I passi dell'amore

di Shinalia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Riprendo qui una mia vecchia storia che avevo interrotto, con l'intenzione di correggerla e ripostarla man mano. Il titolo dice tutto :) è infatti ispirata al film "I passi dell'amore", e al relativo libro. Un bacione.

Prologo

Edward Cullen era un vampiro da ormai ben oltre un secolo. La sua vita era terminata a causa di una malattia nel lontano 1901, quando Carslisle Cullen, colui che ora definiva padre, gli aveva donato l’immortalità.

Sebbene fosse tra tutti i suoi familiari il primo ad essere stato trasformato, era l’unico a non aver accettato la sua vera natura, almeno non completamente.
L’angoscia permeava tutto il suo essere e l’inquietudine era una costante della sua esistenza, da quel lontano giorno.
Detestava essere un vampiro, una creatura che vive di sangue e morte. Odiava avvertire dentro di sé il mostro che scalciava per soddisfare la sua brama. La sua non-vita era un susseguirsi incessante di giornate senza senso. Aveva tentato ogni cosa per attribuirgli un qualche significato... il sesso, l’alcool, amicizie tutt’altro che convenienti; ma nulla era riuscito a riempire la voragine del suo animo.
Un vuoto incolmabile che pareva non voler essere riempito in alcun modo.
Benché la sua famiglia tentasse di consolarlo, a nulla valevano i loro sforzi ed Edward avvertiva un senso di oppressione costante.
Anche quella mattina era sopraggiunta. I raggi flebili del sole filtravano attraverso le tende di lino bianco, prima di essere completamente ricoperti dalla coltre di nuvole tipica di Forks: un piccolo paesino avvolto dalla vegetazione in cui il costante cielo plumbeo gli permetteva di vivere senza destare sospetti tra gli umani.
Edward sbuffò contrariato alzandosi dal suo divano in pelle nera. Si godeva qualche giorno di solitudine grazie ad un improvviso viaggio della sua famiglia.
Alice aveva organizzato una settimana in un lussuoso albergo dove le “giovani coppie” avrebbero potuto bearsi di un po’ di sana intimità.
Nonostante le sue intenzioni di godere del silenzio della casa e della tranquilla apatia in cui sguazzava, Edward si diresse verso la Fork High School. Alice gli aveva imposto categoricamente di presentarsi e, sebbene lui non ne avesse compreso il motivo reale, attribuì il tutto alle visioni della sua piccola e pestifera sorellina veggente.
Le voleva bene e avrebbe fatto tutto pur di accontentarla, anche se era piuttosto contrariato dal suo fare autoritario e dalla costante interferenza nella sua vita privata.
Il suo potere sapeva essere non poco molesto. Infatti, la vampira dai capelli scuri ed il corpo minuto, era in grado di avere visioni riguardati il futuro. Più volte aveva approfittato del suo dono per raggirare abilmente lui e i suoi familiari, ottenendo ciò desiderava.
Una mente machiavellica, una pessima combinazione se sommata alla sua preveggenza.
Edward sbuffò, mentre la sua mente tentava di attribuire un senso alla sua insistenza.
Era sempre stata piuttosto astuta, questo era indiscutibile.
I suoi familiari erano partiti tutti con una certa fretta e sebbene avesse indugiato nei loro pensieri più del dovuto, non era riuscito a comprendere poi molto.
Sicuramente Alice aveva intimato loro di celargli il suo ennesimo piano. Temeva seriamente stesse progettando l’ennesima follia a suo danno.
Non era poi una novità.
Tra i suoi tentativi di accasarlo con le vampire del clan di Denali ed il concorso che aveva indetto tra le ragazze della scuola per trovargli una compagna, Edward non sapeva proprio cosa aspettarsi.
Sua sorella aveva il costante ed improponibile desiderio di vederlo felicemente innamorato.
Quale pazzia! Si disse prima di salire sulla sua Volto, pronto per l’ennesimo noioso giorno di scuola.
O almeno così credeva.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Eccomi :) Il primo capitolo finalmente è terminato ahahahha ci ho messo un pò per rivederlo e tra tagli e aggiunte varie ammetto di aver perso più tempo del previsto! hihihihi
Adesso vi lascio al chappy *O* grazie mille per le recensioni, troverete le risposte nella posta di efp hihihihihi
Kiss

Quando si vive nel passato ogni giorno non appare che un dilungarsi di inutili ore in cui ogni pensiero si perde tra i ricordi, in cui ogni fallimento appare nella sua brutalità e l'eternità si trasforma in un'angosciante prospettiva difficile da dissimulare.

Per Edward la vita era questo, lui era questo.
Un’anima tormentata, un uomo a metà tra passato e futuro, incapace di trarre dal presente le gratificazioni desiderate. Osservava, come uno spettatore, il mondo umano e le sue creature avvicendarsi nel tempo mentre per lui l’immobilità era la sola compagna.
Un susseguirsi di giorni che non avrebbe rammentato e che si sarebbero ammassati in un angolo della sua memoria, come insignificanti istanti che per la loro inutilità gli avrebbero causato solo rabbia.
Rancore.
Frustrazione.
Quella di chi sa di essere bloccato, quella di una creatura che nella sua sovraumana potenza è consapevole di non poter aspirare a nulla al di fuori di ciò che possiede e che lo tormenta.
Il tutto e il niente.

Anche quella giornata stava trascorrendo nella solita monotonia e sino a quel momento, Edward, non aveva notato nulla di strano. Nessuno stormo di ochette starnazzanti preda di strani deliri, almeno non più del solito, e nessuno scherzo da parte di Alice.
Tranne qualche insolito sms giunto sul suo cellulare.
Baci e bacetti dalla tua sorellina adorata. Smettila di temere un mio agguato da un momento all’altro, non posseggo ancora il dono dell’ubiquità e sono ad Honolulu con gli altri.”
Allegato al messaggio c’era un foto di lei e Jasper su di una spiaggia bianca, al chiaro di luna.
Edward si diede del paranoico ipotizzando che il cattivo presentimento di quel mattino fosse dovuto esclusivamente al suo pessimo umore, e che sua sorella per una volta si era limitata ad organizzare una tranquilla settimana di relax.
Nessun secondo fine!
Come poi fosse riuscita a convincere suo padre a lasciare l’ospedale per ben sette giorni proprio non lo capiva. Era raro che Carlisle si assentasse per un tempo tanto lungo. Adorava il suo lavoro, soprattutto perché amava rendersi utile.
Per lui era una sorta di espiazione. Tra tutti i componenti della famiglia Cullen, era colui che era più attaccato alla sua umanità. Nella sua esistenza da immortale non aveva mai compiuto alcun atto scellerato, né azioni spregevoli di cui tutti si erano macchiati con l’ingresso nella nuova vita. Anzi, con fatica e devozione era stato in grado di sviluppare una vera e propria resistenza al richiamo del sangue umano.
Era impossibile non provare ammirazione per lui.
Carlisle Cullen era un esempio oltre che un padre.
Una di quelle persone per la quale tentava di dissimulare la sua apatia, perseverando in quella vita senza speranza.
Patetico.
Si diresse svogliatamente verso l’aula di biologia, tentando di scacciare quelle elucubrazioni, sino a quando qualcuno non si pose sul suo cammino, con un’0nda di pensieri melliflui che lo investì in pieno.
« Edward! » la voce svenevole di Jessica lo irritò più del solito, ma tentò di mascherare il suo disappunto ostentando la consueta indifferenza, appresa in decenni di pratica.
Le fece un cenno del capo pronto ad andare oltre, quando un particolare pensiero della sua mente lo fece irrigidire.
« Cosa volevi dirmi? » borbottò trattenendo un ringhio. Sapeva di chi era la colpa, la responsabile non poteva essere che una: Alice.
I suoi sospetti come al solito erano più che fondati, il piccolo mostriciattolo dai capelli corvini aveva architettato qualche nuovo piano, con l’intento di minare seriamente la sua sanità mentale.
Come aveva anche solo potuto ipotizzare fosse in buona fede?
Impossibile.
Dal canto Jessica sobbalzò spaventata della strana reazione del vampiro. Non era il suo primo tentativo di approccio, ma in passato le uniche risposte che aveva ottenuto erano stati cenni del capo privi di interesse.
Bhe, in quell’istante rimpianse quelle mancate reazioni.
Mai sfidare la sorte, certa gente dovrebbe stare attenta a ciò che desidera. Sibilò il mostro dentro di lui, divertito dalla paura della ragazza, speranzoso di veder cessare il supplizio dei suoi continui approcci e dei suoi insignificanti pensieri, costantemente persi in una venerazione mal riposta su di lui e sui suoi fratelli.
Se solo avesse saputo a cosa andava incontro.
« Io, ecco... ho visto che sei iscritto al provino per il corso... di... teatro. » balbettò.
La furia di Edward era palese sul suo viso. Non comprendeva come sua sorella avesse potuto partorire una simile idea.
Recita teatrale?
Sarebbe stato costretto a mischiarsi con un'orda di umani, in continuo contatto con loro.
La sua vita non era abbastanza noiosa?
Possibile che fosse costantemente pronta ad impicciarsi in questioni che non le competevano?
Dannazione, si sentiva terribilmente frustrato.
Era pronto a chiamarla per urlarle tutto il suo sdegno, ma decise di provvedere prima a cancellare la sua iscrizione, onde evitare fosse troppo tardi.
Ma questa volta lei non avrebbe evitato di subire la sua punizione.
No... si sarebbe vendicato dando fuoco alla miriade di abiti che sostavano nel suo armadio. Uno ad uno…
Senza alcun saluto si allontanò da Jessica in direzione dell’aula di teatro, pronto ad annunciare il disguido in cui era incappato ed a ritirare la sua candidatura, pregustando l’istante in cui si sarebbe deliziato del fuoco del camino alimentato dai jeans Armani di sua sorella.
Stava per spalancare l’enorme porta in legno massello del teatro quando notò un insolito particolare. Dall’interno della sala non giungeva alcun pensiero, solo una voce. Una splendida voce. Edward rimase affascinato da quelle dolci note che volteggiavano nell’aria armoniose, ed incuriosito aprì la porta per permettere alla sua vista di svelare il mistero.
Fu sorpreso di vedere Isabella Swan sul piccolo palchetto intenta a cantare a pieni polmoni. Poche volte aveva avuto la possibilità di udire la sua voce e gli era parsa nulla più che un flebile sussurro. Non avrebbe mai immaginato potesse celare un simile talento.
Era una ragazza semplice e tranquilla sempre attenta a non attirare gli sguardi altrui, e lui stesso in fin dei conti non si era mai soffermato ad osservarla.
Non che tendesse a prestare volontariamente attenzione agli umani, al contrario… ma non di rado le loro manie di protagonismo lo costringevano a fingere di prestare ascolto alle loro richieste.
Soprattutto quando i loro pensieri lo bombardavano.
Fu proprio in quell'istante che rammentò l'inquietante dettaglio di quella mente muta.
Non avvertiva alcun pensiero.
Non è possibile.
Scioccato chiuse gli occhi, scandagliando la moltitudine di voci che si affollavano attorno a lui, tentando di captare quella flebile e sommessa della Swan, nel vano tentativo di isolarla.
Nulla.
Inspiegabilmente percepiva solo il vuoto.
È assurdo.
Possibile che non si fosse mai premurato di controllare? Il chiacchiericcio costante che lo affliggeva doveva aver celato quella inconsueta realtà. Eppure non riusciva a capacitarsi di ciò. Nessuno era mai sfuggito al suo potere, vampiro o umano che fosse.
Anche creature potenti di clan conosciuti non potevano sottrarsi al suo dono e lo stesso valeva per la sua famiglia. Era un potere molesto, forse al pari di quello di Alice, e aveva spesso detestato la sua capacità cogliere i segreti reconditi delle menti attorno a lui, ma quell'improvvisa scoperta lo destabilizzò.
Chi era quella ragazza per riuscire dove tutti gli altri avevano fallito?
Lei, con quello sguardo costantemente spaventato, pallida e smunta.
Lei... così anonima.
« Signor Cullen! » una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
La professoressa Cronford, direttrice delle opere teatrali scolastiche, gli si era avvicinata cogliendolo di sorpresa; tanto era preso nelle sue riflessioni da non aver udito i suoi passi.
Assurdo! Come poteva un vampiro come lui farsi cogliere in fallo?
Alice ed Emmett lo avrebbero deriso in eterno ed era certo che la sua sorellina in quel momento era intenta a narrare l’accaduto a tutta la famiglia.
Piccola pulce dispettosa.
« Professoressa! » salutò rispettoso, distogliendo il suo sguardo dalla ragazza.
« Ho notato la sua domanda tra gli iscritti e ne sono piacevolmente sorpresa – affermò immaginando il successo che avrebbe riscosso grazie alla sua presenza. – Era venuto per chiedere qualche informazione? »
Lo sguardo di Edward saettò sulla piccola figura di Isabella che rossa di vergogna che, notata la presenza degli estranei, aveva prontamente interrotto il suo canto.
Peccato, a lui piaceva la sua voce.
« Nulla, volevo solo confermare la mia presenza! » mentì allontanandosi senza aspettare alcuna risposta.
Non seppe il motivo di quel suo comportamento, o almeno non lo comprese appieno.
Era seriamente incuriosito da Isabella. Che qualcuno potesse celargli i pensieri era una novità alquanto interessante ed il fatto che il soggetto fosse quella ragazza lo intrigava ancora di più.
In fin dei conti era una delle poche che non lo molestava con pressanti richieste ed era certo di non averla mai vista importunarlo a San Valentino, quando il suo banco diveniva un cumulo indistinto di pacchetti e dolcetti; che oltretutto non avrebbe nemmeno potuto mangiare.
Che spreco.
Il trillo del cellulare attirò la sua attenzione.
Sarai bravissimo! Quella parte è perfetta per te!”
« Alice. » ringhiò sommessamente, scuotendo il capo contrariato.
Chi poteva essere se non lei l’artefice di tutto?
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I provini per le principali parti si svolsero celermente, il giorno successivo.
Edward, come previsto, ottenne la parte principale. Le sue doti di attore erano eccelse, ma anche in caso contrario la professoressa Cronford non avrebbe esitato ad attribuirgli il ruolo di protagonista. Ciò che sorprese tutti fu invece il personaggio principale femminile, che fu assegnato ad Isabella Swan.
I volti lividi delle ragazze della scuola mostravano il disappunto per quella scelta da nessuno compresa. Lei, tanto timida ed impacciata, non sarebbe mai stata considerata per un simile ruolo, eppure la professoressa non aveva indugiato molto nella selezione. Era consapevole delle doti canore di Isabella e della sua facoltà di distaccarsi dalla sua vita una volta sul palco. Lì non era l’impacciata ragazzina derisa da tutti, in teatro la sua personalità coincideva con il personaggio che avrebbe interpretato. Che fosse la spigliata Elisabeth Bennet o la superficiale Catherine Earnshaw, non importava.
Non era Isabella Swan.
Edward stesso si stupì di scoprire il motivo di quella scelta e la curiosità verso quella ragazza non poté che venir ulteriormente alimentata. Così silenziosa ed in apparenza fragile, pareva celare non poche sorprese, e lui ammise a se stesso che forse, quella piccola umana, sarebbe potuta essere un ottimo diversivo alla sua perenne indolenza.
Una novità.
Al termine delle prove decise di avvicinarsi. In fin dei conti avrebbero dovuto provare molte scene insieme e sarebbe stato opportuno presentarsi. Una parte di lui però ancora sperava di riuscire ,con la vicinanza fisica, a cogliere qualche stralcio di pensiero.
Sperava… o forse no. Iniziava a sentirsi intrigato da quella inconsueta situazione.
Volse lo sguardo alla sala, riponendo nello zaino le ultime cose, e la individuò immediatamente.
Isabella era seduta infondo, su una delle poltroncine del teatro, intenta a sfogliare il copione consegnatole dalla professoressa.
Un piccolo cipiglio increspava la sua fronte, formando una deliziosa ruga tra le sopracciglia.
Aveva un che di buffo. Pensò Edward divertito.
Eppure era nuovamente sola. Pareva non aver stretto alcun legame con i vari studenti della scuola. Gran parte di loro la ritenevano piuttosto strana e soprattutto eccessivamente riservata. Difficilmente spiccicava parola con qualcuno, se non in caso di necessità. L’unica ragazza che mostrava verso di lei un comportamento cortese era Angela Weber, la figlia del pastore di Forks.
Era una ragazza di buon cuore e come Isabella abbastanza tranquilla, forse per questo motivo era l’unica in grado di capirla, rispettando i suoi silenzi.
Eppure Edward non potè non chiedersi il motivo di quella ritrosia tanto eccessiva, palese anche nel suo abbigliamento. Non indossava mai vestiti scollati e succinti, al contrario il suo corpo era sempre coperto da felpe e maglioni sformati. Abbigliamento tutt'altro che comune in una ragazza della sua età.
Immaginava il volto di sua sorella Alice incresparsi in un’espressione di puro orrore, notando quegli abiti tanto fuori moda.
Decisamente fuori moda!
Edward abbandonò quei futili pensieri schiarendosi la voce per attirare l’attenzione di Isabella.
Il volto della ragazza si alzò incrociando gli occhi color oro del vampiro, mentre le sue guance assumevano come di consueto una colorazione purpurea.
« Ciao. – mormorò suadente. – Io sono Edward Cullen. » si presentò porgendole la mano.
Lei, dal canto suo, lo fissò per qualche istante quasi indecisa. « Isabella, ma preferisco Bella. » soffiò tornando immediatamente a fissare il copione e lasciando spiazzato il povero vampiro.
Non era di certo abituato ad un simile trattamento, al contrario erano le ragazze che generalmente si avvicinavano a lui con la speranza di esser notate. Avrebbero fatto carte false pur di vedersi rivolto un suo sorriso e ben poche potevano vantare di essere state avvicinate da lui, soprattutto senza alcun secondo fine.
Rimase impalato per qualche istante, tentando in vano di soppesare la situazione, almeno fino a quando l'irritazione non prevalse e, zaino in spalla, si diresse verso l'uscita.
Assurdo. Mormorò tra sé.
Il trillo del cellulare lo avvisò dell’arrivo di un nuovo messaggio.
Abituati fratellino! La nostra Bella ti darà molto da fare.”
Nostra?

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Salveee! Eccomi qui con il nuovo capitolo di questa ff. Questa volta scritto dal punto di vista di Bella *O*
Spero vi piaccia.

Ecco a voi la bellissima cover di questa storia, realizzata da Betrayed_89   Grazie grazie grazie grazie ♥♥♥


CAPITOLO 2

Cit: “L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso... L'amore non è mai presuntuoso o pieno di se, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta.”

Isabella era non poco sorpresa da ciò che era accaduto. Quel giorno aveva ceduto alle richieste della professoressa Cronford, accettando il ruolo di protagonista nella rappresentazione teatrale, indetta dalla scuola. Le era capitato in passato di far parte dei cori della piccola chiesa di Forks, ma ormai erano anni che prediligeva l’anonimato.
A scuola era solita mantenere un certo riserbo, evitando qualsiasi situazione che potesse attirare su di sé l’attenzione più del necessario.
Ma non quel giorno.
Qualcosa era scattato in lei, inducendola ad accettare.
Non seppe darsi realmente una spiegazione. Forse la consapevolezza che presto non avrebbe avuto altrettante opportunità, che tutto sarebbe svanito da lì a pochi mesi, o solo per il bisogno di un cambiamento.
Non lo sapeva!
La sua vita, sospesa su di un filo, era un lento e monotono susseguirsi di giorni, ormai da tempo.
Nulla mutava.
Chiusa nel suo cantuccio fatto di poesie e racconti si crogiolava nelle sensazioni che il mondo della fantasia poteva donarle. Un mondo ben distinto da quello reale.
Meno crudele.
Pur nella sua giovane età aveva dovuto far fronte ad esperienze tutt’altro che liete. La prematura morte di sua madre l’aveva segnata più di quanto non mostrasse e ciò che affliggeva il suo corpo come una condanna, ben poco poteva farla gioire.
Era così giovane.
Comprendeva fosse inutile rimuginarvi, ma talvolta il peso della consapevolezza era troppo pensante per essere ignorato. Fingeva dinanzi al mondo un’indifferenza che non le era propria, una serenità inesistente ed una rassegnazione a dir poco improponibile.
Ma nulla avrebbe potuto mutare il corso degli eventi ed una pacata accettazione aveva lasciato spazio alla disperazione dei primi tempi. Arresa al suo destino trascinava il peso di quei giorni attendendo l’inevitabile.
Sperare sarebbe stato inutile e degradante.
La prognosi era stata chiara: ancora pochi mesi, forse un anno.
Nessuno poteva sospettare, pochi sapevano.
Non voleva arrecare dolori a chi la circondava, non voleva affliggere suo padre più di quanto non facesse. Aveva perduto sua moglie da tempo eppure la tristezza nei suoi occhi non lo aveva mai abbandonato. Ciò nonostante era stato un padre esemplare, sempre disponibile emotivamente ed affettuoso, ben attento alle esigenze della sua bambina.
Il sorriso aveva sempre increspato le sue labbra, benché occuparsi da solo di sua figlia non fosse un compito facile.
Non le aveva mai fatto pesare nulla.
Ma da quel giorno maledetto in cui le era stato comunicato della sua malattia, tutta quella serenità che si erano conquistati man mano si era infranta come il più fragile dei cristalli.
Suo padre era cambiato divenendo apprensivo e malinconico oltre misura.
Soffriva… e Bella taceva.
Si teneva lontana da chi avrebbe potuto penarsi quando l’inevitabile sarebbe accaduto, avrebbe tenuto a distanza tutti con i suoi silenzi e con i suoi muti pensieri sino all’ultimo dei suoi giorni.
La vita scorreva e lei osservava.
Osservava. Le piaceva contemplare i colori del mondo, le vite altrui. Ammirava la spensieratezza di cui gli altri godevano, talvolta invidiandoli. Ascoltava quei progetti futuri a cui era stata costretta a rinunciare, impedendosi di fantasticare su ciò che non avrebbe mai potuto avere.
Ma quel giorno qualcosa aveva sconvolto la sua stasi.
Era stata sorpresa quando Edward Cullen le aveva rivolto la parola. Lei, insignificante ragazzina, tanto restia ai rapporti non comprendeva cosa, uno come lui, potesse volere da lei.
La sua fama lo aveva ampiamente preceduto. Tutte le ragazze erano a conoscenza dei suoi modi brutali e non poco indelicati nei confronti delle sue conquiste. Armato di avvenenza e carisma, con un sorriso, otteneva chiunque desiderava e, benché le sue prede fossero consapevoli che le sue attenzioni non sarebbero durate che poche ore, cedevano.
Cheerleader, studentesse modello, atlete della squadra di ginnastica… non erano pochi i nomi che Edward poteva vantare.
La stessa Isabella lo aveva osservato. E come avrebbe potuto evitarlo? La bellezza di quel ragazzo era impareggiabile. I suoi occhi color oro, caldi e profondi, l’avevano stregata al primo sguardo e se non fosse stata tanto coscienziosa forse lei stessa sarebbe potuta cadere vittima di quel suo fascino ammaliatore. Eppure di una cosa era più che certa, dietro quella perfetta facciata c’era ben altro.
Molto altro…
Qualcosa di buono!
Non sapeva spiegarsi il motivo di quella sua sensazione, che negli anni si era rafforzata sino a diventare quasi una convinzione.
I suoi occhi sempre velati di malizia celavano dietro di sé un tormento senza pari. Una disperazione che aveva avuto modo di mirare raramente ed una rassegnazione evidente nelle espressioni del suo viso.
Dietro quella maschera che si ostinava ad ostentare c’era un mondo di emozioni e sensazioni, che nessuno sembrava notare.
Forse un brutto passato, ricordi dolorosi.
Questo Bella non lo sapeva, ma la sua mente si era persa spesso ad immaginare cosa nascondesse quel suo strano quanto interessante compagno.
Almeno sino a quando lo stato avanzato della malattia aveva portato i suoi pensieri su ben altre direzioni. Le sue curiosità erano svanite, sotterrate dalle premure che era costretta ad usare per evitare che qualcuno scoprisse di ciò che soffriva. Tutte volte a porre distanza tra sé e il mondo, anche se in fin dei conti non era stato poi così difficile.
Nessuno aveva avuto la giusta pazienza per sopportare i suoi silenzi oppure i momenti in cui la sua mente si perdeva a fantasticare dinanzi ad un bel libro, nessuno era stato in grado di guardare oltre le apparente.
Nessuno si era domandato realmente cosa si celasse dietro quel suo riserbo, dietro quelle parole non dette. Si erano limitati a giudicare quello che la superficie mostrava loro, una ragazzetta troppo timida e decisamente poco interessata alle mode giovanili.
Nessuno!
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Quel giorno al termine delle lezioni recuperò il suo pickup dirigendosi verso l’ospedale di Seattle, dove spesso si dedicava ad attività di volontariato. Nel reparto neonatale trascorreva il suo tempo osservando i nuovi nati e dando come poteva il suo supporto.
Le ostetriche e le infermiere si erano sempre mostrate molto gentili con lei. Era difficile poter usufruire dell’aiuto di giovani volontari e benché quel reparto fosse di per sé il più allegro, i compiti non mancavano di certo.
Isabella dal canto suo riusciva a trarre da quell’esperienza e da quel luogo un senso di immenso benessere, quando si perdeva ad osservare quelle creature innocenti, le speranze che vorticavano su di loro e sul loro futuro, la beatitudine delle coppie di genitori che trascorrevano ore a vezzeggiare i propri piccoli.
Quel clima di serenità rendeva quel reparto la sua piccola oasi felice, in cui i brutti pensieri venivano surclassati dalle emozioni positive che vi aleggiavano.
« Buongiorno Christin. » salutò educatamente, facendo il suo ingresso nell’ampia struttura e rivolgendosi all’infermiera della reception, intenta a scrivere qualcosa su di una cartella.
Quest’ultima la salutò con un ampio sorriso, ritornando immediatamente alle sue mansioni. In ospedale quasi tutto il personale conosceva Isabella, sebbene pochi fossero consapevoli della sua malattia.
Gli unici ad essere informati in merito erano il suo medico: Carlisle Cullen e alcune delle infermiere di quel reparto. Il dottore era stato ben attento a non far diffondere la notizie, come da richiesta di Isabella. Un compito tutt’altro che facile considerando le dimensioni della piccola città.
Bella si fidava ciecamente di lui, era un ottimo dottore, forse il migliore che l’aveva avuta in cura.
E non erano pochi.
Successivamente alla prognosi suo padre non si era arreso, decidendo di ricorrere al parere di moltissimi medici. Erano stati in Europa, a New York, in Canada, ma le analisi non erano mutate, così come la prognosi finale.
Pochi mesi.
L’ultimo medico che avevano contattato era stato il dottor Cullen, che si era proposto per seguire il progredire della malattia di Isabella, dandole il giusto supporto e i medicinali che avrebbero potuto in qualche modo limitare il dolore.
Un sospiro affranto si dipinse sul suo volto quando i suoi pensieri corsero al futuro. Sapeva ciò che l’attendeva, ma darsi pace era tutt’altra cosa. Per quanto avesse ormai accettato ciò che il fato aveva preposto per lei, i suoi pensieri spesso non potevano non divenire rabbiosi. A nulla erano valsi i suoi tentativi di trovare in ciò un significato profondo, una motivazione…
Non comprendeva.
« Isabella! » una voce squillante la ridestò dai suoi pensieri e notò la figura rotondetta, della segretaria del dottor Cullen, correrle in contro.
Sorrise arrestando il suo passo, attendendo che questa potesse raggiungerla.
« Signora Margaret, salve. - salutò educatamente. – Posso aiutarla? »
La donna annuì tirando dalla tasca una piccola ricetta medica. « Il dottor Cullen è partito per una piccola vacanza e mi ha incaricata di consegnarti questa ed il numero per rintracciarlo in caso di bisogno. Mi ha esortato a dirti di non crearti scrupoli e di chiamarlo in qualsiasi momento tu lo ritenga opportuno. »
Il sorriso sul volto di Isabella si distese ulteriormente. Il dottor Cullen era sempre estremamente premuroso. « La ringrazio. »
La donna, compiuta la sua missione, vezzeggiò affettuosamente la guancia di Bella, prima di scomparire dietro la porta del reparto. Le era difficile trattenere le lacrime in sua presenza, quando rammentava la sua sorte segnata ed Isabella, notando spesso i suoi occhi lucidi, tentava sempre di trattenerla il meno possibile.
Sospirando sommessamente si avviò verso la sua destinazione, ponendo da parte i suoi problemi, pronta a godersi i gorgoglii e i borbottii dei nuovi nati.
__________________________
Isabella tornò dall’ospedale in tempo per preparare la cena a suo padre, di ritorno dal lavoro. Come ogni sera, benché lui si opponesse desiderando evitarle ogni tipo di sforzo, Bella preparava il pasto onde evitare che suo padre desse fuoco alla casa.
Nei rari casi in cui aveva preso il suo posto in cucina i risultati erano stati a dir poco disastrosi e non era raro che Bella temesse il giorno in cui Charlie sarebbe stato da solo, ad occuparsi di sé stesso.
« Non dovresti affaticarti troppo! » sentenziò notando il volto cereo della sua bambina.
Lei scrollò le spalle con indifferenza poggiando sul tavolo la ciotola dell’insalata. « Non preoccuparti. » mormorò tentando di essere rassicurante, ma con scarso risultato.
Il suo corpo diceva molto più di quello che le sue parole potevano affermare. Aveva perso peso nell’ultimo periodo ed il suo incarnato mancava di quel roseo colore del passato.
Suo padre sospirò sommessamente, fingendo di crederle per non impensierirla ulteriormente.
Anni prima avevano scoperto il male che l’affliggeva. Charlie rammentava perfettamente il vuoto percepito in quell’istante, un incolmabile senso di vuoto che lo avevo pervaso annullando la sua lucidità per svariati istanti. Attorno a sé non percepiva nulla, come avvolto dal torpore del sonno non pareva comprendere realmente il significato delle parole che gli venivano rivolte.
Leucemia.
Non era mai stato un uomo particolarmente religioso, ma era sempre stato certo che ci fosse un Dio, nella sua trascendenza, a decidere del destino dei mortali sulla terra. Aveva sempre creduto che per tutti ci fosse un destino, un compito da adempiere. Quando sua moglie era morta dando alla luce la loro bambina aveva sofferto, il dolore era stato atroce, eppure aveva visto in quel frugoletto tra le sue braccia il motivo per il quale Renée aveva donato la sua vita.
Una motivazione.
L’aveva reso un padre, aveva dato tutto ciò che aveva solo per lei.
Per loro.
Ma Isabella? Così giovane ed ingenua, come poteva essere tanto infausto il destino per accanirsi su una creatura che della vita sapeva tanto poco? Che della vita non aveva gustato se non i più acerbi frutti?
Quale Dio poteva aver deciso per lei una simile sorte?
Per tanto i suoi pensieri erano stati contornati dalle preghiere più svariate, alle imprecazioni, dai rimorsi, dai rimpianti . La rassegnazione non era mai sopraggiunta a donargli la pace di cui necessitava. Fingeva una tranquillità che non possedeva per non impensierire ulteriormente la sua bambina, per non far gravare su di lei anche il suo dolore.
Troppo fragili erano le sue spalle per poter sopportare ancora.
« Papà, io non ho molta fame, credo andrò a dormire. » annunciò, riponendo il piatto nel lavabo.
L’uomo annuì stancamente. « Notte. »
Bella si allontanò, salendo le scale che l’avrebbero condotta alla sua stanza. Avvertiva il senso di spossatezza divenire sempre più pressante, ma nonostante ciò quella sera l’ora del sonno sarebbe stata ritardata.
Si sedette alla scrivania tirando fuori un piccolo blocchetto ed una penna consumata, imprimendo su quei fogli i suoi ultimi desideri. Quelle piccole cose che avrebbe voluto realizzare prima del sopraggiungere della morte, sperando forse di riuscire ad accettare l’inevitabile se fosse riuscita ad ottenere da quella vita almeno parte di ciò che agognava.
In realtà gran parte di esse non erano che futili e talvolta stravaganti esperienze, dettate più dal divertimento che ne avrebbe tratto per realizzarle, che da un reale desiderio. Rise di sé stessa più volte durante la sua piccola impresa.
Così trascorse tutta la notte, immersa nei suoi pensieri, fino a quando Morfeo non reclamò la sua piccola creatura ed Isabella, ancora seduta alla sua scrivania, si addormentò, senza sapere che qualcuno, poco distante, aveva osservato incuriosito ogni sua mossa.
Quando il visitatore notturno fu certo che la ragazza fosse ormai assopita fece il suo ingresso nella stanza, tentando di leggere ciò che aveva canalizzato completamente l’attenzione della ragazza. Purtroppo per lui l’intero foglio era coperto dall’esile corpo e non avrebbe avuto modo di recuperarlo senza svegliarla.
Una sola parola era visibile, tracciata con una goffa calligrafia:
  1. Innamorarsi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Aggiornamento lampo mentre corro da una parte all'altra dello studio ahahahahahah XD
Non mi dilungo e vi lascio direttamente al capitolo! un bacioneee!!1!
Capitolo 3

Cit: “Forse Dio ha un progetto migliore per me, di quello che io avevo per me stessa…”

Isabella fu risvegliata dal suono insistente della sveglia. Stropicciò gli occhi assonnata e spossata, notando solo in quell’istante la sua posizione. Il suo corpo riverso alla scrivania era coperto da una delle coperte che generalmente erano posizionate sul suo letto.
Se ne stupì. Non rammentava di essersi coperta la sera precedente, ma attribuì erroneamente il tutto a suo padre, che probabilmente le aveva fatto visita prima di andare a lavoro.
Si alzò stiracchiandosi notando il frutto del suo lavoro notturno.
Innamorarsi.
Un leggero sorriso increspò le sue labbra constatando l’assurdità dei suoi pensieri, soprattutto contemplando quello che tra tutti era il suo primo desiderio.
Come avrebbe potuto innamorarsi di qualcuno perpetrando quell’atteggiamento di completa chiusura verso il mondo?
Sarebbe stato piuttosto complesso, soprattutto rimuginando su quello che ne avrebbe comportato. Non era una delle ragazze ben in vista nella scuola e ciò implicava che difficilmente sarebbe stata ricambiata, anche se fosse riuscita ad incontrare qualcuno realmente in grado di attirare la sua attenzione in quel modo.
Cosa di cui dubitava fortemente.
Aveva avuto modo di constatare l’assurda superficialità di cui peccavano i suoi compagni e, benché in parte invidiasse quel loro modo di porsi, le sue esperienze le impedivano di fare altrettanto. Considerava la vita un bene prezioso, memore di ciò che avrebbe perduto e consapevole che non sempre i progetti riuscivano a vedere una realizzazione.
Lei ne era la prova vivente.
Aveva sognato, aveva immaginato, aveva sperato… eppure ogni suo progetto non aveva futuro. Riposto in un cassetto della sua memoria e del suo cuore sarebbe stato custodito come un dolce ricordo, regalo di una spensierata infanzia.
Un’infanzia priva di consapevolezze….
Quella sensazione di invulnerabilità che provavano generalmente i ragazzi alla sua età non era che una chimera, l’illusione di essere inviolabili, dettata dalla convinzione che il destino in qualche modo non potesse accanirsi su di loro.
Li invidiava, pur sapendo quanto quel sentimento fosse inappropriato e futile.
Ciò nonostante era certa che non fosse quello il suo principale problema, almeno non solo. Anche se avesse incontrato qualcuno in grado di risvegliare in lei sensazioni sopite, era ben consapevole che difficilmente qualcuno avrebbe accettato il suo interesse di buon grado, senza schernirla.
Non le erano mai sfuggiti i commenti pungenti su di lei, sul suo abbigliamento, sul suo comportamento. Gli sguardi colmi di derisione avevano accompagnato ogni suo passo, in quella scuola.
Sospirò sommessamente.
Non che necessitasse di essere corrisposta, in fin dei conti ciò che avrebbe almeno voluto provare era quel sentimento tanto decantato nei libri che era solita leggere. Aveva trascorso anni tra le pagine ingiallite delle opere di Sheakespeare, Jane Austen, Emily Bronte… agognando quelle sensazioni sconosciute.
La possessione, la gelosia e tutto ciò che relativo all’amore poteva essere sperimentato. Un desiderio forse strano considerando che la sua vita avrebbe visto il suo termine in breve tempo, eppure probabilmente aggrapparsi a quelle piccole cose poteva donarle la giusta serenità per abbandonarsi al suo destino.
Non rimpiangeva quello che la vita le aveva donato. Aveva avuto l’affetto di un padre stupendo, che l’aveva amata senza riserve. Un’infanzia serena ed una madre che le aveva donato la vita.
Ma a cosa le sarebbe servito lasciar scorrere ciò che le restava senza rendere realmente la sua esistenza degna di nota? A cosa sarebbe servito non tentare di ottenere un po’ di quella serenità che le spettava?
Oltretutto era consapevole che quel suo atteggiamento in qualche modo affliggeva suo padre, sebbene non volesse dimostrarlo, comprendendo che in fin dei conti lei si era arresa.
Arresa ad essere nulla oltre un piccolo puntino bianco tra i mille colori che la contornavano.
Arresa a lasciare che i suoi ultimi giorni trascorressero, senza bearsi dei pochi attimi di cui avrebbe potuto godere, di quelle sensazioni che in parte avrebbero potuto farla sentire nuovamente viva.
Era assurdo per lei notare come il giorno della diagnosi avesse inevitabilmente segnato la sua morte. Certo, camminava e respirava, ma la sua mente era costantemente rivolta al giorno in cui la sua anima avrebbe abbandonato le sue spoglie terrene, a quel giorno di lutto in cui Charlie avrebbe pianto la sua unica figlia.
Era quello che l’affliggeva sopra ogni cosa. Aveva lasciato che la malattia la schiacciasse, cercando nel mondo solo una piccola distrazione, nulla di cui realmente avrebbe potuto bearsi. Nulla che potesse concederle la felicità che in parte sentiva di meritare.
Lei si era realmente arresa al suo destino.
Lei si era arresa, lasciandosi morire.

___________________________ Pov Edward

Quella notte inspiegabilmente aveva fatto visita a casa Swan, incuriosito dalla figura di Isabella, ma soprattutto innervosito dal suo comportamento.
Vi aveva rimuginato durante tutto il pomeriggio, giudicandola fredda e scostante senza motivo.
Si sentiva oltraggiato.
Nessuno aveva mai usato tanta indifferenza verso di lui ed in parte ciò lo aveva ferito nell’orgoglio. Si disse che quel suo crucciarsi fosse relativo semplicemente a quel comportamento e non alla ragazza che lo aveva osato.
Era giunto in prossimità della sua casa in un’ora tarda, convinto che lei fosse ormai tra le braccia di Morfeo, invece si era dovuto ricredere. Poggiato al ramo fuori dalla sua finestra aveva scrutato i lineamenti stanchi del suo viso distendersi nelle più varie espressioni.
Indecisione, curiosità, ilarità.
Non era riuscito a non trovarla deliziosa e per giunta era incuriosito oltre misura riguardo ciò che stava scrivendo su di un piccolo block notes.
Con il favore della notte aveva vegliato su di lei, sino a quando, stremata, non si era addormentata e lui aveva fatto incursione nella sua stanza.
Finalmente pronto a sedare in parte la sua curiosità crescente.
Aveva tentato in ogni modo di scrutare le parole scritte velocemente su quel foglio, ma il corpo della ragazza lo copriva quasi interamente lasciando alla sua vista ben poco.
Solo un primo punto era visibile: innamorarsi.
Non comprese cosa volesse indicare e, nonostante una certa riluttanza, si riservò di indagare in futuro, consapevole che per recuperare il foglio avrebbe rischiato di destarla dal suo sonno.
Sarebbe stato difficile spiegare la sua presenza lì, come minimo avrebbe urlato al maniaco.
Bhe, in quell’istante si sentiva realmente tale.
Si trovava in camera di una ragazza che aveva spiato per tutta la sera, pronto a curiosare in giro. Si, decisamente un maniaco.
Imprecando a denti stretti decise di rivolgere la sua attenzione altrove, cercando di comprendere di più di lei attraverso la sua camera. Iniziò a vagare indisturbato tra le mensole ed il mobilio, rimproverandosi per la sua indiscrezione ma curiosando ugualmente. Non fu sorpreso di notare un gran numero di libri riempire gli scaffali, rammentando che più volte aveva avuto modo di vedere la sua figura nascosta in un angolo della scuola assorbita da qualche volume.
Probabilmente riempiva la sua solitudine riversando la sua attenzione sui vecchi tomi polverosi.
Sbuffò osservando i piccoli ninnoli e le fotografie, nelle quali era ritratta quasi esclusivamente in compagnia del padre. A quanto sapeva la moglie dello sceriffo era deceduta dando alla luce Isabella, a scuola molti mormoravano fosse il senso di colpa a dilaniare la ragazza rendendola tanto restia ai rapporti. O almeno questo era quello che pensava chi non si limitava a schernirla con qualche sciocca battuta.
Cosa assai rara.
Edward proprio non riusciva a comprendere come lei potesse sopportare stoicamente gli innumerevoli pettegolezzi che la circondavano. Era certo ne fosse consapevole, pur non potendo leggere nella sua mente. Gli studenti della Fork’s Hight School non mostravano in tal senso alcuna discrezione, beffandosi di lei apertamente e senza remore. Eppure, Bella non aveva mostrato mai alcun cenno di cedimento quasi come se tutto ciò che la contornava non fosse realmente rilevante per lei.
Quasi come non contasse nulla.
Quegli occhi color cioccolato erano costantemente velati dall’apatia.
Spenti… vuoti.
Si sorprese di aver notato un simile dettaglio, ma non se ne curò perché un impercettibile movimento del corpo della ragazza attirò la sua attenzione. Scioccamente notò di aver lasciato la finestra aperta dopo il suo ingresso e l’aria gelida dell’inverno aveva ormai invaso la stanza, abbassandone la temperatura.
Si diede dello stupido.
Le necessità umane erano per lui ormai nulla più che un vago ricordo.
Recuperò istintivamente una coperta, ponendola sulle esili spalle di Bella. Per un istante pensò di sollevarla e poggiarla sul letto, notando la posizione scomoda nella quale si era assopita. Probabilmente dormire così non le avrebbe giovato, ma il buon senso mise a tacere le sue preoccupazioni imponendogli di allontanarsi dalla camera prima di compiere qualche azione sconsiderata.
Che diamine mi sta succedendo? Si domandò stordito.
Per quanto gli fosse complicato ammetterlo quella ragazza generava in lui delle strane sensazioni e premure che non aveva mai osato rivolgere ad altri, esclusa la sua famiglia. Si disse che forse la fragilità che lei esprimeva risvegliava il senso di cavalleria insito nella sua persona ed assopito da anni, ma preferì non approfondire.
Almeno per il momento.
Uscì da quella stanza, richiudendo la finestra dietro di sé, e salutando il nuovo giorno con uno strano sentore.
Qualcosa stava mutando.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Questo capitolo è decisamente più lungo dei precedenti. hihihihi Qui ancora non c'è un incontro tra i due, ma per questo dovrete aspettare il prossimo capitolo. Cercherò di postare a breve, anche perchè ho deciso che mi dedicherò maggiormente ad una ff, per volta. E, al momento, ho scelto questa. :) Cercherò di portarla a termine in breve, tentando di non farle superare la quindicina di capitoli. *incrocia le dita.* Detto questo vi ringrazio... a chi segue e soprattutto a chi recensisce. Kiss Kiss Manu ♪



Vi lascio il link del mio gruppo su fb, dove inserisco gli spoiler e le info: Storie di Shinalia

Capitolo 4

 
.."il vero amore ti può cambiare la vita, lascia che sia il tuo cuore a condurre i tuoi passi"...
 
Chi non ha mai pensato alla morte?
Ognuno, più di una volta, ha ceduto a simili pensieri, benché talvolta fugaci. Chi in seguito ad una dolorosa esperienza, chi angosciato da pressanti problemi, chi giunto lì solo per una qualche riflessione.
Isabella aveva avuto modo di pensarvi spesso di recente. Quando si è certi di essere in procinto per quel “paradiso” che tutti decantano, non sono poche le domande che ci si pone. Si era chiesta se fosse vero che al di là della vita potesse attenderle un luogo fatto di luce, in cui la sua anima avrebbe potuto trovare ristoro. Aveva sperato che quel trapasso non portasse con sé anche i suoi ricordi, forte del pensiero che il tempo avrebbe lasciato ben poco nella memoria di chi la circondava.
Erano tante le cose sperate e altrettante le paure che si erano insidiate in lei, percuotendola violentemente in quei momenti bui che tentava di affrontare, senza sprofondare.
Un giorno aveva tentato di immaginare cosa potesse esserci in caso contrario; se la morte avesse portato con sé solo un puro e semplice annullamento.
Quella prospettiva l’aveva terrorizzata.
Preferiva credere che vi fosse qualcosa ad attenderla, che non fosse tutto lì… in terra, ma che ci fosse ben altro, nuove possibilità, un mondo dove poter vegliare su coloro che avrebbe abbandonato, perché il solo pensiero che tutto sarebbe terminato in un istante le appariva improponibile.
La fine… solo la fine.
Niente più dolore, certo… ma anche la fine di qualunque gioia.
Aveva frequentato la chiesa per tanti anni, ma forse nella sua infanzia ben poco capiva di quei sermoni predicati dal reverendo o dalla catechista. Era affascinata dalle storie che narravano, ma non aveva mai pensato realmente a Dio e quando la comprensione aveva scacciato le convinzioni infantili, aveva prevalso per un po’ un certo rancore. In fin dei conti, se quel Dio realmente esisteva, perché le aveva strappato la sua mamma prima che lei potesse anche solo conoscerla? Perché lei avrebbe dato la sua vita per metterla alla luce?
Perché quel sacrificio per quella manciata di anni che le erano stati concessi?
In quegli anni in cui il senso di colpa aveva spesso prevalso quando gli occhi di suo padre, velati di lacrime, scorrevano sulla mensola del camino, adorna di vecchie foto di sua moglie.
Oh si, aveva provato una gran pena ed un’immensa afflizione quando la prima volta aveva compreso come sua madre avesse perso la vita. Aveva invidiato i bambini, che a quel tempo, ricevevano un bacio, in saluto dalle loro mamme, all’uscita da scuola, mentre per lei c’era solo la signora Floor, l’anziana vicina di casa. Era una brava donna, molto dolce, che spesso si occupava di lei… ma pur non avendo mai vissuto con Renèe, percepiva che qualcosa mancava.
Un’incolmabile vuoto…
Solo con il tempo si era arresa, abbandonando il rancore e rammentando al gesto altruistico di sua madre. Charlie le ribadiva spesso quando lei la desiderasse, dei pomeriggi che trascorreva narrando storie al suo enorme pancione, leggendo qualche favola o solo immaginandola, fantasticando su quel piccolo fagottino che ogni giorno cresceva e che scatenava nella sua mamma le più inconsuete e strane voglie.
L’espressione di suo padre quando parlava di Renèe appariva quasi sognante.
L’amava. Oh si, l’amava davvero.
Non quell’amore che molte coppie dimenticano dopo qualche anno, non quello che fingono di provare mentre in cuor loro rivaleggia con la frustrazione.
No, il loro era puro, reale.
Vivo… prima del sul arrivo.
Eppure il destino pareva essersi accanito su quel pover’uomo, costringendolo ad affrontare l’idea di un nuovo lutto. Bella era ben consapevole di quanto suo padre fingesse, appariva quasi tranquillo e sereno e forse, se non fosse stato per le occhiaie livide ed i segni del pianto al mattino, lei avrebbe davvero potuto credere alla sua farsa.
Almeno in città nessuno sospetta nulla! si disse Isabella rimuginando, mentre preparava lo zaino per la scuola. Detestava il pensiero di poter essere compatita od osservata con pietà.
Desiderava poter vivere una vita normale, almeno per quel poco tempo che le restava. I medici le avevano consigliato di procedere in quel modo, lasciarsi abbattere dal dolore non sarebbe stato proficuo e avrebbe potuto accelerare il decorso della malattia.
Le ribadivano che doveva lottare, continuare a vivere.
Facile a dirsi… quando si è consapevoli di non aver più tempo ogni cosa perde il suo senso. Perché fingere? Perché destarsi ogni mattina, percorrendo i corridoi della scuola e lasciarsi rivolgere occhiate di scherno o commenti beffardi? Perché non lasciarsi cullare dal torpore, attendendo inerme?
… quelli che all’epoca della diagnosi erano stati i suoi primi pensieri, iniziarono a scorrerle nella mente, rammentandole l’afflizione provata.
Quelli erano stati i suoi desideri. Aveva percepito un vago intontimento che si era propagato dentro di lei, estendendosi a macchia d’olio, assopendola. Stordendola!
Non voglio pensare!
La sua mente, al momento, si era rifiutata di elaborare quella notizia, spingendola al di là della consapevolezza… lontana dalla comprensione.
Perché?
Non vi era una motivazione in grado di giustificare ciò che stava accadendo.
Avrebbe voluto arrendersi e lasciarsi spegnere come una piccola candela sferzata del gelido vento e se non fosse stato per Charlie probabilmente non avrebbe esitato.
La sua farsa era solo per lui, per concedergli del tempo, per ripagarlo di quell’amore che le aveva donato, nonostante tutto!
Lui sarebbe stato il suo più grande rimpianto!
Sospirò affranta consapevole che la sua recita ormai avrebbe avuto breve durata. Il dosaggio dei farmaci per il dolore era stato ulteriormente aumentato, benché odiasse l’assopimento derivante dai medicinali. Il progresso della malattia pareva non volersi arrestare e gli spasmi si acuivano di giorno in giorno.
Il trillo del telefono la distolse dalle sue elucubrazioni, facendola sobbalzare vistosamente.
Sarà Charlie.
Mesta si diresse verso l’apparecchio, ignorando la schiena dolente per la notte trascorsa prona sulla scrivania.
« Pronto? »
«Bells, tutto bene? » la voce ansiosa di suo padre sopraggiunse dall’altro capo del telefono, lasciandola perplessa.
«Certo. – mormorò cauta. – è successo qualcosa? »
Lo sentì rilasciare un profondo respiro, pur non comprendendo il motivo di quella sua strana reazione. Non era raro che la mattina le telefonasse prima che lei si recasse a scuola, ma di rado osava esternare una tale ansia. Charlie era costantemente in pena per il suo stato, ma onde evitare di rammentarle di continuo della malattia, fingeva di non cogliere i segni del suo progressivo peggioramento. Forse chi non era a conoscenza del suo stato non avrebbe mai potuto collegarlo alla sua cagionevole salute, ma per suo padre quei mutamenti rappresentavano l’inesorabile destino contro il quale non avrebbe mai potuto nulla.
Inerme, avrebbe solo potuto osservare il deperire di quella giovane ed ingenua creatura che era la sua bambina.
Il tempo sta scadendo…
Per lui non avrebbe potuto esserci fato peggiore.
« Ho provato a chiamare varie volte, ma non rispondevi. » ammise titubante. Lo sceriffo quella notte era stato convocato in centrale urgentemente ed era stato costretto a trattenersi lì sino all’inizio del suo turno, lasciando Isabella da sola in casa. Come ogni mattina le aveva telefonato per accertarsi non vi fossero problemi, ma gli innumerevoli squilli a vuoto lo avevano terrorizzato portandolo ad immaginare le più atroci prospettive.
Non ancora, non ancora, non sono pronto! Si era ripetuto come un mantra, pur consapevole che mai sarebbe stato in grado di accettare quello che stava accadendo. Se solo avesse potuto, sarebbe giunto a qualsiasi compromesso pur di salvarla… qualsiasi!
Bella sospirò sommessamente, inquieta. « Ero sotto la doccia, probabilmente è per questo che non ho sentito lo squillo del telefono. » mentì, omettendo il dettaglio della sua notte insonne, conscia che suo padre non avrebbe gradito. Era sempre ben attendo ad evitare che lei potesse affaticarsi e l’ammoniva di continuo per quella che considerava una sua sconsideratezza.
Ma a lei restava ben poco ed in fondo, limitarsi non avrebbe mai condotto ad alcun miglioramento. Tanto valeva cercare di vivere approfittando anche di quei piccoli istanti che scorrevano inesorabili.
«Bene, stai attenta piccola. »
Riagganciò velocemente, lievemente imbarazzato per la sua reazione ansiosa, ritornando al suo lavoro. Bella, dal canto suo, notando l’ora tarda si affrettò ad uscire di casa per raggiungere la scuola. Quel giorno sarebbe stata costretta a partecipare alla prima riunione del club di teatro. Si domandò se Edward Cullen le avrebbe rivolto nuovamente la parola, sperando vivamente che si tenesse a distanza. Sebbene fosse certa che le voci sul suo conto non fossero totalmente fondate, temeva ciò che lui avrebbe potuto dirle.
Era un avvenimento tanto inconsueto che difficilmente riusciva ad attribuirgli una qualche spiegazione.

Che il dottor Cullen gli avesse rivelato la verità?
Quel pensiero passò fulmineo nella sua mente, gelandola sul posto. Edward non si era mai premurato di avvicinarla, al contrario, comportandosi come i loro compagni si era sempre tenuto a debita distanza. Lei non era il genere di ragazza con cui lui tendeva ad approcciarsi, troppo scialba e silenziosa.
Quindi perché si era presentato?
Che Carlisle gli avesse chiesto di accertarsi della sua salute, temendo qualche problema? Il dottore era sempre eccessivamente premuroso ed attento ad ogni suo accenno di malessere. Appariva costantemente afflitto al pensiero della sua malattia, forse consapevole dell’impossibilità di guarirla e di poter fare qualcosa per lei, se non aumentare il dosaggio dei medicinali.
Quello sguardo colmo di pietà che si era vista rivolgersi da molti medici ed infermieri la irritava, ma difficilmente riusciva a portare rancore a Carlisle. Era un uomo troppo buono… si era sempre domandata come lui, con la sua spiccata sensibilità, riuscisse a sopportare quel mestiere, circondato da malati spesso terminali.
Come lei, d’altronde!
Strinse le mani al volante inquieta. Il dottore non avrebbe mai infranto il suo segreto, le aveva promesso il massimo riserbo sulla questione e sapeva che Charlie non avrebbe esitato a chiamarlo se le sue condizioni fossero peggiorate. Ne era certa, Edward Cullen non poteva essere a conoscenza della sua malattia, doveva esserci un altro motivo per il suo strano comportamento.
Ma quale?
Infondo a scuola lui non sembrava essere incline ai pettegolezzi, su di lui ne circolavano tanti quasi quanto quelli sul conto di Isabella. Sino a quel momento probabilmente doveva averla a stento notata e forse si era presentato per pura e semplice cortesia.
Bella sbuffò contrita, presa dallo sgomento, era stata non poco maleducata ed un po’ se ne pentiva. Non era da lei comportarsi scortesemente, al contrario era stata spesso elogiata da insegnanti ed adulti per la sua educazione, sebbene fosse ritenuta estremamente timida; e
soprattutto a scuola questo era un dettaglio che aveva destato non pochi commenti. Lì  dove anche la minima minuzia veniva notata ed ingigantita oltre misura, il suo comportamento riservato non era di certo passato inosservato. Molti apparivano addirittura contrariati da quel suo riserbo considerandola forse altezzosa, altri erano certi che lei celasse a tutti qualche orribile segreto o chissà cosa… bhe, forse questi ultimi non erano poi tanto lontani dalla verità.
Ciò che la rincuorava era il pensiero che quando la notizia della sua malattia si sarebbe diffusa, non avrebbe dovuto osservare le reazioni di chi la circondava, frequentare la scuola le sarebbe stato impossibile.
Era frustrante pensare che in fin dei conti, il poco tempo rimastole, stava scorrendo ad una tale velocità, lasciandole ben poco.
Assurdo che un tale pensiero la sfiorasse in quel momento. La scuola sarebbe dovuta essere la sua ultima preoccupazione.
Avrebbe dovuto ripensare a come sfruttare quei suoi ultimi mesi. Era certa che quella sciocca lista, che quella notte le aveva strappato tante ore di sonno, sarebbe stata nulla più che carta sprecata. Era troppo stanca per poter realmente iniziare ad agire…
O forse solo vigliacca.
Forse preferiva lasciare quel mondo sapendo che avrebbe abbandonato ben poco, che quasi nulla di realmente caro avrebbe rimpianto in quegli ultimi giorni di agonia, in cui sapeva che il dolore sarebbe stato straziante, rammentandole costantemente ciò che le attendeva.
Era il suo modo di difendersi da quel destino infausto.
« Bella! » una voce attirò la sua attenzione ed i suoi occhi incrociarono quelli ridenti di Angela, una sua compagnia di scuola, una delle poche persone che le erano realmente care.
Isabella represse l’espressione corrucciata ed afflitta che sembrava sul punto di affiorare sul suo volto, costringendosi a sorridere. In fin dei conti era abituata a fingere, quella simulata pacatezza era una maschera ben congeniata che riusciva ad indossare quasi a comando.
« Buongiorno! -  esclamò leggermente incuriosita dall’euforia della sua amica. – Sono all’oscuro di qualche interessante novità? » domandò ironicamente, attendendo spiegazioni.
Un piccolo broncio le increspò le labbra. « Dovresti essere tu a dirmi qualcosa. – la contraddisse indispettita. – E dovresti  essere entusiasta, hai ottenuto la parte da protagonista nella recita ed invece sembra quasi che a te non interessi! Non avevi intenzione di comunicarmi la novità? »
Bella ridacchiò, scrollando le spalle con disinvoltura. « Mi era passato di mente. » si giustificò.
Aveva ben altri pensieri ad assorbirla ed una sciocca recita non era tra le priorità, almeno sino a quando il panico non si sarebbe impossessato di lei. Sarebbe stata costretta a salire sul palco e recitare dinanzi all’intera scolaresca ed i loro genitori. Una prospettiva tutt’altro che lieta che la portava ad immaginare le innumerevoli ripercussioni che ci sarebbero state a scuola.
Preferiva non pensarci, almeno per il momento.
Lo sbuffò contrariato di Angela la divertì più del lecito. « Sei sempre la solita… - l’ammonì scherzosamente. - Voglio tutti i dettagli sulle espressioni di Jessica e delle altre! » gongolò in trepidante attesa.
Era risaputo che gran parte delle ragazze della scuola ambivano a quella parte, essendo Edward il protagonista principale, ed Angela aveva trascorso ore ad immaginare i cipigli inorriditi dipinti sui volti delle loro compagne, scoprendo a chi era stato affidato il ruolo. Si rammaricava di essersi persa quel meraviglioso evento, se solo lo avesse saputo si sarebbe presentata ad assistere alle audizioni, con tanto di sorriso vittorioso stampato in volto.
Bella si meritava quelle attenzioni e lei ne era più che convinta.
La sua timidezza e la sua riservatezza non erano da biasimare, erano tratti della sua personalità da apprezzare, come la sua dolcezza.
Ad Angela Isabella piaceva davvero.
Lentamente si avviarono in aula, mentre la sua amica le poneva svariate domande sul copione o sulla fantomatica presenza di Edward Cullen. Tutti erano consapevoli che raramente lui si dedicava a simili attività, quelle extrascolastiche, che erano disdegnate sia lui che dai suoi fratelli.
Prediligevano di gran lunga trascorrere il loro tempo al di fuori dell’istituto e Bella non poteva biasimarli. Nonostante ciò, la presenza del più giovane dei Cullen la insospettiva e non poté evitarsi di tornare al ricordo del giorno precedente, quando lui aveva inutilmente tentato di fare conoscenza.
Non ne parlò ad Angela, non che non si fidasse, semplicemente preferiva tenere per sé quello strano episodio. Non voleva certo dare adito a nuove voci di circolare sul suo conto, le bastava ciò che già alimentava involontariamente.
 
_____________________________
Edward, tornato a casa, si preparò per la nuova giornata scolastica. Avvertiva nuovamente una certa irritazione e non solo per i continui messaggi di Alice, che gli rammentavano di futilità come la scelta degli abiti per quel giorno o l’importanza di memorizzare le battute.
La sua memoria da vampiro non necessitava di alcun impegno in quel senso e non comprendeva cosa potesse spingere sua sorella ad affliggerlo in quel modo.
Quel giorno sarebbe  stato costretto a partecipare alla prima riunione del gruppo teatrale e la sensazione di disagio non pareva volersi dissipare. Detestava il pensiero di dover trascorrere il suo tempo circondato dagli umani, limitando le sue capacità, attendo a non dare alcun segno della sua natura. Per tale motivo prediligeva trascorrere le sue giornate in compagnia della sua famiglia, con loro non era costretto a nascondere nulla.
Libero.
Poteva essere se stesso, solo ed esclusivamente Edward, un vampiro centenario dotato del molesto dono di lettura del pensiero.
Se solo i suoi compagni lo avessero saputo, probabilmente avrebbero contenuto le loro inquietanti riflessioni!
Stava proprio recuperando lo zaino quando il cellulare riprese a squillare. Non aveva bisogno di leggere il nome sul display per sapere chi fosse.
«Alice.» la sua voce apparve spossata persino a lui.
Sua sorella era l’unica persona in grado di ridurlo in quello stato. Un vampiro non poteva certo avvertire un senso spossatezza, almeno fisicamente, ma lei aveva la capacità di sfiancarlo psicologicamente.
Lo sbuffò dall’altro capo del telefono gli giunse distintamente. « Porta rispetto fratello ingrato. – sbottò la vocina acuta di Alice. – Ti telefono onde evitare tu faccia fuori un’intera classe. »
Edward sobbalzò stralunato, a quelle parole. « Che diamine stai dicendo? » biascicò, tentando invano di comprendere se quello fosse uno degli innumerevoli scherzi della piccola folle. Già in passato il suo senso dell’umorismo aveva appurato fosse piuttosto macabro.
Come Jasper riuscisse a sopportarla, proprio non gli era chiaro!
« Alla seconda ora Banner ha intenzione di fare una piccola lezione sui gruppi sanguinei, a cui ti proporrei di non partecipare. - mormorò annoiata. – Dovresti essere contento che nonostante io sia in vacanza continui a vegliare sul tuo futuro. » lo ammonì.
Dal suo tono di voce Edward intuì fosse offesa e se ne rammaricò. Per quanto sapesse essere petulante, la sua sorellina si era sempre mostrata gentile e premurosa, nei suoi confronti, e lui non aveva il diritto di mostrarsi irrispettoso.
Sospirò contrito. « Mi dispiace, sono solo un po’ nervoso.» si giustificò, sprofondando stancamente nella poltrona.
« Lo so. – asserì lei. – Vorrei solo che tu ti tranquillizzassi, vedrai che la recita sarà una bella esperienza. »
Il vampiro alzò gli occhi al cielo, sebbene fosse consapevole che la piccoletta non potesse vederlo. « Se non fosse per il tuo potere non avrei mai accettato, ma ciò non toglie che mi piacerebbe avere un’anteprima su ciò che hai visto. » tentò, pur sapendo che non avrebbe ricevuto le risposte desiderate. Con lei era sempre così, si divertiva ad osservare il loro futuro, progettando strani piani alle spalle di tutti loro. Se solo non fossero partiti avrebbe potuto vegliare sui suoi pensieri per scorgere qualche dettaglio, in grado di aiutarlo a scoprire l’origine dei suoi complotti, ma loro erano letteralmente fuggiti da un istante ad un altro, senza preavviso.
Per un momento pensò addirittura che quel viaggio fosse stato pianificato dalla piccoletta con un preciso scopo, sfuggire al suo potere per poterlo manipolare con maggiore facilità.
Si diede immediatamente dello sciocco per quel pensiero tanto egocentrico. La sua famiglia si era solo concessa una piccola vacanza, nulla di più.
Sto diventando paranoico! Si ammonì.
Alice cantilenò una risata  « In primo luogo so benissimo che non sono certo io il motivo per il quale hai accettato di partecipare, quindi ti consiglierei di evitare menzogne con la sottoscritta. – trillò allegra, soddisfatta di sé e del suo potere di chiaroveggenza. Adorava possedere un simile controllo sugli eventi. Il prevedere le possibilità future le permetteva di destreggiarsi tra queste, manipolando abilmente i comportamenti altrui per giungere al suo scopo e ciò che in quel momento stava progettando era troppo importante per permettere ad Edward di opporsi. Quel vampiro era sempre troppo testardo… - Dici sempre di detestare le mie intromissioni, quindi perché mai dovrei renderti partecipe delle mie visioni. »
Scosse il capo. « Sei insopportabile. – sentenziò, mentre un sorriso affiorava sulle sue labbra. Lei era sempre capace di rigirare le parole a suo piacimento. – Tanto presto scoprirò cosa hai in mente. »
« Non ne dubito! » esclamò divertita prima di riagganciare.
Edward fissò il telefono non comprendendo l’origine delle sue parole. Intendeva dirgli la verità? Probabilmente no… ma allora cosa stava per accadere?
Sbuffò esasperato, detestava non sapere.
Svogliatamente volse lo sguardo al grande orologio a pendolo nell’atrio, notando l’orario, era piuttosto tardi, ma con la sua guida era certo che sarebbe giunto a destinazione in tempo per la prima lezione. Per un istante pensò addirittura di non recarsi a scuola ma era certo che Alice non avrebbe gradito la sua idea, ripiegando la sua ira sulla sua Aston Martin oppure organizzando qualche brutto scherzo… ma soprattutto perché in fin dei conti era curioso di osservare Isabella. Quel giorno avrebbe avuto modo di studiarla durante le lezioni di teatro ed una parte di lui sperava di riuscire a comprendere il motivo del suo comportamento del giorno precedente.
Ancora non riusciva a capacitarsi di essere stato ignorato in quel modo, soprattutto da una semplice umana.
Avvilito si alzò uscendo di casa.
Come previsto raggiunse la scuola con qualche minuto di anticipo ed al suono della campanella era già in aula, accomodato al suo banco. Alla seconda ora avrebbe estorto un permesso alla signorina Cope e si sarebbe concesso di sfogliare il copione per la recita, in fin dei conti quel pomeriggio ci sarebbero state le prime prove. L’idea non lo allettava granchè, almeno per certi versi, del resto Alice non aveva avuto torto… non era stato per lei che aveva accettato di partecipare a quella follia. Lei aveva preparato solo la trappola e lui ci si era gettato dentro con il sorriso sulle labbra.
Bravo Edward, ormai lei ti raggira come vuole! Si ammonì esasperato, benché in fin dei conti ormai si fosse rassegnato agli strani complotti a suo danno. Non erano certo una novità, quello che però si chiedeva era perché e come Bella era implicata in quella faccenda. Alice sapeva della sua impossibilità di leggerle nel pensiero? Era a conoscenza di altro?
Era un modo per esasperarlo?
Ripercorse mentalmente gli accadimenti del giorno precedente. Una parte di lui era ancora stupita del fatto che non avesse mai notato il silenzio dei suoi pensieri, per quanto anonima iniziava a notare in quella ragazza qualcosa di insolito.
Come poteva essergli sfuggito?
Attraverso le menti dei suoi compagni andò alla ricerca della figlia dello sceriffo, ignorando le ciarle inutili del professore di spagnolo. Trovò Isabella grazie ad Angela, la sua compagna di banco, che la stava osservando sottecchi, con una certa preoccupazione.
“Oggi Bella è più pallida del solito, sembra anche dimagrita.”
Era inquieta. I suoi pensieri erano completamente incentrati sulla ragazza al suo fianco, permettendogli di cogliere numerosi particolari. Effettivamente la Swan non appariva il salute, al contrario sembrava leggermente debilitata.
Può essere il risultato della notte insonne, gli esseri umani sono così delicati. Si rammentò. Forse avrebbe dovuto spostarla sul suo letto quella notte e non lasciarla prona sulla scrivania e si pentì amaramente di non aver assecondato quell’idea che al momento gli era apparsa folle. Quella ragazza tanto strana gli suscitava emozioni che proprio non riusciva a comprendere, era per lui un piccolo mistero!
Un mistero che intendeva svelare quanto prima.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Aggiornamento super veloce. Immagino la vostra sorpresa nel notare il capitolo qui, dopo solo un giorno! ahahahah mi riporta ai bei tempi quando aggiornavo un capitolo ogni due giorni, come facevo? Bho... non ne ho la minima idea. Comunque mi dispiace non riuscire a rispondere alle recensioni oggi, ma lo studio mi reclama. Comunque come al solito non posso fare a meno di ringraziarvi per il vostro supporto :) Grazie! Spero tanto che la storia non vi stia annoiando.. ho notato che aumentano il numero delle persone che seguono la storia ma i commenti diminuiscono. Come mai? *curiosa.* Bhe, smetto di tergiversare e con il mio thè caldo me ne torno dai libri... stress stress stress. Kiss. (Ps: sul mio gruppo su fb troverete tutti gli spoiler e le info sulle mie numerose storie XD)


Capitolo 5

Cit: “Come puoi vedere posti come questi, passare dei momenti come questi e non credere? È come il vento non lo vedo però lo percepisco: la meraviglia, la gioia, l'amore. “

 
Bella tentò invano di ignorare le occhiate preoccupate di Angela. Aveva notato una certa apprensione nel suo sguardo, durante l’ora di letteratura, una delle poche che condividevano. In compenso aveva finto di prestare interesse alla lezione su Byron, lasciando che i suoi pensieri scorressero frenetici tra le svariate implicazioni di quella recita, a cui si apprestava a partecipare.
Si era pentita? Un pochino. Ciò che temeva erano i pettegolezzi che tutto quello avrebbe alimentato. Non le erano sfuggiti i sogghigni di Jessica e Lauren, così come i commenti poco bonari fatti da alcuni ragazzi. Effettivamente lei non era bella o affascinante, la sua timidezza poi era un’ulteriore aggravante, così in molti si domandavano se, una volta sul palco, sarebbe stata in grado di interpretare la figura ammaliante che le era stata assegnata.
Sospirò sommessamente.
Delle volte avrebbe desiderato far sparire tutto e tutti, o scappare in un luogo lontano, dove poter trascorrere in pace gli ultimi suoi giorni. Le tornò in mente la proposta di sua zia Bonnie.
La sorella di sua madre viveva a Jacksonville, ed era un’infermiera in pensione. Le aveva chiesto se desiderava trascorrere lì il suo ultimo periodo, godendo del clima caldo e piacevole di quelle zone, decisamente più adeguato alla sua salute. Oltretutto il suo mestiere le avrebbe permesso di prendersi cura di lei, una volta che il decorso della malattia fosse giunto verso la sua fine. Non aveva dimenticato le parole di Carlisle a riguardo, in quella fase sarebbe stato difficile per lei compiere anche i più effimeri gesti, stravolta dalla stanchezza e dai dolori.
Come avrebbe potuto Charlie occuparsi di tutto, da solo?
L’ennesimo sospiro, sfuggì alle sue labbra, contratte.
Forse avrebbe dovuto. Forse avrebbe potuto evitare a suo padre le sue consuete preoccupazioni.
Forse…
Un profondo senso d’angoscia le attanagliò lo stomaco, stringendolo in una gelida morsa che le mozzò il respiro.
Restava così poco tempo e lui sarebbe stato costretto ad assistere al suo deperimento, inerme.
Oddio!
Avvertì le lacrime salirle agli occhi, ma le ricacciò con risoluta rabbia.  Non avrebbe pianto, non sarebbe servito a nulla, non avrebbe risolto la situazione. Perché abbandonarsi alla desolazione quando questo non faceva che palesare la sua debolezza? Quale vantaggio si traeva abbandonandosi allo sconforto?
Lei non lo sapeva… ma talvolta, immersa nella solitudine della sua stanza, aveva dato sfogo a tutte quelle lacrime difficilmente trattenute, lasciando che con esse scivolassero via anche quelle sensazioni di strazio e oppressione che le dilaniavano l’animo.
Piangeva così… fino a sentirsi svuotata.
Ma anche quel tempo era passato, perché ormai tutte le sue lacrime erano state versate e di lei non era rimasto che un guscio che aveva perduto la sua anima, un corpo che camminava e si muoveva per inerzia, senza alcuna reale volontà di vivere, di godere e di gioire.
Lei ormai non era più nulla… non sentiva più nulla.
Vuota!
Stancamente riportò lo sguardo sul professor Sheriff, impelagato in un maldestro tentativo di destare l’entusiasmo dei suoi studenti.
L’uomo appariva decisamente avvilito mentre constatava il generale menefreghismo.
Bhe, doveva essere piuttosto frustrante parlare ad un'aula completamente assorta in ben altri pensieri e preoccupazioni.
Scosse il capo, trattenendo uno sbuffo. « Bene, la lezione è finita, tra qualche minuto suonerà la campanella, ma visto il vostro interesse ritengo inutile continuare. – comunicò rassegnato, mentre un sorriso sornione si distendeva sul suo viso. – Ciò non toglie che avete tre giorni di tempo per dedicarvi alla stesura di una tesina, in merito all’argomento trattato oggi. »
Un coro di protesta si levò nell’aula, ma lui disinteressato si allontanò, gioendo della sua piccola vendetta.
Bhe, almeno qualcuno era contento.
« Altro lavoro da fare. » lo sbuffò contrariato di Angela, attirò l’attenzione di Isabella, che le rivolse un sorriso confortante.
« Come se fosse una novità. » commentò ironica, richiudendo il quaderno degli appunti, immacolato.
Forse avrebbe dovuto prestare un minimo d’attenzione. Si ammonì, storcendo il naso. Byron non era uno dei suoi autori preferiti e questo avrebbe richiesto dell'impegno extra nello studio.
Angela alzò gli occhi al cielo, annuendo svogliatamente. « Che lezione hai ora? » le domandò sovrappensiero, mentre recuperava l’astuccio ed i libri da riporre nell’armadietto.
Bella si alzò con eccessivo impeto. « Biologia con Banner. » rispose ma, colta da un capogiro, si lasciò cadere nuovamente sulla sedia.
Dannazione. Imprecò sottovoce.
Vide il volto di Angela allarmarsi, ma non vi diede peso. « È solo un calo di pressione. – biascicò, respirando a fondo. – Stanotte ho dormito poco a causa di alcuni compiti e stamane non ho fatto colazione. »
« Sei un’irresponsabile. » mugugnò l’amica, per nulla convinta, iniziando a scavare nell’ampia borsa che portava in spalla, alla ricerca di qualcosa.
Lei sospirò. « Si è fatto tardi. - si alzò nuovamente, ma questa volta con cautela, maledicendo la sua debolezza. – Banner odia i ritardi. » si rammentò.
La biologia le interessava. Se non fosse stato per la sua condizione e per la sua strana avversione per il sangue, le sarebbe piaciuto diventare un medico, per poter aiutare le persone. Trovava fosse una professione estremamente nobile. Naturalmente quel pensiero era stato scacciato con forza, qualche anno prima, una volta presa coscienza della sua malattia.
Il futuro per lei non esisteva. La fine era sin troppo prossima per perdersi in fantasie inutili, che avrebbero avuto solo il potere di aumentare il senso di amarezza che covava.
A che serve rimuginare su qualcosa di impossibile?  Se anche la più flebile speranza ti abbandona non ti resta che chinare il capo, dinanzi alla vita ed al destino che ha scelto per te. 
Ciò nonostante quando Bella ascoltava i suoi compagni parlare del collage, delle richieste inviate nei più disparati luoghi dell’America ed anche oltre, si sorprendeva a provare un immenso senso di invidia.
Si… invidia. Per quanto trovasse ciò inopportuno e sgradevole, non riusciva a scacciare quella sensazione.
A lei non era stato neanche concesso di illudersi. Delle volte si era domandata perché la sua fine, prematura, non potesse essere sopraggiunta improvvisa e veloce. Perché quel tormento?! Dio non avrebbe potuto risparmiarle almeno quello?
Angela l’affiancò, mentre uscivano dall’aula, porgendole una barretta ai cereali, distogliendola nuovamente dai suoi pensieri, quel giorno ancor più cupi del solito. « Mangia. » l’ammonì, per nulla propensa ad ottenere un rifiuto.
Tenera e premurosa Angela.
Bella le sorrise dolcemente e, benché la nausea fosse prepotente, decise di non contrariare la sua amica. Angela era una ragazza meravigliosa e, nonostante i pettegolezzi sul suo conto, lei non le aveva mai rivolto alcun cenno di scherno. Eppure, anche quella sincera amicizia sorta tra loro, aveva un sapore amaro. Bella si chiedeva spesso se non fosse giusto comunicarle il suo stato di salute, condividere ciò che stava passando.
Forse ne avrebbe beneficiato anche lei.
Non aveva parlato della sua condizione con nessuno oltre la sua famiglia ed i medici, nessuno con cui potesse in qualche modo sfogarsi senza riserve, senza temerne un crollo nervoso.
Suo padre l'amava troppo, non l'avrebbe sopportato.
Ma Angela?
Cosa avrebbe pensato quando la notizia della sua malattia si sarebbe sparsa? Si sarebbe sentita ferita? L’avrebbe compresa?
Lei non era mai parsa irritata dal muro di riserbo che Isabella aveva issato tra sé stessa e il mondo, e forse queste le aveva permesso di avvicinarsi tanto da divenirle così cara.
« Grazie Angy. » mormorò in un sospiro sommesso.
La ragazza si accigliò, rivolgendole poi un sorriso divertito. « È solo una barretta e io sono fin troppo in carne, non mi farà male attendere l’ora di pranzo. » commentò, fingendosi imbronciata.
Bella rise e, benché il suo ringraziamento non si riferisse solo alla merendina che l’amica le aveva ceduto, non ribatté.
« Ok. Io vado in aula, ci vediamo dopo. » la salutò, prima di allontanarsi attraverso il corridoio gremito di studenti.
Bella scosse la testa, accennando nuovamente sorriso. Angela era unica!
Tranquillamente si diresse verso la sua meta, ben attenta a non farsi travolgere dalla folla. Entrando in aula, notò con non poco timore, le innumerevoli attrezzature che facevano bella mostra sulla cattedra del professore. L’uomo, impegnato a suddividere il materiale, stava ritardando la lezione di qualche minuto e, per sua fortuna, Isabella si evitò la consueta strigliata che lui riservava ai ritardatari.
Tanto meglio. Pensò, dirigendosi verso la sua postazione. Lei era l’unica, in aula, a non avere un compagno di banco; non che la cosa le dispiacesse, al contrario… adorava avere tutto lo spazio per sé, senza nessuno che la costringesse a ciarlare inutilmente.
Una volta aveva condiviso la lezione di storia, con Alice Cullen, la sorella di Edward. Bhe, il mal di testa che le aveva provocato era stato memorabile. Ancora non comprendeva come una persona potesse essere in grado di spendere due ore parlando solo di abiti. Personalmente lei era non poco scioccata, malgrado ciò non potè evitare un sorriso di affiorare sulle sue labbra, al ricordo. Anche su quella ragazza circolavano numerose voci, molte delle quali la definivano altezzosa e schizzinosa, a lei era parsa estremamente socievole e simpatica.
Forse un po’ troppo logorroica…
« Oggi faremo un piccolo esperimento sui gruppi sanguigni. » annunciò il professore, calamitando su di se l’attenzione dei presenti, compresa Isabella che, sbiancò leggermente.
Il verso strozzato che proruppe dalla sua gola fu troppo lieve per essere udito da orecchio umano, ma la sua espressione terrorizzata fu palese.
« Tutto bene signorina Swan? » domandò Banner, scrutandola sorpreso. Era una delle sue migliori allieve, l’unica che non lamentava mai un mal di testa o un qualsiasi altro dolore per sfuggire a compiti e interrogazioni. Fossero stati tutti come lei l’insegnamento non gli avrebbe causato un’ulcera, quattro anni prima. Pensò mesto.
Lei annuì, tentata di spiegare la sua riluttanza, ma represse quell’impulso, sospirando sommessamente.  « Tutto bene. » pigolò.
L’uomo si accigliò, per nulla convinto, ma non ribattè, rivolgendosi immediatamente ad uno dei ragazzi infondo all’aula.
« Signor Newton, visto che il suo compagno di laboratorio oggi non è presente, si accomodi accanto ad Isabella. »
Mike annuì alzandosi baldanzoso, sorridendo sornione. La mancanza di Edward era una lieta novità per lui, quel ragazzo lo terrorizzava con i suoi occhi neri e la sua consueta serietà, per non parlare delle occhiatacce che gli rivolgeva di frequente. Ogniqualvolta gli era vicino percepiva brividi attraversargli la spina dorsale e non poteva evitare alla tensione di tendere il suo corpo e la sua mente.
Era in un costante stato di allerta.
Si accomodò accanto ad Isabella, rivolgendole un semplice cenno di saluto, al quale lei rispose con la medesima solerzia.
« Bene, recuperate i vostri kit e l’ago presente nelle confezioni sigillate, controllate che tutto sia in regola, mi raccomando! » esclamò serio, scoccando un’occhiata ammonitrice all’intera classe, mentre iniziava il suo consueto giro tra i banchi.
Isabella inspirò pesantemente, per nulla propensa a seguire le indicazioni. Accanto a lei Mike sembrava quasi divertito, mentre osservava con fremente attesa il piccolo ago. Lei si domandò se fosse pazzo o masochista, ma probabilmente la risposta era più semplice. Esperimento significava niente interrogazioni o test a sorpresa.
Personalmente lei preferiva di gran lunga qualche questionario. Giocare con il sangue o con delle povere rane stecchite le sembrava sempre poco allettante.
Fatti coraggio Bella, è solo uno stupido ago, cosa vuoi che sia? Considerando le lunghe degenze in ospedale la vista del sangue dovrebbe essere una bazzecola. Ironizzò tra sé, sebbene fosse consapevole che parte del problema fosse quello. La sua avversione risaliva al periodo in cui le era stata diagnosticata la sua malattia, e ai continui controlli e accertamenti a cui l’avevano costretta.
Prelievi, su prelievi… esami…
Il suo sangue…
Deglutì rumorosamente prima di forarsi le dita, lasciando che una piccola goccia di liquido denso e rassastro fuoriuscisse dalla ferita.
_________
 
Edward era comodamente abbandonato sul sedile della sua Volvo, in attesa del termine dell’ora. Alice gli aveva consigliato di allontanarsi, a causa della lezione sui gruppi sanguinei del professor Banner. Se fosse stato per uno o due tagli non avrebbe avuto problemi a resistere dal fare fuori l’intera scolaresca, evitando di respirare naturalmente, ma venti ragazzi muniti di aghi erano una tentazione sin troppo forte, persino per lui.
Sospirò sommessamente, sintonizzandosi nuovamente sui pensieri che vorticavano nell’aula di biologia.
Stupore, disgusto, preoccupazione, divertimento…
Le emozioni più disparate si alternavano tra gli studenti.
 Il professore era intento a spiegare, svogliatamente, l’esperimento, lanciando occhiate di ammonimento ad un paio di ragazze, in prima fila. Poteva ancora cogliere un certo fermento nei pensieri degli studenti, a causa della sua insolita partecipazione alla recita. Un evento inconsueto, effettivamente. Non che la cosa lo urtasse... aveva le sue ragioni. Peccato che anche lui avrebbe voluto essere a conoscenza di quel fantomatico motivo che lo aveva spinto ad una simile follia.
Ciò che sapeva era ben poco…
La voce di Isabella lo aveva stregato, i suoi modi incuriosito e la sua mente silenziosa intrigato. Un mix letale anche per un apatico come lui.
La sua attenzione destata da una semplice umana… se Alice gli avesse anticipato un tale avvenimento avrebbe riso fino allo sfinimento, credendola una delle sue solite burle.
Si ritrovò a sospirare sommessamente, cercando tra le menti degli studenti qualcuno in grado di permettergli di osservare la piccola umana.
Pallida e scura in volto osservava l’ago con un cipiglio singolare. Sembrava quasi desiderosa di trucidarlo con il solo sguardo.
Edward sogghignò.
C’era qualcosa in Bella di così misterioso ed interessante da fungere da calamita per i suoi pensieri. Avrebbe voluto parlarle per scoprire qualcosa sul suo conto, o anche solo per comprendere il motivo della sua espressione, in quell’istante.
Lei era…
Sfuggente, come una foglia trasportata da un alito di vento o forse come una leggiadra bolla di sapone, delicata ed evanescente.
Fragile.
Il suo sguardo si concentrò su di lei, attraverso la mente del professore, cogliendo quei pochi dettagli che l’occhio umano gli permetteva di osservare.
Maledettamente pallida.
L’ago penetrò debolmente la sua pelle.
Svenne.
Edward sobbalzò, aprendo la portiera con uno scatto secco, stranamente incurante della furiosa pressione esercitata sullo sportello della sua amata auto. Le urla e lo spavento nell’aula echeggiarono nella sua mente, stordendolo, mentre con difficoltà tentava di appurare le condizioni di Isabella.
Imprecò a denti stretti, correndo attraverso i corridoi deserti, tenendo costantemente sotto controllo la mente di Mike Newton che era stato esortato gentilmente dal professore ad accompagnare Isabella in infermeria, insieme al suo compagno. Naturalmente i due sciocchi, anche se malvolentieri erano stati costretti ad obbedire.
Eccola!
« Attento » ringhiò, osservando l’umano che teneva Isabella per un fianco, con una certa difficoltà.
Il poveretto sobbalzò vistosamente rischiando di far cadere la ragazza e, forse, sarebbe accaduto senza la prontezza di riflessi del vampiro. « Idiota. - sibilò quest’ultimo, trattenendosi dallo scoprire i canini in segno di avvertimento. -  La reggo io. » asserì, afferrando quel corpicino tra le sue braccia.
Era pallida, maledettamente pallida.
Ben attento a non respirare, osservò il dito incriminato, accigliandosi.
« Cazzo, continua a sanguinare. Com’è possibile? » Mike, che stranamente non si era ancora dileguato come suo solito, osservava la ferita, grattandosi il capo come una scimmia perplessa.
Effettivamente la somiglianza tra il ragazzo ed un primate era evidente. Entrambi sempre pronti ad assecondare le proprie pulsioni, lasciando ben poco spazio alla razionalità.
« Andate in classe, mi occupo io di lei. » ringhiò, mortalmente irritato.
Mike lo fissò per qualche istante, immobile, mentre il suo amico si allontanava quasi correndo.
« Ok. » biascicò per nulla convinto, ma assolutamente deciso a non contraddirlo.
Edward scuotendo il capo, strinse a sé il corpo di Isabella, conducendola nell’infermeria e fu sorpreso nel constatare la tranquillità con la quale era adagiata al suo petto. Così indifesa… Sanguinante tra le braccia di un vampiro.
Una situazione quantomeno anomala.
« Signorina Cope. » mormorò, facendo il suo ingresso nella segreteria, fingendosi leggermente affaticato, malgrado Isabella avesse per lui il peso di un fuscello.
La finzione è tutto.
La donna alzò il volto dalle scartoffie, spalancando gli occhi. « Oh mio Dio, cos’è successo? » pigolò inorridita, appurando lo stato di incoscienza della ragazza.
Edward trattenne un sospiro esasperato. « Esperimento sui gruppi sanguinei! » esclamò piccato, irritato da quelle ciance inutili. – La porto in infermeria, c’è la signora Harley? » in realtà era ben consapevole che la donna era momentaneamente assente, in palestra a medicare la storta di una delle cheerleader, dopo una rovinosa caduta; ma in quel modo sperava di esortare la Cope ad alzarsi dalla sedia e a provvedere.
« Vado subito a chiamarla, tu appoggia Isabella sul lettino. »
Edward annuì, dirigendosi nella sala attigua, riponendo il corpo cadaverico dove gli era stato indicato.  « Cazzo, quanto è pallida. » mormorò a denti stretti, seriamente preoccupato. Avrebbe potuto far concorrenza a lui, un vampiro. I suoi occhi guizzarono sulla mano di lei, nuovamente sulla piccola ferita da cui sgorgava sangue. Diamine, gli umani guarivano lentamente, ma quello era ugualmente inconsueto.
Qualcosa scattò nella sua mente, osservando quel microscopico taglietto. La sua resistenza al sangue era ottima, aveva trascorso anni nutrendosi di sangue animale e, per qualche tempo, aveva assistito Carlisle nel suo lavoro all’ospedale, quando vivevano ancora in Alaska.
Forse avrebbe potuto…
Lei dormiva, placidamente.
La signora Cope era lontana.
Accosto le sue labbra alle piccole dita, deciso a chiudere quel taglio, ma ben attento a non respirare. Si chiese come sarebbe stato il sangue di lei. Quella ragazza aveva un buon odore, anche se un po’ strano… qualcosa nel profumo del suo sangue sembrava alterarlo, benché lui non riuscisse a comprendere cosa.
La lingua guizzò veloce sul piccolo taglio e lui scattò immediatamente indietro, timoroso di compiere qualche sciocchezza. Ebbe appena il tempo di avvertire il sapore del sangue sulle sue labbra, che la signora Harley, affannata, fece il suo ingresso.
Oddio, com’è pallida.
Il suo pensiero lo colpì forte, ma lui non si scompose.
Si strofinò con urgenza le labbra e la lingua con la manica della sua maglia, impossibilitato a trovare qualcosa di meglio.
Non devo deglutire, non devo deglutire.  Si ripeté come un mantra, facendo forza su sé stesso, mentre un ringhio cupo minacciava di levarsi dal suo petto.
Si sentiva annaspare, attanagliato da un innumerevole quantità di desideri contrastanti, preda di uno spasmodico bisogno che non avrebbe mai assecondato.
Oddio!
« Grazie per averla portata subito qui, Edward. Ora puoi tornare in aula. » lo congedò velocemente la donna, lasciando scorrere le mani sul quel piccolo e fragile corpo, alla ricerca della ferita.
« L’indice della mano sinistra. » mormorò, prima di allontanarsi, con una certa fatica, a capo chino.
Sapeva che se qualcuno avesse incrociato i suoi occhi sarebbe rimasto impressionato dal nero cupo che li connotava, in quell’istante.
La sua riserva d’aria era ormai terminata, ma si impose di non respirare sino a quando non fosse tornato padrone del suo corpo.
Per un momento aveva desiderato assaporare quel nettare, per un momento aveva desiderato inspirare il suo profumo da vicino, accostare le labbra ai suoi capelli, toccare quelle labbra rosse.
Dannazione, era così calda e… morbida.
Un trillo acuto lo risvegliò dalle sue elucubrazioni.
Un sms.
Ottimo lavoro fratellino!
Alice.
__________
 
Bella si risvegliò in una sala dalle pareti bianche, che riconobbe immediatamente: l’infermeria della scuola.
A causa del suo equilibrio precario e della sua inettitudine nello sport le sue visite alla signorina Harley erano state piuttosto frequenti in passato. Naturalmente, dopo la diagnosi, le era stato consigliato di evitare sforzi e, un permesso speciale, le permetteva di saltare le ore di educazione fisica.
Proposta che aveva appreso più che lieta.
« Tesoro, ti sei svegliata finalmente. » la signora Harley la fissava con una punta d’ansia, ma ostentando il suo solito sorriso bonario.
Era una brava donna.
Isabella si accigliò, tentando di rammentare cosa era accaduto.  « Come sono finita qui? » la sua voce era maledettamente roca e sentiva la testa vorticarle pericolosamente.
« Esperimento sul gruppo sanguineo. »
« Ah. » alitò, iniziando a far luce su quello che era accaduto. Si era punta, tentando di seguire le indicazioni del professore, poi… nulla.
Che sciocca. Si disse. Avrebbe dovuto prevederlo.
Sospirò sommessamente alzando la mano sinistra, per appurare il danno.
Si sarebbe aspettata di trovare un cerotto o qualcosa di simile… ma, niente! E, cosa ancora più stupefacente, non c’era nessun taglio.
Ma cosa diamine…?
Increspò la fronte, osservando velocemente l’altro mano, sospettando di aver inciso inavvertitamente l’indice della mano destra.
« Ma non ci sono segni. » commentò, più a sé stessa che all’infermiera.
La donna scrollò le spalle. « Deve essersi richiuso velocemente, se non fosse stato per Edward non avrei mai saputo quale mano ti eri punta. »  sorrise scuotendo il capo.
Richiuso velocemente?
Questo le appariva quanto meno improbabile, ma soprattutto… « Edward? » diede voce ai suoi pensieri, seriamente incuriosita.
« Edward Cullen, ti ha accompagnato lui in infermeria. »
Sbatté le palpebre, sempre più perplessa. Lui non era a lezione, lo ricordava bene, perché la sua assenza era stata la causa del suo nuovo vicino di banco. Come aveva potuto condurla lui in infermeria?
Osservò distrattamente la sua mano, rimuginando su quello che poteva essere accaduto, senza individuare la benché minima spiegazione. Alla fine però, una cosa le era chiara, avrebbe dovuto ringraziarlo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Salve, eccomi qui con il nuovo capitolo, dopo settimane di blocco oggi sembra andare un pò meglio... anche se poco. Fortunatamente per me di questa ff avevo già un bel pò di capitoli scritti!!!! XD Bhe, finito di sistemare questo vado a provare a scrivere il capitolo nuovo di palpiti. O.O sperando di riuscire a combinare qualcosa. Un bacioneeeee kiss


Capitolo 6

"Il mistero non si può comprendere... si può solo accettare."

 

Edward trascorse le ore di lezioni a maledirsi per il suo gesto folle ed a scrutare nelle menti dei presenti, per poter controllare Isabella. Qualcosa gli diceva che quella ragazza era sin troppo fragile e delicata per essere lasciata a sé stessa. Si era svegliata in infermeria, estremamente sorpresa nello scoprire che era stato lui ad accompagnarla.
Confusione lecita…
Non che si biasimasse per essere sopraggiunto in suo soccorso, ma doveva ammettere che la sua solita discrezione pareva andare a farsi benedire, quando c’era lei di mezzo. Forse avrebbe dovuto starle il più lontano possibile, considerando l’effetto anomalo che aveva su di lui, ma… perchè negarsi una distrazione da quella monotonia che era la sua esistenza. Scoprire i misteri di quella ragazza poteva rivelarsi una buona occupazione, ma prima…
Afferrò il cellulare, componendo velocemente il numero di sua sorella. « C’è qualcosa che vorresti dirmi? » mormorò, ancor prima di permetterle di parlare.
Una risata cristallina fu la sua immediata risposta. Naturalmente lei era a conoscenza di quella telefonata, lei era a conoscenza di tutto. « Nulla di particolare, perché? »
Arricciò le labbra in una smorfia irritata. « Stai tenendo sotto sorveglianza il mio futuro. » constatò, senza alcuna inflessione.  Normalmente avrebbe dato di matto, sbottando irritato per quell’intromissione per nulla gradita, detestava sentirsi manovrato da quella piccoletta.
Eppure quel giorno ben altre preoccupazioni premevano dentro di lui, aveva bisogno di comprendere il perché di tutto quel riserbo, di quell’ormai ovvio tentativo di avvicinarlo a Bella.
C’era qualcosa di cui lo teneva volutamente all’oscuro e lui doveva scoprire cosa, per poterne appurare la gravità, per potersi allontanare prima di commettere qualche errore irreparabile.
«Alice, per favore.» si costrinse a pronunciare quelle parole, sperando di ottenere con la pietà quello che non riusciva ad estorcerle con la rabbia.
«È una cosa che ho sempre fatto. – constatò lei in tono blando, dall’alto capo del telefono. – Non vedo cosa ci sia di diverso il questo caso.»
Edward sospirò, immaginandola sogghignare beffarda. Lo aveva in pugno!
In quel gioco erano entrambi piuttosto bravi, con la differenza che per telefono lui non era in grado di utilizzare il suo potere, lei invece si.
Piccola arpia svitata!
« Perché non hai voluto che restassi in classe con lei? » non c’era alcun bisogno di specificare il soggetto, era ormai consapevole che quella ragazza rientrava in qualche modo negli strani progetti di sua sorella. Il difficile era comprendere come e perché!
Il tintinnare della sua risata lo irritò. « Fratellino, hai due lauree in medicina, perdere una lezione di Banner per te è irrilevante. »
« Stai tergiversando. »
Lei sbuffò, leggermente contrariata, e lui si figurò il broncio che stava increspando le sue labbra sottili. « Sei indisponente. – sentenziò, con una punta di acidità. – Non ho intenzione di comunicarti nulla sul futuro, anche perché tu non hai mai perso occasione per ribadirmi quanto detesti le mie intromissioni. Mi spieghi cosa c’è di diverso questa volta? »
L’ennesimo tranello di quella squinternata. Cosa voleva che lui le dicesse? « Il suo sangue era strano. -  tentennò insicuro. – è molto pallida e non sembra in salute. Non riesco a leggere i suoi pensieri e… bhe, credo mi detesti.» confessò non riuscendo a reprimere l’incredulità nel suo tono.
Era una ragazza e difficilmente un’adolescente, con gli ormoni in subbuglio, era in grado di rifiutare un suo approccio. Ciò che però non poté non rammentarsi era che Isabella era un’anomalia in tutti i sensi. Troppo matura, troppo coscienziosa, troppo altruista, troppo poco libidinosa per essere una normale diciassettenne.
Avvertì il sospiro sommesso di sua sorella ed il suo tono, insolitamente triste, lo sorprese. Stava di certo nascondendo qualcosa… ma cosa!? « Non ti detesta. – ribatté, mesta. - Solo che in quella stupida scuola nessuno perde occasione per schernirla. »
Vero…
Edward l’aveva notato. Molti suoi compagni si erano mostrati indifferenti verso di lei, ma molti altri, al contrario avevano palesato un’evidente ostilità.
Un senso di rabbia montò nel suo petto. Era incredulo. Come si poteva anche solo pensare di infastidire una creatura tanto fragile?! Certo, sapeva essere pungente ed estremamente silenziosa, ma questo non intaccava le sue virtù. Per quello che aveva potuto appurare la sua tranquillità non celava alcuna superbia, ma solo un desiderio di riservatezza.
« Idioti. » sibilò a denti stretti, meravigliandosi di come spesso gli umani fossero superficiali, a quell’età. Preda dei loro istinti badavano ben poco al reale valore delle cose e delle persone.
« Edward. - Alice richiamò suo fratello, perentoria. - Cerca solo di non comportarti da stronzo esibizionista. È una brava ragazza ma ha un gran numero di problemi e non intende complicarsi la vita. »
« Questo significa che dovrei starle lontano. – sentenziò lui, scuro in volto. – Una chiacchierata con un vampiro può essere facilmente collocata nella categoria problemi, non trovi? »
Un sospiro sommesso, l’ennesimo. « Torneremo tra due giorni! » esclamò riagganciando.
Ma…?
Edward fissò perplesso lo schermo del cellulare, non comprendendo il motivo di quel repentino cambio di argomento. Che fosse a causa di una qualche visione? Qualcosa aveva interferito con i piani machiavellici di sua sorella?
Non seppe dirlo ed era fin troppo stanco per riprendere una discussione con lei. Alice aveva il potere di sfiancarlo psicologicamente, e lui si domandava spesso come Jasper potesse sopportarla. Più volte aveva supposto che suo fratello esercitasse sulla piccoletta il suo potere da empatico, sedando il suo estenuante entusiasmo.
Sbuffò, gettando il cellulare sul sedile della sua auto. Si era rifugiato lì, in attesa del termine delle lezioni, pronto per la riunione di teatro, sebbene l’idea di affrontare Isabella e ciò che ne sarebbe conseguito non lo allettava. Avrebbe preferito osservarla, trascorrere qualche altra notte vegliando su di lei e sui suoi sogni, indagare la mente di suo padre per poter accedere ai segreti di quella strana ragazza.
Pigramente si lasciò scivolare la lingua sul labbro inferiore. Avvertiva ancora il suo sapore, quello del suo sangue… e forse quello era uno dei suoi maggiori crucci. Erano anni che non si nutriva di umani, ma il gusto di quel nettare era difficile da dimenticare ed in quello di Bella c’era qualcosa di strano.
Per un istante si rammentò quanto fosse stato folle, accostare la bocca alla ferita di una ragazza indifesa, rischiando di perdere il controllo. Come aveva potuto? Lui, sempre così accorto…
Qualunque cosa mi stia succedendo, sono certo non mi piacerà per niente. Pensò, stancamente, prima di abbandonare l’auto.
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Bella affrettò i suoi passi per raggiungere la sala adibita a teatro, dove si sarebbe svolta la prima riunione del gruppo. Sospirando sommessamente fece il suo ingresso, ben attenta ad evitare gli sguardi irritati delle sue compagne e quelli interdetti di molti dei ragazzi presenti. La storia che avrebbero rappresentato era stata scritta alcuni anni addietro dal pastore della chiesa, in alternativa a quella di Dikinson. Quest’ultima era divenuta ormai una tradizione ma, come ogni antica tradizione, prima o poi veniva soppiantata.
Difficile a dirsi, ma la professoressa era stata in grado di convincere il consiglio scolastico, facendoli capitolare.
Il carisma di quella donna per lei era una continua sorpresa.
Quell’anno però, a causa di quella innovazione, la recita avrebbe attirato ancor più spettatori, tutti entusiasmati dall’idea di assistere alla realizzazione della sceneggiatura del reverendo, il padre di Angela.
Ho scelto il momento sbagliato per decidermi a partecipare… pensò mesta, rammentandosi poi che in futuro non avrebbe goduto di ulteriori possibilità.
Bella fregatura!
Scosse il capo, per scacciare i cattivi pensieri, accomodandosi su una delle poltroncine, per sfogliare il copione. Secondo questo, lei avrebbe dovuto interpretare l’angelo che, in soccorso del protagonista, interveniva permettendogli di comprendere il reale valore di ciò che possedeva.
Bhe, molti ritenevano che l’aspetto di Bella non fosse propriamente angelico e da ciò erano derivate non poche obiezioni. Non che lei temesse in alcun modo il loro giudizio sul suo aspetto fisico, era ben consapevole di non essere all’altezza di Jessica od altre compagne. La sua carnagione era maledettamente pallida, le labbra piene, gli occhi anonimamente castani ed i capelli costantemente legati in una coda.
Un tempo aveva adorato i suoi capelli, quando la chemio non aveva influito sulla loro lucentezza. Di quel meraviglioso manto era rimasto ben poco di meraviglioso, ma in fin dei conti se fosse stata costretta a continuare con quel sistema tanto invasivo sarebbe stato peggio.
La leucemia era stata estesa a tal punto da rendere quelle cure inefficienti e, tentare ulteriormente con terapie di quel tipo, avrebbe solo gravato ulteriormente sul suo fisico provato.
Non sarebbe servito a nulla se non ad aumentare le nausee, i dolori e la fiacchezza. Sarebbe stato solo un vano tentativo di stuccare un muro ormai cadente, cercando di porre rimedio all’inevitabile, rischiando solo di peggiorare l’esito. Per questo aveva preferito affidarsi semplicemente agli antidolorifici, prescritti dal dottor Cullen.
Di Carlisle si fidava ciecamente, sapeva di poter riporre nei suoi consigli la massima aspettativa.  Per un attimo si domandò come fosse il suo rapporto con Edward, sapeva che lui, come gli altri fratelli, era stato adottato. Era certa che il dottore fosse perfettamente in grado di donare loro l’amore sufficiente, ma quei ragazzi apparivano così strani.
Ed Edward era sempre così tormentato
« Iniziamo. - la professoressa battè le mani nervosamente, richiamando l’attenzione degli studenti presenti nella sala e facendo sobbalzare vistosamente Isabella. – Credo sia opportuno dividervi in gruppi. Coloro che dovranno occuparsi di scenografie e costumi si facciano avanti. »
La signora Cronford dettò le istruzioni da seguire, dedicando totale attenzione alla suddivisione dei compiti ed impartendo ordini precisi e perentori. Energica, decisa ed  efficiente… Bella non poteva non ammirarla. Era tutto ciò che lei non sarebbe mai stata.
Nonostante l’età avanzata, la corporatura grassoccia, le evidenti difficoltà di movimento a causa di un ginocchio malandato e un matrimonio fallito alle spalle, quella donna era solare ed al contempo tanto sicura di sé da rendere impossibile a chiunque dubitare della sua parola. Quindi, pur conoscendo di teatro ben poco, se non ciò che aveva appreso grazie alla sua passione, a lei era stata affidata la completa gestione del corso, senza remore.
« Isabella, cara. – il sorriso gentile che le rivolse non la stupì. Con lei si era mostrata sempre molto garbata, forse a causa del trattamento che subiva dagli altri alunni. – Tu vai a ripassare la parte, perché sono costretta ad occuparmi prima di questi lavativi, addetti alle sceneggiature. Qualcuno dovrà pur evitare che si schiaccino le dita con il martello o chissà che! » sbottò, lanciando un fugace sguardo ai ragazzi alle sue spalle, che giocherellavano con le attrezzature.
Di bene in meglio… pensò Bella, notando le vene sul collo della professoressa divenire sempre più prominenti. Per un istante ebbe addirittura il timore che potessero scoppiarle.
Intimorita si allontanò, giusto in tempo per sottrarsi alle urla isteriche della donna, che minacciava di torcere il collo a Mike e Tayler se non smettevano di gingillarsi con i martelli neanche fossero spade laser.
Non che gli isterismi della professoressa non fossero comprensibili.
Le scenografie erano una parte fondamentale della rappresentazione e lei desiderava chiarire ogni punto onde evitare il ripetersi degli incidenti degli anni precedenti. Ancora non comprendeva come la vecchia stalla che aveva ospitato la vergine Maria e il suo bambino si fosse trasformata in una casetta di compensato con le pareti dipinte di arancione e rosa, con deliranti decorazioni e scritte impronunciabili.
Era stato definito lo scherzone del secolo, architettato da alcuni buzzurri del secondo anno su cui era preservato l’anonimato, anche se solo per i professori. Tutti gli alunni della scuola erano a conoscenza degli artefici della brava, visto il loro entusiastico vantarsi.
Bambocci!
Bella ancora si domandava cosa potesse esserci di esilarante in un simile atto di vandalismo che, l’anno precedente, aveva creato evidenti difficoltà a tutti coloro che avevano lavorato duramente per la rappresentazione. Peccato che, chi partecipava a quelle attività extra curriculari, fosse generalmente troppo in basso sulla scala gerarchica, vigente nella scuola, per poter far valere la propria parola.
Ad eccezione di quest’anno!
Edward Cullen era stata un’inconsueta novità, in tal proposito. Isabella si voltò guardinga, tentando di individuare la figura dai capelli bronzei che ultimamente era divenuta stranamente presente nella sua vita. Sembrava sbucare fuori dal nulla, con i suoi saluti ed i suoi interventi di salvataggio… oppure i suoi enigmatici sorrisi.
Sospirò sommessamente, il suo istinto era maledettamente in allerta in quei giorni. Temeva che Carlisle potesse aver rivelato qualcosa accidentalmente, in merito alla sua malattia. Avrebbe tanto desiderato poter scoprire il motivo del suo avvicinamento, senza sbilanciarsi troppo.
« Come stai? » sobbalzò spaventata, udendo quella voce conosciuta.
Ma cos’ha al posto dei piedi? Delle piume…!?
Portandosi la mano sul cuore, tentando di rallentarne i battiti furiosi, si voltò verso il suo interlocutore che le sorrideva per nulla pentito.
« Non volevo spaventarti, mi dispiace. »
Lei scosse il capo, respirando profondamente, ben attenta a non incrociare il suo sguardo. Riusciva a metterla in soggezione, e non solo perché poteva essere venuto a conoscenza della sua situazione, quella sua bellezza ed etera perfezione le creava disagio
Per lei che in ogni contesto si considerava insignificante la presenza di quel ragazzo le rammentava più che mai le sue mancanze.
« Tutto bene. – biascicò, schiarendosi la gola e raccogliendo il suo coraggio. - Volevo ringraziarti. » esordì mesta, senza preamboli.
Non erano amici ed il loro rapporto non era iniziato nel migliore dei modi, forse… considerando la sua scortesia del girono precedente, avrebbe dovuto mostrarsi più accomodante, ma la sua natura sospettosa prevalse, nuovamente.
Quando si subiscono schermaglie ed offese, quando si comprende di essere oggetto di scherno… si finisce per erigere tra sé e il mondo un muro. Qualcosa che possa permettere di preservarsi dallo sconforto.
Se non si ha fiducia nel prossimo, non si rischia alcun tipo di delusione. O almeno, questa era divenuta la sua convinzione.
Edward, dal canto suo, corrugò la fronte evidentemente perplesso, mentre un guizzo di irritazione attraversava il suo sguardo.
« L’infermiera mi ha detto che sei stato tu a portarmi da lei. » spiegò velocemente, prendendosi il lusso di fissarlo, per la prima volta, un po’ più a lungo. Era bello, avvolto nei suoi jeans costosi, nella sua camicia azzurra che lasciava scoperto il collo. Ma ciò che realmente lei ammirava in lui erano i suoi occhi… quel caldo color oro, aveva sempre qualcosa di confortante, sebbene pochi potessero descrivere lui con un simile termine.
Anzi, lei stessa si stupì del suo pensiero e se Edward fosse stato in grado di udirlo ne sarebbe stato ugualmente sconvolto. Definire confortante lo sguardo di un vampiro non era comune e di certo non un sintomo di un buon istinto di conservazione. Al contrario…
Lui scrollò il capo, apparentemente indifferente, infelicemente all’oscuro dei pensieri della sua interlocutrice. « Non avevi una gran bella cera. – sentenziò, improvvisamente serio. – Forse dovresti tornare a casa, sei ancora così pallida. »
Un solo commento fu in grado di riportarla bruscamente alla realtà: lei non era il ritratto della salute perché lei non era in salute. Un dettaglio tutt’altro che rassicurante, che si premurò di non esporre. Ormai il tempo trascorreva tanto velocemente da palesare, di giorno in giorno, nuovi segni della malattia.
Manca così poco… troppo poco.
« Colpa del sangue… » commentò, optando per una mezza verità, lasciando che la maschera e le bugie celassero i suoi segreti.
Edward le rivolse uno sguardo scettico che pareva quasi volerla trapassare.
Ha scoperto che sto mentendo?
Non mi crede?
Conosce la verità?
Ne parlerà a qualcuno?
Per un istante fu quasi presa dal panico, sebbene sul suo volto non vi fossero tracce dei timori che la stavano attanagliando. Solo quando l’ombra di un sorriso attraversò il volto di Edward, lei parve rilassarsi.
Dannazione, inizio a comportarmi da paranoica!
Era così intimorita dal pensiero del polverone che si sarebbe levato una volta scoperta la verità che ormai viveva nel terrore che qualcuno potesse scoprire ogni cosa.
« Ti dispiace se mi siedo accanto a te? – domandò d’un tratto, lasciandola completamente inebetita. – Solo per ripetere, naturalmente. Ho qualche difficoltà con la parte. »
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Se qualcuno dei suoi familiare avesse udito la patetica scusa a cui era ricorso avrebbe riso fino allo sfinimento. E lui non avrebbe potuto dargli torto. Sperò solo che Alice contenesse il suo potere, ma che soprattutto tenesse a bada la sua linguaccia lunga.
Complimenti Edward, sei un idiota!
Lo sguardo di Bella, nel frattempo, divenne lievemente sospettoso. Non che fosse una novità, quella pareva essere quasi la sua espressione preferita. Era maledettamente diffidente e guardinga, probabilmente memore degli scherzi subiti dai suoi compagni di scuola. Non poteva biasimarla.
Non poteva porre rimedio ai numerosi anni di schermaglie di cui lei era stata oggetto, ma poteva farle comprendere la sua buona fede e la mancanza di doppi fini, sebbene la mancanza di un qualsiasi scopo fosse una menzogna.
Non aveva alcuna intenzione di schernirla, ma desiderava comprenderla e svelare il mistero che l’avvolgeva. Una volta risolto quell’enigma entrambi sarebbero tornati alla loro routine e lui avrebbe smesso di importunarla.
« Giuro che non ti darò alcun fastidio. - insistette, maledicendosi. – Non vorrei fare una pessima figura sul palco. »
Lei sembrava quasi non credere alle sue parole, per quanto umane potessero apparire. Non sarebbe stato inusuale se avesse avuto difficoltà con la parte, la recitazione e la memorizzazione di un copione non era cosa da nulla e, tutti i partecipanti, condividevano la medesima apprensione di non rammentare le battute.
Il perché poi fosse ricorso a quei mezzucci solo per stare in sua compagnia, era un altro discorso, che lo faceva sentire maledettamente patetico; ma non per questo intendeva rinunciare al suo piano B. Constatato che un normale approccio non avrebbe prodotto alcun risultato, non gli restava che  avvicinarla sperando nella sua indole buona e nel suo desiderio di essere d’aiuto.
« Non ci sono altre alternative? » domandò, tentennando.
Lui scosse il capo, ostentando un finto accoramento. « Condivido con te gran parte delle battute, quindi se provassi con te sarebbe tutto più… utile, per la buona riuscita dello spettacolo. »
Su, Bella, pensa alla povera signorina Cronford, non vorrai deluderla, spero?
Un sospiro sommesso e un cenno del capo decretarono la sua vittoria, ma si impedì di esultare, limitandosi ad un lieve sorriso. « Grazie. »
Primo passo compiuto!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Eccovi un nuovo capitolo!! XD Parecchio lunghetto effettivamente ahahahha ma una volta iniziato a sistemarlo non mi andava di tagliarlo! Questo in realtà è l'ultimo di quelli che avevo scritto tempo fa, quindi da ora in poi saranno tutti capitoli nuovi! ahahahha spero di non combinare ulteriori casini ahahahhaah Chissà! Adesso vi lascio alla lettura, un bacione ♥



Capitolo 7


« Che problemi hai con la parte? Hai già memorizzato qualcosa? » mormorò Bella, mentre si spostava per permettergli di sederle accanto.
Edward sorrise, tentando di mascherare il suo divertimento. Gli era bastato leggere il copione per memorizzare tutto ciò che era necessario e anche più di quello; ma nonostante ciò ostentò un’espressione pensierosa, fingendo di rammentare ciò che lo aveva turbato.
« In generale, credo di avere problemi a recitare stando attento ai tempi, anche per questo vorrei provassimo insieme. » tentò, complimentandosi con sé stesso per la perfetta scusa. Con tali premesse Bella non poteva certo esimersi dall’aiutarlo, non sarebbe mai stata causa volontaria di un epilogo disastroso della rappresentazioni.
Lei, come previsto, sospirò remissiva e, pur non apparendo affatto allegra dinanzi alla prospettiva di trascorrere del tempo con lui, accettò. Neanche fosse pronta per il patibolo!
Edward non potè evitare che una piccola ruga increspasse la sua fronte, offeso per il suo atteggiamento. Era raro che qualcuno mostrasse una tale riluttanza nei suoi confronti, lui che era solito attrarre le ragazze con un solo sguardo, talvolta anche senza desiderarlo realmente.
Ma forse parte dell’attrattiva di Isabella risiedeva anche in quello. Era meschino come pensiero, eppure se non fosse stato per la sua mente muta e quel suo carattere inusuale lui era consapevole che non avrebbe mai posato i suoi occhi su di lei.
Era carina, con un viso a cuore e labbra all’apparenza morbide. Ma era assurdamente pallida e di una bellezza che non era assolutamente paragonabile a quella vampira e neanche a quella degli umani più avvenenti.
Graziosa, nulla di più nulla di meno.
« Domani pomeriggio, dopo le lezioni, passa da me. Ripeteremo in giardino se sei d’accordo. » borbottò, arrendendosi all’evidenza che non vi era altro modo. Probabilmente se avesse avuto più tempo per pensarci avrebbe trovato una soluzione alternativa, ma la pressione esercitata dalla presenza di Edward non le dava una simile possibilità.
Lui annuì rinfrancato, senza però riuscire a scacciare del tutto il senso di disagio dato da quella morbosa curiosità che lo stava portando ad infrangere le sue solite cautele. Ciò che riuscì in parte a rincuorarlo fu la consapevolezza che Alice non era parsa in alcun modo preoccupata per quegli approcci, quindi non dovevano esserci particolari pericoli all’orizzonte.
Non che di Alice ci si potesse fidare del tutto...
« A domani allora. » asserì lei, allontanandosi mesta, verso l’insegnante.
La riunione di quel giorno era stata necessaria solo per comunicare le direttive generali, la signorina Cronford aveva parlato singolarmente con ogni studente, annunciandoci ciò che erano obbligati a fare, gli orari delle prove che sarebbero stati distinti in vari gruppi, a seconda dei ruoli interpretati. Era una fautrice dell’economia del tempo, trovava inutile costringere tutti a trascorrere interi pomeriggi in quella sala teatro solo per assistere alle prove altrui. Così aveva preventivamente stilato una tabella nella quale indicava i turni di ogni gruppo incrociate con le parti da inscenare. I gruppi non sarebbero stati fissi, ma Edward poté constatare felicemente che la presenza di Isabella, nei suoi giorni, era quasi una costante.
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Tornò a casa leggermente demoralizzato, rimuginando sul suo comportamento e sull’assurdità della sua fissazione. Era tale l’ossessione per quella ragazza che non poteva non sorprendersi. Aveva sempre provato una certa riluttanza verso gli umani, eccessivamente monotoni e prevedibili, ancor di più per le ragazze, vampire o meno che fossero. I rapporti si limitavano all’ambito familiare, i suoi parenti erano gli unici con i quali era riuscito ad instaurare un rapporto, e perché ciò accedesse erano stati necessari anni ed anni, trascorsi a stretto contatto.
Li adorava indiscutibilmente. Ognuno di loro aveva le sue peculiarità, chi la capacità di amare incondizionatamente, chi la perseveranza, chi la gioia e l’entusiasmo…
Ed era proprio tutto ciò a rendere ancora più assurdo il suo interesse per Isabella. Quelle poche caratteristiche che potevano destare la sua attenzione erano discutibili e, sebbene lui trovasse difficoltà anche ad ammetterlo a se stesso, non erano le uniche motivazioni a spingerlo ad avvicinarla.
In lei c’era qualcosa… qualcosa che lo attraeva, inesorabilmente.
Sbuffò contrariato, richiudendo bruscamente lo sportello del suo pianoforte.
Altra bizzarra anomalia… la sua ispirazione era tornata, più potente e avvolgente che mai. Componeva in ogni attimo in cui non era occupato a rimuginare o a sorvegliare quella strana ragazza. La prima melodia, nata in quel periodo, era stata creata rammentando quel volto assopito, i cui tratti distesi dal sonno, apparivano dolci e stranamente rilassati. Alla luce della luna il suo viso, con il suo chiarore, aveva assunto una aria quasi eterea.
Fragile, delicata… qualcosa da custodire e da proteggere.
Una rosa da preservare dalle intemperie della vita.
e lui sentì montare dentro di sé il desiderio di adempiere a quel compito, pur non comprendendone il motivo.
Devo essere impazzito.
Sospirò, prendendosi la testa tra le mani, turbato dalle sue stesse fantasie. Lei era umana e lui un vampiro e non si era mai visto uno della sua specie prendere tanto a cuore una creatura come Isabella.
Mai… era impensabile che un mostro bramasse qualcosa di tanto inconsueto.
Qualcosa di tanto... puro.
Un vortice di pensieri, la cui tonalità avrebbe riconosciuto ovunque, piombò in casa, scaraventandosi su di lui senza alcuna delicatezza, facendo quasi rovesciare la sedia su cui era accomodato.
« Per la miseria Alice, sei un terremoto! » esclamò sorridendo, abbandonando per un attimo le sue elucubrazioni, troppo felice da quella sorpresa ma soprattutto lieto di essere nuovamente circondato dalla sua famiglia. Era strano non avere quel piccolo tornado che gironzolava per casa.
Sincerandosi delle sue condizioni e di quelle della famiglia tutta, l’abbracciò stretta, scoccandole un bacio sulla guancia, da lei appositamente esposta. « Eddy, mi sei mancato. »
Lui si abbandonò ad una risata liberatoria, il buonumore di sua sorella riuscì a contagiarlo, permettendogli di scacciare un po’ di quella malinconia che lo tormentava da giorni. « Anche tu, scricciolo. »
« Lo so e ti annuncio che abbiamo una magnifica sorpresa! » esclamò, entusiasta, staccandosi da lui. « Non avverti nulla di diverso? »
Edward inarcò le sopracciglia, guardandosi attorno e annusando l’aria con una certa titubanza. Effettivamente, un nuovo odore impregnava gli abiti di sua sorella, qualcosa di muschiato. Piacevole, ma sconosciuto, anche se solo in parte.
« È per questo che vi siete allontanati? Un vampiro? » domandò esitante, sinceramente curioso.
Lei annuì vigorosamente, sorridendo sorniona. « Non proprio solo per questo, ma James è stata una rivelazione. È adorabile. »
«James… » pronunciò quel nome, tentando di penetrare nella mente di sua sorella, per racimolare le informazioni che desiderava, ma purtroppo ricavandone ben poco.
Ormai aveva appreso come raggirarlo, proiettando i suoi pensieri su argomenti di poca importanza o recitando versi di qualche antico poeta. Deliziosamente esasperante.
Alice sorrise beffarda. « Smettila di sbirciare, lo vedrai a tempo debito. – sentenziò, mentre il trillo della sua risata risuonava per il salone. – Ma parlando di cose importanti, come sta Bella? »
« Non cambiare discorso… - l’ammonì lui, scuotendo il capo a disagio. Isabella in quel momento non era assolutamente un buon argomento. Non solo per l’inquietudine che iniziava a trasmettergli il pensiero di lei, ma anche perché sapeva che sua sorella nascondeva qualcosa. Dietro quel suo improvviso interesse era celata una qualche visione, che lo riguardava sicuramente. In quel momento, però, non aveva assolutamente la forza psicologica per indagare. « Voglio sapere il perché di questo strano odore. »
Lei si limitò a sospirare, increspando le labbra, in una piccola e graziosa smorfia. « Lo abbiamo trovato in Amazzonia, presso una tribù di vampiri, lì nascono di frequente questi esemplari e una vampira del posto, amica di Carlisle, lo ha contattato per alcune ricerche. »
Aggrottò la fronte, palesemente scettico. « Mezzi vampiri? »
« Nati da un umana, donna, e un vampiro. » la sua espressione supponente lo indispettì leggermente, ma la rivelazione era a tal punto sconvolgente che non riuscì a soffermarsi su quel dettaglio.
Strabuzzò gli occhi, apertamente colpito. « Ma è impossibile, noi siamo morti, non possiamo procreare. »
« A quanto pare restano comunque dei residui di mortalità nei nostri corpi, ciò che però impedisce alle femmine, della nostra razza, di essere ingravidate è l’immobilità a cui sono vincolati i loro corpi. » la voce di Jasper, sicura e pacata, irruppe nella conversazione.
« Una cosa insolita. – sentenziò Edward, meditabondo. – I Volturi cosa ne pensano? »
« Stanno facendo ricerche, desiderano assoldarli nella loro Guardia. - ammise, scrollando le spalle. – Ma stanno testando la loro resistenza ed i vantaggi in combattimento. »
« Capisco. »
« Domani sarà Bella a venire da noi e non il contrario. » annunciò d’un tratto Alice, ostentando la sua espressione più impenetrabile, mentre saltellava verso il suo compagno.
Edward corrugò la fronte, incredulo, per quella bizzarra novità. Non che la cosa fosse di per sé rilevante, ma gli appariva insolito che Isabella potesse accettare una simile proposta. « Di che diamine parli? » domandò brusco.
« C’è stato un piccolo incidente a casa sua e non… »
Scattò in piedi preoccupato. « Cosa? Razza di psicopatica! Quando imparerai ad avvisarmi in tempo quando le succede qualcosa. » sibilò, ponendosi ad un palmo da lei, senza preoccuparsi di celare il ringhio che si levava dal suo petto.
Era decisamente furioso. Nella sua mente si proiettarono gli scenari più inquietanti, misti al volto cereo di Isabella, su cui il suo sguardo aveva avuto modo di indugiare quando si era visto costretto ad accompagnarla in infermeria, quella mattina.
« Fratello, calmati. » ordinò Jazz, lasciando che, il suo potere empatico, placasse l’ira di Edward. Lentamente si avvicinò cauto a sua moglie, ostentando un’espressione di puro biasimo. « Alice! »
La piccola vampira sbuffò contrariata, evitando di mostrare il suo sorriso soddisfatto. « Non le succederà nulla. Sta bene… suo padre però dimenticherà di chiudere il freezer e si scongelerà tutto il pesce che hanno stipato lì…Immagina la puzza. »
Una smorfia di disgusto piegò le labbra sottili della sua sorellina ed Edward si rabbonì. « Non farmi più scherzi simili. » la rimproverò, accomodandosi nuovamente sullo sgabello del pianoforte.
Il suo sguardo assorto scivolò sui tasti bianchi e neri, dinanzi a lui. Si era sempre sorpreso come la semplice pressione su di essi potesse produrre melodie, di rara bellezza. Lasciò scorrere le dita, leggere, su di essi, sospirando sommessamente. Anche quella reazione era tutt’altro che normale.
Cosa mi sta accadendo?
« Perché sei così preoccupato per la sicurezza dell’umana? » i pensieri di Jazz rivelavano un genuino stupore, a differenza di quelli della sua consorte, la quale celava il suo compiacimento dietro antiche canzoni popolari.
Mi piacerebbe tanto saperlo.
« Se la vedessi capiresti perché. » ribattè lui, senza alcuna inflessione, ricorrendo ad una mezza verità. Peccato che il potere empatico del fratello potesse andare ben oltre la sua maschera di indifferenza.
« Non credo genererebbe in me alcun tipo di istinto di protezione. – sentenziò serio. – Perché è questo che stai provando ora. Sei preoccupato per lei. »
« Tu segui la nostra dieta da meno tempo di me, il tuo controllo non è altrettanto ferreo. » le sue parole non volevano essere in alcun modo un’offesa, ma una semplice constatazione. Eppure nessuno dei presenti, lui compreso, trovò in quella giustificazione il significato che lui avrebbe voluto attribuirgli.
« Se lo dici tu. »
Edward si voltò verso la sorella, pronto a condurre la conversazione altrove. « Mi chiamerà lei? »
« Domattina ti telefonerà per disdire e tu le proporrai di venire da noi. »
« Non sarà pericoloso? » domandò quasi rassegnato.
Lei scosse il capo, sorridendo sorniona. « Fidati di me. »
Più facile a dirsi che a farsi.
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Bella uscì dall’auto, dopo aver parcheggiato nell’immenso cortile dei Cullen. I suoi progetti per quel pomeriggio erano mutati bruscamente a causa di suo padre.
Benché lui sostenesse il contrario, si era dimenticato di chiudere adeguatamente lo sportello del freezer, causando un vero e proprio disastro. L’ingresso in quella casa era accompagnato dal fetore di pesce, che si era esteso sino alle camere da letto e, nonostante la quantità di candeggina e deodoranti utilizzati, impregnava ormai la tappezzeria e le pareti dell’intera abitazione.
Nauseante.
Rammaricata e dispiaciuta si era vista costretta a contattare Edward, rinviando le loro prove. Si era sentita amareggiata, nonostante il disagio che la sua presenza le creava, quel fascino che esercitava sull’intera scolaresca femminile, su di lei non era totalmente assente. Al contrario… naturalmente quegli istinti erano messi a tacere dal suo buon senso, ma la prospettiva di osservare da vicino quel ragazzo tanto particolare era una piacevole distrazione alle sue giornate.
Per tale motivo quando lui le aveva proposto di provare a casa sua, lei aveva accettato senza remore. Per quanto ne sapeva il dottor Cullen non sarebbe stato ancora presente, e questo limitava le sue preoccupazioni, in merito alla sua malattia. Non osava immaginare il disagio che avrebbe provato incontrandolo dinanzi ai suoi figli. Forse sarebbe stata costretta a dare spiegazioni.
Meglio non pensarci. Si disse, sbuffando contrita.
Oltretutto presto avrebbe dovuto fare i conti con la consapevolezza che l’intera cittadina sarebbe stata a conoscenza del suo segreto. Ne aveva parlato con suo padre… al termine dell’anno scolastico avrebbe abbandonato gli studi e si sarebbe recata da sua zia.
Lui l’avrebbe seguita. Si sarebbero trasferiti insieme perché Charlie si era detto assolutamente contrario all’idea di starle lontano. Sarebbe stato il suo sostegno, ancora una volta.
Avrebbe assistito alla morte di una persona cara, ancora una volta.
Bella avvertì le lacrime pungerle gli occhi, a quei pensieri. Non voleva infliggergli altra sofferenza, ma paradossalmente si sentiva confortata dall’idea di averlo al suo capezzale, di percepire la sua presenza accanto a sé.
Lasciò scorrere le dita sul suo viso, asciugando qualche lacrima dispettosa che le rigava il viso.
Sospirò cercando di recuperare un certo contegno, osservando con circospezione quel luogo meraviglioso, intenzionata a distrarsi. La casa, tinteggiata di un fresco e candito bianco, era imponente e maestosa, sensazione amplificata dalla fitta flora che l’avvolgeva.
Il rumore dello scroscio d’acqua del ruscello le arrivava nitido, così come i profumi della foresta e della vegetazione che circondava la casa. Incantevole.
Aveva spesso sentito parlare della loro dimora, dagli abitanti del paese. Nessuno osava inoltrarsi sino a lì, soprattutto dal trasferimento dei Cullen, ma si diceva che prima del loro arrivo quello non fosse altro che un cadente rudere.
Era stata Esme a ristrutturarlo.
Bella, persa ancora nella sua contemplazione, non notò subito il bambino che la osservava, sul portico. Solo quando quest’ultimo lasciò cadere uno dei suoi giocattoli, lei si voltò di scatto scontrandosi con due penetranti occhi azzurri.
Inclinò il capo, tentando di mettere a fuoco la sua figura, mentre si avvicinava cauta, per non spaventarlo. Non sapeva che i signori Cullen avevano adottato un altro bambino, per giunta tanto piccolo, una simile notizia avrebbe di certo fatto il giro del paese.
Strano…
Era davvero molto carino, con i suoi capelli biondo cenere e la carnagione lattea. Non dimostrava più di cinque anni, il suo viso paffutello ed il sorriso imbarazzato che le rivolse la intenerì. « Ciao piccolo, io sono Bella. » mormorò, accovacciandosi accanto a lui ed osservano il delizioso trenino giocattolo che stringeva spasmodicamente tra le mani.
Sembrava a disagio, probabilmente non era abituato ad interagire con degli sconosciuti, pensò lei. Ma non demorse.
Bella adorava i bambini, vedeva in loro quell’innocenza e quella dolcezza che gli adulti perdevano con gli anni. Una delle cose che più rimpiangeva era che la malattia le stava strappando la possibilità di godere della maternità, una di quelle gioie a cui lei non avrebbe mai potuto aspirare. Non aveva mai avuto modo di pensare spesso a questo, ma quando la sua mente vagava su quei sentieri non poteva fare a meno di percepire una tremenda rabbia, montare dentro di sé.
Troppe poche possibilità… troppo poco tempo.
« Posso sapere il tuo nome? » continuò, non allentando il suo sorriso.
Lo vide deglutire a vuoto, arricciando leggermente il nasino.
« Io sono James. »
La porta si spalancò in quell’istante, rivelando la figura di un Edward trafelato. Bella osservò il suo volto scuro, mentre rivolgeva al piccolo un’occhiata tutt’altro che benevola.
« James, vai dentro. – sentenziò serio. – Alice ha preparato da mangiare, andrete a fare un pic-nick nel bosco. »
Il bambino lo osservò imbarazzato, limitandosi a chinare il capo e ad annuire.
Ma che succede?
Alice sopraggiunse, proprio in quell'istante, con la sua solita andatura aggraziata, ostentando un sorriso divertito, non preoccupandosi minimamente del pericolo sfiorato.
« Tu devi essere Bella. – asserì, tendendole la mano. – Io sono Alice, spero che il nostro cuginetto non ti abbia creato fastidi. »
James alzò appena lo sguardo, attaccandosi alla gonna della piccola vampira, con veemenza, intimorito dalla figura di Edward.
Isabella se ne domandò il motivo, ma non osò chiedere, comprendendo non fossero problemi di sua competenza. In compenso le dispiaceva osservare l’espressione impaurita del piccolo.
« Piacere di conoscerti. – rispose educatamente, volgendosi verso la ragazza, leggermente intimorita da tutta quella bellezza e grazia, qualcosa a cui nessun comune mortale avrebbe mai potuto aspirare. Oltretutto quel suo gioviale carattere le creava sempre un certo disagio, proprio come lo sguardo attento e vigile che schermava dietro i suoi sorrisi allegri. – James è adorabile. » ribattè candidamente.
Il tintinnare della sua risata fece affiorare un tenue sorriso anche sul suo volto. « Bene, noi andiamo a pranzo, ma sono sicura che ci rivedremo più tardi. Ciao. » cinguettò, afferrando la manina paffutella di James e trascinandolo via con sé.
La tensione accumulata nel corpo di Edward parve sciogliersi leggermente e con un tono leggermente più rilassato, la invitò ad entrare in casa.
« Andiamo, possiamo provare nel salone, fuori c’è un po’ di vento. » mormorò, fissandola con una certa apprensione. Forse aveva notato il colorito particolarmente pallido oppure il piccolo livido sullo zigomo, recente dono di una brutta caduta, nella cucina allagata.
Ora che ci penso, il bambino ha arricciato il naso, quando mi sono avvicinata... non è che puzzo ancora di pesce?
Con discrezione accostò il braccio al volto per appurare se l’intero barattolo di bagnoschiuma alla vaniglia era stato in grado di eliminare lo sgradevole tanfo.
Non mi sembra…
Troppo presa dalla sua operazione non notò il sorriso divertito che per qualche istante piegò le labbra del vampiro.
_____________________
Edward la fissò tra il perplesso ed il divertito.
Per un attimo si era seriamente spaventato quando, nella mente del piccolo James, aveva percepito il desiderio per il sangue di Isabella. Il panico aveva attanagliato il suo stomaco alla prospettiva che potesse balzare al collo di lei, ferendo quella fragile creatura. Fortunatamente era giunto in tempo, evitando una catastrofe.
Il mezzo vampiro, abituato al sangue umano, non era affatto allettato dalla nuova dieta che gli era stata imposta, malgrado tutto non si era opposto, forzandosi ad ubbidire agli ordini.
Edward si domandò perché Alice avesse trovato tanto interessante l’arrivo di Bella nella loro casa.
Che avesse in mente qualche astruso piano? Probabilmente.
« Vuoi qualcosa da bere? » domandò, rivolgendosi alla pallida ragazza al suo seguito, indicandole il divano su cui accomodarsi.
Era mortalmente pallida, ancora più del solito. Per non parlare del livido violaceo che macchiava la sua pelle candida… avrebbe tanto desiderato domandarle cosa le era successo, ma probabilmente sarebbe risultato indiscreto.
Non intendeva farla scappare, perdendo quella ghiotta occasione. Aveva finalmente la possibilità di parlarle, senza rischi di intrusioni oppure il nutrito pubblico del corso di teatro.
Lei annui, guardandosi attorno imbarazzata. « Si, grazie.» Non sembrava minimamente a suo agio eppure, mentre era in compagnia di James, aveva notato attraverso i pensieri di quest’ultimo, il sorriso dolce che gli aveva rivolto.
Non sembrava tesa, malgrado ciò che il piccolo avrebbe potuto farle.
Sospettò che il suo istinto di sopravvivenza non fosse dei migliori.
Solerte, si diresse in cucina, alla ricerca di qualcosa di commestibile per lei ed assolutamente disgustoso per lui. Tutto ciò di cui aveva bisogno era stato riposto amorevolmente sul tavolo, accompagnato da un biglietto di sua madre.
Ti ho lasciato in fresco del succo d’arancia, da offrire alla tua amica.
La torta è nel forno, al suono del timer tirala fuori. È al cioccolato, secondo Alice le piacerà.
Con amore, mamma.
Mi raccomando, comportati bene.
Ridacchiò divertito, osservando quelle linee tondeggianti, in grado di trasmettergli come sempre un immenso calore. Ricordava poco della sua vera madre, ma erano ormai anni che considerava Esme una mamma. Con le sue premure e il suo affetto era stata in grado di ricreare quel clima familiare anche tra vampiri centenari.
Una donna meravigliosa.
Scuotendo il capo, tornò nuovamente nel salone.
« Non hai mai partecipato alle rappresentazioni, vero? » mormorò, accomodandosi accanto a lei, dopo aver recuperato il copione ed averle porto un bicchiere ricolmo di liquido arancione.
Lei annuì sorseggiando il suo succo. « La recitazione non è il mio forte, ma quest’anno volevo fare qualcosa di diverso. » si lasciò sfuggire.
I pensieri di Edward corsero immediatamente a quella strana lista che aveva avuto modo di notare a casa sua, tempo addietro. Forse anche quell’esperienza vi era riportata!
«Come mai? »
Gli occhi di lei scivolarono per la stanza, ben attenti a non incrociare quelli del suo interlocutore, per il timore di rivelare qualcosa di troppo. « Ogni tanto è piacevole cambiare, non trovi? » sviò, lasciando che lui traesse da quella sua osservazione le debite conclusioni. Non le interessava ciò che lui pensava di lei, di questo ne era certo, e non intendeva lasciargli in alcun modo scorgere oltre quella corazza che aveva eretto tra sé e il mondo.
« Perché ti comporti così? » domandò, con un tono petulante che sorprese lui stesso. Desiderava ardentemente capire… capirla.
Bella corrugò la fronte, fissandolo perplessa, in attesa di delucidazione.
« In modo così… chiuso. » tentennò, insicuro sulle parole adeguate per esprimere il suo pensiero, senza lasciar trapelare la frustrazione che covava.
« Non mi sembra che tu sia tanto diverso da me. - sentenziò lei, increspando le labbra. – Anzi sono seriamente curiosa di capire il perché del tuo atteggiamento nei miei confronti. »
Vorrei saperlo anche io…
« Sono solo gentile. – rimbeccò. – Cosa che non si può dire di te! »
Bella arrossì vistosamente ed Edward non seppe se per l’imbarazzo o per la rabbia. Probabilmente per entrambe. « Non mi piace quando qualcuno si impiccia degli affari altrui. » obiettò lei.
Un punto per lei… Lui stesso non poteva fare a meno di detestare tutti quegli umani, ossessionanti, che costantemente tentavano di invadere la sua privacy. Ciò nonostante lui non poteva dirsi altrettanto sfacciato, anche se forse si stava rivelando estremamente più subdolo, con i suoi continui sotterfugi. Per non parlare dell’invadenza dimostrata durante i suoi appostamenti notturni, alla sua finestra.
Questo però lei non può saperlo. Ebbe la sensazione che se fosse venuta a conoscenza di simili dettagli non avrebbe esitato a picchiarlo con il copione che stava stritolando tra le mani.
« Sto solo cercando di conoscerti. – si giustificò, candidamente. – Non credo ci sia nulla di male. »
« Io non vengo certo a domandarti il perché del tuo sguardo tormentato. – sbottò lei aspramente. – Gradirei che tu mi restituissi il favore. »
L’espressione sul viso di Edward divenne immediatamente stupefatta e, almeno per qualche secondo, non ebbe la prontezza di ribattere. Se aveva intuito che Bella fosse una buona osservatrice, doveva ammettere che non le aveva dato abbastanza credito. La possibilità di scrutare nella mente altrui gli permetteva di comprendere che mai nessuno era andato oltre quella facciata di perfezione ed algida bellezza, su cui lo sguardo umano generalmente si fermava.
No… Bella era andata ben oltre.
Che il tormento potesse essere palese nei suoi occhi, lo sconvolgeva.
« Io non ho uno sguardo tormentato. » contestò, per nulla convinto, ancora troppo scosso dalla rivelazione.
L’occhiata di sufficienza che lei gli rivolse lo fece desistere da qualsiasi obiezione. Non voleva certo offendere in qualche modo la sua intelligenza. « Come vuoi! » esclamò, alzando gli occhi al cielo.
«Perché lo credi? » le parole gli scivolarono via, senza controllo, dettate dalla morbosa curiosità di penetrare nei recessi della mente della sua interlocutrice.
Aveva bisogno di sapere, di comprendere perché lei apparisse ai suoi occhi tanto imperscrutabile, perchè la sua mente fosse muta, perchè lei fosse in grado di cogliere quella parte di lui che cercava di nascondere.
Lo spasmodico desiderio gli attanagliava lo stomaco.
Aveva vissuto un secolo crogiolandosi nel malessere, in una vita tra menzogne ed incessanti lotte, per reprimere quel mostro che dentro di sé gli rammentava costantemente quanto poco di umano fosse il lui.
Quanto la sua anima fosse ormai perduta.
Talvolta quando lo sconforto pone le sue radici a fondo, dentro di noi, non riusciamo più a cogliere nel mondo alcuna bellezza. Ogni dolce pensiero, ogni sentimento di gioia ha in sé un retrogusto amaro. Quel lascito che il dolore trascina con sé infanga la mente, vincolandola, assoggettandola.
Edward era preda della sua intollerante angoscia, sempre.
Lo sguardo di Bella si fece attento e profondo, così intenso che per un istante fu costretto a distogliere gli occhi dai suoi. Si sentiva nudo, dinanzi a lei, percepiva le sue emozioni completamente alla sua mercé.
Vulnerabile…
« Non lo so e non posso nemmeno permettermi di immaginarlo. – asserì, seria, addolcendo il suo tono. - I drammi umani sono così vari e non tutti vogliono rendere di dominio pubblico i propri problemi. Non mi permetterei mai di indurti a parlarmi di qualcosa che desideri tenere per te. Ciò non toglie che se qualcuno ha bisogno di un consiglio disinteressato, io sono sempre disponibile. »
Sorrise, un sorriso candido e genuino. Nessuna finzione, nessun artificio.
Perchè?
Edward non potè fare a meno di avvertire il senso di colpa invaderlo. Aveva tentato di violare la sua privacy per cogliere i suoi segreti, solo per uno sciocco capriccio, per nulla interessato a quella persona seduta dinanzi a lui. Voleva solo distrarsi…
Sono un mostro.
« Non sei d’accordo con me? » domandò, inclinando il capo, permettendogli di immergersi nel mare liquido e scuro dei suoi occhi.
Espressivi, profondi… sembrano celare molto più dell’animo di una semplice adolescente, tormentata dalle sue piccole tragedie quotidiane. No… c’è molto di più, ne sono certo.
« Sei una persona interessante. » si lasciò sfuggire ed avvertì un’ondata di compiacimento notando il rossore imporporare il suo volto.
Per un momento immaginò il suo viso, non più scarno e pallido. Se lo figurò florido, con le gote arrossate ed un sorriso sereno in volto. I capelli lucenti e morbidi, lasciati ondeggiare al vento, ed una tranquillità mai vista nei suoi occhi.
Non seppe perché ma, un misto di inquietudine ed angoscia, gli straziò il petto. Solo in seguito avrebbe scoperto il motivo di quello che all’epoca sarebbe potuto essere interpretato come un presagio.
Ma in quell’istante, bastò il dolce sorriso imbarazzato di lei a dissipare dubbi e timori, spronandolo invece, per la prima volta, a rimuginare su Bella, oltre che quel semplice capriccio.


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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Lol, quasi non ci credo di essere finalmente riuscita a finirlo. Volevo postarlo ieri, per il mio compleanno (posto sempre un capitolo al mio compleanno XD non so perchè), ma non ci sono riuscita... quindi ve lo lacio oggi. Mi scuso per l'attesa ma sono stata mortalmente indaffarata a causa di un'esame che stato il mio incubo per 12 mesi e sono stata così presa che l'ispirazione è andata a farsi un giro alle hawaai, senza biglietto di ritorno. Cercherò in questi giorni di recuperare come posso gli aggiornamenti... *O* questa ff avrà la priorità, perchè ho deciso che avere 9 ff in corso contemporaneamente è una follia e che quindi devo iniziare a concluderne qualcuna O.o mhm... spero di riuscirci presto. Detto questo vi lascio alla lettura, ringraziandovi come sempre delle bellissime recensioni a cui andrò a rispondere ora. Un bacione. Manu ♥

Capitolo 8

 
 
 
I giorni si susseguirono scanditi dalle prove. Edward per la prima volta, nella sua esistenza, provava sensazioni distanti dall’apatia. Trascorreva gran parte del suo tempo in un angolo dell’immenso teatro, provando le scene principali della rappresentazione.
Il testo era stato scritto da uno dei ragazzi e, per quanto lo trovasse scadente in più punti, la situazione non si prospettava totalmente sgradevole come aveva inizialmente ipotizzato.
Al contrario.
La presenza di Isabella era una fonte di distrazione non trascurabile ed il suo strano comportamento, sommato ai suoi pensieri assenti calamitava su di sé l’attenzione del vampiro.
Anche se nella più completa incoscienza.
Non aveva avuto modo di convincere Isabella a prestargli maggiore attenzione, lei stessa era immersa nelle prove. Affabile si dedicava ad illustrare a chi ne avesse bisogno cosa fosse necessario ed al contempo si adoperava nelle prove di canto, quando ormai i turni del gruppo di recitazione erano terminati.
I momenti in sua compagnia erano solo questo: per lo più silenzi e musica, ma ad Edward anche questo piaceva.
Desiderava penetrare nella sua mente per cogliere i suoi più intimi pensieri, per sedare la sua trepidante curiosità, ma una parte di lui era lieta di quell’alone di mistero, perché tutto sommato, la sua compagnia, lo faceva sentire umano.
Soffocando quel suo dono che nell’ultimo secolo era stato suo compagno anche negli istanti in cui avrebbe preferito cavarsi il cervello pur di non percepire i dolori, le angosce e i problemi altrui, lei gli permetteva di restare solo con la sua mente, ma non nel corpo.
La sua presenza, osservare la sua figura intenta a camminare davanti e indietro per il teatro ripetendo le battute  aveva un che di confortante.
Ma, soprattutto, amava quegli istanti in cui non c’erano che loro, perché quando tutti lasciavano il teatro lei accendeva lo stereo e la sua voce si espandeva nel silenzio della sala.
Soli.
In quegli istanti Edward restava lì, ad ascoltarla, quasi senza respirare. Si godeva quelle note fluttuare nell’aria, assaporandole ad occhi chiusi, perdendosi in esse e nella strana tranquillità che quel teatro vuoto e quella voce meravigliosa riuscivano a risvegliare.
Non era stato facile convincerla a cantare dinanzi a lui. Isabella si era detta immediatamente contraria quando, riponendo il copione sulla poltrona, si era seduto in fondo alla sala, pronto ad ascoltarla.
A convincerla era stata solo l’idea che prima o poi quella stessa sala sarebbe stata gremita di persone e che lei non avrebbe potuto rifiutarsi di cantare dinanzi a tutti loro.
Bhe, dopo quelle parole Edward aveva quasi temuto di vederla svenire dinanzi ai suoi piedi, tanto il suo volto era divenuto cereo dal panico, ma alla fine la paura aveva ceduto il passo alla razionalità.
Aveva iniziato a cantare… per lui. O almeno così gli piaceva credere, nonostante quel pensiero fosse folle. La ascoltava crogiolandosi nella inconsueta consapevolezza che in fin dei conti non rifiutava la sua compagnia, come quella degli altri. A nessuno oltre lui era concesso essere lì, a nessuno oltre lui lei permetteva di avvicinarsi a tal punto da scorgere ciò che celava dentro di sé.
Nonostante sembrasse non notarlo, o almeno non darvi peso, i suoi comportamenti di giorno in giorno divenivano meno riservati, le sue parole più spigliate e dirette, il suo sguardo meno sfuggente.
Non rifuggiva dai contatti come un tempo. I sorrisi che gli rivolgeva, un misto di dolcezza e indulgenza, calamitavano il suo sguardo.
Essere entrato nella sua vita, averle permesso di entrare nella sua vita… anche se in punta di piedi ed a passi esitanti, si stava rivelando per entrambi una possibilità:
La possibilità di condividere, anche solo i silenzi.
La possibilità di condividere, anche solo la desolazione di quei luoghi affollati capaci di rammentare ad entrambi la desolazione della loro vita.
La solitudine che come un macigno li braccava, impedendogli il passaggio verso qualcosa che la vita non aveva dato loro l’opportunità di conoscere.
 
Un sibilo acuto riecheggiò improvvisamente, interrompendo bruscamente la musica e le elucubrazioni mentali di Edward.
Dannato mangiacassette. Imprecò tra sé.
Non era la prima volta che avveniva, al contrario quel rottame sembrava essere sul punto di esplodere da un’istante ad un altro, con il suo consueto ronzio.
«Si è bloccato di nuovo.» mormorò Bella, china sul vecchio stereo messo a disposizione della scuola, probabilmente dal giorno della sua apertura. «Non riuscirò mai a cantarla di seguito, di questo passo.»
Un brontolio di irritazione proruppe dalla sua gola mentre si adoperava a strattonare il cavo della corrente, cercando in qualche modo di far ripartire quel rudere ormai spirato a miglior vita.
 
 
Edward si diresse verso di lei, scuotendo il capo divertito da quella scena. Bella non si alterava mai realmente, ma a quanto pareva anche la sua pazienza aveva un limite.  Il suo sguardo si scostò verso il pianoforte posto nell’angolo del palco, con i tasti ingialliti dal tempo ed un aspetto per nulla paragonabile al modernissimo strumento che adornava la sua camera.
Meglio di nulla. Si disse, con una scrollata di spalle.
L’idea di suonare per lei, di accompagnare la sua voce lo intrigava e lo deliziava al contempo. Si era sempre adoperato a comporre musiche e melodie che, negli ultimi tempi e grazie la rinnovata ispirazione, occupavano quasi tutti i suoi momenti liberi, ma mai aveva pensato di accompagnare una voce, di suonare per e con qualcuno.
Eppure in quell’istante desiderava davvero farlo, sperava che lei acconsentisse regalandogli quella possibilità di condividere qualcosa con lei, qualcosa che entrambi amavano: la musica.
Quello che per lui era stato per tanti anni un regno privato, un luogo di solitudine… qualcosa in cui riversava le sue emozioni per poterle esprimere, quando a parole non gli era possibile.
«Pronta?» domandò, accomodandosi.
Bella sollevò lo sguardo, staccando sfinita la spina dell’infernale aggeggio che stava internamente maledicendo. Il sibilo cupo dello stereo non premetteva nulla di buono e i suoi tentativi rischiavano solo di peggiorare la situazione, concludendosi con un giro all’ospedale di Seattle. Come se non vi trascorresse abbastanza tempo.
Portò finalmente la sua attenzione su Edward che le sorrideva da un angolo del palco, accomodato dinanzi al vecchio pianoforte di Willie. Il vecchio prete lo aveva donato alla scuola nelle sue ultime volontà testamentarie.
Era l’unico oggetto realmente di valore che possedeva ed ormai si trovava abbandonato ed inutilizzato da anni, ricoperto di polvere.
Che spreco. Pensò contrariata.
«Che stai facendo?» chiese circospetta, arcuando il delicato sopracciglio, in quell’espressione perplessa che lui le vedeva spesso dipinta in viso. In quegli istanti il bisogno di penetrare nella sua mente, per cogliere i suoi pensieri, lo scuoteva nel profondo. Il desiderio di carpire i suoi segreti, di sapere cosa quella mente muta pensasse di lui.
Cosa vedeva?
Cosa appariva al suo sguardo? Quel ragazzo dall’algida bellezza che non era? Il mostro che si celava dentro di lui? Una creatura incomprensibile, al centro tra due mondi, tra vita e morte?
Un adolescente come tanti altri?
Avrebbe dato qualsiasi cosa per saperlo ed altrettanto per non scoprire che lo considerava alla stregua di tutti coloro che l’avevano derisa negli ultimi anni.
In fin dei conti molti dicono che ciò che desiderano è sempre e solo la verità, nella realtà dei fatti però quando essa non è esprime ciò che vogliamo non siamo poi tanto propensi ad ascoltarla.
Serriamo gli occhi, cuciamo le labbra.
Ignoriamo quasi sperando svanisca, con i suoi lasciti e la delusione che con sé porta.
La verità è un’arma a doppio taglio e talvolta – forse -  sarebbe meglio una bugia.
«Io suono e tu canti, cosa c’è di difficile da capire.» commentò sardonico, tirando un fazzoletto dalla tasca per ripulire il piano dallo strato di polvere raggrumato sui tasti.
«Sai suonare?»
Il tono di voce palesemente scettico lo irritò, come il prendere coscienza di quanto poco lei lo conoscesse, in fin dei conti. Se quella consapevolezza con altri era un sollievo, con lei era una cocente delusione. Edward non ne comprendeva il motivo, né la portata che tutto ciò aveva su di lui, ma era infastidito da quella realtà dei fatti.
Lei era al di fuori della sua famiglia, non sapeva dei suoi secoli di solitudine, e stranamente tutto ciò gli permetteva di sentirsi se stesso, senza il peso di quegli anni a gravargli sulle spalle.
Ciò che era prima che il mostro prendesse il sopravvento su di lui, derubando la vita altrui, compiendo peccati che avrebbe rivisto in eterno scorrere nella sua mente.
Con te mi illudo di essere umano.
«Bella stai perdendo tempo.» l’ammonì contrariato, sistemandosi meglio sullo sgabello logoro.  «Sono già le sette e tra meno di venti minuti il bidello verrà a chiederci di lasciare la struttura scolastica, quindi direi di iniziare, se non ti dispiace.»
Il suo sbuffo contrariato non gli sfuggì e con una certa difficoltà riuscì a reprimere un sorriso, imponendosi di non voltarsi per osservare la sua espressione irritata. Era soddisfacente sapere di essere uno dei pochi a riuscire a strappare dal suo volto la maschera di pacata accettazione che indossava costantemente.
Nulla pareva mai turbarla, nulla ad eccezione di lui.
Con Edward, Bella veniva colta dalla frustrazione, dal sospetto, dall’irritazione per i suoi modi spesso insoliti e, nonostante lei non desiderasse ammetterlo, lui la affascinava.
Si sentiva sciocca a subire lo charme di quel ragazzo idolatrato dall’intera scolaresca femminile, sebbene i motivi che la spingevano verso di lui andavano ben oltre quella mera superficialità sulla quale tutte loro si fermavano.
Lei sapeva che Edward era molto altro. Molto più che un superbo ragazzo di buona famiglia, tanto si celava al di là di quella apatia in cui si rifugiava costantemente. Un cuore ed un animo tormentato da qualcosa che lei non poteva immaginare, nonostante quel desiderio di potergli arrecare in qualche modo sollievo che la sovrastava.
In fin dei conti lui la aiutava.
Pur senza esserne cosciente, la sua presenza, era per lei una forza in quegli ultimi giorni. Malgrado la consapevolezza che il tempo scorreva sin troppo velocemente il poter trascorrere quegli istanti con lui, distraendosi dai suoi stessi pensieri, troppo presa a studiare il criptico comportamento del suo compagno, le permetteva di affrontare il nuovo giorno con un sorriso meno tetro.
Lui era una spinta a godersi quegli ultimi mesi.
Era un cambiamento a cui si aggrappava con tutte le sue forze, stringendo la presa, forse anche rinnegando il suo destino, per non auto annientarsi.
Era un tentativo di rivalsa, su quella vita che non le aveva inflitto che pene, una speranza forse di lasciare un segno dietro di sé e non solo dolore.
Con un sospiro sommesso, scostando nervosamente i capelli dal volto, scacciò con risolutezza quei pensieri.
Negazione. Forse il suo tentativo non era che questo, ma preferiva chiudere gli occhi all’abbattimento e al dolore che l’avevano fino ad allora logorata.
«Vediamo cosa sai fare, maestro.» scherzò, dipingendosi in viso un sorriso incerto.
Edward annuì soddisfatto, chiudendo gli occhi ed ispirando a fondo, visualizzando nella sua mente la melodia di quella canzone che negli ultimi tempi scorreva continuamente nella sua mente. Lasciò che le dita scivolassero sui tasti, riproducendo quei suoni familiare, in attesa che la voce di Bella si unisse ad essi. Venne trasportato in quella melodiosa alternanza di note che vorticavano nel silenzio della sala, fino a quando le labbra di Isabella non si schiusero e tutto ciò gli apparve assolutamente perfetto.
 
_________________________________________
 
Le settimane trascorsero frenetiche, susseguendosi velocemente, lasciando dietro di esse il fermento per le prove e l’organizzazione della recita. Le liti e le discussioni, le contestazioni, gli errori nelle scenografie, ma anche gli scherzi e le risa accompagnarono quelle giornate che alla fine anche per Bella risultarono più piacevoli di quello che avrebbe mai immaginato.
« Finito! »  esultò Isabella sorridendo dolcemente. Avevano appena terminato la scena centrale dell’opera teatrale. Edward aveva avuto non poche difficoltà ad impersonare un uomo innamorato, in fondo lui non poteva dirsi né realmente uomo né innamorato, e tutte quelle parole non gli apparivano che semplici insulsaggini. Nonostante ciò la presenza di Isabella allietava quei momenti. Aveva scoperto molto di lei, in quelle ultime settimane.
A differenza di quello che molti pensavano era una ragazza estremamente interessante. La sua dolcezza ed i suoi modi la rendevano estremamente diversa dalle altre.  Grazie alle domande che le aveva rivolto, aveva scoperto i suoi gusti e i suoi interessi, poco conformi alla sua età e forse più simili ai suoi di quanto lui stesso volesse ammettere.
Amava la lettura, la musica, aveva addirittura scoperto che era impegnata con il volontariato, all’ospedale di Seattle. L’aveva ammesso Carslie dopo che aveva ascoltato Bella parlare di suo padre con un tono dolce e sommesso che gli aveva permesso di intuire si conoscessero.
Quella stessa sera, ritornato a casa, aveva chiesto spiegazioni a lui che lo aveva informato delle ore che Isabella trascorreva in pediatria. Non si era sbilanciato molto nel racconto, limitandosi a poche e coincise frasi, mentre i suoi pensieri erano concentrati su un particolare caso clinico degli ultimi giorni.
Edward si era insospettito inizialmente per quel suo comportamento evasivo, ma aveva poi erroneamente attribuito il tutto alla preoccupazione per un altro paziente.
Solo in seguito avrebbe scoperto la realtà dei fatti. Solo con il senno di poi avrebbe potuto interpretare i silenzi di Carlisle, gli sguardi vacui e tristi di Alice, le emozioni altalenanti di sua sorella che Jasper tentava in qualche modo di controllare.
Solo il tempo gli avrebbe illustrato quanto poco accorto era stato, quanto poco avesse valutato i dettagli così palesi dinanzi ai suoi occhi, sin dai primi istanti.
Solo poi avrebbe avuto modo di pentirsi di aver preferito non vedere.
 
Edward le sorrise debolmente sfogliando il copione per la scena successiva.
Isabella lo osservò corrucciata persa in qualche riflessione che lui avrebbe ardentemente desiderato cogliere, senza però averne la possibilità. Erano tante le cose che sembravano frullare nella sua mente, soprattutto come in quell’istante, quando si chiudeva in un silenzio meditabondo.
« Non ti piaceva molto quella scena, vero? » domandò reclinando leggermente il capo e cercando di cogliere a pieno le espressioni che si dipingevano sul volto del vampiro.
Lui annuì mestamente, increspando leggermente le labbra. « Troppo smielato per i miei gusti! » confessò sinceramente. Per qualche strano motivo quella ragazza era in grado di ispirargli fiducia, forse troppa, così talvolta si lasciava scappare frasi che perdevano la sua solita enigmaticità.
« Non credi nell’amore?! » La sua più che una domanda pareva un’affermazione, ed Edward si stupì di quelle parole così semplici quanto veritiere.
Annuì senza poterlo evitare.
Lui non credeva nell’amore, o più precisamente non credeva che una creatura come lui potesse avere un simile privilegio. Non era che un essere dannato dotato di un cuore di ghiaccio. Aveva compiuto troppi peccati per poter sperare in una simile indulgenza del fato.
Avrebbe vissuto la sua eternità cosciente della cruda realtà, senza illudersi di poter trovare qualcosa di inesistente. A cosa sarebbero valsi i suoi sforzi di attendere l’impossibile? La solitudine sarebbe stato l’unico modo per espiare i suoi mali e le sue pene.
«Tu non puoi capire.» asserì d’un tratto, rompendo il silenzio. Lei non poteva comprendere quel secolo di sofferenza, trascorso a desiderare la morte e la fine, senza mai avere il coraggio di compiere quel passo.
Osservare la propria famiglia cogliere la sua sofferenza e patire con lui la sua angoscia, senza poter far nulla per mutare le cose.
Chiuse gli occhi, ispirando profondamente.
No… lei non poteva capire.
Bella lo scrutò. I tratti del viso tesi fino allo spasimo, i pugni stretti,  e la totale desolazione che traspariva dal suo sguardo vacuo, che pareva guardare ben più lontano di quella squallida sala di teatro, ormai vuota.
Perché?
«Cosa non posso capire, Edward?» domandò gentilmente.
«La vita fa schifo.»
«Ti assicuro che questo posso capirlo benissimo.»
« Non credo.»
Lei sorrise, piegando le labbra in una smorfia enigmatica.  « È piuttosto presuntuoso ipotizzare che qualcuno non possa capire i dolori della vita quanto te. – lo ammonì bonariamente   - La vita è fatta di dolori e sofferenze per tutti, per alcuni forse la loro portata sarà inferiore che per altri. Talvolta alcuni percepiranno un dolore che per noi appare effimero con una intensità che non possiamo comprendere e che forse finiremo per biasimare. Ma nessuno di noi ha il diritto di giudicare le esperienze sofferte degli altri. »
Edward chinò il capo, sospirando sommessamente. «Non era quello che intendevo.» tentò di giustificarsi imbarazzato.
Lei scrollò le spalle con noncuranza. «Non è questo l’importante. Ciò che realmente è fondamentale è cercare di capire che come molti sono in situazioni migliori, altri invece soffrono più di noi… ed è per rispetto verso di loro che la vita và affrontata con un sorriso sulle labbra. È per loro che non và calpestata e che bisogna combattere e godere.»
«Non è sempre così facile.»
«Nessuno dice debba esserlo.»
Si voltò a guardarla,  mentre giocherellava maldestramente con il bordo del maglione sformato che indossava. La scrutò vedendo in lei tutte quelle caratteristiche che a lui mancavano, quella bontà d’animo che agognava ma a cui non poteva aspirare.
Vedendo in lei quella possibilità di redenzione, quell’opportunità di felicità che fino a quell’istante gli era parsa impossibile.
Dimentico di ogni problema, titubanza o considerazione che poi in seguito avrebbero invaso la sua mente, riportandolo bruscamente alla realtà, rammentandogli quella natura dannata che per l’eternità lo avrebbe relegato su quella terra a patire, si chinò su di lei.
Portando la mano sul suo viso, lasciando scorrere le lunghe dita sulle sue guance pallide, e seguendo i lineamenti morbidi ed il contorno delle sue labbra piene, la baciò.
Non fu un bacio irruente o passionale, no. Si accostò a lei con delicatezza come fosse il più fragile e prezioso dei cristalli. Assaporò quel contatto leggero, inebriato dal suo profumo speziato, dal calore delle sue labbra, dalla dolcezza del suo sapore, staccandosi sin troppo presto, quando un fremito parve scuoterla, rendendosi conto di quanto quel leggero sfiorarsi gli forse parso giusto.
Un alito di vita, in quella sua esistenza più prossima alla morte, e non solo nel corpo.
Si allontanò leggermente da lei, riaprendo gli occhi e puntandoli nei suoi, che gli parvero ugualmente scossi, desiderando quasi avvicinarsi nuovamente. Era stato un gesto impulsivo e sconsiderato, un atteggiamento che di norma non era solito tenere, ma non riusciva a pentirsene. Osservava le guance accaldate di Bella, indugiava lo sguardo sulle sue labbra ancora rosse per il bacio e di una sola cosa riusciva ad essere consapevole… voleva riaccadesse. «Io…»
Voleva stringerla tra le sue braccia e godersi nuovamente quell’obnubilamento dei sensi, quell’esplosione di emozioni. La voleva.
Il perché non gli importava. Lui la voleva.
« Bella.»
Quel solo accenno roco parve riscuoterla completamente ed Isabella si ritrovò ad indietreggiare di scatto, quasi spaventata. Edward osservò le mutevoli espressioni attraversare il suo volto, dallo sconcerto, all’inquietudine a quella che tra tutte lo ferì maggiormente: il pentimento. «Questo non è mai successo.» mormorò con voce strozzata, portandosi le dita alle labbra. « Un incidente, solo un incidente.»
No!
«Bella non credo che…»
Quanto velocemente si può cadere dal paradiso al centro esatto dell’inferno?
Troppo velocemente, prima anche solo di riuscire a sbattere le palpebre.
Prima anche solo di riuscire ad assaporarlo…
E di certo, dopo quell’assaggio, l’inferno sembrerà ancor più rovente.
«Devo andare.» sussurrò lei tremante, afferrando la borsa prima di fuggire via, lasciandolo dietro di sé ad osservarla mentre correva via con quell’accenno di paradiso che gli stava strappando.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Buongiorno, mi è morto il pc, mi è morto il cellulare e adesso ho da chiedermi cosa sarà la prossima cosa ahahahah Mi scuso per il ritardo, stamane sono finalmente riuscita ad avere il tempo per completare questo capitolo. La bozza era conservata da un mese nella pen drive (fortunatamente ho sempre tre copie della cartella ff, tra pen drive e hd, e non ho perso quasi nulla con la morte del pc.) ma il tempo per terminarla proprio non c'era. Stamane grazie al giorno di festa dal lavoro mi sono finalmente messa in moto.
C'è da dire che questa ff sarà molto più breve delle mie solite... qui già siamo ad un buon punto, più o meno dopo la metà, quindi suppongo che in tutto non supererà i 16 capitoli. Non ne sono certa, questa è una stima approssimativa. Bhe non aggiungo altro :) e vi lascio alla lettura. Buona giornata ♥ e grazie a chi continua a seguirmi nonostante tutto.



Capitolo 9

 
“In noi, anche in età adulta, c’è sempre un bambino.  Esso alimenta le nostre paure, le nostre speranze ed i nostri sogni. Si ciba della luce delle illusioni e di nasconde dal buio. Ci sprona a raggiungere vette a cui forse non possiamo aspirare, ma che ci permette comunque di giungere più lontano di quanto ci saremmo aspettati. Talvolta ci dona l’incoscienza, dove trovare rifugio, quando la realtà è troppo crudele per essere accettata.
Come la nostra mente che dinanzi ad un orribile spettacolo distorce la visione che abbiamo, troppo raccapricciante per poterla assorbire di colpo, così talvolta noi reagiamo, aggrappandoci a quell’illusione e a quella parvenza di letizia, nella speranza di una pace, sebbene transitoria.
Perché di una cosa si può essere certi… nessuna illusione dura in eterno.”
 
 
Quella sera Bella tornò a casa con un’espressione a tal punto sconvolta da apparire palese anche a Carlisle, che solitamente non era definibile un buon osservatore. Ciò che era accaduto le pareva completamente insensato. Non solo perché aveva ricambiato quel bacio, nonostante fosse consapevole dell’errore che stava commettendo, ma anche e soprattutto perché non si sarebbe mai attesa un simile gesto da Edward.
Certo, stavano istaurando un rapporto e lei era più che lieta di condividere con lui l’esperienza delle prove. La sua presenza le donava il coraggio di cui aveva bisogno ed i sorrisi scaltri che le riservava l’attraevano, ma nulla di tutto ciò spiegava quel bacio.
Che lui potesse provare anche solo attrazione fisica per lei le pareva oltremodo impossibile. Possedeva uno specchio e questo le rimandava l’immagine di un volto stanco e scarno, di labbra pallide e di un corpo dalle curve appena accennate. Nulla di paragonabile alle sue continue conquiste.
Che fossero studentesse modello, allieve della squadra di atletica o dio solo sapeva che altro, condividevano tutte un bell’aspetto ed un comportamento spigliato.
Non era lui a cercare le loro attenzioni, mai. Erano sempre loro a recarsi da Edward in cerca di considerazione.
Eppure con lei stava agendo in modo completamente diverso.
L’aveva cercata, sin dopo il loro primo incontro. Aveva tentato di istaurare un qualche tipo di rapporto con una perseveranza che nessuno aveva mai mostrato. Era difficile non sentirsi scoraggiati dagli atteggiamenti riservati di Bella, e lei ne era consapevole.
Quella era la sua manovra per tenersi ai margini, fuori da quel mondo che comunque l’aveva cacciata già da tempo e che attendeva solo di compiere l’ultimo passo per strapparla alla sua vita. La solitudine non le piaceva, ma per lei era sempre meglio della pietà e soprattutto della consapevolezza che affezionandosi a qualcosa il distacco sarebbe stato ancora più doloroso.
Un tocco leggero alla porta la distrasse dai suoi pensieri e Bella, istintivamente, ritrasse le dita dalle labbra. Inconsapevolmente le aveva lasciate scorrere lì, dove quelle di Edward si erano accostate tanto gentilmente. Il suo sapore ancora indugiava e con essa la sensazione inebriante che aveva scatenato quel contatto.
Inutile negarlo, le era piaciuto.
«Papà, entra!» lo esortò con un sospiro sommesso. Doveva smettere di lasciarsi andare a simili pensieri, si ammonì bruscamente. Qualunque fosse il significato di quel bacio a lei non restava che ignorarlo.
Non è mai accaduto.
Il volto di Charlie apparì oltre lo stipite della porta, con un’espressione volutamente leggera che cozzava con le rughe di tensione agli angoli della bocca. Povero Charlie, non riusciva a permettergli un attimo di pace.
«Tutto bene, piccola?» l’apprensione nel suo tono di voce non la sorprese, affatto.
«Nulla di grave, sono solo un po’ stanca e preoccupata per la recita. – mentì. – Ma una notte di riposo mi risolleverà completamente.»
«Se non te la senti potresti chiedere a qualcuno di sostituirti, nelle tue condizioni…»
Lo interruppe velocemente, scuotendo il capo con veemenza. « Non è necessario, è un’esperienza che voglio compiere…»
Non lo disse, ma quel “prima di morire” restò in sospeso nell’aria, caricandola di tensione. Era la verità, negli ultimi tempi cercava di racimolare ciò che le era possibile, tutto ciò che poteva ancora fare e sopportare, prima che il dolore la costringesse nel letto. Un tentativo di attribuire un senso a quegli ultimi giorni che le erano concessi, un po’ per sé ed un po’ per rassicurare Charlie del suo stato mentale.
Ma anche perché qualcosa le diceva che era giusto così.
«Papà sul serio.» continuò, cercando di tranquillizzarlo con un’espressione risoluta che parve funzionare e che costrinse Charlie ad assentire.
«Forse dovresti cenare. Se sei stanca ti preparo qualcosa.»
Bella sorrise con indulgenza. «Non vorrei dessi fuoco alla casa. – replicò, gettando le gambe fuori dal letto. - tra poco scendo io e preparo qualcosa di buono per entrambi. Quindi tieniti lontano dal fornello e dal numero della pizzeria.»
 
 
_____________
 
Il giorno dopo Bella non si recò a scuola. Le tempie le pulsavano dolorosamente e la nausea che le scuoteva lo stomaco era forte a tal punto da scatenarsi ad ogni respiro. Piegata sulla bacinella deposta accanto al letto era scossa da tremiti violenti che la lasciavano spossata ed esausta, mentre pregava per avere un po’ di sollievo.
Aveva trascorso la notte insonne, percependo un progressivo senso di stordimento sino a quando il suo corpo non aveva iniziato ad accusare il dolore. Avrebbe dovuto immaginarlo, si rimproverò tra gli spasmi, ma era stata a tal punto distratta dai suoi pensieri da non aver attribuito la dovuta importanza a quei primi sintomi.
Oddio.
Gemendo afferrò il cellulare sul comodino, in quel caso sapeva cosa fare. Il dottor Cullen le aveva comunicato il suo numero personale, per poterlo contattare ogniqualvolta si presentava una simile emergenza. Charlie non era in casa, non sarebbe tornato prima di sera, e lei in quel momento non intendeva affatto chiamarlo, scatenando anche il suo allarmismo.
La sua ansia non avrebbe risolto la situazione e lei non poteva, in quelle condizioni, mascherare lo stato in cui verteva.
Spinse con tutta la forza disponibile il numero cinque sulla tastiera del telefono, il testo sul quale aveva memorizzato il numero del medico. Ce la posso fare, ce la posso fare, ce la posso fare. Si ripeté come un mantra, nella sua mente annebbiata dal dolore.
È una questione di volontà, è tutta una questione di volontà.
«Dottore? » rantolò quando la voce dall’altro capo del telefono rispose, dopo appena uno squillo. Per sua fortunata non fu costretta ad attendere
«Isabella.» il tono colmo di apprensione la fece sospirare.
Le parole che seguirono quella breve conversazione furono da lei appena sussurrate, ma fortunatamente la prontezza di Carslie Cullen a cogliere il problema le permise di non sprecare parole non necessarie. I conati di vomito continuarono a scuoterla fino a quando la figura del medico non si affacciò nella sua stanza, chissà quanto tempo dopo. La testa le vorticava a tal punto da renderle difficile ogni reale percezione di ciò che la circondava, all’infuori del dolore.
Non gli chiese come fosse entrato ed in realtà quel pensiero nemmeno la sfiorò. Si lasciò placidamente visitare, con quello sguardo vacuo e appannato, che le impediva di cogliere ciò che realmente stava accadendo, almeno sino a quando non si abbandonò al sonno.
 
 
____________________
 
 
Era stanca, spossata e completamente intontita dai medicinali. Quella mattina Charlie aveva insistito per accompagnarla lui stesso a scuola, quando le sue suppliche per farla restare a casa erano cadute nel vuoto. Forse avrebbe dovuto ascoltarlo.
Il ricordo del giorno precedente aveva i contorni sfocati, così come i suoi pensieri. Rammentava poco o nulla delle ore di fuoco che aveva trascorso attanagliata dal dolore, e probabilmente questo era un bene.
«Ieri non sei venuta a scuola.»
Bella sobbalzò per lo spavento, dinanzi a quello sguardo torvo che la fissava a poca distanza. Edward.
«Mi dispiace di averti sconvolta e mi rammarico della mia impulsività, ma è stato estremamente infantile da parte tua cercare di evitarmi.» continuò imperterrito, passandosi una mano tra i capelli bronzi. Era un evidente gesto misto di stizza ed imbarazzo, che le fece quasi tenerezza. In fin dei conti era un bravo ragazzo, molto più sensibile di quanto la gente si desse pena di credere.
Forse la bellezza che trovavano in lui era anche in quella percezione di irraggiungibilità, quell’alone di etereo ed evanescente che lo avvolgeva.
Sembrava troppo bello e perfetto per essere vero, capace di svanire al primo tocco. Impalpabile. Probabilmente lui stesso alimentava quell’idea che, contrariamente alla sua natura, gli permetteva di mantenere delle distanze.
Ma Bella in Edward vedeva più calore di quanto lui non facesse o desiderasse ammettere, forse perché andava oltre l’apparenza o forse perché lui le aveva permesso di conoscerlo molto più di quanto egli stesso si rendesse conto. Le aveva dato accesso ai suoi pensieri, con quelle frasi sfuggite alla consapevolezza grazie a quella calda intimità nata tra loro, che lui stesso aveva alimentato.
Entrambi traevano dalla compagnia reciproca un’insolita sensazione di pace, o almeno era così prima che quel bacio scuotesse quel loro equilibrio.
Per quanto non volessero pensare a ciò che era accaduto, chi per un motivo e chi per un altro, la tensione aleggiava tra loro come una corrente carica di parole non dette e desideri non repressi. Lo sguardo di Edward, se pure imbarazzato, cadde spesso sulle labbra di lei, rammentandone il sapore ed il calore. Era stata una sciocchezza e ne era consapevole, ma non per questo il suo desiderio veniva mitigato. Al contrario.
Ad ogni ammonimento che si rivolgeva e ad ogni sguardo la consapevolezza di ciò che non avrebbe potuto più avere lo avvolgeva in una morsa, spronandolo a prendersi ciò che la sua natura di vampiro in accordo con quella umana, reclamava.
Bella era sua, quelle labbra erano sue, quello sguardo dolce ed intrigante erano suoi.
Aveva appurato come quel contatto fosse riuscito a sciogliere in parte quel velo di ghiaccio attorno alla sua mente ed al suo cuore e come, assurdamente, gli avesse concesso di provare qualcosa.
Uno sfavillio di sensazioni nuove e calde, che ancora bruciavano quando la mente correva a quel pensiero.
Come per Bella, del resto.
La ragazza continuò ad osservarlo con un interesse quasi ossessivo, studiando la miriade di emozioni che passavano sul suo volto ed il suo sguardo sfuggente.  Era difficile, come invece stava avvenendo in quel momento, veder svanire sul suo volto quell’espressione di algida bellezza, di imperturbabilità e, si, anche glaciale indifferenza che tendeva ad ostentare.
Per lui il controllo era tutto.
La sua maschera era tutto… e, nonostante Bella non sapesse cosa volesse celare, aveva ormai compreso che si nascondeva dietro di essa.
C’era qualcosa di stranamente fragile in lui, un qualcosa che non voleva mostrare e che lei avrebbe voluto sapere.
Smettila con questi sciocchi pensieri. Dimentica.
Un sospiro sommesso le sfuggì dalle labbra. Il dosaggio delle medicine era notevolmente aumentato ed almeno per i primi giorni, la sensazione di stordimento sarebbe stata quasi assoluta.  «Non mi sentivo bene.» replicò placidamente, senza neppure sforzarsi di mentire. Sarebbe servito a poco e quella mattina non riusciva a pensare abbastanza lucidamente per giustificarsi senza concedergli almeno uno spicchio di verità.
Fu allora che Edward la osservò finalmente, non con quello sguardo sfocato dall’irritazione, notando quanto lei fosse pallida, molto più del solito. I suoi occhi velati sembravano quasi distaccati.
Oddio!
«Cosa ti è successo?» domandò. Pervaso da un senso di terrore si avvicinò di scatto afferrandola per le braccia, quasi temendo di vederla cedere da un istante all’altro. «In questo stato non avresti dovuto nemmeno uscire di casa.»
«Sto bene. – mentì automaticamente, per quel riflesso condizionato che si era risvegliato negli ultimi anni. – E poi se fossi mancata per ben due giorni avresti scardinato la porta di casa mia, per riportarmi a scuola. » ironizzò cercando inutilmente di smorzare la tensione. Peccato che l’ansia di Edward fosse palpabile e che probabilmente avesse ragione, quel giorno avrebbe dovuto trascorrerlo a casa. La professoressa Cronfort avrebbe capito ed un giorno in meno di scuola non avrebbe mutato nulla, se non fosse stato per il bisogno di rivedere lui.
Ci aveva rimuginato tutta la notte, distesa in quel letto dove aveva trascorso l’intera giornata. Aveva riflettuto sulle implicazioni di quel bacio mentre il suo sguardo dolente scivolava verso la busta contenente i risultati delle analisi. Inequivocabili.
Il progredire della malattia si era notevolmente accelerato, come dimostrava la soglia del dolore e la necessità di assumere una quantità di antidolorifici nettamente superiore al solito. Solo questo avrebbe dovuto allarmarla, se ne avesse avuto la forza, ma quei risultati erano la prova concreta del fatto che non potesse attendere oltre.
La recita era prevista per la settimana seguente ed il giorno dopo lei sarebbe partita per casa di sua zia. Charlie l’avrebbe seguita qualche tempo dopo, per la necessità di sistemare gli ultimi dettagli alla stazione di polizia.
Stava per abbandonare tutto, compreso Edward, e per qualche strano istinto che rasentava il masochismo, desiderava trascorrere con lui il più tempo possibile, prima della partenza.
Sciocca, così la separazione sarà ancora più dolorosa.
Cosa credi di fare? Te ne andrai lasciando dietro di te solo un caos da cui finirai per scappare.
«Ormai sono qui e rischiamo di fare tardi in aula.»
«Ti riaccompagno a casa!» esclamò Edward risoluto, interrompendola con veemenza. «Non so che razza di influenza tu abbia, ma è chiaro che hai bisogno di riposo e soprattutto di un medico. Chiamerò mio padre perché ti venga a visitare.»
Un lampo di paura attraversò i suoi occhi all’istante, mentre le implicazioni di quella telefonata si rivelavano come un pugno allo stomaco, provocandole un ulteriore attacco di nausea. Avrebbe scoperto tutto.
«Bella.»
«Devo solo andare a casa. – rantolò. – il mio medico mi ha visitato ieri e mi ha prescritto dei medicinali, non c’è bisogno di ulteriori medici.»
Lui annuì grave, sfilandosi la giacca pesante per poggiarla sulle sue spalle. Nonostante non fosse una giornata particolarmente fredda Isabella sembrava necessitare di qualsiasi fonte di calore disponibile. I brividi che le scuotevano il corpo non premettevano nulla di buono e non voleva vederla peggiorare ulteriormente. Il senso di protezione che aveva risvegliato in lui fu capace di stordirlo per la sua insolita intensità. Non era solito preoccuparsi per qualcuno all’infuori della sua famiglia, ma Bella… lei era umana, così fragile e delicata, capace di infrangersi come uno di quei bellissimi cristalli che Esme si ostinava a collezionare, nonostante Emmett ne avesse distrutti gran parte.
Bhe, Bella ai suoi occhi era altrettanto fragile.
Altrettanto pura… e altrettanto bella.
Una bellezza per nulla convenzionale, particolare del suo genere, affascinante come i sorrisi enigmatici che gli rivolgeva. Lei era questo: una mescolanza di mistero e di intrigante purezza.
«Non c’è bisogno.» protestò debolmente, pronta a rendergli la pesante giacca, quando il suo sguardo risoluto la fece desistere.
«Smettila, io non ne ho bisogno, tu si.»
Con un sospiro sommesso annuì, lasciandosi scortare sino a casa, dopo aver strappato il permesso alla signora Coope, della segreteria.
 
 
Salirono in auto, in assoluto silenzio. Edward guidò piano, gettandole di tanto in tanto occhiate furtive e preoccupate. Non era sciocco, se prima la convinzione che avesse qualche problema si era accidentalmente affacciata nella sua mente, in quell’istante ne fu certo. Si domandò se Alice fosse a conoscenza del suo stato di salute e se non fosse relativo a questo il suo riserbo.
Ma per quale motivo nascondergli una simile informazione?
Sarebbe stato sciocco, considerando che Carlisle era uno dei migliori medici dello stato e che avrebbe potuto aiutare Bella a rimettersi in sesto.
Impossibile.
Con un sospiro scacciò quei pensieri, dandosi del paranoico, mentre accostava l’auto sul vialetto di casa sua. All’interno della piccola struttura non vi era alcuna persona e nessun pensiero che potesse rivelargliela.
«Tuo padre a che ora tornerà?» domandò d’impulso.
Bella sbatté le palpebre sorpresa da quella domanda, notando però che l’assenza delle auto sul vialetto poteva avergli suggerito l’assenza di Charlie. «Stasera suppongo. »  
Lo vide annuire prima che si apprestasse ad uscire dall’auto diretto verso la sua portiera, porgendole una mano per aiutarla a scendere.
«Edward sto bene, sono ancora in grado di camminare fino a casa mia. – lo schernì con un sorriso, deliziata però dalle sue premure. – Ti ringrazio per avermi accompagnata.»
«Resterò con te fino all’arrivo di tuo padre.»
«Non è necessario.» ribattè velocemente, non voleva lui assistesse ad una delle sue possibili crisi, né che fosse presente all’arrivo di Charlie potendo notare la sua espressione distrutta.
«Non era una domanda, era una semplice constatazione.»
Inclinò il capo, sorpresa da quel suo atteggiamento inconsueto. «Piuttosto insolente da parte tua presumere che io accetti.»
«Se c’è in gioco la tua salute puoi darmi dell’insolente, dell’invadente e tutto ciò che desideri, non ho intenzione di lasciarti da sola fino all’arrivo dello sceriffo.» sentenziò senza il minimo accenno di incertezza, mentre richiudeva la portiera della sua volvo.
L’allarme fu inserito ed il suo consueto bip riempì il silenzio, mentre i passi sicuri di Edward si dirigevano verso il portico di casa Swan.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
Bella seguì Edward fino al portico, cercando di ignorare la sensazione di disagio che l’avvolgeva. Temeva un altro attacco come quello del giorno precedente, temeva di aver lasciato in giro il risultato dei nuovi esami, per qualche oscuro motivo non riusciva in alcun modo a rammentare dove potessero essere. Tutto le appariva come un potenziale pericolo per il suo segreto, accelerando il suo battito ed aumentando inevitabilmente il senso di nausea che le attanagliava lo stomaco.
Un circolo vizioso, smettila di pensare. Andrà tutto bene. Tentava invano di rincuorarsi, ma inutilmente. Pensava a suo padre, al suo ritorno a casa, ad una possibile telefonata di sua zia che predisponeva ogni cosa per il suo arrivo. Dal giorno precedente chiamava ogni ora, per assicurarsi del suo stato, utilizzando come scusa il voler conoscere il suo colore preferito per le lenzuola o per le tende della camera degli ospiti.
Come se tutto ciò per lei avrebbe avuto importanza, una volta bloccata in quel letto, incapace di comprendere realmente ciò che l’avrebbe circondata.
Superfluo.
Ma come suo padre anche la zia tentava in qualche modo di far apparire il tutto meno drammatico, meno disperato. Forse è nella natura umana negare sino all’ultimo istante, sino all’ultimo respiro. Dinanzi alla tragedia la mente prova ad elaborare possibilità inverosimili a cui aggrapparsi, nonostante la consapevolezza della loro vacuità.
«Tutto bene?» domandò Edward, con le mani nelle tasche, e il volto voltato verso di lei. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di penetrare nella sua mente, cogliere anche un unico sprazzo di pensiero, per comprendere, per scoprire cosa finalmente lei tentava di celargli con tanta ostinazione. Per la prima volta nella sua esistenza si trovava dinanzi ad ad un enigma e per la prima volta desiderava ardentemente giungere alla sua soluzione. Aveva sempre considerato gli umani troppo semplici, in particolar modo gli adolescenti. Creature spinte esclusivamente dai loro ormoni, i cui comportamenti seguivano specifiche logiche.
Semplici e a modo loro lineari.
Bella no.
Lei rifiutava ciò che gli altri agognavano.
Lei preferiva la solitudine, alla popolarità.
Perché?  
« Bella?» la esortò nuovamente, dinanzi al suo silenzio.
«Si.» pigolò, torcendosi le dita, assalita dal timore. «Ma credo che dovrei riposare. Ti ringrazio di essere qui, ma non è necessario, sul serio.»
Edward scosse la testa esasperato. Se avesse saputo quanto spesso le aveva fatto visita, durante la notte, probabilmente non sarebbe stata tanto riluttante a farlo entrare. O forse avrebbe urlato al maniaco, scappando da lui a gambe levate.
Possibilità tutt’altro che remota.
«Non è il caso che tu… » le parole furono interrotte dal trillo del cellulare nella sua tasca, che segnalava un messaggio, con una suoneria sconosciuta.
 
“Lasciala in pace, non ha bisogno di compagnia, mentre tu avresti bisogno di nutrirti. Veglierò io su di lei, mi apposterò fuori dalla sua camera, fino all’arrivo di Charlie.
Ps: Non cambiare suoneria, questa è personalizzata per me. E per rispondere alla tua domanda, che non mi hai ancora posto… mi merito una suoneria personalizzata perché sono la tua sorellina preferita.”
 
Non aveva bisogno di controllare il mittente di quel messaggio, per scoprirne l’origine. Alice era l’unica persona in grado di tormentarlo in quel modo con le sue stranezze e avrebbe desiderato mandarla al diavolo, con parole che solitamente non erano parte del suo vocabolario quotidiano, ma il timore di una sua visione lo bloccò come al solito. Effettivamente era affamato e da tempo non si nutriva adeguatamente. Questo avrebbe potuto spingerlo a compiere qualche atto atroce, come assalire Bella.
Sarebbe bastato un minuscolo taglio per risvegliare la belva dentro di lui.
Un unico insignificante incidente a decidere tra la vita e la morte.
«Edward?» il tono preoccupato di Bella lo risvegliò dalle sue elucubrazioni, costringendolo ad alzare lo sguardo su di lei. Le labbra si incresparono in una smorfia, mentre annuiva, cedendo alla richiesta di Alice.
«Ok. Ma, per favore, riposa.» borbottò in tono di ammonimento, prima di allontanarsi e raggiungere la sua auto. Avrebbe voluto salutarla, chinandosi su di lei ed assaporando nuovamente le sue labbra come il giorno precedente. Avrebbe voluto stringerla, abbracciarla, per assicurarsi lei fosse reale e solida.
Avrebbe voluto accarezzare la sua pelle cerea e fredda, riscaldandola nonostante il suo corpo gelido come il marmo.
Ma ovviamente non fece nulla di tutto ciò.
 
 
cit “Il vero amore ti può cambiare la vita: lascia che sia il cuore a condurre i tuoi passi.!”
 
 
Il giorno della recita finalmente giunse. Gli attori erano in fibrillazione nascosti dall’ampio sipario in velluto rosso, correndo tra le quinte per ultimare gli ultimi ritocchi. Chi per il trucco, chi ripeteva le battute incespicando sui medesimi passi. Edward invece, seduto su di una morbida poltroncina e con il capo reclinato, tentava di rilassarsi, ma il motivo della sua ansia era ben diverso da quello dei presenti.
A discapito di ogni sua convinzione la recita aveva portato con sé una consapevolezza che non si sentiva pronto ad accettare. Quei momenti trascorsi in compagnia di Isabella, le loro conversazioni che gli avevano rivelato una mente acuta ed interessante, la dolcezza dei suoi gesti ed il calore che il suo solo sguardo riuscivano a trasmettergli lo avevano destabilizzato. Quella amicizia, per quanto folle potesse apparirgli, gli era divenuta fin troppo cara e purtroppo ancora per poco avrebbe potuto fingere che dietro quel suo interessamento non ci fosse ben altro.
Il suo cruccio però in quel momento riguardava soprattutto il bacio che avrebbero dovuto scambiarsi quasi al termine della rappresentazione. Certo, sarebbe dovuto essere un semplice sfiorare, la professoressa aveva spiegato ad entrambi non fosse necessario provare il bacio, comprendendo la riluttanza di Isabella.
Il colorito del suo volto diveniva, ogni volta che si accennava a quella scena, di un intenso ed acceso rosso ed il suo sguardo diventava quasi sfuggente. Edward avrebbe desiderato poter penetrare la sua mente e comprendere il motivo di una tale esitazione. Ogni ragazza desiderava essere al suo posto, ma lei no. E tutto ciò non faceva che agitare ulteriormente Edward.
Rammentava il bacio che si erano scambiati tempo prima, un bacio che lei aveva ricambiato, ma del quale non avevano mai riparlato. Ogniqualvolta lui aveva tentato di intavolare l’argomento lei lo aveva abilmente deviato, tentando di distrarlo, fino ad indurlo a desistere. Era ovvio non volesse rovinare quell’amicizia con un rifiuto. Non necessitava del suo dono, per comprendere una cosa tanto basilare.
Peccato che, per qualche oscuro motivo, lui non riusciva ad arrendersi a quella constatazione.
Avrebbe voluto corteggiarla, avrebbe voluto tentare di attirare la sua attenzione non più come semplice amico, ma ogni proposito con lei pareva cadere nel vuoto e sua sorella Alice non lo aiutava di certo.
Che fosse una telefonata, un compito improvviso, una comunicazione urgente tramite l’interfono della scuola… lei riusciva ad impedire qualsiasi approccio. Peccato non si desse la pena di illuminarlo sul motivo del suo comportamento.
Ma forse lui era a conoscenza del motivo, tanto scontato.
La sua mortalità. Gli rammentò la sua mente, sottolineando ciò che era ovvio. Naturalmente Alice era consapevole che lui, sebbene probabilmente innamorato, non l’avrebbe mai trasformata in un mostro.
L’avrebbe amata forse per qualche anno, per poi osservarla a distanza, attendendo l’inesorabile fine.
Lei avrebbe sposato qualcuno, avrebbe avuto dei bambini… e lui avrebbe sofferto in un angolo, ai margini della sua vita. Un invisibile presenza pronta a salvaguardare la sua vita, ma incapace di farne parte.
Lei forse lo avrebbe ricordato come un amore liceale, se gli avesse dato la possibilità di divenire più che un semplice amico, o forse semplicemente lo avrebbe dimenticato. Proprio come il nome dell’insegnante di matematica oppure il numero di componenti della banda della scuola.
Dio… Come si era ridotto in quello stato? Dove era il suo atteggiamento distaccato e freddo, che aveva ostentato con ogni donna incespicata sul suo cammino?
Ma la risposta era semplice: Bella era diversa, da tutto ciò che aveva conosciuto nella sua lunga esistenza. Se ne sentiva inevitabilmente attratto e ciò lo aveva condotto spesso, nelle ultime notti, nella stanza di quella ragazza. Vederla dormire era interessante, mugugnava frasi sconnesse. Edward si compiacque di poter udire tanto spesso il suo nome, conscio che il suo volto popolasse i sogni di Bella. E dal sorriso dolce che increspava le sue labbra in quel momento poteva esser quasi certo non si trattasse di incubi.
« Edward, è ora! »  la professoressa reclamò la sua attenzione e lui svogliatamente si alzò, consolandosi del fatto che nelle prime scene lei non sarebbe apparsa e lui avrebbe avuto il tempo necessario per scacciare ogni pensiero molesto che la sua mente partoriva. O almeno era ciò che invano sperava. 
Fece il suo ingresso come da copione, recitando la sua parte con grande maestria. Essendo abituato a fingere in ogni istante della sua esistenza, non trovava alcuna difficoltà nell’immedesimarsi in quel personaggio. Ciò però non gli impedì di cogliere i pensieri derisori di suo fratello Emmett dal pubblico, molti dei quali volti a scatenare la sua ilarità nel mezzo delle scene più drammatiche. Alice invece si deliziava dell’interpretazione del fratello, gongolando felice per averlo incastrato in una delle sue solite trappole. Eppure i pensieri di sua sorella continuavano ad essere piuttosto criptici. Era certo celasse qualcosa dietro le immagini dei nuovi vestiti che avrebbe presto acquistato, ma in quell’istante non se ne curò, troppo preso dai suoi problemi.
Per un momento temette che avesse avuto qualche visione riguardante il bacio che avrebbe scambiato quella sera con Isabella, ma era certo che, se fosse stato così, lo avrebbe di certo avvertito.
Speranza alquanto vana la sua, ma che riuscì a tranquillizzarlo sino al termine delle sue scene, nel primo atto.
« Edward, sei pronto? Tra qualche minuto riapriranno il sipario. » la flebile vocina di Isabella lo distolse dalle sue elucubrazioni.  Si voltò verso di lei soffermando il suo sguardo più del dovuto, ammirando le morbide forme della ragazza avvolte in un grazioso vestito. Non vi erano state prove con gli abiti di scena, nei giorni precedenti e fu una vera sorpresa scoprire quale fosse il suo vestiario.
« Sei bellissima! » esclamò senza poterlo evitare.
Il viso di Isabella si imporporò come era solito, rendendola agli occhi del vampiro ancora più deliziosa. « Grazie. – biascicò intimidita. – Pronto per riprendere? »
Lui asserì con il capo. « Un po’ preoccupato. » ammise.
« Perché? » domandò lei non comprendendo. Edward era realmente bravo e non riusciva a comprendere come potesse provare timore.
« Non credo di essere in grado di interpretare la parte dell’innamorato. – confessò volgendo il suo sguardo sul sipario rosso. – Non credo di essere mai stato innamorato. » Fino ad ora, aggiunse la sua mente, smentendolo. Ma lui non poteva permetterselo, il suo amore sarebbe stato sbagliato e deleterio per l’oggetto delle sue attenzioni e Bella era sin troppo fragile per poter sopportare tutto ciò che avrebbe inesorabilmente trascinato nella sua vita. Non poteva far altro che negare quel sentimento, fingendo non fosse mai esistito, che fosse solo frutto della sua fantasia.
Eppure la scrutò sottecchi, osservando l’espressione sbigottita di Bella che man mano si addolcì rivolgendogli un sorriso bonario.  « Non si può non sapere se si ha amato o meno. – asserì convinta. – o si ama o non si ama. »
« Allora non ho mai amato. » replicò mesto.
La vide scuotere il capo. « Io non credo! – affermò risoluta. – Sospetto più che altro che sia tu a non volerlo credere, e lo dimostra la tua precedente titubanza. »
« Io non posso amare! »
« E perché non potresti? Tutti possono amare Edward.» lo redarguì lei, piegando le labbra in quel sorriso indulgente che gli rivolgeva di tanto in tanto. «Solo che molti preferiscono non farlo, vuoi per paura, vuoi perché sanno che non avranno la possibilità di godersi quei momenti.»
«Io semplicemente non posso.»
Scosse il capo, esalando un respiro sommesso. «Tu sei una persona fortunata Edward, hai la possibilità di godere a pieno ogni giorno della tua vita, senza la aberrante certezza che tutto avrà fine a breve. Pensa a chi non ha la tua stessa fortuna.»
Il vampiro si gelò sul posto, scrutando sbigottito l’espressione assente sul volto di Bella ed assimilando quelle parole senza più riuscire a respirare. Parlava della sua eternità? Come poteva essere a conoscenza della sua natura immortale? Non aveva mai dato segni di aver compreso cosa ci celasse dietro il suo pallore o al di là di quei sorrisi stentati per nascondere i canini.
«Non capisco di cosa parli.» borbottò sulla difensiva.
Isabella parve riscuotersi, sistemandosi un ciuffo di capelli invisibile, in quel gesto nervoso che compiva automaticamente quando si sentiva a disagio. « Dobbiamo andare.» asserì, prima di svanire dietro il tendaggio rosso.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Ed eccomi qui, dopo secoli, con un nuovo capitolo di questa storia... che ormai si avvia alla sua conclusione. Credo che  manchino due o tre capitoli!
Un bacione a tutti coloro che ancora seguono XD Se ci sono! ahahah



Isabella osservò il sipario, con palese riluttanza, ripensando alla conversazione appena conclusa, con Edward. Come simili parole potessero aver abbandonato le sue labbra, proprio non lo comprendeva. Aveva colto, nella sua voce, quell’amarezza che aveva sempre celato, conscia di non poter mutare la realtà. O almeno tentando di mascherarla a tutti coloro che la amavano. Perché recargli ulteriore dolore? Perché costringerli a sopportare la vista della sua angoscia, del suo annichilimento, quando ben presto sarebbero stati sopraffatti dalla sua perdita?
Ma la morte non attende, non ha alcuno scrupolo. Per lei l’età non conta, proprio come la bontà di chi reclama. Le sue vittime sono scelte come in un gioco, con una casualità aberrante, alla quale non ci si può opporre.
-E tu lo sai, ormai ne sei consapevole. Lo hai accettato, da tempo. – Eppure, in quel momento, quelle parole e quelle rassicurazioni scivolavano su di lei, vacue e prive di senso.
Perché, in fin dei conti, si può davvero accettare un destino simile?
Bella, malauguratamente, temeva di no.
Ciò nonostante quello non era certo il momento adatto per perdersi in simili elucubrazioni, non se desiderava la buona riuscita di quella rappresentazione. Sino a quell’istante tutto aveva avuto una perfetta collocazione. Gli attori si erano mossi sul palcoscenico con sorprendente maestria e nessuno aveva notato il cambiamento nelle battute di Billy, che si era abbandonato all’inventiva, in preda al panico. Fortunatamente, seppur tremando, il ragazzo aveva dimostrato una certa abilità ed era stato accolto, dietro le quinte, dal sorriso bonario e divertito della professoressa e da pacche sulle spalle, dai suoi compagni.
Il cameratismo instauratosi tra tutti loro, negli ultimi mesi, era stato poi un motivo di grande orgoglio per tutti.
Ed… Edward. – difficile trattenere il sospiro sommesso che, in quell’istante, abbandonava le sue labbra. Difficile anche scacciare la consapevolezza di quanto aveva errato, in quegli ultimi tempi. Si era ripromessa di non avvicinarsi a nessuno, di non cedere al fascino di quel ragazzo dagli occhi color oro, di non… innamorarsi?
Sobbalzò, dinanzi a quel pensiero, guadagnandosi un’occhiata incuriosita dal soggetto delle sue elucubrazioni, che accanto a lei attendeva di poter scivolare finalmente sul palco. Ma Bella ignorava la muta domanda riflessa nel suo sguardo, volgendo la sua attenzione sulle file di spettatori, concentrandosi su quei volti conosciuti e sul vociare sommesso levatosi nella sala.
Purtroppo l’amore è un lusso… ed un lusso non è per tutti.
 
 
«Al termine della rappresentazione avremo qualcosa di cui discutere.» Le aveva appena pronunciate e subito pentito la osservava. Non voleva imporle la sua presenza, ma tutta la pazienza di cui si era sempre vantato in passato, in quel momento, gli pareva una vera e propria chimera. Edward detestava scorgere Bella sempre pronta ad eludere il suo sguardo, a negargli la vista di quegli occhi espressivi, color cioccolato. Odiava dover pendere dalle sue labbra, tentando di strapparle una qualche parola, per cercare di cogliere l’intensità di quei pensieri, che talvolta sembravano assolverla.
Proprio come in quel momento. Impossibile non notare l’espressione di lei adombrarsi e le sue dita stringere, con veemenza, la meravigliosa veste. – Perché? –
«Ci saranno i festeggiamenti, sarà difficile conversare. – un mesto pigolio, con quella voce flebile come un soffio, mentre fissava dinanzi a sè, mordendosi nervosamente il labbro, ben attenta a non volgere su di lui il suo sguardo. La sua attenzione sembrava rivolta al palco ed alla platea, ma dopo aver trascorso giorni ad osservarla, lui comprendeva che quello era solo un tentativo di evitare quella conversazione. Tentativo palesato dalle sue successive parole. – Dovremo rimandare.»
Un’affermazione al sapore di bugia e lui ne era dolorosamente consapevole.
Nessuna azione e nessun pensiero umano mi ha mai ferito, probabilmente perché nessuno di loro ha mai avuto alcuna attrattiva, per me. Ma non tu.
Non tu, con la tua eterea presenza, quel sorriso privo di malizia e quelle lunghe ciglia che ombreggiano il tuo volto pallido.

Volto che, troppo spesso, porta il segno delle lacrime silenziose, che versi quando nessuno può scorgerti.
Lacrime che scorrono sul tuo viso di notte, mentre il tuo petto è scosso dai singulti.
Lacrime che le mie dita non possono cogliere e le mie parole non possono placare.
Perché? Perché questi silenzi? Perché questo dolore?
La notte precedente, come di consueto, si era recato nella camera di lei, al calar della notte. Aveva osservato la sua espressione addolorata, nel sonno, e non aveva compreso. Eppure, in quell’istante, nel suo petto muto vi era stato un cupo sussulto, un dolore sordo che lo aveva straziato, mozzandogli il respiro. Perché, per la prima volta da quanto ne aveva ricordo, il suo desiderio non era stato che uno: lenire la sua sofferenza. Stringere a sé, quel corpo delicato come il cristallo, proteggendolo dalle intemperie e dal mondo. E chi la proteggerà da te?
Non che sia necessario, considerando la riluttanza con la quale accetta la mia vicinanza.
Se l’orgoglio fosse stato il suo primo pensiero e se fosse stato intenzionato a preservarne ancora un briciolo, avrebbe assicurato a sé stesso che quella ostinazione nei confronti di Isabella era solo il risultato di un passeggero interesse.
Una bugia alla quale avrebbe davvero voluto credere e che sarebbe stata semplice da dispensare, ma altrettanto semplice da scardinare.
Nei secoli trascorsi non aveva mai provato alcun interesse, non reale, per persone al di là della sua famiglia.
Che fossero vampiri, umani o altro, poco importava. Lui non desiderava stringere alcun vero legame.
La consapevolezza di essere un mostro, di non meritare nulla, se non un’esistenza di solitudine, lo aveva segnato tanto da renderlo semplicemente un guscio vuoto.
Rimpiangerai quell’indifferenza, perché la consapevolezza di non poterla avere ti tormenterà, giorno dopo giorno, anche quando lei non sarà più parte di questo mondo. E, se anche lei ti desiderasse, cosa muterebbe? Non puoi averla.
Bhe, questo pensiero non parve comunque in grado di placare quel turbinio di emozioni, che si agitava da tempo, nel suo petto.
«Il problema è… il bacio?»
Chiunque avesse ascoltato quella conversazione avrebbe ricollegato il tutto a ciò che stava per accadere sul palcoscenico. Perché, nonostante avessero notato lo strano attaccamento tra di loro, e la tendenza a lavorare insieme più del dovuto, nessuno aveva attribuito quella anomalia ad una sua infatuazione, da parte sua. Qualche ragazza gelosa, ben lontana della realtà, aveva silenziosamente accusato Bella di volersi conquistare le sue attenzioni. Bhe, se avessero scoperto quanto invece lei tendeva ad allontanarlo, probabilmente si sarebbe goduto delle espressioni esilaranti, su quei volti di stucco.
«Non è per il bacio, solo che… domani mi trasferisco.»
Una manciata di parole, per porre fine a tutto.
 
 
La musica riecheggiava attorno a loro che, come pedine di uno strano gioco, si muovevano sull’ampio palcoscenico. Le luci creavano quel gioco di ombre, capace di donare a quegli istanti la sensazione di irrealtà, nella quale Bella sembrava crogiolarsi. Il silenzio degli spettatori, sembrava catapultare entrambi in una dimensione intima, tutta per loro. Lì non era Isabella a parlare, non la timida ragazzina, che trafelata celava la sua triste situazione.
No, in quell’istante era Lavinia, il suo personaggio, a cantare. Era la sua voce a diffondersi nell’aria, come una dolce carezza. Erano le sue dita a serrarsi, in una ferrea presa, al mantello calato sulle spalle di Edward.
Il suo Edward che, con distaccata indifferenza, la osservava. Il suo sguardo freddo, impenetrabile, come era sempre stato, prima delle loro prove e di quello spettacolo che era giungeva a conclusione. Prima che la loro amicizia sbocciasse, che la sua vita migliorasse, consentendole di conoscere qualcosa al di là del suo cupo destino.
Eppure i suoi occhi dorati, erano ormai privi di quel calore, di cui si accendevano indugiando su di lei.
Gli aveva annunciato il suo trasferimento, bisognosa di disfarsi di quel peso doloroso, che premeva sul suo petto. Un peso che, in quel momento, le pareva esser divenuto ancor più gravoso. Lui non aveva proferito parola, rivolgendole solo un brusco cenno di assenso e poi… esclusivamente silenzio.
Riluttante accettazione?
Rabbia, per quel segreto non condiviso e serbato, nonostante tutto?
Cosa accadrebbe se ammettessi la natura della mia decisione? – Pietà. Un’emozione che lei non potrebbe mai tollerare, non da lui.
Cosa desideravi? Che discutesse di una decisione ormai presa? Tu non puoi mutare il tuo destino e lui di certo non comprenderebbe il motivo della tua scelta. Lui non sa, non può sapere.
Ciò nonostante quella consapevolezza non mitigava la sensazione di vuoto, che dentro di lei si inaspriva, di istante in istante.
Terminato lo spettacolo, tutto finirà.
La nostra amicizia e questo acerbo amore che ho ingiustamente coltivato, incurante delle conseguenze.
E forse per questo che, mentre la musica si affievoliva dolcemente, andando in contro alle sue ultime note, e la consapevolezza della fine pesava su di lei, come un enorme macigno, non vi fu più alcuna riluttanza, per quel bacio, tanto evitato.
Perché in un singolo bacio possono celarsi i più sordidi desideri, quelli tanto difficili da ammettere, alla luce del sole.
In un solo sfiorarsi, di labbra, può nascondersi il bisogno di dimenticare, anche se solo per un unico istante.
E quello fu un bacio colmo di ogni suo rimpianto, di quella possibilità negata, di quella vita presto spezzata.
Un bacio per suggellare quella sua ultima speranza… svanita.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Oggi





Il mondo perde i suoi colori, la sua vitalità e la sua importanza, mentre i giorni trascorrono, con inesorabile lentezza e, al contempo, sin troppo velocemente. E lei si domanda se quella totale apatia non sia solo il risultato del suo bisogno di arrendersi, del suo desiderio di poter chiudere gli occhi e sfuggire, a quella tangibile sofferenza; malgrado la paura che le attanaglia il cuore.
Perché, si può avere fede, essere devoti ad un Dio, eppure ugualmente terrorizzati dall’ignoto. Quell’ignoto che attende tutti ma che, nel suo caso, sembra desideroso di reclamarla a sé, sin troppo presto.
Istintivamente, bisognosa di sottrarsi a quelle vacue elucubrazioni, compagne di solitari giorni, consente al suo sguardo spento di scivolare sul mobilio di quella camera, che non le appartiene. Rammenta a sé stessa gli sforzi di sua zia, per renderle anche quel luogo familiare, ed è a suo beneficio che costantemente sorride, in sua presenza, rifugiandosi in una maschera di innaturale tranquillità, ben poco ingannevole. Una strana routine, assolutamente inutile.
Fingi, sorridi, chiacchiera, per dimostrare a tutti di non nutrire alcun paura, di non avvertire il peso dei giorni, di quel debole corpo, che ormai non risponde più agli stimoli ed ai medicinali.
Le pillole si alternano, così come gli aghi nella sua carne martoriata e l’intontimento che pervade la sua mente. Una sorta di vacuo tepore, che però non sembra in grado di far tacere i suoi pensieri, i ricordi e quelle speranze infrante.
Perché, per quanto si sia certi del proprio destino, le illusioni sono insidiose. Un bene ed al contempo un male. Un sollievo, seppur falso, capace di rinforcare quell’istinto di sopravvivenza che non si arrende, che sprona a lottare, anche se per una causa persa.
Vi è così tanto da perdere.
Così tanto da rimpiangere.
Sebbene lei abbia spesso considerato la sua vita sin troppo ordinaria, priva di reali stimoli, di affetti che esulano da suo padre; ripensando ai suoi ultimi giorni, alla compagnia teatrale ed a quei volti noti di Forx, una parte di Bella si domanda se non sia stata ad un passo da ottenere ciò che aveva sempre desiderato.
Un quesito, quest’ultimo, capace di strapparle quelle lacrime che tanto detesta e che con ferocia scaccia.
Quel pensiero inutile e perverso, insinuatosi dentro di lei, con l’immagine di un volto pallido, divenuto il suo tormento.
Un lieve bussare e la voce stanca di suo padre riecheggiano al di là della porta, strappandola alle sue elucubrazioni, come un’ancora alla quale aggrapparsi, con le poche forze che ancora possiede. Il senso di nausea sembra non volerla abbandonare, proprio come la spossatezza e la difficoltà nel compiere il più naturale dei movimenti. Quanto spesso si è ritrovata madida di sudore e stravolta? Tante, troppe, più di quanto non sia disposta a ricordare. Eppure, con risolutezza, le sue labbra si piegano in un pacato sorriso, mentre invita Charlie ad entrare.
Combatti. Non puoi vivere per lui, ma almeno puoi alleviare le sue sofferenze, impedendogli di scorgere la tua paura, oltre che la tua sofferenza.
«Dovresti essere a pesca.» lo rimprovera bonariamente, osservando con ansia il volto contratto di suo padre, che sembra esaminarla, con un timore reverenziale affatto da lui. Aveva sperato, quel giorno, che accettasse l’invito di un suo amico di infanzia, recandosi al lago. Lo aveva implorato, rammentandogli che lei non si sarebbe certo allontanata e che l’avrebbe ritrovata al suo ritorno.
Perché costringersi in queste quattro mura? Perché assorbire l’infelicità che sembra irradiare quest’angusto spazio, non nutrendosi che di questa?
Lui merita di più, più di osservare un’altra parte della sua famiglia, spirare. – rimugina tra sé, angosciata da quella consapevolezza, chiedendosi come il destino possa accanirsi su di un uomo buono come Charlie. Corretto, sempre pronto e disponibile, efficiente nel suo lavoro e devoto alla sua famiglia.
Cosa ne sarà di lui?
«Bella…»
«Sto bene.» una menzogna, una patetica menzogna, accompagnata da quel tremulo sorriso, che suo padre non sembra più in grado di ricambiare.
Il suo spirito morirà con me, con la sua voglia di vivere, con quella burbera spensieratezza, che lo ha sempre contraddistinto e quelle tenerezza con la quale mi ha cresciuta.
«Ho visto Edward, sai? »
Parole apparentemente casuali, che suo il vecchio sceriffo pronuncia, mentre si lascia ricadere pesantemente, sulla sedia a dondolo.
Parole che lei avrebbe sinceramente preferito non udire.  Bugiarda.  «Ah…»
«Non hai nulla da aggiungere.» replica, abbozzando un sorriso, probabilmente dinanzi al tenue rossore che, Bella è certa ormai, imporpora le sue guance, donandole una parvenza di colorito.
Un pallido accenno delle sue gote color porpora, di un tempo, quando anche un misero sguardo estraneo risvegliava la sua tremenda timidezza. Una timidezza ed un’innocenza ormai perduta, a causa del disincanto che la vita le ha imposto, ma che suo padre rammenta con particolare malinconia.
In fin dei conti Bella è ancora la sua bambina.
Quella bambina che lui non ha il potere di proteggere.
«No… cosa dovrei aggiungere? Forx è un piccolo paese, non è poi insolito tu incroci il suo cammino. Posso solo sperare che le circostanze siano state liete e lui non si trovasse al di là delle tue, tanto amate, sbarre.» lo pungola, forzatamente allegra, mentre la sua mente la implora, così come il suo cuore in tumulto. Non può fare a meno di ripensare al loro ultimo incontro, allo sguardo carico di studiata indifferenza che le aveva rivolto, al suo noncurante congedo ed all’astio che aveva letto, in quegli occhi color oro, ormai divenuti il suo tormento.
Non aveva desiderato, per la loro amicizia, un simile addio.
Eppure come avrebbe potuto essere altrimenti? Non avrebbe neppure accettato la pietà, né i suoi tentativi di supporto o qualche visita stentata, mentre lei è in quello stato di decadimento.
-Non avrebbe potuto essere altrimenti. – si ripete, incapace di credere alle sue stesse parole, ma una parte di lei continua a sperare che quel suo nuovo mantra si trasformi presto in realtà.
Illusa.
«Bella, non sei mai stata brava a mentire. Anche da piccola, quando goffamente distruggevi le ceramiche di tua madre, ed elusiva tentavi di nascondermi il misfatto… - mormora, scrollando il capo con leggero divertimento. – non era molto difficile comprendere fosse accaduto qualcosa. Non era neppure necessario ispezionare la mensola.»
«Avrei dovuto distruggere accidentalmente l’ultima, prima della partenza.» conclude lei, pentendosi immediatamente di quella affermazione e delle sue sottese parole, notando il volto di suo padre incupirsi velocemente.
Non farò più ritorno a casa, non ci sarà nessuno pronto a distruggere quell’ultimo fragile monile. Ci sarà solo silenzio, non più il profumo della cena in tavola o il frigo pieno. Non più il tonfo del suo continuo ruzzolare o le grida per il tubetto del dentifricio, che Charlie consuma sempre solo a metà.
«Bells… - brontola, in tono nuovamente serio, mentre gioca distrattamente con l’orlo della copertina azzurra, dono di quando era poco più che una bambina. – perché non gli hai confessato la verità? Sarebbe stato più giusto, non potrai nasconderlo per sempre e sai bene che, quando farò ritorno a Forx, la notizia giungerà con me. Non lo salverai dalla sofferenza.»
Parole di un padre che non accetterà mai la perdita della sua piccola. Sentimenti non condivisi da un gruppo di quasi sconosciuti, che le hanno sempre prestato ben poca attenzione ed ai quali lei stessa non ha mai dedicato tempo o interesse.
O, almeno, non a tutti. – si corregge, deglutendo a fatica, incapace di reggere lo sguardo di suo padre.
«Nessuno soffrirà, non eravamo particolarmente amici. – ribatte, atona combattendo con quel tumulto di emozioni che l’assale, con particolare veemenza. Perché Charlie alimenta i suoi dubbi? Perché le ricorda ciò che tenta invano di dimenticare. Il volto di Edward, la loro amicizia, quei baci scambiati ed il cameratismo tra loro, ormai solo uno sbiadito ricordo. Le manca, le manca da impazzire, malgrado sia sin troppo difficile ammetterlo, anche a sé stessa.  - Nessuno, in quella scuola, mi era particolarmente caro. Forse verseranno qualche lacrima, si abbandoneranno a supposizioni ed un po’ di pietà. Ma, nel giro di qualche settimana, tutto sarà dimenticato. Io sarò dimenticata.»
Peccato che, la rabbia con la quale viene pronunciata ognuna di quelle affermazioni, riveli sin troppo le sue tribolazioni, il suo turbamento e quel maldestro tentativo di giustificare il suo silenzio e la sua fuga da Forx.
Le dita di Charlie si serrano attorno al bordo della sedia e le sue nocche sbiancano, a causa dell’immane sforzo che compie, combattendo contro il desiderio di scuotere Bella, impedendole di rintanarsi in quei folli pensieri, in quell’assurdo e nefasto sminuirsi.
È sempre stato così difficile comprenderla, accettare quelle sue insicurezze, tanto infondate. Era stata amata da lui, sin dal primo istante, e nessuno le aveva negato il suo affetto, quando era una bambina. La sua dolcezza, la sua timidezza, lo avevano costantemente preoccupato, ma come avviene per ogni genitore, preso dalle cure di quella creaturina, completamente dipendente da lui. Aveva temuto di sbagliare, di non essere abbastanza, di non poterle donare tutto il necessario, per consentirle di crescere al meglio. E, tanto spesso, si era chiesto – prima della sua malattia – se la sua insicurezza non fosse dovuta a qualche mancanza di lui. Al suo non essere stato un adeguato padre.
Pensieri che, dalla diagnosi, son divenuti presto troppo blandi e privi di senso, ma che ora tornano ad assalirlo, conscio di quanto Bella abbia goduto poco della sua breve vita.
Avrebbe dovuto assaporarne ogni istante, accogliere la bellezza di ogni giorni, come lui non le aveva mai educato a fare. Avrebbe dovuto donarle tutte le attenzioni, che non potrà più concedere alla sua bambina.
Avrebbe… - Le lacrime gli solcano il viso e lui ispira a fondo, con lo sguardo velato dal dolore, incapace di intrattenersi oltre in quella camera. Non vuole turbarla, non vuole perdersi in un’inutile discussione, malgrado una parte di lui desideri perdersi in essa, per sottrarsi a quell’angoscia che lo satura, strappandogli il respiro e quel pezzo del suo cuore, che svanirà con lei.
 
 
 
 
Le persone ti sorprenderanno, se concederai loro l’opportunità.
 
 
 
 
 
Le ore scorrono ed il dolore le dilata, sino a rendere ogni singolo istante un tormento. Le lacrime che le solcano il volto, scorrono su di esso, ineluttabili, mentre le sue labbra screpolate e schiuse, si abbandonano a quei gemiti silenziosi, impossibili da soffocare.
Ed è tutto insolitamente buio, dolorosamente cupo ed insopportabilmente desolato.
Lei, rinchiusa in quella stanza, con la sua sofferenza, incapace di sottrarsi ad essa eppure troppo stanca anche solo per invocare compagnia. A cosa servirebbe poi? Il conforto di una mano stretta nella sua forse le darebbe un labile sollievo, che potrebbe appena percepire e, al contempo, tormenterebbe chiunque si troverasse ad affrontare la notte, al suo capezzale.
Eppure il bisogno di un volto amico, di una singola carezza, è tale probabilmente da attanagliare la sua mente, rendendola sensibile alle più assurde illusioni.
Lui non può essere qui.
Lui non è qui. – mormora tra sé, incapace però di impedire alle sue labbra di incurvarsi, in un dolce e tremulo sorriso. «Ed… Edward.» biascica, con voce arrochita e le palpebre che tentano di serrarsi, combattendo con il suo bisogno di bearsi di quella insolita immagine, dinanzi a lei.
«Avresti dovuto dirmelo. Avresti dovuto avere fiducia in me.»
Un unico sussurro, nella notte.
Il tocco di una mano fredda e leggera, che scivola sulla sua fronte, tra le ciocche aggrovigliate dei suoi capelli, madidi di sudore.
Uno sguardo carico di pena ed angoscia, che lei scorge nel delirio di quella semi incoscienza, certa sia solo un sogno.
Probabilmente il suo ultimo sogno.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***





Giorno, dopo giorno.
Ora dopo ora.
Un mesto sorriso incurva le sue labbra, mentre lo sguardo colmo di parole non dette e di malinconia, scivola desolato sul paesaggio che lo circonda. Ironico, aveva quasi iniziato ad amare Forx, con il suo clima perfetto, per un vampiro; con i suoi boschi folti e quella piccola raduna, luogo silenzioso e tranquillo, dove tanto spesso trova ristoro.
Un luogo troppo tranquillo, in quell’istante,
Dio, non avrebbe mai potuto immaginare un simile epilogo.
Innamorarsi di un’umana, avvertirne la mancanza, quasi quanto la perdita di un proprio arto.
Ma un suo arto, se strappato, ricrescerebbe, il suo cuore in pezzi no.
Dovrebbe essere lieto, di questa separazione forzata, della capacità di Isabella di porre fine ad ogni sua vacua speranza. Per qualche tempo Edward aveva quasi dimenticato la sua natura dannata, il suo non poter condurre un’esistenza normale ed umana. Si era crogiolato in vane speranze, in assurde illusioni, rifuggendo dalla realtà, perché incapace di accettare ciò che la razionalità gli sussurrava, strenuamente.
Perchè, al fianco di lei, tutto era parso stranamente… possibile.
È solo una sciocca ed egoista ragazzina, che si è divertita a schernirti. – gli sussurra, quella voce della ragione, tornata ad attaccarlo. O forse è solo il suo orgoglio ferito, a mormorargli quella sorta di inutile consolazione.
Difficile a dirsi, considerando la confusione che permea la sua mente.
Vorrebbe detestarla, odiarla, eppure gli pare impossibile serbare per lei un simile rancore.
Bella non ha mai pronunciato alcuna promessa, né gli ha mai concesso reali speranze.
È stata un’amica, non gli ha concesso il suo cuore e non gli ha mai permesso di scorgere ogni parte di lei.
Per quanto Edward non fosse capace di penetrare la sua mente, cogliendo i suoi più reconditi pensieri, in quegli occhi color cioccolato ha colto misteri insondabili ed una profondità, nella quale avrebbe desiderato potersi immergere.
Volevo conoscerla, bramavo un’opportunità.
Una follia, un’assurdità, perché un vampiro non dovrebbe mai avere simili mire, verso una creatura tanto fragile e delicata.
Lei invecchierà.
Morirà.
Ed in quel lasso di tempo, che la vita le donerà, si creerà una famiglia, un marito e figli che la ameranno, procurandole gioie che un’esistenza immortale le precluderebbe per sempre.
È stato giusto così. – si ripete, come un mantra, tentando di aggrapparsi al senso di quelle parole, che sono come acido, nella sua gola.
Edward.
Un pensiero, un lieve richiamo risuona nella sua mente, strappandolo alle sue elucubrazioni. E non è certamente necessario che lui si volti, per coglierne l’origine. «Alice non ho intenzione di discutere.»
«Per favore.»
«Sono stato uno sciocco e non voglio che comunichi a nessuno, quello che è accaduto.»
Lo sbuffo contrito, che abbandona le sue labbra piene, risuona nel silenzio teso calato sulla radura. «Dimentichi che Jasper percepisce il tuo strazio.»
«Lui non ne farà parola.» Una certezza, di cui non potrebbe mai dubitare. Suo fratello, proprio come lui, ha avuto in dono – con l’immortalità – un potere molesto, che richiede una certa riservatezza, per il bene di chi lo circonda.
Un esempio di cui Alice dovrebbe tener conto.
Piccola impicciona.
«Tutti hanno compreso che qualcosa non quadra. Sei abbattuto, distrutto, un’ombra di ciò che sei sempre stato.»
«Mi riprenderò.» pontifica, maledicendosi per il tremolio della sua voce roca. Un dettaglio che, certamente, ad Alice non sfugge. Ed è per questo che la risposta di lei non dovrebbe in alcun modo sorprenderlo: «Sai anche tu che non è vero.»
Una risata colma di amarezza abbandona le sue labbra, udendo quell’affermazione che ugualmente lo colpisce, come un pugno in pieno stomaco. Poche parole che hanno il sapore di una sentenza, condite dalla consapevolezza della loro veridicità.
Lui ne è conscio, dimenticarla sarà impossibile, non ora che il suo cuore morto ha finalmente ripreso i suoi battiti, non ora che la sua mente e la sua anima si sono abbeverate di quei sentimenti, sino ad allora sconosciuti.
E poco importa, se il destino non gli ha concesso alcuna possibilità, con quell’amore ingiusto.
Lui non ha armi per poter mutare il destino.
Peccato che Alice sembri essere propensa a dispensare consigli, poco ortodossi. «Potresti trasformarla.» suggerisce, con una ferrea determinazione, per la quale quasi la detesta.
Per lei tutto pare essere bianco o nero. Scelte, che conducono irrimediabilmente ad un determinato futuro.
Poco importa il mezzo attraverso cui vi si giunge, per Alice ciò che conta è il risultato finale.
Bhe, Edward vorrebbe avere la medesima capacità, la stessa noncuranza, che lei sfoggia.
Tutto sarebbe più semplice.
Ma nulla è semplice.
Mai.
Così il ringhio cupo che si leva dal suo petto è l’unica risposta che può concedere ad Alice, perché una simile prospettiva, tanto abietta ed egoista, non è assolutamente plausibile. E poco importa se, nei suoi sogni ad occhi aperti, gli è stato sin troppo semplice scorgere il viso di Isabella, assumere le fattezze eteree dell’immortalità. Poco conta aver ardentemente desiderato averla al suo fianco, come compagna in un’eternità altresì cupa e desolata.
Lei non lo ama ed anche se avesse risvegliato in Isabella simili emozioni, non l’avrebbe mai strappata alla sua umanità, non avrebbe mai condannato la sua anima, per puro e semplice egoismo.
«Non sarebbe un atto di egoismo.»
Detesto quando anticipa le mie risposte.
«Per cosa? Sai quale sofferenza si patisce, con la transizione. Conosci i rischi e, ancor peggio, sei cosciente che la priverei della sua famiglia, della sua vita. Anche se mi amasse – cosa impossibile – non acconsentirebbe mai.»
«Ma…»
«Ma cosa, Alice? Perché ti ostini a tormentarmi?» parole pronunciate con violenza e con una rabbia affatto da lui. Probabilmente si pentirà di quel tono brusco, ne è conscio, eppure, in quell’istante, quando si volta finalmente verso di lei, ciò che scorge negli occhi di sua sorella è forse ancor più allarmante.
Perché, oppresso com’era da quei sentimenti non corrisposti e dalla fuga di Bella, aveva impedito ad ogni pensiero altrui di penetrare nella sua mente, bisognoso di crogiolarsi nella sua solitudine.
Forse, perversamente, aveva desiderato quel silenzio che solo la compagnia di Isabella era capace di concedergli.
Una sciocca forma di masochismo, dettata dalla sua incapacità di saperla perduta per sempre.
Perché se la sua mente ne è stata cosciente, sin dall’inizio, così non è per il suo cuore.
«Alice?» gracchia, allarmato, ritrovandosi al suo fianco, prima ancora di averne coscienza. «Cosa mi nascondi?»
«Rose ha salvato Emmett, quando era in punto di morte. Lui non ha perduto nulla, vero?»
«Cos… - inevitabilmente Edward si acciglia, sorpreso da una domanda tanto insolita e fuori tema. In effetti non aveva mai indugiato, particolarmente, su pensieri simili. Era stato conscio dei sentimenti di lei, sin dal primo istante, ed aveva compreso come Rose, avesse scorto in Em il suo compagno. Però… - Il suo è stato un gesto egoista. Emmett non era in condizioni di comprendere e decidere, per la sua vita.»
«Lui non sembra affatto dispiaciuto.»
«La ama e con il suo carattere temo che nulla potrebbe mai causargli tristezza.»
«La tua situazione deprime anche lui.»
«Alice.» un ammonizione, l’ennesima, che pare cadere nel vuoto. Perché nessuno è più ostinato di Alice, nessuno è capace di far valere le sue ragioni quanto lei. Vani sono i suoi tentativi di ragionare, di dimostrarle quanto inaudite siano le sue richieste e di quali implicazioni condurrebbero con loro. Non può trasformarla, non può tramutarla in un mostro, per un suo beneficio. Ha sopportato secoli di solitudine, ignorando l’intorpidimento del suo cuore, ad ogni anno trascorso.
Ed Edward è cosciente che, nonostante tutto, è quello il suo destino.
Lei non è stata altro che una meravigliosa parentesi, di cui serbare il ricordo, quando questo non sarà più solo doloroso.
Un ricordo dolce amaro, quello di un amore perduto.
«Bella sta male.»
Un sobbalzo scuote il suo corpo ed i suoi occhi si sgranano, per lo stupore, che quella semplice affermazione porta con sé.
«Un incident…»
«E’ malata Ed. Lo è sempre stata, sin dal primo istante in cui l’hai incontrata. – Alice esita appena, incapace di incontrare il suo sguardo, mentre serra il labbro tra i denti, in un gesto nel quale palesa la sua costernazione, per quel segreto serbato. - Era in cura da nostro padre e lo è stata, sino a quando le medicine hanno avuto effetto sul suo corpo. È fuggita da Forx, per questo.»
«Quanto è grave.»
«Fratellino, non essere sciocco e non fingere di non comprendere.»
Sta… morendo.
E così tutte le visioni di Alice si affollano nella sua mente. Tutto ciò che le è apparso, negli ultimi mesi.
Il suo incontro con Bella, il loro bacio, il dolore provocato dalle cure, la stanchezza che aveva colto, inesorabilmente, il suo fragilissimo corpo.
I suo tentativi di dissimulare il dolore, la paura, l’angoscia.
La sua decisione.
Il suo desiderio di allontanarsi da Forx, per affrontare il suo destino, presso una parente che avrebbe potuto aiutare Charlie a superare la sua morte.
Un singulto risuona, nel silenzio della radura, scuotendo il petto di Alice, impossibilitata a versare le lacrime di dolore, che hanno straziato il suo corpo, tanto a lungo, mentre sola portava con sé il fardello di quelle visioni.
La piccola vampira aveva intravisto in Bella una sorella. Aveva invano tentato di pilotare gli eventi, per permettere ad entrambi di conoscersi, di scoprirsi, di naufragare in quei dolci sentimenti e quelle emozioni condivise. Aveva atteso, per far si che la pietà non influenzasse l’amore che suo fratello nutre, per quella giovane umana.
Ma il tempo delle attese è finalmente giunto ed ormai nulla è più nelle sue mani.
È Edward a dover scegliere, lui a dover compiere quell’ultimo passo.
«E’ vero, è fuggita da te. Ma non a causa di un presunto disinteresse, semplicemente non voleva essere compatita, costringendo i suoi amici a sopportare il suo calvario.»
«Non ne avevo idea. Non avrei mai immaginato.» eppure, mentre pronuncia quelle parole strozzate, colme di angoscia e sofferenza, una parte di lui si rimprovera per quel mancato acume. Aveva notato in Bella una particolare debolezza, le sue gote pallide, le profonde occhiaie. L’aveva considerata immensamente fragile, come il più bello dei cristalli, capaci di infrangersi, ad un minimo tocco.
Ed era stato accorto per questo, ancor più di quanto avrebbe mai potuto essere, in compagnia di un’umana.
Aveva mitigato la sua passione, i suoi desideri, incapace di trattarla come una delle altre.
Una delle tante.
Perché lei era stata molto di più, sin dall’inizio.
Sin dal momento in cui la sua angelica voce, aveva raggiunto il suo cuore, catturandolo, avviluppandolo nelle spire di quei sentimenti così bruscamente risvegliati.
La mia Bella.
«Nessuno di noi ha mai considerato Rose egoista.» sussurra Alice, sottraendolo alla presa delle sue elucubrazioni, con quella frase ed i suoi significati sottesi.
«Io non…»
«E Bella soffre, per quelle occasioni che il fato non le ha concesso. Un’esistenza, una vita, le gioie di un mondo che non le sarà permesso di scorgere.»
«La sua anima.»
«Edward! – sbotta, stanca di dover combattere contro le assurde credenze di suo fratello, che ha trascorso sin troppo tempo nella convinzione di non essere nulla se non un mostro. Una convinzione errata e folle. Perché se anche il suo cuore non batte, non vi è uomo più onorevole e gentile di lui. Né creatura capace di amare con una così totalizzante passione ed ardore.  - Io sono una vampira, Esme lo è, Emmett e nostro padre. Tutti noi siamo creature senz’anima, a parer tuo, ma tu ci ami e ci consideri ammirevoli, nonostante tutto. Non oseresti mai considerarci dei mostri.» gli rammenta, ostinata, stringendo i pugni ormai pervasa dalla rabbia e dalla frustrazione, temendo ogni minuto che lui trascorre in quella inutile indecisione.
Un’indecisione che potrebbe essere fatale e che rischia di strappargli quella felicità, che Edward esita ad accogliere.
«Non la trasformerò.»
«Perfetto, se è questo che desideri. – lo interrompe bruscamente, conscia sia inutile ostinarsi, in quella discussione senza alcuna via di uscita. Non sta a lei convincerlo, non sta a lei costringerlo. - Ma Bella ha bisogno di te.»
«Non…»
«E’ sola, Ed. Sola in quel letto, con le sue sofferenze. Sola, in questa sua ultima notte.»
Immagine di Bella, invade la sua mente. La sua dolce Bella, distesa in un letto dalle lenzuola pallide, quanto la sua pelle e quelle labbra esangui, dischiuse in un silenzioso rantolo.
Ed in quell’istante non sono le parole di Alice a scuoterlo, quanto quella vista raccapricciante, le dita ossute del Triste Mietitore, tese verso la donna che ama.
Un ultima carezza.
Un ultimo saluto.
La sua mano, stretta attorno a quella di lei, per sostenerla. – si ripete, tentando di convincere sé stesso che la sua corsa verso Bella non ha alcuno scopo, se non quello del conforto.
Ma fortunatamente, tanto spesso, non è la ragione a vincere.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***





Un volto scarno, il respiro affannoso e spezzato, le dita pallide strette al copriletto color porpora, sotto il quale lei pare svanire, minuta in un letto troppo grande.
Un’immagine straziante, che lo perseguiterà sino a quando avrà vita.
Qualcosa alla quale una parte di lui avrebbe preferito sottrarsi, ignorando le sofferenze che Bella gli ha abilmente celato.
«Perché? Perché lo hai fatto?» sussurra, consentendosi di accarezzarle il viso pallido ed accaldato, sorridendo malfermo quando il volto di lei si inclina, quasi a voler assaporare la sua carezza o forse solo il freddo delle sue dita tremanti. Probabilmente non ha idea di quale mostro giaccia lì, accanto a lei. Un mostro egoista pronto a strapparle la sua anima, perché incapace di accettare quella vista surreale. E sua sorella lo aveva certamente immaginato, esortandolo così a raggiungere Bella.
Dio, non è giusto.
Non è affatto giusto.
Il tempo pare procedere a rallentatore, le immagini scorte nelle visioni di Alice vorticano nella sua mente, come un vecchio film drammatico ed ossessionante, alla cui presa non è capace di sottrarsi.
E neppure vuole sfuggire a tutto ciò. Non è forse la giusta punizione? Ha segretamente accusato Bella di egoismo, di averlo bistrattato, giocando con i suoi sentimenti, troppo preso da sé stesso per scorgere ciò che in realtà sarebbe dovuto essere palese. Ha vissuto abbastanza per aver chiaro il mondo, i suoi orrori, la caducità della vita, proprio come ha sperimentato sulla sua stessa pelle. Ed ha trascorso la sua esistenza immortale immerso nei pensieri degli umani… dunque dovrebbe saper comprendere ognuno di loro, con una facilità strabiliante.
Ed invece, questo secolo andato, non lo ha aiutato a maturare come avrebbe dovuto.
Si è trasformato in un gretto superficiale, ancorato alle sue convinzioni. Ha fatto affidamento sul suo potere, rendendolo il suo metro di giudizio, atrofizzando così la sua capacità di comprendere il mondo, al di là di esso.
Quanti errori ci hanno condotti qui? Quanti segreti si sono frapposti tra di noi, perché incapaci di aprirci, di mostrarci vulnerabili, di metterci in gioco. – rimugina, sebbene sia conscio di non aver alcuna certezza sui sentimenti di Bella. Forse lo considera un amico. Quel bacio può aver avuto un significato solo per lui.
No, non Bella. Non mi avrebbe permesso di sfiorarla, se non avesse nutrito anche solo un minimo interesse.
E con il tempo, quel minimo interesse, potrebbe maturare, consentendo a sentimenti più intensi di sbocciare.
Sta morendo ed io chi sono per donarle l’immortalità, trascurando i suoi desideri?
«Mi dispiace. Sono stato uno sciocco, un insensibile. Ti ho imposto la mia presenza, ho preteso la tua amicizia e molto di più, ignorando il buon senso e la logica ma… - espira a fondo, serrando gli occhi con veemenza, mentre le dita sfiorano con reverenza la pallida mano di lei. – Sei stata una boccata d’aria fresca, in un mondo stantio. Per nulla scontata, così buona, così dolce… così diversa da me, priva di ogni artificio. Ignorando il giudizio altrui hai percorso la tua strada, con una forza ed una risolutezza che ammiro.» confessa, in un sussurro dolente, conscio vi sia molto più di questo. Parole impossibili da pronunciare, malgrado l’incoscienza di lei.
Perché le parole hanno un peso ed una volta pronunciate, una volta ammessi ad alta voce quei sentimenti da cui rifugge, non vi sarà più alcuno scampo.
È stato così semplice innamorarsi di lei.
Giorno dopo giorno, istante dopo istante, lentamente le emozioni si sono subdolamente insinuate nel suo petto, malgrado la ragnatela di bugie tra di loro.
La mente silenziosa di Bella lo ha attratto, ma è di quella splendida creatura, dai suoi modi e dal suo sorriso che lui è divenuto dipendente. È stata la sua capacità di vedere in lui più che uno sciocco superficiale, adorato da stuoli di ragazzine ignoranti.
Tutti pronti a nutrirsi della sua fama, della sua visibilità, lo hanno accerchiato, pronti a beneficiarne.
Il suo aspetto fisico, le sue capacità scolastiche, sportive… tutto ciò è sempre dipeso, in gran parte, dalla sua natura di vampiro, dall’essere stato costretto a rivivere gli anni scolastici ancora, ancora ed ancora, sino alla nausea.
Ma quell’immagine fittizia non lo rappresenta.
Quello non è lui, non è l’Edward che la sua famiglia ama e comprende.
Forse perché non si è mai concesso di mostrare ad altri, oltre che loro, la sua vera indole, lo strazio che colma da sempre il suo cuore solitario.
Il senso di colpa per quelle vite strappate, in passato, lo attanaglia, rendendolo inadatto a quella felicità che però ugualmente agogna. Ed è proprio quell’atavico bisogno ad averlo avvicinato a Bella, perché in lei ha scorto tutto ciò che… tutto ciò che…
Basta. – si ammonisce aspramente, posando la fronte sul cuscino, accanto a lei, inspirando il suo profumo, tentando di memorizzarlo, malgrado il buon senso lo esorti ad allontanarsi, prima di cedere.
Perché sarebbe così semplice capitolare.
Chi potrebbe biasimarlo?
Alice non attende altro e la sua famiglia, per lui, non desidera che questo: una compagna, qualcuno con la quale lui possa condividere la sua esistenza, abbandonando la cupezza nel quale si rifugia.
E Bella? È sul punto di perdere tutto, tra le più atroci sofferenze.
Potrebbe scorgerlo come il salvatore, che le ha teso la mano, nel momento del bisogno.
O potrebbe odiarlo, per aver distrutto ogni possibilità per la sua anima.
E lui? Sarebbe davvero in grado di posare su di lei il suo sguardo, ignorando la fitta al cuore data dalla consapevolezza del male che le arrecherebbe?
Si, maledizione, si.
È un bastardo, un bastardo egoista. «Ma ti amo.» mormora mesto, quasi come se quelle due parole potessero spiegare tutto. Ed è forse è vero, perché se non nutrisse per lei quei sentimenti, nulla lo indurrebbe a prendere in considerazione l’idea di trasformarla.
«L’amore rende stupidi, vulnerabili.» Rende schiavi, anche i più forti.
È una porta sulla felicità o sulla dannazione. Quest’ultima, nel suo caso, intesa letteralmente.
Eppure, malgrado tale consapevolezza e nonostante sia conscio che tutto potrebbe condurre al peggiore epilogo, l’idea di abbandonarla al suo destino è inaccettabile.
Forse lo odierà e lui dovrà vivere chinando il capo e sopportando il suo disprezzo.
Probabilmente non accetterà di divenire la sua compagna, né gli concederà la possibilità di risvegliare in lei sentimenti simili ai suoi ma… Io non ho scelta.
 

 

 

Solo chi ama senza speranza conosce il vero amore. 
Pablo Neruda


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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Eccovi il nuovo e penultimo capitolo.
Ho notato che la storia non sta prendendo, quindi è inutile sia portata avanti per troppo. Dunque nel prossimo finalmente la conclusione ;)
Buon inizio settimana a tutti <3



Dolore. Un dolore che la percuote, che l’attanaglia, sino a rendere flebile il suo respiro, mentre il suo cuore corre, verso i suoi ultimi battiti. Una corsa attesa, la cui conclusione è quasi invocata, in quel tunnel oscuro ed apparentemente senza fine. Bella aveva immaginato, quel preciso istante, avviluppata dalla paura e dalla rabbia.
Si era costretta a pensare, a quel momento, conscia di essere ormai in prossimità di quel precipizio, in bilico tra la vita e la morte, condotta lì da quella malattia, che le ha strappato, lentamente, ogni speranza.
Anni ed anni a lottare, per rinviare quell’istante. Anni ed anni a fingere, di poter pensare al futuro, ad una vita normale.
Anni ed anni, in realtà, con il morso della consapevolezza, a tormentarla, come un tarlo di cui era impossibile disfarsi.
E lì, mentre le ultime forze scivolano via, in un magma di bruciante dolore, che sembra scorrere nelle sue vene, lei tenta di accettare il suo destino, con quella pacatezza che agogna. Una pacatezza ed una rassegnazione ben lontana.
Troppe parole mai pronunciate.
Troppe opportunità perse ed ignorate.
Troppe speranze disilluse e confessioni rinviate.
Ma, in fin dei conti, è sempre così, no?
Nessuno è mai pronto, nessuno accetta il fato ed il sopraggiungere della fine, con un sorriso sulle labbra. Nessuno ha colto ogni occasione, affrontando così con stoicismo la morte, senza alcun rimpianto.
Forse i rimpianti sono parte di ogni essere umano, quanto la sua anima ed i suoi ingarbugliati pensieri.
Sono intrinseci ad essa, componenti di un pacchetto completo, condito da paure, timori, gioie ed entusiasmi. – pensa, tentando di respirare, di dischiudere le labbra, per alleviare il bruciore alla gola ormai arida.
-Deve essere la febbre. – Una spiegazione come un’altra, un vano tentativo di razionalizzare, qualcosa che in realtà non ha senso.
Una parte di lei si chiede se suo padre ha rintracciato il dottore, come le aveva annunciato.
Malgrado il cambiamento di stato infatti si era dichiarato disposto a raggiungerli, senza alcuna riluttanza. Un pensiero che l’aveva inevitabilmente terrorizzata, conscia delle sue possibili implicazioni.
Come possano aver taciuto, ad Edward, la sua condizione, è un vero mistero.
E lei, nonostante tutto, ancora spera che quella notizia gli sia celata.
La sola idea di essere oggetto di inutile compassione, forse di rimpianto è…
Quasi assurdo è che lei tenti di rinnegare la sua stessa volontà anche in punto di morte. È una sciocca, una mocciosa incapace di ammettere i suoi sentimenti, solo perché non le sarà data la possibilità di coltivarli. Quante volte ha posato il suo sguardo su Edward, desiderosa di confessargli le emozioni covate nel suo petto? Avrebbe voluto ammettere la verità, renderlo partecipe della sua tragedia, poggiarsi a lui, come non era mai stata disposta a fare con nessuno, per il timore di tramutarsi in un insostenibile fardello.
Ha sorriso, tanto spesso, da rendere la sua mascella dolorante ed i suoi nervi tesi. Sorrisi che hanno increspato le sue labbra tumide, con il solo scopo di rassicurare la sua famiglia, i dottori e le infermiere che, gentilmente, si prendevano cura di lei. Sorrisi atti a celare la sua sofferenza, la sua paura ed il terrore. Ma, soprattutto, il bisogno di una spalla sulla quale piangere.
E, in momenti di follia o, forse, semplicemente di razionalità, lei era stata pronta a piangere sulla spalla di Edward.
-Sarebbe stato egoista, ma avresti voluto. – rimugina tra sé, inconsapevole del nome di lui che le sfugge, in un ansito colmo di dolore.
Il suo corpo arde, il suo cuore corre… sino ad arrestarsi.
E l’ultimo battito, l’ultimo pulsare di quel cuore ingenuo, riecheggia nel silenzio di una stanza, dove alcuni vampiri la osservano, con gli occhi colmi di terrore, a sua insaputa.
Edward è lì, con le mani sul volto, e le lacrime che non gli è concesso versare.
La camera silenziosa, il vociare indistinto nella mente di Alice, la preoccupazione dipinta sul volto di suo padre e la speranza che vela gli occhi di Esme. Un quadro, che nella sua immobilità, sembra intrappolare una miriade di emozioni, mentre tutti gli sguardi son puntati sul minuto corpo di Isabella.
Ha compiuto una follia e per di più un rapimento. – si rammenta, conscio che la sua famiglia avrebbe affrontato il tutto con maggiore logica. Ma lui si è lasciato guidare dall’istinto, dalla paura, dalla consapevolezza che anche un solo minuto avrebbe potuto fare la differenza, tra la vita e la morte.
«Rilassati.» l’ammonizione di Alice, risuona in quel silenzio. Un silenzio in cui non si percepisce più il ronzio di un debole respiro o di un cuore pulsante. Il silenzio della morte.
«Mi dispiace di avervi trascinati qui.» ammette, a malincuore, lieto però di avere la sua famiglia, accanto, in un momento simile. Una parte di lui si pente di averla morsa, senza aver concesso a Bella alcuna possibilità di scelta. Ha reclamato la sua anima, l’ha strappata a suo padre ed al suo mondo, in un gesto dettato prettamente dall’egoismo, da quel bisogno di lei, acuitosi di istante in istante, negli ultimi tempi.
È stata solo la prontezza di Alice ed il suo dono, a salvarli da uno scontro con Charlie.
«A breve si sveglierà. – gli comunica, posando sulla spalla di lui, la sua manina delicata. – Noi ci allontaneremo, per il momento. Non è opportuno si ritrovi circondata, soprattutto considerando la sua ovvia confusione.» conclude Alice, facendo cenno a tutti loro di uscire. Nessuno la contraddice e lui stesso, benché desideroso di un cuscinetto di salvataggio tra lui e Bella, non proferisce parola. È colpa sua e sarà lui a concederle le spiegazioni dovute.
Il tonfo leggero della porta alle sue spalle, con i pensieri che divengono man mano più lontani ed il potere di Jasper su di lui, che si affievolisce, accompagnano i passi della sua famiglia, ormai lontana. Ma i suoi occhi non si scostano, neppure per un istante, dal volto di Bella. Un volto ora non più scarno e debilitato, sebbene il suo pallore non sia mutato.
Le labbra tumide son increspate in una lieve smorfia, celando appena i canini appuntiti, simbolo della sua nuova vita. Non può ancora scorgere i suoi occhi rossi, né quel sorriso forse morto con la sua umanità. Edward era stato in punto di morte, quando sua madre aveva pregato il vampiro di salvarlo.
Non era stato lui a scegliere ed aveva odiato, con ogni parte di sé, la condizione impostagli.
«Vorrei poter dare la colpa a te, per le mie azioni. Vorrei accusarti, perché non mi hai concesso la possibilità di parlarti di tutto questo, concedendoti la scelta che meritavi. Ma sono consapevole che forse non avrei agito diversamente, neppure dinanzi ad un tuo divieto. Ti avrei trasformata ugualmente, perché sono egoista, uno sciocco che vive di illusioni, che si nutre di aspettative mal riposte. – mormora, con voce sommessa, sfregando il pollice sul palmo sottile di Bella, lì dove non percepisce più alcuna pulsazione. – Eppure vorrei ugualmente tu non mi odiassi. Vorrei che vivessi con noi, seguendoci da un paese ad un altro, permettendomi di beneficiare della tua presenza, anche solo come sorella. “Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce”.» recita beffardo, espirando a fondo, con il capo pesante chino su quella mano che stringe, in attesa del risveglio di Bella. Ciò che non pare aver notato sono gli occhi socchiusi di lei, che osservano ogni suo gesto.
«Dove… dove sono?»
Il sobbalzo di lui è seguito da un pesante silenzio, che egli non sa colmare. Non con il timore che lo scuote, né con le parole che non è in grado di pronunciare.
«Edward?» continua lei, nel tentativo di ridestarlo da quello strano tepore o semplicemente indurlo ad alzare lo sguardo, così da incrociare gli occhi rossi della nuova vampira. Lei che, incapace di comprendere cosa accade, rimugina sulle strane parole appena udite.
«Un albergo! Siamo a Phoenix.» le annuncia, biascicando, mentre un tremulo sospiro lo abbandona, alleviando leggermente la tensione. Aveva temuto di non poter più udire la sua voce. Mai più.
«Perché siamo in un albergo?» tenta nuovamente, parlando con la dolcezza di chi si rivolge ad una persona sconvolta. Ed è assurdo, considerando che è lei a ritenersi in punto di morte, lei ad aver appena perduto la sua anima, attraverso il fuoco della transizione. Eppure le è bastato cogliere il turbamento di lui, per non desiderare altro che alleviare la sua pena. In fin dei conti, benché una parte di lei lo ritenga un sonno, la presenza di Edward ha il potere di confortarla.
E forse, se lui potesse leggere la sua mente, il suo terrore si affievolirebbe consentendogli di pronunciare quelle parole trattenute e quella confessione, che penzola sul suo capo, come una spada da Damocle.
«Forse dovremmo nutrirti… - svia, il discorso, ben consapevole dell’assurdità delle sue stesse affermazioni. Come potrebbe indurla a nutrirsi senza averle comunicato la sua nuova natura ed il perché dei canini appuntiti, al di là di quelle labbra morbide? – Avresti dovuto dirmi della tua malattia.»
L’irrigidirsi del corpo di lei è una risposta più che eloquente, ma Edward non commenta.
«Non sarebbe stato giusto costringerti a sopportare un simile fardello. E poi nessuno ne era a conoscenza.»
«Io non sono nessuno.»
Stronzate e lui ne è conscio. Tra di loro non vi è stato nulla, se non un bacio rubato e qualche chiacchiera, che lui ha mal interpretato.
«Lo so, ma avevo paura.» un’ammissione semplice, candida, come lei. Un’ammissione che finalmente ha il potere di indurlo ad alzare lo sguardo, per incontrare quegli occhi colmi di un dolore che lo strazia.
Un dolore coltivato in anni di sofferenza taciuta. «Avrei voluto essere accanto a te, per rendere tutto meno spaventoso.»
«Ed io avrei voluto avere il tuo appoggio. Ma le buone intenzioni non bastano, le speranze non salvano vite, la possibilità di sfogarsi renderà migliore qualche istante, solo perché saranno due le persone costrette a sopportare la realtà ed il suo peso. – lo redarguisce dolcemente. - Non sarebbe giusto e non ne sarebbe valsa la pena. Il mio tempo è poco ed una volta che mi sarò spenta quel peso sarà nuovamente sulle spalle di uno.»
«Il tuo tempo è molto.» la corregge mesto, rammentando a sé stesso i benefici di quella nuova vita, quello che le ha offerto e non solo ciò a cui l’ha strappata.
«Edward, i medici…»
«Avverti un qualche dolore? Debolezza? Fiacchezza?» la interrompe con veemenza, posando i suoi occhi color oro sul quel viso, improvvisamente corrucciato, ma di una bellezza devastante. Se un tempo l’aveva considerata meravigliosa ora, sbocciata alla nuova vita e scacciata la debilitante malattia ed i suoi segni, appare eterea e meravigliosa, tanto da mozzare il respiro. E lui la osserva, abbeverandosi di quella visione. La scruta, mentre con le labbra increspate in una smorfia meditabonda e quel nasino arricciato, sembra vagliare lo stato del suo corpo, quasi a voler ricercare quegli antichi dolori, di cui ora non vi è traccia.
«Solo la gola… che sembra ardere.» replica, titubante, con quelle labbra conturbanti dischiuse per lo stupore. «Quale medicinale…»
«Chiudi gli occhi, porgimi le tue dita e… non temermi.» una supplica la sua, una preghiera veemente, colma di preoccupazione. Poche parole, intrise della sua disperazione. Una paura che Bella non comprende, ma che non la induce ugualmente ad esitare. Le dita leggere si posano sulle labbra di lui, provocandole uno strano brivido, che le percorre la schiena. Inconsueto ma le pare quasi che i suoi sensi, sovra stimolati, siano in grado di cogliere tutto con una maggiore intensità. I suoi occhi non le hanno mai concesso di cogliere tutto, con una tale nitidezza. Il suo olfatto non ha mai colto il profumo di Edward tanto intensamente.
Ma quelle elucubrazioni presto si dissipano e la sua concentrazione si rivolge tutta alla punta che le sfiora i polpastrelli, invitandola a riaprire gli occhi, malgrado la tacita promessa pronunciata.
Per un istante quasi si pente di aver disobbedito, sobbalzando alla vista dei canini appuntiti e ritraendo la mano con una velocità incredibile. Ulteriore dettaglio che la terrorizza, mentre confusa si raddrizza, sedendosi su quel morbido letto, il più lontano possibile da lui, nonostante l’espressione ferita che si dipinge sul viso di Edward. Una reazione comprensibile, destata dallo shock, un dettaglio che però il ragazzo sembra voler ignorare, chinando il capo turbato da quello che ha colto come un rifiuto. «Sono un vampiro e sei una vampira. Sono stato io a trasformarti, prima che il tuo cuore si fermasse.» poche parole, pronunciate quasi con rabbia, forse con l’istintivo desiderio di turbarla o forse solo per porre fine a quella conversazione, a quella confessione che l’allontanerà per sempre, che gli strapperà tutto ciò che ha desiderato, senza neppure saperlo.
E si alzerebbe, se non fosse conscio di doverle più di questo. Se non fosse consapevole dell’importanza di affidarla alle cure di qualcuno, come la sua famiglia, capace di introdurla gradualmente in quel mondo, prima che lei compia qualche gesto di cui potrebbe pentirsi.
Quanto a lei, lo osserva in silenzio, percependo quasi il lavorio del suo cervello, che velocemente lavora.
Ed i tasselli di quel puzzle, colmo di incongruenze, sembrano finalmente sistemarsi al loro posto, dando un significato a dettagli che ora le appaiono ovvi ma che un tempo aveva bellamente ignorato.
La tendenza ad evitare la luce del sole, le loro giornate di trekking, il pallore dei visi di ognuno di loro, di quella strana ed inconsueta famiglia, dall’aria eterea.
Vampiri.
E lei… vampira.

 



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