Exogenesis

di Stregatta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fisica delle particelle - prima parte ***
Capitolo 3: *** Fisica delle particelle - seconda parte ***
Capitolo 4: *** Antiatomo ***
Capitolo 5: *** Pressione critica ***
Capitolo 6: *** Principio di inerzia ***
Capitolo 7: *** Pulsar ***
Capitolo 8: *** Apice solare ***
Capitolo 9: *** Punto di ebollizione ***
Capitolo 10: *** Innalzamento ebullioscopico ***
Capitolo 11: *** Energia del vuoto ***
Capitolo 12: *** Big Rip ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Exogenesis

Prologo

Era tornato.
A scuola, dietro gli sportelli degli armadietti, durante l’intervallo e persino nelle ore di lezione, l’argomento sulla bocca di tutti era solo uno.
Era tornato.


In verità suscitare scandalo e portare scompiglio al liceo statale di Teignmouth non era davvero così difficile: in una cittadina di circa quindicimila anime anche il minimo evento fuori dall’ordinario godeva di un’eccezionale risonanza.
Era qualcosa del quale Dominic Howard non avrebbe mai smesso di stupirsi.

Aprendo il proprio armadietto ed estraendone il libro di algebra, il ragazzo cercò di ignorare le querule voci di due ragazze che ridacchiavano e ciarlavano alle sue spalle.
- Così è tornato!-
- Già, già.-
- Certo che ha del fegato a ripresentarsi qui… A me non sembra neanche guarito, a giudicare dalla faccia!-
Altri fastidiosi risolini, poi le due ragazze si allontanarono dai loro armadietti in prossimità di quello di Dominic, che lo richiuse con energia.
Diamine, quella storia lo infastidiva da morire.
Ok, Matthew Bellamy era tornato a scuola… E allora?
Evidentemente era riuscito a superare i suoi problemi, quelli che lo avevano ridotto al rango di barzelletta dell’intera collettività locale.
La campanella suonò in quell’istante, seguita da un languido e labile coro di gemiti di disappunto da parte degli studenti.
Un’altra allegra mattinata scolastica, insomma.
Nessuna novità avrebbe potuto cancellare la routine grigia della popolazione adolescenziale di Teignmouth.


All’ora di uscita Dominic raccattò in tutta fretta le proprie cose, senza salutare nessuno e avviandosi a passo celere verso la porta dell’aula per guadagnare finalmente un soffio d’aria non viziata dai respiri di altri venti ragazzi… Certo, se alcuni di loro avessero avuto più familiarità col sapone sarebbe stato già un passo avanti nel rendere accettabile quella quotidiana convivenza forzata.
Si sforzò di ignorare la baraonda di ragazzi urlanti che lo circondavano.
Gli arrivò uno spintone, che lo gettò a terra e gli strappò un grido soffocato.
- Cazzo… Scusa! – esclamò una voce alle sue spalle, prima che il proprietario schizzasse via come una scheggia verso l’uscita, senza neanche voltarsi indietro a controllare i danni provocati dalla propria goffaggine.
Spolverandosi con aria torva i pantaloni sulle ginocchia, Dominic sibilò fra sé: - Idiota.-
Attese che la folla si diradasse lasciando spazio allo sparuto corteo dei ritardatari, al quale si unì caracollando pigramente.
Un giorno assolutamente, uniformemente, inevitabilmente normale.
Quando passò di fronte alla variopinta bacheca degli annunci appesa vicino all’uscita, Dominic le gettò uno sguardo distratto.
Uno sgargiante manifesto attirò la sua attenzione – poche parole stampate alla bell’e meglio su sfondo color giallo fluorescente, una parte di esso era occupata da un casellario per le firme.
Per la prima volta in quella giornata – anzi, in quella lunga sequenza di giornate trascinatesi da settembre fino a quel giorno di novembre – Dominic Howard sorrise, spinto da un sentimento di vaga aspettativa.


Casa Howard era l’ultima del quartiere.
In generale a Dominic questo non pesava molto: provava un curioso piacere nel passare di fronte alle case dei vicini, addobbate di panni distesi ad asciugare, di giocattoli, statue e vasi vuoti sparsi in giardino ed esposti ad ogni genere di intemperie.
Spesso però tale “giardino” era solo un fazzoletto d’erba spelacchiato abbandonato di fronte alla soglia di casa e decorato solo di tarassachi e pratoline: nulla di studiato, nulla di curato.
Non era un quartiere popolato di nababbi, quello, e la gente preferiva spendere soldi per generi di prima necessità e non scialacquarli in sciccherie superflue.
La famiglia di Dominic non faceva eccezione, ovviamente.
Il ragazzo ogni tanto si chiedeva se non valesse la pena di spendere qualche penny per acquistare qualcosa in grado di scacciare via lo squallore che regnava fuori e dentro le quattro mura che l’avevano visto crescere fino ad allora.
Anche se una ventata di colore all’esterno avrebbe costituito solo una bugia di cattivo gusto, un’illusione che non sarebbe servita a nessuno.
Il cancelletto rotto cigolò, salutando per primo il ritorno di Dominic a casa.
Calpestando i pochi fili d’erba del vialetto per evitare di imbrattarsi le scarpe del fango dal quale erano circondati, Dominic alzò lo sguardo verso la casa dei vicini.
- Taglialo dritto, scema!-
- Tu sei scema!-
- No, tu!-
Le gemelline Bradford, sedute in veranda, stavano litigando come al solito: da sopra la staccionata Dom riuscì ad intravedere che entrambe avevano in mano delle forbici ed un foglio di carta ripiegato più volte.
In quel momento la signora Bradford si affacciò dalla porta, minacciando le figlie con un lungo cucchiaio di legno: - Finitela di litigare, voi due!-
Angelica Bradford batté i piedi a terra, indicando la sorella: - Ha cominciato lei!-
Dominic scosse il capo, prevedendo ciò che accadde subito dopo: Samantha Bradford spalancò gli occhi verdi quanto quelli della sorella, assumendo l’aria innocente che sfoggiava solo in determinate occasioni, e replicò precipitosamente: - Mamma, tu
non puoi davvero credere che abbia cominciato io!-
E perché no? Sei sempre tu quella che inizia. Mocciosa infida.
La madre trascinò in veranda il suo personale
voluminoso rivestito di uno sgargiante camicione a fiori che le arrivava fino ai piedi, sempre con quel cucchiaione pendolante fra le mani.
Ponendosi le mani sui fianchi, dedicò un’occhiataccia ad entrambe le bambine, borbottando: - Vorrei proprio sapere perché non vi riesce di comportarvi da brave sorelle, tutte e due.-
Angelica e Samantha chinarono i capi umilmente di fronte alla reprimenda della signora Bradford, ma non smisero di fissarsi di sottecchi con aperta ostilità.
Dominic sospirò, decidendo all’improvviso di averne abbastanza di quello spettacolo, e salì gli scalini che portavano dal piccolo portico di casa sua alla soglia.
La porta era solo accostata, e la voce di sua madre lo raggiunse immediatamente.
- Be’, ammetto che è stata una sorpresa un po’ per tutti!-
Una donna dal tono di voce fin troppo sommesso mormorò qualcosa, e la signora Howard rise di cuore: - Cara Marilyn, tutti hanno dei grattacapi in famiglia! –
Indubbiamente, mammina
aggiunse mentalmente Dom in tono ironico, cercando allo stesso tempo di associare il nome dell’ospite ad un volto.
Marilyn, Marilyn…?
Cercò di sgattaiolare su per le scale, nel tentativo di rifugiarsi in camera sua senza essere visto, ma purtroppo per lui era impossibile raggiungere la meta stabilita senza passare di fronte alla porta aperta del soggiorno.
- Dommy ! Non vieni a salutarmi?-
Sospirando quietamente, Dominic accostò appena le labbra alla guancia della madre nel solito bacino d’ordinanza.
La donna seduta in poltrona di fronte alla signora Howard sorrise debolmente nell’osservare il gesto del ragazzo, che finalmente la riconobbe.
Marilyn Bellamy, perché non ci aveva pensato subito?
La famigerata dama di carità Diane Howard che prendeva un tè con la madre dello scemo del villaggio.
Quel cliché.
- Dominic… Cielo, come sei cresciuto in questi mesi!-
- Non tanto, a dire il vero… Ma i maschi non dovrebbero crescere tutti d’un botto?-
Diane allungò un braccio per acciambellarlo attorno alla vita del figlio, guardandolo dal basso verso l’alto: - Quando diventerai alto come tuo padre, eh, Dommy?-
La delicatezza che Dominic pose nello sganciarsi dall’abbraccio della madre era un riguardo più nei confronti della signora Bellamy che quelli della sua stessa genitrice.
- Diane, in fondo c’è ancora tempo… E comunque è già un gran bel giovanotto.- argomentò cortesemente Marilyn, prendendo un sorso di tè dalla tazza che stringeva fra le mani.
Era come se stesse tentando di prendere le distanze dall’ostilità repressa fra madre e figlio, ma allo stesso tempo a Dominic il suo sguardo sembrò quasi… Comprensivo.
Il ragazzo si sentì un po’ infastidito, ma apprezzò comunque quel tacito sostegno: ogni alleanza era ben accetta, in tempo di necessità.
- Vado in camera mia.- annunciò finalmente Dominic, e mentre usciva Diane commentò tranquillamente: - Certo, tesoro.-
Dominic divorò i gradini due alla volta, sbattendo la porta con noncuranza dietro di sé nell’entrare.
Si gettò sul letto, non prima di aver notato che fosse stato rifatto con la cura meticolosa che è proprietà universale di ogni madre – le aveva detto di non entrare in camera sua. Glielo ricordava ogni volta e lei puntualmente lo ignorava.
Si rifiutò di prendersela per questo, allungandosi a mo’ di gatto sulla superficie del proprio materasso.
Sospirò, soddisfatto. Infilò una mano in una tasca dei suoi ampi jeans sdruciti, riscaldando le punte delle dita infreddolite. Sospirò ancora, stavolta con un sorriso leggero sulle labbra.
Da un angolo della minuscola camera, poco felicemente incassata all’incrocio fra due pareti, la sua batteria esponeva le proprie cromature alla fioca luce che penetrava dalla finestra a ghigliottina.
Un gregge di nuvole color grigio perla galleggiava nel cielo, soffocando il sole basso nella loro lanugine.
Entro l’ora di cena avrebbe piovuto, constatò Dominic, sfilando le mani dalle accoglienti aperture nelle quali avevano appena cominciato ad intiepidirsi.
Chiuse gli occhi, rivedendo contro lo sfondo scuro delle palpebre abbassate il nero sbiadito dei caratteri impressi sul manifesto letto a scuola – ormai conosceva a menadito il contenuto dell’annuncio.
Il complesso jazz della scuola cercava un nuovo batterista.
Il precedente, un ragazzo del secondo anno, si era rotto un braccio giocando a basket ed ovviamente si era visto costretto a dare forfait; quando l’aveva saputo, Dominic non aveva potuto fare a meno di sperare che il complesso organizzasse delle audizioni per individuare un sostituto.
Una volta tanto, sognare quel poco che si era concesso in quelle circostanze non gli si era ritorto contro.
Un brivido di eccitazione gli riverberò nel ventre, piacevole e caldo.
Tirandosi su a sedere sul ciglio del materasso, Dominic si rivolse direttamente alla batteria poco lontana: - Vogliamo riprovarci, piccola?-
I cimbali e le altre parti lucide non brillavano più; il sole era tramontato dietro le colline.
Stando in silenzio, la risacca fomentata dal vento teso era perfettamente udibile nel suo monotono andirivieni anche da lì.
Una macchina dalla marmitta evidentemente esausta passò borbottante giù in strada, un motorino ronzò acuto subito dopo di lei.
Dominic si alzò in piedi, quando la quiete di quel pomeriggio novembrino si ripresentò con il suo familiare canto d’acqua sciabordante.
Certe volte si chiedeva se quel suono non facesse il lavaggio del cervello a tutti, se anche solo quello strascicato fruscio avesse il potere di erodere le menti degli abitanti come faceva con i sassi e le conchiglie.
Quanti desideri si era ripreso il mare di Teignmouth? Quante vite aveva modellato e consunto?


Le bacchette erano sulle scrivania, pronte all’uso.
Anche loro portavano segni di un lavorio violento ed implacabile lungo il loro stelo.
Il legno sembrava essere venuto via a morsi, strappato furiosamente da mani che pure le amavano come ogni musicista ama il proprio strumento.
Dominic le afferrò, accendendo poi la luce e mormorando fra i denti: - Facciamo casino.-


Quando smise di suonare, pioveva.
Quella era acqua diversa, non frusciava e non mangiucchiava nulla. Aveva un ritmo serrato, galoppante. Se avesse deciso di divorarti, lo avrebbe fatto in fretta come se avesse avuto qualcuno alle calcagna.
A proposito di “divorare” … Cazzo, che fame!


Il piatto fumava già di zuppa bollente, quando Dominic prese posto a tavola.
Il lampadario della sala proiettava un alone giallastro lungo le pareti, e si rifletteva anche sulla tovaglia bianca e sul volto tondo e gaio di sua madre, colorando le sue guance di una strana sfumatura paglierina.
Diane affondò il cucchiaio nella propria scodella, tirandone su una discreta dose di brodo.
- Mhmmm…- mugolò, evidentemente apprezzando la propria opera.
Il figlio non diede mostra di notare la sua reazione, tenendo gli occhi bassi sul piatto.
- Che ne pensi, Dommy? Io trovo che sia squisita!-
In effetti la zuppa non era niente male, forse non abbastanza densa ma comunque buona; Dominic annuì silenziosamente, continuando come sempre a mangiare e ad ascoltare ciò che sua madre stava allegramente cinguettando.
- Sai cosa ci ho aggiunto? Un po’ di cumino. Ricordi che l’avevo comprato per quelle frittelle, tempo fa? Ecco, a quanto pare sta bene anche nella zuppa.-
Dominic assentì senza parlare, versandosi dell’acqua dalla brocca di coccio sul tavolo.
- Di solito non sono una che sperimenta, lo sai bene … Però, sai, ogni tanto ho anche voglia di variare un po’, di cambiare sapori! Devo chiedere a Marilyn qualche altro consiglio … Che donna in gamba! Peccato per quello che le è successo … Lei e suo marito hanno divorziato due anni fa, vive con sua madre, il suo figlio maggiore è terribilmente ribelle e il più piccolo… Be’, insomma…-
Solito cenno del capo, solito tacito disinteresse da parte del ragazzo.
- Se non sbaglio il più piccolo ha la tua età … O un anno in meno? Mhm, mi sa un anno in meno, sì… Va alla tua stessa scuola. Il più grande, Paul, ha diciannove anni. Vuole trasferirsi a Londra, la prossima estate. -
- Beato lui.-
- Come, tesoro?-
- Nulla… Parlavo del cumino.-
- Mhm, già. Comunque, Marilyn Bellamy è davvero, davvero in gamba... -
- Ok, sono sazio.- la interruppe Dominic, iniziando ad alzarsi da tavola.
Le concesse un sorriso tirato per tranquillizzarla, quando Diane osservò confusa: - Ma… Ne hai lasciata metà nel piatto.-
- Be’… Vorrei tenerne un po’ per domani a cena. Sai, è così…
Squisita.- spiegò il ragazzo, continuando a sorridere in quella strana maniera poco sincera.
Un’ombra di disappunto oscurò gli occhi grandi e rotondi di sua madre, prima che tornassero chiari, allegri ed incredibilmente ottusi: - Te la metto in frigo, allora!-
- Sì, sì… Vado di sopra.- la informò piatto Dominic, prima di lasciare rapidamente la sala.


Le cene con sua madre si stavano facendo sempre più brevi, rifletté Dominic con i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra della sua stanza.
Diane aveva rinunciato ad ogni tentativo di tenerlo seduto al suo posto oltre il minimo indispensabile… Alla buon’ora.
Il respiro del ragazzo si condensò sul vetro freddo, e Dominic cancellò l’alone opaco con il palmo della mano.
La maglie delle nuvole si stavano gradualmente allentando, e una stella splendeva solitaria su di un fazzoletto di cielo nero.
In quel momento, i lampioni illuminarono una figurina ammantata da un k-way arancione che avanzava trotterellando sul marciapiede.
Incuriosito, Dominic avvicinò il viso alla finestra fino a schiacciarci il naso contro.
Chi diavolo poteva aver deciso di uscire con un tempo del genere?
L’individuo era incappucciato in modo tale che solo parte del naso e degli occhi era esposta alla vista; il resto del viso e del corpo era intrappolato sotto quell’orrida cappa color mandarino.
Quando lo sconosciuto si fermò, Dominic pensò che evidentemente un minimo di buonsenso potesse essergli finalmente filtrato in testa.
Si aspettò di vederlo girare i tacchi per tornarsene a casa… Ed effettivamente andò proprio così.
Solo che, prima di farlo, il tipo sollevò lo sguardo proprio in direzione di casa sua, fissando la sua finestra che dalla strada appariva certamente buia – non aveva acceso la luce, preferendo restare per un po’ al chiarore dei lampioni, in silenziosa contemplazione del panorama che gli offriva il quartiere.
Nonostante ciò, non riuscì a reprimere la strana sensazione che in realtà fosse fin troppo esposto, allo sguardo indistinguibile del tizio.
Quando questi se ne andò, gli venne improvvisamente voglia di accendere la luce e di mettere su della musica.


*fissa la pagina con aria meditabonda*

Me ne pentirò, lo so perfettamente.

Questa storia è seppellita nella cartella delle Fiction Incomplete sul mio computer ed in un angolo remoto del mio cervello da quasi due anni (e si vede - c'è ancora molto baroccume, qua e là XD). Ogni tanto la apro, me la coccolo un po' e poi la rimetto dove stava senza più toccarla – il che dipende dal fatto che, notoriamente, mi pesano le chiappe di fare praticamente qualsiasi cosa ma! voglio che le cose cambino, quindi eccola sulle pagine di EFP come incentivo a darmi una mossa ed a lavorarci seriamente, visto che è effettivamente qualcosa in cui credo ancora e che voglio portare avanti (… suono così pretenziosa che mi do fastidio da sola).

Comunque, come da presentazione, è una sorta di What If? ed i personaggi sono per certi versi OOC (oh, e ovviamente è tutto falso, tutto gratis, tutto all'insaputa dei protagonisti - disclaimer, deve esserci un motivo profondo se mi scordo sempre di inserirti). Insomma, il genere di cose nelle quali non amo cimentarmi, ma per qualche strano motivo nella mia testa funziona. XD

Se vorrete farmi conoscere la vostra opinione al riguardo, grazie mille in anticipo. Cheers! :D


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Capitolo 2
*** Fisica delle particelle - prima parte ***


Fisica delle particelle

(prima parte)


Al di là del “panorama mozzafiato”, degli “ampi spazi che deliziano l’occhio” e degli altri luoghi che ispirarono a John Keats la stesura di una parte del suo Endymion descritti sugli opuscoli disponibili in ogni negozietto di souvenir, c’era una verità sotterranea ma innegabile che rimaneva proprietà esclusiva della fauna adolescenziale di Teignmouth e che ovviamente non giungeva all’orecchio dei forestieri.
La verità che risiedeva nelle tre “S” della gaia Tin-muffa: Sbronzarsi, Sballare, Suonare.
Nei mesi estivi e nei week-end settembrini, tempo permettendo, chi poteva cercava di abbronzarsi sulla breve striscia di spiaggia cittadina; oppure, inforcava il motorino o si incamminava gambe in spalla e zaino sulla schiena dirigendosi verso le colline fra le quali la città era “sapientemente incastonata”, per dirla in termini da guida turistica, piantando le tende sul cocuzzolo della più alta.
Arrivati fin lì, non c’era molto da scegliere.
C’era chi si sfondava di birra e sidro, chi metteva mano a qualche bustina contenente dei funghetti che di certo non erano buoni per il risotto.
C’era chi imbracciava la chitarra e suonava attorno al falò che scoppiettava nel focolare di pietre grezze. C’erano le ragazze che si lasciavano cullare dalla melodia, gli occhi lucidi e le guance arrossate dal calore del fuoco.
C’erano le ragazze che, grazie a Dio, dopo tanto strimpellare si facevano anche scopare – la quarta “S” che per molti restava solo una fantasmagorica visione.
Poi l’autunno si riprendeva il pur sempre timido e spesso fugace sole estivo, e le fughe in collina con annessi e connessi venivano archiviate almeno fino a giugno.
Nel frattempo, c’era la scuola.

Dominic Howard era uno studente piuttosto diligente; meticoloso, determinato, poco incline a distrazioni varie ed eventuali… Tipo una vita sociale degna di questo appellativo.
Il suo primo approccio con la città era avvenuto all’età di otto anni, quando la sua famiglia si era trasferita lì arrivando da Stockport – un altro buco di cittadina che probabilmente avrebbe odiato come Teignmouth, se vi avesse trascorso l’adolescenza.
In realtà all’inizio era stato bello. Era tutto verde e bianco e azzurro, c’erano le barche e c’era il Den, quell’enorme spiazzo d’erba da percorrere da cima a fondo con un pallone ai piedi, all’impazzata.
Poi erano trascorsi gli anni e palloni, prati e barche avevano perso tutto il loro fascino.
In compenso, era arrivata la musica.
Il liceo di Teignmouth era caratterizzato non solo da una mandria di studenti troppo svogliati per indulgere in comportamenti scorretti diversi dal bigiare di tanto in tanto e da un’equipe di insegnanti vagamente demotivati seppur competenti, ma anche da un discreto complesso autodefinitosi “jazz”.
I componenti erano quasi tutti ragazzi dell’ultimo anno, quindi il ricambio generazionale era assicurato; fin da quella volta in cui aveva assistito ad una loro prova pomeridiana in primo superiore, Dominic era rimasto letteralmente catturato, desiderando far parte delle sostituzioni annuali.
Aveva gettato la spugna dopo essere stato scartato per ben due volte, alle audizioni – il complesso era un affare piuttosto serio, con provini e concorsi ai quali presenziare e tutto… Non accettavano di certo il primo venuto con ambizioni artistiche.
Una bella botta all’autostima, sentirsi rifiutati a quel modo.
L’amore che provava nei confronti del suo strumento – quella batteria che detestava venisse toccata da qualsiasi mano estranea e che continuava a volere dentro la sua camera invece che in garage – grazie al cielo prescindeva da ogni provino andato storto.
La sua piccola. L’unica entità terrestre che si era guadagnata il suo affetto incondizionato negli ultimi tempi.
In effetti non provava un’eccezionale trasporto nei confronti del genere umano – soprattutto quella parte di esso intrappolata nel lungo e pericoloso tunnel dell’adolescenza.
Non era neanche odio, o disprezzo. Forse noncuranza. Forse presunzione o insofferenza.
Fatto stava che gli ultimi amici veri che avesse mai avuto con i quali condividere degli interessi erano da rintracciare in parte nella sua infanzia a Stockport, in parte nei primi quattro anni di permanenza a Teignmouth.

Quel pomeriggio, mentre fissava il volto appassito del professore di Musica e quello rubizzo della coordinatrice delle attività extracurricolari dal palco allestito in aula magna per le prove del complesso, Dominic Howard sperò per la terza volta di poter cambiare quello stato di cose solo grazie alle sue mani e al suo senso del ritmo.

- Howard… Howard Dominic.-
- Sì… Sono io. – confermò con un sorriso nervoso il ragazzo.
Si mosse sullo scricchiolante sgabello in pelle in cerca di una posizione comoda, aprendo e chiudendo le dita fredde e sudate lungo le bacchette di legno.
- Sei al terzo anno, giusto? Non sei fra i miei alunni.-
- No. - rispose rauco il ragazzo, schiarendosi la voce un istante più tardi. – Ho avuto musica solo in primo anno. -
Il professor Bowman si lisciò un sopracciglio, controllando la lista dei partecipanti alle audizioni: - Mhm… Ok. Comunque, mi pare di aver già sentito il tuo nome al di fuori di… Hai già tentato di entrare a far parte del complesso, se non vado errato.-
Fu dura ammetterlo, per Dominic: - Già… Due volte.-
Due
fottute volte. Due fottuti “Può bastare, grazie.”, che nel gergo di Bowman stavano a significare “Ok, ci hai provato, figliolo. Ora va’ a casa a meditare sui tuoi errori, eh?”
Fra gli altri contendenti seduti sulle poltrone rosse dell’aula, qualcuno soffocò malamente una risatina derisoria.
Dominic arrossì sotto l’impietoso chiarore delle lampade al neon.
La professoressa Bishop si voltò verso il resto della platea, senza dire nulla, per poi dedicare a Dominic un enorme sorriso d’incoraggiamento.
- Allora, cosa hai intenzione di farci sentire?-
Il ritmo delle mie sistole e diastole, ad esempio… Le piace l’idea?

nonono. Ok. Respiro profondo. Controllo.

Incanaliamo questa fifa porca in qualcosa di buono, Howard.

- Può bastare, grazie.-
Dopo qualche minuto Bowman alzò la mano in un gesto stanco, senza neanche sollevare lo sguardo dal foglio dei nominativi dei provinanti.
Quanto tempo impiegava un essere umano a pronunciare tre parole di fila?
Quanto tempo impiegava il destinatario di un messaggio così breve a coglierne l’esatto significato?
Dominic ci mise una decina di secondi, uno per ogni battito del suo cuore.
Poteva bastare. Poteva bastare.

d’altronde, non si dice forse “non c’è due senza tre”?
Scendendo i gradini del palco, Dominic ripensò ai movimenti effettuati, si sforzò di individuare delle pecche nell’esecuzione appena ultimata.
Abbandonò il campo di battaglia a capo chino, camminando lungo il corridoio che divideva la platea in due porzioni simmetriche di poltroncine scarlatte.
Non aveva voglia di sapere chi si sarebbe aggiudicato il posto a cui anelava – non aveva voglia di sapere chi se lo meritasse più di lui.
Quando si trovò di fronte alla porta, dovette lo stesso bloccarsi; l’uscio era ostruito da un alto ragazzo mollemente appoggiato allo stipite con le braccia e le gambe incrociate.
- Peccato. Andrà meglio la prossima volta.-
Dominic dovette piegare il collo per fissare dritto negli occhi lo spilungone che gli sorrideva tranquillo, una massa di ricci capelli castani ad incorniciargli il volto.
Lo conosceva di vista, ma non era sicuro che il nome che gli era venuto in mente fosse quello giusto.
- Certo… Non lo sai che non c’è due senza tre e quattro vien da sé, vero? - rispose acido Dominic, già di pessimo umore per la sconfitta subita qualche minuto prima.
Che poi, chi diavolo lo conosceva quello? Che voleva da lui?
- Scusa? - il tizio non sembrava aver colto l’allusione – forse non aveva assistito a tutta la scena svoltasi poco prima.
- Lascia perdere… - sospirò Dominic, sentendosi improvvisamente svuotato.
Aveva voglia di uscire dalla scuola, di correre fuori sentendo il freddo artigliargli il viso e poi rifugiarsi in camera sua per magari non uscirne mai più.
Il ragazzo si fece da parte cortesemente per lasciarlo finalmente inseguire il suo desiderio.

Quando l’ultimo raggio di sole si sciolse in un chiarore purpureo sulla linea piatta dell’oceano i lampioni si accesero, baluginando rossastri come in un tentativo di scimmiottare il tramonto agonizzante sull’acqua.
I gabbiani planavano in orbite circolari attorno ai pescherecci attraccati in porto, stridendo dialoghi incomprensibili all’orecchio umano.
L’erba sul quale era seduto era umida e fragile; Dominic ne prese un ciuffo fra le dita, strappandone qualche filo.
Quella sera il Den era tutto per lui. I bambini che di solito vi giocavano erano rincasati da un po’ – con quel freddo, le mamme preferivano farli rientrare presto.
A Dominic importava poco del gelo, dei pantaloni oramai umidicci e del pericolo di un raffreddore.
Anzi, magari ne avesse buscato uno – avrebbe dato chissà cosa per potersene stare a letto almeno un giorno… Magari l’indomani.
Buttando all’aria la prudenza, Dominic si sdraiò sull’erba.
I lunghi capelli biondi assorbirono pian piano l’umidità del prato, così come i jeans poco prima.
Ma sì. Ma chi se ne fregava. Un bel malanno da curare col calduccio delle coperte e un sacco di TV era tutto ciò che desiderava in quel momento, a parte tornare indietro nel tempo di circa un’ora e mettere su un’esibizione stratosferica sul palco di un’aula magna per strappare un posto da batterista in una stupida band scolastica.
Ecco, un virus era più abbordabile come opzione.
Chiuse gli occhi, e il mondo divenne pura sensazione tattile ed uditiva capitata per caso fra i ricordi.
I gabbiani continuavano a berciare sospesi per aria e la Bishop gli sorrideva per tranquillizzarlo.
Il vento soffiava e Bowman lo bocciava senza mostrare un minimo accenno di interesse nei confronti della cosa.
Brividi di freddo iniziavano ad increspargli la pelle e un ragazzo dai folti capelli ricci tentava di rincuorarlo.

- Vuoi morire assiderato?-
Una voce lo sovrastò concreta, profonda e curiosa.
Quando Dominic sollevò le palpebre la voce divenne un ragazzo apparentemente della sua età o poco più piccolo; viso ossuto, capelli scuri spioventi sul viso, occhi brillanti alla luce delle luminarie cittadine.
Mise a fuoco i lineamenti il ragazzo ed immediatamente gli sovvennero un nome ed un cognome, senza possibilità di confusione.
Matthew Bellamy.
Quel Matthew Bellamy.



Cliffhanger, perché sono notoriamente malvagia. XD
Sinceramente non so cosa aggiungere, non vedo l'ora che questa domenica inattiva sia trascorsa e sono mogia da far spavento - interessante, no? :/

A presto, e grazie. ♥

Edit, perché Stregatta dimentica sempre tutto: per "fisica delle particelle" si intende questo - citare *sempre* le fonti, first of all. :D

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Capitolo 3
*** Fisica delle particelle - seconda parte ***


Fisica delle particelle

(seconda parte)


- Cos…?- mugugnò Dominic, tirandosi immediatamente a sedere e poi in piedi.
L’altro sorrise nervosamente, mostrando gli incisivi accavallati ed aguzzi.
- Scusa il disturbo… Ti ho visto sdraiato per terra e così… - Bellamy mosse una mano in un gesto vago che per lui doveva valere come ulteriore spiegazione del suo intervento precedente.
Nel frattempo, Dominic si stava spolverando i pantaloni, occhieggiando il nuovo arrivato con fare circospetto.
- Figurati… Cioè, anch’io…- iniziò, senza in realtà avere la più pallida idea di dove andare a parare.
Anch’io importunerei un perfetto estraneo se lo vedessi spaparanzato per terra in un parco in una sera novembrina”? Un po’ campata in aria, come replica.
Fra l’altro, non si poteva nemmeno parlare di “perfetto estraneo”: un po’ perché frequentavano lo stesso istituto, un po’ perché a Teignmouth si conoscevano tutti almeno di vista e un po’ per ovvie ragioni.
- Già… Insomma, fa davvero freddo, eh? -
Nel sentire l’inflessione forzatamente noncurante nella voce del suo inaspettato interlocutore, Dominic ebbe la strana sensazione che quell’approccio fosse in parte qualcosa di non troppo casuale.
Si sforzò di non dar peso a quel pensiero. Troppo inquietante, come prospettiva – senza contare che rimanere da solo con quel tipo in un posto così tetramente solitario già gli dava un po’ i brividi.
- Be’, ma come mai allora vai in giro?- volle sapere Dominic, incrociando le braccia sul petto in un istintivo gesto di chiusura.
Bellamy scrollò le spalle, lisciandosi i capelli: - Stavo andando a casa, infatti.-
Indicò un punto indistinto alle sue spalle, senza che Dominic si rivelasse interessato alle coordinate precise di esso.
- Mhm... Anch’io. -
- Oh… Be’, allora… Ciao. -
- Ah-a. Ciao. -
Il quadretto surreale terminò con quell’insipido ed impacciato botta e risposta: Bellamy non tentò di instaurare un dialogo migliore e Dominic gliene fu molto grato.

Camminando con le mani rintanate nelle tasche del giubbotto, il vento che gli gelava le gambe attraverso i jeans umidi, Dominic borbottò a mezza bocca il ritmo richiestogli da Bowman durante il provino.

Cazzo, almeno avesse motivato il suo rifiuto... La nozione di “critica costruttiva” proprio non gli apparteneva, eh?
Iniziò a tremare di freddo.
Ma quanto strada doveva fare ancora? Gli sembrava di essere in cammino da una vita.
Tossicchiò. Si era già pentito del suo impulso di poco prima.
Fanculofanculofanculostoghiacciando.
Quando vide in lontananza il cancello di casa sua gioì silenziosamente, entrando a passo di carica ed andando a rintanarsi direttamente in camera – sua madre non c'era, si trovava a quel seminario comunale su tematiche concernenti il disagio adolescenziale e roba del genere.

Il giorno dopo si risvegliò con tutti i classici sintomi di un febbrone da cavallo proprio come aveva auspicato, con l'unica differenza che non ne era più così entusiasta.

Gli dolevano la gola e le giunture e la testa gli sembrava gonfia come un pallone, nonché pesante come un'incudine.
Scese in cucina, trovando un paio di croissant nel microonde ed un biglietto di sua madre: “Buona giornata, cucciolotto!”
Dominic rabbrividì, appallottolando il foglietto e gettandolo nel cestino.
Disdegnando i croissant, trangugiò del müsli a fatica e si trascinò in bagno.
Nel lavarsi i denti, rifletté su quali lezioni avrebbe saltato, quel giorno.
Dunque... Storia, biologia, educazione fisica...
Sorrise stancamente – bel colpo, Howard... Proprio oggi che la prof spiegava.

Dopo essere uscito dal bagno, andò dritto dritto in salotto e si sistemò sul divano, cominciando a fare zapping.

Telegiornale. Documentario sul tursiope. Cartoni animati. Altro telegiornale.
Dominic sospirò, sdraiandosi sui cuscini foderati di pizzo del sofa.
Sonno. Noia. Mal di testa.
Sonno.
Stava per addormentarsi, quando un suono attirò la sua attenzione.
Un suono vagamente stridulo ma cadenzato, con un proprio ordine ritmico.
Veniva da lontano, forse da fuori. Magari qualcuno stava ascoltando della musica a volume molto alto.
Dominic decise di non farci caso e di tornare al suo pisolino ma la melodia aumentò sensibilmente di intensità, quasi si fosse fatta più vicina.
Archi. Una sezione d'archi.
Alzandosi e sbadigliando pigramente, Dominic si guardò attorno come ad individuare la direzione dalla quale la musica si stava propagando – lenta, solenne e forse un filo troppo melodrammatica per i suoi gusti.
Intontito da febbre e relativa debolezza, si accorse dopo qualche secondo che non si trattava più solo di archi.
Credette che fosse uno scherzo del suo cervello annebbiato, quando si rese conto che qualcuno stava cantando su quella melodia...
e che quel qualcuno doveva trovarsi nella sua cucina.
Il cuore iniziò a battergli più forte.
Ok. Forse era sua madre che era rientrata e magari non l'aveva sentita – dopotutto era a pezzi, no? I suoi sensi e riflessi funzionavano a rilento... O poteva essere una delle gemelline accanto alla finestra della cucina – la voce era abbastanza acuta da appartenere ad una donna o una bambina.
Prima di rendersene effettivamente conto, si ritrovò a seguire la voce un passo dietro l'altro.
Non pronunciava parole, ma solo vocalizzi precisi ed intonati ed a tonalità ragguardevoli.
Dominic chiuse gli occhi per un secondo e gli parve di nuotare in quel mare di note sempre più prossimo ed intenso: una parte di sé sembrava guardarlo da fuori, rimproverandogli l'imprudenza che lo stava guidando verso la porta chiusa della cucina, abbassandone piano la maniglia come per non disturbarne la voce dietro.
Trattenne il respiro...
e vide sua madre che stava lavando i piatti, cantando.
Dominic buttò fuori il fiato in uno sbuffo sollevato.
- Ciao, ma'. -
- Oh, tesoro! Ma sei qui? - squittì allegramente Diane, dandogli le spalle.
Indossava un grembiulino ricamato ed una gonna a fiori gialli su sfondo nero.
Dominic non gliel'aveva mai visti addosso.
- Be', sì, ho un po' di febbre e quindi... - bofonchiò, scuotendo il capo come per schiarirsi le idee.
- Oh, piccolo... - lo compatì sua madre, sfilandosi i guanti di gomma verde dalle mani e slacciandosi il grembiule.
Quando si voltò, Dominic trattenne un urlo a malapena.
Sotto la folta chioma ramata di sua madre c'era il muso di un tursiope, che lo squadrò preoccupato con i suoi occhietti neri e brillanti.
-... hai preso l'antipiretico? -

Dominic si svegliò di soprassalto, ritrovandosi sdraiato sul divano con il collo irrigidito e una gamba penzolante oltre il bordo del divano.

Si tastò la fronte, trovandola bollente ed asciutta esattamente come l'aveva lasciata, e poi si abbandonò di nuovo contro il cuscino sul quale aveva riposato – cazzo, ci aveva anche sbavato un po' su.
Spense la TV, caracollando in cucina ed aprendo lo sportello del microonde: sbocconcellando un croissant e chiedendosi perché non l'avesse fatto prima - cavolo, era buono anche da freddo - fissò il vuoto per qualche minuto.
Mai sentito così di merda, e non solo per la febbre.
A chi li chiedo i compiti, stavolta? Buchanan? No, già è convinto che siamo ad un passo dal diventare fratelli di sputo alla maniera dei Piccoli Lupi del Devon perché mi ha passato quella stracazzo d'equazione il mese scorso. Evitiamo.
Nessie? No, mi odia. Jason? Naah, mi odia pure lui. Julie? No, mi o... Ok, non mi caga e basta. Quella troia.
Tanto ho tempo per decidere. Sono solo le... Undici? Sì, le undici. Mi si stanno incrociando gli occhi, cazzo.

Quando si adagiò sul ripiano di legno freddo del tavolo, un ultimo pensiero lo cullò piacevolmente prima di sprofondare nel sonno più pesante e scuro.

La Pennyworth per un po' di tempo dovrà trovarsi un altro schiavetto... O al limite dovrà muovere il culo e spolverarsi gli scaffali da sola.

***



« Professore, sono un extraterrestre!»
La sconvolgente dichiarazione di un liceale della città di Teignmouth

Una mattinata come tante trasformatasi in un’esperienza da “Ai Confini Della Realtà”, per un insegnante di scienze e la classe del primo anno del liceo *** di Teignmouth, cittadina del Devonshire: uno studente, evidentemente annoiato dalla lezione tenuta dal professore, decide che l’unica risoluzione da intraprendere è quella di balzare sul proprio banco e declamare un discorso sulle proprie ipotetiche origini extraterrestri.
Buontempone o vittima di un grave esaurimento nervoso? Di certo per ora il giovane non è riuscito a rimediare consensi fra i suoi compagni, alcuni dei quali dichiarano: “È sempre stato un po’ strano”.
La bibliotecaria della scuola asserisce: “Lo vedevo quasi sempre da solo e passava un sacco di tempo in biblioteca… Chiedeva sempre dei titoli particolari, e amava leggere saggi scientifici. Più volte ha cercato di coinvolgermi in strani discorsi a proposito delle sue strambe teorie spionistiche, ma non ho mai dato molta importanza a certe fantasie”.
In attesa che l’eco mediatica attorno al caso si smorzi, il giovane è stato allontanato dalla scuola e si vocifera di un suo ricovero in un istituto d’igiene mentale.

A suo tempo la notizia aveva avuto una risonanza sorprendente, guadagnandosi un trafiletto persino sulle pagine del Sunday Times: ovviamente, l’importanza dedicata al caso dal quotidiano era inversamente proporzionale all’accurato sensazionalismo della prima pagina dei giornali locali e del giornale della scuola.

Matthew Bellamy aveva attraversato il cielo nebuloso e statico di quel buco di culo di Teignmouth come una meteora, con l’unica differenza che la gente aveva continuato ad osservarne la scia anche a distanza di tempo.Cosa non si faceva, per sconfiggere la noia… Giocare a carte, ubriacarsi di birra da quattro soldi e parlare di quel mezzo matto del giovane Bellamy – quello che credeva di venire da un altro pianeta, te lo ricordi?
Dominic sollevò la testa dal vecchio quotidiano per sbirciare la signora Pennyworth seduta dietro la sua scrivania, mentre si limava le unghie sospirando contemporaneamente su una rivista di moda.
Chissà come doveva essersi emozionata al pensiero di essere finita in qualche modo sul Sunday Times. Sicuramente dopo aver letto il giornale doveva essersi precipitata a riferire la notizia al suo criceto, festeggiando con un goccino di gin. Forse più di un goccino.
In quel momento la donna si accorse dello sguardo di Dom, e assottigliò le palpebre pesantemente truccate di cobalto: - … credevo di averti detto di riordinare i quotidiani, non di fare una rassegna stampa. -
Invece io ho sempre creduto che tu fossi il perfetto modello della Zitella Acida in Piena Menopausa, ed infatti ti manca solo una casa piena di gatti puzzolenti, stronza.
Il ragazzo borbottò delle scuse indistinte, richiudendo le pagine lievemente ingiallite spalancate sul tavolo.
A suo tempo non si era molto interessato al caso Bellamy, anche perché tempo due giorni e la vicenda aveva cominciato a nausearlo: tutte quelle persone che affermavano di “conoscere molto bene il soggetto”, di “aver notato in lui qualcosa di strano nei giorni precedenti al fattaccio”…
Stronzate. Di Bellamy non si era mai interessato nessuno.
Era un lupo solitario addirittura peggiore di lui, uno di cui non ci si accorgeva fin quando non veniva degnato dell’attenzione dei bulletti della scuola… Attenzione del tutto negativa, ovviamente.
Personalmente a Dom era capitato di occhiarlo nei corridoi – non era ancora lo schiavo di Lady Menopausa, quando Bellamy bazzicava per la biblioteca scolastica - con il suo passo dinoccolato e i suoi libri sullo spionaggio internazionale e sul cospirazionismo, ma non gli aveva mai realmente rivolto la parola. Almeno fino a qualche giorno prima, ovviamente.
Dom riportò tutti i quotidiani deposti sul tavolo al proprio posto, salutando appena a mezza voce la signora Pennyworth nell’uscire per la sua pausa: tanto non l’avrebbe sentito, persa com’era nei suoi sogni ad occhi aperti popolati di vestiti e borsette troppo onerosi per le sue tasche.
La campanella aveva sancito il termine delle lezioni pomeridiane da un'ora circa, ma come ogni giovedì per lui la tortura continuava.
Di tutte le attività extracurricolari era andato a scegliersi di certo la meno impegnativa – sulla carta – ma anche la più noiosa.
Il tutto, con in sottofondo una discreta cover di Sly di Herbie Hancock eseguita da chissà quale talentuoso ensemble di elementi del terzo anno del quale non era degno di far parte.
Ah, che bello tornare a scuola.
Mentre percorreva il corridoio deserto dirigendosi verso il distributore delle merendine, dall'aula magna uscirono un ragazzo ed un'acuta nota di clarinetto.
- Ok... Due Light e un té al limone. - sorrise il tipo, appoggiato allo stipite della porta che si richiuse alle spalle subito dopo.
Arrivò alla macchinetta qualche istante prima di Dominic, aiutato da un paio di gambe ben più lunghe delle sue: riconoscendo quella caratteristica ed associandola ai riccioli castani, Dominic ricordò distrattamente che si trattava del tizio che aveva tentato di consolarlo dopo il suo famigerato provino.
Chissà perché girava tanto dalle parti della band... Gli pareva suonasse già in un gruppo, ma non ne ricordava il nome... C'erano troppe band in giro, a Teignmouth, per tenerle a mente tutte: alcune duravano lo spazio di un'esibizione ad una Battle of Bands, altre si scioglievano dopo un mese, altre ancora cambiavano nome e membri ad un ritmo spiazzante.

- Oh, no. - mormorò Dominic, dopo aver selezionato il numero corrispondente al suo marchio di patatine preferito.
La busta, leggera ed elegante, era planata poco più in basso rispetto al luogo di partenza, incastrandosi fra il vetro dello sportello ed un Mars sporgente di qualche centimetro dalla postazione assegnatagli.
- Ma porca...! - imprecò il ragazzo, guardandosi attorno e mollando poi un pugno ad un lato del distributore per far cadere la confezione.
Nulla. La bustina non si era nemmeno mossa.
- Oh, cavolo! - esclamò di nuovo Dominic, stavolta calciando rumorosamente lo sportello al puro scopo di sfogare il nervosismo.
- Così non verrà mai giù. -
Il ragazzo si voltò di scatto, trovandosi di fronte il tipo di prima: avvampando all'idea di aver dato un pessimo spettacolo di sé stesso, indicò goffamente l'oggetto del suo desiderio.
- Be', allora non so che altro fare. -
Lo spilungone si avvicinò di un passo, ed istintivamente Dominic gli fece spazio.
Afferrando la sommità della macchinetta con entrambe le mani, il ragazzo fece leva sui polpacci e la inclinò leggermente, facendola poi ricadere con un tonfo sonoro.
Il Mars mal posto all'interno del suo settore seguì la busta delle patatine.
Dominic aprì la bocca, forse alla ricerca di un ringraziamento, ma il perticone lo prevenne.
- Di solito funziona anche con le patatine, ma in realtà ci vuole più di uno scrollone... Sono troppo leggere. - spiegò, infilando poi una monetina nell'apposita fessura per un'altra lattina di té freddo.
Stringendo il pacchetto fra le mani, Dominic si mordicchiò il labbro superiore con aria incerta.
Grazie. Dai, su. Si dice "grazie".
- Uh... Grazie. - bofonchiò alla fine, aprendo la busta e cacciandosi una manciata di patatine in bocca.
L'altro si chinò a raccogliere la lattina appena caduta ed il Mars lasciato lì da Dominic, per poi raddrizzarsi e guardarlo negli occhi.
Aveva una faccia strana... Non che fosse brutto: anzi, per gli standard dei liceali di quella zona, non era neanche eccessivamente brufoloso o peloso ed in generale i suoi lineamenti ispiravano abbastanza simpatia.
Solo che sembrava davvero grande. Più grande di lui, sicuramente.
- Figurati. - scrollò le spalle ampie sotto la sua larghissima camicia a scacchi nel rispondergli; poi gli mostrò il Mars, chiedendo: - Non lo prendi? -
- Non mi piace granché. - scosse il capo Dominic, pulendosi le briciole ed il sale ai lati della bocca con due dita.
- Meglio per me. - approvò l'altro, strappando l'estremità della confezione dello snack con i denti.
Senza che Dominic se l'aspettasse, gli indirizzò un sorriso.
- Quando sei di corvèe con quello stronzo di Bowman hai bisogno di energia. -
Quindi era come pensava... Era il nuovo assistente di Bowman. Anzi, quello stronzo di Bowman. Come suonava disgustosamente bene, l'idea di non essere il solo a pensarlo!
A bocca piena, lo spilungone appoggiò la schiena al distributore e lo guardò di sbieco.
- Tu sei Dominic Howard, vero? -
- Sì. - ribattè asciutto Dominic, annuendo e nascondendo il lieve stupore di essere stato riconosciuto.
L'altro annuì, indicandolo con il Mars già dimezzato: - Ti avevo già visto da qualche parte... Sei quello del provino. -
Oh, benissimo. Dai, mettiamo il dito nella piaga ed allarghiamola ben bene...
- Già. - ammise controvoglia il ragazzo, sgranocchiando con espressione che sperò risultasse abbastanza indifferente l'ultima patatina integra del pacchetto.
Forse sarebbe stato carino offrirne una al compagno, prima di rimanere con il solito mucchietto di schegge in fondo alla confezione.
Lo spilungone ingoiò un boccone del suo snack, prima di commentare: - Per quello che vale... Suoni meglio di me e del nipote della vicepreside, questo è poco ma sicuro. -
Dominic lo fissò, sorpreso.
... un raccomandato? Uno stupido, pidocchioso raccomandato gli aveva fottuto il posto a cui forse, in caso contrario, sarebbe potuto arrivare?
- Il nipote della...? -
In quella, la porta dell'aula magna si spalancò e Bowman fece capolino con cipiglio arcigno.
- Wolsen... Wolset... Christopher, ci sei andato personalmente a raccogliere le foglie di questo té? -
- Mi scusi, professore... Dovevo dirgli una cosa riguardo ai compiti. - si giustificò gentilmente il ragazzo, mantenendo un'espressione educatamente cordiale fin quando l'insegnante non fu scomparso dentro l'aula: dopodiché sospirò lungamente, afflosciando le spalle sconfitto.
Si rivolse a Dominic.
- Be', direi che ci vediamo... Il giovedì sei inchiodato qui anche tu, immagino. -
- Sì... Biblioteca. Aiuto la signora Pennyworth. - lo informò telegraficamente il giovane, scacciando il pensiero che la sua pausa di un quarto d'ora e che sia solo uno, giovanotto! stava per terminare e che sarebbe dovuto tornare a scatastare libri ed archiviare riviste per almeno un'altra oretta.
- Però... Siamo nella merda tutti e due, mi sa. - ponderò il più alto, strappando un sorriso rassegnato all'interlocutore per poi presentarsi.
- Comunque... Christopher Wolstenholme. Ma se mi chiami semplicemente Chris fai un favore sia a te che a me. -
Indubbiamente, rabbrividì Dominic.
- Ok. -
- Allora ci vediamo, Dom. -
Mentre il suo sguardo si incollava alla schiena larga di Chris, di ritorno dal suo negriero personale, Dominic pensò solo una cosa.
... "Dom"?




Nyah. \*O*/

Immagino sarete un po' deluse da come ho liquidato l'incontro fra Bellamy lo Svitato e Dominic lo Sfigato – tranquille, il bello per quei due deve ancora venire XD – ma intanto ho introdotto Chris il Passante... È già qualcosa, no? ;)
Oh, e... Non fatemi domande sull'incubo di Dominic. Non so che dirvi, giuro. XD

Grazie-grazie a chiunque stia seguendo, preferendo ecc ecc la storia, come sempre. Cheers! :***

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Capitolo 4
*** Antiatomo ***


Antiatomo


Per quanto la sua natura guardinga gli impedisse di sbilanciarsi in giudizi affrettati, ciò che Dominic aveva captato di Chris durante il loro primo vero incontro non gli spiaceva affatto.
Il giovedì pomeriggio successivo, godendosi il suo quarto d'ora d'aria dalla prigionia delle scatoffie archiviate in biblioteca e relativo cerbero di sorveglianza, si sorprese a fissare la porta dell'aula magna non solo con risentito struggimento ma con una strana forma di aspettativa. Il che, volendo, era piuttosto stupido da parte sua - con lui non era mai andato oltre il saluto sbrigativo in corridoio al cambio d'ora, in settimana.
Dominic sospirò, dando un'occhiata all'orologio.
Le patatine erano già finite, così come la pausa.
Si avviò a passo lento verso la biblioteca, rassegnato e lievemente deluso.
Cosa si aspettava? Che una conversazione di fronte al distribuitore delle merendine desse inizio all'Amicizia del Secolo?
In realtà, mi piaceva l'idea di fare due chiacchiere dopo aver tolto la polvere allo scaffale della Saggistica - cazzo, è sempre il più lercio, è impossibile!
Lady Pennyworth von Menopausen, seduta dietro il bancone, gli riservò la solita occhiata indifferente prima di continuare a sgranocchiare l'ultimo cracker rimasto nel pacchetto, fissando il vuoto -
ovviamente, il divieto di introdurre cibo e bevande all'interno dell'aula valeva solo per gli studenti.
Dominic salì sulla scaletta pieghevole con ancora meno entusiasmo del solito, ed iniziò a passare il panno di lana sulla sommità dello scaffale di Letteratura Straniera.
Tossicchiò, nell'inalare innavertitamente un po' della polvere soffice e grigia che copriva
I dolori del giovane Werther.
Sei all'ultimo anno, Howard. L'ultimo anno. Resisti.

Il suo accesso di tosse stizzosa coprì i passi di un inatteso fruitore del luogo - Dominic ne notò la presenza dalla sua postazione solo grazie alla reazione della bibliotecaria, la quale sembrò riscuotersi dalla propria apatia in maniera alquanto scomposta: inforcò precipitosamente gli occhiali da presbite che portava appesi al collo ed aprì la bocca senza lasciar uscire dei suoni d'alcun genere.
- Buonasera. Avete per caso una copia di
Guerre stellari. Armi e strategie per un'apocalisse di Zbigniew Brzezinsky? -
Dominic aggrottò le sopracciglia, chiedendosi dove avesse già sentito quella voce e soprattutto come diavolo si scrivesse il nome dell'autore appena menzionato.
La signora Pennyworth lasciò trasparire quanto non fosse affatto tranquilla come voleva dare ad intendere solo quando indicò proprio l'odioso settore della Saggistica, mormorando tremula: - Credo di sì... Oh, vuoi che te lo prenda io? -
... ok, la notoriamente acida, pigra e per nulla disponibile bibliotecaria della scuola che si offriva volontariamente di fare qualcosa per un essere umano che non fosse un professore in grado di farle eventualmente rapporto (la voce era troppo giovanile per appartenere ad un adulto, pur essendo piuttosto profonda)?
Chi cavolo sarà?
- Grazie, è gentile da parte sua. - computò educatamente la misteriosa controparte.
Sporgendosi all'indietro quel tanto che bastava ad avere una visuale non solo del bancone ma anche di chi poteva esservi di fronte, Dominic cercò di soddisfare la propria curiosità.
Dall'altro capo dell'aula, sentì la signora Pennyworth borbottare: - Troppo in alto... - per poi sbraitare: - Giovanotto, vieni qui con la scala! -
Il ragazzo scese velocemente i gradini, chiudendo la scaletta e trasportandola sotto braccio fino alla Saggistica.
Dove trovò la signora Pennyworth impegnata in un goffo tentativo di sorriso cordiale da dedicare a Matthew Bellamy, in piedi accanto a lei.
- Ci penserà il mio assistente... Temo di essere troppo vecchia per certi sforzi! - squittì la bibliotecaria con una risatina assolutamente
urticante.
Proibendosi di alzare gli occhi al soffitto, Dominic voltò immediatamente le spalle all'altro ragazzo ed aprì la scaletta più in fretta possibile.
Dominic trovò il libro immediatamente, per fortuna - sentiva una strana, fastidiosa tensione gravargli sulle spalle, forse perché sapeva di avere due sguardi puntati addosso.
- Ecco. - sorrise brevemente nell'allungare il tomo
- cazzo, è un mattone! - a Bellamy, che lo prese con un sorriso ben più sincero del suo.
- Grazie. - sussurrò, abbassando poi gli occhi azzurri e sistemandosi i capelli dietro un orecchio; si incamminò verso uno dei tavoli e si sedette, sfogliando le pagine con la testa poggiata ad una mano.
La signora Pennyworth si torse le mani nervosamente, sfilandosi gli occhiali e bisbigliando: - Noi... -
Dominic restò indietro a gustarsi la scena - era divertente, vedere quel cerbero farsi piccolo piccolo in presenza del celebre svitato di Teignmouth... Anche se non riusciva a darle del tutto torto. In fondo era successo pure a lui, di esserne intimorito.
In quel frangente però, raccolto e concentrato su ciò che stava leggendo, appariva molto meno inquietante. Forse il vederlo in piena luce contribuiva a renderlo tale.
-... noi chiudiamo fra tre quarti d'ora. - lo avvisò d'un fiato la bibliotecaria, giocherellando con gli occhiali chiusi sul petto abbondante.
Bellamy battè le palpebre, rispondendo con l'accento cortese che lo contraddistingueva: - Va benissimo. -
Prima di immergersi di nuovo nella lettura, lampeggiò un'occhiata verso Dominic; di rimando, il ragazzo si limitò a dirigersi di nuovo verso lo scaffale rimasto da spolverare con la scala sottobraccio, come se nulla fosse.
Che il nuovo arrivato avesse intenzione di approcciarsi in un qualche modo nei suoi confronti, a lui non interessava - e poi doveva spolverare.
Da quando gli aveva rivolto la parola quella sera al Den, non era più incappato in Bellamy neanche nei corridoi della scuola - anche lui era al secondo anno, come Chris. Chissà se si conoscevano.
Arrivato quasi alla fine della scaffalatura da ripulire, la signora Pennyworth si alzò a fatica dalla propria sedia e gli si avvicinò con aria tesa, annunciando sottovoce: - Devo usare la toilette. -
- Oh... Uhm... Ok. - cincischiò il ragazzo, confuso - cosa gliene fregava dei bisogni fisiologici della vecchia?
Evidentemente la bibliotecaria doveva avere una valida ragione per metterlo a parte di una notizia simile: infatti si chinò verso di lui, accigliandosi e afferrandogli un lembo della manica della camicia.
- Controlla che non succeda nulla in mia assenza, giovanotto. Dal momento in cui sarò uscita da quella porta sarai totalmente responsabile della tutela di questo posto e di ciò che contiene. -
... un momento, può farlo sul serio?
- Ma veramente io... -
- Totalmente. Responsabile. - gli intimò la donna, prima di indietreggiare rumorosamente sui propri tacchi e avviarsi a passo veloce verso la porta.
Dominic restò sbigottito a fissare lo spazio prima occupato dalla signora Pennyworth, interrogandosi sul da farsi.
Sbirciò l'unica anima con la quale stava condividendo lo spazio dell'aula in quel momento, facendo capolino da dietro lo scaffale per nascondersi subito dopo.
Sembrava tranquillo. Leggeva, giocava con una ciocca di capelli fra le dita e poi - pratica assolutamente sconsigliabile, quando si sfogliavano libri sicuramente passati per diverse mani estranee e sconosciute - si leccava l'indice per voltare pagina.
Fine.
Ok... Allora farò così: resterò qui fin quando l'arpia non sarà tornata ed ogni tanto darò una controllata. Facile.
Nel silenzio, in quel preciso istante, udì distintamente le gambe della sedia di Bellamy sfregare stridule contro il linoleum del pavimento.
Un fruscìo di vestiti, e poi dei passi leggeri.
Oh...
Ovviamente, nella vita di Dominic Howard non c'era posto per qualcosa che andasse bene, di tanto in tanto.
Matthew Bellamy, infatti, lo aveva appena raggiunto con un dito intrappolato a tenere il segno fra le pagine del librone da lui scelto ed un'espressione timida e dimessa dipinta in volto.
- Senti... Che tu sappia, di questo stesso autore c'è anche Il mondo fuori controllo. Gli sconvolgimenti planetari all'alba del XXI secolo? -
Ma che razza di titoli cercava?
- Ehm... Non saprei. - Dominic si passò una mano sulla nuca, riordinandosi i capelli.
- Te lo cerco, se vuoi. - si offrì, rammentando che non c'era veramente motivo di non fare il proprio dovere di schiavetto della Pennyworth con quel tipo.
- Se non ti disturba... - ribatté Bellamy, con un sorriso incerto al quale Dominic rispose scrollando le spalle e provando un'acuta sensazione di disagio della quale non seppe trovare la fonte.
Forse era il suo aspetto, ad inquietarlo.
Sotto la luce al neon delle lampade sul soffitto il ragazzo appariva pallidissimo, quasi livido: le guance smunte, gli zigomi sporgenti ed ossuti e la cascata di lunghi capelli scuri che gli ricadeva ai lati del volto lo rendevano assimilabile ad un piccolo vampiro.
Fortunatamente, il suo sorriso ne sdrammatizzava le fattezze: gli incisivi superiori, come aveva già avuto occasione di notare, si contendevano lo stesso tratto di gengiva col risultato di accavallarsi.
Era buffo. Esponenzialmente antiestetico, ma perlomeno faceva ridere.
Dominic sfiorò le coste di ogni libro della fila corrispondente all'iniziale dell'autore richiesto da Bellamy, leggendone i titoli: alla fine scosse il capo, scendendo dalla scaletta.
- Non c'è, mi spiace. -
Bellamy arricciò le labbra, risucchiando l'interno delle guance in modo tale che la sua faccia sembrò ancora più piccola e scarna.
- Mhm, è già tanto che ci sia questo. -
Dominic allargò le braccia, infilandosi poi le mani in tasca.
Credeva che Bellamy sarebbe tornato a sedere, proseguendo nella lettura; il ragazzo invece restò in piedi, spostando il peso del corpo da una gamba all'altra come se fosse indeciso sul da farsi.
Infine, alzò il capo di scatto, come colto da un'illuminazione: - Forse avete dei testi sull'esogenesi? -
Dominic non riuscì a trattenere una risatina impacciata, stringendosi nelle spalle.
- Non so neanche cos'è, l'esogenesi! Non credo di poterti dare una mano... -
Bellamy battè le palpebre un paio di volte, prima che i suoi occhi divenissero grandi e liquidi di delusione, e l'altro provò una punta di- oh, cavolo. Mica era colpa sua se non era una specie di Trekkie sfigato del cavolo e non aveva la minima idea di cosa stesse parlando.
Non amava le scienze, pur cavandosela bene anche in quell'ambito - e sicuramente nel tempo libero preferiva non intrattenersi con letture che gli ricordassero degli insegnamenti scolastici.
- Non fa niente... Mi accontenterò. -
Bellamy battè in ritirata strascicando i piedi -
enormi. Quelle non erano scarpe da ginnastica, ma barche a remi - e Dominic sospirò impercettibilmente.
Quel tipo non stava facendo molto per smentire la propria fama, decisamente.


Dominic non si accorse neanche di quando se ne andò via, rintanato come un topo in un angolo ricavato da un paio di scaffali - vide solo la Pennyworth, fino ad allora intenta a sfogliare il Sun con un occhio agli articoli e l'altro a Bellamy, prendere fiato e rilasciarlo in un rumoroso sospiro di sollievo.
- Mio Dio... Grazie. -
Poi lo chiamò in tono arcigno: - Giovanotto, stiamo chiudendo. -
Dominic obbedì svogliatamente, raccogliendo subito dopo il tomo abbandonato da Bellamy sul tavolo per metterlo al suo posto.
Fra la copertina e la prima pagina, sporgeva un foglio di quaderno che prima non c'era.
Dominic si fermò e lo sfilò via dal libro – non poteva lasciarlo lì.
Automaticamente, lo aprì.
-
Giovanotto, è tardi. -
Il ragazzo bofonchiò una parolaccia fra sé e sé e marciò alla volta della parte dello scaffale di Saggistica corrispondente alla lettera B.
Prima di salire sulla scaletta, gettò di nuovo un'occhiata al foglio.
Chissà che genere di appunti poteva prendere un tipo come Bellamy, che genere di osservazioni poteva apporre alle sue particolarissime letture...

Quando Dominic riuscì finalmente a leggere il contenuto del foglio, per poco non cadde dai gradini della scala pieghevole.

Stranamente, quella sera non faceva molto freddo.
Il vento spirava in zaffate odoranti di salsedine ed un retrogusto di marcio, come scarti di pesce lasciati andare a male.
Dominic storse il naso, seduto alla fermata dell'autobus di fronte alla scuola.
- Che schifo. - sentenziò fra sé e sé, alzandosi dalla panchina di grigio legno escoriato dal tempo ed istoriato di sgrammaticati bassorilievi in bianchetto raffiguranti cazzi, cuoricini, fiorellini, insulti, dichiarazioni d'amore ed altre forme di idiozia giovanile.
Si voltò verso l'entrata del liceo, come se la cosa potesse farlo stare meglio.
L'ultimo anno, Howard. L'ultimo anno.
Sbuffò.
... e lo stai passando alla grande, direi.
E pensare che non era tipo da lamentarsi... Cioè, lo era eccome ma non più dei suoi coetanei, insomma.
L'unica differenza fra lui e loro, volendo, era che non aveva qualcuno col quale lagnarsi di ciò che lo circondava.
Le dita, nonostante la temperatura più clemente del solito della serata, stavano di nuovo trasformandosi in dieci bastoncini surgelati -
ma che cazzo, non sono normale - e le ficcò a forza nelle tasche dei jeans.
Il foglio era ancora lì, rintuzzato contro il tessuto dei pantaloni.
Aggrottando le sopracciglia, Dominic lo tirò fuori e lo spiegò sommariamente.
Una calligrafia contorta e riccioluta scandiva poche, telegrafiche parole: "Domani, dopo la scuola. Lower Brook Street, n°32.”
Un messaggio. Probabilmente destinato a lui, visto che Lady Pennyworth spostava il suo grosso culo bulboso solo per evitare rappresaglie da parte di individi poco raccomandabili almeno sulla carta, non certo per mettere in ordine i libri – chiunque ne era al corrente, a scuola.

ma perché? Cosa significava?
- ... quello è scemo. - mormorò ancora incredulo, appallottolando la breve missiva e gettandola in un cestino poco lontano.


Le finestre di casa Howard erano oscure, segno evidente che Diane Howard non era tornata.
Dopotutto era giovedì: la giornata dedicata alla riunione settimanale del circolo di lettura comunale.
Dunque, ad aspettarlo Dom avrebbe trovato verosimilmente qualcosa a scongelarsi nel lavandino e un post-it di raccomandazioni varie ed eventuali.
La serata migliore di tutta la settimana, insomma: difatti, Dominic ne aveva approfittato per farsi un giro in città – non aveva voglia di tornare a tapparsi in casa, anche se in realtà non aveva neanche voglia di bighellonare da solo a zonzo per le strade di Teignmouth... Ma, in sostanza, meglio uno schifo di città semideserta piuttosto che uno schifo di bicocca semideserta - fino all'ora di cena.
Solito cigolio del cancelletto scassato, solito energico colpo nel tentativo di incassarlo decentemente.
- Dovreste riaggiustarlo.-
Dominic cadde quasi all’indietro per la sorpresa, battendo la schiena contro la staccionata.
- C-che… Che diavolo ci fai qui? - balbettò all’indirizzo dell’intruso, stringendosi il giaccone all’altezza dello sterno e chiudendo gli occhi nello sbuffare cauto un soffio d’aria.
Matthew Bellamy si alzò dallo scalino del porticato, le mani in tasca e i capelli selvaggiamente alla deriva nel vento che alla fine si era deciso ad alzarsi.
- Facevo una passeggiata.-
- Non si cena, a casa tua?- gli domandò Dominic guardingo, accorgendosi nel frattempo con sollievo che il suo cuore era regredito al ritmo di sempre.
Ad ogni modo, rimase opportunatamente rivolto verso il cancello... La prudenza innanzi tutto.
Bellamy chinò il capo da un lato, replicando: - Sì, però molto presto… Sai, per via della nonna.-
- Uh… Ok. Comunque… Sul serio, che ci fai qui?- ripetè Dom, visto che la risposta precedente non era di sicuro fra le più esaurienti: intanto, squadrò l’interlocutore dalla testa ai piedi.
Bellamy sembrava tranquillo, come se veramente nel suo cervello non si aggirasse un pensiero diverso da quello di una semplice passeggiata nel bel mezzo di quella spaventosa tramontana… E di intrufolarsi nella proprietà di Dominic.
Lo sguardo di questi cadde sulla finestra illuminata dei Bradford - se avesse avuto bisogno di soccorso, sarebbe bastato urlare.
- Ti ho lasciato un biglietto... Però mi è venuto in mente che forse era meglio parlarsi di persona. - constatò Matthew, tentando inutilmente di riavviarsi i capelli dietro un orecchio.
- … lo hai letto? -
Dominic cercò freneticamente una risposta che non fosse "sì, ma l'ho gettato via perché non mi passa proprio per la testa di accettare un invito per chissà cosa da te".
Senza attendere conferme, Bellamy sorrise e commentò con tono sommesso: - Evidentemente, la compagnia di Wolstenholme è più allettante della mia. -
- Conosci Chris?- si lasciò sfuggire Dominic, prima di porre il ben più interessante interrogativo: - … mi stai spiando?-

certo che sì, sapeva anche dove abitava!
- Spiando? Oh, andiamo! Abitiamo a Teignmouth, qui il concetto di “spiare” non esiste… È tutto inevitabilmente esposto agli occhi di tutti!- rise allegramente Matthew, aggiungendo poi malizioso: - Ti dà fastidio che vi si veda insieme? Hai qualcosa da nascondere, Dom?-
- Che cazzo… Cioè, che cosa dici? No!- si agitò l’altro, iniziando a sentirsi ben più seccato di quanto fosse all’inizio.
Avrebbe dovuto cacciarlo sin dall’inizio, altro che fare salotto in quella maniera!
Chissà che diavolo voleva davvero, poi…
Vederlo, tsk! A malapena si guardavano in faccia, quando si incontravano nei corridoi del liceo.
- Senti, si è fatto tardi, io devo cenare e tu devi tornartene a casa, perciò…-
- Non
devo tornare a casa. - obiettò con strano tono orgoglioso Bellamy, raddrizzando dignitosamente la schiena.
- Ma io
devo cenare, quindi vedi di sparire, ok?- sbottò alla fine Dominic, pentendosi di quanto detto appena pronunciata l’ultima sillaba.
Ecco. Aveva appena sclerato ad una persona da poco tornata da un istituto d’igiene mentale.
Poteva reagire in qualunque modo. Poteva avere con sé qualunque cosa per fargli del male.
E che avesse la stazza di un fringuello poco importava, quando si fosse fatto cogliere da un raptus omicida.
Bellamy era immobile e rigido, lo sguardo vuoto ed impassibile di chi non capisce cosa gli si richiede.
Poi le sue spalle minute si rilassarono, mentre sospirava un mite: - Scusa… Non sono granchè abituato a relazionarmi con le persone. In realtà avrei dovuto aspettare di vederti domani mattina, per parlarti. Scusa.-
Le labbra di Dominic si unirono e separarono diverse volte, nel tentativo di dare forma ad una frase dotata di un significato, e alla fine si ritrovò a boccheggiare un perplesso ma sollevato: - Ok… Cioè… Ok, sì, se per te va bene…-
- Domani mattina, prima delle lezioni. Davanti al tuo armadietto, tanto so dov’è… – stabilì Matthew, prima di oltrepassare Dom per avviarsi verso il cancello.
Lo sfiorò appena, un lieve contatto spalla contro spalla, ma Dominic sobbalzò lo stesso, senza poi voltarsi a salutare il compagno.
Cigolio di ingranaggi difettosi.
- A domani, Dominic.-

Zono rappreddada. *sniff*

A parte quest'informazione di rilevanza assolutamente eccezionale, non ho altro da dirvi se non che a partire da questo capitolo la trama comincerà finalmente ad entrare un po' nel vivo e... Grazie, grazie, grazie mille, come sempre. :)

A presto, cheers! :*

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Capitolo 5
*** Pressione critica ***


Pressione critica


L’indomani, quando la sveglia suonò, il primo pensiero che sorprese Dominic riguardava Matthew Bellamy.
Il secondo, riguardava la disperata ricerca di un modo per evitare di incontrarlo.
Dominic si alzò in piedi svogliatamente, lasciando le coperte a raffreddarsi sul letto vuoto mentre infilava la porta del bagno.
Alzò gli occhi verso lo specchio emettendo il solito, lapidario verdetto.
Che cesso.
Insulsi capelli biondi da canonico angioletto, orecchie enormi, occhi altrettanto grandi e troppo rotondi, troppo grigi-blu-verdi o chissa cos’altro.
Se gli occhi erano lo specchio dell’anima, nella sua la gente cosa avrebbe potuto scorgere?
Un colore troppo sfuggente per essere catalogato, una forma troppo infantile per appartenere ad un ragazzo in procinto di diventare uomo.
Che cesso.


Sulla strada per il liceo Dom camminò a testa bassa contro il solito vento, riflettendo sul da farsi mentre cartacce e foglie morte si rincorrevano all’impazzata sul marciapiede.
In realtà non c’era un modo alternativo di risolvere la questione se non accettando l’idea di incontrare Bellamy.
Davanti al tuo armadietto, tanto so dov’è.

non che la cosa non lo inquietasse, ovviamente.
Man mano che la sagoma dell’edificio scolastico si faceva più incombente all’orizzonte, il ragazzo si sentiva più trepidante.
Sperando che tutto andasse bene, Dominic entrò a scuola con un sospiro.
Un post-it giallo fu tutto ciò che trovò arrivato al proprio armadietto.
L'ormai familiare calligrafia contorta e riccioluta ornava il foglietto con poche, telegrafiche parole: “Oggi pomeriggio alle cinque a casa mia, così ci prendiamo il tè.”

cosa?

Dominic staccò il foglietto dallo sportello per guardarlo più da vicino.
Aveva letto bene, si parlava di un invito per un tè a casa di Matthew Bellamy.

C’era da sperare che nessuno l’avesse visto affiggere il post-it… Anzi, per correttezza d’informazione, c’era ben poco da sperare.

Nel tragitto dall'armadietto fino all'aula di inglese, ebbe modo di considerare che dopotutto non era scritto da nessuna parte che fosse obbligato a prendere il té da Bellamy – che poi, quanto era ridicola la cosa... Un invito per un té. Di chi era stata l'idea, di sua nonna? E poi di cosa avrebbero parlato, del prezzo dei pasticcini e della pioggia?
Non aveva affatto senso. Come tentativo di fare amicizia – sempre che in realtà non fosse una trappola di qualche tipo progettata per chissà quale infimo motivo - faceva davvero acqua da tutte le parti. E poi, perché proprio lui? La popolarità di cui godeva a scuola sfiorava lo zero, nessuno lo avrebbe cercato per un... Dio... Tea party.


Suonò l'ultima campanella.
Dominic perse ancora più tempo del solito a rimettere a posto il suo banco, lisciando con cura le copertine dei libri nell'infilarli in borsa per evitare le orecchie e sistemando le penne con la punta rivolta nello stesso verso dentro l'astuccio.
Era rimasto solo, dalla finestra vedeva i ragazzi che uscivano dal portone per invadere il cortile adiacente all'edificio scolastico, gli ombrelli aperti e colorati come cappelli di funghi da fiaba. Forse fra loro c'era anche Bellamy. Si era fatto piuttosto tardi, dopotutto, fra una matita ed una piegolina da lisciare ovviamente non allo scopo di perdere tempo.
Si prese qualche secondo supplementare per guardarsi attorno: file ordinate di banchi vuoti davanti alla cattedra come anatroccoli di fronte a mamma anatra, vecchi planisferi ingialliti appesi alle pareti – parte dell'Oceania era strappata, un brandello di Australia era stato incollato al suo posto giorni prima – un termoconvettore grigio ed un po' scassato sotto al davanzale della finestra.
- Ci vediamo domani, allora... - sussurrò fintamente amorevole alle pareti macchiate dalla colla del nastro adesivo e infilzate da qualche sporadico chiodo.

Ad ogni passo che lo portava più vicino all'uscita della scuola si sentiva più tranquillo.
I corridoi erano deserti, tranne per il bidello che fumava appoggiato alle porte dei bagni maschili, accanto al suo secchio dello straccio: il cortile, attraverso la porta a vetri in fondo, appariva completamente vuoto.
Nel tragitto da compiere prima di infilare l'uscita, comunque, Dom ritenne più saggio accertarsi di aver schivato il pericolo tanto temuto dalla posizione privilegiata nella quale si trovava.
Nessuno seduto sulle panchine, nessuna macchia di colore sospetta dietro i cespugli e gli alberi erano troppo sottili per fungere da nascondiglio persino a quella cosetta striminzita di Bellamy.
Alla fine, ritenendosi al sicuro, spinse la porta con un sorrisetto soddisfatto sul volto.
- Cavolo, ce ne hai messo di tempo. -
Il muro, accanto all'uscio. Quello non si poteva controllare dall'interno.
Sentendosi come il protagonista di un pessimo action-movie televisivo, Dom si voltò molto lentamente verso chi aveva parlato combattendo l'impulso di darsela a gambe.
Almeno, che cercasse di affrontare la sfida da uomo.
Matthew Bellamy si stagliava contro l'intonaco della parete dietro di sé in tutto lo sfavillante cattivo gusto del suo enorme maglione a righe giallo, rosso e nero.
- Potevi avviarti... Ti avrei raggiunto. - mentì spudoratamente Dom, restando immobile al proprio posto.
Bellamy trotterellò verso di lui, aggiustandosi lo zaino sulla schiena.
- Be', visto che dobbiamo fare lo stesso tratto di strada tanto vale farla in due, no? - argomentò spiccio, prima di ricominciare a camminare verso la fermata dell'autobus.
Quando si accorse che Dom non si era spostato di un millimetro, si girò ad incitarlo.
- Andiamo? Nonna avrà già messo l'acqua sul fuoco! -
In quel momento, in uno scatto tardivo d'orgoglio, Dom ricambiò lo sguardo dell'altro il più fermamente possibile.
- … cosa vuoi da me? - sbraitò velocemente, per non aver tempo di ripensarci.
Bellamy spalancò gli occhi, sorpreso; i libri che stringeva sottobraccio quasi gli caddero a terra.
Uno a uno, palla al centro.
Mantenendo la stessa distanza, Dom prese coraggio e ripeté: - Sul serio, cosa vuoi? -
Stava andando bene, cazzo... Più che bene! Forse si trattava di quel tipo di nerbo che si tirava fuori solo nelle situazioni più estreme, tipo calamità naturali o visite di ladri e via discorrendo.
L'avversario sembrava sconcertato; si grattò la sommità del capo, aggrottando le sopracciglia.
- Tu... Tu mi stai perseguitando. - lo accusò Dom, indicandolo per buona misura con un indice puntato che voleva essere intimidatorio ed autorevole.
Credici, Howard. Non può essere così difficile.
Bellamy replicò in tono scettico: - … era solo un invito per un té. Non mi sembrava una lettera... Anzi, un post-it minatorio. -
- Certo... E perché mai avresti dovuto invitarmi? Non siamo amici. -
- Be', da qualche parte dovremo pur cominciare, no? -
- Cominciare a fare cosa? -
- Va bene, va bene... - Bellamy alzò le mani, abnormi come i suoi piedi ed il suo naso che spiccava adunco sul musetto da roditore curioso.
- … scusami. Le mie “abilità sociali” sono un po' “arrugginite”. -

a dir poco.
- … in realtà volevo proporti un affare, e volevo farlo con lo stomaco pieno e magari seduti comodamente... Tanto per metterti un po' a tuo agio, visto che sembri sempre sulle spine quando ti sto attorno. -
- L'ultima volta che mi sei “stato attorno” ti sei intrufolato in casa mia. - puntualizzò Dom.
- Nel tuo giardino, Howard, e solo perché il cancello era rotto. -
Questo implicava forse che se si fosse trovato anche una porta rotta di fronte non avrebbe esitato ad entrargli in casa...?
- Sai, è proprio per questi precedenti che mi chiedo che tipo di affare vorresti propormi. -
Bellamy scrollò le spalle, e disse tranquillamente: - Non è illegale. -
Fu a quel punto che Dom decise di averne abbastanza: sistemò lo zaino sulla spalla e apostrofò l'altro sarcasticamente: - Grazie, adesso mi sento più tranquillo. Ciao. -
- … ehi, dove vai? -
- A casa. -
- Non vuoi saperne di più? -
- No, grazie. -
Dopo un'entrata di scena ben poco dignitosa, Dom cercò di andarsene con più classe possibile: si impedì di voltarsi verso Bellamy, nel dirigersi verso la fermata dell'autobus – e se anche lui dovesse prendere il bus per tornare a casa? … potrei farmela a piedi. Non è così lontano, in fondo.
Il fatto che dietro di lui non sentisse alcun rumore di passi e l'idea conseguente che l'altro fosse rimasto fermo a fissarlo in silenzio mentre si allontanava, però, lo fecero sentire lo stesso un po' in colpa.
Ci ripensò mentre a cena sua madre stilava l'entusiasta resoconto della visita di un alto prelato giù al negozio in cerca di quaranta tonache in raso bianco trapunte d'oro per la messa di Natale – aveva intenzione di rivestire il coro diocesano a nuovo e bla bla bla - e anche quando accese la TV in soggiorno e la spense un'ora e mezza più tardi per andare a dormire.
La stessa fastidiosa sensazione che aveva provato quando aveva praticamente riso in faccia a Bellamy in biblioteca, solo più forte. Ecco cos'era.
Bah. Non posso farci niente se gli piaccio e lui non piace a me. Come se poi gli avessi dato mai corda.
Sbadigliò, rintanandosi sotto le coperte fino a coprirsi anche la fronte.
- Le opere di carità le lascio a mia madre, io non sono un benefattore. - biascicò sottovoce, con un mezzo sorriso sbuffato e gli occhi già chiusi.


Il giorno dopo sull'armadietto di Dom non c'era alcun bigliettino bislacco, ma qualcosa di molto peggio.
Quando lo vide arrivare, Bellamy gli rivolse un allegro “Buongiorno!” e si allontanò solo quel poco che serviva a Dom per aprire lo sportello – gesto che a quest'ultimo riuscì di compiere solo dopo qualche secondo di terrificato stupore.
Sforzandosi di non dare a vedere ulteriormente quanto fosse confuso e contemporaneamente cercando una frase qualsiasi da utilizzare per scoraggiare una volta per tutte l'altro, fece cadere il libro che gli serviva a terra.
Bellamy si chinò a raccoglierlo, commentando con una smorfietta disgustata: - Ugh, odio il francese. Sono una schiappa con le nasali. -
- Che ci fai qui? - finalmente sputò Dom, guardandosi attorno nervosamente.
- Frequentiamo lo stesso istituto, nel caso non te ne fossi accorto prima. - gli rammentò l'altro, prima di chiedere con aria casuale: - Dormito bene? Fatto bei sogni? -
Lo sguardo di Bellamy assunse un familiare brillio malizioso, da folletto impertinente.
- La notte ha... Portato consiglio? -
Cogliendo l'allusione al volo, Dom borbottò: - Non ho cambiato idea. È una cosa che non sta in piedi. -
- Ma se non sai nemmeno di cosa si tratta! -
- Senti... Mi dispiace, ok? Ma qualsiasi cosa tu abbia in mente non sono la persona che fa al caso tuo. -
E mi piacerebbe che tu lo capissi una volta per tutte.
L'espressione di Bellamy cambiò: scrutò Dom per un istante, per poi affermare pensieroso: - È buffo... Sai, tu sei molto fortunato. Hai tutto per poter piacere alle persone, ma non hai nessuno accanto. -
Punto sul vivo, Dom sbottò: - Sai cos'è più buffo? Il fatto che ci saremo parlati sì e no quattro o cinque volte e già pretendi di sapere tutto di me. -
Ripeté la performance del giorno prima – l'uscita di scena à la John Wayne – ma fu costretto a fermarsi due passi più tardi.
- Dominic James Howard. Nato il sette dicembre del millenovecentosettantasette a Stockport. Suoni la batteria. Tua madre è un personaggio in vista, qui a Teignmouth. Sei un ottimo studente, ma manchi di iniziativa riguardo il campo sociale. Fai schifo a calcio. -
Per l'ennesima volta, Dom era senza parole.
Si voltò verso Bellamy, il quale si giustificò con semplicità: - Mi sono documentato. -
Il cuore di Dom cominciò a pompare più velocemente e la faccia gli si imporporò fino alla punta delle orecchie.
- Non hanno fatto un buon lavoro, gli psichiatri... Forse dovrebbe pensarci la polizia. - sibilò, rabbioso ed impaurito allo stesso tempo.
Bellamy rise, liquidandolo con leggerezza: - Ma piantala... Sono più lucido di te e di tutti gli scimuniti che mi... Che ci ridono dietro, credimi. -
- Credi davvero di somigliarmi? -
- No... Sono più coraggioso, io. -
Dom strinse le labbra, scuotendo il capo.
- Sei fuori di... -
-... testa? Ti piacerebbe. -
La campanella della prima ora suonò: Bellamy iniziò ad avviarsi lungo il corridoio, esclamando: - Ho il compito di algebra... Fammi gli auguri! -
- Fottiti. - ringhiò Dom: per tutta risposta Bellamy gli indirizzò una breve pernacchia, riprendendolo ironicamente: - Cafone. -


La questione era seria. Aveva uno stalker alle calcagna che conosceva i suoi movimenti, il suo indirizzo, la sua famiglia... Tutto ciò che non avrebbe dovuto sapere di lui. L'idea di andare alla polizia forse restava lo stesso prematura, ma... Se Bellamy avesse avuto intenzione di fargli del male? E poi... Oh, cazzo, avrebbe dovuto stare a sentire in cosa consistesse lo stupido affare che intendeva proporgli e non scappare via senza dargli alcuna soddisfazione!
Che cazzo faccio, adesso?
Immerso nei suoi pensieri angosciati, sobbalzò violentemente quando avvertì una mano su di una spalla che gli impediva di entrare in aula, al sicuro.
Dietro di lui, per qualche benevolo disegno del fato, trovò solo Chris.
- … ehi, ciao. - ansimò letteralmente Dom, sollevato.
Si lasciò abbrancare dall'altro senza protestare, grato dell'inconsapevole protezione che gli era fornita nonostante in teoria non ve ne fosse più bisogno – ma chi poteva dirlo? Magari Bellamy non aveva nessun compito di algebra e forse...
- Ciao! Allora, hai ancora problemi con le macchinette? -
- No, scherzi? Adesso le patatine le compro al bar qui all'angolo, semplice. -
Entrambi ridacchiarono al ricordo delle patatine incastrate nel distributore; poi Dom chiese: - Come va con Bowman? -
- Si sopravvive. Gli sto simpatico, ed ancora non capisco perché... E tu? Sempre alle prese con i libri? -
- Già... E magari stessi simpatico a Lady Menopausa! Anche se in realtà lei odia tutto l'universo mondo, perciò... -
Chris scoppiò in una risata roboante, ripetendo: - Lady Menopausa! -
Toh, l'aveva fatto ridere. Ultimamente, la sua vita era ricca di sorprese.
- Uhm... Ora vado. - annunciò controvoglia Dom.
- Anch'io, sono già in ritardo... Ci vediamo giovedì, allora, oppure in giro. -
La stretta di Chris sulla spalla sinistra di Dom era dolorosamente affettuosa – non conosceva la propria forza fisica, in tutta evidenza.
- … fatti vivo. -
Quando Chris si dileguò lungo le scale che davano accesso ai piani supertiori, le paranoie di Dom tornarono intatte all'attacco: guardandosi attorno furtivamente, entrò in classe alla svelta.


Solo quando, prima dell'ultima campanella, dal cielo iniziarono a cadere le prime gocce di un fitto, gelido acquazzone Dominic ricordò di non avere un ombrello a portata di mano – era rimasto nel portaombrelli a casa, poiché in primis delle volte sapeva essere tremendamente sbadato e poi perché non avrebbe mai imparato a diffidare delle previsioni del tempo: per il secondo giorno di fila si ritrovò ad uscire per ultimo da scuola, nella vana speranza che le nubi si diradassero.
Dopo una mezz'oretta trascorsa a spiare il temporale dalle finestre della sua aula, Dominic decise di uscire a sfidarlo apertamente, accogliendo a braccia aperte il probabilissimo secondo raffreddore della stagione.
Cosa era più irritante, la giacca a vento che lo stava facendo morire di caldo mentre correva come un forsennato verso la fermata dell'autobus o il vento che gli spingeva la pioggia contro il viso?
Nessuno dei due: l'autobus che, dopo essersi fatto attendere per un buon quarto d'ora e aver preso ogni maledetta buca della maledetta strada verso casa, lo scaricò a destinazione stravinceva su entrambi.
Zuppo e rabbioso come un gatto costretto a fare il bagno, Dom marciò dritto verso il cancelletto del suo giardino, il cappuccio della giacca calato sulla fronte che oscurava qualunque cosa non fosse l'asfalto del marciapiede e le staccionate.

ed un paio di piedi enormi.
Non ebbe neanche bisogno di alzare lo sguardo per riconoscerne il proprietario.
- I Fixed Cosi fanno cagare. -
Matthew Bellamy, stavolta appoggiato al cancello ed avvolto da un ridicolo, enorme k-way arancione, rispose all'espressione allibita di Dom allargando le braccia.
- Che c'é? Non sono entrato, stavolta! -
Era troppo.
La pioggia, l'autobus, il sudore che al momento colava silenzioso e fastidiosissimo lungo la schiena e gli infradiciava i capelli sulla nuca ed un fottuto stalker?
No, no, cazzo. Era davvero troppo persino per i suoi standard.
Ignorandolo completamente, e mettendo a tacere la vocina che gli consigliava al contrario di piazzargli una ginocchiata fra le palle, aprì il cancello in silenzio e sgattaiolò dentro senza che l'altro cercasse di fermarlo o di intrufolarsi di nuovo in giardino assieme a lui.
Si limitò ad apostrofarlo: - Tu sei più bravo di Wolstencoso. -
Dom stava cercando le chiavi della porta in tasca; una manciata di secondi e si sarebbe trovato dentro, al sicuro, a digitare il numero della polizia sul telefono e ad attendere i soccorsi preparando nel frattempo un bel té caldo o liberandosi semplicemente delle sue scarpe infangate e...
- Primo, non è Wolstencoso e secondo non ti voglio né qui dentro né lì fuori né a scuola né... Cristo, sparisci una volta per tutte! -
Non aveva intenzione di urlare, né tantomeno di sbattere il cappuccio all'indietro e tornare sui suoi passi per fronteggiare quel... Quel mostriciattolo arrogante che... Che...!
La pioggia sulla fronte bollente era un sollievo. Almeno questo.
- Voglio fondare una band. -
Anche sotto la plastica arancione dell'impermeabile, gli occhi di Bellamy brillavano azzurri e fermi.
Dom ansimava, non sapendo come agire.
- E quindi? -
- Vuoi farne parte? -
L'affare importante di cui cianciava era questo, insomma.
Aveva ragione, dopo tutto: non era niente di illegale.
- Io... No! - esclamò stridulo Dom, asciugandosi inutilmente le sopracciglia con i palmi delle mani.
- Ok, mi rendo conto che ti ho colto un po' di sorpresa. - gli concesse Bellamy, un accenno di sorriso sulle labbra strette.
Dom ribadì, tremando: - Non mi hai colto in nessun modo, la risposta è no! -
- Perché non vuoi rifletterci neanche per un secondo? -
- Perché... Perché sei
pazzo! -
- Me l'hanno detto talmente tante volte che non ha più alcun senso, per me. -
Bellamy incrociò le braccia sul petto, scuotendo il capo.
Era rimasto ben poco da dire – anzi, nulla.
Dom si voltò meccanicamente verso la veranda, iniziandone a salre i gradini.
- Domani... - tornò alla carica l'altro, prima di essere zittito bruscamente.
- Domani un cazzo! -

Non si accertò nemmeno che Bellamy se ne fosse andato: Dom si infilò in bagno, si spogliò e fece una doccia calda al limite dell'ustione.


Ferme con quelle uova! Qualunque cosa mi abbia tenuto alla larga da questa fic non dipende dalla mia volontà, che sia il diritto internazionale od un brutto caso di blocco dello scrittore! XD
Detto ciò... Non vedevo l'ora di lasciarmi alle spalle questo capitolo, lo ammetto – mi sfugge il numero preciso di quante volte l'abbia riscritto, riletto e odiato appassionatamente.
Per chi è fan di Supernatural... Prima di tutto BRAVA/O *O*! Ed in secondo luogo ho seminato una citazione, ad un certo punto. Suggerimento: è in un dialogo. :3

Fuggo. L'ov a pioggia su chi segue ancora tutto questo. Siete un balsamo per l'ego di questa studentessa stanca e triste, nonché puccini e dolciosi e vi vu bì. XD

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Capitolo 6
*** Principio di inerzia ***


Principio d'inerzia

- Era un tuo amico, quel ragazzo? -
Dominic smise di tormentare la sua insalata con la forchetta, che dall'inizio della cena non aveva neanche assaggiato, e sollevò lo sguardo dal piatto.
Diane lo fissava, il capo inclinato da un lato e le posate in mano, pronte ad attaccare la bistecca che aveva davanti.
- … un compagno di classe. - precisò Dom, con un sorriso tirato.
L'ultima cosa che voleva era che sua madre si mettesse a fare osservazioni sulle compagnie che frequentava – fortunatamente, non aveva riconosciuto Bellamy. Era già abbastanza seccante che avesse assistito allo scontro dalla finestra del salotto, nascosta dalle tende: se l'avesse saputo si sarebbe contenuto, in qualche modo... Forse.
Dom si inumidì le labbra, bofonchiando: - Ero arrabbiato. -
Ad essere del tutto sinceri, non si era nemmeno sfogato fino in fondo. Se l'orario non glielo avesse impedito, la sua batteria avrebbe preso tutte le botte che avrebbe volentieri destinato a tutt'altro soggetto.
- Che novità. -
Prima che Dom potesse replicare, si vide sbattere letteralmente sotto il naso il macinino del pepe che troneggiava accanto alla caraffa dell'acqua al centro del tavolo.
- Pepe di Caienna? Anche se non si direbbe si sposa molto bene, con la lattuga. -


Ciò che era accaduto quella sera aveva scosso i nervi di Dom più di quanto non volesse ammettere, nemmeno con sé stesso.
A scuola, ormai, controllava automaticamente che nessuno lo stesse seguendo o spiando – laddove “nessuno”, ovviamente, stava ad indicare una persona in particolare; nonostante tutto i giorni si succedevano scialbi e tranquilli come se nulla fosse cambiato tranne il suo umore, decisamente orientato verso una leggera paranoia che pian piano scomparve a favore di un rinnovato senso di sicurezza.
Se avesse trovato prima il coraggio di cantarle a Bellamy, invece di crogiolarsi in paure inutili...
Era solo un tipo un po' disturbato il quale non aveva ancora chiaro in testa il fatto che perseguitare le persone non fosse il modo migliore di guadagnarsi la loro fiducia ed amicizia. Era bastato fare la voce grossa per costringerlo a desistere e tornare alla sua solita, monotona ma sicura routine.
Lo intravedeva solo in corridoio, durante i cambi d'ora, o a mensa. Come in uno stupido film americano ambientato in un liceo scolastico, Bellamy era il ragazzo emarginato che mangiava da solo in un angolo. Almeno, la sua nomea gli forniva uno scudo virtuale da ogni possibile presa in giro – dare in escandescenze gli era servito a liberarsi dei dispetti cretini dei bulletti della scuola.
Anche se non incontrava nemmeno il suo sguardo, in quei casi, Dom non poteva fare a meno di sbirciarlo dal suo personale ed altrettanto solitario angolino dello sfigato.
Forse Bellamy vedeva in lui un compagno di sventura, uno spirito affine... Il che era senz'altro scorretto, perché perlomeno lui aveva una storia interessante, dietro. Dom, neanche quella.


Quel giovedì pomeriggio, Chris sfrecciò a testa bassa oltre la porta della biblioteca dalla quale Dom stava per uscire, senza dar mostra di essersi accorto della sua presenza sulla soglia.
Senza stare troppo a pensarci, Dom lo richiamò con un incerto: - Ehi. -
Chris si bloccò immediatamente, voltandosi.
Era accigliato, ed aveva i pugni serrati lungo i fianchi: subito dopo, però, sembrò rabbonirsi nel mormorare: - Oh, scusa, non so dove ho la testa... Ciao, come stai? -
Dom si pentì di averlo fermato – avrebbe dovuto capire che non tirava l'aria giusta per quattro chiacchiere di fronte alla macchinetta.
Però, che diamine, ormai era fatta.

- Potrebbe andare meglio. - si guardò la punta dei piedi, un po' imbarazzato.
- A chi lo dici... Lo stronzo ha deciso che non venire ad una prova è sufficiente per essere inseriti sulla sua lista nera personale. - si lamentò Chris, cacciando poi un lungo sospiro esasperato.
Continuò poi a parlare, stavolta con l'ombra di un sorriso sul volto stanco: - La volta scorsa ho saltato... Avevo le
mie prove, con la mia band. Fixed Penalty. -
Quel nome non suonava per niente sconosciuto alle orecchie di Dom.
- Mai sentiti nominare? -
I Fixed Cosi fanno cagare. Tu sei più bravo di Wolstencoso.
- … no, mi spiace. -
Chris non sembrò prendersela: si riaggiustò i riccioli sulla fronte, i quali ricaddero un istante dopo al loro posto.
- Figurati... In realtà come sound siamo ancora in fase di perfezionamento e... -
Si fermò nel bel mezzo del discorso, ammettendo poi:
- … ok, siamo una merda. È per questo che dobbiamo provare parecchio e spesso mettersi d'accordo con gli orari e i giorni è un macello per via della scuola e via discorrendo. -
Dom, mentre annuiva comprensivo, si chiese cosa fosse la repentina, fastidiosa fitta che gli puntellò la pancia in quel momento.
Ah, ok. Solo una pugnalata d'invidia alla bocca dello stomaco, niente di cui preoccuparsi.
Raggiunto il distribuitore delle merendine, Chris sembrò aver recuperato un po' del suo usuale buonumore.
- Bene, ti ho tirato su di morale... Adesso tocca a te. Hai bisogno di sfogare un po' di frustrazione? -
Dom scosse il capo, affermando ironico: - Credo di stare sviluppando un'allergia alla polvere ed alla carta... Per il resto tutto a posto. -
Il Mars di Chris piombò sonoramente sul fondo della macchinetta: prima di raccoglierlo, il ragazzo diede una breve occhiata a Dom per poi dire: - Posso farti una domanda? Così, per curiosità. -
- Uhm... Ok. -
- Te la fai con Matthew Bellamy? -
Quando Chris notò l'espressione di Dom, alzò le mani e precisò: - Non in quel senso, eh... Solo che vedo che ti gironzola attorno, da qualche tempo. Ti fissa molto, poi, in corridoio. -
-... davvero? - riuscì a spiccicare Dom, immobile e con gli occhi ancora sbarrati dallo stupore.
Di tutte le cose che potevano succedergli...

no, ok, la più sconcertante era ormai vecchia di qualche settimana ma quest'ultima era davvero, davvero, davvero un fulmine a ciel sereno – o forse no? Stupida, minuscola, tutti-sanno-tutto-di-tutti Teignmouth.
Chris non fece che confermare l'idea di Dom sulle lingue troppo lunghe dalle quali la scuola e l'intera città erano infestate senza speranza di potersene liberare una volta per tutte.
- Credo tu sia l'unico in tutta la scuola a non sapere della cotta di Matthew Bellamy per Dominic Howard del terzo anno. - ridacchiò, scartando il Mars.
All'altro era passato l'appetito, ed attendeva ulteriori spiegazioni.
- Quindi... -
- Ripeto, non so se lui abbia davvero certe tendenze, però... -
- … però? -
D'improvviso, Chris non dovette più trovare la faccenda così divertente: agitò una mano come a scacciare via ogni traccia delle chiacchiere appena evocate, bofonchiando a bocca piena: - Senti, sono solo pettegolezzi, lascia stare. -
- Riguardano me? - insisté Dom, cercando di capirci qualcosa.
- Oh, Dio... Non ti piacerà. -
- Che cosa? -
Chris tacque per un po', come a cercare il modo giusto di comunicare a Dom una notizia che sapeva sarebbe stata molto, molto sgradita.
Alla fine, riluttante, sputò il rospo.
- C'è chi crede che tu sia un po'... -
Non c'era neanche bisogno che tirasse fuori il gesto classico e non molto elegante del toccarsi l'orecchio, in realtà – Dom seppe subito dare la giusta interpretazione alla reticenza di Chris.
Senza dubbio, era quello il vero fulmine a ciel sereno.
Dom si mise le mani fra i capelli – troppo lunghi, troppo biondi, troppo puliti... Cazzo! - e mormorò: -... Cristo. -
- Dai, seriamente... È quella vacca di Julie che mette in giro delle voci solo perché non le sbavi dietro come tanti altri. - argomentò placido l'altro, per consolarlo.
Certo. Lui che era più alto di una spanna ed aveva già la barba che gli cresceva da una parte all'altra del viso fino a metà guancia e soprattutto non attirava l'attenzione di piccoli esaltati dal dubbio orientamento sessuale poteva permettersi di restare calmo.
Parlano di me... Anzi, di me e di Bellamy. Come se ci fosse davvero un “me e Bellamy” di cui parlare.
- Per quello che vale, mi sembri etero. Certo, con i capelli più corti faresti un altro effetto, ma... Cioè, non lo so. -
Grazie dell'aiuto, bello.
- Io devo trovare quel mostriciattolo... Giuro che lo farò a pezzi. -
- Non è colpa sua se Julie e chiunque l'ascolti sono dei cretini, eh. -
Chris gettò la carta del Mars nel cestino accanto a lui, e fece per tornare da Bowman; non prima però, di dispensare a Dom un consiglio.
- Tu apri le orecchie, ogni tanto, e non guardare sempre in basso quando cammini. -

Dom lo seguì, a partire dall'indomani.

Non gli era mai risultato tanto gravoso alzarsi al mattino ed andare a scuola, neanche quando temeva di vedere Bellamy spuntare dietro una porta, un armadietto, un vaso, un altro studente assieme al suo incisivo storto e le sue proposte idiote.
Stavolta, era tutto un dannatissimo liceo ad andargli contro – per far fronte alla situazione, l'unica era davvero provare a scrutare un minimo l'ambiente nel quale trascorreva la maggior parte della sua vita.
Così, Dom si impose di iniziare ad andare in giro a testa alta, dopo aver richiuso il suo armadietto – poteva essere il mini-poster dei Queen attaccato allo sportello a trarre in inganno? Insomma, non bisognava essere gay per apprezzare i Queen, no?
Una ragazza lo guardò per un nanosecondo, e lui sentì forte l'impulso di ritornare alle sue vecchie abitudini.
No. Sguardo fisso in avanti, Dom, devi capirci qualcosa.
Credette di vedere con la coda dell'occhio un gruppetto di tre tizi squadrarlo attentamente e ridere. Un'altra ragazza attirò la sua attenzione – una faccia nuova, ed anche piuttosto carina. Chissà di quale anno era.
Non era male, in fondo, e con un po' di allenamento avrebbe anche smesso di sentirsi come se qualcuno gli avesse infilato un manico di scopa su per il culo allo scopo di fargli raddrizzare schiena e testa, probabilmente.
Il suo ottimismo andò a farsi benedire quando, tra decine di studenti in transito per il corridoio, si trovò di fronte quello dal quale voleva più tenersi alla larga.
- Dominic... Ciao. -
Perché doveva mettersi addosso quei colori così sgargianti, e stridenti? Perché doveva parlare a voce così alta?
Tremando dal nervosismo, Dom mugugnò: - Stammi lontano, io non ho alcuna intenzione di darti quello che cerchi. - e sorpassò Bellamy, il quale tentò di fermarlo afferrandogli una spalla.
- Ma aspetta...! -
Forse avrebbe potuto ascoltarlo – quel particolare, sordo senso di colpa che associava a Bellamy si era ripresentato e gli bruciava sugli zigomi e gli annodava la gola – ma... C'erano quei ragazzi laggiù, e Dom sibilò istintivamente: - Non mi toccare. -
Non era cattiveria, ma... Non era cattiveria, punto.
Era difficile spiegarlo a Bellamy, però.
- “Devi solo chiedere scusa, Matthew, vedrai che ogni cosa si sistemerà”... Seh, come no. -
Acre ed astioso, mentre indietreggiava senza smettere di fissarlo negli occhi, Bellamy sputò: - Scusami, signor Preferisco Dar Retta Ad Una Puttana Bugiarda Qualunque Piuttosto Che Allo Scemo Del Villaggio. -
Si voltò, allontanandosi a passo di carica.
Il pericolo era passato – di quale pericolo si trattava, però, restava un mistero.


A mensa, Bellamy era assente – almeno fisicamente.
Un pettegolezzo rimbalzava di bocca in bocca fra i tavoli, deformandosi ed ingigantendosi ad ogni salto.
- Hai sentito di Bellamy? Oggi ha risposto male ad una prof e dicono che lo rispediranno in istituto! -
-... e ha tirato fuori un cacciavite! Voleva cavare gli occhi alla Geoffrey! -
-... l'hanno trattenuto in tre, a quanto pare sembrava indemoniato... -
- … bestemmiava e si contorceva come un pazzo. Insomma, come sé stesso, ecco. -
Quando arrivò casualmente alle orecchie di Dom, il resoconto del gesto di Bellamy era divenuto un racconto a metà fra lo splatter ed il thriller psicologico: nonostante fosse ormai consapevole di come i suoi compagni di scuola riuscissero a tessere elaborate panzane con la perizia di un cantastorie medievale e quindi fosse preparato a distinguere la tara aggiunta dal resto della storia, qualcosa di vero doveva pur esserci se Bellamy non si era presentato a pranzo, né alle lezioni del pomeriggio, né il giorno dopo e l'altro ancora.
Cosa diavolo gli era scattato nella testa, di nuovo? E perché?

era stata colpa sua?

La Pennyworth era in ritardo. Il che non accadeva da decenni, probabilmente.
Dominic guardò l'orologio, aprendo poi la finestra per scuotere fuori il piumino impolverato.
Forse il suo criceto era morto e stava celebrando il suo funerale – da quanti anni lo aveva in casa? I criceti non vivevano a lungo, no?
Prima di trovare una risposta al quesito, la signora Pennyworth si palesò sulla soglia della biblioteca.
Stravolta e con gli occhiali un po' storti sul naso, attraversò la stanza con una velocità insospettabile, vista la sua stazza, fermandosi di fronte a Dom.
Allungò un indice verso di lui, e sbraitò con il fiato mozzo e gli occhi ridotti a due fessure: - Da oggi in poi non ti allontanerai dall'aula senza un mio esplicito permesso o ordine, giovanotto. -
- Cos... Perché? - ribatté Dom, confuso prima ancora di essere arrabbiato.
Un rumore di passi distrasse entrambi, portando la loro attenzione sull'uscio occupato dalla figurina scarmigliata di un corrucciato Matthew Bellamy.


Capitolo un po' di transizione, definiamolo così. Dovevo far precipitare gli eventi. XD
Come sempre, anche in questo caso mi rimetto al giudizio di chi leggerà il capitolo per capirci qualcosa – quando ti trascini una cosa tanto a lungo non riesci neanche ad essere tanto obiettiva, nel giudicare il tuo operato, quindi... Ok. Mi dileguo e vi lascio il tutto.


Grazie in anticipo, a presto. ♥

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Capitolo 7
*** Pulsar ***


Pulsar

La signora Pennyworth, seduta al solito posto dietro il suo bancone, era in evidente stato d'ansia.
Ogni tanto sbirciava oltre il bordo della sua rivista, cercando con lo sguardo tutt'altro che acuto di seguire i movimenti di Dom e del suo nuovo assistente.
Punizione. Una punizione esemplare che gli avrebbe insegnato a non dare di matto di fronte alle persone sbagliate, a misurare gesti e parole prima di combinare disastri e subirne le conseguenze.
Per Bellamy, a causa dell'incidente con la professoressa Geoffrey, si trattava di due settimane di servizio pomeridiano presso la biblioteca scolastica; per Dominic, si trattava evidentemente di Bellamy stesso – instant karma is gonna get you, come nella canzone.
Almeno il suo incubo ricorrente degli ultimi tempi se la cavava a spolverare, il che costituiva un dettaglio non trascurabile per la riuscita della loro convivenza forzata.
Non aveva ancora rivolto una sola parola a Dom, da quando mezz'ora prima era comparso sulla soglia dell'aula con un broncio da record. Aveva semplicemente ascoltato le istruzioni della Pennyworth e si era armato di scaletta e piumino, accingendosi a svolgere il compito assegnatogli rispettando il più assoluto silenzio.
Un piccolo, diligente automa scazzato che non mostrava troppo interesse nei confronti dell'altro malcapitato, il quale si sforzò di seguire la stessa linea di condotta.


Aveva atteso dentro l'aula per due preziosissimi minuti, ma ad un certo punto non aveva resistito alla tentazione di far capolino nel modo più discreto possibile dalla porta.
Bellamy era ancora davanti al distributore di merendine, con espressione piuttosto indecisa.
Qualche secondo più tardi, digitò finalmente il codice prescelto sulla tastiera numerica della macchinetta e prese la sua stramaledetta merendina.
Mentre la scartava, senza alzare lo sguardo, esclamò: - Non l'ho fatto apposta a finire qui. -
Anche tenendo a mente i suoi precedenti, Dom non credette neanche per un attimo che Bellamy stesse parlando da solo.
Un attimo di indecisione dopo era uscito in corridoio, ostentando naturalezza.
- Come? -
- Non ti sto seguendo... Cioè, non più. E poi non vale la pena di mangiare tutta quella polvere per una causa persa. -
Bellamy sembrò sul punto di sorridere, ma dovette cambiare idea all'ultimo minuto: con lo sguardo fisso sulla sua brioche, aggiunse: - E non sono gay. Sono le ragazze della scuola che mi schifano, tutto qui. -
Dom si tenne a distanza di sicurezza – vale a dire, mosse appena un passo in avanti per poi arrestarsi.
Era un momento piuttosto imbarazzante, a dir poco, ma sapeva che prima o poi si sarebbe verificata una situazione del genere. Il loro non-rapporto si basava su solide basi di goffaggine ed attenzioni moleste non ricambiate.
E chiacchiere altrui, certo.
-... e se proprio dovessi esserlo, perché andare con uno che sembra una femmina? -
La bocca piena della merendina e di un sorriso beffardo appena accennato, Bellamy rincarò la dose di fronte ad un Dom preso in contropiede.
- Dai... Riccioli d'Oro? Raperonzolo? Da quale fiaba sbuchi? -
Alla fine, Dom si riebbe: strinse le braccia attorno al torace, borbottando: - Non mi sembra che il tuo taglio di capelli sia tanto più mascolino del mio. -
- Non ho detto questo. -
Bellamy si pulì le briciole dalle labbra con una manica della felpa, buttando l'involucro di plastica della brioche nel cestino.
Con aria superba, gonfiò il petto fragile e alzò il mento.
- Comunque, le mie scuse te le ho fatte e... -
Dom lo fermò, sciogliendosi dall'abbraccio nel quale si era avviluppato.
- Non mi hai fatto nessuna scusa. - gli ricordò freddamente, offrendo il fianco per una recriminazione nient'affatto infondata.
- Sai, è difficile quando qualcuno continua ad interromperti cercando di cacciarti via a male parole. -
Così come fu estremamente difficile per Dom mantenere il contatto visivo diretto con Bellamy, ignorando allo stesso tempo il bruciore che dalle guance si era esteso fino alla punta delle orecchie.
- … dicevo, ora potresti farmi le tue. -
Nonostante tutto – il senso di colpa, la sensazione purtroppo sempre più concreta di avere esagerato in quella determinata occasione... - Dom non potè fare a meno di chiedere: - E per quale motivo, esattamente? -
- Per essere stato un idiota con me, per i tuoi pregiudizi stupidi, per aver dato un dispiacere a mia nonna... -
- Tu mi seguivi ovunque, mi lasciavi bigliettini e... Tua nonna? -
- Aveva davvero messo su l'acqua per il té. Ci teneva a conoscerti, dopo tutto quello che le ho raccontato. -
Dom tacque, aggrottando le sopracciglia.
Ne aveva davvero abbastanza di essere sulla bocca di tutti, pur avendolo scoperto solo da pochi giorni... L'ultima cosa che avrebbe potuto fargli piacere era far parte dei discorsi di una vecchietta e del suo nipotino. O meglio, il suo nipotino stalker.
Come se l'avesse intuito Bellamy roteò gli occhi, tentando di rassicurarlo in tono sarcastico : - Rilassati... Non ho mai tessuto le lodi della tua inesistente avvenizione fisica. -
- Si dice “avvenenza”. -
- Si, vabbe', hai capito che intendo. -
L'espressione di Bellamy si rabbonì leggermente.
- Le parlo della band, spesso. Del fatto che ho scritto qualche canzone e che voglio imparare a suonare la chitarra classica... Mi sto facendo crescere le unghie. -
- Mhm. -
- Le ho parlato del fatto che sei un batterista in gamba e che forse fra tutti... -
Smise di parlare senza preavviso, come se gli fosse improvvisamente balenato per la testa che non fosse un'ottima mossa scoprirsi troppo: chiuse il discorso commentando con una spallucciata: - Vabbe', sbagliando si impara. -
Quanto era ridicolo, nella posizione occupata da Dom in quel frangente, sentirsi un po'... Offeso, da quella conclusione?
Bellamy si infilò le mani in tasca, dondolandosi avanti ed indietro sui talloni.
Dom volle togliersi una curiosità e spezzare il silenzio.
- Perché hai minacciato la Geoffrey con un cacciavite? -
L'altro smise di muoversi, inclinando il capo leggermente da un lato.
- Prima di tutto non era la Geoffrey ma la Minchin e poi... Cacciavite? Sei fuori? Chi te l'ha raccontato? -
Mezza scuola. Sai com'è... Le voci girano in fretta, qui. Dovresti saperlo.
- Lascia perdere... Perché, comunque? -
- Perché sono pazzo, uuuh! - ululò Bellamy, alzando le mani e scuotendole in un tentativo ironico di impaurire Dom.
Stirò le labbra strette in un ghigno furbetto, prima di rispondere più seriamente: - Mi girava. -
Dom inarcò un sopracciglio, scettico.
- E tu fai tutto quello che ti gira? -
- Sinceramente? No. Altrimenti starei già condividendo un appartamento non mio a Londra con quattro o cinque squatter disadattati come me. -
Fu proprio quello l'istante in cui Chris scelse di fare la propria comparsa.
Non che Dom lo avesse visto: aveva solo avvertito il distintivo clangore della pesante porta dell'aula magna ed una voce allegra che lo chiamava.
- Ciao, Dom! -
Quando Dom si voltò verso il nuovo arrivato Bellamy sbuffò alle sue spalle, mettendosi poi a fissare con indifferenza il cestino dei rifiuti mentre Chris macinava la distanza che lo separava da loro in poche, scattanti falcate.
Sembrava decisamente di umore più rilassato, rispetto all'ultima volta in cui Dom lo aveva visto.
- Ciao. - mormorò quest'ultimo in risposta al saluto di poco prima.
C'era una vibrazione di fondo, nell'aria, o forse piuttosto nascosta fra i pensieri di Dom, un'eco familiare ma anomala di chissà cosa..
Poi, mentre Chris apostrofava Matt con un brevissimo ed impersonale: - Ehilà. - gli sembrò improvvisamente tutto più chiaro.
Il senso di appartenenza. Chris era... Ok, forse “un amico” era troppo ma comunque in qualche modo era... Suo? Faceva parte della sua cerchia di conoscenze, insomma.
L'evidenza dell'estraneità rigida fra Chris e Bellamy era invece palese e stridente e... Avrebbe dovuto fare le presentazioni, forse? Ne aveva il diritto?
cosa cazzo erano tutte quelle seghe mentali?
No, no, non era necessario. D'altronde, erano perfettamente consapevoli di chi si trovavano rispettivamente di fronte.
Piuttosto, era il caso di far partire la conversazione.
- Come procedono i preparativi per il saggio? -
Chris spalancò gli occhi e finse dell'entusiasmo: - Oh, benissimo! Ho solo voglia di andare a letto e morirci dentro, grazie. -
Dom ridacchiò. Bellamy prese a grattare via dello sporco da sotto l'unghia di un indice.
- Quando è sotto pressione è ancora più insopportabile. - sospirò il terzo arrivato, affondando le mani nelle tasche dei jeans larghi e scoloriti.
Dom annuì, commentando a voce alta: - Eh, lo immagino... E invece la band? Come vanno le cose con le prove e tutto? -
Rimpianse di non poter controllare la reazione di Bellamy più attentamente – però era abbastanza convinto che l'accanimento nei confronti delle proprie unghie non fosse così casuale.
- Ah, la band è ok. Stiamo lavorando su un paio di canzoni nuove. - annuì Chris, prima di dare un'occhiata anche lui alle proprie mani come fosse stato contagiato dallo zelo dell'unica persona apparentemente non interessata al discorso.
- Oh... Sono vostre? -
- Naah. Nirvana. -
A Dom non sfuggì la sua smorfietta di disappunto ed il suo tono tutt'altro che convinto.
- Wow, sembri davvero entusiasta. -
- Tutti suonano i Nirvana, da queste parti... Non c'è gusto, è un'altra stupida moda. E poi sentirli cantare da uno a cui i soldi escono pure dal buco del culo non ha senso. -
- Concordo. - quello di Bellamy fu poco più di un sussurro e non diede seguito ad un giudizio più articolato sul quadro della situazione locale appena descritto, neanche da parte di Dom.
Alla fine, Chris scrollò le spalle e tagliò corto: - Vabbe'... Mi fumo una sigaretta al cesso e poi rientro. Ci vediamo. -
Vedere andare via Chris fu desolante e liberatorio allo stesso tempo: avere accanto sia lui che il suo piccolo incubo ricorrente significava… sdoppiarsi. Le uniche due persone apparentemente interessate alla sua esistenza e non al gossip scolastico costruito ad arte da gente senza cervello avevano un modo di approcciarsi a lui diametralmente opposto.
Era come guardarsi dal di fuori e ritrovarsi fra le mani un paio di immagini ben distinte: lo schiavetto della bibliotecaria con il quale era piacevole scambiare qualche parola davanti alla macchinetta delle merendine e... E boh. Un'entità sopravvalutata che gli somigliava ben poco, in realtà.
Lo schiavetto e l'incubo tornarono in biblioteca, il primo con un sorrisino ironico dipinto sul volto ed il secondo fissando il pavimento, il capo chino e le spalle curve.

Mezz'ora dopo Bellamy si rintanò in un angolo nascosto tra gli scaffali della Saggistica, sfogliando le pagine di un librone troppo velocemente per poter davvero coglierne il contenuto.
Poco lontano, troppo accaldato e seccato per esimersi dal farlo, Dom impugnò il piumino minacciosamente contro di lui e lo apostrofò a mezza bocca: - Stai battendo la fiacca, Bellamy. -
Quest'ultimo sollevò quasi solennemente lo sguardo sulle piume sintetiche e sulla polvere lanuginosa che le ricopriva come sudicio zucchero filato, replicando sommessamente: - Dopo tutto quello che abbiamo passato potresti chiamarmi per nome, Dom. -
Dom abbassò la sua arma improvvisata, ironizzando prontamente: - Dopo tutto quello che mi hai fatto passare, vorrai dire. -
Bellamy non rispose, storcendo sdegnoso il naso e voltando pagina rumorosamente.
Un minuto dopo, sussurrò: - Alla fine qualcosa sull'esogenesi c'era... Sei tu che non sai fare il tuo mestiere. -
I passettini veloci della signora Pennyworth attraversarono l'aula, per fortuna senza fermarsi in prossimità della sezione Saggistica.
Entrambi i ragazzi rimasero ad ascoltarne l'eco allontanarsi lungo il corridoio.
- Insomma, non vuoi sapere cos'è? -
- Di che parli? -
- Dell'esogenesi. -
Dom fu sul punto di aprire la bocca per dirgli che no, viveva tranquillamente senza conoscere il significato di un astruso termine scientifico che mai gli sarebbe arrivato alle orecchie se non fosse stato per lui ed i suoi gusti stramboidi in fatto di letture.
Invece la aprì e la richiuse subito perché la voce di Bellamy suonava esasperata e forse disperata, i capelli erano una pioggia scura sul suo volto pallido e sulle sue occhiaie violacee – sembrava non avesse dormito bene o forse era il solito neon ad illividire il suo colorito.
Interpretando il suo silenzio come un tacito permesso, Bellamy si schiarì delicatamente la voce ed iniziò a spiegare: - In realtà si direbbe “panspermia”, ma così sembra una roba pornografica e non mi va di pensare a della roba pornografica con la Pennyworth davanti a me. -
Rise, mettendosi una mano sulla bocca come a frenare in ritardo il suono troppo acuto che aveva già emesso, riprendendo poi a parlare.
- Si tratta di una teoria scientifica... Nello spazio esisterebbero tanti “semi”, per così dire, che nelle condizioni giuste... Arrivando su un pianeta come la Terra, per dire, potrebbero dare origine alla vita. -
- “Semi”? - ripetè Dom, aggrottando le sopracciglia.
Bellamy annuì energicamente.
- Sì... Asteroidi, comete, cose così. Non la trovo così campata in aria, come ipotesi... La Terra e gli stessi esseri umani hanno in comune diversi elementi chimici con le stelle, per dire, e poi boh... L'idea di un oggetto freddo ed inanimato che prende vita grazie ad una collisione del tutto casuale è stupenda. Ti fa pensare che non c'è limite alle possibilità che... Che anche la situazione più estrema, in senso negativo, si possa risolvere un giorno, per caso... E per il più stupido dei motivi. Un asteroide che paragonato alla massa di un pianeta è poco più di sasso vicino ad una montagna. -
Per la prima volta in vita sua, Dom si trovò a desiderare che la signora Pennyworth tornasse dietro il suo bancone al più presto.
Aveva la sensazione che Bellamy non avesse mai declamato quel discorso ad anima viva e la sensazione ancora più netta che avesse il valore dello sbuffo di vapore di una pentola a pressione.
Soprattutto, però, non poteva scrollarsi di dosso un pensiero bizzarro. Cioè, che Bellamy avesse persino più paura di lui.


I tacchetti della bibliotecaria risalirono il corridoio a colpi secchi come le unghie di un cane.
Bellamy sorrise, cambiando pagina.
- Va bene, sto zitto. -




Il lungomare era semideserto, tranne per Dom ed una coppietta di anziani: tutti e tre arrancavano sfidando il vento gelido che spirava dal mare agitato.
Chiudendo le dita a pugno ed infilandole nelle tasche del giubbotto, Dom ricordò improvvisamente che in casa, oltre alla sua piccola, da qualche parte c'era anche una vecchia chitarra acustica – in cantina, probabilmente.
L'aveva utilizzata per l'ultima volta anni prima, cercando come al solito di strimpellare la canzoncina sulla quale suo padre si era fissato... Quella che all'inizio aveva un arpeggino facile facile e che però aveva dimenticato già da un bel pezzo.
Anche suo padre andava in giro con le unghie di una mano lunghe e curate, cinque eleganti artigli rosei e bianchi – la mano destra, perché non era mancino come lui. A Dom veniva da ridere, nel vederlo alle prese con la limetta di cartone di sua madre come la più navigata e persino frivola delle manicure professionali: spesso, limava le unghie persino a Diane. Ci aveva preso gusto.
Suo malgrado, Dom rise di cuore sotto il cappuccio della giacca a vento.
Quando sarebbe tornato a casa, forse avrebbe dato un'occhiata in cantina... Giusto per fare qualcosa di diverso, una volta tanto.
Magari avrebbe anche potuto dare un'occhiata all'enciclopedia delle scienze naturali, al volume dedicato all'astronomia.



Stranamente voglio un gran bene a questo capitolo, sapete? Quindi... Quindi niente. Spero che da voi ci sia del sole e che vi stiate divertendo. Cheers, love, thanks. :****


P.S: per correttezza, ci tengo a specificare che questa storia NON è una BellDom e non credo lo sarà mai (un giorno riuscirò a mettermi in testa che i warnings ogni tanto andrebbero usati, quantomeno per evitare equivoci ^^).

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Capitolo 8
*** Apice solare ***


Apice solare



Il vecchio appendipanni in legno dell'ingresso era seppellito da uno spesso e variopinto strato di cappotti altrui: alcuni, di tanto in tanto, scivolavano a terra per essere poi pigramente recuperati da Dom, seduto accanto alla cassettiera in corridoio come un maggiordomo annoiato.
In realtà stava cercando di sfuggire al monotono, educato vociare di cui era pieno il soggiorno, nonché alle attenzioni dei vari parenti, amici di famiglia, vicini di casa e conoscenze utili venuti a festeggiare il Natale in casa Howard.
Dalla porta socchiusa del soggiorno riusciva ad intravedere il caminetto, scoppiettante e decorato da tralci di vischio e fiocchi rossi lungo tutto il bordo del ripiano in pietra, e parte del tavolo rivestito dalla tovaglia bianca ricamata che sua madre utilizzava solo in quella determinata occasione.
Un bel quadro, non c'era dubbio... Se non fosse stato per la torma di invitati che lo affollava.
Ingollando l'ultimo sorso di punch – non alcolico, purtroppo – Dom posò il bicchiere sulla cassettiera, accomodandosi alla bell'e meglio sulla dura sedia antica che fungeva di solito solo da ornamento.
Per quanto nei giorni precedenti non avesse fatto altro che annoiarsi in solitudine nella sua stanza ed in giro per Teignmouth, di certo non aveva atteso il rinfresco di Natale con ansia – un giorno avrebbe spiegato a sua madre che risultava un tantino ipocrita, per un ateo, mangiare e bere allo scopo di festeggiare la nascita dell'ipotetico figlio di un altrettanto ipotetico Dio... E poi la messa, gli auguri, i commenti ammirati sul suo aspetto fisico da parte di non meglio identificabili “zie” e “zii”, i regali inutili ed i ringraziamenti privi di significato...
Del Natale Dom apprezzava solo l'opulenza della tavola, come decise di ricordargli il suo stomaco in quel preciso istante.
Nella fretta di sfuggire alla compagnia degli invitati, infatti, aveva mangiato solo un paio di canapé e non gli erano neanche piaciuti troppo - la dannata fissa di sua madre per la curcuma aveva colpito ancora – ma forse era ancora in tempo per trovare un mini-sandwich al salmone e formaggio... Diamine, ci contava.
Cercando di non dare troppo nell'occhio, Dom infilò la porta del soggiorno e si diresse verso il buffet – cocktail di gamberi, mini-quiche, patate novelle, pinzimonio...
Prima che potesse allungarsi ad afferrare uno dei mini-sandwich superstiti, una mano gli si aggrappò gentilmente all'avambraccio teso verso il vassoio.
- Scusami, tesoro... Sai se questo punch è alcolico?
A parlare era stata una signora anziana dal sorriso cortese ed una nuvola di capelli bianchi ben cotonati e raccolti sulla nuca.
Dom cercò di ricordare se vi fosse qualche grado di parentela a legarli.
- Uh, no.
Il sorriso della donna scomparve immediatamente.
- … che razza di persona offre un punch non alcolico ai suoi ospiti? Non mi meraviglia che questa festa sembri organizzata nel museo di Madame Tussaud dopo l'orario di chiusura.
Dopo quello sfogo inaspettato, la donna strinse di nuovo il braccio di Dom a mò di scusa: - Perdonami... Non volevo neanche venire, è questo il problema. Mi ha trascinato mia figlia, dice che devo uscire un po'. -
Mosse poi la mano come a scacciare un insetto molesto: - … oh, naturalmente non ti interessa.
Dom si ritrovò a non poter far altro che sorridere di nuovo, ancor più incerto di prima; in quel momento, Diane sbucò da chissà quale angolo del soggiorno e cinse le spalle del figlio, esclamando: - Signora Bingham! Va tutto bene?
L'anziana signora trillò fin troppo entusiasta: - Ma certo, mia cara! Ne stavo giusto parlando con il suo giovane ospite...
Diane dedicò una breve occhiata a Dom, replicando: - Oh... Quindi ha già conosciuto mio figlio, Dominic?
- Suo figlio?
La signora Bingham si voltò lentamente verso Dom, fissandolo attentamente con i suoi brillanti occhi azzurri.
- … Dominic Howard, dunque. - mormorò, e il ragazzo annuì con aria circospetta: non gli era piaciuto molto il tono usato dall'arzilla vecchietta, che sembrò dimenticarsi della presenza di sua madre apostrofandolo direttamente: - Matthew mi parla molto di te.
Dom ci mise qualche secondo a ricevere il messaggio: quando finalmente fece due più due, sbiancò.
Quella... Quella era...
- Sono sua nonna... Maureen Bingham. Il piacere è tutto mio.
- Bene! - commentò Diane, allegra ed inopportuna. - Ci vediamo più tardi per il brindisi!
Per la prima volta dopo molti anni, Dom ebbe una gran voglia di seguirla nel suo giro di convenevoli centellinati ad ogni singolo ospite: invece, rimase impalato ad affrontare la nonna del suo incubo ricorrente.
La sua sfortuna aveva deciso di fare gli straordinari e allietargli anche il giorno di Natale, insomma.
- Dominic Howard... Ti facevo più imponente, sai?
Detto da una donnina alta non più di un metro e mezzo non suonava granché offensivo, ma Dom chinò lo stesso la testa senza nemmeno avere la presenza di spirito di tentare una risatina di circostanza.
- … e prima non parlavi, poi?
Di certo la lingua lunga della signora Bingham non contribuiva a farlo sentire più a suo agio.
Servendosi un vol-au-vent su un tovagliolino, la donna disse: - Se avessi saputo che il party era a casa tua avrei convinto anche Matthew a venire, invece di lasciarlo a bighellonare da solo... Anche se forse non ti avrebbe fatto piacere, mhm?
Chissà cosa le aveva raccontato di lui, quell'impiastro del nipote. L'opinione che la signora Bingham aveva di lui sicuramente era pessima, a giudicare da come lo fissava e gli si rivolgeva.
Interpretando il suo prolungato silenzio come una conferma di quanto aveva appena detto, la donna annuì: - Lo immaginavo.
- Non ho nulla contro suo nipote. - borbottò in sua difesa Dom.
- Ma neanche ti piace.
La signora Bingham si guardò attorno, appallottolando il tovagliolo; poi si chinò verso Dom con aria cospiratrice, bisbigliando: - C'è un posto dove io possa fumare senza farmi scoprire da mia figlia, vero?
- … il giardino? - suggerì incerto Dom: la donna annuì, e chiese poi con un sorriso allegro: - Mi accompagni?


- Mhm... Così va meglio. -
La signora Bingham socchiuse gli occhi, rilasciando una densa boccata di fumo biancastro nella penombra del giardino e lasciando così Dom libero di cercare un argomento di conversazione che non fosse e riguardasse la loro conoscenza in comune.
Di che animale è la pelliccia che indossa?
Oh, fuma le Philip Morris. Wow.
Secondo lei quando arriverà la prima nevicata della stagione?
Cosa sa di me?

- Ne vuoi una?
Dom fissò il pacchetto di sigarette a lungo, prima di accennare ad avvicinarsi; a quel punto la signora Bingham ritrasse il braccio, esclamando: - Che diamine, non volevo dartela sul serio... Sono una madre e una nonna, insomma!
Aspirò un'altra boccata, emettendo un breve sibilo.
- Puoi rientrare, se vuoi.
In effetti stare lì non era affatto piacevole: il gelo che li circondava era umido ed appiccicoso, dato che quella sera il vento spirava dal mare. Rabbrividendo, Dom ritirò le mani all'interno delle maniche del cappotto e gettò una breve occhiata all'interno delle finestre illuminate dietro di sé: la signora Bingham seguì il suo sguardo e mormorò: - Ti stai annoiando anche tu?
Dom rilassò le spalle contratte in un'involontaria posizione difensiva, smettendo di seguire il balletto di ombre che si muovevano dietro la superficie traslucida delle tende in salotto, e annuì.
- Potevi invitare qualche amichetto o amichetta... Hai una fidanzata?
Bene, a giudicare dalla domanda Bellamy aveva taciuto sui particolari più patetici della sua esistenza. Un gesto magnanimo.
- No, no. - smozzicò in risposta.
La signora Bingham assunse una posa quasi divistica, reclinando il capo da un lato e sorridendo lievemente con la sigaretta fumante mollemente trattenuta da indice e medio: - Ma sì, sei talmente giovane... A quest'età dovete solo uscire e divertirvi.
Chissà, rifletté Dom, magari aveva davvero la faccia di uno che usciva e si divertiva con amici e amiche, uno che intrecciava amorazzi e viveva eccitanti avventure che sarebbero stati la consolazione della sua serena vecchiaia da uomo vissuto.
La signora Bingham dava l'impressione di pensarlo, il che non gli dispiaceva affatto.
- Suoni ancora la batteria?
- Sì...
- Suoni in un gruppo?
- No.
Illuminandosi in volto, la signora Bingham esclamò come se si trattasse della rivelazione del secolo: - Matthew suona il pianoforte! È molto bravo, compone persino... Ma già lo saprai, no?
Dom non ebbe modo di replicare, perché la donna gli riversò contro un frenetico fiume di parole entusiaste: - Conosci i Tornados? George, il papà di Matthew, era il loro chitarrista... O secondo chitarrista? Diamine, non ricordo... Comunque, erano un gruppo abbastanza famoso, all'epoca. Hai presente Telstar? Comunque, alla fine George ha abbandonato la sua carriera da musicista ed è diventato uno degli idraulici più scadenti del Regno Unito e poi dell'Australia.
- Oh... - commentò Dom, annuendo come se la storia di George Bellamy fosse di suo interesse.
La signora Bingham si prese un attimo di pausa per scuotere via la cenere dalla sigaretta, prima di riportare il focus della conversazione sul suo compagno.
- Cosa vuoi fare della tua vita, Dominic? Hai già un'idea?
Il ragazzo sbuffò, impacciato: - Non lo so...
- Quindi non vuoi fare il batterista di mestiere?
- Non ci ho pensato ancora...
- Hai rifiutato l'offerta di mio nipote anche per questo? Perché Matthew è molto serio, riguardo al suo progetto... Capisco che questo possa spaventarti un po'.
Oh, sì, il problema era esattamente quello, come no.
Interpretando il suo prolungato silenzio nella maniera giusta, la signora Bingham considerò in tono indifferente: - … ti spaventa di più quello che si dice in giro sul suo conto, va bene.
Continuò, pensierosa: - Io non dovrei impicciarmi, vero? Certo, sono sua nonna e gli voglio bene ma forse dovrei farmi gli affari miei...
Un secondo più tardi gettò a terra la sigaretta, contraddicendo quanto detto poco prima: - … e invece no, non mi sta bene. Non riesco a mandare giù il fatto che mio nipote venga considerato nell'ipotesi peggiore un mostro e in quella migliore un pagliaccio. Ha solo quindici anni, Cristo.
Un po' intimorito, Dom le fece notare: - Gliel'ho detto... Non ho nulla contro di lui.
La donna liquidò l'affermazione con un gesto sbrigativo: - Tranquillo, zucchero, non ti sto accusando di nulla... Sono solo stanca di vedere Matthew che continua a prendere schiaffi da tutte le parti per una sciocchezza che ha commesso in passato.
- Lui è... È un ragazzino adorabile, il più delle volte. Certo, non pulisce la sua stanza, lascia sempre in giro le sue cose, gli basta muovere un passo per far cadere qualcosa a terra, si arrabbia facilmente, esce senza permesso, non fa i compiti, mi ruba le sigarette, dice troppe parolacce e per farlo andare a messa dobbiamo letteralmente tirarlo per le mani ed i piedi...
Come se stesse riflettendo sulle proprie parole, la signora Bingham tacque; poi allargò le braccia, ammettendo: - … be', è un po' complicato ma è un ragazzino. Solo un ragazzino.
Dietro di loro, la porta si spalancò e Diane fece capolino, guardandosi attorno e notando suo figlio e la sua ospite in veranda.
- Oh, eccola qui... Signora Bingham!
- Mia cara Diane! Mi stava cercando? - ribatté la signora Bingham, con melliflua ingenuità.
Dom la vide nascondere la sigaretta sotto un piede e trattenne una risata.
- Sì... O meglio, la stava cercando sua figlia. - disse Diane; dietro di lei, infatti, c'era Marilyn Bellamy.
- Mamma, che ci fai qui fuori?
La signora Bingham si avvicinò a Dom, cingendogli le spalle con un braccio e cinguettando amabilmente: - Oh, niente di che... Dominic mi stava mostrando il giardino.
La signora Bellamy non appariva particolarmente persuasa: - Molto interessante... Sbaglio o sento odore di fumo?
- Fumo? Sta bruciando qualcosa? - chiese la signora Bingham, prima di annunciare: - Comunque, cara Diane, stavo per dire a Dominic che mi farebbe molto piacere averla come ospite per un tè, un giorno di questi.
Dom si voltò verso la donna, realizzando all'istante da quale membro della famiglia avesse ereditato il suo caratteristico entusiasmo psicopatico il più giovane dei Bellamy.
- Oh, sarebbe un piacere anche per me! -
Per essere una vecchina dall'aria fragile, la signora Bingham possedeva la stretta sicura e letale di un'anaconda nel fiore degli anni: - Facciamo domani alle quattro e mezza, allora? Oh, e... Dominic?
La voce dell'anziana donna si abbassò in un sussurro inequivocabilmente minaccioso: - … ovviamente sei invitato anche tu.
Fu allora che Dom si convinse che nonna e nipote fossero non solo fatti della stessa pasta, ma addirittura complici nella messa in atto di un piano semplice e raffinato al tempo stesso: conquistare il figlio – lui stesso - passando per l'ignaro e turlupinabile resto del nucleo familiare – sua madre.
- Veramente io... - tentò debolmente di difendersi il ragazzo, ma la signora Bingham lo zittì allegra: - Non ti piace il tè? Potrei prepararti una bella tazza di cioccolata, allora, che ne dici? Con panna e qualche cialdina croccante... Se non avessi problemi di diabete ti farei compagnia, accidenti! Fortuna che Matthew è in salute e goloso... Mio Dio, senti che vento! Fatemi rientrare, sono troppo vecchia per sfidare i germi del raffreddore!



Questo deve essere per forza un incubo. C'è chi sogna di essere in mutande di fronte alla propria ex-fidanzatina delle medie nonché un quarto degli alunni di allora ad additargli le pubenda ridendo e chi sogna di prendere un té con la propria nemesi.
Senza troppo entusiasmo, Dom seguì sua madre attraverso il giardino rigoglioso ed un po' incolto dei Bellamy.
Forse avrebbe dovuto millantare un improvviso, invalidante febbrone da cavallo o un oceanico carico di compiti da svolgere entro e non oltre quel pomeriggio, pena le più atroci ripicche da parte del prof schizzato di turno; la verità, però, era che conosceva dannatamente bene i suoi polli. Se intendeva liberarsi davvero delle attenzioni della signora Bingham avrebbe dovuto dirglielo a quattr'occhi e di certo non eludendo il problema come già in passato aveva cercato di fare senza successo con suo nipote.
Non era del tutto sicuro che sarebbe successo quel pomeriggio ma, rispetto per gli anziani o meno, probabilmente avrebbe dato il benservito anche alla nonna di Bellamy.
Sulla veranda, oltre ad un armadietto metallico, una poltrona ed un tavolinetto in vimini, c'era un gatto siamese addormentato: quando Dom e sua madre suonarono il campanello la bestiola sollevò il capo, scrutando il ragazzo con un cipiglio per nulla rassicurante – ma quale gatto aveva l'aria rassicurante, dopo tutto?
Ad accoglierli, dietro la porta scura, i due visitatori trovarono la signora Bingham ed un intenso profumo di cacao.
- Bene arrivati! Aspettate solo che finisca con la cioccolata e arrivo! - trillò l'anziana donna, prima di entrare in quella che doveva essere la cucina: nel frattempo Marilyn Bellamy venne incontro a Diane con un sorriso.
- Buonasera... Siete puntualissimi.
Diane ridacchiò: - Oh, per me è una questione di principio! Di solito sono sempre la prima a …
Dom smise di ascoltare i convenevoli di sua madre quando si accorse di Bellamy, semi-nascosto dietro sua madre; mentre si avviavano tutti e quattro in soggiorno, le rispettive genitrici assorte in una fitta conversazione, il ragazzo salutò brevemente Dom: - Ehi.
- Ehi. - lo imitò freddamente quest'ultimo.
Di rimando, quasi come se la situazione seccasse molto anche lui, Bellamy disse tutto d'un fiato: - Senti... Non è stata una mia idea, ok? Nonna è un po'... Esuberante, e testarda.
- Mi ricorda qualcuno... - ironizzò Dom, prima di prendere posto al tavolinetto circolare del soggiorno, apparecchiato con grande cura per il tè.
La signora Bingham fece il suo ingresso con le cioccolate e la teiera, trottante e zufolante come fosse il giorno migliore della sua vita.
- Eccomi qua... Guardate quante cose buone!
Un'enorme tazza di cioccolata decorata da un'imponente pagoda di panna montata, quattro lingue di gatto, una spolverata di cacao e di glitter alimentare rosso fu piazzata con solerzia sotto il naso di Dom.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un atterrito: - È enorme. - che venne prontamente captato da Bellamy, seduto accanto a lui: - In puro stile Maureen Bingham... Se non la finisci ci provo io.
Dopo aver sorseggiato il suo tè, Diane posò la tazza sul tavolo e si rivolse gentilmente a Bellamy: - Matthew, non ti vedo da così tanto tempo... Sei davvero cresciuto, in questi mesi!
Il ragazzo annuì, quasi strozzandosi con il cucchiaino nel rispondere: - Cinque centimetri.
Diane esplose in una risata mondana: - A quest'età ci si allunga come spighe... Anche Dominic è piuttosto alto.
Dom alzò brevemente gli occhi al cielo - possibile che sua madre non riuscisse a parlare di qualcosa che non fosse la sua altezza, con amici e conoscenti? E ovviamente, dopo una breve pausa per sbocconcellare un sandwich, aggiunse l'immancabile: - Ma non ancora quanto suo padre... -
La signora Bellamy colse l'occasione per domandare: - Oh, a proposito... Posso darle del tu, giusto? Tuo marito come sta, Diane?
Dom si irrigidì all'istante, distogliendo lo sguardo dalle tre donne e incontrando così quello di Bellamy, il quale aveva già finito la panna e stava attaccando alacremente il tiepido strato sottostante di cioccolata – certo che era vorace, per essere un ragnetto rachitico.
Diane intanto stava rispondendo, con un sorriso più affettato del solito: - È in viaggio di lavoro al nord, nel Lancashire.
- Un viaggio piuttosto lungo... Non è tornato nemmeno per il Natale. - osservò distrattamente la signora Bingham, versandosi del latte.
- Sì, ma cosa posso farci? Posso solo tirare avanti quaggiù ed aspettare. - sorrise ancora Diane.
Dom fece cadere il cucchiaino nella tazza, lasciando che venisse soffocato dall'abbraccio morbido di panna, cacao e lustrini.
La signora Bellamy se ne accorse: - Non ti piace, Dominic?
- Sì, mi piace moltissimo ma non ho molta fame...
La signora Bellamy annuì e volle sapere: - Come va con la scuola? Sei al terzo anno, immagino sia difficile...
Dom alzò le spalle, rispondendo: - Non tanto... Cioè, non troppo.
- Ti piace studiare?
- Dipende dalla materia.
- Qual è la tua materia preferita?
- Di sicuro non educazione fisica... - si intromise Bellamy, un ghigno furbetto macchiato di cioccolata sul viso ossuto: lo stronzetto sapeva certamente dei suoi pessimi trascorsi di mancato corridore, pallavolista, cestista e qualsiasi altro metodo di tortura avesse in serbo il professore di ginnastica per i suoi allievi.
Dom lo fulminò con un'occhiata, prima di proseguire: - Non lo so... Me la cavo in tutte, più o meno.
Prendendo spunto dalla padrona di casa, Diane disse: - E tu, Matthew? Qual è la tua materia preferita?-
- Credo che sia musica... Oppure recitazione, l'anno scorso ho preso il massimo dei voti.
- Quello è un laboratorio, non vale. - precisò Dom, e Matt lo rimbeccò immediatamente: - Invidioso.
In quel momento qualcosa di morbido e caldo si strofinò contro le gambe di Dom, che sobbalzò: un miagolio stridulo si inserì nelle chiacchiere dei cinque commensali.
- Cosa...? - esclamò la signora Bingham, chinandosi per guardare sotto il tavolo.
- Miele, cosa ci fai qui?
Quando la donna lo prese in braccio, il siamese che Dom aveva visto sonnecchiare in veranda le infilò saldamente gli artigli delle zampe anteriori nella maglia e puntò gli occhi azzurri e strabici sul resto della compagnia.
La signora Bellamy si sistemò la bestiola in braccio a mo' di neonato, parlando al nipote: - Gli hai dato da mangiare?
Fissando gelido il gatto, Bellamy bofonchiò: - L'ho dimenticato.
Schioccando la lingua in segno di disapprovazione, la signora Bingham si rivolse direttamente a Miele, sollevandolo in aria e tenendolo a distanza fin troppo ravvicinata dal viso: - Povero micio... Ma adesso Matthew ti dà la pappa, mhm?
Come risposta ricevette un verso basso e livoroso come un ultimatum – o la pappa o la vita.
La signora Bingham si alzò per consegnare l'animale al nipote e ordinargli: - Vai, ora... E fatti accompagnare da Dominic, così gli mostri un po' il giardino!
Bellamy sembrava persino meno entusiasta di Dom, all'idea – ma, un momento... Non aveva forse preso il massimo dei voti in recitazione?
- È solo un giardino, nonna...
Ormai, però, era troppo tardi: la signora Bingham incalzò il nipote, costringendo sia lui sia Dom ad alzarsi da tavola in tutta fretta: - Correte, su! Non vorrei che Miele diventasse di cattivo umore...


- Bestiaccia lunatica... Ahi!
Appena furono in veranda il siamese saltò a terra con elegante nonchalance, non prima di aver marchiato la mano di Matt con un lungo graffio vermiglio.
Provando nei confronti della mini-belva un'istintiva simpatia, Dom sogghignò.
- Carino.
Bellamy si sfiorò il graffio con cautela, borbottando: - È fuori di testa... E nonna è più pazza di lui ad averlo chiamato “Miele”.
Restarono entrambi a guardare il gatto scomparire dietro una siepe, in silenzio: poi Bellamy indicò tutto intorno a sé, elencando annoiato: - Vabbe', uhm... Questo è il giardino. Quelli sono dei fiori. Quelli sono dei nani in gesso. Quella è erba. Fine del giro, puoi rientrare.
- Non so se mi va di tornare là dentro. - disse sinceramente Dom, puntando la poltrona in vimini – sembrava piuttosto confortevole.
Bellamy sospirò, infilandosi le mani in tasca.
- A chi lo dici.
- Non vai a mettergli da mangiare? - gli ricordò Dom.
- Qua attorno è pieno di gabbiani e lui è un gatto... Lasciamo che la natura faccia il suo corso. - sentenziò Bellamy, dondolandosi sui talloni e chinando il capo in avanti.
- Cioè che i gabbiani lo spolpino vivo?
- Non sono così cattivi...
- Hai visto i manifesti che il sindaco ha fatto attaccare in giro per la città?
- Allarmismo inutile... Si chiama “equilibrio del terrore”.
- Non credo si chiami davvero così, sai?
Bellamy soffiò come probabilmente soffiava Miele durante i suoi attacchi d'ira peggiori, e Dom pensò che l'atmosfera, nonostante tutto, fosse inaspettatamente rilassata. Per quanto Bellamy giocasse in casa non sembrava godere di alcun vantaggio pratico su di lui, anzi: più il tempo passava più appariva a disagio ed irritato.
Si permise quindi di pungolarlo un po', per il semplice gusto di farlo: - Vai a dargli da mangiare, su.
- Chi cazzo sei, il presidente onorario del WWF?
- E tu sei il presidente onorario del Club del Culo Pesante. -
Bellamy aprì bocca per rispondere a tono, ma cambiò idea all'ultimo; invece, prese un bel respiro e sputò tutto d'un fiato: - Nonna ti ha detto qualcosa su di me, ieri sera?
Il dubbio che fosse tutta una commedia per incastrarlo tornò a farsi strada in Dom: - Sì...
A quel punto Bellamy sbottò: - Che palle! Quand'è che imparerà a farsi i cazzi suoi?
- … e mi ha detto che dici troppe parolacce, tra le altre cose. - puntualizzò Dom, e l'altro mugugnò qualcosa di indistinto.
- Scusa?
- Ho detto che è imbarazzante. - scandì con più forza Bellamy, guardandolo dritto negli occhi.
Non aveva torto, di sicuro.
- Ti vuole bene. - ponderò Dom.
- Purtroppo.
- Dai, almeno è divertente.
- Perché tu non devi conviverci ogni giorno.
Bellamy mormorò di nuovo qualcosa a testa bassa, e Dom dovette di nuovo chiedere che lo ripetesse ad alta voce.
Gli occhi chiari ridotti a due fessure, la mandibola serrata e i capelli a formare la solita cortina divisoria tra lui ed il resto del mondo, Bellamy sillabò: - Sei qui perché ti faccio pena?
- Ho ricevuto un invito e non ho fatto in tempo ad inventarmi una scusa plausibile, tutto qui.
Era la verità, più o meno.
Uno straziante lamento felino si levò da un punto imprecisato del giardino.
- Ok, quel sacco di pulci isterico ha sofferto abbastanza... Vado a sfamarlo. - si decise Bellamy, aprendo l'armadietto e prendendo un enorme pacco di croccantini.


- Matthew, tesoro, stavamo proprio parlando di te!
A giudicare dalla sua faccia, non era esattamente il genere di frase che Bellamy amava sentirsi rivolgere.
Le tre donne in soggiorno avevano l'aria di conoscersi da sempre, sorridenti e tranquille; Diane disse a Bellamy: - Tua madre e tua nonna mi hanno detto che suoni il pianoforte.
- Più o meno, sì. - si schernì il ragazzo, alzando un piede come se fosse intenzionato a muovere un passo e non avesse ancora deciso in quale direzione.
Diane, ignara del suo disagio, continuò entusiasta: - Perché non ci fai sentire qualcosa, eh?
Come a cercare un po' di sostegno e come se fosse consapevole di averlo cercato nel luogo sbagliato, Bellamy guardò Dom e poi si voltò di nuovo verso la donna: - Io non...
- Su, non essere timido! - già, in fondo non doveva essere troppo divertente trascorrere ogni giorno con una campionessa di tatto come Maureen Bingham.
L'anziana donna si avvicinò al piccolo pianoforte verticale del soggiorno, sollevando il pesante drappo che proteggeva i tasti dalla polvere e premette un tasto, mentre iniziava a raccontare: - Tre o quattro anni fa... Avevi dodici anni, Matthew, giusto? Ha vinto un concorso scolastico con un brano di Ray Charles. La giuria era in visibilio, i suoi compagni l'acclamavano come fosse una rockstar consumata, i genitori in platea si chiedevano chi fosse quel bambino così dotato...
- Nonna. - disse Bellamy, i pugni serrati lungo i fianchi e la voce ridotta ad un gorgoglìo rabbioso.
- Un talento naturale, fin da piccino... E pensare che ha cominciato con la sigla di Dallas! Paul c'è stato un pomeriggio intero per insegnargliela e...
La signora Bellamy riuscì a fermare il monologo di sua madre con un quieto: - Mamma. -
Quest'ultima accarezzò un'ultima volta la tastiera, teneramente: poi tagliò corto, ricoprendo i tasti e tornando seduta: - Va bene, va bene... Ma la timidezza dovrà passargli per forza, se vuole davvero mettere su una band.
In un tentativo di stemperare la tensione di cui alla fine persino lei si era accorta – il silenzio in soggiorno era pesante come gli sguardi che nonna e nipote si erano scambiati durante il loro alterco - Diane sorrise esitante: - Tale padre, tale figlio.
- … spero di no. - mormorò la signora Bingham. Sua figlia quasi le parlò sopra, rivolta ai due ragazzi presenti e muti come statue: - Volete andare in camera? Immagino non vi interessino le nostre chiacchiere...
Dom non potè far altro che seguire Bellamy, il quale aveva iniziato a salire le scale che portavano al primo piano prima ancora che la signora Bellamy tacesse.

- Scusa il disordine.
Dom ripensò a quanto gli aveva raccontato la signora Bellamy il giorno prima a proposito del disordine di suo nipote – non aveva esagerato: quella stanza era un disastro.
Da sotto il letto sporgevano maniche di felpe e maglie che sembravano implorare libertà dalla loro orribile prigionia; decine di dischi erano accatastati sul pavimento, accanto ad un giradischi dall'aria polverosa. Accanto ad un'antiquato abat-jour dal paralume frangiato in raso, un paio di libri erano aperti sul comodino, con le pagine rivolte all'ingiù per tenere il segno. Il cestino della carta straccia, a fianco della scrivania piena di quaderni, spartiti, mutande, calzini, era paradossalmente vuoto: paradossalmente, perché ovunque c'erano fogli accartocciati, post-it, involucri di merendine tranne lì dentro.
Spostando un walkman e qualche musicassetta, Bellamy invitò Dom a sedersi.
Seduti l'uno vicino all'altro, le gambe penzolanti dal bordo del letto e lo sguardo perso nel vuoto, erano il ritratto dell'incertezza.
Urtare con la mano la custodia di una cassetta diede a Dom uno spunto per avviare – si sperava – na conversazione.
- Rage Against the Machine.
- Ti piacciono? - chiese Bellamy. Dom scosse il capo: - Non li seguo.
… davvero stantio, come inizio.
Bellamy affermò: - Sono forti.
- Lo immagino.
- E comunque mi dispiace.
Dom si voltò verso l'altro, che seguitò: - Mi dispiace di aver coinvolto anche nonna, mio malgrado... Non avrei dovuto dirle di te, la conosco bene. Farebbe di tutto per me, glielo riconosco. E poi mi dispiace per tutto il resto, per averti messo paura e per essere stato un cretino.
Si morse il labbro, ondeggiando un piede freneticamente: - È che nessuno mi dà retta e io sono stanco, capisci? Sono stanco della leggenda del bambino prodigio, del pazzo che credeva di essere un alieno, di essere sempre quello strano. Io so chi sono e voglio che lo sappiano anche gli altri ma non posso farcela da solo perché nessuno, dico, nessuno mi dà retta... Credi che non abbia già proposto ad altri quello che ho proposto a te?
- E e e poi quello che piace a me non piace a nessun altro, non so con chi parlare, non... - la voce di Bellamy si spezzò e le mani iniziarono a tremargli convulsamente.
Dom si riebbe dallo shock di stare raccogliendo uno sfogo oceanico dall'ultima persona al mondo dalla quale se lo sarebbe aspettato e disse: - Ti senti male? Chiamo tua madre?
- No, no, è tutto ok... - bisbigliò Bellamy. - … mi succede spesso, in realtà. Non davanti a qualcuno, ecco, però...
Dom non aveva mai assistito ad un fenomeno del genere: in sedici anni di vita non aveva mai visto un ragazzo piangere a quel modo.
Un dubbio però doveva toglierselo, per quanto indelicato fosse: - … non fai la commedia, vero?
Matthew sollevò il capo, tirando su rumorosamente col naso e scostandosi i capelli dagli occhi – e Dom ebbe un flashback di ciò che era accaduto in biblioteca, capendo che sì, Matthew Bellamy aveva davvero tanta paura.
- No, è che mi mancava rendermi ridicolo di fronte a te.




Non so che dire, non credo neanche sia il caso di lolleggiare a proposito dei pomodori marci che mi merito. Sappiate solo che questo capitolo ha rubato tempo ed energia alla mia tesi e che il mio cervello ha deciso che è cosa buona e giusta e che sono stanca, sfiduciata, incazzata ma amo questa storia, amo che mi stia sbudellando e che mi faccia paura. È un affare privato e più grosso di quel che sembra, a prescindere da quanto sia buona o meno.

(“Se è davvero così privato perché la pubblichi?” “... ssssh.”)

Chiunque sia ancora in ascolto... Ciao, ti va di spiegarmi perché? *ride*
E grazie. ♥

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Capitolo 9
*** Punto di ebollizione ***


Punto di ebollizione


A febbraio arrivò la neve – candida, farinosa, che si scioglieva in bocca lasciando sulle papille il sapore dolciastro dell’acqua pura - e con essa un’ordinanza del sindaco che imponeva la chiusura delle scuole.
Le gemelle Bradford avevano costruito un enorme pupazzo di neve, litigando incessantemente sulla struttura del medesimo; per questo era venuto su un po’ sghembo e bulboso, ognuna delle due aveva seguito la propria idea senza tener conto di quella dell’altra.
Ogni tanto, Dom smetteva di spalare il vialetto per riposarsi ed alzava involontariamente gli occhi su quel monumento alla mancanza di comunicazione, ringraziando puntualmente di essere figlio unico.
Un delizioso odorino veniva fuori dalla finestra accostata della cucina di casa Howard: sembrava che il nuovo esperimento culinario di sua madre fosse destinato ad avere successo, per una volta.
Dom si guardò attorno, decidendo che il vialetto era in condizioni più che dignitose, e rientrò in casa.
Quando fece il suo ingresso in cucina, Diane stava sfornando una teglia ricoperta da uno strato dorato di quello che sembrava a tutti gli effetti…
- …shortbread. – esalò Dom.
- Ma non è per noi. – lo ammonì sua madre, raggiungendo a passo di danza il davanzale della finestra.
- E per chi è? – ribatté Dom, conoscendo già la risposta.
- Per Maureen, naturalmente! Cosa c’è di meglio di un biscottino per tirarsi su di morale dopo una brutta influenza come la sua? –
La prima volta che si erano recati a far visita ai Bellamy – l’indimenticabile giorno della cioccolata e dell’esaurimento nervoso del
nipotino – nulla lasciava presagire che potesse sbocciare un’amicizia così squisitamente nefasta tra Diane e la signora Bingham. Dom aveva i suoi buoni motivi per credere che la nonna di Bellamy stesse semplicemente cercando di mantenere i contatti con lui.
Perché, poi? Dom aveva perso invece ogni traccia di suo nipote.
- Quindi oggi pomeriggio andrai a trovarla.
- Mhm-mhm… Vuoi venire?
Stavolta Dom non si lasciò incastrare, e prima ancora che Diane avesse finito di pronunciare la frase disse: - Oh… Be’, ho da studiare e… Roba da fare.
Sua madre non sembrava offesa. Posando teglia e guantoni da forno sul tavolo della cucina, sorrise e disse: - Hai fatto un buon lavoro, lì fuori… Aspetta.
Andò in soggiorno e ritornò un minuto dopo con una banconota in mano, porgendola al figlio.
- Mamma, sono dieci sterline…
- Già.
Incredulo, Dom fissò il denaro per un secondo prima di intascarlo.


In città i marciapiedi erano incrostati di neve ghiacciata e, percorrendoli, Dom rischiò più di una volta di finire a gambe all'aria.
Lungo la via principale qualche negozio era chiuso e in giro c'erano più ragazzini del solito, come se fosse di nuovo Natale o Capodanno.
Teign Music era ancora aperto.
In vetrina, campeggiavano le solite quattro chitarre – tre elettriche, una acustica. Ad intervalli regolari di una settimana, il proprietario del negozio cambiava la loro disposizione attorno alla batteria che dominava la scena al centro della vetrina.
L'ensemble era esposto da talmente tanto tempo che Dom si era persino divertito ad affibbiare un nome ad ognuno degli strumenti che ne facevano parte: la chitarra acustica, con i suoi ghirigori country a decorarla, si chiamava Dolly Joanie Parton-Cash. Quella elettrica, di colore rosso sangue e a forma di poligono irregolare, era Elizabeth Bathory II. Quella decorata dalla Union Jack era Nigella Lancaster-York, quella a stelle e strisce John Clint Cooper-Lincoln.
Per quanto riguardava la batteria, Dom aveva deciso che si trattava di una famiglia – piuttosto prevedibilmente, il cognome che aveva scelto per essa era Bangs.
Quel giorno, Dolly e Nigella cingevano la famiglia Bangs ad entrambi i lati mentre John ed Elizabeth la sovrastavano, appese ad un sostegno.
Dom si mise una mano in tasca, tirando fuori le sue dieci sterline.
Un po' poche, anche solo per assicurarsi uno dei componenti della famiglia Bangs.
Da dietro la sciarpa, Dom mormorò: - Un giorno non molto lontano verrò a prendere uno di voi... Tremate. - e si incamminò di nuovo lungo il marciapiede, senza avere una meta precisa in mente.
Risalì la via principale, trovandosi di fronte la stazione ferroviaria.
Un gruppetto di persone ciondolava vicino alla porta centrale. Il rumore di un treno che stava rientrando in quel momento si porto via ciò che stavano dicendo.
Dom li squadrò.
Sembravano suoi coetanei, ma erano troppo imbacuccati per stabilire le loro identità.
Il più alto di loro si girò e subito dopo si tolse la sciarpa dalla bocca, sbracciandosi.
- Dom!
Cavolo, ma era proprio...
- ...Chris. - bisbigliò Dom, senza muoversi di un millimetro.
D'altronde, non ebbe bisogno di farlo: Chris attraversò la strada per venirgli incontro, salutandolo allegramente.
- Ciao! Che combini?
- Niente, non combino niente. - sorrise Dom, un po' teso.
Gli amici di Chris li stavano fissando apertamente da dove erano rimasti, senza fiatare.
Tentando di non agitarsi, Dom chiese: - Dove vai?
- In giro con la band… Te li presento. - Chris lo prese per un polso, tirandolo leggermente.
Un membro del gruppetto si era chinato a bisbigliare qualcosa all'orecchio di un compagno, tenendo lo sguardo fisso su loro due. La voglia di scappare a gambe levate di Dom aumentò vertiginosamente.
- No, davvero, non ti-
- Ragazzi!
Perché stava facendo cenno ai suoi amici di raggiungerli? Quale oscuro motivo aveva per metterlo in imbarazzo davanti a loro?

perché i suoi amici gli stavano dando retta, attraversando la via?
- Lui è Dominic Howard, quello del provino.
Ottima pubblicità... Grazie tante.
I Fixed Penalty erano schierati di fronte a Dom, compatti come una barriera di giocatori durante un calcio di punizione.
Uno di loro - rosso, basso, la faccia larga e piena di lentiggini e gli occhi celesti – annuì, commentando: - Mi ricordo di te… Ero in platea. Bel numero.
- Grazie. - rispose Dom in automatico, stringendosi nelle spalle.
Il ragazzo sorrise e gli prese la mano destra, stringendola vigorosamente.
- Simon… Chitarrista istrionico.
Un altro ragazzo, dagli occhi scuri ed il colorito olivastro, si fece avanti tenendo le mani nascoste nelle tasche e strascicando: - Daniel, bassista di poche parole.
L'ultimo a presentarsi fu un ragazzo sottile e lungo come un fiammifero, gli occhi piccoli e castani ed un sorriso per nulla gentile sul viso affilato.
- Lyle. Il gelido ma carismatico frontman. - sussurrò rauco, come se avesse bisogno di schiarirsi la voce. Istintivamente Dom lo fece al posto suo, borbottando poi il suo nome.
- … ed infine c'è Chris, il tenero orsacchiotto batterista.
- Non sembro un orsacchiotto.
Lyle rise, esclamando: - Ti dico di sì! Dom, non è un orsacchiotto?
- Attento a quello che dici o verrò a farti visita in biblioteca, Howard. - lo minacciò scherzosamente Chris, facendo ridacchiare Dom e salvandolo così dall'imbarazzo di dover rispondere.
Subito dopo, il tenero orsacchiotto – Dom non gliel'avrebbe mai detto in faccia, ma in effetti le sue fattezze richiamavano proprio l'immagine di un pacioso plantigrado - annunciò: - Noi andiamo a Exeter… Anzi, dobbiamo sbrigarci ché perdiamo il treno.
- Be’, allora non vi trattengo… - disse Dom, iniziando a retrocedere lungo la via da lui percorsa per arrivare fino alla stazione.
La proposta di Chris arrivò inaspettata.
- Vuoi venire?
Dom credette di aver capito male.
- Cosa? Cioè…
- Stiamo lì per un po’, pranziamo e poi torniamo a casa prima che faccia buio… La madre di Lyle è un tantino apprensiva.
- Chiudi il becco, teddy bear. - lo rimbeccò Lyle, guardandolo dall'alto in basso.
Intanto, Dom cercava di trarsi affannosamente d'impaccio.
- Ecco… Non ho avvisato la mia, di madre, e poi…
- Alla stazione ci sono le cabine telefoniche, e pure a quella di Exeter… Le meraviglie del ventesimo secolo.
Dom si guardò attorno, incerto.
Era troppo difficile – un gruppo affiatato di ben quattro persone nel quale infilarsi? Nossignore, negativo. Abort mission. Passo e chiudo.
D'altronde... Chris voleva che venisse, gli sarebbe piaciuto se avesse accettato.
Avrebbero potuto divertirsi, lontani dalla scuola, dagli insegnanti stronzi e dalle bibliotecarie frustrate...

ma sua madre non lo sapeva, e poi in teoria non sarebbe dovuto neanche andare in centro. Ufficialmente stava studiando.
Roteando gli occhi, Lyle disse: - Vabbe’… Andiamo?
Voltarono le spalle a Dom, avviandosi verso la stazione.
Meglio così. Non ci sai fare con la gente, lo sai. Saresti stato costretto a sorridere di inside jokes a te sconosciuti e loro si sarebbero sentiti in dovere di perdere tempo a spiegarteli, avresti dovuto pensare ad un modo brillante di inserirti in una loro conversazione o, peggio, di iniziarne una. Ti saresti sentito stupido e fuori posto e patetico e Chris si sarebbe pentito di averti proposto di venire. Ti avrebbe chiesto in privato se ti fossi divertito e tu avresti dovuto dirgli che sì, certo che mi sono divertito, come no. Una valanga di bugie e imbarazzo. E poi non puoi metterti nei guai, devi tornare a casa.
- Aspettate!

cosa ti ho appena detto, Howard?
I Fixed Penalty al completo fissarono Dom in silenzio mentre cercava di recuperare un minimo di aplomb – si era accorto troppo tardi di stare urlando in pubblico.
- Non ho nulla da fare... - minimizzò, scrollando le spalle.
Chris sorrise, e nonostante la figuraccia Dom ricambiò.


Il regionale si infilò tra le colline, lasciandosi pian piano dietro lo specchio grigio del mare.
Dom si voltò indietro, seguendo con lo sguardo la linea dell'orizzonte fin quando non si ritrovò di fronte i pendii boscosi dell'entroterra.
A quel punto si concentrò su ciò che aveva fatto.
Era in gita di piacere in compagnia di quattro estranei – tre, anzi. Il motivo gli era sconosciuto, ma aveva a che fare con la schiena di Chris che si allontanava assieme a quelle dei suoi amici.
Sua madre non lo sapeva, poi. Era tutto veramente molto strano.
- Ma perché i gabbiani non schiattano col freddo?
- I gabbiani sono macchine da guerra alate… Spitfire piumati.
- E gangster con le zampe palmate… Sembrano i padroni della zona. Puah.
Seduto in mezzo a loro sulla dura panca del treno, Dom ascoltò il dialogo fra Simon e Chris ridendo sotto i baffi ma senza intervenire.
Ad un certo punto, Simon si voltò verso di lui non solo con la faccia ma con l'intero busto, piegandosi un po' in avanti ed invadendo con nonchalance il suo spazio personale.
- Quindi suoni la batteria. - disse.
Dom annuì, tirandosi discretamente indietro.
- In una band?
- No, nessuna band.
- Un solista… - replicò Simon, apparendo favorevolmente impressionato.
Dom alzò le spalle: - Un dilettante, più che altro.
- Perché noi siamo professionisti, invece. - Chris alzò lo sguardo al soffitto, sorridendo ironico e accomodandosi meglio sul sedile.
- Vi… Vi esibite? Nel senso, di solito… - chiese Dom.
Nel frattempo si accorse di stare giocando con una ciocca di capelli, e smise bruscamente.
Simon quasi gli salì addosso per dare a Chris un buffetto sul braccio: - Ecco… Te l’ho detto un sacco di volte che dobbiamo distribuire più volantini, Teddy.
Dopo aver ricambiato adeguatamente le attenzioni dell'amico con un sonoro schiaffo sulla mano, Chris disse: - Il ventiquattro di questo mese siamo alla Battle of Bands del Broadmeadow.
Rivolgendosi agli altri due compagni seduti sul sedile di fianco, esclamò: - Ly, quelli di Dawlish si sono fatti più sentire?
- Li ho richiamati ieri, hanno detto che devono ancora decidere.
- Sono due settimane che “devono decidere”...
- Vorranno tenerci un po' sulla corda e magari giocare al ribasso sul prezzo.
- Che bastardi.
- Puoi dirlo forte.
Dom rimase ad ascoltare, cercando di non mostrarsi troppo colpito. 
La disinvoltura con cui i ragazzi parlavano di quello che sembrava a tutti gli effetti un mestiere, per loro, quasi lo intimidiva e soprattutto lo confondeva: l'ultima volta che Chris aveva parlato del gruppo gliel'aveva introdotto come se fosse un ensemble scarso e di poche pretese, non si aspettava che invece si trattasse di un affare così grosso... Forse avevano più talento per le pubbliche relazioni piuttosto che per la musica?
La sua cameretta semibuia, dominata dalla batteria, all'improvviso era diventata ancora più angusta nella sua mente.
- Vienici a vedere, il biglietto non costa molto… - Chris lo riscosse dai suoi pensieri prima che divenissero troppo deprimenti.
- Cinque sterline. - precisò Simon accostandosi ancora di più a Dom, il quale di nuovo si ritrasse per rispondere, dopo qualche secondo di frenetica elaborazione del concetto: - Perché no?
Perché no? Perché non andare? Glielo avevano chiesto.

cos'era, quella? La giornata delle decisioni insensate?


Lyle, in testa al gruppo, uscì dalle porte della stazione di Exeter mormorando: - Occhio al ghiaccio.
Neanche un secondo più tardi, si sentirono un tonfo ed una bestemmia smozzicata.
- … Simon, vero? - pronosticò Lyle, senza guardare.
Quando poi si voltò, vide Daniel che cercava di rimettersi in piedi aiutato da Simon e Chris, che a loro volta non apparivano particolarmente stabili sulla superficie ghiacciata del piazzale adiacente la stazione.
- Daniel! Mi deludi.
- Non era mia intenzione.
Si fermarono per decidere il da farsi.
- Dove si va?
- Boh… A pranzo?
- Sì, ma dove?
- Cavern?
- Certo... Paghi tu, vero?
- Sei un morto di fame, Wolstenteddy.
- Vaffanculo, Lyle.
- Scherzavo... Fatti una risata, Chris, è gratis e fa bene al cuore.
Premendosi un dito sul mento, Lyle assunse un'aria assorta; alla fine, fu come colto da un'illuminazione.
- Facciamo decidere al nuovo arrivato, no?
Dom, rimasto in silenzio fino ad allora, arretrò istintivamente di un passo.
- Io non... Non conosco Exeter molto bene... -
Lyle si accigliò, chiedendo: - Mhm... Allora?
- Ragazzi, ma se prima andiamo da Manson che è qui vicino e decidiamo dopo dove pranzare? - propose Simon.
- Qui vicino dove?
- Tipo, inculato in uno di quei vicoletti laggiù.
- Vabbe', vabbe'... Però fatemi fumare, prima.
Lyle si diresse con il suo passo lento e pigro verso un muretto poco lontano, ed il resto della compagnia lo seguì docilmente come una cucciolata di anatroccoli.
Dom non era ancora del tutto convinto che fosse stata una buona idea unirsi alla combriccola, ma al tempo stesso la voglia di fuggire era andata scemando a partire dal momento in cui si era lasciato Teignmouth alle spalle.
Era un'avventura, quella. Qualcosa che lo respingeva ed attraeva in egual misura perché potenzialmente pericoloso, ma anche positivo.
La fronte corrugata di Lyle dava ad intendere che accendersi una sigaretta fosse un affare piuttosto serio, per lui.
- Fumi? - chiese, rivolgendosi a Dom.
- No, grazie.
- Mica volevo offrirtene una.
Dom ebbe una spiacevole sensazione di deja-vu.
Riuscì a non arrossire, sotto lo sguardo di Lyle che lo raggiungeva fin nel cantuccio che si era ritagliato a fianco di Chris e Simon.
- Parli meno di Daniel, tu, il che è grave... E pensare che ne avresti di cose da raccontarci, Mrs Bellamy.
Sentendo pronunciare quel cognome, Dom alzò la testa di scatto e sbottò: - Come?
- Ly, non fare il coglione. - lo riprese Chris, e Lyle spalancò gli occhi con aria innocente.
- Perché? Lo chiamano tutti così, a scuola!
Dom guardò Chris, basito.
- Non mi avevi detto di... Di questa cosa del soprannome.
- Perché è una stronzata... E non ti chiamano tutti così. - rispose Chris senza guardarlo. Era troppo impegnato a fulminare Lyle con un'occhiataccia.
Quest'ultimo sogghignò compiaciuto nell'incalzare ulteriormente Dom: - Comunque... Lui com'è?
- Lyle...
- Dio, Teddy, come sei palloso... Che gli avrò mai chiesto di male?
Lyle poggiò entrambe le braccia sul muretto e scosse via la cenere dalla sigaretta con noncuranza.
- Sai, girano tante storie sul suo conto ma scommetto che i tre quarti di chi le ha messe in giro non lo ha mai neanche visto di sfuggita... Tu sei l'unico a poter dire
cos'è Matthew Bellamy per davvero.
C'era molto da raccontare al riguardo, visto e considerato che Lyle aveva ragione su tutta la linea: a parte i restanti componenti della famiglia Bellamy, chi altro poteva dire di conoscere almeno un angolo della testa di quel ragnetto isterico?
L'aveva perseguitato con la sua stupida idea di formare una band, gli era capitato fra capo e collo durante il suo servizio in biblioteca, avevano litigato e mangiato insieme.
Bellamy aveva pianto in sua presenza. Senza motivo. Come se anche con lui accanto potesse farlo liberamente e, anzi, come se la sua presenza fosse di fondamentale importanza.
Insomma, Bellamy gli gravitava attorno da un po', ormai, e avevano condiviso abbastanza da... Be', non da poterlo considerare un amico, ma quel poco che avevano vissuto assieme spinse Dom a difendere la sua privacy dall'insistenza di Lyle.
-
È ok.
Lyle storse la bocca in una smorfietta indispettita.
Tornò alla carica, insinuando: - Si è innamorato di te?
- No!
- Siete solo amici, insomma.
- Ma che ti frega? - si intromise Chris.
Lyle lo apostrofò freddo: - Ti spiace? Io e Dom stiamo parlando.
- No, ti stai solo impicciando dei cazzi degli altri.
- Stai tranquillo, Teddy... Ho finito. -
Dom si rintanò fra Chris e Simon, sentendosi a disagio ma allo stesso tempo un po' orgoglioso di sé stesso.

L'ingresso del Cavern era poco più appariscente dell'entrata di un sottoscala, segnalato da una cupa insegna a mezzaluna; la porta si apriva su una ripida e per nulla invitante rampa di scale immersa nella penombra.
I ragazzi sembravano un po' intimoriti, ma non Lyle.
- Entriamo. - disse, e nessuno gli rispose.
Insisté: - Non ci fermiamo a mangiare... Entriamo e basta.
- Mica è un negozio... E poi ti faresti del male. - obiettò Simon.
- Perché?
- Perché chissà quando arriveremo a suonare qui.
Dom vide Lyle fulminare l'amico con lo sguardo.
- Chi mi ama mi segua. - disse.
Lyle aveva sceso tre gradini, prima che il resto della truppa lo inseguisse di malavoglia.
Il locale non era molto grande, e dentro era buio ed opprimente; i mattoncini a vista delle pareti gli conferivano un'aria spartana e grezza ed il palco, incastrato sotto una bassa volta a botte, era piuttosto piccolo. Insomma, non era nulla di che dal punto di vista estetico.
Dom si aspettava qualcosa di meglio.
- Che ne pensi? - Simon bisbigliò alle sue spalle, ma non stava parlando con lui.
Infatti, Chris rispose a voce altrettanto bassa: - Di cosa?
- Non ti piacerebbe suonare qui?
- Be', sarebbe... Fantastico.
- E poi... Oggi qui, domani chissà. Royal Albert Hall?
- Certo, e magari Wembley e poi la Luna o Marte!
- Tranquillo, Chris, accomodati e pisciami pure sulla parata.
- Non sto dicendo che non potrebbe succedere, però...
Dom immaginò una folla roboante acclamarlo dal prato di uno stadio. Non era per nulla spiacevole, come idea.
- Andiamocene. - l'ordine venne piatto ed appena percettibile, come se chi lo stesse pronunciando avesse perso all'improvviso tre quarti della propria baldanza di frontman stando semplicemente di fronte ad un minuscolo palco sguarnito.


Il resto del pomeriggio trascorse lento e leggermente imbarazzante.


- Ti piace l'erba, Dom?
- Eh?
- Le canne. Ti piace farti le canne?
- Uhm... No. Cioè, non...
- Non ne hai mai provata una? Cazzo, e non mi sono portato neanche un po' di fumo... Vabbe', comunque... Non hai mai fumato? Neanche una volta? Che diavolo vai facendo della tua vita, Dom? E i funghetti? Ti sei mai fatto una frittatina di funghetti?
- Be', io... No.
- … tu vai salvato, ragazzo mio. Davvero. Salvato da te stesso e dalla noia.


- Ma no.
- Ti dico di sì, invece... Jane Lawrence si nasconde nell'armadietto scassato che in realtà non è scassato e ci guarda mentre ci spogliamo.
- Ma perché dovrebbe?
- Perché è una ninfomane.
- Oh, santo...
- Davvero! Me l'ha detto una sua amica... “Le piace guardarvi il cazzo e per farlo si nasconde in un armadietto degli spogliatoi”.
- Ah, be', se esce glielo faccio pure toccare, non è un problema.
- Che stronzate.
- Seriamente... Vi ho mai raccontato stronzate, da sobrio?
- Ok, la prossima volta dobbiamo controllare.
- Ma con discrezione, eh. La sua amica dice che è anche psicolabile e bulimica e non bisogna traumatizzarla. Può diventare pericolosa.
- Cazzo vuol dire “bulinica”?
- “Bulimica”, con la “m”... E comunque boh, però non sta bene.
- Sì, be', si sentiva la mancanza di un pazzo in giro per la scuo... Uh, cioè.
- …
- … dicono che anche l'amica sia un po' porca, comunque. E sembra sana di mente.
- La cosa si fa interessante...


- Teignmouth non è così male.
- Si, vabbe'.
- Davvero!
- Certo, non è così male... Personalmente, il mio posto preferito di Teignmouth è la stazione, quando sono a bordo di un treno diretto verso qualunque altra città e la vedo allontanarsi sempre di più.
- Quando mi lamento di Teignmouth, i miei se ne escono sempre con la storia che sto vivendo un'età difficile e bla bla... Cazzate. È un'età difficile se la vivi in un luogo di merda. Vorrei vedere quanto sarebbe difficile se la vivessi a Londra.
- Boh, io ci sono affezionato... Sono cresciuto qui, la conosco come le mie tasche...
- Io vengo da una città ancora più triste, quindi non faccio testo.
- Anch'io.
- Anche tu? In che senso?
- Vengo da una città poco più grande di Teignmouth... Stockport.
- Io vengo dallo Yorkshire, invece. Comunque, che senso ha cambiare casa da un posto minuscolo ad un altro?
- Non ne ho idea.
- Ma tanto ce ne andiamo.
- Ce ne andiamo, sì.
- Mhm... E dove.
- Ciao, pessimismo cosmico. Non sapevo fossi invitato anche tu a questa gita.
- Siete voi i pessimisti... Questa città qualcosa può offrircelo, ancora.
- Sì, lo sgombro.
- Senti, non esiste sgombro migliore di quello di Teignmouth.
- A me fa schifo.
- Perché non capisci niente.
- È un pesce da gatti, dai!
- Che ignoranza.
- Tu mangi pesce da gatto e io sono ignorante, che roba...
- … vi state accapigliando sullo sgombro, ragazzi, rendetevi conto.
- Ci annoiamo così tanto, Ly, esatto.
- E il tramonto si avvicina... Si torna a casa.


- Ci vediamo, allora.
- Giovedì pomeriggio, come sempre.
- Come sempre.
- E vieni al Broadmeadow, mi raccomando.
- Sicuro.
Chris guardò Dom con il più severo dei cipigli.
- … ci vengo, giuro! -
- Ok, ok... Allora a presto.
Simon piazzò una potente pacca fra le scapole di Dom, togliendogli il fiato per un secondo.
- Ci si becca in giro, eh! - 
- Ci si becca, sì. - sorrise Lyle. Daniel si limitò a salutare con un cenno del capo.
Tutti e quattro si avviarono lungo la via principale.
In breve furono lontani dal campo visivo di Dom, che invece non si decideva a scollarsi dall'uscita della stazione.
Non era il freddo a pungerlo, in quel momento. Era qualcosa da cui non sapeva come ripararsi, a cui non c'era rimedio.

Desiderava piacergli. Desiderava piacergli come a lui piaceva Chris, e il pensiero lo seccava perché piuttosto avrebbe preferito essere in grado di accettare la propria solitudine. Non contare nulla per nessuno era una realtà a cui pian piano avrebbe potuto abituarsi, no? Aveva già rinunciato a suonare in compagnia, si trattava di un bel passo in avanti e avrebbe semplicemente dovuto continuare in quella direzione ma no... Doveva piacergli Chris, ovvio. Doveva desiderare disperatamente che Chris diventasse suo amico.
E non poteva farci niente.


Rattatatà tatà tattarattatà, ho aggiornato l'Inaggiornabile! Mi sento una dea, aw.

Dunque, bando alle facezie e on with the precisazioni “tecniche”: quella che avete appena letto è la prima parte di un megacapitolo che ho voluto spezzare per due motivi:

a) è un megacapitolo, appunto... Troppa carne al fuoco non va bene.

b) questa parte è il “punto di ebollizione”, l'altra è l'“innalzamento ebullioscopico”. Da un parte bolle l'acqua, dall'altra bolle una soluzione. Solvente e soluzione. Metafore, metafore everywhere.


ok, facciamo finta che il punto b) non esista.


Se state davvero seguendo *ancora* questa storia non posso che ringraziarvi... Siete belli, e io sono brutta-brutta.
Tornerò presto con la seconda parte prima del ventisei c.m. *sorride felice* no, ok, mi son lasciata trascinare dall'entusiasmo e mi son sopravvalutata... Facciamo che dovrà passare qualche giorno in più perché dal 26 effettivamente sto via e torno il 2 ottobre. Quindi, non molti giorni ma qualcuno in più sì. Ciao.

(lol @me che faccio precisazioni e correzioni come se dall'aggiornamento di questa fic dipendesse la salute di qualcuno) (sono precisa, che devo dirvi)

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Capitolo 10
*** Innalzamento ebullioscopico ***


Innalzamente Ebullioscopico HTML
Innalzamento ebullioscopico



Era già buio, quando Dom attraversò la soglia di casa.
Solo a metà del tragitto gli era sovvenuto che, alla fine, non aveva avvisato sua madre della gita ad Exeter: ergo, cercò di fare meno rumore possibile girando la chiave nel buco della serratura, come se non farsi sentire potesse in qualche modo migliorare la sua posizione.
- Dominic?
Addossandosi alla porta d'ingresso, Dom chiuse gli occhi e sospirò.
Restò nel corridoio, affacciandosi in soggiorno con un sorriso tirato.
- Ehi.
Diane sedeva sul divano, con la schiena perfettamente dritta e distante dallo schienale di parecchi centimetri.
- Dove sei stato?
L'ultima volta che l'aveva vista così genuinamente sconvolta era stata prima della partenza di suo padre. Allora era seduta sul suo letto, e davanti a lei si aprivano le ante di un armadio semivuoto.
- A Exeter. - rispose Dom.
Diane spalancò gli occhi.
- A fare cosa? E da solo, poi? E perché non mi hai lasciato almeno un biglietto?
- Be'...
Dom esitò solo un attimo, poi scrollò le spalle spiegando con noncuranza: - È stata un'improvvisata. Ho incontrato un po' di gente e mi sono unito.
- Hai incontrato...?
- Sì.
- Compagni di classe?
- No, non li ho mai visti.
- Santo cielo...
- Tranne Chris.
- Chi è Chris?
- Uno di scuola che conosco.
Diane guardò il figlio per diversi secondi.
Poi, gli si avvicinò per lasciargli un sonoro bacio sulla fronte ed abbracciarlo.
- Tesoro... Sono così felice, non puoi immaginare...!
- Si, mhm... - Dom la allontanò, tenendo gli occhi bassi.
- … vado a cambiarmi.
- Certo, certo... Se mi cerchi sono in cucina.
- Lo so.
Dom salì le scale a due a due, entrò in camera e si gettò sul letto perché di colpo si sentiva assolutamente esausto.
Mentre riviveva in ordine casuale i momenti più importanti della giornata, il suo umore si faceva sempre più roseo.
La Battle of Bands del Broadmeadow era abbastanza lontana da ispirargli un miscuglio più dolce che amaro di aspettative e previsioni.
La vera ansia iniziò nel momento stesso in cui varcò i cancelli del centro sportivo.

La gente era raggrumata in gruppetti, oppure assiepata di fronte al bancone del punto di ristoro. Le luci erano un po' basse, il che a Dom non dispiaceva affatto.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per ottenere una minima idea di cosa fare di sé stesso in quell'istante – le sue braccia improvvisamente gli parevano un paio di escrescenze superflue ed ingombranti, per non parlare del viso... Che espressione doveva fare per non sembrare/sentirsi uno sfigato capitato per errore nel bel mezzo di un mare di gente che conosceva solo di vista e andava bene così, grazie tante?
Se solo fosse stato meno imbranato avrebbe potuto chiedere a Chris di... Boh, stare nel backstage con loro o qualcosa del genere. Invece non lo sentiva da un bel po' di tempo, e non aveva neanche il suo numero di telefono.
Semplicemente, Dom era lì. Da solo. Peggio, era in compagnia di una caterva di pessimi presentimenti.
Quando la competizione ebbe inizio, la situazione migliorò: le luci si abbassarono ulteriormente per far risaltare la scarna illuminazione sul palco, e Dom poté mischiarsi alla piccola folla di coloro che erano davvero interessati alla musica e non solo all'aspetto mondano della serata.
I primi tre gruppi non lo entusiasmarono granché; aveva ragione Chris, tutti quanti da quelle parti erano apparentemente fissati con i Nirvana - in più, suonavano da cani.
Durante una pausa, si sentì picchiettare una spalla.
- Ciao.
Anche Bellamy non si faceva vivo da parecchio, con lui. Come suo solito, aveva scelto il momento peggiore per farlo.
- Cia-
- Posso stare qui? - Bellamy interruppe Dom, continuando poi frenetico: - Nel senso, ti dà fastidio se mi vedono vicino a te? Perché se vuoi possiamo far finta di non conoscerci.
… mi sta prendendo in giro?
- Tutti sanno che ci conosciamo, e comunque ormai è inutile perché mi stai parlando. - rispose Dom in tono piatto, voltandosi e tenendo lo sguardo forzatamente fisso sul palco che stava per essere occupato dal quarto gruppo concorrente.
Bellamy restò dietro di lui, una presenza rassicurante come quella di un avvoltoio a stomaco vuoto; intanto, la quarta band iniziò a suonare una straziante cover di Smoke on the Water.
Porca miseria, il frontman è da abbattere... Stonato come pochi. E il batterista, poi.
Da dietro, Bellamy gli urlò in un orecchio: - Ti piacciono?
Dom scosse il capo, replicando: - Il cantante è un pianto, e il batterista picchia come uno scimpanzè incazzato.
- È un complimento?
- Gli scimpanzè sanno suonare?
Lo sfacelo arrivò ad una fine, sotto una pioggia di fischi meritatissimi. Dom un po' si dispiacque per loro, ma purtroppo non c'era molto altro da dire: facevano cagare.
I Fixed Penalty erano la quinta band concorrente.
Chris salì per primo, salutando Dom da sotto i piatti della batteria.
- E lui com'è? - chiese Bellamy.
- Che me lo domandi a fare? Mi hai detto tu che non ti piace come suona, no?
- Sì, be', intendevo...
- E poi lo vedrai, no? Quindi...
Dom sorrise sotto i baffi, quando Bellamy sbuffò e si voltò dall'altra parte.
I Fixed Penalty iniziarono a suonare.
Per quanto non fossero estremamente dotati ed il loro repertorio non gli andasse particolarmente a genio, Dom rimase colpito lo stesso dalla loro performance.
Avrebbe voluto ritrovarsi dietro la batteria al posto di Chris, immergendosi in quell’atmosfera che era ciò che più gli mancava quando suonava da solo in camera sua e che aveva cercato invano nel complesso jazz della scuola: gli sguardi d'intesa, i sorrisi, la complicità.
Non gli piaceva invidiare i Fixed Penalty per ciò che li univa, ma far finta che non fosse così sarebbe stato inutile.
E poi, forse, poteva servirgli... Quel pungolo avvelenato poteva fungere da stimolo. Per cosa, non gli era ancora dato sapere.
Bellamy del frattempo era avanzato fino a stare al suo fianco, muto e rigido.
Al termine dell'esibizione, Chris fece segno a Dom di aspettarlo.
Lo raggiunse cinque minuti dopo, abbrancandolo da dietro ed urlandogli nell'orecchio: - Ehi! Ti è piaciuto lo spettacolo?
- Assolutamente! Cioè... Forte.
Chris annuì con una certa veemenza, ed un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
Scrollò Dom, gettandoglisi poi addosso nell'esclamare con un volume di voce esageratamente alto: - Senti, noi adesso andiamo un po' in giro... Ti va di unirti a noi?
L'invito venne così inaspettato che Dom credette di aver frainteso.
- Ecco, io...
Approfittando di quell'attimo di silenzio, Bellamy si intromise: - Ok, io vado altrimenti arrivo a casa a mezzanotte...
Dom si voltò verso di lui – operazione alquanto difficile, visto che Chris continuava a stargli  letteralmente appeso.
- Non ti viene a prendere nessuno?
- No, vado a piedi.
- Da solo?
- Chi mi ammazza?
- E dov'è che abiti, di preciso?
- Vicino alla caserma dei pompieri.
- E vuoi davvero fartela a piedi da solo? - proruppe Chris.
Bellamy lo guardò appena, chiedendo: - L'alternativa quale sarebbe?
- Mia madre può darti uno strappo in macchina. - propose Dom, alché Chris gli chiese: - Ah, quindi torni a casa con lei?
Il treno di pensieri di Dom cominciò ad incepparsi.
Sarebbe tornato a casa con sua madre? In teoria sì, il piano era quello.
Voleva tornare a casa con sua madre?
Cazzo, no. Nella maniera più assoluta. L'unica cosa che voleva era già essere fuori di lì, possibilmente in compagnia dei Fixed Penalty.
C'erano solo un paio di problemi da risolvere.
- Sentite, non voglio costringervi a fare niente... - iniziò Bellamy, prima che qualcuno gli passasse accanto abbattendosi poi su Chris e di conseguenza su Dom. Si trattava di Simon.
- Preso! - gridò il chitarrista.
I suoi vestiti odoravano di qualcosa che sembrava fumo di sigaretta, ma molto più aromatico... Erba, forse?
- Ciao, Dommeh! Allora, t'è piaciuto lo show?
Prima che potesse ricevere risposta, Simon si voltò nella più sbagliata delle direzioni possibili.
Inclinò il capo da un lato, strizzando gli occhi e puntando un dito contro Bellamy.
- Tu sei...
In un lampo Bellamy sembrò farsi minuscolo.
Dom immaginò che il suo più grande desiderio in quell'istante fosse disperdersi nell'aria a mò di vapore, trasformarsi in una pianta, trovarsi ovunque tranne che al Broadmeadow di fronte a qualcuno che lo additasse con aria istupidita.
- Io sono, sì. Buonanotte, ragazzi.
Bellamy si allontanò tra la folla a passo svelto, e a Dom non venne in mente di fermarlo.
Chris gli diede di gomito, domandando: - Si è offeso?
- Non lo so... - mormorò Dom, inseguendo l'oggetto del discorso con lo sguardo.
- Cazzo, non volevo cacciarlo via... - commentò Simon.
No, probabilmente volevi solo giocarci un po', fargli qualche domanda per vedere se ci sta con la testa e portarlo a Lyle come pegno di fedeltà suprema ed incrollabile.
- Dagli un passaggio, non è il caso che vada in giro a notte fonda... Vicino alla caserma è zona di spaccio.
Cosa fare?
Da un lato, non voleva mollare Chris. Dall'altro, non poteva lasciare Bellamy da solo – se gli fosse successo qualcosa?
E sua madre? La Battle of Bands era quasi giunta al termine, non sarebbe mai riuscito ad accompagnare Bellamy e a tornare indietro prima che sua madre arrivasse... E poi doveva chiederle se poteva restare fuori con i Fixed Penalty e... Cazzo.
Dom si scrollò di dosso Chris, esclamando: - Aspettami qui! - e partendo all'inseguimento di Bellamy completamente alla cieca, poiché era già scomparso dal suo campo visivo.
Di certo era ancora nei paraggi, il centro sportivo era pieno e avrebbe dovuto passare sopra le teste delle persone per aver già guadagnato l'uscita.
L'uscita, a proposito. I cartelli che la indicavano. Dove cazzo erano.
… trovati. Ora doveva solo seguirli, e guardarsi attorno.
Sospinto dalla fiumana di gente, Dom si ritrovò Bellamy accanto per caso, come dava ad intendere l'espressione stupita di questi.
Per paura che potesse sfuggirgli, Dom lo bloccò prendendolo per un braccio e disse velocemente: - Fra un po' arriva mia madre, ti porterà sicuramente a casa se...
- Non posso... Mamma e nonna non sanno che mi trovo qui, metti che le scappa qualcosa con loro?
Oh. Ciò costituiva un ulteriore problema.
- Vado a piedi... Grazie lo stesso.
- Ti accompagno!
Di nuovo, Bellamy lo guardò sorpreso ed un po' insospettito.
Come dargli torto? Neanche Dom era sicuro che la sua fosse una buona idea.
- Ma dopo saresti tu a tornare a casa da solo, no?
Non se sto con Chris.
… Howard, tu non stai pensando di trascinarti Chris fino a casa Bellamy.
- … aspettami. - esalò Dom, prima di tornare indietro sui suoi passi.
Nel frattempo, la manifestazione si era conclusa.
Orde, sciami, tonnellate di persone gli stavano venendo incontro ridendo e scherzando fra loro, ostacolando il suo ritorno da Chris e Simon.
Dom era così nervoso che gli venne quasi da ridere.
A metà percorso, gli sovvenne che sua madre probabilmente era già arrivata e gli sarebbe convenuto seguire la massa fuori dall'edificio per cercare di convincerla ad andarsene via senza di lui.
Prese un respiro profondo, trovò il modo di fare dietrofront e si lasciò trascinare dalla corrente.
Aveva ragione: Diane lo attendeva vicino al cancello principale.
- Eccoti qua! Allora, come è andato il-
- Vado un po' in giro con degli amici, ma', ti spiace?
La faccia perplessa della madre stava irritando Dom come mai qualcosa era riuscito ad irritarlo prima di quella sera, ne era sicuro.
- Quali amici, quelli dell'altra volta? E come torni a casa, poi?
Dom sputò la prima bugia che gli venne in mente: - Dormo a casa di Simon Pale.
- Pale? Si tratta di un parente di Arthur Pale, il fruttivendolo di Brunswick Street?
- Sì, sì, quello. Precisamente.
- Il suo numero di telefono qual è?
- Uhm... È sull'elenco, no?
- Ma dov'è? Vorrei conoscerlo.
- Per forza? Insomma, è già molto tardi e...
- Vorrei solo sapere che faccia ha, tesoro, non mi pare di chiedere troppo... Allora, dov'è?
- Senti, è basso e pel di carota, ha gli occhi chiari e le lentiggini... Tutto qui.
Fino ad allora Diane appariva piuttosto scettica; a quel punto, sorrise con aria maliziosa. Il che era francamente inquietante, dal punto di vista di suo figlio.
- Non è che per caso questo Simon è una Simone, mhm?
- … cosa?
- Perché se è così, tesoro, forse dovremmo fare un certo discorso prima che tu... Capisci...
Dom strizzò gli occhi, agitando le mani in aria come per scacciare lo spettro della Conversazione sulle Cose della Vita.
- È maschio, come il resto della compagnia.
- Posso fidarmi?
- Ma certo che sì!
Diane era vistosamente combattuta fra il desiderio di salvaguardare l'incolumità del suo unico figlio e quello di permettergli di comportarsi come un ragazzo della sua età.
Prevalse il secondo.
- Chiamami quando arrivi, d'accordo? E fate attenzione.

Adesso vado da Chris. No, forse è meglio andare da Matthew. O forse è meglio se vado a casa, faccio ancora in tempo a raggiungere mia madre e a far finta di averle fatto uno scherzo – amici? Simon Pale? Ci hai creduto davvero, mammina?
Chris e Simon non si erano mossi da dove li aveva lasciati, ma la compagnia si era allargata: adesso c'erano anche Daniel e Lyle.
Dom rallentò il passo istintivamente.
Il tempo di darsi del cretino senza palle, e riprese a correre.
Salutò con un breve cenno i nuovi arrivati, e poi tirò silenziosamente Chris per una manica della camicia allo scopo di allontanarlo dal gruppo.
- Allora? Bellamy è andato a casa? - domandò Chris, e a Dom sarebbe piaciuto ingiungergli di abbassare un po' la voce.
- No, è ancora qui.
- … Bellamy?
Ecco fatto, avevano attirato l'attenzione della persona più sbagliata possibile.
Lyle squadrò Dom dall'alto in basso, sorridendo.
- Oh... Siete venuti insieme? Che carini.
Indicando la band con un ampio gesto del braccio, disse: - Portalo qui! Perché ce lo tieni nascosto? Mica mordiamo!
Oh, sì che mordete – che mordi.
- Deve tornare a casa. - scandì freddo Dom, curandosi di non abbassare gli occhi neanche per un secondo, neanche di fronte ad una persona che percepiva come velenosa e subdola ed aveva almeno tre alleati, mentre lui era solo e si improvvisava avvocato, per motivi che ancora gli sfuggivano, di una causa definitivamente persa.
- E allora perché è ancora qui?
- Perché lo accompagno io.
Chris si spostò al fianco di Dom, precisando: - Lo accompagnamo noi.
Si trattava palesemente di un “noi” che non includeva il resto dei Fixed Penalty, e Dom se ne accorse con gran stupore.
Dal canto suo, Lyle fece finta di non capirlo.
- Andiamo tutti, allora!
- Bastiamo noi due.
- Sei geloso? Guarda che non te lo rubo mica...
Il coraggio di Dom iniziò a scemare man mano che la distanza fra lui e Lyle veniva coperta a passi lenti da quest'ultimo, il quale si chinò poi per sussurrargli ad un orecchio: - … digli che lo saluto e che la prossima volta può anche venire a scambiare quattro chiacchiere in amicizia, invece di spiarci da lontano.
Sorpreso, Dom si voltò.
A pochi metri da loro, Bellamy si torceva le mani con aria ansiosa.
Chissà se aveva captato qualcosa di ciò che si erano detti...
Con fare circospetto, e senza perdere di vista Lyle che stava tornando dai suoi amici ma lo esaminava lo stesso a distanza con un sorrisetto lezioso stampato sul volto, Bellamy si mosse verso Dom e balbettò: - Vo-volevo dirti c-che me ne stavo andando e che...
- Ti accompagnamo.
- Davvero?
Dom annuì, indicandogli Chris.
- Lo conosci, no?
- Certo.
- E, uhm... Chris, tu conosci...
- Matthew. - lo anticipò Bellamy.
Certo, non ha solo un cognome.
- … Matthew. - ripetè Dom, e Chris lo imitò: - Matthew, mhm.
Be', perfetto.
… perfetto?
- … stiamo andando, quindi? - domandò Matthew con aria sospettosa.
I suoi due accompagnatori si scambiarono una breve occhiata.
- Direi proprio di sì. - replicò Dom.



- Ah, e Tourette's è stata fantastica.
- Mhm, è una di quelle che ci riesce meglio.
- Forse stanno iniziando a piacermi davvero, i Nirvana.
- Bravo! Te l'ho detto, l'unica cosa che mi dà al cazzo è che siano inflazionatissimi da queste parti, per il resto sono davvero fantastici.
- A-ha.
- Suoni ancora il pianoforte, Matthew?
Sussultando, questi si riscosse dal suo silenzio – lo stesso silenzio che Dom e Chris stavano sforzandosi di riempire chiacchierando della serata appena trascorsa – e bofonchiò: - Qualche volta.
- Mhm. - Dom annuì, aspettando e sperando che sputasse fuori qualsiasi altro input di conversazione.
In effetti, lo fece.
- Rigiratevi.
- Scusa?
Matthew gracchiò una risatina nervosa.
- È imbarazzante. La situazione, dico.
Percorse qualche metro da solo, perché Dom si era bloccato così come Chris.
Restarono fermi, in mezzo alla via principale della città a quell'ora deserta, con un paio di lampioni che minacciavano di fulminarsi da un momento all'altro – l'unico rumore distinguibile era il friggere delle loro lampade difettose.
Il freddo si stava intensificando, il vento era più teso e Dom rimpianse di non essersene fregato di tutto e tutti, montando in macchina con sua madre alla volta di casa sua e del suo caldo, candido lettino.
Credeva di fare un favore a... A quello lì, non lasciandolo solo.
Perché non poteva, per una volta, una sola volta in vita sua, rendergli le cose più facili?
Ma no, è senz'altro meglio lasciare con un palmo di naso due persone quantomeno  interessate alla tua sopravvivenza, così non devi smettere di sentirti un reietto schifato dall'universo intero.
Chris si strinse nel suo giubbotto, soffiando sulle proprie mani intirizzite.
- Ci stiamo rigirando?
In risposta, Dom disse: - Aspetta qui. - e partì all'inseguimento di Matthew, raggiungendolo in men che non si dica.
Lo fece incespicare, arrivandogli alle spalle ed agguantandolo per un braccio.
- Ehi...
- Ho fatto di tutto per coinvolgerti... Pensavo che comportandomi come se ci conoscessimo da tanto avrei finito per conoscerti davvero. Tipo, non mi metto a piangere di fronte a chiunque ma per te l'ho fatto.
Non c'era molto da dire, e se c'era Dom non sapeva dove cercarlo.
L'unico dato certo, in tutta quella storia, era che Matthew aveva torto: se davvero il suo tentativo di “coinvolgerlo” non fosse andato in porto, quella sera si sarebbe ritrovato a percorrere la via di casa da solo.
Invece...
- Resta qui.


- Quindi?
- Quindi vado io con lui.
Chris aggrottò le sopracciglia, osservando Matthew che voltava loro le spalle poco più in là.
- Sei sicuro? Senza offesa, ma non mi fido molto...
- Ha bisogno di... Be'...
- Di te?
Se sapessi di cosa ha bisogno sarebbe già un passo avanti. Se sapessi cosa sto facendo, sarebbe ancora meglio.
Dom sospirò, allargando le braccia in segno di impotenza.
- Senti... So che non state insieme ma sei proprio sicuro che lui...?
- Non fare il Lyle, ti prego.
- Stai attento.
- A lui o agli spacciatori?
- Ti aspetto qui.
Dom sbarrò gli occhi, stupito.
- … davvero?
- Sì.
- Be', uhm... Cioè, mica devi per forza...
- Tranquillo.
- … grazie. Vedo di sbrigarmi.
- Ecco, bravo... Datti una mossa, ché è già tardi.
Mentre tornava da Matthew, Dom sorrise incredulo fra sé e sé.


- Wolstencoso è migliorato.
Oh, finalmente si è ricordato di avere una lingua...
- Potresti chiamarlo Chris.
- No.
- Dio, poi ti lamenti che non hai amici.
Matthew si voltò di scatto verso di lui, bisbigliando piccato: - Non è divertente.
Erano arrivati di fronte al cancello di casa Bellamy: appoggiandovisi, le braccia rigidamente conserte sul petto ed il mento sollevato, Matthew volle sapere: - Perché l'hai mandato via?
- Perché non ti piace.
- Che ti frega di chi mi piace o no?
- Volevo solo che non ti sentissi a disagio.
- … eh? Per quale motivo?
- Sono una persona gentile, tutto sommato.
Matthew si strofinò la faccia con entrambe le mani, borbottando: - Ecco, adesso come dovrei salutarti?
- Boh, con un “buonanotte”, un “ci vediamo”? La gente normale fa così.
- Noi non “ci vediamo”, Dom.
Eccolo di nuovo, quel modo passivo-aggressivo del cazzo di porsi nei suoi confronti. Voleva davvero dargli la colpa del fatto che il loro rapporto non fosse di certo paragonabile ad un'amicizia con tutti i sacri crismi?
- Ma che diavolo vuoi, eh? L'hai detto prima... Mi hai trascinato nella tua vita e non ti stai neanche sforzando di far tornare le cose com'erano prima, quindi non sei davvero dispiaciuto.
- E invece sì, mi dispiace!
Stavolta fu Dom a nascondersi la faccia tra le mani, esasperato.
- Che vuoi fare, adesso? - chiese Matthew timidamente.
Timidamente, sì.
La sua tecnica di lotta era un balletto di avanzate fulminee e ritirate strategiche - fermo un turno e poi avanti di tre caselle. Li faccio parlare tutti di me per un po' e poi mi ritiro nell'ombra.
- Non mi stai sul cazzo.
- Ma non vuoi essere mio amico.
Decido io, anche per te. Per tutti.
- Hai cominciato con il piede sbagliato. Non hai fatto nulla per meritarti la mia fiducia.
- C'è qualcosa che posso fare per rimediare?
E so che sto combinando un macello, ma da che parte inizio a riaggiustare le cose?
- La prossima volta che vuoi uscire telefonami, invece di comparire dal nulla.
Matthew rimase a bocca aperta, nel senso letterale dell'espressione.
- … grazie.
- E buonanotte.
- Ci vediamo, vorrai dire.
Dom alzò gli occhi al cielo, senza rispondere.


Chris lo accolse senza porre domande, tranne una.
- Allora... Pronto per la serata?

Facciamo così: io non vi faccio più promesse che non posso mantenere (a mia discolpa, posso dire che ero in buona fede) e voi non mi prendete a male parole per il ritardo colossale con cui finisco puntualmente per aggiornare... Siamo d'accordo?

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Capitolo 11
*** Energia del vuoto ***


Energia del vuoto

 

 

 

Nel primo pomeriggio di quella domenica pigra e bigia, Dom vegetava sul divano del suo soggiorno in preda alla noia più esasperante.

Stava meditando di andare a fare una passeggiata sul lungomare, quando i suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del telefono in corridoio.

Sua madre si precipitò a rispondere.

- Pronto?

Passò qualche secondo e poi la sentì riattaccare, commentando perplessa: - Avranno sbagliato numero...

Per qualche motivo, Dom ebbe la sensazione che in realtà l'interlocutore il numero l'avesse decisamente azzeccato, e che avesse terminato la chiamata proprio per questo motivo.

Il telefono squillò ancora, e Dom esclamò: - Vado io!

Ghignando fra sé e sé, rispose.

- Pronto?

Dall'altra parte della cornetta, Matthew iniziò a parlare freneticamente: - Dom! Prima deve essere caduta la linea perché ad un certo punto-

- Ma certo. Che ti serve?

- Mhm... Domani ho il compito di francese.

- Ok...?

- E non so un cazzo, ovviamente.

- Mhm.

- E quindi mi chiedevo se potessi... Cioè, se non hai già da fare perché è domenica e magari devi fare i compiti per domani e...

- Li ho fatti stamattina.

Era inutile girarci attorno.

- Vuoi una mano?

- Esatto! - esclamò entusiasta Matthew.

Dom alzò gli occhi al cielo.

- Cos'è? Grammatica, letteratura...

- Grammatica.

- Cioè devi solo imparare un paio di regole a memoria.

Dom dovette allontanare la cornetta dall'orecchio quando Matthew proruppe: - Un paio di milioni, vorrai dire! Odio il francese, è la lingua più insulsa al mondo, con tutti quei suoni viscidi e il congiuntivo e le coniugazioni e-

- Va bene, va bene!

- Uh? Davvero? Cioè, mi aiuterai?

In tono volutamente indifferente, Dom confermò: - Non ho niente da fare, quindi... Quando posso venire?

- Possiamo studiare da te, per favore?

Se Matthew Bellamy chiedeva qualcosa “per favore”, di qualunque cosa si trattasse doveva essere davvero importante per lui.

- Ok.

- Allora arrivo subito!

- Wow, quanta fre-

Dom non terminò la frase, perché ad ascoltarlo c'era solo il segnale acustico di libero del telefono.

 

Era da un po' che non si sentivano, precisamente dalla sera della Battle of Bands.

Nonostante da allora la posizione di Dom nei confronti di Matthew si fosse ammorbidita, questi non aveva cercato di trarre vantaggio dalla situazione: era letteralmente sparito nel nulla, forse preso dallo studio o... Be', dalle cose che gli piacevano. Ad ogni modo, quello era il primo segno di vita che aveva deciso di dare.

Non che per Dom ciò costituisse un problema... Era solo un po' strano. In fondo, quello che Matthew voleva era essergli amico, no? Eppure, una volta raggiunto – o quasi - lo scopo prefisso, pareva essersene dimenticato.

Magari qualcosa bolliva in pentola... Da Matthew Bellamy era ragionevole aspettarsi di tutto.

Quindi, Dom aveva deciso di dargli spago e stare a vedere cosa sarebbe successo.

 

 

Mezz'ora dopo la telefonata, Dom aprì la porta alla versione più paonazza ed ansimante di Matthew Bellamy che avesse mai visto; di conseguenza, si allarmò un po'.

- … che è successo?

Fra un ansito e l'altro, Matthew trovò il modo di formulare una risposta.

- Ho... Corso.... Autobus... Domenica... Niente...

Quasi sbatté in faccia a Dom un mazzo di fiori bianchi, gli steli tenuti insieme da carta stagnola e qualche giro di spago.

- Sono fresie... Per tua madre.... Quest'anno sono... Fiorite con qualche giorno d'anticipo...

Lupus in fabula, proprio in quel momento Diane uscì dalla cucina chiedendo: - Dom, hanno suonato alla porta?

Lo sguardo le cadde su Matthew, poi sul mazzo di fiori, poi su suo figlio.

Quest'ultimo borbottò, arrossendo un po': - Le ha portate per te.

Visto che l'ospite era apparentemente deciso a restare impalato sulla soglia di casa Diane gli venne incontro, affondando il naso fra le corolle dei fiori e cinguettando: - Che bel pensiero!

- Squisito, sì... Noi andiamo in camera, ora. - tagliò corto Dom, tirando Matthew per una manica della felpa e dirigendosi verso le scale.

Prima cominciamo a studiare, prima finiamo.

 

 

Matthew non sembrava avere molta fretta di iniziare: invece di mettere mano ai libri gironzolava per la stanza, prendendo in mano il primo oggetto che gli capitava a tiro, toccandolo, rimirandolo, a volte persino annusandolo. Sembrava incapace di prendere una posizione stabile come Dom, che già si era accomodato sul letto aspettando che l'altro lo raggiungesse.

Ad un certo punto Matthew raggiunse la batteria, e Dom si irrigidì istantaneamente; si accorse di stare trattenendo il fiato, nel controllare che l'ospite non si prendesse troppa confidenza con la sua piccola.

Suonava anche lui... Forse non serviva proibirgli di toccarla, l'avrebbe capito da sé.

- È tenuta molto bene... - sussurrò Matthew, chinandosi a rimirare più da vicino, per motivi ignoti, la grancassa.

Dom non riuscì a trattenere una nota di orgoglio nel rispondere: - Ovviamente.

Lasciò andare un sospiro, quando Matthew si avviò finalmente a raggiungerlo sul letto: questi prese il suo zaino e lo sbattè con disinvoltura sul materasso.

Sorridendo, iniziò: - Dopo possiamo...?

- Sei venuto a cazzeggiare o a studiare? - sbottò Dom, e Matthew assunse un'aria piuttosto offesa.

- Ho detto “dopo”, rilassati.

Dom si stava innervosendo.

Da un lato, non intendeva concedere alcun margine di vantaggio al suo ospite – giocava in casa, e voleva che Matthew non lo dimenticasse: dall'altro, il fatto che il tentativo di far pesare la propria “superiorità” probabilmente fosse superfluo e vagamente ridicolo non gli era per niente sfuggito.

Ergo, cercò di mantenere una certa compostezza e contemporaneamente di non recedere dalla sua posizione privilegiata.

- Comunque... No.

- Non mi hai dato neanche il tempo di parlare, come fai a rifiutare la mia proposta?

Ironicamente, ma non troppo, Dom rispose: - Be', tendenzialmente è così che funziona... Tu mi proponi qualcosa, io rifiuto, tu insisti, io rifiuto di nuovo e via discorrendo all'infinito.

La faccia di Matthew era quella di un bambino molto, molto deluso.

- Be'... Mi sento un po' castrato.

Dom roteò gli occhi, per poi ordinargli: - Siediti, e prendi i libri.

 

 

 

Un conto era odiare una materia con tutto il cuore, ed un conto era odiarla con tutto il cuore essendo totalmente incapaci di afferrare anche il più basilare dei concetti relativi ad essa.

Sfortunatamente, Matthew aveva non solo difficoltà a ricordare ed applicare le regole grammaticali del francese, ma anche una pronuncia che, nonostante i tentativi di Dom per correggerla, restava poco più che mediocre.

Più per sincero sbigottimento che allo scopo di insultarlo, dopo una frustrante ora passata sui libri Dom chiese a Matthew: - Come diamine fai a fare così schifo?

L'altro chiuse il libro di scatto, lamentandosi: - Se solo me ne fregasse qualcosa! Tutto quello che so del francese viene dal Samson et Dalila.

- Mhm?

- Samson et Dalila, di Camille Saint-Saëns.

- … mhm?

- Cazzo, davvero non conosci Camille Saint-Saëns? Danse Macabre? Mon Coeur S'ouvre à Ta Voix?

Di fronte allo sguardo vacuo di Dom, Matthew iniziò a cantare su un motivo effettivamente familiare qualcosa che suonava più o meno così: - Aaawiponz... Wipooonz ama tandweeesss...

- Che lingua sarebbe quella? Perché sono abbastanza sicuro che non sia francese.

- Oooh, non prendermi per il culo.

Dom rise, e chiese di getto: - Ti piace l'opera, quindi?

Il suo ospite si sdraiò sul letto, quasi calciando via i libri, e rispose: - Non sono un esperto, però ci sono delle cose che mi tolgono letteralmente il fiato.

- Aw.

- Ripeto, non prendermi per il culo.

Erano evidentemente in pausa, quindi Dom mise da parte i libri per sedersi più comodamente.

Gli era tornata in mente una cosa.

- Che volevi fare, prima?

- Hai altri strumenti, in casa?

- Una chitarra acustica, da qualche parte.

- Tirala fuori.

Dom restò in silenzio, titubante, e Matthew insistette entusiasta: - Dai, facciamo qualcosa di divertente... Una jam-session!

- Non ho mai suonato in compagnia.

Quella frase suonava così... Strana, detta ad alta voce.

O forse “strana” non era l'aggettivo giusto.

- Mai? Wow.

incredibilmente deprimente, magari?

Con una spallucciata, Matthew disse: - Io suonavo con papà ed i suoi amici, prima che se ne andasse a pascere canguri in Australia.

Dom ridacchiò.

- Wow, quindi tuo padre è un allevatore di canguri? -

- Può darsi, conoscendolo. L'ultima volta che l'ho sentito faceva il tassista, ma prima è stato... Be', un sacco di cose.

Matthew gesticolò freneticamente come a cancellare quella digressione su suo padre per far ritorno all'argomento principale della conversazione: - Insomma, quand'ero piccolo papà invitava a casa i suoi ex-compagni di band... I Tornados, li conosci? Quelli di-

- Telstar? - lo prevenne Dom.

- Esatto! Allora, dopo mangiato ci mettevamo in taverna a suonare... Li accompagnavo al piano.

Matthew sorrise, continuando a raccontare: - È divertente persino se con la musica non c'entri niente... Mia madre è stonata come una campana, ma ogni tanto duettava con papà solo per fare un po' di casino. Sai, magari si mettevano a cantare Something Stupid di Frank Sinatra e mamma cercava disperatamente di azzeccare le note del controcanto e mai una volta che ci riuscisse! Mio padre aveva una pazienza spaventosa, perché ogni volta che si presentavano queste occasioni non la zittiva mai come avrebbe meritato... Pensa che una volta...

Era partito per la tangente, ormai.

Dom si sentiva come quei cagnolini dalla testa penzoloni, ridotto com'era ad annuire e prodursi in qualche occasionale “mhm” e “ah”; tuttavia, la cosa non lo urtava più di tanto perché Matthew iniziava – lo ammise a se stesso con estrema difficoltà – ad incuriosirlo sul serio, e non solo per i suoi famigerati trascorsi.

La sua vita doveva essere stata parecchio interessante, prima di trasferirsi nella vecchia Tinmuffa.

- … non volevo divagare, scusa.

- Figurati.

- Quindi? Suoniamo o no?

Dom esitò un attimo, prima di rispondere.

- No.

Si precipitò a spiegare: - Cioè, la chitarra ce l'ho ma è in cantina e dovrei prima scatastare un mucchio di roba per prenderla, perciò...

Matthew lo guardò con aria indecifrabile.

- Ok... Ma non mi va di rimettermi a studiare questa merda.

- A me non va di spiegartela... Ho la gola secca e mi sta venendo il mal di testa.

- Allora, boh... Tu che mi racconti?

- Eh?

- Ti ho riempito di chiacchiere, è arrivato il momento di vendicarti.

A disagio, Dom tentò di ironizzare: - Ti ho appena detto che ho la gola secca o sbaglio...?

- Andiaaamo...! - cantilenò Matthew, allungandosi a punzecchiargli un fianco con l'indice.

Dom cercò di colpirgli la mano con uno schiaffo, ma l'altro fu più veloce di lui e la ritrasse con una risatina.

- Che vuoi sapere?

- Non mi scandalizza quasi niente, quindi... Sbizzarrisciti.

- Non ho niente da raccontare.

- Tutti ce l'hanno.

- Davvero... Sono una persona abbastanza noiosa.

Matthew non sembrava affatto intenzionato a desistere, nonostante la ritrosia di Dom.

- Hai un sogno nel cassetto?

- Uhm... Boh, no.

- Libro preferito?

- Mhm...

- Gruppo preferito?

- ...

- … piatto preferito?

Esasperato, Dom disse: - Basta... Lo vedi? Sono deprimente... Studio, suono la batteria e mi rompo le palle.

Il momento era particolare. Matthew lo studiava attentamente, con quegli occhietti azzurri che davano l'impressione di non tralasciare alcun dettaglio di quanto lo circondava, e Dom non sapeva cosa dire, né cosa fare.

Il suono delle sue stesse parole, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, produsse in lui un senso insolito di straniamento – si rese conto di non aver mai neanche formulato un pensiero che somigliasse alla sua ultima affermazione.

Abbassò lo sguardo, cercando con cura le parole per proseguire quella strana conversazione – sempre galleggiando in quello stato d'animo indefinibile.

- Quando non hai... Stimoli... È inevitabile ritrovarsi soli, credo. È quasi giusto.

- Essere soli non è giusto. - ribatté prontamente Matthew, con voce insolitamente pacata.

- Chi vuole una persona noiosa e senza interessi come amica, scusa?

Matthew si indicò, dicendo: - Be', io di interessi ne ho un miliardo, e guardami...

Dom non trovò una replica adatta.

Entrambi restarono seduti sul letto per un istante, in silenzio; poi Matthew balzò a terra, iniziando a riporre i libri nello zaino.

- Vado a casa... Grazie dell'aiuto.

- Non c'è di che. - mormorò Dom, restando fermo nella propria posizione.

In un rigurgito improvviso di educazione, si affrettò a dire: - Ti accompagno alla porta...

- Naah, ci arrivo da solo.

- In bocca al lupo per domani.

- Crepi... Ti farò sapere.

Prima che Matthew uscisse dalla stanza, Dom quasi urlò: - Se vuoi venire a suonare...

Arrossì, ma continuò.

- … facciamo quando mia madre non c'è, così non la disturbiamo.

L'altro mise su una faccia fintamente inorridita.

- … mi stai invitando quando tua madre non c'è? Sono un ragazzo serio, io.

Per l'ennesima volta, Dom alzò gli occhi al cielo.

 

 

Continuava a pensarci: persino a cena, tirò fuori l'argomento con sua madre.

- Ce l'ho un piatto preferito?

Diane non si aspettava la domanda .

- … non saprei. - rispose, e sembrò che il fatto la perplimesse più o meno quanto perplimeva Dom.

Quest'ultimo suggerì: - Forse le lasagne. O la pizza. - rivolgendosi più a se stesso che alla madre: poi guardò dentro il proprio piatto, borbottando: - Di sicuro non sono i broccoli al vapore. - e riprese a mangiare in silenzio, mentre Diane lo fissava dall'altro capo del tavolo.

 

Dopo cena, Dom non aveva molta voglia di guardare la TV.

Andò in camera sua, e si piazzò di fronte alla piccola libreria sulla quale era radunata la sua collezione di videocassette, musicassette e libri.

Doveva esserci qualcosa che gli piacesse veramente tanto, no?

laddove la parola chiave era “doveva”.

Insomma, era sopravvissuto per sedici anni senza avere un film preferito, forse non costituiva un requisito fondamentale averne uno. Apprezzava diverse cose, dopotutto, suonare la batteria in primis.

Cosa c'era di male a non essere degli estremisti, nell'amare qualcosa?

- Giusto. - Dom si diede ragione da solo, ad alta voce.

Nonostante ciò passò in rassegna ogni titolo, attribuendo ad ognuno un buon motivo per essere lì sullo scaffale. A volte non era così facile: molti libri erano classici della letteratura cosidetta “per ragazzi”, e adesso li trovava un po' soporiferi e datati - che diamine, Pattini d'Argento? Pinocchio? Seriamente.

Lo stesso valeva per i film, e persino per la musica – Le Più Belle Colonne Sonore dei Film Disney vol. II, porca troia!

Quella libreria era stracolma di roba sua che in realtà non gli apparteneva affatto. Piaceva ad un se stesso più piccolo, era stata acquistata per lui e goduta da lui. Quasi un'altra persona, insomma.

Dom non ci aveva mai fatto caso. A dodici anni ricordava di essersi liberato dei Lego, le automobiline e gli altri giocattoli con i quali non giocava più da qualche tempo, ma il resto era rimasto lì perché non l'aveva sostituito con nient'altro. Lo spazio dedicato alle cose che gli piacevano in quel momento era minuscolo, se non si contava quello occupato dalla batteria.

- Perché? - mormorò, sedendosi sul bordo del letto e restandovi per un buon quarto d'ora semplicemente a riflettere.

 

 

Qualche giorno dopo, mentre era in pausa dalla sua corvèe in biblioteca, chiese a Chris: - Qual è il tuo gruppo preferito?

Chris estrasse un paio di patatine dal sacchetto, cacciandosele in bocca e masticandole con aria meditabonda.

- Vuoi davvero saperlo? - bofonchiò a bocca piena.

Dom annuì, appoggiandosi con la schiena al distributore delle merendine.

Senza guardarlo, Chris disse a mezza bocca: - Gli Status Quo.

- … oh. - mormorò Dom.

Probabilmente, l'altro era abituato a quel tipo di reazione.

- Ecco, capisci perché non lo racconto in giro? - rise, ed allargò le braccia in un gesto di rassegnata impotenza.

- La prima volta che l'ho detto ai ragazzi hanno riso per cinque minuti di fila. Li ho cronometrati.

- Be'... Whatever You Want è un gran pezzo.

- Scommetto che conosci solo quello. - Chris scosse il capo, sbuffando rumorosamente. Ad ogni modo, non sembrava arrabbiato.

Pescò quel che rimaneva sul fondo del sacchetto di patatine, chiedendo: - E tu, invece? Hai un gruppo preferito?

Dom storse la bocca in una smorfietta dubbiosa.

- No... Né tantomeno un cantante, o una cantante.

- Vabbe', non dirlo con quella faccia... Mica è un crimine.

- Lo so.

A giudicare da come restarono entrambi in silenzio, appoggiati al distributore e fissando la parete del corridoio di fronte a loro con aria piuttosto pensierosa, la faccenda sembrava invece delle più complicate da gestire.

- Lo vuoi un mix?

- Eh?

Chris si spiegò: - È uno dei miei hobby, faccio un sacco di mix su cassetta e poi li rifilo a chiunque conosco oppure li tengo per me, semplicemente.

Sospirando, continuò: - Ti inviterei a casa mia per ascoltare un po' di roba, ma ho un milione di fratelli e stanno sempre fra i piedi... Io ci sono abituato, ormai, però sai com'è...

- Puoi venire tu da me. Cioè, se ti va e quando hai tempo.

L'invito era venuto fuori con sufficiente naturalezza, forse perché era veramente sbucato dal nulla anziché essere frutto di migliaia di seghe mentali precedenti.

Per la propria improvvisa disinvoltura, Dom si premiò con una virtuale pacca sulla spalla.

- Ok! - accettò con entusiasmo Chris. - Quando?

- Anche domani, se per te va bene.

- Va benissimo, direi.

- Benissimo. - ripetè Dom, soddisfatto.

 

Appena tornato a casa, recuperò uno scatolone vuoto dalla cantina e mise via i reperti più imbarazzanti che campeggiavano in bella vista sullo scaffale in camera sua – probabilmente avrebbe dovuto farlo prima, quando Matthew era venuto a studiare da lui... Era sorprendente come ciò non gli fosse sovvenuto. O forse non lo era più di tanto, visto e considerato che non riceveva visite da anni ed quindi era abituato a vedere il posto in cui viveva per la maggior parte del tempo solo attraverso i propri occhi, il suo personale punto di vista.

cazzo, si era davvero tanto rinselvatichito da fregarsene a tal punto delle apparenze? E chissà se ciò era davvero un male.

 

Ad accogliere l'ospite fu sua madre, stavolta.

Se Diane fosse stata il personaggio di un cartone animato, i suoi occhi avrebbero preso la forma di due cuoricini.

- Finalmente ci conosciamo! Ma guarda quanto sei alto! E che bei riccioli! Mi ricordi qualcuno... Tua madre lavora al negozio di souvenir vicino al Pier, per caso?

Dom intercettò lo sguardo visibilmente intimorito di Chris prima ancora di iniziare a scendere l'ultima rampa di scale che portava fino al corridoio.

Tutto d'un fiato, esclamò: - Ciao, Chris! Andiamo di sopra? Andiamo di sopra. - facendo poi strada all'altro mentre Diane trillava: - Se avete bisogno di me sono qui!

- Mi ricorda un po' la mia. - bisbigliò Chris, quando arrivarono alla porta della camera di Dom.

Questi gettò una breve occhiata verso le scale, rispondendo: - Mi dispiace, allora.

Poi aprì la porta con gesto teatrale, indicando l'interno della stanza ed annunciando: - Questo è il mio buco.

Chris annuì e si guardò attorno, sotto lo sguardo attento di Dom che non poteva fare a meno di sentirsi un po' sotto esame, ed al tempo stesso di studiare il proprio ospite.

Rispetto a quella di Matthew, la presenza di Chris era diametralmente opposta: anche in un ambiente non familiare, il suo modo di fare trasmetteva la tranquillità di sempre.

- Hai una gran bella batteria.

- Vero. - ghignò Dom.

- Per la mia non c'è più posto, in casa... I miei hanno concepito un paio di figli di troppo, qualche tempo fa.

- A quanto pare i miei hanno deciso che dopo di me non potevano aspirare a niente di meglio, invece.

Chris si voltò verso di lui, ridendo.

- Oggi ti senti un figo, Howard, vero?

Dom stava per negare vigorosamente quanto suggerito dall'altro, ma ci ripensò.

In effetti, il suo umore era buono... Più che buono.

- Posso...?

Chris aveva in mano una cassetta, e stava indicando il piccolo stereo portatile di Dom.

- Certo, certo.

Si accomodarono sul letto, in attesa che la musica partisse.

La prima traccia del mix era Kashmir, dei Led Zeppelin.

- Questa la conosco.

- Chiunque non viva sotto un sasso o su Marte la conosce.

Verso la metà del brano, Chris iniziò ad illustrare il tema attorno al quale ruotava la sua compilation.

- Mi hai detto che non hai un gruppo preferito, giusto? Ecco, ho pensato che fosse una buona idea partire da quello che piace a me...

- Questo vuol dire che ci sono anche gli Status Quo?

- … guarda che me ne vado, eh.

Dom scoppiò a ridere, gesticolando per invitare Chris a riprendere il discorso.

- Stavo dicendo... Ho preso il meglio della gente che ascolto di solito e l'ho messo qui.

- Ci vuole molto tempo per fare una cosa del genere? - chiese Dom, stringendosi le ginocchia al petto ed appoggiandovi il mento sopra.

- Un po'... Però mi diverto, quindi non è un problema.

Da quell'istante in poi non parlarono più: si sdraiarono l'uno accanto all'altro, ascoltando in religioso silenzio ogni singola canzone.

Dom era così concentrato sulla musica che sussultò violentemente al sentire la voce di Chris che gli domandava a bruciapelo: - Ti sei divertito, la sera della Battle of Bands? Voglio dire... Sei stato bene con noi?

- Sì, certo.

- Sai, non ci hai più cercato da allora... Credevo ti fossi annoiato o che ti avessimo dato sui nervi.

- Non... - mormorò Dom, un po' a disagio. - … non è così.

Chris si stiracchiò, guardandolo di sbieco.

- Sei sempre il solito timidone, quindi? Perché ti assicuro che se avessi detto qualche parola in più nessuno ti avrebbe mangiato. - scherzò.

Quasi a voler confermare le impressioni dell'altro, Dom arrossì.

- Che animale strano sei, Howard.

- Come si intitola questa canzone? - disse precipitosamente Dom.

- Territorial Pissings... Nirvana.

- Ecco, l'avevo già sentita ma non ricordavo il titolo.

- Questa la suoniamo bene, per esempio... Solo che Lyle non strilla abbastanza. Ci vorrebbe un frontman più incazzato.

- Cambiatelo. - suggerì Dom con leggerezza.

Chris invece gli rispose quasi tristemente: - Magari... Lui è quello che ha gli agganci, il posto in cui suonare, pacchi di soldi a non finire...

Dom restò colpito dal tono che il suo interlocutore aveva utilizzato.

Si schiarì la voce, prima di sussurrare: - Vuoi proprio farlo, quindi...? Intendo, come mestiere.

- Sì. - fu la replica. Netta, decisa e concisa.

Prima che potesse fermarlo, dalla bocca di Dom uscì un - E perché? - quasi soffiato, come se la domanda fosse troppo impertinente o intima.

- Be'... Perché mi piace. Insomma, tu per quale motivo suoni?

Che fosse un interrogativo retorico o meno Dom ci rifletté davvero, e si ritrovò persino ad ammettere con cauta sincerità qualcosa che – di nuovo – non aveva mai formulato a parole.

- Suono perché... Perché quando lo faccio non penso a niente.

- Ti senti libero, tipo? -

- No, è anche meglio... Quando suono non mi sento. Non sono più io.

- Whoa... Un trip, praticamente.

Chris alzò le mani: - Scusa, scusa... Così la faccio sembrare una cazzata.

Dom sbuffò una risatina, prima di schernirsi: - Magari lo è... Ultimamente ne dico parecchie.

- Mhm... Comunque, metto il lato B? Ma devo avvertirti... Non ho resistito.

- … lo sapevo, ci hai messo gli Status Quo.

- Ma c'è anche altro dei Nirvana... Con loro ho abbondato.

 

 

 

Di notte, i Nirvana lo mettevano a disagio. Attorno a lui c'erano buio, silenzio e lo spazio vuoto lasciato dalle cose di quand'era bambino, quelle cose che stridevano più che mai con ciò che sentiva di essere, o di stare diventando. Dalle cuffie del walkman venivano suoni che a volte esprimevano rabbia, altre amaro sarcasmo – quello di Cobain era un dolore strano, amorfo, sconnesso, immotivato... Ma c'era, evidentemente.

Doveva essere tremendo soffrire così, non vedere mai la forma del proprio malessere ed urlare inutilmente mentre il dolore ti ingoiava come le sabbie mobili. Ovvio che l'unica soluzione a tutto questo fosse un colpo di pistola, e arrivederci.

Il disagio di Dom aumentava, traccia dopo traccia.

Lasciò andare un sospiro per ottenere un po' di sollievo dalla pesantezza che gli opprimeva il torace.

Non poteva farci niente, quella musica lo stava caricando di roba - era come essere svuotato e poi riempito di qualcosa che non fosse suo. Qualcosa di freddo, che puzzava e faceva male.

Quella musica era lo schifo. Non uno schifo, lo schifo. Di ogni cosa, e soprattutto di se stesso.

L'ultimo brano finì, e Dom spense il walkman.

Non aveva la minima idea di cosa fare, quindi restò immobile fra le lenzuola fin quando non si addormentò alle prime, consolatorie luci dell'alba.

 

 

L'energia del vuoto, secondo Wikipedia, è “un'energia presente in stato latente nello spazio anche quando privo di materia” (finalmente mi sono ricordata di linkarvi il significato di uno stramaledetto titolo, tre urrà per me \O/).

Che dire... Questo è il momento in cui di solito mi scuso per la lentezza con la quale aggiorno e shallalà – oggi, tho, non solo mi scuso ma vi garantisco che sto elaborando una parvenza di trama VERA (omg!) per i capitoli a venire. Qualcosa che comprenda ostacoli da superare ed obiettivi da raggiungere e non solo lo sciame di microterremoti emotivi che comporta il fare amicizia quando sei il Principe degli Introversi-Snob-Timidi. Shocking, I know.

Al di là di tutto questo rantare (e avrei rantato anche di più perché sono un'egocentrica schifosa, ecco), ciao a tutti e grazie dell'attenzione. ♥

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Capitolo 12
*** Big Rip ***


Big Rip



Lo fissava da un paio di minuti, a distanza di qualche metro, il vassoio del pranzo stretto fra le mani e l'espressione carica di incertezza ed attesa.
Quell'atteggiamento ritroso era inaspettatamente ed esponenzialmente più irritante rispetto alla tracotante insistenza dei suoi approcci iniziali.
Dom indicò il posto libero di fronte al suo con un breve cenno del mento; illuminandosi in volto, Matthew trotterellò fino al tavolo e sbattè allegramente il suo vassoio sul ripiano.
- Finalmente ufficializziamo la nostra relazione... Dopo tutto, ho già conosciuto tua madre un bel po' di tempo fa.
- Matthew, devi per forza parlare come se fossimo una coppia di fidanzatini?
- Visto che ti chiamo Dom, potresti chiamarmi Matt? Ogni volta che mi chiami col mio nome per intero sembri un professore che mi vuol spedire dritto dritto in presidenza.
Dom alzò le spalle, poi gli domandò: - Com'è andato il compito?
Il tono di voce di Matt era noncurante, come se in quell'istante gli importasse di più asportare il cetriolino dal suo hamburger che discutere del suo andamento scolastico.
- Oh, ho consegnato in bianco.
- Perché? - volle sapere Dom.
- Sentito? - esclamò Matt, senza guardarlo negli occhi. - Hai di nuovo l'intonazione da prof incazzoso.
- Lo credo bene, ho speso un pomeriggio a cercare di infilare un paio di concetti basilari in quella testa di ghisa che ti ritrovi.
- Grazie, eh? Comunque... Mettere risposte a casaccio mi fa sentire stupido ed in balia degli eventi. Non scrivere nulla è una scelta, invece, e anche piuttosto coraggiosa.
Un ragionamento dalla logica stringente ed inattaccabile, davvero.
Dom si riaggiustò i panni del prof incazzoso addosso, aggiungendovi un tocco di Grillo Parlante.
- E la tua media?
- Recupererò. - tagliò corto Matt, e poi cambiò argomento.
- Allora... Quali sono i tuoi programmi per il week-end?
- Niente di speciale.
- Oh, ok.
Dom alzò lo sguardo su Matt, e trovò un'altra espressione che non gli piacque affatto – quella da bambino mortalmente deluso.
- C'è qualcos'altro?
- Non eri quello di “chiedimi quello che ti pare, tanto ti risponderò sempre di no”?
Oh, era una sfida?
Dom sorrise, e Matt alzò un sopracciglio di fronte al suo sorriso.
- Mettimi alla prova, non si può mai sapere.
- Ti vergogneresti ad uscire con me?
- Ti ho già detto che non devi necessariamente parlare come se fossimo una coppia...?
- Vabbe'. Allora?
Attesa e incertezza. Occhi imploranti nel particolare modo in cui riuscivano ad esserlo gli occhi di Matt, con quella punta di rabbia senza destinatario preciso.
- Be', direi che se possiamo mangiare allo stesso tavolo non c'è motivo per cui non dovremmo uscire assieme.
- Quando e dove?
- Non lo so e non lo so.
La risposta non turbò Matt, che evidentemente aveva già ottenuto ciò che voleva. Si rilassò all'indietro sullo schienale della sua sedia, e disse: - Va bene, tanto il week-end è ancora abbastanza lontano... Cioè, non troppo visto che è giovedì ma, be', ecco.
Dom annuì, continuando poi seraficamene a mangiare mentre Matt lo sommergeva con una cascata di ciance riguardanti tutto e niente.


- Sabato sera suoniamo a Dawlish... Sei dei nostri?
- … io?
Chris sbuffò.
- No, quello dietro di te.
Dom arrossì, mentre l'altro spiegava tranquillamente: - Noi della band partiamo di mattina, ma se ti va puoi raggiungerci solo per il concerto e tornare il giorno dopo con noi. Ci accompagna lo zio di Lyle, in macchina abbiamo sette posti disponibili e ne occupiamo solo cinque... Potresti pure portarti un amico, per dire.
Più Chris si inoltrava ad illustrargli i dettagli della cosa, più Dom si rendeva conto che la cosa gli stava letteralmente piombando addosso dal cielo.
Insomma, quali erano i presupposti per invitarlo? Per una volta che erano usciti tutti assieme Dom era rimasto a far da tappezzeria, osservandoli in silenzio pressoché assoluto ed ammirando da lontano la trama e l'ordito dell'amicizia che legava i Fixed Penalty, sentendosi troppo fuori posto per inserirsi in quell'intreccio complicato di intimità, di sottintesi ed esperienze da cui era inevitabilmente tagliato fuori perché all'epoca dei fatti non c'era, ed il riassunto delle puntate precedenti non poteva riempire le sue lacune.
Eppure Chris era lì, ad invitarlo ad unirsi a loro come se fosse normale. Come se fosse giusto.
Una volta ancora, gli era stata offerta l'occasione di condividere un pezzo della loro storia – e siccome ultimamente stava essendo fin troppo ottimista, e stava pensando troppo ed ascoltando troppa della musica che Chris gli passava regolarmente, forse... Forse quella storia a otto mani poteva diventare una storia a dieci?
- Mi piacerebbe un sacco. - rispose Dom, e la sua incertezza non andò persa agli occhi di Chris, che lo sollecitò: - Però...?
Però sono uno sfigato che non azzecca mai i tempi e quindi accetta proposte quando sarebbe il caso di non farlo. Però apparentemente Dio esiste e ha un senso dell'umorismo piuttosto malsano. Però Matt.
- Avrei un impegno, in teoria. - dovette ammettere Dom.
- Be', se ce l'hai solo in teoria... - scherzò Chris.
Dom si sentì incredibilmente stupido, ingrato e sfortunato mentre l'altro scrollava le spalle e lo rassicurava: - Tranquillo, non mi offendo. Sarà per un'altra volta.
Seh, quando mai.


In quel periodo fatto di pensare e sentire troppo, Dom si era ritrovato più volte ad avere delle piccole epifanie, idee che esplodevano nella sua mente come bengala nel cuore della notte. Queste manifestazioni lo incuriosivano sia nel contenuto sia nel loro modo di proporsi: da qualche parte nel suo cervello qualcosa si accendeva all'improvviso, mentre stava aspettando l'autobus o era a cena o mentre rimetteva a posto la propria stanza.
Per quanto sembrasse strano persino a se stesso, Dom fino ad allora non sapeva di avere così tante idee per la testa e di quanto fosse rapido e spontaneo il processo che le portava a rimescolarsi, a sfregare l'una contro l'altra fino a produrne una nuova, che suonava estranea e pura come una rivelazione divina.
Quel pomeriggio Dom pensò molto a Chris, e pensò molto anche a Matt.
Fin dall'inizio, era come se li avesse infilati in due scatole separate nella sua testa – perché erano così diversi, così inconciliabili. Due reagenti da tenere ben lontani fra loro.
L'unico punto in comune fra loro era Dom, e sentiva che questo alla lunga poteva diventare un problema – come in quell'istante: doveva sacrificare uno a favore di un altro, e la cosa non lo faceva sentire con la coscienza a posto.
A meno che...
Di nuovo, una di quelle idee strane e luminose. E potenzialmente disastrosa.



- Pronto?
- Ho trovato qualcosa da fare per questo week-end.
Sapendo che l'altro avrebbe opposto resistenza, Dom si sforzò di esporre il suo progetto con tutto l'entusiasmo possibile...
- No.

ma il primo tentativo fallì lo stesso.
Senza perdersi d'animo, Dom esclamò: - Ma dai! Ci divertiremo!
Wow, detto da me suona così credibile. Come no.
Infatti, Matt rispose con tono indignato: - Mi stai davvero chiedendo di passare una serata in compagnia della Wolstencoso's Experience, non posso crederci! Con quel tipo lì, quello secco con la faccia da serpente che l'altra volta non faceva che fissarmi e...!
- Ok, Lyle è un po' una testa di cazzo ma gli altri non sono male... Chris è a posto. E poi ci sarei io.
Ci fu una breve pausa.
A voce bassa, Matt disse: - Se vuoi andare non è un problema, possiamo uscire un'altra volta.
Un altro silenzio, stavolta più lungo.
Sarebbe stato bello capire se in quel momento Matt si fosse ritirato dentro il suo muro, o se ne fosse appena uscito.
- Matt... Provaci.
Che cosa ridicola da dire... Eppure, da fuori, era tutto quello che Dom potesse fare.
- Ci sto provando.
No, non credo. O forse sì, chi cavolo sono io per dirlo.
- Mi dispiace... Divertiti.



Dom attese dieci minuti esatti, battuti dall'orologio in soggiorno. In quel lasso di tempo attraversò così tanti e diversi stati d'animo da fargli venire il capogiro: senso di colpa per aver forzato Matt ad uscire dal suo guscio, risentimento perché Matt non aveva accettato rovinando i suoi piani, senso di colpa per aver provato del risentimento, avvilimento, senso di impotenza, di nuovo del risentimento nei confronti suoi, di Matt e Chris e delle relazioni interpersonali a prescindere.
Dopodiché, prese di nuovo in mano il telefono.
- Pronto?
- Hai cambiato idea?
- Perché?
- Perché semmai l'avessi cambiata, ho la sensazione che non me lo diresti.
Matt sbuffò.
- Senti, io...
- Non ti succederà niente di male, se vieni.
- Farei solo da tappezzeria, mentre gli altri farebbero di tutto per mettermi in imbarazzo, mi chiederebbero come si vive in manicomio e-
- È come con il compito di francese.
- Cosa?
- Per evitare l'eventualità che vada tutto a puttane, preferisci essere tu a mandare tutto a puttane.
A Dom il concetto uscì così com'era nato nella sua mente, senza edulcorarlo in alcun modo. Seppe di aver fatto centro quando Matt ammutolì di colpo, lasciandogli il margine necessario per continuare il suo affondo.
- Ci sono io - ribadì - e Chris è uno in gamba. E Lyle è un coglione, ma non può farti nulla una volta che ne sei consapevole.
Il silenzio di Matt non suonava così enigmatico, stavolta. Ci stava davvero pensando, e se ci stava pensando era perché aveva già ceduto.
Dom lo sapeva istintivamente, ma non volle esagerare.
- Vuoi pensarci un altro po'?
- Se non ti dispiace... - mormorò Matt, prima di dire precipitosamente: - Ti richiamo io.
- Giuri? - lo punzecchiò Dom, ridacchiando poi nel sentirlo mugugnare: - Oh, che palle.
Riattaccato il telefono, non restava che attendere di nuovo.


Matt esordì in tono aspro, dando a Dom appena il tempo di dire “pronto”.
- Non ho alcuna intenzione di fare il simpatico.
- Ok.
- E ti starò sempre appiccicato.
- L'avevo messo in conto.
- E se il serpente mi si avvicina gli allungo una pedata sulle palle.
- No, questo no. Sabato ti comporterai da persona normale.
- Uff.
- Andrà tutto bene.
- Come no... Ciao.
- Ciao.



Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Un'infinità di chilometri da percorrere a nuoto, immerso in un ambiente ostile, l'ipotermia a rosicchiarti le estremità e la fatica ovvia di muoverti attraverso una sostanza più densa del solito.
- Dom!
Per non parlare dell'ombra degli squali che nuotano sotto il pelo dell'acqua, e – se già non è successo - ti fanno definitivamente pentire di esserti imbarcato nell'impresa.
Chris alzò la testa dal bagagliaio già stracolmo, salutandolo, e lo stomaco di Dom sembrò afflosciarglisi e cadere all'interno del ventre come un sacco vuoto.
La sensazione fisica del non poter più tirarsi indietro.
- Ciao. - riuscì a strapparsi di bocca Dom, occhieggiando il resto della truppa affaccendato attorno alla macchina che li avrebbe portati a Dawlish – tutti insieme in un'allegra scampagnata fra amici.
Intanto, Chris diede un'occhiata ad un punto dietro le spalle di Dom.
- Ciao, Matthew.
Riluttante ed ingobbito, Matt si fece avanti ricambiando il saluto in maniera... Be', sì, abbastanza decente. Un “ciao” mormorato ma udibile. Un po' svogliato, magari, ma comunque un “ciao”.
Dom si chiese se avrebbe passato tutto il tempo a misurare il grado di convinzione del tono di Matt o se ci sarebbe stato un momento in cui avrebbero iniziato entrambi a divertirsi senza imparanoiarsi più del necessario.
- Ehi... Che sorpresa.
Di certo interagire con Lyle non avrebbe aiutato nessuno dei due a rilassarsi.
Il nuovo arrivato squadrò Dom e Matt da cima a fondo, prima di avvisarli: - Il posto davanti è mio.
- Meglio, così ci stai lontano. - disse Chris, sorridendo.
Lyle lo fulminò con lo sguardo.
- Non mi metterei mai fra te ed i tuoi nuovi amici, Teddy.
- E noi te ne siamo molto grati.
- Si parte fra dieci minuti. - annunciò in tutta risposta Lyle, prima di defilarsi.
Sembrava che Chris stesse concentrando tutto il proprio essere nel tentativo di incenerire l'amico con lo sguardo, o quantomeno di bruciargli un buco in mezzo alla schiena.
I presupposti per un'interminabile, imbarazzante gita in macchina c'erano tutti.
Per lo meno non fu silenziosa: lo zio di Lyle era tanto gioviale e chiacchierone quanto suo nipote era freddo e scostante, e prendendo spunto dal paesaggio circostante raccontò ai ragazzi tutto sul suo brillante passato da ciclista quasi-professionista – ogni collina, ogni torrente, ogni isolata stradina bianca che conduceva nell'oblio dell'aperta campagna del Devon aveva un proprio aneddoto ricco di particolari da essere narrato ed educatamente ignorato da parte del pubblico che però, dal canto suo, non offriva alternative al monologo di cui sopra.
Il velenoso scambio di battute fra Chris e Lyle prima della partenza doveva essere sintomo di un qualcosa di più serio. C'era una strana tensione nell'aria che non poteva solo dipendere dall'ansia del palcoscenico.
Dom si chiese se potesse aver a che fare con la presenza sua e di Matt, per quanto gli sembrasse improbabile: le poche volte in cui si era trovato in compagnia dei Fixed Penalty non aveva percepito nulla del genere.
Avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Chris, ma chiaramente non era il caso di farlo in presenza degli altri.
Si trattava di aspettare.


Arrivati a Dawlish, la compagnia aveva un paio d'ore per rilassarsi ed esplorare la cittadina prima di andare al locale presso il quale i Fixed Penalty si sarebbero esibiti.
Passaggiando sul lungomare, Dom bisbigliò a Matt: - Ti dispiace se ti lascio da solo per qualche minuto?
- Certo che sì.
A giudicare dalla sua espressione, diceva sul serio.
Dom sospirò.
- Hai davvero intenzione di starmi incollato al culo per tutto il tempo?
- Erano queste le condizioni.
- Dai, hai visto che non ti mordono!
- Che devi fare?
Sbirciando Chris, appoggiato al parapetto che delimitava il lungomare con i compagni di poco distanti da lui, Dom rispose: - Devo parlarci.
- Di cosa?
- Non sono affar- ahi! Ma sei scemo? Mi hai fatto male!
- Visto che mi hai trascinato qui quando sarei potuto rimanere tranquillamente a casa...
- A fare cosa, a pulire la cassettina della cacca di Miele? E poi mi hai chiesto tu di uscire questo week-end!
- La compagnia di Miele è molto più piacevole e stimolante di quella dei Fixed Musi Lunghi, questo è poco ma sicuro.
- Senti... - iniziò Dom, prima di interrompersi per abbassare la voce.
- … voglio sapere perché sono tutti così strani.
- Anch'io, cosa credi?
- Ma davanti a te magari non si sbottona, che ne sai?
- Perché non dovrei?
Mentre discutevano, Chris era arrivato alle spalle di Matt e Dom senza che se ne accorgessero.
Dom avvampò.
- Noi... Noi stavamo...
- Vi stavate chiedendo cosa diavolo ci è preso.
- Già. - disse Matt, mentre Dom si limitò ad annuire.
Chris si mordicchiò l'interno di una guancia, pensieroso.
Indicò un locale dall'altra parte della strada che vendeva fish and chips.
- Mangiamo qualcosa in spiaggia?



- Abbiamo un paio di canzoni da suonare, stasera... Canzoni originali.
- Fantastico! - esclamò Dom.
Si voltò verso Chris, e notando la sua espressione si corresse: - Ok, non è fantastico.
- Una settimana fa lui arriva e ci dice “ho composto queste cose e bla bla il grande passo Dawlish sarà il nostro vero debutto bla bla bla”. Non ci aveva mai neanche accennato al fatto che stava scrivendo delle canzoni, e poi di punto in bianco arriva con tutte le parti pronte o quasi. Ci sono delle modifiche da fare, e dice di volerci pensare un po' ma che per il concerto di oggi possono andare.
Chris scosse il capo con aria disgustata.
- Come se noi non contassimo un cazzo, capisci? Ha scritto della musica che noi dovremo suonare e... E basta! Ci sono cose da modificare, ma quello verrà in seguito quando... Quando gli cadrà l'ispirazione tra capo e collo... A lui. La batteria ha qualcosa che non lo convince, ma mica mi ha chiesto nulla. Io devo solo suonare ed aspettare poi ulteriori istruzioni su come eseguire il suo capolavoro, l'opera che ci porterà al successo non appena grazierà le orecchie dei comuni mortali che l'ascolteranno stasera!
Chiuse gli occhi, e si riavviò i capelli svolazzanti nella brezza marina.
- Siamo manodopera - mormorò in tono amaro. - Potremmo mollarlo adesso e lui semplicemente si troverebbe qualcun altro da comandare a bacchetta. Non me ne frega niente di diventare famoso in questo modo. Voglio diventare un musicista, cazzo.
- Gli altri che ne pensano? - mormorò Dom.
- Cosa vuoi che ne pensino... Si fidano. Vogliono dei risultati e prima arrivano meglio è. Lyle ti dà l'impressione di sapere come ottenerli. È proprio un ottimo frontman. - ridacchiò Chris.
Alzò le spalle. - Sapevo che sarebbe andata a finire così, io e lui non ci siamo mai sopportati più di tanto. Mi spiace per Dan e Simon, con loro suono bene e mi diverto.
- Quindi vuoi lasciare il gruppo?
Chris non rispose.
Tutti e tre fissarono il mare di fronte a loro, ascoltando il suono ritmico che produceva nell'infrangersi dolcemente sul bagnasciuga.


Il locale era piuttosto grande e odorava di fumo e cera d'api. In una piccola rientranza, ai piedi di una parete fatta di sassi a vista, c'era un palco in legno scuro e massiccio.
A Dom ricordò vagamente l'atmosfera del Cavern, quell'unica volta in cui c'era stato. A differenza del Cavern, però, il posto brulicava di persone indaffarate a preparare e testare varie strumentazioni, ed in seguito di gente che, uscita dal luogo di lavoro, si era fiondata al pub per concedersi un paio di drink.
O forse più di un paio, come quella tipa che aveva attaccato bottone con Dom prima di riscuotersi nel bel mezzo della conversazione urlando “cazzo, ma sei minorenne” e scappare via incespicando in direzione delle toilettes.
Meglio, in un certo senso, visto che Dom stava implodendo pian piano sotto il peso della propria incapacità di reggere le avances di una ragazza attraente. Per non parlare del fatto che neanche in quell'occasione Matt era stato capace di levarsi dalle palle.
- Smettila. - sibilò Dom.
Accanto a lui, Matt si stava sbellicando dalle risate.
- Non... Non ce la faccio... Oddio, sto male... - ansimò, crollando contro il muro e ridendo ancora più forte.
- Poteva andar peggio, dai... Poteva arrivare qualche robusto pescatore e scambiarti per una gentil donzella. - lo punzecchiò poi Matt, tirandogli una ciocca di capelli biondi che ormai gli arrivavano all'altezza delle clavicole.
Dom lo spinse via, borbottando: - E ti lamentavi di essere venuto... Mi pare che tu ti stia divertendo parecchio.
- Non c'è male – ghignò Matt. - Dov'è Chris?
- Cosa c'è, adesso ti sta simpatico?
- Umana comprensione per la sua tragedia personale, nulla di che.
Dom lo guardò.
- Scommetto che saresti come Lyle.
- Eh?
- Dal modo in cui ti sei comportato con me, dico.
- Dom, ti ho già chiesto scusa per quello che è successo.
Matt tornò del tutto serio.
- Credi davvero che io sia tanto infame?
- Credo che tu voglia fare tutto di testa tua.
- So quello che voglio, tutto qui.
- Quello che vuoi tu... E quello che vogliono gli altri?
- Cosa diavolo... Hai voglia di litigare?
Dom incrociò le braccia, guardando dritto di fronte a sé. Con la coda dell'occhio percepiva la presenza dell'altro, immobile, accanto a lui.
- Io... - mormorò Matt. - Io ho fatto quello che volevi tu, oggi. Ti ho seguito qui anche se-
- Do ut des.
- Perché parli in gallese, adesso?
- È latino. Significa che mi hai dato qualcosa in cambio di qualcos'altro.
Matt tacque per un istante, prima di affermare: - Non ti confondere, Dom... Quello che ha organizzato tutto in modo tale da avere la botte piena e la moglie ubriaca sei tu.
Prima che Dom potesse replicare all'accusa, Matt se n'era già andato via.


Privo della compagnia dei Fixed Penalty, impegnati a rifinire gli ultimi dettagli prima del concerto e a battibeccare fra loro – ulteriore motivo per starne alla larga – e senza di Matt che chissà dove diavolo s'era cacciato, Dom uscì dal locale.
Si sentiva soffocare, e non solo per via della folla.
A volte credeva di esserci riuscito, a far del tutto pace con Matt, ed in effetti... No, non ce l'aveva con lui.
Se solo non gli avesse dato così irrazionalmente sui nervi. Non poteva semplicemente piacergli, come Chris? Invece Matt gli piaceva e gli dava un fastidio della malora allo stesso tempo. Un fastidio che non bastava a troncare la loro quasi-forse-neonata-amicizia, ma era più che sufficiente a... Farsi del male a vicenda?
Matt non era cattivo, ed era considerevolmente meno pazzo di quanto tutti credevano... Ma questo non era un motivo sufficiente per abbassare la guardia. Non con lui.
Però da qui a ferirlo deliberatamente... No, che cazzo, no.
Cristo, perché la gente – se stesso compreso – era così difficile da capire?

Forse venire a Dawlish era stata una cattiva idea, e convincere Matt a venire una pessima idea.
Forse voleva davvero tutto, e senza conseguenze... Rimanendo con un bel pugno di mosche in mano.
Forse anche lui somigliava un po' a Lyle.


Dopo una cena a base di robusto cibo da pub inglese, sparute chiacchiere imbarazzate ed occhi bassi sui piatti, arrivò finalmente il gran momento.
Il locale era ancora strapieno di gente vociante e non particolarmente interessata ai ragazzi che stavano prendendo posizione sul palco.
Nonostante tutto ciò di cui era al corrente, a Dom sarebbe piaciuto che i Fixed Penalty fossero stati in grado di catturare l'attenzione del pubblico.
Chris compitava le sue parti con diligente distacco – il suo viso era impietrito in un cipiglio funereo.
Quello sarebbe stato il suo ultimo concerto con la band, realizzò Dom. Non poteva che essere così.
Ripensando alla prima volta in cui li aveva incontrati, a quella in cui li aveva visti suonare, al retrogusto amaro dell'invidia che gli era rimasto in fondo alla bocca di fronte allo spettacolo di un'intesa così naturale, così impeccabile, così incorruttibile Dom sperò davvero che si potesse recuperare qualcosa. Per Chris, per gli altri tre, per se stesso.
Possibile che qualcosa di così bello fosse anche tanto facile da distruggere? Qual era il punto? Era stata solo una magnifica illusione?
O magari bisognava solo lavorarci di più, e avere voglia di lavorarci insieme.
Dom si voltò a guardare Matt, intento ad incassare le frequenti gomitate d'intesa e gli infiniti commenti sulla performance dello zio di Lyle.
I loro sguardi si incontrarono, e quello di Matt significava chiaramente “se mi vuoi un minimo di bene, abbattimi adesso”. Dom non riuscì a trattenere una risata, e l'altro tornò a concentrarsi sull'esibizione con un sorrisetto malamente contenuto.


Appena sceso dal palco, Lyle si ritrovò incastrato nell'abbraccio da orso di suo zio.
- Fenomenale. Fenomenale, davvero. Appena torniamo a casa lo dobbiamo raccontare ai tuoi, se fossero stati qui stasera avrebbero finalmente capito...
- Grazie, Kief. - il nipote si districò con disinvoltura dalla stretta affettuosa, riavviandosi i capelli sudati sulla fronte.
Matt diede un pizzicotto sul braccio a Dom, sussurrando: - Sbaglio o quella che vedo è un'emozione genuina...?
Lyle lo notò, fissandolo con aria che sarebbe risultata molto più minacciosa se contemporaneamente un tenue rossore non si fosse diffuso sui suoi zigomi.
- Dobbiamo festeggiare! - Simon sbucò da dietro le spalle del suo frontman, somigliando per la prima volta dall'inizio della giornata al Simon che Dom conosceva.
- … magari in riva al mare?


Non c'era niente con il quale accendere un falò, e l'unico adulto presente nella compagnia non si sarebbe mai assunto la responsabilità di far giocare sei adolescenti con il fuoco: non avendo neanche un pallone per improvvisare una partita di calcio, decisero di rispolverare i giochi più sciocchi della loro infanzia.
Comunque, anche un due tre stella non era un gioco per i deboli di cuore.
- Stella! - urlò Simon, placcando Dom e mandandolo a faccia in giù nella sabbia.
Sputacchiando granelli, Dom urlò: - Per quale cavolo di motivo l'avresti fatto??
- Per temprarti il fisico e lo spirito, ovviamente... Mi ringrazierai, un giorno.
Entrambi i giocatori andarono poi a sedersi accanto ai due eliminati, Matt e Daniel.
- Ti sei battuto come un vero uomo, Howard. - disse il primo, e Dom rise sarcastico.
Simon si sdraiò, aprendo e chiudendo le gambe.
- Mi sento strafatto.
- Per una volta che non lo sei. - lo prese in giro Daniel.
- Se tutte le sere fossero così altro che canne, davvero.
Come preso da un pensiero improvviso, drizzò la schiena di scatto guardandosi attorno.
- Rilassati... Kief non è ancora tornato.
- Lo so, ma metti che era qui nei paraggi.
Sospirando, si rimise giù sulla sabbia.
- Vi siete rotti le palle, voi due? Intendo dire, oggi.
- Be', insomma, voi eravate un po' su di giri per il concerto e-
- Dom, non credo di aver mai sentito parlare il tuo amico.
Simon rotolò su un fianco, piantando un gomito a terra e poggiando la guancia sulla mano.
- Ti sei annoiato, oggi? Voglio dire, non ci conosci nemmeno e ci siamo comportati da stronzi lunatici...
Sotto gli sguardi di tutti, Matt si abbracciò le ginocchia e borbottò: - No. Cioè, sono stato bene.
- Quindi ti piacciamo?
Daniel si allungò fino a dare un calcetto all'amico.
- Simon trova molto divertente mettere a disagio le persone, perdonalo.
- Ok, ok... Fingiamo che lui non esista ed evitiamo di includerlo nelle nostre conversazioni, allora.
- Non mi sento a disagio - affermò Matt, cercando brevemente lo sguardo di Dom.
- Raccontaci qualcosa, allora...
Simon gli sorrise, distendendosi a pancia in giù.
- Tipo, mi sono sempre chiesto com'è che si sta in un ospedale psichiatrico.
Dom si sentì gelare, ricordando le obiezioni che Matt aveva opposto prima di accettare di venire con loro.
Tutto ciò che poteva fare, adesso, era stare a guardare.
Matt abbassò gli occhi e restò in silenzio per qualche interminabile istante.
- Lo sapevo. - bisbigliò, alzandosi e dirigendosi verso il bagnasciuga.
Nel conseguente silenzio generale, Simon si girò verso Daniel e Dom.
- … cazzo, ragazzi, giuro che non volevo spingerlo al suicidio.
Senza perdere altro tempo, Dom schizzò in piedi e raggiunse Matt.
La schiuma delle onde gli lambiva la punta delle scarpe, ma era come se lui non se ne accorgesse.
Sembrava completamene immerso nei propri pensieri.
- Matt... - lo chiamò Dom.
Si infilò entrambe le mani nei capelli, sopraffatto dal senso di colpa.
- Mi spiace... È stata una pessima idea, lo so, ma tutto quello che volevo era... Non credevo che fosse così difficile, io...
- Non era un ospedale psichiatrico.
La voce di Matt era sottile come la brezza notturna.
- Non puoi andare al manicomio se non sei pazzo. Secondo lo psicologo che mi ha visitato ero solo molto stressato per via del divorzio dei miei, ed essere un adolescente ha solo peggiorato la situazione... Gli ormoni, no?
- Sono stato da alcuni parenti, in attesa che Teignmouth si dimenticasse di me... Il che chiaramente non è successo, ma...
Matt sorrise debolmente.
- … la tua mica era una pessima idea, era solo... Normale, credo. Hai un paio di amici, con almeno un interesse in comune, perché dovrebbe essere una pessima idea uscire tutti assieme? Casomai l'idea pessima l'ho avuta io, accettando la tua proposta. Ma è stato bello che tu abbia pensato a me.
Dom restò senza parole, all'inizio.
Dopo un po', a fatica, mormorò: - L'ho fatto perché... Perché siamo amici.
- Ok.
- Siamo amici - ripetè Dom.
- È quello che ho detto anch'io, mi pare...? - argomentò l'altro, con aria perplessa.
- Ma io non te l'ho mai detto prima.
Matt annuì, muovendo un piede e scavando una buca nella sabbia bagnata.
Si voltò a guardare il resto della compagnia dietro di sé.
- Faccia di Serpente e Chris sono tornati - annunciò.
- … e a giudicare dalle loro facce non hanno discusso di qualcosa di piacevole.






Il Big Rip è un'ipotesi cosmologica sulla fine dell'Universo, oltre a significare letteralmente "grande strappo". 
I pianeti devono essersi allineati in qualche modo bizzarro, lo sento... Oppure sono gli asteroidi fra Marte e Giove. Si sono ricombinati in modo tale da formare la scritta FINISCI EXOGENESIS ENTRO IL 2014 RAZZA DI IMBECILLE. Grazie, asteroidi! :D



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