Immaginazione di Love_in_idleness (/viewuser.php?uid=2759)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prigione ***
Capitolo 2: *** Camera ***
Capitolo 3: *** Caviglie ***
Capitolo 4: *** Cadere nella polvere ***
Capitolo 1 *** Prigione ***
imm. 1
Questa è la mia prima
fanfiction nel fandom di D.Gray-man <3 Sono una veterana di EFP, ma
ho cominciato a leggere questo manga solo da poco (era sempre in hiatus
._.).
Ma, come dire, è stata
un'illuminazione. Tra l'altro, per qualche ragione mi sono
affezionata al pairing Allen/Link. Lo so, è senza
speranza. Adoro le Lavi/Kanda ma sono finita a scrivere una Linklen per
nessuna ragione. Ah, devo ringraziare XShadeShinra, è stata involontariamente colpa delle sue storie se mi sono ridotta così...
More about the concept:
Partendo dal presupposto che per
quanto Link sia disumano rimane in fondo un essere umano (oh, quei due
puntini mi ricordano il lollosissimo Mu di Aries), avrà anche i
suoi momenti di debolezza, no? Questa fanfiction è un
approfondimento sul mondo interiore di Link. Perché, per quanto
mi dispiaccia, fino al punto in cui siamo arrivati nel manga non
c'è spazio per l'ammore per questa coppia (magari coi nuovi
capitoli.... boh). Dopo una lunga consulta con la mia adorata
HarleyQuinn /
Genio del Male che si è letta in anteprima la faccenda, abbiamo
deciso che Link è IC. Se aveste delle critiche, fate pure.
Ah, sono cinque capitoli. Ne ho già scritti quattro.
Titolo: Prigione
Capitolo: 1/5
Rating: Giallo
Genere: Angst (un po'
°^°), introspettivo, what if...? (che non lo è
più per chi avesse letto le ultime scnas)
Avvertimenti: shonen-ai
Immaginazione
1.
Prigione
A
volte Link se lo immagina.
La
prigione sarà un luogo freddo e umido, estremamente inospitale. Immagina la
luce soffusa e spettrale sgocciolare dalle pareti come una speranza
inafferrabile appesa dietro il vetro di lampade sfrigolanti. Odore di sporco e
polvere ad ogni angolo. Può anche vedere la polvere sollevarsi a mulinelli ad
ogni suo passo – perché ora sta camminando nel corridoio stretto, regolare e
dritto come la pronuncia di una condanna dalle labbra regolari e dritte con una
voce regolare e dritta come quella di Levellier – e vibrare nell’aria tesa, e
sotto la lieve luce ambrata intessere disegni astratti, e poi precipitare.
E
la porta. Anche quella può vedere. Legno massiccio, di una consistenza ruvida,
viscida. Sulla superficie, uno strato di muffa incrostato dall’umidità. Avrà
cardini grossi come le sue mani, e chiodi e spranghe e catenacci che pendono a
mezz’aria arrugginiti, e una serratura, un’altra serratura, un’altra serratura
– ce ne saranno almeno quattro, e tutte verranno aperte da chiavi diverse e
affidate a diverse guardie, e la fessura infinitesimale dalla quale non passerà
nessun rumore, nessun odore, niente di niente.
Immagina
come sarà posare la mano sul legno nodoso e bagnato, immagina far scivolare le
chiavi oliate una ad una, e i cigolii sinistri del ferro che dovrà scorrere sui
perni e ritirarsi nell’incavo della parete come un serpente nella sua tana,
solo con un sibilo metallico ancora più raggelante. Ed aprire infine la porta.
Immagina di attraversare la soglia trattenendo il respiro, trattenendo ogni pensiero,
come quando si varca il portale di una chiesa o qualsiasi altro recinto sacro,
e c’è una certa elettricità sospesa nell’aria. Si guarderà attorno, fingerà
distacco.
Ma
sarà spaesato, impaurito, orripilato. Sarà pieno di pietà e di compassione,
pieno di una profonda tristezza, di un’amarezza che non avrebbe il dovere di
provare, ma che scaverà un vuoto nel suo stomaco e gli riempirà la gola di
parole che non verranno articolate in alcun suono. La stanza – la cella sarà
buia quasi totalmente, e sarà piccola, e sporca e fredda come tutto il resto
della prigione. Sarà un quadrato scavato di pietra, dura e brutale, dall’odore
di qualcosa di marcio – legno e persone e pasti abbandonati – che si consuma
lentamente digradandosi in materia morta.
E
nell’angolo più buio –
Link
se lo può immaginare. Allen, seduto nell’angolo più buio. Sarà un gomitolo di
se stesso. Sarà pallido ed emaciato, e la pelle del suo viso giovane tesa fino
a sfiorare le ossa, zigomi e occipite e mento più esposti, e i grandi globi
argentei dei suoi occhi prominenti attorno all’alone scavato delle sue orbite.
Ma saranno occhi di una vuotezza impressionante, di un biancore perlaceo, un
nitido biancore come quello dei lenzuoli, dei sudari. Per cui il suo bel volto
sembrerà più una maschera mortuaria, l’orribile maschera di un teschio.
Se
lo può immaginare, un piccolo scheletro sofferente rannicchiato sul fondo di un
piccolo spazio, un cubicolo appena più grande di una bara. Avrà spesse catene
legate alle mani e ai piedi. Avrà lividi sui polsi e sulle sottili caviglie
dove il ferro stringerà torturando la pelle. Avrà crampi alle gambe e fitte
alla schiena per essere stato seduto troppo a lungo. Avrà la bocca secca perché
non potrà mai parlare con nessuno. Rifiuterà l’acqua e il cibo.
Si
lascerà morire.
Lentamente,
rannicchiato nell’angolo buio di una piccola cripta, Allen si lascerà morire,
stanco, appesantito, logorato.
Link,
immagina, Link vorrebbe – allungare la mano, e toccarlo. I suoi capelli bianchi
gli ricadranno sul viso-teschio, e nei suoi sedici (magari diciassette) anni
somiglierà al guscio raggrinzito di un vecchio pronto ad accogliere la morte.
Forse
potrebbe aver lottato. Per un po’. Ma una cosa Link sa con assoluta precisione,
ed è che se Walker entrasse – o quando entrerà, perché entrerà prima o poi – nella
prigione dell’Ordine, non ne potrebbe uscire mai più da vivo. Mai più. E anche
uno come Allen, dopo mesi, dopo anni in una tomba larga qualche metro, di
pietra umida e polvere e –
Link
immagina cosa potrebbe dirgli. Niente. Alla fine non gli direbbe niente.
Immagina che vorrebbe dirgli – “andrà tutto bene, troveremo una
soluzione, questa guerra un giorno finirà,” ma sa che ognuna di queste parole
sarebbe una bugia. Immagina di parlargli dei suoi compagni, di vittorie, di
sconfitte, di sacrifici, di conquiste. Immagina di chinarsi su di lui, di
scostargli la frangia dagli occhi, una cascata di fili chiari come la luce
stellare ora offuscati dalla polvere e dallo sporco, - “Ti porterò fuori da
qui, ti farò compagnia, perché – io ti –“- ma non ha il coraggio di immaginare
fino a questo punto. Per cui lascia cadere il pensiero, pesante come una di
quelle catene che si sono materializzate attorno alle sottili caviglie di
Allen.
E
poi, Allen non risponderebbe. Nella sua immaginazione, sì, avrebbe un fremito
di vita, improvvisa, baluginante negli occhi come il riflesso fosforico della
luna, un piccolo lampo di speranza, e senza parlare, respirando solo un po’ più
affannosamente, alzerebbe lo sguardo abbastanza da fissarlo. Quella speranza,
quella piccola, miserevole speranza impolverata lo accenderebbe come la luce
fioca ed incerta delle lanterne fuori dal corridoio – lampade ad olio, uno
stoppino breve e imbevuto di gas che si consumerà presto ma farà luce per un
po’ – un po’ fino alla sua prossima visita. Nella sua immaginazione Allen si
potrebbe aggrappare a quel breve suono, a quel breve gesto, e andare avanti
ancora qualche giorno. Ancora qualche –
E
poi immagina – a volte succede, è più
forte di lui – immagina labbra screpolate e pelle ruvida, immagina di toccare
le sue spalle davvero troppo magre, quasi scarnificate, scapole e clavicole e
tendini così in superficie da sembrare un rilievo sul suo corpo, immagina un
bacio…
Ma
a questo punto preferisce sospirare e pensare (immaginare) che accadrà molto
prima della sua prigionia, molto prima che i begli occhi di Allen, chiari come
argento, come dischi lunari, si incavino in orbite desolate, molto prima che il
suo volto sorridente si tenda in una maschera inespressiva, molto prima che il
suo bel collo si pieghi in un angolo doloroso, e che le sue mani flessuose si
screpolino per il freddo e l’umido e per il troppo grattare contro la
superficie ruvida delle pareti, e il suoi polsi, e le caviglie, le sue sottili
caviglie bianche indossino un bracciale blu emaciato di lividi.
Prima,
quando Allen è ancora così bello, una creatura a suo modo splendente – di luce
lunare.
Prima,
come ora. Come adesso.
Come
–
Allen si stira appena, allungandosi sul
letto, mentre Timcampi affonda nella curva del suo collo e rotola sul lenzuolo.
Lascia scivolare il giornale dalle mani e i fogli cadono disordinati sul
pavimento.
“Walker, non distruggerlo, non l’ho
ancora letto.”
Per un istante, un istante quasi
impercettibile, c’è ancora una traccia dell’amarezza del sogno nella sua voce.
Ma la presa di coscienza sulla realtà è quasi immediata, e Link torna al se
stesso come deve dimostrarsi ad una velocità spiazzante.
“Scusa,” Dice. “Ma non c’è nulla di
interessante.”
“Avrai letto solo i titoli.”
Allen tace per un secondo, esitante. Poi
ammette: “Sì…”
Timcampi risale sulla spalla e gli
mordicchia il lobo dell’orecchio. Allen si volta verso la parete, pensieroso.
Link lo osserva – li osserva entrambi – ed
ora che nessuno lo vede può addolcire lo sguardo, può per qualche istante
essere di nuovo l’immagine di se stesso che non ha spazio nella realtà, ma che
esiste nella sua fantasia (e forse a tratti è persino più felice, più sicuro). La
punta della matita indugia sul foglio compilato a metà – si è interrotto – si è
interrotto alla domanda: Possibili segni
della conversione: - la compila ogni giorno, ogni giorno scrive: nessuno, e ogni giorno tira un simbolico
sospiro di sollievo, pensando a quanto ancora potrà permetterselo, a quanto
ancora gli resterà, a quanto tempo resterà ad entrambi prima di prigione,
corridoio, cella, catene, e clavicole sporgenti e lividi sulle caviglie e tutto
il resto –
Timcampi morde più forte il lobo di
Allen per attirare la sua attenzione.
Link volta il foglio e legge col suo
solito sguardo impassibile l’intestazione della pagina successiva, sempre la
stessa, sempre uguale: Resoconto del
giorno 29/10/18XX e due fogli bianchi pronti a essere riempiti di
stupidaggini come il fatto che l’orecchio di Walker sanguina appena e lui si
alza, corre in bagno a tamponarselo, e allora anche Link si alza, si avvicina,
si appoggia allo stipite della porta e osserva ogni cosa con la mente altrove.
***
Oh, vi prego <3 donatemi un minutino del vostro tempo. Sono
una povera studentessa oberata dal lavoro. L'ho scritta con tutto il
mio cuoricino.
Comunque vi ringrazio in anticipo <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Camera ***
imm 01
Titolo: Camera
Capitolo: 2/5
Raiting: Arancione (scuro?)
Genere: Introspettivo. Implied Lemon (ma non esiste questo genere). Romantico (concetto da applicare a Link).
Avvertimenti:
shonen-ai. Siamo nel capitolo "Centoottantaquattresima notte: nuova
ingessatura". Lo riconoscerete. La mia mente, leggendo, è andata
in alto mare.
2.
Camera
Link entra nella camera come ci entra
tutte le volte. Ha un fascio di documenti perfettamente ordinati sottobraccio,
la camicia perfettamente abbottonata, i capelli perfettamente raccolti e l’aria
perfettamente compunta. Apre la porta lentamente perché sa che Allen sta
dormendo, e anche se è un uomo pratico ed energico ha rispetto per il
(meritato) riposo altrui.
Immagina Allen tutto sommato rilassato e
–
Apre la porta e fa un passo, sul suo
letto vede Linalee. Lei dorme scomposta sopra le coperte. Probabilmente è
entrata solo per dare un’occhiata a Walker, probabilmente voleva solo
assicurarsi che stesse bene, ma devono aver dato anche a lei dei calmanti, e si
è seduta sul letto perché si sarà sentita debole e si è addormentata senza
nemmeno accorgersene, perché, in fin dei conti, ha combattuto fino allo
sfinimento, oggi –
Ma
–
Il
mio –
Per un istante si chiede se è più
irritato per il fatto che lei sia sul suo letto senza permesso, o perché è proprio
Linalee, gambe scoperte, faccia rilassata, posizione indecorosa.
Se
lo può immaginare.
Walker
dorme profondamente annientato dalla morfina, e allora lo lascia lì,
sorvegliato da Timcampi, mentre si allontana a cercare il materiale su cui
lavorare. Non è un’infrazione del protocollo, perché con tutto l’anestetico che
gli hanno iniettato non aprirà gli occhi per almeno un paio d’ore.
Immagina
la stanza perfettamente silenziosa se non per il fruscio delle ali di Timcampi
che prima o poi si stancherà, scivolando sul letto accanto al suo padroncino –
forse sistemandosi nel caldo e morbido spazio tra il collo e la spalla -, e la
luce del giorno che penetra schermata dalle pesanti tende tirate. La stanza è
piccola, appena sufficiente per due persone. È una delle poche a disporre di
due letti in tutta la stazione operativa. E il suo, di letto, è orientato verso
quello di Allen di modo che possa osservarlo sempre, sempre, in ogni momento.
Immagina
la porta scostarsi lentamente, emettendo il minimo rumore possibile. Il volto
tranquillo di Lenalee, occhi-carbuncoli neri e in questo momento non troppo
svegli, sulle guance ancora i graffi arrossati lasciati dall’ultima battaglia.
Può immaginare la sua espressione lievemente assonnata ma soddisfatta, i denti
che morderanno il labbro inferiore e il sorriso che si aprirà appena, quasi
timido, quasi cauto, quando scoprirà che nella stanza non c’è nessuno tranne
Allen, ed Allen dorme. Linalee si avvicinerà e si siederà sul bordo del letto,
facendolo cigolare un po’, spostandone l’inclinazione e lasciando scivolare il
viso assopito di Allen verso di lei. Alzerà appena quella sua piccola mano
bianca – la alzerà come la alza in battaglia – ma senza renderla letale, senza
imprimervi né forza né disperazione, solo affetto, affetto o – e poi la poserà
delicatamente, accarezzando i suoi capelli argentei (mano bianca che scompare
in un mare bianco e un contrasto così forzato), scorrendo le dita sulla fronte,
sulla cicatrice pentacolare, sulla guancia, sulla linea della mascella, sulle
labbra.
Sulle
–
Link
se le è immaginate molte volte. Sono piccole e sottili, lui si è immaginato la
loro consistenza, il loro calore.
Ora
Allen socchiuderà appena gli occhi, impastati dal sonno innaturale della droga,
la vedrà, e concentrerà tutte le sue energie per mostrarle il suo sorriso
migliore, e lei si chinerà appena, senza spostare la sua piccola mano bianca
dalla sua guancia, lui richiuderà gli occhi e –
Non
può svegliarsi, è sotto l’effetto della morfina!
Link è fermo nel corridoio da almeno venti
minuti. A volte sbircia da una fessura della porta, per assicurarsi che – che a
Walker non stia succedendo nulla di compromettente, e che Linalee sia al
sicuro, ma tutto quello che ha visto è stata la parigina nera di lei scivolare
arricciandosi sotto al ginocchio.
Lo sa che non è successo niente di
quello che si è immaginato, eppure non può fare a meno di sentirsi agitato e –
forse – geloso. Linalee è sdraiata in quella posizione indecorosa, non può
entrare e lavorare in quelle condizioni, non può, è irrispettoso.
È fuori dalla porta da due ore, ormai,
quando sente le loro voci attutite dal diaframma della porta. Raccoglie in
fretta i documenti che ha sistemato in pile ordinate sul pavimento e si rialza.
Tende l’orecchio. Non sente cosa dicono. Parlano piano, quasi come se
nascondessero qualcosa.
“Lenalee, se sei lì dento, esci subito!”
Grida.
Lei chiede scusa, ma passa qualche
minuto prima che i due aprano effettivamente la porta. Parlano ancora con quel
tono segreto, e Link darebbe qualsiasi cosa, pure la pila di documenti che ha
in mano, per sapere che cosa si stanno dicendo. Sente solo il nome di Lavi
pronunciato da Walker…
Poi lui apre la porta, Linalee esce,
occhi pesanti, abiti stropicciati e capelli spettinati per la dormita. La
fulmina con uno sguardo di pura gelosia – ma sta molto attento a farlo passere
per un semplice rimprovero.
“Walker –“
“Link, non arrabbiarti così tanto, dai…”
“Ho dovuto aspettare due ore fuori dalla
stanza. Sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa. Questo è – sei un incosciente
e dovrò fare rapporto.”
Non lo farà. Ma non lo ammetterà
nemmeno. Si avvicina a grandi falcate alla sua scrivania e vi lascia cadere la
pila di fogli con un tonfo. Allen è di nuovo sul letto, stordito. Sta lottando
contro il sonno, contro la nebbia che gli ottunde il cervello.
Link sospira. Sembra un sospiro di
rassegnazione ma è qualcosa di molto più doloroso. Perché due ore prima, così…
gli aveva detto –
Link se l’è immaginata più volte. Non
una vera e propria confessione. Si immagina piuttosto delle parole vaghe e
molto poco consistenti, qualcosa che potrebbe essere e potrebbe benissimo non
essere, ma che è per forza – si capisce dagli occhi.
E quella frase sembra proprio uscita da
uno dei suoi irrealizzabili sogni ad occhi aperti, è così spontanea che per un
momento, un piccolo, breve, indescrivibile momento, Link pensa che farà sul
serio quello che la sua mente ha immaginato. Ma è un irreprensibile, per cui le
gambe, come due macigni, rimangono ben piantate al suolo nonostante l’impulso
elettrico che gli sta invadendo il corpo.
“Forse,” dice Walker, “per me ormai sei
una presenza naturale come l’aria.”
Ma qui – qui non ci sono quegli sguardi
rivelatori… qui potrebbe significare qualsiasi cosa.
Link reprime l’impulso di precipitarsi
verso di lui, è così allenato che all’esterno non lascia intravedere la minima
traccia, il minimo segno di cedimento strutturale. Perché, anche se viaggia
spesso con la fantasia, ha ancora le idee molto precise su dove stia il confine
col mondo della realtà.
Per cui si volta e torna alla sua sedia.
E dalla sedia lo guarda addormentarsi.
Se
lo può immaginare perfettamente.
Walker
si stenderà sul letto, stanco, e il letto emetterà un cigolio poco convincente,
e fisserà il soffitto senza realmente vedere qualcosa. Solo, parlerà, dirà
quelle parole vaghe e molto poco consistenti: “Sai, forse per me sei diventato
una presenza naturale – come l’aria.”, e si volterà verso di lui – lo guarderà
con quello sguardo – con quegli occhi lunari che dischiuderanno tutto il
significato. E a Link tremeranno le gambe come se avesse preso una scossa
improvvisa, tremeranno le gambe e tutto il resto, si stringerà qualcosa nella
cassa toracica, e tutti i suoi muscoli urleranno di muoversi – e lui lo farà,
gambe torace e tutto il resto, lo farà, si avvicinerà al letto mantenendo fisso
lo sguardo rivelatore nello sguardo rivelatore di Allen, e si arrampicherà su
quella specie di rupe inconquistabile fatta di materasso e lenzuola,
appoggiando le ginocchia contro i due stretti fianchi di Allen fasciati dalla
benda appena più pallida di lui – si puntellerà sulle braccia, guardandolo
dritto negli occhi senza dover dire una parola, una sola parola vaga e davvero
poco consistente.
Può
immaginarselo benissimo perché ormai è una visione quasi familiare. Si lascerà
scivolare – questione di qualche secondo – verso il basso, verso il suo viso.
Allen si tenderà lievemente all’insù, inarcando la schiena, accerchiandolo con le
sue braccia, trascinandolo a sé… giocherà con la sua frangia, dita arricciate
tra i capelli, e poi scorrerà sulla linea appuntita del suo volto per prenderlo
in giro. Ma alla fine dovrà baciarlo. Per forza. Lo lascerà esplorare con la
bocca tutti quei punti che sembrano aver conservato in lui ancora la morbidezza
dell’infanzia – le guance, il collo, la lieve curvatura delle spalle. Lo
lascerà giocare con quelle parti del torso che non sono coperte dalle bende
mentre lui gli slaccerà il cravattino e gli sfilerà il gilet e la camicia. Così
potrà rialzarsi, potrà fare più o meno qualsiasi cosa. Ma, prima di qualsiasi
cosa, accarezzerà con la punta delle dita: torace ventre inguine cosce
polpacci, fino alle caviglie, strette, piccole caviglie bianche che spuntano
nude dall’orlo dei pantaloni - le sue
caviglie troppo magre, l’osso sporgente. Accarezzerà le sue caviglie ossute
prima di potersi dedicare a qualsiasi altra cosa, come ad annientare i vestiti
e –
“Link. Mi è venuta fame.”
Link posa il foglio su cui finge di
scrivere un rapporto inesistente e lo guarda con un’espressione perfettamente
stoica.
Dice: “Allora andiamo.”
***
Forse
avrei dovuto avvertire tutti i lettori di una cosa molto, molto, molto
importante: a volte mi dimentico per un po' delle mie storie. Nel senso
che magari ci metto un mese ad aggiornare. Comunque ho tutto sotto
controllo, ho scritto cinque capitoli su cinque, la vita è
meravigliosa e un mese è sempre meno dei tempi escatologici di
uscita del manga.
Detto questo: sono sopravvissuta alla sessione d'esame! Sono una donna
libera! Il mondo è un posto migliore, adesso. Vi faccio notare
la mia totale incompetenza nello scrivere lemon. Ve le risparmio
perché le lemon scritte male sono la cosa peggiore che uno possa
leggere. In compenso siete libere di immaginare tutto ciò che
volete (come Link, che è un naughty boy), di scrivere spin-off,
di disegnare, di esprimere il fansevice in ogni sua forma.
Bene, ringrazio XShadeShinra ed Eli_star per la recensione. HarleyQuinn va
ringraziata anche per avermi accompagnata il Giorno Del Giudizio, ma
questa è un'altra storia. Grazie a chi mette nei
preferiti/seguiti/ricordatih!
Alla prossima X*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Caviglie ***
imm 03
Titolo: Caviglie
Capitolo: 3/5
Raiting: Rosa salmone (???)
Genere: Introspettivo, Implied Lemon, Linkromanticism.
Avvertimenti: Come prima. Shonen-ai. Nessun setting in particolare.
A Bartek, che non è più qui con noi.
E al mio stupido fratellino che invece ce lo può ancora raccontare.
3.
Caviglie
Gli succedeva anche con Madarao. E con
Tevak.
Gli è sempre successo, e non ha mai
pensato che potesse essere altrimenti. Perché in ogni modo possa andare la vita
reale, a lui resta comunque qualcosa di non finito (o nemmeno iniziato), qualcosa
di lasciato indietro, qualcosa senza speranza, impossibile, eppure qualcosa che
vuole con tutta la sua forza. E c’è uno spazio – questo piccolo contenitore
interiore senza tempo e senza nessuna legge fisica che lo controlli – in cui i
pensieri si manifestano con una assoluta spontaneità, con una facilità
incredibile, e restano sospesi senza dover mai assumere quella consistenza che
li renderebbe pericolosi. Sono solo sogni ad occhi aperti. Immaginazione.
Link ha un’immaginazione molto
sviluppata. Forse perché legge molto. O forse legge molto perché gli piace
immaginare. Gli è sempre successo, e in un certo senso ha sempre saputo che
quei pochi minuti trascorsi con gli occhi rivolti dentro se stesso lo hanno
salvato tante volte dalla disperazione.
Gli succedeva anche con Madarao. E con
Tevak. Gli è successo più o meno con tutti i suoi compagni – se li ricorda
ancora, piccoli, frastornati, erano tutti spaventati a morte da quello che
accadeva attorno a loro, da quello che accadeva a loro, e si stringevano con
quell’umanità che ancora non era stata eviscerata dalle loro anime, con
l’affetto con cui si possono stringere i bambini.
Gli succedeva con Madarao semplicemente
perché lui era il più forte e il più bello e il più resistente e il più feroce
di tutti, e le prime volte in battaglia, durante i primi seri allenamenti –
quelli che hanno distrutto e ricostruito il loro fisico e la loro mente – si
alzava sempre, sempre, non importava quanto profondamente fosse ferito. Si
immaginava spesso di essere come lui, di essere ammirato da lui. Si immaginava
il futuro in cui avrebbero lavorato fianco a fianco, come compagni di squadra,
i più potenti in assoluto, quasi invincibili, e avrebbero dormito con la
schiena appoggiata l’una contro l’altra in una specie di rapporto di
amore-fiducia che strabiliava qualsiasi altro legame (perché allora Link aveva
un così disperato bisogno di credere a qualsiasi genere di legame).
Gli succedeva spesso anche con Tevak. All’inizio
perché era la più piccola, e lui era ancora un bambino troppo orgoglioso per
ammettere di essere impaurito quanto lei. Link e Madarao la stringevano in un
cerchio di protezione del tutto riservato, e lei un po’ si sentiva sollevata.
Tevak era anche molto bella. Davvero. Era bella, e aveva deciso di lasciar
crescere i suoi biondi capelli finché ne avesse avuto la forza, e con gli anni
li avevano visti ricadere come onde in un mare colore del grano sulla sua
piccola schiena-scogliera, una schiena di roccia, forte come roccia,
inespugnabile come una falesia. Si era immaginato così tante volte di poterla
scalare, di navigare il mare dorato, affondando le dita e drenando, lentamente,
delicatamente, quella superficie serica…
Così, la prima volta che la mente –
quasi senza accorgersene – è scivolata verso quel genere di pensieri con Allen
Walker, non si è davvero preoccupato, né stupito. È successo e basta. È successo esattamente come tutte le altre volte
– un pensiero spontaneo, germogliato come un bocciolo per la luce del sole, e poi
dischiuso.
Link è l’ombra di Allen Walker da più di
tre mesi. Lo segue ovunque. Lo affianca ovunque. Non lo abbandona nemmeno nei
momenti più privati. Gli esseri umani non sono fatti per questo genere di
legami che non lasciano il minimo spiraglio di libertà, per cui, dopo qualche
tempo, l’ispettore allenta leggermente la presa. Rimane comunque un’ombra. In
tre mesi ha calcolato di aver passato più tempo con Allen Walker che con la
maggior parte delle persone che ha conosciuto.
Link se lo può immaginare. Sospetta che
arriverà a questo punto. Nella nitida scansione delle sue giornate, che non
lasciano nulla, nulla dietro di loro, solo un senso di sterilità opprimente, ha
ancora bisogno di una via di fuga. Ha ancora bisogno di ritagliarsi quello
spazio invisibile, tra le pareti sicure nella sua testa – e Allen – Allen è
quasi più indulgente, si abitua ogni giorno di più alla sua presenza (si
abituano, si plasmano a vicenda come per far combaciare i loro angoli e le loro
curve), è gentile, è già stretto in questo legame straordinario… ed è bianco,
bianco e pallido come la luna, di una luminosità quasi elettrica, di un candore
abbagliante e –
Lo accompagna ovunque perché questo è il suo compito. Ma si rende conto che gli
sta rubando spazio, e che ci sono zone dove le persone, gli estranei, non
dovrebbero essere ammessi. Come i bagni. Per cui, più per rispetto che per
pudore, quando Allen Walker si fa un bagno, resta tutto il tempo con la schiena
appoggiata alla vasca senza guardare.
– e così magro, troppo magro, come può
essere così magro, con le ossa ancora sottili in rilievo sulla pelle, costole
accessibili, e zigomi e polsi – e – e-
Quelle
piccole caviglie bianche –
Non sa perché ha notato proprio quel
particolare.
Allen scivola dalla vasca da bagno,
avvolto malamente in un lungo asciugamano che gli copre la testa bagnata e il
corpo fino al polpaccio, lasciando scoperte le caviglie, e Link osserva per
caso, e le guarda per la prima volta con attenzione, aggrottando la fronte
senza nemmeno accorgersene, le studia – sottili, pallide, sporgenza dell’osso e
un piccolo neo proprio sotto la curva interna della tibia destra.
Se
lo può immaginare perfettamente.
Walker
farà un passo verso il lavandino, lasciando sul pavimento un’impronta bagnata.
La stanza sarà umida ed incredibilmente afosa e tutti i vetri appannati, per
cui avrà socchiuso la porta, dal piccolo spiraglio penetrerà il buio della
camera da letto e un filo di freddo. Lascerà cadere l’asciugamano dalla testa,
la stoffa pesante si adagerà sulle spalle come un cappuccio, quasi più opaca
della sua pelle. Afferrerà un pettine dalla mensola e se lo passerà tra i
capelli (capelli argento, un mare d’argento) con lentezza, con attenzione,
mentre lo specchio gradualmente si spannerà, mentre l’asciugamano scivolerà
sulla spalla, una piccola spalla bianca dalla clavicola sporgente, lasciando
scoperta una minima parte della schiena (schiena bianca, una bianca scogliera
inespugnabile – come può avere quel colore?).
Se
la può immaginare la mano ossuta che afferrerà il lembo di stoffa prima che
ceda del tutto. Non si volterà, Allen, e lui sarà ancora seduto sul pavimento a
fissare. Ci sarà qualcosa di innaturale, di fluido, nel modo in cui Allen si occuperà
dei suoi capelli – lo può vedere. Ci sarà – non appena il vetro si libererà
dalla condensa – ci sarà uno sguardo che lo fisserà dallo specchio, un po’
sfocato, ancora un po’ traballante per le piccole goccioline che lo renderanno
indecifrabile, uno sguardo espressionista per le rifrazioni acquatiche – eppure
uno sguardo inconfondibile: con la testa inclinata vedrà un volto attento,
lucido, labbra dischiuse a mostrare una linea sottile di denti perlacei, occhi
concentrati e puntati a lui. Occhi concentrati –
Con
un movimento improvviso (se lo immagina flessuoso come quello di un felino, ma
anche rapace) farà cadere a terra l’asciugamano. Poi, ci metterà un’eternità
per voltarsi e –
Allen si volta, spazzolino in bocca.
Link registra il movimento non appena i muscoli del ragazzo si muovono. Si alza
in piedi.
“Che ore sono?”
Le parole sono confuse. Ha la bocca
sporca di dentifricio.
“Quasi mezzanotte, Walker.”
“Perché –” Dice. Si sciacqua la bocca.
“perché proprio non ho sonno.”
“Eppure ti sei allenato tutto il
giorno.”
Allen scrolla le piccole spalle ancora
perfettamente avvolte dall’asciugamano.
“Vorrei camminare un po’. Fuori.”
Propone educatamente.
“Allora rivestiti.”
Link è brusco, ma non più severo. Gli
chiede di rivestirsi non perché trova qualcosa di sbagliato nel suo stare a
parlare avvolto solo nell’asciugamano, ma perché per fare qualsiasi altra cosa
voglia fare, ha bisogno di essere vestito.
Lo accompagnerà a passeggiare nella
radura anche a mezzanotte. Lascia andare un sospiro di rassegnazione, talmente
simile ad un sospiro d’impazienza che quasi non si potrebbero distinguere, e
segue Walker nella camera fredda e semibuia.
Si appoggia alla parete, gli dà la schiena.
Ma se lo può immaginare perfettamente.
***
Oh
cavolo, sono successe davvero tante cose nella mia vita! Questa volta
giuro che non è solo colpa della mia pigrizia! Mss_Coffin_Maker,
confermami! C'è stato l'Affare Bart e l'Incidente Tesi e la Lunga
Preparazione alla Mia Waterloo, 23/02/2011, potrei fare delle
bomboniere.
Inoltre,
colta da un raptus di follia, ho accantonato l'insano progetto di
gender bender con protagonista siddetto Kanda Yuu, per scrivere una
longfic multichapter Lavi/Yuu che sta venendo una costa molto seria e
angsty e di cui ho già pronti tre capitoli!!! Lo so che tutti i miei
sforzi verranno vanificati con le prossime scans e io dovrò
accontentarmi del what if...? Uffa. Uffaaaaa. UFFA. Life is pain.
Ringrazio nuovamente Eli_star e XShadeShinra e Miss_Coffin_Maker per i cinque minuti che mi hanno dedicato.
Baci :3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cadere nella polvere ***
imm 04
Titolo: Cadere nella polvere
Capitolo: 4/5
Raiting: Non ci riesco. Non lo so fare. E' tutto molto angst.
Genere: Introspettivo, Linkromanticism. ANGST.
Avvertimenti: Shonen-ai. Robe deprimenti.
4.
Cadere nella polvere.
A
volte Link se lo immagina.
È
uno dei suoi pensieri fissi, una delle sue più grandi paure. A volte si
immagina cosa vuol dire cadere in battaglia. Si immagina la morte arrivare – a
volte è veloce e sorprendente come la mossa inaspettata del suo avversario, a
volte è una lenta agonia, sangue che cola da qualche squarcio nel ventre, corpo
disteso nel fango, respiro sempre più insignificante – odore di ferro, liquido
ferroso in bocca e nelle narici -, freddo, rigidità, buio. C’è sempre molto
dolore coinvolto.
Eppure
la propria morte non è la cosa più sconvolgente che gli capiti di immaginare. È
stato addestrato per accettarla come prezzo equo nel bilancio della battaglia
che stanno combattendo. La vede ogni giorno farsi più vicina, più probabile –
non riesce nemmeno a credere che vi sfuggirà – che morirà in pace, vecchio, in
una casa tutta sua, in un giardino tutto suo, con un sorriso – non ci riesce, è
perfettamente consapevole che morirà in battaglia.
Come
tutti i suoi compagni.
Ma
pensare a loro… alla loro morte – questa è tra tutte la cosa più terribile.
Link
se lo immaginava benissimo il momento in cui Madarao sarebbe stato trafitto. A
volte ci pensava prima di chiudere gli occhi e addormentarsi, col cuore che
accelerava i battiti e respiri che si facevano più profondi. Una lama – chissà
perché una lama -, vedeva una lama acuminata, la punta di una spada, colpirlo e
affondare nella sua pancia, lo vedeva esitare un istante, trattenendo il fiato
gelido come se in questo modo potesse preservarsi per sempre, e poi infine
cedere, scivolando sul terreno coperto di altri resti umani.
Immaginava
di vedere tutto, di essere assalito da una furia cieca, di colpire, e farsi
largo tra le schiere di demoni col cadavere ancora caldo di Madarao fino alle
proprie linee, immaginava di arrivare a nascondersi sotto qualche cresta
rocciosa, o in un tugurio, o dietro a brandelli ammassati di case, e di doverlo
lasciare lì, seppellito nella polvere – nemmeno una lacrima, solo parole di
conforto, parole che vogliono dare forza e solennità al momento dell’addio.
Era
quel periodo in cui cercava così disperatamente dei legami… e quelle figure
attorno a lui, quei bambini con cui era cresciuto, forti ed impassibili e ormai
disumani, quelle cinque persone che considerava segretamente la sua unica
famiglia erano – le più precarie di tutte.
I minuti di calma durante una battaglia
sono sempre terribili. Sono spaventosi. Sono come dilatati nell’angoscia. Non
si vede mai niente. Nella confusione generale non si capisce mai niente, se non
il vago senso di essere ancora vivo. Non si capisce chi è sopravvissuto e chi è
caduto. Si sente solo una paura folle attanagliare ogni fibra del corpo, ogni
pensiero è una scossa elettrica, ogni respiro è come deglutire acqua gelida.
Durante la battaglia, no, è il corpo che reagisce. Solo i muscoli. Si muovono e
riempiono il tempo col ritmo dei colpi mortali sferrati nell’unico desiderio di
vincere.
C’è un breve attimo di pausa. Una
sospensione carica di brutti presagi. Link non vede nessuno. È solo. È certo
che stanno per attaccare. Non sa più dov’è Walker, dove sono i suoi compagni,
come li ritroverà, non sa – non sa se sono ancora vivi o se è rimasto l’unico –
l’ultimo sopravvissuto.
Ma ora sta perdendo l’uso del proprio
corpo. Sta per cedere, sta per cadere a terra, sta per essere schiacciato come
una bambola di porcellana. Sta per svanire – non vede niente –
Eppure conserva una parte della sua
lucidità.
Se
lo è immaginato già diverse volte.
Walker
è un ragazzino gettato in mezzo a una guerra. Sono tutti ragazzi gettati in
mezzo a una guerra, come se la guerra fosse una cosa da ragazzi, e sono tutti
appesi allo stesso sottilissimo filo.
Sono
tre mesi che lo segue ovunque e già non ricorda quante volte è stato in
pericolo mortale, quante volta ha creduto che fosse davvero la fine.
Quanto
è andato vicino – alla morte.
Ora
se lo può immaginare benissimo. I corridoi bui dell’orfanotrofio che
profumavano di pulito adesso hanno un odore di cenere. Le pareti sono state
sventrate e il corrimano ligneo della scala è caduto, spezzato a metà dal colpo
netto di un Akuma. Tra la polvere e i resti umani mummificati come lui si
muovono cauti i due schieramenti, aspettando, valutando le distanze, per poi
attaccare.
Può
immaginarsi che in battaglia saranno rimasti Yuu Kanda, forse Marie, forse il
piccolo Timothy, sicuramente Allen Walker. Kanda attaccherà ferocemente facendo
a pezzi tutto ciò che incontrerà di fronte a sé. Kanda – lo vede per un attimo
sfrecciare sul pavimento dissestato, soprabito che si alzerà per la velocità
del movimento, prima che sparisca lanciandosi dietro a un Akuma.
Se
lo può immaginare ora, Walker, Allen Walker solo, con i suoi artigli sguainati,
fronteggiare un Livello 4. Può immaginarsi il suo sguardo determinato e la sua
postura un po’ scomposta – ma più di ogni altra cosa può immaginarsi i suoi
pensieri, la sua paura, la paura che scorre come adrenalina nelle vene e che fa
fremere i muscoli e dilatare le narici e digrignare i denti, la pura che
cancella ogni altra sensazione – dolore, sensi di colpa, strategie -, la stessa
paura che prova lui ogni volta, la stessa paura che provano tutti quando si
trovano così vicini alla morte.
Allen
avrà quella sua maschera sul volto, una sottile barriera che lo difende dallo
scherno dell’Akuma, e il mantello bianco lo avvolgerà come un bozzolo
protettivo, l’unica fonte di luce in quell’oscurità spettrale, l’unica cosa
investita di una certa consistenza eppure così precaria.
La
massa raggomitolata-Allen si lancerà, prima o poi, afferrando con le lunghe
dita uncinate la testa dell’Akuma, colpendo, sfregiando, schiacciando. Anche il
Livello 4 contrattaccherà. Dalla sua bocca uscirà un potere spaventoso come
dalla bocca di un cannone.
Link
non sa di preciso quanto durerà il combattimento. Steso a terra, immobile,
incapace di percepire, ha solo una vaga intuizione dei movimenti che lo
circondano.
Ma
può immaginarsi la forza di un Akuma di quarto Livello e quella di Walker con
la sua stanchezza di essere umano e i limiti dei suoi quindici anni di età, e
in un breve momento i suoi pensieri scartano dal campo di battaglia – vedono –
vedono tra le assi divelte della stanza un qualcosa di argenteo e consistente
precipitare con un rumore come di schiocco, e la figura rigida dell’Akuma
catapultarsi con tutto il suo peso spaventoso sopra il punto dell’impatto,
raccogliere tutta la potenza rimasta sulla punta delle dita e liberarla in un
unico colpo.
Lo
può immaginare benissimo. Il braccio proteso dell’Akuma – nodoso e plastico
come fosse scolpito nel legno – trafiggerà il petto di Walker in un unico
affondo, penetrando il mantello candido, penetrando la carne e le ossa, e
stringerà il suo cuore – il suo cuore troppo giovane per essere di nuovo
sfiorato in quella maniera così sporca -, e lo stringerà, lo farà esplodere.
E
lui – steso a terra –
Se
la può immaginare benissimo una battaglia persa. Non c’è ragione per vincere
sempre le battaglie, e prima o poi la fortuna gira. Lo sa che Allen Walker è un
ragazzo fortunato. Ma è anche un ragazzo-guerriero, come lui, come Madarao e
tutti gli altri, uno la cui vita è appesa a un filo precario, uno destinato a
morire in battaglia.
Se
lo immagina – non potrà nemmeno gridare. Se morisse oggi, non potrà nemmeno
compiere quell’ultimo, importantissimo gesto di affetto, di devozione, non
potrà nemmeno recitare quelle ultime parole di amore alle quali si è sempre
attaccato come una consolazione. Non potrà fare niente per lui. Niente.
Alla fine deve esserci riuscito. Col
sangue che riprende lentamente a scorrere nelle vene, coi muscoli che si
elasticizzano ed ogni parte di sé che torna a rispondere al suo comando –
Per qualche secondo rimane immobile,
raccogliendo le forze per alzarsi ed il coraggio di guardare.
Ed è esattamente come ha immaginato:
sono rimasti tutti in piedi, il bambino con l’Innocence incastonata nella
testa, Yuu Kanda, Marie –
Allen – il suo sosia, il pagliaccio,
combatte con la sua evocazione a forma di spada.
È tutto molto veloce, i suoi sensi
atrofizzati ancora non colgono con precisione lo svolgimento della battaglia.
Ma sente la sua voce. È la voce di un ragazzo di quindici anni, e per quanto
provi a nasconderlo, non riesce a mascherare il panico che lo invade.
Non è ancora finita. Ma rialzandosi per
riprendere a combattere, non può che tirare un sospiro di sollievo.
***
Non
è che mi sono dimenticata questa fanfiction. E' che mi sono
completamente dimenticata di questo sito. E di avere una specie di
vita, insomma... Non importa. L'ultimo capitolo verrà
postato, prima o poi. Promesso! C'é ancora qualcuno che legge
questa storia? Ho risposto a tutte i gentili lettori che mi hanno
lasciato una recensione: eli_star, XShadeShinra & Iced_Dust. <3
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=634206
|