Exogenesis di Stregatta (/viewuser.php?uid=26340)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fisica delle particelle - prima parte ***
Capitolo 3: *** Fisica delle particelle - seconda parte ***
Capitolo 4: *** Antiatomo ***
Capitolo 5: *** Pressione critica ***
Capitolo 6: *** Principio di inerzia ***
Capitolo 7: *** Pulsar ***
Capitolo 8: *** Apice solare ***
Capitolo 9: *** Punto di ebollizione ***
Capitolo 10: *** Innalzamento ebullioscopico ***
Capitolo 11: *** Energia del vuoto ***
Capitolo 12: *** Big Rip ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Exogenesis
Prologo
Era
tornato.
A
scuola, dietro gli sportelli degli armadietti, durante
l’intervallo
e persino nelle ore di lezione, l’argomento sulla bocca di
tutti
era solo uno.
Era
tornato.
In
verità suscitare scandalo e portare scompiglio al liceo
statale di
Teignmouth non era davvero così difficile: in una cittadina
di circa
quindicimila anime anche il minimo evento fuori
dall’ordinario
godeva di un’eccezionale risonanza.
Era qualcosa del quale Dominic Howard non avrebbe mai smesso di
stupirsi.
Aprendo
il proprio armadietto ed estraendone il libro di algebra, il ragazzo
cercò di ignorare le querule voci di due ragazze che
ridacchiavano e
ciarlavano alle sue spalle.
-
Così è tornato!-
-
Già, già.-
-
Certo che ha del fegato a ripresentarsi qui… A me non sembra
neanche guarito, a giudicare dalla faccia!-
Altri
fastidiosi risolini, poi le due ragazze si allontanarono dai loro
armadietti in prossimità di quello di Dominic, che lo
richiuse con
energia.
Diamine,
quella storia lo infastidiva da morire.
Ok,
Matthew Bellamy era tornato a scuola… E allora?
Evidentemente
era riuscito a superare i suoi problemi, quelli che lo avevano
ridotto al rango di barzelletta dell’intera
collettività locale.
La
campanella suonò in quell’istante, seguita da un
languido e labile
coro di gemiti di disappunto da parte degli studenti.
Un’altra
allegra mattinata scolastica, insomma.
Nessuna
novità avrebbe potuto cancellare la routine grigia della
popolazione
adolescenziale di Teignmouth.
All’ora
di uscita Dominic raccattò in tutta fretta le proprie cose,
senza
salutare nessuno e avviandosi a passo celere verso la porta
dell’aula
per guadagnare finalmente un soffio d’aria non viziata dai
respiri
di altri venti ragazzi… Certo, se alcuni di loro avessero
avuto più
familiarità col sapone sarebbe stato già un passo
avanti nel
rendere accettabile quella quotidiana convivenza forzata.
Si
sforzò di ignorare la baraonda di ragazzi urlanti che lo
circondavano.
Gli
arrivò uno spintone, che lo gettò a terra e gli
strappò un grido
soffocato.
-
Cazzo… Scusa! – esclamò una voce alle
sue spalle, prima che il
proprietario schizzasse via come una scheggia verso l’uscita,
senza
neanche voltarsi indietro a controllare i danni provocati dalla
propria goffaggine.
Spolverandosi
con aria torva i pantaloni sulle ginocchia, Dominic sibilò
fra sé:
- Idiota.-
Attese
che la folla si diradasse lasciando spazio allo sparuto corteo dei
ritardatari, al quale si unì caracollando pigramente.
Un
giorno assolutamente, uniformemente, inevitabilmente normale.
Quando
passò di fronte alla variopinta bacheca degli annunci appesa
vicino
all’uscita, Dominic le gettò uno sguardo distratto.
Uno
sgargiante manifesto attirò la sua attenzione –
poche parole
stampate alla bell’e meglio su sfondo color giallo
fluorescente,
una parte di esso era occupata da un casellario per le firme.
Per
la prima volta in quella giornata – anzi, in quella lunga
sequenza
di giornate trascinatesi da settembre fino a quel giorno di novembre
– Dominic Howard sorrise, spinto da un sentimento di vaga
aspettativa.
Casa Howard
era l’ultima del quartiere.
In
generale a Dominic questo non pesava molto: provava un curioso
piacere nel passare di fronte alle case dei vicini, addobbate di
panni distesi ad asciugare, di giocattoli, statue e vasi vuoti sparsi
in giardino ed esposti ad ogni genere di intemperie.
Spesso
però tale “giardino” era solo un
fazzoletto d’erba
spelacchiato abbandonato di fronte alla soglia di casa e decorato
solo di tarassachi e pratoline: nulla di studiato, nulla di curato.
Non
era un quartiere popolato di nababbi, quello, e la gente preferiva
spendere soldi per generi di prima necessità e non
scialacquarli in
sciccherie superflue.
La
famiglia di Dominic non faceva eccezione, ovviamente.
Il
ragazzo ogni tanto si chiedeva se non valesse la pena di spendere
qualche penny per acquistare qualcosa in grado di scacciare via lo
squallore che regnava fuori e dentro le quattro mura che
l’avevano
visto crescere fino ad allora.
Anche
se una ventata di colore all’esterno avrebbe costituito solo
una
bugia di cattivo gusto, un’illusione che non sarebbe servita
a
nessuno.
Il
cancelletto rotto cigolò, salutando per primo il ritorno di
Dominic
a casa.
Calpestando
i pochi fili d’erba del vialetto per evitare di imbrattarsi
le
scarpe del fango dal quale erano circondati, Dominic alzò lo
sguardo
verso la casa dei vicini.
-
Taglialo dritto, scema!-
-
Tu sei scema!-
-
No, tu!-
Le
gemelline Bradford, sedute in veranda, stavano litigando come al
solito: da sopra la staccionata Dom riuscì ad intravedere
che
entrambe avevano in mano delle forbici ed un foglio di carta
ripiegato più volte.
In
quel momento la signora Bradford si affacciò dalla porta,
minacciando le figlie con un lungo cucchiaio di legno: - Finitela di
litigare, voi due!-
Angelica
Bradford batté i piedi a terra, indicando la
sorella: - Ha cominciato lei!-
Dominic
scosse il capo, prevedendo ciò che accadde subito dopo:
Samantha
Bradford spalancò gli occhi verdi quanto quelli della
sorella,
assumendo l’aria innocente che sfoggiava solo in determinate
occasioni, e replicò precipitosamente: - Mamma, tu non
puoi davvero credere che abbia cominciato io!-
E
perché no? Sei sempre tu quella che inizia. Mocciosa infida.
La
madre trascinò in veranda il suo personale voluminoso
rivestito di
uno sgargiante camicione a fiori che le arrivava fino ai piedi,
sempre con quel cucchiaione pendolante fra le mani.
Ponendosi
le mani sui fianchi, dedicò un’occhiataccia ad
entrambe le
bambine, borbottando: - Vorrei proprio sapere perché non vi
riesce
di comportarvi da brave sorelle, tutte e due.-
Angelica
e Samantha chinarono i capi umilmente di fronte alla reprimenda della
signora Bradford, ma non smisero di fissarsi di sottecchi con aperta
ostilità.
Dominic
sospirò, decidendo all’improvviso di averne
abbastanza di quello
spettacolo, e salì gli scalini che portavano dal piccolo
portico di
casa sua alla soglia.
La
porta era solo accostata, e la voce di sua madre lo raggiunse
immediatamente.
-
Be’, ammetto che è stata una sorpresa un
po’ per tutti!-
Una
donna dal tono di voce fin troppo sommesso mormorò qualcosa,
e la
signora Howard rise di cuore: - Cara Marilyn, tutti hanno dei
grattacapi in famiglia! –
Indubbiamente,
mammina
aggiunse mentalmente Dom in tono ironico, cercando allo stesso tempo
di associare il nome dell’ospite ad un volto.
Marilyn,
Marilyn…?
Cercò
di sgattaiolare su per le scale, nel tentativo di rifugiarsi in
camera sua senza essere visto, ma purtroppo per lui era impossibile
raggiungere la meta stabilita senza passare di fronte alla porta
aperta del soggiorno.
-
Dommy ! Non vieni a salutarmi?-
Sospirando
quietamente, Dominic accostò appena le labbra alla guancia
della
madre nel solito bacino d’ordinanza.
La
donna seduta in poltrona di fronte alla signora Howard sorrise
debolmente nell’osservare il gesto del ragazzo, che
finalmente la
riconobbe.
Marilyn
Bellamy, perché non ci aveva pensato subito?
La
famigerata dama di carità Diane Howard che prendeva un
tè con la
madre dello scemo del villaggio. Quel
cliché.
-
Dominic… Cielo, come sei cresciuto in questi mesi!-
-
Non tanto, a dire il vero… Ma i maschi non dovrebbero
crescere
tutti d’un botto?-
Diane
allungò un braccio per acciambellarlo attorno alla vita del
figlio,
guardandolo dal basso verso l’alto: - Quando diventerai alto
come
tuo padre, eh, Dommy?-
La
delicatezza che Dominic pose nello sganciarsi dall’abbraccio
della
madre era un riguardo più nei confronti della signora
Bellamy che
quelli della sua stessa genitrice.
-
Diane, in fondo c’è ancora tempo… E
comunque è già un gran bel
giovanotto.- argomentò cortesemente Marilyn, prendendo un
sorso di
tè dalla tazza che stringeva fra le mani.
Era
come se stesse tentando di prendere le distanze
dall’ostilità
repressa fra madre e figlio, ma allo stesso tempo a Dominic il suo
sguardo sembrò quasi… Comprensivo.
Il ragazzo si sentì un po’ infastidito, ma
apprezzò comunque quel
tacito sostegno: ogni alleanza era ben accetta, in tempo di
necessità.
-
Vado in camera mia.- annunciò finalmente Dominic, e mentre
usciva
Diane commentò tranquillamente: - Certo, tesoro.-
Dominic
divorò i gradini due alla volta, sbattendo la porta con
noncuranza
dietro di sé nell’entrare.
Si
gettò sul letto, non prima di aver notato che fosse stato
rifatto
con la cura meticolosa che è proprietà universale
di ogni madre –
le aveva detto di non entrare in camera sua. Glielo ricordava ogni
volta e lei puntualmente lo ignorava.
Si
rifiutò di prendersela per questo, allungandosi a
mo’ di gatto
sulla superficie del proprio materasso.
Sospirò,
soddisfatto. Infilò una mano in una tasca dei suoi ampi
jeans
sdruciti, riscaldando le punte delle dita infreddolite.
Sospirò
ancora, stavolta con un sorriso leggero sulle labbra.
Da
un angolo della minuscola camera, poco felicemente incassata
all’incrocio fra due pareti, la sua batteria esponeva le
proprie
cromature alla fioca luce che penetrava dalla finestra a
ghigliottina.
Un
gregge di nuvole color grigio perla galleggiava nel cielo, soffocando
il sole basso nella loro lanugine.
Entro
l’ora di cena avrebbe piovuto, constatò Dominic,
sfilando le mani
dalle accoglienti aperture nelle quali avevano appena cominciato ad
intiepidirsi.
Chiuse
gli occhi, rivedendo contro lo sfondo scuro delle palpebre abbassate
il nero sbiadito dei caratteri impressi sul manifesto letto a scuola
– ormai conosceva a menadito il contenuto
dell’annuncio.
Il
complesso jazz della scuola cercava un nuovo batterista.
Il
precedente, un ragazzo del secondo anno, si era rotto un braccio
giocando a basket ed ovviamente si era visto costretto a dare
forfait; quando l’aveva saputo, Dominic non aveva potuto fare
a
meno di sperare che il complesso organizzasse delle audizioni per
individuare un sostituto.
Una
volta tanto, sognare quel poco che si era concesso in quelle
circostanze non gli si era ritorto contro.
Un
brivido di eccitazione gli riverberò nel ventre, piacevole e
caldo.
Tirandosi
su a sedere sul ciglio del materasso, Dominic si rivolse direttamente
alla batteria poco lontana: - Vogliamo riprovarci, piccola?-
I
cimbali e le altre parti lucide non brillavano più; il sole
era
tramontato dietro le colline.
Stando
in silenzio, la risacca fomentata dal vento teso era perfettamente
udibile nel suo monotono andirivieni anche da lì.
Una
macchina dalla marmitta evidentemente esausta passò
borbottante giù
in strada, un motorino ronzò acuto subito dopo di lei.
Dominic
si alzò in piedi, quando la quiete di quel pomeriggio
novembrino si
ripresentò con il suo familiare canto d’acqua
sciabordante.
Certe
volte si chiedeva se quel suono non facesse il lavaggio del cervello
a tutti, se anche solo quello strascicato fruscio avesse il potere di
erodere le menti degli abitanti come faceva con i sassi e le
conchiglie.
Quanti
desideri si era ripreso il mare di Teignmouth? Quante vite aveva
modellato e consunto?
Le
bacchette erano sulle scrivania, pronte all’uso.
Anche
loro portavano segni di un lavorio violento ed implacabile lungo il
loro stelo.
Il
legno sembrava essere venuto via a morsi, strappato furiosamente da
mani che pure le amavano come ogni musicista ama il proprio
strumento.
Dominic
le afferrò, accendendo poi la luce e mormorando fra i denti:
-
Facciamo casino.-
Quando
smise di suonare, pioveva.
Quella
era acqua diversa, non frusciava e non mangiucchiava nulla. Aveva un
ritmo serrato, galoppante. Se avesse deciso di divorarti, lo avrebbe
fatto in fretta come se avesse avuto qualcuno alle calcagna.
A
proposito di “divorare” … Cazzo, che
fame!
Il
piatto fumava già di zuppa bollente, quando Dominic prese
posto a
tavola.
Il
lampadario della sala proiettava un alone giallastro lungo le pareti,
e si rifletteva anche sulla tovaglia bianca e sul volto tondo e gaio
di sua madre, colorando le sue guance di una strana sfumatura
paglierina.
Diane
affondò il cucchiaio nella propria scodella, tirandone su
una
discreta dose di brodo.
-
Mhmmm…- mugolò, evidentemente apprezzando la
propria opera.
Il
figlio non diede mostra di notare la sua reazione, tenendo gli occhi
bassi sul piatto.
-
Che ne pensi, Dommy? Io trovo che sia squisita!-
In
effetti la zuppa non era niente male, forse non abbastanza densa ma
comunque buona; Dominic annuì silenziosamente, continuando
come
sempre a mangiare e ad ascoltare ciò che sua madre stava
allegramente cinguettando.
-
Sai cosa ci ho aggiunto? Un po’ di cumino. Ricordi che
l’avevo
comprato per quelle frittelle, tempo fa? Ecco, a quanto pare sta bene
anche nella zuppa.-
Dominic
assentì senza parlare, versandosi dell’acqua dalla
brocca di
coccio sul tavolo.
-
Di solito non sono una che sperimenta, lo sai bene …
Però, sai,
ogni tanto ho anche voglia di variare un po’, di cambiare
sapori!
Devo chiedere a Marilyn qualche altro consiglio … Che donna
in
gamba! Peccato per quello che le è successo … Lei
e suo marito
hanno divorziato due anni fa, vive con sua madre, il suo figlio
maggiore è terribilmente ribelle e il più
piccolo… Be’,
insomma…-
Solito
cenno del capo, solito tacito disinteresse da parte del ragazzo.
-
Se non sbaglio il più piccolo ha la tua età
… O un anno in meno?
Mhm, mi sa un anno in meno, sì… Va alla tua
stessa scuola. Il più
grande, Paul, ha diciannove anni. Vuole trasferirsi a Londra, la
prossima estate. -
-
Beato lui.-
-
Come, tesoro?-
-
Nulla… Parlavo del cumino.-
-
Mhm, già. Comunque, Marilyn Bellamy è davvero,
davvero in gamba...
-
-
Ok, sono sazio.- la interruppe Dominic, iniziando ad alzarsi da
tavola.
Le
concesse un sorriso tirato per tranquillizzarla, quando Diane
osservò
confusa: - Ma… Ne hai lasciata metà nel piatto.-
-
Be’… Vorrei tenerne un po’ per domani a
cena. Sai, è così…
Squisita.-
spiegò il ragazzo, continuando a sorridere in quella strana
maniera
poco sincera.
Un’ombra
di disappunto oscurò gli occhi grandi e rotondi di sua
madre, prima
che tornassero chiari, allegri ed incredibilmente ottusi: - Te la
metto in frigo, allora!-
-
Sì, sì… Vado di sopra.- la
informò piatto Dominic, prima di
lasciare rapidamente la sala.
Le
cene con sua madre si stavano facendo sempre più brevi,
rifletté
Dominic con i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra della
sua stanza.
Diane
aveva rinunciato ad ogni tentativo di tenerlo seduto al suo posto
oltre il minimo indispensabile… Alla buon’ora.
Il
respiro del ragazzo si condensò sul vetro freddo, e Dominic
cancellò
l’alone opaco con il palmo della mano.
La
maglie delle nuvole si stavano gradualmente allentando, e una stella
splendeva solitaria su di un fazzoletto di cielo nero.
In
quel momento, i lampioni illuminarono una figurina ammantata da un
k-way arancione che avanzava trotterellando sul marciapiede.
Incuriosito,
Dominic avvicinò il viso alla finestra fino a schiacciarci
il naso
contro.
Chi
diavolo poteva aver deciso di uscire con un tempo del genere?
L’individuo
era incappucciato in modo tale che solo parte del naso e degli occhi
era esposta alla vista; il resto del viso e del corpo era
intrappolato sotto quell’orrida cappa color mandarino.
Quando
lo sconosciuto si fermò, Dominic pensò che
evidentemente un minimo
di buonsenso potesse essergli finalmente filtrato in testa.
Si
aspettò di vederlo girare i tacchi per tornarsene a
casa… Ed
effettivamente andò proprio così.
Solo
che, prima di farlo, il tipo sollevò lo sguardo proprio in
direzione
di casa sua, fissando la sua finestra che dalla strada appariva
certamente buia – non aveva acceso la luce, preferendo
restare per
un po’ al chiarore dei lampioni, in silenziosa contemplazione
del
panorama che gli offriva il quartiere.
Nonostante
ciò, non riuscì a reprimere la strana sensazione
che in realtà
fosse fin troppo esposto, allo sguardo indistinguibile del tizio.
Quando
questi se ne andò, gli venne improvvisamente voglia di
accendere la
luce e di mettere su della musica.
*fissa
la pagina con aria meditabonda*
Me
ne pentirò, lo so perfettamente.
Questa
storia è seppellita nella cartella
delle Fiction Incomplete sul mio computer ed in un angolo remoto del
mio cervello da quasi due anni (e si vede - c'è ancora molto baroccume, qua e là XD). Ogni tanto la apro, me la coccolo un
po' e poi la rimetto dove stava senza più toccarla
– il che
dipende dal fatto che, notoriamente, mi pesano le chiappe di fare
praticamente qualsiasi cosa ma! voglio che le cose cambino, quindi
eccola sulle pagine di EFP come incentivo a darmi una mossa ed a
lavorarci seriamente, visto che è effettivamente qualcosa in
cui
credo ancora e che voglio portare avanti (… suono
così pretenziosa
che mi do fastidio da sola).
Comunque,
come da presentazione, è una
sorta di What If? ed i personaggi sono per certi versi OOC (oh, e ovviamente è tutto falso, tutto gratis, tutto all'insaputa dei protagonisti - disclaimer, deve esserci un motivo profondo se mi scordo sempre di inserirti). Insomma,
il genere di cose nelle quali non amo cimentarmi, ma per qualche
strano motivo nella mia testa funziona. XD
Se
vorrete farmi conoscere la vostra opinione al riguardo, grazie mille in
anticipo. Cheers! :D
|
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Capitolo 2 *** Fisica delle particelle - prima parte ***
Fisica
delle particelle
(prima parte)
Al
di là del “panorama mozzafiato”, degli
“ampi spazi che
deliziano l’occhio” e degli altri luoghi che
ispirarono a John
Keats la stesura di una parte del suo Endymion
descritti sugli opuscoli disponibili in ogni negozietto di souvenir,
c’era una verità sotterranea ma innegabile che
rimaneva proprietà
esclusiva della fauna adolescenziale di Teignmouth e che ovviamente
non giungeva all’orecchio dei forestieri.
La
verità che risiedeva nelle tre “S” della
gaia Tin-muffa:
Sbronzarsi, Sballare, Suonare.
Nei
mesi estivi e nei week-end settembrini, tempo permettendo, chi poteva
cercava di abbronzarsi sulla breve striscia di spiaggia cittadina;
oppure, inforcava il motorino o si incamminava gambe in spalla e
zaino sulla schiena dirigendosi verso le colline fra le quali la
città era “sapientemente incastonata”,
per dirla in termini da
guida turistica, piantando le tende sul cocuzzolo della più
alta.
Arrivati
fin lì, non c’era molto da scegliere.
C’era
chi si sfondava di birra e sidro, chi metteva mano a qualche bustina
contenente dei funghetti che di certo non erano buoni per il risotto.
C’era
chi imbracciava la chitarra e suonava attorno al falò che
scoppiettava nel focolare di pietre grezze. C’erano le
ragazze che
si lasciavano cullare dalla melodia, gli occhi lucidi e le guance
arrossate dal calore del fuoco.
C’erano
le ragazze che, grazie a Dio, dopo tanto strimpellare si facevano
anche scopare – la quarta “S” che per
molti restava solo una
fantasmagorica visione.
Poi
l’autunno si riprendeva il pur sempre timido e spesso fugace
sole
estivo, e le fughe in collina con annessi e connessi venivano
archiviate almeno fino a giugno.
Nel
frattempo, c’era la scuola.
Dominic
Howard era uno studente piuttosto diligente; meticoloso, determinato,
poco incline a distrazioni varie ed eventuali… Tipo una vita
sociale degna di questo appellativo.
Il
suo primo approccio con la città era avvenuto
all’età di otto
anni, quando la sua famiglia si era trasferita lì arrivando
da
Stockport – un altro buco di cittadina che probabilmente
avrebbe
odiato come Teignmouth, se vi avesse trascorso l’adolescenza.
In
realtà all’inizio era stato bello. Era tutto verde
e bianco e
azzurro, c’erano le barche e c’era il Den,
quell’enorme spiazzo
d’erba da percorrere da cima a fondo con un pallone ai piedi,
all’impazzata.
Poi
erano trascorsi gli anni e palloni, prati e barche avevano perso
tutto il loro fascino.
In
compenso, era arrivata la musica.
Il
liceo di Teignmouth era caratterizzato non solo da una mandria di
studenti troppo svogliati per indulgere in comportamenti scorretti
diversi dal bigiare di tanto in tanto e da un’equipe di
insegnanti
vagamente demotivati seppur competenti, ma anche da un discreto
complesso autodefinitosi “jazz”.
I
componenti erano quasi tutti ragazzi dell’ultimo anno, quindi
il
ricambio generazionale era assicurato; fin da quella volta in cui
aveva assistito ad una loro prova pomeridiana in primo superiore,
Dominic era rimasto letteralmente catturato, desiderando far parte
delle sostituzioni annuali.
Aveva
gettato la spugna dopo essere stato scartato per ben due volte, alle
audizioni – il complesso era un affare piuttosto serio, con
provini
e concorsi ai quali presenziare e tutto… Non accettavano di
certo
il primo venuto con ambizioni artistiche.
Una
bella botta all’autostima, sentirsi rifiutati a quel modo.
L’amore
che provava nei confronti del suo strumento – quella batteria
che
detestava venisse toccata da qualsiasi mano estranea e che continuava
a volere dentro la sua camera invece che in garage – grazie
al
cielo prescindeva da ogni provino andato storto.
La
sua piccola. L’unica entità terrestre che si era
guadagnata il suo
affetto incondizionato negli ultimi tempi.
In
effetti non provava un’eccezionale trasporto nei confronti
del
genere umano – soprattutto quella parte di esso intrappolata
nel
lungo e pericoloso tunnel dell’adolescenza.
Non
era neanche odio, o disprezzo. Forse noncuranza. Forse presunzione o
insofferenza.
Fatto
stava che gli ultimi amici veri che avesse mai avuto con i quali
condividere degli interessi erano da rintracciare in parte nella sua
infanzia a Stockport, in parte nei primi quattro anni di permanenza a
Teignmouth.
Quel
pomeriggio, mentre fissava il volto appassito del professore di
Musica e quello rubizzo della coordinatrice delle attività
extracurricolari dal palco allestito in aula magna per le prove del
complesso, Dominic Howard sperò per la terza volta di poter
cambiare
quello stato di cose solo grazie alle sue mani e al suo senso del
ritmo.
-
Howard… Howard Dominic.-
-
Sì… Sono io. – confermò con
un sorriso nervoso il ragazzo.
Si
mosse sullo scricchiolante sgabello in pelle in cerca di una
posizione comoda, aprendo e chiudendo le dita fredde e sudate lungo
le bacchette di legno.
-
Sei al terzo anno, giusto? Non sei fra i miei alunni.-
-
No. - rispose rauco il ragazzo, schiarendosi la voce un istante
più
tardi. – Ho avuto musica solo in primo anno. -
Il
professor Bowman si lisciò un sopracciglio, controllando la
lista
dei partecipanti alle audizioni: - Mhm… Ok. Comunque, mi
pare di
aver già sentito il tuo nome al di fuori di… Hai
già tentato di
entrare a far parte del complesso, se non vado errato.-
Fu
dura ammetterlo, per Dominic: - Già… Due volte.-
Due
fottute
volte. Due fottuti “Può bastare,
grazie.”, che nel gergo di
Bowman stavano a significare “Ok, ci hai provato, figliolo.
Ora va’
a casa a meditare sui tuoi errori, eh?”
Fra
gli altri contendenti seduti sulle poltrone rosse dell’aula,
qualcuno soffocò malamente una risatina derisoria.
Dominic
arrossì sotto l’impietoso chiarore delle lampade
al neon.
La
professoressa Bishop si voltò verso il resto della platea,
senza
dire nulla, per poi dedicare a Dominic un enorme sorriso
d’incoraggiamento.
-
Allora, cosa hai intenzione di farci sentire?-
Il
ritmo delle mie sistole e diastole, ad esempio… Le piace
l’idea?
… nonono.
Ok. Respiro profondo. Controllo.
Incanaliamo
questa fifa porca in qualcosa di buono, Howard.
-
Può bastare, grazie.-
Dopo
qualche minuto Bowman alzò la mano in un gesto stanco, senza
neanche
sollevare lo sguardo dal foglio dei nominativi dei provinanti.
Quanto
tempo impiegava un essere umano a pronunciare tre parole di fila?
Quanto
tempo impiegava il destinatario di un messaggio così breve a
coglierne l’esatto significato?
Dominic
ci mise una decina di secondi, uno per ogni battito del suo
cuore.
Poteva
bastare. Poteva bastare.
… d’altronde,
non si dice forse “non c’è due senza
tre”?
Scendendo
i gradini del palco, Dominic ripensò ai movimenti
effettuati, si
sforzò di individuare delle pecche nell’esecuzione
appena
ultimata.
Abbandonò
il campo di battaglia a capo chino, camminando lungo il corridoio che
divideva la platea in due porzioni simmetriche di poltroncine
scarlatte.
Non
aveva voglia di sapere chi si sarebbe aggiudicato il posto a cui
anelava – non aveva voglia di sapere chi se lo meritasse
più di
lui.
Quando
si trovò di fronte alla porta, dovette lo stesso bloccarsi;
l’uscio
era ostruito da un alto ragazzo mollemente appoggiato allo stipite
con le braccia e le gambe incrociate.
-
Peccato. Andrà meglio la prossima volta.-
Dominic
dovette piegare il collo per fissare dritto negli occhi lo spilungone
che gli sorrideva tranquillo, una massa di ricci capelli castani ad
incorniciargli il volto.
Lo
conosceva di vista, ma non era sicuro che il nome che gli era venuto
in mente fosse quello giusto.
-
Certo… Non lo sai che non c’è due senza
tre e quattro vien da
sé, vero? - rispose acido Dominic, già di pessimo
umore per la
sconfitta subita qualche minuto prima.
Che
poi, chi diavolo lo conosceva quello? Che voleva da lui?
-
Scusa? - il tizio non sembrava aver colto l’allusione
– forse non
aveva assistito a tutta la scena svoltasi poco prima.
-
Lascia perdere… - sospirò Dominic, sentendosi
improvvisamente
svuotato.
Aveva
voglia di uscire dalla scuola, di correre fuori sentendo il freddo
artigliargli il viso e poi rifugiarsi in camera sua per magari non
uscirne mai più.
Il
ragazzo si fece da parte cortesemente per lasciarlo finalmente
inseguire il suo desiderio.
Quando
l’ultimo raggio di sole si sciolse in un chiarore purpureo
sulla
linea piatta dell’oceano i lampioni si accesero, baluginando
rossastri come in un tentativo di scimmiottare il tramonto
agonizzante sull’acqua.
I
gabbiani planavano in orbite circolari attorno ai pescherecci
attraccati in porto, stridendo dialoghi incomprensibili
all’orecchio
umano.
L’erba
sul quale era seduto era umida e fragile; Dominic ne prese un ciuffo
fra le dita, strappandone qualche filo.
Quella
sera il Den era tutto per lui. I bambini che di solito vi giocavano
erano rincasati da un po’ – con quel freddo, le
mamme preferivano
farli rientrare presto.
A
Dominic importava poco del gelo, dei pantaloni oramai umidicci e del
pericolo di un raffreddore.
Anzi,
magari ne avesse buscato uno – avrebbe dato chissà
cosa per
potersene stare a letto almeno un giorno… Magari
l’indomani.
Buttando
all’aria la prudenza, Dominic si sdraiò
sull’erba.
I
lunghi capelli biondi assorbirono pian piano
l’umidità del prato,
così come i jeans poco prima.
Ma
sì. Ma chi se ne fregava. Un bel malanno da curare col
calduccio
delle coperte e un sacco di TV era tutto ciò che desiderava
in quel
momento, a parte tornare indietro nel tempo di circa un’ora e
mettere su un’esibizione stratosferica sul palco di
un’aula magna
per strappare un posto da batterista in una stupida band scolastica.
Ecco,
un virus era più abbordabile come opzione.
Chiuse
gli occhi, e il mondo divenne pura sensazione tattile ed uditiva
capitata per caso fra i ricordi.
I
gabbiani continuavano a berciare sospesi per aria e la Bishop gli
sorrideva per tranquillizzarlo.
Il
vento soffiava e Bowman lo bocciava senza mostrare un minimo accenno
di interesse nei confronti della cosa.
Brividi
di freddo iniziavano ad increspargli la pelle e un ragazzo dai folti
capelli ricci tentava di rincuorarlo.
-
Vuoi morire assiderato?-
Una
voce lo sovrastò concreta, profonda e curiosa.
Quando
Dominic sollevò le palpebre la voce divenne un ragazzo
apparentemente della sua età o poco più piccolo;
viso ossuto,
capelli scuri spioventi sul viso, occhi brillanti alla luce delle
luminarie cittadine.
Mise a fuoco i lineamenti il ragazzo ed immediatamente gli
sovvennero un nome ed un
cognome, senza possibilità di confusione.
Matthew
Bellamy. Quel
Matthew Bellamy.
Cliffhanger,
perché sono notoriamente malvagia. XD
Sinceramente non so cosa aggiungere, non vedo l'ora che
questa domenica inattiva sia trascorsa e sono mogia
da far spavento - interessante, no? :/
A presto, e grazie.
♥
Edit, perché Stregatta dimentica sempre tutto: per "fisica delle particelle" si intende questo - citare *sempre* le fonti, first of all. :D
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Capitolo 3 *** Fisica delle particelle - seconda parte ***
Fisica
delle particelle
(seconda
parte)
-
Cos…?- mugugnò Dominic, tirandosi immediatamente
a sedere e poi in
piedi.
L’altro
sorrise nervosamente, mostrando gli incisivi accavallati ed aguzzi.
-
Scusa il disturbo… Ti ho visto sdraiato per terra e
così… -
Bellamy mosse una mano in un gesto vago che per lui doveva valere
come ulteriore spiegazione del suo intervento precedente.
Nel
frattempo, Dominic si stava spolverando i pantaloni, occhieggiando il
nuovo arrivato con fare circospetto.
-
Figurati… Cioè, anch’io…-
iniziò, senza in realtà avere la
più pallida idea di dove andare a parare.
“Anch’io
importunerei un perfetto estraneo se lo vedessi spaparanzato per
terra in un parco in una sera novembrina”? Un po’
campata in
aria, come replica.
Fra
l’altro, non si poteva nemmeno parlare di “perfetto
estraneo”:
un po’ perché frequentavano lo stesso istituto, un
po’ perché a
Teignmouth si conoscevano tutti almeno di vista e un po’ per
ovvie
ragioni.
-
Già… Insomma, fa davvero freddo, eh? -
Nel
sentire l’inflessione forzatamente noncurante nella voce del
suo
inaspettato interlocutore, Dominic ebbe la strana sensazione che
quell’approccio fosse in parte qualcosa di non troppo casuale.
Si
sforzò di non dar peso a quel pensiero. Troppo inquietante,
come
prospettiva – senza contare che rimanere da solo con quel
tipo in
un posto così tetramente solitario già gli dava
un po’ i brividi.
-
Be’, ma come mai allora vai in giro?- volle sapere Dominic,
incrociando le braccia sul petto in un istintivo gesto di chiusura.
Bellamy
scrollò le spalle, lisciandosi i capelli: - Stavo andando a
casa,
infatti.-
Indicò
un punto indistinto alle sue spalle, senza che Dominic si rivelasse
interessato alle coordinate precise di esso.
-
Mhm... Anch’io. -
-
Oh… Be’, allora… Ciao. -
-
Ah-a. Ciao. -
Il
quadretto surreale terminò con quell’insipido ed
impacciato botta
e risposta: Bellamy non tentò di instaurare un dialogo
migliore e
Dominic gliene fu molto grato.
Camminando
con le mani rintanate nelle tasche del giubbotto, il vento che gli
gelava le gambe attraverso i jeans umidi, Dominic borbottò a
mezza
bocca il ritmo richiestogli da Bowman durante il provino.
Cazzo,
almeno avesse motivato il suo rifiuto... La nozione di
“critica
costruttiva” proprio non gli apparteneva, eh?
Iniziò
a tremare di freddo.
Ma
quanto strada doveva fare ancora? Gli sembrava di essere in cammino
da una vita.
Tossicchiò.
Si era già pentito del suo impulso di poco prima.
Fanculofanculofanculostoghiacciando.
Quando
vide in lontananza il cancello di casa sua gioì
silenziosamente,
entrando a passo di carica ed andando a rintanarsi direttamente in
camera – sua madre non c'era, si trovava a quel seminario
comunale
su tematiche concernenti il disagio adolescenziale e roba del genere.
Il
giorno dopo si risvegliò con tutti i classici sintomi di un
febbrone
da cavallo proprio come aveva auspicato, con l'unica differenza che
non ne era più così entusiasta.
Gli
dolevano la gola e le giunture e la testa gli sembrava gonfia come un
pallone, nonché pesante come un'incudine.
Scese
in cucina, trovando un paio di croissant nel microonde ed un
biglietto di sua madre: “Buona giornata,
cucciolotto!”
Dominic
rabbrividì, appallottolando il foglietto e gettandolo nel
cestino.
Disdegnando
i croissant, trangugiò del müsli a fatica e si
trascinò in bagno.
Nel
lavarsi i denti, rifletté su quali lezioni avrebbe saltato,
quel
giorno.
Dunque...
Storia, biologia, educazione fisica...
Sorrise
stancamente – bel
colpo, Howard... Proprio oggi che la prof spiegava.
Dopo
essere uscito dal bagno, andò dritto dritto in salotto e si
sistemò
sul divano, cominciando a fare zapping.
Telegiornale.
Documentario sul tursiope. Cartoni animati. Altro telegiornale.
Dominic
sospirò, sdraiandosi sui cuscini foderati di pizzo del sofa.
Sonno.
Noia. Mal di testa.
Sonno.
Stava
per addormentarsi, quando un suono attirò la sua attenzione.
Un
suono vagamente stridulo ma cadenzato, con un proprio ordine ritmico.
Veniva
da lontano, forse da fuori. Magari qualcuno stava ascoltando della
musica a volume molto alto.
Dominic
decise di non farci caso e di tornare al suo pisolino ma la melodia
aumentò sensibilmente di intensità, quasi si
fosse fatta più
vicina.
Archi.
Una sezione d'archi.
Alzandosi
e sbadigliando pigramente, Dominic si guardò attorno come ad
individuare la direzione dalla quale la musica si stava propagando
–
lenta, solenne e forse un filo troppo melodrammatica per i suoi
gusti.
Intontito
da febbre e relativa debolezza, si accorse dopo qualche secondo che
non si trattava più solo di archi.
Credette
che fosse uno scherzo del suo cervello annebbiato, quando si rese
conto che qualcuno stava cantando su quella melodia...
… e
che quel qualcuno doveva trovarsi nella sua cucina.
Il
cuore iniziò a battergli più forte.
Ok.
Forse era sua madre che era rientrata e magari non l'aveva sentita
–
dopotutto era a pezzi, no? I suoi sensi e riflessi funzionavano a
rilento... O poteva essere una delle gemelline accanto alla finestra
della cucina – la voce era abbastanza acuta da appartenere ad
una
donna o una bambina.
Prima
di rendersene effettivamente conto, si ritrovò a seguire la
voce un
passo dietro l'altro.
Non
pronunciava parole, ma solo vocalizzi precisi ed intonati ed a
tonalità ragguardevoli.
Dominic
chiuse gli occhi per un secondo e gli parve di nuotare in quel mare
di note sempre più prossimo ed intenso: una parte di
sé sembrava
guardarlo da fuori, rimproverandogli l'imprudenza che lo stava
guidando verso la porta chiusa della cucina, abbassandone piano la
maniglia come per non disturbarne la voce dietro.
Trattenne
il respiro...
… e
vide sua madre che stava lavando i piatti, cantando.
Dominic
buttò fuori il fiato in uno sbuffo sollevato.
- Ciao,
ma'. -
- Oh,
tesoro! Ma sei qui? - squittì allegramente Diane, dandogli
le
spalle.
Indossava
un grembiulino ricamato ed una gonna a fiori gialli su sfondo nero.
Dominic
non gliel'aveva mai visti addosso.
-
Be', sì, ho un po'
di febbre e quindi... - bofonchiò, scuotendo il capo come
per
schiarirsi le idee.
- Oh,
piccolo... - lo compatì sua madre, sfilandosi i guanti di
gomma
verde dalle mani e slacciandosi il grembiule.
Quando
si voltò, Dominic trattenne un urlo a malapena.
Sotto
la folta chioma ramata di sua madre c'era il muso di un tursiope, che
lo squadrò preoccupato con i suoi occhietti neri e brillanti.
-...
hai preso l'antipiretico? -
Dominic
si svegliò di soprassalto, ritrovandosi sdraiato sul divano
con il
collo irrigidito e una gamba penzolante oltre il bordo del divano.
Si
tastò la fronte, trovandola bollente ed asciutta esattamente
come
l'aveva lasciata, e poi si abbandonò di nuovo contro il
cuscino sul
quale aveva riposato – cazzo, ci aveva anche sbavato un po'
su.
Spense
la TV, caracollando in cucina ed aprendo lo sportello del microonde:
sbocconcellando un croissant e chiedendosi perché non
l'avesse fatto
prima - cavolo, era buono anche da freddo - fissò il vuoto
per
qualche minuto.
Mai
sentito così di merda, e non solo per la febbre.
A
chi li chiedo i compiti, stavolta? Buchanan? No, già
è convinto che
siamo ad un passo dal diventare fratelli di sputo alla maniera dei
Piccoli Lupi del Devon perché mi ha passato quella stracazzo
d'equazione il mese scorso. Evitiamo.
Nessie?
No, mi odia. Jason? Naah, mi odia pure lui. Julie? No, mi o... Ok,
non mi caga e basta. Quella troia.
Tanto
ho tempo per decidere. Sono solo le... Undici? Sì, le
undici. Mi si
stanno incrociando gli occhi, cazzo.
Quando
si adagiò sul ripiano di legno freddo del tavolo, un ultimo
pensiero
lo cullò piacevolmente prima di sprofondare nel sonno
più pesante e
scuro.
La
Pennyworth per un po' di tempo dovrà trovarsi un altro
schiavetto...
O al limite dovrà muovere il culo e spolverarsi gli scaffali
da
sola.
***
«
Professore, sono un extraterrestre!»
La
sconvolgente dichiarazione di un liceale della città di
Teignmouth
Una
mattinata come tante trasformatasi in un’esperienza da
“Ai
Confini Della Realtà”, per un insegnante di
scienze e la classe
del primo anno del liceo *** di Teignmouth, cittadina del Devonshire:
uno studente, evidentemente annoiato dalla lezione tenuta dal
professore, decide che l’unica risoluzione da intraprendere
è
quella di balzare sul proprio banco e declamare un discorso sulle
proprie ipotetiche origini extraterrestri.
Buontempone
o vittima di un grave esaurimento nervoso? Di certo per ora il
giovane non è riuscito a rimediare consensi fra i suoi
compagni,
alcuni dei quali dichiarano: “È sempre stato un
po’ strano”.
La
bibliotecaria della scuola asserisce: “Lo vedevo quasi sempre
da
solo e passava un sacco di tempo in biblioteca… Chiedeva
sempre dei
titoli particolari, e amava leggere saggi scientifici. Più
volte ha
cercato di coinvolgermi in strani discorsi a proposito delle sue
strambe teorie spionistiche, ma non ho mai dato molta importanza a
certe fantasie”.
In
attesa che l’eco mediatica attorno al caso si smorzi, il
giovane è
stato allontanato dalla scuola e si vocifera di un suo ricovero in un
istituto d’igiene mentale.
A
suo tempo la notizia aveva avuto una risonanza sorprendente,
guadagnandosi un trafiletto persino sulle pagine del Sunday Times:
ovviamente, l’importanza dedicata al caso dal quotidiano era
inversamente proporzionale all’accurato sensazionalismo della
prima
pagina dei giornali locali e del giornale della scuola.
Matthew
Bellamy aveva attraversato il cielo nebuloso e statico di quel buco
di culo di Teignmouth come una meteora, con l’unica
differenza che
la gente aveva continuato ad osservarne la scia anche a distanza di
tempo.Cosa
non si faceva, per sconfiggere la noia… Giocare a carte,
ubriacarsi
di birra da quattro soldi e parlare di quel mezzo matto del giovane
Bellamy – quello che credeva di venire da un altro pianeta,
te lo
ricordi?
Dominic
sollevò la testa dal vecchio quotidiano per sbirciare la
signora
Pennyworth seduta dietro la sua scrivania, mentre si limava le unghie
sospirando contemporaneamente su una rivista di moda.
Chissà
come doveva essersi emozionata al pensiero di essere finita in
qualche modo sul Sunday Times. Sicuramente dopo aver letto il
giornale doveva essersi precipitata a riferire la notizia al suo
criceto, festeggiando con un goccino di gin. Forse più di un
goccino.
In
quel momento la donna si accorse dello sguardo di Dom, e
assottigliò
le palpebre pesantemente truccate di cobalto: - … credevo di
averti
detto di riordinare i quotidiani, non di fare una rassegna stampa. -
Invece
io ho sempre creduto che tu fossi il perfetto modello della Zitella
Acida in Piena Menopausa, ed infatti ti manca solo una casa piena di
gatti puzzolenti, stronza.
Il
ragazzo borbottò delle scuse indistinte, richiudendo le
pagine
lievemente ingiallite spalancate sul tavolo.
A
suo tempo non si era molto interessato al caso Bellamy, anche
perché
tempo due giorni e la vicenda aveva cominciato a nausearlo: tutte
quelle persone che affermavano di “conoscere molto bene il
soggetto”, di “aver notato in lui qualcosa di
strano nei giorni
precedenti al fattaccio”…
Stronzate.
Di Bellamy non si era mai interessato nessuno.
Era
un lupo solitario addirittura peggiore di lui, uno di cui non ci si
accorgeva fin quando non veniva degnato dell’attenzione dei
bulletti della scuola… Attenzione del tutto negativa,
ovviamente.
Personalmente
a Dom era capitato di occhiarlo nei corridoi – non era ancora
lo
schiavo di Lady Menopausa, quando Bellamy bazzicava per la
biblioteca scolastica - con il suo passo dinoccolato e i suoi libri
sullo spionaggio internazionale e sul cospirazionismo, ma non gli
aveva mai realmente rivolto la parola. Almeno fino a qualche giorno
prima, ovviamente.
Dom
riportò tutti i quotidiani deposti sul tavolo al proprio
posto,
salutando appena a mezza voce la signora Pennyworth
nell’uscire per
la sua pausa: tanto non l’avrebbe sentito, persa
com’era nei suoi
sogni ad occhi aperti popolati di vestiti e borsette troppo onerosi
per le sue tasche.
La
campanella aveva sancito il termine delle lezioni pomeridiane da
un'ora circa, ma come ogni giovedì per lui la tortura
continuava.
Di
tutte le attività extracurricolari era andato a scegliersi
di certo
la meno impegnativa – sulla
carta
– ma anche la più noiosa.
Il
tutto, con in sottofondo una discreta cover di Sly
di
Herbie Hancock eseguita da chissà quale talentuoso ensemble
di elementi del terzo anno del quale non era degno di far parte.
Ah,
che bello tornare a scuola.
Mentre
percorreva il corridoio deserto dirigendosi verso il distributore
delle merendine, dall'aula magna uscirono un ragazzo ed un'acuta nota
di clarinetto.
-
Ok... Due Light e un
té al limone. - sorrise il tipo, appoggiato allo stipite
della porta
che si richiuse alle spalle subito dopo.
Arrivò
alla macchinetta qualche istante prima di Dominic, aiutato da un paio
di gambe ben più lunghe delle sue: riconoscendo quella
caratteristica ed associandola ai riccioli castani, Dominic
ricordò
distrattamente che si trattava del tizio che aveva tentato di
consolarlo dopo il suo famigerato provino.
Chissà
perché girava tanto dalle parti della band... Gli pareva
suonasse
già in un gruppo, ma non ne ricordava il nome... C'erano
troppe band
in giro, a Teignmouth, per tenerle a mente tutte: alcune duravano lo
spazio di un'esibizione ad una Battle of Bands, altre si scioglievano
dopo un mese, altre ancora cambiavano nome e membri ad un ritmo
spiazzante.
-
Oh, no. - mormorò Dominic, dopo aver selezionato il numero
corrispondente al suo marchio di patatine preferito.
La
busta, leggera ed elegante, era planata poco più in basso
rispetto
al luogo di partenza, incastrandosi fra il vetro dello sportello ed
un Mars sporgente di qualche centimetro dalla postazione
assegnatagli.
-
Ma porca...! - imprecò il ragazzo, guardandosi attorno e
mollando
poi un pugno ad un lato del distributore per far cadere la
confezione.
Nulla.
La bustina non si era nemmeno mossa.
-
Oh, cavolo! - esclamò di nuovo Dominic, stavolta calciando
rumorosamente lo sportello al puro scopo di sfogare il nervosismo.
-
Così non verrà mai giù. -
Il
ragazzo si voltò di scatto, trovandosi di fronte il tipo di
prima:
avvampando all'idea di aver dato un pessimo spettacolo di sé
stesso,
indicò goffamente l'oggetto del suo desiderio.
-
Be', allora non so che altro fare. -
Lo
spilungone si avvicinò di un passo, ed istintivamente
Dominic gli
fece spazio.
Afferrando
la sommità della macchinetta con entrambe le mani, il
ragazzo fece
leva sui polpacci e la inclinò leggermente, facendola poi
ricadere
con un tonfo sonoro.
Il
Mars mal posto all'interno del suo settore seguì la busta
delle
patatine.
Dominic
aprì la bocca, forse alla ricerca di un ringraziamento, ma
il
perticone lo prevenne.
-
Di solito funziona anche con le patatine, ma in realtà ci
vuole più
di uno scrollone... Sono troppo leggere. - spiegò, infilando
poi una
monetina nell'apposita fessura per un'altra lattina di té
freddo.
Stringendo
il pacchetto fra le mani, Dominic si mordicchiò il labbro
superiore
con aria incerta.
Grazie.
Dai, su. Si dice "grazie".
-
Uh... Grazie. - bofonchiò alla fine, aprendo la busta e
cacciandosi
una manciata di patatine in bocca.
L'altro
si chinò a raccogliere la lattina appena caduta ed il Mars
lasciato
lì da Dominic, per poi raddrizzarsi e guardarlo negli occhi.
Aveva
una faccia strana... Non che fosse brutto: anzi, per gli standard dei
liceali di quella zona, non era neanche eccessivamente brufoloso o
peloso ed in generale i suoi lineamenti ispiravano abbastanza
simpatia.
Solo
che sembrava davvero grande. Più grande di lui, sicuramente.
-
Figurati. - scrollò le spalle ampie sotto la sua larghissima
camicia
a scacchi nel rispondergli; poi gli mostrò il Mars,
chiedendo: - Non
lo prendi? -
-
Non mi piace granché. - scosse il capo Dominic, pulendosi le
briciole ed il sale ai lati della bocca con due dita.
-
Meglio per me. - approvò l'altro, strappando
l'estremità della
confezione dello snack con i denti.
Senza
che Dominic se l'aspettasse, gli indirizzò un sorriso.
-
Quando sei di corvèe con quello stronzo di Bowman hai
bisogno di
energia. -
Quindi
era come pensava... Era il nuovo assistente di Bowman. Anzi, quello
stronzo di Bowman.
Come suonava disgustosamente bene, l'idea di non essere il solo a
pensarlo!
A
bocca piena, lo spilungone appoggiò la schiena al
distributore e lo
guardò di sbieco.
-
Tu sei Dominic Howard, vero? -
-
Sì. - ribattè asciutto Dominic, annuendo e
nascondendo il lieve
stupore di essere stato riconosciuto.
L'altro
annuì, indicandolo con il Mars già dimezzato: -
Ti avevo già visto
da qualche parte... Sei quello del provino. -
Oh,
benissimo. Dai, mettiamo il dito nella piaga ed allarghiamola ben
bene...
-
Già. - ammise controvoglia il ragazzo, sgranocchiando con
espressione che sperò risultasse abbastanza indifferente
l'ultima
patatina integra del pacchetto.
Forse
sarebbe stato carino offrirne una al compagno, prima di rimanere con
il solito mucchietto di schegge in fondo alla confezione.
Lo
spilungone ingoiò un boccone del suo snack, prima di
commentare: -
Per quello che vale... Suoni meglio di me e del nipote della
vicepreside, questo è poco ma sicuro. -
Dominic
lo fissò, sorpreso.
...
un raccomandato? Uno stupido, pidocchioso raccomandato gli aveva
fottuto il posto a cui forse, in caso contrario, sarebbe potuto
arrivare?
-
Il nipote della...? -
In
quella, la porta dell'aula magna si spalancò e Bowman fece
capolino
con cipiglio arcigno.
-
Wolsen... Wolset... Christopher,
ci sei andato personalmente a raccogliere le foglie di questo
té? -
-
Mi scusi, professore... Dovevo dirgli una cosa riguardo ai compiti. -
si giustificò gentilmente il ragazzo, mantenendo
un'espressione
educatamente cordiale fin quando l'insegnante non fu scomparso dentro
l'aula: dopodiché sospirò lungamente,
afflosciando le spalle
sconfitto.
Si
rivolse a Dominic.
-
Be', direi che ci vediamo... Il giovedì sei inchiodato qui
anche tu,
immagino. -
-
Sì... Biblioteca. Aiuto la signora Pennyworth. - lo
informò
telegraficamente il giovane, scacciando il pensiero che la sua pausa
di un quarto d'ora e
che sia solo uno, giovanotto! stava
per terminare e che sarebbe dovuto tornare a scatastare libri ed
archiviare riviste per almeno un'altra oretta.
-
Però... Siamo nella merda tutti e due, mi sa. -
ponderò il più
alto, strappando un sorriso rassegnato all'interlocutore per poi
presentarsi.
-
Comunque... Christopher Wolstenholme. Ma se mi chiami semplicemente
Chris fai un favore sia a te che a me. -
Indubbiamente,
rabbrividì Dominic.
-
Ok. -
-
Allora ci vediamo, Dom. -
Mentre
il suo sguardo si incollava alla schiena larga di Chris, di ritorno
dal suo negriero personale, Dominic pensò solo una cosa.
...
"Dom"?
Nyah.
\*O*/
Immagino
sarete un po' deluse da come ho liquidato l'incontro fra Bellamy lo
Svitato e Dominic lo Sfigato – tranquille, il bello per quei
due
deve ancora venire XD – ma intanto ho introdotto Chris il
Passante... È già qualcosa, no? ;)
Oh, e... Non fatemi domande sull'incubo di Dominic. Non so che dirvi,
giuro. XD
Grazie-grazie
a chiunque stia seguendo, preferendo ecc ecc la storia, come sempre.
Cheers! :***
|
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Capitolo 4 *** Antiatomo ***
Antiatomo
Per
quanto la sua natura guardinga gli impedisse di sbilanciarsi in
giudizi affrettati, ciò che Dominic aveva captato di Chris
durante
il loro primo vero incontro non gli spiaceva affatto.
Il
giovedì pomeriggio successivo, godendosi il suo quarto d'ora
d'aria
dalla prigionia delle scatoffie archiviate in biblioteca e relativo
cerbero di sorveglianza, si sorprese a fissare la porta dell'aula
magna non solo con risentito struggimento ma con una strana forma di
aspettativa. Il che, volendo, era piuttosto stupido da parte sua
- con lui non era mai andato oltre il saluto sbrigativo in
corridoio al cambio d'ora, in settimana.
Dominic
sospirò, dando un'occhiata all'orologio.
Le
patatine erano già finite, così come la pausa.
Si
avviò a passo lento verso la biblioteca, rassegnato e
lievemente
deluso.
Cosa
si aspettava? Che una conversazione di fronte al distribuitore delle
merendine desse inizio all'Amicizia del Secolo?
In
realtà, mi piaceva l'idea di fare due chiacchiere dopo aver
tolto la
polvere allo scaffale della Saggistica - cazzo, è sempre il
più
lercio, è impossibile!
Lady
Pennyworth von Menopausen, seduta dietro il bancone, gli
riservò la
solita occhiata indifferente prima di continuare a sgranocchiare
l'ultimo cracker rimasto nel pacchetto, fissando il vuoto -
ovviamente,
il divieto di introdurre cibo e bevande all'interno dell'aula valeva
solo per gli studenti.
Dominic
salì sulla scaletta pieghevole con ancora meno entusiasmo
del
solito, ed iniziò a passare il panno di lana sulla
sommità dello
scaffale di Letteratura Straniera.
Tossicchiò,
nell'inalare innavertitamente un po' della polvere soffice e grigia
che copriva I
dolori del giovane Werther.
Sei
all'ultimo anno, Howard. L'ultimo anno. Resisti.
Il
suo accesso di tosse stizzosa coprì i passi di un inatteso
fruitore
del luogo - Dominic ne notò la presenza dalla sua postazione
solo
grazie alla reazione della bibliotecaria, la quale sembrò
riscuotersi dalla propria apatia in maniera alquanto scomposta:
inforcò precipitosamente gli occhiali da presbite che
portava appesi
al collo ed aprì la bocca senza lasciar uscire dei suoni
d'alcun
genere.
-
Buonasera. Avete per caso una copia di Guerre
stellari. Armi e strategie per un'apocalisse di
Zbigniew
Brzezinsky?
-
Dominic
aggrottò le sopracciglia, chiedendosi dove avesse
già sentito
quella voce e soprattutto come diavolo si scrivesse
il nome
dell'autore appena menzionato.
La
signora Pennyworth lasciò trasparire quanto non fosse
affatto
tranquilla come voleva dare ad intendere solo quando indicò
proprio
l'odioso settore della Saggistica, mormorando tremula: - Credo di
sì... Oh, vuoi che te lo prenda io? -
...
ok, la notoriamente acida, pigra e per nulla disponibile
bibliotecaria della scuola che si offriva volontariamente di fare
qualcosa per un essere umano che non fosse un professore in grado di
farle eventualmente rapporto (la voce era troppo giovanile per
appartenere ad un adulto, pur essendo piuttosto profonda)?
Chi
cavolo sarà?
-
Grazie, è gentile da parte sua. - computò
educatamente la
misteriosa controparte.
Sporgendosi
all'indietro quel tanto che bastava ad avere una visuale non solo del
bancone ma anche di chi poteva esservi di fronte, Dominic
cercò di
soddisfare la propria curiosità.
Dall'altro
capo dell'aula, sentì la signora Pennyworth borbottare: -
Troppo in
alto... - per poi sbraitare: - Giovanotto, vieni qui con la scala! -
Il
ragazzo scese velocemente i gradini, chiudendo la scaletta e
trasportandola sotto braccio fino alla Saggistica.
Dove
trovò la signora Pennyworth impegnata in un goffo tentativo
di
sorriso cordiale da dedicare a Matthew Bellamy, in piedi accanto a
lei.
-
Ci penserà il mio assistente... Temo di essere troppo
vecchia per
certi sforzi! - squittì la bibliotecaria con una risatina
assolutamente urticante.
Proibendosi
di alzare gli occhi al soffitto, Dominic voltò
immediatamente le
spalle all'altro ragazzo ed aprì la scaletta più
in fretta
possibile.
Dominic
trovò il libro immediatamente, per fortuna - sentiva una
strana,
fastidiosa tensione gravargli sulle spalle, forse perché
sapeva di
avere due sguardi puntati addosso.
-
Ecco. - sorrise brevemente nell'allungare il tomo -
cazzo, è un mattone!
- a Bellamy, che lo prese con un sorriso ben più sincero del
suo.
-
Grazie. - sussurrò, abbassando poi gli occhi azzurri e
sistemandosi
i capelli dietro un orecchio; si incamminò verso uno dei
tavoli e si
sedette, sfogliando le pagine con la testa poggiata ad una mano.
La
signora Pennyworth si torse le mani nervosamente, sfilandosi gli
occhiali e bisbigliando: - Noi... -
Dominic
restò indietro a gustarsi la scena - era divertente, vedere
quel
cerbero farsi piccolo piccolo in presenza del celebre svitato di
Teignmouth... Anche se non riusciva a darle del tutto torto. In fondo
era successo pure a lui, di esserne intimorito.
In
quel frangente però, raccolto e concentrato su
ciò che stava
leggendo, appariva molto meno inquietante. Forse il vederlo in piena
luce contribuiva a renderlo tale.
-...
noi chiudiamo fra tre quarti d'ora. - lo avvisò d'un fiato
la
bibliotecaria, giocherellando con gli occhiali chiusi sul petto
abbondante.
Bellamy
battè le palpebre, rispondendo con l'accento cortese che lo
contraddistingueva: - Va benissimo. -
Prima
di immergersi di nuovo nella lettura, lampeggiò un'occhiata
verso
Dominic; di rimando, il ragazzo si limitò a dirigersi di
nuovo verso
lo scaffale rimasto da spolverare con la scala sottobraccio, come se
nulla fosse.
Che
il nuovo arrivato avesse intenzione di approcciarsi in un qualche
modo nei suoi confronti, a lui non interessava - e poi doveva
spolverare.
Da
quando gli aveva rivolto la parola quella sera al Den, non era
più
incappato in Bellamy neanche nei corridoi della scuola - anche lui
era al secondo anno, come Chris. Chissà se si conoscevano.
Arrivato
quasi alla fine della scaffalatura da ripulire, la signora Pennyworth
si alzò a fatica dalla propria sedia e gli si
avvicinò con aria
tesa, annunciando sottovoce: - Devo usare la toilette. -
-
Oh... Uhm... Ok. - cincischiò il ragazzo, confuso - cosa
gliene
fregava dei bisogni fisiologici della vecchia?
Evidentemente
la bibliotecaria doveva avere una valida ragione per metterlo a parte
di una notizia simile: infatti si chinò verso di lui,
accigliandosi
e afferrandogli un lembo della manica della camicia.
-
Controlla che non succeda nulla in mia assenza, giovanotto. Dal
momento in cui sarò uscita da quella porta sarai totalmente
responsabile della tutela di questo posto e di ciò che
contiene. -
...
un momento, può farlo sul serio?
-
Ma veramente io... -
-
Totalmente. Responsabile. - gli intimò la donna, prima di
indietreggiare rumorosamente sui propri tacchi e avviarsi a passo
veloce verso la porta.
Dominic
restò sbigottito a fissare lo spazio prima occupato dalla
signora
Pennyworth, interrogandosi sul da farsi.
Sbirciò
l'unica anima con la quale stava condividendo lo spazio dell'aula in
quel momento, facendo capolino da dietro lo scaffale per nascondersi
subito dopo.
Sembrava
tranquillo. Leggeva, giocava con una ciocca di capelli fra le dita e
poi - pratica assolutamente sconsigliabile, quando si sfogliavano
libri sicuramente passati per diverse mani estranee e sconosciute -
si leccava l'indice per voltare pagina.
Fine.
Ok...
Allora farò così: resterò qui fin
quando l'arpia non sarà tornata
ed ogni tanto darò una controllata. Facile.
Nel
silenzio, in quel preciso istante, udì distintamente le
gambe della
sedia di Bellamy sfregare stridule contro il linoleum del pavimento.
Un
fruscìo di vestiti, e poi dei passi leggeri.
Oh...
Ovviamente,
nella vita di Dominic Howard non c'era posto per qualcosa che andasse
bene, di tanto in tanto.
Matthew
Bellamy, infatti, lo aveva appena raggiunto con un dito intrappolato
a tenere il segno fra le pagine del librone da lui scelto ed
un'espressione timida e dimessa dipinta in volto.
-
Senti... Che tu sappia, di questo stesso autore c'è anche Il
mondo fuori controllo. Gli sconvolgimenti planetari all'alba del XXI
secolo? -
Ma
che razza di titoli cercava?
-
Ehm... Non saprei. - Dominic si passò una mano sulla nuca,
riordinandosi i capelli.
-
Te lo cerco, se vuoi. - si offrì, rammentando che non c'era
veramente motivo di non fare il proprio dovere di schiavetto della
Pennyworth con quel tipo.
-
Se non ti disturba... - ribatté Bellamy, con un sorriso
incerto al
quale Dominic rispose scrollando le spalle e provando un'acuta
sensazione di disagio della quale non seppe trovare la fonte.
Forse
era il suo aspetto, ad inquietarlo.
Sotto
la luce al neon delle lampade sul soffitto il ragazzo appariva
pallidissimo, quasi livido: le guance smunte, gli zigomi sporgenti ed
ossuti e la cascata di lunghi capelli scuri che gli ricadeva ai lati
del volto lo rendevano assimilabile ad un piccolo vampiro.
Fortunatamente,
il suo sorriso ne sdrammatizzava le fattezze: gli incisivi superiori,
come aveva già avuto occasione di notare, si contendevano lo
stesso
tratto di gengiva col risultato di accavallarsi.
Era
buffo. Esponenzialmente antiestetico, ma perlomeno faceva ridere.
Dominic
sfiorò le coste di ogni libro della fila corrispondente
all'iniziale
dell'autore richiesto da Bellamy, leggendone i titoli: alla fine
scosse il capo, scendendo dalla scaletta.
-
Non c'è, mi spiace. -
Bellamy
arricciò le labbra, risucchiando l'interno delle guance in
modo tale
che la sua faccia sembrò ancora più piccola e
scarna.
-
Mhm, è già tanto che ci sia questo. -
Dominic
allargò le braccia, infilandosi poi le mani in tasca.
Credeva
che Bellamy sarebbe tornato a sedere, proseguendo nella lettura; il
ragazzo invece restò in piedi, spostando il peso del corpo
da una
gamba all'altra come se fosse indeciso sul da farsi.
Infine,
alzò il capo di scatto, come colto da un'illuminazione: -
Forse
avete dei testi sull'esogenesi? -
Dominic
non riuscì a trattenere una risatina impacciata,
stringendosi nelle
spalle.
-
Non so neanche cos'è, l'esogenesi! Non credo di poterti dare
una
mano... -
Bellamy
battè le palpebre un paio di volte, prima che i suoi occhi
divenissero grandi e liquidi di delusione, e l'altro provò
una punta
di- oh, cavolo. Mica era colpa sua se non era una specie di Trekkie
sfigato del cavolo e non aveva la minima idea di cosa stesse
parlando.
Non
amava le scienze, pur cavandosela bene anche in quell'ambito - e
sicuramente nel tempo libero preferiva non intrattenersi con letture
che gli ricordassero degli insegnamenti scolastici.
-
Non fa niente... Mi accontenterò. -
Bellamy
battè in ritirata strascicando i piedi - enormi.
Quelle non erano scarpe da ginnastica, ma barche a remi -
e Dominic sospirò impercettibilmente.
Quel
tipo non stava facendo molto per smentire la propria fama,
decisamente.
Dominic
non si accorse neanche di quando se ne andò via, rintanato
come un
topo in un angolo ricavato da un paio di scaffali - vide solo la
Pennyworth, fino ad allora intenta a sfogliare il Sun con un occhio
agli articoli e l'altro a Bellamy, prendere fiato e rilasciarlo in un
rumoroso sospiro di sollievo.
-
Mio Dio... Grazie. -
Poi
lo chiamò in tono arcigno: - Giovanotto, stiamo chiudendo. -
Dominic
obbedì svogliatamente, raccogliendo subito dopo il tomo
abbandonato
da Bellamy sul tavolo per metterlo al suo posto.
Fra
la copertina e la prima pagina, sporgeva un foglio di quaderno che
prima non c'era.
Dominic
si fermò e lo sfilò via dal libro – non
poteva lasciarlo lì.
Automaticamente,
lo aprì.
-
Giovanotto,
è tardi. -
Il
ragazzo bofonchiò una parolaccia fra sé e
sé e marciò alla volta
della parte dello scaffale di Saggistica corrispondente alla lettera
B.
Prima
di salire sulla scaletta, gettò di nuovo un'occhiata al
foglio.
Chissà
che genere di appunti poteva prendere un tipo come Bellamy, che
genere di osservazioni poteva apporre alle sue particolarissime
letture...
Quando
Dominic riuscì finalmente a leggere il contenuto del foglio,
per
poco non cadde dai gradini della scala pieghevole.
Stranamente,
quella sera non faceva molto freddo.
Il
vento spirava in zaffate odoranti di salsedine ed un
retrogusto di marcio, come scarti di pesce lasciati andare a male.
Dominic
storse il naso, seduto alla fermata dell'autobus di fronte alla
scuola.
-
Che schifo. - sentenziò fra sé e sé,
alzandosi dalla panchina di
grigio legno escoriato dal tempo ed istoriato di sgrammaticati
bassorilievi in bianchetto raffiguranti cazzi, cuoricini, fiorellini,
insulti, dichiarazioni d'amore ed altre forme di idiozia giovanile.
Si
voltò verso l'entrata del liceo, come se la cosa potesse
farlo stare
meglio.
L'ultimo
anno, Howard. L'ultimo anno.
Sbuffò.
...
e lo stai passando alla grande, direi.
E
pensare che non era tipo da lamentarsi... Cioè, lo era
eccome ma non
più dei suoi coetanei, insomma.
L'unica
differenza fra lui e loro, volendo, era che non aveva qualcuno col
quale lagnarsi di ciò che lo circondava.
Le
dita, nonostante la temperatura più clemente del solito
della
serata, stavano di nuovo trasformandosi in dieci bastoncini surgelati
- ma
che cazzo, non sono normale -
e le ficcò a forza nelle tasche dei jeans.
Il
foglio era ancora lì, rintuzzato contro il tessuto dei
pantaloni.
Aggrottando
le sopracciglia, Dominic lo tirò fuori e lo
spiegò sommariamente.
Una
calligrafia contorta e riccioluta scandiva poche, telegrafiche
parole: "Domani, dopo la scuola. Lower Brook Street,
n°32.”
Un
messaggio. Probabilmente destinato a lui, visto che Lady Pennyworth
spostava il suo grosso culo bulboso solo per evitare rappresaglie da
parte di individi poco raccomandabili almeno sulla carta, non certo
per mettere in ordine i libri – chiunque ne era al corrente,
a
scuola.
… ma
perché? Cosa significava?
-
... quello è scemo. - mormorò ancora incredulo,
appallottolando la
breve missiva e gettandola in un cestino poco lontano.
Le
finestre di casa Howard erano oscure, segno evidente che Diane Howard
non era tornata.
Dopotutto
era giovedì: la giornata dedicata alla riunione settimanale
del
circolo di lettura comunale.
Dunque,
ad aspettarlo Dom avrebbe trovato verosimilmente qualcosa a
scongelarsi nel lavandino e un post-it di raccomandazioni varie ed
eventuali.
La
serata migliore di tutta la settimana, insomma: difatti, Dominic ne
aveva approfittato per farsi un giro in città –
non aveva voglia
di tornare a tapparsi in casa, anche se in realtà non aveva
neanche
voglia di bighellonare da solo a zonzo per le strade di Teignmouth...
Ma, in sostanza, meglio uno schifo di città semideserta
piuttosto
che uno schifo di bicocca semideserta - fino all'ora di cena.
Solito
cigolio del cancelletto scassato, solito energico colpo nel tentativo
di incassarlo decentemente.
-
Dovreste riaggiustarlo.-
Dominic
cadde quasi all’indietro per la sorpresa, battendo la schiena
contro la staccionata.
-
C-che… Che diavolo ci fai qui? - balbettò
all’indirizzo
dell’intruso, stringendosi il giaccone all’altezza
dello sterno e
chiudendo gli occhi nello sbuffare cauto un soffio d’aria.
Matthew
Bellamy si alzò dallo scalino del porticato, le mani in
tasca e i
capelli selvaggiamente alla deriva nel vento che alla fine si era
deciso ad alzarsi.
-
Facevo una passeggiata.-
-
Non si cena, a casa tua?- gli domandò Dominic guardingo,
accorgendosi nel frattempo con sollievo che il suo cuore era
regredito al ritmo di sempre.
Ad
ogni modo, rimase opportunatamente rivolto verso il cancello... La
prudenza innanzi tutto.
Bellamy
chinò il capo da un lato, replicando: - Sì,
però molto presto…
Sai, per via della nonna.-
-
Uh… Ok. Comunque… Sul serio, che ci fai qui?-
ripetè Dom, visto
che la risposta precedente non era di sicuro fra le più
esaurienti:
intanto, squadrò l’interlocutore dalla testa ai
piedi.
Bellamy
sembrava tranquillo, come se veramente nel suo cervello non si
aggirasse un pensiero diverso da quello di una semplice passeggiata
nel bel mezzo di quella spaventosa tramontana… E di
intrufolarsi
nella proprietà di Dominic.
Lo
sguardo di questi cadde sulla finestra illuminata dei Bradford - se
avesse avuto bisogno di soccorso, sarebbe bastato urlare.
-
Ti ho lasciato un biglietto... Però mi è venuto
in mente che forse
era meglio parlarsi di persona. - constatò Matthew, tentando
inutilmente di riavviarsi i capelli dietro un orecchio.
-
… lo hai letto? -
Dominic
cercò freneticamente una risposta che non fosse
"sì, ma l'ho
gettato via perché non mi passa proprio per la testa di
accettare un
invito per chissà cosa da te".
Senza
attendere conferme, Bellamy sorrise e commentò con tono
sommesso: -
Evidentemente, la compagnia di Wolstenholme è più
allettante della
mia. -
-
Conosci Chris?- si lasciò sfuggire Dominic, prima di porre
il ben
più interessante interrogativo: - … mi stai
spiando?-
… certo
che sì, sapeva anche dove abitava!
-
Spiando? Oh, andiamo! Abitiamo a Teignmouth, qui il concetto di
“spiare” non esiste… È tutto
inevitabilmente esposto agli
occhi di tutti!- rise allegramente Matthew, aggiungendo poi
malizioso: - Ti dà fastidio che vi si veda insieme? Hai
qualcosa da
nascondere, Dom?-
-
Che cazzo… Cioè, che cosa dici? No!- si
agitò l’altro,
iniziando a sentirsi ben più seccato di quanto fosse
all’inizio.
Avrebbe
dovuto cacciarlo sin dall’inizio, altro che fare salotto in
quella
maniera!
Chissà
che diavolo voleva davvero, poi…
Vederlo,
tsk! A malapena si guardavano in faccia, quando si incontravano nei
corridoi del liceo.
-
Senti, si è fatto tardi, io devo cenare e tu devi tornartene
a casa,
perciò…-
-
Non devo
tornare a casa. - obiettò con strano tono orgoglioso
Bellamy,
raddrizzando dignitosamente la schiena.
-
Ma io devo
cenare, quindi vedi di sparire, ok?- sbottò alla fine
Dominic,
pentendosi di quanto detto appena pronunciata l’ultima
sillaba.
Ecco.
Aveva appena sclerato ad una persona da poco tornata da un istituto
d’igiene mentale.
Poteva
reagire in qualunque modo. Poteva avere con sé qualunque
cosa per
fargli del male.
E
che avesse la stazza di un fringuello poco importava, quando si fosse
fatto cogliere da un raptus omicida.
Bellamy
era immobile e rigido, lo sguardo vuoto ed impassibile di chi non
capisce cosa gli si richiede.
Poi
le sue spalle minute si rilassarono, mentre sospirava un mite: -
Scusa… Non sono granchè abituato a relazionarmi
con le persone. In
realtà avrei dovuto aspettare di vederti domani mattina, per
parlarti. Scusa.-
Le
labbra di Dominic si unirono e separarono diverse volte, nel
tentativo di dare forma ad una frase dotata di un significato, e alla
fine si ritrovò a boccheggiare un perplesso ma sollevato: -
Ok…
Cioè… Ok, sì, se per te va
bene…-
-
Domani mattina, prima delle lezioni. Davanti al tuo armadietto, tanto
so dov’è… –
stabilì Matthew, prima di oltrepassare Dom per
avviarsi verso il cancello.
Lo
sfiorò appena, un lieve contatto spalla contro spalla, ma
Dominic
sobbalzò lo stesso, senza poi voltarsi a salutare il
compagno.
Cigolio
di ingranaggi difettosi.
-
A domani, Dominic.-
Zono rappreddada. *sniff*
A parte quest'informazione
di rilevanza assolutamente eccezionale, non ho altro da dirvi se non
che a partire da questo capitolo la trama comincerà
finalmente ad entrare un po' nel vivo e... Grazie, grazie, grazie
mille, come sempre. :)
A presto, cheers! :*
|
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Capitolo 5 *** Pressione critica ***
Pressione
critica
L’indomani,
quando la sveglia suonò, il primo pensiero che sorprese
Dominic
riguardava Matthew Bellamy.
Il
secondo, riguardava la disperata ricerca di un modo per evitare di
incontrarlo.
Dominic
si alzò in piedi svogliatamente, lasciando le coperte a
raffreddarsi
sul letto vuoto mentre infilava la porta del bagno.
Alzò
gli occhi verso lo specchio emettendo il solito, lapidario verdetto.
Che
cesso.
Insulsi
capelli biondi da canonico angioletto, orecchie enormi, occhi
altrettanto grandi e troppo rotondi, troppo grigi-blu-verdi o chissa
cos’altro.
Se
gli occhi erano lo specchio dell’anima, nella sua la gente
cosa
avrebbe potuto scorgere?
Un
colore troppo sfuggente per essere catalogato, una forma troppo
infantile per appartenere ad un ragazzo in procinto di diventare
uomo.
Che
cesso.
Sulla
strada per il liceo Dom camminò a testa bassa contro il
solito
vento, riflettendo sul da farsi mentre cartacce e foglie morte si
rincorrevano all’impazzata sul marciapiede.
In
realtà non c’era un modo alternativo di risolvere
la questione se
non accettando l’idea di incontrare Bellamy.
Davanti
al tuo armadietto, tanto so dov’è.
… non
che la cosa non lo inquietasse, ovviamente.
Man
mano che la sagoma dell’edificio scolastico si faceva
più
incombente all’orizzonte, il ragazzo si sentiva
più trepidante.
Sperando
che tutto andasse bene, Dominic entrò a scuola con un
sospiro.
Un
post-it giallo fu tutto ciò che trovò arrivato al
proprio
armadietto.
L'ormai
familiare calligrafia contorta e riccioluta ornava il foglietto con
poche, telegrafiche parole: “Oggi pomeriggio alle cinque a
casa
mia, così ci prendiamo il tè.”
…
cosa?
Dominic
staccò il foglietto dallo sportello per guardarlo
più da vicino.
Aveva
letto bene, si parlava di un invito per un tè a casa di
Matthew
Bellamy.
C’era
da sperare che nessuno l’avesse visto affiggere il
post-it… Anzi,
per correttezza d’informazione, c’era ben
poco
da sperare.
Nel
tragitto dall'armadietto fino all'aula di inglese, ebbe modo di
considerare che dopotutto non era scritto da nessuna parte che fosse
obbligato a prendere il té da Bellamy – che
poi, quanto era
ridicola la cosa... Un invito per un té. Di chi era stata
l'idea, di
sua nonna? E poi di cosa avrebbero parlato, del prezzo dei pasticcini
e della pioggia?
Non
aveva affatto senso. Come tentativo di fare amicizia – sempre
che
in realtà non fosse una trappola di qualche tipo progettata
per
chissà quale infimo motivo - faceva davvero acqua da tutte
le
parti. E poi, perché proprio lui? La popolarità
di cui godeva a
scuola sfiorava lo zero, nessuno lo avrebbe cercato per un... Dio...
Tea party.
Suonò
l'ultima campanella.
Dominic
perse ancora più tempo del solito a rimettere a posto il suo
banco,
lisciando con cura le copertine dei libri nell'infilarli in borsa per
evitare le orecchie e sistemando le penne con la punta rivolta nello
stesso verso dentro l'astuccio. Era
rimasto solo, dalla finestra vedeva i ragazzi che uscivano dal
portone per invadere il cortile adiacente all'edificio scolastico,
gli ombrelli aperti e colorati come cappelli di funghi da fiaba. Forse
fra loro c'era anche Bellamy. Si era fatto piuttosto tardi,
dopotutto, fra una matita ed una piegolina da lisciare ovviamente
non allo
scopo di perdere tempo.
Si
prese qualche secondo supplementare per guardarsi attorno: file
ordinate di banchi vuoti davanti alla cattedra come anatroccoli di
fronte a mamma anatra, vecchi planisferi ingialliti appesi alle
pareti – parte dell'Oceania era strappata, un brandello di
Australia era stato incollato al suo posto giorni prima – un
termoconvettore grigio ed un po' scassato sotto al davanzale della
finestra.
-
Ci vediamo domani, allora... - sussurrò fintamente amorevole
alle
pareti macchiate dalla colla del nastro adesivo e infilzate da
qualche sporadico chiodo.
Ad
ogni passo che lo portava più vicino all'uscita della scuola
si
sentiva più tranquillo.
I
corridoi erano deserti, tranne per il bidello che fumava appoggiato
alle porte dei bagni maschili, accanto al suo secchio dello straccio:
il cortile, attraverso la porta a vetri in fondo, appariva
completamente vuoto.
Nel
tragitto da compiere prima di infilare l'uscita, comunque, Dom
ritenne più saggio accertarsi di aver schivato il pericolo
tanto
temuto dalla posizione privilegiata nella quale si trovava.
Nessuno
seduto sulle panchine, nessuna macchia di colore sospetta dietro i
cespugli e gli alberi erano troppo sottili per fungere da
nascondiglio persino a quella cosetta striminzita di Bellamy.
Alla
fine, ritenendosi al sicuro, spinse la porta con un sorrisetto
soddisfatto sul volto.
-
Cavolo, ce ne hai messo di tempo. -
Il
muro, accanto all'uscio. Quello non si poteva controllare
dall'interno.
Sentendosi
come il protagonista di un pessimo action-movie televisivo, Dom si
voltò molto lentamente verso chi aveva parlato combattendo
l'impulso
di darsela a gambe.
Almeno,
che cercasse di affrontare la sfida da uomo.
Matthew
Bellamy si stagliava contro l'intonaco della parete dietro di
sé in
tutto lo sfavillante cattivo gusto del suo enorme maglione a righe
giallo, rosso e nero.
-
Potevi avviarti... Ti avrei raggiunto. - mentì
spudoratamente Dom,
restando immobile al proprio posto.
Bellamy
trotterellò verso di lui, aggiustandosi lo zaino sulla
schiena.
-
Be', visto che dobbiamo fare lo stesso tratto di strada tanto vale
farla in due, no? - argomentò spiccio, prima di ricominciare
a
camminare verso la fermata dell'autobus.
Quando
si accorse che Dom non si era spostato di un millimetro, si
girò ad
incitarlo.
-
Andiamo? Nonna avrà già messo l'acqua sul fuoco! -
In
quel momento, in uno scatto tardivo d'orgoglio, Dom ricambiò
lo
sguardo dell'altro il più fermamente possibile.
-
… cosa vuoi da me? - sbraitò velocemente, per non
aver tempo di
ripensarci.
Bellamy
spalancò gli occhi, sorpreso; i libri che stringeva
sottobraccio
quasi gli caddero a terra.
Uno
a uno, palla al centro.
Mantenendo
la stessa distanza, Dom prese coraggio e ripeté: - Sul
serio, cosa
vuoi? -
Stava
andando bene, cazzo... Più che bene! Forse si trattava di
quel tipo
di nerbo che si tirava fuori solo nelle situazioni più
estreme, tipo
calamità naturali o visite di ladri e via discorrendo.
L'avversario
sembrava sconcertato; si grattò la sommità del
capo, aggrottando le
sopracciglia.
-
Tu... Tu mi stai perseguitando. - lo accusò Dom, indicandolo
per
buona misura con un indice puntato che voleva essere intimidatorio ed
autorevole.
Credici,
Howard. Non può essere così difficile.
Bellamy
replicò in tono scettico: - …
era solo un invito per un té.
Non mi sembrava una lettera... Anzi, un post-it minatorio. -
-
Certo... E perché mai avresti dovuto invitarmi? Non siamo
amici. -
-
Be', da qualche parte dovremo pur cominciare, no? -
-
Cominciare a fare cosa? -
-
Va bene, va bene... - Bellamy alzò le mani, abnormi come i
suoi
piedi ed il suo naso che spiccava adunco sul musetto da roditore
curioso.
-
… scusami. Le mie “abilità
sociali” sono un po' “arrugginite”.
-
… a
dir poco.
-
… in realtà volevo proporti un affare, e volevo
farlo con lo
stomaco pieno e magari seduti comodamente... Tanto per metterti un
po' a tuo agio, visto che sembri sempre sulle spine quando ti sto
attorno. -
-
L'ultima volta che mi sei “stato attorno” ti sei
intrufolato in
casa mia. - puntualizzò Dom.
-
Nel tuo giardino, Howard, e solo perché il cancello era
rotto. -
Questo
implicava forse che se si fosse trovato anche una porta rotta di
fronte non avrebbe esitato ad entrargli in casa...?
-
Sai, è proprio per questi precedenti che mi chiedo che tipo
di
affare vorresti propormi. -
Bellamy
scrollò le spalle, e disse tranquillamente: - Non
è illegale. -
Fu
a quel punto che Dom decise di averne abbastanza: sistemò lo
zaino
sulla spalla e apostrofò l'altro sarcasticamente: - Grazie,
adesso
mi sento più tranquillo. Ciao. -
-
… ehi, dove vai? -
-
A casa. -
-
Non vuoi saperne di più? -
-
No, grazie. -
Dopo
un'entrata di scena ben poco dignitosa, Dom cercò di
andarsene con
più classe possibile: si impedì di voltarsi verso
Bellamy, nel
dirigersi verso la fermata dell'autobus – e se
anche lui dovesse
prendere il bus per tornare a casa? … potrei farmela a
piedi. Non è
così lontano, in fondo.
Il
fatto che dietro di lui non sentisse alcun rumore di passi e l'idea
conseguente che l'altro fosse rimasto fermo a fissarlo in silenzio
mentre si allontanava, però, lo fecero sentire lo stesso un
po' in
colpa.
Ci
ripensò mentre a cena sua madre stilava l'entusiasta
resoconto della
visita di un alto prelato giù al negozio in cerca di
quaranta
tonache in raso bianco trapunte d'oro per la messa di Natale
–
aveva intenzione di rivestire il coro diocesano a nuovo e bla bla bla
- e anche quando accese la TV in soggiorno e la spense un'ora e mezza
più tardi per andare a dormire.
La
stessa fastidiosa sensazione che aveva provato quando aveva
praticamente riso in faccia a Bellamy in biblioteca, solo
più forte.
Ecco cos'era.
Bah.
Non posso farci niente se gli piaccio e lui non piace a me. Come se
poi gli avessi dato mai corda.
Sbadigliò,
rintanandosi sotto le coperte fino a coprirsi anche la fronte.
-
Le opere di carità le lascio a mia madre, io non sono un
benefattore. - biascicò sottovoce, con un mezzo sorriso
sbuffato e
gli occhi già chiusi.
Il
giorno dopo sull'armadietto di Dom non c'era alcun bigliettino
bislacco, ma qualcosa di molto peggio.
Quando
lo vide arrivare, Bellamy gli rivolse un allegro
“Buongiorno!” e
si allontanò solo quel poco che serviva a Dom per aprire lo
sportello – gesto che a quest'ultimo riuscì di
compiere solo dopo
qualche secondo di terrificato stupore.
Sforzandosi
di non dare a vedere ulteriormente quanto fosse confuso e
contemporaneamente cercando una frase qualsiasi da utilizzare per
scoraggiare una volta per tutte l'altro, fece cadere il libro che gli
serviva a terra.
Bellamy
si chinò a raccoglierlo, commentando con una smorfietta
disgustata:
- Ugh, odio il francese. Sono una schiappa con le nasali. -
-
Che ci fai qui? - finalmente sputò Dom, guardandosi attorno
nervosamente.
-
Frequentiamo lo stesso istituto, nel caso non te ne fossi accorto
prima. - gli rammentò l'altro, prima di chiedere con aria
casuale: -
Dormito bene? Fatto bei sogni? -
Lo
sguardo di Bellamy assunse un familiare brillio malizioso, da
folletto impertinente.
-
La notte ha... Portato consiglio? -
Cogliendo
l'allusione al volo, Dom borbottò: - Non ho cambiato idea. È
una cosa che non sta in piedi. -
-
Ma se non sai nemmeno di cosa si tratta! -
-
Senti... Mi dispiace, ok? Ma qualsiasi cosa tu abbia in mente non
sono la persona che fa al caso tuo. -
E
mi piacerebbe che tu lo capissi una volta per tutte.
L'espressione
di Bellamy cambiò: scrutò Dom per un istante, per
poi affermare
pensieroso: - È
buffo...
Sai, tu sei molto fortunato. Hai tutto per poter piacere alle
persone, ma non hai nessuno accanto. -
Punto
sul vivo, Dom sbottò: - Sai cos'è più
buffo? Il fatto che ci
saremo parlati sì e no quattro o cinque volte e
già pretendi di
sapere tutto di me. -
Ripeté
la performance del giorno prima – l'uscita di scena
à la John
Wayne – ma fu costretto a fermarsi due passi più
tardi.
-
Dominic James Howard. Nato il sette dicembre del
millenovecentosettantasette a Stockport. Suoni la batteria. Tua madre
è un personaggio in vista, qui a Teignmouth. Sei un ottimo
studente,
ma manchi di iniziativa riguardo il campo sociale. Fai schifo a
calcio. -
Per
l'ennesima volta, Dom era senza parole.
Si
voltò verso Bellamy, il quale si giustificò con
semplicità: - Mi
sono documentato. -
Il
cuore di Dom cominciò a pompare più velocemente e
la faccia gli si
imporporò fino alla punta delle orecchie.
-
Non hanno fatto un buon lavoro, gli psichiatri... Forse dovrebbe
pensarci la polizia. - sibilò, rabbioso ed impaurito allo
stesso
tempo.
Bellamy
rise, liquidandolo con leggerezza: - Ma piantala... Sono più
lucido
di te e di tutti gli scimuniti che mi... Che ci ridono dietro,
credimi. -
-
Credi davvero di somigliarmi? -
-
No... Sono più coraggioso, io. -
Dom
strinse le labbra, scuotendo il capo.
-
Sei fuori di... -
-...
testa? Ti piacerebbe. -
La
campanella della prima ora suonò: Bellamy iniziò
ad avviarsi lungo
il corridoio, esclamando: - Ho il compito di algebra... Fammi gli
auguri! -
-
Fottiti. - ringhiò Dom: per tutta risposta Bellamy gli
indirizzò
una breve pernacchia, riprendendolo ironicamente: - Cafone. -
La
questione era seria. Aveva uno stalker alle calcagna che conosceva i
suoi movimenti, il suo indirizzo, la sua famiglia... Tutto
ciò che
non avrebbe dovuto sapere di lui. L'idea di andare alla polizia forse
restava lo stesso prematura, ma... Se Bellamy avesse avuto intenzione
di fargli del male? E poi... Oh, cazzo, avrebbe dovuto stare a
sentire in cosa consistesse lo stupido affare che intendeva proporgli
e non scappare via senza dargli alcuna soddisfazione!
Che
cazzo faccio, adesso?
Immerso
nei suoi pensieri angosciati, sobbalzò violentemente quando
avvertì
una mano su di una spalla che gli impediva di entrare in aula, al
sicuro.
Dietro
di lui, per qualche benevolo disegno del fato, trovò solo
Chris.
-
… ehi, ciao. - ansimò letteralmente Dom,
sollevato.
Si
lasciò abbrancare dall'altro senza protestare, grato
dell'inconsapevole protezione che gli era fornita nonostante in
teoria non ve ne fosse più bisogno – ma chi poteva
dirlo? Magari
Bellamy non aveva nessun compito di algebra e forse...
-
Ciao! Allora, hai ancora problemi con le macchinette? -
-
No, scherzi? Adesso le patatine le compro al bar qui all'angolo,
semplice. -
Entrambi
ridacchiarono al ricordo delle patatine incastrate nel distributore;
poi Dom chiese: - Come va con Bowman? -
- Si sopravvive. Gli sto simpatico, ed ancora non capisco
perché...
E tu? Sempre alle prese con i libri? -
-
Già... E magari stessi simpatico a Lady Menopausa! Anche se
in
realtà lei odia tutto l'universo mondo, perciò...
-
Chris
scoppiò in una risata roboante, ripetendo: - Lady Menopausa!
-
Toh,
l'aveva fatto ridere. Ultimamente, la sua vita era ricca di sorprese.
-
Uhm... Ora vado. - annunciò controvoglia Dom.
-
Anch'io, sono già in ritardo... Ci vediamo
giovedì, allora, oppure
in giro. -
La
stretta di Chris sulla spalla sinistra di Dom era dolorosamente
affettuosa – non conosceva la propria forza fisica, in tutta
evidenza.
-
… fatti vivo. -
Quando
Chris si dileguò lungo le scale che davano accesso ai piani
supertiori, le paranoie di Dom tornarono intatte all'attacco:
guardandosi attorno furtivamente, entrò in classe alla
svelta.
Solo
quando, prima dell'ultima campanella, dal cielo iniziarono a cadere
le prime gocce di un fitto, gelido acquazzone Dominic
ricordò di non
avere un ombrello a portata di mano – era rimasto nel
portaombrelli
a casa, poiché in primis delle volte sapeva essere
tremendamente
sbadato e poi perché non avrebbe mai imparato a diffidare
delle
previsioni del tempo: per il secondo giorno di fila si
ritrovò ad
uscire per ultimo da scuola, nella vana speranza che le nubi si
diradassero.
Dopo
una mezz'oretta trascorsa a spiare il temporale dalle finestre della
sua aula, Dominic decise di uscire a sfidarlo apertamente,
accogliendo a braccia aperte il probabilissimo secondo raffreddore
della stagione.
Cosa
era più irritante, la giacca a vento che lo stava facendo
morire di
caldo mentre correva come un forsennato verso la fermata dell'autobus
o il vento che gli spingeva la pioggia contro il viso?
Nessuno
dei due: l'autobus che, dopo essersi fatto attendere per un buon
quarto d'ora e aver preso ogni maledetta buca della maledetta strada
verso casa, lo scaricò a destinazione stravinceva su
entrambi.
Zuppo
e rabbioso come un gatto costretto a fare il bagno, Dom
marciò
dritto verso il cancelletto del suo giardino, il cappuccio della
giacca calato sulla fronte che oscurava qualunque cosa non fosse
l'asfalto del marciapiede e le staccionate.
… ed
un paio di piedi enormi.
Non
ebbe neanche bisogno di alzare lo sguardo per riconoscerne il
proprietario.
-
I Fixed Cosi fanno cagare. -
Matthew
Bellamy, stavolta appoggiato al cancello ed avvolto da un ridicolo,
enorme k-way arancione, rispose all'espressione allibita di Dom
allargando le braccia.
-
Che c'é? Non sono entrato, stavolta! -
Era
troppo.
La
pioggia, l'autobus, il sudore che al momento colava silenzioso e
fastidiosissimo lungo la schiena e gli infradiciava i capelli sulla
nuca ed un fottuto
stalker?
No,
no, cazzo. Era davvero troppo persino per i suoi standard.
Ignorandolo
completamente, e mettendo a tacere la vocina che gli consigliava al
contrario di piazzargli una ginocchiata fra le palle, aprì
il
cancello in silenzio e sgattaiolò dentro senza che l'altro
cercasse
di fermarlo o di intrufolarsi di nuovo in giardino assieme a lui.
Si
limitò ad apostrofarlo: - Tu sei più bravo di
Wolstencoso. -
Dom
stava cercando le chiavi della porta in tasca; una manciata di
secondi e si sarebbe trovato dentro, al sicuro, a digitare il numero
della polizia sul telefono e ad attendere i soccorsi preparando nel
frattempo un bel té caldo o liberandosi semplicemente delle
sue
scarpe infangate e...
-
Primo, non è Wolstencoso e secondo non ti voglio
né qui dentro né
lì fuori né a scuola né... Cristo,
sparisci una volta per tutte! -
Non
aveva intenzione di urlare, né tantomeno di sbattere il
cappuccio
all'indietro e tornare sui suoi passi per fronteggiare quel... Quel
mostriciattolo arrogante che... Che...!
La
pioggia sulla fronte bollente era un sollievo. Almeno questo.
-
Voglio fondare una band. -
Anche
sotto la plastica arancione dell'impermeabile, gli occhi di Bellamy
brillavano azzurri e fermi.
Dom
ansimava, non sapendo come agire.
-
E quindi? -
-
Vuoi farne parte? -
L'affare
importante di cui cianciava era questo, insomma.
Aveva
ragione, dopo tutto: non era niente di illegale.
-
Io... No! - esclamò stridulo Dom, asciugandosi inutilmente
le
sopracciglia con i palmi delle mani.
-
Ok, mi rendo conto che ti ho colto un po' di sorpresa. - gli concesse
Bellamy, un accenno di sorriso sulle labbra strette.
Dom
ribadì, tremando: - Non mi hai colto in nessun modo, la
risposta è
no! -
-
Perché non vuoi rifletterci neanche per un secondo? -
-
Perché... Perché sei pazzo!
-
-
Me l'hanno detto talmente tante volte che non ha più alcun
senso,
per me. -
Bellamy
incrociò le braccia sul petto, scuotendo il capo.
Era
rimasto ben poco da dire – anzi, nulla.
Dom
si voltò meccanicamente verso la veranda, iniziandone a
salre i
gradini.
-
Domani... - tornò alla carica l'altro, prima di essere
zittito
bruscamente.
-
Domani un cazzo! -
Non
si accertò nemmeno che Bellamy se ne fosse andato: Dom si
infilò in
bagno, si spogliò e fece una doccia calda al limite
dell'ustione.
Ferme
con quelle uova! Qualunque cosa mi abbia tenuto alla larga da questa
fic non dipende dalla mia volontà, che sia il diritto
internazionale
od un brutto caso di blocco dello scrittore! XD
Detto
ciò... Non vedevo l'ora di lasciarmi alle spalle questo
capitolo, lo
ammetto – mi sfugge il numero preciso di quante volte l'abbia
riscritto, riletto e odiato appassionatamente.
Per
chi è fan di Supernatural... Prima di tutto BRAVA/O *O*! Ed in secondo luogo ho seminato una citazione, ad un
certo punto. Suggerimento: è in un dialogo. :3
Fuggo.
L'ov a pioggia su chi segue ancora tutto questo. Siete un balsamo per
l'ego di questa studentessa stanca e triste, nonché puccini
e
dolciosi e vi vu bì. XD
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Capitolo 6 *** Principio di inerzia ***
Principio
d'inerzia
-
Era un tuo amico, quel ragazzo? -
Dominic
smise di tormentare la sua insalata con la forchetta, che dall'inizio
della cena non aveva neanche assaggiato, e sollevò lo
sguardo dal
piatto.
Diane
lo fissava, il capo inclinato da un lato e le posate in mano, pronte
ad attaccare la bistecca che aveva davanti.
-
… un compagno di classe. - precisò Dom, con un
sorriso tirato.
L'ultima
cosa che voleva era che sua madre si mettesse a fare osservazioni
sulle compagnie che frequentava – fortunatamente, non aveva
riconosciuto Bellamy. Era già abbastanza seccante che avesse
assistito allo scontro dalla finestra del salotto, nascosta dalle
tende: se l'avesse saputo si sarebbe contenuto, in qualche modo...
Forse.
Dom
si inumidì le labbra, bofonchiando: - Ero arrabbiato. -
Ad
essere del tutto sinceri, non si era nemmeno sfogato fino in fondo.
Se l'orario non glielo avesse impedito, la sua batteria avrebbe preso
tutte le botte che avrebbe volentieri destinato a tutt'altro
soggetto.
-
Che novità. -
Prima
che Dom potesse replicare, si vide sbattere letteralmente sotto il
naso il macinino del pepe che troneggiava accanto alla caraffa
dell'acqua al centro del tavolo.
-
Pepe di Caienna? Anche se non si direbbe si sposa molto bene, con la
lattuga. -
Ciò
che era accaduto quella sera aveva scosso i nervi di Dom più
di
quanto non volesse ammettere, nemmeno con sé stesso.
A
scuola, ormai, controllava automaticamente che nessuno lo stesse
seguendo o spiando – laddove “nessuno”,
ovviamente, stava ad
indicare una persona in particolare; nonostante tutto i giorni si
succedevano scialbi e tranquilli come se nulla fosse cambiato tranne
il suo umore, decisamente orientato verso una leggera paranoia che
pian piano scomparve a favore di un rinnovato senso di sicurezza.
Se
avesse trovato prima il coraggio di cantarle a Bellamy, invece di
crogiolarsi in paure inutili...
Era
solo un tipo un po' disturbato il quale non aveva ancora chiaro in
testa il fatto che perseguitare le persone non fosse il modo migliore
di guadagnarsi la loro fiducia ed amicizia. Era bastato fare la voce
grossa per costringerlo a desistere e tornare alla sua solita,
monotona ma sicura routine.
Lo
intravedeva solo in corridoio, durante i cambi d'ora, o a mensa. Come
in uno stupido film americano ambientato in un liceo scolastico,
Bellamy era il ragazzo emarginato che mangiava da solo in un angolo.
Almeno, la sua nomea gli forniva uno scudo virtuale da ogni possibile
presa in giro – dare in escandescenze gli era servito a
liberarsi
dei dispetti cretini dei bulletti della scuola.
Anche
se non incontrava nemmeno il suo sguardo, in quei casi, Dom non
poteva fare a meno di sbirciarlo dal suo personale ed altrettanto
solitario angolino dello sfigato.
Forse
Bellamy vedeva in lui un compagno di sventura, uno spirito affine...
Il che era senz'altro scorretto, perché perlomeno lui aveva
una
storia interessante, dietro. Dom, neanche quella.
Quel
giovedì pomeriggio, Chris sfrecciò a testa bassa
oltre la porta
della biblioteca dalla quale Dom stava per uscire, senza dar mostra
di essersi accorto della sua presenza sulla soglia.
Senza
stare troppo a pensarci, Dom lo richiamò con un incerto: -
Ehi. -
Chris
si bloccò immediatamente, voltandosi.
Era
accigliato, ed aveva i pugni serrati lungo i fianchi: subito dopo,
però, sembrò rabbonirsi nel mormorare: - Oh,
scusa, non so dove ho
la testa... Ciao, come stai? -
Dom
si pentì di averlo fermato – avrebbe dovuto capire
che non tirava
l'aria giusta per quattro chiacchiere di fronte alla macchinetta.
Però,
che diamine, ormai era fatta.
-
Potrebbe andare meglio. - si guardò la punta dei piedi, un
po'
imbarazzato.
-
A chi lo dici... Lo stronzo ha deciso che non venire ad una prova
è
sufficiente per essere inseriti sulla sua lista nera personale. - si
lamentò Chris, cacciando poi un lungo sospiro esasperato.
Continuò
poi a parlare, stavolta con l'ombra di un sorriso sul volto stanco: -
La volta scorsa ho saltato... Avevo le mie
prove, con la mia band. Fixed Penalty. -
Quel
nome non suonava per niente sconosciuto alle orecchie di Dom.
-
Mai sentiti nominare? -
I
Fixed Cosi fanno cagare. Tu sei più bravo di Wolstencoso.
-
… no, mi spiace. -
Chris
non sembrò prendersela: si riaggiustò i riccioli
sulla fronte, i
quali ricaddero un istante dopo al loro posto.
-
Figurati... In realtà come sound siamo ancora in fase di
perfezionamento e... -
Si
fermò nel bel mezzo del discorso, ammettendo poi: -
… ok, siamo una merda. È
per questo che dobbiamo provare parecchio e spesso mettersi d'accordo
con gli orari e i giorni è un macello per via della scuola e
via
discorrendo. -
Dom,
mentre annuiva comprensivo, si chiese cosa fosse la repentina,
fastidiosa fitta che gli puntellò la pancia in quel momento.
Ah,
ok. Solo una pugnalata d'invidia alla bocca dello stomaco, niente di
cui preoccuparsi.
Raggiunto
il distribuitore delle merendine, Chris sembrò aver
recuperato un
po' del suo usuale buonumore.
-
Bene, ti ho tirato su di morale... Adesso tocca a te. Hai bisogno di
sfogare un po' di frustrazione? -
Dom
scosse il capo, affermando ironico: - Credo di stare sviluppando
un'allergia alla polvere ed alla carta... Per il resto tutto a posto.
-
Il
Mars di Chris piombò sonoramente sul fondo della
macchinetta: prima
di raccoglierlo, il ragazzo diede una breve occhiata a Dom per poi
dire: - Posso farti una domanda? Così, per
curiosità. -
-
Uhm... Ok. -
-
Te la fai con Matthew Bellamy? -
Quando
Chris notò l'espressione di Dom, alzò le mani e
precisò: - Non in
quel senso, eh... Solo che vedo che ti gironzola attorno, da qualche
tempo. Ti fissa molto, poi, in corridoio. -
-...
davvero? - riuscì a spiccicare Dom, immobile e con gli occhi
ancora
sbarrati dallo stupore.
Di
tutte le cose che potevano succedergli...
… no,
ok, la più sconcertante era ormai vecchia di qualche
settimana ma
quest'ultima era davvero, davvero, davvero un
fulmine a ciel
sereno – o forse no? Stupida, minuscola,
tutti-sanno-tutto-di-tutti
Teignmouth.
Chris
non fece che confermare l'idea di Dom sulle lingue troppo lunghe
dalle quali la scuola e l'intera città erano infestate senza
speranza di potersene liberare una volta per tutte.
-
Credo tu sia l'unico in tutta la scuola a non sapere della cotta di
Matthew Bellamy per Dominic Howard del terzo anno. -
ridacchiò,
scartando il Mars.
All'altro
era passato l'appetito, ed attendeva ulteriori spiegazioni.
-
Quindi... -
-
Ripeto, non so se lui abbia davvero certe tendenze, però... -
-
… però? -
D'improvviso,
Chris non dovette più trovare la faccenda così
divertente: agitò
una mano come a scacciare via ogni traccia delle chiacchiere appena
evocate, bofonchiando a bocca piena: - Senti, sono solo pettegolezzi,
lascia stare. -
-
Riguardano me? - insisté Dom, cercando di capirci qualcosa.
-
Oh, Dio... Non ti piacerà. -
-
Che cosa? -
Chris
tacque per un po', come a cercare il modo giusto di comunicare a Dom
una notizia che sapeva sarebbe stata molto, molto sgradita.
Alla
fine, riluttante, sputò il rospo.
-
C'è chi crede che tu sia un po'... -
Non
c'era neanche bisogno che tirasse fuori il gesto classico e non molto
elegante del toccarsi l'orecchio, in realtà – Dom
seppe subito
dare la giusta interpretazione alla reticenza di Chris.
Senza
dubbio, era quello il vero fulmine a ciel sereno.
Dom
si mise le mani fra i capelli – troppo lunghi, troppo biondi,
troppo puliti... Cazzo! - e mormorò: -... Cristo. -
-
Dai, seriamente... È quella vacca di Julie che mette in giro
delle
voci solo perché non le sbavi dietro come tanti altri. -
argomentò
placido l'altro, per consolarlo.
Certo.
Lui che era più alto di una spanna ed aveva già
la barba che gli
cresceva da una parte all'altra del viso fino a metà guancia
e
soprattutto non attirava l'attenzione di piccoli esaltati dal dubbio
orientamento sessuale poteva permettersi di restare calmo.
Parlano
di me... Anzi, di me e di Bellamy. Come se ci fosse davvero un
“me
e Bellamy” di cui parlare.
-
Per quello che vale, mi sembri etero. Certo, con i capelli
più corti
faresti un altro effetto, ma... Cioè, non lo so. -
Grazie
dell'aiuto, bello.
-
Io devo trovare quel mostriciattolo... Giuro che lo farò a
pezzi. -
-
Non è colpa sua se Julie e chiunque l'ascolti sono dei
cretini, eh.
-
Chris
gettò la carta del Mars nel cestino accanto a lui, e fece
per
tornare da Bowman; non prima però, di dispensare a Dom un
consiglio.
-
Tu apri le orecchie, ogni tanto, e non guardare sempre in basso
quando cammini. -
Dom
lo seguì, a partire dall'indomani.
Non
gli era mai risultato tanto gravoso alzarsi al mattino ed andare a
scuola, neanche quando temeva di vedere Bellamy spuntare dietro una
porta, un armadietto, un vaso, un altro studente assieme al suo
incisivo storto e le sue proposte idiote.
Stavolta,
era tutto un dannatissimo liceo ad andargli contro – per far
fronte
alla situazione, l'unica era davvero provare a scrutare un minimo
l'ambiente nel quale trascorreva la maggior parte della sua
vita.
Così,
Dom si impose di iniziare ad andare in giro a testa alta, dopo aver
richiuso il suo
armadietto – poteva essere il mini-poster dei Queen attaccato
allo
sportello a trarre in inganno? Insomma, non bisognava essere gay per
apprezzare i Queen, no?
Una
ragazza lo guardò per un nanosecondo, e lui sentì
forte l'impulso
di ritornare alle sue vecchie abitudini.
No.
Sguardo fisso in avanti, Dom, devi capirci qualcosa.
Credette
di vedere con la coda dell'occhio un gruppetto di tre tizi squadrarlo
attentamente e ridere. Un'altra ragazza attirò la sua
attenzione –
una faccia nuova, ed anche piuttosto carina. Chissà di quale
anno
era.
Non
era male, in fondo, e con un po' di allenamento avrebbe anche smesso
di sentirsi come se qualcuno gli avesse infilato un manico di scopa
su per il culo allo scopo di fargli raddrizzare schiena e testa,
probabilmente.
Il
suo ottimismo andò a farsi benedire quando, tra decine di
studenti
in transito per il corridoio, si trovò di fronte quello dal
quale
voleva più tenersi alla larga.
-
Dominic... Ciao. -
Perché
doveva mettersi addosso quei colori così sgargianti, e
stridenti?
Perché doveva parlare a voce così alta?
Tremando
dal nervosismo, Dom mugugnò: - Stammi lontano, io non ho
alcuna
intenzione di darti quello che cerchi. - e sorpassò Bellamy,
il
quale tentò di fermarlo afferrandogli una spalla.
-
Ma aspetta...! -
Forse
avrebbe potuto ascoltarlo – quel particolare, sordo senso di
colpa
che associava a Bellamy si era ripresentato e gli bruciava sugli
zigomi e gli annodava la gola – ma... C'erano quei ragazzi
laggiù,
e Dom sibilò istintivamente: - Non mi toccare. -
Non
era cattiveria, ma... Non era cattiveria, punto.
Era
difficile spiegarlo a Bellamy, però.
-
“Devi solo chiedere scusa, Matthew, vedrai che ogni cosa si
sistemerà”... Seh, come no. -
Acre
ed astioso, mentre indietreggiava senza smettere di fissarlo negli
occhi, Bellamy sputò: - Scusami, signor Preferisco Dar Retta
Ad Una
Puttana Bugiarda Qualunque Piuttosto Che Allo Scemo Del Villaggio. -
Si
voltò, allontanandosi a passo di carica.
Il
pericolo era passato – di quale pericolo si trattava,
però,
restava un mistero.
A
mensa, Bellamy era assente – almeno fisicamente.
Un
pettegolezzo rimbalzava di bocca in bocca fra i tavoli, deformandosi
ed ingigantendosi ad ogni salto.
-
Hai sentito di Bellamy? Oggi ha risposto male ad una prof e dicono
che lo rispediranno in istituto! -
-...
e ha tirato fuori un cacciavite! Voleva cavare gli occhi alla
Geoffrey! -
-...
l'hanno trattenuto in tre, a quanto pare sembrava indemoniato... -
-
… bestemmiava e si contorceva come un pazzo. Insomma, come
sé
stesso, ecco. -
Quando
arrivò casualmente alle orecchie di Dom, il resoconto del
gesto di
Bellamy era divenuto un racconto a metà fra lo splatter ed
il
thriller psicologico: nonostante fosse ormai consapevole di come i
suoi compagni di scuola riuscissero a tessere elaborate panzane con
la perizia di un cantastorie medievale e quindi fosse preparato a
distinguere la tara aggiunta dal resto della storia, qualcosa di vero
doveva pur esserci se Bellamy non si era presentato a pranzo,
né
alle lezioni del pomeriggio, né il giorno dopo e l'altro
ancora.
Cosa
diavolo gli era scattato nella testa, di nuovo? E perché?
…
era
stata colpa sua?
La
Pennyworth era in ritardo. Il che non accadeva da decenni,
probabilmente.
Dominic
guardò l'orologio, aprendo poi la finestra per scuotere
fuori il
piumino impolverato.
Forse
il suo criceto era morto e stava celebrando il suo funerale –
da
quanti anni lo aveva in casa? I criceti non vivevano a lungo, no?
Prima
di trovare una risposta al quesito, la signora Pennyworth si
palesò
sulla soglia della biblioteca.
Stravolta
e con gli occhiali un po' storti sul naso, attraversò la
stanza con
una velocità insospettabile, vista la sua stazza, fermandosi
di
fronte a Dom.
Allungò
un indice verso di lui, e sbraitò con il fiato mozzo e gli
occhi
ridotti a due fessure: - Da oggi in poi non ti allontanerai dall'aula
senza un mio esplicito permesso o ordine, giovanotto. -
-
Cos... Perché? - ribatté Dom, confuso prima
ancora di essere
arrabbiato.
Un
rumore di passi distrasse entrambi, portando la loro attenzione
sull'uscio occupato dalla figurina scarmigliata di un corrucciato
Matthew Bellamy.
Capitolo
un po' di transizione, definiamolo così. Dovevo far
precipitare gli
eventi. XD
Come
sempre, anche in questo caso mi rimetto al giudizio di chi
leggerà
il capitolo per capirci qualcosa – quando ti trascini una
cosa
tanto a lungo non riesci neanche ad essere tanto obiettiva, nel
giudicare il tuo operato, quindi... Ok. Mi dileguo e vi lascio il
tutto.
Grazie
in anticipo, a presto. ♥
|
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Capitolo 7 *** Pulsar ***
Pulsar
La
signora Pennyworth, seduta al solito posto dietro il suo bancone, era
in evidente stato d'ansia.
Ogni
tanto sbirciava oltre il bordo della sua rivista, cercando con lo
sguardo tutt'altro che acuto di seguire i movimenti di Dom e del suo
nuovo assistente.
Punizione.
Una punizione esemplare che gli avrebbe insegnato a non dare di matto
di fronte alle persone sbagliate, a misurare gesti e parole prima di
combinare disastri e subirne le conseguenze.
Per
Bellamy, a causa dell'incidente con la professoressa Geoffrey, si
trattava di due settimane di servizio pomeridiano presso la
biblioteca scolastica; per Dominic, si trattava evidentemente di
Bellamy stesso – instant karma is gonna get you,
come nella
canzone.
Almeno
il suo incubo ricorrente degli ultimi tempi se la cavava a
spolverare, il che costituiva un dettaglio non trascurabile per la
riuscita della loro convivenza forzata.
Non
aveva ancora rivolto una sola parola a Dom, da quando mezz'ora prima
era comparso sulla soglia dell'aula con un broncio da record. Aveva
semplicemente ascoltato le istruzioni della Pennyworth e si era
armato di scaletta e piumino, accingendosi a svolgere il compito
assegnatogli rispettando il più assoluto silenzio.
Un
piccolo, diligente automa scazzato che non mostrava troppo interesse
nei confronti dell'altro malcapitato, il quale si sforzò di
seguire
la stessa linea di condotta.
Aveva
atteso dentro l'aula per due preziosissimi minuti, ma ad un certo
punto non aveva resistito alla tentazione di far capolino nel modo
più discreto possibile dalla porta.
Bellamy
era ancora davanti al distributore di merendine, con espressione
piuttosto indecisa.
Qualche
secondo più tardi, digitò finalmente il codice
prescelto sulla
tastiera numerica della macchinetta e prese la sua stramaledetta
merendina.
Mentre
la scartava, senza alzare lo sguardo, esclamò: - Non l'ho
fatto
apposta a finire qui. -
Anche
tenendo a mente i suoi precedenti, Dom non credette neanche per un
attimo che Bellamy stesse parlando da solo.
Un
attimo di indecisione dopo era uscito in corridoio, ostentando
naturalezza.
-
Come? -
-
Non ti sto seguendo... Cioè, non più. E poi non
vale la pena di
mangiare tutta quella polvere per una causa persa. -
Bellamy
sembrò sul punto di sorridere, ma dovette cambiare idea
all'ultimo
minuto: con lo sguardo fisso sulla sua brioche, aggiunse: - E non
sono gay. Sono le ragazze della scuola che mi schifano, tutto qui. -
Dom
si tenne a distanza di sicurezza – vale a dire, mosse appena
un
passo in avanti per poi arrestarsi.
Era
un momento piuttosto imbarazzante, a dir poco, ma sapeva che prima o
poi si sarebbe verificata una situazione del genere. Il loro
non-rapporto si basava su solide basi di goffaggine ed attenzioni
moleste non ricambiate.
E
chiacchiere altrui, certo.
-...
e se proprio dovessi esserlo, perché andare con uno che
sembra una
femmina? -
La
bocca piena della merendina e di un sorriso beffardo appena
accennato, Bellamy rincarò la dose di fronte ad un Dom preso
in
contropiede.
-
Dai... Riccioli d'Oro? Raperonzolo? Da quale fiaba sbuchi? -
Alla
fine, Dom si riebbe: strinse le braccia attorno al torace,
borbottando: - Non mi sembra che il tuo taglio di capelli sia tanto
più mascolino del mio. -
-
Non ho detto questo. -
Bellamy
si pulì le briciole dalle labbra con una manica della felpa,
buttando l'involucro di plastica della brioche nel cestino.
Con
aria superba, gonfiò il petto fragile e alzò il
mento.
-
Comunque, le mie scuse te le ho fatte e... -
Dom
lo fermò, sciogliendosi dall'abbraccio nel quale si era
avviluppato.
-
Non mi hai fatto nessuna scusa. - gli ricordò freddamente,
offrendo
il fianco per una recriminazione nient'affatto infondata.
-
Sai, è difficile quando qualcuno continua ad interromperti
cercando
di cacciarti via a male parole. -
Così
come fu estremamente difficile per Dom mantenere il contatto visivo
diretto con Bellamy, ignorando allo stesso tempo il bruciore che
dalle guance si era esteso fino alla punta delle orecchie.
-
… dicevo, ora potresti farmi le tue. -
Nonostante
tutto – il senso di colpa, la sensazione purtroppo sempre
più
concreta di avere esagerato in quella determinata occasione... - Dom
non potè fare a meno di chiedere: - E per quale motivo,
esattamente?
-
-
Per essere stato un idiota con me, per i tuoi pregiudizi stupidi, per
aver dato un dispiacere a mia nonna... -
-
Tu mi seguivi ovunque, mi lasciavi bigliettini e... Tua nonna? -
-
Aveva davvero messo su l'acqua per il té. Ci teneva a
conoscerti,
dopo tutto quello che le ho raccontato. -
Dom
tacque, aggrottando le sopracciglia.
Ne
aveva davvero abbastanza di essere sulla bocca di tutti, pur avendolo
scoperto solo da pochi giorni... L'ultima cosa che avrebbe potuto
fargli piacere era far parte dei discorsi di una vecchietta e del suo
nipotino. O meglio, il suo nipotino stalker.
Come
se l'avesse intuito Bellamy roteò gli occhi, tentando di
rassicurarlo in tono sarcastico : - Rilassati... Non ho mai tessuto
le lodi della tua inesistente avvenizione fisica. -
-
Si dice “avvenenza”. -
-
Si, vabbe', hai capito che intendo. -
L'espressione
di Bellamy si rabbonì leggermente.
-
Le parlo della band, spesso. Del fatto che ho scritto qualche canzone
e che voglio imparare a suonare la chitarra classica... Mi sto
facendo crescere le unghie. -
-
Mhm. -
-
Le ho parlato del fatto che sei un batterista in gamba e che forse
fra tutti... -
Smise
di parlare senza preavviso, come se gli fosse improvvisamente
balenato per la testa che non fosse un'ottima mossa scoprirsi troppo:
chiuse il discorso commentando con una spallucciata: - Vabbe',
sbagliando si impara. -
Quanto
era ridicolo, nella posizione occupata da Dom in quel frangente,
sentirsi un po'... Offeso, da quella conclusione?
Bellamy
si infilò le mani in tasca, dondolandosi avanti ed indietro
sui
talloni.
Dom
volle togliersi una curiosità e spezzare il silenzio.
-
Perché hai minacciato la Geoffrey con un cacciavite? -
L'altro
smise di muoversi, inclinando il capo leggermente da un lato.
-
Prima di tutto non era la Geoffrey ma la Minchin e poi... Cacciavite?
Sei fuori? Chi te l'ha raccontato? -
Mezza
scuola. Sai com'è... Le voci girano in fretta, qui. Dovresti
saperlo.
-
Lascia perdere... Perché, comunque? -
-
Perché sono pazzo, uuuh! - ululò Bellamy, alzando
le mani e
scuotendole in un tentativo ironico di impaurire Dom.
Stirò
le labbra strette in un ghigno furbetto, prima di rispondere
più
seriamente: - Mi girava. -
Dom
inarcò un sopracciglio, scettico.
-
E tu fai tutto quello che ti gira? -
-
Sinceramente? No. Altrimenti starei già condividendo un
appartamento
non mio a Londra con quattro o cinque squatter disadattati come me. -
Fu
proprio quello l'istante in cui Chris scelse di fare la propria
comparsa.
Non
che Dom lo avesse visto: aveva solo avvertito il distintivo clangore
della pesante porta dell'aula magna ed una voce allegra che lo
chiamava.
-
Ciao, Dom! -
Quando
Dom si voltò verso il nuovo arrivato Bellamy
sbuffò alle sue
spalle, mettendosi poi a fissare con indifferenza il cestino dei
rifiuti mentre Chris macinava la distanza che lo separava da loro in
poche, scattanti falcate.
Sembrava
decisamente di umore più rilassato, rispetto all'ultima
volta in cui
Dom lo aveva visto.
-
Ciao. - mormorò quest'ultimo in risposta al saluto di poco
prima.
C'era
una vibrazione di fondo, nell'aria, o forse piuttosto nascosta fra i
pensieri di Dom, un'eco familiare ma anomala di chissà cosa..
Poi,
mentre Chris apostrofava Matt con un brevissimo ed impersonale: -
Ehilà. - gli sembrò improvvisamente tutto
più chiaro.
Il
senso di appartenenza. Chris era... Ok, forse “un
amico” era
troppo ma comunque in qualche modo era... Suo? Faceva parte della sua
cerchia di conoscenze, insomma.
L'evidenza
dell'estraneità rigida fra Chris e Bellamy era invece palese
e
stridente e... Avrebbe dovuto fare le presentazioni, forse? Ne aveva
il diritto?
… cosa
cazzo erano tutte quelle seghe mentali?
No,
no, non era necessario. D'altronde, erano perfettamente consapevoli
di chi si trovavano rispettivamente di fronte.
Piuttosto,
era il caso di far partire la conversazione.
-
Come procedono i preparativi per il saggio? -
Chris
spalancò gli occhi e finse dell'entusiasmo: - Oh, benissimo!
Ho solo
voglia di andare a letto e morirci dentro, grazie. -
Dom
ridacchiò. Bellamy prese a grattare via dello sporco da
sotto
l'unghia di un indice.
-
Quando è sotto pressione è ancora più
insopportabile. - sospirò
il terzo arrivato, affondando le mani nelle tasche dei jeans larghi e
scoloriti.
Dom
annuì, commentando a voce alta: - Eh, lo immagino... E
invece la
band? Come vanno le cose con le prove e tutto? -
Rimpianse
di non poter controllare la reazione di Bellamy più
attentamente –
però era abbastanza convinto che l'accanimento nei confronti
delle
proprie unghie non fosse così casuale.
-
Ah, la band è ok. Stiamo lavorando su un paio di canzoni
nuove. -
annuì Chris, prima di dare un'occhiata anche lui alle
proprie mani
come fosse stato contagiato dallo zelo dell'unica persona
apparentemente non interessata al discorso.
-
Oh... Sono vostre? -
-
Naah. Nirvana. -
A
Dom non sfuggì la sua smorfietta di disappunto ed il suo
tono
tutt'altro che convinto.
-
Wow, sembri davvero entusiasta. -
-
Tutti suonano i Nirvana, da queste parti... Non c'è gusto,
è
un'altra stupida moda. E poi sentirli cantare da uno a cui i soldi
escono pure dal buco del culo non ha senso. -
-
Concordo. - quello di Bellamy fu poco più di un sussurro e
non diede
seguito ad un giudizio più articolato sul quadro della
situazione
locale appena descritto, neanche da parte di Dom.
Alla
fine, Chris scrollò le spalle e tagliò corto: -
Vabbe'... Mi fumo
una sigaretta al cesso e poi rientro. Ci vediamo. -
Vedere
andare via Chris fu desolante e liberatorio allo stesso tempo: avere
accanto sia lui che il suo piccolo incubo ricorrente
significava…
sdoppiarsi. Le uniche due persone apparentemente interessate alla sua
esistenza e non al gossip scolastico costruito ad arte da gente senza
cervello avevano un modo di approcciarsi a lui diametralmente
opposto.
Era
come guardarsi dal di fuori e ritrovarsi fra le mani un paio di
immagini ben distinte: lo schiavetto della bibliotecaria con il quale
era piacevole scambiare qualche parola davanti alla macchinetta delle
merendine e... E boh. Un'entità sopravvalutata che gli
somigliava
ben poco, in realtà.
Lo
schiavetto e l'incubo tornarono in biblioteca, il primo con un
sorrisino ironico dipinto sul volto ed il secondo fissando il
pavimento, il capo chino e le spalle curve.
Mezz'ora
dopo Bellamy si rintanò in un angolo nascosto tra gli
scaffali della
Saggistica, sfogliando le pagine di un librone troppo velocemente per
poter davvero coglierne il contenuto.
Poco
lontano, troppo accaldato e seccato per esimersi dal farlo, Dom
impugnò il piumino minacciosamente contro di lui e lo
apostrofò a
mezza bocca: - Stai battendo la fiacca, Bellamy. -
Quest'ultimo
sollevò quasi solennemente lo sguardo sulle piume sintetiche
e sulla
polvere lanuginosa che le ricopriva come sudicio zucchero filato,
replicando sommessamente: - Dopo tutto quello che abbiamo passato
potresti chiamarmi per nome, Dom. -
Dom
abbassò la sua arma improvvisata, ironizzando prontamente: -
Dopo
tutto quello che mi hai fatto passare, vorrai dire. -
Bellamy
non rispose, storcendo sdegnoso il naso e voltando pagina
rumorosamente.
Un
minuto dopo, sussurrò: - Alla fine qualcosa sull'esogenesi
c'era...
Sei tu che non sai fare il tuo mestiere. -
I
passettini veloci della signora Pennyworth attraversarono l'aula, per
fortuna senza fermarsi in prossimità della sezione
Saggistica.
Entrambi
i ragazzi rimasero ad ascoltarne l'eco allontanarsi lungo il
corridoio.
-
Insomma, non vuoi sapere cos'è? -
-
Di che parli? -
-
Dell'esogenesi. -
Dom
fu sul punto di aprire la bocca per dirgli che no, viveva
tranquillamente senza conoscere il significato di un astruso termine
scientifico che mai gli sarebbe arrivato alle orecchie se non fosse
stato per lui ed i suoi gusti stramboidi in fatto di letture.
Invece
la aprì e la richiuse subito perché la voce di
Bellamy suonava
esasperata e forse disperata, i capelli erano una pioggia scura sul
suo volto pallido e sulle sue occhiaie violacee – sembrava
non
avesse dormito bene o forse era il solito neon ad illividire il suo
colorito.
Interpretando
il suo silenzio come un tacito permesso, Bellamy si schiarì
delicatamente la voce ed iniziò a spiegare: - In
realtà si direbbe
“panspermia”, ma così sembra una roba
pornografica e non mi va
di pensare a della roba pornografica con la Pennyworth davanti a me.
-
Rise,
mettendosi una mano sulla bocca come a frenare in ritardo il suono
troppo acuto che aveva già emesso, riprendendo poi a parlare.
-
Si tratta di una teoria scientifica... Nello spazio esisterebbero
tanti “semi”, per così dire, che nelle
condizioni giuste...
Arrivando su un pianeta come la Terra, per dire, potrebbero dare
origine alla vita. -
-
“Semi”? - ripetè Dom, aggrottando le
sopracciglia.
Bellamy
annuì energicamente.
-
Sì... Asteroidi, comete, cose così. Non la trovo
così campata in
aria, come ipotesi... La Terra e gli stessi esseri umani hanno in
comune diversi elementi chimici con le stelle, per dire, e poi
boh... L'idea di un oggetto freddo ed inanimato che prende vita
grazie ad una collisione del tutto casuale è stupenda. Ti fa
pensare
che non c'è limite alle possibilità che... Che
anche la situazione
più estrema, in senso negativo, si possa risolvere un
giorno, per
caso... E per il più stupido dei motivi. Un asteroide che
paragonato
alla massa di un pianeta è poco più di sasso
vicino ad una
montagna. -
Per
la prima volta in vita sua, Dom si trovò a desiderare che la
signora
Pennyworth tornasse dietro il suo bancone al più presto.
Aveva
la sensazione che Bellamy non avesse mai declamato quel discorso ad
anima viva e la sensazione ancora più netta che avesse il
valore
dello sbuffo di vapore di una pentola a pressione.
Soprattutto,
però, non poteva scrollarsi di dosso un pensiero bizzarro.
Cioè,
che Bellamy avesse persino più paura di lui.
I
tacchetti della bibliotecaria risalirono il corridoio a colpi secchi
come le unghie di un cane.
Bellamy
sorrise, cambiando pagina.
-
Va bene, sto zitto. -
Il
lungomare era semideserto, tranne per Dom ed una coppietta di
anziani: tutti e tre arrancavano sfidando il vento gelido che
spirava dal mare agitato.
Chiudendo
le dita a pugno ed infilandole nelle tasche del giubbotto, Dom
ricordò improvvisamente che in casa, oltre alla sua
piccola, da qualche parte c'era anche una vecchia chitarra
acustica – in cantina, probabilmente.
L'aveva
utilizzata per l'ultima volta anni prima, cercando come al solito di
strimpellare la canzoncina sulla quale suo padre si era fissato...
Quella che all'inizio aveva un arpeggino facile facile e che
però
aveva dimenticato già da un bel pezzo.
Anche
suo padre andava in giro con le unghie di una mano lunghe e curate,
cinque eleganti artigli rosei e bianchi – la mano destra,
perché
non era mancino come lui. A Dom veniva da ridere, nel vederlo alle
prese con la limetta di cartone di sua madre come la più
navigata e
persino frivola delle manicure professionali: spesso, limava le
unghie persino a Diane. Ci aveva preso gusto.
Suo
malgrado, Dom rise di cuore sotto il cappuccio della giacca a vento.
Quando
sarebbe tornato a casa, forse avrebbe dato un'occhiata in cantina...
Giusto per fare qualcosa di diverso, una volta tanto.
Magari
avrebbe anche potuto dare un'occhiata all'enciclopedia delle scienze
naturali, al volume dedicato all'astronomia.
Stranamente
voglio un gran bene a questo capitolo, sapete? Quindi... Quindi
niente. Spero che da voi ci sia del sole e che vi stiate divertendo.
Cheers, love, thanks. :****
P.S:
per correttezza, ci tengo a specificare che questa storia NON
è una BellDom e non credo lo sarà mai (un giorno
riuscirò a
mettermi in testa che i warnings ogni tanto andrebbero usati,
quantomeno per evitare equivoci ^^).
|
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Capitolo 8 *** Apice solare ***
Apice
solare
Il
vecchio appendipanni
in legno dell'ingresso era seppellito da uno spesso e variopinto
strato di cappotti altrui: alcuni, di tanto in tanto, scivolavano a
terra per essere poi pigramente recuperati da Dom, seduto accanto
alla cassettiera in corridoio come un maggiordomo annoiato.
In realtà stava cercando
di sfuggire al monotono, educato vociare di cui era pieno il
soggiorno, nonché alle attenzioni dei vari parenti, amici di
famiglia, vicini di casa e conoscenze utili venuti a festeggiare il
Natale in casa Howard.
Dalla porta socchiusa del
soggiorno riusciva ad intravedere il caminetto, scoppiettante e
decorato da tralci di vischio e fiocchi rossi lungo tutto il bordo
del ripiano in pietra, e parte del tavolo rivestito dalla tovaglia
bianca ricamata che sua madre utilizzava solo in quella determinata
occasione.
Un bel quadro, non c'era
dubbio... Se non fosse stato per la torma di invitati che lo
affollava.
Ingollando l'ultimo sorso
di punch – non alcolico, purtroppo – Dom
posò il bicchiere sulla
cassettiera, accomodandosi alla bell'e meglio sulla dura sedia antica
che fungeva di solito solo da ornamento.
Per quanto nei giorni
precedenti non avesse fatto altro che annoiarsi in solitudine nella
sua stanza ed in giro per Teignmouth, di certo non aveva atteso il
rinfresco di Natale con ansia – un giorno avrebbe spiegato a
sua
madre che risultava un tantino ipocrita, per un ateo, mangiare e bere
allo scopo di festeggiare la nascita dell'ipotetico figlio di un
altrettanto ipotetico Dio... E poi la messa, gli auguri, i commenti
ammirati sul suo aspetto fisico da parte di non meglio identificabili
“zie” e “zii”, i regali inutili
ed i ringraziamenti privi di
significato...
Del Natale Dom apprezzava
solo l'opulenza della tavola, come decise di ricordargli il suo
stomaco in quel preciso istante.
Nella fretta di sfuggire
alla compagnia degli invitati, infatti, aveva mangiato solo un paio
di canapé e non gli erano neanche piaciuti troppo - la
dannata fissa
di sua madre per la curcuma aveva colpito ancora – ma forse
era
ancora in tempo per trovare un mini-sandwich al salmone e
formaggio... Diamine, ci contava.
Cercando di non dare
troppo nell'occhio, Dom infilò la porta del soggiorno e si
diresse
verso il buffet – cocktail di gamberi, mini-quiche, patate
novelle,
pinzimonio...
Prima che potesse
allungarsi ad afferrare uno dei mini-sandwich superstiti, una mano
gli si aggrappò gentilmente all'avambraccio teso verso il
vassoio.
- Scusami, tesoro... Sai
se questo punch è alcolico?
A parlare era stata una
signora anziana dal sorriso cortese ed una nuvola di capelli bianchi
ben cotonati e raccolti sulla nuca.
Dom cercò di ricordare se vi fosse qualche grado di
parentela a
legarli.
- Uh, no.
Il sorriso della donna
scomparve immediatamente.
- … che razza di
persona offre un punch non alcolico ai suoi ospiti? Non mi meraviglia
che questa festa sembri organizzata nel museo di Madame Tussaud dopo
l'orario di chiusura.
Dopo quello sfogo
inaspettato, la donna strinse di nuovo il braccio di Dom a
mò di
scusa: - Perdonami... Non volevo neanche venire, è questo il
problema. Mi ha trascinato mia figlia, dice che devo uscire un po'. -
Mosse poi la mano come a
scacciare un insetto molesto: - … oh, naturalmente non ti
interessa.
Dom si ritrovò a non
poter far altro che sorridere di nuovo, ancor più incerto di
prima;
in quel momento, Diane sbucò da chissà quale
angolo del soggiorno e
cinse le spalle del figlio, esclamando: - Signora Bingham! Va tutto
bene?
L'anziana signora trillò
fin troppo entusiasta: - Ma certo, mia cara! Ne stavo giusto parlando
con il suo giovane ospite...
Diane dedicò una breve
occhiata a Dom, replicando: - Oh... Quindi ha già conosciuto
mio
figlio, Dominic?
- Suo figlio?
La signora Bingham si
voltò lentamente verso Dom, fissandolo attentamente con i
suoi
brillanti occhi azzurri.
- … Dominic Howard,
dunque. - mormorò, e il ragazzo annuì con aria
circospetta: non gli
era piaciuto molto il tono usato dall'arzilla vecchietta, che
sembrò
dimenticarsi della presenza di sua madre apostrofandolo direttamente:
- Matthew mi parla molto di te.
Dom ci mise qualche
secondo a ricevere il messaggio: quando finalmente fece due
più due,
sbiancò.
Quella... Quella era...
- Sono sua nonna...
Maureen Bingham. Il piacere è tutto mio.
- Bene! - commentò
Diane, allegra ed inopportuna. - Ci vediamo più tardi per il
brindisi!
Per la prima volta dopo
molti anni, Dom ebbe una gran voglia di seguirla nel suo giro di
convenevoli centellinati ad ogni singolo ospite: invece, rimase
impalato ad affrontare la nonna del suo incubo ricorrente.
La sua sfortuna aveva
deciso di fare gli straordinari e allietargli anche il giorno di
Natale, insomma.
- Dominic Howard... Ti
facevo più imponente, sai?
Detto da una donnina alta
non più di un metro e mezzo non suonava granché
offensivo, ma Dom
chinò lo stesso la testa senza nemmeno avere la presenza di
spirito
di tentare una risatina di circostanza.
- … e prima non
parlavi, poi?
Di certo la lingua lunga
della signora Bingham non contribuiva a farlo sentire più a
suo
agio.
Servendosi un vol-au-vent
su un tovagliolino, la donna disse: - Se avessi saputo che il party
era a casa tua avrei convinto anche Matthew a venire, invece di
lasciarlo a bighellonare da solo... Anche se forse non ti avrebbe
fatto piacere, mhm?
Chissà cosa le aveva
raccontato di lui, quell'impiastro del nipote. L'opinione che la
signora Bingham aveva di lui sicuramente era pessima, a giudicare da
come lo fissava e gli si rivolgeva.
Interpretando il suo
prolungato silenzio come una conferma di quanto aveva appena detto,
la donna annuì: - Lo immaginavo.
- Non ho nulla contro suo
nipote. - borbottò in sua difesa Dom.
- Ma neanche ti piace.
La signora Bingham si
guardò attorno, appallottolando il tovagliolo; poi si
chinò verso
Dom con aria cospiratrice, bisbigliando: - C'è un posto dove
io
possa fumare senza farmi scoprire da mia figlia, vero?
- … il giardino? -
suggerì incerto Dom: la donna annuì, e chiese poi
con un sorriso
allegro: - Mi accompagni?
-
Mhm... Così va meglio.
-
La signora Bingham
socchiuse gli occhi, rilasciando una densa boccata di fumo biancastro
nella penombra del giardino e lasciando così Dom libero di
cercare
un argomento di conversazione che non fosse e riguardasse la loro
conoscenza in comune.
Di che animale è la
pelliccia che indossa?
Oh, fuma le Philip
Morris. Wow.
Secondo lei quando
arriverà la prima nevicata della stagione?
Cosa sa di me?
- Ne vuoi una?
Dom fissò il pacchetto
di sigarette a lungo, prima di accennare ad avvicinarsi; a quel punto
la signora Bingham ritrasse il braccio, esclamando: - Che diamine,
non volevo dartela sul serio... Sono una madre e una nonna, insomma!
Aspirò un'altra boccata,
emettendo un breve sibilo.
- Puoi rientrare, se
vuoi.
In
effetti stare lì non era affatto piacevole: il
gelo che li
circondava era umido ed appiccicoso, dato che quella sera il vento
spirava dal mare. Rabbrividendo, Dom ritirò le mani
all'interno
delle maniche del cappotto e gettò una breve occhiata
all'interno
delle finestre illuminate dietro di sé: la signora Bingham
seguì il
suo sguardo e mormorò: - Ti stai annoiando anche tu?
Dom rilassò le spalle
contratte in un'involontaria posizione difensiva, smettendo di
seguire il balletto di ombre che si muovevano dietro la superficie
traslucida delle tende in salotto, e annuì.
- Potevi invitare qualche
amichetto o amichetta... Hai una fidanzata?
Bene, a giudicare dalla
domanda Bellamy aveva taciuto sui particolari più patetici
della sua
esistenza. Un gesto magnanimo.
- No, no. - smozzicò in
risposta.
La signora Bingham
assunse una posa quasi divistica, reclinando il capo da un lato e
sorridendo lievemente con la sigaretta fumante mollemente trattenuta
da indice e medio: - Ma sì, sei talmente giovane... A
quest'età
dovete solo uscire e divertirvi.
Chissà, rifletté Dom,
magari aveva davvero la faccia di uno che usciva e si divertiva con
amici e amiche, uno che intrecciava amorazzi e viveva eccitanti
avventure che sarebbero stati la consolazione della sua serena
vecchiaia da uomo vissuto.
La signora Bingham dava
l'impressione di pensarlo, il che non gli dispiaceva affatto.
- Suoni ancora la
batteria?
- Sì...
- Suoni in un gruppo?
- No.
Illuminandosi in volto,
la signora Bingham esclamò come se si trattasse della
rivelazione
del secolo: - Matthew suona il pianoforte! È
molto bravo, compone persino... Ma già lo saprai, no?
Dom
non ebbe modo di replicare, perché la donna gli
riversò contro un
frenetico fiume di parole entusiaste: - Conosci i Tornados? George,
il papà di Matthew, era il loro chitarrista... O secondo
chitarrista? Diamine, non ricordo... Comunque, erano un gruppo
abbastanza famoso, all'epoca. Hai presente Telstar? Comunque, alla
fine George ha abbandonato la sua carriera da musicista ed è
diventato uno degli idraulici più scadenti del Regno Unito e
poi
dell'Australia.
-
Oh... - commentò Dom, annuendo come se la storia di George
Bellamy
fosse di suo interesse.
La
signora Bingham si prese un attimo di pausa per scuotere via la
cenere dalla sigaretta, prima di riportare il focus della
conversazione sul suo compagno.
-
Cosa vuoi fare della tua vita, Dominic? Hai già un'idea?
Il
ragazzo sbuffò, impacciato: - Non lo so...
-
Quindi non vuoi fare il batterista di mestiere?
-
Non ci ho pensato ancora...
-
Hai rifiutato l'offerta di mio nipote anche per questo?
Perché
Matthew è molto serio, riguardo al suo progetto... Capisco
che
questo possa spaventarti un po'.
Oh,
sì, il problema era esattamente quello, come no.
Interpretando
il suo prolungato silenzio nella maniera giusta, la signora Bingham
considerò in tono indifferente: - … ti spaventa
di più quello che
si dice in giro sul suo conto, va bene.
Continuò,
pensierosa: - Io non dovrei impicciarmi, vero? Certo, sono sua nonna
e gli voglio bene ma forse dovrei farmi gli affari miei...
Un
secondo più tardi gettò a terra la sigaretta,
contraddicendo quanto
detto poco prima: - … e invece no, non mi sta bene. Non
riesco a
mandare giù il fatto che mio nipote venga considerato
nell'ipotesi
peggiore un mostro e in quella migliore un pagliaccio. Ha solo
quindici anni, Cristo.
Un
po' intimorito, Dom le fece notare: - Gliel'ho detto... Non ho nulla
contro di lui.
La
donna liquidò l'affermazione con un gesto sbrigativo: -
Tranquillo,
zucchero, non ti sto accusando di nulla... Sono solo stanca di vedere
Matthew che continua a prendere schiaffi da tutte le parti per una
sciocchezza che ha commesso in passato.
-
Lui è... È
un ragazzino
adorabile, il più delle volte. Certo, non pulisce la sua
stanza,
lascia sempre in giro le sue cose, gli basta muovere un passo per
far cadere qualcosa a terra, si arrabbia facilmente, esce senza
permesso, non fa i compiti, mi ruba le sigarette, dice troppe
parolacce e per farlo andare a messa dobbiamo letteralmente tirarlo
per le mani ed i piedi...
Come
se stesse riflettendo sulle proprie parole, la signora Bingham
tacque; poi allargò le braccia, ammettendo: - …
be', è un po'
complicato ma è un ragazzino. Solo un ragazzino.
Dietro
di loro, la porta si spalancò e Diane fece capolino,
guardandosi
attorno e notando suo figlio e la sua ospite in veranda.
-
Oh, eccola qui... Signora Bingham!
-
Mia cara Diane! Mi stava cercando? - ribatté la signora
Bingham, con
melliflua ingenuità.
Dom
la vide nascondere la sigaretta sotto un piede e trattenne una
risata.
-
Sì... O meglio, la stava cercando sua figlia. - disse Diane;
dietro
di lei, infatti, c'era Marilyn Bellamy.
-
Mamma, che ci fai qui fuori?
La
signora Bingham si avvicinò a Dom, cingendogli le spalle con
un
braccio e cinguettando amabilmente: - Oh, niente di che... Dominic mi
stava mostrando il giardino.
La
signora Bellamy non appariva particolarmente persuasa: - Molto
interessante... Sbaglio o sento odore di fumo?
-
Fumo? Sta bruciando qualcosa? - chiese la signora Bingham, prima di
annunciare: - Comunque, cara Diane, stavo per dire a Dominic che mi
farebbe molto piacere averla come ospite per un tè, un
giorno di
questi.
Dom
si voltò verso la donna, realizzando all'istante da quale
membro
della famiglia avesse ereditato il suo caratteristico entusiasmo
psicopatico il più giovane dei Bellamy.
-
Oh, sarebbe un piacere anche per me! -
Per
essere una vecchina dall'aria fragile, la signora Bingham possedeva
la stretta sicura e letale di un'anaconda nel fiore degli anni: -
Facciamo domani alle quattro e mezza, allora? Oh, e... Dominic?
La
voce dell'anziana donna si abbassò in un sussurro
inequivocabilmente
minaccioso: - … ovviamente sei invitato anche tu.
Fu
allora che Dom si convinse che nonna e nipote fossero non solo fatti
della stessa pasta, ma addirittura complici nella messa in atto di un
piano semplice e raffinato al tempo stesso: conquistare il figlio
–
lui stesso - passando per l'ignaro e turlupinabile resto del nucleo
familiare – sua madre.
-
Veramente io... - tentò debolmente di difendersi il ragazzo,
ma la
signora Bingham lo zittì allegra: - Non ti piace il
tè? Potrei
prepararti una bella tazza di cioccolata, allora, che ne dici? Con
panna e qualche cialdina croccante... Se non avessi problemi di
diabete ti farei compagnia, accidenti! Fortuna che Matthew è
in
salute e goloso... Mio Dio, senti che vento! Fatemi rientrare, sono
troppo vecchia per sfidare i germi del raffreddore!
Questo
deve essere per forza un incubo. C'è chi sogna di essere in
mutande
di fronte alla propria ex-fidanzatina delle medie nonché un
quarto
degli alunni di allora ad additargli le pubenda ridendo e chi sogna
di prendere un té con la propria nemesi.
Senza
troppo entusiasmo, Dom seguì sua madre attraverso il
giardino
rigoglioso ed un po' incolto dei Bellamy.
Forse
avrebbe dovuto millantare un improvviso, invalidante febbrone da
cavallo o un oceanico carico di compiti da svolgere entro e non oltre
quel pomeriggio, pena le più atroci ripicche da parte del
prof
schizzato di turno; la verità, però, era che
conosceva dannatamente
bene i suoi polli. Se intendeva liberarsi davvero delle attenzioni
della signora Bingham avrebbe dovuto dirglielo a quattr'occhi e di
certo non eludendo il problema come già in passato aveva
cercato di
fare senza successo con suo nipote.
Non
era del tutto sicuro che sarebbe successo quel pomeriggio ma,
rispetto per gli anziani o meno, probabilmente avrebbe dato il
benservito anche alla nonna di Bellamy.
Sulla
veranda, oltre ad un armadietto metallico, una poltrona ed un
tavolinetto in vimini, c'era un gatto siamese addormentato: quando
Dom e sua madre suonarono il campanello la bestiola sollevò
il capo,
scrutando il ragazzo con un cipiglio per nulla rassicurante –
ma
quale gatto aveva l'aria rassicurante, dopo tutto?
Ad
accoglierli, dietro la porta scura, i due visitatori trovarono la
signora Bingham ed un intenso profumo di cacao.
-
Bene arrivati! Aspettate solo che finisca con la cioccolata e arrivo!
- trillò l'anziana donna, prima di entrare in quella che
doveva
essere la cucina: nel frattempo Marilyn Bellamy venne incontro a
Diane con un sorriso.
-
Buonasera... Siete puntualissimi.
Diane
ridacchiò: - Oh, per me è una questione di
principio! Di solito
sono sempre la prima a …
Dom
smise di ascoltare i convenevoli di sua madre quando si accorse di
Bellamy, semi-nascosto dietro sua madre; mentre si avviavano tutti e
quattro in soggiorno, le rispettive genitrici assorte in una fitta
conversazione, il ragazzo salutò brevemente Dom: - Ehi.
-
Ehi. - lo imitò freddamente quest'ultimo.
Di
rimando, quasi come se la situazione seccasse molto anche lui,
Bellamy disse tutto d'un fiato: - Senti... Non è stata una
mia idea,
ok? Nonna è un po'... Esuberante, e testarda.
-
Mi ricorda qualcuno... - ironizzò Dom, prima di prendere
posto al
tavolinetto circolare del soggiorno, apparecchiato con grande cura
per il tè.
La
signora Bingham fece il suo ingresso con le cioccolate e la teiera,
trottante e zufolante come fosse il giorno migliore della sua vita.
-
Eccomi qua... Guardate quante cose buone!
Un'enorme
tazza di cioccolata decorata da un'imponente pagoda di panna montata,
quattro lingue di gatto, una spolverata di cacao e di glitter
alimentare rosso fu piazzata con solerzia sotto il naso di Dom.
Il
ragazzo si lasciò sfuggire un atterrito: - È
enorme. - che venne prontamente captato da Bellamy,
seduto
accanto a lui: - In puro stile Maureen Bingham... Se non la finisci
ci provo io.
Dopo
aver sorseggiato il suo tè, Diane posò la tazza
sul tavolo e si
rivolse gentilmente a Bellamy: - Matthew, non ti vedo da
così tanto
tempo... Sei davvero cresciuto, in questi mesi!
Il
ragazzo annuì, quasi strozzandosi con il cucchiaino nel
rispondere:
- Cinque centimetri.
Diane
esplose in una risata mondana: - A quest'età ci si allunga
come
spighe... Anche Dominic è piuttosto alto.
Dom
alzò brevemente gli occhi al cielo - possibile che sua madre
non
riuscisse a parlare di qualcosa che non fosse la sua altezza, con
amici e conoscenti? E ovviamente, dopo una breve pausa per
sbocconcellare un sandwich, aggiunse l'immancabile: - Ma non ancora
quanto suo padre... -
La
signora Bellamy colse l'occasione per domandare: - Oh, a proposito...
Posso darle del tu, giusto? Tuo marito come sta, Diane?
Dom
si irrigidì all'istante, distogliendo lo sguardo dalle tre
donne e
incontrando così quello di Bellamy, il quale aveva
già finito la
panna e stava attaccando alacremente il tiepido strato sottostante di
cioccolata – certo che era vorace, per essere un ragnetto
rachitico.
Diane
intanto stava rispondendo, con un sorriso più affettato del
solito:
- È
in viaggio di lavoro
al nord, nel Lancashire.
-
Un viaggio piuttosto lungo... Non è tornato nemmeno per il
Natale. -
osservò distrattamente la signora Bingham, versandosi del
latte.
-
Sì, ma cosa posso farci? Posso solo tirare avanti
quaggiù ed
aspettare. - sorrise ancora Diane.
Dom
fece cadere il cucchiaino nella tazza, lasciando che venisse
soffocato dall'abbraccio morbido di panna, cacao e lustrini.
La
signora Bellamy se ne accorse: - Non ti piace, Dominic?
-
Sì, mi piace moltissimo ma non ho molta fame...
La
signora Bellamy annuì e volle sapere: - Come va con la
scuola? Sei
al terzo anno, immagino sia difficile...
Dom
alzò le spalle, rispondendo: - Non tanto... Cioè,
non troppo.
-
Ti piace studiare?
-
Dipende dalla materia.
-
Qual è la tua materia preferita?
-
Di sicuro non educazione fisica... - si intromise Bellamy, un ghigno
furbetto macchiato di cioccolata sul viso ossuto: lo stronzetto
sapeva certamente dei suoi pessimi trascorsi di mancato corridore,
pallavolista, cestista e qualsiasi altro metodo di tortura avesse in
serbo il professore di ginnastica per i suoi allievi.
Dom
lo fulminò con un'occhiata, prima di proseguire: - Non lo
so... Me
la cavo in tutte, più o meno.
Prendendo
spunto dalla padrona di casa, Diane disse: - E tu, Matthew? Qual
è
la tua materia preferita?-
-
Credo che sia musica... Oppure recitazione, l'anno scorso ho preso il
massimo dei voti.
-
Quello è un laboratorio, non vale. - precisò Dom,
e Matt lo
rimbeccò immediatamente: - Invidioso.
In
quel momento qualcosa di morbido e caldo si strofinò contro
le gambe
di Dom, che sobbalzò: un miagolio stridulo si
inserì nelle
chiacchiere dei cinque commensali.
-
Cosa...? - esclamò la signora Bingham, chinandosi per
guardare sotto
il tavolo.
-
Miele, cosa ci fai qui?
Quando
la donna lo prese in braccio, il siamese che Dom aveva visto
sonnecchiare in veranda le infilò saldamente gli artigli
delle zampe
anteriori nella maglia e puntò gli occhi azzurri e strabici
sul
resto della compagnia.
La
signora Bellamy si sistemò la bestiola in braccio a mo' di
neonato,
parlando al nipote: - Gli hai dato da mangiare?
Fissando
gelido il gatto, Bellamy bofonchiò: - L'ho dimenticato.
Schioccando
la lingua in segno di disapprovazione, la signora Bingham si rivolse
direttamente a Miele, sollevandolo in aria e tenendolo a distanza fin
troppo ravvicinata dal viso: - Povero micio... Ma adesso Matthew ti
dà la pappa, mhm?
Come
risposta ricevette un verso basso e livoroso come un ultimatum
– o
la pappa o la vita.
La
signora Bingham si alzò per consegnare l'animale al nipote e
ordinargli: - Vai, ora... E fatti accompagnare da Dominic,
così gli
mostri un po' il giardino!
Bellamy
sembrava persino meno entusiasta di Dom, all'idea – ma, un
momento... Non aveva forse preso il massimo dei voti in recitazione?
-
È
solo un giardino,
nonna...
Ormai,
però, era troppo tardi: la signora Bingham
incalzò il nipote,
costringendo sia lui sia Dom ad alzarsi da tavola in tutta fretta: -
Correte, su! Non vorrei che Miele diventasse di cattivo umore...
-
Bestiaccia lunatica... Ahi!
Appena
furono in veranda il siamese saltò a terra con elegante
nonchalance,
non prima di aver marchiato la mano di Matt con un lungo graffio
vermiglio.
Provando
nei confronti della mini-belva un'istintiva simpatia, Dom
sogghignò.
-
Carino.
Bellamy
si sfiorò il graffio con cautela, borbottando: - È
fuori di testa... E nonna è più pazza di lui ad
averlo chiamato
“Miele”.
Restarono
entrambi a guardare il gatto scomparire dietro una siepe, in
silenzio: poi Bellamy indicò tutto intorno a sé,
elencando
annoiato: - Vabbe', uhm... Questo è il giardino. Quelli sono
dei
fiori. Quelli sono dei nani in gesso. Quella è erba. Fine
del giro,
puoi rientrare.
-
Non so se mi va di tornare là dentro. - disse sinceramente
Dom,
puntando la poltrona in vimini – sembrava piuttosto
confortevole.
Bellamy
sospirò, infilandosi le mani in tasca.
-
A chi lo dici.
-
Non vai a mettergli da mangiare? - gli ricordò Dom.
-
Qua attorno è pieno di gabbiani e lui è un
gatto... Lasciamo che la
natura faccia il suo corso. - sentenziò Bellamy,
dondolandosi sui
talloni e chinando il capo in avanti.
-
Cioè che i gabbiani lo spolpino vivo?
-
Non sono così cattivi...
-
Hai visto i manifesti che il sindaco ha fatto attaccare in giro per
la città?
-
Allarmismo inutile... Si chiama “equilibrio del
terrore”.
-
Non credo si chiami davvero così, sai?
Bellamy
soffiò come probabilmente soffiava Miele durante i suoi
attacchi
d'ira peggiori, e Dom pensò che l'atmosfera, nonostante
tutto, fosse
inaspettatamente rilassata. Per quanto Bellamy giocasse in casa non
sembrava godere di alcun vantaggio pratico su di lui, anzi:
più il
tempo passava più appariva a disagio ed irritato.
Si
permise quindi di pungolarlo un po', per il semplice gusto di farlo:
- Vai a dargli da mangiare, su.
-
Chi cazzo sei, il presidente onorario del WWF?
-
E tu sei il presidente onorario del Club del Culo Pesante. -
Bellamy
aprì bocca per rispondere a tono, ma cambiò idea
all'ultimo;
invece, prese un bel respiro e sputò tutto d'un fiato: -
Nonna ti ha
detto qualcosa su di me, ieri sera?
Il
dubbio che fosse tutta una commedia per incastrarlo tornò a
farsi
strada in Dom: - Sì...
A
quel punto Bellamy sbottò: - Che palle! Quand'è
che imparerà a
farsi i cazzi suoi?
-
… e mi ha detto che dici troppe parolacce, tra le altre
cose. -
puntualizzò Dom, e l'altro mugugnò qualcosa di
indistinto.
-
Scusa?
-
Ho detto che
è
imbarazzante. - scandì con più forza Bellamy,
guardandolo dritto
negli occhi.
Non
aveva torto, di sicuro.
-
Ti vuole bene. - ponderò Dom.
-
Purtroppo.
-
Dai, almeno è divertente.
-
Perché tu non devi conviverci ogni giorno.
Bellamy
mormorò di nuovo qualcosa a testa bassa, e Dom dovette di
nuovo
chiedere che lo ripetesse ad alta voce.
Gli
occhi chiari ridotti a due fessure, la mandibola serrata e i capelli
a formare la solita cortina divisoria tra lui ed il resto del mondo,
Bellamy sillabò: - Sei qui perché ti faccio pena?
-
Ho ricevuto un invito e non ho fatto in tempo ad inventarmi una scusa
plausibile, tutto qui.
Era
la verità, più o meno.
Uno
straziante lamento felino si levò da un punto imprecisato
del
giardino.
-
Ok, quel sacco di pulci isterico ha sofferto abbastanza... Vado a
sfamarlo. - si decise Bellamy, aprendo l'armadietto e prendendo un
enorme pacco di croccantini.
-
Matthew, tesoro, stavamo proprio parlando di te!
A
giudicare dalla sua faccia, non era esattamente il genere di frase
che Bellamy amava sentirsi rivolgere.
Le
tre donne in soggiorno avevano l'aria di conoscersi da sempre,
sorridenti e tranquille; Diane disse a Bellamy: - Tua madre e tua
nonna mi hanno detto che suoni il pianoforte.
-
Più o meno, sì. - si schernì il
ragazzo, alzando un piede come se
fosse intenzionato a muovere un passo e non avesse ancora deciso in
quale direzione.
Diane,
ignara del suo disagio, continuò entusiasta: -
Perché non ci fai
sentire qualcosa, eh?
Come
a cercare un po' di sostegno e come se fosse consapevole di averlo
cercato nel luogo sbagliato, Bellamy guardò Dom e poi si
voltò di
nuovo verso la donna: - Io non...
-
Su, non essere timido! - già, in fondo non doveva essere
troppo
divertente trascorrere ogni giorno con una campionessa di tatto come
Maureen Bingham.
L'anziana
donna si avvicinò al piccolo pianoforte verticale del
soggiorno,
sollevando il pesante drappo che proteggeva i tasti dalla polvere e
premette un tasto, mentre iniziava a raccontare: - Tre o quattro anni
fa... Avevi dodici anni, Matthew, giusto? Ha vinto un concorso
scolastico con un brano di Ray Charles. La giuria era in visibilio, i
suoi compagni l'acclamavano come fosse una rockstar consumata, i
genitori in platea si chiedevano chi fosse quel bambino così
dotato...
-
Nonna. - disse Bellamy, i pugni serrati lungo i fianchi e la voce
ridotta ad un gorgoglìo rabbioso.
-
Un talento naturale, fin da piccino... E pensare che ha cominciato
con la sigla di Dallas! Paul c'è stato un pomeriggio intero
per
insegnargliela e...
La
signora Bellamy riuscì a fermare il monologo di sua madre
con un
quieto: - Mamma. -
Quest'ultima
accarezzò un'ultima volta la tastiera, teneramente: poi
tagliò
corto, ricoprendo i tasti e tornando seduta: - Va bene, va bene... Ma
la timidezza dovrà passargli per forza, se vuole davvero
mettere su
una band.
In
un tentativo di stemperare la tensione di cui alla fine persino lei
si era accorta – il silenzio in soggiorno era pesante come
gli
sguardi che nonna e nipote si erano scambiati durante il loro alterco
- Diane sorrise esitante: - Tale padre, tale figlio.
-
… spero di no. - mormorò la signora Bingham. Sua
figlia quasi le
parlò sopra, rivolta ai due ragazzi presenti e muti come
statue: -
Volete andare in camera? Immagino non vi interessino le nostre
chiacchiere...
Dom
non potè far altro che seguire Bellamy, il quale aveva
iniziato a
salire le scale che portavano al primo piano prima ancora che la
signora Bellamy tacesse.
-
Scusa il disordine.
Dom
ripensò a quanto gli aveva raccontato la signora Bellamy il
giorno
prima a proposito del disordine di suo nipote – non aveva
esagerato: quella stanza era un disastro.
Da
sotto il letto sporgevano maniche di felpe e maglie che sembravano
implorare libertà dalla loro orribile prigionia; decine di
dischi
erano accatastati sul pavimento, accanto ad un giradischi dall'aria
polverosa. Accanto ad un'antiquato abat-jour dal paralume frangiato
in raso, un paio di libri erano aperti sul comodino, con le pagine
rivolte all'ingiù per tenere il segno. Il cestino della
carta
straccia, a fianco della scrivania piena di quaderni, spartiti,
mutande, calzini, era paradossalmente vuoto: paradossalmente,
perché
ovunque c'erano fogli accartocciati, post-it, involucri di merendine
tranne lì dentro.
Spostando
un walkman e qualche musicassetta, Bellamy invitò Dom a
sedersi.
Seduti
l'uno vicino all'altro, le gambe penzolanti dal bordo del letto e lo
sguardo perso nel vuoto, erano il ritratto dell'incertezza.
Urtare
con la mano la custodia di una cassetta diede a Dom uno spunto per
avviare – si sperava – na conversazione.
-
Rage Against the Machine.
-
Ti piacciono? - chiese Bellamy. Dom scosse il capo: - Non li seguo.
… davvero
stantio, come inizio.
Bellamy
affermò: - Sono forti.
-
Lo immagino.
-
E comunque mi dispiace.
Dom
si voltò verso l'altro, che seguitò: - Mi
dispiace di aver
coinvolto anche nonna, mio malgrado... Non avrei dovuto dirle di te,
la conosco bene. Farebbe di tutto per me, glielo riconosco. E poi mi
dispiace per tutto il resto, per averti messo paura e per essere
stato un cretino.
Si
morse il labbro, ondeggiando un piede freneticamente: - È
che nessuno mi dà retta e io sono stanco, capisci? Sono
stanco della
leggenda del bambino prodigio, del pazzo che credeva di essere un
alieno, di essere sempre quello strano. Io so chi sono e voglio che
lo sappiano anche gli altri ma non posso farcela da solo
perché
nessuno, dico, nessuno mi dà retta...
Credi che non abbia già
proposto ad altri quello che ho proposto a te?
-
E e e poi quello che piace a me non piace a nessun altro, non so con
chi parlare, non... - la voce di Bellamy si spezzò e le mani
iniziarono a tremargli convulsamente.
Dom
si riebbe dallo shock di stare raccogliendo uno sfogo oceanico
dall'ultima persona al mondo dalla quale se lo sarebbe aspettato e
disse: - Ti senti male? Chiamo tua madre?
-
No, no, è tutto ok... - bisbigliò Bellamy. -
… mi succede spesso,
in realtà. Non davanti a qualcuno, ecco, però...
Dom
non aveva mai assistito ad un fenomeno del genere: in sedici anni di
vita non aveva mai visto un ragazzo piangere a quel modo.
Un
dubbio però doveva toglierselo, per quanto indelicato fosse:
- …
non fai la commedia, vero?
Matthew
sollevò il capo, tirando su rumorosamente col naso e
scostandosi i
capelli dagli occhi – e Dom ebbe un flashback di
ciò che era
accaduto in biblioteca, capendo che sì, Matthew Bellamy
aveva
davvero tanta paura.
-
No, è che mi mancava rendermi ridicolo di fronte a te.
Non
so che dire, non credo neanche sia il caso di lolleggiare a proposito
dei pomodori marci che mi merito. Sappiate solo che questo capitolo
ha rubato tempo ed energia alla mia tesi e che il mio cervello ha
deciso che è cosa buona e giusta e che sono stanca,
sfiduciata,
incazzata ma amo questa storia, amo che mi stia sbudellando e che mi
faccia paura. È un affare privato e più grosso di
quel che sembra,
a prescindere da quanto sia buona o meno.
(“Se
è davvero così privato perché la
pubblichi?” “... ssssh.”)
Chiunque
sia ancora in ascolto... Ciao, ti va di spiegarmi perché?
*ride*
E
grazie. ♥
|
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Capitolo 9 *** Punto di ebollizione ***
Punto
di ebollizione
A
febbraio arrivò la neve – candida, farinosa, che
si scioglieva in
bocca lasciando sulle papille il sapore dolciastro dell’acqua
pura
- e con essa un’ordinanza del sindaco che imponeva la
chiusura
delle scuole.
Le
gemelle Bradford avevano costruito un enorme pupazzo di neve,
litigando incessantemente sulla struttura del medesimo; per questo
era venuto su un po’ sghembo e bulboso, ognuna delle due
aveva
seguito la propria idea senza tener conto di quella
dell’altra.
Ogni
tanto, Dom smetteva di spalare il vialetto per riposarsi ed alzava
involontariamente gli occhi su quel monumento alla mancanza di
comunicazione, ringraziando puntualmente di essere figlio unico.
Un
delizioso odorino veniva fuori dalla finestra accostata
della cucina di casa Howard: sembrava che il nuovo esperimento
culinario di sua madre fosse destinato ad avere successo, per una
volta.
Dom
si guardò attorno, decidendo che il vialetto era in
condizioni più
che dignitose, e rientrò in casa.
Quando
fece il suo ingresso in cucina, Diane stava sfornando una teglia
ricoperta da uno strato dorato di quello che sembrava a tutti gli
effetti…
-
…shortbread. – esalò Dom.
-
Ma non è per noi. – lo ammonì sua
madre, raggiungendo a passo di
danza il davanzale della finestra.
-
E per chi è? – ribatté Dom, conoscendo
già la risposta.
-
Per Maureen, naturalmente! Cosa c’è di meglio di
un biscottino per
tirarsi su di morale dopo una brutta influenza come la sua? –
La
prima volta che si erano recati a far visita ai Bellamy –
l’indimenticabile giorno della cioccolata e
dell’esaurimento
nervoso del nipotino
– nulla lasciava presagire che potesse sbocciare
un’amicizia così
squisitamente nefasta
tra Diane e la signora Bingham. Dom aveva i suoi buoni motivi per
credere che la nonna di Bellamy stesse semplicemente cercando di
mantenere i contatti con lui.
Perché,
poi? Dom aveva perso invece ogni traccia di suo nipote.
-
Quindi oggi pomeriggio andrai a trovarla.
-
Mhm-mhm… Vuoi venire?
Stavolta
Dom non si lasciò incastrare, e prima ancora che Diane
avesse finito
di pronunciare la frase disse: - Oh… Be’, ho da
studiare e…
Roba da fare.
Sua
madre non sembrava offesa. Posando teglia e guantoni da forno sul
tavolo della cucina, sorrise e disse: - Hai fatto un buon lavoro,
lì
fuori… Aspetta.
Andò
in soggiorno e ritornò un minuto dopo con una banconota in
mano,
porgendola al figlio.
-
Mamma, sono dieci sterline…
-
Già.
Incredulo,
Dom fissò il denaro per un secondo prima di intascarlo.
In
città i marciapiedi erano incrostati di neve ghiacciata e,
percorrendoli, Dom rischiò più di una volta di
finire a gambe
all'aria.
Lungo
la via principale qualche negozio era chiuso e in giro c'erano
più
ragazzini del solito, come se fosse di nuovo Natale o Capodanno.
Teign
Music era ancora aperto.
In
vetrina, campeggiavano le solite quattro chitarre – tre
elettriche,
una acustica. Ad intervalli regolari di una settimana, il
proprietario del negozio cambiava la loro disposizione attorno alla
batteria che dominava la scena al centro della vetrina.
L'ensemble
era esposto da talmente tanto tempo che Dom si era persino divertito
ad affibbiare un nome ad ognuno degli strumenti che ne facevano
parte: la chitarra acustica, con i suoi ghirigori country a
decorarla, si chiamava Dolly Joanie Parton-Cash. Quella elettrica, di
colore rosso sangue e a forma di poligono irregolare, era Elizabeth
Bathory II. Quella decorata dalla Union Jack era Nigella
Lancaster-York, quella a stelle e strisce John Clint Cooper-Lincoln.
Per
quanto riguardava la batteria, Dom aveva deciso che si trattava di
una famiglia – piuttosto prevedibilmente, il cognome che
aveva
scelto per essa era Bangs.
Quel
giorno, Dolly e Nigella cingevano la famiglia Bangs ad entrambi i
lati mentre John ed Elizabeth la sovrastavano, appese ad un sostegno.
Dom
si mise una mano in tasca, tirando fuori le sue dieci sterline.
Un
po' poche, anche solo per assicurarsi uno dei componenti della
famiglia Bangs.
Da
dietro la sciarpa, Dom mormorò: - Un giorno non molto
lontano verrò
a prendere uno di voi... Tremate. - e si incamminò di nuovo
lungo il
marciapiede, senza avere una meta precisa in mente.
Risalì
la via principale, trovandosi di fronte la stazione ferroviaria.
Un
gruppetto di persone ciondolava vicino alla porta centrale. Il rumore
di un treno che stava rientrando in quel momento si porto via
ciò
che stavano dicendo.
Dom
li squadrò.
Sembravano
suoi coetanei, ma erano troppo imbacuccati per stabilire le loro
identità.
Il
più alto di loro si girò e subito dopo si tolse
la sciarpa dalla
bocca, sbracciandosi.
-
Dom!
Cavolo,
ma era proprio...
-
...Chris. - bisbigliò Dom, senza muoversi di un millimetro.
D'altronde,
non ebbe bisogno di farlo: Chris attraversò la strada per
venirgli
incontro, salutandolo allegramente.
-
Ciao! Che combini?
-
Niente, non combino niente. - sorrise Dom, un po' teso.
Gli
amici di Chris li stavano fissando apertamente da dove erano rimasti,
senza fiatare.
Tentando
di non agitarsi, Dom chiese: - Dove vai?
-
In giro con la band… Te li presento. - Chris lo prese per un
polso,
tirandolo leggermente.
Un
membro del gruppetto si era chinato a bisbigliare qualcosa
all'orecchio di un compagno, tenendo lo sguardo fisso su loro due. La
voglia di scappare a gambe levate di Dom aumentò
vertiginosamente.
-
No, davvero, non ti-
-
Ragazzi!
Perché
stava facendo cenno ai suoi amici di raggiungerli? Quale oscuro
motivo aveva per metterlo in imbarazzo davanti a loro?
…
perché
i suoi amici gli
stavano dando retta, attraversando la via?
-
Lui è Dominic Howard, quello del provino.
Ottima
pubblicità... Grazie tante.
I
Fixed Penalty erano schierati di fronte a Dom, compatti come una
barriera di giocatori durante un calcio di punizione.
Uno
di loro - rosso, basso, la faccia larga e piena di lentiggini e gli
occhi celesti – annuì, commentando: - Mi ricordo
di te… Ero in
platea. Bel numero.
-
Grazie. - rispose Dom in automatico, stringendosi nelle spalle.
Il
ragazzo sorrise e gli prese la mano destra, stringendola
vigorosamente.
-
Simon… Chitarrista istrionico.
Un
altro ragazzo, dagli occhi scuri ed il colorito olivastro, si fece
avanti tenendo le mani nascoste nelle tasche e strascicando: -
Daniel, bassista di poche parole.
L'ultimo
a presentarsi fu un ragazzo sottile e lungo come un fiammifero, gli
occhi piccoli e castani ed un sorriso per nulla gentile sul viso
affilato.
-
Lyle. Il gelido ma carismatico frontman. - sussurrò rauco,
come se
avesse bisogno di schiarirsi la voce. Istintivamente Dom lo fece al
posto suo, borbottando poi il suo nome.
-
… ed infine c'è Chris, il tenero orsacchiotto
batterista.
-
Non sembro un orsacchiotto.
Lyle
rise, esclamando: - Ti dico di sì! Dom, non è un
orsacchiotto?
-
Attento a quello che dici o verrò a farti visita in
biblioteca,
Howard. - lo minacciò scherzosamente Chris, facendo
ridacchiare Dom
e salvandolo così dall'imbarazzo di dover rispondere.
Subito
dopo, il tenero orsacchiotto – Dom
non gliel'avrebbe mai detto in faccia, ma in effetti le sue fattezze
richiamavano proprio l'immagine di un pacioso plantigrado -
annunciò: - Noi andiamo a Exeter… Anzi,
dobbiamo sbrigarci ché
perdiamo il treno.
-
Be’, allora non vi trattengo… - disse Dom,
iniziando a
retrocedere lungo la via da lui percorsa per arrivare fino alla
stazione.
La
proposta di Chris arrivò inaspettata.
-
Vuoi venire?
Dom
credette di aver capito male.
-
Cosa? Cioè…
-
Stiamo lì per un po’, pranziamo e poi torniamo a
casa prima che
faccia buio… La madre di Lyle è un tantino
apprensiva.
-
Chiudi il becco, teddy bear. - lo rimbeccò Lyle, guardandolo
dall'alto in basso.
Intanto,
Dom cercava di trarsi affannosamente d'impaccio.
-
Ecco… Non ho avvisato la mia, di madre, e poi…
-
Alla stazione ci sono le cabine telefoniche, e pure a quella di
Exeter… Le meraviglie del ventesimo secolo.
Dom
si guardò attorno, incerto.
Era
troppo difficile – un gruppo affiatato di ben quattro persone
nel
quale infilarsi? Nossignore, negativo. Abort mission.
Passo e chiudo.
D'altronde...
Chris voleva che venisse, gli sarebbe piaciuto se avesse accettato.
Avrebbero
potuto divertirsi, lontani dalla scuola, dagli insegnanti stronzi e
dalle bibliotecarie frustrate...
… ma
sua madre non lo sapeva, e poi in teoria non sarebbe dovuto neanche
andare in centro. Ufficialmente stava studiando.
Roteando
gli occhi, Lyle disse: - Vabbe’… Andiamo?
Voltarono
le spalle a Dom, avviandosi verso la stazione.
Meglio
così. Non ci sai fare con la gente, lo sai. Saresti stato
costretto
a sorridere di inside
jokes
a te sconosciuti e loro si sarebbero sentiti in dovere di perdere
tempo a spiegarteli, avresti dovuto pensare ad un modo brillante di
inserirti in una loro conversazione o, peggio, di iniziarne una. Ti
saresti sentito stupido e fuori posto e patetico e Chris si sarebbe
pentito di averti proposto di venire. Ti avrebbe chiesto in privato
se ti fossi divertito e tu avresti dovuto dirgli che sì,
certo che
mi sono divertito, come no. Una valanga di bugie e imbarazzo. E poi
non puoi metterti nei guai, devi tornare a casa.
-
Aspettate!
…
cosa
ti ho appena detto,
Howard?
I
Fixed Penalty al completo fissarono Dom in silenzio mentre cercava di
recuperare un minimo di aplomb – si era accorto troppo tardi
di
stare urlando in pubblico.
-
Non ho nulla da fare... - minimizzò, scrollando le spalle.
Chris
sorrise, e nonostante la figuraccia Dom ricambiò.
Il
regionale si infilò tra le colline, lasciandosi pian piano
dietro lo
specchio grigio del mare.
Dom
si voltò indietro, seguendo con lo sguardo la linea
dell'orizzonte
fin quando non si ritrovò di fronte i pendii boscosi
dell'entroterra.
A
quel punto si concentrò su ciò che aveva fatto.
Era
in gita di piacere in compagnia di quattro estranei – tre,
anzi. Il
motivo gli era sconosciuto, ma aveva a che fare con la schiena di
Chris che si allontanava assieme a quelle dei suoi amici.
Sua
madre non lo sapeva, poi. Era tutto veramente molto strano.
-
Ma perché i gabbiani non schiattano col freddo?
-
I gabbiani sono macchine da guerra alate… Spitfire piumati.
-
E gangster con le zampe palmate… Sembrano i padroni della
zona.
Puah.
Seduto
in mezzo a loro sulla dura panca del treno, Dom ascoltò il
dialogo
fra Simon e Chris ridendo sotto i baffi ma senza intervenire.
Ad
un certo punto, Simon si voltò verso di lui non solo con la
faccia
ma con l'intero busto, piegandosi un po' in avanti ed invadendo con
nonchalance il suo spazio personale.
-
Quindi suoni la batteria. - disse.
Dom
annuì, tirandosi discretamente indietro.
-
In una band?
-
No, nessuna band.
-
Un solista… - replicò Simon, apparendo
favorevolmente
impressionato.
Dom
alzò le spalle: - Un dilettante, più che altro.
-
Perché noi siamo professionisti, invece. - Chris
alzò lo sguardo al
soffitto, sorridendo ironico e accomodandosi meglio sul sedile.
-
Vi… Vi esibite? Nel senso, di solito… - chiese
Dom.
Nel
frattempo si accorse di stare giocando con una ciocca di capelli, e
smise bruscamente.
Simon
quasi gli salì addosso per dare a Chris un buffetto sul
braccio: -
Ecco… Te l’ho detto un sacco di volte che dobbiamo
distribuire
più volantini, Teddy.
Dopo
aver ricambiato adeguatamente le attenzioni dell'amico con un sonoro
schiaffo sulla mano, Chris disse: - Il ventiquattro di questo mese
siamo alla Battle of Bands del Broadmeadow.
Rivolgendosi
agli altri due compagni seduti sul sedile di fianco,
esclamò: - Ly,
quelli di Dawlish si sono fatti più sentire?
-
Li ho richiamati ieri, hanno detto che devono ancora decidere.
-
Sono due settimane che “devono decidere”...
-
Vorranno tenerci un po' sulla corda e magari giocare al ribasso sul
prezzo.
-
Che bastardi.
-
Puoi dirlo forte.
Dom
rimase ad ascoltare, cercando di non mostrarsi troppo colpito.
La
disinvoltura con cui i ragazzi parlavano di quello che sembrava a
tutti gli effetti un mestiere, per loro, quasi lo intimidiva e
soprattutto lo confondeva: l'ultima volta che Chris aveva parlato del
gruppo gliel'aveva introdotto come se fosse un ensemble scarso e di
poche pretese, non si aspettava che invece si trattasse di un affare
così grosso... Forse avevano più talento per le
pubbliche relazioni piuttosto che per la musica?
La
sua cameretta semibuia, dominata dalla batteria, all'improvviso era
diventata ancora più angusta nella sua mente.
-
Vienici a vedere, il biglietto non costa molto… - Chris lo
riscosse
dai suoi pensieri prima che divenissero troppo deprimenti.
-
Cinque sterline. - precisò Simon accostandosi ancora di
più a Dom,
il quale di nuovo si ritrasse per rispondere, dopo qualche secondo di
frenetica elaborazione del concetto: - Perché no?
Perché
no? Perché non andare? Glielo avevano chiesto.
…
cos'era,
quella? La giornata
delle decisioni insensate?
Lyle,
in testa al gruppo, uscì dalle porte della stazione di
Exeter
mormorando: - Occhio al ghiaccio.
Neanche
un secondo più tardi, si sentirono un tonfo ed una bestemmia
smozzicata.
-
… Simon, vero? - pronosticò Lyle, senza guardare.
Quando
poi si voltò, vide Daniel che cercava di rimettersi in piedi
aiutato
da Simon e Chris, che a loro volta non apparivano particolarmente
stabili sulla superficie ghiacciata del piazzale adiacente la
stazione.
-
Daniel! Mi deludi.
-
Non era mia intenzione.
Si
fermarono per decidere il da farsi.
-
Dove si va?
-
Boh… A pranzo?
-
Sì, ma dove?
-
Cavern?
-
Certo... Paghi tu, vero?
-
Sei un morto di fame, Wolstenteddy.
-
Vaffanculo, Lyle.
-
Scherzavo... Fatti una risata, Chris, è gratis e fa bene al
cuore.
Premendosi
un dito sul mento, Lyle assunse un'aria assorta; alla fine, fu come
colto da un'illuminazione.
-
Facciamo decidere al nuovo arrivato, no?
Dom,
rimasto in silenzio fino ad allora, arretrò istintivamente
di un
passo.
-
Io non... Non conosco Exeter molto bene... -
Lyle
si accigliò, chiedendo: - Mhm... Allora?
-
Ragazzi, ma se prima andiamo da Manson che è qui vicino e
decidiamo
dopo dove pranzare? - propose Simon.
-
Qui vicino dove?
-
Tipo, inculato in uno di quei vicoletti laggiù.
-
Vabbe', vabbe'... Però fatemi fumare, prima.
Lyle
si diresse con il suo passo lento e pigro verso un muretto poco
lontano, ed il resto della compagnia lo seguì docilmente
come una
cucciolata di anatroccoli.
Dom
non era ancora del tutto convinto che fosse stata una buona idea
unirsi alla combriccola, ma al tempo stesso la voglia di fuggire era
andata scemando a partire dal momento in cui si era lasciato
Teignmouth alle spalle.
Era
un'avventura, quella. Qualcosa che lo respingeva ed attraeva in egual
misura perché potenzialmente pericoloso, ma anche positivo.
La
fronte corrugata di Lyle dava ad intendere che accendersi una
sigaretta fosse un affare piuttosto serio, per lui.
-
Fumi? - chiese, rivolgendosi a Dom.
-
No, grazie.
-
Mica volevo offrirtene una.
Dom
ebbe una spiacevole sensazione di deja-vu.
Riuscì
a non arrossire, sotto lo sguardo di Lyle che lo raggiungeva fin nel
cantuccio che si era ritagliato a fianco di Chris e Simon.
-
Parli meno di Daniel, tu, il che è grave... E pensare che ne
avresti
di cose da raccontarci, Mrs Bellamy.
Sentendo
pronunciare quel cognome, Dom alzò la testa di scatto e
sbottò: -
Come?
-
Ly, non fare il coglione. - lo riprese Chris, e Lyle
spalancò gli
occhi con aria innocente.
-
Perché? Lo chiamano tutti così, a scuola!
Dom
guardò Chris, basito.
-
Non mi avevi detto di... Di questa cosa del soprannome.
-
Perché è una stronzata... E non ti chiamano tutti
così. -
rispose Chris senza guardarlo. Era troppo impegnato a fulminare Lyle
con un'occhiataccia.
Quest'ultimo
sogghignò compiaciuto nell'incalzare ulteriormente Dom: -
Comunque... Lui com'è?
-
Lyle...
-
Dio, Teddy, come sei palloso... Che gli avrò mai chiesto di
male?
Lyle
poggiò entrambe le braccia sul muretto e scosse via la
cenere dalla
sigaretta con noncuranza.
-
Sai, girano tante storie sul suo conto ma scommetto che i tre quarti
di chi le ha messe in giro non lo ha mai neanche visto di sfuggita...
Tu sei l'unico a poter dire cos'è
Matthew Bellamy per davvero.
C'era
molto da raccontare al riguardo, visto e considerato che Lyle aveva
ragione su tutta la linea: a parte i restanti componenti della
famiglia Bellamy, chi altro poteva dire di conoscere almeno un angolo
della testa di quel ragnetto isterico?
L'aveva
perseguitato con la sua stupida idea di formare una band, gli era
capitato fra capo e collo durante il suo servizio in biblioteca,
avevano litigato e mangiato insieme.
Bellamy
aveva pianto in sua presenza. Senza motivo. Come se anche con lui
accanto potesse farlo liberamente e, anzi, come se la sua presenza
fosse di fondamentale importanza.
Insomma,
Bellamy gli gravitava attorno da un po', ormai, e avevano condiviso
abbastanza da... Be', non da poterlo considerare un amico, ma quel
poco che avevano vissuto assieme spinse Dom a difendere la sua
privacy dall'insistenza di Lyle.
-
È
ok.
Lyle
storse la bocca in una smorfietta indispettita.
Tornò
alla carica, insinuando: - Si è innamorato di te?
-
No!
-
Siete solo amici, insomma.
-
Ma che ti frega? - si intromise Chris.
Lyle
lo apostrofò freddo: - Ti spiace? Io e Dom stiamo parlando.
-
No, ti stai solo impicciando dei cazzi degli altri.
-
Stai tranquillo, Teddy... Ho finito. -
Dom
si rintanò fra Chris e Simon, sentendosi a disagio ma allo
stesso
tempo un po' orgoglioso di sé stesso.
L'ingresso
del Cavern era poco più appariscente dell'entrata di un
sottoscala,
segnalato da una cupa insegna a mezzaluna; la porta si apriva su una
ripida e per nulla invitante rampa di scale immersa nella penombra.
I
ragazzi sembravano un po' intimoriti, ma non Lyle.
-
Entriamo. - disse, e nessuno gli rispose.
Insisté:
- Non ci fermiamo a mangiare... Entriamo e basta.
-
Mica è un negozio... E poi ti faresti del male. -
obiettò Simon.
-
Perché?
-
Perché chissà quando arriveremo a suonare qui.
Dom
vide Lyle fulminare l'amico con lo sguardo.
-
Chi mi ama mi segua. - disse.
Lyle
aveva sceso tre gradini, prima che il resto della truppa lo
inseguisse di malavoglia.
Il
locale non era molto grande, e dentro era buio ed opprimente; i
mattoncini a vista delle pareti gli conferivano un'aria spartana e
grezza ed il palco, incastrato sotto una bassa volta a botte, era
piuttosto piccolo. Insomma, non era nulla di che dal punto di vista
estetico.
Dom
si aspettava qualcosa di meglio.
-
Che ne pensi? - Simon bisbigliò alle sue spalle, ma non
stava
parlando con lui.
Infatti,
Chris rispose a voce altrettanto bassa: - Di cosa?
-
Non ti piacerebbe suonare qui?
-
Be', sarebbe... Fantastico.
-
E poi... Oggi qui, domani chissà. Royal Albert Hall?
-
Certo, e magari Wembley e poi la Luna o Marte!
-
Tranquillo, Chris, accomodati e pisciami pure sulla parata.
-
Non sto dicendo che non potrebbe succedere, però...
Dom
immaginò una folla roboante acclamarlo dal prato di uno
stadio. Non
era per nulla spiacevole, come idea.
-
Andiamocene. - l'ordine venne piatto ed appena percettibile, come se
chi lo stesse pronunciando avesse perso all'improvviso tre quarti
della propria baldanza di frontman stando semplicemente di fronte ad
un minuscolo palco sguarnito.
Il
resto del pomeriggio trascorse lento e leggermente imbarazzante.
-
Ti piace l'erba, Dom?
-
Eh?
-
Le canne. Ti piace farti le canne?
-
Uhm... No. Cioè, non...
-
Non ne hai mai provata una? Cazzo, e non mi sono portato neanche un
po' di fumo... Vabbe', comunque... Non hai mai fumato? Neanche una
volta? Che diavolo vai facendo della tua vita, Dom? E i funghetti? Ti
sei mai fatto una frittatina di funghetti?
-
Be', io... No.
-
… tu vai salvato, ragazzo mio. Davvero. Salvato da te stesso
e
dalla noia.
-
Ma no.
-
Ti dico di sì, invece... Jane Lawrence si nasconde
nell'armadietto
scassato che in realtà non è scassato e ci guarda
mentre ci
spogliamo.
-
Ma perché dovrebbe?
-
Perché è una ninfomane.
-
Oh, santo...
-
Davvero! Me l'ha detto una sua amica... “Le piace guardarvi
il
cazzo e per farlo si nasconde in un armadietto degli
spogliatoi”.
-
Ah, be', se esce glielo faccio pure toccare, non è un
problema.
-
Che stronzate.
-
Seriamente... Vi ho mai raccontato stronzate, da sobrio?
-
Ok, la prossima volta dobbiamo controllare.
-
Ma con discrezione, eh. La sua amica dice che è anche
psicolabile e
bulimica e non bisogna traumatizzarla. Può diventare
pericolosa.
-
Cazzo vuol dire “bulinica”?
-
“Bulimica”, con la “m”... E
comunque boh, però non sta bene.
-
Sì, be', si sentiva la mancanza di un pazzo in giro per la
scuo...
Uh, cioè.
-
…
-
… dicono che anche l'amica sia un po' porca, comunque. E
sembra
sana di mente.
-
La cosa si fa interessante...
-
Teignmouth non è così male.
-
Si, vabbe'.
-
Davvero!
-
Certo, non è così male... Personalmente, il mio
posto preferito di
Teignmouth è la stazione, quando sono a bordo di un treno
diretto
verso qualunque altra città e la vedo allontanarsi sempre di
più.
-
Quando mi lamento di Teignmouth, i miei se ne escono sempre con la
storia che sto vivendo un'età difficile e bla bla...
Cazzate. È
un'età difficile se la vivi in un luogo di merda. Vorrei
vedere
quanto sarebbe difficile se la vivessi a Londra.
-
Boh, io ci sono affezionato... Sono cresciuto qui, la conosco come le
mie tasche...
-
Io vengo da una città ancora più triste, quindi
non faccio testo.
-
Anch'io.
-
Anche tu? In che senso?
-
Vengo da una città poco più grande di
Teignmouth... Stockport.
-
Io vengo dallo Yorkshire, invece. Comunque, che senso ha cambiare
casa da un posto minuscolo ad un altro?
-
Non ne ho idea.
-
Ma tanto ce ne andiamo.
-
Ce ne andiamo, sì.
-
Mhm... E dove.
-
Ciao, pessimismo cosmico. Non sapevo fossi invitato anche tu a questa
gita.
-
Siete voi i pessimisti... Questa città qualcosa
può offrircelo,
ancora.
-
Sì, lo sgombro.
-
Senti, non esiste sgombro migliore di quello di Teignmouth.
-
A me fa schifo.
-
Perché non capisci niente.
-
È
un pesce da gatti, dai!
-
Che ignoranza.
-
Tu mangi pesce da gatto e io
sono ignorante, che
roba...
-
… vi state accapigliando sullo sgombro, ragazzi, rendetevi
conto.
-
Ci annoiamo così tanto, Ly, esatto.
-
E il tramonto si avvicina... Si torna a casa.
-
Ci vediamo, allora.
-
Giovedì pomeriggio, come sempre.
-
Come sempre.
-
E vieni al Broadmeadow, mi raccomando.
-
Sicuro.
Chris
guardò Dom con il più severo dei cipigli.
-
… ci vengo, giuro! -
-
Ok, ok... Allora a presto.
Simon piazzò una potente pacca fra le
scapole di Dom, togliendogli il fiato per un secondo.
-
Ci si becca in giro, eh! -
-
Ci si becca, sì. - sorrise Lyle. Daniel si limitò
a salutare con un
cenno del capo.
Tutti
e quattro si avviarono lungo la via principale.
In
breve furono lontani dal campo visivo di Dom, che invece non si
decideva a scollarsi dall'uscita della stazione.
Non
era il freddo a pungerlo, in quel momento. Era qualcosa da cui non
sapeva come ripararsi, a cui non c'era rimedio.
Desiderava
piacergli. Desiderava piacergli come a
lui
piaceva Chris, e il pensiero lo seccava perché piuttosto
avrebbe
preferito essere in grado di accettare la propria solitudine. Non
contare nulla per nessuno era una realtà a cui pian piano
avrebbe
potuto abituarsi, no? Aveva già rinunciato a suonare in
compagnia,
si trattava di un bel passo in avanti e avrebbe semplicemente dovuto
continuare in quella direzione ma no... Doveva piacergli Chris,
ovvio. Doveva desiderare disperatamente che Chris diventasse suo
amico.
E
non poteva farci niente.
Rattatatà
tatà tattarattatà, ho aggiornato
l'Inaggiornabile! Mi sento una
dea, aw.
Dunque,
bando alle facezie e on with the precisazioni
“tecniche”: quella
che avete appena letto è la prima parte di un megacapitolo
che ho
voluto spezzare per due motivi:
a)
è un megacapitolo, appunto... Troppa carne al fuoco non va
bene.
b)
questa parte è il “punto di
ebollizione”, l'altra è
l'“innalzamento ebullioscopico”. Da un parte bolle
l'acqua,
dall'altra bolle una soluzione. Solvente e soluzione. Metafore,
metafore everywhere.
…
ok,
facciamo finta
che il punto b) non esista.
Se
state davvero seguendo *ancora* questa storia non posso che
ringraziarvi... Siete belli, e io sono brutta-brutta. Tornerò presto con la seconda parte prima del ventisei c.m. *sorride felice* no, ok, mi son lasciata trascinare dall'entusiasmo e mi son sopravvalutata... Facciamo che dovrà passare qualche giorno in più perché dal 26 effettivamente sto via e torno il 2 ottobre. Quindi, non molti giorni ma qualcuno in più sì. Ciao.
(lol @me che faccio precisazioni e correzioni come se dall'aggiornamento di questa fic dipendesse la salute di qualcuno) (sono precisa, che devo dirvi)
♥
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Capitolo 10 *** Innalzamento ebullioscopico ***
Innalzamente Ebullioscopico HTML
Innalzamento
ebullioscopico
Era già buio, quando Dom attraversò la soglia di
casa.
Solo a metà del tragitto gli era sovvenuto che, alla fine,
non aveva avvisato sua madre della gita ad Exeter: ergo,
cercò di fare meno rumore possibile girando la chiave nel
buco della serratura, come se non farsi sentire potesse in qualche modo
migliorare la sua posizione.
- Dominic?
Addossandosi alla porta d'ingresso, Dom chiuse gli occhi e
sospirò.
Restò nel corridoio, affacciandosi in soggiorno con un
sorriso tirato.
- Ehi.
Diane sedeva sul divano, con la schiena perfettamente dritta e distante
dallo schienale di parecchi centimetri.
- Dove sei stato?
L'ultima volta che l'aveva vista così genuinamente sconvolta
era stata prima della partenza di suo padre. Allora era seduta sul suo
letto, e davanti a lei si aprivano le ante di un armadio semivuoto.
- A Exeter. - rispose Dom.
Diane spalancò gli occhi.
- A fare cosa? E da solo, poi? E perché non mi hai lasciato
almeno un biglietto?
- Be'...
Dom esitò solo un attimo, poi scrollò le spalle
spiegando con noncuranza: - È stata un'improvvisata. Ho
incontrato un po' di gente e mi sono unito.
- Hai incontrato...?
- Sì.
- Compagni di classe?
- No, non li ho mai visti.
- Santo cielo...
- Tranne Chris.
- Chi è Chris?
- Uno di scuola che conosco.
Diane guardò il figlio per diversi secondi.
Poi, gli si avvicinò per lasciargli un sonoro bacio sulla
fronte ed abbracciarlo.
- Tesoro... Sono così felice, non puoi immaginare...!
- Si, mhm... - Dom la allontanò, tenendo gli occhi bassi.
- … vado a cambiarmi.
- Certo, certo... Se mi cerchi sono in cucina.
- Lo so.
Dom salì le scale a due a due, entrò in camera e
si gettò sul letto perché di colpo si sentiva
assolutamente esausto.
Mentre riviveva in ordine casuale i momenti più importanti
della giornata, il suo umore si faceva sempre più roseo.
La Battle of Bands del Broadmeadow era abbastanza lontana da ispirargli
un miscuglio più dolce che amaro di aspettative e previsioni.
La vera ansia iniziò nel momento stesso in cui
varcò i cancelli del centro sportivo.
La gente era raggrumata in gruppetti, oppure assiepata di fronte al
bancone del punto di ristoro. Le luci erano un po' basse, il che a Dom
non dispiaceva affatto.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per ottenere una minima idea di cosa fare
di sé stesso in quell'istante – le sue braccia
improvvisamente gli parevano un paio di escrescenze superflue ed
ingombranti, per non parlare del viso... Che espressione doveva fare
per non sembrare/sentirsi uno sfigato capitato per errore nel bel mezzo
di un mare di gente che conosceva solo di vista e andava bene
così, grazie tante?
Se solo fosse stato meno imbranato avrebbe potuto chiedere a Chris
di... Boh, stare nel backstage con loro o qualcosa del genere. Invece
non lo sentiva da un bel po' di tempo, e non aveva neanche il suo
numero di telefono.
Semplicemente, Dom era lì. Da solo. Peggio, era in compagnia
di una caterva di pessimi presentimenti.
Quando la competizione ebbe inizio, la situazione migliorò:
le luci si abbassarono ulteriormente per far risaltare la scarna
illuminazione sul palco, e Dom poté mischiarsi alla piccola
folla di coloro che erano davvero interessati alla musica e non solo
all'aspetto mondano della serata.
I primi tre gruppi non lo entusiasmarono granché; aveva
ragione Chris, tutti quanti da quelle parti erano apparentemente
fissati con i Nirvana - in più, suonavano da cani.
Durante una pausa, si sentì picchiettare una spalla.
- Ciao.
Anche Bellamy non si faceva vivo da parecchio, con lui. Come suo
solito, aveva scelto il momento peggiore per farlo.
- Cia-
- Posso stare qui? - Bellamy interruppe Dom, continuando poi frenetico:
- Nel senso, ti dà fastidio se mi vedono vicino a te?
Perché se vuoi possiamo far finta di non conoscerci.
… mi sta prendendo in giro?
- Tutti sanno che ci conosciamo, e comunque ormai è inutile
perché mi stai parlando. - rispose Dom in tono piatto,
voltandosi e tenendo lo sguardo forzatamente fisso sul palco che stava
per essere occupato dal quarto gruppo concorrente.
Bellamy restò dietro di lui, una presenza rassicurante come
quella di un avvoltoio a stomaco vuoto; intanto, la quarta band
iniziò a suonare una straziante cover di Smoke on the Water.
Porca miseria, il frontman è da abbattere... Stonato come
pochi. E il batterista, poi.
Da dietro, Bellamy gli urlò in un orecchio: - Ti piacciono?
Dom scosse il capo, replicando: - Il cantante è un pianto, e
il batterista picchia come uno scimpanzè incazzato.
- È un complimento?
- Gli scimpanzè sanno suonare?
Lo sfacelo arrivò ad una fine, sotto una pioggia di fischi
meritatissimi. Dom un po' si dispiacque per loro, ma purtroppo non
c'era molto altro da dire: facevano cagare.
I Fixed Penalty erano la quinta band concorrente.
Chris salì per primo, salutando Dom da sotto i piatti della
batteria.
- E lui com'è? - chiese Bellamy.
- Che me lo domandi a fare? Mi hai detto tu che non ti piace come
suona, no?
- Sì, be', intendevo...
- E poi lo vedrai, no? Quindi...
Dom sorrise sotto i baffi, quando Bellamy sbuffò e si
voltò dall'altra parte.
I Fixed Penalty iniziarono a suonare.
Per quanto non fossero estremamente dotati ed il loro repertorio non
gli andasse particolarmente a genio, Dom rimase colpito lo stesso dalla
loro performance.
Avrebbe voluto ritrovarsi dietro la batteria al posto di Chris,
immergendosi in quell’atmosfera che era ciò che
più gli mancava quando suonava da solo in camera sua e che
aveva cercato invano nel complesso jazz della scuola: gli sguardi
d'intesa, i sorrisi, la complicità.
Non gli piaceva invidiare i Fixed Penalty per ciò che li
univa, ma far finta che non fosse così sarebbe stato inutile.
E poi, forse, poteva servirgli... Quel pungolo avvelenato poteva
fungere da stimolo. Per cosa, non gli era ancora dato sapere.
Bellamy del frattempo era avanzato fino a stare al suo fianco, muto e
rigido.
Al termine dell'esibizione, Chris fece segno a Dom di aspettarlo.
Lo raggiunse cinque minuti dopo, abbrancandolo da dietro ed urlandogli
nell'orecchio: - Ehi! Ti è piaciuto lo spettacolo?
- Assolutamente! Cioè... Forte.
Chris annuì con una certa veemenza, ed un sorriso che andava
da un orecchio all'altro.
Scrollò Dom, gettandoglisi poi addosso nell'esclamare con un
volume di voce esageratamente alto: - Senti, noi adesso andiamo un po'
in giro... Ti va di unirti a noi?
L'invito venne così inaspettato che Dom credette di aver
frainteso.
- Ecco, io...
Approfittando di quell'attimo di silenzio, Bellamy si intromise: - Ok,
io vado altrimenti arrivo a casa a mezzanotte...
Dom si voltò verso di lui – operazione alquanto
difficile, visto che Chris continuava a stargli letteralmente
appeso.
- Non ti viene a prendere nessuno?
- No, vado a piedi.
- Da solo?
- Chi mi ammazza?
- E dov'è che abiti, di preciso?
- Vicino alla caserma dei pompieri.
- E vuoi davvero fartela a piedi da solo? - proruppe Chris.
Bellamy lo guardò appena, chiedendo: - L'alternativa quale
sarebbe?
- Mia madre può darti uno strappo in macchina. - propose
Dom, alché Chris gli chiese: - Ah, quindi torni a casa con
lei?
Il treno di pensieri di Dom cominciò ad incepparsi.
Sarebbe tornato a casa con sua madre? In teoria sì, il piano
era quello.
Voleva tornare a casa con sua madre?
Cazzo, no. Nella maniera più assoluta. L'unica cosa che
voleva era già essere fuori di lì, possibilmente
in compagnia dei Fixed Penalty.
C'erano solo un paio di problemi da risolvere.
- Sentite, non voglio costringervi a fare niente... - iniziò
Bellamy, prima che qualcuno gli passasse accanto abbattendosi poi su
Chris e di conseguenza su Dom. Si trattava di Simon.
- Preso! - gridò il chitarrista.
I suoi vestiti odoravano di qualcosa che sembrava fumo di sigaretta, ma
molto più aromatico... Erba, forse?
- Ciao, Dommeh! Allora, t'è piaciuto lo show?
Prima che potesse ricevere risposta, Simon si voltò nella
più sbagliata delle direzioni possibili.
Inclinò il capo da un lato, strizzando gli occhi e puntando
un dito contro Bellamy.
- Tu sei...
In un lampo Bellamy sembrò farsi minuscolo.
Dom immaginò che il suo più grande desiderio in
quell'istante fosse disperdersi nell'aria a mò di vapore,
trasformarsi in una pianta, trovarsi ovunque tranne che al Broadmeadow
di fronte a qualcuno che lo additasse con aria istupidita.
- Io sono, sì. Buonanotte, ragazzi.
Bellamy si allontanò tra la folla a passo svelto, e a Dom
non venne in mente di fermarlo.
Chris gli diede di gomito, domandando: - Si è offeso?
- Non lo so... - mormorò Dom, inseguendo l'oggetto del
discorso con lo sguardo.
- Cazzo, non volevo cacciarlo via... - commentò Simon.
No, probabilmente volevi solo giocarci un po', fargli qualche domanda
per vedere se ci sta con la testa e portarlo a Lyle come pegno di
fedeltà suprema ed incrollabile.
- Dagli un passaggio, non è il caso che vada in giro a notte
fonda... Vicino alla caserma è zona di spaccio.
Cosa fare?
Da un lato, non voleva mollare Chris. Dall'altro, non poteva lasciare
Bellamy da solo – se gli fosse successo qualcosa?
E sua madre? La Battle of Bands era quasi giunta al termine, non
sarebbe mai riuscito ad accompagnare Bellamy e a tornare indietro prima
che sua madre arrivasse... E poi doveva chiederle se poteva restare
fuori con i Fixed Penalty e... Cazzo.
Dom si scrollò di dosso Chris, esclamando: - Aspettami qui!
- e partendo all'inseguimento di Bellamy completamente alla cieca,
poiché era già scomparso dal suo campo visivo.
Di certo era ancora nei paraggi, il centro sportivo era pieno e avrebbe
dovuto passare sopra le teste delle persone per aver già
guadagnato l'uscita.
L'uscita, a proposito. I cartelli che la indicavano. Dove cazzo erano.
… trovati. Ora doveva solo seguirli, e guardarsi attorno.
Sospinto dalla fiumana di gente, Dom si ritrovò Bellamy
accanto per caso, come dava ad intendere l'espressione stupita di
questi.
Per paura che potesse sfuggirgli, Dom lo bloccò prendendolo
per un braccio e disse velocemente: - Fra un po' arriva mia madre, ti
porterà sicuramente a casa se...
- Non posso... Mamma e nonna non sanno che mi trovo qui, metti che le
scappa qualcosa con loro?
Oh. Ciò costituiva un ulteriore problema.
- Vado a piedi... Grazie lo stesso.
- Ti accompagno!
Di nuovo, Bellamy lo guardò sorpreso ed un po' insospettito.
Come dargli torto? Neanche Dom era sicuro che la sua fosse una buona
idea.
- Ma dopo saresti tu a tornare a casa da solo, no?
Non se sto con Chris.
… Howard, tu non stai pensando di trascinarti Chris fino a
casa Bellamy.
- … aspettami. - esalò Dom, prima di tornare
indietro sui suoi passi.
Nel frattempo, la manifestazione si era conclusa.
Orde, sciami, tonnellate di persone gli stavano venendo incontro
ridendo e scherzando fra loro, ostacolando il suo ritorno da Chris e
Simon.
Dom era così nervoso che gli venne quasi da ridere.
A metà percorso, gli sovvenne che sua madre probabilmente
era già arrivata e gli sarebbe convenuto seguire la massa
fuori dall'edificio per cercare di convincerla ad andarsene via senza
di lui.
Prese un respiro profondo, trovò il modo di fare dietrofront
e si lasciò trascinare dalla corrente.
Aveva ragione: Diane lo attendeva vicino al cancello principale.
- Eccoti qua! Allora, come è andato il-
- Vado un po' in giro con degli amici, ma', ti spiace?
La faccia perplessa della madre stava irritando Dom come mai qualcosa
era riuscito ad irritarlo prima di quella sera, ne era sicuro.
- Quali amici, quelli dell'altra volta? E come torni a casa, poi?
Dom sputò la prima bugia che gli venne in mente: - Dormo a
casa di Simon Pale.
- Pale? Si tratta di un parente di Arthur Pale, il fruttivendolo di
Brunswick Street?
- Sì, sì, quello. Precisamente.
- Il suo numero di telefono qual è?
- Uhm... È sull'elenco, no?
- Ma dov'è? Vorrei conoscerlo.
- Per forza? Insomma, è già molto tardi e...
- Vorrei solo sapere che faccia ha, tesoro, non mi pare di chiedere
troppo... Allora, dov'è?
- Senti, è basso e pel di carota, ha gli occhi chiari e le
lentiggini... Tutto qui.
Fino ad allora Diane appariva piuttosto scettica; a quel punto, sorrise
con aria maliziosa. Il che era francamente inquietante, dal punto di
vista di suo figlio.
- Non è che per caso questo Simon è una Simone,
mhm?
- … cosa?
- Perché se è così, tesoro, forse
dovremmo fare un certo discorso prima che tu... Capisci...
Dom strizzò gli occhi, agitando le mani in aria come per
scacciare lo spettro della Conversazione sulle Cose della Vita.
- È maschio, come il resto della compagnia.
- Posso fidarmi?
- Ma certo che sì!
Diane era vistosamente combattuta fra il desiderio di salvaguardare
l'incolumità del suo unico figlio e quello di permettergli
di comportarsi come un ragazzo della sua età.
Prevalse il secondo.
- Chiamami quando arrivi, d'accordo? E fate attenzione.
Adesso vado da Chris. No, forse è meglio andare da Matthew.
O forse è meglio se vado a casa, faccio ancora in tempo a
raggiungere mia madre e a far finta di averle fatto uno scherzo
– amici? Simon Pale? Ci hai creduto davvero, mammina?
Chris e Simon non si erano mossi da dove li aveva lasciati, ma la
compagnia si era allargata: adesso c'erano anche Daniel e Lyle.
Dom rallentò il passo istintivamente.
Il tempo di darsi del cretino senza palle, e riprese a correre.
Salutò con un breve cenno i nuovi arrivati, e poi
tirò silenziosamente Chris per una manica della camicia allo
scopo di allontanarlo dal gruppo.
- Allora? Bellamy è andato a casa? - domandò
Chris, e a Dom sarebbe piaciuto ingiungergli di abbassare un po' la
voce.
- No, è ancora qui.
- … Bellamy?
Ecco fatto, avevano attirato l'attenzione della persona più
sbagliata possibile.
Lyle squadrò Dom dall'alto in basso, sorridendo.
- Oh... Siete venuti insieme? Che carini.
Indicando la band con un ampio gesto del braccio, disse: - Portalo qui!
Perché ce lo tieni nascosto? Mica mordiamo!
Oh, sì che mordete – che mordi.
- Deve tornare a casa. - scandì freddo Dom, curandosi di non
abbassare gli occhi neanche per un secondo, neanche di fronte ad una
persona che percepiva come velenosa e subdola ed aveva almeno tre
alleati, mentre lui era solo e si improvvisava avvocato, per motivi che
ancora gli sfuggivano, di una causa definitivamente persa.
- E allora perché è ancora qui?
- Perché lo accompagno io.
Chris si spostò al fianco di Dom, precisando: - Lo
accompagnamo noi.
Si trattava palesemente di un “noi” che non
includeva il resto dei Fixed Penalty, e Dom se ne accorse con gran
stupore.
Dal canto suo, Lyle fece finta di non capirlo.
- Andiamo tutti, allora!
- Bastiamo noi due.
- Sei geloso? Guarda che non te lo rubo mica...
Il coraggio di Dom iniziò a scemare man mano che la distanza
fra lui e Lyle veniva coperta a passi lenti da quest'ultimo, il quale
si chinò poi per sussurrargli ad un orecchio: - …
digli che lo saluto e che la prossima volta può anche venire
a scambiare quattro chiacchiere in amicizia, invece di spiarci da
lontano.
Sorpreso, Dom si voltò.
A pochi metri da loro, Bellamy si torceva le mani con aria ansiosa.
Chissà se aveva captato qualcosa di ciò che si
erano detti...
Con fare circospetto, e senza perdere di vista Lyle che stava tornando
dai suoi amici ma lo esaminava lo stesso a distanza con un sorrisetto
lezioso stampato sul volto, Bellamy si mosse verso Dom e
balbettò: - Vo-volevo dirti c-che me ne stavo andando e
che...
- Ti accompagnamo.
- Davvero?
Dom annuì, indicandogli Chris.
- Lo conosci, no?
- Certo.
- E, uhm... Chris, tu conosci...
- Matthew. - lo anticipò Bellamy.
Certo, non ha solo un cognome.
- … Matthew. - ripetè Dom, e Chris lo
imitò: - Matthew, mhm.
Be', perfetto.
… perfetto?
- … stiamo andando, quindi? - domandò Matthew con
aria sospettosa.
I suoi due accompagnatori si scambiarono una breve occhiata.
- Direi proprio di sì. - replicò Dom.
- Ah, e Tourette's è stata fantastica.
- Mhm, è una di quelle che ci riesce meglio.
- Forse stanno iniziando a piacermi davvero, i Nirvana.
- Bravo! Te l'ho detto, l'unica cosa che mi dà al cazzo
è che siano inflazionatissimi da queste parti, per il resto
sono davvero fantastici.
- A-ha.
- Suoni ancora il pianoforte, Matthew?
Sussultando, questi si riscosse dal suo silenzio – lo stesso
silenzio che Dom e Chris stavano sforzandosi di riempire chiacchierando
della serata appena trascorsa – e bofonchiò: -
Qualche volta.
- Mhm. - Dom annuì, aspettando e sperando che sputasse fuori
qualsiasi altro input di conversazione.
In effetti, lo fece.
- Rigiratevi.
- Scusa?
Matthew gracchiò una risatina nervosa.
- È imbarazzante. La situazione, dico.
Percorse qualche metro da solo, perché Dom si era bloccato
così come Chris.
Restarono fermi, in mezzo alla via principale della città a
quell'ora deserta, con un paio di lampioni che minacciavano di
fulminarsi da un momento all'altro – l'unico rumore
distinguibile era il friggere delle loro lampade difettose.
Il freddo si stava intensificando, il vento era più teso e
Dom rimpianse di non essersene fregato di tutto e tutti, montando in
macchina con sua madre alla volta di casa sua e del suo caldo, candido
lettino.
Credeva di fare un favore a... A quello lì, non lasciandolo
solo.
Perché non poteva, per una volta, una sola volta in vita
sua, rendergli le cose più facili?
Ma no, è senz'altro meglio lasciare con un palmo di naso due
persone quantomeno interessate alla tua
sopravvivenza, così non devi smettere di sentirti un reietto
schifato dall'universo intero.
Chris si strinse nel suo giubbotto, soffiando sulle proprie mani
intirizzite.
- Ci stiamo rigirando?
In risposta, Dom disse: - Aspetta qui. - e partì
all'inseguimento di Matthew, raggiungendolo in men che non si dica.
Lo fece incespicare, arrivandogli alle spalle ed agguantandolo per un
braccio.
- Ehi...
- Ho fatto di tutto per coinvolgerti... Pensavo che comportandomi come
se ci conoscessimo da tanto avrei finito per conoscerti davvero. Tipo,
non mi metto a piangere di fronte a chiunque ma per te l'ho fatto.
Non c'era molto da dire, e se c'era Dom non sapeva dove cercarlo.
L'unico dato certo, in tutta quella storia, era che Matthew aveva
torto: se davvero il suo tentativo di
“coinvolgerlo” non fosse andato in porto, quella
sera si sarebbe ritrovato a percorrere la via di casa da solo.
Invece...
- Resta qui.
- Quindi?
- Quindi vado io con lui.
Chris aggrottò le sopracciglia, osservando Matthew che
voltava loro le spalle poco più in là.
- Sei sicuro? Senza offesa, ma non mi fido molto...
- Ha bisogno di... Be'...
- Di te?
Se sapessi di cosa ha bisogno sarebbe già un passo avanti.
Se sapessi cosa sto facendo, sarebbe ancora meglio.
Dom sospirò, allargando le braccia in segno di impotenza.
- Senti... So che non state insieme ma sei proprio sicuro che lui...?
- Non fare il Lyle, ti prego.
- Stai attento.
- A lui o agli spacciatori?
- Ti aspetto qui.
Dom sbarrò gli occhi, stupito.
- … davvero?
- Sì.
- Be', uhm... Cioè, mica devi per forza...
- Tranquillo.
- … grazie. Vedo di sbrigarmi.
- Ecco, bravo... Datti una mossa, ché è
già tardi.
Mentre tornava da Matthew, Dom sorrise incredulo fra sé e
sé.
- Wolstencoso è migliorato.
Oh, finalmente si è ricordato di avere una lingua...
- Potresti chiamarlo Chris.
- No.
- Dio, poi ti lamenti che non hai amici.
Matthew si voltò di scatto verso di lui, bisbigliando
piccato: - Non è divertente.
Erano arrivati di fronte al cancello di casa Bellamy: appoggiandovisi,
le braccia rigidamente conserte sul petto ed il mento sollevato,
Matthew volle sapere: - Perché l'hai mandato via?
- Perché non ti piace.
- Che ti frega di chi mi piace o no?
- Volevo solo che non ti sentissi a disagio.
- … eh? Per quale motivo?
- Sono una persona gentile, tutto sommato.
Matthew si strofinò la faccia con entrambe le mani,
borbottando: - Ecco, adesso come dovrei salutarti?
- Boh, con un “buonanotte”, un “ci
vediamo”? La gente normale fa così.
- Noi non “ci vediamo”, Dom.
Eccolo di nuovo, quel modo passivo-aggressivo del cazzo di porsi nei
suoi confronti. Voleva davvero dargli la colpa del fatto che il loro
rapporto non fosse di certo paragonabile ad un'amicizia con tutti i
sacri crismi?
- Ma che diavolo vuoi, eh? L'hai detto prima... Mi hai trascinato nella
tua vita e non ti stai neanche sforzando di far tornare le cose
com'erano prima, quindi non sei davvero dispiaciuto.
- E invece sì, mi dispiace!
Stavolta fu Dom a nascondersi la faccia tra le mani, esasperato.
- Che vuoi fare, adesso? - chiese Matthew timidamente.
Timidamente, sì.
La sua tecnica di lotta era un balletto di avanzate fulminee e ritirate
strategiche - fermo un turno e poi avanti di tre caselle. Li faccio
parlare tutti di me per un po' e poi mi ritiro nell'ombra.
- Non mi stai sul cazzo.
- Ma non vuoi essere mio amico.
Decido io, anche per te. Per tutti.
- Hai cominciato con il piede sbagliato. Non hai fatto nulla per
meritarti la mia fiducia.
- C'è qualcosa che posso fare per rimediare?
E so che sto combinando un macello, ma da che parte inizio a
riaggiustare le cose?
- La prossima volta che vuoi uscire telefonami, invece di comparire dal
nulla.
Matthew rimase a bocca aperta, nel senso letterale dell'espressione.
- … grazie.
- E buonanotte.
- Ci vediamo, vorrai dire.
Dom alzò gli occhi al cielo, senza rispondere.
Chris lo accolse senza porre domande, tranne una.
- Allora... Pronto per la serata?
Facciamo
così: io non vi faccio più promesse che non posso
mantenere (a mia discolpa, posso dire che ero in buona fede) e voi non
mi prendete a male parole per il ritardo colossale con cui finisco puntualmente per aggiornare... Siamo d'accordo?
♥
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Capitolo 11 *** Energia del vuoto ***
Energia del vuoto
Nel primo pomeriggio di quella domenica pigra e bigia, Dom vegetava sul divano del suo soggiorno in preda alla noia più esasperante.
Stava meditando di andare a fare una passeggiata sul lungomare, quando i suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del telefono in corridoio.
Sua madre si precipitò a rispondere.
- Pronto?
Passò qualche secondo e poi la sentì riattaccare, commentando perplessa: - Avranno sbagliato numero...
Per qualche motivo, Dom ebbe la sensazione che in realtà l'interlocutore il numero l'avesse decisamente azzeccato, e che avesse terminato la chiamata proprio per questo motivo.
Il telefono squillò ancora, e Dom esclamò: - Vado io!
Ghignando fra sé e sé, rispose.
- Pronto?
Dall'altra parte della cornetta, Matthew iniziò a parlare freneticamente: - Dom! Prima deve essere caduta la linea perché ad un certo punto-
- Ma certo. Che ti serve?
- Mhm... Domani ho il compito di francese.
- Ok...?
- E non so un cazzo, ovviamente.
- Mhm.
- E quindi mi chiedevo se potessi... Cioè, se non hai già da fare perché è domenica e magari devi fare i compiti per domani e...
- Li ho fatti stamattina.
Era inutile girarci attorno.
- Vuoi una mano?
- Esatto! - esclamò entusiasta Matthew.
Dom alzò gli occhi al cielo.
- Cos'è? Grammatica, letteratura...
- Grammatica.
- Cioè devi solo imparare un paio di regole a memoria.
Dom dovette allontanare la cornetta dall'orecchio quando Matthew proruppe: - Un paio di milioni, vorrai dire! Odio il francese, è la lingua più insulsa al mondo, con tutti quei suoni viscidi e il congiuntivo e le coniugazioni e-
- Va bene, va bene!
- Uh? Davvero? Cioè, mi aiuterai?
In tono volutamente indifferente, Dom confermò: - Non ho niente da fare, quindi... Quando posso venire?
- Possiamo studiare da te, per favore?
Se Matthew Bellamy chiedeva qualcosa “per favore”, di qualunque cosa si trattasse doveva essere davvero importante per lui.
- Ok.
- Allora arrivo subito!
- Wow, quanta fre-
Dom non terminò la frase, perché ad ascoltarlo c'era solo il segnale acustico di libero del telefono.
Era da un po' che non si sentivano, precisamente dalla sera della Battle of Bands.
Nonostante da allora la posizione di Dom nei confronti di Matthew si fosse ammorbidita, questi non aveva cercato di trarre vantaggio dalla situazione: era letteralmente sparito nel nulla, forse preso dallo studio o... Be', dalle cose che gli piacevano. Ad ogni modo, quello era il primo segno di vita che aveva deciso di dare.
Non che per Dom ciò costituisse un problema... Era solo un po' strano. In fondo, quello che Matthew voleva era essergli amico, no? Eppure, una volta raggiunto – o quasi - lo scopo prefisso, pareva essersene dimenticato.
Magari qualcosa bolliva in pentola... Da Matthew Bellamy era ragionevole aspettarsi di tutto.
Quindi, Dom aveva deciso di dargli spago e stare a vedere cosa sarebbe successo.
Mezz'ora dopo la telefonata, Dom aprì la porta alla versione più paonazza ed ansimante di Matthew Bellamy che avesse mai visto; di conseguenza, si allarmò un po'.
- … che è successo?
Fra un ansito e l'altro, Matthew trovò il modo di formulare una risposta.
- Ho... Corso.... Autobus... Domenica... Niente...
Quasi sbatté in faccia a Dom un mazzo di fiori bianchi, gli steli tenuti insieme da carta stagnola e qualche giro di spago.
- Sono fresie... Per tua madre.... Quest'anno sono... Fiorite con qualche giorno d'anticipo...
Lupus in fabula, proprio in quel momento Diane uscì dalla cucina chiedendo: - Dom, hanno suonato alla porta?
Lo sguardo le cadde su Matthew, poi sul mazzo di fiori, poi su suo figlio.
Quest'ultimo borbottò, arrossendo un po': - Le ha portate per te.
Visto che l'ospite era apparentemente deciso a restare impalato sulla soglia di casa Diane gli venne incontro, affondando il naso fra le corolle dei fiori e cinguettando: - Che bel pensiero!
- Squisito, sì... Noi andiamo in camera, ora. - tagliò corto Dom, tirando Matthew per una manica della felpa e dirigendosi verso le scale.
Prima cominciamo a studiare, prima finiamo.
Matthew non sembrava avere molta fretta di iniziare: invece di mettere mano ai libri gironzolava per la stanza, prendendo in mano il primo oggetto che gli capitava a tiro, toccandolo, rimirandolo, a volte persino annusandolo. Sembrava incapace di prendere una posizione stabile come Dom, che già si era accomodato sul letto aspettando che l'altro lo raggiungesse.
Ad un certo punto Matthew raggiunse la batteria, e Dom si irrigidì istantaneamente; si accorse di stare trattenendo il fiato, nel controllare che l'ospite non si prendesse troppa confidenza con la sua piccola.
Suonava anche lui... Forse non serviva proibirgli di toccarla, l'avrebbe capito da sé.
- È tenuta molto bene... - sussurrò Matthew, chinandosi a rimirare più da vicino, per motivi ignoti, la grancassa.
Dom non riuscì a trattenere una nota di orgoglio nel rispondere: - Ovviamente.
Lasciò andare un sospiro, quando Matthew si avviò finalmente a raggiungerlo sul letto: questi prese il suo zaino e lo sbattè con disinvoltura sul materasso.
Sorridendo, iniziò: - Dopo possiamo...?
- Sei venuto a cazzeggiare o a studiare? - sbottò Dom, e Matthew assunse un'aria piuttosto offesa.
- Ho detto “dopo”, rilassati.
Dom si stava innervosendo.
Da un lato, non intendeva concedere alcun margine di vantaggio al suo ospite – giocava in casa, e voleva che Matthew non lo dimenticasse: dall'altro, il fatto che il tentativo di far pesare la propria “superiorità” probabilmente fosse superfluo e vagamente ridicolo non gli era per niente sfuggito.
Ergo, cercò di mantenere una certa compostezza e contemporaneamente di non recedere dalla sua posizione privilegiata.
- Comunque... No.
- Non mi hai dato neanche il tempo di parlare, come fai a rifiutare la mia proposta?
Ironicamente, ma non troppo, Dom rispose: - Be', tendenzialmente è così che funziona... Tu mi proponi qualcosa, io rifiuto, tu insisti, io rifiuto di nuovo e via discorrendo all'infinito.
La faccia di Matthew era quella di un bambino molto, molto deluso.
- Be'... Mi sento un po' castrato.
Dom roteò gli occhi, per poi ordinargli: - Siediti, e prendi i libri.
Un conto era odiare una materia con tutto il cuore, ed un conto era odiarla con tutto il cuore essendo totalmente incapaci di afferrare anche il più basilare dei concetti relativi ad essa.
Sfortunatamente, Matthew aveva non solo difficoltà a ricordare ed applicare le regole grammaticali del francese, ma anche una pronuncia che, nonostante i tentativi di Dom per correggerla, restava poco più che mediocre.
Più per sincero sbigottimento che allo scopo di insultarlo, dopo una frustrante ora passata sui libri Dom chiese a Matthew: - Come diamine fai a fare così schifo?
L'altro chiuse il libro di scatto, lamentandosi: - Se solo me ne fregasse qualcosa! Tutto quello che so del francese viene dal Samson et Dalila.
- Mhm?
- Samson et Dalila, di Camille Saint-Saëns.
- … mhm?
- Cazzo, davvero non conosci Camille Saint-Saëns? Danse Macabre? Mon Coeur S'ouvre à Ta Voix?
Di fronte allo sguardo vacuo di Dom, Matthew iniziò a cantare su un motivo effettivamente familiare qualcosa che suonava più o meno così: - Aaawiponz... Wipooonz ama tandweeesss...
- Che lingua sarebbe quella? Perché sono abbastanza sicuro che non sia francese.
- Oooh, non prendermi per il culo.
Dom rise, e chiese di getto: - Ti piace l'opera, quindi?
Il suo ospite si sdraiò sul letto, quasi calciando via i libri, e rispose: - Non sono un esperto, però ci sono delle cose che mi tolgono letteralmente il fiato.
- Aw.
- Ripeto, non prendermi per il culo.
Erano evidentemente in pausa, quindi Dom mise da parte i libri per sedersi più comodamente.
Gli era tornata in mente una cosa.
- Che volevi fare, prima?
- Hai altri strumenti, in casa?
- Una chitarra acustica, da qualche parte.
- Tirala fuori.
Dom restò in silenzio, titubante, e Matthew insistette entusiasta: - Dai, facciamo qualcosa di divertente... Una jam-session!
- Non ho mai suonato in compagnia.
Quella frase suonava così... Strana, detta ad alta voce.
O forse “strana” non era l'aggettivo giusto.
- Mai? Wow.
… incredibilmente deprimente, magari?
Con una spallucciata, Matthew disse: - Io suonavo con papà ed i suoi amici, prima che se ne andasse a pascere canguri in Australia.
Dom ridacchiò.
- Wow, quindi tuo padre è un allevatore di canguri? -
- Può darsi, conoscendolo. L'ultima volta che l'ho sentito faceva il tassista, ma prima è stato... Be', un sacco di cose.
Matthew gesticolò freneticamente come a cancellare quella digressione su suo padre per far ritorno all'argomento principale della conversazione: - Insomma, quand'ero piccolo papà invitava a casa i suoi ex-compagni di band... I Tornados, li conosci? Quelli di-
- Telstar? - lo prevenne Dom.
- Esatto! Allora, dopo mangiato ci mettevamo in taverna a suonare... Li accompagnavo al piano.
Matthew sorrise, continuando a raccontare: - È divertente persino se con la musica non c'entri niente... Mia madre è stonata come una campana, ma ogni tanto duettava con papà solo per fare un po' di casino. Sai, magari si mettevano a cantare Something Stupid di Frank Sinatra e mamma cercava disperatamente di azzeccare le note del controcanto e mai una volta che ci riuscisse! Mio padre aveva una pazienza spaventosa, perché ogni volta che si presentavano queste occasioni non la zittiva mai come avrebbe meritato... Pensa che una volta...
Era partito per la tangente, ormai.
Dom si sentiva come quei cagnolini dalla testa penzoloni, ridotto com'era ad annuire e prodursi in qualche occasionale “mhm” e “ah”; tuttavia, la cosa non lo urtava più di tanto perché Matthew iniziava – lo ammise a se stesso con estrema difficoltà – ad incuriosirlo sul serio, e non solo per i suoi famigerati trascorsi.
La sua vita doveva essere stata parecchio interessante, prima di trasferirsi nella vecchia Tinmuffa.
- … non volevo divagare, scusa.
- Figurati.
- Quindi? Suoniamo o no?
Dom esitò un attimo, prima di rispondere.
- No.
Si precipitò a spiegare: - Cioè, la chitarra ce l'ho ma è in cantina e dovrei prima scatastare un mucchio di roba per prenderla, perciò...
Matthew lo guardò con aria indecifrabile.
- Ok... Ma non mi va di rimettermi a studiare questa merda.
- A me non va di spiegartela... Ho la gola secca e mi sta venendo il mal di testa.
- Allora, boh... Tu che mi racconti?
- Eh?
- Ti ho riempito di chiacchiere, è arrivato il momento di vendicarti.
A disagio, Dom tentò di ironizzare: - Ti ho appena detto che ho la gola secca o sbaglio...?
- Andiaaamo...! - cantilenò Matthew, allungandosi a punzecchiargli un fianco con l'indice.
Dom cercò di colpirgli la mano con uno schiaffo, ma l'altro fu più veloce di lui e la ritrasse con una risatina.
- Che vuoi sapere?
- Non mi scandalizza quasi niente, quindi... Sbizzarrisciti.
- Non ho niente da raccontare.
- Tutti ce l'hanno.
- Davvero... Sono una persona abbastanza noiosa.
Matthew non sembrava affatto intenzionato a desistere, nonostante la ritrosia di Dom.
- Hai un sogno nel cassetto?
- Uhm... Boh, no.
- Libro preferito?
- Mhm...
- Gruppo preferito?
- ...
- … piatto preferito?
Esasperato, Dom disse: - Basta... Lo vedi? Sono deprimente... Studio, suono la batteria e mi rompo le palle.
Il momento era particolare. Matthew lo studiava attentamente, con quegli occhietti azzurri che davano l'impressione di non tralasciare alcun dettaglio di quanto lo circondava, e Dom non sapeva cosa dire, né cosa fare.
Il suono delle sue stesse parole, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, produsse in lui un senso insolito di straniamento – si rese conto di non aver mai neanche formulato un pensiero che somigliasse alla sua ultima affermazione.
Abbassò lo sguardo, cercando con cura le parole per proseguire quella strana conversazione – sempre galleggiando in quello stato d'animo indefinibile.
- Quando non hai... Stimoli... È inevitabile ritrovarsi soli, credo. È quasi giusto.
- Essere soli non è giusto. - ribatté prontamente Matthew, con voce insolitamente pacata.
- Chi vuole una persona noiosa e senza interessi come amica, scusa?
Matthew si indicò, dicendo: - Be', io di interessi ne ho un miliardo, e guardami...
Dom non trovò una replica adatta.
Entrambi restarono seduti sul letto per un istante, in silenzio; poi Matthew balzò a terra, iniziando a riporre i libri nello zaino.
- Vado a casa... Grazie dell'aiuto.
- Non c'è di che. - mormorò Dom, restando fermo nella propria posizione.
In un rigurgito improvviso di educazione, si affrettò a dire: - Ti accompagno alla porta...
- Naah, ci arrivo da solo.
- In bocca al lupo per domani.
- Crepi... Ti farò sapere.
Prima che Matthew uscisse dalla stanza, Dom quasi urlò: - Se vuoi venire a suonare...
Arrossì, ma continuò.
- … facciamo quando mia madre non c'è, così non la disturbiamo.
L'altro mise su una faccia fintamente inorridita.
- … mi stai invitando quando tua madre non c'è? Sono un ragazzo serio, io.
Per l'ennesima volta, Dom alzò gli occhi al cielo.
Continuava a pensarci: persino a cena, tirò fuori l'argomento con sua madre.
- Ce l'ho un piatto preferito?
Diane non si aspettava la domanda .
- … non saprei. - rispose, e sembrò che il fatto la perplimesse più o meno quanto perplimeva Dom.
Quest'ultimo suggerì: - Forse le lasagne. O la pizza. - rivolgendosi più a se stesso che alla madre: poi guardò dentro il proprio piatto, borbottando: - Di sicuro non sono i broccoli al vapore. - e riprese a mangiare in silenzio, mentre Diane lo fissava dall'altro capo del tavolo.
Dopo cena, Dom non aveva molta voglia di guardare la TV.
Andò in camera sua, e si piazzò di fronte alla piccola libreria sulla quale era radunata la sua collezione di videocassette, musicassette e libri.
Doveva esserci qualcosa che gli piacesse veramente tanto, no?
… laddove la parola chiave era “doveva”.
Insomma, era sopravvissuto per sedici anni senza avere un film preferito, forse non costituiva un requisito fondamentale averne uno. Apprezzava diverse cose, dopotutto, suonare la batteria in primis.
Cosa c'era di male a non essere degli estremisti, nell'amare qualcosa?
- Giusto. - Dom si diede ragione da solo, ad alta voce.
Nonostante ciò passò in rassegna ogni titolo, attribuendo ad ognuno un buon motivo per essere lì sullo scaffale. A volte non era così facile: molti libri erano classici della letteratura cosidetta “per ragazzi”, e adesso li trovava un po' soporiferi e datati - che diamine, Pattini d'Argento? Pinocchio? Seriamente.
Lo stesso valeva per i film, e persino per la musica – Le Più Belle Colonne Sonore dei Film Disney vol. II, porca troia!
Quella libreria era stracolma di roba sua che in realtà non gli apparteneva affatto. Piaceva ad un se stesso più piccolo, era stata acquistata per lui e goduta da lui. Quasi un'altra persona, insomma.
Dom non ci aveva mai fatto caso. A dodici anni ricordava di essersi liberato dei Lego, le automobiline e gli altri giocattoli con i quali non giocava più da qualche tempo, ma il resto era rimasto lì perché non l'aveva sostituito con nient'altro. Lo spazio dedicato alle cose che gli piacevano in quel momento era minuscolo, se non si contava quello occupato dalla batteria.
- Perché? - mormorò, sedendosi sul bordo del letto e restandovi per un buon quarto d'ora semplicemente a riflettere.
Qualche giorno dopo, mentre era in pausa dalla sua corvèe in biblioteca, chiese a Chris: - Qual è il tuo gruppo preferito?
Chris estrasse un paio di patatine dal sacchetto, cacciandosele in bocca e masticandole con aria meditabonda.
- Vuoi davvero saperlo? - bofonchiò a bocca piena.
Dom annuì, appoggiandosi con la schiena al distributore delle merendine.
Senza guardarlo, Chris disse a mezza bocca: - Gli Status Quo.
- … oh. - mormorò Dom.
Probabilmente, l'altro era abituato a quel tipo di reazione.
- Ecco, capisci perché non lo racconto in giro? - rise, ed allargò le braccia in un gesto di rassegnata impotenza.
- La prima volta che l'ho detto ai ragazzi hanno riso per cinque minuti di fila. Li ho cronometrati.
- Be'... Whatever You Want è un gran pezzo.
- Scommetto che conosci solo quello. - Chris scosse il capo, sbuffando rumorosamente. Ad ogni modo, non sembrava arrabbiato.
Pescò quel che rimaneva sul fondo del sacchetto di patatine, chiedendo: - E tu, invece? Hai un gruppo preferito?
Dom storse la bocca in una smorfietta dubbiosa.
- No... Né tantomeno un cantante, o una cantante.
- Vabbe', non dirlo con quella faccia... Mica è un crimine.
- Lo so.
A giudicare da come restarono entrambi in silenzio, appoggiati al distributore e fissando la parete del corridoio di fronte a loro con aria piuttosto pensierosa, la faccenda sembrava invece delle più complicate da gestire.
- Lo vuoi un mix?
- Eh?
Chris si spiegò: - È uno dei miei hobby, faccio un sacco di mix su cassetta e poi li rifilo a chiunque conosco oppure li tengo per me, semplicemente.
Sospirando, continuò: - Ti inviterei a casa mia per ascoltare un po' di roba, ma ho un milione di fratelli e stanno sempre fra i piedi... Io ci sono abituato, ormai, però sai com'è...
- Puoi venire tu da me. Cioè, se ti va e quando hai tempo.
L'invito era venuto fuori con sufficiente naturalezza, forse perché era veramente sbucato dal nulla anziché essere frutto di migliaia di seghe mentali precedenti.
Per la propria improvvisa disinvoltura, Dom si premiò con una virtuale pacca sulla spalla.
- Ok! - accettò con entusiasmo Chris. - Quando?
- Anche domani, se per te va bene.
- Va benissimo, direi.
- Benissimo. - ripetè Dom, soddisfatto.
Appena tornato a casa, recuperò uno scatolone vuoto dalla cantina e mise via i reperti più imbarazzanti che campeggiavano in bella vista sullo scaffale in camera sua – probabilmente avrebbe dovuto farlo prima, quando Matthew era venuto a studiare da lui... Era sorprendente come ciò non gli fosse sovvenuto. O forse non lo era più di tanto, visto e considerato che non riceveva visite da anni ed quindi era abituato a vedere il posto in cui viveva per la maggior parte del tempo solo attraverso i propri occhi, il suo personale punto di vista.
… cazzo, si era davvero tanto rinselvatichito da fregarsene a tal punto delle apparenze? E chissà se ciò era davvero un male.
Ad accogliere l'ospite fu sua madre, stavolta.
Se Diane fosse stata il personaggio di un cartone animato, i suoi occhi avrebbero preso la forma di due cuoricini.
- Finalmente ci conosciamo! Ma guarda quanto sei alto! E che bei riccioli! Mi ricordi qualcuno... Tua madre lavora al negozio di souvenir vicino al Pier, per caso?
Dom intercettò lo sguardo visibilmente intimorito di Chris prima ancora di iniziare a scendere l'ultima rampa di scale che portava fino al corridoio.
Tutto d'un fiato, esclamò: - Ciao, Chris! Andiamo di sopra? Andiamo di sopra. - facendo poi strada all'altro mentre Diane trillava: - Se avete bisogno di me sono qui!
- Mi ricorda un po' la mia. - bisbigliò Chris, quando arrivarono alla porta della camera di Dom.
Questi gettò una breve occhiata verso le scale, rispondendo: - Mi dispiace, allora.
Poi aprì la porta con gesto teatrale, indicando l'interno della stanza ed annunciando: - Questo è il mio buco.
Chris annuì e si guardò attorno, sotto lo sguardo attento di Dom che non poteva fare a meno di sentirsi un po' sotto esame, ed al tempo stesso di studiare il proprio ospite.
Rispetto a quella di Matthew, la presenza di Chris era diametralmente opposta: anche in un ambiente non familiare, il suo modo di fare trasmetteva la tranquillità di sempre.
- Hai una gran bella batteria.
- Vero. - ghignò Dom.
- Per la mia non c'è più posto, in casa... I miei hanno concepito un paio di figli di troppo, qualche tempo fa.
- A quanto pare i miei hanno deciso che dopo di me non potevano aspirare a niente di meglio, invece.
Chris si voltò verso di lui, ridendo.
- Oggi ti senti un figo, Howard, vero?
Dom stava per negare vigorosamente quanto suggerito dall'altro, ma ci ripensò.
In effetti, il suo umore era buono... Più che buono.
- Posso...?
Chris aveva in mano una cassetta, e stava indicando il piccolo stereo portatile di Dom.
- Certo, certo.
Si accomodarono sul letto, in attesa che la musica partisse.
La prima traccia del mix era Kashmir, dei Led Zeppelin.
- Questa la conosco.
- Chiunque non viva sotto un sasso o su Marte la conosce.
Verso la metà del brano, Chris iniziò ad illustrare il tema attorno al quale ruotava la sua compilation.
- Mi hai detto che non hai un gruppo preferito, giusto? Ecco, ho pensato che fosse una buona idea partire da quello che piace a me...
- Questo vuol dire che ci sono anche gli Status Quo?
- … guarda che me ne vado, eh.
Dom scoppiò a ridere, gesticolando per invitare Chris a riprendere il discorso.
- Stavo dicendo... Ho preso il meglio della gente che ascolto di solito e l'ho messo qui.
- Ci vuole molto tempo per fare una cosa del genere? - chiese Dom, stringendosi le ginocchia al petto ed appoggiandovi il mento sopra.
- Un po'... Però mi diverto, quindi non è un problema.
Da quell'istante in poi non parlarono più: si sdraiarono l'uno accanto all'altro, ascoltando in religioso silenzio ogni singola canzone.
Dom era così concentrato sulla musica che sussultò violentemente al sentire la voce di Chris che gli domandava a bruciapelo: - Ti sei divertito, la sera della Battle of Bands? Voglio dire... Sei stato bene con noi?
- Sì, certo.
- Sai, non ci hai più cercato da allora... Credevo ti fossi annoiato o che ti avessimo dato sui nervi.
- Non... - mormorò Dom, un po' a disagio. - … non è così.
Chris si stiracchiò, guardandolo di sbieco.
- Sei sempre il solito timidone, quindi? Perché ti assicuro che se avessi detto qualche parola in più nessuno ti avrebbe mangiato. - scherzò.
Quasi a voler confermare le impressioni dell'altro, Dom arrossì.
- Che animale strano sei, Howard.
- Come si intitola questa canzone? - disse precipitosamente Dom.
- Territorial Pissings... Nirvana.
- Ecco, l'avevo già sentita ma non ricordavo il titolo.
- Questa la suoniamo bene, per esempio... Solo che Lyle non strilla abbastanza. Ci vorrebbe un frontman più incazzato.
- Cambiatelo. - suggerì Dom con leggerezza.
Chris invece gli rispose quasi tristemente: - Magari... Lui è quello che ha gli agganci, il posto in cui suonare, pacchi di soldi a non finire...
Dom restò colpito dal tono che il suo interlocutore aveva utilizzato.
Si schiarì la voce, prima di sussurrare: - Vuoi proprio farlo, quindi...? Intendo, come mestiere.
- Sì. - fu la replica. Netta, decisa e concisa.
Prima che potesse fermarlo, dalla bocca di Dom uscì un - E perché? - quasi soffiato, come se la domanda fosse troppo impertinente o intima.
- Be'... Perché mi piace. Insomma, tu per quale motivo suoni?
Che fosse un interrogativo retorico o meno Dom ci rifletté davvero, e si ritrovò persino ad ammettere con cauta sincerità qualcosa che – di nuovo – non aveva mai formulato a parole.
- Suono perché... Perché quando lo faccio non penso a niente.
- Ti senti libero, tipo? -
- No, è anche meglio... Quando suono non mi sento. Non sono più io.
- Whoa... Un trip, praticamente.
Chris alzò le mani: - Scusa, scusa... Così la faccio sembrare una cazzata.
Dom sbuffò una risatina, prima di schernirsi: - Magari lo è... Ultimamente ne dico parecchie.
- Mhm... Comunque, metto il lato B? Ma devo avvertirti... Non ho resistito.
- … lo sapevo, ci hai messo gli Status Quo.
- Ma c'è anche altro dei Nirvana... Con loro ho abbondato.
Di notte, i Nirvana lo mettevano a disagio. Attorno a lui c'erano buio, silenzio e lo spazio vuoto lasciato dalle cose di quand'era bambino, quelle cose che stridevano più che mai con ciò che sentiva di essere, o di stare diventando. Dalle cuffie del walkman venivano suoni che a volte esprimevano rabbia, altre amaro sarcasmo – quello di Cobain era un dolore strano, amorfo, sconnesso, immotivato... Ma c'era, evidentemente.
Doveva essere tremendo soffrire così, non vedere mai la forma del proprio malessere ed urlare inutilmente mentre il dolore ti ingoiava come le sabbie mobili. Ovvio che l'unica soluzione a tutto questo fosse un colpo di pistola, e arrivederci.
Il disagio di Dom aumentava, traccia dopo traccia.
Lasciò andare un sospiro per ottenere un po' di sollievo dalla pesantezza che gli opprimeva il torace.
Non poteva farci niente, quella musica lo stava caricando di roba - era come essere svuotato e poi riempito di qualcosa che non fosse suo. Qualcosa di freddo, che puzzava e faceva male.
Quella musica era lo schifo. Non uno schifo, lo schifo. Di ogni cosa, e soprattutto di se stesso.
L'ultimo brano finì, e Dom spense il walkman.
Non aveva la minima idea di cosa fare, quindi restò immobile fra le lenzuola fin quando non si addormentò alle prime, consolatorie luci dell'alba.
L'energia del vuoto, secondo Wikipedia, è “un'energia presente in stato latente nello spazio anche quando privo di materia” (finalmente mi sono ricordata di linkarvi il significato di uno stramaledetto titolo, tre urrà per me \O/).
Che dire... Questo è il momento in cui di solito mi scuso per la lentezza con la quale aggiorno e shallalà – oggi, tho, non solo mi scuso ma vi garantisco che sto elaborando una parvenza di trama VERA (omg!) per i capitoli a venire. Qualcosa che comprenda ostacoli da superare ed obiettivi da raggiungere e non solo lo sciame di microterremoti emotivi che comporta il fare amicizia quando sei il Principe degli Introversi-Snob-Timidi. Shocking, I know.
Al di là di tutto questo rantare (e avrei rantato anche di più perché sono un'egocentrica schifosa, ecco), ciao a tutti e grazie dell'attenzione. ♥
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Capitolo 12 *** Big Rip ***
Big
Rip
Lo
fissava da un paio di minuti, a distanza di qualche metro, il vassoio
del pranzo stretto fra le mani e l'espressione carica di incertezza
ed attesa.
Quell'atteggiamento
ritroso era inaspettatamente ed esponenzialmente più
irritante
rispetto alla tracotante insistenza dei suoi approcci iniziali.
Dom
indicò il posto libero di fronte al suo con un breve cenno
del
mento; illuminandosi in volto, Matthew trotterellò fino al
tavolo e
sbattè allegramente il suo vassoio sul ripiano.
-
Finalmente ufficializziamo la nostra relazione... Dopo tutto, ho
già
conosciuto tua madre un bel po' di tempo fa.
-
Matthew, devi per forza parlare come se fossimo una coppia di
fidanzatini?
-
Visto che ti chiamo Dom, potresti chiamarmi Matt? Ogni volta che mi
chiami col mio nome per intero sembri un professore che mi vuol
spedire dritto dritto in presidenza.
Dom
alzò le spalle, poi gli domandò: -
Com'è andato il compito?
Il
tono di voce di Matt era noncurante, come se in quell'istante gli
importasse di più asportare il cetriolino dal suo hamburger
che
discutere del suo andamento scolastico.
-
Oh, ho consegnato in bianco.
-
Perché? - volle sapere Dom.
-
Sentito? - esclamò Matt, senza guardarlo negli occhi. - Hai
di nuovo
l'intonazione da prof incazzoso.
-
Lo credo bene, ho speso un pomeriggio a cercare di infilare un paio
di concetti basilari in quella testa di ghisa che ti ritrovi.
-
Grazie, eh? Comunque... Mettere risposte a casaccio mi fa sentire
stupido ed in balia degli eventi. Non scrivere nulla è una
scelta,
invece, e anche piuttosto coraggiosa.
Un
ragionamento dalla logica stringente ed inattaccabile, davvero.
Dom
si riaggiustò i panni del prof incazzoso addosso,
aggiungendovi un
tocco di Grillo Parlante.
-
E la tua media?
-
Recupererò. - tagliò corto Matt, e poi
cambiò argomento.
-
Allora... Quali sono i tuoi programmi per il week-end?
-
Niente di speciale.
-
Oh, ok.
Dom
alzò lo sguardo su Matt, e trovò un'altra
espressione che non gli
piacque affatto – quella da bambino mortalmente deluso.
-
C'è qualcos'altro?
-
Non eri quello di “chiedimi quello che ti pare, tanto ti
risponderò
sempre di no”?
Oh,
era una sfida?
Dom
sorrise, e Matt alzò un sopracciglio di fronte al suo
sorriso.
-
Mettimi alla prova, non si può mai sapere.
-
Ti vergogneresti ad uscire con me?
-
Ti ho già detto che non devi necessariamente parlare come se
fossimo
una coppia...?
-
Vabbe'. Allora?
Attesa
e incertezza. Occhi imploranti nel particolare modo in cui riuscivano
ad esserlo gli occhi di Matt, con quella punta di rabbia senza
destinatario preciso.
-
Be', direi che se possiamo mangiare allo stesso tavolo non
c'è
motivo per cui non dovremmo uscire assieme.
-
Quando e dove?
-
Non lo so e non lo so.
La
risposta non turbò Matt, che evidentemente aveva
già ottenuto ciò
che voleva. Si rilassò all'indietro sullo schienale della
sua sedia,
e disse: - Va bene, tanto il week-end è ancora abbastanza
lontano...
Cioè, non troppo visto che è giovedì
ma, be', ecco.
Dom
annuì, continuando poi seraficamene a mangiare mentre Matt
lo
sommergeva con una cascata di ciance riguardanti tutto e niente.
-
Sabato sera suoniamo a Dawlish... Sei dei nostri?
-
… io?
Chris
sbuffò.
-
No, quello dietro di te.
Dom
arrossì, mentre l'altro spiegava tranquillamente: - Noi
della band
partiamo di mattina, ma se ti va puoi raggiungerci solo per il
concerto e tornare il giorno dopo con noi. Ci accompagna lo zio di
Lyle, in macchina abbiamo sette posti disponibili e ne
occupiamo solo cinque... Potresti pure portarti un amico, per dire.
Più
Chris si inoltrava ad illustrargli i dettagli della cosa,
più Dom si
rendeva conto che la cosa gli stava letteralmente piombando addosso
dal cielo.
Insomma,
quali erano i presupposti per invitarlo? Per una volta che erano
usciti tutti assieme Dom era rimasto a far da tappezzeria,
osservandoli in silenzio pressoché assoluto ed ammirando da
lontano
la trama e l'ordito dell'amicizia che legava i Fixed Penalty,
sentendosi troppo fuori posto per inserirsi in quell'intreccio
complicato di intimità, di sottintesi ed esperienze da cui
era
inevitabilmente tagliato fuori perché all'epoca dei fatti
non c'era,
ed il riassunto delle puntate precedenti non poteva riempire le sue
lacune.
Eppure
Chris era lì, ad invitarlo ad unirsi a loro come se fosse
normale.
Come se fosse giusto.
Una
volta ancora, gli era stata offerta l'occasione di condividere un
pezzo della loro storia – e siccome ultimamente stava essendo
fin
troppo ottimista, e stava pensando troppo ed ascoltando troppa della
musica che Chris gli passava regolarmente, forse... Forse quella
storia a otto mani poteva diventare una storia a dieci?
-
Mi piacerebbe un sacco. - rispose Dom, e la sua incertezza non
andò
persa agli occhi di Chris, che lo sollecitò: -
Però...?
Però
sono uno sfigato che non azzecca mai i tempi e quindi accetta
proposte quando sarebbe il caso di non farlo. Però
apparentemente
Dio esiste e ha un senso dell'umorismo piuttosto malsano.
Però Matt.
-
Avrei un impegno, in teoria. - dovette ammettere Dom.
-
Be', se ce l'hai solo in teoria... - scherzò Chris.
Dom
si sentì incredibilmente stupido, ingrato e sfortunato
mentre
l'altro scrollava le spalle e lo rassicurava: - Tranquillo, non mi
offendo. Sarà per un'altra volta.
Seh,
quando mai.
In
quel periodo fatto di pensare e sentire troppo, Dom si era ritrovato
più volte ad avere delle piccole epifanie, idee che
esplodevano
nella sua mente come bengala nel cuore della notte. Queste
manifestazioni lo incuriosivano sia nel contenuto sia nel loro modo
di proporsi: da qualche parte nel suo cervello qualcosa si accendeva
all'improvviso, mentre stava aspettando l'autobus o era a cena o
mentre rimetteva a posto la propria stanza.
Per
quanto sembrasse strano persino a se stesso, Dom fino ad allora non
sapeva di avere così tante idee per la testa e di quanto
fosse
rapido e spontaneo il processo che le portava a rimescolarsi, a
sfregare l'una contro l'altra fino a produrne una nuova, che suonava
estranea e pura come una rivelazione divina.
Quel
pomeriggio Dom pensò molto a Chris, e pensò molto
anche a Matt.
Fin
dall'inizio, era come se li avesse infilati in due scatole separate
nella sua testa – perché erano così
diversi, così
inconciliabili. Due reagenti da tenere ben lontani fra loro.
L'unico
punto in comune fra loro era Dom, e sentiva che questo alla lunga
poteva diventare un problema – come in quell'istante: doveva
sacrificare uno a favore di un altro, e la cosa non lo faceva sentire
con la coscienza a posto.
A
meno che...
Di
nuovo, una di quelle idee strane e luminose. E potenzialmente
disastrosa.
-
Pronto?
-
Ho trovato qualcosa da fare per questo week-end.
Sapendo
che l'altro avrebbe opposto resistenza, Dom si sforzò di
esporre il
suo progetto con tutto l'entusiasmo possibile...
-
No.
…
ma
il primo tentativo fallì lo stesso.
Senza
perdersi d'animo, Dom esclamò: - Ma dai! Ci divertiremo!
Wow,
detto da me suona così credibile.
Come no.
Infatti,
Matt rispose con tono indignato: - Mi stai davvero
chiedendo
di passare una serata in compagnia della Wolstencoso's Experience,
non posso crederci! Con quel tipo lì, quello secco con la
faccia da
serpente che l'altra volta non faceva che fissarmi e...!
-
Ok, Lyle è un po' una testa di cazzo ma gli altri non sono
male...
Chris è a posto. E poi ci sarei io.
Ci
fu una breve pausa.
A
voce bassa, Matt disse: - Se vuoi andare non è un problema,
possiamo
uscire un'altra volta.
Un
altro silenzio, stavolta più lungo.
Sarebbe
stato bello capire se in quel momento Matt si fosse ritirato dentro
il suo muro, o se ne fosse appena uscito.
-
Matt... Provaci.
Che
cosa ridicola da dire... Eppure, da fuori, era tutto quello che Dom
potesse fare.
-
Ci sto provando.
No,
non credo. O forse sì, chi cavolo sono io per dirlo.
-
Mi dispiace... Divertiti.
Dom
attese dieci minuti esatti, battuti dall'orologio in soggiorno. In
quel lasso di tempo attraversò così tanti e
diversi stati d'animo
da fargli venire il capogiro: senso di colpa per aver forzato Matt
ad uscire dal suo guscio, risentimento perché Matt non aveva
accettato rovinando i suoi piani, senso di colpa per aver provato del
risentimento, avvilimento, senso di impotenza, di nuovo del
risentimento nei confronti suoi, di Matt e Chris e delle relazioni
interpersonali a prescindere.
Dopodiché,
prese di nuovo in mano il telefono.
-
Pronto?
-
Hai cambiato idea?
-
Perché?
-
Perché semmai l'avessi cambiata, ho la sensazione che non me
lo
diresti.
Matt
sbuffò.
-
Senti, io...
-
Non ti succederà niente di male, se vieni.
-
Farei solo da tappezzeria, mentre gli altri farebbero di tutto per
mettermi in imbarazzo, mi chiederebbero come si vive in manicomio e-
-
È come con il compito di francese.
-
Cosa?
-
Per evitare l'eventualità che vada tutto a puttane,
preferisci
essere tu a mandare tutto a puttane.
A
Dom il concetto uscì così com'era nato nella sua
mente, senza
edulcorarlo in alcun modo. Seppe di aver fatto centro quando Matt
ammutolì di colpo, lasciandogli il margine necessario per
continuare
il suo affondo.
-
Ci sono io - ribadì - e Chris è uno in gamba. E
Lyle è un
coglione, ma non può farti nulla una volta che ne sei
consapevole.
Il
silenzio di Matt non suonava così enigmatico, stavolta. Ci
stava
davvero pensando, e se ci stava pensando era perché aveva
già
ceduto.
Dom
lo sapeva istintivamente, ma non volle esagerare.
-
Vuoi pensarci un altro po'?
-
Se non ti dispiace... - mormorò Matt, prima di dire
precipitosamente: - Ti richiamo io.
-
Giuri? - lo punzecchiò Dom, ridacchiando poi nel sentirlo
mugugnare:
- Oh, che palle.
Riattaccato
il telefono, non restava che attendere di nuovo.
Matt
esordì in tono aspro, dando a Dom appena il tempo di dire
“pronto”.
-
Non ho alcuna intenzione di fare il simpatico.
-
Ok.
-
E ti starò sempre appiccicato.
-
L'avevo messo in conto.
-
E se il serpente mi si avvicina gli allungo una pedata sulle palle.
-
No, questo no. Sabato ti comporterai da persona normale.
-
Uff.
-
Andrà tutto bene.
-
Come no... Ciao.
-
Ciao.
Tra
il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Un'infinità
di chilometri da percorrere a nuoto, immerso in un ambiente ostile,
l'ipotermia a rosicchiarti le estremità e la fatica ovvia di
muoverti attraverso una sostanza più densa del solito.
-
Dom!
Per
non parlare dell'ombra degli squali che nuotano sotto il pelo
dell'acqua, e – se già non è successo -
ti fanno definitivamente
pentire di esserti imbarcato nell'impresa.
Chris
alzò la testa dal bagagliaio già stracolmo,
salutandolo, e lo
stomaco di Dom sembrò afflosciarglisi e cadere all'interno
del
ventre come un sacco vuoto.
La
sensazione fisica del non poter più tirarsi indietro.
-
Ciao. - riuscì a strapparsi di bocca Dom, occhieggiando il
resto
della truppa affaccendato attorno alla macchina che li avrebbe
portati a Dawlish – tutti insieme in un'allegra scampagnata
fra
amici.
Intanto,
Chris diede un'occhiata ad un punto dietro le spalle di Dom.
-
Ciao, Matthew.
Riluttante
ed ingobbito, Matt si fece avanti ricambiando il saluto in maniera...
Be', sì, abbastanza decente. Un “ciao”
mormorato ma udibile. Un
po' svogliato, magari, ma comunque un “ciao”.
Dom
si chiese se avrebbe passato tutto il tempo a misurare il grado di
convinzione del tono di Matt o se ci sarebbe stato un momento in cui
avrebbero iniziato entrambi a divertirsi senza imparanoiarsi
più del
necessario.
-
Ehi... Che sorpresa.
Di
certo interagire con Lyle non avrebbe aiutato nessuno dei due a
rilassarsi.
Il
nuovo arrivato squadrò Dom e Matt da cima a fondo, prima di
avvisarli: - Il posto davanti è mio.
-
Meglio, così ci stai lontano. - disse Chris, sorridendo.
Lyle
lo fulminò con lo sguardo.
-
Non mi metterei mai fra te ed i tuoi nuovi amici, Teddy.
-
E noi te ne siamo molto grati.
-
Si parte fra dieci minuti. - annunciò in tutta risposta
Lyle, prima
di defilarsi.
Sembrava
che Chris stesse concentrando tutto il proprio essere nel tentativo
di incenerire l'amico con lo sguardo, o quantomeno di bruciargli un
buco in mezzo alla schiena.
I
presupposti per un'interminabile, imbarazzante gita in macchina
c'erano tutti.
Per
lo meno non fu silenziosa: lo zio di Lyle era tanto gioviale e
chiacchierone quanto suo nipote era freddo e scostante, e prendendo
spunto dal paesaggio circostante raccontò ai ragazzi tutto
sul suo
brillante passato da ciclista quasi-professionista – ogni
collina,
ogni torrente, ogni isolata stradina bianca che conduceva nell'oblio
dell'aperta campagna del Devon aveva un proprio aneddoto ricco di
particolari da essere narrato ed educatamente ignorato da parte del
pubblico che però, dal canto suo, non offriva alternative al
monologo di cui sopra.
Il
velenoso scambio di battute fra Chris e Lyle prima della partenza
doveva essere sintomo di un qualcosa di più serio. C'era una
strana
tensione nell'aria che non poteva solo dipendere dall'ansia del
palcoscenico.
Dom
si chiese se potesse aver a che fare con la presenza sua e di Matt,
per quanto gli sembrasse improbabile: le poche volte in cui si era
trovato in compagnia dei Fixed Penalty non aveva percepito nulla del
genere.
Avrebbe
voluto chiedere spiegazioni a Chris, ma chiaramente non era il caso
di farlo in presenza degli altri.
Si
trattava di aspettare.
Arrivati
a Dawlish, la compagnia aveva un paio d'ore per rilassarsi ed
esplorare la cittadina prima di andare al locale presso il quale i
Fixed Penalty si sarebbero esibiti.
Passaggiando
sul lungomare, Dom bisbigliò a Matt: - Ti dispiace se ti
lascio da
solo per qualche minuto?
-
Certo che sì.
A
giudicare dalla sua espressione, diceva sul serio.
Dom
sospirò.
-
Hai davvero intenzione di starmi incollato al culo per tutto il
tempo?
-
Erano queste le condizioni.
-
Dai, hai visto che non ti mordono!
-
Che devi fare?
Sbirciando
Chris, appoggiato al parapetto che delimitava il lungomare con i
compagni di poco distanti da lui, Dom rispose: - Devo parlarci.
-
Di cosa?
-
Non sono affar- ahi! Ma sei scemo? Mi hai fatto male!
-
Visto che mi hai trascinato qui quando sarei potuto rimanere
tranquillamente a casa...
-
A fare cosa, a pulire la cassettina della cacca di Miele? E poi mi
hai chiesto tu di uscire questo week-end!
-
La compagnia di Miele è molto più piacevole e
stimolante di quella
dei Fixed Musi Lunghi, questo è poco ma sicuro.
-
Senti... - iniziò Dom, prima di interrompersi per abbassare
la voce.
-
… voglio sapere perché sono tutti così
strani.
-
Anch'io, cosa credi?
-
Ma davanti a te magari non si sbottona, che ne sai?
-
Perché non dovrei?
Mentre
discutevano, Chris era arrivato alle spalle di Matt e Dom senza che
se ne accorgessero.
Dom
avvampò.
-
Noi... Noi stavamo...
-
Vi stavate chiedendo cosa diavolo ci è preso.
-
Già. - disse Matt, mentre Dom si limitò ad
annuire.
Chris
si mordicchiò l'interno di una guancia, pensieroso.
Indicò
un locale dall'altra parte della strada che vendeva fish and chips.
-
Mangiamo qualcosa in spiaggia?
-
Abbiamo un paio di canzoni da suonare, stasera... Canzoni originali.
-
Fantastico! - esclamò Dom.
Si
voltò verso Chris, e notando la sua espressione si corresse:
- Ok,
non è fantastico.
-
Una settimana fa lui arriva e ci dice “ho composto queste
cose e
bla bla il grande passo Dawlish sarà il nostro vero debutto
bla bla
bla”. Non ci aveva mai neanche accennato al fatto che stava
scrivendo delle canzoni, e poi di punto in bianco arriva con tutte le
parti pronte o quasi. Ci sono delle modifiche da fare, e dice di
volerci pensare un po' ma che per il concerto di oggi possono andare.
Chris
scosse il capo con aria disgustata.
-
Come se noi non contassimo un cazzo, capisci? Ha scritto della musica
che noi dovremo suonare e... E basta! Ci sono cose da modificare, ma
quello verrà in seguito quando... Quando gli
cadrà l'ispirazione
tra capo e collo... A lui. La batteria ha qualcosa
che non lo
convince, ma mica mi ha chiesto nulla. Io devo solo suonare ed
aspettare poi ulteriori istruzioni su come eseguire il suo
capolavoro, l'opera che ci porterà al successo non appena
grazierà
le orecchie dei comuni mortali che l'ascolteranno stasera!
Chiuse
gli occhi, e si riavviò i capelli svolazzanti nella brezza
marina.
-
Siamo manodopera - mormorò in tono amaro. - Potremmo
mollarlo adesso
e lui semplicemente si troverebbe qualcun altro da comandare a
bacchetta. Non me ne frega niente di diventare famoso in questo modo.
Voglio diventare un musicista, cazzo.
-
Gli altri che ne pensano? - mormorò Dom.
-
Cosa vuoi che ne pensino... Si fidano. Vogliono dei risultati e prima
arrivano meglio è. Lyle ti dà l'impressione di
sapere come
ottenerli. È
proprio un
ottimo frontman. - ridacchiò Chris.
Alzò
le spalle. - Sapevo che sarebbe andata a finire così, io e
lui non
ci siamo mai sopportati più di tanto. Mi spiace per Dan e
Simon, con
loro suono bene e mi diverto.
-
Quindi vuoi lasciare il gruppo?
Chris
non rispose.
Tutti
e tre fissarono il mare di fronte a loro, ascoltando il suono ritmico
che produceva nell'infrangersi dolcemente sul bagnasciuga.
Il
locale era piuttosto grande e odorava di fumo e cera d'api. In una
piccola rientranza, ai piedi di una parete fatta di sassi a vista,
c'era un palco in legno scuro e massiccio.
A
Dom ricordò vagamente l'atmosfera del Cavern, quell'unica
volta in
cui c'era stato. A differenza del Cavern, però, il posto
brulicava
di persone indaffarate a preparare e testare varie strumentazioni,
ed in seguito di gente che, uscita dal luogo di lavoro, si era
fiondata al pub per concedersi un paio di drink.
O
forse più di un paio, come quella tipa che aveva attaccato
bottone
con Dom prima di riscuotersi nel bel mezzo della conversazione
urlando “cazzo, ma sei minorenne” e scappare via
incespicando in
direzione delle toilettes.
Meglio,
in un certo senso, visto che Dom stava implodendo pian piano sotto il
peso della propria incapacità di reggere le avances di una
ragazza
attraente. Per non parlare del fatto che neanche in quell'occasione
Matt era stato capace di levarsi dalle palle.
-
Smettila. - sibilò Dom.
Accanto
a lui, Matt si stava sbellicando dalle risate.
-
Non... Non ce la faccio... Oddio, sto male... - ansimò,
crollando
contro il muro e ridendo ancora più forte.
-
Poteva andar peggio, dai... Poteva arrivare qualche robusto pescatore
e scambiarti per una gentil donzella. - lo punzecchiò poi
Matt,
tirandogli una ciocca di capelli biondi che ormai gli arrivavano
all'altezza delle clavicole.
Dom
lo spinse via, borbottando: - E ti lamentavi di essere venuto... Mi
pare che tu ti stia divertendo parecchio.
-
Non c'è male – ghignò Matt. -
Dov'è Chris?
-
Cosa c'è, adesso ti sta simpatico?
-
Umana comprensione per la sua tragedia personale, nulla di che.
Dom
lo guardò.
-
Scommetto che saresti come Lyle.
-
Eh?
-
Dal modo in cui ti sei comportato con me, dico.
-
Dom, ti ho già chiesto scusa per quello che è
successo.
Matt
tornò del tutto serio.
-
Credi davvero che io sia tanto infame?
-
Credo che tu voglia fare tutto di testa tua.
-
So quello che voglio, tutto qui.
-
Quello che vuoi tu... E quello che vogliono gli altri?
-
Cosa diavolo... Hai voglia di litigare?
Dom
incrociò le braccia, guardando dritto di fronte a
sé. Con la coda
dell'occhio percepiva la presenza dell'altro, immobile, accanto a
lui.
-
Io... - mormorò Matt. - Io ho fatto quello che volevi tu,
oggi. Ti
ho seguito qui anche se-
-
Do ut des.
-
Perché parli in gallese, adesso?
-
È
latino. Significa che mi
hai dato qualcosa in cambio di qualcos'altro.
Matt
tacque per un istante, prima di affermare: - Non ti confondere,
Dom... Quello che ha organizzato tutto in modo tale da avere la botte
piena e la moglie ubriaca sei tu.
Prima
che Dom potesse replicare all'accusa, Matt se n'era già
andato via.
Privo
della compagnia dei Fixed Penalty, impegnati a rifinire gli ultimi
dettagli prima del concerto e a
battibeccare fra loro – ulteriore motivo per starne alla
larga –
e senza di Matt che chissà dove diavolo s'era cacciato, Dom
uscì
dal locale.
Si
sentiva soffocare, e non solo per via della folla.
A
volte credeva di esserci riuscito, a far del tutto pace con Matt, ed
in effetti... No, non ce l'aveva con lui.
Se
solo non gli avesse dato così irrazionalmente sui nervi. Non
poteva
semplicemente piacergli, come Chris? Invece Matt gli piaceva e gli
dava un fastidio della malora allo stesso tempo. Un fastidio che non
bastava a troncare la loro quasi-forse-neonata-amicizia, ma era
più
che sufficiente a... Farsi del male a vicenda?
Matt
non era cattivo, ed era considerevolmente meno pazzo di quanto tutti
credevano... Ma questo non era un motivo sufficiente per abbassare la
guardia. Non con lui.
Però
da qui a ferirlo deliberatamente... No, che cazzo, no.
Cristo,
perché la gente – se stesso compreso –
era così difficile da
capire?
Forse
venire a Dawlish era stata una cattiva idea, e convincere Matt a
venire una pessima idea.
Forse
voleva davvero tutto, e senza conseguenze... Rimanendo con un bel
pugno di mosche in mano.
Forse
anche lui somigliava un po' a Lyle.
Dopo
una cena a base di robusto cibo da pub inglese, sparute chiacchiere
imbarazzate ed occhi bassi sui piatti, arrivò finalmente il
gran
momento.
Il
locale era ancora strapieno di gente vociante e non particolarmente
interessata ai ragazzi che stavano prendendo posizione sul palco.
Nonostante
tutto ciò di cui era al corrente, a Dom sarebbe piaciuto che
i Fixed
Penalty fossero stati in grado di catturare l'attenzione del
pubblico.
Chris
compitava le sue parti con diligente distacco – il suo viso
era
impietrito in un cipiglio funereo.
Quello
sarebbe stato il suo ultimo concerto con la band, realizzò
Dom. Non
poteva che essere così.
Ripensando
alla prima volta in cui li aveva incontrati, a quella in cui li aveva
visti suonare, al retrogusto amaro dell'invidia che gli era rimasto
in fondo alla bocca di fronte allo spettacolo di un'intesa
così
naturale, così impeccabile, così incorruttibile
Dom sperò davvero
che si potesse recuperare qualcosa. Per Chris, per gli altri tre, per
se stesso.
Possibile
che qualcosa di così bello fosse anche tanto facile da
distruggere?
Qual era il punto? Era stata solo una magnifica illusione?
O
magari bisognava solo lavorarci di più, e avere voglia di
lavorarci
insieme.
Dom
si voltò a guardare Matt, intento ad incassare le frequenti
gomitate
d'intesa e gli infiniti commenti sulla performance dello zio di Lyle.
I
loro sguardi si incontrarono, e quello di Matt significava
chiaramente “se mi vuoi un minimo di bene, abbattimi
adesso”. Dom
non riuscì a trattenere una risata, e l'altro
tornò a concentrarsi
sull'esibizione con un sorrisetto malamente contenuto.
Appena
sceso dal palco, Lyle si ritrovò incastrato nell'abbraccio
da orso
di suo zio.
-
Fenomenale. Fenomenale, davvero. Appena torniamo a casa lo dobbiamo
raccontare ai tuoi, se fossero stati qui stasera avrebbero finalmente
capito...
-
Grazie, Kief. - il nipote si districò con disinvoltura dalla
stretta
affettuosa, riavviandosi i capelli sudati sulla fronte.
Matt
diede un pizzicotto sul braccio a Dom, sussurrando: - Sbaglio o
quella che vedo è un'emozione genuina...?
Lyle
lo notò, fissandolo con aria che sarebbe risultata molto
più
minacciosa se contemporaneamente un tenue rossore non si fosse
diffuso sui suoi zigomi.
-
Dobbiamo festeggiare! - Simon sbucò da dietro le spalle del
suo
frontman, somigliando per la prima volta dall'inizio della giornata
al Simon che Dom conosceva.
-
… magari in riva al mare?
Non
c'era niente con il quale accendere un falò, e l'unico
adulto
presente nella compagnia non si sarebbe mai assunto la
responsabilità
di far giocare sei adolescenti con il fuoco: non avendo neanche un
pallone per improvvisare una partita di calcio, decisero di
rispolverare i giochi più sciocchi della loro infanzia.
Comunque,
anche un due tre stella non era un gioco per i deboli di cuore.
-
Stella! - urlò Simon, placcando Dom e mandandolo a faccia in
giù
nella sabbia.
Sputacchiando
granelli, Dom urlò: - Per quale cavolo di motivo l'avresti
fatto??
-
Per temprarti il fisico e lo spirito, ovviamente... Mi ringrazierai,
un giorno.
Entrambi
i giocatori andarono poi a sedersi accanto ai due eliminati, Matt e
Daniel.
-
Ti sei battuto come un vero uomo, Howard. - disse il primo, e Dom
rise sarcastico.
Simon
si sdraiò, aprendo e chiudendo le gambe.
-
Mi sento strafatto.
-
Per una volta che non lo sei. - lo prese in giro Daniel.
-
Se tutte le sere fossero così altro che canne, davvero.
Come
preso da un pensiero improvviso, drizzò la schiena di scatto
guardandosi attorno.
-
Rilassati... Kief non è ancora tornato.
-
Lo so, ma metti che era qui nei paraggi.
Sospirando,
si rimise giù sulla sabbia.
-
Vi siete rotti le palle, voi due? Intendo dire, oggi.
-
Be', insomma, voi eravate un po' su di giri per il concerto e-
-
Dom, non credo di aver mai sentito parlare il tuo amico.
Simon
rotolò su un fianco, piantando un gomito a terra e poggiando
la
guancia sulla mano.
-
Ti sei annoiato, oggi? Voglio dire, non ci conosci nemmeno e ci siamo
comportati da stronzi lunatici...
Sotto
gli sguardi di tutti, Matt si abbracciò le ginocchia e
borbottò: -
No. Cioè, sono stato bene.
-
Quindi ti piacciamo?
Daniel
si allungò fino a dare un calcetto all'amico.
-
Simon trova molto divertente mettere a disagio le persone, perdonalo.
-
Ok, ok... Fingiamo che lui non esista ed evitiamo di includerlo nelle
nostre conversazioni, allora.
-
Non mi sento a disagio - affermò Matt, cercando brevemente
lo
sguardo di Dom.
-
Raccontaci qualcosa, allora...
Simon
gli sorrise, distendendosi a pancia in giù.
-
Tipo, mi sono sempre chiesto com'è che si sta in un ospedale
psichiatrico.
Dom
si sentì gelare, ricordando le obiezioni che Matt aveva
opposto
prima di accettare di venire con loro.
Tutto
ciò che poteva fare, adesso, era stare a guardare.
Matt
abbassò gli occhi e restò in silenzio per qualche
interminabile
istante.
-
Lo sapevo. - bisbigliò, alzandosi e dirigendosi verso il
bagnasciuga.
Nel
conseguente silenzio generale, Simon si girò verso Daniel e
Dom.
-
… cazzo, ragazzi, giuro che non volevo spingerlo al suicidio.
Senza
perdere altro tempo, Dom schizzò in piedi e raggiunse Matt.
La
schiuma delle onde gli lambiva la punta delle scarpe, ma era come se
lui non se ne accorgesse.
Sembrava
completamene immerso nei propri pensieri.
-
Matt... - lo chiamò Dom.
Si
infilò entrambe le mani nei capelli, sopraffatto dal senso
di colpa.
-
Mi spiace... È
stata una
pessima idea, lo so, ma tutto quello che volevo era... Non credevo
che fosse così difficile, io...
-
Non era un ospedale psichiatrico.
La
voce di Matt era sottile come la brezza notturna.
-
Non puoi andare al manicomio se non sei pazzo. Secondo lo psicologo
che mi ha visitato ero solo molto stressato per via del divorzio dei
miei, ed essere un adolescente ha solo peggiorato la situazione...
Gli ormoni, no?
-
Sono stato da alcuni parenti, in attesa che Teignmouth si
dimenticasse di me... Il che chiaramente non è successo,
ma...
Matt
sorrise debolmente.
-
… la tua mica era una pessima idea, era solo... Normale,
credo. Hai
un paio di amici, con almeno un interesse in comune, perché
dovrebbe essere una pessima idea uscire tutti assieme? Casomai l'idea
pessima l'ho avuta io, accettando la tua proposta. Ma è
stato bello
che tu abbia pensato a me.
Dom restò senza parole, all'inizio.
Dopo un po', a fatica, mormorò: - L'ho fatto
perché...
Perché siamo amici.
-
Ok.
-
Siamo amici - ripetè Dom.
-
È
quello che ho detto
anch'io, mi pare...? - argomentò l'altro, con aria perplessa.
-
Ma io non te l'ho mai detto prima.
Matt
annuì, muovendo un piede e scavando una buca nella sabbia
bagnata.
Si
voltò a guardare il resto della compagnia dietro di
sé.
-
Faccia di Serpente e Chris sono tornati - annunciò.
-
… e a giudicare dalle loro facce non hanno discusso di
qualcosa di
piacevole.
Il
Big Rip è un'ipotesi cosmologica sulla fine
dell'Universo, oltre a significare letteralmente "grande
strappo".
I pianeti devono essersi allineati in qualche modo bizzarro,
lo sento... Oppure sono gli asteroidi fra Marte e Giove. Si
sono ricombinati in modo tale da formare la scritta FINISCI EXOGENESIS
ENTRO IL 2014 RAZZA DI IMBECILLE. Grazie, asteroidi! :D
♥
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