Immaginazione

di Love_in_idleness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prigione ***
Capitolo 2: *** Camera ***
Capitolo 3: *** Caviglie ***
Capitolo 4: *** Cadere nella polvere ***



Capitolo 1
*** Prigione ***


imm. 1 Questa è la mia prima fanfiction nel fandom di D.Gray-man <3 Sono una veterana di EFP, ma ho cominciato a leggere questo manga solo da poco (era sempre in hiatus ._.).
Ma, come dire, è stata un'illuminazione. Tra l'altro, per qualche ragione mi sono affezionata  al pairing Allen/Link. Lo so, è senza speranza. Adoro le Lavi/Kanda ma sono finita a scrivere una Linklen per nessuna ragione. Ah, devo ringraziare XShadeShinra, è stata involontariamente colpa delle sue storie se mi sono ridotta così...

More about the concept:
Partendo dal presupposto che per quanto Link sia disumano rimane in fondo un essere umano (oh, quei due puntini mi ricordano il lollosissimo Mu di Aries), avrà anche i suoi momenti di debolezza, no? Questa fanfiction è un approfondimento sul mondo interiore di Link. Perché, per quanto mi dispiaccia, fino al punto in cui siamo arrivati nel manga non c'è spazio per l'ammore per questa coppia (magari coi nuovi capitoli.... boh). Dopo una lunga consulta con la mia adorata   HarleyQuinn / Genio del Male che si è letta in anteprima la faccenda, abbiamo deciso che Link è IC. Se aveste delle critiche, fate pure.
Ah, sono cinque capitoli. Ne ho già scritti quattro.

Titolo:
Prigione
Capitolo: 1/5
Rating: Giallo
Genere: Angst (un po' °^°), introspettivo,  what if...? (che non lo è più per chi avesse letto le ultime scnas)
Avvertimenti: shonen-ai

Immaginazione

1.

Prigione

 

 

A volte Link se lo immagina.

La prigione sarà un luogo freddo e umido, estremamente inospitale. Immagina la luce soffusa e spettrale sgocciolare dalle pareti come una speranza inafferrabile appesa dietro il vetro di lampade sfrigolanti. Odore di sporco e polvere ad ogni angolo. Può anche vedere la polvere sollevarsi a mulinelli ad ogni suo passo – perché ora sta camminando nel corridoio stretto, regolare e dritto come la pronuncia di una condanna dalle labbra regolari e dritte con una voce regolare e dritta come quella di Levellier – e vibrare nell’aria tesa, e sotto la lieve luce ambrata intessere disegni astratti, e poi precipitare.

E la porta. Anche quella può vedere. Legno massiccio, di una consistenza ruvida, viscida. Sulla superficie, uno strato di muffa incrostato dall’umidità. Avrà cardini grossi come le sue mani, e chiodi e spranghe e catenacci che pendono a mezz’aria arrugginiti, e una serratura, un’altra serratura, un’altra serratura – ce ne saranno almeno quattro, e tutte verranno aperte da chiavi diverse e affidate a diverse guardie, e la fessura infinitesimale dalla quale non passerà nessun rumore, nessun odore, niente di niente.

Immagina come sarà posare la mano sul legno nodoso e bagnato, immagina far scivolare le chiavi oliate una ad una, e i cigolii sinistri del ferro che dovrà scorrere sui perni e ritirarsi nell’incavo della parete come un serpente nella sua tana, solo con un sibilo metallico ancora più raggelante. Ed aprire infine la porta. Immagina di attraversare la soglia trattenendo il respiro, trattenendo ogni pensiero, come quando si varca il portale di una chiesa o qualsiasi altro recinto sacro, e c’è una certa elettricità sospesa nell’aria. Si guarderà attorno, fingerà distacco.

Ma sarà spaesato, impaurito, orripilato. Sarà pieno di pietà e di compassione, pieno di una profonda tristezza, di un’amarezza che non avrebbe il dovere di provare, ma che scaverà un vuoto nel suo stomaco e gli riempirà la gola di parole che non verranno articolate in alcun suono. La stanza – la cella sarà buia quasi totalmente, e sarà piccola, e sporca e fredda come tutto il resto della prigione. Sarà un quadrato scavato di pietra, dura e brutale, dall’odore di qualcosa di marcio – legno e persone e pasti abbandonati – che si consuma lentamente digradandosi in materia morta.

E nell’angolo più buio –

Link se lo può immaginare. Allen, seduto nell’angolo più buio. Sarà un gomitolo di se stesso. Sarà pallido ed emaciato, e la pelle del suo viso giovane tesa fino a sfiorare le ossa, zigomi e occipite e mento più esposti, e i grandi globi argentei dei suoi occhi prominenti attorno all’alone scavato delle sue orbite. Ma saranno occhi di una vuotezza impressionante, di un biancore perlaceo, un nitido biancore come quello dei lenzuoli, dei sudari. Per cui il suo bel volto sembrerà più una maschera mortuaria, l’orribile maschera di un teschio.

Se lo può immaginare, un piccolo scheletro sofferente rannicchiato sul fondo di un piccolo spazio, un cubicolo appena più grande di una bara. Avrà spesse catene legate alle mani e ai piedi. Avrà lividi sui polsi e sulle sottili caviglie dove il ferro stringerà torturando la pelle. Avrà crampi alle gambe e fitte alla schiena per essere stato seduto troppo a lungo. Avrà la bocca secca perché non potrà mai parlare con nessuno. Rifiuterà l’acqua e il cibo.

Si lascerà morire.

Lentamente, rannicchiato nell’angolo buio di una piccola cripta, Allen si lascerà morire, stanco, appesantito, logorato.

Link, immagina, Link vorrebbe – allungare la mano, e toccarlo. I suoi capelli bianchi gli ricadranno sul viso-teschio, e nei suoi sedici (magari diciassette) anni somiglierà al guscio raggrinzito di un vecchio pronto ad accogliere la morte.

Forse potrebbe aver lottato. Per un po’. Ma una cosa Link sa con assoluta precisione, ed è che se Walker entrasse – o quando entrerà, perché entrerà prima o poi – nella prigione dell’Ordine, non ne potrebbe uscire mai più da vivo. Mai più. E anche uno come Allen, dopo mesi, dopo anni in una tomba larga qualche metro, di pietra umida e polvere e –

Link immagina cosa potrebbe dirgli. Niente. Alla fine non gli direbbe niente. Immagina che vorrebbe dirgli – “andrà tutto bene, troveremo una soluzione, questa guerra un giorno finirà,” ma sa che ognuna di queste parole sarebbe una bugia. Immagina di parlargli dei suoi compagni, di vittorie, di sconfitte, di sacrifici, di conquiste. Immagina di chinarsi su di lui, di scostargli la frangia dagli occhi, una cascata di fili chiari come la luce stellare ora offuscati dalla polvere e dallo sporco, - “Ti porterò fuori da qui, ti farò compagnia, perché – io ti –“- ma non ha il coraggio di immaginare fino a questo punto. Per cui lascia cadere il pensiero, pesante come una di quelle catene che si sono materializzate attorno alle sottili caviglie di Allen.

E poi, Allen non risponderebbe. Nella sua immaginazione, sì, avrebbe un fremito di vita, improvvisa, baluginante negli occhi come il riflesso fosforico della luna, un piccolo lampo di speranza, e senza parlare, respirando solo un po’ più affannosamente, alzerebbe lo sguardo abbastanza da fissarlo. Quella speranza, quella piccola, miserevole speranza impolverata lo accenderebbe come la luce fioca ed incerta delle lanterne fuori dal corridoio – lampade ad olio, uno stoppino breve e imbevuto di gas che si consumerà presto ma farà luce per un po’ – un po’ fino alla sua prossima visita. Nella sua immaginazione Allen si potrebbe aggrappare a quel breve suono, a quel breve gesto, e andare avanti ancora qualche giorno. Ancora qualche –

E poi immagina – a  volte succede, è più forte di lui – immagina labbra screpolate e pelle ruvida, immagina di toccare le sue spalle davvero troppo magre, quasi scarnificate, scapole e clavicole e tendini così in superficie da sembrare un rilievo sul suo corpo, immagina un bacio…

Ma a questo punto preferisce sospirare e pensare (immaginare) che accadrà molto prima della sua prigionia, molto prima che i begli occhi di Allen, chiari come argento, come dischi lunari, si incavino in orbite desolate, molto prima che il suo volto sorridente si tenda in una maschera inespressiva, molto prima che il suo bel collo si pieghi in un angolo doloroso, e che le sue mani flessuose si screpolino per il freddo e l’umido e per il troppo grattare contro la superficie ruvida delle pareti, e il suoi polsi, e le caviglie, le sue sottili caviglie bianche indossino un bracciale blu emaciato di lividi.

Prima, quando Allen è ancora così bello, una creatura a suo modo splendente – di luce lunare.

Prima, come ora. Come adesso.

Come –

 

Allen si stira appena, allungandosi sul letto, mentre Timcampi affonda nella curva del suo collo e rotola sul lenzuolo. Lascia scivolare il giornale dalle mani e i fogli cadono disordinati sul pavimento.

“Walker, non distruggerlo, non l’ho ancora letto.”

Per un istante, un istante quasi impercettibile, c’è ancora una traccia dell’amarezza del sogno nella sua voce. Ma la presa di coscienza sulla realtà è quasi immediata, e Link torna al se stesso come deve dimostrarsi ad una velocità spiazzante.

“Scusa,” Dice. “Ma non c’è nulla di interessante.”

“Avrai letto solo i titoli.”

Allen tace per un secondo, esitante. Poi ammette: “Sì…”

Timcampi risale sulla spalla e gli mordicchia il lobo dell’orecchio. Allen si volta verso la parete, pensieroso.

Link lo osserva – li osserva entrambi – ed ora che nessuno lo vede può addolcire lo sguardo, può per qualche istante essere di nuovo l’immagine di se stesso che non ha spazio nella realtà, ma che esiste nella sua fantasia (e forse a tratti è persino più felice, più sicuro). La punta della matita indugia sul foglio compilato a metà – si è interrotto – si è interrotto alla domanda: Possibili segni della conversione: - la compila ogni giorno, ogni giorno scrive: nessuno, e ogni giorno tira un simbolico sospiro di sollievo, pensando a quanto ancora potrà permetterselo, a quanto ancora gli resterà, a quanto tempo resterà ad entrambi prima di prigione, corridoio, cella, catene, e clavicole sporgenti e lividi sulle caviglie e tutto il resto –

Timcampi morde più forte il lobo di Allen per attirare la sua attenzione.

Link volta il foglio e legge col suo solito sguardo impassibile l’intestazione della pagina successiva, sempre la stessa, sempre uguale: Resoconto del giorno 29/10/18XX e due fogli bianchi pronti a essere riempiti di stupidaggini come il fatto che l’orecchio di Walker sanguina appena e lui si alza, corre in bagno a tamponarselo, e allora anche Link si alza, si avvicina, si appoggia allo stipite della porta e osserva ogni cosa con la mente altrove.

 

***
 Oh, vi prego <3 donatemi un minutino del vostro tempo. Sono una povera studentessa oberata dal lavoro. L'ho scritta con tutto il mio cuoricino. 

Comunque vi ringrazio in anticipo <3

 

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Capitolo 2
*** Camera ***


imm 01

Titolo: Camera
Capitolo: 2/5
Raiting:
Arancione (scuro?)
Genere: Introspettivo. Implied Lemon (ma non esiste questo genere). Romantico (concetto da applicare a Link).
Avvertimenti: shonen-ai. Siamo nel capitolo "Centoottantaquattresima notte: nuova ingessatura". Lo riconoscerete. La mia mente, leggendo, è andata in alto mare.




2.
Camera

 

 

Link entra nella camera come ci entra tutte le volte. Ha un fascio di documenti perfettamente ordinati sottobraccio, la camicia perfettamente abbottonata, i capelli perfettamente raccolti e l’aria perfettamente compunta. Apre la porta lentamente perché sa che Allen sta dormendo, e anche se è un uomo pratico ed energico ha rispetto per il (meritato) riposo altrui.

Immagina Allen tutto sommato rilassato e –

Apre la porta e fa un passo, sul suo letto vede Linalee. Lei dorme scomposta sopra le coperte. Probabilmente è entrata solo per dare un’occhiata a Walker, probabilmente voleva solo assicurarsi che stesse bene, ma devono aver dato anche a lei dei calmanti, e si è seduta sul letto perché si sarà sentita debole e si è addormentata senza nemmeno accorgersene, perché, in fin dei conti, ha combattuto fino allo sfinimento, oggi –

Ma –

Il mio –

Per un istante si chiede se è più irritato per il fatto che lei sia sul suo letto senza permesso, o perché è proprio Linalee, gambe scoperte, faccia rilassata, posizione indecorosa.

 

 

Se lo può immaginare.

Walker dorme profondamente annientato dalla morfina, e allora lo lascia lì, sorvegliato da Timcampi, mentre si allontana a cercare il materiale su cui lavorare. Non è un’infrazione del protocollo, perché con tutto l’anestetico che gli hanno iniettato non aprirà gli occhi per almeno un paio d’ore.

Immagina la stanza perfettamente silenziosa se non per il fruscio delle ali di Timcampi che prima o poi si stancherà, scivolando sul letto accanto al suo padroncino – forse sistemandosi nel caldo e morbido spazio tra il collo e la spalla -, e la luce del giorno che penetra schermata dalle pesanti tende tirate. La stanza è piccola, appena sufficiente per due persone. È una delle poche a disporre di due letti in tutta la stazione operativa. E il suo, di letto, è orientato verso quello di Allen di modo che possa osservarlo sempre, sempre, in ogni momento.

Immagina la porta scostarsi lentamente, emettendo il minimo rumore possibile. Il volto tranquillo di Lenalee, occhi-carbuncoli neri e in questo momento non troppo svegli, sulle guance ancora i graffi arrossati lasciati dall’ultima battaglia. Può immaginare la sua espressione lievemente assonnata ma soddisfatta, i denti che morderanno il labbro inferiore e il sorriso che si aprirà appena, quasi timido, quasi cauto, quando scoprirà che nella stanza non c’è nessuno tranne Allen, ed Allen dorme. Linalee si avvicinerà e si siederà sul bordo del letto, facendolo cigolare un po’, spostandone l’inclinazione e lasciando scivolare il viso assopito di Allen verso di lei. Alzerà appena quella sua piccola mano bianca – la alzerà come la alza in battaglia – ma senza renderla letale, senza imprimervi né forza né disperazione, solo affetto, affetto o – e poi la poserà delicatamente, accarezzando i suoi capelli argentei (mano bianca che scompare in un mare bianco e un contrasto così forzato), scorrendo le dita sulla fronte, sulla cicatrice pentacolare, sulla guancia, sulla linea della mascella, sulle labbra.

Sulle –

Link se le è immaginate molte volte. Sono piccole e sottili, lui si è immaginato la loro consistenza, il loro calore.

Ora Allen socchiuderà appena gli occhi, impastati dal sonno innaturale della droga, la vedrà, e concentrerà tutte le sue energie per mostrarle il suo sorriso migliore, e lei si chinerà appena, senza spostare la sua piccola mano bianca dalla sua guancia, lui richiuderà gli occhi e –

 

Non può svegliarsi, è sotto l’effetto della morfina!  

Link è fermo nel corridoio da almeno venti minuti. A volte sbircia da una fessura della porta, per assicurarsi che – che a Walker non stia succedendo nulla di compromettente, e che Linalee sia al sicuro, ma tutto quello che ha visto è stata la parigina nera di lei scivolare arricciandosi sotto al ginocchio.

Lo sa che non è successo niente di quello che si è immaginato, eppure non può fare a meno di sentirsi agitato e – forse – geloso. Linalee è sdraiata in quella posizione indecorosa, non può entrare e lavorare in quelle condizioni, non può, è irrispettoso.

 

È fuori dalla porta da due ore, ormai, quando sente le loro voci attutite dal diaframma della porta. Raccoglie in fretta i documenti che ha sistemato in pile ordinate sul pavimento e si rialza. Tende l’orecchio. Non sente cosa dicono. Parlano piano, quasi come se nascondessero qualcosa.

“Lenalee, se sei lì dento, esci subito!” Grida.

Lei chiede scusa, ma passa qualche minuto prima che i due aprano effettivamente la porta. Parlano ancora con quel tono segreto, e Link darebbe qualsiasi cosa, pure la pila di documenti che ha in mano, per sapere che cosa si stanno dicendo. Sente solo il nome di Lavi pronunciato da Walker…

Poi lui apre la porta, Linalee esce, occhi pesanti, abiti stropicciati e capelli spettinati per la dormita. La fulmina con uno sguardo di pura gelosia – ma sta molto attento a farlo passere per un semplice rimprovero.

“Walker –“

“Link, non arrabbiarti così tanto, dai…”

“Ho dovuto aspettare due ore fuori dalla stanza. Sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa. Questo è – sei un incosciente e dovrò fare rapporto.”

Non lo farà. Ma non lo ammetterà nemmeno. Si avvicina a grandi falcate alla sua scrivania e vi lascia cadere la pila di fogli con un tonfo. Allen è di nuovo sul letto, stordito. Sta lottando contro il sonno, contro la nebbia che gli ottunde il cervello.

Link sospira. Sembra un sospiro di rassegnazione ma è qualcosa di molto più doloroso. Perché due ore prima, così… gli aveva detto –

 

Link se l’è immaginata più volte. Non una vera e propria confessione. Si immagina piuttosto delle parole vaghe e molto poco consistenti, qualcosa che potrebbe essere e potrebbe benissimo non essere, ma che è per forza – si capisce dagli occhi.

E quella frase sembra proprio uscita da uno dei suoi irrealizzabili sogni ad occhi aperti, è così spontanea che per un momento, un piccolo, breve, indescrivibile momento, Link pensa che farà sul serio quello che la sua mente ha immaginato. Ma è un irreprensibile, per cui le gambe, come due macigni, rimangono ben piantate al suolo nonostante l’impulso elettrico che gli sta invadendo il corpo.

“Forse,” dice Walker, “per me ormai sei una presenza naturale come l’aria.”

Ma qui – qui non ci sono quegli sguardi rivelatori… qui potrebbe significare qualsiasi cosa.

Link reprime l’impulso di precipitarsi verso di lui, è così allenato che all’esterno non lascia intravedere la minima traccia, il minimo segno di cedimento strutturale. Perché, anche se viaggia spesso con la fantasia, ha ancora le idee molto precise su dove stia il confine col mondo della realtà.

Per cui si volta e torna alla sua sedia. E dalla sedia lo guarda addormentarsi.

 

Se lo può immaginare perfettamente.

Walker si stenderà sul letto, stanco, e il letto emetterà un cigolio poco convincente, e fisserà il soffitto senza realmente vedere qualcosa. Solo, parlerà, dirà quelle parole vaghe e molto poco consistenti: “Sai, forse per me sei diventato una presenza naturale – come l’aria.”, e si volterà verso di lui – lo guarderà con quello sguardo – con quegli occhi lunari che dischiuderanno tutto il significato. E a Link tremeranno le gambe come se avesse preso una scossa improvvisa, tremeranno le gambe e tutto il resto, si stringerà qualcosa nella cassa toracica, e tutti i suoi muscoli urleranno di muoversi – e lui lo farà, gambe torace e tutto il resto, lo farà, si avvicinerà al letto mantenendo fisso lo sguardo rivelatore nello sguardo rivelatore di Allen, e si arrampicherà su quella specie di rupe inconquistabile fatta di materasso e lenzuola, appoggiando le ginocchia contro i due stretti fianchi di Allen fasciati dalla benda appena più pallida di lui – si puntellerà sulle braccia, guardandolo dritto negli occhi senza dover dire una parola, una sola parola vaga e davvero poco consistente.

Può immaginarselo benissimo perché ormai è una visione quasi familiare. Si lascerà scivolare – questione di qualche secondo – verso il basso, verso il suo viso. Allen si tenderà lievemente all’insù, inarcando la schiena, accerchiandolo con le sue braccia, trascinandolo a sé… giocherà con la sua frangia, dita arricciate tra i capelli, e poi scorrerà sulla linea appuntita del suo volto per prenderlo in giro. Ma alla fine dovrà baciarlo. Per forza. Lo lascerà esplorare con la bocca tutti quei punti che sembrano aver conservato in lui ancora la morbidezza dell’infanzia – le guance, il collo, la lieve curvatura delle spalle. Lo lascerà giocare con quelle parti del torso che non sono coperte dalle bende mentre lui gli slaccerà il cravattino e gli sfilerà il gilet e la camicia. Così potrà rialzarsi, potrà fare più o meno qualsiasi cosa. Ma, prima di qualsiasi cosa, accarezzerà con la punta delle dita: torace ventre inguine cosce polpacci, fino alle caviglie, strette, piccole caviglie bianche che spuntano nude dall’orlo dei pantaloni  - le sue caviglie troppo magre, l’osso sporgente. Accarezzerà le sue caviglie ossute prima di potersi dedicare a qualsiasi altra cosa, come ad annientare i vestiti e –

 

“Link. Mi è venuta fame.”

Link posa il foglio su cui finge di scrivere un rapporto inesistente e lo guarda con un’espressione perfettamente stoica.

Dice: “Allora andiamo.”



***

Forse avrei dovuto avvertire tutti i lettori di una cosa molto, molto, molto importante: a volte mi dimentico per un po' delle mie storie. Nel senso che magari ci metto un mese ad aggiornare. Comunque ho tutto sotto controllo, ho scritto cinque capitoli su cinque, la vita è meravigliosa e un mese è sempre meno dei tempi escatologici di uscita del manga.
Detto questo: sono sopravvissuta alla sessione d'esame! Sono una donna libera! Il mondo è un posto migliore, adesso. Vi faccio notare la mia totale incompetenza nello  scrivere lemon. Ve le risparmio perché le lemon scritte male sono la cosa peggiore che uno possa leggere. In compenso siete libere di immaginare tutto ciò che volete (come Link, che è un naughty boy), di scrivere spin-off, di disegnare, di esprimere il fansevice in ogni sua forma. 

Bene, ringrazio XShadeShinra ed Eli_star per la recensione. HarleyQuinn va ringraziata anche per avermi accompagnata il Giorno Del Giudizio, ma questa è un'altra storia. Grazie a chi mette nei preferiti/seguiti/ricordatih!
Alla prossima X*

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Capitolo 3
*** Caviglie ***


imm 03

Titolo: Caviglie

Capitolo: 3/5

Raiting: Rosa salmone (???)

Genere: Introspettivo, Implied Lemon, Linkromanticism.

Avvertimenti: Come prima. Shonen-ai. Nessun setting in particolare.


A Bartek, che non è più qui con noi.

E al mio stupido fratellino che invece ce lo può ancora raccontare.



3.

Caviglie

 

Gli succedeva anche con Madarao. E con Tevak.

Gli è sempre successo, e non ha mai pensato che potesse essere altrimenti. Perché in ogni modo possa andare la vita reale, a lui resta comunque qualcosa di non finito (o nemmeno iniziato), qualcosa di lasciato indietro, qualcosa senza speranza, impossibile, eppure qualcosa che vuole con tutta la sua forza. E c’è uno spazio – questo piccolo contenitore interiore senza tempo e senza nessuna legge fisica che lo controlli – in cui i pensieri si manifestano con una assoluta spontaneità, con una facilità incredibile, e restano sospesi senza dover mai assumere quella consistenza che li renderebbe pericolosi. Sono solo sogni ad occhi aperti. Immaginazione.

Link ha un’immaginazione molto sviluppata. Forse perché legge molto. O forse legge molto perché gli piace immaginare. Gli è sempre successo, e in un certo senso ha sempre saputo che quei pochi minuti trascorsi con gli occhi rivolti dentro se stesso lo hanno salvato tante volte dalla disperazione.

Gli succedeva anche con Madarao. E con Tevak. Gli è successo più o meno con tutti i suoi compagni – se li ricorda ancora, piccoli, frastornati, erano tutti spaventati a morte da quello che accadeva attorno a loro, da quello che accadeva a loro, e si stringevano con quell’umanità che ancora non era stata eviscerata dalle loro anime, con l’affetto con cui si possono stringere i bambini.

Gli succedeva con Madarao semplicemente perché lui era il più forte e il più bello e il più resistente e il più feroce di tutti, e le prime volte in battaglia, durante i primi seri allenamenti – quelli che hanno distrutto e ricostruito il loro fisico e la loro mente – si alzava sempre, sempre, non importava quanto profondamente fosse ferito. Si immaginava spesso di essere come lui, di essere ammirato da lui. Si immaginava il futuro in cui avrebbero lavorato fianco a fianco, come compagni di squadra, i più potenti in assoluto, quasi invincibili, e avrebbero dormito con la schiena appoggiata l’una contro l’altra in una specie di rapporto di amore-fiducia che strabiliava qualsiasi altro legame (perché allora Link aveva un così disperato bisogno di credere a qualsiasi genere di legame).

Gli succedeva spesso anche con Tevak. All’inizio perché era la più piccola, e lui era ancora un bambino troppo orgoglioso per ammettere di essere impaurito quanto lei. Link e Madarao la stringevano in un cerchio di protezione del tutto riservato, e lei un po’ si sentiva sollevata. Tevak era anche molto bella. Davvero. Era bella, e aveva deciso di lasciar crescere i suoi biondi capelli finché ne avesse avuto la forza, e con gli anni li avevano visti ricadere come onde in un mare colore del grano sulla sua piccola schiena-scogliera, una schiena di roccia, forte come roccia, inespugnabile come una falesia. Si era immaginato così tante volte di poterla scalare, di navigare il mare dorato, affondando le dita e drenando, lentamente, delicatamente, quella superficie serica…

 

Così, la prima volta che la mente – quasi senza accorgersene – è scivolata verso quel genere di pensieri con Allen Walker, non si è davvero preoccupato, né stupito. È  successo e basta. È  successo esattamente come tutte le altre volte – un pensiero spontaneo, germogliato come un bocciolo per la luce del sole, e poi dischiuso.

Link è l’ombra di Allen Walker da più di tre mesi. Lo segue ovunque. Lo affianca ovunque. Non lo abbandona nemmeno nei momenti più privati. Gli esseri umani non sono fatti per questo genere di legami che non lasciano il minimo spiraglio di libertà, per cui, dopo qualche tempo, l’ispettore allenta leggermente la presa. Rimane comunque un’ombra. In tre mesi ha calcolato di aver passato più tempo con Allen Walker che con la maggior parte delle persone che ha conosciuto.

Link se lo può immaginare. Sospetta che arriverà a questo punto. Nella nitida scansione delle sue giornate, che non lasciano nulla, nulla dietro di loro, solo un senso di sterilità opprimente, ha ancora bisogno di una via di fuga. Ha ancora bisogno di ritagliarsi quello spazio invisibile, tra le pareti sicure nella sua testa – e Allen – Allen è quasi più indulgente, si abitua ogni giorno di più alla sua presenza (si abituano, si plasmano a vicenda come per far combaciare i loro angoli e le loro curve), è gentile, è già stretto in questo legame straordinario… ed è bianco, bianco e pallido come la luna, di una luminosità quasi elettrica, di un candore abbagliante e –

 

Lo accompagna ovunque perché questo è il suo compito. Ma si rende conto che gli sta rubando spazio, e che ci sono zone dove le persone, gli estranei, non dovrebbero essere ammessi. Come i bagni. Per cui, più per rispetto che per pudore, quando Allen Walker si fa un bagno, resta tutto il tempo con la schiena appoggiata alla vasca senza guardare.

 

– e così magro, troppo magro, come può essere così magro, con le ossa ancora sottili in rilievo sulla pelle, costole accessibili, e zigomi e polsi – e – e-

Quelle piccole caviglie bianche –

 

Non sa perché ha notato proprio quel particolare.

Allen scivola dalla vasca da bagno, avvolto malamente in un lungo asciugamano che gli copre la testa bagnata e il corpo fino al polpaccio, lasciando scoperte le caviglie, e Link osserva per caso, e le guarda per la prima volta con attenzione, aggrottando la fronte senza nemmeno accorgersene, le studia – sottili, pallide, sporgenza dell’osso e un piccolo neo proprio sotto la curva interna della tibia destra.

 

Se lo può immaginare perfettamente.

Walker farà un passo verso il lavandino, lasciando sul pavimento un’impronta bagnata. La stanza sarà umida ed incredibilmente afosa e tutti i vetri appannati, per cui avrà socchiuso la porta, dal piccolo spiraglio penetrerà il buio della camera da letto e un filo di freddo. Lascerà cadere l’asciugamano dalla testa, la stoffa pesante si adagerà sulle spalle come un cappuccio, quasi più opaca della sua pelle. Afferrerà un pettine dalla mensola e se lo passerà tra i capelli (capelli argento, un mare d’argento) con lentezza, con attenzione, mentre lo specchio gradualmente si spannerà, mentre l’asciugamano scivolerà sulla spalla, una piccola spalla bianca dalla clavicola sporgente, lasciando scoperta una minima parte della schiena (schiena bianca, una bianca scogliera inespugnabile – come può avere quel colore?).

Se la può immaginare la mano ossuta che afferrerà il lembo di stoffa prima che ceda del tutto. Non si volterà, Allen, e lui sarà ancora seduto sul pavimento a fissare. Ci sarà qualcosa di innaturale, di fluido, nel modo in cui Allen si occuperà dei suoi capelli – lo può vedere. Ci sarà – non appena il vetro si libererà dalla condensa – ci sarà uno sguardo che lo fisserà dallo specchio, un po’ sfocato, ancora un po’ traballante per le piccole goccioline che lo renderanno indecifrabile, uno sguardo espressionista per le rifrazioni acquatiche – eppure uno sguardo inconfondibile: con la testa inclinata vedrà un volto attento, lucido, labbra dischiuse a mostrare una linea sottile di denti perlacei, occhi concentrati e puntati a lui. Occhi concentrati –

Con un movimento improvviso (se lo immagina flessuoso come quello di un felino, ma anche rapace) farà cadere a terra l’asciugamano. Poi, ci metterà un’eternità per voltarsi e –

 

Allen si volta, spazzolino in bocca. Link registra il movimento non appena i muscoli del ragazzo si muovono. Si alza in piedi.

“Che ore sono?”

Le parole sono confuse. Ha la bocca sporca di dentifricio.

“Quasi mezzanotte, Walker.”

“Perché –” Dice. Si sciacqua la bocca. “perché proprio non ho sonno.”

“Eppure ti sei allenato tutto il giorno.”

Allen scrolla le piccole spalle ancora perfettamente avvolte dall’asciugamano.

“Vorrei camminare un po’. Fuori.” Propone educatamente.

“Allora rivestiti.”

Link è brusco, ma non più severo. Gli chiede di rivestirsi non perché trova qualcosa di sbagliato nel suo stare a parlare avvolto solo nell’asciugamano, ma perché per fare qualsiasi altra cosa voglia fare, ha bisogno di essere vestito.

Lo accompagnerà a passeggiare nella radura anche a mezzanotte. Lascia andare un sospiro di rassegnazione, talmente simile ad un sospiro d’impazienza che quasi non si potrebbero distinguere, e segue Walker nella camera fredda e semibuia.

Si appoggia alla parete, gli dà la schiena. Ma se lo può immaginare perfettamente.  


***

Oh cavolo, sono successe davvero tante cose nella mia vita! Questa volta giuro che non è solo colpa della mia pigrizia! Mss_Coffin_Maker, confermami! C'è stato l'Affare Bart e l'Incidente Tesi e la Lunga Preparazione alla Mia Waterloo, 23/02/2011, potrei fare delle bomboniere.

Inoltre, colta da un raptus di follia, ho accantonato l'insano progetto di gender bender con protagonista siddetto Kanda Yuu, per scrivere una longfic multichapter Lavi/Yuu che sta venendo una costa molto seria e angsty e di cui ho già pronti tre capitoli!!! Lo so che tutti i miei sforzi verranno vanificati con le prossime scans e io dovrò accontentarmi del what if...? Uffa. Uffaaaaa. UFFA. Life is pain.

Ringrazio nuovamente Eli_star e XShadeShinra e Miss_Coffin_Maker per i cinque minuti che mi hanno dedicato.

Baci :3

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Capitolo 4
*** Cadere nella polvere ***


imm 04

Titolo: Cadere nella polvere

Capitolo: 4/5

Raiting: Non ci riesco. Non lo so fare. E' tutto molto angst.

Genere: Introspettivo, Linkromanticism. ANGST.

Avvertimenti: Shonen-ai. Robe deprimenti.

4.

Cadere nella polvere.

 

A volte Link se lo immagina.

È uno dei suoi pensieri fissi, una delle sue più grandi paure. A volte si immagina cosa vuol dire cadere in battaglia. Si immagina la morte arrivare – a volte è veloce e sorprendente come la mossa inaspettata del suo avversario, a volte è una lenta agonia, sangue che cola da qualche squarcio nel ventre, corpo disteso nel fango, respiro sempre più insignificante – odore di ferro, liquido ferroso in bocca e nelle narici -, freddo, rigidità, buio. C’è sempre molto dolore coinvolto.

Eppure la propria morte non è la cosa più sconvolgente che gli capiti di immaginare. È stato addestrato per accettarla come prezzo equo nel bilancio della battaglia che stanno combattendo. La vede ogni giorno farsi più vicina, più probabile – non riesce nemmeno a credere che vi sfuggirà – che morirà in pace, vecchio, in una casa tutta sua, in un giardino tutto suo, con un sorriso – non ci riesce, è perfettamente consapevole che morirà in battaglia.

Come tutti i suoi compagni.

Ma pensare a loro… alla loro morte – questa è tra tutte la cosa più terribile.

Link se lo immaginava benissimo il momento in cui Madarao sarebbe stato trafitto. A volte ci pensava prima di chiudere gli occhi e addormentarsi, col cuore che accelerava i battiti e respiri che si facevano più profondi. Una lama – chissà perché una lama -, vedeva una lama acuminata, la punta di una spada, colpirlo e affondare nella sua pancia, lo vedeva esitare un istante, trattenendo il fiato gelido come se in questo modo potesse preservarsi per sempre, e poi infine cedere, scivolando sul terreno coperto di altri resti umani.

Immaginava di vedere tutto, di essere assalito da una furia cieca, di colpire, e farsi largo tra le schiere di demoni col cadavere ancora caldo di Madarao fino alle proprie linee, immaginava di arrivare a nascondersi sotto qualche cresta rocciosa, o in un tugurio, o dietro a brandelli ammassati di case, e di doverlo lasciare lì, seppellito nella polvere – nemmeno una lacrima, solo parole di conforto, parole che vogliono dare forza e solennità al momento dell’addio.

Era quel periodo in cui cercava così disperatamente dei legami… e quelle figure attorno a lui, quei bambini con cui era cresciuto, forti ed impassibili e ormai disumani, quelle cinque persone che considerava segretamente la sua unica famiglia erano – le più precarie di tutte.

 

I minuti di calma durante una battaglia sono sempre terribili. Sono spaventosi. Sono come dilatati nell’angoscia. Non si vede mai niente. Nella confusione generale non si capisce mai niente, se non il vago senso di essere ancora vivo. Non si capisce chi è sopravvissuto e chi è caduto. Si sente solo una paura folle attanagliare ogni fibra del corpo, ogni pensiero è una scossa elettrica, ogni respiro è come deglutire acqua gelida. Durante la battaglia, no, è il corpo che reagisce. Solo i muscoli. Si muovono e riempiono il tempo col ritmo dei colpi mortali sferrati nell’unico desiderio di vincere.

C’è un breve attimo di pausa. Una sospensione carica di brutti presagi. Link non vede nessuno. È solo. È certo che stanno per attaccare. Non sa più dov’è Walker, dove sono i suoi compagni, come li ritroverà, non sa – non sa se sono ancora vivi o se è rimasto l’unico – l’ultimo sopravvissuto.

Ma ora sta perdendo l’uso del proprio corpo. Sta per cedere, sta per cadere a terra, sta per essere schiacciato come una bambola di porcellana. Sta per svanire – non vede niente –

Eppure conserva una parte della sua lucidità.

 

Se lo è immaginato già diverse volte.

Walker è un ragazzino gettato in mezzo a una guerra. Sono tutti ragazzi gettati in mezzo a una guerra, come se la guerra fosse una cosa da ragazzi, e sono tutti appesi allo stesso sottilissimo filo.

Sono tre mesi che lo segue ovunque e già non ricorda quante volte è stato in pericolo mortale, quante volta ha creduto che fosse davvero la fine.

Quanto è andato vicino – alla morte.

Ora se lo può immaginare benissimo. I corridoi bui dell’orfanotrofio che profumavano di pulito adesso hanno un odore di cenere. Le pareti sono state sventrate e il corrimano ligneo della scala è caduto, spezzato a metà dal colpo netto di un Akuma. Tra la polvere e i resti umani mummificati come lui si muovono cauti i due schieramenti, aspettando, valutando le distanze, per poi attaccare.

Può immaginarsi che in battaglia saranno rimasti Yuu Kanda, forse Marie, forse il piccolo Timothy, sicuramente Allen Walker. Kanda attaccherà ferocemente facendo a pezzi tutto ciò che incontrerà di fronte a sé. Kanda – lo vede per un attimo sfrecciare sul pavimento dissestato, soprabito che si alzerà per la velocità del movimento, prima che sparisca lanciandosi dietro a un Akuma.

Se lo può immaginare ora, Walker, Allen Walker solo, con i suoi artigli sguainati, fronteggiare un Livello 4. Può immaginarsi il suo sguardo determinato e la sua postura un po’ scomposta – ma più di ogni altra cosa può immaginarsi i suoi pensieri, la sua paura, la paura che scorre come adrenalina nelle vene e che fa fremere i muscoli e dilatare le narici e digrignare i denti, la pura che cancella ogni altra sensazione – dolore, sensi di colpa, strategie -, la stessa paura che prova lui ogni volta, la stessa paura che provano tutti quando si trovano così vicini alla morte.

Allen avrà quella sua maschera sul volto, una sottile barriera che lo difende dallo scherno dell’Akuma, e il mantello bianco lo avvolgerà come un bozzolo protettivo, l’unica fonte di luce in quell’oscurità spettrale, l’unica cosa investita di una certa consistenza eppure così precaria.

La massa raggomitolata-Allen si lancerà, prima o poi, afferrando con le lunghe dita uncinate la testa dell’Akuma, colpendo, sfregiando, schiacciando. Anche il Livello 4 contrattaccherà. Dalla sua bocca uscirà un potere spaventoso come dalla bocca di un cannone.

Link non sa di preciso quanto durerà il combattimento. Steso a terra, immobile, incapace di percepire, ha solo una vaga intuizione dei movimenti che lo circondano.

Ma può immaginarsi la forza di un Akuma di quarto Livello e quella di Walker con la sua stanchezza di essere umano e i limiti dei suoi quindici anni di età, e in un breve momento i suoi pensieri scartano dal campo di battaglia – vedono – vedono tra le assi divelte della stanza un qualcosa di argenteo e consistente precipitare con un rumore come di schiocco, e la figura rigida dell’Akuma catapultarsi con tutto il suo peso spaventoso sopra il punto dell’impatto, raccogliere tutta la potenza rimasta sulla punta delle dita e liberarla in un unico colpo.

Lo può immaginare benissimo. Il braccio proteso dell’Akuma – nodoso e plastico come fosse scolpito nel legno – trafiggerà il petto di Walker in un unico affondo, penetrando il mantello candido, penetrando la carne e le ossa, e stringerà il suo cuore – il suo cuore troppo giovane per essere di nuovo sfiorato in quella maniera così sporca -, e lo stringerà, lo farà esplodere.

E lui – steso a terra –

Se la può immaginare benissimo una battaglia persa. Non c’è ragione per vincere sempre le battaglie, e prima o poi la fortuna gira. Lo sa che Allen Walker è un ragazzo fortunato. Ma è anche un ragazzo-guerriero, come lui, come Madarao e tutti gli altri, uno la cui vita è appesa a un filo precario, uno destinato a morire in battaglia.

Se lo immagina – non potrà nemmeno gridare. Se morisse oggi, non potrà nemmeno compiere quell’ultimo, importantissimo gesto di affetto, di devozione, non potrà nemmeno recitare quelle ultime parole di amore alle quali si è sempre attaccato come una consolazione. Non potrà fare niente per lui. Niente.

 

Alla fine deve esserci riuscito. Col sangue che riprende lentamente a scorrere nelle vene, coi muscoli che si elasticizzano ed ogni parte di sé che torna a rispondere al suo comando –

Per qualche secondo rimane immobile, raccogliendo le forze per alzarsi ed il coraggio di guardare.

Ed è esattamente come ha immaginato: sono rimasti tutti in piedi, il bambino con l’Innocence incastonata nella testa, Yuu Kanda, Marie –

Allen – il suo sosia, il pagliaccio, combatte con la sua evocazione a forma di spada. 

È tutto molto veloce, i suoi sensi atrofizzati ancora non colgono con precisione lo svolgimento della battaglia. Ma sente la sua voce. È la voce di un ragazzo di quindici anni, e per quanto provi a nasconderlo, non riesce a mascherare il panico che lo invade.

Non è ancora finita. Ma rialzandosi per riprendere a combattere, non può che tirare un sospiro di sollievo.

***

Non è che mi sono dimenticata questa fanfiction. E' che mi sono completamente dimenticata di questo sito. E di avere una specie di vita, insomma...  Non importa. L'ultimo capitolo verrà postato, prima o poi. Promesso! C'é ancora qualcuno che legge questa storia? Ho risposto a tutte i gentili lettori che mi hanno lasciato una recensione: eli_star, XShadeShinra & Iced_Dust. <3

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