gli angeli del destino

di nevediluna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** convivenza forzata ***
Capitolo 2: *** la prima battaglia ***
Capitolo 3: *** sentimenti traboccanti ***
Capitolo 4: *** visita nel mezzo della notte ***
Capitolo 5: *** amici o nemici? ***
Capitolo 6: *** Chi sei? ***
Capitolo 7: *** un gelido bacio ***
Capitolo 8: *** conversazioni spiate ***
Capitolo 9: *** un brutto sogno ***



Capitolo 1
*** convivenza forzata ***


 
Buio, solo buio da quando aveva deciso di varcare la porta di quella casa , tanto sognata, ma che non aveva portato i molti cambiamenti desiderati.
Sdraiata su quel antico letto scuro come la notte le sembrava di galleggiare nel oblio totale.
Da tre anni Margaret viveva in quella antica abitazione dall'aspetto stravagante, e ancora non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei.
Prima trascorreva immobili giornate vivendo con la noiosa zia, l'unica parente rimastagli da quando i genitori erano scomparsi in un tragico incidente mentre erano in viaggio.
A quel tempo viaggiava col pensiero immaginando un mondo, un luogo, un tempo diverso da quello passato con la anziana signora, ma non avrebbe mai pensato che quell'opportunità si sarebbe presentata un pomeriggio d'autunno, due giorni prima del suo compleanno.

 
Era seduta sui gradini della rampa di scale che portava al piccolo appartamento della zia in via dei pini, situato in una tranquilla periferia della città, quando zoppicando comparve nell'androne un distinto signore di mezz'età. Era alto, molto più di lei, la sua figura era esile ma non gracile fasciata in un raffinato abito blu. Il volto longilineo era abbronzato. Le sue guance erano incavate e facevano risaltare i rilucenti e acuti occhi del colore del ghiaccio più duro , costellati di minuscole rughe. Il mento era interamente coperto da una folta e spinosa barba grigia a differenza della canuta testa quasi completamente rada. Dava l'impressione di trovarsi in un luogo che non gli apparteneva, quassi fosse giunto da un altra era fatta da distinti signori e magnifiche dame.
Una persona singolare che non si vedeva spesso da quelle parti, dove gli abitanti erano noiosi e insignificanti sempre presi da mille impegni, come formichine laboriose.
Quando luomo si accorse della presenza di Margaret, spostò il brillante sguardo su di lei, fissandola con un cipiglio sorpreso per poi muovere la sua attenzione oltre la ragazza, dove si trovava la porta dell'appartamento, che nel frattempo si era aperta. La zia era in piedi sulla soglia e indossava uno dei vestiti più belli che possedeva, quello rosa con i fiori non ancora sbocciati. Era molto più elegante del solito e Margaret arrivò alla conclusione che l'uomo doveva essere un conoscente dell'anziana, su cui lei voleva fare colpo; ma qualcosa nel comportamento della donna le fece cambiare idea: Cingeva le braccia intorno al corpo così strette che il vestito era tutto arricciato e i suoi piccoli occhi porcini si muovevano irrequieti in tutte le direzioni.
Invitò il signore ad accomodarsi in casa, con un filo di voce, e mentre quest'ultimo entrava fece segno a Margaret di fare altrettanto.
Avanzando nel piccolo salotto, che odorava di detergente per i mobili e polvere insidiata nella moquette, la giovane capì che qualcosa decisamente non andava.
Il signore si sedette elegantemente sull'unica poltrona nella stanza e ,rivolgendole un tirato sorriso, si presentò:- Sono il signor Arbert è un piacere fare la tua conoscenza Margaret-.

Allora non poteva sapere che quell'uomo, dall'aristocratico e antico nome potesse cambiare la sua vita, ma lo avrebbe fatto, anche se forse non in meglio.
Durante il resto del pomeriggio il signor Albert le spiegò che i suoi genitori avevano affidato a lui la sua istruzione a partire da quando avesse compiuto i quattordici anni e che ormai erano giunti. Le spiegò che si sarebbe dovuta trasferire nella sua residenza e che lui avrebbe provveduto a tutto, in modo tale da renderla capace di compiere il suo futuro.
Quelle parole tanto incomprensibili  non le causarono timore e nemmeno curiosità. Accettò solamente il fatto che avrebbe dovuto lasciare l'anziana signora, ma ormai si era abituata a perdere i propri affetti. Così quel dì andò in camera sua e raccolse le poche cose che aveva portato dalla casa dove viveva con i genitori.
Due giorni dopo oltrepassava il cancello della stravagante villa del signor Albert. Nel cuore portava un bagaglio di tristezza che profondamente sperava di poter abbandonare oltre quella soglia. Li visse per i seguenti tre anni senza variare di molto la sua vita. Si trasferì in una nuova scuola, dove passava interminabili giorni senza ne cercare ne volere amici. Tornava nell'antica residenza, molto spesso vuota, e trascorreva il suo tempo libero e leggere libri e volumi di ogni genere trovati nella fornita biblioteca della casa o che le portava il signor Albert nelle poche volte che tornava dai suoi spostamenti per lavoro...

 
Dei rumori al piano di sotto distrassero Margaret dai suoi ricordi e la riportarono alla realtà.
Si alzò dal caldo letto e si diresse verso la finestra, tirandone le tende. La stanza venne inondata da una calda luce autunnale, rivelando le molte sfumature di viola che coloravano le pareti e i mobili dell'arredamento. Socchiudendo gli occhi per riuscire a guardare oltre il luminoso riflesso formatosi sui vetri riusci a scorgere una macchina nera parcheggiata nel ciottoloso viale che portava all'ingresso. Frettolosamente afferrò la vestaglia blu, e incalzò la porta diretta alle scale per scendere al piano sottostante. Subito però notò che il corridoio era stato abbellito con elaborati mazzi di fiori dai mille colori. Si chiese a cosa fosse dovuto quel cambiamento nello stile rigido dell'edificio, quando le tornò alla mente che era il venticinque ottobre! Il suo compleanno! Non avrebbe mai immaginato che il signor Albert se ne sarebbe ricordato. Gli anni addietro si era solo limitato a portarle in dono qualche raro manoscritto, ma mai le aveva fatto una sorpresa così bella. Era indecisa se tornare in camera a cambiarsi quando dalle scale comparve una domestica che la invitò a scendere per la colazione. Senza avere il tempo per rientrare nella sua stanza si arrese all'idea di mostrarsi ancora in pigiama nella sala da pranzo, sperando che l'uomo non notasse il suo ben poco elegante aspetto.
Col cuore in gola arrivò fino alla sala che fungeva da ingresso, e prima di aprire la porta ,che dava sulla sala da pranzo, si specchiò per alcuni secondi nella grande specchiera che padroneggiava nell'androne. Quello che vide la fece irritane: Aveva la pelle chiara, quasi diafana e sul viso lasciava comparire delle piccole lentiggini nella prossimità del naso. Le labbra erano fini e rosa, arricciate in una smorfia di sonno. I suoi occhi dello stesso colore nocciola di sua madre la fissavano dallo specchio con cipiglio concentrato facendo incurvare appena le sottili sopracciglia. Era un disastro! I lunghi capelli corvini erano scompigliati e annodati e la vestaglia le ricadeva scompostamente addosso, dandole nel complessivo un aspetto stravolto. Non poteva credere di stare per incontrare il signor Albert sciupata e in quello stato. Prese coraggio, si appiattì i capelli, lisciò le pieghe della vestaglia e spalancò l'entrata della sala.
Un abbagliante fascio di luce la sorprese costringendola a chiudere gli occhi per alcuni secondi. Quando li riaprì si accorse che nella ampia sala, seduti all'esteso tavolo che padroneggiava nel centro, non vi era solo il signor Albert ma anche altre tre persone. Erano tutti giovani dal aspetto vigile e curioso. Si sentì affondare nel pavimento. Quattro indiscreti sguardi si erano posati su Margaret senza lasciarle alcuna via di fuga. L'uomo di mezz'età le fece segno di accomodarsi con loro.
Prese un profondo respiro e con movimenti rigidi e nervosi si sedette dalla parte opposta rispetto a quella dove erano seduti gli altri, tranne Albert che sedeva a capotavola.
-E' passato un bel po' da quando ci siamo visti l'ultima volta, non è vero signorina Margaret?- Iniziò quest'ultimo:- Oggi se non sbaglio dovrebbe essere il tuo compleanno- è con un aggraziato movimento le versò una tazza di the fumante che la ragazza non aveva nemmeno notato essere sul tavolo. Ora che se ne accorgeva la tavolata era imbandita di piatti e vassoi ricolmi di biscotti , dolci e diverse caraffe traboccanti di colorati e profumati liquidi. Accettò la bevanda calda con timidezza, ma appena appoggiò le fredde mani sulla tazza il calore da essa emanato le riscaldò e le  risollevò l'animo.
- Dovete scusarmi ma non sapevo avessimo ospiti- disse con un filo di voce.
- Mi dispiace dovevo avvertiti, ma l'arrivo di Robin, Willi e Sem è stato improvviso- l'uomo indicava i ragazzi man mano che ne nominava i nomi:- Resteranno a vivere alla residenza per qualche mese, intanto frequenteranno la tua stessa scuola all'ultimo anno-.
Era scioccata! Da quando era li non aveva mai parlato molto con Albert , ma non avrebbe mai immaginato che lui avrebbe preso una decisione simile senza dirle niente. Comunque non poteva opporsi a una tale decisione così si limitò a fare un cenno affermativo con la testa, fissando la sua concentrazione sulla tazza di bevanda calda che ancora stringeva tra le mani.
Passò il resto della colazione a mangiucchiare un grande biscotto caramellato, mentre ascoltava i discorsi dell'uomo sul come i ragazzi si sarebbero trovati bene li, e piccoli dettagli sulla loro vita a cui non prestò particolarmente caso. Quando finalmente anche l'ultimo pasticcino venne divorato dal giovane che la ragazza riconobbe col nome Willi, i commensali si ritirarono ognuno nella propria stanza e Margaret venne lasciata libera di andare a cambiarsi.
Una volta vestitasi per andare a scuola si recò come era sua consuetudine nella biblioteca a recuperare un vecchio tomo lasciato letto a metà la sera prima. Amava molto quella piccola stanza ottagonale, che all'occorrenza fungeva anche da studio, dello stesso colore del cioccolato. Era arredata con lavorati scaffali di ebano, pesanti e consunti tappetti orientali e purpurei tendaggi che filtravano la luce proveniente da lucide vetrate ad arco. Al centro del locale troneggiava una sfarzosa scrivania ricoperta di vecchi e logori tomi. Adorava tutto in quel luogo ma la cosa che le piaceva di più era il piccolo caminetto nascosto che rendeva l'aria calda e profumata di legna arsa.
Mentre si dirigeva in biblioteca si concentrò per ascoltare i rumori della casa: piccoli passi al piano soprastante, il rumore di una radio accesa dal soggiorno, il cantare armonioso degli uccellini fuori dalle finestre e poi.... rumori, strascichi di piedi dall'altra parte della porta che dava sulla biblioteca, lo smuovere della carta e il suo fruscio. Qualcuno si era introdotto in quella stanza! Nessuno entrava mai li, era l'unica a cui interessavano quei vecchi libri.
Con prudenza si avvicino alla soglia fino a sfiorarla con le mani e delicatamente e senza fare alcun suono la spinse. Era pronta a sorprendere un ladro ma quello che si trovò davanti la lasciò di sasso.
Era uno dei ragazzi, in piedi, le dava le spalle e leggeva assorto il libro che lei aveva lasciato in sospeso il giorno addietro.
- Quel libro è mio!- pronunciò le parole con più stizza di quello che avrebbe voluto.
Il giovane preso di soprassalto si volto di scatto ad osservarla poi con un sorriso di scherno disse:- Non avevo idea che qualcuno venisse in questo posto è tutto così..........come dire polveroso- e dicendo ciò fece finta di passare un dito sulla scrivania per saggiarne la polvere.
Aveva un sarcastico sorriso stampato sul viso, e gli occhi del colore dell'oro vecchio erano ridenti e lucidi. Margaret non aveva notato in sala da pranzo quanto il ragazzo che doveva chiamarsi Robin fosse alto e magro. I suoi lunghi capelli, notò lei, brillavano alla luce mattutina come fili finissimi tessuti da un ragno laborioso, talmente chiari da sembrare d'argento.
-Appunto non viene nessuno quaggiù tranne me... chi ti ha dato il permesso di entrare?-
-Calmati, il signor Albert mi ha detto che potrò venire qui ogni volta che vorrò, ma ora me ne vado visto che non gradisci molto la mia presenza- e così dicendo Robin le rivolse un grande sorriso, raccolse il suo zaino appoggiato su una piccola seggiola, e si dileguò dietro la soglia d'entrata.
La ragazza ancora sorpresa per l'incontro si avvicinò alla scrivania per recuperare il suo libro e... non c'era! Robin doveva averlo preso prima di andarsene. Lei sentì la rabbia montarle dentro, già non sopportava più quell'individuo e la convivenza forzata.  

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Capitolo 2
*** la prima battaglia ***


 Quella mattina Margaret corse per riuscire a prendere in tempo il pullman per andare a scuola. Non poteva smettere di pensare al suo libro e al fatto che appena possibile se lo sarebbe fatto restituire.
Seduta negli ultimi posti in fondo al bus, la ragazza guardava il paesaggio scorrere veloce oltre il finestrino. Si era svegliata con la voglia di cambiare la sua vita, di una scossa di novità, e ora che aveva ottenuto quello che voleva, non faceva altro che lamentarsi. Non sopportava più quel suo modo di essere, di compiangere il passato e non riuscire ad andare avanti. Come era arrivata al punto di annullare tutti i suoi sentimenti? Di non riuscire a sentire la solitudine che le aleggiava nell'animo? Forse era proprio una ventata di aria fresca che le serviva, e quei tre ragazzi tanto misteriosi potevano portargliela.
-Dovresti stare attenta a quello che desideri Margaret- si disse con un sussurro e una pacca sulla guancia.
Chiuse gli occhi per riposare un po' prima dell'arrivo a scuola, e lasciò vagare la mente in mondi e posti lontani.
La scosse il tremolio del motore che si spegneva e il gracchiare del freno a mano che veniva tirato.
Raccolse la sua tracolla talmente tanto ricoperta di spille e pezze colorate che quasi non si vedeva più la stoffa originale, e scese dal mezzo di trasporto.
Davanti ai suoi occhi si estendeva l'enorme edificio che era adibito a scuola. Era un unico grande blocco di cemento del colore indefinito che variava dal grigio al marrone sporco.
Sulla facciata si aprivano piccole e squadrate finestrelle che apparivano come occhietti mezzi chiusi che fissavano inquietanti gli scolari entrare nella storta porta rassomigliante ad una bocca aperta.
Margaret si diresse a passo veloce verso la sua aula, senza interruzioni. Le ore passarono lente e noiose e la ragazza seguiva distrattamente le lezioni, la maggior parte del tempo guardando fuori dalla finestra il limpido cielo autunnale.
All'intervallo si diresse decisa verso il piccolo cortile sul retro, per cercare Robin; riavrebbe avuto il suo libro e non vi avrebbe rinunciato.
Nel cortiletto non ci mise molto a trovare i tre ragazzi. Erano seduti sulle traballanti gradinate affiancate al rettangolo di asfalto che veniva considerato un campo da basket. Erano circondati da un gruppetto di persone con cuoi ridevano e scherzavano. Non ci avevano messo molto a fare amicizia con i nuovi compagni dell'istituto.
Non sarebbe stato difficile: si sarebbe avvicinata e con disinvoltura avrebbe richiesto il suo tomo. Allora perché i piedi le pesavano tanto? Non aveva mai parlato molto con i giovani di quella scuola e ora, era lì a guardarli, e non riusciva ad avvicinarsi a loro.
Alla fine optò l'idea di aspettare finché Robin non fosse restato solo. L'occasione non arrivò.
Nel pomeriggio, dopo essere rientrata da scuola, delusa e amareggiata per non aver trovato il coraggio, Margaret si rinchiuse in biblioteca.
Era ormai assorta nei compiti per il giorno seguente, quando sentì aprirsi la porta alle sue spalle.
Girandosi per vedere chi fosse entrato, fece cadere il piccolo fermacarte a forma di angelo che le avevano regalato i genitori, dopo un viaggio di lavoro particolarmente lungo. Era una piccola statuina di vetro trasparente con delle venature rosse e argentee.
Si appresto a raccoglierla, sperando che non si fosse rotta.
Un'affusolata mano si protese a raccoglierla, e alzando lo sguardo per vedere di chi fosse, la ragazza si trovò difronte due meravigliosi occhi dorati.
-Che bel giochino!- disse con voce ironica il nuovo venuto.
-Non è un gioco, è un fermacarte molto prezioso- ribatté stizzita, mentre gli strappava l'amato oggetto dalle mani – e tu non lo puoi toccare!-.
Robin con un'espressione a metà tra il divertito e lo stupito alzò le mani in segno di resa :- Non ti preoccupare non lo farò più!- fece per andarsene quando lei lo afferrò per un braccio:- Aspetta rivoglio il mio libro-.
-Quale libro?-.
Il suo comportamento di ignoranza, come se non sapesse di cosa stesse parlando, la fece infuriare nuovamente – Quello che hai sottratto ieri da questa libreria!-
- Scusa, non sapevo che ti appartenesse, comunque non l'ho qui ora, te lo ridarò quando avrò finito di leggerlo, ok?- e così dicendo cercò nuovamente di andarsene.
- No, non mi va affatto bene!- Lo richiamò Margaret quasi urlando, ma il ragazzo ormai era infondo al corridoio.
La giovane rimase ferma in piedi, in mezzo alla stanza, a fissare la schiena di Robin mentre spariva dietro l'angolo verso l'ingresso, era scioccata! Quel ragazzo non poteva trattarla in quel modo, prendersi gioco di lei e pensare che non avrebbe reagito.
D'impeto si mise a correre verso il punto dove lui era sparito, ma quando svoltò nell'androne non vi era nessuno.
- Dove sarà andato?- si chiese senza però riuscire a darsi una risposta.
Indecisa uscì dalla porta d'entrata, e si guardò intorno. Magari lui aveva deciso di fare una passeggiata, ma li non c'era nessuno. Non poteva nemmeno essere salito al piano soprastante della villa, perché non aveva sentito i suoi passi rimbombare sui gradini di marmo bianco della scalinata.
Stava riflettendo sul dove fosse andato quando sentì un forte rumore giungere dal retro della residenza. Guardando in quella direzione vide un verde fumo che si levava in in morbide volute verso il cielo e fra esso le sembrò di scorgere delle minuscole scintille d'oro e d'argento. Mentre si avvicinava l'immagine divenne sempre più chiara, e le scintille assomigliavano sempre più a leggiadre e piccine creature. Si diede della stupida con un'immaginazione troppo fervida.
Raggiunto il retro della casa non poté fare a meno di rimanere senza fiato. Lo spiazzo d'erba che si frapponeva tra la casa e il bosco era pieno di esseri elementari e incorporei, non più grandi di una bambola; fluttuavano e vorticavano in una lotta arcana, alcuni erano effettivamente del colore dell'argento ma quelli che a prima vista le erano sembrati dorati erano in verità del colore del rame. Combattevano con affilatissimi artigli e aguzze zanne. Il verde fumo veniva emanato dal loro corpo ogni volta che venivano feriti.
Nel mezzo di tutto ciò Margaret riuscì a intravedere delle figure umane, prima di venire atterrata da una di quelle entità impetuose.
Urlò cercando di liberarsi, ma non fece altro che attirare l'attenzione di altri esseri che si fiondarono su di lei.
Non riusciva a toglierseli di dosso, si dimenava, tirava pugni e calci, ma per uno che allontanava c'è nera un altro che le si attaccava al corpo. Gli affilati artigli le penetravano la carne e le tagliavano i vestiti. Disperata cercò di alzarsi ma ogni grinfia che la graffiava le lasciava sempre meno forze, come se quelle cose risucchiassero l'energia vitale.
Inaspettatamente un fascio di luce argentea la avvolse, era calda e rigenerante, non aveva mai provato una sensazione tanto belle. L'entità che la attanagliavano si dispersero quasi impaurite ed disorientate. In quel momento il fascio d'argento si dissolse e Margaret con timore di essere aggredita nuovamente, si accucciò su se stessa cercando qualcosa con cui potersi difendere. A pochi centimetri da dove era lei, vide un bastone abbastanza lungo da poter essere impugnato con entrambe le mani e resistente. Lo raccolse pronta a combattere e quando vide un ombra sovrastarla, scattò in piedi dimenando il bastone.
- Calmati, o potrebbe farsi male qualcuno!- conosceva quella voce, purtroppo.
- Robin! Cosa sta succedendo?- la voce le tremava e gli occhi si stavano riempendo di lacrime- Ho preso un tale spavento-.
-Sta tranquilla ora ti difendo io!- guardandolo però la ragazza non riusciva a credergli. I vestiti del ragazzo erano laceri e il viso pallido era annerito del fumo, per non contare del lungo tagli che gli attraversava il braccio destro.- Si certo, ma hai visto come sei ridotto!-.
- Non so se ti sei guardata ultimamente, tu non sei messa molto meglio.- e nel dirlo la tirò verso di lui per evitare che un essere sparato nella loro direzione li colpisse.
- Non abbiamo tempo di discutere, ora vieni con me, devi rientrare in casa!- la prese per mano e la trascinò verso la porta sul retro.
- Aspetta là in mezzo ci sono altre persone- gridò la ragazza per sovrastare il rumore delle deflagrazioni che nel frattempo avevano cominciato a colpire quegli esseri.
- Sono Sem e Willi non ci pensare, sanno come difendersi!-
Continuava a sospingerla verso la residenza ma Margaret non poteva abbandonare i due ragazzi.
Quando giunsero all'entrata Robin la spinse a forza nel corridoio che conduceva in cucina, richiudendosi la porta alle spalle.
- Rimani qui, in casa quei cosi non possono entrare, io torno fuori!- la guardava con uno sguardo tanto serio che lei non aveva mai visto, e capì che poteva fidarsi di lui, più di chiunque altro.
- Aspetta.... vengo anch'io- ma l'occhiata che il giovane le rivolse le fece subito decidere che non era una buona idea.
- Ok, ma stai attento-
Lo seguì con lo sguardo oltre la porta, mentre sentiva le farfalle nella pancia.
Anche se non poteva uscire, doveva vedere cosa stava succedendo . Si diresse in cucina, dove vi era un'ampia finestra dalla quale si poteva vedere abbastanza bene la situazione nel giardino. Le entità incorporee combattevano ancora, ma quelle argentee stavano avendo il sopravvento, aiutate anche dalle esplosioni di luce che assomigliavano al raggio che l'aveva avvolta prima. Erano alcune rosse come il fuoco, altre azzurre cobalto così intese da fare male agli occhi, e altre ancora argentate. Le creature investite dalle detonazioni si ritiravano emanando striduli gridi di dolore. In mezzo a tutto ciò si ergevano Robin, Willi e Sem. Avevano il volto tirato in smorfie di dolore e stanchezza, le braccia issate davanti a loro si muovevano velocemente in gesti incomprensibili. Il potere che stava sconfiggendo gli esseri sembrava provenire da loro.
Cosa stava succedendo la fuori? Non era plausibile che nel mondo reale ci fosse una battaglia fra potenze surreali! Nella concretezza della sua vita non aveva mai preso in considerazione che esistessero veramente forze sovrannaturali, magiche o auree, anche se leggeva molto su di loro.
Ma come negare la realtà? Tre ragazzi che vivevano con lei erano là, a combattere contro qualcosa che non poteva e non voleva spiegarsi, rischiando di farsi molto male. Si ritrovò a sperare che non succedesse loro niente di male. 

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Capitolo 3
*** sentimenti traboccanti ***


Appena Margaret si accorse che la battaglia svolgeva al termine andò velocemente a cercare qualcosa per medicare le ferite che avrebbero potuto riportare i ragazzi.Quando finalmente varcarono la porta lei si precipitò da loro.
Sembravano abbastanza stanchi, avevano le occhiaie e gli abiti sbrindellati, ma non erano feriti in maniera grave.
Andarono tutti in salotto, dove si lasciarono cadere sui morbidi divani in pelle tirando sospiri di sollievo.
Nella stanza calò il silenzio. Nessuno era pronto a dare spiegazioni di quanto era successo. Fu lei ad interrompere l'atmosfera creatasi.
-Cosa è successo là fuori?- tutti e tre evitarono il suo sguardo- Prima o poi dovrete darmi una risposta. Non penserete che sia normale assistere ad una cosa simile!-.
-Credimi lo sappiamo! Ma non è facile spiegare- Era stato Sem a risponderle. Aveva un aria spaurita, e si contorceva le mani. I piccoli occhiali che portava sempre in bilico sul naso avevano perso una lente; dovevano essersi rotti durante lo scontro. I suoi capelli neri, che quella stessa mattina erano perfettamente pettinati, erano ora scompigliati e ricoperti da una finissima polverina verde.
Gli altri due non erano però messi meglio.
Il peggiore dei tre era Willi che si teneva una spalle dolorante e aveva la rossa capigliatura tutta bruciacchiata.
- Quella che hai visto oggi è stata un piccola scaramuccia che abbiamo avuto con degli esseri- intervenne Robin, con un tono che voleva essere scherzoso, ma che non convinse nemmeno lui.
- Spiegati meglio?- lo incalzò lei.
- Be vedi noi siamo speciali, come avrai notato, abbiamo poteri e come noi anche altri li hanno-.
- Quindi voi siete dei maghi?- Un simile chiarimento non la convinceva affatto.
- Be non proprio maghi, noi facciamo parte di forze arcane molto più potenti e..... siamo reali- una piccola risatina si levò da Willi.
Parlava con tono serio e la fissava dritta negli occhi- Non possiamo rivelarti molto, non ne abbiamo il diritto- il ragazzo sembrava veramente molto dispiaciuto per ciò - ma devi sapere che quegli esserini, che ai visto la fuori, sono solo frammenti di forza vitale resi corporei. Si nutrono dell'energia delle persone-.
Vedendo il viso spaventato di Margaret, Robin si velocizzò ad aggiungere: - Non ti possono fare del male, non fino a che rimani in casa. Non possono oltrepassare le soglie, se lo fanno perdono il loro brandello di energia vitale e scompaiono. Le soglie sono frapposti di magie molto potenti.-
Non capiva molto di quello che le stavano raccontando. Ma non poteva fare a meno di confrontare le informazioni appena ricevute, con quelle lette per anni nei suoi libri.
Margaret si appoggiò allo schienale imbottito del divano e chiuse gli occhi. La sua testa era martellata da fitte di dolore.
Ora che tutto era finito, l'adrenalina aveva ceduto il posto alla spossatezza, lasciandola con ben poca voglia di pensare.
- Sei stanca e piena di graffi dovresti andare a riposare- la incitò dolcemente Robin.
Anche se le pesava ammetterlo lui aveva ragione.
Consegno gli strumenti di primo soccorso agli amici, e si congedò dal gruppo. Con passo traballante si diresse verso la sua camera.
Decise che era meglio fare un bagno. Era sporca di terra e polvere.
Quando si tolse i vestiti, ormai inrimediatamente da buttare, vide che aveva il corpo cosparso di graffi. Nell'immergersi in acqua bruciarono dolorosamente. Detestò chiunque avesse creato quelle entità che l'avevano ridotta in quel modo.
Dopo qualche istante le fitte passarono, e si trovo avvolta dal sollievo dell'acqua calda.
Il calore si impossesò delle sue membra e le sembrò di rinascere. Il mal di testa sciolse la sua stretta e lei fu di nuovo libera di ragionare.
Non trovava il modo di interpretare le parole di Robin.
Le aveva detto che loro facevano parte di forze arcane molto potenti. Quel termine “arcane” le suscitava un ricordo indefinito di qualcosa letto anni prima, in una relazione di lavoro rubata ai genitori, nascosta poi in una vecchia scatola di scarpe che ancora conservava. Non ricordava a cosa si riferisse il testo precisamente, in quanto era molto piccola quando lo aveva letto, non aveva più di otto anni,e non ne aveva capito la maggior parte delle parole. Rievocava dai meandri della memoria esseri potenti e con straordinari poteri, ma che a causa di una tremenda catastrofe erano spariti dalla terra.

Una volta finito quel lungo bagno avrebbe cercato il pacco, doveva essere ancora tra le poche cose che aveva conservato della sua vecchia vita, ma per il momento decise di non pensarci.
Finì di lavarsi e andò in camera sua, dove si addormentò senza nemmeno accorgersene.
La ridestarono dei rumori indefiniti.
Era distesa fra le calde coperte ancora in accappatoio e le ci vollero alcuni secondi per capirne il motivo. Era talmente scossa e scombussolata che appena aveva toccato il letto si era lasciata andare in un sonno ristoratore, senza nemmeno mettersi il pigiama.
La stanza era totalmente avvolta dal buoi e Margaret ne dedusse che doveva già essere sera o notte.
- Si chi è?- chiese alzandosi barcollando ancora insonnolita.
- Sono Willi, mi hanno mandato a chiamarti per la cena! Scendi o non troverai più niente da mangiare!- Quindi era già ora di cenare! Aveva dormito per più di tre ore.
- Ora arrivo, grazie Willi!- gridò in risposta mentre già cercava di infilarsi un paio di pantaloni recuperati dal fondo dell'armadio. Indossò una maglia grigia con due ali dorate disegnate sulla schiena e dei laccetti rossi che si intrecciavano sulle maniche. Le piaceva indossare quella felpa, dalla prima volta che l'aveva vista nella vetrina di un negozio, se ne era innamorata. Con quella addosso si sentiva subito meglio, come se le spuntassero veramente due estremità piumate sul dorso.
Andò il più velocemente possibile in sala da pranzo, ma arrivata vi trovò una sorpresa.
Si aspettava di vedere i tre ragazzi seduti al tavolo a mangiare, ma non vi era nessuno nel locale. Dove erano finiti tutti? La tavola era apparecchiata per una sola persona, per lei. Perché gli altri non cenavano con lei? Decisa ad avere chiarimenti si recò in cucina in cerca della cameriera. Quando l'ebbe trovata le chiese se conosceva il motivo per il quale non c'era nessuno a mangiare, e la donna le rivelò che i giovani avevano già cenato da circa mezz'ora.
Perché allora Willi era andato a chiamarla? Ci rimuginò sopra mentre cenava e alla fine concluse che non aveva importanza. Molto probabilmente dopo aver mangiato, il ragazzo aveva visto che non si faceva vedere e si era deciso a svegliarla. In fondo lui era ghiotto di cibo: lo aveva notato quella mattina. Finì di cenare in silenzio.
Era stanca anche se si era riposata per molte ore, le ossa le dolevano e i piccoli tagli pulsavano dolorosamente.
In quel momento l'unica cosa che voleva fare era accucciarsi vicino al caminetto seminascosto della sua stanza preferita. Lo scoppiettare del legno la rilassava e leggere prima di andare a letto le portava i sogni che tanto agognava.
Con passo pesante e lento arrivò fino alla biblioteca dove aprì la porta già pregustandosi il dolce crepitio delle fiamme, ma quando vi mise piede la trovò decisamente sovraffollata.
Willi, Robin e Sem erano seduti intorno alla statuaria scrivania e appena lei era entrata avevano interrotto una discussione alquanto animata.
-Cosa ci fai qui? Pensavo stessi già dormendo!- la rimproverò Robin.
Il modo aggressivo del ragazzo cozzava con il modo gentile con cui l'aveva aiutata e le aveva parlato quello stesso pomeriggio. Non capiva come potesse succedere una cosa simile. Tutto questo unito alla frustrazione per gli eventi di quel giorno, che Margaret già sentiva, le fece perdere il controllo.
- Io cosa ci faccio qui!? Be mi sembra ovvio. Questa è la mia biblioteca! Ho molto più diritto di voi di starvi!-
- E allora?- Robin la guardava con freddezza e teneva lo sguardo puntato su di lei – Non sei più una bambina non dovresti fare i capricci per una cosa così poco importanti!- Le si raggelò il sangue.
- Io non faccio i capricci! Tu non hai il diritto di dirmi certe cose!- era stato lui ad iniziare, e poi lei andava sempre li dopo cena. Sentì le lacrime scenderle dalle guance.
- Oh, ora piangi? Non ti stai forse comportando da piccola?- le teneva lo sguardo puntato addosso ridendo, prendendosi gioco di lei.
- Questo è il mio rifugio, io... io ti odio!- e così urlando si girò e se ne andò.
I piedi non smisero di correre finché non fu arrivata in camera sua.
Cos'era successo? Non se lo spiegava. Lei non era così. Lei non si arrabbiava per simili cose.
E adesso la rabbia traboccata in Margaret aveva lasciato il posto alla tristezza. Quel sentimento che tanto aveva cercato di cacciare dalla sua mente, e dal suo cuore, per sei anni , scoppiava ora dentro di lei come una bomba. Aveva deciso di non rimpiangere mai le cose perse, gli affetti …... la sua vita. Il suo orgoglio non glielo permetteva! Ma in quella camera buia il suo orgoglio perdeva contro la malinconia e le mille paure che attanagliavano il suo essere.
Per sentire i genitori ancora vicini cercò la scatola di scarpe , da sotto il letto, e la aprì. Dentro c'erano reliquie di una persona che ormai non c'era più. Una lei che era scomparsa una bella mattina di sei anni prima. Si sarebbe ricordata quel giorno per sempre.


 
Giocava felice sul bel tappeto celeste che padroneggiava nel salotto. In mano aveva le sue Barbie preferite, quelle con i vestitini da principesse. Era contenta, i genitori sarebbero tornati da un momento all'altro, dopo essere stati in viaggio per tre mesi. Le avrebbero portato un meraviglioso regalo. Quando i suoi erano via la zia si trasferiva spesso a casa sua per curarla. Il sole splendeva oltre la finestra che dava sul vialetto. L'anziana donna stava preparando i biscotti in cucina quando il telefono squillo. Pensando che fossero i genitori Margaret si precipitò al telefono per rispondere: - Pronto? Mamma sei tu?-
Ma la voce gracchiante che rispose all'altro capo smentì le speranze della piccola:- No piccina sono un amico della zia, me la passi?- nella voce dell'uomo c'era qualcosa che non le piaceva.
-Si, un attimo- Passò la cornetta alla donna.
- Pronto?- la piccola guardava incuriosita la parente che ascoltava concentrata l'uomo. La sua faccia divenne prima sorpresa e in seguito una maschera di orrore. - Ok, grazie- e riattaccò.
- Margaret devo dirti una cosa, vieni un attimo qui!- la richiamò con un filo di voce.
Quello che seguì fu la disperazione, il pianto, l'odio e la perdita di se.


 
- Ai!- Qualcosa le aveva punto il dito. Una piccola gocciolina rossa si stava creando sul suo pollice. Aveva le mani dentro la vecchia scatola. Cosa l'aveva punta? Spostò le tante fotografie stropicciate, il piccolo vestitino rosa per le bambole e la sotto trovò una graziosa spilla. Il fermaglio era d'argento, della forma di un fiocco, nel centro dove si intrecciava era incastonata una piccola perla bianca come il latte. Era il suo ricordo più importante e prezioso. Era l'unico gioiello che aveva della madre, ed era anche quello a qui la donna ,quando era ancora in vita, teneva maggiormente.
Lo prese delicatamente e se lo appuntò alla felpa. Si guardò allo specchio. Notò quanto lei assomigliasse alla sua mamma! Più cresceva e più diventava uguale a lei. Però non sarebbe mai arrivata ad eguagliarla in bellezza, non avrebbe mai avuto il suo portamento e la sua spontaneità.
Strinse le mani sulla piccola spilla e immaginò di stringere la madre.
Quanto avrebbe voluto riaverla li con lei in quel momento.....
tic! Tic!

dei rumori alla finestra? Si avvicinò all'apertura e guardò fuori. 

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Capitolo 4
*** visita nel mezzo della notte ***


 Il cielo al di là del vetro era scuro come la pece e la luna splendeva alta e chiara come a voler vegliare sulla terra. Il prato ai piedi della villa spariva nella notte, brillando di mille innocenti fiori notturni.
Sotto la sua finestra, nascosto da un enorme cespuglio di bacche selvatiche, c'era Willi che tirava piccoli sassolini sul davanzale. I suoi rossi capelli gettavano danzanti ombre sul suo viso, conferendogli un espressione sfuggente.
-Willi cosa stai facendo?- quel ragazzo le stava simpatico, tutto sommato non era irritante come Robin.
- Ti va di fare una passeggiata? ti devo parlare!- le chiese, con un mezzo sorriso, un po' gridando e un po' sussurrando.
- Si, va bene. Aspettami li che arrivo- Non sapeva per quale motivo avesse accetta l'invito, ma almeno avrebbe preso una boccata d'aria.
Chiuse la finestra, che emesse un lieve cigolio, e si diresse velocemente verso il giovane.
Nella foga del momento, non pensò agli avvenimenti del pomeriggio e quando, scendendo le scale, le ritornarono alla memoria i piccoli esseri con le unghie affilate, era ormai davanti alla porta d'ingresso e non poteva più tornare indietro.
Si fermò di colpo. Non poteva uscire! Ancora sentiva la sensazione delle loro grinfie che le strappavano la pelle. Senza accorgersene aveva iniziato a tremare, e per cercare di calmarsi si appoggiò alla porta. Pian piano il suo respirò tornò regolare.
- Hey, Margaret sei tu?- La ragazza sobbalzò. Era la voce di Willi che la chiamava dall'altro lato.
- Si, sono io. Ho cambiato idea, non ho più voglia di uscire!- Per alcuni istanti non le giunse più alcun rumore. Forse il ragazzo si era offeso e se ne era andato.
- Allora entro io, devo parlarti!- Era praticamente un sussurro, ma almeno lui era ancora li.
La ragazza si spostò dalla soglia per permettergli di raggiungerla.
Quando furono l'uno di fronte all'altra, nell'atrio, lui le fece segno di seguirlo. La condusse in una graziosa stanza, situata vicino al soggiorno, che fungeva da sala riunioni del signor Albert.
Il locale era minuziosamente arredato in ogni sui più piccolo particolare: il pavimento era ricoperto da un morbido e costoso tappeto che sembrava tessuto direttamente dai candidi raggi di luna; le pareti bianche, come l'avorio, erano ricoperte da vetrine e armadi di legno finemente intagliati. Sull'unico muro che dava all'esterno della villa, si apriva una grande vetrata multicolore rappresentante un candido giglio. Al centro della stanza c'erano quattro comode poltrone di pelle che sembravano fatte di neve tanto erano chiare.
Si sedettero in modo tale da guardarsi dritti negli occhi.
- Allora cosa volevi dirmi di tanto importante?- Era felice di parlare con qualcuno che non fossero i professori e il signor Albert, ma quella situazione cominciava a diventare abbastanza strana.
- Scusa se ti ho disturbato a quest'ora, ma volevo chiederti perdono per il comportamento di Robin.- Dall'espressione del ragazzo si capiva che era veramente dispiaciuto, e lei non poteva sopportare di vederlo in quello stato, soprattutto perché non era stato lui ad offenderla.
- Non ti preoccupare- per far capire le sue buone intenzioni gli mostrò un grande sorriso – E inoltre non sei tu che devi scusarti! Ma quello stupido!- Se solo ripensava a come l'aveva trattata si riempiva nuovamente di rabbia.
- Ti prego non detestarlo! Lui è simpatico se lo si conosce, soltanto che, a volte, erige delle barriere intorno a se...-
Non ci credeva, Willi stava difendendo Robin! Dovevano essere molto amici se si era spinto a tanto. Non voleva ascoltarlo mentre lo proteggeva, ma riusciva fin troppo bene a capire le sue parole. Anche lei edificava muri insormontabili, per non farsi toccare da niente che la potesse ferire, ma non credeva che anche il ragazzo fosse come lei.
- Aspetta, non ho alcuna voglia di sentirti mentre gli togli le sue colpe!- lo aveva interrotto mentre ancora si dilungava in inutili pretesti – Tu mi piaci come persona, ma non intendo in alcun modo farmi piacere lui!- Si era alzata in piedi e stringeva con forza i braccioli della poltrona, tanto che i polpastrelli gli erano diventati bianchi.
- Lo so ma se tu provassi....- iniziò lui, ma lei lo interruppe nuovamente – Ha rovinato il giorno del mio compleanno! Non intendo farmi passare l'arrabbiatura!- stava praticamente gridando, ma era estenuata, se ne accorse e abbassò la voce: – Ora sono stanca quindi vado a dormire. Buona notte!- e così dicendo si congedò dal giovane, che era ancora seduto con un'espressione di sorpresa in volto.
In camera sua si sdraiò sul letto, spostando per terra la scatola di scarpe e tutto quello che vi era dentro. Si dimenticò totalmente della relazione dei genitori.
Aveva fatto nuovamente una scenata davanti a uno dei ragazzi, e ora se ne pentiva. Willi era stato gentile con lei e Margaret non aveva fatto altro che riversare su di lui tutti i sentimenti negativi che provava per Robin. Si chiese se era veramente così irata con lui perché aveva rovinato il suo compleanno oppure per non voler vedere quanto le mancava essere come Robin. Non credeva di essersi arrabbiata per un motivo futile come il primo. Sapeva che il giovane era tutto quello che nel profondo voleva essere: simpatica, con un grande magnetismo e con tanti, tanti amici. E sapeva anche che non sarebbe mai diventata come lui.
Lei era cambiata ormai, e non poteva più tornare indietro. C'era stato un tempo in cui si sentiva circondata da persone che le volevano bene, ma era terminato ormai. Chiuse gli occhi, voleva solo riposare e sperare che i giorni seguenti non sarebbero stati come quello. Si lasciò scivolare in un denso e nero tepore. 

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Capitolo 5
*** amici o nemici? ***


 
Il rumore della pioggia battente sugli stipiti la svegliò, cullandola in una lenta e costante litania.
I suoi occhi ancora appannati impiegarono alcuni secondi per mettere a fuoco le pareti e gli arredi della sua stanza.
Era un piovoso martedì mattina e il suo umore era nero come il carbone. Non aveva voglia di alzarsi ed andare a lezione, affrontando l'inevitabile incontro con i suoi nuovi conviventi.
Si strascinò fuori dal suo caldo giaciglio e strascicando i piedi, uscì dalla stanza diretta verso il bagno posto all'estremità del corridoio. Si lavò e si vesti svogliatamente mentre cercava di rincuorarsi.
In fondo la casa era grande e la scuola immensa, con attenzione sarebbe riuscita ad schivare i ragazzi, magari avrebbe evitato di salire sul bus con loro, se fosse riuscita a prendere quello delle sette ed un quarto. Si, avrebbe fatto in questo modo, poteva farcela!
Una volta pronta si diresse con passo deciso verso l'uscita della residenza, facendo il minor rumore possibile.
Arrivata alla porta prese un grande respiro e, incoraggiandosi ad non aver paura, la dischiuse. Chiudendo gli occhi si slanciò in avanti e... andò a sbattere contro qualcosa o qualcuno. Due mani l'afferrarono mentre cadeva all'indietro per l'urto.
Sapeva che sgattaiolare fuori dalla residenza, senza essere accompagnata, non era una buona idea, ma come al solito non aveva dato retta alla ragione! E adesso era in trappola. Il panico la pervase, immaginò di essere finita nelle grinfie di qualche mostro!
Aprì gli occhi, pronta a gridare.
Margaret rimase con la bocca spalancata e l'urlo in gola. Davanti a lei c'era un pallido Robin che la reggeva. Si divincolo dall'abbraccio con ben poca cortesia.
Il ragazzo aveva i lunghi capelli del colore dell'argento legati in una fine treccia che gli ricadeva placida sul nero cappotto di lana. Al collo portava una voluminosa sciarpa viola, sotto alla quale si nascondeva un sorriso fra il divertito e l'imbarazzato.
-Ciao, esci presto stamani!- la salutò .
- Scusa, ma devo andare.- Fu la secca risposta di Margaret. Fece per oltrepassarlo, quando lui si mosse di colpo e l'afferrò per un braccio.- Aspetta!-
La ragazza, sorpresa, gli puntò addosso il suo più glaciale sguardo, accorgendosi così che il viso di lui sembrava stanco e aveva il fiatone.
Quasi in un sussurro, tanto che lei fece fatica a sentirlo, lui le disse– Io.... volevo scusarmi per ieri...-
Era sorpresa e di sicuro non si aspettava niente del genere. Robin si chinò e raccolse una busta di carta che probabilmente gli era caduta quando lei gli era andata a sbattere contro.
-Prima di andare vieni dentro a fare colazione, sono andato a comprare i muffin!- le indicò la busta alzandola davanti ai suoi occhi. Sul piccolo sacchetto di carta era riportata la scritta “I dolci celesti”. Era la sua pasticceria preferita! Senza accorgersene aveva già deciso di accettare l'invito. Non riuscì a trattenere un piccolo sorriso.
- Vedi, lo sapevo che ti sarebbero piaciuti, li ho provati la prima volta che sono venuto in questa città e me ne sono innamorato! Inoltre sono andato a comprarli apposta- le allungò il sacchetto.
Cosa fare? Si trovava del tutto spiazzata dalla capacità di cambiamento d'umore del ragazzo! Però non poteva evitare di pensare che lui fosse andato in città solamente per comprare quei dolci! E la città era molto lontana se si percorreva la strada a piedi!
- Ok, entro, ma solo per i muffin!- e li afferro.
Rientrarono in casa e andarono in cucina dove si dilettarono nella preparazione della colazione.
Nel locale scese un profondo silenzio, che alle orecchie di Margaret suonava come un boato assordante, riempito di mille parole mai dette.
- Willi mi ha detto della vostra conversazione- disse improvvisamente lui.
Il silenzio che fino quel momento aveva trovato insopportabile, improvvisamente lo rimpiangeva.
Non trovava una risposta a quella affermazione. Abbassò lo sguardo sui piatti che teneva fra le mani. Avrebbe dovuto disporli sul tavolo.
- So di non essermi comportato bene con te ieri sera, ero solo..... sfinito e con i nervi a fior di pelle-.
Margaret arrossi. All'improvviso le parole dette d'impulso il giorno precedente le pesavano come macigni nell'animo. Non ne sapeva il motivo però. In fondo lei aveva esternato i suoi pensieri a Willi, ma sapere che Robin conosceva di cosa avessero discusso la faceva sentire male.
- So che sei molto arrabbiata con me e forse anche con gli altri ragazzi, si nota dal tuo comportamento- Robin aveva la fronte corrugata e continuava a fissarla, anche se lei non trovava la forza per guardarlo- Però voglio dimostrarti che non ho sempre quel brutto carattere, e inoltre dobbiamo almeno sopportarci finché viviamo insieme, no?- e le tese la mano. Nella sua voce non c'era traccia di presa in giro e i suoi occhi erano sinceri.
Cosa doveva capire Margaret da quel discorso? Che il ragazzo voleva farsi perdonare o che non poteva fare altrimenti per sopravvivere alla convivenza forzata?
Stava per domandarglielo quando si sentì uno scalpiccio , e dalla porta fecero capolino Willi e Sem scompigliati per il risveglio, ma pronti a fare colazione.
-Buon giorno!- gridarono all'unisono.
La ragazza agguantò l'occasione al volo e si spostò verso di loro, senza così dover scegliere se porre la mano o meno al giovane.
- Ben svegliati! Sedetevi che la colazione è pronta!- e fece segno loro di accomodarsi al tavolo. Accettarono felicemente.
Margaret servì i muffin ascoltando le allegre discussioni che si creavano intorno al tavolo.
Non faceva un pasto così allegro da molto tempo e fu per lei un regalo immenso, molto di più di quanto potessero immaginare i ragazzi.
Riuscì a scusarsi con Willi per la sera precedente, e ridere alle battute di Sem.
C'era soltanto un piccolo neo su quella colazione idilliaca: Robin non le staccava di dosso lo sguardo, che sembrava glaciale e allo stesso tempo pieno di interrogativi.
Cercò di ignorarlo, doveva pensare alle sue parole e capire chi lui fosse.
Finito di mangiare si avviarono tutti insieme a scuola, e per la prima volta da quando era arrivata in quella città si sentì circondata da persone vive e non da figure incorporee che le scorrevano accanto senza che lei potesse afferrarle.
Al suono della prima campanella la magia che l'aveva avvolta per quella strana ora purtroppo però si ruppe. Willi, Sem e Robin si diressero nella loro classe e lei rimase di nuovo sola.
Durante l'ora di storia sprofondò pian piano in un abisso. Capiva che l'alone di beatitudine di quell'insolito inizio di giornata non sarebbe arrivato all'intervallo. Sapeva che Willi e Sem erano stati gentili con lei per cortesia. Loro non avevano nessun interesse per far si che lei diventasse per loro qualcosa di più che una semplice conoscente. Da parte sua Margaret non era capace di fare amicizia, e si ripeteva continuamente che non le servivano amici di cui preoccuparsi e con cui condividere la vita.
Al suono della terza ora era arrivato l'intervallo.
Fu l'ultima ad uscire dall'aula. Si diresse come faceva sempre in fondo al cortile, dove in un angolino un po' isolato, dietro al capanno degli attrezzi, cresceva una piccola pianta di ortensia selvatica che aveva lo stesso colore delle pietre di acqua marina, e le medesime mille sfumature di azzurro. Curava e cresceva quella piantina come il più prezioso dei suoi averi, e lei la ricambiava donandole splendidi e piccoli fiori raggruppati in sfere.
Vi si sedette accanto e incominciò a staccare alcune foglie morte, ricoperte da goccioline di acqua per la pioggia appena cessata. L'arbusto aveva ormai perso tutti i suoi preziosi doni ma lottava ancora per mostrare la sua bellezza.
- Sei bellissima!- le sussurrò Margaret.
- Si è davvero bella!- una voce alle sue spalle la fece trasalire.
Dietro di lei c'erano i tre ragazzi che ridevano e la salutavano, persino Robin che però se ne stava in disparte.
- Come mai siete qui?- il suo stupore era evidente.
- Speravamo di poter fare merenda con te!- fu Sem a risponderle tendendole un panino impacchettato.
Perché lo facevano? Non capiva. Forse però non doveva capire, ma soltanto vivere il più possibile la loro presenza.
- Ok.... grazie!- prese il panino e sorrise con tutto il cuore.
- Allora dimmi curi sempre questa piantina?- Quel giorno sbocciò un'amicizia che durò per molti anni. 

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Capitolo 6
*** Chi sei? ***


 Dopo la scuola Margaret e Willi ingannarono il tempo esplorando stanze della villa dove la ragazza non era mai entrata, per timore di essere sgridata dal signor Albert.
Sem e Robin uscirono subito dopo pranzo con la scusa di doversi recare in biblioteca e non fecero ritorno se non per cenare.
Durante le esplorazioni con l'amico, la ragazza scoprì dell'esistenza di parecchie zone in cui non aveva mai messo piede.
Fra queste vi era una stanza completamente nera al cui centro trovarono un antiquato e polveroso proiettore, che una volta acceso, disegnò sulle scure pareti mille stelle, una candida luna e sferici pianeti.
Ne rimase affascinata. Era strano vedere l'universo chiuso fra quelle mura, come se un gigante l'avesse chiuso in una scatola.
Non aveva mai visto prima di allora un planetario, e lo spettacolo che si aprì davanti ai suoi occhi la lasciò senza fiato. Se fosse stata da sola, probabilmente, si sarebbe persa a guardare quel cielo per ore e ore, lasciandosi trasportare dalla malinconia.
Un altro locale, molto spazioso, era ricoperto completamente di quadri e arazzi molto antichi. Ognuno di questi rappresentava esseri longilinei e diafani , in posa, con lunghe e piumate ali che ricadevano su spigolose spalle come preziosissimi mantelli. Tra le mani, ricoperte d'oro, tenevano affilate spade pronti alla battagli.
Margaret rimase attonita e con la sensazione di aver già visto dipinti simili a quelli. Emanavano un'aura di potere passato, di antico mal contempo nuovo e forte. Se chiudeva gli occhi poteva sentire le loro ali battere frenetiche e forti. Ma poi dovette abbandonare anche quell'illusione per proseguire nell'esplorazione.
Una dopo l'altra percorsero tutte le stanze che appartenevano a quella misteriosa e così familiare residenza, spalancandone le porte e scoprendone i segreti.
Al termine della loro perlustrazione erano entrambi soddisfatti dei misteri rivelati e delle piccole scoperte.
Si recarono allora nella piccola libreria, a bere una calda tazza di cioccolata , mentre dietro alle lucide finestre un pallido sole tramontava e una brillante luna sorgeva.
Quella giornata era passata velocemente, lasciando il passo alla sera.
Anche se stanca si sentiva bene come non mai, e lo dimostrava ridendo e scherzando con Willi, che si era rivelato una persona più che degna della sua amicizia.
-Sai una cosa? È bello passare una giornata “normale” ogni tanto!- il ragazzo sembrava felice quasi quanto lei – Io e gli altri non ci prendiamo una pausa da chissà quanto tempo, ed ero proprio stanco-.
-Lo so che non dovrei chiedertelo...- era curiosa, voleva sapere chi fossero, e le parole del giovane l'avevano incuriosita maggiormente – Da cosa ti sei preso una pausa?-
Non avesse mai fatto quella domanda! Il sorriso che prima campeggiava sul volto di Willi si ridusse in una smorfia seria e fredda:- Robin ti ha già detto che non possiamo dirtelo, ti prego non insistere!-
Margaret avrebbe dovuto accorgersi del suo sguardo pieno d'ira mentre la rimproverava, ma non lo fece.
- Ma io... vorrei conoscervi, sapere con chi sto vivendo!- Ora capiva quanto il fatto di non sapere a chi si stava affezionando, a quali persone aveva aperto il suo cuore, la rendeva insicura.
Ma non ottenne risposte.Il ragazzo era scattato in piedi e la guardava dritta negli occhi:- Ora basta! Non otterrai spiegazioni da me, quindi mettiti l'animo in pace!- la sua voce era calma, ma aveva la potenza di incuterle un terrore che non aveva mai provato. Rimbombava e tremava nella sua testa come se cavalli impazziti le stessero camminando sopra.
Senza riuscire a controllarsi chiuse gli occhi e le sue mani presero a tremare. La paura le invase la mente, e il suo respiro divenne irregolare. Il buio la inghiotti nelle sue fauci di ferro.
Tutto ciò non aveva senso! Il panico che stava provando era qualcosa di potente, e sentiva che nessuna persona avrebbe mai dovuto provare niente di simile!
Avvertì lontanamente la porta aprirsi e una voce che la chiamava.
Sentì un grande calore che le risaliva dalle mani fino alla testa e le paure dissiparsi. Subito dopo il richiamo del suo nome. Il fragore cessò. Aprì gli occhi. Era ancora seduta sulla sedia e stringeva convulsamente i braccioli. Aveva la fronte impregnata di sudore.
Difronte a lei vi era Robin inginocchiato, che le stringeva le mani. Doveva essere stato lui a creare il calore, e sembrava davvero preoccupato.
Il panico l'aveva avvolta solo per qualche secondo ma era sfinita.
- Tutto bene Margaret?- la voce del ragazzo era la stessa che l'aveva chiamata.
- Si!- una lacrima le scese lungo la guancia. Il giovane allora le strinse le mani.
- Mi dispiace....... è quello che succede quando la nostra rabbia è davvero forte e non riusciamo a controllarla. La proiettiamo verso chi abbiamo di fronte, con le parole, causando paura- quella frase era velata di tristezza e rammarico.
Le sembrò strano che il semplice gesto di tenerle le mani la facesse sentire pian piano meglio.
Si accorse solo dopo alcuni istanti della presenza di Sem e Willi. Quest'ultimo si teneva in disparte, lanciandole sguardi furtivi pieni di rimpianto.
Lentamente si riprese e in lei rimase solo il brutto ricordo come testimone di quello che le era successo.
Ci vollero un paio d'ore prima che, alla fine della cena, Willi le parlò per scusarsi.
Non fu difficile perdonarlo perché quello che le era successo non era dipeso da lui. Inoltre il ragazzo le porse le sue scuse tenendo in mano un vassoio colmo di fette di torta , giurando che non avrebbe mai più fatto una cosa simile.
Margaret non avrebbe mai scordato quello che era successo, ma aveva deciso che voleva diventare loro amica, per capire chi fossero veramente.
Chissà, magari un giorno sarebbero stati loro stessi a svelarglielo.
Quando finì di rimpinzarsi di dolci se ne andò in camera sua.
Aveva ancora una cosa da fare prima di andare a letto.
Salì nella sua stanza e raccolse da terra la vecchia scatola di scarpe.
Non aveva più intenzione di chiedere ai suoi nuovi amici cosa le nascondevano ma non per questo avrebbe rinunciato a scoprirlo. Sperava di riuscire a trovare qualche collegamento con loro nella relazione sottratta hai genitori anni addietro.
Frugò per un po' nel contenitore fino ad estrarvi un plico di fogli ingialliti dal tempo. Sulla copertina campeggiava scritto in inchiostro nero “ akero”.
Non conosceva il significato di quella parola, l'avrebbe cercata in seguito su internet.
Apri il fascicolo e incominciò a leggere: La verità sugli akero o più comunemente chiamati angeli.
Aveva letto molto su di loro ma non ne capiva il rapporto con i suoi genitori.


 
Non so se questi esseri celesti discendano veramente da Dio, ma la loro esistenza non fu come descritta dall'immaginario popolare . Furono esseri umani con poteri e capacità fisiche fuori dal normale. In passato si nascosero tra le persone ma non mostrarono mai ali sfavillanti sulla schiena e non si ricoprirono di luce. Rivelarono la loro vera forma solo in casi eccezionali, in situazioni di forte pericolo. La loro coscienza non agì solo in funzione del bene, ma li dispose del libero arbitrio, che alcuni non seppero utilizzare.
Facoltà di scelta che li indusse per anni in combattimenti sfrenati. Vi furono principalmente due fazioni avversarie. Da una parte coloro che volevano proteggere gli uomini comuni e dall'altra coloro che volevano prendere il controllo del mondo, consapevoli della loro superiorità.

 
l testo diventava poi sfuocato e schiarito e non si comprendevano più che poche parole sparse in tutti i fogli e una frase nella terza pagina.
 
Dopo la guerra detta “dei colori” , per le emanazioni colorate lasciate dai loro poteri, questi esseri scomparvero dalla terra.
 
Com'era possibile che avesse ancora più domande di prima?
Era frustante! Per quanto ci riflettesse non riusciva ad immaginare perché i genitori avessero fatto una ricerca simile sugli angeli. Sua madre era un architetto e suo padre un ingegnere.
Loro viaggiavano spesso insieme per lavoro e per quanto ne sapesse lei non correvano dietro a strane leggende.
Ma erano leggende?
Il giorno precedente aveva assistito a qualcosa di decisamente fuori dal comune, qualcosa di magico. Se esistevano esseri come Robin capaci di far scaturire fasci di luce dai palmi delle mani, perché non doveva credere all'esistenza degli angeli?
 

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Capitolo 7
*** un gelido bacio ***


 
Pancake. Il profumo che sentiva doveva essere proprio quello! Lei adorava quelle spesse fette circolari ricoperte di cioccolato o sciroppo d'acero. Ma probabilmente non esisteva dolce sulla faccia della terra che non le piacesse. Rannicchiata sotto le calde coperte si godette per alcuni istanti quel vanigliato aroma. La sera precedente aveva faticato molto a prendere sonno, e ora era distrutta. Strizzò gli occhi per alcuni secondi, costringendosi ad alzarsi.
Si affacciò alla finestra per guardare il tempo e prendere una fredda boccata d'aria, nella speranza che l'aiutasse a svegliarsi. La pioggerella del giorno precedente aveva lasciato il posto a un cielo terso e azzurro, ma la temperatura si era abbassata e l'aria era diventata frizzante.
Si ritrasse da quella gelida morsa e chiuse l'imposta. Doveva decisamente vestirsi in maniera pesante, se non voleva congelare quella mattina. Scelse dall'armadio un paio di pesanti jeans neri e un acceso maglione color magenta. Inoltre si infilò gli stivali marroni con le borchie e legò i capelli in due codini.

Scendendo verso la sala da pranzo notò un forte frastuono provenire dalla cucina. arrivò di fronte all'entrata dove il rumore era diventato più nitido. Si sentiva il cozzare di pentole e i tonfi di oggetti che cadevano. Incuriosita si precipitò verso l'origine del trambusto. Una volta varcata la soglia della stanza, si delineò alla sua vista uno scenario divertente e raccapricciante.
Tutte le superfici dei piani di lavoro erano ricoperte di scatole, pentole e scodelle sporche, bicchieri e impasti non identificabili. Ovunque vi era sparsa una polvere bianca che sembrava farina. E nel bel mezzo del locale vi erano Willi e Sem con indosso due ridicoli grembiuli arancioni, anche loro bianchi dalla testa ai piedi.
-Cosa state facendo?- non aveva mai visto la cucina ridotta in modo peggiore, e le dispiaceva molto per chi avrebbe dovuto poi rimettere in ordine tutto, e aveva il brutto presentimento che sarebbe stata lei.
-Non si vede? Prepariamo i pancake!- Willi sorrideva sventolando un grande cucchiaio pieno di impasto, che proiettò nell'aria migliaia di piccole goccioli.
-Ma non avete visto in che stato è questo posto?- era ridicolo che dei ragazzi come loro non riuscissero a preparare una colazione senza ridurre quel luogo in un porcile!
-Su, su non ti preoccupare tanto dopo mettiamo in ordine!- era stato Sem questa volta a risponderle, porgendole un piatto ricolmo di quel squisito dolce.
-Mi auguro per voi che manteniate la parola- a sgridarli questa volta era stata una voce alle sue spalle. Margaret trasalì. Non aveva avvertito l'entrata di Robin, come faceva a essere sempre così silenzioso?
-Va bene, ma ora mangiate! Le abbiamo fatte apposta per voi-.
Si sedettero in sala da pranzo, visto che in cucina non vi era più spazio.
Margaret iniziava ad abituarsi a vederli tutti riuniti lì.
-Questo pomeriggio io e Sem andiamo in biblioteca per studiare- annunciò ad un certo punto Robin.
Quasi alla ragazza, per la sorpresa, andò di traverso un boccone di frittella. Era proprio quello che le serviva: andare nel luogo in cui avrebbe potuto trovare le informazioni che le servivano per risolvere i suoi dubbi. I ragazzi si accorsero del suo strano comportamento e scoppiarono a ridere!
- Se non vi dispiace, verrei anch'io con voi, devo fare una ricerca per scuola-.
I due amici la guardarono impietriti per alcuni secondi, sui loro volti campeggiava ancora un mezzo sorriso; di certo non era la reazione che si sarebbe aspettata.
- Ma scusa, non hai già abbastanza materiale nella libreria della villa?- perché Robin le faceva una domanda simile? Era come se le nascondessero qualche cosa, di nuovo, oltretutto!
- Be, se devo andare in biblioteca probabilmente no- quel ragazzo aveva la facoltà di irritarla molto.
- Ok, va bene- si arrese - vieni pure con noi, basta che non ti arrabbi di nuovo!- e la guardò con aria di sfida, come per incitarla a ribattere.
Margaret sorrise affabile:- Ora che abbiamo risolto vado a prendere la tracolla, tra cinque minuti passa l'autobus- e si alzò portando i piatti in cucina.
Mentre cercava di infilare un bicchiere sportco nella lavastoviglie sentì, attraverso la porta di servizio, che collegava la sala da pranzo a quel locale, che fra i ragazzi si era accesa un'animata discussione sottovoce. Non riusciva a comprendere le parole esatte, ma sembrava che Sem stesse litigando con Robin.
Finì di riempire la macchina e si diresse verso la porta per cercare di ascoltare meglio, ma giunta di fronte a questa, i cardini cigolarono e comparvero i tre con i piatti tra le mani.
Margaret deviò traiettoria frettolosamente sperando che non avessero notato il suo bizzarro comportamento.
Salì di corsa in camera sua, raccolse la borsa ricoperta di spille da terra e il portafoglio in cui era custodita la tessera dalla biblioteca e si scaravento fuori di casa, verso la fermata dell'autobus.
Fuori si congelava. Avvolta nel suo cappottino nero a palloncino, si sedette sulla panchina sotto il cartello della fermata, pronta a salire sul pullman. Sbadigliò. Aveva sonno e il freddo non serviva a tenerla sveglia.
-Guarda che se ti addormenti non ti sveglierà nessuno e congelerai-.
Come al solito trasalì. Quel ragazzo era proprio un fantasma.
Invece di rispondere alla provocazione Margaret chiese:- Ma come fai?- .
Robin la guardò confuso:- come faccio a far cosa?-
- Lo sai! A comparire così, senza far alcun rumore!- era irritante anche solo porgli quella stupida domanda e, se poi lui faceva così, era anche peggio! Ogni volta che lui era nei paraggi lei si agitava, e non saperne il motivo la rendeva ancor più nervosa.
- Bo, come posso saperlo?- le rispose Robin, e si mise a ridere. Ora stava ridendo di lei?
Perché gli aveva fatto una domanda tanto ridicola? Si morse la lingua per il rimpianto!- Ok, va bene, ora smettila di prendermi in giro, era solo una curiosità, tutto qui-.
In lontananza comparve l'autobus che avanzava a gran velocità su per la collina, dove si trovavano loro.
Per fortuna, non avrebbe più dovuto sostenere quella …. cos'era? Una conversazione?
Appena il mezzo si fermò vi saltò dentro per prima.
All'interno di quella grande scatola di latta faceva decisamente caldo e in oltre vi erano stipati un grande numero di ragazzi insonnoliti. Ognuno aveva un occupazione diversa per far passare il tempo: vi era chi ripassava all'ultimo minuto, chi copiava i compiti o semplicemente chi ascoltava la musica con l'mp3. Tutti i posti erano già occupati e le toccò rimanere in piedi.
Il pullman stava per ripartire e Margaret notò che Willi e Sem non erano ancora arrivati. Se non si fossero mossi avrebbero perso l'unico passaggio per la scuola.
Si voltò in cerca di Robin magari lui sapeva dove erano.
Il bus partì con uno scossone, e la ragazza, perse l'equilibrio quasi cadendo. A fermarla era stato qualcuno che l'aveva afferrata per il gomito. Quando fu più stabile e ben attaccata ad un sedile, concentrò la sua attenzione sul suo salvatore, per ringraziarlo.
Era un ragazzo della sua età forse di un paio d'anni più grande.
Il viso scolpito nel marmo aveva un pallore quasi mortale, e su di esso si aprivano due grandi occhi neri che ricordavano pozze d'acqua profonde e insondabili. Il naso era squadrato e diritto e le labbra sottili. L'espressione era seria e concentrata su di lei, ma la cosa che la colpì di più in lui erano i capelli. Assomigliavano molto a quelli di Robin ma avevano qualcosa di diverso. Tra i candidi fili argento comparivano piccole ciocche di capelli neri strette in lunghe treccine.
Le venne la tentazione di toccarli.
Da quel ragazzo proveniva una strana sensazione che le urlava di non avvicinarsi, forse per il suo aspetto o per l'abbigliamento decisamente scuro! Ma non poteva essere così se l'aveva aiutata.
-Va tutto bene?- le chiese con tono gentile, ma senza perdere la sua espressione rigida.
-Si tutto apposto, grazie, sarei caduta di sicuro se non mi avessi aiutata!- e dicendo ciò gli tese la mano.
- Io sono Margaret- Non poteva credere di averlo fatto! Perché stava chiedendo il suo nome? Lei non era così, non le importava davvero sapere come si chiamasse. Però non riusciva a non essere curiosa di quell'individuo tanto simile a Robin.
- Samael- e le strinse la mano. Era fredda come il ghiaccio, l'esatto contrario del tocco dell'amico.
Si accorse del paragone che stava facendo e lo scacciò dalla sua mente. Non le interessava quello stupido, e non voleva averlo fra i suoi pensieri.
Il Bus frenò di colpo, erano arrivati davanti alla scuola. Le persone la spinsero fuori dall'autobus e lei perse il ragazzo.
Si fermò sul marciapiede per cercarlo. Non c'era più traccia di lui. Gli studenti continuavano a scendere dal pullman in una marea chiassosa, ma erano tutte facce sconosciute e uguali per i suoi occhi.
Mentre ancora osservava l'entrata della scuola e il prato posto davanti per trovarlo, si sentì afferrare una spalla.
Si voltò con la vana speranza che fosse Samael, ma non lo era.
- Ah, Willi- lo disse in modo un po' troppo deluso.
- Scusa se ti disturbo, se vuoi me ne vado!- sembrava veramente stizzito.
- No, aspetta..... non ti ho visto prima, con cosa sei venuto a scuola?- sperava di apparire veramente interessata.
- Visto che dopo dovete andare in biblioteca, Robin ha pensato che sarebbe stato meglio prendere la sua macchina. Visto che tu eri già uscita ha deciso di venire anche lui in autobus e lasciarci le chiavi a me e Sem-.
- Cosa? La sua macchina?- da quando quei tre avevano un automobile?
- Si non lo sapevi? Come pensavi fossimo arrivati alla villa?- Aveva il volto coperto da una pesante sciarpa, ma Margaret riusciva ad intravedere un espressione tra il divertito e il sorpreso.
- Io non lo so... non ci avevo riflettuto- come aveva fatto a non notarla parcheggiata sul retro della villa? Però in quei tre giorni non era più uscita in quella parte della casa, perché aveva ancora paura.
Mentre Margaret cadeva nel dedalo di pensieri che erano la sua mente, un ragazzo che doveva essere in classe con Willi lo chiamò e lui se ne andò dopo averla salutata. Lei si diresse in classe.
I suoi professori erano noiosi come al solito e lei non riuscì a togliersi dalla mente lo strano ragazzo dell'autobus.
Alla fine delle lezioni aveva ricominciato a piovere e Margaret si ritrovò ad aspettare che smettesse sotto il piccolo porticato adibito a parcheggio per le biciclette e i motorini degli studenti.
Le piaceva la pioggia, la rilassava e rispecchiava spesso come si sentiva, ma quel giorno non vedeva l'ora che smettesse.
I ragazzi avevano ancora un ora di lezione e non le andava di passarla li, in piedi, al freddo e inzuppata di acqua.
Sospirò in fondo non ci poteva fare niente!
Si mise ad osservare la strada. Non vi era nessuno in giro. Ogni tanto passava qualche rada macchina che sfrecciava veloce schizzando i marciapiedi ormai ricoperti di rigagnoli e pozzanghere.
- Ciao, cosa ci fai qui da sola?-
Come era possibile che tutti riuscissero a sorprenderla alle spalle in quel modo?
Dietro di lei c'era Samael che sembrava aver appena fatto una doccia per quanto era bagnato, se pur avendo un grande ombrello nero.
- Aspetto dei miei........ amici?- si poteva definirli così – per andare in biblioteca. Ma penso ci vorrà ancora un po'! E tu?-
- Sono venuto per prendere una cosa- e così dicendo le indicò il grande borsone blu che teneva appeso ad una spalla.
- mm... allora ancora grazie per stamattina! Senza di te sarei volata dritta sul pavimento!- non sapeva cosa dirgli, ma non voleva rimanere lì ad attendere Robin e gli altri senza nessuno a farle compagnia.
- Davvero non ti devi preoccupare- il tono della voce di Samael sembrava divertito ma il suo volto non mostrava nessuna espressione particolare. Incominciava a piacerle quel modo di fare del ragazzo: misteriosa e al contempo amichevole. Qualcosa in lei però continuava a gridarle di scappare via il più lontano possibile, senza voltarsi. Di non ascoltare quella parte del suo cuore che le suggeriva sentimenti positivi per quel ragazzo.
- Se vuoi posso accompagnarti io in biblioteca, non è molto lontana e ci stiamo in due sotto il mio ombrello- la fissava dritta negli occhi, e lei non poteva fare a meno di venir attratta da quello sguardo, era come sprofondare in un abisso.
L'inquietudine in lei crebbe maggiormente e si costrinse a spostare il suo sguardo da Samael, per fingere di osservare l'entrata della scuola.
- Io...- all'improvviso dalla porta anti-panico dell'ingresso sbucò Robin seguito a gran velocità da Sem. i due si fermarono di colpo come avessero visto un fantasma ed il primo si rabbuiò in volto il secondo divenne pallido come un cadavere. Si guardarono a vicenda, scambiarono qualche parola velocemente e si misero a correre ognuno in una direzione differente. Sem si recò verso il parcheggio delle auto dove c'era una grande macchina grigio metallizzata.
Robin invece si diresse verso di loro.
- Allora? Accetti o no?- la scena si era svolta in pochi attimi, ma erano bastati per farle perdere il filo di quello che stava per rispondere.
- Io non posso. Sta arrivando Robin e devo andare con lui- e così dicendo indicò in direzione dell'amico.
- Robin?- chiese l'altro quasi titubante mentre si voltava per vedere il nuovo venuto.
L'aria in torno a Margaret sembrò diventare ancora più fredda di quanto non fosse di già.
L'amico, che in tanto era giunto fino a loro, lanciava sguardi di fuoco a Samael che ricambiava.
Poi si voltò verso di lei e le disse in modo scontroso: - Se sei pronta andiamo, abbiamo molto da fare!- E così dicendo l'afferrò per la mano trascinandosela dietro.
- Aspetta un attimo!- ma Robin non si fermava, allora voltandosi verso l'altro si scusò per doversene andare.
Quest'ultimo in un movimento fulmineo si frappose fra lei e Robin, afferrando l'altra mano della povera ragazza.
- Hei! Bel cavaliere fermati un attimo. Io e lei non ci siamo ancora salutati!- e così dicendo Samael si chinò leggermente verso Margaret e cercò di dagli un bacio.
Lei aveva il cuore che le batteva a mille, e senza pensarci girò il volto così che il ragazzo riuscì solo a baciare la sua guancia.
Posò le sue labbra per pochi attimi sulla pelle della ragazza, e quando si allontanò lei riuscì a leggere nella sua espressione, per pochissimi secondi, la sorpresa per averlo evitato.
Senza saperne il motivo Margaret cercò subito con lo sguardo Robin.
Forse era per vederne la reazione, forse per chiedergli un silenzioso aiuto, ma lui era immobile, con la mascella serrata così forte che aveva tutti i muscoli del volto tirati. La guardava con degli occhi che la fecero morire di paura e un altro sentimento che non sapeva decifrare. Dove il ragazzo l'aveva baciata rimaneva un segno invisibile, ma non di calore come si sarebbe aspettata, ma di freddo gelo.
- Allora ci vediamo in giro Margaret- la salutò Samael e scomparve nella fitta pioggia.

- Andiamo- . 

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Capitolo 8
*** conversazioni spiate ***


  Si lasciò trascinare fino alla macchina dove li aspettava Sem al volante. Voleva gridare contro quello stupido ragazzo, contro il mondo e contro se sesta, ma l'unica cose che riusciva a fare era camminare guardando i suoi piedi, cercando di non piangere.
Salì sul sedile posteriore e si sedette. L'auto si accese con un piccolo rombo e partì.
Lei rimase immobile osservando fuori, dal finestrino, la scuola scappare lontana.

Stettero tutti in silenzio per un po'.

Quella calma apparente pesava come un macigno sull'anima di Margaret, sentiva che c'era qualcosa fra lei e i ragazzi, un segreto che non sapeva, e che non avevano intenzione di dirle.

Robin si era comportato in modo strano pochi minuti prima con Samael.

Ora teneva lo sguardo fisso davanti a lui, guardando il paesaggio inzuppato e grigio, senza fare il ben che minimo movimento.

Non capiva cosa avesse fatto di male per farlo adirare in quel modo, e non comprendeva quello strano sguardo letto nei suoi occhi quando Samael l'aveva baciata, e soprattutto, quello che aveva provato lei.

-Allora qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo? Perché io non riesco a capirlo!- non poteva sopportare quel silenzio senza nemmeno conoscerne la causa.

-Non sta succedendo niente, a cosa ti riferisci?- le rispose Sem guardandola dallo specchietto retrovisore, con una calma che quasi le gelò il cuore.

- Lo sento quando una persona è in collera con me!- era esasperata, e ora capiva il perché: Ogni qual volta parlava con loro la trattavano come una bambina alla quale non si vogliono rivelare i segreti degli adulti.

-Noi non siamo arrabbiati con te, noi....- incominciò a spiegarle il ragazzo, ma Robin lo interruppe: - Non devi più vedere quel tizio! Sono stato chiaro?- era un ordine, pronunciato con voce ferma e severa.

- Cosa? Tu non hai il diritto di dirmi con chi parlare o chi vedere, e soprattutto non puoi rivolgerti a me in questo modo!- quasi urlò.

- Si invece che posso!- pronunciò l'altro con la voce leggermente inclinata dalla furia, che la ragazza avrebbe potuto leggere sul suo volto se solo lo avesse avuto davanti.

Lui non era abbastanza importante o legato a lei, per poterle impartire ordini!

- Margaret calmati, hai ragione- Intervenne Sem; ormai la situazione era diventata alquanto tesa- Robin smettila, ha ragione lei- poi prese fiato e continuò: - Quello che lui voleva dirti è che lo conosciamo e non è una persona affidabile, anzi...-

Improvvisamente, Margaret, si accorse che si stava comportando proprio come una bimba capricciosa, e si costrinse a calmarsi.

- Da quanto lo conoscete?- era curiosa di saperne di più.

- Non importa, ma abbastanza per far si che Robin si preoccupi per te, non ti basta?-.

Quelle parole la lasciarono di sasso.

Allora era apprensione nei suoi confronti, la strana reazione che aveva avuto il ragazzo?

Avrebbe spiegato il fatto che era stata trascinata quasi a forza fino alla macchina e il silenzio calatovi una volta entrata.

Si sentiva in colpa per aver alzato la voce contro di loro e avergli parlato in malo modo.

- Scusatemi, ma la prossima volta ditemi semplicemente tutto subito, ok? Non vi posso promettere che non lo vedrò più, anche se probabilmente accadrà, ma vi assicuro che starò attenta- era il massimo che poteva fare.

In fondo lei ancora non conosceva Samael e lui non si era dimostrato pericoloso o scortese nei suoi confronti. E oltretutto non se ne preoccupava molto, tanto non l'avrebbe mai più rincontrato.

Sem tirò un lungo sospiro. Dallo specchietto Margaret poté notare il suo sguardo rassegnato.

- Va bene, per il momento basta questo. Comunque siamo arrivati-.

La macchina avanzò lentamente verso un piccolo parcheggio recintato con dei bassi cespugli di bacche rosse, situato di fianco alla biblioteca .

Quando scesero dall'automobile aveva appena smesso di piovere e sull'asfalto si erano formate piccole pozzanghere in cui si rifletteva un pallido sole, creando strane geometrie colorate e arcobaleni.

Presero a piedi un vialetto di rettangolari mattonelle rosse che conduceva all'entrata anteriore della biblioteca.

L'edificio era situato su un lato di una graziosa piazzetta, circondata da bassi palazzi risalenti all'ottocento. Al centro era stata posizionata una statua di rame raffigurante una nike, adagiata su un piedistallo di marmo bianco. La dea della vittoria si ergeva con maestosità, dispiegando le sue grandi e candide ali.

Margaret era stata raramente in quel luogo, ma ogni volta che vi andava rimaneva affascinata da quella scultura.

Così austera ma allo stesso tempo elegante, col volto disteso in un placido ma severo sorriso. Protendeva le mani verso il cielo come a volerlo abbracciare.

C'era qualcosa di magico ed attraente in quella figura.

Si ritrovò ad immaginarsi fra quelle braccia, mentre vorticava fra le nuvole, con due grandi ali che l'avvolgevano.

Un lieve tocco sulla spalla la riportò alla realtà.

-Ehi, tutto bene? Ad un tratto ti sei bloccata!- era Sem; l'aveva riportata alla realtà.

- Si tutto apposto, volevo solo... niente, andiamo- e così dicendo si avviò velocemente verso l'ingresso dell'edificio, lasciandosi alle spalle quei vaneggiamenti.

Una volta dentro salutò i ragazzi frettolosamente e si diresse nel dedalo di scaffali e corridoi che si componevano in un labirinto infinito.

Voleva saperne di più sulle ricerche dei genitori e soprattutto sentiva il desiderio di perdersi nelle pagine di qualche polveroso volume. Infondo era quello il suo mondo, fatto di parole, frasi, pensieri e idee che aveva imparato a conoscere così bene in quegli ultimi anni.

Girò a vuoto per un po', semplicemente godendosi quel famigliare profumo di carta ingiallita dagli anni e facendo correre le mani sulle copertine ruvide dei libri, sbirciandone alcuni ogni tanto e poi riponendoli nuovamente nei loro posti.

Dopo un quarto d'ora che girovagava per la biblioteca si convinse che da sola non sarebbe mai riuscita a trovare quello che cercava, così si arrese a chiedere aiuto al computer e all'archivio informatico.

Non le piaceva cercare i libri in quel modo, preferiva scoprirli sugli scaffali, senza sapere bene cosa avrebbe trovato, ma non aveva molto tempo e non poteva sprecarne altro.

Si diresse verso la stanza al cui centro erano raccolti gli unici sei computer della biblioteca.

Era un locale abbastanza raccolto, con le pareti rivestite da una rovinata carta da parati marrone e i pavimenti ricoperti da un'orrenda moquette.

Le postazioni, delle piccole scrivanie blu, erano tutte occupate e dovette aspettare alcuni minuti, finché un ragazzo che ruminava una gomma non ne liberò una.

Conquistato il posto Margaret prese una penna e un pezzo di carta e guardò lo schermo.

La pagina iniziale dell'archivio informatico della biblioteca era di un cangiate verde, al cui centro compariva una barra, con scritto sotto in squadrate lettere nere << ricerca semplice: digitare titolo o parola chiave>>.

- E ora cosa posso scrivere?- si chiese ad alta voce come per darsi una risposta, non sapeva cosa cercare esattamente. Forse poteva semplicemente scrivere “angelo”?

- Prova con quello che stai cercando?-

Trasalì.

Da sopra la sua spalla spuntava un pallido volto incorniciato da diafani capelli d'argento.

- Robin cosa stai facendo?- non la stava seguendo... vero?! Se così era, non l'avrebbe passata liscia!

- Ero solo venuto a cercare una cosa, allora di che si tratta?- e con il mento indicò lo schermo.

- Non sono affari tuoi, e poi non potresti spostarti!?- non le piaceva che le stesse così vicino e poi si sentiva stranamente agitata. Inoltre non voleva che il giovane scoprisse cosa stava facendo!

Era una faccenda che non lo riguardava.

-E va bene, non ti chiederò più niente, scusa- e con un movimento fluido Robin si lasciò scivolare sulla sedia della postazione accanto alla sua.

Perché doveva rimanere proprio lì? Se lui non si allontanava lei non poteva più cercare le informazioni che le servivano, non senza rivelare all'altro cosa stava facendo.

Giocherellò qualche secondo con la tastiera schiacciando tasti a caso, finché non le venne in mente che poteva usare il nome “akero”. Di certo lui non sapeva il significato di quella parola!

Digitò velocemente le lettere e cliccò “invio”.

Aveva avuto un ottima idea e si congratulò con se stessa.

Con aria vittoriosa si girò per vedere cosa stesse facendo l'altro e, con sua grande sorpresa, scoprì che la stava fissando corrucciato.

-Cosa?.... perché stai cercando quella parola?- la voce di Robin era un filo che quasi non riuscì ad udire.

Come faceva a saperne il significato? Per quello che ne sapeva lei, poteva essere una parola greca o latina, o di una qualsiasi altra lingua sconosciuta!

-Tu ne conosci il significato?- adesso il tono del ragazzo era più aggressivo e i suoi occhi erano accesi di fervore e qualcosa simile a quello che Margaret vi aveva visto poco prima a scuola.

Non sapeva cosa rispondere: se avesse detto la verità sarebbe stata scoperta, ma se non inventava al più presto una bugia molto credibile, Robin non avrebbe smesso di farle domande.

- No... io... ho trovato questa parola e volevo conoscerne il significato...- in fondo era vero, non stava del tutto mentendo!

-Dove?- l'amico si era alzato e ora la sovrastava.

-Dove cosa?- la sua vicinanza l'agitava e le impediva di ragionare velocemente come succedeva di solito.

In un'altra qualsiasi situazione non sarebbe andata nel panico per quella poca pressione.

-Dove l'hai trovata?..la parola!- mentre la incalzava con la voce, il ragazzo si avvicinava sempre di più inclinandosi verso di lei.

Margaret sentiva il viso prenderle fuoco mentre cercava di concentrarsi ed eliminare quella strana soggezione che lui riusciva ad incuterle.

-Da... un saggio di storia che ho trovato nella biblioteca della villa!- sperava che il ragazzo ci credesse, e infatti, con sua grande sorpresa, vide il volto di Robin rilassarsi leggermente poco prima che si voltasse e si avviasse verso l'uscita della stanza.

Appena vide la schiena di lui sparire oltre la porta tirò un sospiro di sollievo.

Prima non se ne era accorta ma aveva iniziato a sudare freddo e ora che la tensione le era passata si sentiva più sicura.

Lanciando sguardi furtivi all'entrata, per controllare che il ragazzo se ne fosse veramente andato, rivolse nuovamente la sua attenzione al monitor, che nel frattempo aveva esaurito la sua ricerca.

Aveva trovato tre risultati:

“Gli dei nella civiltà classica”, “Vocabolario del greco e del latino”, “ La nuova musica”.

Erano tutti titoli di libri che però la biblioteca non possedeva. Anche se li avesse ordinati subito non sarebbero arrivati prima di un mese, e lei, non voleva aspettare tanto per darsi qualche risposta. Cercava e scavava ma era come se la verità si nascondesse ai suoi occhi.

Delusa spense il computer con rabbia e si diresse verso l'ala dell'edificio adibita alla raccolta dei volumi più antichi e stravaganti. Era uno dei pochi luoghi che riuscivano a darle un po' di pace interiore, e in quel momento ne aveva assolutamente bisogno.

L'ala della biblioteca adibita alla conservazione e alla lettura dei volumi più antichi era probabilmente la più elegante dell'intero edificio.

Margaret vi si era recata alcune volte per svolgere dei compiti, e anche se rare, le visite e quelle sezioni avevano fatto nascere in lei una profonda devozione per quel luogo.

Era un grande locale, separato dagli altri da un lungo corridoi che portava fino ad un trionfale arco di marmo, nel quale era incastonata l'entrata. Gli scaffali poco lavorati nel resto della biblioteca, qui diventavano intagliati e di legno pregiato, disposti in due file, paralleli all'entrata, creando così una specie di sentiero. Piccole lampade di vetro illuminavano tenuemente i muri, e la luce sembrava venisse risucchiata dalle pesanti librerie. Inoltre ovunque aleggiava l'odore della pelle che rivestiva gran parte dei libri.

La ragazza ricordava bene l'ubicazione di alcuni testi a qui voleva dare un'occhiata, li aveva scovati mesi prima durante una ricerca, ma allora non li aveva consultati per la mancanza di tempo. Così si diresse velocemente verso il ripiano in fondo a destra, dove erano collocati. Ma arrivata a metà della stanza si accorse di non essere sola.

Da dietro l'ultimo scaffale si udivano le voci di due persone che discutevano sottovoce. I suoni erano così flebili che non riuscì a riconoscerne i proprietari. Cosa doveva fare? Non voleva disturbare quegli uomini che sembravano immersi in una conversazione importante, ma allo stesso tempo non voleva rinunciare ai volumi. In un primo momento si girò e si diresse verso l'entrata. Poteva aspettare fino a che non fossero usciti dal locale e poi lei avrebbe potuto prendere i testi. Ma a metà del sentiero di legno, ci ripensò! Lei non aveva il tempo di aspettare, i ragazzi l'avrebbero potuta chiamare in un qualsiasi momento per tornare a casa, e così avrebbe visto i suoi piani andare in fumo.

Si decise quindi a prendere subito i volumi, anche se avrebbe dovuto interrompere la conversazione.

Avvicinandosi sempre di più all'ultimo scaffale, Margaret iniziò ad udire più chiaramente le parole, e arrivata a pochi passi di distanza, riconobbe le voci. Erano Robin e Sem.

Quest'ultimo si lamentava per qualcosa che non era riuscito a fare.

D'impulso la ragazza si nascose dietro ad un carrello stracolmo di libri.

Era la sua occasione per scoprire qualche informazione in più su i ragazzi.

-Non dovevamo portarla con noi, ora non possiamo svolgere la ricerca! Hai visto no? L'hanno già avvicinata, potrebbe essere pericoloso!- la giovane riconobbe la voce di Sem.

- Si, e sono preoccupato quanto te, ma non potevamo dirle di no, o l'avremmo fatta insospettire! Inoltre con noi è più al sicuro- Questa volta era stato Robin a parlare.

- Sarebbe più al sicuro alla villa, dove dovrebbe essere ora!- ribatté l'altro stizzito.

- Non gridare o qualcuno ci sentirà... e comunque ormai non ci possiamo fare più niente. Prima l'ho sorpresa che cercava al computer “akero”, forse a capito!- sembrava davvero preoccupato.

L'altro esplose in una rauca risata – Tanto meglio, prima o poi dovrà sapere la verità e allora....-

Un libro cadde dallo scaffale.

Margaret era talmente presa dal dibattito che non aveva fatto caso alle sue mani che avevano preso a tremare, facendo vibrare il carrello.

Si strinse nelle spalle sperando che i due non avessero notato il volume a terra e il rumore, o che lo attribuissero a qualche colpo di vento, ma non fu così. In un secondo il suo rifugio venne scaraventato via con un assordante clangore. Margaret spaventata si rannicchiò su se stessa, guardando verso la figura che la sovrastava: Robin, imponente davanti a lei la fissava con l'espressione più infuriata che gli avesse mai visto. I suoi occhi sembravano infiammati e il suo volto era plumbeo dall'ira.

Aveva paura che le capitasse di nuovo quello che era successo con Willi, quando la sua rabbia era esplosa.

Si accorse di tremare e chiuse gli occhi in attesa di quella voce che avrebbe evocato in lei la paura più atroce, ma non avvenne nulla. Dopo alcuni istanti si sentì afferrare per gli avambracci e sollevare in piedi bruscamente. Lentamente con il panico nel cuore, la ragazza osò guardare il suo assalitore.

Il ragazzo la osservava, ancora arrabbiato, ma non più con quello sguardo truce.

- Scusa ti ho spaventata, probabilmente ti ho ricordato Willi vero?- le chiese senza però lasciarla andare- posso chiederti cosa hai sentito del discorso di prima?- la sua voce era calma ma il suo volto lo tradiva.

- Non molto, e ho capito ancora meno, di cosa stavate parlando? Di me vero? Non capisco niente...- era davvero così! Da cosa dovevano proteggerla? Perché? Aveva così tante domande! Da quando i genitori erano morti non aveva più voluto interrogarsi su di loro, su chi fossero e su chi fosse lei, ma negli ultimi giorni quelle domande rinnegate erano tornate a fargli visita continuamente.

- Meglio così per ora, vedrai verrà il momento in qui avrai tutte le risposte, ma per ora, fidati di me non indagare più ok? E dimenticati di oggi- la stava implorando, ma la ragazza non riusciva a rinunciare alla verità.

- Ti prego Margaret.....- la guardò dritta negli occhi e lei si sentì così strana, non riusciva a rispondergli, così accenno ad un sì con il capo.

- Bene, allora torniamo alla villa, se tu hai finito con la tua ricerca...- di nuovo la ragazza rispose con un cenno affermativo, e senza parlare si avviarono tutti verso l'uscita della biblioteca.

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Capitolo 9
*** un brutto sogno ***


  Durante il tragitto di ritorno, in macchina calò di nuovo il silenzio, interrotto soltanto da un notiziario trasmesso a basso volume dalla radio.
La ragazza cercava di concentrarsi sulle parole del radiocronista, ma i suoi pensieri la portavano costantemente via, lontano, in quel suo mondo interiore dove si era rifugiata così tante volte, ma che ormai era invaso dai punti interrogativi.
Chiuse gli occhi, e si appoggiò più comodamente al sedile.
Come ormai succedeva di frequente la assalì un forte mal di testa, e non poté fare a meno di massaggiarsi le tempie. Non c'è la faceva più, doveva andare il prima possibile a comprare qualche analgesico per farselo passare in fretta.
- Qualcosa non va? Margaret stai bene?- Sem, che era seduto davanti al posto del passeggero, la stava osservando preoccupato.
- No, tutto bene, mi fa solo male un po' la testa...- cercò di sorridergli ma l'unica cosa che riuscì ad ottenere fu una smorfia e un'altra fitta di dolore.
- Quando arriviamo alla villa ti preparo un rimedio infallibile, ce lo tramandiamo in famiglia da anni!- il ragazzo sembrava molto fiero di quella medicina “ miracolosa”, la giovane sperava solo che non fosse un qualche intruglio che avrebbe dovuto ingurgitare a forza!
Una volta giunti alla vecchia casa, Margaret si fiondò in camera sua dove, al buio cercò un po' di sollievo. Dopo pochi minuti era già caduta in una specie di dormiveglia, nella quale galleggiava, al limite tra il sonno e la realtà.
Fu scossa da quello stato di torpore da qualcuno che bussava alla porta. Senza avere la forza per alzarsi, grugni una parola che doveva assomigliare ad un “avanti”.
La porta si aprì facendo entrare nella stanza un doloroso fascio di luce con Robin che stringeva in mano un bicchiere.
- Hai ancora mal di testa?- le chiese.
- mgn....- fu l'unica risposta che ricevette.
- Be, lo prendo per un sì- si avvicinò al letto socchiudendo l'uscio. La ragazza non riusciva a vedere altro che i suoi occhi dorati nella penombra.
- Ti ho portato il rimedio di Sem, nella sua famiglia sono dottori da generazioni!- e le pose il bicchiere. L'acqua al suo interno luccicava alla fiocca luce.
Quando bevve il primo sorso, il liquido trasparente le scese in gola lasciandole un dolce-amaro sapore sul palato.
Appena ebbe bevuto tutto il bicchiere, si sentì subito meglio. Si mise seduta e ringraziò il ragazzo – Devo fare i complimenti a Sem è proprio un genio, il mio mal di testa si è già placato un po'!-
- Ne sono felice- e così dicendo il ragazzo le poggiò una mano sulla fronte – Vedi di riposare un po' ora!- e così dicendo se ne andò.
Tutto d'un tratto si sentiva tranquilla, si rimise sotto le coperte, e non ci volle molto prima che si addormentasse.


 
Stava galleggiando nel nulla, il buio più intenso l'avvolgeva come un sudario. Si sentiva bene, come non lo era da molto tempo, solo in fondo al cuore sentiva una briciola di malinconia, 
ma la spazzò con una mano invisibile. Dove era? Non lo sapeva... qualcosa in lei le suggeriva che tutto quel niente non esisteva veramente, ma la voglia di crogiolarsi ancora in quella realtà prese il sopravento.
Non aveva corpo, solo “era”. Dopo un po' di tempo, o molto, non lo sapeva con esattezza, davanti a lei presero a crearsi delle immagini, all'inizio sfuocate e poi via via più nitide.
Da prima si formò il profilo di due persone, poi capì che erano i suoi genitori. Lacrime invisibili scesero dai suoi occhi mentre loro le sorridevano e la chiamavano. Come desiderava rivederli, lo voleva più di qualsiasi altra cosa. Cercò di avvicinarsi a loro, di abbracciarli di toccarli, ma il suo corpo non esisteva. Mentre li osservava nella loro felicità, l'immagine variò, e al suo posto comparve un vicolo, in lontananza poteva vedere l'insegna, per metà fulminata, di un bar.
Tutto d'un tratto si ritrovò all'interno dell'immagine, spinta verso l'angolo più buio, dietro al quale c'erano due figure che da prima indefinite andarono a delinearsi lentamente. Nascosta dietro ad un muro di ombre, poteva vederli: erano due ragazzi, non li riconobbe subito per via dell'abbigliamento. Erano coperti entrambi da lunghi cappotti scuri, portavano pesanti guanti e sciarpe.
A tradirli furono i lunghi capelli argentati di uno e quelli simili ma più scuri dell'altro.
Erano Samael e Robin.
Discutevano animatamente, ma lei non poteva udirli perché non aveva orecchie. Ad un certo punto i due si allontanarono da prima e poi, con grande velocità, si gettarono uno sull'altro. Appena i due si toccarono, scaturirono da loro fasci di luce in tutte le direzioni.
Robin emanava argento vivo, come se lo ricordava dallo scontro dietro alla villa, ma in maniera più viva e incontrollata, potente.
Dall'altro invece scoppiavano scintille color rame, brucianti e sulfuree, così accecanti da fare male.
Nelle mani dei due comparvero grandi e pesanti spade scintillanti, create per ferire e sorprendere.
Così lo scontro ebbe inizio.
Lo stupore iniziale per tutta la scena sciamò in paura, che ebbe il sopravvento, quando il volto di Robin venne attraversato da un lungo taglio. Samael esplose in una maligna risata, che le avrebbe fatto venire la pelle d'oca se l'avesse sentita. Il suo viso aveva qualcosa di cattivo, maligno, e lei provò lo stesso sentimento che aveva sentito la prima volta che lo aveva visto: il desideri di scappare il più lontano possibile.
Poi tutto divenne sfuocato e lei venne di nuovo rigettata nel buio nulla, questa volta freddo e oscuro e poi in uno stato di incoscienza e sonno.


Margaret si risvegliò ansimando. Era stato solo un sogno, un incubo! Continuava a ripeterselo senza sosta per non cedere al desiderio di correre da Robin per vedere il suo volto, per sapere che stava bene. Aveva sognato, era stato tutto frutto della sua immaginazione, Samael non era certo un... cos'erano i ragazzi?
Tutto quello che continuava a ripetersi per non mettersi a correre dall'amico, non riusciva a rassicurarla.
Decise che avrebbe soltanto controllato, solo per essere sicura.
Si alzò lentamente dal letto, ancora intontita dal sonno. Il mal di testa era passato, lasciandole come ricordo solo il gusto del rimedio in bocca.
Dirigendosi verso la porta della sua camera accelerò sempre di più il passo, senza accorgersene, e quando fu sul pianerottolo delle scale ormai correva.
Si fiondò al piano terra della villa, cercando di capire dove fossero i ragazzi.
Ormai dalle finestre si scorgeva il buio e la tenue luce della luna proiettava ombre danzanti sui vetri.
Sentì dei rumori provenire dal corridoio che portava alla libreria, e si diresse in quella direzione. Giunta davanti alla pesante porta, la spinse in malo modo, spalancandola. All'interno della stanza c'erano Willi e Sem girati di spalle che guardavano intenti qualcosa sulla pesante scrivania. Appena si accorsero che ad entrare era stata lei, si girarono di colpo, nascondendo dei fogli dietro la schiena. Subito notarono il volto della ragazza, turbato e ansimante per la corsa, e si preoccuparono:
- Cos'è successo Margaret!?-
-Dov'è Robin?- non voleva rispondere, le interessava solo sapere che il ragazzo stava bene! I due dovettero leggere la paura nella sua voce, perché si affrettarono a rispondere:
- E' andato a prendere una cosa, ora arriva. Perché sei così agitata?-
Stava per rispondere, quando alle sue spalle sentì una voce:- Cosa sta succedendo? Perché avete quelle facce?-
Robin! Era lui.
La ragazza quasi si buttò sul ragazzo, prendendogli il volto tra le mani, rigirandoselo per essere sicura che non avesse ferite evidenti. Dopo alcuni secondi si convinse che il suo sogno era stato solo un brutto incubo e lasciò la presa con un sospiro.
Robin un po' sorpreso per la sua reazione le chiese se andava tutto bene. Sembrava divertito e sicuramente gli avrebbe rinfacciato quel suo strano comportamento per molto, molto tempo, ma stranamente in quel momento non le interessava.
Prima era talmente preoccupata, e ora si sentiva talmente sollevata che avrebbe voluto urlare.
-Si, tutto bene, ho solo fatto un brutto sogno... dove tu eri ferito, e mi sono.. preoccupata....- senza volerlo arrossì, non per la stupidità dei suoi gesti, ma per aver ammesso di preoccuparsi per l'amico.
Le sue parole però non vennero accolte con un sorriso di scherno o con risate, ma il giovane divenne incredibilmente serio.
Vedendolo reagire in quel modo, Margaret, sentì di nuovo un briciolo di agitazione.
- Cosa ho detto di così strano?- chiese avvicinandoglisi di un passo.
Lui sfoggiò uno strano sorrise, che doveva avere lo scopo di rassicurarla e le rispose – Niente, era solo un sogno, non ti devi preoccupare così tanto! Io sto bene, vedi? Su ora andiamo a ce
na, che è già tardi!-

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