Vedere (estratti dal romanzo)

di Mattia Zadra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tempo in cui credevo ancora alla felicità (parte 1) ***
Capitolo 2: *** In ospedale ***
Capitolo 3: *** L’incontro ***



Capitolo 1
*** Il tempo in cui credevo ancora alla felicità (parte 1) ***


“Ancora stento a crederci. Ci siamo riusciti piccola. Abbiamo la nostra capanna”. Sono io che parlo, o meglio è quella parte di me, che ora è talmente lontana da quel che sono ora che mi verrebbe spontaneo parlarne in terza persona.
Ero un ragazzo innamorato, pieno di sogni e di speranze, ed avevo accanto a me la persona perfetta con cui condividerli.
“Credici Kyle boy. Ci siamo dentro. Io, te e questo gattino nero. Che ne dici? Ce lo teniamo?”
Il gatto si gira a guardarla, e per un istante sembra sorriderle.
Effettivamente lui non era previsto all’inizio. Lo abbiamo trovato sul giroscale ad aspettare davanti alla nostra porta e ci si è fiondato dentro una volta aperta.
“Si, direi che si può fare. Ormai è di casa, e di certo non lo butto in strada.” le rispondo sorridente.
Abbiamo appena firmato il contratto d’affitto di questo appartamentino, solo per noi due ed ora anche per il nostro amico peloso, e siamo le persone più felici sulla terra.
“Ci facciamo una foto?” le propongo.
“Si dai, appoggia la macchina su uno degli scatoloni”
Mi allontano per posizionare la macchina e per un secondo guardo l’immagine di Cathline e del gatto ancora senza nome che si è appena messa in braccio attraverso l’obbiettivo.
Li guardo e li vedo.
“Dite miao!”
Imposto l’autoscatto e corro accanto a loro.
La lucina rossa si illumina e scatta il flash.
“Fammi guardare come siamo venuti”
Lei scatta avanti ed afferra la foto che era uscita dalla macchina.
“Mio dio che faccia che hai Kyle! Questa l’appendiamo sul frigorifero così ogni volta che la guardo mi faccio due risate. Tu che ne dici Taygo?” dice parlando al gatto.
“Taygo?” le faccio io.
“Si, ho deciso che si chiamerà così. Non ti piace?”
Mi guarda con quei suoi occhioni verdi, ed ogni mia potenziale ribattuta viene smorzata.
“Fai dare un occhio anche a me a quella foto invece di prendermi tanto in giro” le dico con sguardo accattivante.
“Non se ne parla! Prima devi disfare tutti gli scatoloni!” mi risponde lei, e mi fa la lingua.
La comincio a rincorrere e lei lascia a terra il gatto e scappa tenendo ben salda la foto nella mano destra,  sventolandomela contro.
“Ti prendo!” le dico.
E avevo ragione.
Chissà se per uno strano caso o per volontà sua, ma sta di fatto che la prendo proprio in prossimità del letto, unico mobile della casa ad essere montato ed al suo posto, pronto all’uso.
La sdraio sul materasso, ed io sopra di lei.
Facciamo l’amore per la prima volta in quella casa.
Stanchi dopo l’attività fisica, sdraiaiti uno accanto all’altro, ci addormentiamo baciandoci.
E lì, mentre la tenevo tra le mie braccia, e sentivo le sue labbra calde e morbide contro le mie, mi sentivo davvero felice, ed ingenuamente credevo che nulla sarebbe mai andato storto.

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Capitolo 2
*** In ospedale ***


Ed eccomi qua un anno dopo.
 Me ne sto ai piedi del letto a fissare il viso angelico del mio unico amore, per nulla deturpato dal passare degli anni.
Cathline dorme. Cathline non si sveglia.
Cathline è in coma.
Arriva l’infermiera, quella anziana, che da tempo sostiene di dover andare in pensione. E invece eccola ancora qui.
“Come andiamo?” mi domanda, senza badare alla mia risposta.
“Al solito. Lei come sta? Ci sono miglioramenti?”.
Ovviamente mi riferisco alla mia fidanzata.
Anche se stento ad ammetterlo, ormai ho quasi smesso di sperarci.
Ormai la vivo più come una domanda di routine.
“Al solito pure lei. Nessun segnale di ripresa.”
Dietro una tendina grigia si sente la voce di una donna che legge una favola ad un bambino. O forse a una bambina? Non lo so, a dire il vero non ho mai guardato oltre quel sottile telo di stoffa. Ma non importa.
Manca poco alla fine dell’orario delle visite, e quel poco tempo che resta voglio dedicarlo alla mia amata.
Come se mi avesse letto nel pensiero ecco che arriva quell’anatrata starnazzante in camice bianco a segnalare che restano ancora 5 minuti e che poi avremmo dovuto andar via.
Per tutti questi istanti preziosi guardo il viso della mia Cath, le sopracciglia arcuate, le palpebre abbassate, le labbra carnose di un color rosa scuro, che danno l’impressione di aver ancora molti baci da ricevere e donare. E Dio solo sa quanti ne riceverebbe dal sottoscritto qualora dovesse un giorno aprire gli occhi.
I capelli castani scendono fluenti fin poco sotto le spalle.
Il resto del corpo è nascosto dal lenzuolo e solo le braccia escono dalla coperta. Le prendo una mano. La stringo e cerco di trasmetterle tutto il mio amore per lei in quel casto contatto che ormai è ricco di significati.
A lato, sul comodino, c’è un vaso con all’interno una dozzina di rose.
Una è più rossa delle altre. Si capisce subito che è quella di oggi.
Ogni giorno da quando lei è qui io le porto una rosa.
Tante volte si è riempito quel vaso, e altrettante volte l’ho dovuto svuotare.
Chiudo gli occhi, e dopo pochi secondi torna la vecchia a rompere le palle come suo solito.
Lascio la mano vellutata della mia bella addormentata.
Le stampo un bacio sulle labbra.
Un ultimo sguardo al suo viso, che non rivedrò fino a domani se non nei miei sogni.
La guardo e mi sforzo di vederla.
Ma non mi riesce.
 Non più.
Esco dalla stanza e come al solito la civetta afflitta dalla frustrazione per la totale mancanza d’amore nella sua vita mi lancia un’occhiataccia, come se invece che aver baciato la mia ragazza avessi molestato un bambino.
Ma ormai non mi importa più nulla di quello che pensa lei.
Non mi importa più del pensiero di nessuno.
Scendo in strada con ancora nelle narici il profumo dei capelli di colei che nella sua non-vita è la mia unica ragione di vivere.
È incredibile lo stacco dalla realtà che provo ogni volta che esco dall’ospedale.
In un certo senso è come se dentro a quelle mura vivessi i miei unici 5 minuti di vita reale della giornata.
Sarà per la persona che ho là dentro, o per suggestione, non ne ho idea.
Mi incammino verso casa, ma ci sarà una tappa prima.
Oggi è mercoledì, ed il mercoledì vuol dire bevuta con Mark.
Guardo il semaforo. È rosso.
Sbatto le palpebre.
Guardo il semaforo. È verde.

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Capitolo 3
*** L’incontro ***


Ho lasciato l’ospedale da circa 10 minuti. Sto camminando sul marciapiede pieno di gente che esce in questo momento dal proprio posto di lavoro.
Nessuno di loro ha in viso un’espressione felice, benché sia venerdì.
Camminare diventa difficile. Mi arrivano spallate da ogni dove. Io proseguo imperterrito senza guardare in faccia nessuno.
Sono quasi arrivato al bar dove ci eravamo dati appuntamento con Mark ed i suoi amici.
Passo dopo passo, a testa bassa, proseguo la mia avanzata, inarrestabile, finchè non mi sento strattonare per la camicia.
Mi volto convinto che si tratti di un barbone. Non potevo essere più lontano dalla verità.
Non appena il mio viso si gira di quel tanto che basta per guardare da sopra la spalla vedo una strana luce.
Tutto intorno a me è sparito. Ci sono solo questa luce abbagliante e lei.
La ragazza rossa.
Era da mercoledì scorso che non la vedevo, ma ancora non me l’ero dimenticata. Ed ora eccola qui.
Questa volta non sorride, sembra quasi preoccupata.
Chiudo gli occhi per un secondo e la luce misteriosa è sparita. Ma lei no.
Mi trascina per un braccio dentro ad un vicolo.
Alla nostra sinistra migliaia di persone ci passano vicino senza degnarci di uno sguardo.
Meglio così.
Lei mi spinge contro un muro. Mi fissa negli occhi, e poi comincia a parlare.
“Ho poco tempo prima che arrivino e mi trovino qui. E se possibile vorrei evitarlo, almeno ancora per un po’”
“Prima che arrivi chi?”
“Non si sono accorti ancora di nulla. Per fortuna ti limiti ad aprire gli occhi un attimo, altrimenti mi avrebbero già scoperta da un pezzo”
“Chi ti avrebbe scoper…”
Lei mi zittisce con una mano sulla bocca.
“Per favore non parlare. Potrebbero sentirti. A breve aprirai gli occhi definitivamente, e tutto ti sarà più chiaro. L’unica cosa che possiamo fare ora è sperare che quando succederà la prima persona che ti troverai davanti sia io.”
“Aspetta, non ci sto capendo nulla. Aprire gli occhi? Di che…”
Un’altra volta mi zittisce.
“Adesso devo scappare. Tornerò presto a controllare che tutto vada bene. Tu aspettami.”
Io chiudo gli occhi. Quando li riapro lei è sparita.
Resto fermo per altri cinque minuti.
Oggi di certo è stata una giornata movimentata. Prima le voci in ospedale, ed ora questo. Una ragazza che mi preleva dal marciapiede facendomi discorsi che non stanno né in cielo né in terra, per poi andarsene così, in un secondo.
Non può essere una coincidenza. Mi è successo qualcosa. Sto impazzendo.
Dopo alcuni istanti mi rendo conto di avere il fiatone.
Cerco di calmarmi respirando a pieni polmoni.
Dopo un paio di minuti sono tornato in me, almeno per quanto sia lecito sostenere di esserlo mai stato.
Riprendo il mio cammino verso il bar. Sono in ritardo.
Dopo cinque minuti eccomi davanti alla porta.
La spalanco e mi trovo davanti Mark, Eric e Tommy in avanzato stato di ubriachezza.

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