’amica tentennò: “Ecco, a proposito di Daniel…”
“Ah, te l’ho detto? Questo sabato andiamo alla festa!!!”
“Eh?”
“La festa a tema, Anne!” esclamò Clarissa “Quel locale figo, nuovo…”
“Ah, sì, sì, hai ragione, me lo avevi detto! Gesù, ma come vi concerete? Cos’è che stai confabulando con mia madre?”
La ragazza sciolse l’abbraccio per spiegare meglio all’amica l’idea del suo costume…
“Io sarò una dama dell’Ottocento! Con Cherisa abbiamo trovato un modo per non modificare in maniera definitiva il vestito che ho usato per il matrimonio di Tom ed è venuta fuori una bomba, te lo assicuro! Tua madre è un genio!”
“Mi sto preoccupando…”
Clarissa rise per poi continuare: “Dico davvero! Ha visto il colore rosa del modello originale e ci ha abbinato qualche fascia dorata, attaccandola con il velcro… e per il resto, ha cucito sul corpetto dei fiorellini e delle trine, anche quelle dorate, ma basterà tagliare qualche filo e tutto tornerà come prima!”
Anne storse la bocca e commentò: “Cherisa ti ha conciata come un Transformer barocco! Lo sapevo, ha fatto quasi la stessa cosa anche con il mio vestito della comunione!”
L’amica scosse la testa ridacchiando e obiettò: “E’ stata bravissima, pensa che mi ha persino detto dove procurarmi un sottogonna!”
“Metterai anche un sottogonna?!”
“Certo, nell’ottocento non usavano i vestiti fini come oggi!”
La collega alzò gli occhi al cielo e replicò: “L'ho detto e lo ripeto: sembrerai un Transformer barocco! E non voglio sapere come avrà il coraggio di combinarsi il mangialumache…”
“Neanche io ho ancora visto il suo costume, a dir la verità…”
“Ma che peccato…”
“Anne, oggi sei acido allo stato puro!” la rimbeccò l’amica ironicamente.
L’altra si girò a guardarla, per niente rallegrata, e chiarì: “Mi sta sulle palle, ok? È sulla buona strada per prendere un calcio nel culo!”
Clarissa sostituì  il suo sorriso con un’aria perplessa e fece per domandarle se qualcosa non andasse, ma la ragazza la bruciò sul tempo dicendo: “Non parliamone, ok? Così sto meglio e mi passa…”
“Ok…” asserì lei docilmente, tornando al lavoro.
“Ma… Danny lo sa che vai a questa festa con Daniel?”
“Certo” mentì disinvolta la collega, lo sguardo fisso su alcuni libri appena imbracciati.
“Forse non è una buona idea per lui… esporsi in luogo pubblico, vero?”
“Infatti, almeno non adesso… Lo assedierebbero per fargli un sacco di domande sul nuovo progetto...” continuò l’amica.
Anne annuì con fare comprensivo e tornò sulle proprie scartoffie.
“Peccato però” aggiunse con un sorriso vagamente triste “forse si sarebbe divertito ad una festa simile! Dev’essere frustrante non poter girare liberamente dove vuoi quando sei così… famoso…”
L'altra mosse nuovamente il capo in segno affermativo, fece spallucce con una smorfia rassegnata e commentò: “E’ il suo lavoro, sai… e comunque non avrebbe potuto lo stesso… Ha un po’ da fare ultimamente, come capita spesso… Va bé…”

 

 

~~~

 

 

A casa era da sola; non se ne stupì: Danny le aveva accennato di due o tre interviste da registrare in TV, molto probabilmente sarebbe arrivato in tarda serata. Si rimboccò dunque le maniche per una cena monodose a base di pasta, non il suo piatto forte, ma aveva voglia di vedere se quella volta le sarebbe venuta cotta nel modo giusto e con una salsa decente.
Il cellulare la interruppe ancor prima che potesse iniziare a sbucciare i pelati.

Danny.

“Pronto?”
“Ehi! Dove sei, ancora in libreria?”
“Ciao… No, sono a casa, stavo per cenare…”
“Noi abbiamo quasi finito qui, dovrei essere a casa tra un paio d’ore!”
“Ok, ma… cenate lì?”
“Abbiamo finito adesso di cenare, veramente…”

Un’occhiata all’orologio le confermò che erano appena le otto.

“Va bene, allora… ci vediamo più tardi…” disse placidamente al ragazzo.
Il chitarrista esitò dall’altra parte del telefono, strinse le labbra per un istante e poi annuì replicando: “Sì, a dopo, torno presto… Ciao, amore…”
“Ciao…”

Si sentì strana nel salutarlo in quel modo, ma quali che fossero i suoi pensieri, era inutile pensarci dopo aver riattaccato.
Si lasciò sfuggire un sospiro, lo represse quasi subito con stizza lamentandosi silenziosamente con se stessa per la serie di pensieri negativi che fremevano per invaderle la testa, e ritornò ai fornelli.

 

Danny fissò il proprio telefonino per qualche istante, dopodiché lo intascò passandosi la mano libera tra i capelli in un gesto di stanchezza.
“Jones, vieni? Ho voglia di fumare!” lo invitò Dougie, spuntato alle sue spalle con la sua voce allegra.
Gli rispose con un cenno affermativo del capo e lo seguì senza troppa voglia fino ad una finestra di un anonimo corridoio appena fuori dagli studi televisivi.
Il bassista gli allungò il proprio accendino per la sua Marlboro, poi lo osservò con fare sospettoso, cosa di cui l’amico si accorse presto.

“Era Clarissa, l’ho chiamata per dirle che ore avremmo fatto stasera… lo informò, facendo il vago.
Il ragazzo ne approfittò per consigliarlo animatamente: “E scopate un po’ quando varcherai quella benedetta soglia della camera da letto!”
Danny espirò il fumo dalle narici con una risatina amareggiata e ribatté: “Sarà difficile. Ultimamente mi sembra di dover invadere un accampamento militare circondato dal filo spinato!”
“Ah, non si batte chiodo?”
Davanti al no del chitarrista, Dougie sospirò per poi commentare: “Se l’è legata al dito, Dan. Non so che altro dirti. Non l’ho mai vista tanto furiosa, e la conosco da quando la conosci tu…”
“Ho capito, ma co-“
“Siete qui! Vi avevo persi, tra cinque minuti ricominciamo!”

Sentendosi richiamati da Tom, i due amici si voltarono e lo videro a pochi passi da loro mentre faceva segno di sbrigarsi.

“Vieni un attimo qui, dài!” lo pregò Dougie.
“Doug, bisogna rientrare!”
“Trenta secondi, Fletcher!”
“E che palle... Se vi dico che bisogna muoversi…”

Il paziente chitarrista andò incontro ai suoi colleghi con aria insofferente e domandò a Dougie: “Ebbene, che c’è?”

“Hai sentito Claire ultimamente?”
“Claire?”
“Sì! Ci hai più parlato dopo quella volta del pronto soccorso?”

Tom rifletté prima di rispondere e spostò lo sguardo su Danny.

“E’ successo qualcosa?” chiese.
L’altro si passò una mano sugli occhi, sbuffò e rispose con voce spenta: “Non è successo niente, casomai…”
“Io… non l’ho più sentita…” confessò il collega “E’ da un po’ che non parlo con lei, a dir la verità… Non si è più fatta viva, non con me, almeno…”
“Idem per me. Ha solo cenato con Frankie giorni fa!” aggiunse Dougie.
“E Harry?
Harry l’ha sentita?”
“Sì, per telefono, ma solo perché lui voleva chiarire con lei e dirle della serata in discoteca, niente di più…” gli spiegò Tom.
Danny, rassegnato, gettò il mozzicone fuori dalla finestra e alzò le braccia al cielo, salvo poi farle ricadere pesantemente lungo i fianchi.
“Non so più cosa pensare… o cosa devo fare…”
“Dan, perché non le lasci ancora un po’ di tempo? Ha accumulato un sacco di cose, come al solito, e alla fine è esplosa. Si deve riprendere…” lo confortò il chitarrista, mettendogli un braccio intorno alle spalle mentre si avviavano verso lo studio, seguiti da Dougie.
“Una volta ogni tanto ha ragione lui, Jones…” asserì il bassista, beccandosi una smorfia canzonatoria dal biondo come risposta.
Danny annuì con convinzione e disse: “Ci proverò, ok”.

 

 

 

Un dvd, poi a letto. Serata magra, ma sicuramente rilassante e scacciapensieri.
Stava cercando una commedia leggera da godersi insieme ad una stecca di cioccolato al latte, quando di nuovo il cellulare attirò la sua attenzione con la vibrazione fastidiosa che la fece accorrere con un sonoro sbuffo di disappunto.

Daniel.

Rispose con aria sorpresa: “Pronto!”
Bonsoir!”
“Dany, ciao!”
“Ciao! Ti ho disturbata?”
“No, macché! Ero… a girarmi i pollici…”
“Come? Scusa, Danny non è lì con te?”
“No, te l’ho detto, oggi è via fino a tardi, è impegnato con la TV…”
“Ah, è vero, scusa, me l’ero dimenticato… Comunque, ti ho chiamata per chiederti del costume! Il mio è arrivato stamattina, me lo sono ritrovato a casa tornando dall’università!”
“Ha fatto presto! E com’è, com’è??”
“Non te lo dico neanche se memorizzi ogni singolo vocabolo di francese!” la canzonò il ragazzo, ridacchiando “E’ una sorpresa, lo vedrai alla festa! Il tuo, piuttosto, è pronto?”
“Sì, la mamma di Anne mi ha dato una mano con il vestito del matrimonio!”
“Ah, allora hai deciso per quello! Cosa ne hai ricavato?”
“Non te lo dico neanche se impari l’irlandese in ventiquattro ore!” lo riprese lei, divertita “Anche io conservo la rivelazione per la festa!”
“Se la mette così, mademoiselle… tratterrò la mia curiosità!” si arrese il francese, che subito le propose: “Dato che non hai niente da fare, e io neanche… se non sei già in pigiama, possiamo andare a bere qualcosa!”
“Ma gli studenti non dovrebbero fare le ore piccole sui libri?”
“Ma io lo faccio sempre, è giusto che ogni tanto mi prenda una pausa!”
“Ah, tu lo fai sempre!” fece eco la ragazza in tono ironico.
Daniel ridacchiò e ribatté: “Smetti di fare la maestrina con me, non è una buona copertura per nascondere il fatto che te la tiri!”
“Io che me la tiro?! Questa non la sapevo neanche io!” esclamò lei, fingendosi offesa e scoppiando a ridere con lui, che però continuò a punzecchiarla: “Se non è vero perché allora non esci con me? Fidanzato geloso? I francesi ti stanno antipatici?”
Alzando gli occhi al cielo con un sorriso inconsapevolmente civettuolo, Clarissa rispose scherzosa: “Il mio fidanzato non è geloso, ma… sì, i francesi mi stanno antipatici da quando ho conosciuto te! È per questo che usciremo unsieme: così potrò prenderti un po’ per il culo, se non ti spiace!”
“Ah, vogliamo effettuare uno scontro internazionale? La Regina Elisabetta contro il nostro Sarko?”
“Correggiti! Facciamo il tuo Sarko contro la mia McAleese! Sono irlandese!”
Bon, bon, bon, e così sia!” sbottò Daniel, sghignazzando “Facciamo tra un’oretta sotto casa tua?”
“Aggiudicato! Conosco un posticino carino, birra buona e bagni spaziosi!”
“Bagni spaziosi?”
“Dovrò pur sistemare tutte le mie cose da qualche parte mentre faccio pipì per la troppa birra, no?”
Il francesino rise dall’altra parte della cornetta e la prese bonariamente in giro: “Tu sei tutta matta!”
“Grazie, altrettanto!” replicò prontamente la bionda, disinvolta “A più tardi, puntuale!”
“Agli ordini, capo! A dopo!”

Dopo aver posato il telefono sul tavolo, si avviò velocemente al piano superiore, in camera: non sapeva cosa mettersi e aveva solo un’ora per decidere; una buffa smania eccitante s’impadronì dei suoi gesti veloci e indagatori e dei suoi occhi attenti a selezionare i vestiti nell’armadio.

 

 

~~~

 

 

“… E allora l’irlandese dice Perché ho visto arrivare il francese con le angurie!”
“… Questa… questa era cattiva!”
Daniel non riuscì a mantenere la faccia offesa e scoppiò a ridere di cuore, contagiato da Clarissa e dalla sua barzelletta.
“E il francese rise dei suoi stessi conterranei! Missione compiuta!” annunciò trionfante la ragazza, innalzando la sua seconda birra media.
“Non cantare vittoria troppo presto!” la avvertì l’altro, puntandole l’indice contro il naso “Solo perché adesso non mi vengono in mente barzellette sugli inglesi, non significa che-“
“Hai bevuto troppo e ora il tuo cervello fa aquagym nella birra!” lo beffeggiò lei, continuando a ridere.
“Ha parlato l’irlandese doc temprata dall’alcol e dal doppio malto! Ti ricordo che anche tu ridi da tre ore per qualsiasi cosa!”
“Ma non è vero!!!”
“Sì che è vero! Propongo un brindisi!!!”
“Un altro?! A cosa?”
“Al tuo stato di brezza!”

A quelle parole, la bionda chinò la testa sul tavolo per lasciarsi andare all’ennesimo scoppio d’ilarità, imitata ovviamente da Daniel, che però non capiva perché la sua amica si fosse messa di nuovo a ridere; quando ebbe recuperato la minima capacità di parlare, l’altra gli spiegò con le lacrime agli occhi: “Si dice stato d’ebbrezza!!! Quale brezza e brezza!!!”
Lo studente si schiaffò una mano sulla bocca per l’imbarazzo e replicò ridacchiando: “Sono un povero studente in Erasmus, abbi pietà di me!”
“Oh, senti!”
“Sento cosa?”
“La panca!”
“E’ di legno, sì!”
“No, scemo, sta vibrando!”
Daniel poggiò entrambe le mani sulla cassapanca per poi sentenziare con un sorriso sbilenco: “E’ il tuo cellulare, ubriacona!”
“E’ il mio che?...” domandò Clarissa vagamente intontita per poi precipitarsi con le mani nella borsa e constatare che la stavano chiamando: era Danny.
Imprecò a denti stretti, diventando improvvisamente seria, e impose velocemente il silenzio al collega, puntandosi un dito sulle labbra.

“Pronto?” rispose, tentando di assumere un tono serio e tranquillo.
“Dove sei, Claire?!” fu la domanda agitata che arrivò dalla voce del suo fidanzato.
“Sono al pub, Danny! Sono… sono con Anne!” rispose immediatamente lei, evitando di incrociare lo sguardo confuso di Daniel “Scusa, pensavo di tornare prima di te e non ho-“
“Cazzo, ma mi hai fatto… mi è preso un colpo!” sbottò il chitarrista stizzito, interrompendola.
Clarissa ammutolì, spiazzata, e rimase a bocca aperta davanti a Daniel, che continuava a guardarla, intuendo a grandi linee la conversazione in corso tra i due.
“Co-come…?” boccheggiò poi, assumendo un tono vagamente critico e sarcastico.
Dalll’altro capo della linea, Danny si morse la lingua, strinse gli occhi con rabbia e rispose: “… Scusami. Scusa, sono solo stanco morto e… niente, credevo che ti avrei trovata qui, non ti ho vista e…”
“Stavo per venire via, comunque” intervenne lei, risoluta “Tra poco sarò a casa”
“No, ma stai tranquilla, non c’è fret-“
“Tranquillo” lo sovrastò l’altra, ignorando volutamente le sue scuse e le sue opposizioni “Tempo mezz’ora e sono lì. Ciao, a tra poco…”
“Cl-“

Chiuse la conversazione con un gesto secco. Gettò il telefono nel fondo della borsa e si rivolse allo sguardo disorientato e apprensivo di Daniel.

“Problemi con Danny?” domandò lui.
“Dany, forse è il caso che… guarda che ore sono…” borbottò in risposta lei, indicando l’orologio del locale, che segnava l’una e mezza.
Senza fare storie, il ragazzo annuì e ribatté: “Mi dispiace. Avrei dovuto capire che potevano esserci problemi… Anche io sarei geloso se Céline uscisse con uno che non conosco…”
“Lascia stare, non è colpa tua…” lo difese l’altra, alzandosi con un sorriso forzato e la testa improvvisamente pesante.
“Ti accompagno a casa, vuoi? Mi sembri stanca…”
“No, no, per carità!” si oppose decisa la collega “Se Danny ti vede e capisce che non sei Anne…”
“Ah, già…”
“Mi dispiace, Dany. Ho fatto un po’ di casino, ma-“
“Nessun problema, Claire! Io sono stato benissimo!” commentò il francese con un sorriso affettuoso.
Clarissa ricambiò con una smorfia divertita e un buffetto sul braccio stranamente impacciato e pieno d’imbarazzo.
“Grande, anche io mi sono divertita…”
“Adesso dobbiamo conservare le energie per la festa!” le ricordò lui in tono scherzoso.
“Sei una tortura con questa festa benedetta!!!” proruppe la ragazza con un sorriso contento.

 

 

 

Aprì più silenziosamente che poté la porta ed entrò in punta di piedi, affrontando l’oscurità dell’appartamento.
Trovò la via delle scale e le percorse con le scarpe in mano, lentamente, fino ad arrivare alla camera da letto, riscaldata da una luce soffusa, quella del comodino di Danny.
Inspirò ad occhi chiusi prima di fare il suo ingresso e spinse delicatamente l’uscio.

“Ciao…” la salutò il ragazzo, a torso nudo, con un piccolo sorriso. Era già a letto e stava sfogliando senza troppo interesse una rivista musicale.
Clarissa replicò con un sorriso sfumato di sonno e appoggiò la borsa su una sedia per poi recuperare il pigiama dal cassetto del suo comodino.
“Divertita con Anne?” le chiese il fidanzato, girato verso di lei, che rispose serena con il viso nascosto dai capelli: “Sì, sì, è stata una serata tranquilla, tra donne… e ora ho sonno…”
Si alzò da terra e s’incamminò verso il bagno, scivolando zitta zitta, via dal suo sguardo premuroso che l’aspettava accanto a sé.

Si vestì per la notte davanti allo specchio, si lavò i denti davanti allo specchio, si struccò fiaccamente davanti allo specchio.
Non osò guardarsi in faccia neanche per un istante.
Quasi le prendeva il voltastomaco all’idea che lui non sapesse niente, con quegli occhi grandi e speranzosi che la scrutavano curiosi e quasi ottimisti, nella speranza di riaverla come prima, di avere il permesso di tornare da lei.

Ma non c’è più niente come prima!
Cazzo, smetti di guardarmi così! Non ti sopporto più!

Quasi rabbiosamente si raccolse i capelli in una coda morbida ed uscì dalla stanza.

 

Diede la buonanotte a Danny con un lieve bacio sulle labbra e spense la luce, dandogli le spalle.
Neanche dopo due minuti lo sentì strisciare timidamente con le mani sulla sua vita; lasciò che l’avvolgesse ed aprì gli occhi nel buio, preoccupata.
Percepì il suo respiro sulla nuca, incassò un minuscolo bacio sui capelli e richiuse gli occhi, sentendoli pizzicare.

Voleva piangere.
Si trattenne con un grande sforzo e deglutì.

“Ti amo…”
Lo ascoltò sussurrarle all’orecchio e il suo corpo, già rilassato sul materasso…
Le sembrò di sentirlo afflosciarsi, liquefarsi per lo sconforto.

Si morse il labbro inferiore e un secondo dopo ribatté a voce bassa e sorridente: “ Ti amo anch’io… Ti dispiace se… se dormo? Perché… sono stanca morta, sul serio…”
“Ssshhh, tranquilla… Dormi pure, anche io sono a pezzi…”
“Ok… Poi mi dici com’è andata…”
“Va bene… ‘Notte, amore mio…”
“Buonanotte…”

Rimase abbracciato a lei, aggrappato al suo vitino minuto; le grandi mani si intrecciavano con le sue, calde e lisce nonostante i piccoli calli causati dalla chitarra.

Clarissa lasciò scendere una lacrima, una sola poco prima di addormentarsi come un sasso, come le succedeva ogni volta che beveva.
Durante il dormiveglia ringraziò il cielo per quella sua debolezza.

***

Piccolo angolo della cultura: cito la signora McAleese (Mary), in quanto è l'attuale Presidente d'Irlanda. E Sarko, bé, lo sapete tutti... è Monsieur Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica francese!

Per quanto riguarda il titolo del chapter, è preso da "Too close for comfort", singolo dei Mc risalente ai tempi di "Wonderland". Nessuno scopo di lucro.

Per chi non sappia come è fatto il costume di Clarissa, basato sul modello del suo vestito da testimone di nozze, vi basterà sbirciare nell'ultimo capitolo di "Point of view"!

E adesso, un ringraziamento speciale...
Lo sapete che vi sono sempre grata per le vostre letture, i vostri commenti, le vostre visite in generale. Chi è fan dei McFly, come me, ha qualcosa in comune con la sottoscritta e per questo... è un pò speciale :).
Chi legge le mie storie sui McFly... è ancora più speciale :).
E chi le commenta... ha di certo un grande pezzo della mia gratitudine, in quanto mi sostiene tantissimo, vista la mia perenne insicurezza.

C'è sempre stata una persona che a tale proposito è sempre stata un validissimo sostegno, qui su EFP (fin dai tempi delle FF sui Tokio Hotel XD) come nella vita.
E' una ragazza fuori dall'ordinario, in tutti i sensi, e io la considero un'amica. Amica nella vita, quando ci scriviamo e parliamo dei nostri problemi, consigliandoci e consolandoci a vicenda (almeno, ci proviamo :]); amica su EFP, per essere sempre stata franca nel commentare le mie storie, per la sua VOGLIA di recensire e per essere stata tra le prime a credere nelle mie capacità :). Ruby, "Falling in love" è per te, se la vuoi. Ti voglio bene, rintronata, fai la brava e continua a scrivere le tue montagnate di capitoli <3.

Momento lacrimevole giunto alla fine! Ai posteri l'ardua sentenza XD A presto!

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Capitolo 14
*** Everybody's having fun to the sound of love ***


claire

Scusandomi per l'osceno ritardo con cui pubblico il nuovo capitolo... vi saluto :)

Vorrei innanzitutto ringraziarvi per le numerose letture alla mia storia e alla mia serie "McClaire" :) e poi mi piacerebbe accennare a qualche piccolo aneddoto su questo nuovo capitolo, che io ho soprannominato "la bomba", perché... lo capirete ben presto! Posso solo dirvi che ci sarà una svolta e che il prossimo capitolo che posterò vi mostrerà i cocci da raccogliere dopo lo scoppio di questa "bomba"!
Stavolta ho perfino usufruito di una "soundtrack", perchè mi sembrava ci stesse proprio bene... e la mia scelta è caduta su due canzoni: una è il pezzo- simbolo di "Falling in love" in generale ("Careless whispers" - The Seether) e l'altra fa da sottofondo musicale a questo capitolo in generale ("Careless whispers"- George Michael). Se sarete bravi bravi bravi, capirete perchè ho scelto questi due brani così uguali (in quanto una è la cover dell'altra!) eppure così diversi :)... Ovviamente cito queste due canzoni senza scopo di lucro, esattamente come la canzone dei McFly che mi è servita per dare il titolo al chap, "Transylvania".

Buona lettura dunque, e al prossimo chapter!
Un bacio

Ciry

***

Il calendario segnava Sabato 15 Novembre.
Un’insolita euforia che faticava a rimanere discretamente nascosta aveva contagiato Clarissa fin dal momento in cui si era svegliata.
Era il “giorno del ballo”, lo aveva ribattezzato così, anche se in realtà non sapeva se nel locale in cui sarebbe andata quella sera ci sarebbe stato un ballo vero e proprio.
Immaginava quella serata come colorata, scintillante, piena di vestiti sfarzosi, e quasi sperava che oltre a bere e a seguire il ritmo della musica dance avrebbe anche assistito ad una scena filmica, da prom liceale americano: il classico momento dei balli lenti, le coppie guancia a guancia, luci soffuse e ballate smielate in sottofondo.
Seppur con fatica, aveva ammesso a se stessa che lei per prima avrebbe voluto far parte di uno scenario del genere insieme a Daniel, il suo accompagnatore ufficiale.
Danny l’aveva portata a ballare in diverse occasioni, doveva riconoscerlo; ogni volta che la trascinava in qualche locale o discoteca, poi, entrambi erano sempre tirati a lucido: tacchi e gonna per lei, camicia e scarpe lucide per lui.
Solo che Danny non sapeva ballare.
Clarissa si divertiva in pista con lui, sì, ma solo perché lo vedeva scoordinato e assolutamente spavaldo nelle sue improbabili coreografie a ritmo di musica house.
Di conseguenza, di balli lenti non si poteva proprio parlare; ci avevano provato qualche volta, con pessimi risultati: i piedi di lui inciampavano in quelli di lei, non si decidevano mai su chi dei due doveva condurre, gli sguardi erano perennemente abbassati sul pavimento… No, in quel senso erano una pessima coppia.
Del resto, il chitarrista aveva una visione tutta sua del romanticismo: sarebbe stato capace di dirle cose meravigliose in musica, ma sarebbe risultato poco credibile in un gesto “tipico” come una dichiarazione d’amore in ginocchio, un mazzo di fiori comprato solo per farle una sorpresa o, per l’appunto, un lento in mezzo ad una pista da ballo.
Lei, al contrario, non disdegnava affatto i sogni di bambina, quelli che si realizzavano solo nei migliori cartoni animati, per principesse e principi azzurri. Era un’inguaribile romantica.
E forse quella sera avrebbe realizzato un suo minuscolo desiderio.
Forse.
Si sforzava di rimanere coi piedi per terra, di riflettere razionalmente sulla probabilità che avrebbe potuto non esserci né un romantico cavaliere, né un romantico walzer… ma non ci riusciva, era più forte di lei.
Era felice di fantasticare, era felice di essere in trepidazione.

 

Per tenersi occupata nel suo giorno libero finì di aggiornare il sito della libreria e si mise a navigare su Internet in cerca di qualche idea per un’acconciatura che stesse bene con il suo costume, appeso bene in vista al gancio di una delle ante dell’armadio in camera sua e di Danny. Lo adorava, forse ancora più di prima; non seppe resistere e, dopo avergli lanciato un’occhiata fugace, si alzò e se lo provò per l’ennesima volta.

 
Le trine bianche del sottogonna facevano capolino sotto l’orlo del tessuto rosa chiaro; alla luce il corpetto pieno di roselline in organza dorata appuntate qua e là brillava come una pepita; alla gonna liscia era stato sapientemente cucito dai fianchi in giù un altro pezzo di organza, anche in quel caso dorata, ed il risultato era che somigliava al vestito di Cenerentola, solo di diverso colore. Cherisa aveva poi cucito apposta per lei un paio di lunghi guanti di satin, dorati e lunghi fino al gomito; erano bellissimi, s’intonavano alla perfezione con tutto il resto.
Scrutandosi allo specchio ebbe l’illuminazione che cercava e optò per un grande fermaglio a forma di rosa da applicare tra i capelli, magari lateralmente, un’ottima idea per l’accessorio che le mancava.
Dopo essersi provata anche il fermaglio, velocemente sistemato vicino all’orecchio sinistro, sorrise al proprio riflesso e si accarezzò i capelli, pensando di renderli più mossi con l’arricciatore.

Lo scatto della porta d’ingresso la distolse dai propri programmi e la voce di Danny la mise in allarme: non doveva vederla con quel vestito. Non voleva farsi vedere, non le andava, sentiva il disagio prendere il sopravvento su di lei al solo pensiero.

“Claire! Ci sei?” si sentì chiamare dabbasso.
“Sì!!” rispose di rimando, senza aggiungere altro, tanto era occupata a togliersi frettolosamente l’abito per rimetterlo al suo posto; ce la fece appena in tempo, pochi istanti prima che il suo ragazzo entrasse in camera.
Lui aprì la porta e la vide ferma in mezzo alla stanza con i capelli spettinati e lo sguardo agitato.
“… Tutto ok?” domandò, alzando la mano libera ed indietreggiando con il busto.
“Sì, sì!” si affrettò a rispondere la ragazza “Stavo solo… cercando un’idea per l’acconciatura di stasera…”
“Già, vai stasera dunque…” si ricordò l’altro con aria distratta mentre si avviava verso il letto per sedersi e togliere le scarpe.
“Sì… Ceno e poi… vado…” confermò vaga lei.
“Sapete già come tornare o... volete un passaggio per il ritorno?”
“Credo… credo che se faremo tardi…” annaspò Clarissa, che non era preparata ad una domanda del genere.
“Se farete tardi…?” la incalzò Danny senza troppa insistenza, prendendo la sua chitarra nell’angolo della stanza.
Non la vide prendere un sospiro e rispondere con un’espressione più tesa che mai.
“Se faremo tardi… non tornerò a casa a dormire… Non so che ora faremo, dunque per sicurezza… mi preparo la borsa…”
“Ma siete solo voi due o c’è anche altra gente?”
“No… solo io ed Anne…”
“Allora una macchina vi basta…”
“Certo!”
“Dormi da lei allora?”
“Danny, non lo so!”

La risposta giunse inaspettatamente nervosa e scocciata; Danny alzò gli occhi dalla Telecaster e fissò la sua fidanzata, sconcertato.

 

 

~~~

 

 

“Greg, sono impegnata, non so se potrò andare a qu-“
“La mia non era una richiesta, Cassie.”
“Ma sai che ho quell’articolo strepitoso in ballo!”
“E adesso ne avrai uno in più! Non sei contenta? Un vero giornalista dovrebbe essere versatile, mondano…”
“Mondano, certo, una festa in maschera a due chilometri da qui in un locale che passerà di moda in tempo zero!”
“Brava, scrivi tutte queste cose nell’articolo che dedicherai alla serata, e allega delle belle foto…”
“Non lo faccio quel servizio!”
“Allora non ti pubblicherò neanche quello sui McFly! Come la vedi adesso?”
Cassie vibrò un calcio furioso al cestino della pattumiera vicino alla sua scrivania, scaraventandolo nel corridoio.
“Bene, quel rumore mi fa pensare che ti sia messa a ragionare. Fatti le ossa, novellina, ne hai di strada da fare!” la canzonò il suo principale prima di riattaccarle il telefono in faccia.

La ragazza lanciò il cordless alle sue spalle, sul letto, e sospirò rumorosamente con una mano tra i capelli.
Non le ci voleva.

Greg l’aveva obbligata a realizzare un servizio a suo dire inutile e di poca visibilità su un locale che avrebbero inaugurato quella sera con una sorta di festa in maschera ed un mini concorso dal sapore vagamente infantile per i suoi gusti.
Avrebbe dovuto fotografare, prendere appunti, pensare a quali zuccherosi termini elogiativi ed ipocriti usare per recensire quella stupida discoteca, e non ne aveva nessuna voglia, non in quel periodo.
Harry stava ricominciando a parlarle, anche se solo via messaggio, pochi sms dal tono neutrale, e lei stava continuando a battere il ferro con Danny: ogni tanto gli scriveva, usando sempre gli sms, e gli dava il buongiorno o la buonanotte, oppure gli chiedeva come stava, senza mai sbilanciarsi oltre, e lui rispondeva sempre.

“Calmati, Cassie, calmati…” sussurrò a se stessa alzandosi e andando verso l’armadio per cercare un vestito decente in vista di quella che per lei sarebbe sicuramente stata una noiosissima serata.
“Fai un paio di foto, inventi due stronzate… e riparti da dove ti eri fermata…”

Dopo la stizza iniziale si calmò e tornò a sedersi alla scrivania, davanti al pc che mostrava il suo articolo ormai quasi completo.

Qualche congettura, alcuni piccoli dettagli gonfiati qua e là, e infine il suo tocco personale: parole ricolme di sarcasmo mascherato da pungente ma semplice ironia.
Adorava esprimersi in quel modo, con quello stile tutto suo che, sì, prendeva a modello dei pionieri del giornalismo che avevano tutta la sua ammirazione, ma che in definitiva rispecchiava lei, la sua personalità, la sua tempra di “scribacchiatrice”, come la definiva ogni tanto Greg quando voleva prenderla bonariamente in giro.

Mancava solo il dettaglio fondamentale, la parte più succulenta da leggere, quella che le avrebbe assicurato una promozione nel suo piccolo angolo del gossip.

Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e spedì un sms…

“Ciao Danny! Va tutto bene? Di recente ho incontrato Clarissa in giro, sembrava un po’ giù…”

Mentì spudoratamente, non era vero che aveva “incontrato” Clarissa.
L’aveva seguita, questo sì.
Aveva seguito lei ed il suo amichetto francese.
Stava cominciando a perdere la pazienza, tra i due sembrava non esserci niente di più che un’affettuosa amicizia, eppure doveva pur fare un passo falso quella ragazzina.
Se non lo avrebbe fatto lei… allora sarebbe stato Danny a farlo.
Occorreva solo uno “sgambetto”, indurlo a “sbagliare”…

Cassie sorrise rinfrancata: sarebbe tutto andato a suo favore in ogni caso, a prescindere da chiunque si sarebbe mosso per primo.
Se Clarissa avrebbe finito per tradirlo… e se lei ne avrebbe ricavato le prove…
O se Danny l’avrebbe preceduta tradendola con lei, la compagnona pentita, l’amica vicina e premurosa…

“Leviamoci questa palla di serata di torno!” esclamò con determinazione, rivolta a se stessa “Prima arriva domani, prima potrò tornare a cose più importanti…”

 

 

~~~

 

 

Danny rispose al messaggio di Cassie facendo il vago e affermando semplicemente che Clarissa era un po’ stanca per via del lavoro; lievemente stranito dal suo interesse per la fidanzata, tornò a suonare per scacciare via tutti i pensieri mentre la sua ragazza stava preparandosi in bagno da non sapeva più quanto tempo.
Non credeva che una festa in maschera l’avrebbe appassionata tanto, ma pensandoci bene non era poi così sorprendente la cosa, dato che per il matrimonio di Tom si era fatta un sacco di complessi solo per il vestito della cerimonia… E poi con lei ci sarebbe stata Anne, che lui conosceva poco, ma abbastanza per intuire quanto amasse fare la femmina scrupolosa e pignola in certe occasioni, decisamente più di Clarissa, che si era lasciata contagiare a sua volta.

Dopo due bozze di canzoni adattate con calma e pazienza ai testi che Tom gli aveva fornito, una mezza dozzina di sigarette ed un film visto in DVD per la seconda o terza volta, Clarissa finalmente scese al piano terra; portava ancora la tuta, ma si era sistemata i capelli in uno chignon da cui cadevano alcuni boccoli, decorato con un fiore posizionato lateralmente. Era persino truccata di tutto punto, sembrava una bambola di porcellana con le guance rosse e piene.

“Allora sei sempre viva!” scherzò alzandosi dal divano mentre lei si avviava in cucina.
La sentì reagire con una lieve risata e la raggiunse per vederla indaffarata ai fornelli, anche se erano appena la sette.
“Fatti vedere, dài, qual è il risultato di tutte quelle ore in bagno?” la incitò lui con un dito sotto il suo mento.
“No, dài, non sono ancora pronta…” resistette la ragazza per poi ritrarsi e abbassare ancora di più lo sguardo mentre armeggiava con una scatola di riso.
“E se te lo chiedo per favore?” insistette l’altro, mantenendo il suo sorriso curioso.
Clarissa sbuffò e alzò gli occhi un po’ di malavoglia, arricciando le labbra indispettita.
Danny allargò il proprio sorriso accarezzandole una guancia con il dorso della mano.

I capelli sollevati in quell’acconciatura avevano ancora i leggeri riflessi rossi un po’ sbiaditi dopo che aveva scelto di non tingersi più la chioma; il fiore rosa metteva in risalto quel colore così particolare, gli conferiva un’aria aggraziata e piena di calore.
Gli occhi della sua fidanzata viaggiavano a disagio in giro per tutta la stanza, ma lui non ne era infastidito, anzi, gli piaceva guardarla sbattere le palpebre illuminate dai colori iridescenti dell’ombretto rosato che sfociava nel marrone agli angoli più esterni, per non parlare delle ciglia allungate dal mascara.

“Sono contento che stasera ci sia Anne con te…” le sussurrò maliziosamente “Scaraventerà lontano qualunque ragazzo ti si avvicinerà, e sono sicuro che saranno molti… Sei bellissima…”
“… Sì…” fu la replica di lei, che si lasciò sfiorare la guancia ancora per qualche istante prima di tornare al suo daffare con ancora più fretta di prima addosso “Hai fame? Pensavo di fare il risotto con i funghi…”
“Buono! Vuoi una mano? Voglio rendermi utile, non so cosa fare!”
“Bé, potresti… affettare i funghi. Io preparo il brodo…”
“Va bene, principessa cuoca!” asserì il chitarrista prima di darle un bacio su una tempia e mettersi alla ricerca dei funghi tra le mensole della cucina.
Clarissa sorrise arrossendo e le vennero gli occhi lucidi… Subito li chiuse per un istante, decisa a ricacciare indietro le lacrime.

Avrebbe tanto voluto non mentirgli.
Ma quella era la sua serata. La voleva vivere a pieno, senza la sua gelosia o le proprie paranoie mescolate ad improbabili sensi di colpa.
Aveva tutto sotto controllo: quattro salti, una bevuta gratis, un po’ di sane risate con Daniel e l’atmosfera da sogno che sperava di godersi in attesa dell’alba che avrebbe voluto guardare con lui.

 


A causa di un errore di Clarissa, che per sbaglio aveva zuccherato il riso invece di salarlo, la cena fu servita solo un quarto alle nove.
La ragazza era arrabbiata con se stessa e si lamentava di avere sempre la testa tra le nuvole; Danny, dal canto suo, prendeva le sue difese e la rassicurava affermando che mangiare più tardi del solito non era un problema, dato che comunque lui non aveva programmi per quella sera e lei aveva sempre molto tempo per arrivare puntuale all’appuntamento davanti al locale, alle dieci.
“L’ho anche preparato in fretta, sarà venuta una schifezza collosa…” sentenziò lei guardando schifata nella pentola in cui il riso stava finendo di cuocere.
Danny aggiunse mezzo bicchiere d’acqua e ribatté sereno: “Sarà buonissimo, non ti preoccupare! Ancora un minuto e ci facciamo una bella mangiata…”

 E in effetti il riso risultò essere buono, con gran sollievo di lei ed un divertito “Te l’avevo detto!” di lui. Il chitarrista notò però con aria leggermente spiazzata che la sua ragazza stava ingollando il risotto voracemente ed in fretta, alternando i bocconi a dei lunghi sorsi d’acqua.

“Amore, arriverai in tempo… sono a malapena le nove e dieci…” le disse.
L’altra ribadì con la bocca piena: “Devo ancora mettere il vestito e sistemarmi a dovere il trucco…”
“Ma se sei a posto così!” si oppose ridacchiando lui.
“No che non sono a posto! Sento anche i capelli che stanno venendo giù, porca puttana, devo correre, altrimenti…”
“Non ti faranno entrare nel locale perché avevi la carrozza lenta?” la schernì ancora il ragazzo.
“… Anne è una puntuale! E anche io devo essere puntuale!” fu la replica finale della fidanzata, che finì di spolverare il suo piatto.
A Danny non rimase che scuotere la testa con un sorriso ironico…
“Un giorno vi rinchiuderanno in qualche oscuro antro del reparto neurologico, me lo sento!”
Lei lo ignorò del tutto e si alzò praticamente di scatto dalla sedia per prendere le proprie stoviglie e poggiarle vicino al lavello.
“Ti dispiace lavare tu i piatti stasera? Ho paura di non fare in tempo a…”
“Vatti a preparare, Cenerentola, per oggi hai casalingato abbastanza… No?” la liquidò il ragazzo attirandola a sé da seduto.
Clarissa gli sorrise grata e lo lasciò con un bacio a schiocco sui capelli prima di saltare via verso le scale.

 

 
Non aveva voluto disturbarla, così dopo aver sparecchiato si era perso nella tormentosa ricerca delle capsule per la lavastoviglie senza domandarle dove diavolo le avesse messe, salvo poi trovarle in una mensola sopra il frigorifero, insieme ai guanti di gomma e alle spugne verdi e gialle.
Quando ebbe finito con le pulizie lo sguardo gli cadde sull’orologio appeso al muro della cucina: mancavano venti minuti alle dieci. Non fece neanche in tempo a pensare se fosse pronta o meno che la sentì scendere.

Gli ricordò vagamente quelle principesse che nei cartoni animati correvano nel bosco o lungo i corridoi di un castello, impaurite nonostante tutto il loro coraggio mentre fuggivano da un mostro spaventoso o da uno stregone maligno.
La gonna tenuta sollevata sopra le caviglie con entrambe le mani, il fiato corto, gli occhi che cercavano una via d’uscita, i bei capelli che oscillavano ad ogni movimento, le scarpe con il tacco che rintoccavano seccamente sul pavimento.
Solo che la sua principessa era l’unica al mondo a portare un impermeabile legato in vita sopra l’abito, insieme ad una borsetta piena di paillettes dorate che luccicava impazzita mentre ondeggiava sostenuta dalla fine tracolla, insieme ad un'altra borsa più grande, da viaggio, con dentro un cambio.

“Ho preso tutto? Le chiavi… sì…Telefono, soldi… sì…” la sentì fare mente locale mentre le si avvicinava con aria ammirata, quasi estasiata.
“Hai controllato la borsa prima di cena… Non ti dimentichi niente…” le ricordò premuroso mettendole le mani sulle spalle “Sei bellissima…”
“Gr-grazie…” balbettò lei con un sorriso imbarazzato ed una carezza sul suo viso “Adesso… sono pronta e…”
“Devi andare, sì” la anticipò l’altro sorridendole “Sei sicura che non vuoi che ti accompagni?”
“Certo, non preoccuparti, è meglio che vada da sola con la mia macchina, così se facciamo davvero l’alba… torno senza doverti disturbare!”
“Ma non mi disturberesti…”
“No, dico davvero, vado da sola, ti prego, ho una fretta del diavolo e-“
“Ok, ok, ho capito! Zuccona!” rise il chitarrista per poi baciarla delicatamente sulle labbra “Divertitevi, salutami la pazzoide della tua amica e… tornate a casa intere, d’accordo?”
Clarissa deglutì e sorrise forzatamente nel rispondere: “Sì… Va bene, te la saluto… Non aspettarmi sveglio, ci vediamo quando torno… Ciao…”
“Ciao, fai la brava…”
Prima che lei si chiudesse la porta alle spalle gli sorrise di nuovo velocemente e lui la ricambiò.

I suoi “Ti amo” ultimamente la mettevano a disagio, lo aveva capito, dunque aveva pensato di non dirlo per un po’, sperando che un giorno sarebbe stata lei a tornare a dirglielo.
Giustamente, teneva a quei particolari che solo apparentemente non pesavano sul loro rapporto… “Ti amo” era una grossa affermazione in realtà, entrambi lo sapevano, perciò non se lo dicevano di continuo, soprattutto quando magari usavano un tono distratto nell’affermarlo.
La sua fidanzata stava superando una crisi come meglio poteva. Lui stava cercando di aiutarla. Se ne sarebbero usciti entrambi, sarebbero tornati a dirselo più di prima e anche con più convinzione, ne era certo.

Stava per andare al piano superiore, davanti al pc, quando il telefono di casa squillò: era Tom.

“Ciao, Jones!”
“Ehilà! Che si dice da quelle parti?”
“Niente di che, ho Marvin sulla pancia, sta dormendo come un ghiro e mi sta tenendo lo stomaco in caldo! Ti ho chiamato per sentire a che punto sei con le canzoni!”
“Io sono a buon punto, direi… Oggi ci ho passato mezza giornata sopra! Perché?”
“Ho sentito Harry e Doug, anche loro sono ben messi al riguardo, c’è solo Judd che ha qualche perplessità su dei passaggi e… mi domandavo se domani potevamo venire da te a discuterne…”
“Per me non ci sono problemi! Ma quando dovreste venire?”
“Ti va bene in mattinata? Così se giungiamo ad una conclusione decente potremmo trovare del tempo per registrare dei demo…”
“Perfetto! Per che ora vi aspetto?”
“Facciamo le dieci, ok? Sai, per Poynter alle nove è sempre l’alba…”
“Povero bambino!” esclamò Danny ridacchiando “Va bene, allora ci vediamo domattina!”
“A domani, buonanotte!”
“Ciao…”

 

 

~~~

Arrivò puntualissima e se ne accorse solo dopo aver posteggiato la sua utilitaria nel parcheggio vicino al locale che già sembrava essere piuttosto gremito, a giudicare dalla corposa fila di persone che stavano aspettando di entrare, tutte agghindate e vestite come se si stesse tenendo un ricevimento alla reggia di Versailles.

Scese dalla macchina e chiamò immediatamente Daniel, sperando che non fosse in ritardo.
Rispose al terzo squillo.

“Clarissa?”
“Daniel, dove sei? Io sono arrivata adesso, sono al parcheggio…”
“Ciao! Io sono all’entrata, vienimi incontro, sono tra gli ultimi della fila…”
La ragazza cominciò ad incamminarsi ed intanto constatò preoccupata: “C’è una coda piuttosto lunga, sei sicuro che…?”
“Sì, è lunga ma scorre piuttosto velocemente!” la tranquillizzò il francese “Non farti problemi, io ti aspetto!”
“Aspetta, ma come sei vestito?”
Il ragazzo ridacchiò e rispose: “Sono il più bello di tutti, che domande! Ho una giacca nera, degli stivali e un mantello! Ciao!”
“Ma-“

Aveva riattaccato.
Rimase con il telefono nella mano, confusa, e continuò a camminare verso la fila…

 

Dopo aver allungato il collo in mezzo a tante teste acconciate o mascherate, finalmente lo scorse; non perse tempo e accelerò il passo per avvicinarlo e piazzarsi accanto a lui, tra le proteste di chi era dietro di loro.

“Dan!” lo chiamò afferrandogli il braccio.
Lui si voltò sorridendole ed esclamò: “Ce l’hai fatta!”
Subito la loro attenzione venne richiamata dalla gente che, vedendosi superare da Clarissa, aveva iniziato a brontolare e a inveire contro di lei; la ragazza si voltò imbarazzata come non mai e tentò senza successo di boccheggiare un paio di scuse, ma Daniel prese di petto la situazione ed esclamò rivolto alla piccola folla: “E’ la mia ragazza! Era andata in macchina a prendermi le sigarette, ci sono problemi?”
Istantaneamente non si sentì più un solo borbottio lamentoso, tutti fecero finta che il ragazzo non si fosse rivolto a loro e tornarono a farsi gli affari propri.
L’altra sorrise sollevata e disse: “Grazie, mi hai salvato da… un linciaggio, credo…”
“Prego, non c’è di che!” ribatté tranquillo lui “Sei pronta a scatenarti?”
“Non so quanto ci si può scatenare con il mio vestito…” ribadì perplessa la bionda “Spero che diano qualche ballo lento, almeno potrò ballare senza la paura di sentire qualcosa che si strappa!!! Hanno fatto miracoli per trasformare quest’abito, non vorrei mandare tutto all’aria!”
“Sembra un vestito molto carino, cappotto a parte che non mi fa vedere granché…” insinuò lo studente con una smorfia divertita davanti alla quale Clarissa rise per poi affermare: “Anche tu stai molto bene, mi piace il mantello! Il nero sta bene con tutto, di certo non risulteremo una brutta coppia per via dei colori…”
“Hai ragione! E comunque anche io spero che ci sarà qualche lento…”
La ragazza si voltò a fissarlo incuriosita e lui replicò sorridente: “Vestiti così sarebbe molto scenografico ballare un walzer piuttosto che agitarsi con la musica house! Faremmo bella figura al mini concorso!”
“Ti sei iscritto al mini concorso?!”
Daniel gettò indietro la testa e rise davanti all’espressione sbalordita dell’amica.
“Sì, l’ho fatto!” ammise divertito “E ho preso il cartellino con il numero anche per te! Siamo la coppia 54!”
“Daniel, ma io non so ballare!” contestò l’altra, cominciando ad agitarsi.
“Stai tranquilla!” intervenne il giovane, mettendole una mano attorno alle spalle e coprendole la schiena con parte del proprio mantello “Da bambino prendevo lezioni di ballo da sala, credo che qualcosa mi sia rimasto in testa… tutto al più potremmo ridere di noi stessi e dire che ci siamo divertiti!”
“… Sì… Gesù, sento che cadrò con il culo per terra dopo averti pestato i piedi…” ipotizzò lei, fingendosi angosciata mentre ridacchiava nervosamente.
Daniel scosse la testa e rise insieme a lei, avvicinandola un po’ di più a sé, finché la ragazza stessa non gli circondò la vita con un braccio.

 

Quaranta minuti più tardi Clarissa si stava godendo il suo primo cocktail offerto dalla casa, condividendo la cannuccia con Daniel e facendo ondeggiare il busto a tempo di musica, fortunatamente per loro non un pezzo house, ma una semplice canzone dance, un tormentone di dieci anni prima che entrambi si ricordavano e apprezzavano.
Lo scenario era bellissimo in quella ampia stanza illuminata di tutti i colori, addobbata come se fosse un castello e piena di gente vestita pomposamente, come prevedeva il tema; in confronto lei si sentiva quasi insignificante, ma Daniel le aveva fatto molti complimenti per i quali era piacevolmente arrossita… Si stava rilassando, la testa era piena di musica e il suo sorriso non si era mai spento.
“Perché non balliamo un po’?” la invitò il ragazzo ad un certo punto, vedendo che il cocktail era finito.
La ragazza esitò per qualche istante, ma alla fine rispose di sì ed insieme raggiunsero la pista per poi cominciare ad accennare qualche passo di danza con aria divertita…

 

 

“E’ libero qui?”
“Sì, accomodati!”
“Grazie…”
“Anche tu qui per il concorso?”
“Sì, anche per quello… Devo fare una recensione per il quotidiano locale…”
“Io devo scattare due foto e intervistare i padroni del posto… Piacere, Walter…”
“Io sono Cassie, ciao…”
“Quanti anni hai, Cassie?”
“Ventisette…”
“Sei molto carina…”
“Grazie!”
“Posso offrirti qualcosa al bar mentre aspettiamo che inizi il concorso?”
“No, ti ringrazio…”
“Sicura? Non fare complimenti…”
“Walter, no. Ti ringrazio davvero, ma no. Sono interessata a un tipo che è molto più cazzuto, muscoloso, capelluto e giovane di te! Ti dispiace?”

L’anonimo reporter lasciò immediatamente il suo posto accanto a Cassie, borbottando “Puttana” e guadagnandosi un’ultima occhiataccia della ragazza prima di sparire definitivamente dalla sua vista.
“Povero idiota…” brontolò a sua volta scuotendo il capo mentre sistemava la sua macchina fotografica per scattare delle fotografie decenti; il concorso sarebbe iniziato nel giro di un’ora e lei non vedeva l’ora che fosse già finito; per essere lì da solo mezz’ora aveva già annotato abbastanza cretinate sul suo taccuino, elogiando il buffet, le bevande, il servizio al bar, l’arredamento pacchiano, tutti gli sfigati travestiti che erano accorsi per ballare commercialate sentite e risentite…

“Benvenuti a questa fantastica inaugurazione, signore e signori!” tuonò una voce da un microfono in tutta la sala. La folla intera si voltò verso la consolle del DJ per scorgere il proprietario della discoteca; Clarissa smise di prendere lezioni improvvisate di walzer da Daniel per applaudire come tutti.
“E’ una fantastica serata, voi tutti sembrate avere dei costumi stupendi e in linea con la nostra festa a tema, ma solo una tra le coppie iscritte al nostro concorso vincerà stasera per i costumi più belli! Siete dunque pregati di fare spazio nella pista da ballo e di attendere le informazioni dei nostri PR che a breve raggiungeranno le coppie che mostreranno i loro numeri d’iscrizione! Bando alle ciance, diamo inizio alla gara!”
La musica ricominciò e i due ragazzi applicarono sui vestiti l’adesivo del numero 54, come previsto; Clarissa era nervosa ed elettrizzata all’idea di partecipare ad un concorso, anche se non sapeva cosa sarebbe successo, né se e cosa avrebbero vinto lei e Daniel, che appoggiava il suo entusiasmo mentre tornava ad insegnarle alcuni passi di balli da sala.

 

Cassie si alzò e impugnò decisa la macchina fotografica per poi mettere a fuoco il centro della sala; con l’occhio concentrato dentro all’obbiettivo per poco non credette di avere le traveggole.
Clarissa. Il suo amico. Pochi metri sotto di lei, alla sua destra. Chiacchieravano e accennavano passi di danza sotto i suoi occhi.
Ridevano, intrecciavano le mani, si stringevano l’uno contro l’altra.
La reporter sorrise maligna e cominciò a scattare qualche fotografia senza dare nell’occhio.

Clarissa che sorrideva al francesino.
Clarissa che appoggiava le mani sulle spalle del francesino.
Clarissa e il francesino che si abbracciavano scoppiando a ridere.
Clarissa che guardava negli occhi il francesino.

Non avrebbe mai potuto chiedere di meglio dalla Dea Fortuna.

 

 

“Salve, ragazzi, posso sapere i vostri nomi?”
“Clarissa, Clarissa Thompson…”
“Daniel Coupries!”

Una ragazza sconosciuta vestita da gran dama annotò i nomitativi e li informò: “Le coppie partecipanti sono sessanta. Ci sarà per prima cosa una sfilata sulla passerella in fondo alla sala. La giuria vi voterà e a seconda del verdetto che riceverete potrete passare alle semifinali, che consistono in una piccola gara di ballo, un lento o un brano dance a seconda del gusto del DJ. Anche in quel caso ci sarà la stessa giuria a votarvi e se sarete fortunati potrete passare alla prova finale, che è quella più divertente perché è una gara di karaoke! Chi vince anche quella ha vinto il concorso e si aggiudica i prossimi cinque ingressi gratuiti validi per una persona a testa. Tutto chiaro, avete delle domande?”
“No, tutto chiaro, grazie mille” la congedò Daniel sicuro.
Quando la dama se ne fu andata, Clarissa esclamò eccitata: “Sarà una cosa fichissima, ma continuo a vedermi col culo per terra, o sulla passerella o sulla pista da ballo!”
“Sei troppo pessimista,
mademoiselle” la canzonò benevolmente il ragazzo, poggiando platealmente le mani sul panciotto di satin bianco e dorato “Vieni, cominciamo ad andare verso la passerella e divertiamoci, non è quella la cosa più importante?”
“Non ho mai sfilato, sai? Non ho neanche mai assistito ad una sfilata!”
“Sul serio? Danny non ti ci ha mai portata? Che ne so, durante una gita a Parigi magari!”

“Oh, sì, siamo stati un week end a Parigi qualche mese fa, ed è stato anche durante la settimana della moda per quanto mi ricordi, ma… siamo stati in giro per negozi!”

“Che spreco, lascia che te lo dica! La prossima volta che vorrai tornarci ti farò io da guida!”

Merci, garçon!” ribatté lei nella sua lingua, facendolo sorridere pieno di sorpresa.
“Stai imparando, brava!” si complimentò facendole l’occhiolino e provocando un lieve rossore sulle sue guance.

 

 

Cassie iniziò a scrivere freneticamente sul proprio block notes, sistemandosi ogni tanto un ciuffo di capelli che si ostinava a ostruirle la vista.
Scrisse, scrisse e scrisse fino all’inizio vero e proprio del concorso, poi tornò a scattare fotografie con il cuore che le batteva a mille per la gioia.
Amava il suo lavoro.

 

 

La coppia camminò con passo leggero e un paio di modesti sorrisi sino alla cima della passerella, poi tornò indietro, ma prima Daniel fece compiere a Clarissa un lento giro su se stessa che strappò un applauso al pubblico.
Lei era piuttosto scettica, credeva che non avrebbero mai superato il turno e attribuiva la colpa a se stessa per non aver sfilato a dovere, abbagliata dalle luci stroboscopiche e forse anche da qualche fotografo di cui stava cercando di non preoccuparsi.
E invece lei e Daniel passarono il turno, un membro della giuria si complimentò proprio con Clarissa per la semplice eleganza del suo abito e per la sontuosa imponenza di quello del suo accompagnatore.

“Sei stato grande, hai fatto decisamente colpo!” gli disse la bionda abbracciandolo contenta.
“E tu sei stata meravigliosa, Claire, dico davvero!” ricambiò il ragazzo stringendola a sé con affetto.
“Credevo che sarei caduta!”
“Sei stata formidabile, non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso…” le disse ancora lui, staccandosi dall’abbraccio per guardarla negli occhi e sorridere dolcemente.
L’altra lo imitò, seppur vagamente impacciata, e ribadì timidamente: “Grazie, sei gentile…”
“Andiamo adesso, che ne dici? Ci aspetta la prova più bella!”
“Oddio, voglio morire… La gara di ballo!”
“Niente panico! Ti sai muovere, vedrai che andrà tutto bene!”
“No, no, io… mi tremano le gambe!” si oppose la ragazza con una risata agitata.
Daniel le propose immediatamente: “Abbiamo ancora qualche minuto, perché non ci beviamo una cosa? Facciamo un paio di shottini veloci?”
“Shottini…? Non lo so, Dan, io non vorrei agitarmi ancora di più…” esitò la sua amica, fissandolo preoccupata.
“Ti prendi troppo sul serio! Sono solo due bicchierini!” la liquidò lui prima di prenderla per mano e trascinarla verso il bar.


La sua espressione era uguale a quella impressa sul suo viso la sera in cui le vomitò sulle scarpe: ebete, solo molto più sorridente rispetto alla serata passata con i suoi amici e con Danny.
Si divertiva a trovarla assolutamente stupida nel suo voler bere pur non sapendo reggere neanche una goccia di alcool.
Le scattò una decina di foto mentre ingollava un paio di shot, probabilmente rum e pera, insieme al suo cavaliere senza macchia e senza paura, forse anche senza scrupoli, e rise insieme a lei, che forse stava apprezzando la conversazione con l’amichetto.
Il suo ghigno però era più famelico, pieno di soddisfazione.
Ci sarebbe voluto qualche giorno per smaltire tutto quel materiale, selezionarlo e farlo pubblicare, ma di sicuro ne sarebbe valsa la pena.
Cassie fece svanire il suo sorriso gradualmente al pensiero che ancora non c’erano prove inequivocabili di un bel paio di corna, ma non si scoraggiò e decise di attendere fino alla fine della serata, anzi, di andare anche oltre, di tampinarli, di controllare dove sarebbero andati… Ognuno a casa propria o insieme in un motel? Era proprio curiosa di saperlo, ma soprattutto di catturare un momento del genere…

 

 
Per la gara di ballo le coppie furono sistemate in cerchio sulla pista ; tutti erano stati informati circa lo svolgimento della competizione: il DJ avrebbe esordito con un rock ‘n’ roll, per poi sfumare in una ballata e infine in un pezzo dance. Durante il ballo i membri della giuria avrebbero ispezionato le varie coreografie per poi giudicare le migliori nel giro di qualche minuto dopo la fine della musica.
Clarissa appariva rilassata e estasiata all’idea di fare quattro salti, stringeva la mano a Daniel e rideva ad ogni sua battuta incoraggiante mentre il ragazzo, dal canto suo, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso e aveva praticamente dimenticato il suo status di fidanzata, peraltro di un cantante famoso, anche se per lui Danny Jones non era proprio nessuno. Era determinato sul da farsi, aveva a lungo progettato le proprie intenzioni con lei, non poteva chiedere di meglio di una Clarissa tanto ben disposta.

 
Il suono di una chitarra elettrica dalle corde vissute e sporcate da amplificatori degli anni ’60 li fece muovere quasi come se avessero preso la scossa: la gente cominciò a ballare, le gonne iniziarono a frusciare e i pantaloni a sollevarsi, mostrando le caviglie.
Clarissa osservò per un istante una coppia vicina che stava ballando davvero bene, così provo a imitare i passi della ragazza: afferrò la mano di Daniel, tese il braccio per poi tornare verso di lui con una piroetta che le fece temere una caduta, cosa che non accadde solo perché il suo partner si dimostrò prontissimo nell’agguantarla per i fianchi e assecondare i suoi passi con un sorriso malizioso che la ragazza si ritrovò a ricambiare senza che se ne rendesse quasi conto.
Le sembrava di rivivere una famosa scena del musical “Grease”, quella dove al ballo della scuola la band attaccava con il rock e tutti gli studenti impazzivano nella grande palestra del liceo.
Un tempo si sarebbe data della ridicola al solo pensiero di poter pensare di rivivere una cosa del genere, ma in quel momento realizzò di non avere alcun pensiero, anzi, di essere totalmente alla mercé della bella musica, della sua testa leggera e delle mosse di Daniel, che la stava accompagnando divinamente, come un novello John Travolta.

 
Dopo tre minuti che passarono come trenta secondi il DJ scretchò sui vinili, la folla si fermò improvvisamente… dopodiché, a due a due, ogni coppia si fuse in un solo corpo pronto a danzare sulle note di una celebre ballata di cui Clarissa non riusciva a ricordare il titolo, poteva solo riconoscerne l’autore, George Michael.
“Mia madre adora questa canzone!” esclamò Daniel attirandola vicino a sé.
“Come si intitola? Non me lo ricordo più!” fece lei.
“Ma come?! E’ un classico! Careless whispers!”
“Aaah, sì, è vero! È che mi gira un po’ la testa e…”
“Ti arrampichi sugli specchi per non confessare che non conosci gli anni ottanta!” la prese in giro l’amico prima di farle fare un giro su se stessa; la ragazza rise divertita e lo liquidò con una linguaccia prima di ritornare appoggiata al suo torace, con il fiatone a causa del ballo precedente, ma ancora piena di energie.
Il giovane abbassò lo sguardo sul suo capo e disse a voce abbastanza alta per permetterle di sentirlo sopra la canzone: “Ti stai divertendo? Io sì, è una delle serate più belle di tutta la mia vita…”
L’altra alzò lo sguardo, meravigliata, e lo fissò senza parlare.
C’est vrai” ribadì semplicemente il francese con un intenso sorriso.

 

Il suo flash si confuse in mezzo a quelli di altre macchine fotografiche, tutte impegnate a imprigionare una stupida gara con in palio uno stupido premio; non invidiava affatto nessuno dei partecipanti, si limitava a scuotere la testa con l’aria di chi compatisce l’umanità con freddezza mentre cercava costantemente con il proprio obbiettivo l’unica coppia che a lei interessava…
Erano piuttosto in disparte, ma decisamente presi da quel lento strappalacrime: la mano destra di lei intrecciata alla sinistra di lui… e la destra del francesino se ne stava ben salda sul suo vitino anoressico avvolgendolo quasi del tutto, tanto era striminzito…
Forse stavano parlando, non avrebbe saputo dirlo con precisione, ma non stavano andando a tempo e apparivano estraniati dal resto del gruppo, quasi certamente non era alla canzone che stavano pensando.

 

Clarissa arrossì violentemente abbassando gli occhi e confermò con il cuore a mille: “E’ una bella serata anche per me… Molto bella…”
“Allora ne è valsa la pena stressarti tutto questo tempo per venire qui…” insinuò il ragazzo avvicinandosi ancora di più con la scusa di farsi sentire.
L’amica e collega ridacchiò timidamente e annuì prima di tornare a guardarlo senza dire una parola.
Daniel aggrottò le sopracciglia con fare ironico e chiese: “Che cosa c’è? Ti sto pestando i piedi e non me ne sto accorgendo? Ti senti poco bene?”
“No, sto benissimo!” rispose subito l’altra, prendendo un bel respiro prima di continuare: “E’ che… non ricordo di aver mai passato del tempo così, a ballare, a divertirmi come ho sempre voluto… Voglio dire, neanche immaginavo che un giorno avrei fatto parte di una scenetta del genere, sai… tipo ballo di fine liceo nei film americani!”
Lo vide ridere davanti alla sua confessione e assunse un’aria vagamente perplessa, però le sue parole la fecero ricredere…
“Rido perché ho… ho pensato la stessa identica cosa! Io e te qui, vestiti come nobili di altri tempi, a ballare come due studenti innamorati! Ho temuto fino all’ultimo che avresti rifiutato di venire alla festa con me proprio per questo motivo, ma… ora so che non è così e mi sento da dio… All’inizio sembrava quasi che dovessi chiederti un favore, ma adesso… penso che le cose siano cambiate…”
La ragazza si morse ansiosamente il labbro inferiore e percepì la sua stretta più forte sul proprio girovita.
Le stava esplodendo il cuore nel petto, non riusciva a sentire i propri pensieri in mezzo a tutta quella confusione: la musica, la gente, gli occhi di lui, i battiti accelerati, le sembrava di avere un tornado nel cervello, un tornado che stava stravolgendo ogni cosa al suo passaggio.

“… Bingo.”

Cassie scattò. E sorrise gioiosa.
Ce l’aveva fatta. O meglio… loro ce l’avevano fatta, finalmente, se la si voleva vedere così.
Attivò il multiscatto per avere più fotogrammi di quel lunghissimo momento, il suo momento di gloria, e quando il flash ebbe finito di lampeggiare sopra le loro teste corse a controllare il risultato.
Un bacio lungo, intenso, zoomato, carico di una voglia repressa che le ricordò vagamente alcuni baci filmici in stile “Via col vento”.
Clarissa era praticamente persa tra le braccia del suo partner, che la avvolgeva come una piovra mentre le ficcava la lingua in gola; lei, più bassa di lui, a malapena riusciva ad accarezzargli i capelli, ma era evidente che se avesse potuto… gli avrebbe gettato le braccia al collo.
La reporter accentuò il suo sorriso davanti ad una delle fotografie: il multiscatto aveva catturato un’immagine piuttosto netta di due lingue che, lasciate semi-scoperte dalle labbra, stavano facendo conoscenza.
“Danny Danny…” mormorò sorridente tra sé e sé, gli occhi fissi sullo schermo “Questo è solo l’inizio…”

 

 

“Perdonami. L’ho fatto senza pensare. O almeno ci avevo pensato ma…”
“…”
“Volevo farlo da così tanto tempo…”
“… Davvero?”

Si guardarono stupiti, le labbra arrossate ed i visi in fiamme.
Clarissa non volle staccarsi da lui, restò con le mani sul suo torace coperto dalla giacca e deglutì con grande sforzo, aspettando.
“… Sì. Mi sei sempre piaciuta, Claire” confessò Daniel, sollevando una mano dalla sua vita per accarezzarle una guancia “Sei la ragazza più carina, dolce e comprensiva che io abbia mai conosciuto…”

E la tua fidanzata?

Per un momento l’attenzione della bionda fu catturata dal pensiero di quella ragazza sconosciuta, magari bella e gentile, che in Francia stava aspettando il ritorno di Daniel.
Prima che potesse continuare a pensare, lui premette di nuovo le labbra sulle sue e una vampata di calore la fece sospirare e stringere un lembo del suo mantello nero.
Si sentì divorata da quel bacio. Inarcò la schiena per stringersi ancora di più al ragazzo.

 
La gara di ballo stava per giungere al termine: il DJ stava facendo sussultare le casse con il pezzo dance e tutti stavano lanciando grida di approvazione nell’aria mentre le coppie si stavano pian piano distaccando per muoversi liberamente in pista.
Clarissa e Daniel rimasero immobili finché la ragazza non lo strattonò vicino ad un tavolo del buffet quasi spoglio.

“Claire… La gara…” le ricordò lui con aria stupita.
“Non me ne importa più niente!” ribatté l’altra, lapidaria e con il fiato corto “Voglio andare via…”
“Vuoi… vuoi andare via?” fece eco il suo accompagnatore, confuso.
“Dan, portami a casa tua, ti prego” disse lei tutto d’un fiato “Non voglio tornare, non stanotte, ti supplico, voglio… voglio stare con te e… e…”
Daniel mascherò abilmente un ghigno soddisfatto con un sorriso sorpreso e intervenne dicendo: “Va bene, va bene… tutto quello che vuoi! Hai la macchina?”
“E’ qua fuori, nel parcheggio. Andiamo, adesso.”

Estratte le chiavi dell’auto dalla borsetta, Clarissa prese Daniel per mano e insieme andarono verso l’uscita con passo spedito.

Cassie riuscì a scorgerli appena in tempo e con la macchina fotografica ben salda intorno al collo si precipitò giù per le scale così da poterli seguire: anche lei era venuta alla festa con la propria macchina, e comunque non aveva certo intenzione di restare a quella palla di festa ancora per molto.

 
“Dove devo andare?”
“Sto a un quarto d’ora da qui, gira a destra e poi tutto a dritto per…non so, cinquecento metri, più o meno…”
“Ok… Parto…”

Si sforzò di non sorridere davanti al suo petto ansante che metteva in risalto il seno leggermente pressato nel corpetto dell’abito, e tenne d’occhio la strada per darle indicazioni.
Non si sarebbe mai aspettato quel tipo d’iniziativa da parte sua, ma del resto non poteva che esserne contento e si limitò a tenere lo sguardo dritto davanti a sé, tronfio nella consapevolezza che di lì a pochi minuti quel bel vestito sarebbe volato via, come tutto il resto.

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Capitolo 15
*** This is goodbye ***


clarissa Buona neve a tutti! Tranne che a me, logicamente, dato che io odio la neve, specie quella degli ultimi giorni che ha causato diversi sbalzi di corrente in casa mia, impedendomi di lavorare decentemente al computer! Fortunatamente adesso sta piovendo, confido che tutta la robaccia bianca si sciolga entro domani!

Ecco a voi finalmente... i "cocci" della bomba esplosa nel capitolo precedente. Ci siete rimasti male per caso? Non ho visto neanche una recensione... Spero che non siate arrabbiati con me :) Da questo capitolo inizia ufficialmente la seconda parte della storia! Mi auguro che ne appreziate il primo stralcio, fatemelo sapere!

Un grosso abbraccio da CIRY e...BUONE FESTE!!!!


***



I sensi di colpa avevano cominciato a morderla nel sonno, agitato e altalenante.

Era cosciente di ciò che aveva fatto: ricordava tutto, sapeva tutto.
Perciò quando aprì gli occhi, definitivamente sveglia, desiderò di essere dentro ad un incubo.
Ma così non era.

Era pieno giorno, le finestre spalancate mostravano un cielo piovoso, annuvolatosi da poco a giudicare dal sole che tentava ostinatamente di filtrare tra le nubi.
Si passò una mano sul viso mentre tentava di rialzarsi, coperta dal lenzuolo e infreddolita dall’umidità che impregnava le pareti di quel minuscolo appartamento di cui solo in quel momento stava iniziando ad osservare i dettagli.
La camera- tipo di uno studente universitario: pochi poster, qualche fotografia attaccata all’armadio e allo specchio, una scrivania in disordine, i vestiti sulla sedia.
Il suo abito giaceva sgraziatamente sulla moquette, così come il fiore che aveva usato per la sua acconciatura, ormai ridotta ad uno chignon sgangherato.
Non sapeva che ore fossero: il cellulare aveva la batteria scarica e si era spento, al muro non c’era nessun orologio e lei non ne portava al polso.
Sospirò angosciata prima di alzarsi e solo allora notò che accanto a lei non c’era nessuno.
Forse Daniel se n’era andato, o semplicemente si era chiuso in bagno.

Voleva farsi una doccia e tentare di dimenticare.
Voleva tornare a casa a tutti i costi.
Voleva abbracciare Danny con tutte le sue forze, piangere un po’ e non dirgli niente di quella sera.
Voleva insabbiare l’intera faccenda, come se niente fosse accaduto.
Voleva evitare di pensare a cosa sarebbe successo se solo lui avesse scoperto...

Il rumore di una porta che si apriva la fece sussultare.
“… Ehi. Ben svegliata…”

Soltanto il tono apatico con cui lo disse la ferì e confermò tutti i suoi pensieri.
Voleva andarsene.
Subito.


~~~


Cassie sbadigliò prima di sorseggiare il suo cappuccino in tazza grande da portar via.
Seria e composta al suo posto sulla metropolitana, controllò ancora una volta con discrezione le fotografie all’interno di una comune busta da lettere grande, al sicuro nella propria borsa.
Sorrise, al settimo cielo.
La luce non era delle migliori, ma i tratti dei volti si distinguevano chiaramente.
I due sorrisi più raggianti che avesse mai visto. E che avrebbero reso il suo ancora più euforico.
Sperò solo che niente avrebbe mandato all’aria il suo piano: voleva agire nel massimo riserbo e centrare il bersaglio.
Le sarebbero serviti solo dieci secondi, forse anche meno, da sola in quella strada. Il resto sarebbe venuto da sé.
Iniziò a ponderare distrattamente sulle parole che avrebbe usato per scaricare Harry senza troppi problemi, poi notò con fastidio l’ora sul suo telefonino.
Erano le dieci e mezza passate, la sua corsa aveva ritardato di un quarto d’ora.


~~~


“Io… devo andare…”
“… Ok!”
“Ci… ci vediamo in … negozio…”
“Certo! Oh, scusa, il telefono…”

Clarissa lasciò Daniel al suono del cellulare e ne approfittò per finire di vestirsi in tutta fretta, ricacciando il costume nella borsa e agganciando alla meglio una camicia a quadri sgualcita insieme ad un paio di jeans, il suo cambio insieme alle scarpe da ginnastica.
La sera precedente non avrebbe creduto di doverlo usare.
Mentre si stava sciogliendo i capelli per coprire un succhiotto sula lato destro del collo pensò che non avrebbe neanche dovuto mai prepararlo e portarselo dietro.
L’ansia accelerò l’attività dei suoi polmoni, facendole venire un inspiegabile fiatone; a pochi passi da lei, Daniel parlava al telefono in francese.
Non sapeva di cosa stesse parlando.
Ma le sue risatine e le occhiate che ogni tanto le lanciava non le lasciarono dubbi.
Bastò che lui le desse le spalle, girandosi su un fianco sopra il letto disfatto, a torso nudo, come se fosse in vacanza.
Corse fuori, imboccando le scale più velocemente che poteva, e subito dopo salì in macchina, incontrando i propri occhi nello specchietto retrovisore.
Faceva paura, ma non le importava.
“Devo andare a casa, devo andare a casa…” iniziò a bisbigliare con le dita premute sulle guance sporche di mascara colato.
Quando finalmente si ricordò quale strada percorrere per tornare da Danny, si mise in moto.
Dei lavori in corso che avevano creato una notevole coda di veicoli a metà strada la fecero angosciare ancora di più.


~~~


Mr. Danny Jones

Era tutto quello che c’era scritto sull’etichetta della busta, ovviamente in caratteri Times New Roman, nessuna calligrafia manuale che avrebbe sicuramente destato sospetti.
La buca delle lettere era grande a sufficienza per contenere la sua consegna.
Si guardò intorno con fare circospetto e notò in lontananza soltanto una vecchietta accompagnata da una ragazza, entrambe le davano le spalle e camminavano lentamente verso il centro del paese.
“Perfetto!” esclamò sottovoce prima di lanciare un’ultima occhiata verso la porta d’ingresso, a pochi passi di distanza.
Inspirò profondamente, assaporò un’ultima volta il silenzio della strada ed infine lasciò scivolare la busta nella buca delle lettere.
Un istante dopo se ne stava andando a passo accelerato per riuscire a prendere la prima metro disponibile.
Ferma per qualche secondo ad un passaggio pedonale con il semaforo rosso, scrisse un veloce sms a Danny…

Buongiorno Danny! Volevo solo chiederti se oggi pomeriggio sei libero per un caffè! È un po’ che non ci vediamo, colpa del lavoro ! Fammi sapere!


~~~


“Se la alziamo di mezzo tono è meglio…”
“Perché?”
“Così si può armonizzare più facilmente l’assolo… Che ne dite?”
“Per me va benissimo, non mi cambia niente!”
“Prima proviamola…”

Tom prese appunti sul suo block notes ricolmo di spartiti improvvisati e Danny si preparò ad eseguire l’assolo di una nuova demo insieme a Dougie; fu Harry ad interromperli ancor prima che iniziassero.
“Dan, il campanello. L’hai sentito?” domandò confuso, puntando lo sguardo verso il piano inferiore.
Il chitarrista restò in ascolto un istante prima di accertarsi della cosa, poi prese la via delle scale per verificare se avessero davvero suonato alla porta…
“Torno subito, mi sa che è Claire…”

“Il signor Jones?”
“Sì, buongiorno…”
“Salve, c’è da firmare per un pacco…”
“Subito… Firmo qui?”
“Sì sì, a sinistra…”

Il fattorino consegnò a Danny il pacchetto che aspettava, contenente una collezione rarissima di plettri.
“La ringrazio, arrivederci…”
“A lei… Ha della posta nella buca delle lettere, comunque…”
“Ah, grazie! Buongiorno!”

Per svuotare la buca dovette munirsi della chiave; ne uscirono alcuni depliant pubblicitari, una bolletta consegnata tre giorni prima che credeva sarebbe arrivata in ritardo… e una strana busta gialla con sopra solo il suo nome.
La fissò perplesso mentre rientrava in casa; sembrava contenere della carta.
“Dan! Ideona per l’assolo!” strepitò Tom dal piano di sopra.
“Arrivo!!!” gridò di rimando il suo amico, che salì con la busta in mano, curioso di aprirla.

“Cos’è? È roba nostra?”
“No, è solo… Non lo so cos’è, c’è scritto solo il mio nome…”
“Fai vedere…” s’incuriosì Dougie.
“Voglio aprirla io!” si oppose il chitarrista.
“E’ una bomba…” ipotizzò scherzosamente Harry.
“E’ una lettera di Babbo Natale, vuole dirti che quest’anno non riceverai nessun regalo…” lo prese in giro Tom.
“E’ la dichiarazione d’amore di un travestito!” esclamò il bassista.
“Sì, siete tutti davvero molto incoraggianti…” li liquidò Danny un istante prima di strappare via la striscia di carta.

“Foto?”
“Che foto?”
“Sono foto sconce?”
“Dan?”

Tom vide il sorriso del suo collega svanire gradualmente.
Il suo sguardo improvvisamente vitreo lo spaventò.
Lanciò una veloce occhiata preoccupata a Dougie e Harry, che però si limitarono a fissarlo perplessi.
“Dan, che…?” osò domandare, posando la chitarra.
L’altro non rispose.
Dougie mise da parte il suo basso e Harry si alzò al suo fianco.
“Che succede?” chiesero all’unisono.
Finalmente il chitarrista si decise a rispondere ai loro richiami, anche se con un solo sguardo.
Abbassò le fotografie e li scrutò, incredulo, sbigottito.
Era diventato improvvisamente pallido.
Tom, il più vicino a lui, fece per allungare un braccio e prendere le foto.
“Dan, ma cosa hai-“
Il ragazzo si ritirò bruscamente, facendo un passo indietro, ed esclamò a voce alta: “No!”
La reazione di Dougie fu immediata.
“Jones! Ma che cazzo…” intervenne, più stupito che seccato.
“Cosa sono, minacce? Roba minatoria?” si preoccupò Harry, tentando di avvicinarlo, ma Danny indietreggiò ancora senza dire una parola.
Tutti si guardarono spiazzati, chiedendosi silenziosamente cosa diamine stesse succedendo al loro collega.
Quando Tom tentò un altro approccio, iniziò dicendo: “Dan, perché non…?”.
Danny lo interruppe, lapidario.
“Mi ha tradito.”

Quella frase fece il giro della stanza, galleggiò per aria ed infine si abbatté sulle loro menti impreparate. Dougie strabuzzò gli occhi per primo, subito imitato da Tom. Harry scosse violentemente la testa e scattò in avanti per strappare le fotografie dalle mani di Danny, che però lo bruciò sul tempo lanciandole.
Le stampe volarono sul pavimento, colorate e inequivocabili.


~~~


Maledisse con tutto il cuore quei lavori in corso anche una volta che la sua utilitaria fu parcheggiata sotto casa.
Con il cuore che le batteva a mille cercò di darsi una veloce sistemata: passò una salvietta struccante sul viso, spalmò alla meglio del fondotinta sul succhiotto seminascosto dai capelli e si autoimpose la calma; le ci vollero dieci minuti buoni prima di poter uscire dall’auto con una faccia stanca ma credibile.
L’ansia contenuta a fatica non le fece notare le auto dei ragazzi parcheggiate a pochi metri dalla casa, quindi non si preoccupò di salutare nessuno una volta varcata la soglia dell’appartamento, anzi, attribuì il silenzio al fatto che Danny stesse dormendo, e infatti salì le scale con la borsa sottobraccio.

“… E’ lei?” chiese Harry con un filo di voce.
Danny annuì, le dita premute sugli occhi.
Tom balbettò incerto: “… Cosa facciamo?”
Dougie scosse la testa sconvolto tenendo una foto tra le mani.
Fu sufficiente un piccolo scatto della porta dello studio perché Danny si precipitasse a spalancarla, catapultando dentro anche Clarissa, che lo guardò attonita.
“Ehi!” la sentirono esclamare, sorpresa nella sua voce acuta, troppo acuta per risultare naturale.
Dougie trasalì e nascose la foto dietro la schiena.
“Claire…” esordì Tom, cercando di mantenere un tono pacato…
“Dove sei stata?” lo sovrastò l’altro chitarrista, inchiodando gli occhi in quelli della fidanzata.
“Cosa…?” fece la ragazza, iniziando a rimbalzare da un punto all’altro della stanza con lo sguardo.
Harry si mise una mano davanti alla bocca e si preparò al peggio.
“Ti ho chiesto dove sei stata. Ieri sera.” ripeté Danny, facendosi sempre più vicino.
Lei si abbracciò il busto, quasi ricurva davanti alla sua presenza, così tanto più massiccia di fronte alla propria…
“Alla festa a Camden. Te lo avevo detto…” azzardò a bassa voce.
Tom chiuse gli occhi in preda allo sconforto.
“Dan…” tentò di intervenire il bassista.
Ma l’altro non lo prese minimamente in considerazione.
“Con chi ci sei andata? Dimmi la verità”
Clarissa gettò un’occhiata furtiva al di là del suo ragazzo e scorse i suoi tre amici che la fissavano con espressioni sconvolte.
Si sentì tremare dentro ed improvvisò confusamente: “Dovevo andarci con… Dovevo incontrarmi con Anne, però… però poi mentre andavo là mi è arrivato un messaggio e…”
“Sei patetica. Smettila.”

La sua interruzione le fece alzare lo sguardo, ma subito si pentì amaramente di aver sollevato gli occhi per guardare quelli di lui.
Erano furiosi.
Un paio di iridi color gelo stavano squarciando le sue, opache e bugiarde.
Cadde nel panico quasi all’istante ed annaspò confusamente: “Io non… non capisco d-di che…”
“Ti ho detto di stare zitta.” la fermò nuovamente lui, perentorio.

Stava sbattendo ripetutamente contro un muro di mattoni, si stava anche facendo male.
Ma non voleva arrendersi. Anche se non aveva senso giustificarsi, anche se sapeva che sarebbe stato inutile.

“Perché non mi lasci parlare?!” sbottò esasperata, distendendo rigidamente le braccia lungo i fianchi.
Con la coda dell’occhio fece appena in tempo a scorgere Dougie che scuoteva freneticamente la testa sillabando una serie di “no”, ma non capì il motivo di tutta quell’agitazione finché Danny non si voltò verso di lui per strappargli la fotografia da dietro la schiena.

Mentre Clarissa sbarrava gli occhi davanti all’evidenza di quello scatto, la verità nuda e cruda, Danny esultò vittorioso dentro di sé per poi sentir mancare un battito al cuore.

“Chi… Chi le ha sc-“
“Questa sei tu. Ieri sera. Con un altro.” scandì il ragazzo in tono spaventoso e monocorde.
La fidanzata arrossì violentemente per la vergogna, deglutì e balbettò: “Danny, io… io…”
Si fermò, capendo che lui non la stava ascoltando: si era voltato, ridacchiando amaramente.
Cercò disperatamente un appoggio negli altri tre suoi amici, e solo Harry ebbe il coraggio di ribattere incerto: “Perché non ci calmiamo e non proviamo a… ragionare un po’?”
Confortata dalle parole del batterista, la ragazza aggiunse un timido: “Danny, ascolta…”

Non lo avesse mai anche solo pensato.

“SEI RIDICOLA!!!”

Sussultarono tutti quanti, lei più di chiunque sotto quell’insulto gridato a squarciagola.
Per istinto incrociò le braccia davanti al viso, ma non servì a niente davanti alla rabbia del suo ragazzo.
“SEI RIDICOLA, BUGIARDA!!! UNA RIDICOLA PUTTANA BUGIARDA!!!” continuò a urlare Danny in preda alla rabbia più cieca.
Prima ancora che finisse la frase, Tom e Harry lo placcarono trattenendolo per le braccia e sbraitarono sopra di lui: “Danny, fermati!”, “Calmati, calmati!”…
Dougie li superò di corsa per trascinare via Clarissa. “Claire, vieni via!” le ordinò spaventato, percependo la sua resistenza.
“Lasciatemi!!!” protestò il chitarrista, furibondo, mentre la bionda cercava invano di liberarsi dalla stretta del bassista.
“Ragiona, cazzo! Non ti lascio di certo in queste condizioni!” ringhiò di rimando Harry, stringendogli ancora di più il braccio.
“Jones, ti devi calmare!!!” aggiunse Tom, esterrefatto.
“Danny, ascoltami, ti prego!” supplicò Clarissa con le lacrime agli occhi e Dougie che le serrava la vita con decisione.
“Cazzo, non la voglio picchiare, non sono così stupido, lasciatemi subito andare, maledetti idioti cerebrolesi!!!” abbaiò di nuovo il ragazzo, divincolandosi come un indemoniato.
Tom e Harry si decisero a lasciarlo andare con uno spintone arrabbiato, ma lo tennero d’occhio mentre brancolava verso la ragazza con l’indice puntato verso la sua faccia.
“Tu” le disse, sorridendole furente “Sei una puttana molto fortunata, hai capito? Ricordatelo, sei una puttana fortunata. Perché sei uscita a divertirti, hai scopato con un altro, sei riuscita a mentirmi per non so quanto tempo e adesso hai tutti loro a difenderti, capito, piccola bastarda?”
L’altra replicò con un filo di voce, distrutta: “Danny…”
“Piantala, Jones, maledizione!!!” intervenne Dougie, prendendola di peso e allontanandola da lui.
“Ho finito…” concluse il chitarrista, voltandosi verso le scale “Non voglio più vederti. Fai le valigie e vattene da casa mia. Mi hai capito bene?”
Tom subito obiettò: “Danny, non dire certe cazzate ades-“
“E’ finita, piantatela tutti quanti!” lo sovrastò l’altro “Non avete idea di come mi possa sentire adesso per colpa di questa stronza. Perciò non osate dire neanche una parola. Basta così. È chiaro?!”
Ognuno di loro ammutolì, fatta eccezione per i lievi singhiozzi di Clarissa, che lo fissò scendere velocemente le scale.
Aveva scorto i suoi occhi lucidi. Stava per mettersi a piangere.
Come lei.
“Danny!” lo chiamò con voce tremante.
Dougie la trattenne ancora una volta e Tom le andò accanto bisbigliandole: “Claire, calmati, ora è incazzato e non sta rag-“
“Danny!!” continuò lei a voce sempre più alta.
“No, Claire, smettila…” cercò di calmarla Harry “Senti, ora ci sediamo e-“

Il rumore del portone sbattuto con forza li gelò.
Clarissa emise un gemito strozzato e si tolse di dosso Dougie con una gomitata nelle costole che mandò il bassista gambe all’aria.
“DANNY!!!” strillò isterica volando giù per le scale.
Inciampò rovinosamente nel tappeto del corridoio, si rialzò senza badare al dolore alla caviglia, ignorò i richiami dei ragazzi, spalancò la porta e corse fuori per scorgere l’auto di Danny che stava facendo manovra per entrare in strada.
“NO!!!”
Il suo gridò riecheggiò nella strada senza però riuscire a sovrastare il rombo del motore che, ingranata la prima marcia, si allontanò velocemente insieme al suo ex-fidanzato lungo la via.
Senza pensarci due volte la ragazza si mise a correre a perdifiato dietro alla vettura, incurante del dolore alla gamba e delle grosse gocce di pioggia che le stavano pungendo gli occhi.
Sentì distintamente Tom urlare il suo nome alla sua destra: stava tentando di raggiungerla correndo sul marciapiede. Lei accelerò per seminarlo e non pensò minimamente di fermarsi all’incrocio che avrebbe messo fine alla sua corsa disperata.
Un’auto le tagliò la strada e frenò a pochi centimetri da lei, paralizzata davanti ai fari di quella Mercedes guidata da un anziano signore, che la fissò allibito con il busto incollato al sedile.
“CLARISSA!!!” urlò Tom impaurito, raggiungendola con il fiatone.
La sua amica non mosse un muscolo, semplicemente si afflosciò sull’asfalto umido.
Il chitarrista si chinò su di lei e le sollevò la testa, credendola svenuta; in realtà era cosciente e piangeva, ansante a causa della corsa.
“Mio Dio, giuro che non l’avevo vista! Mi è spuntata davanti all’improvviso!” si giustificò il guidatore della Mercedes, uscendo spaventatissimo dalla propria auto e convinto di aver investito la ragazza.
“Chiami un’ambulanza! Subito! La chiami, la prego!” lo supplicò il ragazzo lanciandogli un’occhiata piena di angoscia per poi dedicarsi nuovamente a Clarissa.
“Claire? Claire, mi senti, ci sei?!” domandò in preda al panico.
L’altra rispose con una serie di singhiozzi e sussulti, dopodiché allungò una mano verso il suo amico per farsi aiutare a rialzarsi.
“Tom, aiutami…” gemette con il volto rigato dalle lacrime.
Lui la strinse a sé, riparandola in parte dalla pioggia battente, e ribatté: “Sta arrivando un’ambulanza, stai tranquilla, andrà tutto bene…”
“Tom, ti prego, prendi la macchina e seguiamolo, ti prego, ti prego, Tom, non posso… Non posso lasciarlo andare così, ti scongiuro, Tom, andiamo a prendere la tua macchina…” farneticò l’altra senza rispondere al suo abbraccio, bensì tendendo le braccia verso la strada.
Il ragazzo si lasciò scappare un singhiozzo traboccante di paura e continuò a stringerla e a cullarla sotto la pioggia senza rispondere ai suoi lamenti insistenti, fino all’arrivo dell’ambulanza.


~~~


Gli occhi vigili e premurosi di Dougie notarono un movimento delle ciglia a malapena percettibile.
“Forse si sta svegliando…” azzardò rivolto a Harry e Tom, seduti dall’altra parte del letto.
Il batterista si alzò per spegnere la luce bianca ed invadente sopra la testa di Clarissa e attese il suo risveglio, che non tardò ad arrivare: trenta secondi dopo li stava guardando tutti e tre, disorientata e triste con le pupille dilatate.
Si schiarì la voce debolmente prima di sussurrare: “… Ospedale? Perché?”
Tom le rispose prendendole una mano: “Ti hanno iniettato un calmante per farti dormire, Claire… Hai avuto un crollo nervoso e scottavi per la febbre alta quando sei arrivata qui…”
La ragazza sospirò stancamente e chiuse gli occhi voltandosi verso Dougie.
“Scusami per la gomitata…” gli disse mestamente.
Il bassista scosse la testa con un sorriso intenerito e si piegò verso di lei per baciarle la fronte.
Clarissa lasciò scorrere silenziosamente alcune lacrime di commozione lungo le guance, poi rielaborò quanto era successo prima del suo arrivo in ospedale e continuò a piangere, coprendosi il viso con le mani per la vergogna.
I tre ragazzi si guardarono intristiti e tentarono di consolarla come meglio poterono…
“Noi non ti giudichiamo per quello che è successo, Claire…” chiarì Harry, sfiorandole una gamba da sopra il lenzuolo.
Dougie le scosse leggermente le spalle e aggiunse: “Vedrai che tutto si aggiusterà, non sei sola…”
Tom le accarezzò i capelli e le disse: “Guardami, Thompson, un secondo…”
La sua amica abbassò con riluttanza le mani e le lasciò scivolare sul grembo, rivelando il viso smorto e stravolto dal dolore. Lo guardò come se gli stesse chiedendo aiuto, in attesa di qualcosa che l’avrebbe fatta stare nuovamente bene.
Il chitarrista rimase colpito dai suoi occhi colpevoli e flagellati dal rimorso.
Le pizzicò una guancia con un piccolo sorriso e le propose: “Vieni a stare da me e Gi per qualche tempo. Cosa ne dici?”
La ragazza, sorpresa da un’ idea tanto inaspettata, si passò una mano tra i capelli spettinati e umidicci per poi cercare un consiglio dagli altri due suoi amici.
Harry annuì con convinzione e le consigliò: “Ti farebbe bene, perché non dici di sì? Hai bisogno di staccare un po’ da tutto questo casino, anzi, ne avete bisogno tutti e due per chiarivi le idee…”
“Possiamo andare noi a prendere le tue cose, basta che tu ci faccia un elenco…” si inserì Dougie, conciliante.
Stupefatta dall’aiuto che tutti quanti volevano darle, Clarissa riuscì solo a scuotere affermativamente la testa lentamente mentre la mano di Tom stringeva più intensamente la sua.
“Il tempo di farti uscire di qui… e si va a casa…” le confermò in tono rassicurante.
Lei abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate e rispose alla stretta, accennando un sorriso.


~~~


Non aveva percorso molta strada: si era fermato in una zona industriale momentaneamente deserta per motivi a lui sconosciuti, il luogo ideale per mettersi a urlare nell’abitacolo della macchina e prendere a pugni il volante, il cruscotto, fino a ferirsi le nocche.
Dopo aver dato fondo ai polmoni, devastato, si era acceso una sigaretta per poi fumarla fuori dal finestrino abbassato, e allora aveva cominciato a piangere, alternando singhiozzi dolorosi a lacrime rabbiose e piene di rancore.
Più ci pensava e meno capiva perché fosse successo proprio a lui, a loro.
Qualche sconosciuto aveva pensato bene di aprirgli gli occhi sulla vera Clarissa, quella che da chissà quanto tempo lo stava tradendo, quella che aveva spazzato via tutta la loro storia d’amore in una notte.
Ma perché?
Il fumo volava via dalla sua bocca, così come le sue domande senza risposta.
Anche lui aveva avuto non poche occasioni per tradirla, ma non si era mai sognato di farlo: era pazzo di lei, soltanto di lei, non sarebbe mai riuscito a ferirla in nessun modo.
Lei lo aveva fatto per poi negare tutto.
Non gli sembrava quasi vero, ma era successo veramente.
Molte cose in quel momento risultarono chiare: il suo distacco, la sua freddezza, l’indifferenza calata tutto d’un colpo sul loro rapporto…
Ma perché?
Cos’era successo?

Lo squillo del cellulare lo riportò alla realtà.
Gettò il mozzicone e si preparò a riattaccare in faccia a Tom, Harry, Dougie o a chiunque lo stesse chiamando con l’intenzione di “farlo ragionare”…
Ma rispose, perché era Cassie.

“Pronto?”
La voce vivace e sorridente di lei lo travolse.
“Buongiorno, Dan! Hai ricevuto il mio messaggio di prima?”
Distrattamente il chitarrista rispose in tono spento: “Ehm, no, scusami, non ho mai guardato il telefono oggi…”
“Ti ho beccato in un brutto momento per caso? Mi sembri… strano…” insinuò la ragazza, segretamente gongolante dall’altra parte della cornetta.
Lo sentì sospirare e rispondere: “Non sto molto bene, diciamo così…”
“Nel messaggio ti avevo chiesto di vederci per un caffè… E’ sempre valido ovviamente, se vuoi parlare un po’… Ti sento decisamente… giù di morale. Sbaglio?”
“No, hai ragione… Ho proprio bisogno di uscire un po’…” confermò l’altro, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
Cassie sorrise e ribatté: “Non so cosa ti sia successo, ma vedrai che un po’ di caffè e qualche chiacchiera ti aiuteranno. Ok?”
“Sì… Grazie…”
“Ma ti pare. Ci vediamo verso le quattro da qualche parte?”
“Sì, certo, non ho… niente da fare… Posso dirti più tardi dove? Adesso non ho in mente nessun posto decente…”
“Tranquillo, non c’è fretta!” lo rassicurò lei, accomodante “Quando sei pronto chiamami, io sono qui… A più tardi allora!”
“A dopo, ciao…”

Riattaccò con un tiepido sorriso sulle labbra.
Si sentì meglio all’idea di potersi sfogare con qualcuno che non fosse se stesso o i suoi amici, troppo coinvolti nella faccenda per considerarli imparizali in quel momento.
Gli avrebbe fatto bene parlarne un po’, magari davanti a una birra.
Con Cassie, che si era sempre mostrata gentile nei suoi confronti. Ma sì...
Se la prese con calma e decise di fumarsi un’altra sigaretta prima di ripartire.
Lasciò scorrere tutte e lacrime che restavano e singhiozzò con discrezione, la mano libera dalla cicca premuta sulla bocca.

Perché cazzo lo hai fatto? Accidenti a te…


***

Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone dei Mc "Bubblewrap". Nessuno scopo di lucro.


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Capitolo 16
*** I drowned all those feelings in the flood ***


claire

Popolo mcflyano, invoco il vostro perdono. Prima Natale, poi il veglione di Capodanno, infine la Befana...  senza contare gli esami universitari che avrò a breve! Sono stata sommersa da baci del parentado, spumante, dolci, brindisi e tutto il corredo immancabile ad ogni festività! Ma adesso sono qui, sono tornata con uno dei miei capitoloni da lametta (li odio, ve lo giuro). Chissà quanto li apprezzerete! Magari molto, se vi è rimasto un pò di spumante che scorre nelle vene ;)! Fatemi sapere!

Un bacio a tutti

Ciry

***

Si incontrarono davanti ad un tè freddo e ad un whiskey.
Cassie non poteva sapere che lui non lo beveva quasi mai, perché non gli piaceva il suo strano sapore amaro di alcool quasi “affumicato”.
Ma era qualcosa di forte, ne aveva bisogno, la birra non sarebbe bastata in quel momento. Forse più tardi, a casa…

“Sembra che ti sia crollato addosso il mondo, spero tu non stia tentando di nasconderlo… perché non ci stai riuscendo…” gli fece notare la ragazza, gli occhi comprensivi che cercavano di attirare quelli del chitarrista, che rispose con un sospiro ed un sorso della sua bevuta.
“Scusami, è che… mi sento ancora… frastornato…” si scusò in preda ad un triste imbarazzo mentre evitava di guardarla.
“E’ successo qualcosa con i ragazzi? Avete litigato?” chiese la ragazza in tono apprensivo.
“No, no, loro… sono coinvolti, ma non sono responsabili di niente, alla fine…”
“Che vuoi dire? Siete nei guai con il lavoro, ti hanno detto qualcosa…?”
“No, il lavoro è a posto…”
Cassie allungò una mano verso la sua, stretta intorno al bicchiere, e domandò cautamente: “… Clarissa?”

Con gli occhi abbassati sul liquore, Danny ebbe per un attimo un vuoto di memoria al suono di quel nome, come se non conoscesse nessuno che lo possedesse.

Quel momento strano e sereno scivolò via per lasciar subentrare il malessere subito dopo: una marea di immagini di lei si rovesciarono nel suo cervello, compresa l’ultima in ordine cronologico, quella che più di tutte avrebbe voluto dimenticare all’istante.

Clarissa sotto la pioggia nel suo specchietto retrovisore, in lacrime e urlante mentre correva dietro al suo SUV.

Avrebbe potuto risultare imbarazzante come immagine, se solo non fosse stata la sua ragazza.
Difatti era un’immagine terribile. Quasi inconcepibile, tanto l’ atterriva.

“Danny?” lo richiamò gentilmente l’amica, vedendolo assente.
“Sì…” replicò il chitarrista a bassa voce, con un nodo in gola “Io e Clarissa ci siamo lasciati.”
Cassie si morse il labbro inferiore con un’espressione contrita prontamente stampata in faccia.
“Non ci posso credere!” esclamò con un filo di voce, simulando incredulità “Ma come… come è possibile? È successo così, da un giorno a un altro?”
Danny annuì e bevve un sorso di whiskey.
“Sì” ammise, il volto impietrito dalla collera mista alla tristezza “E’ buffo, ma è andata proprio così…”
“Ti andrebbe, non so… di parlarne?” osò l’altra “Se hai bisogno di uno sfogo, io ho tutto il tempo del mondo...”

Il ragazzo le rivolse un sorriso sincero, anche se spento, e si schiarì la voce prima di iniziare a raccontare tutte le cose che Cassie già sapeva fin troppo bene.

 

 

~~~

 

 

Dopo aver lasciato l’ospedale, Clarissa era tornata verso casa con i ragazzi per poi restare nell’auto di Tom, parcheggiata a pochi metri dall’appartamento; aveva fornito a Harry e Dougie una veloce ma completa lista di tutte le cose che avrebbe dovuto portare via e i due amici avevano promesso di portarle tutto il necessario in giornata.

“Adesso pensa a riposare un po’, ok?” le consigliò Dougie dal marciapiede, mentre la ragazza tentava di sorridergli al di là del finestrino abbassato, dal sedile del passeggero.
Il bassista le accarezzò una guancia, impietosito, e la salutò dicendole: “Si sistemerà tutto. Datevi solo un po’ di tempo. A stasera…”
Clarissa agitò una mano per dirgli “Ciao” e si trattenne dal scuotere negativamente il capo: avrebbe soltanto fatto intestardire ulteriormente il suo amico.

Harry e Tom suonarono alla porta, nessuno aprì.
“La sua macchina non c’è, credo sia ancora… fuori…” ipotizzò il batterista “Forse Clarissa ha le chiavi…”
“Dovremmo… chiedergliele…” concluse il collega, preoccupato.
L’altro sospirò e concluse: “Lo faccio io…”.
Raggiunse Dougie e Clarissa e si rivolse alla ragazza, armato di tutta la delicatezza di cui era capace: “Claire… Non avresti le chiavi di casa? In casa non c’è nessuno e…”
In un gesto stanco e lento ricevette il mazzo adornato da un pupazzetto di gomma.
“Quelle del portone sono la più grande e poi quella colorata di blu” lo avvertì inespressiva.
Harry annuì e preferì non aggiungere altro; si limitò ad invitare Dougie a seguirlo con un cenno. Il bassista allora salutò l’amica con un gesto della mano a cui lei rispose con un sorriso forzato.
Mentre alzava il finestrino, Tom tornò a sedersi al posto di guida.

“Claire?” la chiamò a bassa voce.
“Mh?”
Si voltò a guardarlo e lui non le disse niente, le sorrise soltanto.
Tentò di rispondere con un altro sorriso, ma proprio quando stava per riuscirci un singhiozzo le invase la gola, uscì soffocato e la costrinse a coprirsi il viso con le mani un’ennesima volta, per non farsi vedere di nuovo in lacrime.
Il chitarrista piegò gli angoli della bocca in giù e le passò gentilmente una mano sul ginocchio destro, tentando di consolarla.
“Non ci vorrà molto, ok? Dieci minuti e saremo arrivati…” la rassicurò, sperando che lo stesse ascoltando in mezzo ai propri singulti.

 

 

“Claire… Tesoro, entra!”

Giovanna la strinse a sé come una mamma con la propria figlia.
Clarissa chiuse gli occhi rossi e pizzicanti e si abbandonò all’abbraccio, cingendo debolmente a sua volta la schiena della moglie di Tom, rincuorato e ottimista dietro di lei.
“Ehi, che ne dici di un bagno caldo? Ti ho preparato la vasca di sopra, perché non vai a rilassarti un po’?” le propose gentilmente la ragazza dopo averle tolto il cappotto.
Gettando un’occhiata alle scale, il chitarrista le fece notare: “Si è fatta male alla caviglia, non dovrebbe fare troppi sforzi!”
“Oddio, e adesso?” si chiese Giovanna.
“Non importa” intervenne la loro ospite, zoppicando verso il primo gradino “Mi appoggio al muro e sposto il peso sull’altra gamba, Tom, non è un problema…”
“Aspetta, vengo con te!” le andò dietro l’altra.
“Ma non ce n’è bisogno…” si oppose la ragazza.
“Claire, per favore…” la persuase Tom, paziente.
La sua migliore amica si arrese con un sospiro rassegnato e lasciò che Giovanna la prendesse sottobraccio mentre insieme salivano verso il bagno. 

 

“Qui ci sono gli asciugamani, te li lascio sulla sedia…”
“Grazie, Gi… Non c’era bisogno di-“
“Se vuoi lavarti anche i capelli, il phon è nello sportello in basso a sinistra. Ok?”

Giovanna spostò lo sguardo su di lei.
Si guardarono, confuse. Clarissa non diceva niente.

“Pensi… pensi di lavarteli?” chiese timidamente l’altra, conciliante.
La ragazza si portò una mano alla testa, le dita si infilarono tra le ciocche bionde umide e appiccicaticce a causa della lacca.
Una veloce occhiata allo specchio le mostrò il proprio riflesso.

I residui del trucco erano colati lungo le guance.
Gli occhi erano rossi, gonfi, orrendi.
Aveva i vestiti sporchi di acqua fangosa e polvere di asfalto.

Era troppo.

Giovanna le si parò davanti e l’abbracciò, soffocando un suo singhiozzo nell’incavo della spalla, dove Clarissa nascose il viso.
La lasciò piangere e non le disse una parola, si limitò a cullarla nella sua stretta finché non la sentì calmarsi.

“Usa pure tutto quello che trovi sul bordo, ci sono shampoo e balsami per un esercito…” le disse infine prima di lasciarla sola in bagno.
L’amica accennò un sorriso e mormorò un altro “Grazie”, dopodiché si spogliò dando le spalle allo specchio e accumulando i vestiti in un angolo.

 

Per rimuovere la schiuma dello shampoo dalla testa, la immerse per metà, annegando anche le orecchie nel suono ovattato dell’acqua che gorgogliava ad ogni suo movimento.

Si strinse nelle spalle, provando vergogna mentre fissava il soffitto bianco, come se quest’ultimo potesse spiarla nella sua nudità esposta e rea confessa.
Quel corpo, così abituato a sentire Danny, con la sua pelle, le sue mani, il suo calore… avrebbe dovuto abituarsi alla solitudine.
Solo in quel momento realizzava che non avrebbe mai voluto fare ciò che aveva fatto.
Era intontita, su di giri, frastornata dal fascino nuovo del primo che le era passato davanti.
Non che fossero giustificazioni, le sue, solo constatazioni: lei in primis si considerava colpevole.
E… perseguibile.
Portare via tutte le sue cose da quella casa, piangere a dirotto, subire le sue grida, i suoi insulti, il suo disprezzo…
La parte più brutta doveva ancora venire.

L’irrefrenabile voglia di tornare indietro. Un indignitoso aggrapparsi alle più flebili speranze.
L’accettazione.

Le lacrime sgorgarono senza alcun singhiozzo, spontanee e silenziose.
Si coprì il viso con le mani per poi rannicchiarsi su se stessa mentre risollevava il capo bagnato.
Con il fiato grosso per il nodo che le serrava la gola, passò una spugna imbevuta di bagnoschiuma sulle braccia, sulle gambe, sul collo…
Strusciò, strusciò, strofinò fino ad arrossarsi.

Maledetta. Che cos’hai fatto.
Sei una puttana, devi soffrire, non ti meriti altro.

Alla rabbia verso di sé seguì un pianto isterico che le provocò delle convulsioni. Furiosa, scagliò la spugna nell’acqua e si tirò i capelli ruggendo ad occhi sbarrati. Il batticuore le impedì di sentire la propria voce distorta dalla collera.

 

 

“Claire? Claire, va tutto bene? Ti sei fatta male?”

Giovanna bussò due volte a vuoto e se ne stette in attesa davanti alla porta. Tom la raggiunse dopo pochi secondi, preoccupato quanto lei.
“Non si sarà fatta male alla gamba?” azzardò incerto.
“Ma se è caduta dovrebbe lamentarsi, si dovrebbe sentire qualche… qualche rumore, insomma…” balbettò sua moglie.
“Clarissa? “ tentò il chitarrista, colpendo la porta con discrezione “Hai bisogno d’aiuto?”

Niente.

La ragazza fissò il marito, indecisa sul da farsi, e un suo cenno la convinse a fare capolino nel bagno…
“Ehi, abbiamo sentito dei rumori…” esordì a bassa voce per poi interrompersi bruscamente, il respiro morto in gola.
Tom la richiamò perplesso: “Gi? Che c’è?”
“Claire, oddio…”

 

Non guardò neanche per un istante il suo corpo nudo.
La prese in braccio, infradiciandosi quasi completamente, e prese a schiaffeggiarle il volto per tentare di risvegliarla con Giovanna al suo fianco, che la copriva alla meglio con un asciugamano, in preda al panico, mentre cercava il medico di famiglia al telefono.

~~~

 

 

“Come sta?”
“Un po’ meglio, il peggio è passato…”
“Ha bisogno di essere ricoverata?”
“No, ma quello che le è successo è una sorta di… campanello d’allarme. La vostra amica ha bisogno di farmaci. E di riposare.”
“Che tipo di farmaci?”
“Tranquillanti. Leggeri, almeno per il momento. Vorrei farle fare un ciclo di dieci giorni con un farmaco nuovo, leggero, non la scombussolerà più di tanto, solo dormirà un po’ più profondamente, almeno all’inizio…”
“Tranquillanti? Per Claire?”
“Ce n’è bisogno, Tom.”
“Ho capito, ma…”
“Dottore, non avrà bisogno, non so, di parlare con qualcuno?”
“Io non sono uno psichiatra, ma… da quel che ho capito, la ragazza necessita solo di serenità e di amici con cui stare. Fondamentalmente è molto abbattuta, ma risponde agli stimoli, sia nel fisico che nella mente. Non è depressa, né isterica.”
“Certo che no. Non lo è mai stata.”
“Non volevo dire questo, Tom.”
“Lo scusi, dottore… Ci siamo spaventati moltissimo, credevamo che volesse… che volesse uccidersi.”
“Parlatene con lei appena sarà un po’ più in forze. Abbiamo fatto una chiacchierata durante la visita e le sue intenzioni non erano quelle. Ma voi la conoscete sicuramente meglio di me…”
“Grazie per essere accorso subito… Non volevamo trascinarla di nuovo in ospedale…”
“Dovere, dovere. Chiamatemi ogni volta che ne avrete bisogno. E statele vicino.”
“Di sicuro. Grazie ancora, dottore, arrivederci…”
“Buonasera a voi.”

Tom si chiuse la porta alle spalle e incrociò gli sguardi ancora scossi di Giovanna e Dougie, corso a casa Fletcher dopo che aveva chiamato il collega per dirgli che aveva con sé parte delle cose di Clarissa da consegnarle.

“Vogliamo andare a vedere… come sta?” propose proprio il bassista, esitante, puntando le scale con gli occhi.
Giovanna fece spallucce con aria dubbiosa e Tom si fece avanti per primo: “Sì, controlliamo se è sveglia…”

 

“Credo che mi verrà un’influenza paurosa, ma sono qui…” la sentì dire appena entrò nella stanza, seguita dai due musicisti.
“Si può?” domandò Dougie.
“Certo che potete… “ rispose la ragazza con un sorriso gentile mentre si sistemava meglio l’asciugamano sulla testa per tamponare i capelli umidi.

Tom e il bassista le sedettero accanto, Giovanna la fissò rincuorata dai piedi del suo letto, nella stanza degli ospiti.

“Ti fa ancora male la caviglia?” si informò “Non sarebbe meglio spalmarci qualche pomata sopra?”
“Tranquilla, era solo una storta, non si è neanche gonfiata…” la rassicurò la bionda, rivolgendosi poi ai due ragazzi: “Voi state bene?”
Dougie ridacchiò nervosamente, imitato da Tom, che rispose per entrambi: “Adesso sì. Adesso sì…”
“Non volevo fare quello che state pensando” intervenne subito la ragazza, seria “E’ stato… è stato un momento. Ha cominciato a girarmi la testa e sono svenuta. Tutto qui.”
“Un-“
“Crollo nervoso. Sì, Doug. È stato quello e… sono svenuta perché non ho retto.”
“Vuoi riposarti un po’, Claire? Ti ho messo i vestiti a lavare, il cambio lo ha portato Doug…” fece Giovanna, premurosa.
Dougie confermò: “Ti ho preso i vestiti, i libri e tutta la roba per il bagno. Al resto penserà Harry, l’ho lasciato ancora indaffarato in casa…”
“Grazie, Poynter” ribatté Clarissa, spettinando grossolanamente i capelli dell’amico “E grazie anche per aver portato il borsone pieno di tutta la roba fin quassù…”
“Di niente. Forse Judd si farà vivo in serata. Ti farà sapere lui. Io vado adesso, Frankie vorrà sapere come stai… Ci vediamo in questi giorni, ok?”
“Volentieri, certo…”
“Riposati!”

Un bacetto veloce sulla fronte e il bassista uscì dalla stanza dopo aver salutato anche l’amico. Giovanna lo accompagnò fino alla porta d’ingresso.

 

Clarissa e Tom rimasero soli.
La ragazza gli lanciò un’occhiata sorridente e gli disse: “Non è successo niente. Devi stare tranquillo, ok?”
Il chitarrista ribatté con aria angosciata: “Lo so. È che… per un attimo ho avuto paura sul serio…”
Lei spense il suo sorriso e lo avvertì: “Il dottore mi ha detto che dovrò prendere dei tranquillanti. La cosa non mi piace, ma se dicono che mi farà stare meglio… Ho paura. Mi sento come se in qualsiasi momento potessi rivivere quello che è successo…”
“E’ finito, Claire. Sei qui, lontana da tutto e da tutti. Ci siamo noi con te, ok? Ci sono io…” la rassicurò il ragazzo, stringendole la mano destra.
L’altra aumentò la stretta e ribatté con voce tremante: “Ho sbagliato. E adesso devo pagare. È come se… come se stessi cercando di portare in salita un masso enorme sulle spalle. Sono stanca, mi sento sempre stanca, io non so se…”
“Ce la farai” la interruppe l’altro, guardandola negli occhi “Non importa quanto ci vorrà o quante ricadute avrai. Non lascerò che tu ti arrenda. Te lo prometto, fosse l’ultima cosa che faccio.”
Clarissa annuì con il labbro inferiore tremulo e abbracciò il suo migliore amico, ricacciando indietro le lacrime.
“Andrà tutto bene, sì…” mormorò, facendosi coraggio.
“Questo è lo spirito giusto…” sorrise Tom, accarezzandole la schiena.

 

 

~~~

 

 

Si incontrarono in corridoio e Danny sobbalzò per la sorpresa. Harry lo salutò per primo.

“Ciao. Scusa, sono solo venuto a… prendere alcune cose di Claire…”
“…Ah” fu la replica apatica del chitarrista, che mollò le chiavi dell’auto sul mobile vicino alla porta per poi dirigersi in cucina, alla ricerca di una birra fresca in frigorifero.

Il batterista continuò ad accumulare indisturbato gli effetti personali della sua amica in un grosso zaino: pochi indumenti che Dougie non era riuscito a far entrare nel borsone, qualche CD, un paio di fotografie incorniciate, i medicinali, un aspirapolvere, alcuni prodotti di bellezza. Gli ci era voluto un po’ per trovare tutto quanto, ma il peso finale non sembrava essere granché ingombrante. Si caricò la sacca sulle spalle ed imbracciò l’aspirapolvere.

Dando una rapida occhiata all’orologio constatò che si erano già fatte le sei. Decise di andarsene.
Ma non prima di aver chiesto una cosa a Danny…

“Io qui ho finito” annunciò all’amico seduto al tavolo, pensieroso e freddo “Le chiavi per entrare me le ha date Clarissa. Che cosa ci faccio?”
Gliele sventolò davanti con disinvoltura dopo averle estratte dalla tasca dei jeans; il chitarrista gli si avvicinò per togliergliele e rispose impassibile: “Queste sono di casa mia. Le terrò io.”
Annuì, camuffando una nota di delusione negli occhi, e fece per salutarlo con un semplice “Ci vediamo”.
Ma l’altro lo costrinse a fermarsi sull’uscio.

“Ha mandato te, dunque. Si è fatta servire e riverire. Siete stati molto… cortesi…” insinuò con sarcasmo con la voce stranamente impastata.
Il ragazzo ridusse gli occhi a due fessure e ribatté lapidario: “Io e Dougie ci siamo offerti di portare tutte le sue cose a casa di Tom, che la ospiterà per un po’ di tempo. È finita in ospedale per una crisi di nervi. Giusto perché tu lo sappia.”

Lo lasciò a quel modo, sbattendo il portone.
Danny rimase immobile in mezzo all’ ingresso, la bottiglia di birra in una mano e il mazzo di chiavi nell’altra.
Sbuffò stancamente e scosse la testa, disgustato.

Che amici del cazzo…

Cassie sì che gli era stata d’aiuto. Lei non lo aveva lasciato solo.
Lo aveva difeso a spada tratta, gli aveva offerto il proprio sostegno e aveva concluso la loro rinfrancante chiacchierata con un bel “Chiamami se hai bisogno di me, Dan. Io ci sono.”.

Lei c’era. Lei.
Loro…
Loro erano da Clarissa. A consolare, aiutare, difendere, sostenere Clarissa.

Gli scappò una risata amara mentre tornava in cucina.

Qui la vittima sono io… e che succede? Che vanno tutti da lei, povera piccola innocante troia.
Stronzi.

Finì la sua prima bevuta e ne prese una seconda, preferendo un bicchiere di vodka.
Dopo due lunghe sorsate si ritrovò a fissare il soffitto con gli occhi lucidi.
Si sentiva triste. Solo. Abbandonato. Rifiutato senza un motivo. Rimpiazzato.

… Ospedale?

Gli ritornarono in mente le ultime parole di Harry pochi istanti più tardi, in mezzo alle immagini sfocate di Clarissa, prima sorridente e poi urlante dietro alla sua auto.

***

Titolo del capitolo: direttamente dai versi di "Down goes another one", dell'album "Radio: ACTIVE". No lucro!!!

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