Tutto quello che non ti ho detto.

di Kumiho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First day ***
Capitolo 2: *** Sweet Home ***
Capitolo 3: *** Tra alieni e malintesi ***
Capitolo 4: *** La violenza del rimpianto ***
Capitolo 5: *** A kinder way ***



Capitolo 1
*** First day ***


Cap. 1: First Day





Io detesto il cielo del mio paese,
non fa altro che piovere...
come un monito per ricordarmi quanto sono debole.

Ma è in quelle rare e brevi giornate di sole che credo di detestarlo ancora di più;
perché ha lo stesso colore cristallino dei tuoi occhi.

e la brezza d'autunno scorre lenta, deliziosamente gelida accompagnata dal tuo ricordo che scivola sui prati, sui monti e sulle città, accarezzando la mia pelle, la mia terra.

Ed anche quando continuassi a fingere di non accorgermi del tempo che passa, dei tuoi continui e adorabilmente sciocchi progressi.

Anche quando continuassi a fingere di non accorgermi di quanto sei cresciuto adeguatamente anche senza di me.

Anche se continuo ad illudermi di avere faccende più importanti da sbrigare pur di non voler confermare che, effettivamente, oggi è il 4 luglio.

Anche se mi illudo di poter odiarti...proprio perché non vi riesco appieno. 

Anche se so che non sei con me non posso fare altro che ringraziare Dio per ogni giorno in cui mi dona la certezza della tua felicità.






-Ho capito! Vuoi smetterla di ripetermi sempre le stesse cose?!-

Inghilterra avanzò con passo deciso sbattendo i piedi sul parquet più rumorosamente che poteva per non lasciare adito a dubbi sul fatto di essere in disaccordo ed ovviamente stufo su tutto ciò che, da quasi più di un'ora, continuava ad uscire dalla bocca di America.

-Tanto finisci sempre con lo scordarti qualsiasi cosa ti venga detta...e piantala! Vuoi sfondarmi il pavimento?!- Lo rimbeccò America alle sue spalle continuando a seguirlo imperterrito

-Chiudi quella fogna e sparisci! Posso arrivarci benissimo da solo alla mia camera da letto!- Sbraitò di rimando Inghilterra con un'occhiataccia

America si limitò ad osservarlo con aria scocciata e a limitare la loro vicinanza, lasciando ad Inghilterra una precedenza di qualche metro, per poi continuare a seguirlo.
Lo osservò avanzare velocemente attraverso il corridoio, cadenzando i propri passi, o meglio le proprie falcate, con un ridicolo scattare avanti indietro delle braccia lungo i fianchi, al ritmo di “God save the Queen” poteva quasi somigliare ad una sua parata militare.
Quando poi s'arrestò improvvisamente, davanti alla penultima porta a sinistra, e sbattè il piede destro a terra, America fu quasi sorpreso di non vederlo scattare sull'attenti.

-Sono arrivato- Ringhiò Inghilterra col tono simile a quello di chi sottolinea un'ovvietà nota a tutti, tranne ovviamente a chi in quel momento lo sta ascoltando.
America, titubante sul fatto di decidere se rispondergli o no, come se poi ci fosse da rispondere qualcosa, si limitò a biascicare un sarcastico “-che bravo...-” alle sue spalle

-Ora puoi andartene no?!- Chiese Inghilterra stringendo i denti, tentando di ignorare il commento precedente

America lo guardò per un attimo infilandosi le mani in tasca poi, lentamente fece dietro front.

-La cena è alle otto- Gli ripetè aspettandosi, fremente, un commento acido che non tardò ad arrivare

-Ho capito!!!- Sbraitò Inghilterra alle sue spalle, pentendosi all'istante di non essere sgusciato dentro la sua stanza appena raggiunta.
Afferrò il pomello d'ottone e con frenesia, dettata probabilmente dall'astio, lo girò energicamente aprendo la porta di scatto.

-Inghilterra...- La voce di America lo costrinse a voltarsi nuovamente e a rimandare, per l'ennesima volta, il suo ingresso nella stanza e di conseguenza la poca tranquillità che gli rimaneva da godersi prima della cena pressappoco imminente.

- Che vuoi!?- Brontolò aspettandosi un'altra delle mille precisazioni già ripetutogli fino allo sfinimento

-Sono contento che sei venuto-

-...-

-America...-

-mmh...-

-Stai dritto con la schiena quando cammini.-

Inghilterra chiuse la porta dolcemente alle sue spalle e sorrise, ed America, raddrizzando le spalle, fece lo stesso.


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Capitolo 2
*** Sweet Home ***



Cap.2


Inghilterra sbirciò con aria stanca l'orologio alla sua destra: le diciannove e trenta. Decisamente ancora troppo presto per scendere.

Erano solo tre ore che stava in quella stanza, di quella casa non aveva visto che il salone d'ingresso le scale, il corridoio e quella maledettissima stanza che già cominciava ad avere l'odore umidiccio di Londra.

L'invito di America era giunto inaspettato e, a parer suo fuori luogo, appena una settimana prima. Non aveva, oltre che significativi motivi o ricorrenze particolari, alcun buongusto, dato che l'ospite in questione non solo non si era preoccupato del fuso orario, sempre prendendo in considerazione la folle idea che sapesse di che cosa si trattava, svegliandolo ad un'ora indecente, ma neppure aveva preso in considerazione il disagio che poteva scaturire in Inghilterra un simile invito dopo tanto tempo...davvero troppo tempo.

Eppure aveva accettato, seppur nascondendo il suo consenso dietro alle regole del bonton e delle buone maniere, aveva sperato e si era sentito improvvisamente più leggero al solo pensiero di divenire ancora parte integrante nell'esistenza di America; e non c'entravano niente, lo sapeva, l'orgoglio o la fiducia che, cercava di convincersene, lo avevano fatto dire di sì...solo un semplice e candido desiderio di stare di nuovo da soli dopo tanto tempo, come se non esistesse nient'altro che quel delizioso e caldo bozzolo che un tempo era stata la loro famiglia.

Lentamente si portò a sedere sul letto.
Dopotutto arrivare in anticipo non era necessariamente segno di impazienza, solo di buona educazione e questo, America, lo sapeva; dato che gli anni che aveva impiegato ad erigerlo con galateo e buone maniere non erano certamente andati persi.....giusto?!

- Oh...al diavolo!-
Inghilterra scattò in piedi e, sistemandosi la cravatta dentro al gilet di pura lana irlandese, uscì dalla stanza con l'aria più impettita e altezzosa che la sua vena inglese potesse conferirgli e che, lo sapeva, non era poca.

Il corridoio che gli sembrò molto più grande di come gli era sembrato tre ore prima, gli sembrò anche tre volte più lungo, forse perchè a spronarlo ad andare più in fretta non c'era la spiacevole presenza di America e l'eco fastidioso dei suoi passi strascicati alle spalle.

Posò la mano sul corrimano delle scale e, fatti i primi due gradini, venne avvolto da un piacevolissimo profumo di pollo arrosto...no, decisamente non si trovava più a casa sua.

L'ottimo odore di cibo sembrò quasi spronarlo a scendere i gradini più in fretta, tanto da renderlo impreparato a ciò che vide.

Il salone, che aveva appena adocchiato al suo arrivo, perchè troppo impegnato (sicuramente) da qualche sgarbo o svista di America, lo lasciò a bocca aperta.

L'atmosfera che vi regnava pareva quasi natalizia, pur essendo in pieno autunno, l'arredamento e la scelta degli accessori erano quasi regali e il caminetto acceso conferiva quel tocco di classe che lo fece sentire immediatamente a suo agio.

Il tappeto al centro della stanza era di un bellissimo color Borgogna, il pianoforte a coda, suo vecchio regalo, era sistemato al centro della stanza, lievemente di traverso, sulla sinistra vi era un cassone di mogano scuro di fianco ad una specchiera ed il lampadario che pendeva dal soffitto dava, infine, un'aria alla stanza ancor più classica e ottocentesca. 

-Di solito non è così- 

America entrò lentamente nel salone raggiungendo Inghilterra

-...Volevo che...piacesse a te...- Sorrise, con una lieve nota di imbarazzo, passandosi una mano tra i capelli della nuca.

- Lo immaginavo...che non fosse sempre così, intendo.- Rispose Inghilterra tornando ad accarezzare la stanza con lo sguardo, soffermandosi, forse più del dovuto, sul pianoforte a coda.

-ehm...Avrai fame immagino, sei anche sceso prima...-

Inghilterra si maledisse mentalmente

-E' un fatto...-

-...di educazione. Certo, lo so.- Si affrettò a precisare America sempre sorridendo – La cena è comunque praticamente pronta...se vuoi possiamo metterci a tavola.-




-Anche la tavola è così per me?- Chiese sarcastico Inghilterra, una volta entrati in sala da pranzo, vedendo l'elegantissima scelta dell'argenteria e della tovaglia

-Bhè si, anche quella....- Sorrise nuovamente America mettendosi a sedere a capotavola

Inghilterra non poté nascondere un sorrisetto altezzoso e soddisfatto

-...il cibo no, però. Quello è di qualità comune...conoscendo ciò a cui sei abituato tu non ho puntato troppo in alto.-

Il sorriso scomparve immediatamente dal volto d' Inghilterra, sostituito da una smorfia di puro odio.

-Allora buon appetito!- Disse allegramente America addentando una coscia di pollo.

- Non far finta di niente
bastardo, e aspetta che tutti siano a tavola prima di cominciare a mangiare!!!- Urlò Inghilterra spostando rumorosamente la sedia e mettendosi a sedere dall'altro lato del tavolo

L'atmosfera non era male e la sottile aria di tranquillità durò abbastanza a lungo per riuscire a considerare la cena pressocchè piacevole; il cibo poi...Inghilterra doveva ammettere che effettivamente gli capitava davvero di rado di mangiare così bene.

Si sorprese varie volte d'esser felice che un po' della loro vecchia complicità non era sparita del tutto e che forse, il suo viaggio non era stato solo una perdita di tempo.

Inghilterra sentiva il cuore traboccare di tranquillità e sollievo ad ogni sorriso e ad ogni gesto allegro di America, ammirando il modo superbo in cui era cresciuto e allo splendido modo in cui aveva saputo farsi grande, un grande moto di orgoglio e gratitudine si scatenavano in lui ad ogni gesto e a ,
quasi, ogni parola del ragazzo.
Parlarono di tutto: i progressi e le crisi economiche reciproche, dei rapporti con gli altri paesi, addirittura, e qui vennero meno alle buone maniere, di politica e religione...Inghilterra quasi si stupì della responsabilità e della serietà di cui alle volte, solo alle volte, era capace America, ma conoscendo l'assoluta ignoranza del più giovane a qualsiasi accenno di politica o geografia estera, gli argomenti di cui America sfoggiò incredibile conoscenza rimasero sempre e comunque di politica ed interessi interni ai suoi cinquanta stati, non fu una conversazione molto seria o particolarmente colta...ma per gli standard a cui aveva creduto di doversi abituare Inghilterra, procedeva tutto a gonfie vele ed, escludendo fastidiose frecciatine o riferimenti al cibo, al maltempo e ad animali e folletti immaginari, Inghilterra potè addirittura definire la serata divertente!


Il tempo passò in fretta scandito inutilmente dall'orologio a pendolo che ad ogni ora rintoccava con suoni bassi e lenti che seguitavano a passare inosservati.


- Ehi, si è fatto tardi: è mezzanotte passata.- Osservò America accorgendosi che i rintocchi che l'orologio batteva si erano fatti improvvisamente numerosi.

- Effettivamente comincio ad essere un po' stanco- Aggiunse Inghilterra allentandosi il nodo della cravatta, avvertendo solo allora, tutta in un colpo, la stanchezza del viaggio e dell'ora tarda.

- Oltretutto tu hai avuto il problema del fuso orario....- Cominciò America.

Inghilterra lo guardò stupito più che delle sue gentili attenzioni di avere la conferma che America sapesse dell'esistenza di qualcosa chiamata “fuso orario”.

-...un vecchietto come te dovrebbe andare a letto presto o rischia di non svegliarsi!- Concluse con una rista allegra.

Appunto.

- E immagino che un pivello come te, invece, non abbia alcun problema ad andare a letto tardi ...- Chiese Inghilterra alzandosi da tavola reprimendo, a fatica, l'istinto omicida affacciatosi a malapena cinque secondi prima.

- Stai scherzando? Un eroe come me che problemi vuoi che abbia?- Domandò allegro America alzandosi di scatto e puntellandosi il petto orgoglioso.

-...a quest'ora non trovo nemmeno la forza di risponderti...- Mugugnò Inghilterra avviandosi verso il salone e seguito da un America per nulla smontato né dall'ora tarda né dall'aria distrutta di Inghilterra.

Seguirono i soliti piccoli insulti accompagnati da rimproveri biascicati, giusto il tempo di arrivare davanti alla porta della stanza di Inghilterra.

- Allora buonanotte- Sbadigliò America apprestandosi a ripercorrere il corridoio.

-Aspetta.- Lo fermò Inghilterra.

America si voltò incuriosito, infilandosi le mani in tasca.

-Perché mi hai invitato?- Chiese Inghilterra fissando la porta della quale, tra l'altro, seguitava a stringere il pomello.

-Che vuol dire?- Chiese l'altro – Non c'è un motivo...semplicemente perchè mi andava!-

Inghilterra avvertì la quasi totalità del calore corporeo concentrarsi nelle proprie guance e, ci avrebbe giurato, le proprie orecchie farsi improvvisamente rosse.

- Ti andava di vedermi? E' solo questo il motivo?...Puoi vedermi quando vuoi ai meeting, no?-

- Non possiamo certo mangiare e parlare di quello che vogliamo ai meeting, no?- Gli chiese retoricamente America con aria saccente.

- Perché no?- Chiese Inghilterra -Tu lo fai!-

A queste parole America arrossì vistosamente cercando di nascondere l'imbarazzo con un colpo di tosse.

-...ti-ti ho invitato perchè...- America lo guardò arrossendo da sotto un ciuffo di capelli biondi - ...perchè volevo passare un giorno in tua compagnia....tutto qui!-


A queste parole Inghilterra avvertì l'imbarazzo precedente affievolire mentre un' irritazione improvvisa ed inspiegabile ne prendeva il posto.

- Se stai così bene con me...perchè non mi inviti anche altri giorni?...Perché non mi inviti mai il tuo compleanno?- Chiese Inghilterra atono, finalmente guardandolo in faccia. - Perché non mi inviti il quattro di luglio?- Domandò infine.

America sollevò lo sguardo serio...Dio, come sembrava....spaventosamente adulto....

-...Non ti farei mai una cosa del genere...- Rispose lugubre.

- Non mi faresti mai una cosa del genere...
di nuovo.- Tagliò corto Inghilterra sorridendo sprezzante poggiando la fronte alla porta, non smettendo, però di osservarlo.



-.....buonanotte Inghilterra-

America gli diede le spalle e percorse a passi veloci il corridoio.

Inghilterra lo seguì con lo sguardo finché non scomparve per le scale.

- buonanotte, America.- sussurrò.

Entrò in camera e chiuse la porta.





N.d.A: Penso che questa coppia mi piaccia più del dovuto...credo che, anche involontariamente, mi ci dedicherò a discapito di altre mie fan fic. ancora incompiute (perdonatemiiii T_T)

Slurp, Kumiho.

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Capitolo 3
*** Tra alieni e malintesi ***



Cap.3

Il giorno dopo, Inghilterra, non aveva avuto il coraggio, o per meglio dire, la determinazione necessaria a fargli mettere il naso nuovamente fuori da quella, che ormai, per lui, sembrava essere diventata come una seconda casa.

Quella dannata ultima stanza a destra era divenuta una sorta di Londra d'emergenza; pur non sentendola impenetrabile e sicura come la sua adorata capitale, Inghilterra, era ormai deciso a rintanarvisi fino a che America non si fosse deciso a bussare alla sua porta per annunciargli che era finalmente giunto il momento di tornarsene a casa.

Ma quella stanza sembrava opprimerlo ogni secondo che passava...sentiva le pareti farsi più strette, e l'aria al suo interno fastidiosamente più pesante, tanto da costringerlo ad aprire spesso la finestra; gli mancavano le sue fatine, gli mancava Clarice, il suo thè delle cinque e perfino il suo cibo soggettivamente disgustoso.

Gli mancavano perfino le telefonate imbarazzanti di Francia e la pioggia che, repentina, si infrangeva sempre sulla vetrata del suo salotto.

Nonostante i suoi improvvisi malori e le melense nostalgie, che sembravano coglierlo ormai troppo assiduamente, non riusciva a trovare un motivo valido per uscire da quella schifosa stanza puzzolente.

L'ultima conversazione avuta col suo ospite non era stata delle più divertenti e, anche se probabilmente lui se ne era già scordato, non poteva rivolgersi nuovamente ad America come se non fosse successo nulla.

Ma la speranza che America ponesse nuovamente, e per l'ennesima volta rimedio alle loro liti con uno dei suoi sorrisi ed una rista cristallina s'infranse definitivamente alle sette in punto del giorno dopo, quando, speranzoso nell'aprire la porta a cui avevano bussato, Inghilterra si ritrovò davanti una sorta di strano essere grigiastro, tanto bizzarro quanto maleducato, che gli indicò con voce metallica e squillante che la sua cena era pronta.

Scendendo le scale, addirittura pregando d'incontrare America più che per riconciliarsi, perchè lo liberasse da quello strano piccolo essere che continuava a seguirlo lanciandogli insulti immotivati, accompagnando i propri passi orribilmente striscianti con la vocina metallica e lugubremente atona, Inghilterra si sorprese nello scoprirsi solo.

Né in salotto né in cucina c'era traccia di America, ciò che trovò ad attenderlo fu un piatto di (delizioso) arrosto accompagnato da un biglietto, su cui a lettere inimitabilmente cubitali spiccava la seguente scritta:


BUON APPETITO, SII GENTILE CON TONY”

Inghilterra non tardò a capire che il “Tony” del biglietto doveva essere il nome dell'esserino che, imperterrito, continuava ad assillarlo con insulti sempre più bizzarri ed immotivati, muovendosi oscillando macabramente.

Quello che lo lasciò interdetto fu invece il non riuscire a motivare la freddezza di America.

Gustò il suo arrosto in silenzio cercando di non badare a...Tony, che adesso si limitava a fissarlo, con fare inquietante, dall'altro capo della tavola.

Anche quando (il presunto) Tony lo scortò di nuovo fino in camera sua continuando ad insultarlo, forse motivato dal fatto che Inghilterra non gli aveva risposto nemmeno una volta, ad ogni passo che facevano, e anche quando chiuse finalmente la porta in faccia all'esserino grigio che, dopo un attimo di silenzio, udì strisciare via con rumore inquietante, Inghilterra continuò a rimuginare sulla questione “America”.

Si stupì oltremodo nel rendersi conto che la causa di tutto dovevano, ovviamente, essere le parole che
lui stesso aveva pronunciato due sere addietro.

Nessuno dei due tirava mai in ballo quell'argomento, e le poche volte che accadeva non era certo lui a “parlarne” per primo, a meno che non fosse ubriaco marcio in qualche sporco pub irlandese...

Effettivamente non ne avevano più parlato da così tanto tempo che Inghilterra faticava a ricordarsene.

Probabilmente, pensò, era per quello che litigavano e si insultavano continuamente, una conversazione amichevole, seria e pacata avrebbe inevitabilmente preso quella piega.

E nessuno dei due era ancora pronto a parlarne a mente lucida...soprattutto Inghilterra.

Nemmeno dopo così tanto tempo...

Era forse quello che aveva più sorpreso America: il fatto che fosse stato proprio Inghilterra a tirare in ballo la questione.

Era inevitabile dopotutto...stando insieme, da soli, gli insulti prima o poi sarebbero giunti a termine, anche solo per la mancanza di abbastanza vocaboli coloriti, sarebbero sfociati nel banale, ed infine...

Inghilterra avvertì una fitta allo stomaco stridente e dolorosa, come l'ultima volta in cui vi aveva pensato...cioè non molto prima di due o tre giorni addietro.

Se si concentrava, o più semplicemente, se aveva coraggio e tempo di deprimersi a sufficienza, poteva ancora sentire il fango sotto le proprie ginocchia e la pioggia pesante ammaccarlo costringendolo ad inginocchiarsi più del dovuto, sprofondando sempre più nella melma e nel dolore.

Ricordava il gusto salato delle proprie lacrime, mai state tanto bollenti, solcargli le gote febbricitanti, sentendo l'inverosimile gelo di una tempestosa sera d'estate attanagliarli le ossa e le viscere.

Ciò che, però, era motivo del continuo contorcersi del suo stomaco, era il ricordo indelebile e nitido del volto di America nel giorno in cui conquistò ciò che più bramava al mondo.

Gli zigomi arrossati, i pugni stretti, la divisa blu sgualcita dal fango e dall'acqua, i capelli biondi bagnati dalla pioggia estiva che, appiccicati al volto, gli conferivano un'aria disgustosamente indipendente. lo sguardo addolorato, ma fiero...i suoi occhi azzurri, mai splendenti come in quel momento...che assaporavano già, inconsapevoli, un primo sentore di libertà.


Un doloroso nodo alla gola lo costrinse ad alzare la faccia per deglutire meglio.

Non aveva mai desiderato d'essere a casa sua come in quel momento.




Lentamente e furtivamente alle 24.00 in punto la testa bionda e scarmigliata di Inghilterra fece capolino dall'uscio dell'ultima porta a destra.

Dopo una prima ed attenta occhiata, dedita nello scovare eventuali alieni arroganti ed ingiustamente maleducati, Inghilterra si decise ad uscire completamente dalla propria stanza.

Facendo attenzione al benché minimo rumore trascinò fuori le due pesanti valige, pregando che il loro attrito contro la moquette del corridoio non potesse essere udito da altri se non da lui, e,con altrettanta attenzione, chiuse lentamente la porta.

Probabilmente America gliele avrebbe comunque spedite non appena si fosse accorto della sua assenza, ma non voleva creare disturbo o scompiglio, non più di quanto non avesse già fatto, ed in ogni caso non era molto educato...certo non che abbandonare la casa del proprio ospite in piena notte furtivo come un ladro lo fosse ma...diamine! Una vita dedita alla galanteria ed alle buone maniere non sarebbe certo rimasta intaccata dal suo atteggiamento...e poi, insomma, era di America che si trattava, non ci avrebbe certo fatto caso! Al successivo meeting sarebbe stato di sicuro allegro e rumoroso come sempre.

Col cappello già ben calcato in testa, Inghilterra sollevò, con contenuto sforzo, le enormi valige e si accinse a percorrere il corridoio che lo separava dalla rampa di scale.

Ad un certo punto, proprio quando pensava di averla fatta franca evitando due o tre travi scricchiolanti, un fracasso improvviso accompagnato da una voce roca e tonante lo fece sobbalzare tanto che, per poco, non cadde lungo disteso per terra sepolto dalle sue valige che, in un impeto di terrore, era riuscito a sollevare con una forza che non gli apparteneva!

Con una mano premuta violentemente sul cuore che sembrava volergli letteralmente dal petto Inghilterra si guardò intorno cercando la natura di quell'improvviso ed inaspettato fracasso.

Che fosse di nuovo quel viscido esserino grigio?...non ricordava che la sua voce, per quanto sgradevole, potesse essere tanto profonda!

Solo allora si accorse, facendo più attenzione, che in sottofondo, anche se flebile, si avvertiva una musichetta fastidiosa, monotona e ripetitiva...

Riavutosi, anche se ancora sotto shock, dallo spavento, Inghilterra abbandonò le valige, poggiandole alla parete del corridoio e, con passi lenti, prudentemente, si diresse verso la stanza poco lontana da cui proveniva l'odiosa nenia.

Dovette superare diverse porte del lungo corridoio prima di scoprire quella da cui si elevava la musichetta odiosa, pensando alla televisione inavvertitamente lasciata accesa da America o da quell'altro esserino raccapricciante, Inghilterra aprì senza nemmeno bussare.

-SEDICESIMO LIVELLO COMPLETATO!!!-



La voce assordante lo fece sobbalzare nuovamente, ma ciò che lo lasciò assolutamente senza parole fu l'enorme schermo che gli si presentò davanti; attraversato da ogni genere di colore percepito dallo spettro cromatico Inghilterra rimase letteralmente senza parole, stordito ed assordato dalla musichetta che ora era divenuta un tripudio di squilli e trombette, mentre quella che assomigliava in tutto e per tutto ad una di quelle “astronavi” con cui era solito baloccarsi America attraversava lo schermo gigante.

Improvvisamente tutto tacque e l'enorme nave spaziale si fermò appena in tempo dalla collisione con un gigantesco asteroide, ancora intontito e raccapricciato Inghilterra ci mise un po' ad accorgersi della testa bionda di America che lo fissava interdetta, sbucando da sopra lo schienale della poltrona.

- Che ci fai qui?- Chiese con aria stupita America

Inghilterra balbettò confusamente qualcosa prima di rendersi conto della situazione in cui si trovava. Ovviamente lo aveva interrotto proprio nel bel mezzo di un suo maledettissimo videogioco...chissà come doveva sembrargli stupido in quel momento con gli occhi e la bocca spalancati davanti ad un “normalissimo” schermo al plasma.

-...i-io...non...-

-...ti ho svegliato?- 

-...n-no...io...-

- Perché hai il cappotto?...- Chiese America accomodandosi per poterlo guardare meglio.

-...stavo uscendo.-

- perchè?-

-...perchè volevo prendere una boccata d'aria...- 

Si stupì immediatamente delle parole che gli erano uscite dalla bocca, perchè aveva mentito? Non c'è niente di male a voler andarsene da un posto in cui non si è ben voluti...inoltre sarebbe stato molto più facile così: se glielo avesse detto, avrebbe potuto rimediare alla tanto temuta figura da cafone che avrebbe fatto altrimenti.

America lo fissò in silenzio con un'espressione fastidiosamente indecifrabile.

ti prego non mi guardare così...”



Inghilterra avvertì nuovamente quell'orribile sensazione allo stomaco, probabilmente era quella situazione pressoché assurda o molto più probabilmente lo sguardo di America su di lui, ma sentì improvvisamente il desiderio di andarsene di corsa, afferrare le sue valige, uscire da quella maledetta casa e prendere il primo aereo per Londra.

America si alzò, posò il joystick sul tavolino adorno di qualsivoglia schifezza americanamente ingurgitabile, e si avvicinò ad Inghilterra.

Il più grande abbassò velocemente gli occhi ritrovandosi ad osservare i piedi nudi di America a poca distanza dai suoi.

-...volevi andartene, vero?- Chiese lui con voce stranamente profonda.

-...no.-

-...si, invece.-

- Ti ho detto di no! Diamine...!- 

Inghilterra alzò lo sguardo inviperito e per poco non gli venne un colpo.

America era sempre stato tanto più alto di lui?

Aveva sempre avuto quell'espressione adulta, quel mento marcato, quelle spalle larghe...?

Non se ne era davvero mai accorto?...gli sembrò impossibile.

- Volevi uscire a mezzanotte e un quarto a prendere una boccata d'aria in giacca e cravatta?- Chiese con un sorrisetto saccente America, distogliendolo dai suoi pensieri.

-...mi vesto sempre così...- Mormorò Inghilterra guardandolo in faccia

- anche mentre dormi?...-

- è un problema?- Sbottò stupidamente Inghilterra.

I pochi secondi di silenzio che seguirono furono tra i più lunghi che Inghilterra riuscisse a ricordare, il tempo sembrò fermarsi mentre lo sguardo di America continuava, imperterrito, ad inchiodarlo senza alcuna apparente via di fuga. 

Fu allora che America dischiuse le labbra, emettendo un fievolissimo suono deliziosamente umido, e sospirò con aria sconsolata chiudendo per un attimo gli occhi per poi riaprirli e posarli nuovamente sulla figura rigida di Inghilterra, questa volta, con un'aria decisamente più ilare.

- Puoi andartene se vuoi...- Sentenziò infine passandosi una mano tra i capelli 

- Tu vuoi che me ne vada?- Domandò altrettanto improvvisamente Inghilterra avvertendo l'odiosa stretta allo stomaco farsi nuovamente viva.

Gli occhi di America si fecero di nuovo fastidiosamente seri mentre un'inusuale espressione lugubre si dipingeva sul suo volto.

- Ovviamente no.-

-...e allora non rompere, stupido.- Borbottò Inghilterra arrossendo.

Trascorse un lungo, interminabile, temutissimo secondo dopo di che, finalmente, America sorrise; e fu come se ogni traccia del malore che Inghilterra aveva sentito incombere si fosse dileguata nel nulla.

- Ti va di vedere un film?-

-...allora vuoi proprio che me ne vada...- Esclamò ghignando Inghilterra seguendolo verso il divano.

- ...ah...aspetta...-

America si voltò nuovamente verso di lui con aria interrogativa.

- cosa?-

-...n-niente...m-mi vado a cambiare, torno subito!- Balbettò nervosamente Inghilterra imboccando svelto il corridoio...le valige. Erano ancora lì. Se America le avesse viste non ci sarebbe stato più alcun dubbio sul fatto che Inghilterra se la stava effettivamente per dare a gambe...

Dopo pochi passi, però, ciò che vide lo costrinse a fermarsi, esattamente non seppe se per la paura o per la sorpresa.

Tony stava nel corridoio, proprio davanti a lui, brandendo sotto le lunghe braccia le pesanti valige. Lo fissò per un attimo, dopodiché fece dietrofront e, trascinandosi con un rumore disgustosamente viscido si diresse, con i bagagli di Inghilterra, verso la sua camera.

Non dovette aspettare molto prima di vederlo uscire di nuovo dalla propria stanza questa volta senza alcun bagaglio sottobraccio...l'esserino lo fissò per un lungo attimo dopo di che, oscillando, si diresse verso la rampa di scale per poi sparire al piano inferiore.

Inghilterra, che era rimasto pietrificato da tutta quella strana vicenda, si riebbe al suono della voce di America che lo chiamava dall'altra stanza e, ancora dubbioso, si accinse a tornare da dove era venuto...anche se, prima di chiudersi la porta alle spalle, fu sicuro di aver udito un “
fucking English” pronunciato con una vocetta fastidiosamente metallica.







Finalmente dopo stenti ed inenarrabili fatiche sono riuscita a completare anche questo capitolo (di cui mi pare, per altro, di non aver mai superato la lunghezza!) sarò pigra od enormemente affaccendata?...bhà...la parola ai posteri....vabbè, ehm, dicevamo...mi sto affezionando davvero molto a questa fan fiction forse più del dovuto, o semplicemente più del necessario....ma che ci volete fare? Bhè che posso dire, non mi resta altro che ringraziare quelli che hanno recensito fino ad ora, ed anche te...essere pigro che stai leggendo e non commenti (XD) e pregarvi di rimanere con me e continuare a seguirmi, se volete, fino alla fine di questa fan fic....

Slurp, Kumiho.

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Capitolo 4
*** La violenza del rimpianto ***



Cap.4

Dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, Inghilterra aveva ormai rinunciato a chiedersi quando sarebbe arrivato il tempo in cui America gli avrebbe annunciato che il momento di andarsene era ormai giunto.

 

Le ore non sembravano più così lunghe e, in alcuni momenti, Inghilterra pareva addirittura non accorgersi di quanto la nostalgia di casa propria iniziasse a farsi sentire. D'altro canto sapeva che quei momenti, scoperti tanto piacevoli, non sarebbero potuti durare in eterno e che, presto o tardi avrebbero dovuto concludersi.

 

Ma America sembrava non accorgersene e Inghilterra, per la prima volta, parve volergli dar corda. E così, tra offese, non più così pungenti e mirate, e piacevoli pomeriggi luminosamente soleggiati agli occhi disabituati di Inghilterra, le giornate continuavano a susseguirsi l'una dopo l'altra con una facilità ed una velocità sbalorditive.

 

Capitava che ogni tanto America dovesse uscire di casa lasciando Inghilterra da solo. Seppur non soffermandosi troppo sulle motivazioni, Inghilterra aveva capito benissimo che sicuramente doveva prendere parte a qualche consiglio o riunione di carattere nazionale e, sicuramente, anche solo il pensiero di invitare Inghilterra a seguirlo lo metteva molto a disagio.

 

Inghilterra sghignazzava tra sé e sé, subito rammaricandosi di tanta malignità, ma il pensiero che in qualche modo America potesse sentirsi a disagio messo di fronte ad una situazione che prevedeva il confronto tra la sua nazione e la sua lo rendeva inaspettatamente di buonumore. Forse si beava illudendosi di poter essere ancora qualcosa di tanto importante per lui, di non essergli indifferente come temeva... o forse , più semplicemente, gli piaceva illudersi che la questione rappresentasse una ferita ancora aperta non esclusivamente nel suo cuore.

 

Il fatto che America fosse riuscito a crescere, ad espandersi, a fiorire e sbocciare senza il suo aiuto era sicuramente motivo di un orgoglio traboccante, ma dentro Inghilterra, ciò rappresentava anche un enorme peso, che sicuramente, lo avrebbe accompagnato fino alla fine dei tempi.

 

E in quei pomeriggi in cui era costretto da solo in quella grande casa, circondato da monumenti e territori tanto vasti da non poterli immaginare, era come essere circondati dalla conferma del suo fallimento più grande. Era come sbattere la faccia contro la propria innegabile incompletezza, e più dell'invidia di tante ricchezze e meraviglie era ovvia ed immancabile l'evidenza che la sua mancanza più grande era proprio il non averlo più con sé.

 

Era uno di quei giorni quello, ed il desiderio di tornare a casa propria riprese nuovamente ad attanagliarlo come un cancro, mentre si aggirava per le stanze ed i corridoi senza una meta; in un passo lento e volutamente pigro dedito solo allo scorrere del tempo.

 

Passò in rassegna ogni singola stanza di quella villa spaziosa, scoprendosi perfino un po' sorpreso nel non trovare nulla che fosse l'effettivo emblema dell'immaturità di America; in effetti c'erano numerose piattaforme elettroniche, di cui Inghilterra essendo un gentleman vecchio stampo ignorava l'effettiva funzionalità, infiniti modellini dalle fattezze discutibili, ed il tutto contornato da numerose confezioni di schifezze di altrettanti numerosi fast food, ma che Inghilterra aveva bellamente deciso di ignorare, d'altronde sapeva che il mercato mondiale era in continuo cambiamento e volle credere che tutto ciò facesse parte di una moda insita in una quotidianità che sapeva non appartenergli, o di cui almeno non si faceva vanto, cosa di cui, evidentemente, America non sembrava preoccuparsi.

 

Nonostante queste spiacevoli scoperte, che in fondo non avevano nulla di nuovo, Inghilterra non riusciva a non provare sollievo nello scoprire che molte stanze, così come la villa stessa, avevano mantenuto il fascino delle vecchie residenze dell'età coloniale. La loro età coloniale.

 

La sala, le camere da letto, perfino la cucina, possedevano lo stesso delizioso miasma di cui, allora, Inghilterra faceva tesoro prima di ripartire per la sua isola, così potente e così lontana.

 

Perfino la vernice bianca dell'enorme portico sembrava la stessa: con le stesse screpolature su cui le sue dita si soffermavano mentre aspettava il ritorno di America da qualche sua passeggiata camuffata da emozionante esplorazione; i polpastrelli sembravano accarezzare le stesse pieghe del legno, le stesse bolle d'aria imprigionate dalla vernice di quando lo attendeva impaziente, nella sua divisa sgargiante che America adorava tanto, nei suoi stivali di quel nero lucido e brillante che America sfiorava rapito, sorpreso ogni volta dall'idea di onnipotenza e perfezione che emanavano.

 

Lo aspettava sotto quel sole sempre troppo caldo ed abbagliante, sotto quel cielo di un azzurro che gli sembrava falso, tanto era brillante. Aspettava il sorriso del suo fratellino, la sua espressione esterrefatta di quando lo avrebbe visto sotto al portico di legno, per poi scorgerne le guance divenire sempre più rosee mentre gli correva incontro, lasciando cadere le foglie sgargianti, i sassi bizzarri e tutto ciò che di più prezioso aveva trovato nella sua esplorazione, le lacrime che gli riempivano gli occhi quando infine gli si gettava tra le braccia e, abbandonando improvvisamente e definitivamente il ruolo dell'eroe, si lasciava andare ad un pianto di gratitudine e felicità.

 

 

Inghilterra sorrise continuando ad accarezzare la vernice delle colonne bianche del portico.

Probabilmente quella che lo affliggeva era una delle più violente forme di sadismo mai registrate.

Chi mai, se non un sadico, avrebbe voluto imbeversi di così tanti ricordi dolorosi, girovagando e soffermandosi in un luogo che non poteva offrirgli altro?

 

Eppure quello che sentiva avvolgerlo, nascosto dietro al fetore dell'angoscia e dei rimpianti, era un velo di tenerezza e felicità nella sua forma più soave; mentre ricordava i capelli biondi di America, la sensazione delle sue piccole mani nelle proprie, un tempo tanto più grandi, quando rammentava il sapore delle sue lacrime portate vie dai propri baci e dai propri sorrisi, sapeva che non potevano esistere ricordi più piacevoli e caldi.

 

Sentì il sorriso sfumargli via dalle labbra, mentre rientrava in casa, abbandonando il portico e rifuggendo i tiepidi raggi del sole di ottobre.

 

 

 

- Stupido...-

mormorò piano, poggiando la schiena alla porta e una mano tra i suoi capelli

-...sei davvero uno stupido.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- ...Ing...Inghilterra...-

 

- Ciao, America, come sei cresciuto! -

 

- Sei tornato, Inghilterra!-

- Certo che sono tornato... no, non piangere! Ah, ah, ah...-

 

- N-non ridere!... Inghilterra...non te ne andare più, ti prego!-

 

- Scusami, America. Anche tu mi sei mancato tanto...per favore, non piangere.-

 

 

 

 

 

- Non piangere, America...-

 

- Non sto piangendo...-

 

 

Inghilterra aprì improvvisamente gli occhi a quel suono così estraneo, eppure così familiare da spaventarlo. Il volto di America era lì, davanti a lui. Non stava piangendo come nel suo sogno, ma non rideva neppure; era piegato semplicemente sul suo volto e lo guardava.

 

- Ti sei addormentato... - Parlò nuovamente e questa volta la sua voce gli parve mille volte meno estranea, ma fu mille volte più doloroso sincerarsi che quella era la realtà.

 

Inghilterra tacque, imbarazzato, e lentamente si mise seduto.

Era così. Era rientrato nella propria stanza e si era steso sul letto, doveva aver dormito a lungo perché la luce che rischiarava la stanza pareva quella del tramonto. Non era solito dormire il pomeriggio, ma forse, per lui che era disabituato, le emozioni di quella giornata erano state sfiancanti come una lunga e spossante corsa.

 

- Stavi sognando?...- Lo senti domandare, e i suoi occhi lo cercarono per la stanza. Ci mise alcuni secondi per individuarlo, immobile com'era, affacciato alla finestra della sua stanza.

 

-... no, io non...- Inghilterra balbettò qualche sillaba confusa mentre sentiva le guance infiammarsi: il pensiero che America potesse venire a sapere i pensieri che lo avevano attanagliato quel pomeriggio, ed il sogno malinconico che si erano portati dietro, lo mandò nel panico prima che potesse effettivamente realizzare che cosa di quella possibilità lo spaventasse così tanto.

 

-...non me lo ricordo.-

 

- Capisco.- Mormorò America guardando fuori.

 

 

Seguì un silenzio imbarazzante, uno di quei silenzi che scavano più infondo di qualsiasi confessione, o almeno fu così per Inghilterra che sentì di annegare nell'attesa di un qualsiasi pretesto per interrompere quella straziante pausa, ma America era una di quelle persone che parlavano quando dovevano tacere e tacevano quando dovevano dire qualcosa, era quasi una capacità innata come l'incompetenza nell'accorgersi di quanto disagio provocasse tale particolarità.

 

Era lì infatti, affacciato alla finestra, immobile e in silenzio esattamente come prima. Certo poteva scorgere solo la sua nuca ma si sentiva pronto a giurare che il suo volto avrebbe vantato un'altrettanta indecifrabile capacità espressiva.

In passato, ne era convinto, sarebbe bastato solo uno sguardo per guardare dentro il cuore di America, era sempre stato così... sempre. Solo pochi secoli addietro avrebbe potuto interrompere quel silenzio con una semplice parola che ad America sarebbe sicuramente sembrata la più giusta nel momento migliore.

 

Gli mancava anche quello: la sua infallibilità, la sua sagacia, la sua perfezione, ogni singolo aggettivo proclamato senza imposizione alcuna, che America gli riconosceva ogni volta che ne aveva l'occasione. Inghilterra sapeva che agli occhi della sua piccola ed indifesa colonia lui, un tempo, brillava di una luce più abbagliante della stella più luminosa.

 

E adesso? Che cosa pensava America di lui? Di lui che non era stato in grado di tenerlo con se, di lui che se l'era fatto strappare dalle mani da quella maledetta libertà... lui, le cui spalle erano diventate così strette paragonate alle sue, lui che non aveva neanche più la forza di prenderlo in braccio come faceva un tempo, che non aveva più meraviglie ed incanti da mostrargli o favole da raccontargli... ed il morbo della paura si fece di nuovo strada nel ventre di Inghilterra; mentre sentiva gli occhi bruciare ed un unico pensiero aleggiargli nel cervello:

 

“Ti prego, non provare pietà per me!”

 

 

- La senti?- La sua voce fu come il fragore di mille specchi infranti, riportandolo alla luce da quel mare nero di angoscia in cui era sprofondato.

 

Inghilterra fu solo capace di scuotere la testa, accorgendosi troppo tardi che America, ancora affacciato alla finestra non poteva vederlo; ma lui riprese comunque a parlare.

 

-... questa musica, ascolta...-

 

Inghilterra continuò a fissarlo perseverando il suo silenzio cercando di individuare una qualche melodia. Eccola, ora la sentiva. Era senz'altro una musica allegra, ma talmente fievole e lontana che non si stupì di non averla udita.

 

- Che cos'è?- Chiese alzandosi e raggiungendolo alla finestra per poterla ascoltare meglio.

 

- C'è una festa al paese qui vicino...- Rispose America poggiando le mani sul davanzale.

Inghilterra lo osservò perdurando il suo silenzio; la luce rossa del tramonto lo faceva sembrare ancora più bello ed abbagliante di come già era: il sorriso che gli increspava le labbra era dolce e malinconico, molto diverso dalla sua solita smorfia allegra. Era molto più... adulto.

 

-... Allora dovresti andare.-

 

Le parole gli uscirono dalla bocca: ne sgorgarono come acqua. Neanche in seguito seppe il motivo per cui le aveva pronunciate. Gli aveva inconsciamente fornito un'altra opportunità di scappare da lui. In fondo se era il non averlo accanto che lo rendeva felice e libero come aveva sempre desiderato, non doveva più impedirglielo.

 

Il suo cuore sussultò quando America si voltò per guardarlo negli occhi: la sua pelle era invasa dal colorito aranciato delle nuvole e del cielo in fiamme, solo i due sprazzi azzurri dei suoi occhi seguitarono a brillare fieri del proprio colore... e Inghilterra capì all'istante che se America avesse rifiutato quell'opportunità, probabilmente, non avrebbe più saputo lasciarlo andare.

 

- No...non voglio.-

 

Il suo cuore mancò un battito e, per recuperare i pochi secondi di immobilità sembrò assorbire ogni traccia di felicità presente nell'aria lì vicino al battito successivo.

 

America lo superò per dirigersi verso il letto di Inghilterra e, con uno sbuffo ci si lasciò andare sopra a peso morto.

 

- Ho cose più importanti da fare...- Aggiunse stiracchiandosi.

 

Inghilterra era ancora in piedi, dove America lo aveva lasciato. Si sentiva talmente pieno di riconoscenza in quel momento che decise che non era troppo tardi per recuperare la sua aria sarcastica di inglese cinico; incrociò quindi le braccia sul petto e si voltò verso di lui.

 

-... E queste “cose importanti” includono il bigiare e mangiare Hamburger davanti ai tuoi videogiochi?- Chiese col suo solito sorrisetto ironico.

 

-... può darsi...- Sghignazzò America chiudendo gli occhi e sospirando - Ed inoltre...- aggiunse -...sei stato tu ad insegnarmi che l'ospite viene prima di tutto!-

 

Inghilterra continuò a fissarlo, mentre si avvicinava e gli si sedeva accanto sporgendosi su di lui.

 

- Se è per questo io ti ho anche insegnato a rispettare gli appuntamenti presi.-

 

America aprì gli occhi, incontrando quelli verdi di Inghilterra.

 

- Perché fai così?- Chiese allora il più giovane fissandolo serio – Anche l'altra sera...insomma, lo so che lo fai sempre e con tutti ma... è come se la mia presenza di infastidisse...-

 

Inghilterra sbarrò gli occhi sinceramente sorpreso, oltre che dalla domanda, quando una mano di America si sollevò accarezzandogli una ciocca bionda della fronte.

 

-... io...-

 

- E' così?- Chiese America

 

- No!- Si affrettò a rispondere Inghilterra afferrandogli la mano e stringendola e, oh, il colpo al cuore che avvertì accorgendosi di quanto le sue mani erano diventate grandi e calde.

 

America sorrise, e bastò questo ad aumentare nuovamente i battiti del suo cuore.

 

- Menomale...- La mano di America ricambiò la stretta della sua ed Inghilterra non riuscì a fare a meno di fissarle e, ancora strette l'una nell'altra, se le portò in grembo.

 

Era una sensazione completamente nuova quella che gli scaturiva la visione e la sensazione della sua mano stretta in quella di America. Una sensazione così estranea a ciò che provava quando pensava a lui... ed era come se i ruoli si fossero invertiti per un attimo; e fu Inghilterra, per la prima volta, a sentirsi il bambino grato della compagnia del suo paladino, fu Inghilterra che si sentì di nuovo a casa, solo avendo quella mano grande e calda che avvolgeva la sua.

 

-... tranquillo...- Disse America travisando la sua espressione malinconica – Non moriranno di certo se non mi presento!- Sorrise stringendo la mano di Inghilterra un po' più forte, come per rassicurarlo ed infondergli coraggio; incanto che, forse a sua insaputa, si realizzò sul serio.

 

Inghilterra seguitò a fissare le loro mani strette per poi spostare lo sguardo sul volto sorridente di America. C'erano molte cose che avrebbe voluto dire ma optò per quello che ci si aspettava da una nazione come il Grande Impero Britannico.

 

- Detto da un “eroe”...- Sorrise -...suona abbastanza ridicolo!-

 

America non poté fare a meno di tacere, imbronciandosi come faceva un tempo.

Ma fingendo di non aver sentito, e con la mano che ancora stringeva quella di Inghilterra, sbuffò e chiuse gli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

Salve, so di non aver diritto alla parola dato che è un anno che non aggiorno questa fic. sebbene mi fossi ripromessa di farla rientrare tra le mie priorità... ma i problemi e le disavventure di questa autrice (maggior colpevole la mancanza di ispirazione) non sono stati pochi, vi prego quindi di perdonarmi e continuare a seguire e commentare questa storia che ho assolutamente intenzione di finire, sia chiaro!

 

Bhè, grazie a chi mi ha seguito fino qui e chi avrà la benevolenza di commentare, a presto!

 

Slurp, Kumiho.

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Capitolo 5
*** A kinder way ***


CAP. 4
 
 
 
Il vento freddo d’autunno gli intorpidiva le guance arrossate e gli scompigliava i capelli biondi. Inghilterra si strinse ancor più nelle spalle, affondando nel colletto spesso e nella sciarpa di lana pesante. Le foglie si alzavano appena ai suoi piedi, sfiorandogli i polpacci e le punte delle scarpe, prima di svolazzare qualche metro più avanti per poi tornare indietro, in un mulinello lento e ghiacciato. Per quanto sperasse che la sensazione di gelo contro la schiena e le cosce si attenuasse, l’umidore gelido della panchina di legno contro il proprio corpo non passava mai, costringendolo a rabbrividire ogni pochi minuti. Inghilterra alzò appena lo sguardo, verso la fine dell’enorme giardino, verso le colline ed i prati sconfinati, verso l’orizzonte che sembrava non finire mai. Per quanto gli facesse male, per quanto sentisse il gelo annidarglisi nelle ossa ogni volta che cedeva a questa consapevolezza, Inghilterra fu costretto ad ammettere quanto quel paesaggio fosse intriso di voglia di vivere e di libertà.
 
Sospirò appena e il proprio respiro venne portato via da un alito di vento, una nuvoletta pallida e grigia dispersa nell’aria. Tentò di ricordare cosa provasse quando guardava tutto quello appena pochi secoli indietro, tentò di ricordare ogni traccia di adrenalina e di gioia orgogliosa ammirando le coste verdi e i boschi infiniti di quella terra enorme e bellissima che era stata sua per troppo poco tempo, e un’altra ondata di gelo lo paralizzò rendendosi conto che la sua gioia ed il suo orgoglio non erano mai stati abbastanza. Come non erano state abbastanza le volte in cui lo aveva abbracciato e fatto addormentare stretto a sé, in cui gli aveva letto favole o stretto semplicemente per mano.
 
Inghilterra non aveva mai rimpianto nulla in tutta la sua lunga e gloriosa esistenza, non aveva mai dovuto farlo; anche quando le battaglie erano perdute e sentiva l’odio di mille e più esistenze gravargli sulle spalle, non aveva mai dovuto né voluto chiedere niente né rimpiangere alcunché. Ma c’erano quei momenti, in cui il ricordo del sorriso di America era troppo pesante ed insopportabile. In cui  non poteva fare altro che ripensare all’ultima volta che lo aveva guardato, puntandogli un fucile alla gola e gli aveva letto negli occhi l’orgoglio e la mancanza di bisogno di qualcos’altro, lui compreso. L’ultima volta, gli ultimi secondi in cui era stato suo. Ed il rimpianto lo avvolgeva come una morsa fredda, inondandogli il cervello di dubbi e di ipotesi mai considerate. E come se fosse uno scherzo del destino, proprio in quei momenti, proprio quando sapeva che dopo i bei ricordi sarebbero dovuti arrivare la rabbia e l'odio scaturiti dalle delusioni, il suo cuore si riempiva di un amore infinito verso di lui. Ed odiava se stesso così tanto per non essere in grado di odiare America, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime e le sue braccia si colmavano del desiderio di stringerlo a sé come faceva una volta. Perfettamente conscio che odiare America, per il suo cuore, era solo un'utopia: desiderata ma irrealizzabile.
 
Inghilterra chiuse gli occhi, lasciandosi andare ancora di più contro la panchina gelida. Aspettando che il gelo lo intorpidisse ancora un po’.
 
- Hai deciso di morirci assiderato, su quella panchina?-
 
Inghilterra sbuffò, liberando un’altra nuvoletta bianca dalle narici che volò via, scomponendosi nel vento. Aprì gli occhi e girò lentamente il capo verso America, in piedi, sul porticato di legno sverniciato. Il maglione azzurro pallido gli fasciava il petto largo e i fianchi stretti facendolo sembrare ancora più alto e robusto. Inghilterra abbassò lo sguardo verso le proprie gambe, trovandole improvvisamente e vergognosamente sottili e magre. Nemmeno il buon odore di caffè che gli arrivò presto sotto al naso riuscì a scuoterlo da quell’apatia malinconica in cui sembrava sprofondato.
 
- Vieni dentro o no?- Parlò di nuovo America, sfiorando con la mano una delle colonne del porticato, facendosi più vicino.
 
- Sì- Rispose Inghilterra, e un’altra nuvoletta, più grossa e più bianca gli uscì dalla bocca e volò via.
 
 
 
 
 
 
Inghilterra si accomodò meglio sulla grande poltrona color pesca, portandosi il caffè bollente alle labbra, fissando il fuoco del camino acceso. Sentiva le ginocchia e i polpacci, ancora intorpiditi dal freddo, pungergli piacevolmente, ammorbiditi dal calore del fuoco. America gli sedeva accanto, seduto sul tappeto, le guance appena arrossate e gli occhi azzurri illuminati dai riflessi vivi delle fiamme nel camino. Sembrava il ritratto di una delle loro giornate invernali, quando Inghilterra veniva a trovarlo riempiendolo di regali, tentando di soffocare la lontananza straziante dei mesi in cui non aveva potuto vederlo, ma America non sembrava mai contento finché non si sedevano insieme davanti al fuoco e Inghilterra non iniziava a raccontargli qualche storia di glorie passate fatte di leggende e miti persi negli anni. Inghilterra si sentì nuovamente avviluppato in una morsa gelata e strinse forte gli occhi, prendendo una lunga sorsata bollente, per impedirsi di pensarci ancora.
 
- Erano diversi anni che non accendevo il camino d’autunno. Tutto questo freddo è quasi preoccupante…- Mormorò America, sporgendosi con l’attizzatoio verso la legna arsa e smuovendola appena facendo ingigantire la fiamma. -Anche da te fa così freddo?- Gli chiese senza voltarsi.
 
Inghilterra stette un momento in silenzio per poi assentire con un mugolio. In realtà quel freddo non aveva nulla di strano né di insopportabile, ci era talmente abituato che, anche senza accendere il camino, gli sarebbe sembrata una temperatura ideale. Ma quel gelo che gli era nato nelle ossa e intorno al cuore non aveva nulla di sano né di consueto.
 
- America…- Mormorò pochi minuti dopo, appena il proprio corpo gli sembrò caldo abbastanza - Io devo tornare a casa.- Concluse con un fiato che gli costò più di quanto avrebbe creduto.
 
America rimase in silenzio, continuando a fissare il fuoco, per poi portarsi l’ultimo sorso di caffè alle labbra mormorando -Lo so…-   
 
America si alzò con uno sbuffo stanco, posando la tazza di caffè sul tavolino più vicino. E Inghilterra sentì il cuore battergli più velocemente appena lo vide chinarsi su di lui, un braccio contro lo schienale della poltrona e l’altro sul ginocchio di Inghilterra. Obbligandosi a non guardarlo negli occhi, seguitò a fissare le fiamme del camino, vive e abbaglianti.
 
- Vuoi una mano a fare le valige?- Nessuna nota di malizia né di irritazione a stonargli la voce, solo un sottofondo deluso e controllato.
 
Inghilterra sentì le labbra piegarsi un sorriso malinconico. Per un attimo America tornò nuovamente bambino, quando con le lacrime agli occhi e la candela al naso si sforzava di non piangere mentre lo aiutava a fare i bagagli, e Inghilterra una volta a casa li apriva, trovandovi dentro infiniti regali: dal cibo, ai disegni, alle costruzioni di legnetti umidi, tenute insieme da lacci logori e nastro adesivo. Quando si voltò verso di lui lo trovò a testa bassa, l’aria abbattuta degna di un bambino cresciuto troppo in fretta, mascherata da una piega dura nelle sopracciglia. Senza pensarci sollevò una mano, passandogliela tra i capelli biondi, illuminati dai riflessi rossi del fuoco, e America alzò appena il volto con aria interrogativa, incapace di reagire anche quando le labbra di Inghilterra toccarono le sue.
 
 
Lo baciò sulla bocca, come aveva fatto mille volte quando era piccolo, un brevissimo contatto umido e innocente traboccante ogni goccia dell’amore infinito che provava per lui. Una mano tra i ciuffi biondi e l’altra in grembo. Fu un gesto talmente spontaneo e malinconico che passarono diversi secondi prima che Inghilterra si scostasse da lui con aria allarmata. Sentì le guance andargli a fuoco, incapace di continuare a guardarlo, spostando velocemente lo sguardo dall’espressione sorpresa di America alle fiamme del camino alla tazza nel suo grembo, aprendo e chiudendo la bocca, incapace di trovare l’ossigeno necessario a respirare di nuovo.
 
- M-Mi… mi dispiace, io… Scusami, non…-
 
Inghilterra non riuscì a fare altro che balbettare parole senza significato mentre uno strano calore spaventato gli nasceva nel petto, e l’imbarazzo cresceva sempre di più impedendogli di completare una frase qualsiasi. Proprio quando stava per alzarsi, gesticolando e soffocando tra mille altre scuse tartagliate, per allontanarsi da lui il più velocemente possibile, fece appena in tempo ad avvertire la stretta forte di America sul proprio braccio e sulla schiena, prima che le loro labbra si incontrassero nuovamente.
 
Ad Inghilterra sembrò di annegare, un uno strano limbo in cui ogni nuovo secondo si scopriva dimentico di quello precedente, mentre il calore del corpo di America si faceva sempre più tangibile e il suo respiro sul volto più reale. Solo quando sentì le labbra dell’altro schiudersi accarezzando le proprie con la lingua riuscì a trovare la forza per tentare di scostarlo da sé, più per un riflesso spontaneo che non per vero bisogno. Sollevò le braccia afferrandogli le spalle, scoprendole grandi e forti, troppo forti. Sentì i muscoli indurirsi sotto i palmi tremanti, per poi essere strinto al corpo grande di America ancora di più, mentre sentiva la lingua dell’altro entrargli in bocca, accarezzando gli incisivi e l’interno delle proprie labbra. Uno strano crampo allo stomaco gli paralizzò il respiro, costringendolo ad ansimare contro la bocca di America, che non accennava a volerlo lasciar andare. Sentì la tazza di caffè caldo scivolargli dalle ginocchia e cozzare contro il pavimento, udì i cocci schizzare via, contro il legno del parquet, ma il respiro di America aveva un sapore troppo buono e le sue braccia erano talmente forti e calde che non riuscì a preoccuparsene per più di pochi secondi.
 
Sentì la voce di America infrangersi in qualche gemito debolissimo contro le proprie labbra, giusto il tempo necessario per liberarlo da quel bacio e precipitarlo in un altro, più profondo ed improvviso di quello precedente. Inghilterra capì di star tremando solo quando gli sembrò di galleggiare nel vuoto, stringendo il maglione di America tra le dita ogni volta che gli sembrava di perdere il contatto con la realtà. America lo abbracciò più stretto, prima di allontanarsi dalla sua bocca per baciargli una tempia ed accarezzargli i fianchi magri e la nuca, ansimando appena.
 
- Arthur…-
 
Fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno viso, Inghilterra sentì la gola secca e un dolore dilaniante proprio dietro alla cassa toracica. Fu strano, strano e grottescamente bellissimo. Dietro quel tono caldo, dietro quella voce stranamente bassa e roca riconobbe il tono infantile del bambino che aveva amato più di ogni cosa. Sentirgli pronunciare il proprio nome come faceva da piccolo, e come nessun altro aveva mai osato fare, fu come essere precipitato nella consapevolezza del proibito e dello sbagliato. Gli agguantò nuovamente le spalle, allontanandolo piano da sé, a testa bassa. Udì America sussultare sorpreso, assecondandolo fin quando le sue ginocchia non toccarono di nuovo il pavimento.
 
-…Vado… a fare le valige.- Sussurrò Inghilterra, la voce debole ed involontariamente morbida, come se il sapore di America ne avesse mutato il suono. Non fece in tempo ad alzarsi, però, che sentì di nuovo la presa forte dell’altro trattenerlo.
 
Aspettò che America parlasse, pronunciando una qualsiasi scusa o tentativo di farlo restare. Ma seguirono solo il silenzio ed il disagio di Inghilterra, incapace di voltarsi per guardarlo. Si alzò dalla poltrona, scivolando fuori dalla sua stretta, sgusciando dentro allo stesso freddo che lo aveva avviluppato ogni istante prima che America lo toccasse.  
 
 
 
Mentre le valige si riempivano lentamente, mentre le sue gambe lo portavano da una parte all’altra della propria stanza e le sue braccia si muovevano, come robotizzate, in quelli che sembravano movimenti comuni, la sua mente era ancora invasa dalla sorpresa e dall’angoscia. Nella mente solo la strana consapevolezza del piacere che lo aveva avvolto rendendosi conto di quanto le braccia di America fossero grandi e forti, mentre lo stringevano a sé, e del brivido caldo e inibente che lo aveva paralizzato non appena gli aveva permesso di baciarlo in quel modo un po’ infantile e bellissimo.
 
Le dita gli tremavano ancora mentre tentava di ripiegare le camice ed impilarle ordinatamente l’una sull’altra. Ogni traccia di orgoglio, ogni grammo di autorità era scomparso, soffocato sotto l’improvviso calore che lo aveva invaso in quei pochi secondi. Sentiva solo una gran rabbia verso se stesso e verso la propria incapacità di reagire. Era debole. Di nuovo. Di più. Smise di affrettarsi da una parte all’altra della stanza, sedendosi sul letto e prendendosi la testa tra le mani.
 
Era stato talmente strano che Inghilterra non sapeva nemmeno di cosa preoccuparsi di più, se del fatto che America dovesse essere un fratello per lui, e di conseguenza rendere ciò che era successo appena pochi minuti prima immorale e disgustoso, o del fatto che non riuscisse, nemmeno in una situazione del genere, a prendere una ferma decisione su un qualche punto, sentendosi precipitare in un vortice di confusione e di voglia di scappare lontano. L’unica cosa di cui si sentiva certo era il bruciore sulle guance e quel calore imbarazzante che gli aveva avviluppato il ventre mentre non si preoccupava di altro se non dell’impeto con cui America lo aveva stretto a sé. Era talmente confuso e stranito che non si accorse nemmeno della figura che aveva fatto capolino dietro l’infisso della porta, poggiando la fronte allo stipite di legno e che lo stava fissando da doversi secondi.
 
- Non credevo che ti avrebbe dato fastidio, mi dispiace.-
 
Inghilterra trasalì, lasciandosi scivolare via dalle mani il gilet grigio che stava ripiegando. Non si era ancora voltato verso di lui che le guance gli si erano infiammate ancora di più, e la bocca gli si era inaridita di nuovo. Restò il silenzio, immobile, non sapendo davvero che cosa dire, ogni frecciatina, ogni tentativo di scherzarci sopra sarebbero stonati come un pugno in piena faccia, e Inghilterra rimase semplicemente zitto. Si chinò per raccogliere il gilet e ricominciò a piegarlo in silenzio.
 
Sentì America fare qualche passo verso di lui e non dovette sforzarsi troppo per immaginarsi la sua espressione di disagio: gli occhi azzurri bassi, la bocca ridotta a una linea sottile e le guance arrossate come dopo una corsa, risaltare contro la pelle chiara. Aveva visto quell’espressione talmente tante volte quando era piccolo che sarebbe stato in grado di ricordare qualsiasi particolare.
 
- Sei arrabbiato con me?- Il tono era stranamente deciso e tradiva l’indecisione della domanda stessa, tanto che Inghilterra si voltò verso di lui per accertarsi che gliel’avesse posta sul serio.
 
Il cuore smise di battergli in petto per diversi secondi: l’espressione di America era incredibilmente seria e sicura, gli occhi erano limpidi e decisi e nessuna ruga d’espressione lasciava trapelare alcun senso di disagio né di imbarazzo; aveva le mani in tasca e stava dritto, in piedi, davanti a lui. Inghilterra ebbe la fastidiosa sensazione di stonare di fianco a lui, che sembrava così forte e così adulto, era una sensazione che non aveva mai provato ed era fastidiosa e denigratoria.  
 
Erano poche le volte in cui Inghilterra si preoccupava del pensiero di qualcun altro nei propri riguardi, ma quando succedeva quello il cui pensiero lo preoccupava più di tutti era sempre America. Si chiese se lo trovasse pateticamente imbarazzante, con le gote ancora rosse e le mani tremanti per un semplice bacio, con la fretta di andare via che si leggeva in ogni gesto, il bisogno di scappare trapelante da ogni poro della pelle. Scoprì insopportabile il pensiero che America potesse trovarlo debole o indifeso. Era successo una sola volta e gli era bastato per mille ere.
 
Inghilterra ripose l’ultima camicia nella valigia che chiuse di schianto, facendo scattare le due piccole serrature metalliche ai lati, la sollevò per poi agguantare anche l’altra, già pronta, ai piedi del letto. Imbracciò il cappotto per poi superare America, senza alzare lo sguardo verso di lui, ancora in piedi davanti a lui. Stava quasi per salutarlo ma la voce di America fu più svelta della sua.
 
- Io non sono più un bambino e nemmeno tuo fratello minore, credevo di avertelo già detto. Non ho nessun paletto da rispettare nei tuoi confronti, non puoi avercela con me per una cosa del genere.-
 
Per la millesima volta, quel pomeriggio, il cuore di Inghilterra saltò qualche battito per poi riprendere a battere più velocemente di prima. All’imbarazzo si unì l’irritazione e poi la rabbia. Con un tonfo lasciò andare le valige e si voltò verso il più giovane.
 
- Tu ce li hai eccome dei paletti. Non puoi pretendere di fare quello che ti pare e non aspettarti delle conseguenze. Se hai voglia di farmi arrabbiare tirando in ballo questioni morte e sepolte fai pure, io non rimarrò certo qui a farmi prendere in giro da un ragazzino.-
 
America rimase in silenzio per diversi secondi, ammorbidendo lo sguardo per quello che fi meno di un attimo; si avvicinò ad Inghilterra, posando una mano di fianco al suo viso, stringendo l’infisso della porta di camera e sbuffando come divertito, tradendo quelli sprazzo di tristezza con cui i suoi occhi si erano velati.
 
- Il bacio non c’entra nulla, non è così? Tu non sopporti stare qui per via di quello che io rappresento per te. Sei tu che non riesci a fare a meno di stare male e vuoi darmi la colpa in eterno per questo!-
 
La mani di Inghilterra si mosse automaticamente, stringendogli il colletto del maglione e strattonandolo appena verso di sé, sentiva l’irritazione montargli dentro annichilendo ogni traccia del precedente sarcasmo, ogni traccia di dubbio e di colpevolezza, anche se quel dolore al centro del petto non accennava a scemare.
 
- Tu non sai un cazzo di niente di quello che io penso! Non pretendere di fare l’adulto solo perché lo sembri e non osare pretendere il rispetto degli altri, soprattutto il mio, senza dare nulla in cambio. E smettila di atteggiarti a quello che non sei, tu rimani e continuerai a rimanere solo un ragazzino arrogante! Ora spostati, voglio andarmene di qui.- Sibilò con aria cattiva, lasciandolo andare per poi spintonarlo appena, per farsi spazio.
 
Agguantò nuovamente le valige e si incamminò lungo il corridoio. Ogni suo nuovo passo era come una crepa che si allargava e, per un attimo, Inghilterra temette davvero di averlo perso per sempre. Sentiva solo il rammarico per ogni parola detta e la consapevolezza che l’aver difeso il proprio orgoglio non era valsa nessuna delle parole che gli aveva vomitato addosso.
 
 
- Io non ti chiederò mai scusa, Inghilterra.-
 
Le parole di America echeggiarono nel corridoio deserto, riempiendosi di quella che sembrava solennità. Inghilterra si fermò proprio in mezzo al corridoio, voltandosi per guardarlo meglio. America aveva gli occhi che brillavano, talmente simili a quelli di quel giorno che Inghilterra sentì qualcosa nel suo petto infrangersi dolorosamente. Prendendo un lungo respiro, America, cominciò a camminare lentamente verso di lui.
 
 
- Questo è ciò che sono. Io sono la mia libertà, io sono il mio paese. Amo tutto ciò che ho ottenuto, lo adoro e lo desidero come la prima volta in cui l’ho raggiunto. Niente di tutto questo mi è stato regalato, l’ho conquistato con fatica, impegno e sofferenza… e tu lo sai meglio di chiunque altro. Io ti rispetto enormemente, sai che lo faccio, l’ho sempre fatto, ed è perciò che quello che ho raggiunto ha questo enorme valore. Sono fiero di ciò che sono, di ciò che ho conquistato… so che tu lo vorresti ma io non intendo chiederti scusa per qualcosa che mi sono guadagnato. Non posso farlo… ed è meglio che tu lo capisca, se il tuo obiettivo è di sentirmi implorare la tua pietà o la tua indulgenza.-
 
America, con un ultimo passo, raggiunse Inghilterra, fermo, immobile davanti a lui. La voce ferma e gli occhi pieni di dolore. Inghilterra aveva il petto che faceva male, faceva male come non mai e gli occhi avevano cominciato a bruciargli in modo insopportabile, lottando contro il proprio autocontrollo. Sentiva le lacrime traboccare, lungo le gote rosse e gli angoli della bocca immobili. America si avvicinò ancora, sollevando una mano e accarezzandogli una guancia con le nocche, sorridendo appena, un sorriso caldo e malinconico.
 
- Ma ciò non toglie che io ti ami…- Aggiunse America abbassandosi ancora versi di lui -…ed il fatto che io ti ami nonostante tutto l’orgoglio e l’arroganza verso ciò che possiedo... significa che non potrò mai amare nessun altro come amo te.-
 
Inghilterra abbassò lo sguardo a queste parole, le guance nuovamente in fiamme e il petto colmo di dolore e sollievo. America gli prese il volto con le mani, posandogli un bacio sulla bocca e sugli occhi e solo allora Inghilterra si accorse che le sue mani tremavano, allora sollevò le braccia e gli circondò il collo in un abbraccio silenzioso, come quando era piccolo ed il resto del mondo sembrava così grande. E, improvvisamente, forse per la prima volta dopo tanto tempo, Inghilterra seppe esattamente cosa dire.
 
- Un discorso piuttosto eroico…-
 
America sorrise, in uno sbuffo sinceramente divertito che aveva il sapore della voglia di piangere. Inghilterra si allontanò da lui solo per baciarlo di nuovo, di un bacio che aveva il sapore di lacrime e di amore sincero ed eterno.
 
 
 
 
Pochi giorni più tardi, sul volo di ritorno, Inghilterra aprì il piccolo bagaglio per prendere uno dei libri che non aveva avuto il tempo di leggere, e un piccolo soldatino di legno, scheggiato e scolorito fece capolino da dietro una delle sue giacche scure. Inghilterra sorrise, sentendo gli occhi pungergli di nuovo e si sentì per un breve attimo, nuovamente debole e ridicolo. Accarezzandosi la bocca sorridente con le dita, Inghilterra si scoprì conscio e non più così preoccupato dal fatto che, forse, il suo ultimo barlume di “forza” era davvero sparito quel 4 di luglio, portato via dagli occhi azzurri di America.
 
 
 
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo mille mila anni, è con viva e vibrante soddisfazione che vi annuncio la fine di questa fan fic. Siccome i tempi si sono prolungati di parecchio temo che lo stile di quest’ultimo sarà un po’ diverso dai capitoli precedenti (o almeno lo spero, dato che rileggendoli ho storto il naso non poco). Che dire, spero che vi sia piaciuta e ringrazio dal più profondo del cuore chi ha messo la fan fic  tra le preferite, le ricordate, le seguite e chi ha gentilmente commentato, dedicandomi un po’ del proprio tempo.  Have a nice day! <3
Ps: scusate se ho cambiato font in quest’ultimo capitolo ma… cavolo, era lo schifo! Appena posso cambierò anche gli altri!
Slurp, Kumiho.
 

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