Tutto quello che non ti ho detto. di Kumiho (/viewuser.php?uid=58262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First day ***
Capitolo 2: *** Sweet Home ***
Capitolo 3: *** Tra alieni e malintesi ***
Capitolo 4: *** La violenza del rimpianto ***
Capitolo 5: *** A kinder way ***
Capitolo 1 *** First day ***
Cap.
1: First Day
Io
detesto il cielo del mio paese,
non fa altro che piovere...
come
un monito per ricordarmi quanto sono debole.
Ma è in quelle
rare e brevi giornate di sole che credo di detestarlo ancora di
più;
perché ha lo stesso colore cristallino dei tuoi occhi.
e
la brezza d'autunno scorre lenta, deliziosamente gelida accompagnata
dal tuo ricordo che scivola sui prati, sui monti e sulle
città,
accarezzando la mia pelle, la mia terra.
Ed anche quando
continuassi a fingere di non accorgermi del tempo che passa, dei tuoi
continui e adorabilmente sciocchi progressi.
Anche quando
continuassi a fingere di non accorgermi di quanto sei cresciuto
adeguatamente anche senza di me.
Anche se continuo ad
illudermi di avere faccende più importanti da sbrigare pur
di non
voler confermare che, effettivamente, oggi è il 4 luglio.
Anche
se mi illudo di poter odiarti...proprio perché non vi riesco
appieno.
Anche se so che non sei con me non posso fare
altro che ringraziare Dio per ogni giorno in cui mi dona la certezza
della tua felicità.
-Ho capito! Vuoi
smetterla di ripetermi sempre le stesse cose?!-
Inghilterra
avanzò con passo deciso sbattendo i piedi sul parquet
più
rumorosamente che poteva per non lasciare adito a dubbi sul fatto di
essere in disaccordo ed ovviamente stufo su tutto ciò che,
da quasi
più di un'ora, continuava ad uscire dalla bocca di America.
-Tanto
finisci sempre con lo scordarti qualsiasi cosa ti venga detta...e
piantala! Vuoi sfondarmi il pavimento?!- Lo rimbeccò America
alle
sue spalle continuando a seguirlo imperterrito
-Chiudi quella
fogna e sparisci! Posso arrivarci benissimo da solo alla mia camera
da letto!- Sbraitò di rimando Inghilterra con
un'occhiataccia
America si limitò ad osservarlo con aria
scocciata e a limitare la loro vicinanza, lasciando ad Inghilterra
una precedenza di qualche metro, per poi continuare a seguirlo.
Lo
osservò avanzare velocemente attraverso il corridoio,
cadenzando i
propri passi, o meglio le proprie falcate, con un ridicolo scattare
avanti indietro delle braccia lungo i fianchi, al ritmo di
“God
save the Queen” poteva quasi somigliare ad una sua parata
militare.
Quando poi s'arrestò improvvisamente, davanti alla
penultima porta a sinistra, e sbattè il piede destro a
terra,
America fu quasi sorpreso di non vederlo scattare
sull'attenti.
-Sono arrivato- Ringhiò Inghilterra col tono
simile a quello di chi sottolinea un'ovvietà nota a tutti,
tranne
ovviamente a chi in quel momento lo sta ascoltando.
America,
titubante sul fatto di decidere se rispondergli o no, come se poi ci
fosse da rispondere qualcosa, si limitò a biascicare un
sarcastico
“-che bravo...-” alle sue spalle
-Ora puoi andartene no?!-
Chiese Inghilterra stringendo i denti, tentando di ignorare il
commento precedente
America lo guardò per un attimo
infilandosi le mani in tasca poi, lentamente fece dietro front.
-La
cena è alle otto- Gli ripetè aspettandosi,
fremente, un commento
acido che non tardò ad arrivare
-Ho capito!!!- Sbraitò
Inghilterra alle sue spalle, pentendosi all'istante di non essere
sgusciato dentro la sua stanza appena raggiunta.
Afferrò il
pomello d'ottone e con frenesia, dettata probabilmente dall'astio, lo
girò energicamente aprendo la porta di scatto.
-Inghilterra...-
La voce di America lo costrinse a voltarsi nuovamente e a rimandare,
per l'ennesima volta, il suo ingresso nella stanza e di conseguenza
la poca tranquillità che gli rimaneva da godersi prima della
cena
pressappoco imminente.
- Che vuoi!?- Brontolò aspettandosi
un'altra delle mille precisazioni già ripetutogli fino allo
sfinimento
-Sono contento che sei
venuto-
-...-
-America...-
-mmh...-
-Stai
dritto con la schiena quando cammini.-
Inghilterra
chiuse la porta dolcemente alle sue spalle e sorrise, ed America,
raddrizzando le spalle, fece lo stesso.
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Capitolo 2 *** Sweet Home ***
Cap.2
Inghilterra
sbirciò con aria stanca l'orologio alla sua destra: le
diciannove e
trenta. Decisamente ancora troppo presto per scendere.
Erano
solo tre ore che stava in quella stanza, di quella casa non aveva
visto che il salone d'ingresso le scale, il corridoio e quella
maledettissima stanza che già cominciava ad avere l'odore
umidiccio
di Londra.
L'invito di America era giunto inaspettato e, a
parer suo fuori luogo, appena una settimana prima. Non aveva, oltre
che significativi motivi o ricorrenze particolari, alcun buongusto,
dato che l'ospite in questione non solo non si era preoccupato del
fuso orario, sempre prendendo in considerazione la folle idea che
sapesse di che cosa si trattava, svegliandolo ad un'ora indecente, ma
neppure aveva preso in considerazione il disagio che poteva scaturire
in Inghilterra un simile invito dopo tanto tempo...davvero troppo
tempo.
Eppure aveva accettato, seppur nascondendo il suo
consenso dietro alle regole del bonton e delle buone maniere, aveva
sperato e si era sentito improvvisamente più leggero al solo
pensiero di divenire ancora parte integrante nell'esistenza di
America; e non c'entravano niente, lo sapeva, l'orgoglio o la fiducia
che, cercava di convincersene, lo avevano fatto dire di
sì...solo un
semplice e candido desiderio di stare di nuovo da soli dopo tanto
tempo, come se non esistesse nient'altro che quel delizioso e caldo
bozzolo che un tempo era stata la loro famiglia.
Lentamente si
portò a sedere sul letto.
Dopotutto arrivare in anticipo non era
necessariamente segno di impazienza, solo di buona educazione e
questo, America, lo sapeva; dato che gli anni che aveva impiegato ad
erigerlo con galateo e buone maniere non erano certamente andati
persi.....giusto?!
- Oh...al diavolo!-
Inghilterra scattò
in piedi e, sistemandosi la cravatta dentro al gilet di pura lana
irlandese, uscì dalla stanza con l'aria più
impettita e altezzosa
che la sua vena inglese potesse conferirgli e che, lo sapeva, non era
poca.
Il corridoio che gli sembrò molto più grande di
come
gli era sembrato tre ore prima, gli sembrò anche tre volte
più
lungo, forse perchè a spronarlo ad andare più in
fretta non c'era
la spiacevole presenza di America e l'eco fastidioso dei suoi passi
strascicati alle spalle.
Posò la mano sul corrimano delle
scale e, fatti i primi due gradini, venne avvolto da un
piacevolissimo profumo di pollo arrosto...no, decisamente non si
trovava più a casa sua.
L'ottimo odore di cibo sembrò quasi
spronarlo a scendere i gradini più in fretta, tanto da
renderlo
impreparato a ciò che vide.
Il salone, che aveva appena
adocchiato al suo arrivo, perchè troppo impegnato
(sicuramente) da
qualche sgarbo o svista di America, lo lasciò a bocca
aperta.
L'atmosfera che vi regnava pareva quasi natalizia, pur
essendo in pieno autunno, l'arredamento e la scelta degli accessori
erano quasi regali e il caminetto acceso conferiva quel tocco di
classe che lo fece sentire immediatamente a suo agio.
Il
tappeto al centro della stanza era di un bellissimo color Borgogna,
il pianoforte a coda, suo vecchio regalo, era sistemato al centro
della stanza, lievemente di traverso, sulla sinistra vi era un
cassone di mogano scuro di fianco ad una specchiera ed il lampadario
che pendeva dal soffitto dava, infine, un'aria alla stanza ancor
più
classica e ottocentesca.
-Di solito non è
così-
America entrò lentamente nel salone raggiungendo
Inghilterra
-...Volevo che...piacesse a te...- Sorrise, con
una lieve nota di imbarazzo, passandosi una mano tra i capelli della
nuca.
- Lo immaginavo...che non fosse sempre così, intendo.-
Rispose Inghilterra tornando ad accarezzare la stanza con lo sguardo,
soffermandosi, forse più del dovuto, sul pianoforte a
coda.
-ehm...Avrai fame immagino, sei anche sceso
prima...-
Inghilterra si maledisse mentalmente
-E' un
fatto...-
-...di educazione. Certo, lo so.- Si affrettò a
precisare America sempre sorridendo – La cena è
comunque
praticamente pronta...se vuoi possiamo metterci a tavola.-
-Anche
la tavola è così per me?- Chiese sarcastico
Inghilterra, una volta
entrati in sala da pranzo, vedendo l'elegantissima scelta
dell'argenteria e della tovaglia
-Bhè si, anche quella....-
Sorrise nuovamente America mettendosi a sedere a
capotavola
Inghilterra non poté nascondere un sorrisetto
altezzoso e soddisfatto
-...il cibo no, però. Quello è di
qualità comune...conoscendo ciò a cui sei
abituato tu non ho
puntato troppo in alto.-
Il sorriso scomparve immediatamente
dal volto d' Inghilterra, sostituito da una smorfia di puro
odio.
-Allora buon appetito!- Disse allegramente America
addentando una coscia di pollo.
- Non far finta di niente
bastardo,
e aspetta che tutti siano a tavola prima di cominciare a mangiare!!!-
Urlò Inghilterra spostando rumorosamente la sedia e
mettendosi a
sedere dall'altro lato del tavolo
L'atmosfera non era male e
la sottile aria di tranquillità durò abbastanza a
lungo per
riuscire a considerare la cena pressocchè piacevole; il cibo
poi...Inghilterra doveva ammettere che effettivamente gli capitava
davvero di rado di mangiare così bene.
Si sorprese varie
volte d'esser felice che un po' della loro vecchia
complicità non
era sparita del tutto e che forse, il suo viaggio non era stato solo
una perdita di tempo.
Inghilterra sentiva il cuore traboccare
di tranquillità e sollievo ad ogni sorriso e ad ogni gesto
allegro
di America, ammirando il modo superbo in cui era cresciuto e allo
splendido modo in cui aveva saputo farsi grande, un grande moto di
orgoglio e gratitudine si scatenavano in lui ad ogni gesto e a
,quasi,
ogni parola del ragazzo.
Parlarono di tutto: i progressi e le
crisi economiche reciproche, dei rapporti con gli altri paesi,
addirittura, e qui vennero meno alle buone maniere, di politica e
religione...Inghilterra quasi si stupì della
responsabilità e della
serietà di cui alle volte, solo alle volte, era capace
America, ma
conoscendo l'assoluta ignoranza del più giovane a qualsiasi
accenno
di politica o geografia estera, gli argomenti di cui America
sfoggiò
incredibile conoscenza rimasero sempre e comunque di politica ed
interessi interni ai suoi cinquanta stati, non fu una conversazione
molto seria o particolarmente colta...ma per gli standard a cui aveva
creduto di doversi abituare Inghilterra, procedeva tutto a gonfie
vele ed, escludendo fastidiose frecciatine o riferimenti al cibo, al
maltempo e ad animali e folletti immaginari, Inghilterra
potè
addirittura definire la serata divertente!
Il tempo passò
in fretta scandito inutilmente dall'orologio a pendolo che ad ogni
ora rintoccava con suoni bassi e lenti che seguitavano a passare
inosservati.
- Ehi, si è fatto tardi: è mezzanotte
passata.- Osservò America accorgendosi che i rintocchi che
l'orologio batteva si erano fatti improvvisamente numerosi.
-
Effettivamente comincio ad essere un po' stanco- Aggiunse Inghilterra
allentandosi il nodo della cravatta, avvertendo solo allora, tutta in
un colpo, la stanchezza del viaggio e dell'ora tarda.
-
Oltretutto tu hai avuto il problema del fuso orario....-
Cominciò
America.
Inghilterra lo guardò stupito più che delle sue
gentili attenzioni di avere la conferma che America sapesse
dell'esistenza di qualcosa chiamata “fuso orario”.
-...un
vecchietto come te dovrebbe andare a letto presto o rischia di non
svegliarsi!- Concluse con una rista allegra.
Appunto.
-
E immagino che un pivello come te, invece, non abbia alcun problema
ad andare a letto tardi ...- Chiese Inghilterra alzandosi da tavola
reprimendo, a fatica, l'istinto omicida affacciatosi a malapena
cinque secondi prima.
- Stai scherzando? Un eroe come me che
problemi vuoi che abbia?- Domandò allegro America alzandosi
di
scatto e puntellandosi il petto orgoglioso.
-...a quest'ora
non trovo nemmeno la forza di risponderti...- Mugugnò
Inghilterra
avviandosi verso il salone e seguito da un America per nulla smontato
né dall'ora tarda né dall'aria distrutta di
Inghilterra.
Seguirono
i soliti piccoli insulti accompagnati da rimproveri biascicati,
giusto il tempo di arrivare davanti alla porta della stanza di
Inghilterra.
- Allora buonanotte- Sbadigliò America
apprestandosi a ripercorrere il corridoio.
-Aspetta.- Lo fermò
Inghilterra.
America si voltò incuriosito, infilandosi le
mani in tasca.
-Perché mi hai invitato?- Chiese Inghilterra
fissando la porta della quale, tra l'altro, seguitava a stringere il
pomello.
-Che vuol dire?- Chiese l'altro – Non c'è un
motivo...semplicemente perchè mi andava!-
Inghilterra avvertì
la quasi totalità del calore corporeo concentrarsi nelle
proprie
guance e, ci avrebbe giurato, le proprie orecchie farsi
improvvisamente rosse.
- Ti andava di vedermi? E' solo questo
il motivo?...Puoi vedermi quando vuoi ai meeting, no?-
- Non
possiamo certo mangiare e parlare di quello che vogliamo ai meeting,
no?- Gli chiese retoricamente America con aria saccente.
-
Perché no?- Chiese Inghilterra -Tu lo fai!-
A queste parole
America arrossì vistosamente cercando di nascondere
l'imbarazzo con
un colpo di tosse.
-...ti-ti ho invitato perchè...- America
lo guardò arrossendo da sotto un ciuffo di capelli biondi -
...perchè volevo passare un giorno in tua compagnia....tutto
qui!-
A queste parole Inghilterra avvertì l'imbarazzo
precedente affievolire mentre un' irritazione improvvisa ed
inspiegabile ne prendeva il posto.
- Se stai così bene con
me...perchè non mi inviti anche altri
giorni?...Perché non mi
inviti mai il tuo compleanno?- Chiese Inghilterra atono, finalmente
guardandolo in faccia. - Perché non mi inviti il quattro di
luglio?-
Domandò infine.
America sollevò lo sguardo serio...Dio, come
sembrava....spaventosamente adulto....
-...Non ti farei mai
una cosa del genere...- Rispose lugubre.
- Non mi faresti mai
una cosa del genere...di
nuovo.-
Tagliò corto Inghilterra sorridendo sprezzante poggiando la
fronte
alla porta, non smettendo, però di osservarlo.
-.....buonanotte
Inghilterra-
America gli diede le spalle e percorse a passi
veloci il corridoio.
Inghilterra lo seguì con lo sguardo
finché non scomparve per le scale.
- buonanotte, America.-
sussurrò.
Entrò in camera e chiuse la porta.
N.d.A:
Penso che questa coppia mi piaccia più del dovuto...credo
che, anche
involontariamente, mi ci dedicherò a discapito di altre mie
fan fic.
ancora incompiute (perdonatemiiii T_T)
Slurp, Kumiho.
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Capitolo 3 *** Tra alieni e malintesi ***
Cap.3
Il
giorno dopo, Inghilterra, non aveva avuto il coraggio, o per meglio
dire, la determinazione necessaria a fargli mettere il naso
nuovamente fuori da quella, che ormai, per lui, sembrava essere
diventata come una seconda casa.
Quella dannata ultima stanza
a destra era divenuta una sorta di Londra d'emergenza; pur non
sentendola impenetrabile e sicura come la sua adorata capitale,
Inghilterra, era ormai deciso a rintanarvisi fino a che America non
si fosse deciso a bussare alla sua porta per annunciargli che era
finalmente giunto il momento di tornarsene a casa.
Ma quella
stanza sembrava opprimerlo ogni secondo che passava...sentiva le
pareti farsi più strette, e l'aria al suo interno
fastidiosamente
più pesante, tanto da costringerlo ad aprire spesso la
finestra; gli
mancavano le sue fatine, gli mancava Clarice, il suo thè
delle
cinque e perfino il suo cibo soggettivamente disgustoso.
Gli
mancavano perfino le telefonate imbarazzanti di Francia e la pioggia
che, repentina, si infrangeva sempre sulla vetrata del suo
salotto.
Nonostante i suoi improvvisi malori e le melense
nostalgie, che sembravano coglierlo ormai troppo assiduamente, non
riusciva a trovare un motivo valido per uscire da quella schifosa
stanza puzzolente.
L'ultima conversazione avuta col suo ospite
non era stata delle più divertenti e, anche se probabilmente
lui se
ne era già scordato, non poteva rivolgersi nuovamente ad
America
come se non fosse successo nulla.
Ma la speranza che America
ponesse nuovamente, e per l'ennesima volta rimedio alle loro liti con
uno dei suoi sorrisi ed una rista cristallina s'infranse
definitivamente alle sette in punto del giorno dopo, quando,
speranzoso nell'aprire la porta a cui avevano bussato, Inghilterra si
ritrovò davanti una sorta di strano essere grigiastro, tanto
bizzarro quanto maleducato, che gli indicò con voce
metallica e
squillante che la sua cena era pronta.
Scendendo le scale,
addirittura pregando d'incontrare America più che per
riconciliarsi,
perchè lo liberasse da quello strano piccolo essere che
continuava a
seguirlo lanciandogli insulti immotivati, accompagnando i propri
passi orribilmente striscianti con la vocina metallica e lugubremente
atona, Inghilterra si sorprese nello scoprirsi solo.
Né in
salotto né in cucina c'era traccia di America,
ciò che trovò ad
attenderlo fu un piatto di (delizioso) arrosto accompagnato da un
biglietto, su cui a lettere inimitabilmente cubitali spiccava la
seguente scritta:
“BUON
APPETITO, SII GENTILE CON TONY”
Inghilterra
non tardò a capire che il “Tony” del
biglietto doveva essere il
nome dell'esserino che, imperterrito, continuava ad assillarlo con
insulti sempre più bizzarri ed immotivati, muovendosi
oscillando
macabramente.
Quello che lo lasciò interdetto fu invece il
non riuscire a motivare la freddezza di America.
Gustò il suo
arrosto in silenzio cercando di non badare a...Tony, che adesso si
limitava a fissarlo, con fare inquietante, dall'altro capo della
tavola.
Anche quando (il presunto) Tony lo scortò di nuovo
fino in camera sua continuando ad insultarlo, forse motivato dal
fatto che Inghilterra non gli aveva risposto nemmeno una volta, ad
ogni passo che facevano, e anche quando chiuse finalmente la porta in
faccia all'esserino grigio che, dopo un attimo di silenzio,
udì
strisciare via con rumore inquietante, Inghilterra continuò
a
rimuginare sulla questione “America”.
Si stupì oltremodo
nel rendersi conto che la causa di tutto dovevano, ovviamente, essere
le parole che lui
stesso aveva
pronunciato due sere addietro.
Nessuno dei due tirava mai in
ballo quell'argomento, e le poche volte che accadeva non era certo
lui a “parlarne” per primo, a meno che non fosse
ubriaco marcio
in qualche sporco pub irlandese...
Effettivamente non ne
avevano più parlato da così tanto tempo che
Inghilterra faticava a
ricordarsene.
Probabilmente, pensò, era per quello che
litigavano e si insultavano continuamente, una conversazione
amichevole, seria e pacata avrebbe inevitabilmente preso quella
piega.
E nessuno dei due era ancora pronto a parlarne a mente
lucida...soprattutto Inghilterra.
Nemmeno dopo così tanto
tempo...
Era forse quello che aveva più sorpreso America: il
fatto che fosse stato proprio Inghilterra a tirare in ballo la
questione.
Era inevitabile dopotutto...stando insieme, da
soli, gli insulti prima o poi sarebbero giunti a termine, anche solo
per la mancanza di abbastanza vocaboli coloriti, sarebbero sfociati
nel banale, ed infine...
Inghilterra avvertì una fitta allo
stomaco stridente e dolorosa, come l'ultima volta in cui vi aveva
pensato...cioè non molto prima di due o tre giorni addietro.
Se
si concentrava, o più semplicemente, se aveva coraggio e
tempo di
deprimersi a sufficienza, poteva ancora sentire il fango sotto le
proprie ginocchia e la pioggia pesante ammaccarlo costringendolo ad
inginocchiarsi più del dovuto, sprofondando sempre
più nella melma
e nel dolore.
Ricordava il gusto salato delle proprie lacrime,
mai state tanto bollenti, solcargli le gote febbricitanti, sentendo
l'inverosimile gelo di una tempestosa sera d'estate attanagliarli le
ossa e le viscere.
Ciò che, però, era motivo del continuo
contorcersi del suo stomaco, era il ricordo indelebile e nitido del
volto di America nel giorno in cui conquistò ciò
che più bramava
al mondo.
Gli zigomi arrossati, i pugni stretti, la divisa blu
sgualcita dal fango e dall'acqua, i capelli biondi bagnati dalla
pioggia estiva che, appiccicati al volto, gli conferivano un'aria
disgustosamente indipendente. lo sguardo addolorato, ma fiero...i
suoi occhi azzurri, mai splendenti come in quel momento...che
assaporavano già, inconsapevoli, un primo sentore di
libertà.
Un
doloroso nodo alla gola lo costrinse ad alzare la faccia per
deglutire meglio.
Non aveva mai desiderato d'essere a casa sua
come in quel momento.
Lentamente e furtivamente
alle 24.00 in punto la testa bionda e scarmigliata di Inghilterra
fece capolino dall'uscio dell'ultima porta a destra.
Dopo una
prima ed attenta occhiata, dedita nello scovare eventuali alieni
arroganti ed ingiustamente maleducati, Inghilterra si decise ad
uscire completamente dalla propria stanza.
Facendo attenzione
al benché minimo rumore trascinò fuori le due
pesanti valige,
pregando che il loro attrito contro la moquette del corridoio non
potesse essere udito da altri se non da lui, e,con altrettanta
attenzione, chiuse lentamente la porta.
Probabilmente America
gliele avrebbe comunque spedite non appena si fosse accorto della sua
assenza, ma non voleva creare disturbo o scompiglio, non più
di
quanto non avesse già fatto, ed in ogni caso non era molto
educato...certo non che abbandonare la casa del proprio ospite in
piena notte furtivo come un ladro lo fosse ma...diamine! Una vita
dedita alla galanteria ed alle buone maniere non sarebbe certo
rimasta intaccata dal suo atteggiamento...e poi, insomma, era di
America che si trattava, non ci avrebbe certo fatto caso! Al
successivo meeting sarebbe stato di sicuro allegro e rumoroso come
sempre.
Col cappello già ben calcato in testa, Inghilterra
sollevò, con contenuto sforzo, le enormi valige e si accinse
a
percorrere il corridoio che lo separava dalla rampa di scale.
Ad
un certo punto, proprio quando pensava di averla fatta franca
evitando due o tre travi scricchiolanti, un fracasso improvviso
accompagnato da una voce roca e tonante lo fece sobbalzare tanto che,
per poco, non cadde lungo disteso per terra sepolto dalle sue valige
che, in un impeto di terrore, era riuscito a sollevare con una forza
che non gli apparteneva!
Con una mano premuta violentemente
sul cuore che sembrava volergli letteralmente dal petto Inghilterra
si guardò intorno cercando la natura di quell'improvviso ed
inaspettato fracasso.
Che fosse di nuovo quel viscido esserino
grigio?...non ricordava che la sua voce, per quanto sgradevole,
potesse essere tanto profonda!
Solo allora si accorse, facendo
più attenzione, che in sottofondo, anche se flebile, si
avvertiva
una musichetta fastidiosa, monotona e ripetitiva...
Riavutosi,
anche se ancora sotto shock, dallo spavento, Inghilterra
abbandonò
le valige, poggiandole alla parete del corridoio e, con passi lenti,
prudentemente, si diresse verso la stanza poco lontana da cui
proveniva l'odiosa nenia.
Dovette superare diverse porte del
lungo corridoio prima di scoprire quella da cui si elevava la
musichetta odiosa, pensando alla televisione inavvertitamente
lasciata accesa da America o da quell'altro esserino raccapricciante,
Inghilterra aprì senza nemmeno bussare.
-SEDICESIMO
LIVELLO COMPLETATO!!!-
La
voce assordante lo fece sobbalzare nuovamente, ma ciò che lo
lasciò
assolutamente senza parole fu l'enorme schermo che gli si
presentò
davanti; attraversato da ogni genere di colore percepito dallo
spettro cromatico Inghilterra rimase letteralmente senza parole,
stordito ed assordato dalla musichetta che ora era divenuta un
tripudio di squilli e trombette, mentre quella che assomigliava in
tutto e per tutto ad una di quelle “astronavi” con
cui era solito
baloccarsi America attraversava lo schermo gigante.
Improvvisamente
tutto tacque e l'enorme nave spaziale si fermò appena in
tempo dalla
collisione con un gigantesco asteroide, ancora intontito e
raccapricciato Inghilterra ci mise un po' ad accorgersi della testa
bionda di America che lo fissava interdetta, sbucando da sopra lo
schienale della poltrona.
- Che ci fai qui?- Chiese con aria
stupita America
Inghilterra balbettò confusamente qualcosa
prima di rendersi conto della situazione in cui si trovava.
Ovviamente lo aveva interrotto proprio nel bel mezzo di un suo
maledettissimo videogioco...chissà come doveva sembrargli
stupido in
quel momento con gli occhi e la bocca spalancati davanti ad un
“normalissimo” schermo al plasma.
-...i-io...non...-
-...ti
ho svegliato?-
-...n-no...io...-
- Perché hai il
cappotto?...- Chiese America accomodandosi per poterlo guardare
meglio.
-...stavo uscendo.-
- perchè?-
-...perchè
volevo prendere una boccata d'aria...-
Si stupì
immediatamente delle parole che gli erano uscite dalla bocca,
perchè
aveva mentito? Non c'è niente di male a voler andarsene da
un posto
in cui non si è ben voluti...inoltre sarebbe stato molto
più facile
così: se glielo avesse detto, avrebbe potuto rimediare alla
tanto
temuta figura da cafone che avrebbe fatto altrimenti.
America
lo fissò in silenzio con un'espressione fastidiosamente
indecifrabile.
“ti
prego non mi guardare così...”
Inghilterra
avvertì nuovamente quell'orribile sensazione allo stomaco,
probabilmente era quella situazione pressoché assurda o
molto più
probabilmente lo sguardo di America su di lui, ma sentì
improvvisamente il desiderio di andarsene di corsa, afferrare le sue
valige, uscire da quella maledetta casa e prendere il primo aereo per
Londra.
America si alzò, posò il joystick sul tavolino
adorno di qualsivoglia schifezza americanamente ingurgitabile, e si
avvicinò ad Inghilterra.
Il più grande abbassò velocemente
gli occhi ritrovandosi ad osservare i piedi nudi di America a poca
distanza dai suoi.
-...volevi andartene, vero?- Chiese lui con
voce stranamente profonda.
-...no.-
-...si, invece.-
-
Ti ho detto di no! Diamine...!-
Inghilterra alzò lo
sguardo inviperito e per poco non gli venne un colpo.
America
era sempre stato tanto più alto di lui?
Aveva sempre avuto
quell'espressione adulta, quel mento marcato, quelle spalle
larghe...?
Non se ne era davvero mai accorto?...gli sembrò
impossibile.
- Volevi uscire a mezzanotte e un quarto a
prendere una boccata d'aria in giacca e cravatta?- Chiese con un
sorrisetto saccente America, distogliendolo dai suoi
pensieri.
-...mi vesto sempre così...- Mormorò Inghilterra
guardandolo in faccia
- anche mentre dormi?...-
- è un
problema?- Sbottò stupidamente Inghilterra.
I pochi secondi
di silenzio che seguirono furono tra i più lunghi che
Inghilterra
riuscisse a ricordare, il tempo sembrò fermarsi mentre lo
sguardo di
America continuava, imperterrito, ad inchiodarlo senza alcuna
apparente via di fuga.
Fu allora che America dischiuse
le labbra, emettendo un fievolissimo suono deliziosamente umido, e
sospirò con aria sconsolata chiudendo per un attimo gli
occhi per
poi riaprirli e posarli nuovamente sulla figura rigida di
Inghilterra, questa volta, con un'aria decisamente più ilare.
-
Puoi andartene se vuoi...- Sentenziò infine passandosi una
mano tra
i capelli
- Tu vuoi che me ne vada?- Domandò
altrettanto improvvisamente Inghilterra avvertendo l'odiosa stretta
allo stomaco farsi nuovamente viva.
Gli occhi di America si
fecero di nuovo fastidiosamente seri mentre un'inusuale espressione
lugubre si dipingeva sul suo volto.
- Ovviamente no.-
-...e
allora non rompere, stupido.- Borbottò Inghilterra
arrossendo.
Trascorse un lungo, interminabile, temutissimo
secondo dopo di che, finalmente, America sorrise; e fu come se ogni
traccia del malore che Inghilterra aveva sentito incombere si fosse
dileguata nel nulla.
- Ti va di vedere un film?-
-...allora
vuoi proprio che me ne vada...- Esclamò ghignando
Inghilterra
seguendolo verso il divano.
- ...ah...aspetta...-
America
si voltò nuovamente verso di lui con aria interrogativa.
-
cosa?-
-...n-niente...m-mi vado a cambiare, torno subito!-
Balbettò nervosamente Inghilterra imboccando svelto il
corridoio...le valige. Erano ancora lì. Se America le avesse
viste
non ci sarebbe stato più alcun dubbio sul fatto che
Inghilterra se
la stava effettivamente per dare a gambe...
Dopo pochi passi,
però, ciò che vide lo costrinse a fermarsi,
esattamente non seppe
se per la paura o per la sorpresa.
Tony stava nel corridoio,
proprio davanti a lui, brandendo sotto le lunghe braccia le pesanti
valige. Lo fissò per un attimo, dopodiché fece
dietrofront e,
trascinandosi con un rumore disgustosamente viscido si diresse, con i
bagagli di Inghilterra, verso la sua camera.
Non dovette
aspettare molto prima di vederlo uscire di nuovo dalla propria stanza
questa volta senza alcun bagaglio sottobraccio...l'esserino lo
fissò
per un lungo attimo dopo di che, oscillando, si diresse verso la
rampa di scale per poi sparire al piano inferiore.
Inghilterra,
che era rimasto pietrificato da tutta quella strana vicenda, si
riebbe al suono della voce di America che lo chiamava dall'altra
stanza e, ancora dubbioso, si accinse a tornare da dove era
venuto...anche se, prima di chiudersi la porta alle spalle, fu sicuro
di aver udito un “fucking
English”
pronunciato con una vocetta fastidiosamente
metallica.
Finalmente dopo stenti ed
inenarrabili fatiche sono riuscita a completare anche questo capitolo
(di cui mi pare, per altro, di non aver mai superato la lunghezza!)
sarò pigra od enormemente
affaccendata?...bhà...la parola ai
posteri....vabbè, ehm, dicevamo...mi sto affezionando
davvero molto
a questa fan fiction forse più del dovuto, o semplicemente
più del
necessario....ma che ci volete fare? Bhè che posso dire, non
mi
resta altro che ringraziare quelli che hanno recensito fino ad ora,
ed anche te...essere pigro che stai leggendo e non commenti (XD) e
pregarvi di rimanere con me e continuare a seguirmi, se volete, fino
alla fine di questa fan fic....
Slurp, Kumiho.
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Capitolo 4 *** La violenza del rimpianto ***
Cap.4
Dopo
gli avvenimenti degli ultimi giorni, Inghilterra aveva ormai
rinunciato a chiedersi quando sarebbe arrivato il tempo in cui America
gli
avrebbe annunciato che il momento di andarsene era ormai giunto.
Le
ore non sembravano più così lunghe e,
in alcuni momenti, Inghilterra pareva addirittura non accorgersi di
quanto la
nostalgia di casa propria iniziasse a farsi sentire. D'altro canto
sapeva che
quei momenti, scoperti tanto piacevoli, non sarebbero potuti durare in
eterno e
che, presto o tardi avrebbero dovuto concludersi.
Ma
America sembrava non accorgersene e
Inghilterra, per la prima volta, parve volergli dar corda. E
così, tra offese,
non più così pungenti e mirate, e piacevoli
pomeriggi luminosamente soleggiati
agli occhi disabituati di Inghilterra, le giornate continuavano a
susseguirsi
l'una dopo l'altra con una facilità ed una
velocità sbalorditive.
Capitava
che ogni tanto America dovesse
uscire di casa lasciando Inghilterra da solo. Seppur non soffermandosi
troppo
sulle motivazioni, Inghilterra aveva capito benissimo che sicuramente
doveva
prendere parte a qualche consiglio o riunione di carattere nazionale e,
sicuramente, anche solo il pensiero di invitare Inghilterra a seguirlo
lo
metteva molto a disagio.
Inghilterra
sghignazzava tra sé e sé,
subito rammaricandosi di tanta malignità, ma il pensiero che
in qualche modo
America potesse sentirsi a disagio messo di fronte ad una situazione
che
prevedeva il confronto tra la sua nazione e la sua lo rendeva
inaspettatamente
di buonumore. Forse si beava illudendosi di poter essere ancora
qualcosa di
tanto importante per lui, di non essergli indifferente come temeva... o
forse ,
più semplicemente, gli piaceva illudersi che la questione
rappresentasse una
ferita ancora aperta non esclusivamente nel suo cuore.
Il
fatto che America fosse riuscito a
crescere, ad espandersi, a fiorire e sbocciare senza il suo aiuto era
sicuramente motivo di un orgoglio traboccante, ma dentro Inghilterra,
ciò
rappresentava anche un enorme peso, che sicuramente, lo avrebbe
accompagnato
fino alla fine dei tempi.
E
in quei pomeriggi in cui era costretto
da solo in quella grande casa, circondato da monumenti e territori
tanto vasti
da non poterli immaginare, era come essere circondati dalla conferma
del suo
fallimento più grande. Era come sbattere la faccia contro la
propria innegabile
incompletezza, e più dell'invidia di tante ricchezze e
meraviglie era ovvia ed
immancabile l'evidenza che la sua mancanza più grande era
proprio il non averlo
più con sé.
Era
uno di quei giorni quello, ed il
desiderio di tornare a casa propria riprese nuovamente ad attanagliarlo
come un
cancro, mentre si aggirava per le stanze ed i corridoi senza una meta;
in un
passo lento e volutamente pigro dedito solo allo scorrere del tempo.
Passò
in rassegna ogni singola stanza di
quella villa spaziosa, scoprendosi perfino un po' sorpreso nel non
trovare
nulla che fosse l'effettivo emblema dell'immaturità di
America; in effetti
c'erano numerose piattaforme elettroniche, di cui Inghilterra essendo
un
gentleman vecchio stampo ignorava l'effettiva funzionalità,
infiniti modellini
dalle fattezze discutibili, ed il tutto contornato da numerose
confezioni di
schifezze di altrettanti numerosi fast food, ma che Inghilterra aveva
bellamente deciso di ignorare, d'altronde sapeva che il mercato
mondiale era in
continuo cambiamento e volle credere che tutto ciò facesse
parte di una moda
insita in una quotidianità che sapeva non appartenergli, o
di cui almeno non si
faceva vanto, cosa di cui, evidentemente, America non sembrava
preoccuparsi.
Nonostante
queste spiacevoli scoperte,
che in fondo non avevano nulla di nuovo, Inghilterra non riusciva a non
provare
sollievo nello scoprire che molte stanze, così come la villa
stessa, avevano
mantenuto il fascino delle vecchie residenze dell'età
coloniale. La loro età
coloniale.
La
sala, le camere da letto, perfino la
cucina, possedevano lo stesso delizioso miasma di cui, allora,
Inghilterra
faceva tesoro prima di ripartire per la sua isola, così
potente e così lontana.
Perfino
la vernice bianca dell'enorme
portico sembrava la stessa: con le stesse screpolature su cui le sue
dita si
soffermavano mentre aspettava il ritorno di America da qualche sua
passeggiata
camuffata da emozionante esplorazione; i polpastrelli sembravano
accarezzare le
stesse pieghe del legno, le stesse bolle d'aria imprigionate dalla
vernice di
quando lo attendeva impaziente, nella sua divisa sgargiante che America
adorava
tanto, nei suoi stivali di quel nero lucido e brillante che America
sfiorava
rapito, sorpreso ogni volta dall'idea di onnipotenza e perfezione che
emanavano.
Lo
aspettava sotto quel sole sempre
troppo caldo ed abbagliante, sotto quel cielo di un azzurro che gli
sembrava
falso, tanto era brillante. Aspettava il sorriso del suo fratellino, la
sua
espressione esterrefatta di quando lo avrebbe visto sotto al portico di
legno,
per poi scorgerne le guance divenire sempre più rosee mentre
gli correva
incontro, lasciando cadere le foglie sgargianti, i sassi bizzarri e
tutto ciò
che di più prezioso aveva trovato nella sua esplorazione, le
lacrime che gli
riempivano gli occhi quando infine gli si gettava tra le braccia e,
abbandonando improvvisamente e definitivamente il ruolo dell'eroe, si
lasciava
andare ad un pianto di gratitudine e felicità.
Inghilterra
sorrise continuando ad
accarezzare la vernice delle colonne bianche del portico.
Probabilmente
quella che lo affliggeva
era una delle più violente forme di sadismo mai registrate.
Chi
mai, se non un sadico, avrebbe
voluto imbeversi di così tanti ricordi dolorosi, girovagando
e soffermandosi in
un luogo che non poteva offrirgli altro?
Eppure
quello che sentiva avvolgerlo,
nascosto dietro al fetore dell'angoscia e dei rimpianti, era un velo di
tenerezza e felicità nella sua forma più soave;
mentre ricordava i capelli
biondi di America, la sensazione delle sue piccole mani nelle proprie,
un tempo
tanto più grandi, quando rammentava il sapore delle sue
lacrime portate vie dai
propri baci e dai propri sorrisi, sapeva che non potevano esistere
ricordi più
piacevoli e caldi.
Sentì
il sorriso sfumargli via dalle
labbra, mentre rientrava in casa, abbandonando il portico e rifuggendo
i
tiepidi raggi del sole di ottobre.
-
Stupido...-
mormorò
piano, poggiando la schiena alla
porta e una mano tra i suoi capelli
-...sei
davvero uno stupido.-
-
...Ing...Inghilterra...-
-
Ciao, America, come sei cresciuto! -
-
Sei tornato, Inghilterra!-
-
Certo che sono tornato... no, non
piangere! Ah, ah, ah...-
-
N-non ridere!... Inghilterra...non te
ne andare più, ti prego!-
-
Scusami, America. Anche tu mi sei
mancato tanto...per favore, non piangere.-
-
Non piangere, America...-
-
Non sto piangendo...-
Inghilterra
aprì improvvisamente gli
occhi a quel suono così estraneo, eppure così
familiare da spaventarlo. Il
volto di America era lì, davanti a lui. Non stava piangendo
come nel suo sogno,
ma non rideva neppure; era piegato semplicemente sul suo volto e lo
guardava.
-
Ti sei addormentato... - Parlò
nuovamente e questa volta la sua voce gli parve mille volte meno
estranea, ma
fu mille volte più doloroso sincerarsi che quella era la
realtà.
Inghilterra
tacque, imbarazzato, e
lentamente si mise seduto.
Era
così. Era rientrato nella propria
stanza e si era steso sul letto, doveva aver dormito a lungo
perché la luce che
rischiarava la stanza pareva quella del tramonto. Non era solito
dormire il pomeriggio,
ma forse, per lui che era disabituato, le emozioni di quella giornata
erano
state sfiancanti come una lunga e spossante corsa.
-
Stavi sognando?...- Lo senti
domandare, e i suoi occhi lo cercarono per la stanza. Ci mise alcuni
secondi
per individuarlo, immobile com'era, affacciato alla finestra della sua
stanza.
-...
no, io non...- Inghilterra balbettò
qualche sillaba confusa mentre sentiva le guance infiammarsi: il
pensiero che
America potesse venire a sapere i pensieri che lo avevano attanagliato
quel
pomeriggio, ed il sogno malinconico che si erano portati dietro, lo
mandò nel
panico prima che potesse effettivamente realizzare che cosa di quella
possibilità lo spaventasse così tanto.
-...non
me lo ricordo.-
-
Capisco.- Mormorò America guardando
fuori.
Seguì
un silenzio imbarazzante, uno di
quei silenzi che scavano più infondo di qualsiasi
confessione, o almeno fu così
per Inghilterra che sentì di annegare nell'attesa di un
qualsiasi pretesto per
interrompere quella straziante pausa, ma America era una di quelle
persone che
parlavano quando dovevano tacere e tacevano quando dovevano dire
qualcosa, era
quasi una capacità innata come l'incompetenza
nell'accorgersi di quanto disagio
provocasse tale particolarità.
Era
lì infatti, affacciato alla
finestra, immobile e in silenzio esattamente come prima. Certo poteva
scorgere
solo la sua nuca ma si sentiva pronto a giurare che il suo volto
avrebbe
vantato un'altrettanta indecifrabile capacità espressiva.
In
passato, ne era convinto, sarebbe
bastato solo uno sguardo per guardare dentro il cuore di America, era
sempre
stato così... sempre. Solo pochi secoli addietro avrebbe
potuto interrompere
quel silenzio con una semplice parola che ad America sarebbe
sicuramente
sembrata la più giusta nel momento migliore.
Gli
mancava anche quello: la sua
infallibilità, la sua sagacia, la sua perfezione, ogni
singolo aggettivo
proclamato senza imposizione alcuna, che America gli riconosceva ogni
volta che
ne aveva l'occasione. Inghilterra sapeva che agli occhi della sua
piccola ed
indifesa colonia lui, un tempo, brillava di una luce più
abbagliante della
stella più luminosa.
E
adesso? Che cosa pensava America di
lui? Di lui che non era stato in grado di tenerlo con se, di lui che se
l'era
fatto strappare dalle mani da quella maledetta libertà...
lui, le cui spalle
erano diventate così strette paragonate alle sue, lui che
non aveva neanche più
la forza di prenderlo in braccio come faceva un tempo, che non aveva
più
meraviglie ed incanti da mostrargli o favole da raccontargli... ed il
morbo
della paura si fece di nuovo strada nel ventre di Inghilterra; mentre
sentiva
gli occhi bruciare ed un unico pensiero aleggiargli nel cervello:
“Ti
prego, non provare pietà per me!”
-
La senti?- La sua voce fu come il
fragore di mille specchi infranti, riportandolo alla luce da quel mare
nero di
angoscia in cui era sprofondato.
Inghilterra
fu solo capace di scuotere
la testa, accorgendosi troppo tardi che America, ancora affacciato alla
finestra non poteva vederlo; ma lui riprese comunque a parlare.
-...
questa musica, ascolta...-
Inghilterra
continuò a fissarlo
perseverando il suo silenzio cercando di individuare una qualche
melodia.
Eccola, ora la sentiva. Era senz'altro una musica allegra, ma talmente
fievole
e lontana che non si stupì di non averla udita.
-
Che cos'è?- Chiese alzandosi e
raggiungendolo alla finestra per poterla ascoltare meglio.
-
C'è una festa al paese qui vicino...-
Rispose America poggiando le mani sul davanzale.
Inghilterra
lo osservò perdurando il suo
silenzio; la luce rossa del tramonto lo faceva sembrare ancora
più bello ed
abbagliante di come già era: il sorriso che gli increspava
le labbra era dolce
e malinconico, molto diverso dalla sua solita smorfia allegra. Era
molto più...
adulto.
-...
Allora dovresti andare.-
Le
parole gli uscirono dalla bocca: ne
sgorgarono come acqua. Neanche in seguito seppe il motivo per cui le
aveva
pronunciate. Gli aveva inconsciamente fornito un'altra
opportunità di scappare
da lui. In fondo se era il non averlo accanto che lo rendeva felice e
libero
come aveva sempre desiderato, non doveva più impedirglielo.
Il
suo cuore sussultò quando America si
voltò per guardarlo negli occhi: la sua pelle era invasa dal
colorito aranciato
delle nuvole e del cielo in fiamme, solo i due sprazzi azzurri dei suoi
occhi
seguitarono a brillare fieri del proprio colore... e Inghilterra
capì
all'istante che se America avesse rifiutato
quell'opportunità, probabilmente,
non avrebbe più saputo lasciarlo andare.
-
No...non voglio.-
Il
suo cuore mancò un battito e, per
recuperare i pochi secondi di immobilità sembrò
assorbire ogni traccia di
felicità presente nell'aria lì vicino al battito
successivo.
America
lo superò per dirigersi verso il
letto di Inghilterra e, con uno sbuffo ci si lasciò andare
sopra a peso morto.
-
Ho cose più importanti da fare...-
Aggiunse stiracchiandosi.
Inghilterra
era ancora in piedi, dove
America lo aveva lasciato. Si sentiva talmente pieno di riconoscenza in
quel
momento che decise che non era troppo tardi per recuperare la sua aria
sarcastica di inglese cinico; incrociò quindi le braccia sul
petto e si voltò
verso di lui.
-...
E queste “cose importanti”
includono il bigiare e mangiare Hamburger davanti ai tuoi videogiochi?-
Chiese
col suo solito sorrisetto ironico.
-...
può darsi...- Sghignazzò America
chiudendo gli occhi e sospirando - Ed inoltre...- aggiunse -...sei
stato tu ad
insegnarmi che l'ospite viene prima di tutto!-
Inghilterra
continuò a fissarlo, mentre
si avvicinava e gli si sedeva accanto sporgendosi su di lui.
-
Se è per questo io ti ho anche
insegnato a rispettare gli appuntamenti presi.-
America
aprì gli occhi, incontrando
quelli verdi di Inghilterra.
-
Perché fai così?- Chiese allora il più
giovane fissandolo serio – Anche l'altra sera...insomma, lo
so che lo fai
sempre e con tutti ma... è come se la mia presenza di
infastidisse...-
Inghilterra
sbarrò gli occhi
sinceramente sorpreso, oltre che dalla domanda, quando una mano di
America si
sollevò accarezzandogli una ciocca bionda della fronte.
-...
io...-
-
E' così?- Chiese America
-
No!- Si affrettò a rispondere
Inghilterra afferrandogli la mano e stringendola e, oh, il colpo al
cuore che
avvertì accorgendosi di quanto le sue mani erano diventate
grandi e calde.
America
sorrise, e bastò questo ad aumentare
nuovamente i battiti del suo cuore.
-
Menomale...- La mano di America
ricambiò la stretta della sua ed Inghilterra non
riuscì a fare a meno di
fissarle e, ancora strette l'una nell'altra, se le portò in
grembo.
Era
una sensazione completamente nuova
quella che gli scaturiva la visione e la sensazione della sua mano
stretta in
quella di America. Una sensazione così estranea a
ciò che provava quando
pensava a lui... ed era come se i ruoli si fossero invertiti per un
attimo; e
fu Inghilterra, per la prima volta, a sentirsi il bambino grato della
compagnia
del suo paladino, fu Inghilterra che si sentì di nuovo a
casa, solo avendo
quella mano grande e calda che avvolgeva la sua.
-...
tranquillo...- Disse America travisando
la sua espressione malinconica – Non moriranno di certo se
non mi presento!-
Sorrise stringendo la mano di Inghilterra un po' più forte,
come per
rassicurarlo ed infondergli coraggio; incanto che, forse a sua
insaputa, si
realizzò sul serio.
Inghilterra
seguitò a fissare le loro
mani strette per poi spostare lo sguardo sul volto sorridente di
America.
C'erano molte cose che avrebbe voluto dire ma optò per
quello che ci si
aspettava da una nazione come il Grande Impero Britannico.
-
Detto da un “eroe”...- Sorrise
-...suona abbastanza ridicolo!-
America
non poté fare a meno di tacere,
imbronciandosi come faceva un tempo.
Ma
fingendo di non aver sentito, e con
la mano che ancora stringeva quella di Inghilterra, sbuffò e
chiuse gli occhi.
Salve,
so di non aver diritto alla parola dato che è un anno che
non aggiorno questa
fic. sebbene mi fossi ripromessa di farla rientrare tra le mie
priorità... ma i
problemi e le disavventure di questa autrice (maggior colpevole la
mancanza di
ispirazione) non sono stati pochi, vi prego quindi di perdonarmi e
continuare a
seguire e commentare questa storia che ho assolutamente intenzione di
finire,
sia chiaro!
Bhè,
grazie a chi mi ha seguito fino qui e chi avrà la
benevolenza
di commentare, a presto!
Slurp,
Kumiho.
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Capitolo 5 *** A kinder way ***
CAP. 4
Il vento freddo d’autunno gli intorpidiva le guance arrossate e gli scompigliava i capelli biondi. Inghilterra si strinse ancor più nelle spalle, affondando nel colletto spesso e nella sciarpa di lana pesante. Le foglie si alzavano appena ai suoi piedi, sfiorandogli i polpacci e le punte delle scarpe, prima di svolazzare qualche metro più avanti per poi tornare indietro, in un mulinello lento e ghiacciato. Per quanto sperasse che la sensazione di gelo contro la schiena e le cosce si attenuasse, l’umidore gelido della panchina di legno contro il proprio corpo non passava mai, costringendolo a rabbrividire ogni pochi minuti. Inghilterra alzò appena lo sguardo, verso la fine dell’enorme giardino, verso le colline ed i prati sconfinati, verso l’orizzonte che sembrava non finire mai. Per quanto gli facesse male, per quanto sentisse il gelo annidarglisi nelle ossa ogni volta che cedeva a questa consapevolezza, Inghilterra fu costretto ad ammettere quanto quel paesaggio fosse intriso di voglia di vivere e di libertà.
Sospirò appena e il proprio respiro venne portato via da un alito di vento, una nuvoletta pallida e grigia dispersa nell’aria. Tentò di ricordare cosa provasse quando guardava tutto quello appena pochi secoli indietro, tentò di ricordare ogni traccia di adrenalina e di gioia orgogliosa ammirando le coste verdi e i boschi infiniti di quella terra enorme e bellissima che era stata sua per troppo poco tempo, e un’altra ondata di gelo lo paralizzò rendendosi conto che la sua gioia ed il suo orgoglio non erano mai stati abbastanza. Come non erano state abbastanza le volte in cui lo aveva abbracciato e fatto addormentare stretto a sé, in cui gli aveva letto favole o stretto semplicemente per mano.
Inghilterra non aveva mai rimpianto nulla in tutta la sua lunga e gloriosa esistenza, non aveva mai dovuto farlo; anche quando le battaglie erano perdute e sentiva l’odio di mille e più esistenze gravargli sulle spalle, non aveva mai dovuto né voluto chiedere niente né rimpiangere alcunché. Ma c’erano quei momenti, in cui il ricordo del sorriso di America era troppo pesante ed insopportabile. In cui non poteva fare altro che ripensare all’ultima volta che lo aveva guardato, puntandogli un fucile alla gola e gli aveva letto negli occhi l’orgoglio e la mancanza di bisogno di qualcos’altro, lui compreso. L’ultima volta, gli ultimi secondi in cui era stato suo. Ed il rimpianto lo avvolgeva come una morsa fredda, inondandogli il cervello di dubbi e di ipotesi mai considerate. E come se fosse uno scherzo del destino, proprio in quei momenti, proprio quando sapeva che dopo i bei ricordi sarebbero dovuti arrivare la rabbia e l'odio scaturiti dalle delusioni, il suo cuore si riempiva di un amore infinito verso di lui. Ed odiava se stesso così tanto per non essere in grado di odiare America, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime e le sue braccia si colmavano del desiderio di stringerlo a sé come faceva una volta. Perfettamente conscio che odiare America, per il suo cuore, era solo un'utopia: desiderata ma irrealizzabile.
Inghilterra chiuse gli occhi, lasciandosi andare ancora di più contro la panchina gelida. Aspettando che il gelo lo intorpidisse ancora un po’.
- Hai deciso di morirci assiderato, su quella panchina?-
Inghilterra sbuffò, liberando un’altra nuvoletta bianca dalle narici che volò via, scomponendosi nel vento. Aprì gli occhi e girò lentamente il capo verso America, in piedi, sul porticato di legno sverniciato. Il maglione azzurro pallido gli fasciava il petto largo e i fianchi stretti facendolo sembrare ancora più alto e robusto. Inghilterra abbassò lo sguardo verso le proprie gambe, trovandole improvvisamente e vergognosamente sottili e magre. Nemmeno il buon odore di caffè che gli arrivò presto sotto al naso riuscì a scuoterlo da quell’apatia malinconica in cui sembrava sprofondato.
- Vieni dentro o no?- Parlò di nuovo America, sfiorando con la mano una delle colonne del porticato, facendosi più vicino.
- Sì- Rispose Inghilterra, e un’altra nuvoletta, più grossa e più bianca gli uscì dalla bocca e volò via.
Inghilterra si accomodò meglio sulla grande poltrona color pesca, portandosi il caffè bollente alle labbra, fissando il fuoco del camino acceso. Sentiva le ginocchia e i polpacci, ancora intorpiditi dal freddo, pungergli piacevolmente, ammorbiditi dal calore del fuoco. America gli sedeva accanto, seduto sul tappeto, le guance appena arrossate e gli occhi azzurri illuminati dai riflessi vivi delle fiamme nel camino. Sembrava il ritratto di una delle loro giornate invernali, quando Inghilterra veniva a trovarlo riempiendolo di regali, tentando di soffocare la lontananza straziante dei mesi in cui non aveva potuto vederlo, ma America non sembrava mai contento finché non si sedevano insieme davanti al fuoco e Inghilterra non iniziava a raccontargli qualche storia di glorie passate fatte di leggende e miti persi negli anni. Inghilterra si sentì nuovamente avviluppato in una morsa gelata e strinse forte gli occhi, prendendo una lunga sorsata bollente, per impedirsi di pensarci ancora.
- Erano diversi anni che non accendevo il camino d’autunno. Tutto questo freddo è quasi preoccupante…- Mormorò America, sporgendosi con l’attizzatoio verso la legna arsa e smuovendola appena facendo ingigantire la fiamma. -Anche da te fa così freddo?- Gli chiese senza voltarsi.
Inghilterra stette un momento in silenzio per poi assentire con un mugolio. In realtà quel freddo non aveva nulla di strano né di insopportabile, ci era talmente abituato che, anche senza accendere il camino, gli sarebbe sembrata una temperatura ideale. Ma quel gelo che gli era nato nelle ossa e intorno al cuore non aveva nulla di sano né di consueto.
- America…- Mormorò pochi minuti dopo, appena il proprio corpo gli sembrò caldo abbastanza - Io devo tornare a casa.- Concluse con un fiato che gli costò più di quanto avrebbe creduto.
America rimase in silenzio, continuando a fissare il fuoco, per poi portarsi l’ultimo sorso di caffè alle labbra mormorando -Lo so…-
America si alzò con uno sbuffo stanco, posando la tazza di caffè sul tavolino più vicino. E Inghilterra sentì il cuore battergli più velocemente appena lo vide chinarsi su di lui, un braccio contro lo schienale della poltrona e l’altro sul ginocchio di Inghilterra. Obbligandosi a non guardarlo negli occhi, seguitò a fissare le fiamme del camino, vive e abbaglianti.
- Vuoi una mano a fare le valige?- Nessuna nota di malizia né di irritazione a stonargli la voce, solo un sottofondo deluso e controllato.
Inghilterra sentì le labbra piegarsi un sorriso malinconico. Per un attimo America tornò nuovamente bambino, quando con le lacrime agli occhi e la candela al naso si sforzava di non piangere mentre lo aiutava a fare i bagagli, e Inghilterra una volta a casa li apriva, trovandovi dentro infiniti regali: dal cibo, ai disegni, alle costruzioni di legnetti umidi, tenute insieme da lacci logori e nastro adesivo. Quando si voltò verso di lui lo trovò a testa bassa, l’aria abbattuta degna di un bambino cresciuto troppo in fretta, mascherata da una piega dura nelle sopracciglia. Senza pensarci sollevò una mano, passandogliela tra i capelli biondi, illuminati dai riflessi rossi del fuoco, e America alzò appena il volto con aria interrogativa, incapace di reagire anche quando le labbra di Inghilterra toccarono le sue.
Lo baciò sulla bocca, come aveva fatto mille volte quando era piccolo, un brevissimo contatto umido e innocente traboccante ogni goccia dell’amore infinito che provava per lui. Una mano tra i ciuffi biondi e l’altra in grembo. Fu un gesto talmente spontaneo e malinconico che passarono diversi secondi prima che Inghilterra si scostasse da lui con aria allarmata. Sentì le guance andargli a fuoco, incapace di continuare a guardarlo, spostando velocemente lo sguardo dall’espressione sorpresa di America alle fiamme del camino alla tazza nel suo grembo, aprendo e chiudendo la bocca, incapace di trovare l’ossigeno necessario a respirare di nuovo.
- M-Mi… mi dispiace, io… Scusami, non…-
Inghilterra non riuscì a fare altro che balbettare parole senza significato mentre uno strano calore spaventato gli nasceva nel petto, e l’imbarazzo cresceva sempre di più impedendogli di completare una frase qualsiasi. Proprio quando stava per alzarsi, gesticolando e soffocando tra mille altre scuse tartagliate, per allontanarsi da lui il più velocemente possibile, fece appena in tempo ad avvertire la stretta forte di America sul proprio braccio e sulla schiena, prima che le loro labbra si incontrassero nuovamente.
Ad Inghilterra sembrò di annegare, un uno strano limbo in cui ogni nuovo secondo si scopriva dimentico di quello precedente, mentre il calore del corpo di America si faceva sempre più tangibile e il suo respiro sul volto più reale. Solo quando sentì le labbra dell’altro schiudersi accarezzando le proprie con la lingua riuscì a trovare la forza per tentare di scostarlo da sé, più per un riflesso spontaneo che non per vero bisogno. Sollevò le braccia afferrandogli le spalle, scoprendole grandi e forti, troppo forti. Sentì i muscoli indurirsi sotto i palmi tremanti, per poi essere strinto al corpo grande di America ancora di più, mentre sentiva la lingua dell’altro entrargli in bocca, accarezzando gli incisivi e l’interno delle proprie labbra. Uno strano crampo allo stomaco gli paralizzò il respiro, costringendolo ad ansimare contro la bocca di America, che non accennava a volerlo lasciar andare. Sentì la tazza di caffè caldo scivolargli dalle ginocchia e cozzare contro il pavimento, udì i cocci schizzare via, contro il legno del parquet, ma il respiro di America aveva un sapore troppo buono e le sue braccia erano talmente forti e calde che non riuscì a preoccuparsene per più di pochi secondi.
Sentì la voce di America infrangersi in qualche gemito debolissimo contro le proprie labbra, giusto il tempo necessario per liberarlo da quel bacio e precipitarlo in un altro, più profondo ed improvviso di quello precedente. Inghilterra capì di star tremando solo quando gli sembrò di galleggiare nel vuoto, stringendo il maglione di America tra le dita ogni volta che gli sembrava di perdere il contatto con la realtà. America lo abbracciò più stretto, prima di allontanarsi dalla sua bocca per baciargli una tempia ed accarezzargli i fianchi magri e la nuca, ansimando appena.
- Arthur…-
Fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno viso, Inghilterra sentì la gola secca e un dolore dilaniante proprio dietro alla cassa toracica. Fu strano, strano e grottescamente bellissimo. Dietro quel tono caldo, dietro quella voce stranamente bassa e roca riconobbe il tono infantile del bambino che aveva amato più di ogni cosa. Sentirgli pronunciare il proprio nome come faceva da piccolo, e come nessun altro aveva mai osato fare, fu come essere precipitato nella consapevolezza del proibito e dello sbagliato. Gli agguantò nuovamente le spalle, allontanandolo piano da sé, a testa bassa. Udì America sussultare sorpreso, assecondandolo fin quando le sue ginocchia non toccarono di nuovo il pavimento.
-…Vado… a fare le valige.- Sussurrò Inghilterra, la voce debole ed involontariamente morbida, come se il sapore di America ne avesse mutato il suono. Non fece in tempo ad alzarsi, però, che sentì di nuovo la presa forte dell’altro trattenerlo.
Aspettò che America parlasse, pronunciando una qualsiasi scusa o tentativo di farlo restare. Ma seguirono solo il silenzio ed il disagio di Inghilterra, incapace di voltarsi per guardarlo. Si alzò dalla poltrona, scivolando fuori dalla sua stretta, sgusciando dentro allo stesso freddo che lo aveva avviluppato ogni istante prima che America lo toccasse.
Mentre le valige si riempivano lentamente, mentre le sue gambe lo portavano da una parte all’altra della propria stanza e le sue braccia si muovevano, come robotizzate, in quelli che sembravano movimenti comuni, la sua mente era ancora invasa dalla sorpresa e dall’angoscia. Nella mente solo la strana consapevolezza del piacere che lo aveva avvolto rendendosi conto di quanto le braccia di America fossero grandi e forti, mentre lo stringevano a sé, e del brivido caldo e inibente che lo aveva paralizzato non appena gli aveva permesso di baciarlo in quel modo un po’ infantile e bellissimo.
Le dita gli tremavano ancora mentre tentava di ripiegare le camice ed impilarle ordinatamente l’una sull’altra. Ogni traccia di orgoglio, ogni grammo di autorità era scomparso, soffocato sotto l’improvviso calore che lo aveva invaso in quei pochi secondi. Sentiva solo una gran rabbia verso se stesso e verso la propria incapacità di reagire. Era debole. Di nuovo. Di più. Smise di affrettarsi da una parte all’altra della stanza, sedendosi sul letto e prendendosi la testa tra le mani.
Era stato talmente strano che Inghilterra non sapeva nemmeno di cosa preoccuparsi di più, se del fatto che America dovesse essere un fratello per lui, e di conseguenza rendere ciò che era successo appena pochi minuti prima immorale e disgustoso, o del fatto che non riuscisse, nemmeno in una situazione del genere, a prendere una ferma decisione su un qualche punto, sentendosi precipitare in un vortice di confusione e di voglia di scappare lontano. L’unica cosa di cui si sentiva certo era il bruciore sulle guance e quel calore imbarazzante che gli aveva avviluppato il ventre mentre non si preoccupava di altro se non dell’impeto con cui America lo aveva stretto a sé. Era talmente confuso e stranito che non si accorse nemmeno della figura che aveva fatto capolino dietro l’infisso della porta, poggiando la fronte allo stipite di legno e che lo stava fissando da doversi secondi.
- Non credevo che ti avrebbe dato fastidio, mi dispiace.-
Inghilterra trasalì, lasciandosi scivolare via dalle mani il gilet grigio che stava ripiegando. Non si era ancora voltato verso di lui che le guance gli si erano infiammate ancora di più, e la bocca gli si era inaridita di nuovo. Restò il silenzio, immobile, non sapendo davvero che cosa dire, ogni frecciatina, ogni tentativo di scherzarci sopra sarebbero stonati come un pugno in piena faccia, e Inghilterra rimase semplicemente zitto. Si chinò per raccogliere il gilet e ricominciò a piegarlo in silenzio.
Sentì America fare qualche passo verso di lui e non dovette sforzarsi troppo per immaginarsi la sua espressione di disagio: gli occhi azzurri bassi, la bocca ridotta a una linea sottile e le guance arrossate come dopo una corsa, risaltare contro la pelle chiara. Aveva visto quell’espressione talmente tante volte quando era piccolo che sarebbe stato in grado di ricordare qualsiasi particolare.
- Sei arrabbiato con me?- Il tono era stranamente deciso e tradiva l’indecisione della domanda stessa, tanto che Inghilterra si voltò verso di lui per accertarsi che gliel’avesse posta sul serio.
Il cuore smise di battergli in petto per diversi secondi: l’espressione di America era incredibilmente seria e sicura, gli occhi erano limpidi e decisi e nessuna ruga d’espressione lasciava trapelare alcun senso di disagio né di imbarazzo; aveva le mani in tasca e stava dritto, in piedi, davanti a lui. Inghilterra ebbe la fastidiosa sensazione di stonare di fianco a lui, che sembrava così forte e così adulto, era una sensazione che non aveva mai provato ed era fastidiosa e denigratoria.
Erano poche le volte in cui Inghilterra si preoccupava del pensiero di qualcun altro nei propri riguardi, ma quando succedeva quello il cui pensiero lo preoccupava più di tutti era sempre America. Si chiese se lo trovasse pateticamente imbarazzante, con le gote ancora rosse e le mani tremanti per un semplice bacio, con la fretta di andare via che si leggeva in ogni gesto, il bisogno di scappare trapelante da ogni poro della pelle. Scoprì insopportabile il pensiero che America potesse trovarlo debole o indifeso. Era successo una sola volta e gli era bastato per mille ere.
Inghilterra ripose l’ultima camicia nella valigia che chiuse di schianto, facendo scattare le due piccole serrature metalliche ai lati, la sollevò per poi agguantare anche l’altra, già pronta, ai piedi del letto. Imbracciò il cappotto per poi superare America, senza alzare lo sguardo verso di lui, ancora in piedi davanti a lui. Stava quasi per salutarlo ma la voce di America fu più svelta della sua.
- Io non sono più un bambino e nemmeno tuo fratello minore, credevo di avertelo già detto. Non ho nessun paletto da rispettare nei tuoi confronti, non puoi avercela con me per una cosa del genere.-
Per la millesima volta, quel pomeriggio, il cuore di Inghilterra saltò qualche battito per poi riprendere a battere più velocemente di prima. All’imbarazzo si unì l’irritazione e poi la rabbia. Con un tonfo lasciò andare le valige e si voltò verso il più giovane.
- Tu ce li hai eccome dei paletti. Non puoi pretendere di fare quello che ti pare e non aspettarti delle conseguenze. Se hai voglia di farmi arrabbiare tirando in ballo questioni morte e sepolte fai pure, io non rimarrò certo qui a farmi prendere in giro da un ragazzino.-
America rimase in silenzio per diversi secondi, ammorbidendo lo sguardo per quello che fi meno di un attimo; si avvicinò ad Inghilterra, posando una mano di fianco al suo viso, stringendo l’infisso della porta di camera e sbuffando come divertito, tradendo quelli sprazzo di tristezza con cui i suoi occhi si erano velati.
- Il bacio non c’entra nulla, non è così? Tu non sopporti stare qui per via di quello che io rappresento per te. Sei tu che non riesci a fare a meno di stare male e vuoi darmi la colpa in eterno per questo!-
La mani di Inghilterra si mosse automaticamente, stringendogli il colletto del maglione e strattonandolo appena verso di sé, sentiva l’irritazione montargli dentro annichilendo ogni traccia del precedente sarcasmo, ogni traccia di dubbio e di colpevolezza, anche se quel dolore al centro del petto non accennava a scemare.
- Tu non sai un cazzo di niente di quello che io penso! Non pretendere di fare l’adulto solo perché lo sembri e non osare pretendere il rispetto degli altri, soprattutto il mio, senza dare nulla in cambio. E smettila di atteggiarti a quello che non sei, tu rimani e continuerai a rimanere solo un ragazzino arrogante! Ora spostati, voglio andarmene di qui.- Sibilò con aria cattiva, lasciandolo andare per poi spintonarlo appena, per farsi spazio.
Agguantò nuovamente le valige e si incamminò lungo il corridoio. Ogni suo nuovo passo era come una crepa che si allargava e, per un attimo, Inghilterra temette davvero di averlo perso per sempre. Sentiva solo il rammarico per ogni parola detta e la consapevolezza che l’aver difeso il proprio orgoglio non era valsa nessuna delle parole che gli aveva vomitato addosso.
- Io non ti chiederò mai scusa, Inghilterra.-
Le parole di America echeggiarono nel corridoio deserto, riempiendosi di quella che sembrava solennità. Inghilterra si fermò proprio in mezzo al corridoio, voltandosi per guardarlo meglio. America aveva gli occhi che brillavano, talmente simili a quelli di quel giorno che Inghilterra sentì qualcosa nel suo petto infrangersi dolorosamente. Prendendo un lungo respiro, America, cominciò a camminare lentamente verso di lui.
- Questo è ciò che sono. Io sono la mia libertà, io sono il mio paese. Amo tutto ciò che ho ottenuto, lo adoro e lo desidero come la prima volta in cui l’ho raggiunto. Niente di tutto questo mi è stato regalato, l’ho conquistato con fatica, impegno e sofferenza… e tu lo sai meglio di chiunque altro. Io ti rispetto enormemente, sai che lo faccio, l’ho sempre fatto, ed è perciò che quello che ho raggiunto ha questo enorme valore. Sono fiero di ciò che sono, di ciò che ho conquistato… so che tu lo vorresti ma io non intendo chiederti scusa per qualcosa che mi sono guadagnato. Non posso farlo… ed è meglio che tu lo capisca, se il tuo obiettivo è di sentirmi implorare la tua pietà o la tua indulgenza.-
America, con un ultimo passo, raggiunse Inghilterra, fermo, immobile davanti a lui. La voce ferma e gli occhi pieni di dolore. Inghilterra aveva il petto che faceva male, faceva male come non mai e gli occhi avevano cominciato a bruciargli in modo insopportabile, lottando contro il proprio autocontrollo. Sentiva le lacrime traboccare, lungo le gote rosse e gli angoli della bocca immobili. America si avvicinò ancora, sollevando una mano e accarezzandogli una guancia con le nocche, sorridendo appena, un sorriso caldo e malinconico.
- Ma ciò non toglie che io ti ami…- Aggiunse America abbassandosi ancora versi di lui -…ed il fatto che io ti ami nonostante tutto l’orgoglio e l’arroganza verso ciò che possiedo... significa che non potrò mai amare nessun altro come amo te.-
Inghilterra abbassò lo sguardo a queste parole, le guance nuovamente in fiamme e il petto colmo di dolore e sollievo. America gli prese il volto con le mani, posandogli un bacio sulla bocca e sugli occhi e solo allora Inghilterra si accorse che le sue mani tremavano, allora sollevò le braccia e gli circondò il collo in un abbraccio silenzioso, come quando era piccolo ed il resto del mondo sembrava così grande. E, improvvisamente, forse per la prima volta dopo tanto tempo, Inghilterra seppe esattamente cosa dire.
- Un discorso piuttosto eroico…-
America sorrise, in uno sbuffo sinceramente divertito che aveva il sapore della voglia di piangere. Inghilterra si allontanò da lui solo per baciarlo di nuovo, di un bacio che aveva il sapore di lacrime e di amore sincero ed eterno.
Pochi giorni più tardi, sul volo di ritorno, Inghilterra aprì il piccolo bagaglio per prendere uno dei libri che non aveva avuto il tempo di leggere, e un piccolo soldatino di legno, scheggiato e scolorito fece capolino da dietro una delle sue giacche scure. Inghilterra sorrise, sentendo gli occhi pungergli di nuovo e si sentì per un breve attimo, nuovamente debole e ridicolo. Accarezzandosi la bocca sorridente con le dita, Inghilterra si scoprì conscio e non più così preoccupato dal fatto che, forse, il suo ultimo barlume di “forza” era davvero sparito quel 4 di luglio, portato via dagli occhi azzurri di America.
FINE
Dopo mille mila anni, è con viva e vibrante soddisfazione che vi annuncio la fine di questa fan fic. Siccome i tempi si sono prolungati di parecchio temo che lo stile di quest’ultimo sarà un po’ diverso dai capitoli precedenti (o almeno lo spero, dato che rileggendoli ho storto il naso non poco). Che dire, spero che vi sia piaciuta e ringrazio dal più profondo del cuore chi ha messo la fan fic tra le preferite, le ricordate, le seguite e chi ha gentilmente commentato, dedicandomi un po’ del proprio tempo. Have a nice day! <3
Ps: scusate se ho cambiato font in quest’ultimo capitolo ma… cavolo, era lo schifo! Appena posso cambierò anche gli altri!
Slurp, Kumiho.
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