Way I Loved You.

di AmaleenLavellan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fiamme e Bagliore. ***
Capitolo 2: *** Violenza e Dolcezza. ***
Capitolo 3: *** Danza e Lotta. ***
Capitolo 4: *** Caos e bellezza. ***
Capitolo 5: *** Way I Loved You ***
Capitolo 6: *** La verità ***
Capitolo 7: *** Goodbye to shame. ***
Capitolo 8: *** Il canto della sirena ***



Capitolo 1
*** Fiamme e Bagliore. ***


"Basta, Gilbert, smettila dai!" rido.
"Il grande Me non la smetterà mai, mai, mai e poi mai!"
Gilbert fa un sorriso, uno di quei suoi sorrisi maliziosi e accattivanti, continuando a mordicchiarmi giocosamente l’orecchio. Cerco di allontanarlo con davvero poca convinzione, e naturalmente senza risultati, mentre continuo a ridere, spensierata. "Ho fame", dice.
"Se mi lasci ti vado a preparare qualcosa da mangiare, ma se continui a stritolarmi dubito di poterlo fare!" commento con finta seccatura. Le mie parole non fanno altro che far aumentare la sua stretta sui miei fianchi, e la nostra vicinanza. A quel punto le labbra, il viso di Gilbert si allontanano rapidamente, con uno scatto, da me, ma i nostri corpi rimangono incollati. Mi guarda negli occhi, con decisione che sfocia nella prepotenza. Le sue iridi scure tendenti al rosso sembrano bruciare.
Bruciare di passione.
"No, tu non hai capito. Io ho fame di te", soffia riavvicinandosi a me, a un centimetro dalle mie labbra. A quel punto le sue si uniscono alle mie, in un bacio dolce, delicato, eppure passionale.
E poi sorride, di nuovo.
Sorride, a contatto con la mia bocca.
Sorride, lo sento attraverso la pelle.
Sorride, e il suo sorriso mi destabilizza.
Il sorriso di Gilbert è una cosa sconcertante. È acceso, vivo, strafottente, dannatamente sensuale. Sembra succhiare via le forze vitali in un singolo istante, eppure carica con una violenza quasi brutale. Uccide e fa rinascere a nuova vita. Dal sorriso di Gilbert sembra sgorgare energia pura, pulsante.
Il sorriso di Gilbert è una cosa forza della natura, eppure è solo un sorriso.
Il sorriso di Gilbert mi lascia senza fiato.
Il sorriso di Gilbert mi ha fatto innamorare.

Il bianco candido del contatto diventa rosso, e il bacio fresco comincia a bruciare. La passione monta nelle nostre anime, il sangue ribolle nelle vene, mentre il contatto di labbra e labbra diventa sempre più affannato, bramoso, bollente. Come un cavallo imbizzarrito il cui fantino ha perso le redini.
Comincia a spingermi, mentre io muovo qualche passo esitante all’indietro. Ci spostiamo alla cieca, alla ricerca di qualcosa, una qualunque cosa che abbia la forma di una sedia, un divano, un tavolo o, ancora meglio, un letto. Sempre animati da questa frenesia, questa frenesia famelica, attraversiamo il salotto restando avvinghiati. A un certo punto la mia schiena sbatte contro qualcosa di duro e liscio. La porta della camera da letto.
Perfetto.
Gilbert senza lasciarmi spalanca la porta e io mi lascio cadere sulle lenzuola candide. Sopra di me, si ferma un istante ad osservarmi. Nonostante i suoi occhi siano più che mai accesi dalle fiamme, lo sguardo è quello di un artista che ammira la sua ultima opera, la meglio riuscita.
"Sei bellissima, Liz".

Apro lentamente gli occhi, abbagliata da una luce forte. Troppo forte.
L’ambiente rimane offuscato per qualche istante, ma presto i miei occhi si abituano al cambio di luminosità.
Una figura alta, slanciata, girata di spalle, sta sistemando le tende della grande finestra di camera mia. Appena avverte il rumore delle lenzuola che si spostano, mentre io mi tiro a sedere, si gira verso di me.
"Buongiorno, amore", dice con un sorriso genuino ed estremamente dolce, passandosi una mano tra i capelli scuri. "Hai dormito bene?"
Ah. Era solo un sogno.
"Tesoro, ma… stai piangendo?" chiede subito dopo spalancando gli occhi, anch’essi scuri, aggiustandosi gli occhiali sul viso. Mi sfioro con le dita le guancie e mi accorgo che sì… sto piangendo. Perché le lacrime continuano a scorrere imperterrite lungo il mio viso? Incredula lascio lì la mano, a mezz’aria, lievemente appoggiata alla pelle. Anche la mia mente risulta bianca in questo momento, di un bianco abbagliante, che fa male agli occhi.
Perfino la mia mente risplende tanto, nel suo vuoto, da fare quasi male. Come questa stanza.
"I-io…", cerco di dire, ma le parole mi muoiono in gola. Io cosa? Non lo so. Non so nulla, non capisco più nulla.
"Oh, Elizaveta…" sussurra con dolcezza avvicinandosi a me, e sedendosi sul letto. Mi avvolge con un braccio e mi stringe delicatamente, facendomi poggiare la testa sul suo petto. Mi aggrappo a lui, cominciando a singhiozzare forte.
"R-Roderich…" sembro quasi implorare, con il tono di voce improvvisamente più acuto. Sono qui, sussurra al mio orecchio, baciandomi i capelli. Va tutto bene, sono qui, ecco cosa dice. Le sue dita cominciano ad accarezzarmi la testa e la schiena, lentamente, come una madre che tocca lievemente il proprio figlio per non spezzarlo, non con paura, ma anzi con una sicurezza che nasce solo dall’amore.
Quel tocco.
Quel tocco delicato.
Quelle mani che si muovono su di me morbide, soavi.
Quelle dita che passano tra i miei capelli e si appoggiano sulla mia pelle come se fosse un pianoforte, come se Roderich avesse a che fare con una melodia che non è da inventare, ma da scoprire.
Quelle mani dall’eleganza magica, ipnotica.
Quelle mani che amo con tutta me stessa.
In un attimo la tensione, la rabbia, la tristezza, tutto ciò che si stava formando nel bagliore bianco, sembra attenuarsi e sbiadire. Le sue carezze fanno asciugare le lacrime che avevano cominciato a bruciare, le sue mani fanno sparire quella lucentezza pulsante e dolorosa della mia testa, le sue dita sembrano stendere un velo su ogni cosa che esiste di brutto a questo mondo.
Appena si accorge che ho smesso di singhiozzare, le labbra di Roderich si allontanano dai miei capelli, ma le sue mani non smettono di muoversi. "Va un po’ meglio, ora?" mi domanda con un sorriso rassicurante. A quel sorriso non posso fare a meno di sorridere anche io.
"Sì, solo grazie a te. Grazie di esistere", sussurro affondando il viso nella sua spalla.
"Grazie a te di essere con me", dichiara sempre con la stessa tenerezza, mentre le sue dita continuano a sfiorare la mia pelle gelida, lasciando una scia di soffice calore.

"Non ci capisco più nulla, Natalia. Davvero, non so cosa fare!" sbuffo disperata mettendomi le mani tra i capelli, dopo averle spiegato tutto ciò che era successo quella mattina. Lei mi squadra, incatena i suoi occhi ai miei, mi guarda in modo così fisso che devo abbassare lo sguardo. Lancio un’occhiata agli altri clienti del bar in cui siamo, guardo tutta la gente che c’è seduta ai vari tavolini di plastica scura.
"Ami Roderich?" mi domanda di botto continuando a fissarmi, dopo aver lasciato passare qualche istante di silenzio. La sua domanda mi lascia un po’ incredula.
"Naturale che lo amo!" ribatto con la voce un po’ più acuta. Quando mi rendo conto che forse ho, come dire… urlato, e che ci sono alcune persone che si sono girate a guardarci, abbasso il tono di voce e prendo quasi a sussurrare. Basta il vestito simile a quello di una bambola di Natalia ad attirare l’attenzione, non devo certo farmi notare anch’io. "Mi sembra il minimo; è il mio ragazzo, dopotutto".
"Non c’entra che sia il tuo ragazzo o meno. Tu lo ami?" chiede scandendo bene parola per parola, indurendo lo sguardo.
"Si", rispondo decisa, stavolta guardandola negli occhi, determinata e senza un briciolo di esitazione.
"E allora di che ti preoccupi?" domanda con tranquillità, come se stessimo discutendo di cose stupide, come cosa ordinare. Si rilassa sulla sedia, chiudendo gli occhi per un istante.
"Natalia… Non so se hai ben capito", ribatto, seccata, tendendomi verso di lei, "Ho sognato me e Gilbert in atteggiamenti che vanno oltre l’amicizia, Natalia. Un po’ troppo oltre". Lei piega la testa, come a dire 'e quindi?' "Natalia, Gilbert è il mio ex", affermo.
"Questo lo so anche io. E..?" dichiara leggermente offesa raddrizzando la schiena.
"E quindi non è normale che sogni il tempo in cui ero innamorata di Gilbert!" mi trovo quasi a urlare, con un tono isterico.
Nel bar ripiomba il silenzio. Ora ci stanno fissando tutti. Davvero tutti. Perfino il ragazzo al banco ha smesso di chiacchierare con il cameriere e entrambi ci stanno squadrando, uno con leggero sospetto e l’altro più divertito.
Uccidetemi.
Vi prego, fatemi sprofondare.
Dio, manda un fulmine e inceneriscimi seduta stante.
Arrossendo cerco di rimpicciolirmi sulla sedia con l’intento di scomparire, di diventare invisibile. Natalia invece si passa tranquilla una mano tra i capelli biondi, non curandosi neanche degli sguardi della gente. Come fa di solito, del resto. Di certo una ragazza che va in giro senza trucco (non che la cosa sia negativa, anzi), bianca come uno spettro, vestita come una bambola di porcellana, con tanto di fiocco, dimostra una considerazione del mondo che la circonda pari a… zero. "Hai capito adesso, perché non va bene?" sussurro. Gli sguardi presto si allontanano da noi, anche se qualcuno continua a lanciarci rapide occhiate.
"Era solo un sogno. Un ricordo. Se sei sicura dei tuoi sentimenti per Roderich, non devi preoccuparti", afferma. Cinica, concisa, fredda tranne in rare occasioni, questa è Natalia. Rifletto sulle sue parole. Dopotutto, devo ammettere con me stessa che ha ragione. Quello era solo un ricordo, un’immagine del passato. Io amo Roderich, ne sono sicura. In un certo senso, non potrei non amarlo. Roderich è ottimo come ragazzo, come cavaliere, come compagno, come qualsiasi cosa.
È sensibile, Roderich. Ha un animo delicato come quello di una giovane, eppure ha la durezza di un uomo. A parole, è difficile da spiegare… è assolutamente incredibile. Rispettoso, gentile, educato. Intelligente. Un vero artista.
E soprattutto… mi ama.
Qualsiasi ragazza che non abbia ancora trovato l’amore mi invidia. 'Stai con un uomo che è perfetto' squittiscono tutte. No che non è perfetto. Nessuno è perfetto, vorrei dire loro, e nemmeno Rod lo è, ma è per questo che è così meraviglioso. Però cosa vuoi che capiscano, loro?
Non conoscono nessuno del milione dei piccoli difetti di Roderich. Il suo sguardo disorientato la mattina, la sua scortesia quando è stanco, il suo sadismo quando decide di fare uno dei suoi giochetti, e, il peggiore, la maschera che porta con tutto il mondo, sono solo parte di tutte le imperfezioni che ci sono in lui. Ma amo ogni cosa davvero, ogni cosa, ed è tutto ciò che conta.
Ma Gilbert… Gilbert, cos’era?
Lo amavo, è vero. Siamo stati insieme per quasi un anno, dopo praticamente una vita di amicizia. Fratelli, compagni, amanti, siamo stati tutto ciò che c’era da essere. E poi… E poi è sparito.
Un giorno semplicemente, se n’è andato. Tutt’un tratto, un giorno, mi sono svegliata e lui non c’era. Il suo posto nel letto era vuoto, i suoi vestiti nell’armadio spariti, ogni cosa che apparteneva a lui… come dissolta nel nulla. C’era solo un biglietto, lì, sul tavolo della nostra cucina. 'Ich werde zurückkommen', diceva. Tornerò. Questo era tutto ciò che mi aveva lasciato… ma ora non avevo voglia di pensarci. Questo non era il momento di riportare a galla quegli orribili ricordi.
"Il conto", mi riscuote dai miei pensieri il cameriere. Prima che possa anche solo mettere una mano al portafogli però, Natalia ha già pagato. Il numero di denaro è giusto, non c’è bisogno di un resto. La ragazza si alza in silenzio e senza l’ombra di un sorriso. A quel punto si gira e se ne va, con l’eleganza di una ballerina ma il rigore di un militare. Mi giro velocemente verso il ragazzo che la sta guardando perplesso e anche un tantino seccato, e gli sorrido con tono di scuse, come per dirgli 'è fatta così'. Già, Natalia è così. Natalia non ringrazia, Natalia non si scusa. Non saluta quando arriva e nemmeno quando se ne va, Natalia è semplicemente Natalia, impossibile da descrivere. Faccio una corsetta per raggiungerla, perché con il passo rapido che ha ormai si è già allontanata, e comincio a camminare al suo fianco. Non parla, sta in silenzio, ma di scatto.. mi prende per mano, e me la stringe. In questo momento, semplicemente con la mano, mi sta trasmettendo un milione di messaggi. Mi dice che andrà tutto bene, mi dice che non c'è da preoccuparsi, mi dice che lei mi è vicina e lo sarà sempre. La nostra amicizia è fatta di gesti, non di parole, ed è per questo che è così vera.
Sì, ho deciso, Natalia ha ragione.
Non mi devo preoccupare, quel sogno, quel ricordo, è stato solo un prodotto della mia mente.
E tale rimarrà.

** Angolino di Moon**
Salve a tutti! Si, lo so che ho altre decine (beh oddio, decine no xD) di fic da portare avanti, ma questa si è praticamente scritta da sola xD Prende spunto da una canzone che si chiama "Way I Loved You", come il titolo della fic, ed è di Taylor Swift, che trovo, come dire, perfetta per Ungheria. L'avevo cominciata come Prungary, poi ho scritto la parte di Austria e mi dispiaceva che alla fine vincesse Prussia, e quindi ho deciso che...
No, non è vero, non ho deciso come andrà a finire xD Ma prima o poi la risposta verrà al mio cuore ò.ò *sguardo verso il tramonto*
Spero vi interessi come primo capitolo, spero di aver reso decentemente i personaggi, spero un sacco di cose xD Spero che non faccia schifo come cosa, insomma u.u Vi prego fatemi sapere cosa ne pensate ç.ç
Grazie a tutti voi che avete letto :D
Alla prossima, nyah!
A proposito, ho ufficialmente nominato Austria il mio Gary Stu xD

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Capitolo 2
*** Violenza e Dolcezza. ***


Grazie a tutti voi che avete recensito e letto e messo nei preferiti/seguiti/ricordati, grazie mille *-* Ve lo dico adesso, perché dopo sarò troppo depressa per farlo xD Oh, quanto mi vergogno.

- Allora io esco, Eliza. – mi comunica Roderich sorridendo, con una mano appoggiata alla maniglia della porta. Annuisco sorridendo di rimando, alzando lo sguardo dal libro che tengo poggiato in grembo.
- A dopo, amore -
Mi rivolge un ultimo sguardo prima di scomparire oltre l’uscio. Chiudo gli occhi, sospiro.
- Ora spiegami che cazzo ci fai qui - affermo duramente, apparentemente rivolgendomi al vuoto, guardando fisso davanti a me. Il tono della mia voce è tinto d’odio, e non faccio nulla per celarlo. Dalla cucina, richiamato dalla mia voce, esce una figura.
Alto poco più di me, piuttosto muscoloso. Ha il busto avvolto da una semplice camicia bianca e le gambe fasciate da stretti –e costosi- jeans neri. Con una mano diafana si scompiglia i capelli biondissimi, quasi bianchi, mentre inchioda quegli occhi di fuoco nei miei.
- Piccola, è così che si saluta una persona amata? – domanda con voce spaccona –eppure, devo ammetterlo, terribilmente seducente- avvicinandosi a me. Mi alzo di scatto, con lo sguardo acceso da un ardore gelido ed assassino. Modero i movimenti, cercando di trasmettergli tutto ciò che provo solo tramite gli occhi e la voce.
- Non osare rivolgerti a me con quello schifo di tono. E soprattutto, chiamami di nuovo piccola - calco la parola con sprezzante disgusto - e ti stendo. – Pianto gli occhi nei suoi, e non abbasso lo sguardo neanche quando , sbruffone, si avvicina tanto a me da costringermi ad alzare di poco il viso.
- È una minaccia o una promessa, piccola? – domanda retoricamente, poggiandomi una mano sul fianco. Le sue labbra stanno per toccare le mie, ma la mia mano è più veloce. È un gesto istintivo, automatico, e decisamente liberatorio. In un istante ho concentrato tutta la mia rabbia, il mio disprezzo, la mia frustrazione sulla superficie delle dita, con un solo obiettivo: fargli del male. E a quanto pare, ci sono riuscita. Lo schiaffo è stato così forte che lo schiocco è risuonato nella quiete del tardo pomeriggio. Con la mano con cui prima mi stringeva, ora Gilbert, incredulo, si sta sfiorando debolmente la pelle della guancia, dove spicca sul bianco innaturale una zona rossa, che ricorda vagamente la forma della mia mano. Glibert cerca di nascondere il dolore sfoderando il solito sorriso prepotente ma, prima che possa parlare, lo anticipo con lo stesso timbro acido. Voglio fargli capire, in maniera chiara e concisa, tutto il mio disprezzo nei suoi confronti.
- Sparisci da casa mia, Gilbert. O la prossima volta non ci andrò così piano. –
Sembra annuire, allontanandosi da me, diretto verso la porta d’ingresso. Mi rivolge un ultimo sguardo bruciante di decisione, con un ghigno di sfida. – Tornerò. Tornerò, piccola, tutti i giorni. Mi presenterò non appena quello - sottolinea la parola con ribrezzo – se ne andrà. E ti farò di nuovo mia. È una promessa, Liz. – conclude con forza, gli occhi che gli brillano di determinazione tanto potente da essere spaventosa. Poi scompare oltre la porta, portandosi via tutto il calore che si era creato nella stanza, che fino a pochi istanti prima sembrava bollente. No so se abbia udito o meno il “Vattene” che gli avevo lanciato, con un sibilo.
Se prima avevo sperato che con il mio rifiuto questa storia si sarebbe conclusa, ora capisco che mi sbagliavo.
Questo era stato l’inizio.

D’improvviso, la temperatura della stanza sembra calare drasticamente. Tento di calmarmi, mentre mi rendo conto che sto ansimando. Mi abbandono sul divano, guardandomi sbigottita le mani. Da quanto tempo non prendevo a schiaffi qualcuno? L’ultima volta era stata… sì, con lui. Sento il sangue ribollire, pompato dal cuore con ritmo accelerato.
L’adrenalina mi scorre nelle vene.
Mi sento… viva.
Mi accorgo con sconcerto che questa sensazione mi era mancata: la rabbia, la violenza, la… forza, viva e primitiva, quasi animale. Tutte cose che se n’erano andate insieme a Gilbert e che erano state sostituite prima dal disorientamento e dal dolore che, amaro, sapeva di delusione, e poi dalla gioia, dalla tranquillità della vita con Roderich. Mentre cerco di calmarmi, non riesco a non pensare che, dannazione, la sensazione è meravigliosa. Una risata mi sale spontanea sulle labbra, e prorompe con decisione. Sentire il tono rozzo, così alieno eppure così familiare, della mia stessa voce rauca, eppure acuta, mi sconvolge. Riporta alla mente ricordi della vita, delle lotte con Gilbert, quando la potenza delle emozioni era puro istinto pulsante. Mi guardo nuovamente la mano. Ho voglia di spaccare qualcosa. Calmati Eliza, calmati, ordino a me stessa cercando di riportare la respirazione a un ritmo più normale. Per tranquillizzarmi, cerco di fare mente locale sugli avvenimenti appena accaduti, per analizzarli con lucidità.

Stavo leggendo, seduta sul divano, mentre Roderich, di sopra, si faceva la doccia. Era una giornata come mille altre, che si susseguivano cullandomi nella dolcezza –noia?- della routine. Il campanello era suonato e, tranquilla, mi sono alzata per andare a vedere chi fosse. Appena avevo aperto, avevo sbattuto le palpebre varie volte.
Poi avevo lanciato un urlo.
No. Non poteva essere.
Era… impossibile. Inconcepibile. Lui… se n’era andato. Mi aveva lasciato sola, a me stessa, senza dirmi una parola. Era sparito senza curarsi minimamente di avvisare, di spiegare, di pensare che avrei sofferto, delusa, disperata, abbandonata. Lui era morto, per quanto mi riguardava.
Eppure lui era lì, vivo, concreto, in carne ed ossa. Potevo toccarlo, potevo sentirlo, come una volta. Era lui, non uno di quei fantasmi che avevano popolato i miei ricordi, i miei incubi, quei fantasmi che avevano tormentato il mio sguardo fino all’arrivo di Roderich. Era lui. Lui con il suo sorriso beffardo, lui con la sua pelle splendente, lui con i suoi occhi brucianti. Avrei voluto tendere la mano solo per sapere se fosse… reale.
Gilbert aveva approfittato del mio attimo di smarrimento per entrare in casa. Si era lasciato cadere mollemente sul divano e aveva accavallato le gambe, e da quella posizione mi fissava, con la solita aria da spaccone, come attendendo chissà cosa. Che gli saltassi al collo, forse?
In quel momento il getto d’acqua che si udiva dal piano superiore si era arrestato. Spaventata, senza dire una parola, avevo afferrato il tedesco per un braccio e lo avevo praticamente lanciato dall’altra parte della stanza, in cucina, facendogli segno di stare zitto. In quell’istante, infatti, era sceso di corsa Roderich, trafelato, con la pelle ancora umida per la doccia. Era a petto nudo, vestito solo di un paio di boxer, con i capelli bagnati, gli occhi lucidi coperti da piccole ciocche ribelli e… bellissimo. Arrossisco se ripenso all’immagine di lui, a dir poco stupendo. Mi si era avvicinato, con sguardo preoccupato.
- Tesoro, va tutto bene? – mi aveva domandato, poggiandomi con delicatezza le mani sulle spalle.
- Si, perché? – avevo chiesto in risposta, con un sorriso e un tono falsamente innocente. La mia concentrazione oscillava tra il ragazzo -bastardo- che era in cucina ed il petto di Roderich, da cui non riuscivo a staccare gli occhi.
- Ho sentito il campanello e poco dopo hai urlato, pensavo fosse un maniaco o chissà che! – aveva esclamato. Eccolo, il mio Roderich. Dolce, a tratti isterico, severo, come un genitore. La tensione che provavo si era leggermente sciolta, sostituita da gratitudine tinta con una punta di compiacimento: Rod si preoccupava per me, e non perdeva occasione di dimostrarmelo. Ogni fibra del mio animo si sentiva amata, coccolata, curata quando ero con lui; e questo mi permetteva di perdonargli anche quelle volte in cui si agitava, e diventava isterico. Avevo alzato lo sguardo, puntandolo nei suoi occhi e gli avevo sorriso in maniera più dolce, per tranquillizzarlo.
- Ah, no, era solo Feliciano. È piombato qui, mi ha chiesto se confermavo che saremmo andati alla festa e poi se n’è andato con la stessa fretta con cui era arrivato. Mentre tornavo a sedermi sono inciampata, tutto qui. Sei troppo apprensivo, Rod. – avevo affermato, accarezzandogli la guancia con tenerezza. Non l’avevo fatto per ripicca contro quel tipo –lo stronzo-, i cui occhi ci erano puntati addosso –l’avevo notato con la coda dell’occhio. L’avevo fatto con il moto istintivo con cui una madre accarezza il piccolo, spaventato perché l’ha persa di vista al parco giochi. L’avevo fatto perché volevo vedere Roderich calmo. L’avevo fatto perché lo amo.
- Già, me lo dici sempre. Scusami, Liz – aveva ammesso, imbarazzato. Poi non so cosa sia scattato. Sarà stato il fatto che mi aveva chiamato come faceva il mio ex –quel verme-, sarà stato che ero sconvolta, sarà stato che… sì, volevo vendicarmi, e lo ammetto con una punta di vergogna.
Avevo baciato Roderich.
E l’avevo baciato come poche volte avevo fatto: con forza, con ardore, con… passione travolgente. Mi ero avvinghiata a lui, che immediatamente aveva reagito; non cercando di trattenermi, come faceva di solito, ma anzi mettendoci ancora più slancio e trasporto. Le sue mani da pianista si erano insinuate sotto la mia maglietta, le dita ghiacciate che accarezzavano bramose la mia pelle bollente, sotto i vestiti. Che diamine mi stesse passando per la testa, o cosa cavolo stessi combinando non lo so. Volevo vendetta e volevo Roderich, e i due desideri egoistici potevano combaciare perfettamente. Quando Rod aveva cominciato a spingermi verso il divano, avevo sentito un gemito strozzato provenire dalla cucina, e mi ero accorta che stavo, stavamo, esagerando.
- Mmmh… Aspetta, Rod – avevo mormorato tra un bacio e l’altro –Così arriverai tardi…-
Roderich, scendendo a baciarmi il collo, aveva lanciato un’occhiata all’orologio della stanza, e si era ritratto di scatto. – Dannazione, è vero! Scusami amore, corro a cambiarmi! Ne riparliamo stasera… - aveva poi detto, con un sorriso accattivante. Il comportamento del mio ragazzo era così strano che per un attimo avevo pensato che avesse bevuto. L’avevo osservato mentre di corsa aveva salito le scale e poi mi ero girata verso la cucina, dove stava Gilbert. Era sulla porta, e mi fissava, con i piedi ben piantati a terra. I suoi occhi erano come un’unica vampa, il suo volto una maschera di rabbia, di amarezza. Stringeva le mani pallide a pugno con così tanta forza da essergli diventate livide; avevo l’impressione che se ci avesse messo poca più forza, avrebbero cominciato a sanguinare. Stava per muoversi verso di me, ma l’avevo bloccato con un gesto della mano, ordinando con un filo di voce di restare immobile, finchè Roderich non se ne fosse andato.

Perché l’avevo fatto? Perché non avevo gridato, non l’avevo cacciato subito di casa, perché non avevo informato Roderich? Avevo trattato Gilbert come fosse.. un amante segreto, o qualcosa di simile.
Un attimo.
Con calma.
Del senso di colpa potrò occuparmi dopo, ora ho l’adrenalina da sedare. È ancora lì, la sento sottopelle, come una fiamma che scotta senza ustionare. Lo shock, invece, sembra essere già sparito –o forse deve ancora arrivare? Non mi rendo ancora pienamente conto di ciò che è successo, sembra tutto così irreale. Gilbert, qui? Se ci ripenso, fatico a crederci. Però… c’è; la mia mano leggermente rossa e ancora pulsante ne è la prova. Da quanto tempo non sentivo la sua voce? Quel timbro roco, quasi gracchiante, dannatamente sensua-
No.
Il senso di colpa comincia a crescere, ad arrampicarsi sul mio cuore come fosse edera. Avevo mentito al mio ragazzo, l’avevo usato per vendetta personale, e questo era tutt’altro che corretto, nei suoi confronti. Lui, sempre gentile, cortese, elegante; lui che mi tratta come se fossi il suo gioiello più prezioso, lui che mi culla nella stretta della sicurezza che mi dona ogni giorno. E io l’avevo ricambiato in questo modo. Scusami, Roderich.
Mi alzo di scatto, quasi con un salto –si, i miei muscoli sono ancora reattivi. Il mio corpo brama movimento, azione; ho un disperato bisogno di fare qualcosa.
Birra.
Ho bisogno di birra.
Entro in cucina guardandomi intorno –ho quasi la sensazione che Gilbert possa arrivare di colpo Spalanco di scatto il frigorifero, osservando le bottiglie impilate ordinatamente una accanto all’altra. Adocchio le lattine: non sono moltissime, ma pazienza, mi accontenterò. Non ho intenzione di ubriacarmi, d’altronde. Afferro la prima, stappandola con violenza e buttandone giù metà con un solo sorso. Mi lascio scivolare a terra, con la schiena appoggiata alla porta del frigo.
È come se con l’arrivo di Gilbert si fosse risvegliato l’istinto animale che, da quando se n’era andato, mi ero costretta ad addormentare. La sua comparsa aveva alimentato quella scintilla che riposava sotto le ceneri di un fuoco che, nei momenti passati, era stato tanto potente da risultare un incendio. Lentamente, soprattutto dopo aver conosciuto Roderich, avevo cominciato a scoprire un lato del mio stesso carattere che precedentemente mi era sconosciuto, o forse avevo solo dimenticato: con Gilbert la vita era come una perenne adolescenza, fatta di caos, grida, lotte, risate a squarciagola. Con Rod, invece, sono come tornata bambina. Sentirsi protetta, sicura, inglobata dalla dolcezza di cui mi circonda ogni giorno mi fa sentire senza pensieri, mi regala una leggerezza che avevo perso. Mi ha restituito l’ordine, la limpidezza di sentimenti lucenti perché puri. Roderich mi vuole bene non per come sono o ciò che faccio; mi ama perché, semplicemente, sono io. Perché esisto e sono al suo fianco. Se gli facessi del male, se lo tradissi, se cambiassi, se fossi la persona più orribile in tutta Berlino, continuerebbe ad amarmi, con una devozione rasente all’adorazione. Con lui mi sento… bene.
Però, Gilbert…
Nella mia mente cominciano a scorrere le immagini di notte passate nei bar, a ridere come gli stupidi, ubriacarci, fare cose stupide…

- Na, Liz, secondo il mio magnifico intuito che non sbaglia mai non riesci a reggere più birra di me. Scommettiamo. – Gilbert è perfettamente cosciente che vincerà anche questa volta, ma sa che non potrei rifiutare una sfida nemmeno sotto minaccia.
- Accetto, razza di pallone gonfiato, io dico che crolli prima di me. Se vinci tu, ti meriti un premio; se vinco io, ti conviene avere paura… - propongo con tono malizioso.
- Che tipo di premio dovrei vincere, sentiamo? – mi canzona, avvicinandosi e fissandomi dritto negli occhi. Sento la temperatura della stanza aumentare.
- Questo ti auguro di scoprirlo da solo, caro. – le mie labbra si distendono in un ghigno, mentre lo allontano da me con una spinta leggera ma secca.
I suoi occhi si accendono all’improvviso. Se c’è qualcosa che lo fa impazzire, è l’essere respinto - Ci sto, dolcezza – alita, facendomi l’occhiolino. Diamine, Gilbert è così sexy che posso solo reprimere l’istinto di saltargli addosso ogni volta che lo guardo, ogni volta che sorride. Quel ragazzo è così dannatamente
lui da farmi impazzire. È chimica, elettricità.
Appena il barista ci porta i boccali, afferro il mio con un gesto secco. Io e Gilbert ci lanciamo uno sguardo lungo ed intenso.
- Brindiamo alla mia stupenda vittoria! Ahah! – esclama. Lo guardo con aria di falsa sufficienza, sbuffando con un sorriso; poi mormoro un “via” secco, e insieme buttiamo giù il primo, lungo sorso.
La birra ha come unico effetto quello di risvegliare ancor più i miei sensi. Ci lanciamo occhiate dopo ogni istante per controllare il reciproco livello di ubriacatura, ma non solo: entrambi sappiamo che l’altro, da sbronzo, è la visione più bella del mondo –oltre quando siamo a letto, s’intende. Perfetti perché disinibiti, senza freni, nonostante conserviamo comunque un minimo di lucidità. Dopo il sesto boccale, mi lecco le labbra.
Comunque vada, questa notte ci sarà da divertirsi.

Rido a ripensare a quei momenti. Mi passo una mano tra i capelli, mentre le immagini dei ricordi, come in un film, continuano a scorrere; e io non posso fare altro che esserne spettatrice. E c’era l’uscire dal bar ubriachi fradici –o, per lo meno, io lo ero-, rendendoci ridicoli mentre cerchiamo di sorreggerci l’un l’altro; c’era l’incontrare la solita banda di teppisti con cui, inevitabilmente, scoppiava una rissa. C’era tornare a casa miracolosamente, con qualche livido al massimo e, senza sapere esattamente come, trovarci catapultati sul letto, un corpo sull’altro, ad ansimare…

- Ahah, Liz, mi sa che come sempre questa scommessa l’ha vinta il perfetto me! Del resto, cosa ci si poteva aspettare di meno, da un essere divino e a dir poco magnifico come me?! Ahah! – esclama Gilbert, portandomi oltre la soglia di casa in braccio, per gioco. Contrariata, comincio a divincolarmi dalla sua stretta.
- Mettimi giù – gracchio, con la voce impastata dall’alcool. Diamine, devo smetterla di accettare le sue scommesse. Maledetto spirito di competizione. Ride ancora una volta, adagiandomi con delicatezza sul divano; poi si abbandona al mio fianco, poggiandomi mollemente il braccio sulle spalle.
- Alcool e risse; cosa c’è di meglio? – sospira, con l’alito che sa di birra. I suoi occhi si illuminano, mentre dice– Lo sai cosa c’è, di meglio? Alcool, risse, e una notte di sesso. – Io m alzo di scatto, barcollante per la poca lucidità, prima che possa avventarsi con le labbra contro il mio collo.
- Sai cosa c’è di ancora migliore? Il tuo premio – affermo. Gilbert, già stupito dal mio movimento fulmineo, sobbalza quando con violenza pianto il tacco a spillo nella porzione di divano che si trova tra le sue gambe aperte, pericolosamente vicino alla zona dell’inguine. Fissa con gli occhi sgranati il mio stivale che, come ha appena scoperto, può diventare un’arma piuttosto pericolosa; poi fa scorrere lo sguardo lungo il mio corpo, risalendo lungo la gamba scoperta, osservando la gonna stretta e la maglietta larga; per poi lambire con la vista il collo, il mento, le labbra; fino ad arrivare ai miei occhi, che brillano con una sicurezza intrisa di malizia che può essere conferita solo dall’alcool. Di colpo recupera tutta la fermezza e la baldanza che sembrava gli fossero state risucchiate dallo shock precedente: lui è Gilbert Beilschmidt, e non si lascia mettere
sotto da nessuno.
A meno che la cosa non gli risulti
vantaggiosa .
Se sta buono e fermo, e mi guarda semplicemente a braccia incrociate con aria di sfida, è solo perché sa che ciò che sta per succedergli è qualcosa di molto interessante. Non ha idea di cosa sia; non gliene ho mai dato indizio, e del resto è un’idea che è balenata nella mia mente poco lucida circa… adesso. Ma non ho tempo per pensare alla prossima mossa: devo agire d’istinto, o rischio di pentirmi di ciò che sto per fare.
Con lentezza esasperante, facendo ondeggiare i fianchi, mi giro e mi dirigo in cucina. Controllo che non mi abbia seguito, e da un cassetto tiro fuori un tovagliolo di stoffa, di quelli grandi, di cotone. Al mio ritorno, Gilbert è ancora lì seduto, e mi guarda, aspettando. Afferro la sedia poggiata vicino al divano e la sposto davanti a me. Siediti, gli faccio cenno. Lui ubbidisce con un certo compiacimento. Facendo scivolare il tessuto sulla sua pelle lo bendo; vedo il suo sorriso tendersi con sempre crescente eccitazione. Chi resisterà più, a questo gioco? Chi riuscirà a gestire l'eccitazione, a mantenere l'equilibrio interiore più a lungo? Di certo è, che non lo lascerò vincere, non questa volta. Gilbert non può vedermi, ma può sentirmi; mi percepisce mentre mi muovo attorno a lui e naturalmente mi accorge quando mi siedo sulle sue gambe. Tendo una gamba verso l’alto e gli prendo una mano, bianca e bollente; la faccio scorrere prima lungo la mia pelle scoperta fino al bordo dello stivale. Con le sue dita trascino la zip verso il basso, per poi calciare via la calzatura. Mentre Gilbert acquista sicurezza, procedendo allo stesso modo con l’altra gamba, sento i suoi nervi tendersi, le sue vene pulsare; la sua pelle diventa sempre più lucida, e sempre più rovente.
Mi alzo di scatto, trascinandolo con me senza lasciargli la mano. Gilbert si lecca le labbra, poi ghigna scoprendo i canini affilati. È deciso a non perdere, cerca di tenere la situazione all’interno di sé con abbastanza equilibrio. Ma non ci riuscirà.
Elizaveta Héderváry vuole
vincere, e questa volta nulla la fermerà.
Mi avvinghio a lui mentre con lentezza faccio scorrere la sua mano sotto la mia maglietta. Appena capisce ciò che ho intenzione di fare fa salire anche l’altra mano e, con entrambe, comincia a slacciare il gancio del reggiseno che con grazia cade a terra. Nel frattempo io, che gli lascio fare il suo lavoro, con le mani gli sfioro le labbra, che si dischiudono. Prima che possano richiudersi sulle mie dita le allontano di scatto, con un sorriso che so non può vedere. Sento le sue mani fremere, per un istante. Allontano con un gesto secco del piede l’intimo che mi ha appena tolto. Gli poggio con apparente delicatezza le mani sulle spalle, ma lo spingo con forza per terra, in ginocchio davanti a me.
- Togliti la benda, Glibert – sussurro con fierezza, ammirandolo dall’alto. In ginocchio davanti a me, remissivo solo perché non vuole perdere, con le guance rosse in contrasto con la pelle diafana, il petto che si alza e si abbassa con affanno, le braccia tese lungo i fianchi con i pugni chiusi, stretti nella concentrazione di non cedere all’istinto; le labbra umide piegate nel solito, bellissimo sorriso strafottente. Con le mani febbricitanti, nervose, che bramano la mia pelle, si strappa la benda, guardando dritto davanti a sé.
In quell’esatto istante, da sotto la gonna, spezzo con un suono secco l’elastico degli slip, che scivolano con leggerezza al suolo. Ghigno.
Gilbert fissa le mie gambe con occhi sgranati.
Un colpo violento.
In un attimo mi trovo stesa a terra, con la testa dolorante. Lui è a carponi sopra di me e sta avanzando , verso le mie labbra. Dopo lo stordimento iniziale, sorrido.
- Questa volta ho vinto io – dichiaro.
Ma vengo zittita da un bacio.

Rido ancora.
Ah, quella si che era stata una notte divertente. Gilbert aveva vinto la scommessa; ma io avevo vinto la battaglia. Con uno slancio mi alzo, e afferro le lattine che ormai giacciono tutte a terra, vuote. Le butto nel cestino, passandomi una mano sul viso; la confusione non se n’è andata, nemmeno l’adrenalina; anzi, sono più pulsanti che mai. Sospiro, mentre mi avvio alla camera da letto.
Aspetterò Rod.

**Angolino di Moon**
Quanto mi vergogno. Oh, quanto mi vergogno.
*Moon va via, si mette in un angolino, e comincia a dondolare come un’idiota depressa emo*

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Capitolo 3
*** Danza e Lotta. ***


Ed eccomi qui, finalmente tornata con il nuovo capitolo! Siete felici, vero? °W°
No, no, non fatemi del male! T^T
Come al solito chiedo scusa per l'immenso ritardo nel postare il capitolo, ma la benedetta ispirazione ha deciso come al solito di abbandonarmi. Non devo starle tanto simpatica, alla figliola. Beh, vi lascio al capitolo allora!

Un avvertimento: il seguente capitolo è a temporaneo rating ROSSO, causa scena di sesso (anche se è praticamente implicito considero "quanto" l'ho descritto *sarcasmo pesante*, ma voglio stare tranquilla xD) all'inizio, e tentativo di violenza alla fine. Ma non vi dico altro, non voglio rovinare la sorpresa a quelli che leggeranno!
Per chi non volesse leggere, farò un riassunto del capitolo prima del prossimo capitolo.
Ah, un'altra cosa! Come soundtrack per la prima parte del capitolo ho immaginato Grief and Sorrow, che è una delle Theme song di Naruto u.u ascoltatela v.v
Buona lettura! 

<- Sono tornato, amore. –
Mi giro verso la porta, con calma, appoggiando il libro che stavo leggendo –o meglio, provando a leggere per liberare la mente dalla confusione- sul comodino.
La maniglia ruota su se stessa e, con una lentezza quasi esasperante, Roderich fa la sua apparizione; splendido come sempre, in un bagliore che accarezza, senza accecare.
- Bentornato – gli sussurro con un sorriso, quasi a non voler spezzare la quiete della notte. Si siede un istante sul letto, per sporgersi verso di me e sfiorarmi con delicatezza la guancia. Mi beo di quel contatto, che sa di intimità placida, di casa, e piego la testa quasi come un gatto che fa le fusa, per farsi accarezzare.
- Mi hai aspettato alzata. Grazie. –
- Naturalmente. – gli rispondo, sorridendo di nuovo. Anche se avessi voluto, non sarei riuscita a dormire; ho troppi pensieri, troppi dubbi, troppe domande senza risposta per la testa. Ho bisogno di lui, per trovare la pace. Ho bisogno dei suoi sussurri, delle sue dita da pianista che accarezzino il mio cuore tormentato, del suo odore che prenda possesso dell’aria, e assorba quello di birra, di lotta, di tradimento che solo io riesco a sentire.
Roderich spegne la luce e si stende accanto a me, poggiando la bocca sulla mia in un tenero bacio. Le mani di pianista scorrono sul mio corpo, le labbra umide si appropriano del mio viso, del mio collo, del mio petto lasciato libero dai bottoni della camicia da notte. Le mie mani passano dai suoi capelli alla sua camicia, sbottonandola con più velocità, ma con una certa grazia che ormai mi viene naturale.
Con un ultimo bacio ad occhi chiusi, quasi sotto tacito accordo, ci tiriamo a sedere e mentre lui si libera degli ultimi indumenti, io mi sfilo di dosso la camicia da notte, adagiandola al mio fianco.
Occhi contro occhi, bagnati dalla luce della luna, io e Roderich ci amiamo con passione ma delicatezza, senza farci prendere da smanie feroci; quasi fossimo due vecchi coniugi stretti l’un l’altro, che si accarezzano con affetto le mani rovinate dal tempo.
Questo è l’elemento speciale del rapporto tra me e Roderich: l’equilibrio. Il nostro amarci è una danza improvvisata ma rigorosa, con ritmi mai sbagliati; agiamo in una perfetta sincronia di corpi intrecciati, avvicinandoci e allontanandoci, prendendoci e lasciandoci, senza mai interrompere il nostro spettacolo. Non è un alternarsi di dominio uno sull’altra, non è un gioco; si tratta di un continuo ondeggiare, sempre insieme, sempre eleganti, sempre perfetti.  Roderich entra in me senza farmi del male, con grazia e delicatezza. C’è superbia in quegli occhi in cui si riflette la luna, perché il mio corpo diventa un pianoforte malleabile nelle sue mani, e i miei gemiti sono la sua musica, e i nostri nomi gridati nell’apice del piacere sono l’ultima nota che resta vibrante nell’aria in attesa degli applausi, i respiri deboli mentre aspettiamo che i nostri corpi tornino in forze.
Roderich mi prende la mano e con delicatezza se la porta alle labbra, baciandomene il dorso con una regalità che mi meraviglia ogni volta.
Ricordo benissimo la prima volta che l’aveva fatto; io ero ancora disorientata, confusa, delusa per l'abbandono di Gilbert, e stavo cercando di ricompormi il cuore. Volevo rieducarmi all'amore, abbandonarmi ad esso e galleggiarvi; ero stanca di tenerlo distante, stanca di tenermi in piedi e non cadere. Roderich, senza mai dirmelo davvero, si era offerto di insegnarmi di nuovo ad amare, e io avevo afferrato la sua mano come ancora di salvezza.
Così avevamo fatto l'amore per la prima volta, lui che guidava i miei passi come una bambina, e io che non mi ricordavo più da dove cominciare.
Alla fine, lui mi aveva preso la mano con dolcezza e me l'aveva baciata, con un sorriso gentile e rispettoso, come ora; ero arrossita all'istante nel buio, imbarazzata quasi da quel gesto così... Elegante, gentile, puro, poetico; non trovo modo di definirlo. Ero lusingata, come un'adolescente che riceve una poesia d'amore, come una dama ottocentesca invitata a ballare. È stato in quel momento, che mi sono innamorata di lui.
Quando dopo gli avevo chiesto il perché di quel gesto, mi aveva risposto con un sorriso gentile: "è così che si saluta la propria compagna di danza, dopo un ballo". Forse aveva capito che quel gesto mi aveva riempito di una gioia cristallina, per questo lo fece diventare una consuetudine che è rimasta fino a oggi.  
 
Si adagia accanto a me, cercando con una mano la mia; la stringe, la accarezza, e io poggio la testa sul suo petto. Mi posa un bacio candido nei capelli, prima di esalare un docile "buona notte" ed addormentarsi, ed io resto lì, cullata dal suo respiro, tornando a essere la bambina che stava imparando di nuovo ad amare.
 
 
 
Apro gli occhi lentamente, beandomi del calore dei raggi solari sulla pelle.
- Ben sveglia –.
Un sussurro, un bacio sui capelli. Alzo il viso, cercando ancora annebbiata dal sonno le labbra di Rod. – Buongiorno – mugugno, chiudendo di nuovo gli occhi.
- Cosa ne dici, cominciamo la giornata? – afferma divertito, accarezzandomi i capelli. Annuisco, con una certa pesantezza data dalla malavoglia, e lentamente mi tiro a sedere. È in quel momento che mi accorgo che Rod è già vestito e pronto per uscire.
- Vai da qualche parte? – gli chiedo perplessa. Oggi è… sabato, ne sono sicura; non deve andare a lavorare.
- Sì – afferma con aria grave – Lo so che oggi dovrei stare a casa con te, ma sono stato chiamato a Francoforte dal capo. Starò via fino a giovedì. –
Lo dice con una certa freddezza. Ecco un lato del carattere di Roderich a cui non riesco a rassegnarmi: il lavoro viene prima di qualsiasi cosa. Certamente, lo capisco; ma i nostri orari lavorativi sembrano essere fatti apposta per non lasciarci un attimo di tempo insieme, se non la sera a cena, o qualche istante tra un impegno e l’altro.
- Ma… non si può rimandare? Questi sono gli unici due giorni della settimana in cui possiamo stare insieme, e-
- Elizaveta, ne abbiamo già parlato. Il lavoro è lavoro, dovresti saperlo. – Duro, severo, glaciale.
Quasi mi spaventa, la freddezza con cui si rivolge a me tutte le volte che provo ad accennare il suo attaccamento al lavoro; in quei momenti sembra quasi un giudice, che legge ad alta voce e con tono accusatorio tutti i reati commessi dal colpevole prima di dichiarare la sua condanna. Per un istante, sento montare dentro di me la rabbia. Mi sta trattando come una bambina di sei anni! Il lavoro è lavoro? Dovresti saperlo?! Come può parlare così, razza di uomo senza sentimen-
No.
Calma, Eliza. Stiamo parlando di Roderich. Il tuo fidanzato. La persona che te li ha fatti riscoprire, i sentimenti. Dopo tutto quello che ha fatto per te, come puoi non perdonargli questo?
Chiudo la bocca, che avevo aperto per ribattere a tono, con un sospiro.
- Sì. Capisco. – abbasso la testa, e mi giro per prendere la biancheria dall’armadio.
- Eliza. – In un attimo è dietro di me, con le braccia attorno alla mia vita, e le labbra tra i miei capelli. – Scusami. –
 
- Ehi. – Gilbert mi afferra, stringendomi a sé, baciandomi sui capelli. Provo a divincolarmi –senza convinzione- ma non serve a nulla, la sua presa è troppo forte. – Scusami, Liz. Sono stato uno stronzo. –
- Certo che sei stato uno stronzo. Ci hai provato tutta la serata con Miss Guarda Che Belle Gambe Che Ho Sono Aperte Ventiquattro Ore Su Ventiquattro! Gliele spezzo, quelle gambe da fenicottero in calore! – dichiaro, inviperita, agitando un pugno contro il cielo. – E poi hai visto che gonna aveva?! Sembrava più una cintura, tanto era corta! Adesso torno dentro e…e-
- Sei stupenda quando sei gelosa, sai? – sussurra suadente, al mio orecchio. Ma io non sono disposta a cedergli.
- Solo quando sono gelosa? – commento, beffarda.
- No, sempre. –
Mi gira come una bambola, stringendomi al petto con forza, ma anche una certa tenerezza.
- Più di Miss Fenicottero? – mugugno, sospirando contro la sua maglietta.
- Molto, molto di più. – afferma deciso.
- Anche le mie gambe sono più belle delle sue? – domando altezzosa. Gilbert resta in silenzio, tanto a lungo in effetti, che preparo la mano a un eventuale schiaffo in caso ci stia sulseriopensando. Alzo lo sguardo pronta a colpire, quando mi accordo che mi sta fissando in modo maliziosamente… famelico.
Si apre in un ghigno.
- Forse i miei magnifici occhi dovrebbero controllare, non credi? –
Sorrido, stando al suo gioco.
- Non so quanto vadano bene gli occhi, c’è buio… - commento, dipingendomi sul viso la miglior espressione innocente mai fatta. Quanto è divertente stuzzicare Gilbert.
- Allora tu cosa proponi, Liz? -  mi allontana un attimo da sé, scorrendo inequivocabilmente la mano sulla mia schiena –forse un po’ troppo in basso.
- Mmmh, non so… - mi fingo dubbiosa, ma poi gli poggio una mano sul petto. – Scoprilo. – di scatto lo spingo via e prendo a correre in quella strada buia, illuminata a malapena dai lampioni, verso casa.
Gilbert, dietro di me, ride. E parte all’inseguimento.
 
Spalanco gli occhi, stupita. L’immagine di Roderich per un attimo era stata sostituita da quella di Gilbert, in memoria di un simile gesto che non sarebbe potuto avvenire in circostanze più diverse. Cerco di tornare alla realtà, dandomi mentalmente della stupida.
Gilbert è passato, Eliza.
Non tornerà.
L’hai definitivamente cacciato via dalla tua vita.
Cerco di concentrarmi sulle dita di Rod attorno alla mia vita, il suo respiro sui capelli, mentre offro il collo alle sue labbra.
- Non devi scusarti, Rod. Il lavoro è importante, lo so perfettamente. Troveremo altro tempo per stare insieme. Non ti preoccupare. – gli sorrido, girandomi. Con rapidità mi bacia, e poi si allontana da me.
- Sei meravigliosa, Liz. Ci vediamo domani. Ti amo. – afferma con un sorriso, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.
Socchiudo le labbra, ma quel “Ti amo anche io” mi muore in gola.
 
 
 
Accendo la radio, mentre mi dirigo in giardino. Canticchiando afferro le cesoie dal tavolino di plastica bianca che sta appena fuori dalla porta, e comincio a potare le rose che crescono accanto alla staccionata. Mi chino in avanti, beandomi del loro profumo, accarezzando con delicatezza i petali rosso sangue, ad occhi chiusi.
- Na, Liz. –
- Ah! – per la sorpresa mi alzo di scatto, pungendomi con una delle spine. Mi giro di scatto.
Davanti a me, Gilbert.
Ancora?
Mi prende il dito ferito tra le mani, con una delicatezza che non è da lui.
- La mia magnifica persona ti ha colpito così tanto da ferirti? – ride. Con uno scatto secco sposto la mano, lo sguardo glaciale.
- Cosa ci fai tu ancora qui? – sibilo, stringendo le mani a pugno. La sua espressione improvvisamente si fa seria.
- Non scherzavo, quando ho detto che ti avrei fatto di nuovo mia, che sarei venuto tutti i giorni appena quello lì se ne sarebbe andato. –
Lo guardo sprezzante, con un tono di spiccato sarcasmo nella voce. – E a cosa si dovrebbero tutte queste fortemente indesiderate attenzioni, di grazia? –
- Ti amo. –
… Cosa?
No.
Non è possibile.
Spalanco la bocca, per urlargli addosso tutto il mio rancore. Questo-questo bastardo, pezzo di-
Calmarmi. Devo calmarmi. Non si merita la mia rabbia, non si merita le mie grida.
Si merita solo il mio disprezzo.
- Non è un mio problema. –
Gli giro attorno, senza degnarlo di uno sguardo, diretta verso la porta di casa.
- Oh si, che lo è. –
Mi blocco, senza girarmi.
- Come, prego? –
- Si che è un problema tuo, Liz. Perché mi ami anche tu. –
Prima che io possa bloccarla, una risata prorompe isterica, rauca dalle mie labbra; una risata così forte, così frustrata, che in gola fa quasi male.
- Rassegnati, Gilbert. Per me sei morto. –
Entro in casa, sbattendomi la porta alle spalle, fingendo di non sentire quell’ “Anche i morti ritornano.” gridato con una potenza rasente alla disperazione.
Con pesantezza vado in camera, buttandomi a peso morto sul letto. Sono… stanca. Incredibilmente stanca. Come se la sola presenza di Gilbert mi avesse rubato tutte le energie-
Esattamente come la sua assenza.
Perché è tornato? Non riesco a capacitarmene. Mi ama, ha detto… Ma chi si crede di essere? Dire quelle parole con tale leggerezza, dopo che se n’è andato senza preoccuparsi minimamente dei miei sentimenti!
Mi passo una mano sul viso, alzandomi. Ho così tanti pensieri per la testa, che non riesco a metterli in ordine, non riesco a ragionare. Quasi inconsciamente mi alzo, lanciando un’occhiata al giardino oltre il vetro della finestra. In basso, Gilbert sta seduto su una poltroncina in vimini, con una delle rose che ho tagliato in mano. Se la porta al viso, assaporandone il profumo ad occhi chiusi.
Perché il mio cuore ha improvvisamente accelerato i battiti?
Distolgo lo sguardo, girando a vuoto per la stanza alla ricerca di qualcosa da fare, qualcosa con cui distrarmi. Ma è inutile, finisco per buttare di nuovo l’occhio in giardino.
Devo uscire di casa, oppure continuerò a tormentarmi e a controllare se Gilbert è ancora qui.
Afferro il cellulare che giace abbandonato sul comodino, la borsa, e le chiavi di casa. Appena metto piede fuori dalla porta, Gilbert non si fa attendere al mio fianco.
- Vai da qualche parte, Liz? –
Lo ignoro completamente. Dopotutto, per me non esiste, giusto?
Chiudo a chiave la porta dietro di me e, a testa alta, mi dirigo per la strada. Evidentemente lui ha recepito il messaggio, e quindi continua a parlare senza aspettarsi una risposta, camminandomi a fianco.
- Sai, Liz, se speri di evitarmi in questo modo sbagli. Il meraviglioso Me ti seguirà fino in capo al mondo, che tu sia a casa, in giro per la città, in Norvegia o sulla Luna. –
Non mi interessa, non mi interessa. Tu non esisti.
- Certo che – commenta, osservandomi mentre cerco di camminare più velocemente – Non sei cambiata di una virgola. Di aspetto almeno.  – saliamo sull’autobus, mentre la gente comincia a guardarci, perché è ben evidente che sto facendo di tutto per ignorarlo - Anche se quel fiore che porti tra i capelli non te l’ho mai visto addosso. Te l’ha regalato Mister La Mia Prima Volta è Stata Con Un Piano?–
Cos-? Involontariamente, scoppio a ridere. È più forte di me, non ce la faccio a trattenermi. Era da tempo che non usavo soprannomi di questo tipo; un po’ a doppio senso, terribilmente divertenti, una volta erano una nostra abitudine. Con Roderich non lo facevo… la reputava una cosa terribilmente infantile, da adolescenti in crisi ormonale (testuali parole).
- Ehi, Liz, non dovresti ridere delle battute dei morti, sai? – commenta sarcastico.
Ecco. La piccola crepa che si era formata nel muro che ho deciso di frappore tra me e lui, e che si era appena formata, si è riparata a una velocità incredibile. Senza volerlo –anzi, sicuramente l’ha fatto per irritarmi- mi ha ricordato che ehi, lui è lo stronzo che mi ha abbandonato, e io sono fortemente tenuta a ignorarlo. Mi giro dall’altra parte, cercando di ignorare il fatto che sia seduto accanto a me, concentrandomi sul paesaggio che sfreccia dall’altra parte del finestrino.
- Però non hai negato, prima. –
Di che sta parlando, adesso? Ma cosa diamine vuole?
- Quando ti ho detto che mi amavi. Hai solo detto di rassegnarmi, ma non hai detto “No meraviglioso, favoloso Gilbert, non ti amo”.-
- Tutto questo è ridicolo! –
Tutti i passeggeri dell’autobus si girano a guardarci.
Dannazione, l’ho detto ad alta voce, vero?
Come diavolo fa, ad averla vinta ogni volta? È sempre così, da… da quando stavamo insieme.
- Oh, hai smesso di ignorarmi, finalmente. Non che sia possibile ignorarmi, sono troppo perfetto. –
- Tsk – è l’unico commento che gli rivolgo, prima di ricominciare a far finta che non esista. Quando mi accorgo che siamo arrivati ad Alexander Platz scendo –o meglio, scendiamo-. Comincio a girare a vuoto, prendendo vie a caso; Gilbert continua a seguirmi, imperterrito. Devo trovare un modo di staccarmi da lui, assolutamente, perché sta diventando insopportabile… metto a tacere la vocina che mi sussurra che non lo voglio attorno, perché nonostante il suo attaccamento sia cominciato da due giorni, mi sto già abituando alla sua presenza.
A un tratto, l’idea.
Improvvisamente cambio strada, diretta a un Fast Food di fronte al quale eravamo appena stati e in cui andavo qualche volta. A passo svelto entro, e mi infilo in bagno, seguita da Gilbert, all’inizio perplesso, poi colpito da un’improvvisa ilarità.
- Ahaha! D’accordo che non posso entrare nel bagno delle donne, Liz, ma speri davvero di sfuggirmi in questo modo? Non potrai stare lì dentro per sempre! –
Mi passo una mano sul viso, con rassegnazione. Non ha un minimo di pudore, quel ragazzo? Senza poterle vedere me li immagino, i clienti del locale: lo staranno sicuramente tutti fissando, preoccupati per la sua salute mentale (e della mia integrità fisica e psicologica). Ma non posso perdere tempo a vergognarmi al posto suo, devo darmi da fare. Entro in una delle toilette, bloccando la porta con il secchio dell’immondizia, in modo che spingendo, dall’esterno, si possa aprire. Prendo un respiro profondo –metaforicamente, non oso respirare l’aria del luogo-, cercando di dimenticare che sto davvero per fare ciò che voglio fare e ringraziando il cielo che nessuno mi veda in questo momento. Mettendo con cautela prima un piede, poi l’altro, cercando di toccare il meno possibile una qualsiasi superficie, mi arrampico sulla tazza. Bene, la prima è fatta. Osservo con aria di sfida la misera finestrella in cima alla parete, il cui davanzale mi arriva più o meno al petto.
Non ci credo, lo sto per fare davvero.
Facendo forza sulle braccia, e cercando di incastrare (abbastanza inutilmente) i tacchi nelle fessure delle mattonelle, mi isso sul ripiano. Fase due, completata. Mi complimento con me stessa; i mesi di palestra sono serviti a qualcosa, in fondo.
Sporgo la testa fuori dalla finestrella aperta. Via libera, perfetto.
E ora preghiamo di passarci.
Lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi per evitare di incastrare i vestiti nei ganci della finestra, lascio passare le spalle, il petto, e poi il resto del corpo.
Ce l’ho fatta!
Mi alzo e con una specie di inchino mi congedo dalla folla immaginaria che mi sta applaudendo. Poi, con tutta la calma e la soddisfazione di questo mondo, sbatto via dai vestiti e dalle mani i granelli di polvere e asfalto che mi sono rimasti incollati addosso, e muovo qualche passo in avanti. Ah, quando racconterò di questa cosa a Lili sicuramente morirà dal ri-
- Buon pomeriggio, signorina. Sta scappando da qualcuno, per caso? –
Lentamente mi giro, con gli occhi spalancati.
Davanti a me, due ragazzi tra i venti e i trent’anni mi stanno fissando con occhi a dir poco famelici. Indossano vestiti larghi, e non hanno alcun segno particolare se non qualche piercing in faccia. Mi si avvicinano lentamente, con un ghigno quasi sadico.
Ma porc- Ne mollo uno, ne arrivano altri due?!
- Dai, Hans, l’hai spaventata. Non vogliamo farle alcun male signorina, vero? – peccato che il suo tono di voce e la sua espressione dicano il perfetto contrario.
- Scusatemi, ma vado di fretta. – so benissimo che non servirà a nulla, ma voglio tentare di risolvere la cosa senza arrivare alle mani. Non sono certo la gonna e i tacchi a preoccuparmi per l’esito di una eventuale rissa-quanto piuttosto il fatto che sono fuori allenamento. È due anni, dopotutto, che non picchio qualcuno.
Comincio a camminare velocemente nella direzione opposta, ma in un attimo mi sono a fianco.
- Dove credi di andare, bellezza? Divertiamoci un po’ – mi soffia in un orecchio il primo, quello che a quanto ho capito si chiama Hans. Cerco di reprimere il disgusto.
Beh, io ci ho provato.
Sto per girarmi e tirargli un pugno in pieno viso, ma vengo bloccata dall’altro, che mi trattiene le mani dietro la schiena. –Sei nostro, tesorino. –
- Povero illuso. – sussurro, prima di piantargli una tallonata dritto sul piede.
Siano sempre benedetti i tacchi a spillo.
Quello si allontana di scatto, spingendomi via e lanciando un grido quasi animalesco. Si trattiene il piede ferito –gli avrò rotto almeno un paio di dita-, mentre l’altro parte all’attacco. Constato con piacere che non sono affatto arrugginita, mentre schivo, colpisco, mi difendo e attacco quasi fosse una cosa naturale, come parlare o respirare.
I due sembrano rendersi conto che non sono una preda facile, e si allontanano di qualche metro, cadendo a terra, uno che si regge un braccio che gli ho storto dietro la schiena, l’altro che oltre alle dita rotte, adesso ha anche uno zigomo viola.
Sorrido soddisfatta, pronta ad andarmene, quando un urlo mi blocca.
- RAGAZZI! –
è stato il secondo dei due, a gridare.
Dannazione.
Comincio a correre a perdifiato, prima che i compari dei due bastardi mi taglino la strada di fuga- troppo tardi.
Cinque ragazzi, stessa età e stesso abbigliamento dei due di prima, mi stanno davanti a braccia conserte e con un sorriso cattivo impresso in volto.
Cazzo! Grido a me stessa.
Due sono una cosa –sette un’altra. Non ce la posso fare da sola, questo è certo. Ok, tutto quello che devo fare è superarli, poi basterà correre via e gridare aiuto. Prendo un respiro, e comincio a correre in avanti.
Subito mi sono addosso.
Schivo, colpisco ancora, ma è evidente che sono in svantaggio.
Dannazione.
Sembrano aver capito cosa non devono fare-lasciarmi via di fuga. Per questo mi circondano, scambiandosi di posto, ma non lasciandomi uno spazio libero –hanno pratica alle spalle, commento tra me e me con disgusto. Non c’è nulla da fare, sanno come mettere in trappola la preda.. devo stenderli.
Riesco a metterne al tappeto uno, che cade a terra trattenendosi lo stomaco, prima che un pugno alla tempia mi mandi a terra.
Sbatto la testa.
Il sapore forte del sangue mi invade le labbra, mentre cerco di rialzarmi e riprendere a combattere.
Troppo tardi.
Mi hanno bloccato braccia e gambe a terra.
Provo a dimenarmi, ma sono perfettamente cosciente che è inutile.
Lancio un urlo.
Mentre quei cinque mi tengono a terra, i due di prima si avvicinano, guardandomi dall’alto.
- Hai poco da agitarti adesso, eh, bellezza? – commenta il primo, leccandosi le labbra.
- Fatela sedere – ordina invece il secondo, che a quanto pare è il capo. Mi spingono in su, tenendo ben salda la presa sulle braccia e gambe. Ok, forse ora ho qualche speranza di metterne a tappeto almeno un altro. Calma, Eliza. Ce la puoi fare.
Il capo si china di fronte a me, il viso a pochi centimetri dal mio. - Hai proprio un bel visino, sai? – sussurra guardandomi negli occhi, con un sorriso sadico. I compagni sembrano approvare.
- Dopo di lei ci gioco io, capo! –
- Non ci provare, l’ho vista prima io, stronzo! –
- Vorrà dire che dopo il capo mi ci divertirò io. –
- Calma, ragazzi. – commenta il capo – un giro ce lo facciamo tutti sicuro. Sempre che sopravviva a me – A quel punto, scoppia a ridere. Un terrore, intenso e profondo, comincia a salirmi dallo stomaco in gola, con la consapevolezza che sono spacciata.
Grido ancora, sperando che avvenga il miracolo, mentre provo a dimenarmi ancora.
- Certo che non molli mai, eh, piccola? – commenta il capo. Con una mano mi stringe le guance. – Sarà un vero piacere vedere questa boccuccia implorare pietà! –
Per tutta risposta, gli sputo in un occhio, esprimendogli tutto il mio disgusto.
- Brutta puttana! – grida. Chiudo gli occhi, in attesa del colpo, che spero mi renda incosciente.
- Toccala di nuovo e ti spezzo le dita una a una, brutto pezzo di merda. Poi ti gonfio così tanto di pugni che neanche quella troia di tua madre riuscirà a riconoscerti. –
Spalanco gli occhi.
Grazie, Dio, grazie!
Il capo si alza di scatto, girandosi verso la fonte della voce.
Lì sta Gilbert, a braccia conserte, con l’espressione più spaventosa che abbia mai visto.
Quell’altro lo guarda, e scoppia a ridere. – E tu chi cazzo saresti? –
- L’unica persona che può chiamarla piccola. –
E con questo, sferra il primo pugno.
Il capo cade a terra; Gilbert l’ha colpito così forte che deve avergli causato come minimo una commozione cerebrale. Subito gli altri sei si lanciano su di lui, lasciando finalmente me libera. Non ho tempo per pensare; mi massaggio i polsi indolenziti per essere stati stretti così forte, e mi rialzo di scatto, affiancandomi a Gilbert.
 
Schiena contro schiena, come una volta.
 
 
- Grazie, Gilbert – mormoro con lo sguardo basso. Siamo seduti su una panchina, dalla parte opposta della città. La lotta è finita –naturalmente abbiamo vinto.
- Ho fatto solo quello che dovevo. In ogni caso, non c’è di che. – risponde, tenendosi un fazzoletto accartocciato sotto il naso, cercando di bloccare il flusso di sangue. Ce la siamo cavata abbastanza bene, infondo: un paio di lividi, il labbro spaccato per tutti e due, e mi sono rotta i tacchi nella fuga.
- Pensi che ci verranno a cercare? – domando a un certo punto, con un certo tremito nella voce. Di risse ne avevo fatte tante, con lui, chiaramente, ma non ero mai arrivata a pensare che.. per me sarebbe stata la fine.
- Sicuramente no. Non sanno chi siamo, perché siamo stati attenti a non chiamarci a vicenda; e non chiederanno certo aiuto ad altri compari, perché dovrebbero ammettere che in sette sono stati battuti da due… tra i quali, uno è una ragazza. –
Annuisco, ancora con lo sguardo basso.
- Hai paura? – mi domanda a un tratto, senza guardarmi.
Non rispondo. Certo che ho paura –stavano per… per… Senza che quasi me ne accorga, le lacrime cominciano a scivolare a fiotti dalle mie guance.
Gilbert non dice niente, ma si gira verso di me. Mi stringe con forza, mentre le mie spalle cominciano a essere scosse da singhiozzi violenti. 
Lontani da tutto e da tutti, stiamo immobili nella stessa posizione per un tempo indefinito; io che singhiozzo contro il suo petto, aggrappandomi a lui come se non mi fosse rimasto altro al mondo, e lui che mi tiene stretta a sé, accarezzandomi i capelli con dolcezza. Se potessi vederlo in viso, mi accorgerei che i suoi occhi sono inondati dalla rabbia.
 
- Scusami – dichiara svelto, quando ormai mi sono calmata e sto cercando di regolarizzare il respiro.
- Di cosa? – chiedo, asciugandomi con un braccio gli occhi rossi e brucianti – se non ci fossi stato tu, probabilmente a quest’ora io… io-
Gilbert mi blocca, prima che possa ricominciare a piangere al pensiero di ciò che stavano per farmi. – Se ci fossi stato io, nulla di questo sarebbe successo, Liz. Quei pezzi di merda, nulla mi impedisce di andarli a cercare, magari portandomi dietro Antonio, Francis e Ludwig questa volta… In sette contro una ragazza, quei luridi vermi schifosi, li faccio a pezzi, li-
- Gilbert – lo interrompo. – Adesso sto bene. Non c’è nessun motivo di tornare indietro, e rischiare di farsi solo del male. – affermo, accarezzandogli il labbro ancora aperto, ma che ha smesso quasi subito di sanguinare.
Gilbert stringe i pugni, ma annuisce. – Come vuoi – commenta. Poi, evidentemente cercando di tirarmi su di morale, ghigna.  – Comunque complimenti per l’idea della finestra del bagno. Se non ti conoscessi, e non fossi così meravigliosamente intelligente, non ci sarei arrivato che avevi intenzione di scappare in quel modo. A proposito, tu non dovevi ignorarmi? –
- Razza di idiota – rido, dandogli un leggero pugno sulla spalla.
E invece di lui, ignoro la vocina che mi sta mettendo in guardia, perché il muro di ghiaccio che ho posto attorno al mio cuore si sta rapidamente sciogliendo, sotto il calore insopportabile di un sorriso troppo splendente.

***Angolo di MoonBlossom***
Allora, cosa ne pensate di questo capitolo? Lo so, lo stile dalla seconda parte (cioè da quando se ne va Rod) in poi è piuttosto diverso da quello dei primi due capitoli, ma mi è venuto fuori così .-. Spero che non faccia troppo schifo, come al solito.
Ok, non so più cosa dire. Ehi, in questo periodo nei commenti sono davvero breve! 
Nel prossimo capitolo, ci saranno altri tentativi di Gil di ottenere l'attenzione di Liz, e una brutta litigata... 
Inoltre, vi prego di rispondere a una domanda: ho intenzione di scrivere una specie di spin-off della storia, cioè è una cosa che succede durante il secondo capitolo, ma essendo che Liz non è presente, e la cosa rimane segreta, non posso inserirla all'interno della storia in sè. Dato che ci tengo proprio a scriverla perchè mi piace come idea, preferite che la inserirca come cosa a parte alla fine del capitolo, in un capitolo a sè stante, o in una fanfiction a parte, come one-shot? Ditemi voi, abbiate pazienza xD

Grazie a voi che avete commentato, recensito, messo tra i preferiti/seguiti/ricordati, e anche a voi che avete avuto semplicemente la pazienza di leggere senza farvi notare xD
E lasciatemelo, un commentino, per piacere ç.ç Al limite per rendermi conto di come sia venuto fuori questo capitolo xD
Un bacio, 
MoonBlossom.

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Capitolo 4
*** Caos e bellezza. ***


Io-
No, non dico niente. Non ho giustificazioni.
Vi lascio al capitolo, sempre che abbiate ancora voglia di leggerlo.


4
Caos e bellezza.

 

Grido.
Mi tiro a sedere di scatto, spalancando gli occhi.
Ansimo, cercando di riprendere il fiato che sembra essermi stato strappato dai polmoni.
 
Un incubo.
 
Dannazione, speravo di riuscire a evitarli, speravo di essere più forte.
E invece il mio inconscio sembra volermi ricordare tutto ciò che ho rischiato, tutto ciò che sarebbe potuto succedere.
È la terza notte, che li sogno. Così debole, lasciarsi sopraffare dalla paura…
Rabbrividisco, sfregandomi rapidamente la porzione di gambe lasciate scoperte dalla camicia da notte. Mi sembra di sentire ancora il tocco ruvido della mano di quell’uomo che mi accarezza, incurante delle mie lacrime, mentre i suoi compagni ridono di ciò che si prospetta per me, e per loro.
“Ora che ho fatto fuori il tuo amichetto convinto di fare l’eroe possiamo finalmente divertirci, puttanella”, dice con un ghigno. Sangue mi cola da un labbro, la ferita pulsa…
Scuoto la testa velocemente, passandomi i capelli tra le dita.
Non è vero. Non è successo. È solo un incubo.
Mi alzo dal letto, trattenendo una smorfia al contatto dei piedi nudi con il marmo freddo del pavimento. I pensieri vorticano, mentre vado a prendermi da bere. Quegli uomini, il mio incubo, l’abbraccio di Gilbert e l’amore di Roderich, i loro occhi, le loro mani; le immagini si sovrappongono e si dissolvono prima che riesca ad afferrarle e stringerle a me.
Prendo respiri profondi, con le labbra appoggiate al bordo del bicchiere, contandoli per schiarire i miei pensieri.

Uno.
Due.
Tre-

Il suono del campanello interrompe il filo dei miei pensieri. Improvvisamente il mio cuore comincia a battere più forte, mentre spalanco gli occhi. Un’occhiata all’orologio appeso al muro mi basta per accertarmi che sia notte fonda. Chi potrebbe essere, a quest’ora?
Sono loro, venuti per vendetta?
Sono qui per completare ciò che hanno cominciato due giorni fa?
Piano, Liz.La porta e le finestre sono chiuse, non possono entrare.
 
Esco dalla cucina, avvicinandomi alla telecamera collegata al citofono, un pugno chiuso debolmente, l’altro che si stringe sul petto.
Un lungo giubbotto scuro gli avvolge il corpo, una parte del viso è coperta da una grande sciarpa di lana. Occhi dallo sguardo preoccupato saettano a destra e a sinistra, una mano passa velocemente tra i capelli chiarissimi, prima di tornare a rifugiarsi in una tasca dei jeans scuri.
 
Il sollievo è così forte che sono tentata di lasciarmi scivolare contro la parete. Apro la porta con un sospiro liberatorio, cercando inutilmente di calmare i battiti impazziti del mio cuore, e Gilbert si fionda all’interno, sfregando le mani più pallide del solito tra di loro, rabbrividendo.
 
“Gilbert, cosa ci fai qui?”
 
“Dannazione, si gela lì fuori”, commenta lui in risposta, ignorando palesemente la mia domanda, liberandosi lentamente della sciarpa e del cappotto e lanciandoli sul divano. Ha gli occhi lucidi e delle occhiaie violacee, Gilbert.
 
“Gilbert, cosa ci fai tu qui?” ripeto ancora, con un sospiro. Non riesco a essere dura con lui, non adesso: certo, il rancore è ancora lì, pulsa nel mio cuore, e non sono disposta a perdonarlo; ma quest’uomo mi ha salvato la vita, e senza di lui non sarei qui ma sul lettino di un ospedale, o peggio. Gli sono debitrice, e trattarlo come un essere umano è il minimo che possa fare, per ora.
Certo, finché non mi sarò sdebitata.
 
Gilbert si accascia sul divano, alitando sulle mani in un tentativo di scaldarle. “Ho visto la luce accesa, mi sono preoccupato, e ho bussato”.
Non mi guarda, mentre risponde. Riconosco il modo in cui si muovono impercettibilmente quelle labbra incredibilmente secche, il modo in cui quegli occhi non osano sollevarsi: Gilbert è imbarazzato. La cosa mi sconvolge così tanto che ci metto qualche secondo a realizzare cosa implichi quella semplice frase.
“Hai passato la notte qui davanti?!” domando, il tono di voce che diventa più acuto. Di scatto, alza lo sguardo: gli occhi, coperti da un velo lucido, sembrano bruciare.
“Te l’avevo detto che sarei tornato tutti i giorni. Dopo ho pensato che starci anche di notte non mi avrebbe cambiato la vita”, dichiara, secco. So cosa intende con quel ‘dopo’, e al solo pensiero rabbrividisco. Non ho bisogno di protezione, vorrei sbottare; le parole mi premono in gola, ma non permetto loro di uscire.
Perché ho bisogno di protezione. E l’ho scoperto a mie spese.
“Ieri e l’altro ieri ho pensato che avresti avuto un infarto, a sentire bussare a quest’ora della notte, per questo non sono entrato. Forse avrei dovuto, invece”, commenta, come se stesse parlando con se stesso.
“No, hai fatto bene”, rispondo quasi senza pensare, “ma non c’è bisogno di passare la notte davanti casa mia. Sono solo incubi, nulla di cui preoccuparsi. Non possono farmi del male, dopotutto, e prima o poi passeranno”, affermo con una sicurezza che non provo affatto.
Il sussurro che esce dalle sue labbra dischiuse, mentre si prende la testa tra le mani, è quasi impercettibile. “Gli incubi no-“
 
Si blocca.
‘Gli incubi no, ma loro sì’; questo vorrebbe dire Gilbert. Ma non lo fa. Non vuole spaventarmi ancora, e poi contrasterebbe con ciò che mi ha detto su quella panchina tre giorni fa. Sospiro, perché non trovo nulla con cui ribattere, e Gilbert chiude gli occhi, rilassandosi sulla poltrona.
Cosa fare adesso? Dovrei forse cacciarlo? No, non ce la faccio. Dopotutto ha passato le ultime tre notti davanti a casa mia, sveglio, a quanto sembra dal suo viso, solo per proteggermi; non posso certo buttarlo fuori, è pur sempre una persona.
Ma lui non è una persona qualsiasi, lui è Gilbert, sussurra una voce dentro di me, non farti ingannare. La voce ha ragione: ho permesso che si avvicinasse troppo a me, in questi pochi giorni, e non posso lasciare che si insinui di nuovo nel mio cuore.
“Vai a casa, Gilbert”, affermo, incrociando le braccia come per proteggermi dalle mie stesse parole. Lui alza lo sguardo verso di me; è uno sguardo provato, stanco, ma dentro quegli specchi brillanti fiammeggia ancora la determinazione.
“Hai ancora paura, Liz”. Non è una domanda, è un’affermazione. Lui sa, e sa che ne sono cosciente, per questo non è disposto a lasciar perdere.
Cerco di cambiare discorso. “Sei stanco, non ti reggi in piedi. Vai a casa e fatti una dormita, Gilbert, tanto per me non puoi fare nulla”.
“Bugiarda”.
 
Bugiarda.
Bugiarda, ripeto a me stessa. Ha ragione, sono una bugiarda. Non è vero che Gilbert per me non può fare nulla: mi può concedere quella sicurezza che nemmeno le mura di casa mia riescono a darmi, e me ne accorgo solo ora che l’evidenza mi si presenta davanti agli occhi: con lui qui sono calma, più tranquilla di quanto non sia mai stata in questi due giorni.
Sarebbe così facile, dirgli di sì…
“Chi ti credi di essere, Gilbert? Sei in casa mia, adesso, e non detti regole, quindi ora ti alzi da quella poltrona, per Dio, e mi fai il sacrosanto piacere di sparire”.
Sento il sangue affluire alle guance e la rabbia montare in petto, mentre sputo fuori quelle parole con una violenza che, ancora una volta, ero convinta di aver eliminato dalla mia vita. Gilbert, ancora una volta, sta facendo tornare tutto: l’impeto delle emozioni crude e soprattutto la voglia di lottare per qualcosa, che con Roderich non avevo avuto il bisogno o non mi era stato consentito di provare.
Si alza di scatto e mi si avvicina, lentamente. “Sai anche tu di non volerlo davvero, piccola”.
I suoi occhi sembrano trapassarmi da parte a parte mentre si incatenano ai miei, ed il bisogno di abbassare lo sguardo, di proteggere le profondità della mia anima da lui è impossibile da sopportare.
Resisto, però. Resisto, e ricambio quello sguardo con una ferocia che mi si arrampica in gola, mi punge le labbra, sembra quasi solidificarsi a contatto con l’aria, mentre libero quelle parole che mai avrei pensato di dire.
 
“Stai giocando con il fuoco, Gilbert”.
 
Immagino di averlo sorpreso e colpito con quelle poche parole, ma mi accorgo che nei suoi occhi brilla la soddisfazione, concretizzata in quelle labbra chiare piegate in un ghigno.
“Fuoco, eh? Il supremo Me lo sapeva, che non sei diventata una principessina”, commenta.
Spalanco gli occhi, rendendomi conto che mi ha portato esattamente dove vuole lui: ad ammettere che, in fondo, non sono cambiata affatto, e sono ancora la stessa ragazzina incosciente che era innamorata di lui.
Ma io sono cambiata. So di esserlo.
“Sono cambiata, e tu non mi conosci. Non più, almeno”, affermo, stringendo i pugni, concentrandomi sulle scanalature tra le mattonelle del pavimento per calmare la rabbia.
Prima che possa bloccarlo le sue dita sono sotto il mio mento, alzandomi la testa a forza, costringendomi a guardarlo negli occhi. Il suo tocco mi infiamma il volto, lascia una traccia bruciante sulla mia pelle. “Chi stai cercando di convincere, Liz? Me, o te stessa?”
Gli afferro il polso con forza mentre penso a una risposta, per spingere via la sua mano, ma nel momento in cui tocco la sua pelle mi accorgo che non è il mio viso a bruciare: sono le sue dita.
“Gilbert, tu scotti!” esclamo, spalancando gli occhi, mentre appoggio il palmo sulla sua fronte: è bollente. Questo spiega gli occhi lucidi, le labbra secche, il fatto che sia più pallido del solito.
Lui resta in silenzio, e gira il viso dall’altra parte: ammettere la sua debolezza non è di sicuro parte del suo carattere.
Pensare che si sia ammalato a causa mia, per tenere sott’occhio me, è una piccola fitta al cuore; inoltre sono sicura che se anche lo mandassi via non tornerebbe certo a casa, ma resterebbe nel mio giardino, a prendere altro freddo, a peggiorare le sue condizioni di salute.
 
“Se ti mandassi via adesso, torneresti a casa a riposarti?” gli domando, abbassando la mano, nonostante sia perfettamente cosciente di quale sarà la sua risposta.
“Non ho bisogno di riposarmi”, sbotta, incrociando le braccia.
“Sì, invece, tu stai male e hai bisogno di riguardarti”, sospiro, scuotendo la testa.
“E tu hai ancora paura di restare in classe da sola. Come la mettiamo?” mi sfida, alzando lo sguardo verso di me. Non ho una risposta a tale domanda e rimango in silenzio,  mordicchiandomi il labbro.
All’improvviso mi afferra una mano, e piega le labbra in un sorriso entusiasta. “Fammi stare qui! Solo di notte, e solo finché non torna quello lì. Non hai che da guadagnare ad avere in casa la mia Magnificenza. Na, Liz?”
 
Il cuore comincia a battermi più forte, mentre rifletto sulle sue parole. Ha ragione, permettendogli di dormire qui ci guadagneremmo entrambi: io sarei tranquilla, e lui non dovrebbe passare le notti al freddo. Comincio a torturarmi le dita, soppesando gli aspetti positivi e negativi.
Cosa c’è di male, dopotutto?
Quando lascio andare un lungo sospiro, leggo negli occhi di Gilbert che sa di aver vinto.
“Va bene”, dichiaro, voltandomi verso le scale, “ma i nostri rapporti cominciano e finiscono qui”.
Mentre mi dirigo in camera, fingo di non aver sentito il ‘per ora’ che esclama rivolto nella mia direzione.
 
Mi adagio sotto le coperte, e solo allora mi permetto di riflettere sulla conversazione appena avuta.
 
Chi stai cercando di convincere, Liz? Me, o te stessa?
 
Quelle parole mi trafiggono il petto e la mente in maniera quasi dolorosa, infiammandomi le guance immerse nel buio. Io sono cambiata, so di esserlo.
Ma è davvero così?
Gilbert sembra essere arrivato qui solo per far crollare tutte le mie convinzioni, farmi dubitare persino di me stessa, dimostrarmi che tutta la fatica con cui ho spento il fuoco che ribolliva nel mio cuore non è servita a niente, perché le fiamme stanno  ancora ballando sotto un leggero strato di cenere.
Chi si crede di essere, per piombare di nuovo qui in questo modo? Per creare il caos nella mia mente e nella mia vita con tutta la spacconeria che l’ha sempre caratterizzato?
Mi rifiuto di lasciarmi torcere e riplasmare a suo piacimento.
Se non fossero cose vere, non ti colpirebbero così in profondità, sussurra la solita vocina che sembra provenire dai meandri del mio cervello e che ancora non ho capito da che parte stia.
La metto a zittire, schiacciando il viso contro il cuscino.
“Che tu sia dannato, Gilbert!” grido, soffocando la mia maledizione tra le fibre della stoffa.
 
 
 
 
La mattina successiva, non sono sveglia da molto quando sento il telefono squillare. Afferro la cornetta con una certa lentezza, avvicinandola all’orecchio.
Buongiorno, amore”, mi saluta Roderich dall’altra parte della cornetta.
“Buongiorno”, rispondo con un sorriso ancora mezzo addormentato.
Dormito bene, stanotte?”
“Sì, certo”, mento. Non voglio che sappia di ciò che mi è successo, dei miei incubi: non farei che farlo preoccupare, e non può certo mollare il lavoro per venire a cullarmi quando non riesco a dormire. “Tu?”
Dormo sempre male, quando non ci sei tu accanto a me”, lo sento sussurrare, e non riesco a bloccare una risatina imbarazzata.
“Esagerato”.
Dico sul serio, lo sai. Ed è per questo che rientrerò domani mattina”.
“Ma- Ma Roderich! Come hai fatto?” esclamo: il suo capo non è esattamente il tipo da concedere cose del genere.
Mi sono fatto spostare tutti gli appuntamenti a oggi, così da avere domani e dopodomani liberi. Il mercoledì e il giovedì tu non hai lezione, giusto?” lo sento affermare, la soddisfazione evidente nella sua voce. È contento di sé, di ciò che ha fatto per me, e anche io lo sono; qualcosa mi pizzica a livello dello stomaco, al pensiero che si ucciderà di fatica oggi, solo per stare con me.
 “Grazie”, dico, chiudendo gli occhi e sedendomi sul letto con un sospiro beato. Eccolo, il rimescolio al cuore ogni volta che Rod mi fa sentire amata.
“Non c’è di che. Ma un po’ lo faccio anche per me stesso, in fondo. Ho bisogno di riposarmi e di stare con te”, afferma, deciso.
Sto in silenzio, perché non trovo nulla con cui ribattere, e mi racconta di ciò che dovrà fare oggi. Mentre lo sento elencare tutte le attività che lo aspettano, e lo terranno sveglio fino a orari impossibili, soffoco quella voce che interviene sempre nei momenti peggiori, e che insinua che Rod mi stia dicendo queste cose solo per farmi sentire grata, o forse in colpa, di tutto il lavoro che ha accumulato oggi per me. Non posso pensare male di Roderich, non dilui, che mi ha salvata dall’abisso nel quale stavo scivolando senza Gilbert.
Lo stesso Gilbert che in questo momento sta dormendo sul divano in soggiorno.
 
La consapevolezza mi colpisce all’improvviso, e il bisogno di andare a controllarlo mi stringe di colpo il petto in una morsa.
Come se avessi bisogno della certezza che sia ancora lì.
Come se avessi bisogno della certezza che non mi abbia abbandonato ancora.
Spingo via questo pensiero – per abbandonarmi, avrebbe dovutoavermi prima, e so che il caso non è questo. Non sono disposta a dargli nulla di me; nulla, se non la mia gratitudine per ciò che ha fatto sabato e il mio disprezzo per la sua intera esistenza.
Ora vado, amore. Mi aspetta una giornata pesante”, mi informa Roderich. Mi sembra quasi di vederlo, nella sua camera d’albergo, mentre tra l’orecchio e la spalla regge il telefono, aggiustandosi la cravatta davanti allo specchio.
Annuisco nonostante non possa vedermi. “Sì, hai ragione. Ci sentiamo più tardi, se hai una pausa tra un appuntamento e l’altro”.
Non credo, ma ci proverò. Ciao, Eliza”.
“A dopo”.
 
Appoggio il telefono sul comodino ed esco dalla stanza in punta di piedi, facendo meno rumore possibile, spia nella mia stessa casa. Dalle scale vedo che lui è ancora lì, steso sul divano, con quell’aria angelica che acquistava solo nel sonno. Sorrido intenerita a ripensare alle mattine in cui mi svegliavo presto solo per guardarlo, per osservarlo, per memorizzare ogni singolo dettaglio di lui, del suo viso, del modo in cui le ciglia sfioravano le guance bianche e il petto si alzava e abbassava impercettibilmente. Ha ancora la stessa espressione rilassata, la stessa aria di bambino innocente che aveva allora. Anche il modo in cui dorme, con il braccio piegato sopra la testa e una gamba con il ginocchio che sporge, è lo stesso di anni fa.
Mi siedo sul primo scalino, stringendomi le ginocchia al petto e appoggiandovi la testa.
 
Perché mi hai lasciato, Gilbert?
Cosa ti ha spinto a buttare via tutto ciò che avevamo?
Cosa ti ha spinto a fuggire?
 
Sono tutte domande a cui, sono certa, non troverò risposta se non da lui.
Voglio davvero sapere, però? Sono pronta ad accettare la realtà? Non ne sono davvero sicura. E anche se così fosse, perché mi importa, perché mi preme così tanto? Anche se la sapessi, la verità ormai non conta più nulla. Ora ho Roderich, ho il mio angolo di felicità, calma, sicurezza; Gilbert è solo un ricordo, nonostante sia vivido e faccia ancora male, e il fatto che sia ripiombato nella mia vita aspettandosi chissà cosa non cambia la questione.
 
Scuoto la testa, e improvvisamente abbattuta da una pesantezza che non riesco a spiegarmi mi alzo, tornando in camera per prepararmi ad andare a lavoro. Non sveglio Gilbert, prima di uscire: ho la netta sensazione che quando tornerò, a ora di pranzo, starà ancora dormendo.
 
 
 
 
 
“Sono a casa!”
“Bentornato!” esclamo, volando giù dalle scale e lanciandomi tra le braccia di Roderich, come una bambina che accoglie il padre dopo una giornata di lavoro. Rod mi lascia un bacio a fior di labbra, con una piccola risata, appoggiando le valigie per terra per stringermi i fianchi, mentre io gli allaccio le braccia attorno al collo.
“Avremo per davvero due giorni solo per noi?” mormoro, affondando il viso nell’incavo della sua spalla e ispirando forte il profumo leggero che emana la sua pelle.
“Solo per noi, è una promessa. Non risponderò nemmeno a una chiamata di lavoro per quarantotto ore, te lo giuro”, sorride, accarezzandomi la schiena. I miei muscoli si rilassano sotto il suo tocco, mentre vengo cullata da quell’ondata di pace che mi scivola sottopelle ogni volta che mi stringe a sé. 
“Ti sei sentita sola, in questi quattro giorni?” mi domanda, sciogliendosi dall’abbraccio e riprendendo in mano le valigie per portarle in camera.
“Oh, no”, rispondo, evasiva, mordicchiandomi il labbro. Gilbert aveva passato le ultime due notti da me, dormendo su quel divano, scomparendo mentre ero in casa, riapparendo al mio fianco ogni volta che mettevo piede nel mondo esterno. La febbre gli era passata quasi subito, straordinariamente, ma del resto il suo fisico era sempre stato estremamente resistente e rapido a riprendersi.
Aveva preso la notizia del ritorno anticipato di Roderich senza scomporsi troppo, come se se lo aspettasse, commentando con un semplice ‘allora ce l’ha, un cervello, sua Signoria’. La cosa incredibile era che Gilbert non conosceva Roderich, non l’aveva mai incontrato se non quella sera in cui era tornato; eppure mi aveva rivelato che quando aveva sentito che ‘il celeberrimo pianista Roderich Edelstein’ aveva ‘finalmente trovato l’amore in Elizaveta Hédérvary, una donna composta ed elegante che preferiva rimanere nell’ombra’, si era incuriosito e aveva fatto qualche ricerca.
La notizia che Gilbert si fosse interessato al corso della mia vita anche dopo essersene andato mi aveva scombussolata parecchio, l’altra sera, ma avevo immediatamente ingoiato il pensiero che, forse, non aveva mai smesso di tenere a me.
Non mi interessa, ormai. Non è più un problema mio.
“No?” mi domanda Roderich, ricomparendo davanti a me, con uno sguardo interrogativo e… ferito?
“Qualche amico è venuto a farmi visita”, spiego, sperando che non mi faccia altre domande. Quando vedo che annuisce, comprensivo, e si dirige in cucina senza un’altra parola, non posso fare altro che ringraziare il cielo.
 
 
Passiamo la giornata immersi in una bolla di placida pigrizia, abbracciati l’uno all’altra, beandoci delle carezze leggere e dei respiri intrecciati tra le labbra socchiuse. Roderich fa scorrere via la tensione del mio animo un bacio dopo l’altro, e mi sembra di sprofondare in un’atmosfera trascendente, irreale, di sogno, che inizia e finisce tra le sue braccia. Mi sento vuota e piena insieme, piena di una felicità impalpabile, trasparente, cristallina.
Quella notte, quando facciamo l’amore e Roderich mi bacia la mano, l’improvvisa paura di poter frantumare questo sogno che sto vivendo mi assale. È troppo bello, per non essere fragile.
 
 
La mattina seguente stiamo facendo colazione, quando il suono del campanello interrompe il nostro silenzio. È Roderich che va ad aprire, con aria leggermente confusa, mentre io mi alzo per mettere tutto a lavare, tendendo l’orecchio per sentire chi sia.
 
“Stavo cercando Elizaveta, è in casa, vero?”
 
Le posate cadono sul pavimento con un suono metallico, che riecheggia nella cucina silenziosa.
 
Gilbert.
Che diamine ci fa, Gilbert, qui mentre c’è Roderich?!
Il cuore comincia a battermi all’impazzata, mentre l’ansia mi cresce in petto. Chiaramente è qui per uno scopo. Cosa vuole fare, mettermi contro il mio fidanzato? Cercare di farci lasciare dicendogli dove ha passato le ultime due notti?
 
“Certo, è qui, entra pure”, sento Roderich dire.
È con estrema lentezza che li vedo comparire entrambi oltre la porta, con un sorriso incuriosito uno, e preoccupato l’altro.
Gilbert fa qualche passo avanti verso di me, e con una mano si appoggia al tavolo.
 
“Volevo sapere se hai avuto incubi anche stanotte, o se sei riuscita a dormire”, mi domanda. L’interesse nella sua voce è così sincero, così genuino, che non riesco a rispondergli in maniera secca.
“No, grazie. Ho fatto sonni tranquilli”.
È per questo che è venuto, quindi. Non ha qualche piano malvagio in mente, è semplicemente preoccupato per me. La consapevolezza mi solletica il petto, e non posso fare a meno di sorridere.
 
“Incubi? Non mi avevi detto niente di incubi, Eliza”.
 
Mi giro verso Roderich, spalancando gli occhi. Dannazione, mi ero completamente dimenticata di avergli nascosto tutto. Mi mordo il labbro, sentendomi leggermente in colpa: so di averlo fatto in fin di bene, ma gli ho mentito in ogni caso.
Lo guardo negli occhi. Sono invasi dalla preoccupazione, e anche da un’irritazione che non mi stupisce affatto. Detesta non avere il controllo su tutto, Roderich, e sapere che gli è sfuggito qualcosa, anche una cosa così semplice come un mio incubo, deve mandarlo su tutte le furie.
Ciò che mi stupisce, invece, è la reazione di Gilbert. “Non gliel’hai detto?! Non è per questo che è tornato prima, allora?!” esclama, completamente sconvolto, facendo saettare lo sguardo tra Roderich e me, gli occhi spalancati in maniera quasi comica.
 
Sento lo sguardo di Roderich pesare con forza su di me, tanto freddo da bruciare, mentre mi osserva pronto a giudicarmi.
 
“Cos’è successo, Elizaveta?”
 
Il suo tono di voce inquisitorio cala come una scure sulla mia anima, mandando in frantumi la piccola bolla di cristallo che circondava me e la mia felicità.





Ed eccomi qui! 
Non più Moon, ma Ivy. Mi sono evoluta, sìsì. 
No, non sto prontamente evitando l'argomento "ho aggiornato dopo DIECI MESI e sono imperdonabile, mi manderei al rogo da sola se potessi". 
Ok, parlando seriamente... No, non ho scusanti. Non so perché abbia posticipato così tanto questo capitolo, vi giuro che non ne ho la minima idea. Io ero davvero convinta di aver aggiornato non moltissimo tempo fa, e quando ho scoperto che l'ultimo update risaliva al 23/08/11 ho seriamente avuto un infarto. Mi sono detta "ma stiamo scherzando?!" e mi sono fiondata a scrivere, ed ecco che è arrivato questo capitolo che, dopo tutto il tempo che avete dovuto aspettare, spero vi sia almeno piaciuto. 
Che poi, se non l'aveste letto e mi aveste mandato a quel paese io vi avrei capito benissimo. Eppure siete qui, a leggere, anche queste note dementi che sanno un po' da una giustificazione che non mi merito.
Vi ringrazio, se esistete. Vi ringrazio e vi adoro.
Non so cos'altro dire, se non che sono imperdonabile e voi siete perfetti e tutto ciò che di bello c'è al mondo.  
Ora penso che andrò, perchè davvero non ho nulla da dire. Prima di lasciarvi non giurerò che la prossima volta aggionerò più in fretta (anche se ritengo impossibile ritardare più di quanto abbia fatto questa volta, sinceramente) , perché so che non possono esserne sicura. Vi dico solo che è estate, e nonostante per il prossimo mese non ci sia di sicuro perché sono via, ho tutto agosto e parte di settembre per farmi perdonare con aggiornamenti più frequenti - sempre che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere. Insomma, non vi giuro di farlo, ma vi giuro che ci proverò, questo sì.  E direi che è il minimo. 
Lo ripeto: vi adoro tutti, dal profondo del mio cuore. 
Un bacio, e al prossimo aggiornamento, 
Ivy

P.S.: nota totalmente inutile: non so se avete notato, ma ho cominciato a mettere i dialoghi tra virgolette, perché ho decretato che è molto più comodo e sensato.
P.P.S.: seguitemi su Tumblr! :D http://ivythemoonblossom.tumblr.com :D Ok. Finita la postilla idiota.

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Capitolo 5
*** Way I Loved You ***


Salve a tutti! :D 
Non mi sono fatta attendere così tanto questa volta, vero? :3
Eccomi qui con il nuovo capitolo! Un po' di angst, ma nulla di grave.
Il titolo del capitolo (che è lo stesso della storia u.u) è quello di una canzone di Taylor Swift, qui c'è il link per ascoltarla. 
Inoltre.. in questo capitolo, un grande ritorno! :D
Come al solito ringrazio la mia meravigliosa Twinsie/Beta Black_Hole_, che mi sopporta tutti i giorni *^* Ci vuole una grande forza di spirito, credetemi xD
Buona lettura! :3





Roderich tiene le braccia giunte, la testa bassa, come se stesse riflettendo. Mi mordo il labbro, osservandogli le mani: tremano. Sta cercando di calmare la rabbia, trattenerla, ingoiarla nei meandri più profondi della sua anima e lasciarla lì a sfumare lentamente, senza mostrarla. Gilbert, in piedi dietro di me come a volermi proteggere da un’ira che non scoppierà, sta in silenzio, aspettando che l’altro uomo dia il suo verdetto.
 
Raccontargli di quella sera non è stato facile. Ho tenuto per me i motivi per cui sono finita in quel vicolo, inventandomi che stavo cercando una scorciatoia per andare a casa di Natalia; fortunatamente ci ha creduto, e Gilbert non mi ha contraddetto. Roderich ha ascoltato tutto in silenzio, spalancando gli occhi infiammati di rabbia nel sentirmi parlare di quegli uomini, lanciando a Gilbert uno sguardo intenso, quasi concentrato, quando gli ho raccontato del suo arrivo.
Non ha detto niente, Rod. Nemmeno quando ho concluso il discorso. Si è limitato ad abbassare la testa, isolando se stesso dal resto del mondo per riportare a galla la parte razionale di sé e addormentare le emozioni.
Roderich è un uomo fatto di passioni, un uomo come tutti gli uomini; eppure odia questa sua natura tanto quanto ama la rigorosa perfezione della sua musica. Soffoca se stesso giorno dopo giorno, ingoiando, accumulando, esplodendo in moti di rabbia ed emozione che mi travolgono e sconvolgono ogni volta, e quel lucido pianoforte nero che sembra spiccare con prepotenza contro la parete bianca del salotto è la sua unica valvola di sfogo, il suo punching ball, l’unico accesso all’uomo assopito sotto uno spesso bozzolo di razionalità.
 
Di scatto, Roderich alza la testa, fissando il suo sguardo nel mio.
Le fiamme stanno ancora bruciando.
“Avete già sporto denuncia?” domanda, deciso. Mi ricorda un generale che organizza una battaglia.
Sto per aprire bocca e negare, ma Gilbert, con mia sorpresa, mi precede. “Abbiamo cominciato le ricerche. Abbiamo trovato i due di cui ho potuto fornire un identikit, ed un mio contatto nel corpo di polizia si sta adoperando per stanare gli altri della banda”.
Mi giro verso di lui, gli occhi spalancati dalla sorpresa: non mi aveva detto nulla a riguardo, e anche se ne avessimo parlato, io non avrei voluto rendere l’aggressione pubblica.
“Gilbert, no! Non voglio denunciare quei… quegli uomini. Hanno avuto quello che si meritavano, tu hai ottenuto la tua vendetta, denunciarli creerebbe solo il caos!”, affermo, con una sicurezza che non sento affatto.
All’improvviso, lo sguardo di Roderich è nel mio.
C’è qualcosa, nei suoi occhi, che mi pugnala al petto e mi spaventa al contempo: non la rabbia, ma il senso di tradimento. Roderich si sente tradito da me, perché non solo non sono stata sincera con lui, ma gli ho nascosto qualcosa di grave.
Io lo affronto, ricambiando il suo sguardo. So di avere ragione, so che i miei propositi erano buoni, so di non avergli nascosto tutto questo per me stessa, ma per lui.
Legge tutto questo nei miei occhi; lo so, perché assottiglia lo sguardo, come se cercasse di scavarmi dentro l’anima per leggervi dentro qualcosa che non riesce a distinguere bene.
 
“Quando sei diventata così egoista, Elizaveta?”
 
Sbatto le palpebre varie volte, rifiutandomi di assimilare ciò che mi ha appena detto.
Roderich mi ha dato dell’egoista.
Roderich, lo stesso uomo che mi ama alla follia, e darebbe tutto per me.
 
“Rima-
“Egoista?” domando, atona, interrompendo Gilbert che aveva cominciato a parlare. Prima che Roderich possa aprire bocca per spiegarsi, ho già ripreso il mio discorso.
“Egoista?” ripeto, “tu dai a me dell’egoista?!” Sento la furia montare nella mia voce, le mie mani stringersi a pugno così forte da farmi sbiancare le nocche. “A me, che da due anni non faccio altro che tentare di compiacerti, renderti felice?! Io che ho sopportato i tuoi continui sbalzi d’umore senza fiatare, io che mi sentivo ripetere quanto fossi infantile a desiderare la tua compagnia! Quante notti ho passato da sola, perché tu eri in viaggio per fare concerti, a quanti momenti insieme ho dovuto rinunciare perché i tuoi colleghi erano in città e dovevi passare tempo con loro! E quante, quante volte mi sono sentita dire da te di stare ferma ed in silenzio a quei tuoi eventi pieni di gente spocchiosa che non faceva altro che domandarmi quanto guadagnassi con il mio lavoro e perché non mi facessi semplicemente mantenere da te; quante volte ho dovuto sorridere delle loro battutine e ingoiare tutta la rabbia ed il disprezzo solo perché tu volevi che fossi la tua bella statuina! Ma la sai una cosa, Roderich?! Io non sono la tua bella statuina! E sono stanca di stare in silenzio, stanca di ignorare e sospirare, stanca di tutto questo! Non ti ho mai detto niente perché sapevo che era necessario, perché si tratta del tuo lavoro, perché sapevo che sentirti dire queste cose ti avrebbe reso infelice, ma dopotutto io non sono altro che un’egoista, giusto?!”
 
Corrugo le sopracciglia, il mio volto ormai una maschera di rabbia cieca, il mio petto che si alza e abbassa velocemente per recuperare l’aria che ho perso urlando.
Roderich mi fissa sconvolto, gli occhi spalancati dallo shock, la bocca socchiusa, l’intero corpo inerte sotto la furia delle mie parole. Sembra pietrificato dal terrore mentre punto gli occhi nei suoi; vedo che è confuso, non riesce a capire cosa mi abbia fatto scattare, spinto a dire quelle parole; apre la bocca per dire qualcosa, ma nemmeno un filo di voce esce da quelle labbra.
Hai bisogno di tempo per riflettere, Roderich. E anche io.
“Devo stare da sola”, dichiaro, prima di voltarmi e sparire oltre la porta di casa.
 
Non compio nemmeno due passi, prima che una voce al mio fianco mi blocchi.
È Gilbert: nella furia del mio sfogo, non mi ero nemmeno accorta che fosse uscito, lasciando me e Roderich da soli.
“Liz”, mi richiama. Lo ignoro, continuando a camminare, uscendo dal giardino e dirigendomi verso la fermata del tram senza voltarmi.
“Liz!” grida di nuovo, “Aspetta! Dobbiamo parlare!”
È in quel momento che decido di fronteggiarlo, girandomi verso di lui e piantando gli occhi nei suoi.
"Gilbert, ho bisogno di stare da sola. Per favore."
Sarà il tono deciso, sarà la mia voce che si spezza sulle ultime due parole, ma per qualche motivo Gilbert sembra capire. Annuisce, guardandomi però negli occhi come se cercasse di scovare la sorgente di quella rabbia appena esplosa, e mi supera, dirigendosi chissà dove.
Ma non ho tempo di pensarci adesso.
 
 
Ogni passo è una fitta al cuore, ogni passo è una nuova domanda a cui ho paura di rispondere.
Perché ho detto quelle cose?
Da dove è emersa tutta quella rabbia, quella frustrazione?
Mi è salita all'improvviso, esplodendo come un fuoco d'artificio dopo aver acceso la miccia?
Oppure ha sempre ribollito dentro di me, crescendo, aspettando che qualcuno spaccasse il bozzolo in cui la tenevo rinchiusa?
Tutte quelle cose che ho gridato a Roderich, tutta quella frustrazione che gli ho vomitato addosso...
Fino a pochi istanti fa, con Roderich avevo sempre ingoiato gli impeti di rabbia, odiandomi per ogni cosa maligna che pensavo su di lui, come se quei pensieri fossero una cosa orribile, vergognosa.
E vergogna li consideravo, e come vergogna li nascondevo, e non ero mai stata in grado di sfogarmi con nessuno per i sensi di colpa che sentivo.
Sento le lacrime offuscarmi la vista, mentre comincio a camminare più velocemente verso la mia meta. Roderich mi ha salvato dalla depressione in cui stavo cadendo dopo l'abbandono di Gilbert, Roderich mi ha preso tra le braccia come una bambina, Roderich mi ha educato a una vita di pace e sicurezza, senza tensioni o emozioni violente.
Come avevo potuto mostrarmi così ingrata nei suoi confronti? Con quale coraggio gli avevo buttato addosso tutto quel veleno?
Mi accorgo di aver cominciato a correre solo quando, arrestandomi davanti al grande cancello di villa Braginski, mi rendo conto di essere in affanno. Suono il campanello, cercando di riprendere fiato; Natalia non si fa attendere oltre la porta di casa. Attraverso il viale che taglia a metà il giardino a testa bassa, senza incontrare gli occhi della mia migliore amica, ed é solo quando ormai sono di fronte a lei che oso alzare lo sguardo.
"Cosa c'è?" domanda lei, secca, fissando gli occhi nei miei.
Cerco di mostrare noncuranza, mentre alzo le spalle, incrociando le braccia come per difendermi dal suo sguardo inquisitore. "Volevo passare a salutarti, è un bel po' che non ci vediamo. C'è qualche problema?" ribatto, rapida, cercando di nascondere il tremolio nella mia voce.
Ma non si lascia ingannare, Natalia, ed è con un gesto quasi violento che mi afferra per le spalle, avvicinando il viso di porcellana al mio, come se cercasse di far entrare la sua anima nella mia per scoprire cosa mi turba.
"No, Elizaveta. Cosa c'è?" domanda ancora, sottolineando con il tono della voce le ultime due parole.
Si rende conto che sto per scoppiare in lacrime prima ancora che lo faccia io, e mi spinge contro il suo petto, stringendomi a sé con incredibile forza. È con immenso sollievo che mi abbandono alle sue braccia, stringendo convulsamente tra le dita la stoffa della sua maglietta, aggrappandomi a lei come se non mi fosse rimasto nient'altro al mondo, mentre lacrime salate cominciano a scorrere dai miei occhi chiusi, inzuppando entrambe; è un pianto di disperazione, un pianto di rabbia, un pianto di liberazione quello che mi scuote le spalle in singhiozzi spezzati. La mia mente è vuota, nessun pensiero sembra attraversarla mentre sfogo tutta la mia confusione contro il petto della mia migliore amica, lì, in piedi davanti alla porta di casa sua; perfino i sensi sembrano essersi addormentati, i singhiozzi giungono ovattati alle mie orecchie, e le carezze di Natalia sono nient'altro che un formicolio sui miei capelli.
Non so quanto tempo passiamo così, immobili; ma Natalia aspetta che i singhiozzi abbiano smesso di scuotermi le spalle, prima di condurmi dentro casa senza una parola, chiudendosi la porta alle spalle. Sono solo lacrime silenziose a solcarmi il viso, adesso, mentre andiamo in cucina; mi siedo, chiudendo gli occhi per calmarmi, mentre Natalia mi offre un bicchiere d'acqua.
Sta in silenzio, osservandomi bere mentre le lacrime si arrestano, e aspetta che trovi il fiato per parlare.
"La storia è lunga..." la informo, prendendo un profondo respiro. Lei risponde con una scrollata di spalle.
"Ho tempo", è la sua unica risposta.

Il mio sguardo si perde in lontananza, mentre ripercorro l'ultima settimana, raccontandole ogni dettaglio, descrivendole ogni istante.
Quando arrivo a parlare dell'aggressione, vedo le sue dita tremare leggermente, le spalle entrare in tensione. In quegli occhi di ghiaccio appare una fiamma di rabbia, rapida come un fulmine, che si spegne l'istante successivo mentre vado avanti con la mia storia. Con un sospiro arrivo al momento in cui ho perso la testa e urlato contro Roderich, e il senso di colpa mi spezza la voce.
"Non so cosa mi sia preso, Natalia. Dopo tutto quello che ha fatto per me, io ho avuto il coraggio di dire quelle cose orribili a Roderich... Non so da dove sia nata tutta quella furia, è semplicemente comparsa ed esplosa, capisci?"
"Pensi sul serio le cose che gli hai detto?" mi domanda lei a bruciapelo, appena concludo il mio discorso.
Mi mordo il labbro, prima di andare avanti. Conosco benissimo la risposta a questa domanda, ma ogni parola è una fitta al petto. "Sì. Sì, le penso. Però avrei dovuto tenermele dentro, non lasciarle uscire... Rod mi ama, mi ha preso con sé dopo che Gilbert mi ha spezzato, dovrei essergli grata-
"Quando due persone si amano, è l'amore stesso a riempire il divario che il sentirsi in debito crea, Elizaveta. Se ami Roderich, sai di bastare a lui quanto lui basta a te; non dovresti fare nulla per renderlo felice di averti con sé, e sai che ho ragione. Tu invece provi questo bisogno di renderlo fiero di te, come se non foste alla pari e lui fosse superiore, come se tu dovessi fare qualcosa per raggiungerlo e colmare il debito che senti nei suoi confronti. Non negarlo, Elizaveta, perché è così", dice, la voce intrisa di tale sicurezza che non posso che darle ragione.
Natalia non ha torto. Ho sempre desiderato che Roderich fosse fiero di me, ho sempre voluto compiacerlo, fino allo stremo, ed è per questo gli ho permesso di riplasmarmi, rieducarmi a una vita senza forti passioni: volevo essere come lui mi voleva, anche se si trattava di soffocare il mio vero io.
Non l'avevo mai vista sotto quest'ottica, ma ora che Natalia l'ha svelata davanti ai miei occhi, mi rendo conto che non può essere altro che così; io stessa non ne sono stupita, perché è come se nel profondo l'avessi sempre saputo.
"Sei esplosa quando ti ha dato dell'egoista, giusto? È stato perché ti sei sentita insultata dall'uomo che più vuoi soddisfare, per il quale più sei cambiata, nonostante non se ne sia mai accorto", va avanti. Io annuisco: ha ragione. Come ho potuto non capirlo da sola?
Natalia mi trafigge con lo sguardo, prima di concludere il suo discorso. "Adesso dimmi: perché hai scelto Roderich, Eliza? Cosa ti spinge a volergli bene?"
Devo riflettere per un istante, prima di rispondere alla sua domanda.
"Mi fa sentire al sicuro... Amata. Protetta, trattata con cura, come se fossi una bambina".
Mi rendo conto di quanto sia ridicola la mia risposta nel momento esatto in cui sento le parole uscire dalle mie labbra; dette ad alta voce, assumono un significato decisamente meno romantico di quello che avevano tra i miei pensieri, nella mia mente.
Natalia prende un respiro, prima di continuare. "E ora dimmi: perché amavi Beilschmidt?"
 

Perché avevo amato Gilbert?
Perché era il mio migliore amico assurdo con delle enormi manie di grandezza, perché era un bambino convinto di essere uomo. Per le risse fuori dai bar e le serate da ubriachi, per le dichiarazioni di amore fuori luogo e i baci sotto la pioggia, per le litigate e le urlate e i baci riparatori.
Per tutto ciò che mi dava e per tutto ciò che era, in maniera sconvolgente, totalizzante; perché ero così innamorata da arrivare alla follia, ecco come lo amavo.
 
 
"Perché era Gilbert".
 
Natalia sospira, chiudendo gli occhi per un istante, lasciandomi piuttosto sconvolta. Non sospira, Natalia: lei dichiara, sbotta, ride, grida, ma non sospira. C'è qualcosa di così terribilmente innaturale, in quel piccolo sbuffo di aria, che mi spinge a riflettere seriamente sulle risposte che le ho dato.
Io amavo Gilbert, questo l'ho sempre saputo e ammesso.
Ma Roderich... Lo amo davvero?
La risposta mi appare chiara all’improvviso, si presenta davanti a me con forza, come una luce abbagliante. Come sono potuta essere così sciocca per tutto questo tempo? Come ho potuto illudermi in questo modo?
"Devo andare a parlare con Rod", dichiaro, alzandomi.
Natalia annuisce, senza smettere di guardarmi, prima di darmi un ultimo consiglio.
"E ricorda, Liz, che di padre ne hai già uno, su questa terra. Non te ne serve un altro", afferma. Non posso fare altro che sorridere, sussurrando un "grazie" sentito, prima di uscire e dirigermi verso casa - anche se dubito che potrò chiamarla casa ancora a lungo.







E rieccomi! :D
Allora, che ve ne pare? 
La nostra Liz ha finalmente capito che quello che prova per Roderich non è amore... O almeno, non è amore amore. Sì, capisco che non ha senso, detta in questo modo, ma nel prossimo capitolo giuro che sarà tutto più chiaro. 
Potrebbe sembrare assurdo che Liz ci abbia messo due secondi a smontare una relazione di due anni, ma a mio parere non è così: Roderich ha toccato il tasto giusto, ha fatto scattare tutto il meccanismo; senza contare che lei ha sempre saputo dentro di sé che considerava Roderich quasi più come un padre che come un ragazzo; questo concetto è disseminato nei suoi pensieri più o meno in ogni capitolo!

Proseguendo: ecco a voi Natalia, il grande ritorno! Adoro scrivere di questa ragazza, perché è estremamente diretta, così diversa da qualsiasi altro personaggio... Lei pensa una cosa, e la fa. Punto. Senza stare a rifletterci sopra. La amo X°D 
E tornerà ancora, nel prossimo capitolo, per quel mini-skit di cui sto parlando da un secolo, e che finalmente riesco a far quadrare da qualche parte xD Sarà breve, e sarà figo, lo prometto. xD 

Beh, non so cos'altro dire, se non... Ah, sì! Mi è venuta l'idea di fare una pagina autore su facebook, così, tanto per tenere aggiornati gli interessati su quando aggiorno ecc... Perché esistono, degli interessati, vero? *W* Fatemi sapere cosa ne pensate v.v 

E dato che io non sono contenta se non mi faccio pubblicità spudorata in ogni capitolo di ogni ff, seguitemi su tumblr e avrete tanti unicorni di zucchero filato in omaggio! :D 

Ok, cazzate finite, promesso.
Amo tutti voi che mettete tra i preferiti, seguite, ricordate, che recensite (voi, vi amo in particolar modo AHAH), ma anche voi che leggete e basta... Siete tutti meravigliosi. Farei una statua ad ognuno di voi, sul serio, perché per sopportare me con i miei continui ritardi e cavolate ce ne vuole, di pazienza. 
Un bacio grande grande, e alla prossima! 
- Ivy

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Capitolo 6
*** La verità ***


Ebbene sì, sono tornata.
Dopo tutto questo tempo, sono ancora qui, con un nuovo capitolo. 
Spero che leggiate ancora questa storia con piacere, nonostante in continui ritardi... mi dispiace davvero, ma so che mi sopportate :)
Vi amo <3



Entro in casa a piccoli passi, con esitazione, come se fossi una ladra. In effetti, è proprio questo che sono: una ladra. Ho rubato a Roderich il suo amore, la sua casa, anni della sua vita che avrebbe potuto dedicare a chiunque altro, a qualcuno che ricambiasse davvero il suo sentimento.
"Roderich?" lo chiamo, imponendo a me stessa di non sussurrare, mentre attraverso il salotto guardandomi intorno.
Immediatamente, la sua figura compare attraverso la porta della cucina; sembra quasi più piccola del solito, non ha quell’ aria di imponenza che lo caratterizza. Quando si avvicina a me, leggo nei suoi occhi un sentimento di vergogna che mi stupisce.
“Mi dispiace per prima, amore mio. Ti chiedo scusa. Mi hai frainteso: io non volevo assolutamente offenderti, stavo solo dicendo che quelle persone potrebbero colpire qualche altra ragazza indifesa, quindi non volerli denunciare è-
“Roderich, aspetta”, dichiaro, cercando di bloccare il fiume delle sue parole. Non posso lasciarmi ammaliare dalla rassicurante armonia delle sue parole. Per un attimo, dentro di me sento che questo è tutto un grandissimo sbaglio, che sono un mostro a ferire i sentimenti di un uomo che mi ha dato così tanto e che mi ama così tanto, l’uomo a cui devo la vita. Ricaccio indietro quella voce con tutta la forza di cui sono capace e, con la testa abbassata sotto il peso della vergogna che sento, lascio andare quelle parole che segnano il punto di non ritorno.
“Dobbiamo parlare”.
 
Le sopracciglia di Roderich si corrugano con gravità, mentre i suoi occhi vengono oscurati dal velo della preoccupazione. Mi siedo con cautela, come se perfino l’usufruire dei mobili di questa casa, questa casa che ho sempre definito nostra, mi rendesse una sfruttatrice; Roderich imita il mio gesto immediatamente.
Sento il cuore battere con un ritmo sempre più frenetico contro la cassa toracica, così forte che sembra voglia sfondarmi il petto; ne sento il rimbombo sordo nelle orecchie, copre qualsiasi altro suono. Chiudo gli occhi per un istante, ispirando a fondo.  So che le parole che Roderich mi rivolgerà saranno un colpo che non sono pronta a sopportare: mi feriranno l’anima, lacerandomi l’orgoglio; perché a moltiplicare la forza delle sue parole ci sarà la consapevolezza che sono io ad aver sbagliato, io dalla parte del torto. Sono io l'antagonista della nostra storia, ed è esserne cosciente è ciò che fa davvero male: sono io ad avergli mentito e sarò io a ferirlo, lui, l’uomo che mi ama così tanto; per questo, non reagirò a nessuna delle sue parole. Accetterò le sue accuse e subirò a testa bassa i suoi insulti, con umiltà, perché so che ha ragione, che me li merito. Gli devo almeno questo.
Cerco di ignorare il calore che mi sta avvolgendo l’intero corpo in una morsa, e comincio a parlare.
“Roderich io… ti devo confessare una cosa. Ti-ti ho mentito. In questi due anni, ho… mentito a me stessa e te. Me ne accorgo solo ora e di questo ti chiedo scusa”.
Osservo con orrore le dita di Roderich, prima in tensione, abbandonarsi come senza vita sulle sue ginocchia, aprendosi come se si fossero lasciate sfuggire qualcosa di necessario. Questo è il momento che temo di più, perché è quello della realizzazione: quello in cui Roderich processa le mie parole, si rende conto del loro vero significato. Tengo lo sguardo basso, non per paura, ma per il senso di vergogna che mi attanaglia il petto, mi pesa direttamente sul collo impedendomi di alzare la testa.
Cosa mi hai fatto, Roderich?
Sono sicura che se fosse stata qualsiasi altra persona avrei sparato la mia sentenza senza troppi problemi, eppure con lui è diverso. Ha la capacità di piegarmi in due, cambiarmi completamente, trasformarmi in una bambina che sperimenta per la prima volta l’umiliazione dopo aver preso un brutto voto a scuola e aver visto la delusione sul volto del padre.
 
“Cosa vuoi dire con questo?” mi domanda, lentamente. La sua voce è flebile, intrisa di incredulità.
“Che io… io non ti ho mai davvero amato, Roderich. È questa la verità, e mi dispiace averci illuso per così tanto tempo”.
“Amore, se è per la discussione di prima, ti ho già chiesto scusa. Può capitare a volte di esplodere in questo modo, ma basta parlarne con calma per sistemare tutto. Non saltare a conclusioni affrettate, per favore”.
Scuoto la testa, massaggiandomi una tempia con la mano.  “Non è per quello, affatto; è una conclusione a cui sono arrivata dopo una lunga riflessione. Ti chiedo di ascoltare ciò che ho da dire, per favore, perché sento ogni parola”.
“Guardami in faccia. Guardami in faccia e ripeti quello che hai detto. Me lo devi”, afferma. La sua voce è una lama di puro ghiaccio, incrinata irreparabilmente dal dubbio, dal tradimento, dal dolore.
A quelle parole, alzo la testa, rivolgendo lo sguardo verso di lui. Gli occhi di Roderich, di solito così vivi e splendenti, sono ora più opachi, coperti da un velo di lacrime che si rifiutano di fuggire, mentre le sue labbra stanno tremando... No, non sono le se labbra, ma il suo corpo: la sua intera essenza sembra essere scossa da brividi di terrore. La vista mi fa orrore. Ho ribrezzo di me stessa, per aver creato una sofferenza simile in lui. Eppure non distolgo lo sguardo, non fuggo dallo spettacolo penoso che mi trovo davanti: glielo devo. Roderich ha ragione, è il minimo che possa fare.
Prendo un respiro profondo e, insieme a quel piccolo sbuffo d'aria, cerco di buttare fuori anche quella vocina che mi sta sussurrando suadentemente di lasciar perdere, di scusarmi e tornare come prima, perché sto sbagliando, perché sto facendo del male alla stessa persona che mi ha salvato la vita.
Ma devo restare concentrata, non posso lasciarmi sedurre. Non questa volta. Devo farlo per me, e per lui.
 
"Roderich, io provo per te un sentimento- no, mi correggo, un affetto molto profondo, questo te lo posso giurare. Ma per quanto profondo e radicato in me... Non è amore, e l'ho capito solo ora; solo oggi ho avuto la conferma di ciò che pensavo".
"Elizaveta, tutto questo è assurdo. Stai vaneggiando".
"Ascoltami, ti prego! Quando ci siamo incontrati, io... Non ero nient'altro che un involucro vuoto. Ero a pezzi, inutile, usata e poi buttata via, come un giocattolo rotto. Ero disgustata non solo dal mondo, ma soprattutto da me stessa. Mi facevo schifo. E bevevo, bevevo fino a stare male, perché nell'alcol rivedevo lui, la sua immagine, e potevo illudermi che fosse ancora accanto a me. Era il mio tutto, capisci, e quando se n'era andato... Non mi era rimasto niente, nemmeno di me stessa. Ero un cadavere mantenuto in vita da quel poco di cibo che mi costringevano a mangiare. Mi stavo lasciando morire, lentamente, trascinando la mia esistenza giorno dopo giorno".
Rivolgo lo sguardo verso l'alto, per un attimo, nel tentativo di ricacciare con forza quelle lacrime che ancora minacciano di scendere, quando ripenso a quel maledetto periodo. "E poi sei arrivato tu." Mi lascio sfuggire un sorriso amorevole, comparso d'istinto a incurvare le mie labbra, "Sei arrivato tu e mi hai salvato la vita. Mi hai raccolto, hai lavato via con dolcezza tutto lo sporco che mi sentivo addosso, mi hai leccato le ferite. Mi hai fatto sentire di nuovo, per la prima volta, una persona - non una donna, ma una persona, capisci? La mia vita con te ha raggiunto una stabilità, ho ritrovato la pace, mi sono sentita di nuovo amata e coccolata, come una bambina, e di questo ti questo ti sono e ti sarò sempre grata. Eppure... Eppure, in un certo senso, è proprio questo il problema che sta alla base del nostro rapporto. Noi non siamo mai stati davvero amanti, Roderich: eroe e fanciulla che gli è debitrice, padre e figlia che gli deve la vita, questo sì, ma mai, mai davvero innamorati".
A queste parole gli occhi di Roderich, che sono rimasti vitrei fino a questo momento, sembrano animarsi di una luce nuova, e devo sbattere le palpebre varie volte come davanti a un miraggio, quando, senza credere ai miei occhi, noto che sulle sue labbra si è disegnato un impercettibile sorriso. Sta sul serio capendo quello che gli sto dicendo? La sua reazione è al di fuori di ogni mia aspettativa.
Sembra quasi sollevato di sentirmi parlare in questo modo.
Cerco di ignorare la cosa, e parlo a lungo, tanto a lungo che il sole comincia a tramontare oltre le case in lontananza. Roderich mi ascolta in silenzio, guardando fisso davanti a sé con quella strana luce negli occhi, mentre gli racconto di come il mio senso di debito nei suoi confronti abbia reso sterile il nostro rapporto, e come mi abbia impedito di esprimere al meglio me stessa nella mia pienezza nel corso di questi anni. Quando ho finito di parlare, cerco gli occhi di Roderich con lo sguardo; lui mi osserva, concentrato ma apparentemente rilassato, senza parlare.
 
"Beh", dice alla fine, dopo una lunga pausa, "se è tutto qui, non vedo di cosa preoccuparsi".
 
Strabuzzo gli occhi, sbattendo le palpebre velocemente per la sorpresa.
 
"Come scusa?"
 
Tutto questo non ha senso.
 
Che diamine sta dicendo?
 
"Se è questo il motivo che ti spinge a farmi questo discorso, posso stare tranquillo. È solo una fase di confusione, passerà presto, amore mio. Supereremo tutto questo insieme”.
Detto questo, appoggia una mano sulla mia, con delicatezza, stringendo gentilmente. Osservo quelle dita pallide senza capire, come se dietro alle sue parole ci fosse un significato nascosto che mi è precluso.
Cosa vuoi dire, Roderich?
"Roderich, non credo tu abbia capito cosa sto dicendo. Non voglio più stare con te. Voglio andarmene".
La brutalità delle mie stesse parole sembra schiaffeggiarmi in pieno viso, ma non posso fare altrimenti. Devo essere certa che Roderich abbia capito il senso del mio discorso.
"Oh, Elizaveta, l'ho capito questo. Non so chi ti abbia messo questa strana, ridicola idea del debito in testa, ma appena ti renderai conto che sono tutte sciocchezze tornerai qui, e saremo felici così come lo siamo sempre stati. È solo questione di tempo", afferma, con un sorriso sicuro. Scosto la mano dalla sua, come reazione istintiva: forse non si rende conto di quanto è stato offensivo nei miei confronti.
"No, Roderich", dichiaro, incatenando gli occhi ai suoi, "Non tornerò. Non sono sciocchezze, sono cose su cui ho riflettuto a lungo, come ti ho già detto. Perché non capisci?!"
 
"Dimmi, c'è un altro?"
 
"Che cosa?"
 
Roderich fa una pausa, e poi ripete la domanda, più lentamente, come se non potessi capire. "Ti ho chiesto se c'è un altro uomo nella tua vita".
Scuoto la testa, passandomi una mano tra i capelli, lasciandomi sfuggire un sospiro frustrato, e al tempo stesso rassegnato, dalle labbra. "No, nessun altro".
"Allora posso stare tranquillo. Finché nessuno ti porterà via da me non ho bisogno di preoccuparmi. E non c'è nulla che tu possa dirmi per convincermi del contrario, assolutamente nulla; sei chiaramente scossa in questo momento e non ti rendi conto delle cose che dici. Quindi prenditi pure una pausa, se la reputi necessaria: io sarò qui ad aspettarti, per tutto il tempo di cui avrai bisogno".
 
Se non fossi io la protagonista di questa tragicommedia, probabilmente riderei fino a star male dalla comicità della situazione. L'eroina egoista e il suo compagno cocciuto che, imperterrito, continua a ripetere "tu mi vuoi" nonostante lei lo abbia abbandonato. Che stia cercando di convincersene con tutta la forza della sua disperazione, che si stia sforzando di illudersi? No, non Roderich. Crede davvero con tutto se stesso in ciò che sta dicendo, e la cosa è tanto assurda da risultare ridicola. Del resto, io cosa posso fare in tutto questo? Che potere ho sulla sua mente, che opera in maniera completamente opposta rispetto alla mia? Un sospiro rassegnato sfugge al mio controllo.
"Non mi credi, se ti dico che non ti amo?"
"No, Elizaveta".
"Allora non ho nient'altro da dirti".
Mi alzo pesantemente, come se fossi stremata dopo una lunga battaglia , e Roderich mi segue subito.
"Ci vediamo in giro", prendo un profondo respiro, chiudendo gli occhi per un secondo. "Grazie per tutto quello che hai fatto per me. Se mai avrai bisogno di un'amica, per qualsiasi cosa, io ci sono. Addio, Roderich".
Ignoro volutamente il "quanto sei melodrammatica" che Roderich sussurra con un affettuoso sorriso di scherno e mi avvicino a lui, per poggiargli a fior di labbra un bacio sulla guancia, rapido e leggero come una farfalla che si posa su un fiore. Il tempo sembra quasi arrestarsi, teso da quell'atmosfera di solenne sacralità che caratterizza gli addii, mentre volto le spalle a Roderich e oltrepasso la soglia di questa casa - casa mia.
 
So di star ponendo la parola "fine" a questo volume durato due anni, così come so che sto lasciando indietro tutto ciò che fino ad ora sono riuscita a conquistare: la pace, la sicurezza, il tenue calore che riesce a sanare ogni ferita.
Tutto questo mi mancherà, eppure... eppure non mi importa. Io ho bisogno di quelle ferite, ho bisogno di sentirne il sapore di sangue sulla lingua. Rivoglio il caos, rivoglio le grida, rivoglio le corse a perdifiato e le canzoni cantate a squarciagola; rivoglio le risate che ti fanno piegare in due, rivoglio la potenza delle passioni lasciate libere di scorrere, quelle che graffiano e stravolgono e ti attraversano come un'ondata dalla testa ai piedi, rivoglio la brezza della libertà più pura, che ti soffia nel cuore e ti spinge la schiena, accarezzando un paio di ali invisibili per librarti in aria.
Rivoglio tutti questo, tutto ciò che ho abbandonato di mia volontà per compiacere il mio fidanzato.
 
Ed è per questo che mi chiudo la porta alle spalle, accarezzata dal fantasma delle labbra di Roderich che mi bacia la mano.




Ed eccoci qui,  finalmente  questo capitolo è arrivato.
Dopo un anno da quando ho postato l'ultima volta, sì. 
Sì, so di fare schifo.
Sì, so di aver perso molti lettori a causa dei miei ritardi.
No, non so cosa farci. Io giuro che cerco di fare del mio meglio, ma ogni volta mi riduco in questo modo. Quindi fare promesse che non so se manterrò mi sembra inutile, o sbaglio? 
Spero vi piaccia il capitolo, anche se non è lungo come mio solito... Volevo racchiudere la discussione tra queste due teste dure  in un unico capitolo, e con il prossimo dare il via alla nuova vita della nostra amata Liz. Dal prossimo capitolo le cose si fanno interessanti! 
Nota importante, quindi ATTENZIONE!  Dopo una luuunga riflessione, ho deciso che quel mini spin off di WILY, quello di cui ho già parlato alla fine di qualche capitolo che non ricordo, lo posterò sulla mia pagina facebook, IvyTheMoonBlossom - EFP; questo perché è troppo corto per farne una One-Shot ma è narrato da un POV che non è quello di Liz, ma esterno, quindi non vorrei inserirlo all'interno di questa storia. Quindi ISCRIVETEVI ALLA PAGINA :D (no, non mi sto facendo pubblicità, assolutamente) Comunque sono seria, se volete leggerla, o rimanere aggiornati su quando posto e sulle mie nuove ff oppure volete semplicemente parlare con me di qualsiasi cosa, passate dalla pagina :) Vi risponderò subito, promesso!  Grazie mille :)

Grazie a tutti voi che leggete ancora e ancora mi sopportate...
E grazie in anticipo a coloro che mi lasceranno una recensione, dato che i vostri commenti sono gli unici motivi per cui posto storie su questo sito invece di tenerle ad ammuffire su una pagina word o nella mia testa <3

Vi amo tutti, nessuno escluso.

Al prossimo aggiornamento,
Ivy

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Capitolo 7
*** Goodbye to shame. ***


Buongiorno a tutti, ragazzi miei <3 
Eccovi qui un nuovo capitolo! Siete emozionati? :P Piccola noticina: il titolo del capitolo è in inglese perché trovo che "shame" sia molto più ricco di significato e forte di "vergogna", che onestamente trovo un po' scialbo.
Beh... Vi lascio alla lettura, ci vediamo a fine capitolo! <3

 
“Dopo due settimane ancora non molli, eh?” sospiro, lasciando entrare in casa Gilbert, che mi saluta con un ghigno.
“Dopo due settimane ancora sei convinta che farei una cosa così poco magnifica?” ribatte lui, facendomi il verso, abbandonandosi scompostamente sul divano.
Scuoto la testa, chiudendomi la porta alle spalle. “Gilbert, per la millesima volta, solo perché ho lasciato Roderich, non vuol dire che tu meriti una seconda occasione insieme a me. Scordatelo. La mia amicizia è l’unica cosa che puoi ottenere da me, ormai”, affermo, mettendomi una mano sul fianco.
“È quello che dici sempre, Liz, ma sai anche tu che non è così”, sbuffa, accavallando le gambe.
“Ricordami perché perdo ancora tempo con te”.
“Perché mi ami!”
“Sì, va bene, come vuoi tu”, ribatto, scettica, prima di lanciargli un’ultima occhiata e dirigermi in camera.
 
Sono passate ormai due settimane, da quando ho lasciato Roderich. Tutto ciò che ancora in quella casa apparteneva a me è stato spostato nel mio nuovo appartamento, e quelle chiavi che hanno dimorato nella mia borsa per gli ultimi due anni riposano ormai in un cassetto del soggiorno, abbandonate senza rammarico dalla propria padrona, come una definitiva manifestazione di addio.
Dopo tutto questo tempo, Gilbert non ha ancora perso l’abitudine di venire a trovarmi tutti i giorni. Arriva la mattina presto, prima di andare in ufficio, per controllare che io sia ancora viva o per ricordarmi che prima o poi cascherò di nuovo ai suoi magnifici piedi, e torna verso ora di cena, restando fino a quando non lo caccio di casa per andare a dormire. E non se ne va finché non vede tutte le luci spente, o non sente più rumori in casa: una volta, aprendo il portone per portare fuori l’immondizia dopo che l’avevo mandato via in malo modo, l’ho trovato seduto scompostamente sulle scale, con la camicia stropicciata e la cravatta allentata, a giocare con il cellulare in maniera annoiata, come se fosse un ragazzino sconclusionato e non un importante uomo d’affari. Il contrasto mi fa ridere ancora adesso, perché sembra racchiudere la vera essenza di quest’uomo impossibile: la dualità tra l’eleganza e la ricercatezza che mostra al mondo esterno, non come facciata, ma come parte stessa ed integrante del suo carattere, e l’infantile testardaggine e noncuranza che riserva solo alle persone a lui più vicine.
 
Questa persistenza quasi da stalker mi inquieterebbe, o lusingherebbe a seconda dei casi, se si trattasse di un altro uomo.
Con Gilbert è diverso. Non lo fa per conquistare il mio cuore, ma per rendermi sua preda.
E si sbaglia, se crede che questo suo assedio psicologico mi porterà presto a cedere: avrà anche ottenuto l’ingresso in casa mia, ma dalla mia anima è stato bandito per sempre, e per sempre lo sarà.
 
Mi sono imposta di non pormi domande riguardo ai sentimenti che provo nei suoi confronti, o ai motivi che l’hanno spinto ad andarsene. Non voglio pensare a lui, non voglio dargli accesso alla mia mente; dentro di me so che basterebbe anche solo una piccola crepa per annientare completamente le mie difese nei suoi confronti. Una riflessione, anche superficiale, instillerebbe in me il dubbio, e il dubbio condurrebbe alla rovina.
 
Non posso permetterlo.
 
 
 
“Senti, Liz”, lo sento chiamare, dal salotto.
“Dimmi.”
“Perché hai lasciato Roderich?”
 
La domanda mi arriva come uno schiaffo dritto in viso, cogliendomi di sorpresa. È strano che me lo chieda – credevo che Gilbert fosse certo di essere stato la causa scatenante della nostra rottura.
Ha aspettato fino a ora per portarmi rispetto, forse? Sento una stretta impercettibile al cuore, che decido di ignorare.
 
“La nostra relazione non era sana”, rispondo, con noncuranza. Per nessuna ragione al mondo ho intenzione di spiegare a Gilbert come mi ero sentita dopo la sua partenza, di raccontargli del baratro in cui ero sprofondata.
“Perché?” mi chiede ancora, comparendo sulla soglia della mia stanza. Non c’è alcun tono di sfida o malizia nella sua voce: la sua è pura curiosità, velata forse da un accenno di preoccupazione nei miei confronti.
Sbuffo, prima di rispondergli. “Perché io non lo amavo davvero”.
“E perché vi siete messi insieme, allora?”
“Perché ero convinta di amarlo”.
“E perché eri convinta di amarlo?”
“Perché lui era gentile con me e io ero confusa.”
“E perché eri confu-
“Cazzo, Gilbert! Smettila!” La mia pazienza ha raggiunto un limite. Ma cos’è, imbecille? Non riesce a vedere l’evidenza? Oppure si sta solo prendendo gioco di me? Sento le mani tremare, mentre le stringo a pugno convulsamente, d’istinto.
“Liz, era solo una domanda, per la miseria! Come sei isterica! Si può sapere che hai?”
 
Sbatto le palpebre lentamente.
Che. Cosa. Hai. Detto?”
Spero di aver capito male, perché non può aver davvero fatto un’affermazione simile.
“Ti ho semplicemente chies-
“Che cos’ho?! Che cos’ho?! Cosa ne dici, magari sono semplicemente frustrata dal tuo sparire e riapparire improvviso! Sei stato il mio compagno per tutta la vita, e all’improvviso puff, sparisci lasciandomi solo un biglietto! Un fottutissimo biglietto! Per due fottutissimi anni! Ho perso il conto delle volte che ti ho chiamato, dei messaggi che ti ho inviato! Ma nulla, non ti sei mai degnato di rispondere, neanche per farmi sapere che eri vivo! Sai a quante cose ho pensato, ne hai una minima idea?!” Vedo i suoi occhi spalancarsi, sorpresi dalla furia che sento montare dentro di me e fuoriuscire come zampilli di lava da ogni poro, fiammate dalla mia bocca aperta in un grido di rabbia.
“Potevi essere in pericolo! Potevi aver fatto casini con brutta gente! Potevi essere morto e io non ne avrei avuto idea! E tuo fratello mi assicurava che stavi bene, ma si rifiutava di dirmi qualsiasi cosa perché stava a te spiegare! Hai idea della paura, della frustrazione, del dolore che provavo ogni giorno?! Del vuoto che hai lasciato quando te ne sei andato?!
Mi svegliavo ogni mattina per un incubo e mi addormentavo di nuovo all’alba, sfinita dalle lacrime! Vomitavo, no – mi costringevo a vomitare, ogni giorno, di continuo, per cercare di buttare fuori quel nodo che sentivo in gola e che mi impediva di respirare! Mi infilavo due dita in gola e buttavo fuori, Gilbert! Due dita in gola! Come una fottuta malattia!”
Avverto le lacrime solcarmi il viso come un fiume di veleno, scavarmi la pelle con un’intensità che non sentivo più da quel tempo. Grido ogni sillaba come se dovessi infrangere la barriera del suono, dimenticando il pudore, l’orgoglio, perfino la dignità; non mi importa di chi potrebbe sentirmi, non mi importa del suo viso sconvolto, non mi importa di far crollare la facciata d’indifferenza che avevo eretto attorno a me. Troppo a lungo ho nascosto la parte più terrificante del mio dolore, quella più oscura e perversa; troppo a lungo mi sono vergognata di quello che facevo, nascosta dal buio di un bagno chiuso a chiave: ora ho bisogno di gettare via questo macigno.
È giunto il momento di essere libera, finalmente. Di spalancare le braccia e gridare fino a non avere più fiato, di non essere più tormentata dal fantasma di me stessa. È giunto il momento di gettare via la vergogna, di ritrovare l’amore per ogni aspetto di me stessa, di essere fiera del mio dolore e le mie lacrime e perfino di tutto lo schifo che mi costringevo a vivere ogni giorno, perché mi ricordano che dopo aver toccato il fondo, sono riuscita a risalire.
 
“Hai capito bene, Gilbert? Stavo affogando in me stessa e tu non c’eri! Non c’eri! Non ci sei mai stato e io nel frattempo buttavo via la mia vita, perché non aveva senso senza di te! Ma sai cosa ti dico?! Che non me ne frega più un cazzo! Non me ne frega più un cazzo di te e del tuo fottuto amore da quattro soldi e delle tue promesse che ti ricordi di mantenere dopo due fottuti anni, non me ne frega niente! Non ti voglio, non ti voglio più, non ti voglio più perché so che mi farai male di nuovo, e io precipiterò di nuovo e esistere non avrà senso di nuovo! E morirò di nuovo, morirò ancora e ancora ogni giorno perché a te non importa di me, hai solo bisogno di un passatempo! Ma io non sono il tuo passatempo, Gilbert, valgo molto più di questo e se non hai intenzione di starmi lontano ti conviene imparare a stare al tuo posto e non avvicinarti abbastanza da farmi male ancora!”
 
Non so in che momento le mie grida si siano trasformati in singhiozzi convulsi, e le mie parole in mucchi di frasi illogiche tenute insieme dalla mia frustrazione.  Urlo ancora, e ancora, tanto che ogni fiato mi raschia in gola come carta vetrata, urlo e non so più neanche io cosa stia urlando. Le gambe mi cedono ma mi mantengo in piedi, piegata in due con le braccia a stringermi lo stomaco, come se il mio intero corpo potesse disperdersi da un momento all’altro. Gilbert tenta di afferrarmi, di farmi sedere, ma io lo respingo, tempestandolo di pugni sul petto senza neanche tentare davvero. Lui sta immobile, subisce sapendo che è la cosa giusta da fare, mentre la forza scivola via dalle mie mani, e ogni nuovo colpo è più debole del precedente; e le sue braccia sono lì quando mi accascio sfinita contro il suo petto, pronte a stringermi come hanno fatto tante notti prima di questa, sono lì, mi stanno realmente avvolgendo.
 
“Sono qui”, sussurra con dolcezza, poggiandomi un bacio morbido sui capelli. “Sono qui”, ripete ancora “sono qui, sono qui, amore mio”. Diventa quasi un mantra, il suo, mentre mi accarezza la schiena, ripetendo all’infinito quelle due parole come per renderle più vere. Voglio scuotere la testa, negare le sue bugie, ma il mio corpo si rifiuta di muoversi, come se conoscesse la verità. I miei singhiozzi si calmano, progressivamente, e ritrovo la forza di parlare con quel filo di voce che mi resta.
“Sei qui”, affermo, ammettendo l’evidenza che non posso negare, tentando senza successo di tirarmi a sedere, “ma te ne andrai ancora”.
 
Succederà. È per questo che non posso fidarmi. Lui se ne andrà ancora, incurante dei miei sentimenti, e mi lascerà sprofondare un’altra volta nel buio assoluto, senza possibilità di uscita. Questa volta non avrei un pianista pronto a baciarmi la mano. Questa volta non avrei niente.
 
“Non è possibile, Liz. Nient’altro potrebbe spingermi ad andare via da te. E te lo dimostrerò… spiegandoti perché me ne sono andato”.
Il cuore mi si arresta in petto, all’improvviso. Il fatto che se ne fosse andato era sempre stato per me come un mistero che non meritava una spiegazione. Era partito, mi aveva lasciata da sola, il motivo non esisteva. Era semplicemente successo.
Mi gira la testa. Gilbert ha avuto effettivamente un motivo per andarsene. E per quanto possa essere ridicolo, o non giustificare una tale azione, resta comunque un motivo. La possibilità di conoscere la realtà dei fatti mi confonde, mi solleva e mi spaventa al tempo stesso.
È quello che ho sempre voluto, sapere la verità.
Ma è davvero così?
Sono pronta a cogliere l’umanità nel mostro in cui Gilbert si è trasformato, nella mia mente?
 
“Parla”, gracchio, accorgendomi che le lacrime hanno smesso di scendere, lasciandomi il viso in fiamme.
Gilbert scuote la testa. “Non ora. Devi calmarti, prima. Non puoi sostenere una conversazione del genere in questo stato”.
“Da quando ti preoccupi per me?”
“Mi sono sempre preoccupato per te”.
“Sì, soprattutto quando mi hai abbandonato”.
“Liz, il sarcasmo riservalo per quell’impalato del ragazzo di tua cugina. Ho detto che non è il momento di avere questa conversazione”.
 
Mi divincolo dalla sua presa, trovando finalmente la forza di tirarmi a sedere.
 
Troppo veloce.
 
Cerco di stringermi la testa tra le mani, mentre la stanza mi gira intorno con una rapidità allucinante. Vedo Gilbert ghignare vittorioso, mentre cerco di stabilizzarmi.
“Vedi che avevo ragione, come al solito? Non è il momento. Ora devi riposare.”
“Cazzate” sputo fuori, ritrovando l’equilibrio e piantando gli occhi nei suoi, “è inutile rimandare, ormai siamo qui. Io sto bene. Devo solo recuperare un po’ di fiato e bere un bicchiere d’acqua. Ho bisogno di sapere, Gilbert, ho bisogno della verità adesso”.
 
Scuote la testa, con un sospiro rassegnato. “Certo che sei testarda”.
“Come se tu non lo sapessi”, ribatto, sapendo di aver vinto.

 




Ed eccoci qui!
Corto e intenso come quello scorso... Spero abbiate gradito, nonostante non fosse lungo! Ma finirlo lì, con tutta la suspance, è stata una tentazione troppo forte... BWAHAHAHA
Ok la smetto.

E finalmente Liza ha il coraggio di ammettere tutto lo schifo che le è successo quando Gilbert l'ha lasciata. 
E lui? Quale sarà la sua giustificazione?
Lo saprete al prossimo capitolo! 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo, sulla mia pagina facebook IvyTheMoonBlossom - EFP, oppure tramite una recensione se proprio mi volete bene da morire <3 

Ciao a tutti!
Vi voglio bene <3
Ivy.

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Capitolo 8
*** Il canto della sirena ***


Faccio oscillare il bicchiere tra le mani, facendo vagare il mio sguardo distratto tra le piccole onde che si infrangono l'una contro l'altra, sulla superficie rossastra del mio drink. Non riesco a fermare il flusso di pensieri che mi sta trascinando lontano dalla gente, lontano dal caos: cosa fare? A chi dare ascolto? Il dubbio che passo dopo passo si è insinuato nel mio cuore grida molto più forte delle più profonde convinzioni della mia mente, con quelle strette al petto e le palpitazioni furiose che mi prendono in ogni momento della giornata.
Mi lascio andare a un sospiro lungo quanto l'eternità, quando vengo interrotta da una voce familiare alle mie spalle.
"Dovresti essere con gli altri a divertirti, sai? Le feste servono a questo".
Mi giro verso la fonte della voce, con un debole sorriso a piegarmi gli angoli delle labbra. "E tu dovresti essere con il tuo futuro marito. I fidanzamenti ufficiali servono a questo, Feli".
Feliciano si siede accanto a me, cominciando a far ruotare lo sgabello rosso a destra e a sinistra. "Non riesco a crederci", mormora, guardando con occhi sognanti la piccola fede dorata che gli fascia l'anulare sinistro, sfiorandola con le dita quasi con timore reverenziale. "Sta succedendo davvero. Sento come se il cuore fosse sul punto di esplodere, sempre più forte, a ogni secondo che passa”.
"L'amore fa cose strane", commento con un sorriso materno, appoggiando una mano sul suo ginocchio e stringendo lievemente le dita.
"Strane davvero. Soprattutto per quanto riguarda te, Liz... Hai preso una decisione?" mi domanda, fissando il suo sguardo preoccupato nei miei occhi.
Scuoto la testa con rassegnazione, sospirando.
"Non ne ho la minima idea... È tutto così naturale, capisci? Il modo in cui si stanno evolvendo le cose... Ed ho paura di cascarci. Non voglio che succeda, Feli, non può succedere- perché capiterà ancora e ancora, mi farà del male, e io morirò dentro ogni singola volta. Devo convincere me stessa che non ho più bisogno di lui, perché sto cominciando a dubitarne, e la cosa mi spaventa".
"E tutto questo lui lo sa?"
"Io- no. Non gli ho detto niente dopo quella sera... Avevo bisogno di processare la cosa. Ti rendi conto? Capisco la famiglia e tutto il resto, ma... Che razza di motivazione è 'Dovevo sistemare degli affari di famiglia'? Non ha senso che sia scomparso in quel modo!" esclamo, sbattendo il bicchiere sul bancone, forse con troppa violenza.
Feliciano alza le spalle, mordicchiandosi la guancia come fa quando è pensieroso. "Ti ha detto altro? Sugli affari che doveva sistemare?"
"Sì... Ha detto che doveva tirare fuori una persona da guai seri, e per farlo ha dovuto vedersela brutta con i suoi genitori. Questioni dell'azienda, ha detto. Capisco che non abbia voluto portarmi con sé - i suoi genitori mi odiano, lo sai - ma perché scomparire? Nessun messaggio, nessuna chiamata per due anni... Che poi, quale diamine di affare ti porta via due anni, dico io?" Scuoto la testa, in maniera decisa, "no, Feli, non se ne parla. Finché non saprò come stanno davvero le cose, resto ferma dove sono. Non ho intenzione di cadere tra le sue braccia come se nulla fosse."
"E non ti ha spiegato di più? Assolutamente niente?"
"No... Mi ha detto che rivelarmi anche solo una parola in più sulla questione avrebbe rovinato  la vita di questa persona."
Feliciano si avvicina a me, appoggiando una mano sulla mia e intrecciando le nostre dita. "Se ti dice così, sicuramente c'è una ragione, Liz. Gil è tante cose, ma non un bugiardo... È davvero convinto di ciò che ti dice. Forse dovresti solo fidarti di lui... Accettare il passato così come è stato, e guardare al futuro. Cosa vuoi nel tuo futuro, Liz? Di cosa hai bisogno per essere felice?"
Non ho il coraggio di reggere la sincerità dei suoi occhi, e abbasso lo sguardo. Respingo con tutta la forza di cui sono capace il viso che, nella mia mente, mi sorride canzonatorio, come a dirmi 'lo sai, che la risposta sono io'. Non sono disposta ad accettare una cosa simile. Non gliela darò vinta, questa cosa. Il rispetto per me stessa viene prima ancora della felicità.
Feliciano si alza di scatto, afferrando la mia mano e trascinandomi con sé. "Forza, andiamo di là. Non abbiamo tante occasioni per stare insieme agli altri!" esclama, alzando un braccio con entusiasmo e cominciando a camminare in avanti.
Ma sì, in fondo non è questo il momento di stare a lambiccarsi il cervello con risposte che non posso darmi.
Ora, devo solo essere felice per quell'anello che scintilla con fierezza all'anulare del mio migliore amico.
 
Lascio scorrere lo sguardo su tutti i presenti, intenti nei loro discorsi e nelle loro risate. Saluto con un cenno Natalia che sta a braccetto di suo fratello, e perfino Roderich, che mi sta osservando dall'altro angolo della stanza. Distolgo in fretta lo sguardo: i suoi occhi mi fanno sentire a disagio. C'è Francis, uno dei migliori amici di Gilbert, che si sta passando una mano tra i capelli biondi mentre parla con una ragazza dalla carnagione scura, e addirittura Kiku, il giapponese compagno universitario dei due futuri sposi, che accarezza in silenzio un gatto accoccolato tra le braccia di un ragazzo alto, dalla zazzera castana e gli occhi verdi. Sorrido, tra me e me, osservando quel mare di persone che mi circonda: sembra che il mondo intero sia venuto qui, oggi, a festeggiare la felicità di due persone meravigliose come Ludwig e Feliciano.
"Feli..."
"Mmh?"
"Non dovresti allontanare Antonio da tuo fratello?” domando, osservando una buffa scena che mi si sta presentando davanti agli occhi. “Mi sembra che stia diventando leggermente invadente nei suoi confronti"
"Oh", ribatte Feli con un sorriso luminoso, lanciando uno sguardo all'amico spagnolo di Gilbert, che sta attualmente tentando di tirarsi in braccio un ragazzo piuttosto imbarazzato e innervosito, "Lovi è grande e forte! Sono sicuro che non ha bisogno di aiuto".
Scoppio a ridere, scuotendo la testa. "Non è per lui che sono preoccupata, Feli, ma per la virilità di Antonio!"
Pochi secondi dopo, un grido di dolore accompagnato da un'imprecazione in spagnolo sembra darmi ragione.
"Lovinuccio è innamorato!" esclama in risposta Feliciano, battendo le mani e cominciando a saltellare sul posto.
"Certo che ha un modo tutto suo per esprimerlo", commento, prima di ricominciare a ridere. “Andiamo a dare tregua a entrambi, che dici?”
Feliciano annuisce, prima di dirigersi verso la coppia strampalata.
 
“Lovi!” esclama il più giovane dei due italiani, saltando al collo del fratello maggiore e stritolandolo in un abbraccio mozzafiato.
“Porca troia, Feli! Mi hai fatto venire un colpo, e che cazzo” sbotta Lovino con le guance di un rosso acceso, scrollandosi di dosso il fratello.
“Vedo che hai conosciuto Antonio, Lovi” affermo con un sorriso divertito, portandomi a fianco dello spagnolo e appoggiando una mano sulla sua spalla.
 
Mi aspettavo che ci sarebbe stato imbarazzo, tra noi – Antonio, Francis e me – per il discorso della rottura con Gilbert. Dopotutto sono sempre stati i suoi migliori amici, e quando lui se n’è andato quel rapporto che c’era tra di noi ha cominciato a sbiadirsi, fino a sfumare quasi del tutto. Certo mi sono stati vicini nei primi tempi – a quanto mi hanno raccontato, Gilbert era scomparso del tutto anche dalla loro vita, lasciando come ultimo messaggio quello di prendersi cura in qualche modo di me – ma del resto, cosa c’era adesso a legarci, a tenerci uniti? Stare insieme sembrava farmi solo più male.
Già, mi aspettavo che ci sarebbe stato… ma mi rendo conto che in realtà non è così. Questo Antonio è lo stesso di due anni fa, ingenuo e solare esattamente come prima, e senza alcun riguardo nei miei confronti per il fatto di essermi allontanata. È rassicurante sapere che qualcos’altro, della mia vita andata in frantumi, è rimasto intatto.
 
“Senti, Liz, levami questo bastardo dalle palle, che non lo sopporto più, mi sta fracassando i co-
“Lovino!”, gli lancio un’occhiata di rimprovero, con la voce che si fa severa d’improvviso, “insomma, cosa ti ho insegnato?”
“Ho vent’anni, non ho bisogno che tu mi dica cosa devo e non devo fare” sbotta il ventenne, incrociando le braccia e alzando la testa con un gesto di supponenza.
Lovino.”
“Ah, e va bene! Ma lo faccio solo perché sei tu”, borbotta con tono offeso, prima di sussurrare delle scuse ad Antonio, così velocemente che a malapena io riesco a distinguere le sue parole.
Un sorriso, sfuggito al mio controllo, rompe l’espressione autoritaria che avevo assunto per convincere il ragazzo. È bastato un attimo, e mi trovo immersa in un flashback dai toni sbiaditi e le espressioni esagerate; sono ancora quella tenace quindicenne di una decina di anni fa, ingenuamente convinta di riuscire a far imparare le buone maniere a un piccolo italiano irrispettoso. Una semplice babysitter che credeva di essere una paladina della giustizia.
Non sono poi cambiata così tanto.
 
“Oh, Lovinito, non devi scusarti, sei così adorabile che non si può essere arrabbiati con te!” esclama Antonio, portandosi una mano al petto con aria sognante. “Liz, perché mi hai tenuto nascosto questo ragazzo meraviglioso?”
Lo guardo confusa, come se le sue parole fossero state pronunciate in una lingua a me sconosciuta. “Adorabile? Ma se ti sta insultando da quando vi siete incontrati! Ti sei beccato un calcio e pensi che tutto ciò sia adorabile?” chiedo sconvolta, senza credere alle mie orecchie.
 
Antonio si rivolge verso di me, con un sorriso pieno di dolcezza e comprensione che mi lascia perplessa.
“Liz, ma non capisci?” mi dice, tentando di portare un braccio attorno alle spalle di Lovino, che lo scuote via infastidito.
“Può avermi trattato male adesso e potrà farlo in futuro… che importa? Ciò che lui fa non ha nulla a che vedere con ciò che provo io. Non ci posso fare niente, potrà farmi passare le pene dell’inferno, potrà farmi aspettare anche cento anni, ma io lo amo, e mentire a me stesso su questo non mi fa certo stare meglio. Quindi tanto vale concedermi al mio sentimento, perché per quanto male potrà farmi stare, vivere senza di lui sarebbe mille volte peggio”.
 
 
 
Spalanco gli occhi, rimanendo pietrificata davanti all’uomo di fronte a me, che mi osserva con un sorriso rassicurante.
Ha ragione.
Come ho fatto a non capire una cosa così semplice?
 
Fuggire dal mio stesso sentimento è inutile. È una follia. Perché sì, questo sentimento c’è, e non posso negarlo; fingere di non vederlo non cambierà la realtà dei fatti. Che senso ha sprecare energie e pensieri a cercare di allontanarmi da ciò che io stessa desidero? Perché dovrei negarmi il semplice, incantevole piacere di abbandonarmi a ciò che mi rende felice?
Gilbert mi rende felice. Ciò che provo per lui è innegabile. Lo so, l’ho sempre saputo, e la gelida, razionale paura che Gilbert mi abbandonasse di nuovo mi teneva rinchiusa, mi impediva di abbracciare questa consapevolezza e di farla mia. E io giravo in tondo in quella gabbia, osservavo quella luce, dicevo a me stessa che il calore che sembrava offrire era solo il canto di una sirena, pronto a trascinarmi nell’abisso. Confidavo in quelle quattro sbarre come se fossero la mia salvezza, senza accorgermi che in realtà erano una prigione.
 
Non più.
 
Qualcosa sembra essersi sbloccato in me, come se un interruttore da tempo arrugginito fosse stato finalmente acceso.
Adesso ho capito che è inutile aggrapparmi a questa paura, convinta che mi salverà. Io non posso più essere salvata, è troppo tardi. Sono troppo coinvolta da Gilbert per uscirne illesa, qualsiasi cosa accada… Potrei scappare da lui anche per tutto il resto della mia vita; ma se dovesse sparire di nuovo non soffrirei meno di quella sera di due anni fa. Il dolore che proverei sarebbe assolutamente lo stesso: la stessa, identica disperazione.
E se la sofferenza sarebbe la stessa qualunque sia il caso, a che scopo dovrei negarmi anche la gioia splendente che riuscirei a trarne nel frattempo?
 
 
Sono sicura di sembrare posseduta quando, ancora ad occhi spalancati, mi giro a fissare i volti dei miei amici.
 
“Devo andare”.
 
 
Devo trovare Gilbert.
Devo dirgli che lo amo.
 
***
 
Ormai lontano da me, Feliciano lancia un’occhiata d’intesa ad Antonio, che mi ha osservato andare via a braccia conserte.
“Certo che provi sentimenti profondi per una persona che hai conosciuto questa sera, veh?” gli dice, incrociando le braccia, gli occhi color nocciola tinti di furbizia.
Antonio alza lo sguardo e si lascia sfuggire un sorriso. “Oh, certe volte dico cose talmente sceme!” esclama, portandosi una mano sugli occhi con fare teatrale.
“E poi non dite che è Francis quello intelligente”.
 
***
 

“…facevo più, mi dispiace”.
 
Sono ancora alla ricerca di Gilbert, quando sento queste parole.
Mi blocco in mezzo al corridoio che sto attraversando, cercando la fonte di quella voce. Osservo l’ambiente: non ci sono porte, se non quella di fronte a me, alla fine del corridoio. La parete che dà sul lato esterno è coperta da tende semitrasparenti, oltre le quali si staglia suntuoso un cielo stellato. In quel momento mi accorgo che, a poca distanza da me, una delle tende sta coprendo due figure intente in una conversazione.
La porta-finestra del balcone è aperta, per questo riesco a sentirli. Mi avvicino, incurante di interromperli: sento che se non confesserò subito a Gilbert ciò che ho finalmente realizzato, non riuscirò più a farlo. Ma è a quel punto che la voce di Ludwig mi blocca di nuovo.
 
“Le hai detto tutto?”
 
Stanno parlando di me. Ne sono certa. Ogni cellula del mio corpo sembra entrare in fibrillazione, spingendomi a abbassare i miei respiri, avvicinarmi alla parete, restare in silenzio.
La curiosità ha ucciso il gatto, Elizaveta, dice la voce di Francis dentro la mia testa. Era un detto che aveva imparato da Matthew, il giovane canadese con cui aveva una relazione, e che ripeteva di continuo ad Antonio, Gilbert e me quando ci immischiavamo negli affari degli altri.
La curiosità ha ucciso il gatto Liz dovresti andartene origliare è sbagliato perché sei ancora qui non fare la fine del gatto va’ via o interrompi la conversazio-
 
“No, non tutto. Ho cercato di essere il più generico possibile… Non volevo tradirti”.
 
Troppo tardi.
La curiosità ha preso il sopravvento sul mio corpo, schiacciando definitivamente la mia già poco rigida coscienza.
Perché rivelarmi la verità avrebbe tradito Ludwig? Cos’era davvero successo, in questi due anni?
 
“E cosa ti sei inventato, allora?” domanda il minore dei Beilschmidt. Non riesco a vederlo, ma sento dalla sua voce che sta sorridendo.
“Non mi sono inventato niente, io” ribatte Gilbert, offeso, “le ho detto che dovevo tirare fuori una persona dai guai, questioni dell’azienda. Che me la sono dovuta vedere brutta con mamma e papà”.
 
Ludwig non risponde. Cala il silenzio, tra loro due. Prego che abbiano qualcos’altro da dire, perché arrivata a questo punto, il bisogno di sapere come stanno le cose è diventato quasi fisico.
 
“Hai sentito la mamma, in questi giorni?” domanda Ludwig. La sua voce è piatta, atona. Sembra quasi che nasconda una nota di rimpianto, che mi confonde.
“L’ultima volta è stata tre giorni fa. Io- l’ho invitata a venire qui stasera”.
“Gilbert!”
“Senti, West, io – non ce la faccio a vederti così. Non sono riuscito a fare nulla per il vecchio ma la mamma, almeno la mamma, lei- lei deve capire. Deve. Torneremo a essere una famiglia, West! Tutti insieme. Io, tu, la mamma, Liz, e anche Feli.”
“Elizaveta? Gil, hai perso la scommessa. Non l’accetterà mai” Lo vedo scuotere la testa. Ormai ci sono così tante domande che affollano la mia mente, che non so quale risposta io desideri di più.
 
“Quella stupida scommessa… Mi chiedo come le sia venuto in mente. Già, adesso diventerà ancora più difficile convincerla, soprattutto considerando quello spocchioso pianista del cazzo che ha rovinato tutto… Ma in ogni caso non è questo il punto, West! Riuscirò a convincerla, devi credermi. E poi forse, se le parlassi anche tu-
“È troppo tardi, Gilbert”
D’improvviso, sento una mano sulla mia spalla. Mi giro di scatto, soffocando un urlo in gola per non farmi scoprire: a osservarmi divertito, un dito sulle labbra come per intimarmi di stare in silenzio, e un bicchiere di champagne, sta Feliciano. Gli rispondo con un sorriso e un cenno del capo, prima di ricominciare ad ascoltare abusivamente la conversazione tra i due fratelli.
 
“Non è mai troppo tardi! Io dico che ce la facciamo, West. Dobbiamo solo tentare!”
“Tentare è inutile, Gilbert. Per lei sono un disonore”
“Ma ti senti? È ridicolo! Niente può tenere separata una famiglia, e noi siamo una-
Non siamo una famiglia!
 
Sento Feliciano sussultare, accanto a me. È la prima volta che sento Ludwig urlare davvero – sento un brivido di paura correre lungo la mia schiena.
Non voglio immaginare cosa stia provando in questo momento il mio amico, che è sempre stato molto sensibile all’ira degli altri; per questo gli stringo la mano, e lo sento rilassarsi al mio tocco.
 
“Scusa, Gilbert, non volevo urlarti addosso. Non so cosa mi sia preso”.
Gilbert sospira, e appoggia una mano sulla spalla del fratello, come per consolarlo. “Lo so. So quanto tu sia soffrendo in questo momento… Vorrei solo poter fare qualcosa per aiutarti”
“Non penso che qualcuno possa aiutarmi, fratello. La realtà è quella che è. Per la mamma sono morto. Se sono arrivati a diseredarmi legalmente solo perché sto con Feliciano non credo proprio che -
 
 
Mi volto verso l’italiano, sconvolta dalla rivelazione.
Feliciano sta lì, immobile, gli occhi color nocciola spalancati dall’orrore. Pietrificato, osserva la schiena del proprio futuro marito come se non capisse; il suo petto si alza e si abbassa sempre più rapidamente, in affanno, e davanti al mio sguardo atterrito il bicchiere cade a terra, frantumandosi contro il marmo del pavimento con un rumore secco.
I due uomini di fronte a noi si girano sorpresi, giusto in tempo per vedere Feliciano scappare via, la testa fra le mani e il cuore in frantumi tra quei frammenti di cristallo. 



 
Buonasera a tutti! :3 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Mi ci sono impegnata davvero molto perché è il capitolo centrale, non solo perché è il capitolo in cui hanno un ruolo anche altri personaggi, ma è anche il momento in cui la vicenda ha una svolta: da qui l'universo di Elizaveta smette di essere centrato su Gilbert e si apre agli altri, alle loro storie, si incrocia con esse. Ci tenevo che venisse bene e spero di avercela fatta :)

Avete colto tutti i personaggi che hanno un cameo in questo capitolo? Stay tuned, fan della Spamano, perché potrei accidentalmente avere un'ideuzza per una OS sull'incontro tra lo spagnolo e Lovinito... Chissà.

E per restare sempre aggiornati, o perché volete dirmi quanto mi odiate per le attese mi volete bene, c'è la mia pagina Facebook IvyTheMoonBlossom - EFP. Siamo pochi, ma vi dico che riusciremo a conquistare il mondo, un giorno! :D 

Un bacione a tutti, e al prossimo aggiornamento <3
Ivy.

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