Regentage- Giorni di pioggia di hotaru (/viewuser.php?uid=42075)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Al cielo di Berlino e alle nuvole gonfie ***
Capitolo 2: *** "Mo Ghile Mear" ***
Capitolo 3: *** Un nodo alla gola ed un primo sguardo ***
Capitolo 4: *** In un giorno di pioggia ti rivedrò ancora ***
Capitolo 1 *** Al cielo di Berlino e alle nuvole gonfie ***
1- Al cielo di Berlino e alle nuvole gonfie
I versi citati
appartengono alla canzone "In un
giorno di pioggia" dei Modena City Ramblers. Tutta questa
storia ne trae ispirazione
Regentage–
Giorni di pioggia
"Noi non giocavamo.
Volevamo solo...
vedere il
sorriso di nostra madre ancora una volta."
(Alphonse Elric,
episodio 2)
Al
cielo di Berlino e alle nuvole gonfie
Quella sera ad Al fu concesso di terminare il lavoro un po' prima,
vista l'aria di festa che c'era in giro. Fece gli auguri al padrone
della farmacia, sentendosi un po' in colpa per i grammi di medicina che
ogni tanto regalava a Wilhelm, e uscì nella Berlino innevata.
Si era ormai al 31 dicembre 1923. Malgrado la povertà e la
forte
crisi, le luci lungo le strade annunciavano che la gente voleva
festeggiare il nuovo anno come si deve, sperando in un miglioramento
delle cose.
Le neve era ghiacciata in diversi punti, e bisognava prestare una certa
attenzione a dove si camminava.
Sorridendo in una nuvola di vapore, Al si diresse verso casa. Era ormai
da qualche settimana che lui e Ed abitavano presso una famiglia alla
quale li aveva indirizzati Noa; erano rimasti non poco sorpresi quando
avevano visto che i vari membri avevano le facce di Winry, del
colonnello Mustang e del tenente Hawkeye. Tuttavia, nonostante lo
spaesamento iniziale- sembrava quasi assurdo abitare con delle persone
che già
conoscevano,
mentre costoro li reputavano dei perfetti estranei- si erano ambientati
presto. In un certo senso, era un po' come essere a casa.
Non poté fare a meno di sorridere- di nuovo- mentre
osservava il cielo scuro sopra di sé.
E, a volte, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa.
Perché
malgrado lui e Ed si fossero lasciati il loro mondo alle spalle,
malgrado fosse probabile che nel giro di un decennio sarebbe scoppiata
un'altra guerra, era felice.
Era felice di svegliarsi ogni mattina al caldo delle coperte, con la
punta del naso ghiacciata per la temperatura che c'era fuori dalla tana
del suo letto.
Era felice di alzarsi senza udire alcun clangore metallico; al massimo
gli scrocchiavano le giunture, ma per quello bastava un po' di
ginnastica.
Era felice di vedere la propria faccia
riflessa nello specchio, piena di goccioline deliziosamente gelate
mentre se la lavava. Era felice di rivedere le sue orecchie.
Per parecchio tempo, aveva perfino rischiato di mettersi a piangere
dalla gioia ogni volta che per qualche motivo si feriva e gli usciva
del sangue.
Sangue.
Dopo averne visto a litri, nel corso delle loro avventure, finalmente
poteva guardare il suo.
Percepirne il calore; sentirne in bocca il gusto ferroso e leggermente
acidulo. Non era mai stato così contento di farsi male.
E adesso, finalmente, era di nuovo con suo fratello. L'unico brandello
di famiglia che gli fosse rimasto.
Si sentiva terribilmente egoista, perché il mondo attorno a
loro
stava rotolando giù per una discesa senza fine, verso un
burrone
di cui non si scorgeva il fondo.
Ma non poteva fare a meno di sentirsi anche terribilmente
felice.
- Salve! - una voce ormai familiare lo riportò alla
realtà.
- Ciao. Come sta tua madre? -.
- Meglio, anche perché sono riuscito a comprare un po' di
carbone e nella soffitta c'è meno freddo -.
La persona che l'aveva salutato era Wilhelm, un ragazzino berlinese che
in quel mondo aveva la stessa faccia di Wrath. E, come Wrath, teneva
moltissimo a sua madre.
- Ne sono felice -.
- Senti, Al – ormai aveva preso parecchia confidenza; poteva
quasi dire di averci fatto amicizia – Sei mai stato nella
Herzstraße? -. (¹)
- “Herzstraße”? No, veramente non l'ho
mai sentita nominare -.
- In realtà non è il suo vero nome – si
corresse
Wilhelm, pensieroso – Ma tutti la chiamano così...
quindi
non ci sei mai stato? -.
- No – veramente c'erano un sacco di posti in cui non era
ancora andato.
- Allora ti ci porterò, ma non adesso: c'è troppo
buio – decise lui.
- Cosa c'è di tanto speciale? Una chiesa? -.
- Eh? - Wilhelm quasi si mise a ridere – No, certo che no!
Ogni
tanto ci fanno un piccolo mercato, ma non è questo il bello.
Comunque vedrai -.
Si voltò e corse via, in quella maniera improvvisa a cui Al
aveva ormai fatto l'abitudine.
- Ehi, Will! - lo chiamò, anche se lui era quasi arrivato in
fondo alla strada – Buon anno! -.
Forse il ragazzino lo sentì, perché
alzò un
braccio verso di lui, per poi ricominciare a correre. Pazzesco che non
rischiasse mai di scivolare su una lastra di ghiaccio.
- Herzstraße...
-
mormorò Al, assaporando il suono duro di quella parola
–
Chissà cos'avrà di tanto speciale... -.
In realtà gli ci volle qualche settimana per scoprirlo.
Verso
l'inizio di febbraio la morsa del gelo si attenuò un poco:
una
perturbazione proveniente da ovest alzò la temperatura,
facendo
sì che invece della neve dal cielo cadesse la pioggia.
Tutta quell'acqua riempì le strade di un pantano
incredibile:
parte della neve si sciolse, mescolandosi a terra e polvere in una
fanghiglia scivolosa che a volte era peggio del ghiaccio.
Fu in una di queste mattine che Wilhelm intercettò Al,
mentre usciva dalla farmacia allo scoccare della pausa pranzo.
- Hai tempo? - gli chiese il ragazzino, arrivato di corsa dalla
falegnameria in cui lavorava.
- Certo -.
- Allora andiamo! -.
Al si sentì quasi lusingato da tutta quella premura: di
solito
durante il pranzo Wilhelm correva dalla madre, invece quella volta era
venuto da lui.
Si incamminarono, mentre il maltempo dava loro un po' di tregua. Il
cielo sembrava incombere sulla terra, tanto era pieno di nubi scure, ma
al momento nessun rovescio si era ancora abbattuto sulla
città.
Stando dietro al ragazzino, Al perse ben presto l'orientamento: aveva
smesso di cercare di memorizzare il percorso molti vicoli prima, mentre
Wilhelm filava come un gatto, senza alcuna esitazione.
In realtà non dovettero metterci molto, perché
presto il ragazzino esclamò:
- Eccola qui -.
Al guardò, e vide semplicemente una via berlinese. Piuttosto
stretta, senza auto.
- Ah, sì? - domandò, cercando di capire
perché fosse stato condotto lì.
- Non fare quella faccia! Il bello è più avanti
– e
Wilhelm si incamminò lungo il marciapiede, seguito da Al.
Al che, man mano che avanzavano, non poté fare a meno di
lasciarsi andare al più genuino stupore.
- Ma... questo... che
cos'é? - domandò infine, stupefatto.
- La Herzstraße. Il cuore di Berlino –
dichiarò
Wilhelm, pienamente soddisfatto della reazione di Al – Fanno
tutti la stessa faccia, quando la vedono la prima volta -.
Al era ancora a bocca aperta, intento a bere ogni singolo particolare
di quel... di quella meraviglia.
- È... bellissimo
– non trovò altre parole, ma quella non era
neanche lontanamente sufficiente.
- Già – Wilhelm annuì, mettendosi ad
ammirarlo a sua volta.
Quello che stavano guardando era una specie di museo a cielo aperto.
Lungo una parete sotto un portico erano appesi quadri di ogni sorta,
qualche specchio e quadretti con immagini per bambini.
A terra, in una rientranza del muro, stavano pentole in rame, un
mantice, un parafuoco e perfino degli alari per camino.
Dopo averlo osservato a lungo, Al si voltò verso Wilhelm.
Doveva
avere un'espressione piuttosto interrogativa, perché il
ragazzino rispose subito:
- Da quel che so, ha cominciato un vecchio signore che aveva perso la
moglie e la casa durante un bombardamento. Si era salvato solo un
quadro, e l'ha appeso qui. Due giorni dopo qualcuno ha fatto lo stesso.
E così via -.
- Quindi... tutte queste cose si sono salvate da case bombardate
durante la guerra? -.
- Non solo. All'inizio era così, ma poi hanno iniziato a
portare
qualcosa anche quelli che erano riusciti a salvare tutto. E chi poi ha
cominciato ad andarsene, verso l'America, prima di partire ha portato
qui un piatto o un'immagine religiosa. Neanche fosse una chiesa
–
scherzò infine.
No, non era una chiesa, ma Al poteva capire. Quelle cose ricordavano
alla gente la propria casa e tutto ciò che era loro caro.
Anche
se abitazioni e famiglie erano ancora intere, era stato importante
portarci qualcosa di significativo. Perché, se i cuori della
gente erano stanchi e le loro pance vuote, lì sopravviveva
Berlino.
- È o non è il cuore della città? -
chiese
orgoglioso Wilhelm – Ancora adesso, ogni tanto qualcuno porta
qualcosa -.
- E tu? - domandò Al – Che cosa ci hai messo? -.
Il ragazzino sorrise, avvicinandosi al muro.
- Questo – indicò una specie di piatto rotondo,
con
l'immagine di un bambino accovacciato davanti a dei topi, forse ripresa
da una fiaba – Avrei potuto portarlo nella soffitta in cui
viviamo adesso, ma mi piaceva di più l'idea di averlo qui.
Tanto
nessuno ha mai rubato niente -.
- Ma scusa... e quanto piove o nevica come fate? Non rischiano di
rovinarsi? -.
Wilhelm scosse la testa.
- Se ne occupano gli abitanti di questa via. Al primo accenno di
maltempo sistemano un grosso telo che copre il porticato,
così
non entra niente ma la gente può continuare comunque a
vedere il
muro. Ci tengono molto, sai? Attira un sacco di persone -.
- Ah, lo immagino -.
Al sorrise, tornando ad ammirarlo. Era splendido, quasi un rito di
devozione laica. Anche se si era ancora nel pieno dell'inverno,
all'aperto, in un certo senso quello era il punto più caldo
di
tutta Berlino.
Ma la tregua durò poco. I vecchi dicevano che non si era mai
vista tanta acqua, tuttavia una settimana più tardi Al non
resistette più: durante la pausa pranzo, sotto la pioggia
battente e un vento quasi dispettoso, si incamminò alla
volta
della Herzstraße.
Durante il ritorno, la volta precedente, erano andati più
lentamente perché Wilhelm potesse spiegargli la strada
vicolo
per vicolo, e adesso era sicuro di saperla ritrovare.
Ombrello in mano, incurante della pioggia che gli inzuppava i
pantaloni, riuscì ad arrivarci in un tempo relativamente
breve.
Wilhelm aveva ragione: ora davanti al muro era stato accuratamente
sistemato un grande telone che lo riparava dalle intemperie. Vi si
infilò sotto, notando che un lampioncino sul soffitto del
porticato illuminava quella porzione di spazio in modo quasi intimo.
E ogni pezzo era ancora al proprio posto: aveva quasi dell'incredibile
che nessuno avesse cercato di rubare perlomeno una pentola, visti i
tempi che correvano.
Si mise ad osservare ogni quadro da vicino, provando ad immaginare il
motivo che avesse spinto i loro padroni a portarli lì. Che
cosa
c'era di così importante, nell'immagine di quella locanda
affollata, da dover mostrare alla popolazione dell'intera
città?
Quale ricordo portava con sé quel quadretto di fiori di
campo? E
quella cartina geografica?
Al era talmente immerso nelle sue congetture da non accorgersi che il
telone si era alzato di nuovo, e che qualcun altro si era infilato in
quell'angolo accogliente.
In quel momento era impegnato ad osservare un grande quadro
rappresentante una casa su un fiume, con vari alberi sullo sfondo. Non
ne era sicuro, ma non credeva che si trattasse di un quadro dipinto dal
vivo. Aveva un non so che di...
- Ti piace quel quadro? - chiese una voce al suo fianco, che lo fece
quasi sobbalzare perché pensava di essere ancora solo.
- Come? Ah sì, io... - si voltò e l'aria gli
mancò. La cercò, ma per un momento
annaspò nel
vuoto.
- Tutto bene? - chiese il suo interlocutore, una ragazza di forse
quindici anni.
Si impose di calmarsi, perché si rese conto di stare
fissando
ogni singolo particolare del suo viso, e lei stava cominciando a
spaventarsi.
- Io... sì, sto bene – riuscì ad
articolare,
costringendosi a distogliere lo sguardo – È solo
che...
non mi ero accorto che fosse arrivato qualcun altro -.
- Oh, sono silenziosa quando voglio – sorrise lei.
Ad Al ronzavano le orecchie, e il cuore gli martellava in gola; non
riusciva più a pensare ad altro se non che accanto a lui
c'era sua madre.
Sua madre che in realtà era morta. Sua madre che avevano
cercato
di riportare in vita con una trasmutazione umana. Sua madre di cui un
homunculus non era stato che la pallida ombra. Sua madre che era
lì, al suo fianco, e dimostrava sì e no quindici
anni.
- Allora? Ti piace questo quadro? - domandò lei di nuovo,
indicando l'immagine che Al stava guardando poco prima. Poco prima che
il cielo sopra Berlino gli cadesse addosso.
- Sì – respirò a fondo – Mi
piace perché... esprime una nostalgia struggente -.
Ecco cos'era quel “non so che” che sentiva prima.
Finalmente era riuscito a definirlo.
- Già, è così – la ragazza
sorrise, di quel
sorriso dolce che forse avrebbe fatto scoppiare Ed a piangere in mezzo
alla strada – L'ha dipinto mio fratello -.
- Davvero? -.
- Sì, lui... ha dipinto casa nostra, in Irlanda –
i suoi
occhi azzurri sorrisero – L'ha dipinto per me,
perché io non l'ho mai vista -.
- Non l'hai mai vista? -.
Lei scosse la testa.
- I miei sono emigrati qui prima che nascessi, ma... - si
voltò
verso di lui, scuotendo i capelli castani raccolti in una treccia
morbida – Sono irlandese fino al midollo -.
Sembrava avere un certo carattere, cosa che non ricordava molto di sua
madre.
- Davvero? Beh... nemmeno io sono mai stato in Irlanda –
finora
di quel mondo aveva visto solo la Germania, ma non gli sarebbe
dispiaciuto girovagare un po'. Non dopo che il loro mondo l'avevano
percorso in lungo e in largo.
Lei sorrise di nuovo.
- E tu? Ci hai portato qualcosa? O qualcuno della tua famiglia,
è chiaro -.
- Io... veramente questo posto l'ho scoperto da poco. Me l'ha mostrato
un ragazzino che conosco -.
- Quindi non vivi a Berlino da molto -.
- No, infatti – rispose Al.
La ragazza annuì, come chi comprende perfettamente una
situazione.
- Già, questo non è un posto che qualunque
forestiero può conoscere – affermò.
Al avrebbe avuto centinaia- migliaia-
di cose da chiederle, da dirle, ma non ce n'era nessuna che non
suonasse come la fantasia di un visionario.
Anche perché quella non era sua madre, ovviamente. Ma la
logica
non riusciva ad impedire al cuore di impazzire nel pantano della
nostalgia, tanto che stava cominciando a sentire un pericoloso nodo
alla gola.
- Beh, devo andare – disse lei ad un certo punto, sorridendo
al quadro – Ma tu guardalo pure quanto vuoi, sai -.
- Grazie – non trovò di meglio da dirle, mentre la
ragazza
gli faceva un cenno di saluto e usciva dalla nicchia asciutta sotto il
telone, tornando al vento e alla pioggia senza che lui potesse farci
niente.
È in un giorno di
pioggia che ti ho conosciuta...
Nel corso dell'intera giornata non riuscì a pensare ad
altro. Ci
pensò tanto che alla fine quell'incontro assunse i contorni
indefiniti di un sogno, come se si fosse immaginato tutto.
Oh, ma lui sapeva bene che non era così.
Ci pensò tanto che si scordò incredibilmente di
dirlo a Ed. O forse non
volle dirlo a Ed; solo per un po'.
Il giorno successivo, naturalmente, si precipitò nella
Herzstraße non appena scoccò il mezzogiorno.
Pioveva-
ancora- e non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo
quando
si infilò sotto il telone e la trovò
già lì.
- Ehi, salve! - fece lei – A quanto pare nessuno riesce a
stare lontano da questo posto -.
- Già – convenne Al, anche se non era esattamente quel posto ad
averlo attirato lì.
- Io non riesco a stare lontana da questo quadro – disse
–
È l'unica cosa che mi è rimasta di mio fratello -.
- Vuoi dire che è... - Al non completò la frase,
ma la ragazza sembrò capire perché scosse la
testa.
- Oh no, non è morto. Ma è così
lontano che
è come se lo fosse – si morse le labbra
– Se
n'è andato in America, dopo la fine della guerra. Ogni tanto
scrive, ma... non è la stessa cosa -.
- Sì, capisco – disse Al, avvicinandosi
– Sai,
anch'io ho un fratello, e ne sono stato separato per circa due anni. Ma
ti posso assicurare che il tempo non cambia nulla -.
- Lo spero – sospirò lei, rabbuiandosi
leggermente, ma si riprese subito: - A proposito, io mi chiamo Tiarnan
-.
Gli tese una mano, che lui strinse quasi con riverenza. Strano,
però: quando la toccò non ebbe alcuna sensazione
di
déjà vu. Era la semplice mano di un'estranea con
cui
stava facendo conoscenza.
- Non mi sembra un nome tedesco – osservò.
- No, infatti. Te l'ho detto che sono irlandese fino al midollo
–
anche sotto quella pallida luce, notò come quegli occhi
color
dell'acqua scintillassero d'orgoglio.
- Io sono Alphonse – si presentò lui –
Ma nessuno mi chiama così -.
- Al, allora? -.
Annuì, mentre fuori da quel riparo improvvisato la pioggia
continuava a cadere a rovesci.
- Sei francese? - domandò ancora lei.
- No, ma... vengo da piuttosto lontano -.
- Più lontano dell'Irlanda? -.
Al ci pensò su un attimo.
- Abbastanza – rispose infine.
- Oh, io non so niente di geografia – fece Tiarnan
– So a
malapena che l'Irlanda si trova a ovest, nella direzione in cui
tramonta il sole e da cui proviene il vento che porta la pioggia -.
Tacque un momento, ascoltando.
- Esattamente questo qui -.
E il vento dell'ovest rideva
gentile...
(¹) Letteralmente, “via/strada del cuore”,
in tedesco
Questa storia si
è classificata prima al contest “Vedo,
sento, scrivo- immagini, musica, storie” di
elos.gordon e SaliceMcMay. Un risultato che mi sembra ancora
incredibile, e non posso che esserne contenta.
Dovevamo basarci su
un'immagine (questa)
e una canzone- io ho scelto “In un giorno di
pioggia” dei Modena City Ramblers- per scrivere la nostra
storia.
Ringrazio infinitamente
le giudici e faccio i miei complimenti a tutti gli altri partecipanti!
Come dice
l'introduzione, questa fic
è uno spin-off dell'altra mia storia “Die Uhr-
L'orologio”, ma secondo le giudici la si poteva leggere anche
senza conoscere la fic di partenza... a voi la scelta.
Spero che vi possa
piacere, e qualsiasi commento è sempre ben accetto! ^^
Rispondendo alle
recensioni dell'ultimo capitolo de “Die Uhr-
L'orologio”:
Rain e Ren:
caspita, hai trovato nella storia dei significati a cui io stessa non
avevo pensato, ma hai perfettamente ragione! È
tutto un
cerchio, come in effetti dici tu- qualsiasi riferimento ai
“cerchi alchemici” è puramente casuale-
XD. La frase
“Il tempo gira in tondo” mi ha colpito fin dalla
prima
volta che l'ho letta, mi ha praticamente aperto un mondo.
Bene, la teoria dello
scambio
equivalente tra i due mondi sta prendendo piede. ^^ Scherzi a parte,
sono felicissima che la storia ti sia piaciuta, dall'inizio alla fine,
e ti ringrazio di avermelo fatto sapere!
Spero davvero che possa
piacerti anche questa.
Birby:
a dire il vero Bradley e Mei non so chi siano, dato che non ho mai
seguito la serie “Brotherhood” o letto il manga...
comunque
qui un pairing ci sarà, e anche piuttosto inaspettato.
Guarda, pensare che la
chimica
è molto simile all'alchimia mi ha aiutato quando dovevo
studiare
per qualche compito. XD Comunque sì, il legame
c'è.
Sono contenta che il
finale ti sia
piaciuto, temevo risultasse un po' troppo “aperto”,
perché in effetti non conclude niente. E spero che ti
piaccia
anche questa storia. ^^
Ezzy O: l'altra
storia si è conclusa, ma la serie continua... non vi
libererete di me tanto facilmente. XD
Sono lusingata che tu
l'abbia inserita nei Preferiti, davvero. E... sì, di altri
lavori ne ho in mente parecchi. ^^
Musa Talia:
sì, la tua risposta al mio commento è arrivata. A
quanto
pare il nuovo sistema funziona, per fortuna! Prima anche a me capitava
che, utilizzando il servizio “Contatta”, le mail
non
arrivassero...
Come vedi, in
realtà questo
spin-off è ambientato durante l'altra storia e, in termini
temporali, termina prima della fine dell'altra. Detto così
può sembrare un po' complicato, ma spero che andando avanti
le
cose si chiariscano. ^^
Ti ho spoilerato un po'
la storia, ma neanche di tanto- spero- e mi auguro che possa essere
all'altezza delle aspettative.
Sono contenta che il
finale
dell'altra abbia funzionato: temevo che potesse risultare troppo
aperto, invece così non è stato... Oh,
“Bratja” commuove anche me: riguardando la prima
serie,
ogni volta che si sentiva in sottofondo (in momenti particolarmente
studiati, oltretutto), mi si strizzava il cuore.
Grazie ancora per aver
recensito puntualmente ogni capitolo, mi ha fatto davvero piacere! ^^
Shatzy:
oh, il bambino ci sarà, eccome se ci sarà! Ma
bisognerà attendere un po', perché questo spin-off
è ambientato in contemporanea all'altra storia. Sarà
più breve, comunque.
Devo dirlo ancora quanto sia contenta che la long ti sia piaciuta? Beh sì, lo ripeto. ^^
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Capitolo 2 *** "Mo Ghile Mear" ***
2- Mo Ghile Mear
"Mo
Ghile Mear" (¹)
"Non ricordi?
Quel giorno pioveva a
dirotto..."
(Alphonse Elric,
episodio 27)
Al cominciò a recarsi alla Herzstraße ogni singolo
giorno, per l'intero intervallo della sua pausa pranzo. E anche quella
ragazza c'era praticamente sempre.
Tuttavia, un giorno in cui aveva fatto capolino un pallido sole
dall'aria malaticcia e il telone era stato rimosso, non aveva trovato
nessuno. Il cielo era rimasto sereno anche il giorno dopo, e quello
dopo ancora, e Al stava seriamente iniziando a chiedersi se l'avrebbe
più rivista.
Quasi incosapevolmente, cominciò ad aspettare. Ad aspettare
la pioggia, che giunse di nuovo il martedì successivo,
giorno in cui agguantò l'ombrello e corse nella
Herzstraße.
Ed eccola lì.
Quando lei gli sorrise, non gli sembrò affatto sua madre.
- Piove di nuovo, hai visto? -.
- Già – rispose Al. E sembrava che lei arrivasse
appunto con la pioggia.
- Hanno portato qualcosa di nuovo – lo informò.
Al si avvicinò e vide che gli stava indicando una specie di
vaso lavorato, dalla forma bombata e il collo più stretto.
- Cos'é? Un vaso da fiori? -.
- Forse – rispose Tiarnan, osservando quel curioso oggetto
con aria perplessa – Ma l'importante è che sia qui
-.
Era sintetica, quando parlava. Schietta e sintetica. Da quel punto di
vista, non somigliava molto alla sua sosia dell'altro mondo. Ma d'altra
parte lui ricordava una madre, non una donna.
- Posso chiederti perché ci sei solo quando piove? - le
chiese all'improvviso.
- Mi credi una fata della pioggia o qualcosa del genere? -
domandò lei, sorridendo come se le avesse fatto un
complimento. Poi scosse la testa – Oh, in realtà
è molto più semplice: do una mano in una
bancarella al mercato qui vicino, ma quando piove la gente è
così poca che non c'è quasi lavoro.
Così mi mandano a casa, e prima di rientrare faccio un salto
qui -.
Al annuì. Sì, in effetti era logico.
- E tu? - chiese Tiarnan.
- Lavoro in una farmacia -.
- Davvero? Allora significa che hai studiato -.
Oh, sì. Per giorni e giorni, in realtà, notti
intere passate sui libri.
- Sì, ma non qui – precisò.
- Per me è già tanto saper leggere e scrivere. E
far di conto, ovviamente, perché i soldi è sempre
meglio saperli contare -.
Esibiva la logica ferrea di chi è abituato a sopravvivere
con poco. Ma in fondo, pensò Al, sua madre aveva mandato
avanti per anni una casa tutta da sola. Di senso pratico doveva averne
avuto parecchio anche lei, ma lui e Ed erano forse troppo piccoli per
rendersene conto.
Tiarnan sembrò tendere le orecchie.
- Mi sembra stia spiovendo. Quasi quasi faccio un salto al mercato a
vedere se hanno bisogno di me – scostò il telone,
aprendo un ombrello un po' sbrindellato – Ciao, Al! -.
- Ciao – la salutò lui, alzando una mano.
Uscì anche lui da quel riparo confortevole, iniziando a
dirigersi tranquillamente verso la farmacia. Alla fine della pausa
mancava ancora un po', e si ritrovò col naso
all'insù ad osservare il cielo coperto.
A sperare che la pioggia non dovesse più smettere.
Il giorno successivo non pioveva: diluviava.
Mentre Al agguantava l'ombrello, il padrone della farmacia lo
chiamò:
- Alphonse, ma dove vai con questo tempo? Se vuoi puoi restare qui
durante la pausa, non c'è alcun problema -.
- La ringrazio, ma devo proprio andare. Ci vediamo più tardi
– e infilò la porta, infischiandosene del fatto
che in effetti
avrebbe anche potuto beccarsi una polmonite. Fosse stato ancora
un'armatura vuota, non avrebbe corso alcun rischio. Si mise quasi a
ridere: la stava forse rimpiangendo?
"Oh, no" pensò "Questo mai." Meglio ammalarsi e morire,
piuttosto.
Era ormai arrivato e stava giusto avvicinandosi al telone, che un suono
nella pioggia lo fece fermare un momento. Lo scroscio era talmente
potente che non era davvero sicuro di sentirlo: forse se lo stava solo
immaginando. Un suono che somigliava a un canto, una melodia fatta
d'acqua.
Fu solo quando sfiorò finalmente il telone, che si rese
conto che la voce proveniva da lì dentro. Quella canzone
aveva anche delle parole, che tuttavia non capiva. Forse si trattava di
una lingua straniera.
Aveva quasi timore a scostare il telone ed entrare. Non era affatto
sicuro di trovarsi ancora a Berlino, in quello che lì era il
febbraio 1924. Che anno era ad Amestris? E che tempo faceva, in quel
momento, a Resembool? Pioveva anche lì?
Respirò a fondo, poi si decise ed entrò. E
trattenne il respiro quando vide che a cantare era lei. Anche se, in
qualche modo, lo sapeva già.
- Ciao – lo salutò Tiarnan, sorridendo come se lo
stesse aspettando – Sei venuto anche oggi -.
- Che cos'era? - chiese Al, ignorando le sue parole, ancora perso
dentro a quella melodia.
- La canzone? O la lingua? -.
- Tutte e due -.
- Una vecchia canzone in irlandese. A me non riesce molto bene, ma se
vuoi te la faccio sentire ancora -.
Al annuì, e lei prese fiato e cominciò.
- Is è mo
laoch, mo ghile mear... -. (²)
Di nuovo, ecco che quelle strane parole si intrecciavano alla pioggia e
al vento. Non aveva mai sentito una lingua simile.
- Is è mo
Shaesar, ghile mear... -.
Non sapeva cosa significassero quei versi, eppure in un lampo rivide
lui, Ed e Winry che si precipitavano in casa allo scoppio di un
temporale. Rivide tutti e tre infilarsi in camera di Winry, a giocare,
mentre zia Pinako preparava una cioccolata calda per tutti. Rivide
sé e Ed correre poi sotto la pioggia, mentre la loro madre
li guardava dalla finestra e li aspettava.
- Ni fhuras fein aon
tsuan as sean... -.
Sentì i brividi corrergli lungo la schiena- non solo per
l'acqua che aveva preso- e per un momento pensò che sarebbe
scoppiato a piangere lì di fronte a lei. Che avrebbe sentito
di nuovo quella strana acqua calda e salata scorrergli lungo le guance.
- O chuaigh i gcein mo
ghile mear... -.
Tiarnan si fermò.
- Questi sono i primi versi – disse – Terribili,
non è vero? Mio padre piange ogni volta che glieli canto -.
- Di... di cosa parlano? - riuscì a chiedere Al, ingoiando a
fatica il magone.
- "Lui è il
mio eroe, il mio amore. Lui è il mio cesare, il mio amore.
Non ho trovato felicità o riposo, da quando il mio amore
è partito" – tradusse lei, per poi
fare una leggera smorfia – Una delle tante canzoni su donne
rimaste sole ad aspettare il loro uomo. Le donne rimangono sempre a
casa, e quelli non tornano più -.
Al sorrise, di un sorriso amaro. Quanto era vero.
- Forse è solo un modo per parlare della nostalgia
– ipotizzò, visto tutto ciò che gli
aveva suscitato quella canzone.
- Già, forse è così – gli
diede ragione Tiarnan – Altrimenti perché mio
padre dovrebbe piangere, con mia madre nella stanza accanto? -.
- Magari piange per la terra che ha lasciato. Per tuo fratello -.
Tiarnan smise di scherzare, e lo guardò seria. Per un
istante, Al temette che si sarebbe messa a piangere anche lei. Ma non
accadde. In effetti, pensò, non aveva mai visto piangere
nemmeno sua madre.
La ragazza rivolse la propria attenzione al quadro appeso al muro.
- A volte penso che questo quadro non sia poi molto realistico
– ammise – Se i miei l'hanno abbandonata,
l'Irlanda, è perché là facevano la
fame. Ma i ricordi sono sempre migliori della realtà, non
trovi? -.
Sospirò.
- Sai, a volte sono quasi contenta di sapere che forse non la
vedrò mai. L'ho immaginata per così tanto tempo
che forse, se la vedessi, ne rimarrei delusa -.
Al si avvicinò.
- Io non credo. Se chi se n'è andato la sogna ancora, se
canta ancora le sue canzoni, un motivo ci deve essere –
sorrise, cercando di scherzare – Dicono che i grandi amori
non si dimenticano -.
Tiarnan lo guardò, speranzosa. E in quel momento non gli
sembrò più sua madre. Non riusciva a capire come
avesse fatto a pensarlo. Con Trisha Elric lui e Ed erano sempre stati
costretti ad alzare la testa per guardarla, come si faceva con il cielo
e con il sole. Con quella ragazza, invece, doveva abbassare lo sguardo
di qualche centimetro.
- Se un giorno racimolassi abbastanza soldi per il viaggio... verresti
con me? - chiese lei.
- Cosa? - lo disse piano, per non disturbare il suono della pioggia.
- Non hai detto che neanche tu ci sei mai stato? E io conosco la lingua
-.
Improvvisamente quella proposta non gli sembrò per niente
strana. Perché no?, si chiese infine. Lui e Ed avevano
ancora un compito da portare a termine, ma dopo... non avevano mai
pensato a un dopo.
- Io... devo ancora fare una cosa qui a Berlino. Con mio fratello
– disse.
- E dopo? -.
Al scosse la testa, sorridendo leggermente.
- Non c'è un “dopo”. Almeno per adesso -.
Tiarnan tacque, in attesa.
- Ci penserò – disse infine Al, e lei rispose
annuendo.
Fu il rintocco di una campana che scandiva l'ora a riportarli alla
realtà.
- Oh... accidenti! Devo andare! - Al scrollò l'ombrello e si
apprestò a rituffarsi nel diluvio – Ciao! -.
Andò così di fretta che non vide il sorriso che
illuminava il volto della ragazza. Un sorriso che non era affatto quello di
una madre.
Tuttavia, correndo per le strade ormai simili a torrenti, Al
pensò che forse era ora di dirlo anche a Ed.
Chissà come l'avrebbe presa.
- TU COSA? -.
Non bene.
- Fratellone, non gridare così. Ci sentiranno anche Win e la
signora Eliza, chissà cosa penseranno... - cercò
di calmarlo Al.
- Non m'importa! - malgrado queste parole, Ed moderò il tono
– Tu... come...
la mamma? -.
Al annuì ancora una volta, seduto sul letto della loro
stanza.
- Sì – disse semplicemente – Ma
è più giovane -.
- Quanto più giovane? -.
- Avrà circa quindici anni... - rispose Al, dopo averci
pensato su un momento.
- Va bene, va bene. Non è questa la cosa più
importante – Ed prese fiato, guardando storto suo fratello
– Perché diavolo
non me l'hai detto? -.
Ecco, questo non lo sapeva nemmeno lui.
- Non lo so – ammise. Non riusciva a trovare una spiegazione
nemmeno adesso.
- Quante volte l'hai vista? -.
- Un po'... - Al sorrise – Ma solo quando piove -.
Ed assottigliò gli occhi.
- Il corpo di Sloth era composto interamente d'acqua –
osservò, pensoso.
- E questo cosa c'entra? La vedo quando piove semplicemente
perché ha meno lavoro al mercato, è solo un caso
-.
Ed scosse la testa.
- A me sembra che qui in mezzo niente
sia un caso -.
Al fece per rispondere, ma poi sorrise, ricordando in casa di chi stavano.
- Già – ammise.
Ed guardò fuori dalla finestra.
- Dici che domani pioverà? - domandò, ansioso.
Al fece del suo meglio per rimanere serio. All'improvviso suo fratello
sembrava dimostrare dieci anni di meno; era sicuro di non essersi
sbagliato di molto quando aveva pensato che, se fosse stato Ed a
incontrarla per primo, sarebbe scoppiato a piangere in mezzo alla
strada. Malgrado fosse trascorso tutto quel tempo. Malgrado avessero
passato cose ben peggiori.
E lui che, invece, andava man mano dimenticandosi i lineamenti di sua
madre; nonostante avesse incontrato Tiarnan.
- Va bene, domani ci andiamo – decise Ed – Ci
sarà anche se è domenica, non è vero?
-.
Al sorrise, mostrandosi tranquillo.
- Sono sicuro di sì -.
(¹) “Il mio amore”, in irlandese
(²) “Mo
ghile mear”: canzone irlandese che
apre “In un giorno di pioggia”
Rain e Ren: la
storia continua, certo! È uno spin-off di qualche capitolo,
non troppo lungo né troppo corto. ^^
Si saprà
anche di tutti gli altri, non temere, ma a tempo debito. Intanto mi
concentro su Al, che personalmente adoro, perciò questa fic
è tutta per lui.
Leggendo la tua
recensione mi son detta: che bella introduzione, potrei fare un
copia-incolla e utilizzarla da qualche parte... mi sa che un pensierino
ce lo faccio. ^^ Ad un certo punto mi sono anche chiesta: ma
starà davvero parlando di qualcosa che ho scritto io?
Perché è davvero... ispirante, sono rimasta
incollata allo schermo a leggere più volte il tuo commento,
credimi. E ti ringrazio tantissimo!
Birby: ah,
l'immagine di Al che corre sanguinando e Ed che lo insegue è
fantastica, lasciamelo dire! E anche realistica, secondo me
è successa davvero. ù_ù
Comunque le sensazioni
di Al quando ha riavuto il suo corpo devono essere state
così intense che faccio fatica ad immaginarmele; ho provato
a darne un assaggio nello scorso capitolo, ma se solo ci penso mi
commuovo... Al! ^^
Felice che l'idea di Al
che incontra sua madre ti sia piaciuta. Dovevo ancora finire
“Die Uhr- L'orologio”, quando questa idea mi ha
colpita come un fulmine a ciel sereno: “E se per caso
incontrassero Trisha Elric...?”. All'inizio non pensavo di
scrivere qualcos’altro oltre all'altra storia, ma dopo
un'idea del genere non potevo più farne a meno. Ho provato
ad immaginarmi le reazioni dei due fratelli, specialmente se ad
incontrarla per primo fosse stato Al, ed ecco spuntare questa storia...
che spero continui a piacerti!
Shatzy: no, la strada l'ho
inventata di sana pianta, dall'immagine prompt del contest- ho messo il
link nello scorso capitolo. Il fatto che Trisha/Tiarnan sia irlandese,
poi, l'ho voluto inserire come collegamento alla canzone su cui mi sono
basata (“In un giorno di pioggia”)... anche se chi mi
conosce sa che con l'Irlanda sono piuttosto fissata. ^^
E sì, questa comparsa inaspettata non sarà affatto un
problema... ci mancherebbe! Diciamo che ha solo scombussolato un po' le
vite di Ed e Al... anche se non è che ne avessero proprio
bisogno. XD
MusaTalia: mi spiace per il tuo
esame... magari è andato meglio di quello che pensi,
chissà. Comunque in bocca al lupo per gli altri. ^^
Se l'altra storia finisce a marzo, questa è ambientata nel mese
di febbraio. Inoltre non credo di spoilerare niente se ti dico che in
questa fic Rod e Liza non ci saranno- ma dopo questa avranno una storia
tutta per loro, quindi saranno ben ripagati- mentre Win farà una
comparsa fugace ma significativa. Spero che questa storia possa
piacerti quanto l'altra. ^^
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Capitolo 3 *** Un nodo alla gola ed un primo sguardo ***
3- Un nodo alla gola ed un primo sguardo
Un
nodo alla gola ed un primo sguardo
"Fratellone,
ho
appena sentito la voce della mamma."
"Stupido. Hai le
allucinazioni."
(Alphonse e Edward
Elric, episodio 15)
- Al, ti muovi? - chiamò Ed, mentre lui si stava ancora
lavando la faccia.
- Senti, ma... io di solito la vedo all'ora di pranzo. Non so se alle
nove di mattina... -.
- Vuol dire che aspetteremo. E intanto mi mostrerai questa
Herzstraße -.
Al sospirò, rassegnato.
- Va bene... -.
- Dai che sta piovendo! - esclamò suo fratello, raggiante,
scendendo le scale.
Era meglio che si muovesse anche lui se non voleva che Ed venisse a
prenderlo di peso e lo scaraventasse giù.
Ovviamente anche Ed rimase letteralmente a bocca aperta.
- E questo... cos'è?
-.
- Il cuore di Berlino – rispose semplicemente Al.
Ed si prese tutto il tempo di guardare attentamente ogni singolo
oggetto, ogni singola immagine, mentre Al gli spiegava ciò
che gli aveva detto Wilhelm. Rimase incantato dal quadretto coi
topolini e dall'immagine di una strana costruzione a pinnacoli.
- Mi hanno parlato di questa – indicò –
Si chiama "moschea" -.
- Davvero? -.
- Sì, ma non l'ho mai vista dal vivo: si trova molto
più a sud rispetto alla Germania. Chissà chi
può averlo portato... -.
- Ah, quasi dimenticavo! - esclamò Al, mostrandogli il
quadro della casa sul fiume – Questo l'ha dipinto il fratello
di Tiarnan. Adesso si trova in America -.
Ed lasciò perdere la moschea e concentrò tutta la
propria attenzione su quell'immagine.
- Quindi... abitava in questa casa? - domandò, bevendone
ogni singolo particolare.
- Non proprio. La sua famiglia ci viveva, ma è venuta qui
prima che lei nascesse -.
- Non ti ricorda niente? - chiese Ed con un sorriso complice.
Oh, fin troppe cose. Come una casa che, invece che sulla riva di un
fiume, si trovava su una collina.
- Piace anche te? -.
Un'improvvisa voce femminile fece mancare un battito a Ed. Per un
impercettibile istante- che tuttavia non sfuggì ad Al-
sembrò indeciso se voltarsi o no. Se rivangare di nuovo cose
che era finalmente riuscito ad accettare, cose che avevano maledetto
l'intera loro vita. Sua e di Al.
- Ciao – sentì suo fratello salutarla.
- Oggi non dovresti lavorare, giusto? Che ci fai qui? -.
Prima di rispondere Al lanciò un'occhiata a Ed, ancora
voltato verso il muro, che lo stava guardando di sottecchi.
Poté quasi sentire la sua tacita domanda: "Cos'è
tutta questa confidenza?".
Sorrise, rassegnato a un'intera domenica di broncio.
- Volevo mostrare la Herzstraße a mio fratello. Non l'aveva
ancora vista – spiegò.
Ed prese silenziosamente fiato e si voltò.
L'espressione che assunse fece temere ad Al che sarebbe sul serio
scoppiato a piangere davanti a quella ragazza. Poteva quasi vedere
tutti i ricordi che gli stavano scorrendo nella mente in quel momento,
e capiva lo sforzo immane che stava facendo per separare il viso di
quella ragazza dall'immagine della loro madre.
- Devo avere la faccia di un fantasma – disse all'improvviso
Tiarnan.
- Eh? - chiese Al.
- Non so perché, ma anche tu avevi la stessa espressione
quando mi hai vista la prima volta. Somiglio per caso a qualcuno che
conoscete? -.
- No! -
quasi gridò Ed, facendole fare un salto –
Cioè, io... scusami, non volevo spaventarti... -.
Lo stupì il modo in cui lei si rivolse ad Al, lanciandogli
un'occhiata perplessa ma fiduciosa, come se lui avesse potuto spiegarle
ogni cosa.
- Questo è mio fratello Ed – lo
presentò lui, come se non fosse successo niente –
E... in effetti sì, somigli a qualcuno che conosciamo -.
Ed pensò che quella non era affatto una spiegazione, ed era
sicuro che la ragazza avrebbe di sicuro cominciato a guardarli storto,
magari trovando una scusa per andarsene il più presto
possibile. Invece sorrise, tendendogli una mano.
- Piacere, io mi chiamo Tiarnan -.
Ed gliela strinse sbalordito, avvertendo subito una nuova ondata di
ricordi lancinanti non appena la toccò. La mano che era
diventata fredda così in fretta, quel giorno. Quando la
lasciò andare gli sembrò quasi di essersi
scottato.
- Ti chiederei se va tutto bene, ma so che non servirebbe a molto
– scherzò lei.
Anche Ed sorrise.
- Al me l'aveva detto che arrivavi solo con la pioggia... -.
- Davvero? - sorrise del sorriso dolce di sua madre, appena
più sbarazzino, guardando Al – Ti ha detto anche
che canto in modo terribile? -.
- Canti? -.
Rimasero lì mezz'ora buona, sotto il telone e la luce tenue
del lampioncino del portico, mentre fuori cadeva una pioggia sottile
come uno spruzzo. Ed, poco alla volta, smise di guardarla come fosse
stata un fantasma, rendendosi conto che, come per tutti gli altri,
quella ragazza era solo la controparte
della loro madre in quel mondo. Non c'entrava nulla con lei.
E si rese conto anche di qualcos’altro.
Ad un certo punto Tiarnan si scusò, dicendo che doveva
correre ad aiutare sua madre a preparare il pranzo, così si
salutarono. La pioggia sembrava aver concesso una tregua, e Ed e Al si
incamminarono lungo il marciapiede ormai simile alla riva di un
torrente.
Dopo un po', quando non mancava più molto a casa, Ed ruppe
il silenzio.
- Al – disse, evitando una pozzanghera grande quanto un
laghetto di montagna – Te ne sei accorto, non è
vero? -.
- Di cosa? -.
- Che quella ragazza è innamorata di te -.
Al rimase senza fiato, fermandosi all'istante. Guardandolo sconvolto.
- Stai scherzando? -.
Ed sorrise: né più né meno della
reazione che si era aspettato.
- No, non sto scherzando. Lo vedrebbe anche un pollo –
osservò preoccupato il volto di suo fratello – Al,
respira. Non è la mamma -.
- Sì, invece! - boccheggiò lui –
È... è terribile! Io... io non ho fatto niente,
te lo giuro! Non avrei mai immaginato che... -.
Ed gli mise deciso le mani sulle spalle, con un'espressione seria che
lo fece zittire all'istante.
- Al, calmati. Non.
È. La. Mamma. Non sei stato tu a dirmi che Win
non è Winry? Le persone di questo mondo hanno solo la stessa
faccia di quelle che conosciamo noi; non c'è nessun altro
legame. Ne è prova il fatto che l'Alfons che ho conosciuto
io non era per niente imparentato con questa Tiarnan, e nemmeno Edmund.
È solo un caso, capisci? -.
- Non eri stato tu a dire che niente
è un caso? -.
- Sì – perlomeno Al aveva ripreso a respirare
– Per l'appunto, forse non è un caso che tu sia
quello che meno ricorda nostra madre. L'ho capito, sai, che
è per questo che non mi hai parlato subito di lei -.
Al annuì, ancora poco convinto.
- Quindi per te è stato più facile vedere questa
ragazza come una persona separata da lei. Se fossi stato io ad
incontrarla per primo, senza che tu me ne avessi parlato prima, non
riesco nemmeno ad immaginare che reazione avrei avuto -.
Al sì che se l'era immaginata, invece, ed era sicuro di
averci azzeccato abbastanza.
- Io... non è che non me la ricordi. È solo
che... è passato così tanto tempo che... non lo
so – ammise infine – Forse è anche
perché ho perso prima il mio corpo, e poi la memoria. Ma mi
sembra così...
lontana -.
Eppure con Ed aveva solamente un anno di differenza. Perché
lui la sentiva così distante?
- Forse è giusto così. Forse è
perché dovevi incontrare quella ragazza -.
Al scosse la testa.
- Ma io non posso -.
Il fratello sorrise comprensivo.
- Senti, pensaci. D'accordo? Adesso sei confuso perché l'hai
appena scoperto, magari ti serve del tempo -.
- No, affatto. Smetterò di andarci – e riprese a
camminare verso casa, deciso.
- Al! - Ed dovette quasi mettersi a correre – Aspetta! -.
Ma quando lo raggiunse, ritenne più opportuno non dire
più nulla. Checché Al ne pensasse, lui era
convinto che l'unica cosa di cui avesse bisogno fosse tempo.
Una settimana dopo non ne era più tanto sicuro. Un giorno
aveva fatto un salto alla Herzstraße e aveva trovato Tiarnan
là, davanti al suo quadro, che non appena l'aveva visto gli
aveva rivolto uno sguardo speranzoso.
Ed l'aveva già visto, quello sguardo. L'aveva visto ad ogni
compleanno suo e di Al, quando Trisha Elric si voltava verso la
finestra decine di volte in un giorno e trovava ogni scusa per andare
alla porta. Inutilmente.
Aveva provato a parlare con Al, ma non aveva cavato un ragno da un
buco. Si sentiva responsabile, perché se fosse rimasto zitto
non sarebbe successo niente. Ci rimuginò sopra
così tanto che un sabato pomeriggio si ritrovò
nel laboratorio di Win, a dare apparentemente una semplice occhiata in
giro.
- Allora, come procede il tuo orologio? - chiese, sollevando il panno
che copriva le figurine in fila sul tavolo e osservandole con aria
critica.
- Direi bene: lo zio mi sta costruendo il carillon. Non appena
sarà pronto lo sistemerò nell'orologio,
sincronizzando il meccanismo. Verrà una meraviglia! -
esclamò Win, mentre regolava i pesi di un piccolo orologio a
pendolo.
- Sì, lo penso anch'io – disse Ed, poggiando il
mento sulle braccia incrociate mentre osservava pensoso la figurina
dell'armatura.
Non si accorse che Win si era voltata verso di lui finché
non la sentì chiedere:
- Allora, che c'è? Sputa il rospo -.
- Mmm? -.
- Non sei venuto qui solo per controllare i progressi dell'orologio
– Win sorrise – Hai litigato con tuo fratello? -.
Ed dondolò la testa, indeciso.
- Mah... più o meno -.
- E perché, se è lecito saperlo? -.
- No, niente di... -.
- Ho sentito che parlavate di una ragazza – lo
incalzò lei.
Ed non rispose.
- Ve la state contendendo? -.
Eh?
- No, certo che no! È Al quello coinvolto, non io! -.
- E allora perché devi metterci il naso? Non può
decidere da solo? -.
- No, non può – rispose deciso lui –
È una... situazione un po' particolare -.
- Le vostre sono sempre
situazioni un po' particolari – sospirò lei
– Ma non temere, non ho alcuna intenzione di immischiarmi.
Dimmi solo una cosa: credi che lui la ricambi? -.
- Io... beh, può darsi. Non sono un esperto, in queste cose
– ammise Ed.
- Sì, si vede. Non per offenderti, ma tu hai l'aria di uno
che non capirebbe niente nemmeno se una ragazza si prostrasse ai suoi
piedi -.
Ed la guardò stranito, rendendosi conto della
comicità di quella situazione. Vedendo chi gli stava
dicendo quelle cose.
- Dici? - domandò semplicemente.
- Dico – confermò lei.
- Allora, se sei così intuitiva, sentiamo il tuo parere:
secondo te Al è innamorato o no? -.
Ed stava quasi scherzando, ma Win sembrò prenderlo molto sul
serio: distolse gli occhi dal suo lavoro e guardò per
qualche istante nel vuoto, riflettendo.
- Per saperlo dovrei vedere come si comporta quando sono insieme
– ponderò – Però ultimamente
sembra avere un'aria piuttosto combattuta, lui che era sempre
così sereno... se per quella ragazza non provasse davvero
niente non dovrebbe esserci alcun problema, no? -.
Ed ammutolì, mentre apriva per la prima volta gli occhi su
quella faccenda.
- Già... - mormorò, stupefatto.
- Quindi forse hai ragione a cercare di convincerlo, di qualunque cosa
si tratti – rifletté infine lei – Ma non
dimenticare che alla fine sarà lui a dover decidere -.
- Già... - dopo aver ripetuto quella parola, come in trance,
Ed sembrò riprendersi sul serio – Ma lo sai che
hai ragione? -.
- Certo che ho ragione! - ribatté Win, sorridendo
– E adesso fuori dal mio laboratorio! -.
- Sissignora! - Ed raggiunse la porta, per poi rimettere dentro la
testa – Ah, Win: stasera alla cena pensiamo io e Al,
d'accordo? -.
- Va bene, grazie. Dillo anche a mia zia – rispose lei,
già alle prese con un ingranaggio piuttosto
delicato.
- Certo – chiuse piano la porta e si diresse verso la stanza
del cucito, dove stava lavorando la signora Eliza. Quella sera sì che
sarebbe riuscito a smuovere Al. Anche se, alla fine, sarebbe stato
comunque lui a dover decidere.
Birby: non stai
affatto impazzendo, come hai potuto vedere in questo capitolo. ^^
Che bello, ho trovato
un'altra estimatrice di Al! Pur avendo visto solo la prima serie, lo
adoro... anche in contrapposizione a Ed, comunque. Quei due sono come
il gatto e la volpe. ù_ù
Il prossimo
sarà l'ultimo capitolo- sì, è una fic
piuttosto breve- ma la storia non finisce qui!
Rain e Ren: se il
nome Tiarnan ha qualche significato particolare non lo so, comunque
l'ho messo come nome irlandese che avesse un minimo di
“affinità” col nome Trisha (è
minima, lo so, ma è l'unico che ho trovato). Sono contenta
che lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto. ^^ Sì, in
effetti la nostalgia gioca un ruolo non da poco in questa storia, ma
c'è anche dell'altro: perché se si vivesse solo
di nostalgia e ricordi, non si andrebbe più avanti.
Sai che non avevo
pensato al fatto che Tiarnan qui risulterebbe motore di un altro
viaggio, un po' come aveva fatto Trisha nella storia originale
(sì, perché senza la sua morte e la conseguente
trasmutazione, forse non sarebbe successo niente)?
Sì, Ed non
l'ha presa troppo male: in fondo ha diciotto anni, ormai, e poi sapeva
benissimo che poteva esserci la possibilità di incontrare
anche la controparte di sua madre... malgrado fosse piuttosto
improbabile, ma si sa che a loro succede anche l'impossibile. XD
È pur vero
che i ricordi rimangono comunque indelebili, soprattutto per Ed, a mio
parere. Ma con un po' d'impegno arriverà anche lui a
distaccare Tiarnan dall'immagine della madre... anche se
resterà legato a lei da un affetto- come dire-
“innato”. ^^
Shatzy:
sì, il
“fascino” dei fratelli Elric è proprio
il fatto che
si compensino così fra loro, sono perfettamente d'accordo
con
te. Come hai visto qui c'è stato l'incontro: come ti
è
sembrato?
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Capitolo 4 *** In un giorno di pioggia ti rivedrò ancora ***
4- In un giorno di pioggia ti rivedrò ancora
In un giorno di pioggia ti rivedrò ancora
"Io non ho nemmeno preso la prima cotta per una ragazza."
(Alphonse Elric, episodio 25)
Quella sera stavano per l'appunto occupandosi della cena, quando ad un
certo punto Ed decise che era ora di iniziare il suo tentativo. Fuori
era buio, ma le giornate si stavano lentamente allungando.
- Al, dimmi una cosa – fece, controllando il brodo sulla cucina – Te la ricordi la voce della mamma? -.
Il fratello si rabbuiò, chiedendosi se Ed avesse intenzione di tornare su quel discorso.
- Immagino fosse la stessa di quella ragazza, no? -.
- Ma te la ricordi? -.
Al non rispose. No, non se la ricordava molto.
- Perché in realtà non è uguale alla sua –
continuò Ed, imperterrito – È simile, questo
sì. Ma se ne avessi semplicemente udito la voce, senza vederla,
magari in una strada affollata, non credo mi sarei mai voltato a
guardarla -.
Al buttò le patate in una pentola piena d'acqua, per farle bollire.
- Dove vuoi arrivare? - chiese.
- A quello che ti ho già detto. Secondo me tu stesso non vedi Tiarnan come la mamma, ma ti rifiuti di accettarlo -.
Al scosse la testa, mettendo il coperchio.
- Al mio posto faresti lo stesso – osservò.
Ed incassò il colpo, ma non si scoraggiò.
- E da quando abbiamo lo stesso carattere, noi due? - ribatté.
Al non rispose e cominciò ad apparecchiare con l'aria di chi
ritiene conclusa una discussione. Sistemò piatti e bicchieri con
tanta tranquillità da far perdere definitivamente le staffe a
suo fratello, che abbandonò la via diplomatica.
- Al, stupido! - sbottò, senza più riuscire a trattenersi
– L'unica cosa che quella ragazza può avere in comune con
la mamma è riuscire ad aspettare fino alla morte l'uomo
più sbagliato che potesse trovare! -.
Una parola, in tutto quel discorso, sembrò scuotere il silenzio di Al.
- Cosa vuol dire, “fino alla morte”? -.
- Ha una brutta tosse – lo informò – Dev'essere a forza di rimanere per ore sotto la pioggia, ad aspettare qualcuno -.
Al non rispose, perché come in un lampo la rivide mentre cantava quella
canzone e commentava che sono sempre le donne ad aspettare; ma in
qualche modo si risentì per il tono con cui Ed l'aveva detto.
- Dev'essere una maledizione di famiglia, allora – commentò atono.
- Ti riferisci a nostro padre? - chiese Ed.
- Non solo – Al alzò la testa, guardandolo dritto negli occhi – Cosa credi che stia facendo adesso Winry? -.
Ed ammutolì. Sembrò confuso per qualche istante, poi
tornò a rivolgere la propria attenzione al brodo, che era ormai
abbastanza caldo.
- Va bene, fai come vuoi – disse infine mentre mescolava, con una
voce bassa e dura che Al non gli aveva mai sentito – Io lo sapevo
già, di essere come nostro padre. Ma pensavo che tu fossi
diverso -.
Che somigliassi di più alla mamma.
Al si era procurato un gesso e, tramite Wilhelm, un pezzo di legno
piatto e raschiato a sufficienza da risultare liscio al tatto.
Vi aveva tracciato il primo cerchio alchemico che aveva imparato, tanto
semplice ed elementare che ora gli sembrava un gioco da ragazzi. Ma era
da lì che aveva cominciato.
L'aveva avvolto in un pezzo di stoffa e aspettato un giorno col cielo
sereno e senza nuvole. Era poi uscito, dirigendosi senza indugio verso
la Herzstraße, doveva aveva trovato un posto per il suo tesoro
appena sotto il quadro con la casa sul fiume.
Aveva infine osservato il risultato con un sorriso, felice di aver dato il suo contributo a quel muro meraviglioso.
Ed era tornato a casa in fretta, prima che il cielo potesse rannuvolarsi di nuovo.
Due sere dopo, la incontrò mentre usciva dalla farmacia alla fine della giornata di lavoro.
Le sorrise, sentendosi lo stesso un verme, e la raggiunse tenendo un sacchetto in mano.
- Te l'ha detto mio fratello dove lavoro, giusto? - le chiese, cominciando a camminare lentamente.
- Veramente no – la sua risposta lo sorprese – Ho...
più o meno fatto il giro delle farmacie di Berlino. È
stato utile, sai? Ho trovato una fantastica pomata per i calli ai piedi
di mio padre -.
- Mi dispiace – si scusò Al.
Rimasero in silenzio per un po', mentre le nuvole sopra di loro si
rincorrevano impazzite, addensandosi l'una sull'altra come ubriache di
pioggia.
- L'ho visto, sai? - disse lei d'improvviso.
- Che cosa? -.
- Quello strano disegno che hai fatto col gesso -.
Al sorrise colpevole.
- Volevo portare qualcosa anch'io – spiegò.
- Però non sei stato molto previdente: per quanto il muro sia
protetto, col tempo il gesso scolorisce – lo informò lei.
- Beh... non importa. Volevo solo che fosse là -.
- Sì, capisco – annuì Tiarnan –
Però... se vuoi mio padre te lo può intagliare, e se poi
lo tracci di nuovo con dei colori appositi potrebbe durare molto di
più -.
- Davvero? -.
- Sì... ma è solo un suggerimento -.
- No, hai ragione. Perché non realizzare qualcosa che possa
durare? Altrimenti chi potrebbe più vederlo? - rifletté
Al.
- Già! Allora va bene? -.
Al non fece in tempo ad annuire che cominciò a piovere.
Aprì l'ombrello per riparare tutti e due, visto che lei non
l'aveva con sé.
- Io... non lo so se ho fatto qualcosa di male – la sentì
dire, mentre la pioggia scrosciava dolcemente – Se è
così ti chiedo scusa. Mi dispiace -.
Al sospirò piano, sentendosi sempre peggio. Quando aveva iniziato a comportarsi in quel modo?
- Sono io che dovrei chiederti scusa -.
Il vento iniziò a soffiare leggero, facendo danzare la pioggia con sé.
- Sai, mio padre dice sempre che questo è il vento di casa
– fece Tiarnan, cercando di mettere un po' di allegria in quel
che diceva – Perché viene dall'Oceano Atlantico, e prima
di arrivare qui dev'essere passato dall'Irlanda. Dice che mia nonna
riusciva a sentire le notizie che portava -.
Sorrise, guardandolo.
- Io no, non ci rie... - un forte attacco di tosse le impedì di
terminare la frase. Era una tosse profonda, alimentata da
un'umidità incalzante accumulata ora dopo ora.
- Aspetta, tieni – fece Al, porgendole il sacchetto che teneva in mano – È uno sciroppo per la tosse -.
- Oh, ma io... veramente non credo di poter... -.
- Non ti preoccupare, questa settimana ne ho preparato un po' di
più e l'ho messo da parte in una bottiglia. Il mio capo non se
n'è accorto, quindi non costa niente -.
Tiarnan lo prese come fosse stato l'oggetto più prezioso del mondo.
- Grazi... - venne colta da un altro attacco, ma quando terminò
disse: - Comincerò a prenderlo già stasera -.
- Forse dovresti anche andare da un medico -.
- No, non preoccuparti. Anche se non sembra, nella mia famiglia siamo
gente forte: nessuno è mai stato stroncato da una semplice tosse
-.
- Meglio così – sorrise Al.
Era da un po' che camminavano, apparentemente senza una meta precisa. A
un tratto, Al rimase parecchio sorpreso nel constatare che, senza
accorgersene, stavano percorrendo la strada che portava alla
Herzstraße.
Quando vi arrivarono, si mise quasi a ridere.
- Com'è che finiamo sempre qui? - chiese, forse più a se stesso che a Tiarnan.
La ragazza non rispose, ma quando Al fece per dirigersi verso il muro
sotto il telone, si sentì tirare il braccio che reggeva
l'ombrello. Prima che potesse capire cosa stava accadendo si
sentì percorrere da un brivido e una pelle d'oca che non
c'entravano nulla col freddo e la pioggia.
Sentì sulle labbra un senso di calore che si irradiò per
tutto il corpo, e non si era nemmeno accorto di aver abbassato
l'ombrello mentre si baciavano.
Quando il bacio terminò e la vide in viso così da vicino,
si accorse che sul naso aveva una spruzzata di lentiggini che prima non
aveva notato. E che dell'acqua le rigava le guance, ma non riusciva a
capire se fossero pioggia o qualcos’altro. Sapeva che delle
lacrime sarebbero state calde e salate, ma non aveva il coraggio di
provare a toccarle.
Fu lei a riprendere l'ombrello e tirarlo su, mentre Al si era dimenticato perfino dov'erano.
- Scusa – disse Tiarnan, anche se non sembrava per niente
dispiaciuta. La pioggia di febbraio era fredda, ma ad Al sembrava quasi
che a contatto col suo viso stesse evaporando.
- Io... - rantolò lui, senza avere la più pallida idea di cosa dire – Io... -.
Lei sorrise.
- Quanti anni hai? Non te l'ho ancora chiesto -.
- Beh, ecco... - questa era una domanda difficile. Per tanti motivi
– Io... so di dimostrare tredici anni, ma in realtà...
sarei più vecchio... -.
Tiarnan annuì.
- Io ne ho quindici – fece, sorridendo apertamente – E i miei nonni erano cugini. Capita -.
- Capita? - al momento non riusciva a ragionare proprio lucidamente – Cosa “capita”? -.
- Che le cose non vadano come ci si aspetterebbe. Ma questo non vuol
dire che siano sbagliate – spiegò tranquillamente la
ragazza.
Oh, lo sapeva. Eccome se lo sapeva. Anche se quello che non era andato
secondo le sue aspettative non c'entrava nulla con l'età, come
pensava lei.
Tiarnan lo prese per mano.
- Dai, già che siamo qui prendiamo il tuo strano cerchio magico – propose, diretta alla parete sotto il telone.
- Ecco, veramente... - fece Al, fermandola. Ma senza lasciare la sua mano – Si chiama “cerchio alchemico” -.
- Alchemico? -.
Al sorrise, chiedendosi se tutta quella pioggia non gli avesse
irrimediabilmente annacquato il cervello, già un po' scosso per
essere stato per anni lontano dal suo padrone.
- Un giorno ti racconterò una storia -.
Mi hai preso per mano,
portandomi via...
Allora, che ne dite della mia ipotesi
di coppia al di là del portale? Avrei già in mente un
seguito su questi due, vedremo se ne uscirà qualcosa...
Inoltre,
se vi interessa saperne di più sulla coppia Rod/Liza (che qui
non è comparsa, ma c'era qualche accenno in “Die Uhr-
L'orologio”), ho pubblicato un prequel
dell'intera storia: “Geschichte einer Spieldose- Storia di un
carillon”.
Rispondendo alle recensioni:
Birby: sì, questa è la mia proposta di pairing per l'alter della prima serie. ^^
In effetti Ed non è mai stato
famoso per il tuo tatto- non sa neanche dove stia di casa, meno male
che c'è Al- anche se è sempre animato da buone intenzioni
(più o meno)!
Questa storia mi è venuta
fuori particolarmente romantica e delicata, ma direi che ogni tanto ci
vuole. Tanto le cose inizieranno ad andare male fin troppo presto...
Come vedi aggiorno sempre
settimanalmente; anche se per la prossima storia gli aggiornamenti
saranno bisettimanali, ma con capitoli più lunghi. Io mi ci sto
impegnando, vediamo cosa salterà fuori...
MusaTalia:
Ed è sempre stato legato alla madre in modo molto diverso da Al,
per quanto le volessero bene entrambi in modo profondo. Eppure non
è stato Al a decidere di fare la trasmutazione umana, ad andare
contro la morte pur di riportarla indietro.
In realtà Al non si è
accorto di nulla appunto per questo “velo” tra lui e
Tiarnan dato dai tratti della madre: credo non sia facile, in una
situazione simile, capire dove finisca l'affetto per la propria mamma e
dove cominci quello per una persona nuova, conosciuta in fondo da poco.
Volevo delineare un'amicizia che si trasforma in qualcos’altro, e
in quest'ottica è ovvio che Tiarnan abbai riconosciuto per prima
i propri sentimenti. Oltretutto- concedimelo- trovarlo, uno come Al! ^^
Sperando che anche il finale ti sia piaciuto...
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