Dove volano i miei desideri

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ryoga ***
Capitolo 2: *** Akari ***
Capitolo 3: *** Mousse ***
Capitolo 4: *** Nabiki ***
Capitolo 5: *** Kuno ***
Capitolo 6: *** Biancanera ***
Capitolo 7: *** Addio ***
Capitolo 8: *** Risveglio ***
Capitolo 9: *** Sorprese ***
Capitolo 10: *** Giudizi e scoperte ***
Capitolo 11: *** Drastiche decisioni ***
Capitolo 12: *** Ritorno ***
Capitolo 13: *** Spiegazioni ***
Capitolo 14: *** Dolcezze e amarezze ***
Capitolo 15: *** Uno zaffiro blu ***



Capitolo 1
*** Ryoga ***


 

Questo è il sequel di “Destini intrecciati”, se non l’avete letto avrete difficoltà a capire alcune situazioni, quindi vi consiglio di dargli uno sguardo, anche perché altrimenti i personaggi risulterebbero un po’ OOC. Ho inserito, nei capitoli successivi a questo breve prologo, alcuni testi di canzoni come già fatto con “Destini intrecciati. I testi, citati perché secondo me descrivono la situazione e i personaggi di quel capitolo, non mi appartengono, come neppure sono miei i personaggi di Ranma ½.

Ovviamente aspetto tanti commenti…

Voglio ringraziare  coloro senza i quali l’ispirazione e l’entusiasmo per scrivere questo sequel non sarebbero stati mai gli stessi: la mia insostituibile beta ed amica Tiger Eyes, Akachan, Kuno84, Riccardo e tutti coloro che hanno creduto in me e mi hanno spronata a scrivere. Non so come avrei fatto senza di voi, amici.

 

 

CAP. 1: RYOGA

 

 

Mitico amore,

Dove sei stato

Sei nel presente o nel passato?

Sei tutto intero

O sei ferito?

E quante volte mi hai tradito?

 

Sono le lacrime

Che fanno male

Quando mi stringi sul tuo cuore

Sono due lacrime

Che ci dividono

Quando mi prendi e gridi ‘amore!’

 

Mitico amore dove sei stato

Sei come un angelo smarrito

Chi ti ha spezzato?

Chi ti ha colpito

Se questa notte chiedi aiuto?

 

È ritornato il tempo

Di stare ancora insieme

La notte passerà

E non avrò paura

Di restare qui

Come ogni notte

Ad aspettarti

Sì io resto qui

Mitico amore

 

Amore amore amore

Io ti ringrazio

Di questo tempo e questo spazio

Mitico sogno

Dell’universo

Ecco mi sono ancora perso

 

(“Mitico amore” – Antonello Venditti)

 

 

PROLOGO

 

Dal diario di Ukyo Kuonji

 

Dove volano i miei desideri? Cosa sono io, per decidere del mio futuro? Forse perché sei entrato così prepotentemente nella mia vita prima come amico e poi come amante… forse proprio per questo ora ho paura di guardare me stessa come sono veramente? Prima credevo che Ranma fosse l’unica ragione della mia esistenza, poi sei arrivato tu e mi hai dato un soffio di vita. Ho amato stare con te e dividere i momenti più intimi e segreti di una donna, ma… ora? Cosa sarà di me? Se tu te ne andassi per sempre sarei in grado di vivere per me stessa e fare a meno di te, tornerei da Ranchan a farmi consolare, oppure…

Se solo sapessi quanto sei stupido… perché te ne sei andato di nuovo? E se non tornassi? Che farei io?

 

La matita cadde.

Il mondo si oscurò.

 

                                                                       ***

 

“Ranma?”

“Mmmhhh…”

“Ranmaaa?”
“MMMHHHH….”
“Ranma sono le otto!”
Il ragazzo col codino spalancò gli occhi e incontrò lo sguardo allarmato della sua fidanzata. Saltò fuori dalle coperte e cominciò a vestirsi velocemente. “Perché non me l’hai detto subito?!”

Akane alzò gli occhi al cielo. “Perché dormivi!” Esclamò roteando gli occhi con fare ovvio.

“Cavolo, ci toccherà filare come il vento!”

“Già”, commentò lei infilandosi le scarpe. Lanciò uno sguardo alla sua stanza, stupendosi di come le sembrasse identica a tanto tempo prima, grazie alla fedele ricostruzione voluta da Kuno, eppure così diversa. Non si era mai svegliata tra quelle mura con Ranma accanto, a parte quando avevano dovuto fingere di essere sposati per ingannare Ukyo e non era stato certo piacevole vivere quell’ansiosa notte. Era come se il terremoto avesse distrutto il suo passato, cancellando anche le abitudini negative e permettendole di ricominciare tutto da capo.

 

“A che pensi?” Le domandò Ranma guardandola seriamente. Aveva scorto nel volto della ragazza il cambiamento e si era immediatamente preoccupato.

“Niente, tranquillo, pensavo… a quanto sono cambiate le cose”. Sospirò lei con un sorriso, prendendogli la mano.

Ranma fece un sospiro a sua volta. “Già”.

“Beh”, si riscosse Akane battendogli una mano sul ginocchio, “non so tu ma io non ci tengo a rimanere nel corridoio con due secchi in mano! Muoviamoci.” Si alzò dal letto e cominciò a mettere dei libri nella cartella.

“Oh, a proposito!”, fece lui raggiungendola alle spalle, come ricordandosi improvvisamente di qualcosa.

“Che c’è?” La ragazza si voltò.
Ranma le si avvicinò di più, gli occhi socchiusi, l’espressione seria. “Buongiorno”, mormorò prima di baciarla sulle labbra. Akane gli circondò il collo con le braccia e ricambiò il suo bacio.

 

La vita era bella, e stavolta avevano intenzione di viverla pienamente.

 

                                                                       ***

 

Li vide camminare fianco a fianco parlando tra i sorrisi e avvertì un’ombra di gelosia passarle sul cuore. Loro erano felici, mentre lei… Sicuramente lo era stata, ma da quando era rimasta di nuovo sola si sentiva vuota. Lui era scappato via, fuggito come un ladro, aveva afferrato i suoi vestiti e se l’era data a gambe lasciandola nuda e sola su quel divano; quella notte le era parso di aver compiuto l’atto d’amore completo: era stato il primo, quello che si aspetta quando si è adolescenti e innamorate, quello che si compie amando ed essendo riamati. Poi il baka era andato via senza dire una parola e si era sentita come… come una…

“Sono solo una sgualdrina”, mormorò tra i denti stringendo la cartella. L’aveva trattata come una…

“Ucchan?” Ranma le stava sventolando una mano sotto al naso. Lei si vergognò. Si sentì come se lo avesse tradito e anche se sapeva che lui e Akane ora stavano insieme ufficialmente, provò come un senso di colpa.

“Perdonami”. Disse senza neanche pensare.

Ranma sorrise. “Per così poco? Hai la testa tra le nuvole per colpa di quel maiale?”

Ukyo sussultò. Ora capiva Akane quando si arrabbiava accusando il fidanzato di indelicatezza. Quel ‘maiale’ era riferito sicuramente a Ryoga/P-chan, ma nelle condizioni psicologiche in cui si trovava, Ucchan incassò quelle parole nel modo sbagliato. “Hai ragione – sibilò – un maiale. Come tutti voi uomini!” E scappò. Scappò via come una vigliacca, come aveva fatto lui solo qualche giorno prima, quando si era resa conto di provare per quell’imbranato con i canini affilati un sentimento così simile all’amore da farle male e gli si era concessa come una

sgualdrina

ragazza di facili costumi. Aveva creduto nella sua attrazione verso di lei e semplicemente si era gettata tra le sue braccia in cerca di quello che credeva fosse amore. Non le aveva lasciato neanche un biglietto; che si fosse pentito di essersi concesso a una ragazza che non fosse Akane? O Akari? Che stupida era stata anche solo a pensare che…

 

“Ma che le ha preso?” Fece Ranma grattandosi la testa. Per tutta risposta ricevette una cartellata della fidanzata in piena nuca. “Ahia, ma sei scema?!”
“Abbiamo la delicatezza di un elefante, eh?” Fece Akane stizzita.

“Ma io…”
”Dovrai chiederle scusa”. Gli ordinò la ragazza di rimando entrando in classe.

Però – pensava – che voleva dire quella frase? Che sia accaduto qualcosa tra di loro?

 

                                                                       ***

 

“Dovrei essere arrivato, la casa mi sembra questa.” Disse Ryoga spostando alternativamente lo sguardo dalla mappa che aveva in mano alla costruzione davanti a sé. Con la piccola guida cittadina aveva impiegato solo due giorni a trovare la sua meta: il suo senso dell’orientamento era migliorato abbastanza negli ultimi tempi; aver fatto avanti e indietro per mesi, fungendo da messaggero per un cocciuto Ranma che non aveva (o non voleva) altro modo di comunicare con Akane, prima del suo ritorno e il loro riavvicinamento

 

la fine delle tue speranze?

 

lo aveva aiutato molto. Certo, stranamente la cosa non lo aveva sconvolto come aveva sempre paventato.

 

E sai benissimo il motivo…

 

Era come se una parte di sé, dolce ma teneramente infantile, si fosse semplicemente staccata dalla sua anima, al pari della crosta che cade finalmente da una ferita a lungo aperta e sanguinante, o di un peso che scompaia miracolosamente e lasci tanto esterrefatti che si guarda per un attimo il cielo come aspettandosi di vederlo fluttuare sulla propria testa. Certo, vedere quei due amarsi dopo tutto quel tempo lo aveva stranito, si sentiva testimone di qualcosa di insolito, sia nei loro che nei propri confronti: il fatto di essere ancora in quel mondo e di non desiderare la fuga o la morte, di non sentire la solita disperazione montargli dentro poco prima dello Shishi Hokodan, lo aveva indotto a guardarsi con stupore, come la vittima indenne di una caduta dal settimo piano si tasterebbe alla ricerca di ferite o ossa rotte e non si ritrovi neanche un graffio. La verità è che era cambiato, e già da qualche mese. Il terremoto e la vista di quel bambino avevano fatto scattare qualcosa in lui, come in tutti gli altri del resto: ognuno di loro aveva compreso la brevità della vita, quanto fossero effimere l’esistenza e quindi la felicità.

 

Carpe diem.

 

Ma invece di cercare Akane o Akari si era ritrovato fra le braccia della cuoca di okonomiyaki.

Ridacchiò istericamente, riflettendo su quanto la cosa, solo un anno prima, gli sarebbe parsa completamente assurda: se glielo avessero raccontato, sarebbe inorridito al solo pensiero di ‘tradire’ i suoi due amori, oppure sarebbe scoppiato in una risata tanto sonora da farsi sprizzare le lacrime dagli occhi.

 

E invece…

 

Prese un respiro profondo: in fondo era là per capire, no? O almeno così si era detto

 

sai già la verità…

 

quando aveva deciso di partire. Qualche mattino prima, quando si era svegliato accanto a una donna per la prima volta, si era sentito come staccato dal proprio corpo, spettatore incoerente di un avvenimento che andava oltre la sua comprensione. Si era vestito senza ricordare i singoli movimenti e i piedi lo avevano semplicemente portato lontano da lì.

“Imbecille, farsi trasportare così dai propri istinti primordiali”, si era detto camminando a lunghi passi con l’enorme zaino che gli sbatteva sulle reni per la fretta, anche se dentro di sé sapeva che la questione era ben diversa: Ukyo gli piaceva, altro che istinto, ma per qualche arcano motivo stava rifiutandolo con tutte le sue forze. Era convinto che il terremoto gli avesse scombussolato il cervello, che la perdita di Akane e l’allontanamento di Akari gli avessero dato alla testa. In fin dei conti si trattava solo di Ucchan, quella che

 

ti è stata amica quando eri solo

 

lo aveva trascinato in mille casini solo per conquistare il suo Ranchan, colei che

 

ti capiva profondamente… Siamo entrambi innamorati di due persone che si amano segretamente tra loro”

 

tramava il complotto perfetto nel Tunnel del Perduto Amore per dividere Ranma e Akane,

 

l’unica ragazza oltre ad Akane ad averti accolto sotto il suo tetto

 

Ukyo, quella che non esitava a prenderlo a spatolate,

 

Ucchan che ti permette di toccarla perché sente il tuo spirito così affine al suo


quella che…

 

scopre che sei P-chan e non ti ride in faccia, né si mette a ballare perché ‘adora i maiali’, quella che…

 

“Vuoi dire che… nessuno ti ha mai voluto bene?”

“Vuoi dire che tu… mi vuoi… bene?”

“Beh, siamo amici o cosa?”

 I suoi occhi grigio-azzurri sembravano due boccioli impregnati di rugiada mattutina.

“Parlerai ancora con me quando mi sentirò sola?”

“U… Ucchan… io… io non so cosa mi…”

“Neanch’io… Ma era bello.”

“Se mi vuoi bene non è male neanche questo.”

 

I ricordi lo sopraffecero e Hibiki Ryoga si accorse

 

testone, lo sapevi benissimo anche prima di partire!

 

di essersi innamorato perdutamente dell’ultima persona al mondo cui avrebbe pensato.

 

                                                                       ***

 

La mano sulla sua spalla la fece sussultare e senza pensare disse il suo nome. E si odiò. “Oh, Akane… scusa”.

La fidanzata di Ranma la fissò seriamente: nessuna traccia del codinato, evidentemente era riuscita ad arrivare al negozio senza farsi seguire da lui. Vide il suo sguardo serio e indagatore e capì. Comprese che quella frase sussurrata a denti stretti la mattina precedente Akane l’aveva sentita.

 

“Perché Ukyo?” Le domandò dolcemente. “Perché ti sei data della…” Si inumidì le labbra e continuò. “Ti ha fatto qualcosa che non doveva fare?” Chiese infine, timidamente.
“Nulla che io non volessi”, sbottò girandole le spalle e passandosi una mano trai capelli, rossa in volto. “Il fatto è che… è scappato.”
“Scappato?”

“Sì!” Urlò lei voltandosi e spalancando le braccia. “Ha preso i suoi stracci e… e…”

 

Pensava di aver versato abbastanza lacrime per quell’idiota, ma evidentemente ce n’erano delle altre. Akane l’abbracciò consolandola, mentre il cuore sembrava volerle scoppiare nel petto e le lacrime soffocarla.

 

 

                                                                       ***

 

Ok Ryoga, comportati da uomo! Sapevi fin dall’inizio che stavi venendo qui non per chiarirti le idee, ma per dirle addio definitivamente: per cui, ora, fai pace col cervello e ripetiti la verità. Poi dilla anche a lei e falla finita!

 

Gonfiò il petto come se dovesse affrontare un nemico tanto pericoloso da richiedere una preparazione esemplare. Con che coraggio poteva dirle che aveva compreso di aver provato per lei semplicemente gratitudine, indotta dal desiderio immane di essere amato per quello che era?

 

Un maiale. Già, anche Akane a ben pensarci lo amava per lo stesso motivo: che ironia!

 

E che chi lo amava ora era, invece, una persona che lo apprezzava innanzitutto come uomo, e che la cosa era reciproca, perché erano così simili e affiatati che - non se n’era mai accorto - Ukyo sarebbe stata l’unica donna che veramente avrebbe potuto…

 

Lo scalpiccio delle zampe e il peso che gli crollò allegramente addosso lo fecero cadere per terra, dissipando in un istante i suoi pensieri. La bestiola gli leccò la faccia appassionatamente, prorompendo in guaiti e abbai di felicità; nemmeno un essere umano sarebbe stato più eloquente.

 

“Biancanera! Da quanto tempo!” Esclamò abbracciando con calore il cane, accorgendosi del sollievo enorme che provava sapendola viva e vegeta. Quel pensiero lo riportò bruscamente alla realtà: e se Akari fosse…? Alla fine non la vedeva da prima del terremoto, era plausibile che potesse esserle accaduto qualcosa.

 

Idiota, non le hai più scritto, non le hai nemmeno fatto una dannata telefonata per sapere come stava!

 

“Ryoga! Oh, caro, che bello vederti!” La voce familiare lo risollevò notevolmente. Allora era viva! Meno male, se solo fosse riuscito a togliersi Biancanera di dosso e ad alzarsi per salutarla…

 

“Dai, ora stai a cuccia, da brava!” Ridendo si alzò a sedere e si tirò in piedi.

 

“Anche io sono felice di…” Le parole gli si congelarono sulle labbra, il sorriso svanì come una nube improvvisa oscura il sole.

 

No, è tutto sbagliato… era Mousse ad aver avuto quel problema, e ora stava bene; inoltre, quella era Akari, bella e dolce come la ricordava, solo un po’ dimagrita. Quello che era terribilmente storto è che gli sorrideva radiosa da una sedia a rotelle.

 

 

 

 

 

 

Questa è una richiesta fatta direttamente da Erika, vi prego di seguirla:

 

Vorrei chiedere a tutti, d'ora in poi, di limitarsi a modificare una recensione precedente se vi siete solo dimenticati di dire qualcosa. Non è necessario inserire un nuovo commento. Viene falsato il numero delle recensioni, così come il punteggio del programma recensioni.



Questa invece è un'accorata preghiera che vi faccio io: le (graditissime) reecensioni che mi scriverete dovranno spiegarmi perchè vi è piaciuta o no la mia storia. Non vi sto chiedendo di scrivermi per forza un romanzo, ma non limitatevi a dirmi: quando continui? Oppure: oh, che bella, anche io ne avevo in mente una simile, quando aggiorni? Veramente, io non capisco e non imparo nulla così e il commento è sterile. Grazie di cuore.

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Capitolo 2
*** Akari ***


CAP. 2: AKARI

Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...


Immagina non ci sia il Paradiso
Prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente
Viva al presente...


(“Imagine” – John Lennon)

Lacrime di pioggia
il tuo ricordo mi parla
Dalla mia finestra
io guardo il mondo che passa

Ed ogni giorno ci sarai ogni minuto che vorrai ad ogni passo della vita
E quale strada sceglierai che direzione mi consiglierai ad ogni passo della vita
Sei solo un’ ombra ma la tua voce mi parla.

(Lacrime di pioggia
– Antonello Venditti)

You should come with me to the end of the world
Without telling your parents and your friends

You know that you only need to say the word,
So end my play with the end of the world.
But I know
That I’ll go away by myself
I feel you don’t want to come


Dovresti venire con me fino alla fine del mondo
Senza dire nulla ai tuoi genitori e ai tuoi amici

Sai che è sufficiente una tua parola
per mettere fine al mio gioco con la fine del mondo.
Ma so
Che andrò via da solo
Sento che tu non vuoi venire.


(End of the world - Aphrodite's Child)



Akari si accorse del cambiamento evidente sul volto di Ryoga e abbassò lo sguardo.

“Non mi guardare così, ti prego…” Disse sorridendo tristemente; i capelli corvini le ricaddero davanti al viso.

Il ragazzo sentì le gambe come immerse nella melassa e ogni passo gli costava una fatica inconcepibile; le si avvicinò annaspando come un pesce fuor d’acqua, prendendo fiato e rilasciandolo poco dopo nel disperato tentativo di articolare un suono che avesse un senso.
“Ma… come… quando…” Essenziale ma orribile, considerando che voleva dire qualcosa di confortante. Akari, però, non pareva dispiaciuta e alzò di nuovo lo sguardo su di lui con una serenità che gli fece male.

“È stato durante il terremoto: una trave mi è caduta sulla schiena. I dottori dicono che forse, col tempo…” Celò il senso di quella frase con un sorriso, ma Ryoga capì immediatamente che mentiva. La vide rianimarsi improvvisamente mentre diceva: “Oh, però fino all’altezza della vita sono sana come un pesce! Per fortuna il danno è esteso solo alle gambe. Posso ancora fare pesi, spostare le ruote a mio piacimento…” si produsse in una specie di piroetta spostando la sedia con agilità e una parvenza di allegria “…e avere dei figli in futuro!” Arrossì mentre ridacchiava evidentemente in imbarazzo.

Per fortuna? Solo le gambe? Figli? Oh dei, e ora cosa le avrebbe detto? E come soprattutto?! Si rese conto in un lampo che, probabilmente, Akari si aspettava che lui, innamorato, la sposasse nonostante tutto e le desse dei figli.

Oh, credimi, lo farei con tutto il mio cuore, se solo…

Si costrinse a sorriderle mentre si accucciava accanto a lei e le prendeva una mano, teneramente.
“Mi dispiace di non essere venuto prima, questa cosa del terremoto… sono stato così occupato con mille cose!” Subito dopo aver pronunciato quella frase si odiò e si sarebbe volentieri preso a pugni. Certo, era stato occupato a piangersi addosso e a innamorarsi, troppi impegni per passare a trovare un’amica che gli aveva dedicato alcuni dei momenti più belli della sua vita.

Akari annuì lentamente e gli passò una mano sulla guancia con dolcezza; Ryoga temette di scoppiare a piangere per quel gesto.

Akari, mia dolce Akari, cosa non darei per amarti…

“Sei tornato per me?” Mormorò quella domanda con un tono di voce così basso che solo standole così vicino riuscì a percepire. Nei suoi occhi vide passare due nubi, distintamente: quella della supplica e quella di un sentimento tanto vicino alla follia che temette di impazzire a sua volta se ci si fosse soffermato troppo a lungo.

Fu l’istante più lungo della sua vita.

Dalla sua risposta sarebbe dipeso il destino della ragazza e Ryoga Hibiki desiderò essere morto durante il terremoto di svariati mesi prima.

***



Finì di pulire il tavolo e lo guardò.

Il suo amico d’infanzia.
Il suo spasimante.
Suo marito.

Si erano sposati dopo che il Consiglio era stato messo a conoscenza che aveva sconfitto Ranma e lei. Ricordò quando aveva temuto che morisse. Aveva avuto paura, paura di perderlo per sempre. Aveva anche creduto di amarlo.

Ma non lo amava.
Lei amava Ranma. Non c’entravano le leggi del suo villaggio, lo amava davvero.

Era arrivata lì, stordita dalla perdita di sua nonna e di Ranma, con Mousse al suo fianco e gli anziani avevano deciso per lei.
Era stata celebrata una cerimonia breve e solenne e ora divideva il letto con un uomo che non amava.

“Mousse smettila”, si lagnò sentendo le labbra di lui sulla nuca. Non gli aveva permesso di toccarla e pensava che non l’avrebbe mai fatto. Non poteva concedersi al suo migliore amico. Non era giusto per nessuno dei due.

“Ma Shampoo…”

“Ne abbiamo già parlato”, lo liquidò abbandonando lo straccio sul piano di lavoro.

“TU ne hai già parlato! Io sono tuo marito! Potrò almeno baciarti!” Esclamò spingendola verso il muro.

“Mousse… ti prego…”

“No! Ascolta! – gridò scrollandola – Ho visto la morte in volto per te, mi sono umiliato, prostrato e ho gettato il mio amor proprio alle ortiche! Ora non puoi trattarmi così!”

Shampoo ebbe paura di lui per la prima volta in vita sua: i denti le batterono per la violenza con la quale l’aveva scossa. Sentiva le piastrelle del muro della cucina fredde e dure alle sue spalle e il corpo morbido e caldo di Mousse premere esigente contro di lei; gli occhi spalancati, la bocca socchiusa per lo stupore, Shampoo lo guardò mentre la baciava. Si sentì sospinta ancora di più contro il muro, mentre il ragazzo aderiva a lei, approfondendo il bacio, insinuando le mani sotto la gonna.

Lo schiaffeggiò.

I suoi occhiali volarono attraverso la cucina, ne vide la traiettoria con la coda dell’occhio e le parve che impiegassero un’eternità prima di sbattere contro il muro, poco più lontano, e rompersi. Shampoo avvertì l’ardore di Mousse scomparire, il suo corpo rilassarsi e lo vide rimanere lì fermo a guardarla gelidamente. Scorse il mare nell’iride verde smeraldo di lui e quasi ne fu attratta. Eppure ne era, allo stesso tempo, spaventata. Non voleva fargli del male, ma non si era mai comportato così prima.

“Perdonami Shampoo – le disse infatti – non so cosa mi sia preso.” Il tono della sua voce era piatto, meccanico. Cercò a tastoni gli occhiali rotti per qualche minuto e infine, quando li ritrovò in un angolo tra la credenza e il lavello, se li rimise sul naso anche se privi delle lenti. Poi uscì sbattendo la porta.

Shampoo scoppiò a piangere e si accasciò a terra. Le faceva male trattarlo così. Ma non poteva… non con lui. Gli voleva bene, ma non lo amava. Cominciò a raccogliere i vetri lentamente, metodicamente.

Il Consiglio voleva un erede.

E lei non era innamorata.

I vetri caddero di nuovo sulle piastrelle del pavimento, sparpagliandosi.

***



Akari colse l’esitazione negli occhi di Ryoga ancora prima che lui emettesse un suono. Ci aveva pensato, al suicidio, qualche tempo prima, quando i medici le avevano detto che c’erano ben poche speranze che riprendesse a camminare. Ma poi si era detta che c’era ancora qualcuno per cui valesse la pena vivere, oltre alla sua famiglia: il ragazzo con la bandana incarnava quel misto di dolcezza e timidezza esagerata che lei adorava. Inoltre, grazie a una fonte maledetta, si trasformava nell’animale che lei più amava al mondo. Se non era amore quello…

E le era rimasto solo lui per poter sperare in un futuro e in una vita normali.

Ora gli leggeva sul volto qualcosa che la spaventava ancora di più del fatto di non poter camminare: il rifiuto. La solitudine che sarebbe venuta. Il buio, l’oscurità.

La morte.

“Akari, mi dispiace, ma… no.” L’aveva mormorato appena, ma era come se glielo avesse gridato in faccia. Sbatté le palpebre, e quella fu l’unica reazione che ebbe: avrebbe voluto gridare e rompere a mani nude la propria sedia a rotelle, ma possedeva un autocontrollo che spesso stentava a capire lei stessa.
Vide Ryoga deglutire più volte, cercare le parole e capì che quella risposta gli era costata un coraggio abnorme. Allora gli pose un dito sulle labbra, per zittirlo dolcemente.

“Non fa nulla, io ti capisco.” La voce le uscì più ferma di quanto avesse sperato. Il cuore le martellava nella gabbia toracica come se volesse scappare via, correre lontano come non avrebbe più potuto fare.

“No, tu non capisci! Non è per… questo! Ti avrei voluta comunque con me se…” Dall’enfasi con cui aveva esclamato quelle parole, Akari capì che non era certo la sua condizione a spaventarlo.

Ryoga era andato là col chiaro intento di dirle addio, chiaro come il sole; e, se riusciva a immaginare quanto gli fosse difficile in condizioni normali, capì quanto gli fosse insopportabile dirle la verità vedendola ridotta così. Saperlo, tuttavia, non la aiutò a sentirsi meglio.

“È per lei, per Akane, vero?” Lo interruppe. Non odiava Akane, sapeva che il ragazzo era combattuto tra l’amore per lei e quello per la fidanzata di Ranma Saotome. Ma l’aveva sempre accettato: erano giovani, spensierati e pieni di vita; aveva tutto il tempo del mondo per conquistare il cuore di Ryoga.

Il tempo però si era fermato per lei il giorno in cui la sua casa le era crollata sulla schiena.

Ora la sua era solo una lotta per la sopravvivenza e per la normalità. L’ultima parvenza di un futuro sereno si era appena spenta: Ryoga, l’eterno disperso, Ryoga, il dolce maialino nero, Ryoga, così tenero e indeciso, aveva appena detto qualcosa con una sicurezza e una maturità tali che stentava a riconoscerlo.

È cresciuto. Lui ha potuto farlo e superare i momenti difficili…

“Oh, no… lei ora sta con Ranma! Cioè… sta davvero con Ranma. Se li vedessi non li riconosceresti, si vede da un miglio quanto si amano!” Ryoga smise di parlare improvvisamente, come conscio di aver parlato troppo.

Akari attese pazientemente, poi si decise a domandargli: “Allora… perché?” Stavolta la voce le si spezzò sull’ultima sillaba e non fu più tanto sicura di riuscire a frenare le lacrime.

Lo vide afferrare il bracciolo della sua sedia con entrambe le mani e stringerlo a tal punto che sembrava volesse spezzarlo. Poi, finalmente, parlò:

“Mi sono innamorato di un’altra, che io sia dannato se so come è accaduto.”

***


Shampoo si gettò sul letto, stanca nel fisico e nella mente. Per distrarsi dai pensieri angosciosi si era messa a pulire l’intero ristorante con una cura quasi maniacale: su alcuni tavoli si era accanita quasi con furia ed erano rimasti i segni della parte ruvida della spugna con cui li aveva

graffiati

lucidati fino a farsi dolere le mani. Solo quando si era resa conto che la spugna si era ormai ridotta a una poltiglia informe di colore verdastro e giallo aveva smesso. Si era trascinata in camera da letto

la nostra camera da letto

e aveva aperto tutti i cassetti con l’intenzione di fare le valigie e fuggire. A stento aveva riacquistato il controllo: con calma metodica aveva rimesso tutto a posto e fu allora che le trovò.

Foto.

Immagini della vita passata, quella vita che aveva vissuto mille anni prima. Prima del terremoto, prima che la sua adorata bisnonna morisse, prima che Ranma l’abbandonasse del tutto, prima che Mousse…

Ha rischiato di morire per me e io sono un’ingrata!

Si soffermò sulla figura del suo migliore amico in pantaloncini corti su una spiaggia, in mezzo a tutti gli altri. Lei stava abbarbicata al braccio di un imbarazzatissimo Ranma: gli occhi del codinato erano corsi preoccupati in direzione di Akane nel momento del flash, ma lei sorrideva con la guancia schiacciata sul suo avambraccio

facendo finta di non rendersene conto

senza rendersene conto. Il ragazzo dai lunghi capelli corvini aveva il viso rivolto verso di lei e, seppur col volto per metà nascosto dai suoi buffi occhiali, poteva percepirne la gelosia, il dolore.
Gli occhiali che io gli ho rotto. Il dolore che io gli ho procurato.

Per un attimo pensò che lui era là fuori, disperato e cieco

inerme

e sentì la punta acuminata del senso di colpa trafiggerle il cuore.

***


La sua mente si era arrovellata furiosamente per diversi secondi prima di concepire una risposta decente. Alla fine si era reso conto che la cosa migliore per tutti sarebbe stata dire semplicemente la verità; che senso avrebbe avuto rovinare la vita a se stesso, ad Akari e… a Ukyo con una bugia? A essere sinceri non era nemmeno così egoista da pensare esclusivamente alla propria felicità. Ma non avrebbe mai potuto prendersi gioco dei sentimenti di due ragazze che amava, seppur in maniera diversa: non poteva dare ad Akari quello che desiderava, non senza che risultasse un sentimento troppo simile all’amicizia e alla riconoscenza. E non poteva negare a Ucchan l’amore che meritava, abbandonandola in quel modo e facendola soffrire per il resto della sua vita.

Se sei davvero diventato un uomo, questo è il momento di dimostrarlo. Non sempre la verità rende felici tutti.

Quando le aveva detto quel no, le nubi che la ragazza aveva negli occhi si erano trasformate in qualcosa di indefinibile ma in qualche modo peggiore: era un sentimento definitivo.

Rassegnazione?

Ormai era troppo tardi per tornare indietro, doveva togliersi quel peso dal cuore e fare quello per cui era giunto fin lì. Ma, dèi, quanto era difficile con Akari in quelle condizioni! Si stupiva per l’ennesima volta della forza che aveva avuto a non voltarsi e fuggire.

Vigliacco, con Ukyo l’hai fatto eccome invece!

Anzi, pur con una sofferenza che lo spaccava in due, era addirittura stato in grado di dirle che non era per Akane, ma che amava un’altra. E in realtà sapeva anche benissimo come era accaduto, tutto ora gli appariva chiaro come la luna che si rispecchia perfettamente su un mare calmo.

Mentre tu trovi la pace in te stesso questa ragazza soffre terribilmente! La vita è talmente ingiusta…

Vide nettamente qualcosa che ormai si spezzava definitivamente dentro di lei e decise che, se non poteva spiegare i propri sentimenti perché a stento li capiva lui, doveva quantomeno fare qualcosa per renderla

felice?! Che felicità può avere questa ragazza ora che ha perso anche te?!

serena.

Si avvicinò ancora di più a lei, stringendole le mani con trasporto, desiderando darle una parte della sua vita per farla stare meglio. E tentò di trasmetterle quel sentimento con tutto se stesso.

“Akari, tu non immagini neanche quanto io ti voglia bene. Sono stato uno sporco bastardo a non venire da te prima, e mi prenderei a calci da solo se potessi! La verità è che avevo paura; Akane non mi ha mai amato, non potevo ferirla. Ma avrei ferito te e odiavo doverlo fare! Sono stato settimane ad arrovellarmi, a cercare di capire perché… l’altra e non te. E sai qual è stata la risposta?” Fece una breve risata infelice. “Che non c’era un perché. Era così è basta. E quando sono venuto qui da te, oggi, ero certo che non avrei mai trovato il coraggio di dirti una cosa del genere. Quando ti ho vista in queste condizioni io… ho desiderato morire.”

Tacque per qualche istante, cercando di tradurre in parole ciò che sentiva. Il volto di Akari era impassibile, pallido e attento.

“Ma non meriti le mie menzogne, né un amore che non sia degno di te. Ti posso giurare sul mio onore che ti starò accanto e sarò l’amico più fedele e leale che tu possa mai avere… ma non posso amarti come meriti, ti farei solo del male se fingessi qualcosa che non provo veramente.” Il vento fu l’unico suono a rompere il silenzio per circa un minuto.

Ryoga si rese conto per l’ennesima volta che, ultimamente, un mucchio di cose che prima non riteneva possibili si verificavano in lui con una semplicità impressionante. Non aveva mai espresso così chiaramente i propri sentimenti a qualcuno, forse nemmeno a Ukyo in quei brevi istanti di felicità.
Ora, facendolo, stava distruggendo la vita di una ragazza, ed era devastato da questa consapevolezza.

***


La prima cosa di cui si rese conto, una volta aperti gli occhi, fu che il sole inondava la stanza mentre tramontava. Si stropicciò le ciglia: si era addormentata in mezzo ai ricordi come una scolaretta, lei, un’amazzone!
Si alzò a sedere di scatto, cercando di riacquistare la propria fierezza e la foto cadde con un bisbiglio di carta. La raccolse e la guardò ancora una volta: la sua bisnonna la guardava dall’alto del suo bastone quasi con rimprovero.

Se almeno tu fossi qui…

Sospirò: non era piangendosi addosso che sarebbe giunta a una soluzione. Doveva prendersi le sue responsabilità e basta, non era più una bambina!

Risoluta, aprì il cassettone del comò e ne trasse l’album di foto per riporre quella che ancora stringeva tra le mani. I ricordi erano stati la sua ancora di salvezza per troppo tempo, era ora di vivere nel presente e accettare la realtà. Trovò una trasparenza vuota e ripose quel frammento del suo passato in mezzo agli altri, imponendosi di non guardare le immagini che riempivano le pagine

in ogni singola foto Ranma ha lo sguardo rivolto a lei…

di quell’album impolverato.

Invece Mousse guarda sempre te, disperatamente…

“E così sia.” Disse alla stanza vuota. Il suono della propria voce quasi la spaventò: la decisione che vibrava in essa non era pari a quella che provava. Ma ormai non poteva e non voleva più tirarsi indietro. Si abbracciò per un istante le spalle, sentendo la propria pelle fredda, domandandosi se una volta fatto il proprio dovere sarebbe stata la stessa. Fece scivolare le mani sulle proprie braccia in una carezza confortante, assaporandone la morbida innocenza a cui stava per dare l’addio definitivo con

il suo migliore amico, l’unico uomo che l’amasse…

un uomo che non amava quanto Ranma.

Avrebbe dato un erede al Consiglio, un figlio a Mousse… come ci si aspettava da lei.

***


Akari ascoltò le parole di Ryoga come se venissero da lontano, sussurrate da una nebbia ignota nei reconditi meandri del suo cervello.
Pochi minuti prima, quando lo aveva visto nel giardino di casa sua, aveva temuto che fosse un’allucinazione; poi si era detta che, se fosse stato così, anche Biancanera avrebbe dovuto esserne vittima. A stento si era resa conto di non poter correre da lui e per un attimo aveva provato una rabbia cieca nei confronti di se stessa.
Lo aveva visto boccheggiare di fronte all’evidenza della sua condizione, ma il timore che lui avrebbe potuto rifiutarla per quello non l’aveva neanche sfiorata.

Ryoga era venuto per dirle che l’amava.
Ryoga era venuto per dirle che voleva sposarla.
Ryoga era venuto per dirle che voleva passare tutta la vita al suo fianco, che si sarebbe preso cura di lei nel bene e nel male.

Invece no.

E non perché fosse inchiodata su una sedia a rotelle, ma perché si era innamorato di un’altra; un’altra che non era Akane. Una terza donna per cui ora Akari provava un sentimento che mai, mai nella sua giovane vita aveva pensato di poter provare.

Odio.

Tremò al pensiero di essere diventata, a causa delle sue gambe, una persona triste e rancorosa, ma si arrese all’evidenza che la vecchia Akari, felice e spensierata che amava la vita e le persone, era morta il giorno dell’incidente. Al suo posto c’era un essere misero e inutile, ora anche irrimediabilmente solo.

“Chi è lei?” Chiese senza lasciar trapelare alcun sentimento. Se avesse lasciato che la nuova se stessa prendesse il sopravvento si sarebbe persa definitivamente e non voleva che accadesse di fronte a lui.

Lo vide distogliere lo sguardo e lo udì fare un nome che la lasciò spiazzata. Si accigliò, incredula, tentando di riportare alla memoria quello che sapeva della cuoca di okonomiyaki; non era una delle promesse spose di Ranma? Lui non la ricambiava e la ragazza doveva soffrirne parecchio. Come era potuto accadere? Non aveva molta importanza, ma prima di

morire…

dire addio a Ryoga per sempre voleva per lo meno essere sicura di lasciarlo a una donna che lo amasse sinceramente. Glielo chiese, e rimase ad ascoltarlo mentre il sole tramontava dietro le montagne in un tripudio di colori.

Mentre il suo piccolo mondo, rinchiuso in quel giardino dove c’erano solo loro due, riceveva gli ultimi raggi di sole.

Mentre si domandava se, nel momento in cui tutto sarebbe cessato, la parte oscura che sentiva prendere il sopravvento nel suo animo l’avrebbe abbandonata togliendole un peso orrendo.

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Capitolo 3
*** Mousse ***


CAP. 3: MOUSSE

Le tue mani su di me
È difficile chiamarti amore
Quando basta aprire una finestra
per capire un’altra verità

(“Le tue mani su di me”
– Antonello Venditti)



Mousse guardava la luna. Non ricordava di averne mai vista una così bella. I contorni apparivano irregolari perché non aveva più le lenti negli occhiali, ma gli parve comunque meravigliosa. Aveva vagato per ore e adesso non sapeva nemmeno dove si trovasse: se ne stava seduto in riva a un fiume del tutto simile al canale che attraversava Nerima; l’erba sottile gli solleticava le caviglie e una brezza leggera increspava appena l’acqua confondendo ulteriormente l’immagine riflessa della luna che vi si specchiava.

Aveva perso il controllo.

Sapeva che Shampoo non lo avrebbe mai amato e lui stava per imporglielo con la forza.

Imperdonabile.

Avrebbe preferito uccidersi con le sue stesse mani piuttosto che farle del male. L’aveva amata teneramente per anni, guardandola da lontano come stava facendo ora con la luna: Shampoo era altrettanto irraggiungibile o, per lo meno, il suo cuore lo era. Inutile tentare di volare per lei, tutto l’amore che gli traboccava da dentro era sprecato come miele gettato nello scarico. Era ora che cominciasse ad amare anche se stesso: ormai era un uomo e se lo doveva. Strinse nella mano un ciuffo d’erba e lo strappò via senza nemmeno accorgersene.

Dire addio a Shampoo…

Rifletté che tuttavia erano sposati solo di fronte alla legge e che la sua presenza in Cina era superflua. Sarebbe rimasto fedele a Shampoo, ma doveva allontanarsi da lei. Per sempre. Vederla senza poterla avere era una tortura e lui era stanco di soffrire. Non voleva neanche tornare in Giappone e rivedere i luoghi dove avevano vissuto insieme. Non aveva una meta precisa, ma una busta piena di carte che sancivano il loro divorzio. Shampoo non era più sua moglie. In realtà non lo era mai stata.

Ora lui era solo e lei era libera.

Per sempre.

***




“Pronto? Ah, ciao Taichi!” Akane soffocò un risolino. Nabiki che chiamava Kuno così era un vero spettacolo, anche perché a lui ricordava il modo in cui lo apostrofava suo padre e si infuriava.
“Potrei anche…”, stava dicendo sua sorella, “…però… in cambio vorrei che mi comprassi quel MERAVIGLIOSO collier che abbiamo visto la settimana scorsa e poi… chissà…” Fece maliziosa ed enigmatica.
Akane aggrottò le sopracciglia: che diamine stava promettendo sua sorella a Kuno? Non avrebbe mica ricominciato con le foto osé della ragazza col codino o, peggio, con qualche immagine rubata di lei e Ranma… scosse la testa più volte, con decisione, allontanando quell’ipotesi con un brivido: avrebbe strozzato sua sorella con le proprie mani se avesse fatto una cosa simile e non era un eufemismo! Con passo felino, Akane si allontanò dalla porta davanti alla quale stava passando per caso e non origliando (almeno così si ripeteva) e si diresse in palestra per allenarsi un po’.

***



Shampoo si guardò allo specchio e provò un senso di disagio crescente.

Calma, devo stare calma…

Ma le mani le tremavano e la bocca era diventata secca. La camicia da notte, di un lilla tenue, le ricadeva morbidamente sul seno per scendere di poco sopra le ginocchia: era il capo più sexy che avesse nell’armadio, con le sue leggere trasparenze ma, nonostante si sentisse davvero bella, in quel momento sarebbe fuggita volentieri. Dopo essersi rivestita decentemente, era ovvio.

Non era tanto il fatto che sarebbe stato con Mousse, quanto la consapevolezza di essere in procinto di perdere qualcosa di importante. Si portò una mano al petto per controllare il respiro: non aveva mai pensato alla propria verginità come a un valore da preservare, ma ora che stava per donarla

al mio migliore amico

a Mousse, temeva di smarrire anche quel senso di innocenza che la proteggeva dal mondo esterno.

Ho paura di crescere… che razza di amazzone sono?!

Si sistemò i capelli, guardandosi allo specchio con occhio critico, consapevole del fatto che Mousse non si sarebbe certo soffermato sul suo aspetto fisico: lui l’amava così com’era, spettinata o sciatta, elegante o con un grembiule da cameriera. L’amava per ciò che era dentro e quello era il sogno di ogni donna. Si impose il sorriso, prendendo un grosso respiro per placare il battito del proprio cuore. Avrebbe mantenuto fede alla sua decisione, a ogni costo.

***



Era stato penoso vederlo andare via insieme al sole. Le sembrava ancora di scorgere il suo grosso zaino attaccato alle spalle… ma ovviamente non era così.

Ryoga era andato via da più di un’ora e lei era rimasta immobile, al centro del cortile, fissandolo mentre si allontanava; Biancanera si era diligentemente seduta accanto alla sua padrona, guardandola di tanto in tanto come se le facesse la guardia. E finalmente Akari si mosse, alzò la mano e accarezzò il muso dell’animale.

“E ora che faccio?” Aveva domandato con voce tremante. La bestiola le aveva leccato la mano, guaendo quasi volesse proferire parole di conforto. Ma per lei ormai non c’era più consolazione.

“Tesoro, che ci fai ancora qui? È sera, ti prenderai un malanno!”

Vattene, lasciami stare!

“Arrivo nonno.” Mormorò all’uomo alle sue spalle senza voltarsi.

“Quel ragazzo che è appena andato via… era Ryoga, il tuo amico, vero?”

Il mio amico. Già, era solo quello e io sono sempre stata un’illusa.

“Sì, era lui.” Disse cercando di mantenere un tono neutro.

Udì Biancanera trotterellare in direzione del nonno e pose le mani sulle ruote per girarsi; quando lo fece aveva un sorriso smagliante sul volto.

“Allora, che c’è per cena?” Chiese allegramente.

“Oh, tesoro, sono così felice che ti sia tornato l’appetito! Ero così preoccupato per te…” L’uomo sorrise e Akari provò un sentimento misto di odio e amore.

Se sapessi quanto soffro io, se solo lo immaginassi…

Mentre spingeva la sedia sul prato di casa, pronta a varcare la soglia accogliente e calda, si rese conto di quanto stretto le andasse ora quel mondo.

Rimarrò la sua bambina per sempre. Non diventerò mai una donna, non avrò mai una vita mia…

Decise che doveva sorridere al suo povero nonno, farsi vedere serena. Solo per una sera. Solo per quella sera.

***



La porta si aprì e si richiuse con un rumore forte che la fece sobbalzare; sentì i passi di suo marito nel salone e uscì dalla stanza per accoglierlo. Quando gli si accostò, l’odore di alcool le indicò che era ubriaco.

Mousse non aveva mai bevuto in vita sua.

Senza riuscire a dire nemmeno una parola, conscia che non l’aveva nemmeno degnata di uno sguardo, lo vide sbattere una risma di fogli su un tavolo e avvicinarsi a lei barcollando. Un sentimento di panico la pervase. Scosse la testa, rabbrividendo nella stoffa serica della camicia da notte. Provava dei sentimenti contrastanti. Affetto, dolore, paura…

“Hai visto… sono tornato!” Biascicò guardandola da dietro gli occhiali privi di lenti. “Ma che diavolo ti sei messa?!” Le domandò stringendo le palpebre per metterla a fuoco.
Vederlo così le fece lo stesso effetto di un pugno in pieno stomaco. Avvertì una sensazione di profondo sgomento che le si torceva nel ventre e saliva su, fino al cuore.

“Mousse…”, mormorò incredula.

Lui gettò la montatura ormai inutile sulla pila di carte. “Lo so che vorresti che al posto mio ci fosse Saotome e invece ti ritrovi al fianco un’inutile talpa. Com’è che mi chiamavi sempre? Stupido papero!” Fece imitando la sua voce.
“Mousse, sei ubriaco…”, rispose lei. Lo sgomento divenne dolore. Odiò vederlo così. Lei non voleva fargli del male, voleva stargli accanto, aiutarlo, dimostrargli che gli voleva bene, che… il ragazzo cadde a terra di peso.
“Mousse!” E lo rivisse.
Rivisse quel momento, quando il cuore di lui si era fermato e lei si era sentita perduta. Non voleva che accadesse di nuovo. Si precipitò ad aiutarlo ma lui la scacciò malamente. “Lasciami! Tu non mi ami!” Le urlò.
“Mousse…” Pigolò un’ultima volta prima di scoppiare in lacrime e gettarglisi fra le braccia. Lui era allibito. Rimase così, abbracciata a lui sul tappeto del loro salotto: si sentiva una sposina novella malsicura e infelice.
“P… perdonami… i… io ti ho fatto del m… male… io non volevo… io volevo solo innamorarmi di te ed essere felice!” Singhiozzò frasi accorate per un minuto buono, poi lui la prese dolcemente per le spalle e la fissò dritto negli occhi.
A Shampoo si mozzò il fiato. Gli occhi di Ranma erano azzurri come la tempesta. Quelli di Mousse verdi come un mare tropicale. Sentì il sangue salirle al volto e arrossì. Come mai non si era accorta prima della sua… dolcezza…?
“Mousse, dobbiamo ricominciare tutto da capo. Io… io voglio essere tua moglie e… darti un figlio.”
Il ragazzo si accigliò, evidentemente confuso e lei chiuse gli occhi quando lui le asciugò le lacrime con dita gentili. “Cosa dici Shampoo… non…”
“Ssst…” Gli intimò prima di sfiorargli le labbra in un tenero, esitante bacio. Lui non parlava, incredulo. “Shampoo…” Tentò di nuovo.
Lei gli prese le mani e se le pose sul petto, tremando, non sapeva se per la paura o l’eccitazione del momento; il suo tocco non era spiacevole, se solo si fosse deciso a scendere giù dalle nuvole e guardarla!
“Non… non ti piace la mia camicia da notte?” Gli domandò imbarazzata.
“Io… sto sognando? Tu non volevi che io…” Il volto del ragazzo andò a fuoco, a Shampoo fece quasi tenerezza.
“Lascia stare quello che non volevo oggi. Ho cambiato idea: è ora che io diventi una donna e mi assuma le mie responsabilità.” Asserì stringendo i lembi del tessuto che indossava.
“Responsabilità…? Di che diavolo parli?! Tu…”
Esasperata, gli prese il viso fra le mani, baciandolo ardentemente. Quando si staccò lo guardò con un’espressione di stupore, come se fosse la prima volta che lo vedeva. E in effetti vide qualcosa di diverso. No, non era corretto, quel qualcosa c’era sempre stato, ma lei era stata troppo cieca per accorgersene prima. Le piaceva baciare Mousse, non le dava fastidio sentire le sue mani che l’attiravano a sé e si insinuavano nella camicia da notte. Il suo corpo rispose a quelle carezze e l’intensità di quel nuovo sentimento la travolse. Si lasciò trascinare sul letto da uno stordito Mousse senza mai smettere di baciarlo, incurante dell’odore di alcool che emanava.

***



Nabiki sorrise, spazzolandosi i capelli allo specchio. Voleva essere bella per confondere un certo Tuono Blu: non le sembrava vero di aver trovato qualcuno che, per amore suo e non di una delle sue sorelle, era disposto a spendere e spandere in continuazione. Solo il giorno prima si era fatta offrire una cena francese, oggi era il giorno dei gioielli: altro che Kinnosuke Kashao!
Si applicò un trucco leggero sugli occhi e si passò del lucidalabbra, ridefinendo poi il contorno della bocca con un po’ di matita.

Decisamente invitante…

Doveva dire, però, che si era affezionata a quel testone di Kuno, alla fine non era altro che un sentimentale troppo cresciuto, ma non era innamorata persa come due piccioncini di sua conoscenza che dormivano insieme clandestinamente.
Quel pensiero la mise improvvisamente di cattivo umore mentre andava allo specchio per prepararsi; scelse un vestito nero attillato e se lo lasciò scivolare distrattamente sul corpo: era successo un putiferio quando aveva ricattato Ranma e Akane con delle foto piccanti (che in realtà li ritraevano beatamente addormentati l’uno nelle braccia dell’altra). Avevano pagato per un po’, poi avevano distrutto le foto e chiuso la porta a chiave. E così addio alle foto compromettenti. Se solo avesse avuto più fortuna prima...
Pazienza, oggi avrebbe avuto il collier! Mise degli orecchini di finte perle, una collana coordinata e si spruzzò due gocce di profumo, ripromettendosi che era l’ultima volta che indossava dei falsi. Giunta sulla soglia di casa, infilò un paio di tacchi a spillo e uscì.

***



Aprì gli occhi e un dolore lancinante gli artigliò le tempie.

Che diavolo ho fatto ieri sera?!

Si sporse verso il comodino, fino a quando la radiosveglia non fu a pochi millimetri dal suo naso. Le tre del mattino. Mousse tentò di riordinare i ricordi e nella sua mente rivide il fiume, la luna, poi…

…il bar sulla strada, la gente che rideva e gli dava pacche sulla schiena chiedendogli come mai avesse un’aria tanto afflitta. Un uomo barbuto e rubicondo che gli offriva da bere una, due… quante volte?

Aveva bevuto, si era ubriacato come un alcolizzato per lei!

D’improvviso ricordò anche tutto il resto e sussultò portandosi le mani al volto: aveva forse avuto il primo sogno erotico della sua vita per colpa di quella che, a sua volta, era stata la sua prima sbornia?!

Oh, dei, che esperienza imbarazzante!

Poi si voltò dall’altro lato, come colto da un pensiero improvviso e si accorse che Shampoo giaceva davvero al suo fianco. Spalancò gli occhi così tanto che temette potessero cadergli dalle orbite: allora non era stato un sogno! Shampoo aveva fatto davvero l’amore con lui! Arrossì furiosamente e nella sua testa si accese qualcosa di talmente vicino alla speranza da farlo sentire nuovamente ubriaco.

C’è qualcosa di storto…

Stava quasi per allungare una mano per toccarla assicurandosi che fosse vera, ma si scostò improvvisamente come se temesse di ustionarsi: la consapevolezza piombò su di lui come un macigno.

È ora che io diventi una donna e mi assuma le mie responsabilità.

Responsabilità: aveva proprio detto così. Non aveva parlato di amore mentre lo induceva a toccarla e gli si donava tra i sospiri. Per un attimo ebbe l’impulso irrefrenabile di sbattere la testa al muro: si era ripromesso solo da poche ore che avrebbe dovuto cambiare registro e invece si era lasciato intrappolare dalle sue spire sexy senza neanche rendersi conto che tutto ciò che lei voleva era fare il proprio dovere. Quello non era stato un atto d’amore da parte sua, ma di sottomissione alle leggi assurde del suo villaggio. Non importava. Aveva già deciso di uscire dalla sua vita, ciò che era successo tra loro non avrebbe cambiato la situazione. Aveva bisogno di andarsene, e subito.

“Mousse non mi lasciare…” Mormorò nel sonno. La guardò. Aveva forse sentito i suoi pensieri? Non doveva fermarsi. Non poteva permettersi di sbagliare ancora. Aveva salvato la reputazione e forse anche la vita di Shampoo dal Consiglio, ora sarebbe andata avanti da sola.

Si vestì velocemente, la baciò sulla fronte e la guardò per l’ultima volta.

Quando la porta si chiuse dietro di lui, Shampoo mormorò nel sonno: “Credo di essermi innamorata di te…”

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Capitolo 4
*** Nabiki ***


CAP. 4: NABIKI

Terrible thing
It was a terrible thing to see you're dying
It was a terrible thing
It was a terrible thing to see you're dying inside
To see you're dying
Won't you come out
I'll play the game with day
Won't you speak out
I'll say the things you say
The lady loved her gold
The lady lost her soul


Qualcosa di terribile,
È stata una cosa terribile vederla morire
È stato qualcosa di terribile,
È stato qualcosa di terribile vederla morire dentro,
Vederla morire
Non uscirai fuori
E non starai al gioco in cui eravamo
Non parlerai ad alta voce
E non dirai quello che dicevi
La signora amava il suo oro,
La signora ha perso la sua anima

(Diyng Inside
- The Cranberries)


Il ristorante nel quale avevano cenato era stato semplicemente delizioso e Nabiki aveva sfoggiato tutto il suo fascino accavallando e scavallando le gambe e mostrando la generosa scollatura del vestito. Aveva visto la faccia di Kuno andare a fuoco in più di un’occasione e ormai era convinta che l’amo gettato avesse fatto il suo bel dovere: mancava solo il tocco finale.

Gli si avvinghiò al braccio mentre uscivano dal locale poi, con una vocina sensuale, gli aveva soffiato nell’orecchio: “Ora vorrei quel regalino che mi avevi promesso.”

Kuno era arrossito nuovamente e poi si era messo a balbettare: “Ma… a quest’ora il negozio sarà chiuso, mia regina, perché non andiamo da me, invece?”

Ecco che ricomincia ad accampare scuse, aveva pensato contrariata.

Nabiki squadrò il suo volto arrossato dall’imbarazzo e gli aveva risposto: “Oh, no, mi sono informata e prima di sera non tira giù le serrande. Dopo andremo da te.”

Il Tuono Blu aveva sospirato e si era lasciato condurre fino alla gioielleria; giunti davanti alla vetrina, Nabiki si era strusciata contro il suo braccio come una gatta e aveva indicato l’oggetto dei suoi desideri.

“Non è una meraviglia? Il sogno di ogni donna si riassume nel brillare di ogni singola particella di quel collier…” Aveva enunciato in preda all’estasi. Poi aveva udito il verso strozzato del ragazzo e aveva alzato lo sguardo, a malincuore, verso di lui.

“Mi… mia regina di cuori… quella collana costa tre milioni e novecentomila yen! Non ti sembra un po’… esagerato per un pur prezioso monile?”

“Oh, non essere ridicolo, l’hai detto tu che sono una regina! Non pensi che io meriti di indossarlo?” Si era passata una mano sul collo niveo gonfiando il petto per dargli un altro generoso assaggio del suo décolleté.

“Sì, mia pretenziosa pulzella, tu hai ragione, ma…” Lo sguardo di Kuno aveva esitato sul suo corpo, poi lui aveva girato di nuovo gli occhi sul gioiello e aveva scosso la testa. “Tu sei molto più preziosa di quella collana, i tuoi occhi brillano ben oltre i gioielli incastonati in essa!” Si era proteso prendendole i polsi e ora la guardava con un’intensità tale che la irritò.

Lo avrebbe volentieri preso a schiaffi, intimandogli di smetterla di titubare e comprarle quella dannata collana, ma avrebbe ottenuto solo un'altra discussione sterile. Era ora di passare al piano B. Ricordò con un sorriso una delle prime serate passate assieme a Kuno, quando aveva scoperto che reggeva male l’alcool, in particolare una varietà molto pregiata di champagne; quella sera si era messo ad enunciare la più variegata gamma di versi poetici che avesse mai udito in vita sua ma questo era abbastanza normale per lui: quello che esulava completamente dalle sue abitudini erano stati lo sconvolgimento totale del senso delle poesie rispetto alle originali e la generosità nel farle ordinare praticamente tutti i piatti più cari del menù. Mai in vita sua aveva potuto assaporare sushi e sashimi di quella qualità e si era sentita vagamente in colpa nei confronti delle sue sorelle, tanto che aveva nascosto qualcosa nella borsetta per dare un assaggio anche a Kasumi e Akane.

In realtà volevi solo far vedere loro cosa riesci ad ottenere, vero Nabiki? Le aveva sussurrato una vocetta maligna.

E anche se fosse? Sono le mie sorelle, saranno orgogliose di me! Aveva ribattuto sentendosi di nuovo a proprio agio.

Ora, davanti al suo più grande desiderio che le luccicava davanti al naso

per ora è il più grande, poi ne verrà sicuramente un altro, e poi un altro… oh, sogni di ricchezza!

Nabiki aprì la borsetta e con un sospiro si apprestò a dare fondo ai suoi guadagni faticosamente ricavati ricattando

tua sorella e i tuoi amici

qualcuno troppo sprovveduto esclamando con un sorriso sornione: “Taichi, posso offrirti da bere?”

***



Il silenzio della campagna intorno a lei era surreale, quasi ipnotico; nonostante il freddo le rendesse insensibili le mani, continuava ad avanzare verso la sua meta con la torcia ben puntata nell’oscurità, conscia solo della strada che le restava da percorrere. Un’ombra le attraversò il passaggio frusciando nell’erba alta e lei si arrestò trattenendo il respiro per quello che le sembrò un istante eterno.

Ho forse paura? Probabilmente sì, ma della cosa sbagliata…

Puntò la torcia alla sua destra, dove pareva si fosse rintanato l’intruso e si ritrovò a sorridere di se stessa: una volpe, solo una volpe…
Nessuno che volesse impedirle di continuare per la sua strada, di compiere quello che si era prefissata.
Si adagiò nuovamente la torcia accesa in grembo e riprese a manovrare le ruote verso il precipizio.

Si arrestò solo quando poté vedere la ripida voragine stendersi sotto i piedi immobili, così scura che non seppe nemmeno dire quanto fosse profonda.

Di giorno si vede la vallata piena di fiori…

In realtà aveva stimato che dovessero essere almeno cento metri, ma nella notte sembrava solo un enorme buco nero.

Non ho paura, sta per finire tutto. Allora sarà come dormire, non sentirò più dolore. Proprio come nelle gambe.

***



La bottiglia di champagne era vuota. Nabiki Tendo ne aveva sorseggiato solo mezzo bicchiere per dargli l’illusione di bere con lui ma era rimasta lucida e attenta per osservare ogni reazione del Tuono Blu. A metà bottiglia aveva cominciato a biascicare di nuovo i versi dei suoi poeti preferiti cambiando parole e senso e regalandole momenti di puro divertimento; a tre quarti gli si era appannato lo sguardo e il tono di voce era diventato più alto: qualcuno si era voltato ma Nabiki sorrideva; alla fine della bottiglia aveva sussultato nel sentire una mano posarsi sulla gamba nuda.

“Tu scei un dea….” Intonò guardandola con un desiderio che per un attimo la spaventò. Ma la Regina del Gelo non si scompose: socchiuse gli occhi e sorrise languidamente.

“Se sono una dea, allora, prova a immaginarmi con quel monile al collo. Solo con quella, intendo.” Era andata ben oltre un certo limite, ma Kuno era così cotto dal vino e dalle sue moine che ebbe la reazione più prevedibile: scattò in piedi e le tese la mano.

“Che ascpettiamo… non vorrai che chiusa il negossioooo!” Barcollava vistosamente e lei dovette sorreggerlo perché non cadesse. La gioielleria era ancora aperta e a Nabiki si illuminarono gli occhi.

Bingo!

“Kuno, tesoro, perché non mi lasci il portafogli e fai entrare me? Tu rimani qui fuori a prendere un po’ d’aria.” Gli intimò facendolo sedere su una panchina poco distante. Non avrebbe mai potuto permettergli di farle fare una figuraccia proprio nel momento di maggior gloria: sarebbe diventata ben presto una cliente assidua di quella gioielleria e l’ultima cosa che desiderava era essere indicata come la donna di un ubriacone! Lui la guardò con occhi selvaggi e, nel momento in cui le dava il portafogli, le sfiorò un seno apparentemente per sbaglio.

“Sbrigati Nabiki Tendo, non vedo l’ora di ammirare il tuo corpo coperto da quel collier.” La ragazza notò che il suo tono di voce era più fermo, nonostante fosse ancora ubriaco fradicio.

“Dammi due minuti e potrai ammirarmi…” Gli soffiò sulle labbra. Sapeva che quel sempliciotto di Kuno non l’avrebbe mai costretta a dare seguito alla sua promessa: al massimo sarebbe caduto addormentato ai suoi piedi; né lei si sarebbe mai sognata di metterla in atto. D’altronde, quando si usa ogni arma per giungere ai propri fini, bisogna pur saper mentire.

***



Camminava da qualche ora. Di nuovo. E i suoi passi, senza che se ne accorgesse, lo stavano riportando a Nerima.

Non stava focalizzando i pensieri su qualcosa in particolare, non si stava tormentando né piangendo addosso: stava ancora tentando di realizzare la portata degli accadimenti che lo avevano appena investito. Il torpore derivato dallo shock di vedere Akari in quelle condizioni e dallo sforzo immane che aveva fatto per dirle la verità, nonostante tutto, stava pian piano dissipandosi. Veniva giù come una tenda al soffio di un vento leggero, ma costante e freddo, come la pelle morta da una ferita che da tempo tenta di rimarginarsi; restavano un panorama nebbioso e una cicatrice profonda.

L’ho abbandonata nel momento in cui aveva più bisogno di me. Sono un egoista! Pensava, ignaro di due occhi che lo scrutavano da lontano.

Ma se avessi abbandonato Ucchan… saremmo stati infelici entrambi. Formulò la sua mente poco dopo.

“Dannazione!” Con un pugno colpì un muro, facendolo letteralmente esplodere. Rimase con il braccio teso e la testa china, dolorosamente diviso tra due sentimenti così diversi eppure così simili.

Amore. Dovere.

***



Quando la commessa le chiuse il gancio del collier dietro la nuca, Nabiki si sentì invadere da una gioia incontenibile, colma di un benessere tale che pensava non avrebbe mai desiderato null’altro in vita sua.

Sai benissimo che non è così, questo è solo l’inizio…

“Posso guardarmi allo specchio?” Chiese emozionata.

“Ma certo, signorina! Mi lasci dire che le sta d’incanto, sembra proprio fatta su misura per lei!” Cinguettò la commessa accompagnandola di fronte a una specchiera d’argento.

Nabiki rimirò la propria immagine riflessa e l’emozione ebbe il sopravvento sulla sua usuale freddezza; con un gesto impulsivo si tolse gli orecchini di finte perle e fece un passo indietro per squadrarsi meglio.

Questa è la vera Nabiki, questa è la gioia cui anelo!

Lo splendore delle gemme le si rifletteva negli occhi e tutto il viso ne fu illuminato.

“Preferisce pagare in contanti o con carta di credito?” La voce della donna la fece ritornare coi piedi per terra. Frugò velocemente nel portafogli e si rese conto che quel testone non aveva tutto quel contante, vista anche la cena che avevano appena consumato. Con un sospiro tirò fuori la carta e la mostrò alla commessa.

“Ci metta anche quegli orecchini di vere perle per cortesia.” Disse con un gran sorriso.

***



Maledetto ombrello, quand’è che l’aveva perso?! Era zuppo fino al midollo, se fosse riuscito a trovare un luogo caldo e asciutto avrebbe dovuto strizzarsi a dovere! Sperava solo di non finire nei pressi di qualche ristorante con specialità di carne o l’avrebbero servito come secondo piatto.

Oggi la casa offre pancetta in umido! Che raffinatezza…

Rabbrividì alla scena che gli si stava già presentando nella mente. A una nuova folata di vento starnutì rumorosamente, attirando lo sguardo di una bimbetta che teneva per mano sua madre.

“Mamma, guarda! Quel povero porcellino è raffreddato!” Strillò battendo i piedi chiusi in un paio di stivaletti arancione.

“Andiamo, Kyoko, piove a dirotto! E lascia stare quel maialino, non sai che gli animali portano malattie?” Ribatté la donna trascinandosi dietro la figlioletta riluttante.

P-chan emise la sua ridotta versione di un ringhio: che razza di persone esistevano?! Una volta faceva tenerezza a quanti lo vedevano in quelle sembianze ridotte, cos’era questa storia delle malattie?

Alzò lo sguardo al cielo, ora sembrava più lontano del solito rispetto al suolo da cui lo separavano i pochi centimetri delle sue quattro zampette: quella semplice e sconfortante riflessione lo precipitò nuovamente nella realtà da cui aveva tentato così disperatamente di fuggire.

Akari. Povera, dolce e sola Akari…

E come se il destino ci avesse messo a forza il suo zampino, a pochi metri da lui poté leggere l’insegna: Ucchan II.

La mia piccola Ukyo… l’ho abbandonata di nuovo…

Era ora di dimostrarle che era un vero uomo e dichiarare la sua intenzione di restarle accanto per sempre: camminò a passo spedito fino alla vetrina e quando la sua immagine riflessa gli fu visibile si bloccò istintivamente.

Un vero uomo… già…

Con un grugnito di delusione lasciò ricadere le orecchie come un cane bastonato e fece quasi per ritornare sui suoi passi, ma una secchiata di acqua più gelida lo fece trasalire. Ora si trovava faccia a faccia con Ucchan che lo fissava incredula con un secchio vuoto tra le mani.

Secchio che puntualmente cadde a terra con un forte rumore.

Poi ci fu solo silenzio, a parte il picchiettare incessante della pioggia.

Come un automa, la ragazza girò i tacchi e rientrò nel locale e, dopo qualche secondo di esitazione, Ryoga la seguì; sbatté contro i suoi talloni quando lei si fermò di colpo e grugnì di disappunto.

“Che diavolo vuoi?” Fu la fredda domanda che udì.

“Io… sono qui per dirti che ti amo, e che non posso vivere senza di te. Ho appena lasciato una ragazza nonostante sia stata colpita da una grave disgrazia; perché è solo te che voglio.”

Ukyo lo continuava a guardare freddamente e per qualche istante Ryoga si chiese cosa, nel suo discorso accorato, fosse storto.
Non le ho parlato veramente, quello che le sarà arrivato saranno stati solo una serie di grugniti indecifrabili.

Aveva odiato tante volte la sua maledizione, ma quella volta fu la peggiore di tutte: proprio adesso che gli erano salite al cuore le parole giuste, proprio oggi che aveva ritrovato la vera strada di casa.

Se avessero di nuovo tentato di cucinarmi mi sarei sentito meno umiliato.

Improvvisamente divenne buio.

“Prendi questa coperta e asciugati. Puoi dormire nell’androne finché non smette di piovere, se vuoi. Poi vattene pure.”

A fatica trovò l’uscita nel groviglio di pieghe della coperta di lana… solo per vedere la schiena di Ukyo che camminava verso le scale e le saliva decisa, chiudendosi infine la porta del piano superiore alle spalle.

Che vita misera, non poter nemmeno andare ad aprire quella porta, precipitarmi da lei, imprigionarla tra le mie braccia e parlarle! Non poter fare nulla di tutto questo senza una brocca di acqua calda.

Rimase qualche minuto in quell’atrio deserto, udendo un lamento lieve provenire dal piano di sopra. Ukyo stava forse piangendo? O ridendo di lui? Non seppe dirlo, ma non sopportava di restare lì senza poter far nulla un minuto di più.

P-chan uscì mestamente dall’Ucchan II lasciando la coperta umida vicino all’entrata dove la donna che amava l’aveva gettata.

***



Quando tornò alla panchina stava piovendo e Nabiki si mise la mano che non reggeva l’ombrello sul fianco e mostrandosi a Kuno (che era zuppo di pioggia ma non pareva essersene accorto) in tutto il suo splendore. Aveva gettato in un tombino i vecchi orecchini di perle e la collana di bigiotteria, rendendosi conto troppo tardi che avrebbe potuto regalarli a Kasumi o ad Akane.

Bah, pazienza, non hanno mai messo nulla di simile!

Ora ne aveva di nuovi, fatti con perle vere ma soprattutto aveva il collier dei suoi sogni. “Eccomi, Kuno, ammirami pure!” Esclamò con orgoglio alzando bene il viso per mostrargli la meraviglia di luce che le ornava il collo. Gli occhi di Kuno si snebbiarono e il ragazzo saltò in piedi, perdendo e ritrovando quasi subito l’equilibrio.

“Oh, ma sei un sogno!” Incespicò fino a lei chiudendola in un abbraccio che le tolse per un attimo il respiro. “Andiamo a casa…” Le sospirò nell’orecchio con affanno. Nabiki alzò gli occhi al cielo.

Mi toccherà pure buttarlo sul suo futon e vederlo cominciare a russare!

“Va bene, va bene. Appoggiati pure a me, almeno questo te lo devo… ma non allungare le mani, eh?” Gli intimò non pensando veramente che lo avrebbe fatto. In realtà il Tuono Blu tentò più volte di abbracciarla e baciarla sulla via di casa, biascicando cose incomprensibili, ma lei lo scacciava ridendo e dandogli dei colpetti sul torace con l’intento di allontanarlo.

Data l’ora ormai tarda regnava il silenzio nella magione dei Kuno e Nabiki si sentì per un attimo a disagio ad accompagnare nella sua stanza il ragazzo malfermo sulle gambe.

“Insomma, sei peggio di un polipo! Vuoi staccarti?!” Lo spinse via più energicamente, mandandolo a cadere direttamente sul futon. Kuno sbatté le palpebre, come mettendola a fuoco.

“Ma tu mi hai fatto una promessa!” Dichiarò con fare ovvio, rimettendosi a stento in piedi.

Nabiki ripassò mentalmente la serie di promesse fatte al ragazzo per avere l’oggetto dei suoi desideri e guardò in alto allargando le braccia: “Oh, Taichi! Ti ho dedicato tutto il tempo che desideravi e ti ho anche accompagnato fin nel tuo castello, cosa puoi desiderare di più?”

Lui la fissò intensamente, poi la superò e chiuse la porta dietro di loro. A chiave.

“L’altro giorno, al telefono, mi hai promesso di passare la notte con me, mia regina, e qualche ora fa hai dichiarato di volerti mostrare a me con il tuo prezioso collier. Solo con quello al collo. Io ho mantenuto il mio impegno, ora tu manterrai il tuo.”

La media delle Tendo si sentì precipitare nel panico prima di cominciare a ripetersi che no, non poteva fare sul serio! Altre volte gli aveva fatto promesse simili, per quel che ricordava, ma non vi aveva mai tenuto fede, ovviamente. Non si sarebbe mai concessa a Kuno Tatewaki, nemmeno fra mille anni; a meno che, naturalmente, lui non le avesse fatto la formale richiesta di sposarlo per dividere con lei la sua vita e soprattutto le sue ricchezze...

“Kuno, questo giochetto mi sta stancando, apri quella porta e smettila!” Odiò il tono malfermo della sua voce, ma il suo timore era a un passo dal diventare terrore quando lui l’afferrò per i polsi abbastanza rudemente.

“Non puoi provocarmi così e poi pensare di ingannarmi, mia dolcezza, ora stai calma, sarò l’amante più tenero che tu abbia mai sognato…” La sospinse a terra senza che lei potesse fare nulla per evitarlo e prima che potesse inveire nuovamente contro di lui, Nabiki si sentì di nuovo le sue mani sul seno. Con un gesto repentino gli assestò uno schiaffo rotolando via prima che potesse schiacciarla col suo peso.

“Adesso basta, Nabiki Tendo, è ora che tu beva dalla coppa dell’amore!” Non c’era poesia nel suo tono e quello che accadde successivamente fu veloce e orribile: Kuno le si stese sopra impedendole di respirare, tenendola ferma per i polsi, baciandola ovunque arrivasse.

“Lasciami, Kuno! Ti ho detto di lasciarmi, non mi toccare!” Cominciò a dimenarsi e a scalciare e questo rese il respiro del ragazzo ancora più affannoso.

“Oh, mia selvaggia puledra, quanto impeto nelle tue membra! Lascia che io ti liberi da questo impedimento!” Con un gesto fulmineo le strappò il vestito per metà prima di riuscire a sfilarglielo nella maniera corretta. Nabiki lanciò un urlo e lui fu pronto a metterle una mano sulla bocca per zittirla.

Era schiacciata dal suo corpo, dalla sua mano e dal peso del collier e tutta la gioia provata poco prima si era trasformata in terrore.

Sta per violentarmi e io non ci posso fare niente!

La sua mente analitica si rifugiò in un ultimo, disperato pensiero che tentò di essere confortante: se lo lascio fare non potrà dirmi mai più di no…, poi avvertì l’eccitazione del ragazzo premerle su una gamba e un moto di ribellione la riscosse.

Non sarei molto diversa da una di quelle sgualdrine che si guadagnano da vivere vendendo il proprio corpo.

In una frazione di secondo Nabiki capì parecchie cose: non voleva trovarsi lì in quel momento, nemmeno per dieci di quei collier; aveva paura di Kuno che sembrava impazzito per via dell’alcol; avrebbe preferito vendersi l’anima piuttosto che darsi in quel modo.
L’adrenalina le diede una forza che solo la disperazione poteva portare e con uno sforzo immane liberò i polsi dalla presa del ragazzo e lanciò un grido acutissimo. Lo sentiva già armeggiare con la cerniera lampo e le salirono le lacrime agli occhi mentre tentava di immaginare quanto orribile sarebbe stato.

Come ho potuto arrivare a questo? Come ho potuto pensare che lui non avrebbe mai…

“Che diavolo sta succedendo qui?!” La voce stridula della Rosa Nera la fece voltare di scatto, inondandola di speranza come se avesse udito un suono celestiale. Stava già chiedendosi come avesse fatto a entrare quando vide che dalla sua mano pendeva un mazzo di chiavi.

Nabiki si ritrovò a ringraziare il Cielo di essere stata salvata da Kodachi Kuno.

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Capitolo 5
*** Kuno ***


CAP. 5: KUNO


Ranma si rigirò nel futon, nervoso: il grosso panda obeso al suo fianco russava sonoramente; non solo non sarebbe riuscito a dormire, ma neanche a PENSARE! Aveva litigato con Akane per una stupidaggine come la cena. Di nuovo. Perché era così idiota? Sarebbe bastato mandare giù l’ennesima portata poco commestibile e piena di zucchero, prendere un digestivo e sopportare il conseguente mal di pancia: una volta che le cose tra loro andavano bene apriva la sua boccaccia e tirava fuori una cattiveria! Ok, quello di Akane era stato l’ennesimo tentativo di avvelenamento ma la realtà era che, per lei, rappresentava solo un gesto carino: presentargli un vassoio con quella massa informe e giallastra che emanava un odore misto di pesce e caramello era per Akane l’equivalente di porgergli un dolce dallo squisito aroma; e certamente era stato poco carino da parte sua lasciarsi sfuggire un conato di vomito e diventare verde come se avesse la bile fin nel cervello. Ma, diamine, Akane non si accorgeva dei familiari alle sue spalle con tanto di mascherine abbassate sulla faccia, neanche fosse un’appestata?!

Ci teneva che a me piacesse quel suo pastrocchio nauseabondo.

“Insomma, Akane, possibile che tu sia così limitata da non sentire neanche che razza di odore emana quel coso?! O fai solo finta?” Diamine, se l’era davvero cercata! Nemmeno fosse una bambina stupida che si divertiva con la cucina della mamma: alla sua età doveva pur saper distinguere tra sale e zucchero, profumo e cattivo odore! Il risultato era stato catastrofico per lui, che aveva comunque avuto la sua dose di pesce, o dolce, o quel che diavolo fosse: se l’era ritrovato completamente spiaccicato sulla faccia e non sapeva se era peggiore il dolore per la botta ricevuta dal piatto o la nausea per essersi ritrovato praticamente affogato in quella robaccia. Akane era scappata via con un singhiozzo e Kasumi era rimasta a pulire il pavimento, scuotendo la testa contrariata (non sapeva se dalla sorella o da lui stesso); non gli era rimasto altro da fare che lavarsi a fondo e andarsene nella sua vecchia stanza. L’indomani le avrebbe chiesto scusa, e poi… i suoi pensieri furono interrotti da un rumore per le scale.
Qualcuno stava correndo ansimando rumorosamente.
Ranma si accigliò. Possibile che Akane fosse ancora nel dojo? Eppure aveva sentito chiaramente i suoi passi stanchi e la porta della sua camera chiudersi più di un’ora prima. Lentamente sgusciò via dal futon e socchiuse pian piano la porta… appena in tempo per vedere un caschetto castano chiudersi un uscio alle spalle.

Nabiki?!

Da quando in qua correva per le scale come sua sorella minore? In punta di piedi uscì dalla stanza e accostò l’orecchio alla porta della sua camera.

Un singhiozzo soffocato.

Ranma spalancò gli occhi sorpreso: Nabiki stava… piangendo?! “Che diavolo…?!” Mormorò, indeciso se svegliare o no Akane.

Alla fine fece l’unica cosa istintiva della sua vita.

Un po’ per la sorpresa, e un po’ per la confusione, aprì la porta discretamente e sbirciò all’interno; il suo istinto gli diceva che Nabiki non gli avrebbe aperto se avesse provato a bussare. Fu sempre il suo istinto a suggerirgli che le fosse accaduto qualcosa di grave, qualcosa che non avrebbe mai saputo se non avesse agito così. Quei pensieri gli sfrecciarono nella mente nel giro di un decimo di secondo e lo misero davanti allo spettacolo più incredibile della sua vita, illuminato dall’impietosa luce elettrica della camera.
Nabiki si voltò di scatto: prima che un oggetto lo centrasse in pieno viso, mettendo fine allo spettacolo, registrò gli occhi rossi di Nabiki e i vestiti stracciati che lasciavano intravedere la pelle della ragazza.
“VATTENE VIA, MALEDETTO!” Gridò mentre Ranma si chiudeva la porta alle spalle con una mano sulla fronte ferita. Qualcosa cadde per terra tintinnando rumorosamente.
Ranma non ebbe bisogno di raccoglierlo per accorgersi che era un collier dall’aria decisamente costosa.

***



Sapeva che solo pochi minuti di strada la separavano da casa sua, ma quella sera il tragitto le parve durare ore. Eppure stava correndo. La giacca leggera che indossava la copriva a malapena e il vestito era strappato malamente: sentiva un gelo che le entrava nelle ossa.
Dopo l’irruzione di Kodachi si era gettata sulla soglia superandola senza dire nulla, inciampando e scontrandosi con Sasuke che accorreva a sua volta; era uscita di casa come un razzo senza guardarsi alle spalle, desiderosa solo di mettere più distanza possibile tra lei e Kuno Tatewaki. Quando finalmente arrivò sulla soglia di casa il silenzio la stordì più di qualsiasi altro rumore: il sangue le ronzava nelle orecchie e il respiro affannato dalla corsa la scuoteva. Poi c’era il rumore dei denti che battevano.

Ho freddo, ho paura, sono sconvolta. Io, Nabiki Tendo.

Non voleva che qualcuno la vedesse in quello stato e per qualche secondo considerò l’idea di rimanere a dormire al piano terra. Poi ripensò all’abito strappato e decise che era un’idea stupida. Si impose di farsi forza e affrontare le scale al buio.

Vorrei che qualcuno mi prendesse per mano e mi conducesse verso una luce. Vorrei tornare bambina e abbracciare mia madre. Vorrei che lei mi dicesse che è tutto a posto.

Sentendosi improvvisamente regredire di almeno dieci anni, Nabiki percorse a tastoni la strada fino alle scale. Misericordiosamente qualcuno aveva apposto un piccolo punto luce ad un certo punto lungo la parete, ma era sufficiente a farle vedere dove metteva i piedi, non a illuminare l’oscurità che aveva dentro.
Giunta a metà percorso vennero a galla le paure più recondite e profonde di quando era bambina: alle sue spalle, nell’abisso dei gradini più bassi, c’erano i mostri che uscivano fuori quando andava a dormire la sera, c’era il viso distrutto di suo padre dopo essere rimasto vedovo, c’era Kuno con le braccia protese che voleva toccarla ancora e ancora. Senza pensarci, cominciò a correre quasi alla cieca riuscendo a non inciampare per puro miracolo, raggiunse la porta della sua camera e la richiuse con un tonfo sordo.

Poi vi si appoggiò contro e le uscì un singhiozzo; ansimando, cercò l’interruttore della luce e ne venne inondata. Per qualche strano motivo questo la commosse e Nabiki si sedette sul letto ansimando, singhiozzando e portandosi una mano al petto per riprendere il controllo delle sue emozioni.

Ok, è solo lo stress accumulato, ora mi passa, sono tutte sciocchezze: questa è la mia stanza e quelle erano solo le scale, adesso io…

Era quasi riuscita a riprendere il controllo di sé quando la porta si socchiuse. Si preparò mentalmente ad affrontare Kasumi o Akane invece vide Ranma: quello fu il colpo di grazia.

Un uomo. Nella sua stanza. Che l’aveva vista nel suo unico momento di debolezza.

Con un gesto istintivo, come se quella fosse l’unica fonte dei suoi guai, si strappò il collier dal collo e lo lanciò con tutte le sue forze verso uno sconvolto codinato.

“VATTENE VIA, MALEDETTO!”

Ranma si dissolse all’istante.

“Merda…” Imprecò Nabiki mettendosi le mani sul volto e, come per magia, quella parolaccia le fece riprendere il controllo delle sue emozioni.

***



Akane era furiosa. Si era sfogata in palestra, il manichino era in pezzi, ma era ancora così arrabbiata! Ranma era il solito idiota, doveva sempre rovinare tutto: aveva impiegato il pomeriggio intero a sfornare quella maledetta ricetta e quel baka era riuscito a offenderla pesantemente senza nemmeno il minimo rimorso! Le lacrime le punsero gli occhi e la ragazza mise la testa sotto il cuscino sbattendo i piedi sul materasso per sfogare la sua frustrazione. Non era più abituata a dormire sola, e il suo letto le sembrò enorme.
D’improvviso udì uno scalpiccio per le scale. Si tolse il cuscino dalla testa e rimase in ascolto. La porta della camera di Nabiki si chiuse rumorosamente. Quello che udì dopo la gelò: Nabiki singhiozzava piano. La rabbia e la tristezza le caddero di dosso come pelle di serpente, ora era tesa e all’erta. Scese dal letto e si accostò al muro: se Nabiki era così disperata doveva esserle accaduto qualcosa di veramente grave. Fece per uscire, ma si bloccò; sentì un altro rumore, ma stavolta dalla stanza di Ranma. Anche lui doveva averla sentita. Udì che la porta della stanza di Nabiki veniva socchiusa… quel baka non aveva neanche bussato! Poi l’urlo della secondogenita le risuonò nelle orecchie: “VATTENE VIA, MALEDETTO!” Akane scattò verso la porta, aprendola. Vide Ranma con una mano sulla fronte, e sul pavimento…

“in cambio vorrei che mi comprassi quel MERAVIGLIOSO collier che abbiamo visto la settimana scorsa e poi…chissà”

No, Nabiki aveva detto...

“Akane.” La voce di Ranma la riscosse.
“Cosa?” Chiese stordita.
“Nabiki… era…”
“Cosa?! Cosa aveva Nabiki?!” Esclamò a bassa voce per non farsi sentire dalla sorella.
Ranma deglutì come se avesse qualcosa di scomodo in gola. “I suoi vestiti erano…”
Il cuore di Akane, che sapeva già la verità, cominciò a battere dolorosamente.
Kuno.
Il collier.
Ma Kuno non avrebbe mai… e Nabiki… udì un altro singhiozzo e si precipitò nella stanza di sua sorella.

“Bene, pare che ormai il mio rientro sia di dominio pubblico.” Commentò la Regina del Gelo asciugandosi gli occhi col polso. Ormai era stata scoperta e non poteva farci niente. Akane le si avvicinò tremante e le pose la mano su una spalla.
L’allontanò gentilmente. “Grazie, sto bene.” L’ultima cosa che le mancava era essere compatita: ora che aveva ripreso il controllo delle sue emozioni anelava solo di rimanere sola.

Eppure poco fa la solitudine mi ha terrorizzata…

“Non dire sciocchezze”, redarguì la minore delle Tendo. “Hai i vestiti strappati e stai piangendo.” Nabiki sorrise, amara. “Ottimo spirito di osservazione, sorella.”
“È stato Kuno, vero? Che ti ha fatto quel porco?” Domandò gelida Akane.
“La risposta è nell’ingresso della mia camera. Mi ha regalato il collier.”
La sorella sbatté un pugno sul letto. “Ma tu gli hai fatto una promessa pericolosa!” Esclamò prima di capire il proprio errore.
Infatti la secondogenita la fissò accigliata. “Il vizio di spiare è ancora in voga, quindi.”
“Nabiki… sorellina, sono preoccupata per te! Ma insomma, guardati!” Disse indicandola.
Nabiki si alzò dal letto e si avvolse le braccia intorno alle spalle. Aveva di nuovo freddo.
“All’inizio credevo che avrei avuto il controllo della situazione – spiegò con voce roca, diversa dal solito – poi ha cominciato a toccarmi e io gli ho detto di smettere. Ma lui non voleva. L’ho colpito, ma lui aveva bevuto e…” Tirare fuori quello che le era appena accaduto fu spaventoso ma disintossicante. Era incredibile come le venisse facile parlarne.
“Kuno era UBRIACO?!” Esclamò Akane alzandosi in piedi a sua volta.
“Già, sono stata io a farlo bere, in un locale dietro alla gioielleria. Tanto per essere sicura che mi avrebbe accontentata”, rispose lei con voce incolore. “E ora so che se non fosse arrivata Kodachi attirata da tutto quel baccano…” Immaginare un seguito diverso, però, la fece tremare di nuovo.
Akane rilassò i muscoli. “Allora non ti ha fatto niente… meno male.”
Nabiki rise amara. “Stava per violentarmi: tu lo chiami niente?!” Domandò, lievemente isterica. Se Akane avesse saputo le paure che le erano passate per la mente poco prima forse non si sarebbe espressa in quei termini. Rischiare di farsi mettere le mani addosso contro la propria volontà le aveva toccato corde interiori che non sapeva nemmeno di possedere.

Ora so cos’è la cosa peggiore che può capitare a una donna.

“Beh, se tu non lo avessi provocato e indotto a bere forse non l’avrebbe fatto, non credi?!” Esclamò la sorella minore facendola quasi sussultare.
“Certo, hai ragione – rispose lei asciutta – ognuno raccoglie ciò che semina.” Lo sapeva anche lei, ovviamente, ma non credeva di aver seminato un tale finale di serata.
Akane sospirò. “Nabiki…”
“No. Lasciami in pace. Ho sbagliato e ne pagherò le conseguenze.” Dopo tutte quelle emozioni, rifugiarsi di nuovo nel gelo le parve la soluzione più efficace. Niente sentimenti, niente dolore, niente di niente.

Solo il vuoto.

Quello che aveva creato intorno a sé quando era rimasta orfana di madre. Quando pensava che la sofferenza l’avrebbe inghiottita le era bastato distaccarsi da tutto e da tutti e pensare solo al lato pratico delle cose: questo le aveva praticamente salvato la vita.

Cominciò a liberarsi degli orecchini e del vestito malconcio per infilare un comodo pigiama, conscia dello sguardo della sorella minore.
“Pensi di rimanere lì impalata tutta la sera?”

Akane sussultò poi scosse la testa; le due sorelle si guardarono per qualche secondo, poi la minore uscì silenziosamente mormorando un leggero “buona notte” che commosse Nabiki. Chiuse gli occhi, ascoltando i passi di Akane allontanarsi, prese un respiro e si infilò sotto le coperte.

Solo qualche ora dopo si risvegliò da un incubo in cui era di nuovo nella stanza di Kuno; nessuno interveniva, stavolta, e il suo urlo era muto. Aprì gli occhi con la bocca spalancata e il fiato che le usciva dai polmoni in un sibilo.

Non mi sono lavata le sue mani di dosso. Ecco perché l’ho sognato. Razionalizzò.

Si chiuse in bagno, stette sotto l’acqua tiepida della doccia per circa mezz’ora e quando ritornò a letto era più calma. Ma per il resto della notte non chiuse occhio.

***



Ranma bussò piano alla porta di Akane, certo che non gli avrebbe risposto o lo avrebbe scacciato. Invece andò personalmente ad aprirgli la porta. Era spettinata e pallida.
“Akane…”
“Ranma è tardi, perché non sei a letto?” Domandò stancamente la minore delle Tendo.
Il ragazzo col codino si girò i pollici imbarazzato. “È che… Nabiki sta bene?”
Akane si morse il labbro inferiore, poi aprì un poco di più la porta e gli fece segno di entrare. Sedettero sul letto e le molle cigolarono rumorosamente nel silenzio della notte.
Akane raccontò a grandi linee l’accaduto, e Ranma ascoltò attentamente annuendo di tanto in tanto. “Beh, pare che il problema di Ryoga e Ukyo dovrà aspettare un po’…” Sentenziò seriamente Akane.
“Problema? Hai parlato con Ucchan? Si può sapere cosa diamine le ha fatto quel suino di Ryoga?!” Si era dimenticato di chiedere scusa alla sua amica e non credeva fosse accaduto davvero qualcosa di serio a quei due.
“Voi uomini siete tutti uguali, vi avvicinate a noi per poi farci solo soffrire, abbandonarci, trattarci come bambole! E tu non fai eccezione!”
Ranma non seppe mai, né tentò di capire cosa scattò dentro di lui: qualcosa si ruppe e ritrovò un equilibrio solo quando riuscì a sbottare un perentorio: “Stai zitta!” La vide spalancare gli occhi, boccheggiare e continuò prima che potesse proferire altro. “Non sono disposto a farmi trattare così da te, perché ti voglio troppo bene: non ti permetterò di rovinare tutto quello che abbiamo costruito sin’ora per i tuoi attacchi infantili.” Aveva parlato in tono pacato, senza alzare la voce, ma con la fermezza di chi intendesse risolvere assolutamente la questione.
Non ora però.
“Adesso comunque non possiamo parlarne, ho qualcosa da sistemare.”
“Che vuoi fare?” Mormorò Akane che incredibilmente, forse troppo scossa dalla piega presa dalla situazione e sconvolta da quel Ranma, non aveva avuto reazioni evidenti.
“Vado da Kuno. Adesso.” Disse lui aprendo la finestra e preparandosi a saltare.
“Aspetta!” Ranma si voltò a guardarla, certo che gli avrebbe tirato qualcosa addosso o avrebbe impugnato la mazza da baseball per picchiarlo ben bene prima di mandarlo in spedizione punitiva. Invece la vide guardarsi intorno e socchiudere la porta come per controllare il corridoio. “Che c’è? Non posso passare dalla porta, sveglierei tutti, e…”
“Vengo con te”, disse Akane improvvisamente. “E non in pigiama.”
Solo allora Ranma si accorse di essere ancora in boxer e canottiera.

***



Non era stato particolarmente edificante entrare di prepotenza nella magione dei Kuno, calciando via un Sasuke contrito e scovare Tatewaki inginocchiato davanti al water intento a vomitare in cavernosi conati. Il bagno era immacolato e impreziosito da rifiniture in oro, ma la scena del padrone di casa in quelle condizioni pietose era come un pugno in un occhio.

“Bleahh, dannazione!” Proruppe Ranma tirando via Akane per un braccio.
“Nghhh… Ranma S…. uuuugghhh!”
Il codinato fece una smorfia di disgusto: avevano imprecato, urlato e maledetto il suo nome. Ma era la prima volta che qualcuno lo vomitava.
“Sono un po’ occupghhhh…. occupato ma…. ghhhhh… se aspetti un secondo…
UUUUUGHHHH!”
“Vieni, Akane, credo che ne avrà per ben più di un secondo!” La ragazza annuì, con un colorito talmente pallido che temette per un attimo che si sarebbe andata a unire al Tuono Blu.
“Oh, Ranma, mio adorato!” La Rosa Nera gli si avvinghiò così all’improvviso che Ranma si sbilanciò per qualche secondo. Poi la rabbia riemerse in lui come un’onda di marea e se la scrollò di dosso con insolita veemenza.
“Lasciami stare, Kodachi, non è serata. E poi è ora di smetterla con queste smancerie, non ti pare?” Registrò su di sé gli sguardi stupefatti delle due ragazze e si rese conto di quanto fossero cambiate le cose dentro di lui: non si era mai sentito così adulto e sicuro come in quegli ultimi tempi.

È proprio vero, il vero terremoto c’è stato dentro di me. Ora che Akane è davvero la mia fidanzata sono cambiato.

“Sono d’accordo. Ufficializziamo il nostro fidanzamento così da poter fare le cose alla luce del sole!” Cinguettò per tutta risposta.
Ranma decise che, se si fosse messo a discutere con lei, sarebbe stato lo stesso che tentare di far ragionare un muro, per cui si limitò a gridare in direzione del bagno.
“Quando hai finito di là sono in salotto ad aspettarti. E stavolta non avrò la mano leggera!”
Si diresse verso l’altra stanza a grandi passi, seguito da una frastornata Kodachi e da una stupefatta Akane.

***



“Scusate il ri…” Il pugno che lo colpì fu talmente fulmineo che Tatewaki cadde a terra con un tonfo. Annaspò, tentando di sollevarsi, ma un altro pugno dritto sul naso lo rigettò sul pavimento. Scosse la testa, pulsante e dolorante come un dente cariato e li vide: Ranma e Akane in piedi di fronte a lui, Kodachi poco più in là con le mani davanti alla bocca in un’espressione preoccupata; notò che il ragazzo col codino aveva ancora il braccio sollevato.
“Ranma Saotome, come osi piombare nella mia dimora in piena notte e colpirmi come…”
“Taci, Kuno, a un porco come te non riservo buone maniere!”
“Esigo una spiegazione!” S’intromise Akane.
Kuno si scostò dalla fronte il solito ciuffo ribelle e sorrise appena. “Sarò lieto di dare alla dolce Akane Tendo tutte le spiegazioni ch’ella desidera, nonostante il dolore al capo mi impedisca di pensare lucidamente…”
Ranma lo afferrò per la collottola. “Le spiegazioni le darai a entrambi, o non avrai più solo mal di testa!” Minacciò.
“Ranma calmati ora, sono sicura che Kuno ci spiegherà per filo e per segno per quale motivo stasera ha tentato di allungare le mani su mia sorella!” Sentenziò la sua fidanzata in tono lapidario.
Tatewaki si portò una mano sulla tempia. “Cosa… cosa dici Akane Tendo? Io… avrei…?”
“Vigliacco, te lo sei già scordato o fai solo finta?!” Urlò il ragazzo col codino.
“Insomma, smettetela! Di sicuro Nabiki Tendo avrà sedotto mio fratello per indurlo a un’azione tanto deplorevole, non è vero, Tatewaki?” Il Tono Blu fissò la sorella, instupidito, poi si portò una mano sotto al naso sanguinante. Guardò il liquido rosso che gli tinse le dita.
“Nabiki… non farebbe mai una cosa del genere!” Disse Akane distogliendo lo sguardo. Kuno vide nei suoi occhi un profondo tormento.
“Mio fratello non si abbasserebbe mai a tanto!”

Il vino. Il collier. Il bisogno d’amore che lo attanagliava. Un flash, inaspettato, di sua madre che lo teneva in braccio, quando era molto piccolo. Kuno Tatewaki ebbe la prima, vera, illuminazione della sua vita.

“È solo colpa mia, perdonami, Akane Tendo.” Mormorò infine, rimanendo seduto per terra e appoggiando la schiena al muro.

***



Non ricordo esattamente quando mia madre è andata via. So solo che piangeva.

“Quindi mi stai dicendo che hai bevuto troppo. E questa ti sembra una giustificazione valida?! Io direi piuttosto che è un’aggravante!” Disse Ranma aggrottando le sopracciglia.
“Fratello, è stata quella sgualdrinella a farti bere, non è vero?”
“Mia sorella non è una sgualdrina!” Gridò Akane tentando di colpire Kodachi che la evitò con un agile salto all’indietro. Rise sguaiatamente spargendo petali neri con il suo nastro.
“Solo una sgualdrina si venderebbe per un gioiello di quella fattura! L’ho visto al suo collo, cara Akane Tendo!”

Kodachi era ancora nella culla e non credo abbia ricordo di lei. Ma io sì; io ricordo le sue braccia calde e il suo seno profumato mentre mi stringeva a sé e mi diceva addio.

“Smettila di parlare così di Nabiki!” Ruggì la minore delle Tendo avventandosi su Kodachi come una furia. Stavolta riuscì a colpirla con un pugno mirato nello stomaco; rimase a fissare i suoi occhi spalancati per la mancanza d’aria prima di prepararsi per un nuovo attacco.
“Pensi davvero di potermi sconfiggere, novellina?!”
Akane ruotò su se stessa per sfoderare un calcio che la sfiorò appena.

Da quel giorno, dentro di me, si è aperta una voragine. Akane Tendo. La ragazza col codino. Nabiki Tendo. Con loro ho tentato di riempirla. Perché avevo un disperato bisogno di essere amato. Di rimediare a quell’abbandono.

Akane ansimò per qualche secondo, poi le lacrime presero a scenderle sul viso senza che lei potesse fermarle. Ranma gli fu subito accanto.
“Kodachi, stai zitta una buona volta! Nabiki non è tipo da fare cose simili. La mia opinione è che la serata abbia preso solo una piega sbagliata. Non penso, d’altronde, che Kuno se fosse stato sobrio avrebbe agito così. Ma è necessario che si scusi con lei.”
“No, Ranma, tu non sai… non te l’ho detto. Nabiki voleva quel collier da tempo; l’ho sentita parlare al telefono con lui. È stata lui a farlo bere… ha fatto un grosso errore. Kuno ha esagerato, ma lei doveva stare più attenta!” Pianse Akane.

Ho rischiato di farle una cosa ignobile con il mio bisogno d’amore.

“Nabiki Tendo ha solo tentato di colmare un vuoto. Lo fa cercando la ricchezza.” Alzò il viso per guardare la minore delle Tendo e si accorse che ora tutti lo squadravano con attenzione. “Tu pratichi le arti marziali, vostra sorella Kasumi invece si occupa del dojo. Io cerco… solo una ragazza che mi ami.”

Per un attimo nella stanza calò il silenzio. Ranma rimase con la bocca spalancata, Akane smise di piangere e Kodachi di ridere. Perfino Sasuke si affacciò, preoccupato dal fatto che non ci fosse più il solito, rassicurante caos.

“In nome del cielo, sei ancora ubriaco o cosa? Di che parli?” Sbottò la Rosa Nera.

“Parlo del fatto che non abbiamo avuto una madre! Le sorelle Tendo sono forti e hanno un padre e delle persone che le amano. Noi cosa abbiamo avuto, a parte il devoto Sasuke? Una specie di pazzo furioso con una palma in cima alla testa che ci ha abbandonati per ben due volte!” Si alzò in piedi, barcollando. Poi si inginocchiò direttamente di fronte a Ranma e Akane. I due si scostarono, come se fossero stati minacciati.
“Vi prego di perdonarmi per quello che ho fatto a Nabiki. Domani verrò quanto prima a scusarmi con lei e con vostro padre.”

“N-non c’è bisogno di farlo sapere anche a papà… credo sarebbe più dannoso che altro.” Riuscì a balbettare Akane.

Kuno annuì, poi si rialzò in piedi. “Ora, perdonatemi, ma ho estremo bisogno di riposare. Mi ritiro nelle mie stanze. Buonanotte.”

Stanotte ho capito tante cose. Forse troppe. Ma mi sento bene, sono leggero come una piuma. Forse la mia vita, da ora in poi, avrà finalmente un senso.

La porta si chiuse e il rumore fu quello di un tonfo sordo nel silenzio.

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Capitolo 6
*** Biancanera ***


CAP. 6: BIANCANERA

Forse non sai quel che darei
Perché tu sia felice
Piangi lacrime di aria
Lacrime invisibili
Che solamente gli angeli
san portar via

Ma cambierà stagione
ci saranno nuove rose

E ci sarà
dentro te e al di là
dell'orizzonte
una piccola
poesia

Ci sarà
forse esiste già al di là
dell'orizzonte
una poesia anche per te

Vorrei rinascere per te
e ricominciare insieme come se
non sentissi più dolore
ma tu hai tessuto sogni di cristallo troppo coraggiosi e
fragili
per morire adesso
solo per un rimpianto

Ci sarà
dentro e te e al di là
dell'orizzonte
una piccola poesia

Ci sarà
dentro e te e al di là
dell'orizzonte
una poesia anche per te

Perdona e dimenticherai
per quanto possa fare male in fondo sai
che sei ancora qui
e dare tutto e dare tanto quanto il tempo in cui il tuo segno rimarrà
questo nodo lo sciolga il sole come sa fare con la neve

(Una poesia anche per te.
– Elisa)


Angelo mio saltiamo
in fondo al buio andiamo
cadendo giù per sempre liberi

Angelo mio saltiamo
Spaccami il cuore piano
Portami ovunque senza andare via

(Suicidio d’amore.
– Gianna Nannini)


Aveva seguito la sua padrona silenziosamente, da perfetto ninja, riuscendo a evitare ogni rumore superfluo delle sue zampe a contatto con l’erba. Quando l’aveva vista alzarsi dal letto e trascinarsi con movimenti studiati su quella specie di sedia con le ruote era scattato un allarme interno nel suo cervello: dove voleva andare in piena notte?!
Sapeva che la padroncina umana era triste, l’aveva percepito chiaramente quel pomeriggio; e non ci voleva un istinto canino per capire che il suo malessere dipendeva dall’arrivo del ragazzo con il pezzo di stoffa giallo tra i capelli: gli voleva a sua volta molto bene, era stato il suo primo amico e amava lei e i suoi cuccioli. Dopo tanto tempo era felicissima di rivederlo. Ma, stranamente, i due avevano parlato per un po’ a bassa voce e lui se n’era andato senza salutarla: ci era rimasta un po’ male e aveva avuto quasi voglia di seguirlo. Poi però, vedere la padrona così sofferente l’aveva convinta a rimanere con lei.
Ora capiva che aveva fatto bene: da quando, invece di camminare sulle proprie gambe, manovrava quella strana cosa di ferro, l’umana era cambiata tantissimo; annusandola mentre dormiva, Biancanera aveva scoperto che qualcosa non andava nel suo corpo e che non poter più correre come prima le costava tristezza e fatica. Non poteva neanche immaginare come sarebbe stato terribile per lei trovarsi in quelle condizioni!
Formulando questo pensiero aveva avuto quasi un presentimento: la padroncina non riusciva più a camminare e il suo amico era andato via dopo averle solo parlato per un po’… non c’era dubbio, il suo istinto non sbagliava mai: l’umana voleva morire.

***



Tremo.

Le mie mani sono gelide sui braccioli di questa dannata sedia; sono sicura che, se ancora potessi, sentirei freddo anche ai piedi. Ho scelto una notte davvero rigida per uscire…
Il burrone è come una pozza nera e vuota eppure mi sta bene così: è come se mi gettassi dentro a una melassa scura, morbida. Se potessi vedere i fiori sarebbe più triste, forse mi passerebbe anche il coraggio; così non scorgo nemmeno le rocce appuntite che sporgono dalla parete.

Un sibilo, un goccia.

Tira anche vento e piove, stanotte va tutto storto… ma in fondo, che importanza ha ormai? Alzo lo sguardo al cielo e vedo un milione di stelle accese, la luna che esce proprio ora da una nube solitaria. Ma…

Non sta piovendo e non c’è nemmeno vento a ben vedere: sto respirando a fatica. Sto piangendo. Sto avendo paura, provo orrore per ciò che sto per fare. Penso ai miei genitori, al nonno, al mio caro Katsunishiki e a Biancanera… penso… a lui… Penso alla mia vita condannata a rimanere qui sopra, vedendo invecchiare e morire i miei cari e poi rimanendo sola.

Sola come stanotte, davanti a un dannato burrone.

Dentro sento di nuovo quella cosa acuminata così... oh, dei, così simile all’odio! Io, che ho sempre amato la vita e le persone. I maiali. La mia Biancanera, i suoi cuccioli. Il vento, gli alberi e…

…i fiori… i fiori ai piedi del burrone…

Non sopporto di sentirmi così, è come se quella maledetta trave avesse cambiato i miei sentimenti al pari del mio corpo.

Solitudine e rabbia, questo mi aspetta.

Ma io non aspetterò loro.

Con un movimento deciso della braccia mi sollevo dalla sedia. Chiudo gli occhi, respiro affannosamente, mi sembra di avere un macigno nel petto. Grido, o forse l’urlo è solo nella mia testa, non lo so, tutto accade velocemente. La sedia cigola mentre mi spingo in avanti e sfugge via, all’indietro, chiudo gli occhi e allargo le braccia.

Sto volando nel nero.

.
Scattò quasi simultaneamente, l’istinto gridava alle sue zampe di andare veloce, ancora più veloce. La sua padrona aveva gridato e ora volava come un uccello: ma gli uccelli hanno le ali, gli umani no, Biancanera sapeva che quello era un buco molto profondo e che cadere lì poteva far male.

Poteva far morire.

Era buio pesto e il fiuto le portò alle narici l’odore del sangue mentre si gettava a sua volta nel burrone senza esitare un attimo.

***



Ranma si girò nel futon sbuffando ancora una volta per il disappunto.

Maledetto maiale! .

P-chan stava accoccolato tra le braccia di Akane, dormendo beatamente in posizione fetale.

Un suino nel letto della mia ragazza… di nuovo! .

Eppure quella volta era diverso, dentro di sé il ragazzo col codino ne era cosciente.

Ranma lo aveva visto nel vialetto di casa Tendo, poche ore prima, e Akane, forse provata dalla serata piena, non lo aveva notato ed era salita in camera sua biascicando qualcosa su Kuno Tatewaki e contro la pioggia che stava cominciando a cadere. Ranma era rimasto in giardino, deciso a ‘catturare’ P-chan, infilarlo in una vasca d’acqua bollente (tanto più che ormai era tanto fradicio di pioggia da essersi trasformato a sua volta) e fargli sputare quello che aveva combinato con Ukyo. Il maiale sembrava assorto in pensieri gravi, ma d’altronde quello era il suo stato normale. Eppure aveva avuto modo di riconoscere una profonda maturità acquisita da Ryoga: non aveva più dormito nel letto di Akane (almeno fino a quella notte) e le poche volte che si era presentato al dojo come P-chan era più per non farla preoccupare della sua prolungata assenza che per altro.

Ma ora non capiva più cosa gli passasse, o meglio, chi. gli passasse per la mente. Di sicuro Akane non era più in cima alla lista e i suoi viaggi frequenti gli indicavano, come possibile candidata, la stessa Akari che qualche tempo prima era stata l’infelice compagna dei più disastrosi appuntamenti.

E non sempre per colpa di Ryoga, diciamocelo… c’è stata una volta in cui una misteriosa sorella minore di P-chan si è materializzata dal nulla rovinandogli la piazza. .

Oh, ma quella volta era giustificato! C’era anche Akane in ballo e lui
Si era divertito un mondo a metterlo in difficoltà! .

voleva capire a chi delle due tenesse di più!

Ora saltava fuori che c’era stato un avvicinamento con Ukyo, e Ranma aveva sperato non fosse un altro degli eccessi romantici da io-ho-bisogno-d’amore tipici dell’amico. Quel mattino però gli si era accesa una campanella in testa: Ucchan soffriva, Ucchan parlava da sola (anche se non aveva capito bene cosa dicesse), Ucchan aveva dato del maiale a Ryoga.

Era stufo di vedere le persone a cui teneva coinvolte nei suoi deliri: prima Akane, che lo credeva il suo maialino e si era lasciata prendere in giro,

e, diavolo, ero terribilmente geloso a dirla tutta! .

ora la sua migliore amica, che lui stimava e amava come una sorella; che aveva già sofferto per causa sua e dei suoi sentimenti non corrisposti. Si sentiva protettivo nei suoi confronti, ora più di prima. Il terremoto aveva rafforzato molti legami e diviso parecchie persone prima ancora che potessero riunirsi.

Mia madre, suo padre. Siamo così simili….

Ukyo aveva sofferto molto e la solitudine aveva rischiato di distruggerla. Con enorme sforzo aveva tentato di starle vicino facendole però capire che Akane sarebbe stata sempre e solo la sua unica fidanzata: a poco a poco le due erano diventate amiche come non lo erano mai state e la questione si era riequilibrata, grazie anche a Ryoga. Improvvisamente e miracolosamente, la coppia che aveva tentato di dividerli nella Grotta del Perduto Amore aveva scoperto di poter instaurare un legame e ora erano quattro amici, due coppie, privi di gelosie e antagonismi.

Ma sembrava che il ragazzo con la bandana avesse fatto un passo falso e aveva sopportato male la tristezza profonda che aveva visto sul volto dell’amica, quella mattina.

Non deve ferire Ucchan, non anche lui. .

Ranma-chan si fece scrocchiare le nocche e lo osservò mentre camminava a testa bassa, con le orecchie fradice e gli occhi pieni di tristezza.

Disperati pure, finché puoi. .

Aveva pensato, poi lo aveva raggiunto con un balzo.

Akane dice che ho la delicatezza di un elefante, ma non sa che Ukyo è la seconda persona al mondo per la quale farei qualunque cosa. .

***


Trasalì. Era talmente soprappensiero che non aveva sentito arrivare quella furia della ragazza col codino. Se fosse stato un nemico…
Sono arrivato dai Tendo e non me ne sono neanche accorto. Pensò stupidamente, ben sapendo che era lì che era diretto fin dall’inizio.
Ranchan lo afferrò senza tanti complimenti, gli tappò il muso perché gli occupanti del dojo non sentissero i suoi grugniti, e lo sbatté nella vasca di casa Tendo senza tante cerimonie. Aprì su di lui acqua tanto bollente che temette volesse lessarlo poi, misericordiosamente, la miscelò con quella fredda. Quando riuscì a riprendere fiato come ragazzo, il pugno lo colpì in pieno, violento e forte.
“Ranma, che cavolo vuoi, combattere? Ora non ne ho voglia, mi dispiace!” Ma il ragazzo col codino lo afferrò per un braccio. Era appena ridiventato maschio a sua volta e i suoi occhi lanciavano lampi d’ira.
“Insomma che diavolo…?!”
“Innanzitutto abbassa la voce o sveglierai tutti! E ora dimmi cos’ hai fatto a Ucchan, maiale!”
Ryoga abbassò la testa. Ranma sapeva. Sapeva che lei aveva sofferto a causa sua. Non poteva dire nulla a sua discolpa, così mormorò: “Io… voglio rimediare a ciò che…”
Uno schiaffo.
Ranma l’aveva colpito in mille modi diversi quando combattevano, ma mai con un schiaffo. Eppure gli fece male, perché sapeva che era pregno di odio e disprezzo. E che se lo meritava. “Tu… brutto… PORCO! Sei diventato come Kuno, dì la verità, siete impazziti tutti quanti!” Ryoga sbatté le palpebre

Porco? Non sarà che….

“Cosa c’entra Kuno? Insomma, cosa diamine ti ha raccontato Ukyo?!” Ranma gli aveva dato del porco e del maiale molte volte, ma ora gli stava nascendo il dubbio che fosse uscito fuori qualcosa di compromettente e poco chiaro. Arrossì furiosamente.
“Stamattina sembrava che le fosse passato sopra un camion! Ed è stata proprio lei a dire che sei un maiale!” Urlò Ranma senza più controllo. “Tu hai osato metterle le mani addosso e poi l’hai abbandonata: questa è l’unica spiegazione, e ora io voglio solo… ucciderti!” Ryoga si scostò appena in tempo, evitando il suo calcio.

Gli ha detto che sono scappato o l’ha dedotto da solo?! .

Fece gesti inconsulti, somigliando a Ranma quando veniva colto in fallo: “Io… dopo ero spaventato ma lei era… d’accordo…”
Chiuse gli occhi: ora Ranma l’avrebbe ucciso davvero.

***



Ranma bloccò il pugno a mezz’aria. Cosa? . Pensò per un istante. Il maiale gli stava forse mentendo? Ukyo? D’accordo? Ma allora loro… come lui e Akane… scosse la testa.

Naaaaaa, non può essere….

“Bugiardo!” Ribatté colpendolo.
Stavolta Ryoga reagì e gli mollò un gancio.“È la verità!”
“Ti ho detto di abbassare la voce!”
“Sei stato tu che l’hai alzata per primo!”
“Io non ti credo!” Lo contraddisse Ranma allungando un calcio ben mirato.
“Sul serio, è stata lei a volerlo, e… anch’io.” Finì in un sussurro.
Ranma lasciò l’attacco a metà e si grattò la nuca, poi si sedette nella vasca semivuota.
“Ok, Hibiki, non abbiamo tutta la notte per cui sii sintetico: dimmi com’ è successo.” Chiese calmo. Ryoga si voltò inferocito: “Come puoi chiedermi una cosa simile?!”
Ranma si accorse della gaffe e arrossì.“Va bene, voglio dire, lei era… felice con te?”
L’altro si girò i pollici imbarazzato.
“Beh…sì.”
“Allora mi spieghi come mai stamattina ti ha dato del maiale?!” Gli urlò sottovoce.
“Perché la mattina dopo sono scappato come un ladro, forse…?”
“Allora ci avevo visto giusto! E perché l’hai fatto, in nome dei Kami?” Chiese Ranma interdetto e furioso.
“Perché… perché…”
“Perché ti senti come se avessi tradito Akane? O Akari? Guardami!” Lo incalzò strattonandolo. “Sì. No. Non lo so, diamine!”
Ranma incrociò le braccia.“Cavolo, se hai le idee chiare!” Lo scrutò. Il suo amico/nemico stava con le spalle chine, e sembrava molto infelice. Ma lui doveva sapere.
“Le vuoi bene, Ryoga?” La domanda rimase sospesa nell’aria per un po’, poi il ragazzo con la bandana sospirò.
“Non mi ero mai accorto quanto fino a oggi. Mi dicevo: ma tu non amavi alla follia Akane? Non avevi una ragazza di nome Akari che adorava i maiali come te? Ma poi ripensavo a CHI mi era stata realmente vicina durante quei giorni, e allora…” Si portò una mano al petto, vicino al cuore. “…Ho sentito una cosa qui… qui dentro, che stringeva… faceva male… e ho pensato: ma io merito davvero una cosa così… grande?”
Ranma rimase allibito. Hibiki Ryoga detto P-chan era cotto, stracotto e servito. Non lo aveva mai visto così neanche quando pensava ad Akane; allora, al massimo, vaneggiava sproloqui amorosi alla Kuno Tatewaki. Quell’altro bastardo…
“Beh, non ci crederai, ma anche i maiali come te hanno diritto a essere felici.” Disse tranquillamente. Invece di arrabbiarsi, Ryoga si voltò verso di lui.
“Dici davvero?” Chiese genuinamente interessato.
“Certo! Se te lo dico io puoi fidarti. Però promettimi una cosa.”
“Cosa?”
Ranma arrossì.“Non lasciarla più da sola. Non farle del male. Altrimenti la prossima volta io ti uccido.”
Ryoga fece un sorrisetto tirato. “Va bene”, disse. “C’è solo un problema”, aggiunse tristemente.
Il ragazzo col codino si accigliò.“Quale?”
“Stasera Ukyo mi ha cacciato. Akari, invece… sono andato da lei per dirle addio, oggi. Lei… le è successa una cosa terribile e io mi sento un verme.”

Non ebbe tempo di sentire altro perché la porta del bagno si spalancò e, istintivamente, entrambi si calarono nella vasca per nascondersi agli occhi di chiunque avesse fatto irruzione.
“Insomma, che succede qui?! Ranma, ti ho sentito urlare dal piano di sopra, augurati di non aver svegliato tutti… P-chan!”
Non era stato facile aprire l’acqua fredda e dirigere il flusso verso Ryoga senza che lui si palesasse agli occhi di Akane prima della trasformazione, ma il suo istinto gli aveva suggerito che andava fatto. La sua fidanzata era già abbastanza sconvolta per via della sorella, non aveva bisogno anche di questo.
“Stavo cercando di fargli il bagnetto, ma questo maiale è un’anguilla!”
“Oh, vieni qui, P-chan!” Trillò Akane tutta contenta. Ranma vide il maialino esitare e lanciargli un’occhiata: fece una smorfia e un grugnito, che dovevano essere di assenso e lui volò tra le sue braccia.

So già che me ne pentirò. .

Pensò uscendo dalla vasca e cominciando a rivestirsi.

***



L’insistente squillo del telefono al piano di sotto lo strappò dal sonno gradatamente: guardò dalle finestre e si stupì di vedere le ultime pallide stelle ancora in cielo.
“Chi cavolo chiama all’alba?!” Mormorò alla figura accanto a sé.
Akane si girò nel letto pigiandosi un cuscino sulla testa, evitando di schiacciare P-chan per un pelo. “Ma che ne so! Vai a rispondere!” Piagnucolò sbuffando.
“Perché proprio io, di tutta la famiglia?!” Protestò indignato.
“Perché sei tu che mi hai svegliata lamentandoti del telefono!”
Il ragazzo alzò gli occhi al soffitto: evidentemente Akane aveva il sonno pesante… e non solo lei. La suoneria continuava a gridare nel silenzio della casa senza che nessuno rispondesse.

Che strano svegliarsi così, con Akane e P-chan al proprio fianco, all’alba….

Si sarebbe perso nella stranezza di quella situazione se un nuovo squillo non lo avesse riportato coi piedi per terra.
“Ecco, arrivo, arrivo!” Gridò come se l’apparecchio potesse udirlo.
Scese le scale con sollecitudine, stupito dalla perseveranza di chiunque stesse chiamando e rispose con un “pronto?” alquanto seccato. Udì una voce sconosciuta e rimase in ascolto.

***



Akane aveva sentito i passi del fidanzato dirigersi verso il piano inferiore: quello scemo si era alzato sul serio per rispondere! Al diavolo, lasciasse squillare il telefono e la scaldasse piuttosto, sentiva particolarmente freddo quella mattina! Poi ricordò che Ranma dormiva sul pavimento accanto al suo letto, nel futon, perché lei aveva P-chan accoccolato tra le lenzuola; allungò un braccio e lo trasse a sé cercando conforto.

Chi diamine chiama di domenica mattina?! .

Si decise a tirare fuori la testa da sotto al cuscino solo quando udì la voce pacata di Ranma arrivarle all’orecchio nel silenzio della casa addormentata.

Dovrebbe essere furioso, ma invece di gridare all’interlocutore….

“Ranma?” Chiamò e il suono della propria voce la fece rabbrividire; anche P-chan era sull’attenti, sveglio e vigile ai piedi del letto.

Nessuna risposta.

Ormai sveglia del tutto, Akane saltò giù dal letto e notò distrattamente che fuori non era ancora completamente giorno. Ora tutto sembrava un brutto sogno e l’adrenalina prese a scorrerle nelle vene: Ranma assentiva con brevi frasi dal piano di sotto, era l’alba di domenica mattina ed era evidentemente accaduto qualcosa di grave. Lo vide riagganciare con calma e fu colta dal panico: non era da lui quella tranquillità dopo essere stato buttato praticamente giù dal letto.

“Ranma, che cosa è successo?!”

Gli occhi di lui la fissarono intensamente: “Akari… lei…”

P-chan sfrecciò tra le sue caviglie e, inaspettatamente, si gettò su di lui. Al contrario di tante altre volte, il ragazzo lo afferrò con decisione ma senza rabbia e si diresse verso il bagno mentre l’animaletto strepitava e grugniva.

“Ranma…?” Ormai la sua voce tradiva un evidente allarme.

“Vado a vestirmi. Dobbiamo andare all’ospedale, di corsa.” Disse seriamente lasciandola sconvolta.

Quella mattina tutto aveva preso una piega irreale: la calma glaciale del suo fidanzato, di solito irruento, era il segnale più preoccupante; doveva essere accaduto qualcosa di molto grave alla povera Akari.

***



L’ospedale era freddo e asettico come quando erano andati lì per Mousse. Era tutto bianco e celeste, l’odore di disinfettante sembrava trasudare dalle pareti; ogni tanto si udivano cigolii di barelle o richiami all’altoparlante per i medici. C’era un composto ma costante movimento.

Sapeva di essere arrivato lì accompagnato da Ranma e Akane, ma era come in trance e aveva seguito i movimenti dei suoi amici quasi passivamente; quando Ranma lo aveva gettato nella vasca piena di acqua bollente, quella mattina, era molto più attento e vigile: aveva capito che era accaduta una disgrazia ad Akari nel momento in cui la voce pacata del suo acerrimo nemico gli era arrivata all’orecchio. Doveva essere stato così anche per Akane, perché era saltata giù dal letto per raggiungere Ranma in uno stato di evidente agitazione.

Udire il nome di Akari gli aveva fatto perdere il controllo e si era avventato su di lui come fosse il colpevole di qualunque cosa fosse accaduta, ma Ranma non aveva perso la calma e questo, se possibile, l’aveva spaventato ancora di più. Era stato in quella dannata vasca da bagno, in uno strano dejà-vu della sera prima, mentre lui gli spiegava l’accaduto, che aveva avuto come un senso di estraniamento dalla realtà; poco mancava che dimenticasse di vestirsi prima di uscire. In quello stato era sicuro che il senso dell’orientamento, così difficilmente acuito in quegli ultimi anni, si sarebbe annullato nuovamente. Così era rimasto accanto a loro per tutto il percorso, finché si era ritrovato solo nell’androne, guardandosi intorno disperato.

Lei è qui, da qualche parte, e io non so come raggiungerla! .Pensò, preso dal panico. Fu in quel momento che Ukyo gli comparve davanti come una visione e gli tese la mano.

“Vieni.” Gli disse semplicemente e lui si lasciò condurre docilmente.

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Capitolo 7
*** Addio ***


CAP. 7: ADDIO

I'm so tired of being here
Suppressed by all my childish fears
And if you have to leave
I wish that you would just leave
'Cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that
time cannot erase

When you cried I'd wipe away
all of your tears
When you'd scream I'd fight away
all of your fears
I held your hand through
all of these years
But you still have
All of me

You used to captivate me
By your resonating light
Now I'm bound by the life
you left behind
Your face it haunts
My once pleasant dreams
Your voice it chased away
All the sanity in me

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that
time cannot erase

Sono così stanca di stare qui
Soppressa da tutte le mie paure infantili
E se devi andartene
Vorrei che tu te ne andassi e basta
Perchè la tua presenza indugia qui
E non mi lascerà da sola
Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore è troppo reale
C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare
Quando hai pianto ho asciugato tutte le tue lacrime
Quando hai urlato ho combattuto tutte le tue paure
Ho tenuto la tua mano durante tutti questi anni
Ma tu hai ancora tutto di me
Mi catturavi con la tua luce risonante
Adesso sono costretta dalla vita che hai lasciato indietro
Il tuo volto pervade
I miei sogni, una volta piacevoli
Che la tua voce ha cacciato via
Tutta la sanità in me
Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore è troppo reale
C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare

(My immortal
– Evanescence)


Ucchan si era vestita con la prima cosa che le era capitata a tiro e si era precipitata all’ospedale prima ancora di chiedersi se stesse commettendo o meno un errore. La sera prima, vedendosi P-chan sulla soglia del locale, aveva provato dei sentimenti contrastanti che andavano dal rifiuto al desiderio di ricominciare, dal dolore alla gioia più grande nel riaverlo accanto.

Non si era soffermata a meditare sul motivo che aveva riportato il ragazzo a Nerima, aveva dato per scontato che l’avesse fatto per tornare da lei e chiederle perdono. Ma poteva anche essere il contrario.

“Ryoga avrà bisogno di te, in questo momento.” Le aveva detto Akane al telefono, mezz’ora prima. Non sapeva cosa fosse accaduto realmente ad Akari, perché Ranma era sparito nel bagno con P-chan, ma aveva capito che doveva essere qualcosa di grave.
Ukyo si era morsa la lingua prima di rivelarle cose che Akane ancora non sapeva, immaginando il ragazzo con la bandana innaffiato di acqua bollente che ascoltava la brutta notizia dalla voce di Ranma.

In quel momento si era resa conto che le cose potevano stare molto diversamente da come le aveva immaginate lei: Ryoga era fuggito dal suo letto per andare dalla sua vecchia fiamma ed era tornato solo per dirle addio, scusarsi e altre stupidaggini del genere. Sarebbe tornata a essere la piccola Ukyo, sola e col cuore spezzato per la seconda volta dal secondo uomo che avesse mai amato nella sua breve vita.

Eppure si sentiva in dovere di stargli accanto: qualunque cosa fosse accaduta ad Akari, se Ryoga l’amava veramente, avrebbe avuto bisogno di tutto il sostegno possibile e lei sarebbe stata lì per darglielo.

Anche se tu mi hai ferita io ti sarò sempre amica.

Non sapeva da dove le venisse tutto quell’altruismo, ma provava un sentimento maturo e importante che la spingeva a fare questo passo anche se doveva agire pervasa da una profonda tristezza.

È l’amore che fa agire così? Un sentimento tanto disinteressato e potente da indurmi a donarmi a lui nonostante io non sia ricambiata…

Dopo una corsa estenuante, era finalmente giunta a destinazione e, vedendo Ryoga guardarsi attorno con aria smarrita, si domandò come avesse fatto a perdersi in un momento come quello. E dov’erano Akane e Ranma? Con un sospiro gli si avvicinò, leggendogli la confusione e lo stupore sul volto. Gli allungò la mano e gli disse solamente “vieni”, decisa ad aiutarlo in ogni caso.
La sua mano era un peso morto nella propria e Ukyo capì che doveva tenere molto ad Akari per ridursi in quel mutismo catatonico.

Il dolore potrebbe uccidermi se mi soffermo a pensarci, ma non ci penserò, oh, no di certo…

Camminò con lui per qualche passo, evitando accuratamente di riflettere sui sentimenti che poteva provare il ragazzo, ma soprattutto per chi li provasse.

Un’infermiera con una cuffietta blu in testa si fece loro incontro e li guardò con aria interrogativa. Ukyo gli strinse più forte il braccio per indurlo a parlare, ma Ryoga riuscì solo ad articolare qualche suono senza senso: immaginava che fosse stato già tanto, per lui, rimanere attaccato alla sua mano senza perdersi. Così parlò lei al suo posto.

“Akari, Akari Unryu.” Disse seria.

La donna annuì, compassionevole. “Povera ragazza… una tale tragedia…”

“Possiamo vederla?” Ucchan aveva la gola secca.

“Siete parenti?”

Sospirò, ormai rassegnata al mutismo del suo compagno, decisa a prendere in mano la situazione qualunque essa fosse. “Siamo i suoi più cari amici.” Rispose decisa.

La donna fece un sorrisetto triste. “Hanno detto così anche i ragazzi che sono venuti prima di voi. Venite, vi faccio strada.”

L’infermiera si incamminò verso gli ascensori e Ukyo dovette tirare Ryoga per un braccio per farlo camminare.

***



Ranma e Akane si alzarono simultaneamente al loro arrivo.

Fu l’unica cosa coerente che vide, poi il suo sguardo si fissò sulla porta chiusa. Al suo fianco, Ucchan stava salutando mestamente i due ragazzi e ora stavano tutti parlando e gesticolando verso di lui.

Devo vederla.

Fece un passo verso la porta e colse il panico negli occhi dei suoi amici.
“Non puoi, il nonno… non è il caso… No, Ryoga, è meglio di no…”
Chi avesse detto quelle frasi non seppe dirlo, erano suoni indistinti e privi di senso per lui: c’erano solo il corridoio e quella maledetta porta davanti a sé.
Una mano gli si strinse sul braccio per fermarlo.

Ranma? Ukyo? O Akane? Non importa…

Tirò via la mano con uno strattone. “Ho detto che devo vederla!” Disse a denti stretti, con un tono talmente perentorio e brutale che improvvisamente li sentì tutti allontanarsi.

Bene.

Si accostò alla porta col cuore in gola, ma la mano fu ferma quando girò la maniglia e aprì.

***



L’infermiera li aveva lasciati nel corridoio del secondo piano indicando loro una stanza in fondo, poi si era dileguata in direzione delle scale alle loro spalle.
Ukyo aveva trascinato Ryoga fino alla meta e lo aveva lasciato andare per salutare Akane e Ranma: si erano accorti simultaneamente che lui aveva intenzione di entrare, allora Ranma gli si era avvicinato bloccandogli il passaggio: “Non puoi, Ryoga, c’è anche il nonno con lei; sareste in troppi e non è il caso.”
Ma lui aveva fatto un altro passo e Ukyo lo aveva chiamato per nome. Non parve averla udita. Akane, allora, si era fatta avanti: “No, Ryoga, è meglio di no. Credimi.”
Alla fine era stata Ukyo a fermarlo, quando si era resa conto che sarebbe entrato comunque. Gli aveva stretto di nuovo il braccio, bloccandolo.
Quando lui si era voltato fu certa che avesse perso la testa: con occhi selvaggi, aveva tirato via la mano e, con un tono che la spaventò, disse: “Ho detto che devo vederla!”

Hai detto? Quando l’hai detto, Ryoga?

Temette per qualche istante che stesse perdendo il lume della ragione, per quanto era sconvolto, e si allontanò istintivamente per lasciarlo andare.

Ormai era certa di averlo perso per sempre.

***



Bianco in mezzo al nero.
Quella fu la prima impressione che ebbe quando vide Akari stesa in quel letto, con le coperte tirate fino al mento. Il volto era pallido e spiccava in mezzo ai capelli corvini sparsi sul cuscino.

Sembra morta.

L’unico cenno che in quel corpo c’era ancora vita era rappresentato dalla sacca colma di liquido rosso alla quale era collegata tramite un tubicino di gomma che arrivava al suo braccio.

“Tu devi essere Ryoga.” Disse una voce tremante facendolo sobbalzare. Alzò gli occhi davanti a sé e incontrò lo sguardo provato del nonno di Akari.

“Sì… mi perdoni…” Riuscì a dire abbassando lo sguardo.

Mi perdoni se sono entrato senza bussare. Mi perdoni per quello che ho fatto a sua nipote…

Ryoga aggrottò le sopracciglia e guardò nuovamente l’uomo con più attenzione: non ricordava che fosse tanto anziano, probabilmente quella nottata gli aveva tolto parecchi anni di vita; pareva che avesse cento anni e le rughe profonde che gli solcavano gli occhi raccontavano uno sfinimento assoluto: indossava una camicia da camera color crema macchiata da qualcosa che sembrava…

…sangue. Quello è il sangue di Akari.

Colpito da una rivelazione improvvisa, Ryoga vide nettamente la scena davanti ai propri occhi come se stesse accadendo in quel preciso momento: Biancanera che corre verso casa portando il corpo inerte della padroncina sul dorso, il nonno che la sente abbaiare ed esce precipitosamente da casa e prende tra le braccia la nipote sanguinante, la corsa in ospedale senza neanche cambiarsi i vestiti…

Un brivido lo scosse fin nel profondo e il ragazzo fu pervaso da un senso di colpa tale da sentirsene schiacciato. Fu una voce fievole ma ferma a spezzare il silenzio che era piombato nella stanza.

“Nonno… mi lasceresti per un attimo sola con lui?”

Ryoga ne rimase sconvolto, non credeva fosse sveglia e non aveva la più pallida idea di cosa dirle. Vide distrattamente il vecchio chinarsi a baciare teneramente la fronte della nipote, accarezzandole i capelli e rassicurandola che sarebbe rimasto fuori dalla stanza.

Quest’uomo dovrebbe tornare a casa a riposare… è distrutto.

Qualche istante dopo erano soli.

***



Il silenzio lo avvolse come una coperta, Ryoga sentiva il ronzio del proprio sangue nelle orecchie. Non avvertiva neanche il respiro di lei. Rimase a testa china finché la sua voce fioca non lo richiamò all’attenzione.

“Vieni qui vicino.” Gli disse gentilmente tentando di alzarsi a sedere. Ryoga le fu subito accanto.

“Non devi muoverti, potresti…!”

“Aiutami.” Lo interruppe pacatamente, facendosi sistemare i cuscini dietro la schiena in modo che potesse stare comoda. “La trasfusione mi sta facendo bene, ho già più energie.”

A vederla in viso non si sarebbe detto: il pallore e le occhiaie che lo segnavano erano quelli di una persona

morta

gravemente malata.

“Se Biancanera non l’avesse trovata in tempo… è una fortuna che tu ce l'abbia affidata prima di partire per uno dei tuoi soliti viaggi! Si è ferita una gamba con uno spunzone di roccia, ma la cosa peggiore è stata l’emorragia interna; fortuna che una sporgenza naturale del burrone ha arrestato la caduta salvandole la vita. Tuttavia ha perso molto sangue.”

La voce di Ranma nel bagno di casa Tendo sembrava quasi aliena mentre gli raccontava quelle cose.

“Il nonno di Akari aveva il numero di telefono del dojo, ha chiamato perché sapeva che tu rimani spesso da noi…”

Ryoga non poté fare a meno di pensare, suo malgrado, che mentre Akari tentava il suicidio, lui stava dormendo fra le braccia di un’altra ragazza cercando conforto. E quella ragazza non era nemmeno Ukyo: l’amore che provava per lei, tuttavia, non era sufficiente a non fargli provare una nuova, violenta ondata di senso di colpa.

“Smettila di sentirti in colpa, Ryoga. L’unica responsabile sono io.” Disse perentoria facendolo sobbalzare. Fu sconvolto da due cose: il suo tono così insolitamente deciso e il fatto che gli avesse praticamente letto nel pensiero.

“Ti si legge in faccia quello che provi.” Aggiunse come a conferma della sua teoria; quando gli pose una mano sulla propria, in un gesto di conforto, si sentì ancora peggio.

Lei sta consolando me!

“Guardami, Ryoga, il tuo silenzio mi fa male.”

La guardò e capì improvvisamente cosa significasse l’espressione ‘annegare nello sguardo di una persona’. I suoi occhi erano limpidi e teneri, senza il minimo accenno di rimprovero. Avrebbe voluto morire in quel momento.

“Perché hai fatto una cosa così… orribile?” Mormorò con voce soffocata, passandole lievemente il dorso della mano sulla guancia, una carezza appena accennata che le fece chiudere gli occhi e sorridere brevemente. Qualche istante dopo era di nuovo seria.

“Perché ho pensato che non avrei mai potuto vivere senza di te e in queste condizioni. No, è sbagliato. Volevo dire da sola e in queste condizioni.”

Ryoga si accigliò, tentando di capire il senso di quella frase. Si accorse che lei gli stava leggendo il dubbio sul volto e di nuovo pensò che due erano le cose: o Akari gli leggeva veramente nella testa, o il suo viso era un libro aperto.

“Quello che intendo è… io ti voglio molto bene Ryoga, ma non sei tu ad avermi spinta a tentare una cosa del genere. È stato il terrore di rimanere sola per il resto della mia vita, inchiodata a una sedia a rotelle. Temevo che sarei finita in qualche istituto dove degli sconosciuti si sarebbero presi cura di me e mi era inconcepibile vivere in quel modo. Io, che ho fatto dell’addestramento dei maiali lottatori di sumo la mia vita.”

Ryoga deglutì. Poteva solo immaginare la sofferenza di una ragazza così giovane e piena di vita costretta in quelle condizioni; lui sarebbe impazzito se non avesse più potuto muoversi. Fu colto da un’idea improvvisa.

“Senti, anche un mio amico è rimasto paralizzato per un certo periodo di tempo a seguito di un incidente dovuto al terremoto. È stato curato da un medico molto bravo e oggi cammina come se…!”

“No, Ryoga. Non nel mio caso.” Disse Akari lapidaria, abbassando lo sguardo sulle coperte. “Nel mio caso, la vertebra lombare si è incrinata tanto che il midollo spinale si è danneggiato irreparabilmente e… non mi ricordo bene cosa ha detto il dottore, mi confondo su queste cose, ma…”

Il ragazzo la strinse a sé quando si accorse che stava piangendo; fu un abbraccio un po’ impacciato, sia per la sua timidezza cronica, sia per la posizione semiseduta della ragazza, con l’ago che le iniettava il sangue. Il pianto sommesso di Akari durò qualche minuto; Ryoga si sedette sulla sponda del suo letto senza mai lasciarla andare e imparò anche il vero significato di ‘versare lacrime amare’.

Oggi sono nel mondo degli stereotipi. Pensò a sproposito e per qualche ragione questo lo fece soffrire ancora di più.
Quando i singulti di lei si placarono, anche Ryoga si asciugò gli occhi, tentando di regalarle una parvenza di sorriso.

“Sai, questa è la prima volta che piango veramente per quello che mi è successo.” Asserì Akari sospirando.

“Dici sul serio…?” La guardò stupito.

Ora Akari ha tre colori. Il nero corvino dei capelli. Il bianco del volto. Il rosso degli occhi dopo il pianto.

“Sì, ma va molto meglio. Probabilmente se mi fossi sfogata prima non avrei fatto… quello che ho fatto.” Intrecciò le dita delle mani abbassando di nuovo la testa mentre i capelli le ricadevano sulle spalle nascondendole il viso.

Ryoga non conosceva minimamente i segni del linguaggio del corpo e i gesti che indicano quando una persona mente. Eppure aveva una mezza idea che Akari gli stesse dicendo una bugia. Le scostò i capelli dal viso, voltandola gentilmente a incrociare i suoi occhi.

“Akari. Promettimi che non farai mai più, mai più, una cosa tanto stupida. Giuramelo, ti supplico; se non lo fai vivrò con un macigno sul cuore per il resto della mia vita.”

Lei non distolse mai lo sguardo, non ebbe un solo tremore nella voce. Solo la pausa che precedette la sua risposta fu troppo lunga. “Te lo giuro.”

Il ragazzo deglutì, aumentando leggermente la stretta sulle sue spalle come a chiederle: ‘ne sei sicura?’ Quando lei annuì capì che doveva accontentarsi di quello.

“Ora mi giuri una cosa… anzi due, tu?” Domandò con un’espressione di supplica per la quale le avrebbe dato la propria vita e le proprie gambe.

“Tutto quello che vuoi.”

“Prima cosa: vivi il tuo amore senza mai amareggiarti per me. Mai.”

Ryoga deglutì: sapeva che sarebbe stata un’impresa ardua. Ogni bacio, ogni carezza, ogni gesto di amore scambiato con Ucchan gli avrebbero ricordato che, altrove, c’era una ragazza che soffriva per lui. Paralizzata dalla vita in giù. Che aveva tentato di suicidarsi.

“Seconda cosa…” Akari prese un respiro come se le costasse una fatica enorme pronunciare il resto della frase. “…non mi cercare più.”

***



Akari studiò la reazione di Ryoga con il cuore che le sembrava volesse liquefarsi nel petto. Si sentiva devastata ma era certa di fare la cosa giusta.

Come posso dimenticarti se mi cerchi?

“Akari, io…”

“Giuramelo!” Quasi gridò e la voce le tremò più di quanto lei volesse. Aveva bisogno che lui le stesse lontano o sarebbe impazzita. Aveva bisogno di soffrire la perdita del suo amore senza che lui glielo ricordasse con la sua voce calda e il tocco dolce delle sue mani; come quella carezza che poco prima l’aveva portata a un passo dal supplicarlo di rimanere con lei per sempre.

“Te lo giuro.” Infine lo aveva detto, guardandola negli occhi, col volto contratto in una smorfia di sofferenza tale che la sua decisione aveva vacillato pericolosamente.

“Bene, grazie.”

No, ci ho ripensato, non mi lasciare sola, abbracciami. Stringimi a te e rimanimi accanto. Non mi importa se non mi ami. Basta che tu mi stia vicino. Ho bisogno di te. Ti amo.

“Allora…” Ryoga fece un passo verso di lei e Akari sobbalzò. Se si fosse avvicinato non sarebbe più stata in grado di lasciarlo andare. E aveva ancora una cosa da fare, dopo.

“No, non c’è bisogno che mi saluti. Va bene così. Addio, Ryoga, sii felice.”

Baciami, non ti ho mai baciato… non ho mai baciato nessuno in vita mia. Voglio dormire con la testa sul tuo petto e sentire il tuo respiro mentre dormo.

“Io…” Lui parve esitare e Akari si mise una dito sulla bocca per farlo tacere, sorridendo lievemente.

Dammi la forza…

“Hai promesso, ricordi? E ora fammi parlare con Ucchan, vuoi?”

Ryoga spalancò gli occhi a tal punto che lei temette che Ukyo non fosse lì con lui.

“Sei… sicura?”

Annuì, pregando un dio sconosciuto che il ragazzo non continuasse a renderle le cose così difficili.

“Va bene, allora… la chiamo. Ciao, piccola Akari.” Il sussurro di quel saluto così dolce, la porta che si chiudeva leggermente con un appena udibile ‘click’, furono un peso che dal petto le piombò sullo stomaco e poi nelle viscere, strappandole un urlo interno e silenzioso pari a quello che aveva lanciato nel momento in cui stava gettandosi nel burrone.

Torna qui, oh kami, non mi lasciare!

Affondò il viso tra le mani respirando affannosamente per qualche istante, asciugandosi le lacrime con le lenzuola, tentando disperatamente di ricomporsi prima che lei entrasse.

Il burrone non mi ha uccisa, ma il dolore lo sta facendo al suo posto. Lentamente, inesorabilmente…

***



Ukyo aprì la porta con circospezione, timorosa di quello che sarebbe accaduto, ma desiderosa di togliersi quel peso una volta per tutte.

“Lei… vuole vederti.” Gli aveva detto uno stralunato Ryoga, apparentemente privo di qualsiasi emozione se non un malcelato stupore.

Aveva ascoltato dal nonno una storia agghiacciante su quella povera ragazza: pareva che avesse chiamato casa Tendo, quella mattina, per avvisare che aveva tentato il suicidio la notte prima gettandosi da un burrone nei pressi di casa sua. Non aveva idea di cosa fosse accaduto, però, tra lei e Ryoga. Il vecchio aveva visto il ragazzo allontanarsi da casa loro solo la sera prima.

Avevo ragione, era andato da lei. Ma probabilmente solo per dirle addio… ecco perché Akari ha tentato il suicidio! Allora voleva davvero tornare da me! E io che ieri sera l’ho scacciato così malamente…

Quando la vide, così inerme e prostrata in quel letto, si domandò quanto dovesse amarlo per compiere un gesto simile, così estremo alla sua giovane età. Stava evidentemente cercando di trattenere le lacrime e il pallore del suo viso, in contrasto col rosso del sangue contenuto nella sacca alla quale era collegata, era una cosa spaventosa.

Aveva visto solo di sfuggita Akari Unryu, in passato, e tutto ricordava di lei tranne quell’aria sconfitta e sofferente.

“Ciao, tu devi essere Ukyo. Siediti pure.” Le disse con un sorriso stanco ma talmente sincero che provò una nuova fitta di senso di colpa.

“Io… grazie.” Rispose sedendole accanto. Akari si mosse e la coperta ricadde lasciandole scoperta la parte superiore del corpo: rimase in silenzio per qualche istante, studiandola con la coda dell’occhio. Sembrava una ragazza molto dolce e si vedeva che era allenata: doveva essere una ragazza sana e in forma, con curve e muscoli al posto giusto.

“Sei molto bella, non mi sorprende che lui si sia innamorato di te.” Disse cogliendola alla sprovvista e facendola sobbalzare.

“Cos… ?!” Incontrò lo sguardo serio di Akari e dovette distogliere il proprio.

“Puoi guardarmi. Non devi sentirti in imbarazzo; semmai dovrei essere io a provare vergogna. Immagino tu abbia saputo il motivo per il quale mi trovo qui.”

Ucchan annuì, piano: non riusciva a tenere nascosti i propri pensieri a quella ragazza; emanava una tale, disarmante schiettezza che era impossibile mentirle. Colta da un sentimento di ribellione interiore, la guardò dritta negli occhi e le parlò con un tono fermo.

“Senti, io posso capire cosa provi. Prima di Ryoga ero… innamorata di Ranma; lo sono stata per molti anni senza mai essere corrisposta. Ma ho sempre lottato: mai, mai mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di fare una cosa simile! Non voglio giudicarti e sono certa che tu sia una ragazza forte e possa vivere un futuro radioso. Anche tu… anche tu sei molto bella e da quel che vedo e ricordo pratichi le arti marziali: non faticherai di certo a trovare un uomo che ti ami incondizionatamente. Per cui forza, abbi fiducia in te stessa!”

La guardò con un’espressione che avrebbe incoraggiato anche l’anima più in pena ma, per qualche strano motivo, sul volto della ragazza apparve un pallido sorriso di accondiscendenza, come se apprezzasse le sue parole ma avesse la consapevolezza di non poterne mai prendere atto.

Possibile che lo ami a tal punto?!

“Sei molto cara a dirmi queste cose. Io la penso esattamente come te; ma credimi, non sarà così facile per me.”

L’espressione sconfitta di Akari la fece montare su tutte le furie: come allenatrice di maiali da sumo quella ragazza doveva essere una combattente! Da quando si era ridotta a una pappamolle?! Nemmeno lei era mai arrivata a tali livelli per Ranma e le era inconcepibile vedere una sua coetanea in quello stato.

“Oh, andiamo, non dirmi che ti piace piangerti addosso! Puoi soffrire e disperarti per un amore perduto, ma non puoi ridurti a una persona senza futuro per questo. Reagisci, per la miseria! Sei sana, forte e bella, non appena sarai fuori da quel letto riprendi i tuoi allenamenti e vai avanti con la tua vita come una vera combattente! Sono sicura che neanche Ryoga approva questo tuo comportamento…”

Lo sguardo di Akari divenne duro. “Evidentemente tu non sai tutto di me, vero?”

Ukyo si accigliò. Non riusciva a concepire un simile comportamento ma questo non significava che un’altra persona potesse avere sentimenti diversi dai suoi. Era evidente che lei avesse tentato il suicidio perché Ryoga l’aveva lasciata la sera prima e probabilmente era stata troppo dura con lei: magari Akari era semplicemente molto più sensibile, eppure era convinta che non fosse solo quello: cos’altro c’era nella vita di Akari che le sfuggiva?
Improvvisamente la vide scostarsi le lenzuola mostrando l’orribile ferita che aveva sulla gamba: era fasciata e a quanto pare aveva ripreso a sanguinare perché le bende si stavano tingendo di rosso.

“Stai… sanguini! Chiamo un’infermiera…” Fece per voltarsi verso la porta ma il richiamo della ragazza la bloccò.

“Guarda, per favore.” Le chiese seriamente. Come in sogno, la vide stringere la mano a pugno e colpirsi con tutta la forza che riuscì a raccogliere direttamente sulla ferita. Con gli occhi spalancati dall’orrore, non vide nemmeno una smorfia cambiarle i tratti del volto, non un lamento uscire dalle sue labbra.

“Come… come puoi…” Lo sguardo le cadde su una sedia a rotelle posta in un angolo della stanza; l’aveva già vista, naturalmente, e le era sembrato più che naturale che una paziente in quelle condizioni ne avesse una. Eppure…

Poi capì e la consapevolezza le attanagliò la gola, le scese sul cuore aumentandone i battiti e le torse le budella.

“Tu… non senti nulla, vero?” Soffiò fuori con voce rotta.

Akari sorrise tristemente e annuì.

“Mi… mi dispiace, io… non lo sapevo!”

Oggi sto balbettando come un’idiota, non ero davvero preparata a tutto questo!

Akari ridacchiò tristemente. “Ieri pomeriggio, quando è venuto a casa mia, ho anche pensato di usare questa mia situazione per tenerlo vicino a me, per un attimo. Credimi, l’ho pensato seriamente.”

Di nuovo, Ukyo fissò lo sguardo su di lei. Le stava mostrando evidentemente qualcosa di cui non andava fiera, eppure il suo volto non vacillò: Akari doveva essere più forte di quel che credeva e si ritrovò a rimpiangere i propri pregiudizi e a invidiare la sua tenacia.

E io che fino a poco fa pensavo fosse una debole!

Rimase in silenzio ad ascoltarla: non voleva ammetterlo, ma moriva dalla voglia di sapere cosa fosse accaduto il giorno prima con Ryoga ed era certa che Akari glielo stesse per rivelare. D’altronde, non le aveva già confermato i suoi sentimenti appena entrata?

“Ukyo, o forse Ucchan…?”

“Ranma mi chiamava Ucchan quando eravamo piccoli. Credeva che fossi un maschio. Oggi molte persone mi chiamano ancora così.” Sorrise al ricordo e Akari la imitò. Anche lei era molto bella, il suo viso era delicato e perfetto come quello di una bambola di porcellana.

“Ucchan. Ieri sera lui è venuto a trovarmi. Non ci vedevamo da prima del terremoto, quando mi ha affidato Biancanera e i cuccioli.”

Ukyo sentì un nodo stringerle la gola: possibile che Ryoga avesse rifiutato una ragazza in quelle condizioni, specie dopo quello che era accaduto? Conoscendolo l’avrebbe amata e le sarebbe stato accanto ogni giorno della sua vita, anche solo per senso di colpa.

“Era venuto da me per dirmi addio. Vedermi su quella” – indicò con un cenno della testa la sedia a rotelle in una angolo – “lo ha messo in evidente difficoltà. Ma non ha vacillato un solo attimo quando mi ha detto che era innamorato di un’altra. Di te.” La voce le tremò e Ukyo dovete lottare per calmare i battiti impazziti del proprio cuore. Era dannatamente felice e non poteva dimostrarlo.

Ryoga ha avuto il coraggio di lasciarla nonostante le sue condizioni? Mi ama… a tal punto?

Aprì la bocca per parlare ma non riuscì ad articolare alcun suono: aveva immaginato molte cose da quando aveva ricevuto la telefonata di Akane, quella mattina, ma una prova d’amore simile era l’ultima nella sua lista.

“È stato meglio così, credimi. Mi sono resa conto che il mio desiderio di averlo accanto era solo un placebo per accettare la mia condizione, io… non lo amo veramente. Non come lo ami tu, per lo meno.”

Nel turbinio dei suoi pensieri, Ukyo ebbe il tempo di accorgersi che, in quel momento, Akari non la stava guardando negli occhi.

Sta mentendo.

“Gli ho chiesto di non venirmi più a trovare, nemmeno come amica. Ho bisogno… di riorganizzare la mia vita e rivederlo mi ricorderebbe solo un passato al quale ormai non appartengo più.”

Sta parlando a vanvera, la realtà è un’altra.

“Senti, Akari, io capisco…”

“Tu lo ami?” Stava per dirle che la capiva, se ne era innamorata, e che non avrebbe certo impedito a Ryoga di andarla a trovare, se l’avesse aiutata a stare meglio. E, diamine, le sarebbe salito direttamente dal cuore: d’altronde era facile essere altruiste quando si era sane e corrisposte dall’uomo dei propri sogni.

Forse sono solo una ragazza meschina e viziata. Akari è mille volte migliore di me: lei sì che sta rinunciando a qualcosa di prezioso.

Improvvisamente priva di energie, Ukyo si arrese semplicemente alla sua domanda: “Sì, lo amo. Non so come sia accaduto. Ma mi sono innamorata di Ryoga e morirei se lo perdessi.” Arrossì, conscia di aver appena detto una cosa terribilmente sbagliata.

Lei ha tentato di suicidarsi proprio per lui…

“Oh, capisco cosa significa rinunciare a qualcosa di prezioso, credimi.” Disse infatti Akari, tristemente.

“Perdonami, non volevo dire… scusa. Comunque credo che i tuoi sentimenti siano diversi da quelli che vuoi farmi credere di provare.” La vide scuotere la testa e sorridere.

“Non puoi sapere cosa provo. E devi promettermi che lo renderai felice, impedendogli di pensare a me e di sentirsi in colpa.”

Come faccio, se mi sto sentendo in colpa io, per prima?

“Ma… tu…”

“Insomma, oggi è così difficile per tutti farmi delle promesse?!” Sbottò improvvisamente Akari.

Ukyo si rese conto della prova di nervi che stava sostenendo per fare quello che si era prefissata e decise di assecondarla. Si domandò se lei sarebbe stata capace di fare altrettanto, nelle sue condizioni.

Chi è debole, ora?

“Te lo prometto, farò felice Ryoga ogni giorno, finché lui lo vorrà.” Disse seriamente, guardandola negli occhi. Stavolta il sorriso che comparve sul volto della ragazza fu genuino e rilassato.

“Grazie, Ucchan.” Poi chiuse gli occhi e, dopo qualche istante di panico, Ukyo si rese conto che si era semplicemente addormentata, stremata dalle emozioni che aveva dovuto subire.

Povera ragazza… avrebbe davvero meritato l’amore di Ryoga più di me. Rifletté avvicinandosi e posandole una mano nella propria in un gesto di simpatia e ammirazione. Ma sentì comunque dentro di sé un sentimento così simile alla gioia per essere stata la prescelta, che dovette allontanarsi da lei come se le stesse infliggendo una terribile ingiustizia.

Mi dispiace, Akari, perdonami ma sono felice. Ti auguro di vivere serenamente e di trovare la tua felicità, da qualche parte. Te la meriti davvero.

Chiuse la porta alle sue spalle facendo meno rumore possibile per non svegliarla.

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Capitolo 8
*** Risveglio ***


CAP. 8: RISVEGLIO

Remember those walls I built
Well Baby they are turning down
And they didn’t even put up a fight
They didn’t even make a sound
I found a way to let you in
But I never really had a doubt
Standing in the light of your halo
I got my angel now

It’s like I’ve been awaken
Every rule I had to break
It’s the risk that I’m taking
I ain’t never gonna shut you out

Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace
You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray won’t fade away

I can do your halo
I can see your halo
I can be your halo
I can see your halo

Hit me like a ray of sun
Burning through my darkness night
You’re the only one that I want
You got addicted to your lie
I swore I’d never fall again
But this don’t even feel like falling
Gravity camed again
To pull me back to the ground again

It’s like I’ve been awaken
Every rule I had to break
It’s the risk that I’m taking
I’m never gonna shut you out

Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace
You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray won’t fade away

I can do your halo
I can see your halo
I can be your halo
I can see your halo

Ricorda quei muri che ho costruito.
Bene, caro, stanno per cadere
e non hanno nemmeno istigato una lotta
non hanno nemmeno fatto rumore.
Ho trovato un modo per includerti
ma non ho mai avuto davvero un dubbio
stando nella luce del tuo alone.
Ho il mio angelo adesso.
come se mi fossi risvegliata
Ogni regola che avevo la infrangi.
È il rischio che sto correndo
Non ti escluderò mai.
Ovunque io guardi ora
sono circondata dal tuo abbraccio.
Caro riesco a vedere il tuo alone
Sai di essere ciò che mi salva
Sei tutto ciò di cui ho bisogno e di più.
È scritto su tutto il tuo viso.
Caro riesco a sentire il tuo alone
prego perché non si affievolisca.
Riesco a sentire il tuo alone, alone, alone.
Riesco a vedere il tuo alone, alone, alone.
Colpiscimi come un raggio di sole
bruciando attraverso le mie notti più buie.
Tu sei l’unico che voglio
penso di essere drogata della tua luce.
Prometto che non cadrò di nuovo
ma questo non mi fa nemmeno sentire come cadere
la gravità non può dimenticarsi
di riportarmi sulla terra di nuovo.
È come se mi fossi risvegliata
Ogni regola che avevo la infrangi.
È il rischio che sto correndo
Non ti escluderò mai.
Ovunque io guardi ora
sono circondata dal tuo abbraccio.
Caro riesco a vedere il tuo alone
Sai di essere ciò che mi salva
Sei tutto ciò di cui ho bisogno e di più.
È scritto su tutto il tuo viso.
Caro riesco a sentire il tuo alone
prego perché non si affievolisca.
Riesco a sentire il tuo alone, alone, alone.
Riesco a vedere il tuo alone, alone, alone.
Alone, alone.

Ovunque io guardi ora
sono circondata dal tuo abbraccio.
Caro riesco a vedere il tuo alone

Sai di essere ciò che mi salva
Sei tutto ciò di cui ho bisogno e di più.
È scritto su tutto il tuo viso.
Caro riesco a sentire il tuo alone
prego perché non si affievolisca.

Riesco a sentire il tuo alone, alone, alone.
Riesco a vedere il tuo alone, alone, alone.


(Halo – Beyoncé)

A te che te ne vai
dono la mia dolcezza, estrema verità,eterna mia incertezza
a te che te ne vai
(…………………..)
a te che te ne vai
e diventi un'ossessione
non cederò la notte, perduta mia illusione
a te che te ne vai
e diventi un'invasione
non cederò la notte, eterna mia ossessione

(Sogno
- Gianna Nannini )



Shampoo si stiracchiò beatamente: aveva proprio dormito bene! Un sorriso le increspò le labbra al ricordo della notte appena passata e un lieve rossore le salì al volto. Non avrebbe mai immaginato che in Mousse convivessero una tale dolcezza e una simile passione; era stato capace di farla sentire leggera come una farfalla e bruciante come una fiamma che arde.
L’aveva accarezzata, coccolata, sfiorata con la delicatezza di un artista che forgi un vaso di cristallo. L’aveva baciata, poi, come cercando la vita nella sua stessa bocca, stringendola con possessività. Infine l’aveva accesa, alimentata, consumata.
Shampoo era rimasta sconvolta da questo mix di emozioni, era stato come cadere da un’altezza vertiginosa e atterrare su una nuvola. Poteva sentire ancora il suo profumo sulla pelle e sulla camicia da notte raggomitolata in un angolo del letto.

Nessun dolore per la sua prima volta, nessuna incertezza, solo un turbine di amore e mani e baci e dolcezza.

Allungò una mano in cerca del suo compagno, bramandone il calore e il tocco, desiderando vedere quegli occhi quasi ciechi e perdersi nel loro mare. Ma non lo trovò. Lo chiamò due volte, con voce assonnata, poi infilò la vestaglia e si diresse in cucina. Nulla.

Si starà vergognando e si è nascosto?

Si chiese ridacchiando.

Solo la sera prima credeva che sarebbe stato un sacrificio enorme concedersi a un uomo che non amava, oggi capiva che l’amore poteva prendere anche altre strade. Il piacere fisico non era stata l’unica componente di quella notte: aveva avvertito su ogni centimetro della pelle l’adorazione che Mousse provava nei suoi confronti e ne era rimasta sconvolta. Aveva sentito il suo amore letteralmente in ogni stilla di sudore, in ogni contatto con le sue labbra, dal semplice bacio a quello più intimo che l’aveva fatta letteralmente impazzire di lussuria, che le aveva permesso di accoglierlo come se fosse stato il suo amante da anni.
Shampoo avvampò in mezzo alla stanza a quel ricordo e si domandò se si sarebbe mai comportato in modo così sensuale se non fosse stato ubriaco.

Tutto l’amore che custodiva dentro di sé da tempo immemorabile… me lo ha donato insieme alla sua anima.

Era possibile che fosse stato sufficiente varcare quella soglia per portarla sulla strada giusta? Doveva solo imparare a pensare a lui davvero come al suo uomo per considerare seriamente l’idea di amarlo?
Si diresse in salone, riflettendo su quest’ultima conclusione e si bloccò sulla soglia, illuminata da una consapevolezza improvvisa: era stato proprio il suo timore di crescere e di lasciarsi il passato alle spalle che l’aveva illusa di essere ancora legata profondamente a Ranma. Ranma era la sua adolescenza, la sua spensieratezza: abbandonare il ragazzo giapponese equivaleva ad abbandonare la sua vita da ragazzina scapestrata. Ora che l’aveva fatto, però, era entrata in una dimensione del tutto nuova. Chi l’aveva detto che diventare adulti era brutto? C’erano emozioni nuove e meravigliose da vivere, se solo lei le avesse lasciate entrare dalla porta del suo cuore.

Ma dove si sarà cacciato?

Il panico tornò su in un brivido quando si accorse che lui non c’era. Perché la faceva sempre preoccupare quello stupido?! E cos’erano quelle carte sul tavolo? Tremante le prese e cominciò a sfogliarle.
Il mondo le cadde addosso.
A malapena ricordava l’accordo fatto con Mousse riguardo al loro matrimonio. Aveva firmato dei documenti grazie ai quali si sarebbero potuti separare in qualsiasi momento; visto che era stato tutto combinato per ingannare il Consiglio non era necessario che rimanessero sposati per sempre. Lui non gliel’aveva mai imposto. Ma ora…
“Mouuuuusseeeeeeee!” Gridò uscendo sulla soglia, lasciando cadere il pacco di documenti a terra. Il vento le scompigliò i capelli color lavanda. Se si concentrava abbastanza poteva vedere le sue spalle chine allontanarsi e abbandonarla per sempre. Proprio ora…
“Stupido papero…” Pianse. “Stupido… stupido Mousse….”
Proprio ora che si stava davvero innamorando di lui. Poteva sentirlo in ogni battito del proprio cuore, in ogni suo respiro. Ma era troppo tardi. L’aveva perso definitivamente.
“Ai… len…” Singhiozzò nascondendo la testa tra le braccia, inginocchiata per terra, a disperarsi per un amore appena trovato e già perduto.

***



Appena tornati dall’ospedale, complici le forti emozioni e le poche ore di sonno, Ranma e Akane si erano ritirati nella stanza di lei ed erano crollati sul letto addormentati; Ukyo era uscita sconvolta almeno quanto Ryoga dalla stanza di Akari ed entrambi avevano convenuto che era necessario lasciarli soli. Che potevano fare, d’altronde, quando c’erano cose che potevano risolvere solo parlandosi?

Spero che sia andato tutto per il verso giusto.

Si sentiva la testa leggera, stravolto per aver dormito durante il pomeriggio ed essere rimasto a digiuno. Poi si accorse di essere solo nella stanza.

Akane deve essersi alzata e mi ha lasciato dormire.

Lo sguardo gli si posò sulla scrivania della fidanzata; a parte i portapenne e qualche libro, una cosa in particolare attirò la sua attenzione: era un libriccino più piccolo degli altri, con la copertina rigida e un lucchetto che lo chiudeva.

Cos’è, una specie di diario segreto?

Ranma si avvicinò per guardarlo meglio e lesse quello che c’era scritto sulla copertina: Dove volano i miei desideri.

Dev’essere proprio uno di quei diari su cui le ragazze scrivono ogni giorno!

Gli venne da ridacchiare e si chiese quanto la fidanzata avesse nascosto bene la chiave: non gli sarebbe dispiaciuto dare una sbirciatina. Non appena formulò quel pensiero lo respinse quasi subito. C’era una sorta di senso del pudore che gli avrebbe impedito di guardare dentro quelle pagine come se avesse osato scrutarle i pensieri.

Posò una mano sulla copertina, sorridendo al pensiero della sua Akane che conservava quel lato romantico e deliziosamente infantile, come se potesse trarne il calore.

“Ti piacerebbe leggere il mio diario?”

La voce della fidanzata lo fece sobbalzare tanto violentemente che rovesciò la sedia girevole. Il senso di colpa lo trafisse come se l’avesse colto con le mani nella sua biancheria intima, stile Happosai.

“A… Akane, non è come pensi!”

Lei sorrise, abbassando lo sguardo: “Da quando vivi qui ho perso il conto delle volte in cui mi hai detto questa frase.”

Ranma stirò le labbra in una sorta di sorriso e si grattò la nuca. “Eh… sì, in effetti…”

Si sentiva talmente in imbarazzo che quasi non si accorse che qualcosa, in Akane, era cambiato inesorabilmente: non l’aveva spedito in orbita per averlo colto nella propria stanza con le mani sul suo diario. Ed evitava di guardarlo direttamente negli occhi come se un enorme senso di colpa incombesse dentro di lei.

“Akane, cosa…?”

“Anche Ucchan ne ha uno come questo”, lo ignorò avvicinandosi alla scrivania e prendendo in mano l’oggetto ‘del reato’. “Me l’ha fatto vedere il pomeriggio in cui sono andata a trovarla. Va molto di moda tra le ragazzine. È una sciocchezza visto così, ma l’idea di esternare e poi richiudere i nostri pensieri più profondi dentro le pagine di questo diario ci sembra una cosa terribilmente seria. E importante.”

Ranma si accigliò: no, decisamente qualcosa non andava. “Vieni.” Le disse semplicemente prendendola per mano e conducendola verso la porta. Lei si bloccò improvvisamente.

“Non da lì, potrebbero… seguirci.” Sorridendo, il ragazzo col codino fece dietro-front e, facendola tenere saldamente alle proprie spalle, la condusse sul tetto passando per la stessa finestra da cui era entrato.

***



Nabiki avrebbe benedetto a vita il fatto che in quel momento fosse sola ad accogliere Kuno: Kasumi era fuori per spese, il padre con Genma alla finale di un torneo di shogi, Happosai in giro a razziare biancheria e due piccioncini di sua conoscenza chiusi nella stanza della sorella minore, anche se dubitava di poter catturare qualche momento piccante dal rumore gutturale che faceva Ranma russando. Si chiese come Akane potesse riposare con quella specie di treno nelle orecchie!

Quando aveva visto Kuno avvicinarsi timidamente dal vialetto era stata colta da un panico tale che credeva di potersela dare a gambe come una vigliacca. Aveva respirato profondamente, portandosi una mano al petto per incitare il cuore a placarsi e il controllo era tornato.

Gli aveva aperto la porta limitandosi a guardarlo freddamente, decisa a non abbassare gli occhi: aveva in mano un mazzo di fiori e i suoi lineamenti erano così contriti che per un attimo la sua risolutezza vacillò.

“Cosa vuoi?” Chiese semplicemente rimanendo sulla soglia. Si accorse di avere le braccia avvolte intorno al corpo e le lasciò cadere: non doveva proteggersi proprio da nulla, lei era Nabiki Tendo e non aveva paura.

“Rispondimi, cosa vuoi?!”

Kuno continuava a guardare per terra, i fiori gli caddero di mano e si sparsero sul pavimento.

“Io… ecco, io…”, singhiozzò, “non volevo fare quello che ho fatto… non ero in me…”

Nabiki rimase per un attimo ferma a guardarlo, sconvolta. Poi sospirò mordendosi il labbro e raccogliendo i fiori da terra.

“Entra”, gli disse facendogli strada.

***



“Avevi ragione. Sono solo una bambina viziata e stupida, certe volte.” Ranma osservò il suo profilo illuminato dai raggi del tramonto per qualche istante, poi spostò lo sguardo davanti a sé.

Ora non evita di guardarmi per il senso di colpa, ma perché quello che mi sta dicendo le costa tanto in termini di orgoglio.

Sorrise lievemente. “Beh, sono contento che per una volta tu ammetta di aver sbagliato.” Stranamente la reazione di Akane fu di rabbia e si chiese cosa avesse detto di male stavolta.

“Insomma, non capisci?! Io mi sto aprendo a te, ammettendo i miei errori e tu… cosa mi rispondi?!”

Ranma indietreggiò spiazzato. “Ma… cosa dovrei risponderti, scusa?!”

“Sei sempre il solito ottuso!”

Il ragazzo si accigliò, aprì la bocca e la richiuse.

“Che ti prende ad…?!”

“Shhh zitta!” La vide spalancare tanto gli occhi che temette due cose simultaneamente: la classica caduta dei bulbi dalle orbite… e il suo volo conseguente nell’orbita… terrestre. Ma quando la indusse ad abbassarsi fino a sporgere la testa dall’orlo del tetto, notò la sua consapevolezza: c’erano due persone che parlavano nella stanza da pranzo, sotto di loro. E quelle due persone erano Nabiki e Kuno.

***



La donna anziana aprì la porta per spazzare il vialetto di casa.

Kami, quante foglie! Più ne tolgo più sembra che il vento si diverta a riportarmele…

Lanciò un’occhiata in strada, curiosando fra i passanti di quel tardo pomeriggio e alzò la mano in un cenno di saluto verso la ragazza dai lunghi capelli castani che stava passando. La sporta della spesa sembrava abbastanza pesante ma, come suo solito, Kasumi Tendo canticchiava spensierata, sicuramente riflettendo sulla cena di quella sera; percorreva la via di buon passo con il consueto buonumore e la serenità che la contraddistinguevano. Alzò la mano libera a sua volta e ricambiò il saluto con un sorriso smagliante. La donna rimase a fissarla ancora qualche istante, riflettendo: anche lei, come tutti quelli che la conoscevano, provava una sorta di sana invidia nel confronti di quella ragazza che prendeva la vita con una gioia tale da far pensare che conducesse chissà quale esistenza.
Invece Kasumi Tendo era la madre putativa di due sorelle minori e si occupava di una casa in cui vivevano con il padre e tutta una serie di personaggi in un continuo viavai (a parte i due ospiti fissi che, si vociava, fossero un panda scroccone e un ragazzo dedito alle arti marziali che riusciva a infilarsi nei guai peggiori). La povera ragazza era divisa tra la cura della casa, la cucina e l’impegno di mantenere un po’ d’ordine nel caos creato da chi frequentava il dojo: nessuno ricordava di averla mai vista al cinema o dal parrucchiere. Solo in un paio di occasioni era stata notata in luoghi di svago. Una volta a un Luna Park intenta a condurre, con una prudenza quasi irritante, un go-kart lungo una pista e un’altra in spiaggia alle prese con un concorso di bellezza al quale aveva partecipato, a quanto pare, spinta dalle sorelle. In entrambi i casi era comunque in compagnia degli scalmanati abitanti della sua casa e si mormorava che fosse più il tempo che aveva dedicato a prestare attenzione che non combinassero disastri, che non quello in cui si era effettivamente divertita.
A vederla quel giorno si sarebbe detto che era tornata da un pomeriggio al parco con il suo fidanzato, invece il suo unico impegno, a giudicare dalla spesa che portava, era stato girare tra i banchi del supermercato a scegliere gli ingredienti più adatti a sfamare la sua numerosa famiglia. E poi, a dirla tutta, quella poveretta non aveva neanche un fidanzato! L’unico che pareva nutrire un qualche interesse per lei era un rispettoso medico che, quando la vedeva, si trasformava in una specie di clown fuori di testa che, invece di dichiararle il suo amore, compiva una serie di azioni più consone in un ospedale psichiatrico, compreso il prendere fra le braccia uno scheletro anatomico e mettersi a ballare sul vialetto del suo studio.
Non c’era speranza: quella ragazza sarebbe rimasta zitella e felice per il resto dei suoi giorni, ignara che la vita era fatta di ben altre cose.
La donna emise un sospiro, riflettendo su come la propria vita sembrasse sempre grigia e inutile, specie da quando il suo povero marito l’aveva lasciata: forse avrebbe dovuto trovarsi anche lei un gruppo di scalmanati parenti da stipare sotto il suo modesto tetto per tenersi occupata. Non aveva avuto figli e si sentiva spesso sola: ma come avrebbe fatto con l’artrite e il mal di schiena?

Bhà, tanto vale che mi prenda un gattino o un cagnolino! Meno lavoro…

Lanciò un’occhiata alle foglie ed ebbe un brivido di freddo al primo alito di vento. Velocemente infilò l’uscio e si richiuse la porta alle spalle: dopotutto poteva anche aspettare l’indomani per spazzare via le foglie, tanto si sarebbero accumulate nuovamente durante la notte rendendo vane le sue fatiche.

***



In seguito Nabiki si sarebbe data una manata sulla fronte per non aver collegato le voci concitate a Ranma e Akane; colto dal panico e dalla sorpresa del momento, il suo cervello aveva accantonato il vocio non appena questo era cessato, senza giungere alla conclusione che chi smette di parlare forse sta ascoltando… Un errore imperdonabile per la scaltra Tendo, ma probabilmente era anche la conferma che, talvolta, era un essere umano con dei sentimenti anche lei.

Kuno Tatewaki sedeva, serio e contrito, al tavolo da pranzo vuoto: non c’era Kasumi con il suo the e i suoi dolcini e Nabiki non si sognava neanche lontanamente di offrirgli alcunché.

Qualche biscotto al cianuro, magari…

Il massimo che era riuscita a fare era stato poggiare il mazzo di fiori di traverso sul tavolo nudo e rimanere in piedi, sovrastando il Tono Blu di una spanna e godendone enormemente.
“Pensi di rimanere zitto per molto tempo?” Domandò continuando a battere la punta del piede per terra.
“È che vorrei scusarmi ma non so da che parte cominciare. Ricordo ben poco di quello che è accaduto…” Il suo volto si illuminò improvvisamente, il ragazzo alzò la testa e la guardò con un’urgenza tale che Nabiki fece un passo indietro per la sorpresa.
“Oh… ti ho comprato il collier che desideravi, vero? Me l’hai chiesto così insistentemente che mi dispiacerebbe non averlo fatto.”
Qualcosa le si annodò nelle viscere; e non era paura.
“Sì. Sì, me l’hai comprato.” Ricordò, con una punta di rammarico, il lancio che aveva eseguito direttamente sulla faccia di Ranma, la notte prima. Si chiese se era ancora intero e, soprattutto, se fosse ancora nel corridoio del piano di sopra.

Io odio quel collier, è per colpa sua che sono in questa situazione sgradevole!

“Bene, ne sono felice!” La sua espressione era di sincero sollievo e il nodo nelle viscere si strinse ancora di più. “Sai, ieri notte, dopo che sei andata via

scappata, sono scappata, razza di citrullo!

ho ricevuto una visita.”

Nabiki alzò un sopracciglio. “Era il tuo fantasma del Natale passato o presente?” Domandò acida. “Erano Ranma e Akane.”
Risucchiò aria nel polmoni e trattenne il respiro. Il suo orgoglio ricevette uno scossone. “Non ho bisogno del cavaliere solitario e della sua dama per difendermi da te! Ho sempre saputo che eri un citrullo malato di sentimentalismo, ma non avrei mai immaginato che ti saresti spinto a un gesto così meschino e volgare! Fortunatamente sono abbastanza adulta da decidere di evitarti per non ricadere nella stessa, sgradevole esperienza.”

Il ragazzo aveva di nuovo abbassato gli occhi, le spalle erano curve come se avesse una vagonata di mattoni sulla schiena. Il nodo salì allo stomaco.
“Mi dispiace, ricordo ben poco di quello che ho fatto ieri, ero troppo ubriaco. Secondo Akane mi hai fatto bere tu, ma io sono certo di avere la mia parte di colpa.” Di nuovo la guardò negli occhi, fermo e deciso e lei dovette deglutire qualcosa che aveva in gola. “Sono disposto a prendermi tutte le mie responsabilità!”
Nabiki non avrebbe mai creduto di poter distogliere lo sguardo per prima; invece lo fece, e gli voltò le spalle.
“Non ce n’è bisogno, non è successo nulla di irreparabile, a parte il ribrezzo che mi hai suscitato.” Era un sospiro di sollievo quello alle sue spalle? “E poi… è vero, ti ho fatto bere io.” Fortunatamente, a quelle parole, il nodo si allentò. Un poco.

Nabiki Tendo non prova sensi di colpa.

“Beh, evidentemente volevi essere sicura che ti avrei comprato quello che desideravi. Ma non c’era bisogno, lo avrei fatto lo stesso.”
Un’onda. Quello era stato l’effetto delle parole che aveva appena udito; si sentiva travolta e trascinata in fondo, su una melma sempre più sabbiosa.

Ho attirato su di me qualcosa che potevo evitare. Mi sono scavata questa fossa con le mie stesse mani!

Percepiva il respiro del ragazzo dietro di sé e capì che stava per parlare di nuovo; d’altronde, il nodo era tornato più forte che mai e non sarebbe stata in grado di dire qualcosa.

Ho già versato fin troppe lacrime ieri. Non è mia abitudine fare la donnina contrita così spesso.

“Ieri notte ho capito molte cose del mio modo di essere. Questa sgradevole esperienza mi ha cambiato molto; non mi voglio giustificare, ma solo spiegarti il perché delle mie reazioni. Te lo devo.”

Nabiki continuò a tacere, e Kuno parlò.

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Capitolo 9
*** Sorprese ***


CAP. 9: SORPRESE

Grazie alla mia beta Tiger Eyes per questo disegno, ho scoperto che è anche una grande disegnatrice! Photobucket
Il venticello frizzantino fece svolazzare la gonna sulle gambe trasmettendole una sensazione di solletico.

“Che dispettoso!” Cinguettò sistemandosi il vestito e ricominciando a canticchiare. Dondolava la busta della spesa sul braccio come se fosse una piuma, felice del menù che aveva in mente di preparare per cena: un bel sukiyaki con manzo di prima scelta. Non era ancora pieno inverno, ma santo cielo, valeva la pena! Al supermercato aveva trovato una super offerta sulla carne ed era bastato comprare funghi e verdure per comporre un piatto degno di un re. Non che potessero sempre permettersi certi lussi, ma ogni tanto ci voleva! Pensava alle facce che avrebbero fatto a casa e le veniva da sorridere: sarebbe stata una sorpresa coi fiocchi! Senza accorgersene si era messa anche a saltellare, con una gioia infantile che la pervadeva; come poteva certa gente non godere di quelle piccole cose quotidiane? Il sorriso dei tuoi cari di fronte a un buon piatto preparato con amore, il calore di chi ti vive accanto e conta su di te erano impagabili e valevano ogni attimo di esistenza.

Qualche minuto dopo si ritrovò a pensare all’ironia del destino che per ben due volte l’aveva destata proprio da un pensiero felice con qualcosa di improvviso e spiacevole: la prima volta era stato il terremoto che l’aveva sorpresa proprio in mezzo a quella stessa via. Oggi era il dottor Tofu che stava baciando una donna.

***



“Quando ero molto piccolo, mia madre ci abbandonò.”

Nabiki continuava a dargli le spalle e si chiese se, per caso, non avesse bevuto di nuovo per poterle raccontare una storia lacrimevole nel tentativo di farsi perdonare.

Lei non ci sarebbe cascata di certo.

“Poco dopo anche mio padre sparì, e io e Kodachi abbiamo vissuto da soli. La nostra unica famiglia era Sasuke.”

“Dove vuoi arrivare, Kuno?” Bene, il suo tono era abbastanza irritato. Non tanto quanto avrebbe voluto, ma abbastanza.

“Si è creato un vuoto nelle nostre vite, e trovare qualcuno che ci amasse era l’unica arma che avevamo per sconfiggerlo. Mia sorella vive in uno stato di costante… allucinazione, direi.”

A Nabiki venne quasi da ridere: ripensò ai vaneggiamenti della Rosa Nera che si credeva amata alla follia da un Ranma indifferente.

Diciamo pure che è una pazza egocentrica.

“Io cercavo l’amore nelle ragazze: quelle belle, dolci eppure forti. Voi Tendo, in particolare, siete… speciali. Kasumi si occupa della casa, Akane è un’artista marziale eccellente e tu… beh, tu ami le cose belle e costose. Ieri con te ho toccato il fondo.”

Si voltò, doveva guardarlo per accertarsi che non fosse solo un clone e, così come avevano fatto i due fidanzati di casa Tendo, lo fissò stralunata.

***



Lei era davvero bella, coi capelli rossi e una minigonna jeans che le lasciava scoperte le lunghe gambe affusolate. Kasumi si fermò in mezzo alla via con gli occhi che si sgranavano; la mente tentò di formulare un pensiero del tipo: oh, che meraviglia! Il dottor Tofu ha trovato una fidanzata! Oppure: che bella cosa l’amore! Ma non le riusciva proprio; avvertiva invece un fastidioso peso all’altezza del petto e si accorse quasi a stento che la vista si andava appannando.

Che mi succede?

Una lacrima cadde sulla busta della spesa e lei la guardò stupita: perché stava piangendo? Ah, ma era evidente! Era felice di vedere che il suo più caro amico si era innamorato… o forse…

C’è qualcosa che non va in me…

No, non era felice per niente. Anzi, andava montando in lei qualcosa di molto simile alla disperazione e quello era insolito; ricacciò indietro le lacrime inghiottendo risolutamente ma quando vide le mani della donna, con le unghie della stessa tonalità della chioma, insinuarsi tra i capelli del dottore, Kasumi provò qualcos’altro di assolutamente assurdo per il suo cuore: rabbia. Per un attimo si vide nell’atto di correre verso quella

poco di buono

donna e rimproverarla per il suo comportamento sfacciato, intimandole di allontanarsi

dal mio uomo

da lui.

Kasumi si prese la testa fra le mani: era come se possedesse due personalità in disaccordo e si domandò se non stesse per caso impazzendo. Intanto il lungo bacio era finito ma lei non provò sollievo: lui posava le mani sulle spalle della donna e le diceva qualcosa con il volto serio.
Era abbastanza.
Kasumi si voltò e fece per andarsene di corsa: non voleva certo disturbarli, evidentemente avevano cose importanti di cui parlare e a lei non andava proprio di fare la guardona! Nel momento in cui dava le spalle alla coppia, si sentì chiamare dalla voce allarmata di Tofu. Colse una nota di panico nel suo tono e se ne

compiacque

dispiacque: sicuramente si era accorto che era rimasta lì ferma a guardarli come uno stoccafisso.

“Vi chiedo scusa, non volevo disturbarvi, ma eravate così carini!” Esclamò voltandosi e mostrando il più radioso dei suoi sorrisi.

“Ma… ma Kasumi, n… non è come pensi!” Il medico balbettava e i suoi occhiali si andavano appannando.

Eri lucido mentre baciavi lei.

“Suvvia, non mi deve una spiegazione anzi, sono felice per lei!” Rispose sempre sorridendo.

La donna la squadrò con un’espressione che sconfinava nel disprezzo ed esordì rivolta a Tofu: “Quella ragazzetta squallida sarebbe la tua vecchia fiamma?”

“Mayumi!” Il medico aveva spalancato gli occhi.

La rossa si frugò nella tasca della gonna e ne trasse un pacchetto di sigarette: ne mise una tra le labbra pregne di rossetto, se l’accese e tirò una lunga boccata senza toglierle quell’irritante sguardo di dosso. Il trucco che aveva intorno agli occhi era pesante, di un violetto quasi accecante e le lunghe ciglia piene di un impastocchio nero. Dai lobi delle orecchie pendeva un paio di orecchini, assurdo se ci pensava, a forma di teschio. Kasumi rimase a guardarla, impietrita.

È questo il tipo di donna che gli piace? Che illusa sono stata!

Il sorriso che era riuscita a sfoderare vacillò, allora si inchinò leggermente in un cortese segno di saluto.

“Vi auguro buona giornata.” Disse allontanandosi. Stavolta i richiami di Tofu non la indussero a voltarsi. Non voleva farsi vedere mentre piangeva.

***



“Perché mi guardi così Nabiki Tendo?” La sua voce la riscosse. Le sopracciglia tornarono a formare una ruga al centro della fronte.

“Mi stavo solo chiedendo chi fossi e cosa avessi fatto al vero Kuno.”

“Sto cercando di chiederti scusa, Nabiki.”

“Bene.”

Nabiki sospirò e allargò le braccia. “Bene, rompiamo questo silenzio imbarazzante e mettiamo le cose in chiaro. A beneficio di tutti.” Lanciò un’occhiata alla porta, certa che qualcuno vi fosse nascosto dietro da un po’. Kuno, dal canto suo, alzò gli occhi per guardarla, non cogliendo l’allusione.
“Ti ho fatto bere di proposito, quindi ho la mia parte di colpa.”

“Ma io…”

“Taci, Tatewaki. D’altro canto la tua reazione è stata talmente anomala che non me la sarei mai aspettata. Hai il mio perdono, se è questo che vuoi, ma non voglio più vederti. Mai più, neanche nei dintorni di mia sorella o della ragazza col codino, siamo intesi?”
Il ragazzo era ammutolito, l’unica cosa che riuscì a fare fu annuire con aria contrita.

È dolore quello che sto provando? Come se, da sola, stessi strappandomi qualcosa da dentro…

“E ora fuori di qui.” Chiuse gli occhi, non voleva vederlo andarsene col capo chino e gli occhi tristi. Udì i suoi passi sul vialetto. Si allontanavano, lenti ma inesorabili e nel suo cuore qualcosa precipitò pesantemente.

Non riesco a perdonarlo del tutto. Però…

Prese un respiro tremolante, nel tentativo di darsi un tono. “Venite fuori, voi due, non c’è più niente da vedere. Anzi, da ascoltare.”
Ranma e Akane entrarono timidamente in casa accampando qualche frase, ma la media delle Tendo non li ascoltò nemmeno: c’era qualcosa di storto dentro di lei, un senso di amarezza e abbandono che non aveva mai provato. A malapena si accorse dell’entrata silenziosa e composta di Kasumi.

***



Le chiavi non ne volevano sapere di entrare nella toppa; imprecò, dando uno scossone. Una mano avvolse la sua e le sfilò gentilmente il mazzo dalle dita.

“Lascia, faccio io.”

Non seppe se fu il tono della sua voce o il gesto premuroso, ma Ukyo si calmò. Entrarono e la luce si accese dopo aver lampeggiato per qualche secondo; Ryoga rimase incerto sulla soglia.

Ieri sera l’ho praticamente cacciato.

“Ho chiesto a Ranma e Akane di venire qui a mangiare qualcosa stasera, visto che il negozio è chiuso al pubblico. Se vuoi puoi rimanere.”

Non era un vero e proprio invito nei confronti di Ryoga, ma fu il meglio che riuscì a fare: i suoi sentimenti erano ancora in subbuglio; la solitudine degli ultimi tempi era stata tale che le era venuto spontaneo chiedere a Ranma e Akane di passare una serata con lei. Dopo il mix di emozioni di quel giorno, stare da sola un’altra volta l’avrebbe fatta impazzire. Non si aspettava che Ryoga, sconvolto come doveva essere, l’avrebbe seguita.

Invece l’aveva fatto.

E ora entrava lentamente, come se avesse paura di varcare quella soglia. Akari le aveva detto che era stata abbandonata perché era lei che amava; Ryoga non l’aveva neanche degnata di uno sguardo mentre lo portava nella sua stanza d’ospedale.

Sono ferita; forse mi ama davvero, ma ho bisogno che me lo dica. Anche se ora sta male.

Si tolse il soprabito, cominciando a scaldare la griglia di fronte a sé con calma glaciale.

Io ho fatto il primo passo. Tu mi hai solo aperto la porta di casa. Sarò egoista ma ho bisogno che tu faccia qualcosa di più, allora potrò riuscire a scaldare il tuo cuore ferito.

***



Stava seduta in cucina davanti ai fornelli ma non guardava realmente le mani mentre compiva azioni che per lei erano naturali e ripetitive. Non avrebbe rischiato di bruciare nulla, né di sbagliare gli ingredienti perché le veniva naturale come respirare: cucinare, apparecchiare, rigovernare la cucina, lavare pile di panni e poi stenderli, prendersi cura della casa. Finora aveva amato il suo piccolo mondo domestico e tutti l’adoravano.
Ora, improvvisamente, le sembrava che quelle pentole scottassero più del dovuto, che le verdure affettate elegantemente sul piatto fossero inutili pezzi di ortaggi e che il sole del tramonto che inondava la cucina col suo rosso intenso fosse una colata sanguinolenta.

“Kasumi, io esco. Non aspettarmi per cena!” La voce di Nabiki la raggiunse dalla soglia.

“Va bene, buona serata.” Le rispose sforzandosi di avere un tono allegro. La carne aveva terminato la cottura e Kasumi si apprestò a scolare il riso. La cena era quasi pronta ma lei non era felice.

Sono una ragazzetta squallida?

Si soffermò sull’immagine del suo volto riflessa nel fondo di una pentola: occhi grandi, capelli lunghi, neanche un filo di trucco. Indossava il suo solito vestito e un grembiule macchiato di salsa di soia.

Sì, sono davvero squallida.

Non si era mai posta il problema di arricchire il suo guardaroba, di comprarsi gioielli o di acconciarsi la pettinatura in maniera diversa. Semplicemente non le importava. Le bastava avere un grembiule pulito, un fiocco per tenere al loro posto le ciocche mentre stava ai fornelli ed era la ragazza più felice della terra; ma quel pomeriggio qualcosa si era spezzato improvvisamente in lei. Vedere il buon dottor Tofu, così divertente e premuroso nei suoi confronti, baciare una donna in minigonna con i capelli più rossi di Ranma quando diventava ragazza, l’aveva sconvolta terribilmente. Mentre tornava a casa si era ripetuta che era solo una questione di prospettiva: il suo migliore amico si era fidanzato e invece di sentirsi felice per lui aveva avuto un attacco di gelosia. In parte era vero, Kasumi Tendo era gelosa.
Ma non perché lo considerava il suo migliore amico.
Il mio uomo, si era sorpresa a pensare quando li aveva visti insieme; era disarmante la semplicità con cui le era saltata in mente quella frase. Era un concetto così netto e chiaro che non riusciva a capacitarsi di come non se ne fosse mai resa conto prima. Lo aveva sempre saputo, ma lo dava per scontato. Era così definitivamente… dolce saperlo!

Tofu le apparteneva, fin dal primo giorno in cui lo aveva incontrato a Nerima e lui le aveva sorriso mentre gli occhiali gli si andavano appannando.

Lui, che si versava il tè sulla testa e rideva scioccamente.
Lui, che la invitava fuori e offriva una giornata al Luna Park a tutta la famiglia.
Lui, che ballava con Betty per lo studio.
Lui, che correva a casa non appena qualcuno di loro stava male.
Lui, che la curava dopo l’incidente del terremoto.

“Mhhh! Che profumino delizioso!” Ranma spuntò sulla soglia facendola sobbalzare.

“Oh, ciao Ranma.” Gli sorrise forzatamente. “È il sukyiaki per la cena di stasera.”

Il ragazzo fece un gesto di frustrazione. “Ahhhh, che peccato! Proprio oggi che avevo deciso di andare con Akane a mangiare da Ucchan! Magari le dico che sarà per un’altra volta…”

“Ma no, dai, uscite pure e divertitevi! Ve ne lascio da parte per domani.” Il sorriso ora era sincero, ma velato di tristezza. “Davvero?! Grazie, Kasumi, sei un tesoro! Allora a più tardi, ciao!”

Neanche il tempo di ricambiare il saluto che il ragazzo era già sparito.

Sì, sono davvero un tesoro, rifletté ironicamente preparando delle porzioni in un contenitore da mettere in frigo.
Aveva sperato di essere il tesoro di qualcuno, quella sera. Forse per la prima volta in vita sua.

Kami, mi sono mica… innamorata?

Era evidente che lo fosse, se considerava suo il dottor Tofu. Ma non aveva mai pensato a loro due in quei termini, non consciamente per lo meno; l’esperienza di vederlo con un’altra le aveva aperto una porta segreta nel cuore, rivelandole quello che teneva rinchiuso gelosamente da tempo. Adesso capiva la gioia che provava nel portargli da mangiare o di soffermarsi da lui per restituire un libro. Non era la gratitudine per le cure che prestava a tutti loro, era…

…amore…

“Oh, cielo!” Esclamò nascondendo il volto tra le mani.

“Figliola, che cos’hai?” La voce del padre la scosse.

“Oh, nulla papà! Davvero! Pensavo solo che questi contenitori non bastano…” Si affrettò a versare una generosa porzione di sukyiaki in un recipiente.

“Sukiyaki!” Sillabò suo padre come se stesse intonando una dolce melodia. “Ne metteresti un po’ da parte anche per noi? Genma ci ha iscritto a mia insaputa a un torneo di shogi e perderei il mio onore se non ci andassi!” Dichiarò solennemente.

Kasumi sorrise: “Ma certo papà, non ti preoccupare, ve ne lascio un bel piatto abbondante!”

Soun l’abbracciò brevemente, ringraziandola di cuore e uscì dalla cucina fischiettando. Kasumi rimase al centro della stanza per un po’, come in attesa. La rivelazione di quell’amore era stata improvvisa e triste e si sentiva davvero sfinita, come se avesse fatto una ginnastica particolarmente pesante. Troppe emozioni nuove e diverse in un giorno. Frustrazione, gelosia, sorpresa, amore, rabbia.
Il sukiyaki versato nei contenitori fu riposto in frigo, ma ne rimaneva ancora più della metà nella pentola. E in casa non c’era nessuno a mangiarlo. Quella sera era sola con la sua ricetta speciale.

“E ora che ci faccio con questo?” Chiese alla cucina vuota.

***



“Maiale o manzo?”

Ryoga la guardò con gli occhi spalancati e Ukyo si rese conto di cosa aveva detto: in una circostanza normale sarebbe scoppiata a ridere, ma quella non era una circostanza normale.

"Scusa, io non… intendevo…”

“Non fa nulla.”

Il silenzio calò tra loro e durò qualche minuto.

“Io non pensavo che… Sarei tornato, se solo… oh, al diavolo!” Ryoga sfogò la sua frustrazione calciando via uno sgabello. “Sono riuscito a… fare e dire cose, negli ultimi giorni, di cui non mi sarei mai creduto capace, e ora che devo parlare con te seriamente non riesco a mettere due parole insieme!”

Ukyo si lasciò sfuggire un leggero sorriso, qualcosa le si sciolse nel cuore e le salì direttamente alle labbra. “Sei sconvolto e penso che provi anche dei sensi di colpa verso di lei, ho ragione?”

Lui fece una risata amara, muovendosi per raccogliere lo sgabello. “Sensi di colpa, dici? Penso che, nonostante quello che sostiene Akari, la colpa del suo gesto assurdo sia solo mia. Riuscire a… lasciarla dopo averla vista in quelle condizioni è stato traumatico. Andarla a trovare in ospedale dopo che ha tentato di… fare quello che voleva fare, beh, avrebbe fatto uscire di senno chiunque.”

La cuoca decise che era il momento di passare ai gesti e, con un calore amichevole, mise la propria mano su quella dell’eterno disperso. “Posso solo immaginare come ti senti. Sei stato molto forte e sono certa che lei si riprenderà: è tenace.”
Stava riflettendo su quanto suonassero ridicole, alle sue stesse orecchie, quelle parole, quando lui sbottò, lasciando cadere nuovamente lo sgabello che non riusciva più a far stare in piedi.

“È un’addestratrice di maiali da sumo su una sedia a rotelle, dannazione! Sognava un futuro assieme a me e io l’ho delusa a tal punto da spingerla in quel maledetto burrone!”

La voce forte e disperata di Ryoga le fece accelerare i battiti cardiaci, riannodandole qualcosa dentro.

Non la supererà così facilmente. Avrà bisogno di tempo; tanto tempo.

Ukyo si voltò, fingendo di sistemare qualcosa dietro al bancone. In realtà non riuscì a guardarlo negli occhi quando domandò: “Allora perché non sei rimasto con lei?”
Ryoga tacque per un lungo, intero minuto; quando ormai non pensava più che avrebbe risposto, lo fece: “Perché non è lei che amo.”

Ukyo sussultò, un calore le si diffuse al viso ed era certa che, se solo avesse avuto il coraggio di voltarsi a guardarlo, anche il suo volto sarebbe stato di un color rosso acceso. Sbirciò con la coda dell’occhio i suoi gesti, col cuore che le tamburellava nel petto come un orologio dal meccanismo impazzito e vide che, con fare molto nervoso, il ragazzo con la bandana stava sistemando lo sfortunato sgabello sulla gamba rotta.

“Penso che per un po’ non sia il caso di farci sedere i clienti. Mi dispiace, credo che dovrò incoll…”

Si ritrovò avvinghiata a lui senza ricordare quando si fosse mossa, né quando avesse deciso di abbracciarlo. La griglia bollente sfrigolava a pochi centimetri da loro ma le sue braccia rimasero salde al collo di lui e fu certa che Ryoga aveva avvertito l’umidità delle sue lacrime sulla nuca: non le importava, aveva bisogno di rimanere così, sentendo il respiro di lui che si smorzava per la sorpresa e il corpo che pian piano si rilassava e ricambiava l’abbraccio.

“Ucchan…”

“Dimmelo, ti prego! Ho bisogno di sentirtelo dire…”

Non me lo hai ancora detto. Nemmeno dopo aver fatto l’amore con me.

La voce di Ryoga vibrò, produsse una sillaba stentata, accarezzò il suo nome; poi il ragazzo deglutì e prese fiato: “Io… io ti…”

“Buonasera a tutti!”

Ukyo non credeva fosse possibile passare da mille a zero in così poco tempo; meno di un decimo di secondo prima era avvinghiata al ragazzo che amava, pronta ad ascoltare le fatidiche parole, subito dopo era con le mani nell’acquaio a lavare con foga un piatto già pulito.

“Ho… ho interrotto qualcosa?” Ebbe il coraggio di chiedere il suo migliore amico.

E pensare che una volta avrei dato non so cosa per un momento così con te, razza di guastafeste col codino!
“Secondo te, Ranma?” Era la voce di Akane che aveva posto la sarcastica domanda.

“Bene, allora la solita special con gamberetti, ragazzi?” Esclamò voltandosi e battendo le mani con fare pratico. Tutto, pur di interrompere quel momento imbarazzante.

Se solo avessi saputo, avrei detto loro di venire qui domani quando avessi riaperto…

Lanciò un’occhiata a Ryoga: il volto era sempre del colore dei pomodori appena colti, ma ora stava curvo con le braccia poggiate sul bancone a guardare di traverso Ranma.

“Sì, grazie Ucchan! Ho una fame da lupi!”

“Tu hai sempre una fame da lupi!” Rimbeccò la fidanzata ridacchiando.

C’è qualcosa che dovrei dire, ma non ricordo… oh, già!

Con orrore si rese conto che Ranma stava accomodandosi proprio sullo sgabello rotto e quando gridò: “No, Ranma, non lo fare!”, lo fece a una voce con Ryoga. Inutile. Il ragazzo che le aveva spezzato il cuore in un lontano passato era già rovinato a terra con un frastuono infernale e un mugugno di dolore.

Tanto bastò a sciogliere ogni residuo di ghiaccio.

Ukyo scoppiò a ridere di cuore, quasi immediatamente imitata dagli altri; dopo un po’ la risata divenne un singulto, poi un convulso sbellicarsi sprizzando lacrime. L’unico che non rideva era Ranma, accigliato e dolorante, ma andava bene così.

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Capitolo 10
*** Giudizi e scoperte ***


CAP. 10: GIUDIZI E SCOPERTE


Quella mattina si alzò più tardi del solito: aveva dormito poco e male e la testa le doleva particolarmente. Incontrò Genma Saotome mentre scendeva le scale per recarsi al piano inferiore e dallo sguardo dell’uomo era evidente che non aveva una gran bella cera.

“Bambina, stai poco bene? Sei così pallida stamattina!”

“Oh, non è nulla, signor Saotome, ho solo un leggero mal di testa.” Minimizzò Kasumi col suo solito, radioso sorriso.

L’uomo però non sembrava convinto e le si avvicinò per toccarle la fronte: “Febbre non ne hai. Però sarebbe bene che tu rimanessi riguardata a letto per un po’.”

“Non ce n’è bisogno, e poi ho troppe cose da sbrigare! Prima fra tutti preparare il pranzo.” Asserì radiosa scendendo le scale. Non sentì la voce del signor Saotome che le ricordava il sukiyaki avanzato dalla sera precedente.
Mentre si recava in cucina incrociò Nabiki, ancora in pigiama e con lo spazzolino da denti che le pendeva dalle labbra. Era spettinata e con gli occhi semichiusi, ma sembrava molto più riposata di quanto si sentisse lei.

“Ehi, buongiorno… ho notato che hai preparato sukiyaki per un esercito e pensavo che dovresti portarne un po’ al dottor Tofu prima che, chi sappiamo noi, lo fagociti senza lasciarne traccia.” La media delle Tendo si tolse lo spazzolino di bocca e sbadigliò rumorosamente.
Kasumi, che le stava per ricambiare il buongiorno, rimase col sorriso congelato sul volto. Nabiki le sventagliò una mano davanti agli occhi.

“Oh… sì, hai ragione! Incarto uno di quei contenitori e vado subito.” Rispose meccanicamente. Stava per fare quello che aveva già fatto un milione di volte: portare del buon cibo caldo a

il mio uomo

Il dottor Tofu. Solo che oggi era diverso: un istinto primordiale le diceva che andare a casa del dottore era necessario. Lei doveva sapere, vedere coi suoi occhi, scrutare, verificare…

Nessuno di questi pensieri le salì a livello conscio: era più una sensazione, un prurito al cervello; l’intenzione di Kasumi era quella di fare una gradita sorpresa a lui e alla

ragazza sconcia

sua fidanzata.

Si infilò il cappotto e uscì col suo fagotto.

***



Shampoo si svegliò e rimase a fissare l’uomo che le dormiva di fianco: era così diverso da lui! Rude, quasi aggressivo, le aveva donato brividi nuovi eppure… spenti. Non c’erano la dolcezza, la dedizione e la tenerezza che aveva condiviso con Mousse.

Quest’uomo non mi ama.

Era talmente evidente che Dick fosse attratto da lei solo per la sua bellezza che, come per una difesa psicologica, aveva preferito fingere di non saperlo.

Non dovrebbe stare nel mio letto. Nel NOSTRO letto.

Aveva condiviso quello spazio con Mousse solo una volta eppure già lo considerava il loro letto. Scosse Dick afferrandolo per la spalla nuda.

“Ehi, ehi svegliati!” Le palpebre si aprirono su quegli occhi color notte che tanto l’avevano affascinata.
Così diversi dai suoi, che ho pensato di potermene dimenticare.

Invece ricordava benissimo il verde smeraldo della sua talpa preferita.

Ancora non riusciva a credere che, in un momento di debolezza, si fosse portata a letto il primo idiota carino che le aveva offerto da bere: era andata al locale giù in città per cercare di distrarsi, di stordirsi con la musica e con un buon drink (lei, che come Mousse non aveva mai bevuto in vita sua). E si era ritrovata brilla e sedotta da questo ragazzo americano in ‘viaggio spirituale nell’antica Cina’, come lo aveva chiamato.

“Che c’è, piccola, desideri un po’ di coccole mattutine speciali?” La provocò lui allungandosi per abbracciarla.

“No, desidero che tu te ne vada, subito!” Disse velocemente tirandosi a sedere e avendo cura di coprirsi con le lenzuola. “È stato tutto molto bello e coinvolgente ma adesso devo riprendere il controllo della mia vita.” Mentre parlava, afferrò la vestaglia, la infilò e scese dal letto stringendone bene la cinta.

“Ma di cosa parli, mia amazzone?” Fece il ragazzo, stralunato. Shampoo alzò gli occhi al soffitto.

Non mi ero neanche accorta che parla come Kuno Tatewaki!

“Parlo della tua partenza, dovrai tornare in America, al tuo lavoro, no? Bene, qui ci sono le tue valigie e il tuo biglietto aereo!” Si affrettò a consegnarglieli e, visto che lui non si muoveva, gli tolse le coperte di dosso e gli fece cenno di scendere dal letto.

“Sei impazzita?!” Dick la guardò con un’aria stralunata, oltraggiato oltre ogni dire per quel risveglio così brusco. Shampoo non poté fare a meno di ammirarne la nudità: il fisico scolpito, i muscoli ben delineati e… aveva davvero una mezza idea di fare il bis mattutino. Si affrettò a distogliere lo sguardo, imbarazzata.

“Vestiti e vai per la tua strada. Se sono impazzita è stato quando ti ho permesso di entrare nella mia vita, anche se per poco.” Sentiva lo sguardo di Dick dietro le sue spalle e quasi fu dispiaciuta di trattarlo così. Poi ricordò le sue parole: “Dimenticati di quel vigliacco, ora ci sono io con te!”

Mousse non era un vigliacco: lo era stata lei, fin dal principio.

“Non puoi trattarmi così! Io ti sono stato vicino proprio nel momento in cui stavi perdendo il controllo della tua vita, e questo è il ringraziamento?!” La costrinse a voltarsi con una mano.

Lo guardò, furiosa: era un’amazzone e nessun uomo poteva batterla tanto facilmente. “Ho perso il controllo – ringhiò afferrandogli un braccio e torcendoglielo dietro alla schiena – quando ti ho permesso di toccarmi!” Dick emise un grugnito di dolore e lei lo condusse alla porta senza tanti complimenti, spingendolo fuori di casa.

“Ma sono nudo!” Esclamò curvandosi su se stesso in una parvenza di freddo e vergogna. Sembrava aver capito chi fosse più forte tra loro due.

Shampoo, che gli aveva già lanciato le valigie, fece lo stesso con i suoi vestiti, raggomitolati alla bell’e meglio. “Allora vestiti!” Gli disse con un grosso sorriso prima di sbattergli la porta in faccia.

***



Quando arrivò e trovò la porta socchiusa, la sua prima reazione fu di paura. Che fossero entrati i ladri? Aprì l’uscio con prudenza e fu investita da un profumo intenso: qualcuno si era spruzzato una generosa dose di fragranza fiorita. Decisamente femminile.
Kasumi chiamò il nome del dottore, con una mezza idea di girare sui tacchi e andarsene. E non per timore dei ladri. Quando nessuno rispose cominciò a bussare alle varie stanze e, giunta nello studio, fece una scoperta sconvolgente che le fece quasi cadere il contenitore di cibo dalle mani.

Betty giaceva a terra, disarticolata e sparsa sul pavimento come se qualcuno si fosse divertito a staccarle gli ossicini dopo averla percossa con violenza. Inaspettatamente, quella vista la commosse, come se si trattasse di una persona cara cui avessero fatto del male; le tornarono alla mente le danze che Tofu aveva improvvisato col suo scheletro anatomico e si chiese chi avesse potuto farle una cosa tanto orribile.

Forse c’è davvero qualcuno e io sono in pericolo!

Il suo istinto però non le suggeriva nulla del genere e Kasumi, posato il sukiyaki su un mobile, si chinò a raccogliere costole e tibie; non era in grado di aggiustare Betty, ma ne ripose con cura le parti sul lettino, speranzosa che il dottore potesse ricomporre quel particolare paziente.

Gli si spezzerà il cuore quando la vedrà.

Raccolse il contenitore con un sospiro, lanciando un’ultima occhiata a quel triste mucchietto d’ossa.

Appurato che il piano inferiore era deserto, si avventurò in quello superiore, continuando a chiamare ma non ricevendo risposta. Stava per andarsene, decidendo di lasciare il cibo in frigo con un bigliettino, quando inciampò in qualcosa.

“Oh, ma che disordinato!” Disse con un tono di divertito rimprovero scorgendo un capo di vestiario sotto al piede. Si chinò per raccoglierlo con la mano libera e il cuore le saltò in gola quando si accorse di cosa si trattava.

Un body, simile a quelli che si usavano per la danza, ma di pizzo viola. Giusto sulla soglia della camera da letto del dottor Tofu.

Kasumi sentì i battiti accelerare e qualcosa di bollente e impetuoso le salì al volto. Sangue alla testa, adrenalina… rabbia. La sensazione che quelle emozioni fossero sbagliate, insostenibili per lei che non v’era abituata, era quasi palpabile. Ma la cosa peggiore fu che non le importava. Improvvisamente era eccitante essere quella nuova Kasumi, fu quasi certa che se si fosse guardata allo specchio avrebbe visto brillare un’aura combattiva come capitava ad Akane quando si infuriava con Ranma.

Era ancora china con quel body in una mano e il sukyiaki nell’altra quando il telefono squillò e rischiò per la seconda volta che il contenitore le cadesse. Si voltò verso il cordless nero guardandolo come fosse una strana forma aliena, quindi attese quattro squilli prima di decidersi a rispondere.

Che male può fare?

“Pronto? Sono la signora Tofu. Mayumi, sei tu?”

L’immagine della vecchina che qualche anno prima era venuta a trovare il figlio, con tanto di altare del marito defunto al seguito, le si delineò nella mente; la donna era determinata a cercare una moglie per il figlio e le parole d’ordine erano: fianchi larghi per un buon parto e brava casalinga che accudisse la casa. Sentire il nome di Mayumi detto dalla madre del dottor Tofu le provocò la stessa sensazione che avrebbe provato nell’ascoltare una nota particolarmente stonata.

“No, signora, sono Kasumi Tendo. Che piacere risentirla, come sta?” Il suo tono era talmente dolce e fermo che nessuno avrebbe sospettato il terremoto interiore che la scuoteva fin nelle viscere.

“Oh, cara… è un piacere anche per me risentirti… c’è mio figlio in casa?” L’esitazione nella voce della donna le suggerì che non si aspettava di trovarla lì.

“Non saprei, sono appena arrivata e mi sembra che non ci sia nessuno…” Avendo la possibilità di camminare mentre parlava, decise di varcare una soglia che non avrebbe mai varcato fino a due giorni prima. D’altronde la porta era socchiusa e a terra c’erano altri capi di vestiario

femminili

a formare quasi un sentiero fino all’entrata della camera da letto.

Potrebbero essere gli abiti di una paziente.

Kasumi tentò disperatamente di mentire a se stessa, ben sapendo che nessuna paziente sarebbe mai entrata nella stanza privata del dottore, a meno che non ci fosse un motivo particolare. La signora Tofu intanto continuava a parlare.

“Forse è uscito con Mayumi. Sai, è una brava ragazza! Oltre ad avere i fianchi giusti è una perfetta donna di casa, discreta ed educata.”

Si accorse che c’era disordine anche dentro la stanza ma non si soffermò sui particolari, troppo sconvolta da quello che stava ascoltando.

Di cosa sta parlando? Discreta? Donna di casa? Quella Mayumi?

“Oh… beh…” Riuscì solo a rispondere.

Le tornò alla mente la figura flessuosa in minigonna, truccata fino all’inverosimile, con l’espressione sfacciata e la sigaretta tra le labbra.

“In realtà speravo che si fosse deciso a dichiararsi con te, mi sarebbe piaciuto molto averti come nuora!” Esclamò malinconicamente.

Forse non era destino che andasse così…

“Come, cara? Hai detto qualcosa?” Ma Kasumi non l’ascoltava più, non si era nemmeno accorta di aver espresso quel pensiero a voce, seppure bassa. Aveva identificato delle calze a rete per terra, un reggiseno addirittura su un’abat-jour, una minigonna jeans a un angolo della stanza e delle mutandine nel letto di Tofu, tra le lenzuola sfatte e impregnate dello stesso profumo fiorito che aveva avvertito all’entrata. Se aveva ancora qualche dubbio su chi ne fosse la proprietaria, l’orecchino a forma di teschio sul materasso lo cancellò definitivamente.

“Dicevo… che sono sicura che saranno molto felici insieme.” Con un gesto lento e calcolato, Kasumi pigiò il tasto che chiudeva la comunicazione.

Che maleducata, dovrò scusarmi con lei, ma non riesco… oh, non riesco proprio a respirare, ora!

Pose l’apparecchio sul comodino e si accorse che la mano le tremava. Tutto il suo corpo tremava, in realtà, e il respiro le si fece affannoso. Provò l’impulso irrefrenabile di lanciare contro il muro il contenitore che teneva ancora in mano e si vide nell’atto di farlo per un solo, terribile istante: il braccio che si alzava, il pacco che volava attraverso la stanza e terminava la sua corsa contro il muro opposto, sparpagliando ovunque carne, verdure e brodo. Insudiciando il pavimento, i mobili, il letto. E i vestiti di quella

donnaccia!

donna.

Invece non fece nulla. Si limitò a deporre delicatamente il contenitore sul materasso, accanto alle mutandine di pizzo. Non si richiuse la porta alle sue spalle. Scese le scale come in trance e lasciò aperta anche quella principale. Una volta in strada, si diresse come un automa dove sarebbe dovuta andare molto tempo prima.

***



Le donne del Consiglio che l’attorniavano, guardinghe e imperiose dalle loro postazioni disposte a ferro di cavallo, la fecero sentire come un’imputata in un tribunale.

Sono forse qualcosa di molto diverso?

“E così, il consorte ha utilizzato i moduli per divorziare da te.” Sentenziò una vecchina battendo il suo bastone a ogni, dannata sillaba.

“Sì, è così venerabile Xue” Quella mummia glielo aveva già chiesto due volte, Shampoo pensò che alla terza si sarebbe messa a urlare.

“E come mai hai permesso una cosa simile a nemmeno un anno dal matrimonio?!” Chiese un’altra donna con una vocetta stridula.

L’amazzone alzò lo sguardo e, ancora una volta, si meravigliò di come tutte quelle vecchine somigliassero in maniera impressionante alla sua bisnonna.

Oh, se ci fossi ancora tu, qua con me, mi diresti cosa fare!

“Noi abbiamo avuto… ehm… delle incomprensioni.” Le suonava ridicolo alle orecchie: era stata sempre e solo lei a non comprendere.

“Non ci interessano le loro liti matrimoniali, Hong-san! Il problema è ben più grave: se Xian Pu e Mu Si si sono lasciati significa che non genereranno un’ erede femmina. E questo è un grave danno per il nostro villaggio, significa avere una guerriera in meno da allenare e una seconda da radiare dal villaggio.”

Shampoo si gelò: l’avrebbero davvero cacciata perché il suo matrimonio era fallito? Conosceva le regole, ma sapeva anche di averle applicate sempre scrupolosamente. “Non credo di meritare un tale trattamento!” Disse in un tono di rabbiosa delusione mal contenuta.

“Come, prego?” Chiese scandalizzata Xue, spalancando tanto gli occhi nelle orbite che, per un attimo, spiccarono sulla faccia rugosa come se volessero rotolare giù.

Prese un respiro, conscia che una sua ribellione poteva condannarla, ma incapace di trattenersi: “Ho detto che non credo di meritare di essere radiata. Ho sempre applicato le regole imposte dal villaggio, con orgoglio e tenacia, e penso che un matrimonio fallito non sia sufficiente a condannarmi.”

La vecchia amazzone la scrutò con le labbra strette e l’espressione accigliata, in una smorfia di disprezzo che incartapecorì in maniera quasi assurda i suoi lineamenti già rigidi. “Ragazzina, sei tornata in Cina con un consorte che non era quello che ci avevi promesso, meno forte e celebre, eppure vi abbiamo dato una possibilità. Vi avevamo solo chiesto di sposarvi e mettere al mondo una femmina e avete fallito; credo che tutto il Consiglio converrà con me che sia abbastanza.”
Mormorii di approvazione echeggiarono sommessamente nella grande stanza. Shampoo strinse i pugni e abbassò lo sguardo.
“Inoltre”, proseguì inesorabile, “ci è giunta voce che tu sia stata vista in un locale poco raccomandabile ieri sera. E stavi parlando con un ragazzo straniero!” L’accento che la donna mise su quel verbo per poco non la fece scoppiare a ridere.

Se sapessi, Xue-sama, che non mi sono limitata a parlare…

“Il tuo comportamento esula da qualsiasi regola morale o, più strettamente, del villaggio stesso: non solo hai permesso che tuo marito se ne andasse, ma hai tenuto un contegno assolutamente non adatto a un’amazzone rispettabile!”

Sono stata con un altro uomo a meno di ventiquattr’ore dal mio divorzio… come una qualsiasi sgualdrinella di città.

Quel pensiero bastò a farle rilassare i pugni in tensione e a chiudere gli occhi in segno di resa. “Quindi… ora dove mi manderete?”

Xue si impettì nella posa che meglio la rendeva solenne con la sua piccola statura: nonostante fossero tutte minuscole come sua nonna, quelle streghe erano appollaiate mezzo metro sulla sua testa. “Puoi tornartene in Giappone o andartene dove meglio credi: l’importante è che tu non rimetta mai più piede nel villaggio delle amazzoni per il resto della tua vita e che non lo facciano nemmeno i tuoi discendenti.”

Shampoo inghiottì, chiedendosi come aveva fatto a rovinarsi così con le sue stesse mani; chiedendosi cosa avrebbe pensato la sua bisnonna di lei se fosse stata ancora viva; chiedendosi cosa sarebbe stato della sua vita. Credeva di doversi sentire disperata, umiliata, invece qualcosa di molto simile a un grosso peso sembrò librarsi via da lei in quel preciso istante, come un macigno che improvvisamente metta le ali.

“Lo prometto.” Disse con un filo di voce che non riconobbe come propria.

“Bene, per me è tutto. Potete sciogliere la riunione!” Esclamò solennemente Xue. Tutte le amazzoni si mossero quasi contemporaneamente, chi sul proprio bastone come usava fare Cologne, chi camminando senza fretta. Shampoo fece un inchino e rimase per qualche secondo ancora al centro della stanza, come assorbendo le ultime particelle della sua vecchia vita. Poi, anche lei si mosse piano, verso l’uscita.

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Capitolo 11
*** Drastiche decisioni ***


CAP. 11: DRASTICHE DECISIONI


Nabiki vide sua sorella rincasare nel primo pomeriggio e la preoccupazione che l’aveva attanagliata scemò improvvisamente. Dietro di lei, accalcati alla finestra come ragazzini che si aspettino di vedere Babbo Natale, c’era tutto il resto della famiglia.

“Vi spostate, per favore? Mi sta venendo la claustrofobia!”

Si fece largo dirigendosi verso la porta d’ingresso, pronta ad accogliere la sorella maggiore, quando si accorse che gli altri la seguivano come fossero un’unica entità con un unico cervello.

“Vi siete scordati che dovete far finta di niente? Io le vado incontro, voi sparite!” Sibilò voltandosi minacciosa. Mestamente, Genma e Soun sedettero al tavolo da shogi senza neanche tirare fuori le pedine, Ranma e Akane salirono le scale con l’intenzione di ritirarsi nelle rispettive stanze, ma rimanendo nascosti sulla soglia del piano superiore.

La porta si aprì e apparve Kasumi con dei pacchi. Nabiki pensava fosse andata a fare la spesa dopo essere stata da Tofu ma, quando non l’aveva vista rientrare per il pranzo e a casa del dottor Tofu il telefono aveva squillato a vuoto, si era insospettita: non era da lei stare via tanto a lungo senza avvertire. Quando l’aveva vista sul vialetto di casa con le buste aveva pensato semplicemente che avesse tardato al supermercato, ma ora, guardandola bene, ebbe la conferma che qualcosa non andava.

Il viso era stanco, anche se l’espressione risoluta e allegra lo celava bene, e gli occhi erano gonfi come se avesse pianto fino a qualche ora prima; inoltre i pacchi che aveva non erano quelli del supermercato.

Nabiki stava guardando sua sorella di ritorno da un pomeriggio di shopping sfrenato.

Bene, ora ci manca anche un ufo nel dojo e per oggi ho fatto il pieno di assurdità.

“Ciao, Nabiki! Ehm… scusate il ritardo!” Il tono della sua voce tradiva imbarazzo e nervosismo. Già la sera prima c’era qualcosa di storto, se n’era accorta dal tono che aveva usato quando le aveva augurato una buona serata. Era triste. E Kasumi non era mai triste o quantomeno non lo mostrava. Quello che stava vedendo oggi in lei, tuttavia, era ancora più sconvolgente.

“Hai fatto compere, a quanto vedo!” Disse cercando di mantenere un tono calmo.

Kasumi si guardò le braccia piene di buste e pacchetti e Nabiki si chiese come diavolo avesse fatto a trasportarle da sola.

“Oh, sì… giusto qualche cosetta che mancava! Ora vado a riporle in camera e scendo a preparare la cena!” Prima che potesse risponderle, la sorella si avviò a passo di marcia su per le scale, in un fruscio di plastica e cartone, ignara di Ranma e Akane che si dileguavano a tempo di record.

Nabiki rimase di stucco, come le era capitato poche volte, con la bocca spalancata e la testa all’insù, seguendola con lo sguardo.

***



La zip della valigia si inceppò e l’amazzone si ritrovò a imprecare; non l’aveva mai sentito fare né a Ranma, né tantomeno a Mousse. Ma fu liberatorio, questo doveva dirlo. Inoltre riuscì a chiudere il suo bagaglio solo con un paio di strattoni.

“Ecco fatto!” Disse mettendosi le mani sui fianchi con aria soddisfatta.

Dentro di sé qualcosa urlava.
Di rabbia, di soddisfazione, di liberazione, di rimorso. In meno di due giorni aveva preso una decisione che le aveva fatto assaporare una felicità e una speranza che non credeva possibili. Poi era riprecipitata nell’oscurità e aveva creduto di uscirne portandosi a letto il primo ragazzo gentile che le era capitato a tiro: lei, che a stento aveva accettato di crescere e di comportarsi come una donna, si era comportata in maniera totalmente inversa. Non poteva dire che stare con Dick non le fosse piaciuto, ma era stata una notte fredda, come quelle senza luna che la lasciavano al buio quando mancava l’elettricità in casa.

Fece un ultimo giro per le stanze, controllando se avesse dimenticato qualche effetto personale; trovò la sua spazzola sulla toletta del bagno, l’afferrò e cominciò a pettinarsi i lunghi capelli davanti allo specchio.

Mousse ha baciato i miei capelli come se si trattasse di seta preziosa. Li ha intrecciati sulle sue dita costringendomi dolcemente ad alzare il viso per potermi baciare…

Con un gesto improvviso, gettò la spazzola sul pavimento e si mise a rovistare negli armadietti facendo rovesciare boccette di profumo, medicinali e sali da bagno. Trovò quello che cercava in un cassetto, in mezzo a un mucchio di batuffoli d’ovatta: avvicinò la lama al collo e lo scintillio si riflesse nello specchio con un bagliore sinistro.

***



Quando ridiscese le scale sembrava la solita Kasumi. Nabiki era in salotto con gli altri e parlava a bassa voce ma, al suo arrivo, tutti tacquero e per un attimo si osservarono a vicenda: la famiglia da una parte e la maggiore delle Tendo dall’altra. Sguardi indagatori, occhi spalancati.

“Bene, cosa c’è per cena?” Ruppe il silenzio Nabiki facendo sobbalzare la sorella.

“Oh, certo… pesce in crosta di patate, che ne dite?” Il tono era allegro ma affettato e la ragazza col caschetto vi colse una nota di agitazione.

“Ottimo! E, a proposito, il sukiyaki di ieri sera era favoloso!” Esclamò Ranma con un grosso sorriso mentre Akane, al suo fianco, annuiva.

“È vero, in questi due giorni ci hai proprio viziato!” S’intromise Genma. “Hai davvero una ragazza d’oro, certe volte vorrei avere un altro figlio a cui darla in moglie!” Aggiunse dando delle pacche sulle spalle di Soun.

Quelle parole operarono una trasformazione che colse solo Nabiki, attenta come sempre a ogni particolare: il suo sguardo divenne freddo e il sorriso le morì sulle labbra. Stava quasi per dirle che l’accompagnava in cucina per aiutarla, decisa a scoprire cosa diavolo fosse accaduto, quando qualcuno bussò alla porta. E da come bussava sembrava avere parecchia fretta. Akane si alzò per andare ad aprire e quando entrò il dottor Tofu, trafelato e col fiato grosso, la media delle Tendo capì che doveva essere successo qualcosa di grave.

“C’è… Kasumi?” Ansimò poggiandosi allo stipite.

Finché si trattava di notare delle piccolezze solo lei poteva scorgerle, attenta e indagatrice com’era, ma la reazione di Kasumi di quel pomeriggio per Nabiki era talmente chiara che l’avrebbe capita anche un moccioso. La ragazza impallidì, si portò le mani davanti alla bocca e scappò letteralmente in cucina.

Di nuovo rimasero tutti fermi, in attesa, fissando Tofu, stavolta. L’unico suono che si udiva era quello del respiro del dottore che tornava lentamente regolare. Sembrava che avesse corso per giorni; doveva essersi precipitato là con la fretta di chi sia inseguito da un demone.

“Direi che a questo punto ci deve una spiegazione.” Esordì Nabiki, ormai certa che fra Tofu e Kasumi fosse successo qualcosa di irreparabile.

***



Un taglio netto fu sufficiente.
Shampoo ansimò, guardando la propria immagine nello specchio: come potevano appartenerle quegli occhi sgranati? Come poteva essere suo il petto che si alzava e si abbassava nei respiri affannosi che le uscivano a piccoli sibili dalle labbra? Come potevano essere sue le mani che brandivano quelle lame, così tremanti e insicure?

Quando il Consiglio l’aveva cacciata dal villaggio, aveva provato un misto di ribellione e sollievo.

Sono libera dalla mia schiavitù.

Ma il suo tentativo di ribellione era stato tanto fievole che, se si fosse potuta osservare mentre lo faceva, avrebbe riso sprezzante: eppure lo aveva fatto proprio perché sapeva che sarebbe stato totalmente inutile. Lei non voleva che la riammettessero. Shampoo, l’amazzone, voleva ricominciare una nuova vita, essere libera di prendere le sue decisioni senza seguire nessuna, stupida regola.

“Volgi il tuo cuore verso chi lo merita davvero, bambina, e dimentica quelle sciocche regole prive d’amore.”

La prima parte dell’ultimo desiderio di sua nonna l’aveva messa in pratica, seppure in maniera maldestra. La seconda l’aveva compiuta quella mattina arrendendosi all’inevitabile decisione delle vecchie matrone.

“Ora sono libera. Ora nessuno potrà più impormi nulla.” Mormorò abbassando la mano.

Lasciò cadere le forbici nel lavandino, il rumore echeggiò nella stanza; con noncuranza, camminò sui propri capelli sparsi sul pavimento.

***



La lama penetrò nel tubero squarciandolo in una fetta tonda e precisa, producendo un rumore attutito ma chiaro sul legno del tagliere.

Sto affettando delle patate con le mani che mi tremano. Spero che non venga qui, spero che…

Udiva delle voci, di là in salotto, e sperava che gli altri lo trattenessero impedendogli di raggiungerla. A ben vedere non c’era alcun buon motivo per cui questo accadesse ma sapeva che Nabiki era molto perspicace e aveva la certezza quasi matematica che avesse capito che qualcosa non andasse in lei. Si aspettava prima o poi di trovarsi faccia a faccia con sua sorella e allora le avrebbe parlato. Per ora si augurava solo che le tenesse lontano Tofu, gli facesse pure l’interrogatorio, non…

“Ka… Kasumi!” Trafelato, il medico era piombato in cucina interrompendo i suoi pensieri e accentuando la sua agitazione e la sua… rabbia. La stessa che aveva provato quando era entrata in casa sua e aveva trovato… quelle cose, la stessa che l’aveva spinta a comprare tutte quelle sciocchezze che ora custodiva in camera sua. La stessa che le faceva aggredire quelle patate come se si trattasse di Mayumi stessa. Non che volesse ucciderla, non sarebbe arrivata a tanto ma, i kami la perdonassero, gliene avrebbe dette quattro volentieri!

“Buonasera dottor Tofu.” Disse senza voltarsi, risoluta, la voce che sfiorava pericolosamente gli zero gradi. Dal tramestio alle sue spalle capì che Ranma, Akane, suo padre e Genma erano a pochi passi da loro.

Oh, la mia meravigliosa famiglia ficcanaso! Comincio a capire cosa provano Akane e Ranma…

“Kasuuumi, de… devo spiegarti, non è come pensi!” Belò Tofu.

Fino a una manciata di ore prima non si sarebbe mai sognata di mettere in piazza certe questioni, specie davanti a tutti gli altri, ma soprattutto non le sarebbe passato per l’anticamera del cervello di arrabbiarsi.

Invece fece di più. Mostrò agli altri quello che provava e che ormai rischiava di soffocarla se non veniva tirato fuori. Alzò il braccio e affettò l’ultima patata come se la stesse accoltellando, qualche buccia cadde a terra e il brusio alle sue spalle cessò. Era sulla soglia di un punto di non ritorno. La vecchia Kasumi era confinata altrove, quella nuova si voltò con il coltello in mano e guardò negli occhi il povero dottore con un’espressione tale che poteva scorgerne il terrore palese. Gli pareva di leggergli, come una scritta al neon che lampeggiasse nei suoi occhiali, la certezza che stava per essere ucciso. Dietro di lui, suo padre e Genma si abbracciavano come bambini impauriti e Ranma e Akane si erano presi per mano. Persino Nabiki aveva gli occhi spalancati ed era impallidita.

“Non è come penso, dice!” Esclamò sfoderando un enorme sorriso ma gesticolando col coltello in mano. “È la stessa cosa che ha detto ieri, vero dottor Tofu?”

Non si accorse nemmeno che stava avanzando mentre brandiva il coltello; vide l’uomo indietreggiare, ora palesemente spaventato, con le mani protese davanti a sé. Udì Nabiki richiamarla, quasi interrogativa, stupita allo stesso tempo. Ma non riusciva a tornare indietro, ormai era troppo fuori di sé e avrebbe fatto quello che doveva, anche se avrebbe dovuto pentirsene. Per certe cose non ci si poteva fermare a riflettere, era semplicemente impossibile.

***



“Akari mi ha chiesto di non cercarla più.”

La frase fu seguita dal silenzio. Poi Ukyo lo riempì con un sospiro profondo: “Ci avevo visto giusto, allora: Akari è molto più forte di quel che immaginassi. Se mi fossi trovata nelle sue condizioni, probabilmente ti avrei supplicato di rimanere con me. A ogni costo.”

“Anche tu sei forte, piccola Ukyo.” Ribatté Ryoga scompigliandole i capelli. Lei si accoccolò ancora più strettamente sul suo torace, sorridendo nel buio.
La serata precedente si era risolta in una cena allegra e spensierata: non avrebbe mai immaginato che, dopo la visita ad Akari in ospedale, le cose sarebbero tornate a essere normali, ma evidentemente l’essere umano ha un meccanismo di autodifesa per cui tende a ricreare le situazioni più confortevoli proprio nel momento in cui altri sarebbero impazziti. A nessuno alleggerisce il cuore sapere che una persona che si conosce e che condivide passioni simili alle proprie sta vivendo una tragedia simile: lo dicevano chiaro anche le occhiaie e il pallore sui volti di Ranma e Akane, il tormento che lei sentiva interiormente dopo aver incontrato la sfortunata ragazza. Ryoga, poi, era il più colpito di tutti. Come se le avesse letto nel pensiero, il ragazzo disse con voce grave: “Devi avere pazienza con me, Ucchan. Non mi sarà facile.”

Annuì, poi, conscia che non avrebbe visto il movimento nell’oscurità della stanza, gli prese la mano e mormorò: “Io sarò sempre qui, accanto a te. Ti amo…” Concluse in un soffio.

Lui la baciò su una tempia e lo ripeté: “Ti amo.”

Non era abituata a sentirselo dire, né a dirlo, ma nelle ultime ore ogni volta che accadeva provava un fremito diverso: Ryoga glielo aveva ripetuto dieci, cento, mille volte mentre la accarezzava ovunque, la baciava, la spogliava. Era una frase inebriante nella sua disarmante semplicità; così inflazionata, così stile ‘film rosa’. Eppure, ogni volta che la pronunciava o la udiva dalla voce dell’eterno disperso era come se qualcosa dentro di lei franasse scombussolandole ogni pensiero razionale.

È così bello essere amati…

Dita gelide le artigliarono il cuore: era il senso di colpa nei confronti di Akari, quello? Sì, lo era.

“Vorrei che un giorno possa essere felice come lo sono io ora. Glielo auguro con tutto il cuore.”

Ryoga le strinse forte la mano e lei deglutì.

Non c’era bisogno di dire altro.

***



Ranma prese la mano ad Akane, incredulo, quando vide la dolce, remissiva e materna Kasumi avanzare verso il dottor Tofu con un coltellaccio da cucina in mano.
Non poteva crederci, semplicemente quello era un incubo e lui doveva svegliarsi; non aveva alcun senso quella scena. Cosa aveva fatto di così grave il dottor Tofu da meritarsi quell’orrore?

“Credi che… lo ucciderà?” Mormorò senza staccarle gli occhi di dosso.

“Non dire sciocchezze! Quella è Kasumi!” Gli rispose la sua fidanzata col tono di chi voglia convincere più che altro se stesso.

Poi Kasumi parlò e l’assurdità di quello che uscì dalle sue labbra fu tale che Ranma fu certo di essere finito in un incubo. Si accorse che era tutto reale solo quando Akane emise un suono strozzato e indietreggiò ulteriormente salendogli su un piede: a vederla pareva che si fosse scottata. Dietro di lui Soun si accasciava contro Genma, che tentava di rianimare l’amico. Solo Nabiki aveva un’espressione seria ma quasi normale sul volto.

Probabilmente lei aveva capito tutto molto prima di loro.

***



Il rumore della chiave che apriva la serratura gli sembrò fortissimo e la porta che scorreva, cigolando nelle guide, gli parve assordante; la luce elettrica, appena la accese, gli ferì gli occhi quasi ciechi.
Il Nekohanten ricostruito dopo il terremoto era quasi identico al primo, eppure gli parve tutto sbagliato e fuori posto in quel silenzio assordante e in quella luce così bianca.

È così che l’abbiamo lasciato quando siamo partiti per andare in Cina a sposarci.

Il ristorante era l’emblema dell’ordine e della pulizia, come l’aveva lasciato Shampoo: poteva quasi vederla, nel suo grembiule, mentre passava stracci insaponati in ogni angolo e lucidava ogni singola stoviglia. “Voglio che sia tutto perfetto per quando ci capiterà di tornare in Giappone.” Aveva detto guardando il risultato delle sue pulizie.

“E… se non dovessimo tornare?” Si era azzardato a chiederle.

Lei aveva afferrato i lembi del grembiule e li aveva stretti nei pugni per qualche istante, evidentemente combattuta: “Allora lo venderemo. Ma dovrà essere pulito lo stesso.” Aveva sentenziato ricominciando a strofinare.

In quel negozio c’era una parte troppo importante delle loro vite: era lì che avevano vissuto dopo che lei era fuggita per seguire e uccidere Ranma ragazza e lui l’aveva raggiunta nella speranza di conquistare il suo cuore. Era lì che era morta la povera Obaba, in quel dannato terremoto. Era lì che finalmente era riuscito a convincerla a sposarlo.

“Che idiota illuso sono stato!” Si rimproverò cominciando a salire i gradini verso il piano superiore. Non aveva altri posti in cui andare ed era sicuro, fino a qualche ora prima, che sarebbe stato in grado di riaprire il ristorante da solo e di gestirlo per mantenersi. Ma ora, solo nella stanza che era stata sua per tanti anni, si chiese che ne sarebbe stato di lui senza Shampoo.

Almeno, finché nemmeno mi guardava, potevo starle accanto.

Sorrise all’ironia triste e demenziale della sua sorte: sposare Shampoo l’aveva fatta solo uscire più velocemente dalla sua vita.

***



Prese un respiro, strinse il manico del coltello e fece un altro passo. Tofu era come paralizzato, anche i suoi tentativi di indietreggiare erano più deboli: era un uomo arreso al suo destino.

Lo fece.

Kasumi Tendo disse quello che pensava.

“Ha detto che non era come pensavo anche ieri, quando l’ho vista chiaramente, mentre baciava quella… donnaccia!” Dentro di lei, la Kasumi di tutti i giorni inveiva a gran voce, ma la nuova Kasumi fu talmente alleggerita dal dire quella parola che le era ronzata in testa per tutto quel tempo che si sentì come un drogato che prenda la sua dose dopo una lunga astinenza. Così si vedeva ora: una tossicodipendente avvelenata dalla gelosia, accecata dalla rabbia, desiderosa solo della sua dose di vendetta. E ‘vendetta’ era un altro termine nuovo.

“È di nuovo quel demone, si è impossessato della mia bambina!” Farneticava suo padre forse ricordando l’orco che qualche anno prima aveva dato del filo da torcere a tutti quanti.

“Eppure non ha le corna!” Commentò Ranma facendola sobbalzare. Kasumi gli lanciò un’occhiata che avrebbe congelato il sole e il poveretto si accorse della gaffe solo quando Akane glielo fece notare dandogli una gomitata.

Il dottor Tofu intanto era diventato da pallido a rosso fuoco e cominciò a scuotere la testa in un gesto di negazione che la fece passare, se possibile, dalla rabbia alla furia vera e propria. La voce di Kasumi si alzò di un tono.

“Come può negare dopo che ho visto la biancheria intima di quella donna sparsa fin nel suo letto!”

Era il colpo finale. Il peso che le gravava nel petto l’abbandonò improvvisamente lasciandola senza energie. La rabbia c’era ancora ma il veleno era uscito dalla ferita. Vide con la coda dell’occhio suo padre accasciarsi tra le braccia dell’amico, che lo sostenne meccanicamente senza riuscire a staccare gli occhi dalla scena che gli si parava di fronte; Akane si schiacciò la mano così forte sulla bocca spalancata che pensò volesse ricacciare dentro le parole che lei aveva appena pronunciato; Ranma era immobile come una statua di cera e stava per dire qualcosa.

Ma lei non avrebbe permesso a nessuno di replicare, voleva solo uscire da quella stanza. Subito.

“N… non… Ka… Kasumi…” Balbettò il dottore allungando un braccio in un debole tentativo di bloccarla quando lei si incamminò verso l’uscita.

“Non mi tocchi.” Ordinò guardandolo tanto duramente che giurò di sentire il cuore dell’uomo spezzarsi in due.

Bene, così siamo pari.

Nessuno si azzardò a parlare, e tutti si spostarono per farla passare come se emanasse lingue di fuoco che potessero incendiarli. Udì il suono ritmico del proprio cuore rimbombarle nelle orecchie e nessun altro rumore per tutto il tempo che ci mise a fare le scale e a chiudersi la porta della camera alle spalle.

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Capitolo 12
*** Ritorno ***


CAP. 12: RITORNO


Se la pioggia mi bagna,
se il sole mi scalda,
io son tanto felice,
perché amo di più.
Felice di vivere
Tra le cose più belle,
felice di vivere
dove sei tu.


(Don Backy – L’amore)


Nabiki era rimasta sconvolta da tre sole cose nella vita: la morte della madre, la storia finita male con Kuno e la performance della sua sorella maggiore di pochi istanti prima. Provava la spiacevole sensazione di non avere sotto controllo la situazione e si sentì come quella sera quando non sapeva più come fermare Kuno: odiava quando gli eventi sfuggivano al ragionamento, era come fare la somma dei guadagni del mese e trovarsi col risultato di una sottrazione. La sua mente calcolatrice considerò per un istante l’idea del demone che, così stupidamente, aveva tirato fuori Ranma poco prima.

Bell’idea quella di parlare di corna proprio in quel momento, sei un vero genio!

La scartò subito, analizzando gli eventi e le parole di sua sorella.
Kasumi era uscita con un’aria strana per andare a casa del dottor Tofu. Ne era tornata stravolta con dei misteriosi pacchetti e aveva detto la parola ‘donnaccia’ riferendosi a una donna che aveva baciato Tofu. Una bestemmia nel linguaggio normale di Kasumi. Ma era quella la chiave di tutto.

Mia sorella sa che Tofu va a letto con lei ed è gelosa!

Quasi le veniva da ridere e sarebbe stata felice di una sana gelosia in lei. Se fosse stata sana, appunto, il che presumeva che Tofu doveva essere diventato il suo fidanzato. Evidentemente aveva preso una sbandata per qualche sciacquetta, troppo imbranato per dichiararsi alla donna che amava veramente.

Con passi lenti e calcolati si avvicinò alle spalle del dottor Tofu, rimasto paralizzato nel corridoio con una mano protesa come se potesse ancora sfiorare Kasumi. Gli posò la propria sulla spalla e lui si girò con gli occhi fuori dalle orbite, biascicando qualcosa di incomprensibile.

“Ce lo racconti con parole sue, dottor Tofu.” Disse tranquillamente conducendolo in salotto.

Furono le due ore più illuminanti della sua vita. Ora tutto aveva un senso e gli sguardi sconvolti, le domande e le indiscrezioni del resto della sua famiglia non contavano più nulla. Quando il povero dottore uscì mestamente di casa, dicendo che sarebbe tornato la mattina dopo, Nabiki aveva le idee chiare e non contava altro per il momento.

***



Trovare le tovaglie e stenderle su tutti i tavoli era stato davvero complicato: Mousse non aveva idea che esistesse una soffitta così buia al Nekohanten e setacciarla alla ricerca della biancheria per il ristorante con un’unica lampadina accesa e i suoi vecchi occhiali di riserva era stata una sorta di caccia al tesoro.

Rifletté che doveva trovare una soluzione per la sua vista: degli occhiali nuovi sarebbero potuti bastare per un po’, ma se si fossero rotti com’era già accaduto?

Li ha rotti Shampoo durante uno dei nostri litigi…

Aveva sentito parlare di un’operazione innovativa nella quale veniva utilizzato un laser per correggere la miopia e sperava di mettere da parte abbastanza soldi da poterla affrontare.

Con metodicità quasi maniacale, dispose le bacchette e i tovaglioli ai lati dei piatti, poi alzò lo sguardo sull’orologio a parete: erano le otto di mattina e, prima delle dodici non avrebbe avuto senso aprire i battenti del ristorante. Decise che avrebbe cominciato a precuocere qualcosa, prima di rendersi conto che da solo sarebbe stata una bella sfida gestire il Nekohanten.

Mi servirebbe un aiutante, forse dovrei mettere un cartello fuori della porta per cercarne uno.

Fu in quell’esatto istante che la porta si aprì e una figura comparve stagliata contro la luce del sole.

Mousse ci mise solo pochi istanti e una strizzatina d’occhi a rendersi conto che quella era Shampoo.

***



Nabiki Tendo non era abituata a rimanere senza parole, meno che mai per più di una volta in ventiquattro ore. Per questo motivo la sua prima emozione fu il disappunto.

Ok, dopo questo mi ritiro su un’isola deserta a meditare per i prossimi sei mesi…

Lo sconforto iniziale per la mancata associazione con un ragionamento logico fu, però, subito seguito da un proverbiale sforzo delle meningi per giungere a una conclusione che avesse un senso.

Basta fare uno più uno, è matematica pura!

D’altro canto bisognava essere freddi e preparati come lei per sopravvivere alla vista di Kasumi Tendo vestita con minigonna, calze a rete e acconciata e truccata come una diva del cinema

porno…?

alle 8 e 30 di mattina.

***



Era ancora a letto, la soffitta non esisteva; aveva ancora un sacco di lavoro e invece si metteva a fare sogni così realistici!
Il trauma di aver perso Shampoo lo aveva davvero rincretinito: un attimo prima era convinto che la sua vita sarebbe andata avanti con un po’ di sforzo e buona volontà e un attimo dopo eccolo lì ad avere visioni della sua amata come se fosse tornato ragazzino.

Aveva fatto l’amore con lei una singola, meravigliosa ma altrettanto nebulosa volta, eppure tanto gli bastava perché lei gli fosse entrata ancora di più nella circolazione sanguigna. Fu quando udì il tonfo della sua valigia che veniva posata a terra e il rumore della porta che si stava richiudendo alle spalle che cominciò a dubitare del fatto che si trattasse veramente di un sogno.

Stanno entrando i ladri, sono questi i rumori che pensi di udire: svegliati e vai a controllare, idiota!

Poi lei parlò e Mousse fu assalito da nuovi dubbi: i ladri non hanno una voce così angelica…

“Posso entrare?”

Qualcosa scattò dentro di lui e in meno di un decimo di secondo fu travolto dalla doppia consapevolezza che il suo non era un sogno, ma che non si sarebbe precipitato ad abbracciare la donna che amava.

“Sei già entrata.” Disse freddamente.

Con un sonoro ‘crack’, il suo cuore trionfò e sanguinò allo stesso tempo: era troppo ferito per accoglierla con calore, eppure il proprio gelo lo fece sussultare.
Shampoo non parve particolarmente colpita, si limitò ad abbassare lo sguardo e a mordersi il labbro inferiore. “Mi dispiace.”

“Ti dispiace? Di cosa, ti dispiace?” Domandò lui affaccendandosi tra i tavoli ed evitando di guardarla.

Stupido! Shampoo è qui davanti a te, che sta dicendo che le dispiace e tu la tratti così male?! Ti sei bevuto il cervello?!

“Io… io penso di essermi sbagliata!” Ansimò fuori. Lui si voltò a guardarla e si rese conto di cosa non andasse in lei: i lunghi capelli color lavanda erano stati tagliati maldestramente e le sfioravano a malapena le spalle.

“Se parli del tuo parrucchiere ti sei sbagliata davvero: ti ha tagliuzzato i capelli in maniera indecente.”

Questo non sono io: è il mio alter ego malvagio che parla così e mi fa trattare male Shampoo.

“Sto parlando del nostro matrimonio! Abbiamo affrettato troppo le cose con quel divorzio…”

Forse fu il pensiero ossessivo che quello fosse davvero un sogno, perché Shampoo non avrebbe mai detto quelle parole, o forse fu il suo cuore ferito: Mousse decise che eludere il discorso fosse la soluzione migliore.

“Il Consiglio ti ha fatto problemi?”

“Mi hanno cacciata.”

Si irrigidì, poi la guardò: “È per questo che sei qui? Hai bisogno di un marito per tornare al tuo amato villaggio? Se è così non contare su di me: una volta è stata più che sufficiente.”

Questo è un incubo, ne sono certo. Un demone malvagio si è impossessato di me e mi fa parlare così. Allora perché provo questo dannato sollievo a ogni cattiveria che le dico?!

“Non mi interessa niente di quello schifoso villaggio! Voglio solo… stare con te, se me lo permetterai!”

Schifoso villaggio? Stare con me?! Beh, se io sono posseduto anche lei non sta tanto meglio…

Erano in piedi, si fronteggiavano come in battaglia, l’uno accigliato e l’altra contrita. Tutto il contrario di quello che avveniva in passato; Mousse non sapeva più che dire, la sua rabbia si era improvvisamente esaurita lasciando posto a una cauta circospezione.

“Stai dicendo… che sei innamorata di me?” Domandò alzando la voce di un tono.

Lei giocherellò con una ciocca dei suoi capelli rovinati: si vedeva che li aveva tagliati da poco, perche la mano era andata istintivamente più giù di dove la sua capigliatura si trovava effettivamente. “Io… penso che piano piano stia… accadendo proprio questo.” Mormorò imbarazzata.

“Piano piano?”

“Sì! Insomma, dopo quella notte ho come… scoperto qualcosa in te che non avevo mai visto prima; avevo paura di crescere, di ammettere che tu eri l’unico con cui potessi davvero condividere la mia vita!”

Il suo sguardo si indurì, ma arrivati a quel punto aveva bisogno di sapere. Fino in fondo. “E Saotome?”

Passò un minuto buono prima che lei si decidesse a rispondere. “Penso che fosse… solo un capriccio.”

“Pensi?!”

A quel punto Shampoo sbottò: “Oh, insomma! Io vengo qui dalla Cina, con il cuore in mano e tu mi sottoponi a un interrogatorio?!”

Dentro di lui qualcosa ribollì nuovamente. Rabbia. Dolore. Il gelo degli sguardi del passato. “Che cosa pretendi, Shampoo? Che ti accolga a braccia aperte come facevo qualche anno fa, gridandoti tutto il mio amore mentre tu mi deridi e strappi il mio cuore come fosse cartaccia? Beh, sai la novità?! Io non sono più quel Mousse: ho scoperto di avere una dignità, un orgoglio, di meritare qualcosa di più dalla vita! Per cui se mi stai nuovamente prendendo in giro, puoi anche alzare i tacchi e andartene! Vuoi il Nekohanten? Bene, è tuo! Me ne vado io. Ma non farmi più del male, non prenderti più gioco dei miei sentimenti, mi hai sentito?!”

Dando seguito alle sue ultime parole, si tolse il grembiule che aveva indossato e lo gettò su una sedia; la fissò, ansimante. Per la prima volta dopo tanti anni si sentiva libero, sfinito, soddisfatto. Ma rimase di sasso quando lei crollò sulle ginocchia e si mise a piangere.

***



Non aveva mai passato una notte insonne in vita sua. Anche quando era morta sua madre il dolore, la giovane età nonché la spossatezza dopo tante lacrime l’avevano precipitata in un sonno profondo e senza sogni.
Ma dopo l’accaduto del giorno prima, Kasumi Tendo aveva trasformato la sua stanza nell’interno del suo attuale cuore spezzato: era divisa tra la gelosia e la tristezza dovuti al comportamento di Tofu e la disperazione per aver scoperto un lato oscuro di sé; non avrebbe mai immaginato che il suo stato d’animo fosse incredibilmente simile a quello di un’altra ragazza, delusa per amore, che aveva addirittura tentato il suicidio: sapere che dentro il suo cuore albergavano sentimenti che non avrebbe mai pensato potessero appartenerle, sentimenti negativi misti a mancanza di fiducia nel prossimo, l’aveva precipitata nello sconforto più totale.
Cambiare, cambiarsi era una cosa inconcepibile fino a qualche tempo prima ma, dopo aver passato il pomeriggio precedente sull’onda di quelle nuove sensazioni, non poteva non provarci. Cominciò a tirare fuori i vestiti che aveva acquistato al centro commerciale guardandoli come se il suo corpo fosse manovrato da un’entità diversa da se stessa. Aveva memorizzato l’abbigliamento di quella Mayumi e si era regolata di conseguenza, scegliendo capi scollati e corti. Il primo abito era rosso, non arrivava a coprirle le ginocchia e lei, guardandosi nello specchio, aveva visto una sconosciuta.
Oh, Kami, sono addirittura… volgare!

La vecchia Kasumi aveva avuto il sopravvento e la maggiore delle Tendo aveva accantonato quell’abito come se fosse un segreto vergognoso da nascondere. Gli altri non erano migliori, alcuni addirittura fuori misura in quanto non aveva nemmeno pensato di provarseli; aveva vagato per i negozi prendendo i capi che le apparivano più sexy, senza curarsi di come avrebbero potuto cadere sul suo corpo slanciato e magro. A una commessa che si era offerta di aiutarla aveva chiesto delle calze ‘con dei buchi a maglia larga, per favore’ e non era riuscita a comprendere l’espressione perplessa della ragazza.
Quella notte aveva scoperto di poter diventare una vera bellezza di quelle che si vedevano sulle copertine dei giornali, con le lunghe gambe in mostra e il seno evidenziato da un capo attillato. Ma era troppo pudica per osare uscire dalla sua stanza in quelle condizioni, il più delle volte si ritirava inorridita dallo specchio come se avesse visto un fantasma, ignorando la vocina interna che le metteva in testa strani pensieri.

Se Tofu ti vede vestita così non ce ne sarà per nessuna!

Fu all’ultima prova, quando ormai il sole era alto, che si rese conto di qualcosa di fondamentale. La minigonna e la camicetta la rendevano talmente perfetta che aveva pensato che un po’ di trucco e un’acconciatura diversa l’avrebbero resa addirittura irriconoscibile. Ma davanti a quella sua immagine riflessa ogni desiderio di cambiare era improvvisamente svanito.

Per quanto possa trasformare il mio corpo, sarò sempre io. E io non voglio essere amata per come appaio, ma per come sono.

E lei era l’esatto opposto di quella figura hollywoodiana, meravigliosa ma fittizia. Era la semplice donna col grembiule, tutta casa e cucina, dall’animo docile e dal sorriso gentile. Si sentì avvampare e le lacrime le salirono agli occhi ma, prima che potesse abbandonarsi alla stanchezza e alla disperazione, qualcuno bussò.

“Kasumi sono io, posso entrare?”

La voce di Nabiki aveva un tono urgente che la sorprese e quando lei, prima che potesse impedirlo, dischiuse la porta per entrare, Kasumi desiderò avere un nascondiglio magico nel quale scomparire all’istante.
“Oh, sono impresentabile…!” Pigolò sbattendo gli occhi truccati con mascara e ombretto blu, portandosi le mani davanti alla bocca rosso vermiglio come se potessero nasconderla.

Vedere la sorella minore spalancare la bocca a quel modo le fece realizzare l’entità di quello che aveva combinato, ma la cosa peggiore fu un’altra. Non le bastava più un nascondiglio, ora voleva morire. Il dottor Tofu uscì da dietro la schiena di Nabiki precipitandosi nella stanza, chiamandola a gran voce. Il mondo si fermò. “Io… gli avevo detto di aspettare giù, ma…” La ragazza col caschetto fece un gesto d’impotenza. Il buon dottore, dal canto suo, era rimasto bloccato sulla soglia della stanza guardandola come se avesse visto un fantasma, poi un filo di sangue aveva preso a scendergli dal naso; infine si era semplicemente accasciato al suolo, svenuto, con un gran tonfo.

***



Qualcosa dentro di lui si acquietò definitivamente a quella vista; nonostante il campanello di allarme continuasse a suonare da qualche parte nel suo inconscio, sentiva che poteva fidarsi della ‘nuova’ Shampoo: le sue lacrime gli parvero le più sincere che avesse mai versato.

Le si avvicinò cautamente, posandole una mano sulla spalla. “Shampoo…” Quando disse il suo nome, stavolta, il suono della propria voce fu dolce. Stranamente, però, questo la fece piangere più forte. “Shampoo, basta piangere, ti prego.” Le porse un fazzoletto che lei afferrò senza guardare, accecata dalle lacrime.

“Io… io ti ho tradito!” Disse tra i singhiozzi. Artigli affilati gli stilettarono il cuore affondando e lacerando la carne. Mousse deglutì a vuoto. “È stato dopo che mi hai lasciato quei documenti. Io… io ero disperata, non sapevo quello che facevo. Lui era un tale idiota! Parlava, parlava… Poi il Consiglio mi ha detto di andarmene e la prima cosa che ho pensato è stata di tornare da te: ero quasi certa di trovarti qui, ma se così non fosse stato ti avrei cercato ovunque! Oh, Mousse, ti prego, perdonami!”

Mousse dovette raccogliere per un attimo le idee: tutte quelle emozioni insieme lo stavano stordendo.

Shampoo era tornata da lui.
Shampoo si stava innamorando di lui.
Shampoo lo aveva tradito.
Shampoo chiedeva perdono.

Alla fine fu lei a porre fine a ogni titubanza, scattando in piedi e abbracciandolo con un tale slancio che dovette fare qualche passo indietro per non cadere. Non aveva risposte da darle, la ferita era ancora aperta, e pulsava ancor di più dopo l’ultima confessione di lei; ma era lo scotto da pagare per ricominciare da capo, in maniera più prudente e adulta di quanto avessero fatto in quel breve passato da sposini.

“Sssst, Shampoo, va tutto bene, non piangere. Ti perdono.” Era vero, nonostante facesse ancora tanto male, nonostante fosse lui il primo a essere insicuro sul loro futuro. Averla tra le braccia lo ripagava di tutta la sofferenza che aveva provato e che provava.

In mezzo ai singhiozzi, Shampoo articolò più volte degli stentati ‘grazie’.

***



Il primo pensiero che formulò quando la vide fu: è solo un sogno, il suo volto non è affatto truccato. Ma poi il suo sguardo si spostò sulla figura intera di Kasumi e Tofu capì che non aveva affatto sognato. Evidentemente si era lavata il viso ma non si era cambiata e lui aveva la testa sulle sue ginocchia fasciate dalle calze a rete, steso nel suo letto. Temette di svenire di nuovo, per un attimo, ma quando vide le lacrime nascere dagli occhi della sua amata ridivenne lucido; distolse mentalmente lo sguardo dalla bellezza mozzafiato in cui si era trasformata la donna che amava e riportò la sua concentrazione al mondo che lo circondava.

“Bene, io vi lascio soli.” Stava sentenziando Nabiki allontanandosi. Sentì Kasumi irrigidirsi e, quando protese il braccio come per bloccare la sorella, pregandola di aspettare, il suo seno gli ricadde sulla faccia come un miracolo e Tofu pensò di essersi risvegliato in paradiso.

Se non sono morto allora sto ancora sognando. E non ho intenzione di risvegliarmi…

La carne era morbida e profumata e il dottore fu quasi deluso quando la ragazza si ritrasse ponendo fine all’ idillio.

Dopo aver provato questo, nessun cuscino sarà più tanto morbido. Mai più.

Ci fu uno scambio di battute tra le due sorelle, ma lui stava con lo sguardo rivolto al soffitto, con un’espressione idiota di beatitudine e un nuovo rivolo di sangue che gli scendeva lento da una narice, chiedendosi cosa avesse fatto per meritarsi un’esperienza tanto meravigliosa, per quanto fuggevole.

***



Mousse le rimboccò le coperte e lei emise un lieve sospiro di soddisfazione: per crollare addormentata a quel modo doveva aver viaggiato tutta la notte. Rimase per un attimo in piedi a guardarla dormire e fu colto da un’ondata di tenerezza e amore tali che credé di esserne travolto.

Ora sei a casa, con me. Non accadrà mai più nulla di brutto.

Con quella sensazione di beatitudine e rilassamento totali, si chiuse la porta alle spalle e scese al piano di sotto: la sala era perfettamente apparecchiata, pronta per accogliere i clienti. Nonostante ciò, Mousse non pensava che avrebbe aperto, per quel giorno. Doveva innanzitutto mettere in ordine la propria vita, poi poteva pensare al ristorante.

Insieme a Shampoo.

Il rumore della porta d’ingresso che si apriva lo fece sobbalzare, e per un attimo pensò che gli eventi si sarebbero verificati da capo, con l’entrata di Shampoo.

Allora capirai che è stato tutto un sogno e ti sveglierai, sconvolto e deluso.

Invece, a entrare con aria smarrita, fu Ryoga: i due si guardarono per qualche istante poi l’amico parlò, destandolo dal suo stupore: “Io… ho visto la serranda alzata e l’insegna fuori, così ho pensato… ma che ci fai tu qui?! C’è anche Shampoo?”

C’erano così tante cose da spiegare che gli fece semplicemente cenno di sedersi, poi gli domandò: “Potrei chiederti la stessa cosa. Come mai da queste parti, P-chan?”

Il pugno lo colpì dritto sulla testa come una punizione divina. “Non chiamarmi come quell’idiota di Ranma! Ukyo mi ha mandato a comprare delle cose. Mi sono mosso prima proprio perché sapevo che mi sarei perso e infatti invece del supermercato ho raggiunto il Nekohanten.”

Mousse ridacchiò discretamente e bloccò con la mano aperta il secondo colpo che stava per arrivargli dritto al naso. “Va bene, non rido più, non te la prendere! Ma non avevi imparato a orientarti, qualche tempo fa?”

Ryoga abbassò la testa, con un sorriso amaro. “Evidentemente la cosa non funziona quando sono particolarmente sotto stress; e gli ultimi giorni sono stati… più di quello che chiunque possa sopportare.”

“Benvenuto nel club.” Si limitò a rispondergli. Non gli sarebbe dispiaciuto parlare un po’ con lui e ascoltarlo: tra loro non c’era mai stata una profonda amicizia, ma ne avevano passate tante insieme che confidarsi era più che lecito.

Ryoga controllò l’orologio a muro e trasalì: “Accidenti, devo sbrigarmi a trovare il supermercato!”

Mousse si alzò e andò a rovistare in frigo: “Se ti piace il succo d’ananas e hai voglia di parlare, dopo ti ci accompagno io.” Si voltò, con il cartone del succo di frutta in una mano e due bicchieri nell’altra. Dallo sguardo di Ryoga e dal suo sorrisetto capì che sì, aveva davvero voglia di parlare.

***



Kasumi corse d’istinto sul corpo esanime di Tofu, con un’espressione tanto preoccupata sul volto che Nabiki tirò un sospiro di sollievo.

“A quanto pare il demone che aveva preso possesso del tuo corpo si è appena dileguato.” Disse sorridendo sorniona. “E pensare che stavo per chiederti chi fossi e cosa avessi fatto alla vera Kasumi!”

La sorella la guardò senza capire e lei la liquidò con un gesto: “Avevo capito che qualcosa era terribilmente storto quando ieri sera hai portato tutta quella roba in camera tua invece che in cucina. Vai a lavarti la faccia prima di tutto, poi torna qui ad aiutarmi con questo sacco di patate senza cervello. E vedi di stare attenta a non incrociare nessuno strada facendo!” La vide annuire e dileguarsi nella casa silenziosa. Di domenica mattina era difficile che qualcun altro fosse già sveglio e Nabiki si rilassò quando la vide tornare col viso pulito ma pallido. Insieme trascinarono sul letto il dottor Tofu e la media delle Tendo decretò definitivamente il ritorno della vecchia Kasumi quando questa, con gesti affettuosi e materni, sedette posando la testa dell’uomo sulle proprie ginocchia, accarezzandolo nel tentativo di svegliarlo.

Vestita com’è rischia di ammazzarlo appena riapre gli occhi…

Rifletté accigliandosi.

“Nabiki, io…” Le parole di sua sorella furono interrotte dal mugolio di Tofu che si riaveva dallo svenimento.

“Bene, io vi lascio soli. Mi spiegherai tutto dopo.” Dichiarò cominciando ad aprire la porta.

“No, Nabiki, aspetta!” Kasumi si protese col braccio verso di lei facendo ricadere il seno fasciato dalla sottile camicetta giusto sulla faccia sconvolta di Tofu. Le scappò da ridere e la maggiore la fissò con sgomento.

“Ehi, aspetta almeno che io sia uscita per queste dimostrazioni d’affetto al tuo principe azzurro!” Esclamò indicandola. La vide abbassare lo sguardo sull’uomo, senza capire, poi le guance le si tinsero di un rosso talmente acceso che temette per la vita di entrambi. Infine scattò in piedi scostandosi da lui come se si fosse scottata.

“Nabiki, resta qui, ti prego! Io non so…” La media delle Tendo le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla.

“Digli solo quello che senti e chiarisci la questione. Mi ha spiegato tutto ieri sera e ti posso assicurare che non ti ha mai tradito. Inoltre, finché è in questo stato di grazia ti ascolterebbe anche se ti mettessi a recitare l’elenco telefonico.” Indicò con un cenno del mento il viso del dottore, contorto in una specie di smorfia simile a quella di un uomo che, uscito dal deserto, abbia avvistato un’oasi talmente colma d’acqua da essere sull’orlo della follia per la felicità.

Che darei per fargli una foto! Sotto scriverei: la faccia di Tofu dopo l’incontro ravvicinato con le tette di mia sorella, e la farei girare per tutta la scuola…

Scacciò la redditizia idea con un sospiro e fece l’occhiolino a Kasumi, uscendo silenziosamente dalla stanza e richiudendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 13
*** Spiegazioni ***


CAP. 13: SPIEGAZIONI


Rimasta sola con il dottore, Kasumi si sentì per la prima volta in vita sua inerme e minuscola; come se avesse freddo, si avvolse le braccia intorno al corpo ed evitò accuratamente di guardarlo negli occhi.

Non voglio che mi veda. E non posso guardarlo neanch’io…

“Mi dispiace.” Balbettarono all’unisono, poi calò di nuovo il silenzio. Kasumi non sapeva per cosa fosse dispiaciuto il dottor Tofu, ma lei lo era per una decina di cose, non ultima la performance dei suoi seni sulla sua faccia sconvolta.

Potrei cambiare città… anzi continente, dopo questo!

Pensò sentendosi non molto diversa da una certa ragazza con i capelli rossi.

“Non avevo il diritto di comportarmi in quel modo. Credo… che non troverò mai le parole adatte per scusarmi con lei.” Non era stato difficile dare voce al proprio cuore, d’altronde era quello che aveva sempre fatto. Non alzò lo sguardo mentre parlava, anzi, sedette sull’orlo del letto rannicchiandosi il più possibile come se volesse scomparire.

Tofu non rispondeva e Kasumi temette che il suo silenzio fosse più che eloquente.

Mi odia, anzi forse mi disprezza, addirittura! In fondo, è anche quello che provo io per me stessa.

“Io… volevo solo portarle il sukiyaki, ma la porta era aperta e… ho pensato… poi Betty… e poi ha squillato il telefono e io…” Si nascose il viso tra le mani, singhiozzando sconsolata, certa che quelle poche parole biascicate non avrebbero mai portato neanche a una parvenza di perdono. La realtà era che non aveva scusanti, si era comportata malissimo e, anche se sul momento sfogarsi le aveva dato una sensazione di benessere, ora provava un rimorso enorme.

C’era qualcos’altro però.

La consapevolezza di averlo perso per sempre e questo era, se possibile, ancor più devastante.

Quasi urlò per la sorpresa quando sentì una mano posarsi sulla spalla con delicatezza. Staccò le mani dal viso, non osando alzare lo sguardo, spalancando gli occhi davanti a sé.

“In realtà io… sono quasi felice di quello che è accaduto.” Disse l’uomo con voce tremante.

Felice?! Oh, ma lui dovrebbe essere arrabbiato con me!

La maggiore delle Tendo lasciò ricadere le mani ma non disse nulla e non si mosse; sapeva che Tofu era in piedi alle sue spalle, dove si era messo in dopo essersi ripreso dallo svenimento, e dal ritmo del respiro capiva che stava facendo una fatica enorme a mettere in fila le parole senza uscire di testa come al solito.

“V… voglio dire, tu eri… gelosa!” Esclamò come se avesse scoperto una verità fondamentale e meravigliosa. Quella frase ebbe un effetto ambivalente su Kasumi: da un lato la sorprese, dall’altro le fece tornare in gola, come la risacca lambisce la spiaggia, il sapore amaro della rabbia.

È contento della mia gelosia? “Oh…” Riuscì solo a dire, sentendosi stupida.

“E se tu mi hai fatto una scenata di gelosia vuol dire che… che ci tieni… a me!” Era ancora voltata, ma percepiva la sua agitazione e i gesti ampi che doveva star facendo con le braccia, come fosse ubriaco e dovesse tenersi in equilibrio per non cadere.

Ora si sentiva in imbarazzo, come colta con le mani nella cioccolata; era una sensazione che non provava da quando aveva smesso di gattonare e aveva imparato a camminare.

“Io… veramente…” L’eloquenza invece era rimasta tale e quale a quella di una bambina di due anni, almeno per quel giorno.

“No, ti prego, fammi finire! I… io de-devo spiegarti!” Il tono era urgente e risoluto anche se la voce tremava. Kasumi ebbe l’impressione di poter tagliare la tensione dell’uomo alle sue spalle come aveva fatto con le patate della sera prima.

Udì un sospiro, un tentativo di formulare delle parole, poi finalmente Tofu riuscì a spiegarsi.

“Quella… quella Mayumi voleva solo i miei soldi! Sì, insomma, non che io sia ricco o qualcosa del genere, ma cercava un uomo con cui accasarsi per smettere di lavorare. Ha circuito mia madre presentandosi a lei come una ragazza acqua e sapone e appena ha potuto è venuta qui. Ho spiegato alla mamma che non poteva decidere per me, ma ha insistito tanto per telefono che ho accettato di incontrarla solo per farla contenta. Pensa che aveva già stabilito la data delle nozze!”

Questa storia mi ricorda qualcosa… Pensò Kasumi tormentandosi le mani. Chissà se il destino tra loro sarebbe stato tanto azzeccato come quello di Ranma e Akane; scommise di no.

“È piombata qui, capisci? Diceva che secondo lei era naturale per una madre desiderare una sposa perfetta al fianco del proprio figlio, ma che capiva di doversi adattare a me! Così si è presentata conciata come una ballerina da night club e… e…” Tofu si interruppe e Kasumi comprese come doveva sentirsi: in fondo anche lei non si era conciata alla stessa maniera, quella mattina?

“E ti ha baciato in mezzo alla strada?” Concluse per lui passando al ‘tu’ senza nemmeno rendersene conto.

“Esatto! Volevo spiegarle che non era così che doveva comportarsi, poi ho visto che ci stavi guardando e… credevo di sprofondare…”

Qualcosa nel suo cuore si aprì; appena un poco, ma lo avvertì come fosse stato un ‘clic’ percepibile: avevano provato la stessa sensazione nello stesso momento, il che doveva pur significare qualcosa.

Non volevi che ti baciasse, soprattutto davanti a me, è questo che mi stai dicendo?

Non riuscì a dirlo ad alta voce, tuttavia. Dopo la performance della sera prima aveva perso il coraggio per dire anche le cose più semplici; dubitava che sarebbe mai stata più altrettanto spontanea.

“Non… non mi devi spiegazioni, io…”

“Invece sì, che devo, o rischio di impazzire!” La veemenza nella sua voce la colpì ancora una volta e Kasumi tacque.

“Dopo che te ne sei andata le ho parlato. Le ho parlato seriamente.”

Kasumi, ora, voleva solo scappare. La voce di Tofu era seria e profonda, adesso, priva di qualsiasi esitazione; se c’era tremore nel suo tono era dovuto all’importanza di quello che stava dicendo. Ma non voleva udire da lui il racconto del suo tradimento. Oh, sai, lei è stata così insistente! Mi ha praticamente costretto, e io sono stato così debole! Ebbe l’impulso di tapparsi le orecchie, ma si trattenne e stropicciò un lembo della gonna, stringendolo tra le mani fino a farsi sbiancare le nocche.

Posso sopportarlo. Ce la posso fare…

“Dopo lei si è arrabbiata talmente che ho pensato quasi di sedarla. Alla fine se n’è andata inveendo contro di me come se le avessi davvero promesso di sposarla!” Tofu fece una risatina isterica, ma Kasumi stava sperimentando di nuovo la stessa, bollente gelosia del giorno precedente.

Ha evitato di parlarmene, ha cominciato da… dopo. È saltato subito alla fine della storia. Ma… oh, Kami, ho un bisogno disperato di sapere!

Inghiottì, chiuse gli occhi, si inumidì le labbra. Doveva di nuovo imparare a parlare, a tradurre in suoni i pensieri, ad averne il coraggio.

Mormorò la sua domanda ma lui doveva non averla udita perché domandò: “Come? Puoi ripetere, Kasumi?”

Le parve di dover scalare una seconda montagna nel giro di poco tempo, ma ormai la situazione richiedeva determinazione, o se ne sarebbe pentita per il resto dei suoi giorni.

“Ho detto: dopo… cosa?”

***



“Non è che hai del saké in dispensa?” Domandò Ryoga con voce rauca. Aveva appena finito di raccontare la sua storia, dopo aver ascoltato quella di Mousse, e si sentiva la gola secca come il deserto, nonostante il succo d’ananas.

Mousse alzò un sopracciglio: “Da quando bevi?”

“Mai cominciato.”

“Beh, non comincerai alle nove di mattina. Io ci ho provato di sera e sai benissimo come è andata a finire.” Ryoga lo vide avvampare come un ragazzino: lo capiva, più profondamente che mai. Sospirò.

“Va bene, ho capito. Hai ragione. Ora però devo davvero andare al supermercato, mi fai da guida?” Mousse annuì, si alzò e scribacchiò qualcosa su un foglietto, probabilmente per avvisare Shampoo.

Quando uscirono, il sole lo colpì come una lama affilata: dopo la pioggia di quei giorni gli sembrava impossibile vederlo sorgere di nuovo. Eppure eccolo lì, a giocare tra le fronde degli alberi e a insinuarsi in ogni angolo della via.

Dolce Akari, spero potrai perdonarmi un giorno. Sono così felice…

“Pensieroso?” Gli domandò Mousse chinando la testa di lato. Ryoga fece un gesto con la mano come a dire: ‘così così’. “Ho capito una cosa, stamattina: per essere felici basta stare bene con noi stessi e avere accanto chi amiamo. Non serve altro.”

Ryoga ripensò alla sera prima, al risveglio accanto a Ukyo e non poté fare a meno di sorridere. “Ne abbiamo passate tante insieme, eppure non avevamo mai parlato così. Devo dire che sei più saggio di quel che credessi, Mousse.”

Il cinese scrollò le spalle. “Beh, qualcosa avrò imparato dopo tutto quello che mi è successo. Spero solo che Shampoo stavolta sia davvero convinta; non sopporterei di separarmi di nuovo da lei.”

Ryoga scosse la testa: “Penso che anche lei abbia un limite. Si è accorta di averlo superato, di tenere a te ed è tornata. Vedrai che andrà tutto bene.”

L’amico fece un sorriso colmo di gratitudine. “Grazie. Ecco il supermercato, io devo tornare da lei prima che si svegli.”

Mentre si voltava per andarsene, lo richiamò, allarmato: “E io come faccio a tornare, dopo?”

Mousse si batté due volte il pugno sul petto, con fare drammatico: “Segui questo e tornerai da Ukyo in men che non si dica.” Poi gli fece un cenno di saluto e sparì saltando sui tetti.

Rimase per un attimo a guardare lo spazio che aveva occupato fino a poco prima, incredulo. “Però, che velocità!”

Seguire il cuore, come in uno di quei film d’amore. Che stupidaggine, sarà profonda come cosa ma non mi aiuterà a ritrovare la strada… Ukyo mi ucciderà!

Invece, incredibilmente, come quando si ritrovava suo malgrado a Nerima credendosi altrove, si stupì quando ritrovò la strada di casa senza alcun problema.

***



Tofu le guardava le spalle chiedendosi quando si sarebbe decisa a voltarsi. Aveva relegato in un angolino del suo cervello la domanda urgente che riguardava il suo abbigliamento stravagante, rigirandosela nella mente nel tentativo di cominciare a risolverla di suo, nel frattempo. Poi udì la sua domanda, stentata e tremante.

Niente a che vedere con la Kasumi di ieri… oh, Kami, grazie di avermela restituita!

Sbatté gli occhi, incapace di credere a quello che aveva udito. Eppure ne aveva visti di cambiamenti in lei, ma non si capacitava che le stesse chiedendo proprio quello! Riandò con la mente al giorno prima quando, dopo la violenta lite con Mayumi (in realtà lei aveva litigato, lui aveva proferito poche frasi), era rimasto seduto sui gradini di casa mentre lei ‘andava a riprendersi la sua roba’ o almeno così aveva detto.

Si era presentata là con una valigia con la disinvoltura di chi stesse trasferendosi senza tanti complimenti: era normale, gli aveva detto, fra poco tempo sarebbe diventata sua moglie! Il fatto che si fossero conosciuti solo quella mattina era un dettaglio che poteva essere trascurabile, avevano una vita davanti a loro!

“Oh, so che tua madre è fissata con la storia della brava moglie, ma tu sei così giovane e affascinante che vorrai sicuramente un altro tipo di donna al tuo fianco!” Aveva ammiccato ancheggiando leggermente e tirando fuori, orrore degli orrori per lui che era un medico, una sigaretta dalla borsa. Aveva riso di fronte al suo sguardo. “Oh, ti ci abituerai! Le fanno anche alla menta, dovresti provarle!” Tofu non era riuscito a risponderle, pensava solo che, nel momento in cui avesse rivisto sua madre, le avrebbe caldeggiato di stare attenta a non farsi ingannare da sedicenti fidanzate che si mostravano perfette a lei e poi si presentavano a lui come se fossero uscite da una specie di night club.
Anzi, le avrebbe detto di smetterla di cercargli fidanzate e basta.

Mayumi era salita con disinvoltura nella sua camera da letto per cambiarsi d’abito e il buon dottore non aveva osato neanche chiederle dove avrebbe messo le sue cose visto che possedeva un solo armadio. Successivamente avrebbe rimpianto con tutto il cuore questa sua leggerezza. Quando era scesa di nuovo gli aveva proposto di fare una passeggiata per ‘conoscersi meglio’ e, se possibile, era ancora più provocante di prima.

Non posso andare in giro con una ragazza vestita così! Aveva gridato dentro di sé, ma era solo riuscito a dire: “Ehm… ma non prenderai freddo?”

Mayumi era scoppiata in una risata sguaiata: “Dì un po’, ma non hai mai avuto una donna, prima d’ora?”

Tofu era rimasto perplesso da quella domanda e, non cogliendo l’ironia, aveva risposto semplicemente: “Beh, in realtà ci sarebbe…”

“Oh, non mi importa, io non sono gelosa e poi scommetto che non ti ha mai baciato così!” E l’aveva fatto, si era avvicinata e gli aveva spalmato la bocca piena di rossetto sulle labbra, passandogli le mani sulla nuca e strusciandoglisi contro senza tanti complimenti. Il poveretto, che non aveva mai sperimentato nulla del genere, non ebbe il tempo di chiedersi se tutto ciò potesse essere eccitante o meno. Aveva un’idea diversa dei baci: la prima ragazza che aveva fatto una cosa del genere era stata una compagna di liceo che si era fatta avanti, anche se in maniera meno volgare e impetuosa, e le sue labbra sapevano di chewing gum alla fragola. Quelle di Mayumi invece avevano il sapore del rossetto e della nicotina e lui ne fu disgustato. Dopo l’esperienza del liceo si era ripromesso che il prossimo bacio che avrebbe ricevuto sarebbe stato diverso: innanzitutto avrebbe deciso lui a chi darlo, secondo non doveva coglierlo di sorpresa. Dopo aver conosciuto Kasumi l’aveva immaginato a lungo e ora quella ragazzina aveva mandato in frantumi i suoi sogni romantici.

L’aveva allontanata con un gesto deciso: “Senti, Mayumi, tu sei davvero molto bella, ma io non credo che…” E lì il peggiore dei suoi incubi era diventato realtà: con la coda dell’occhio aveva scorto Kasumi ferma nel mezzo della via, con un’espressione sorpresa sul volto. Tutto quello che era accaduto dopo era stata la cosa più sensata che avesse mai fatto in vita sua: aveva ricondotto Mayumi a casa, le si era seduto di fronte e aveva parlato sinceramente, aprendo il suo cuore a una perfetta sconosciuta, scoprendo che non era mai riuscito a farlo totalmente né con se stesso né con la donna cui doveva veramente spiegazioni. Quel confronto, che l’aveva liberato da un peso enorme, aveva invece inviperito la ragazza: “Quindi mi stai dicendo che me ne devo tornare tranquillamente tra gli scaffali del supermercato a cercarmi un altro principe azzurro che mi porti via da quel dannato luogo?! Ma sì, magari mentre prezzo una confezione di pomodori o pulisco un bancone di surgelati trovo la mia anima gemella, uno che mi sopporti!”

“Io… sicuramente ci sarà qualcun altro che può apprezzarti per quello che…”

“Ma vai a quel paese, tu e le tue idee di semplicità! Tu non sei normale e quella Kasumi dev’essere una patetica come te! Bella coppia di…” Non sapeva come fosse accaduto o se avesse riflettuto prima di farlo.

Semplicemente le aveva dato uno schiaffo.

Non troppo forte, ma neanche debole: quello che si dà a una bambina maleducata che si permette di insultare un adulto. Tofu non solo non aveva mai baciato spontaneamente una ragazza, non ne aveva mai colpita una; nonostante meritasse in parte il colpo, il medico si sentì un verme.

“Mi… dispiace… io… non voglio che parli così di Kasumi.” Gli occhi di lei avevano fiammeggiato e Mayumi non aveva più detto una parola, gli sembrava che avesse solo borbottato un ‘Prendo la mia dannata roba e me ne vado’ prima di precipitarsi su per le scale.

Seduto sulle scale del suo studio, aveva udito i rumori isterici di quella specie di furia super sexy e non aveva voluto neanche entrare a vedere cosa stesse combinando. Quando era uscita con la valigia aveva pensato di scusarsi di nuovo per averla colpita ma lei lo sorprese con un insulto colorito e un gesto del dito medio che aveva visto fare solo dai ragazzi fuori dai bar. Si era allontanata ancheggiando e per un attimo provò pena: probabilmente non aveva dei genitori che le insegnassero come vivere correttamente e se continuava così, con gli inganni e quel modo di vestirsi, l’unico posto dove avrebbe potuto far carriera era un marciapiede. La cosa lo rattristò profondamente, poi il pensiero tornò a Kasumi e Tofu decise che non aveva neanche il coraggio di rientrare a casa a vedere cosa avesse combinato. Sarebbe andato al parco a respirare un po’ d’aria pura perché gli sembrava che qualcosa lo avesse inquinato dentro da quando Mayumi gli si era avvinghiata addosso, seppur per un breve istante.

Kasumi era davanti a lui e gli voltava le spalle e Tofu avrebbe dato un braccio per vederla in volto; gli sarebbe piaciuto molto anche assaporarne la figura vestita semplicemente col grembiule da cucina, sorridente e semplice come sempre; da come si era conciata sembrava quasi che volesse imitare…

Oh, Kami! Avrà mica pensato che mi piace davvero quel tipo di donna?!

Ora aveva finalmente capito, tutto aveva un senso e si ricomponeva come un puzzle particolarmente articolato. Ma prima doveva rispondere alla sua domanda.

Dopo… cosa?

“Dopo averle detto chi è la donna che amo.” Disse d’istinto, sentendosi come un uomo che finalmente raggiunga la cima di una montagna impervia che lo abbia impegnato per anni.

***



Quando rientrò in camera, socchiudendo la porta pian piano, Shampoo era seduta sul letto e si stava toccando i capelli tenendo in mano un piccolo specchio. “Devo assolutamente farmeli sistemare, sono davvero indecente!”

“Perché li hai tagliati?” Le domandò sedendosi accanto a lei.

La cinese fece spallucce. “Facevano parte del mio passato, del mio essere una ragazzina infantile e capricciosa. Così ci ho dato un taglio. In tutti i sensi.” Sorrise, e a Mousse parve il sorriso più bello che avesse mai fatto. “Dove sei stato? Ho sentito aprirsi la porta come se fossi rientrato solo ora.”

“Oh, ti avevo lasciato anche un biglietto di sotto, nel caso scendessi: ho accompagnato Ryoga al supermercato perché temeva di perdersi.”

“Oh… sta ancora con la spatolona?”

Annuì. “Si sono ritrovati dopo un’esperienza a dir poco traumatica; almeno per lui. Te la ricordi Akari, la ragazza che adora i maiali e che ha avuto una mezza storia con Ryoga?”

Shampoo restrinse gli occhi, riflettendo. “Sì, sì me la ricordo! Non dirmi che…?!”

Mousse scosse la testa. “È tornato da lei solo per dirle addio; e ha scoperto che sta su una sedia a rotelle, proprio come ho rischiato io.” Dopo averlo detto si pentì subito: fare un confronto simile avrebbe solo portato spiacevoli ricordi.

La ragazza, intanto, si era portata le mani alla bocca, spalancando gli occhi. “Oh, Kami! Cosa le è successo?”

“Una trave le è caduta sulla schiena durante il terremoto.” E due, anche Obaba aveva avuto la stessa sorte, sebbene fosse morta subito dopo: quel giorno non era proprio fortunato con le storie. Ma Shampoo era troppo colpita per accorgersene.

“Dev’essere stato terribile: così giovane!”

“Già.” Abbassò gli occhi sulle proprie mani, giocherellando con le dita. “Ryoga è capace di fare discorsi molto profondi, ci siamo confidati da uomo a uomo. Non me l’aspettavo da lui.”

Shampoo annuì ma non disse nulla: il silenzio imbarazzato che c’era tra loro si poteva tagliare con una katana.

“Non sarà facile ricominciare. Ma ti prometto che ce la metterò tutta.” Disse togliendosi gli occhiali e pulendoli lentamente.

Lei gli mise una mano sulla sua, fermando il suo gesto. “Questo dovrei dirlo io. Sono io quella che ha fatto il peggior danno.” Lui si limitò a guardarla, con gli occhi ciechi e increduli. “Stare fuori dal villaggio mi ha fatto riscoprire una nuova libertà… e voglio davvero che nella mia vita ci sia tu, senza che me lo imponga alcuna regola. Anche perché…” Si mise una mano sul ventre e Mousse spalancò gli occhi, convinto di aver afferrato una delle verità più belle che avesse mai sperimentato.

“Shampoo! Tu… tu aspetti un bambino? Un figlio mio?! Oh, felicità!” Per un attimo era tornato l’allegro innamorato di qualche anno prima. Si accorse di aver abbracciato la testiera del letto solo quando lei lo scostò con dolcezza riportandolo alla realtà.

“Mousse, sono qui. No, non sono incinta, quello che cercavo di dirti è che me ne sono voluta accertare dopo… quella spiacevole avventura col tipo americano e, anche se è passato molto poco tempo, il medico, giù in Cina, è stato molto chiaro in merito: nessuna aura oltre alla mia.”

La guardò, inforcando di nuovo gli occhiali.

L’americano… voglio davvero sapere altro su questo tizio o preferisco rimanere all’oscuro?

Decise per la seconda opzione, e si ricompose il tempo che lei dicesse un’altra frase che lo fece letteralmente andare fuori di testa: “Però, se davvero vuoi un bambino… allora dobbiamo darci da fare.” La vide guardare in basso, arrossire come una ragazzina e provò un moto di tenerezza nei suoi confronti. Il pensiero di essere stato tradito sarebbe tornato, quotidianamente, come un veleno. Sapere di poterla toccare di nuovo, ma col pensiero che qualcun altro aveva osato farlo, gli fece ribollire il sangue nelle vene.

C’è tempo per dimenticare, posso anche decidere di andare fin nel Nuovo Continente e ucciderlo, ma ora… oh, ora ho un senso di tale beatitudine!

La strinse a sé, dolcemente, cullandola come una bambina. “Ogni tuo desiderio è un ordine, Shampoo.”

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Capitolo 14
*** Dolcezze e amarezze ***


CAP. 14: DOLCEZZE E AMAREZZE

Ti voglio far provare
come nasce un amore
forse tu non lo sai
piano piano ti sfiorerò
e le labbra di toccherò
e vicino, vicino ti starò.
E come una farfalla che si posa su un fiore
io ti accarezzerò
piano piano ti parlerò
piano piano ti troverò
e nessuno ci sentirà
e nessuno ci troverà
mai, mai, mai più.
Così, senza rumore,
così nasce un amore,
forse tu non lo sai.

(Come nasce un amore
– Nico Fidenco)

Che sapore c'è ritornar con te,
ho nel cuore l'amore insieme a te
ma con gli occhi rivedo ancora lui con te.
Che sapore c'è perdonare a te,
non c'è stata primavera insieme a te,
dal momento che il sole non era più con me.
Ti baciava le labbra ed io di rabbia morivo già,
ti baciava le labbra e un pugno di sabbia
negli occhi miei oggi c'è.
Che dolor, mi lasciò lei, che dolor.
Che sapore c'è perdonare te
di avermi insegnato che cos'è il dolor
che non può scomparir se ricordo che...

(Un pugno di sabbia
– I Nomadi)


Kasumi rimase immobile, smise addirittura di respirare.

“Mayumi mi ha messo sottosopra tutta la casa. Io non sono mai rientrato a controllare, ero troppo sconvolto e non ho neanche chiuso la porta che lei ha lasciato accostata dopo essersene andata.”

La maggiore delle Tendo non osò interromperlo, voleva solo assorbire il senso di ogni singola parola e avere la conferma che, come Nabiki aveva detto poc’anzi, Tofu non l’avesse mai tradita.

Come può tradirmi se non siamo mai stati fidanzati…? Si domandò confusamente.

“Ieri pomeriggio, quando sono tornato, ho capito che eri stata a casa mia e ho visto… dove aveva sparso quei suoi… vestiti; pensavo che sarei morto dalla vergogna.”

Una lacrima si staccò dalle ciglia e Kasumi sorrise lievemente, dandosi della sciocca per aver dubitato di Tofu. Di nuovo avrebbe voluto nascondersi per quello che gli aveva quasi gridato la sera prima. Mayumi aveva semplicemente sparso vestiti e biancheria intima nella stanza del dottore per ripicca, per orgoglio femminile ferito, magari sperando che lei vedesse quello scempio prima che il dottore potesse accorgersene.

Oh, e come è riuscita a cogliere nel segno!

“Ha spruzzato il suo profumo ovunque e ha lasciato anche uno di quegli orrendi orecchini di sopra per spargere la sua presenza in casa mia come se ci avesse vissuto!” Disse, con una nota di rabbia, il dottor Tofu alle sue spalle. “Ma non è stata in casa mia per più di mezza giornata e… non è mai accaduto nulla tra noi…” Concluse con un filo di voce. Kasumi era certa che se si fosse voltata avrebbe visto il suo volto andare a fuoco per la vergogna.

“A parte quel tentativo di baciarmi in mezzo alla strada!” Rise nervosamente. Kasumi si portò una mano al petto e le sembrò che il cuore fosse appena tornato al suo posto.

“Non era solo un tentativo, direi che c’è riuscita.” Disse sorridendo lievemente, ma sempre senza voltarsi.

“Eheheheh già, ed è stato disgustoso!” Dichiarò lui schernendosi. “Non so se fosse peggio la sensazione di quel terribile rossetto viscido o il saporaccio di nicotina!” La sua risata fu stentata e aritmica, ma per Kasumi fu il suono più bello che potesse sentire.

Seguì il silenzio.

Per un minuto intero nessuno dei due parlò e la maggiore delle Tendo avvertì nuovamente la tensione in Tofu; era come se l’avesse di fronte invece che alle spalle: lo sentiva deglutire, sospirare, iniziare a dire qualcosa e poi fermarsi. Ma si vergognava così tanto che non riusciva a voltarsi.

“Vuoi… sapere chi è la donna… che amo?” Le domandò improvvisamente facendole imbizzarrire il cuore nel petto.

Oh, Kami, ci siamo! Riuscirò a sopravvivere a un’emozione simile?

In lei si sparse la dolce consapevolezza di star per ascoltare qualcosa di cui era già a conoscenza ma che aspettava da anni di sentirsi dire. Solo per conferma, solo per sentirne il suono. Solo per saggiarne la tenerezza.

“La… la donna che amo…!” Cominciò in un tono alto e ridondante, poi si schiarì la voce e l’abbassò diventando più pacato. “La… donna che amo non ha bisogno di mettersi vestiti sexy, anche se è bellissima e le donano come a poche altre.”

Kasumi sussultò, un piccolo peccato di orgoglio femminile che fece risalire sensibilmente la sua autostima dopo la figuraccia di poco prima.

Magari questa gonna la tengo…

“Lei… però è ancora più bella quando ha il grembiule da cucina e si presenta da me sorridendo con un piatto fumante tra le mani. È semplice come il cibo che prepara con amore e dedizione e… mi riempie il cuore poterla guardare ogni singolo giorno; anche da lontano, come il sole che sorge e tramonta. La sua purezza e la sua bontà sono le uniche cose che desidero.”

Le lacrime le impedivano di vedere e di respirare e dovette portarsi una mano davanti alla bocca per non mettersi a singhiozzare.

“Quindi ora… ti volteresti per farmi l’onore di vedere di nuovo il tuo volto, Kasumi?”

Lei non se lo fece ripetere due volte.

***



Eccomi qui, di nuovo tra le tue braccia, bramosa e persa. Non è come la prima volta, i tuoi movimenti sono più controllati senza l’ubriachezza a scombussolarli.

Ma c’è qualcos’altro.

Ti sento distante, cauto, come se stessi facendo l’amore con una sconosciuta. Oh, sì, solo ora probabilmente ti stai davvero rendendo conto di ogni curva del mio corpo, di ogni sussulto della mia pelle e di ogni ansito che mi strappi. Eppure…

Le tue mani sono delicate e mi sfiorano con devozione, eppure solchi scie bollenti ovunque riesci ad arrivare; il profumo del tuo corpo leggermente sudato mi inebria come una droga mentre mi approprio del tuo ritmo e tu del mio. Ti volti, sei sopra di me, ma con un movimento deciso ribalto di nuovo la situazione, io, amazzone orgogliosa che vuole sempre dominare. Dal tuo sguardo capisco che sei rimasto spiazzato dal mio comportamento, così mi rilasso tra le tue braccia: e va bene, sia, se vuoi puoi anche tornare a sovrastarmi. Ma non lo fai, ti limiti ad accarezzarmi e a stringermi ancora di più, mentre io comincio a chiedermi quando ti deciderai a baciarmi.

Alla fine, stufa, lo faccio io.

Sussulti, poi ricambi il bacio, sempre alla tua ‘nuova’ maniera: cauta, controllata, come se esplorassi un luogo del quale temi il terreno. Nella mia testa si susseguono le immagini di qualche sera fa, quando ancora non potevo sapere quanto sarebbe stato bello stare fra le tue braccia, quando ancora avevo paura di donarmi completamente. E, stupidamente, ho commesso l’errore di fare il paragone con un altro uomo che non valeva nemmeno una delle tue carezze, nemmeno mezzo dei tuoi baci.

E improvvisamente capisco.

Tra te e me, come un terzo corpo ignominiosamente infiltrato tra i nostri sospiri, c’è lui. Ecco cosa ti rende così distante, come se mi stessi amando a un chilometro da qui, invece che nel mio letto. Ti prendo il volto tra le mani, perdendomi nel mare dei tuoi occhi, ti fisso e ti comunico col pensiero tutto quello che devo.

Non è stato che un errore, non provo nulla per lui, è te che desidero.

Sembri comprendere e improvvisamente diventi disperato: mi stringi convulsamente, la tua bocca è ovunque su di me, non faccio in tempo a prendere un respiro che tu mi strappi un gemito. Ora non sei cauto.

Sei incontrollabile.

Come se volessi rivendicare il tuo possesso sul mio corpo, come se volessi farmi morire per il troppo amore, uccidendomi come io ho fatto con te rifiutandoti per tutti questi anni. La vista mi si annebbia, affondo le mani tra i tuoi capelli, mentre mi trascini sempre più nell’abisso.


***



Quando gli gettò le braccia al collo, Tofu temette di morire per la felicità. Era riuscito a dirglielo, finalmente e aveva usato le parole che gli dettava il cuore come aveva sempre desiderato; non che si considerasse granché come poeta, ma ci aveva messo tutta la struggente sincerità di quello che per anni aveva tenuto rinchiuso dentro di sé. La cosa fantastica era stata poter ricambiare il suo abbraccio senza uscire di testa, seppure valutava che la pressione sanguigna dovesse essergli schizzata alle stelle.

Il corpo di Kasumi era caldo e fresco insieme e fu come tuffarsi sotto a una cascata dopo l’esperienza del bacio di Mayumi. E a proposito di bacio, sarebbe riuscito a fare quello che fino a oggi aveva sempre e solo sognato?

Scoprì che era più semplice di quel che pensasse; scostò delicatamente la ragazza da sé, ammirandola come se la vedesse per la prima volta. “Ka… Kasumi…” Balbettò vedendo gli occhiali appannarsi. Con un gesto deciso se li tolse e li ripose nel taschino. Poi passò gentilmente i pollici sotto gli occhi di lei, asciugandole le lacrime. Fece quest’operazione per un bel po’, mentre lei lo guardava sorridente.

Poi lo fece lentamente, delicatamente, un po’ goffo e un po’ imbarazzato. E fu come bere acqua di sorgente.

Il chewing gum della ragazza del liceo era stato dolce ma inaspettato e nemmeno troppo voluto. I saporacci di Mayumi lo avevano disgustato. Baciare Kasumi fu come tuffarsi nella purezza della vaniglia, del pane appena sfornato e dei raggi del sole alla finestra la domenica mattina.

Potrei rimanere così per tutta la vita e sarei felice.

Pensò sorridendo mentre baciava la donna della sua vita.

***



Dal cortile del dojo la famiglia Tendo era riunita a seguire l’evento. Ogni singolo istante era stato opportunamente visualizzato grazie a un cannocchiale che passava freneticamente di mano in mano. Le imprecazioni e le incitazioni (nemmeno si fosse trattato di una partita di calcio) non erano mancate per tutto il tempo in cui Kasumi era rimasta seduta sul letto e Tofu le aveva parlato guardandole le spalle.

Poi, improvvisamente, Nabiki aveva alzato una mano: “Ecco, lui le si avvicina… Kasumi si alza… OH KAMI!”

“Fai vedere!” Si era intromesso Soun strappandole letteralmente il cannocchiale di mano. Era rimasto per qualche secondo a guardare, poi era scoppiato in un pianto dirotto.

“La mia bambinaaaaaaaaa!” Mugolava inconsolabile. Akane gli aveva preso dalla mano lo strumento necessario a seguire la scena e si era commossa. Realmente.

“La nostra Kasumi sta baciando il dottor Tofu.” Aveva detto con voce rotta.

“Davvero?! Fa vedere!” Aveva esclamato Ranma avventandosi sul cannocchiale.

“No, ora basta!” Aveva detto decisa la minore delle Tendo portandoselo dietro la schiena. “Hanno diritto a godersi il loro momento e nessuno li disturberà.”

Ranma la fissò e tra loro ci fu un muto passaggio di ricordi.

Quante volte ci hanno rovinato dei momenti che potevano cambiarci la vita?

Il ragazzo col codino le aveva sorriso e il cannocchiale era stato riposto nonostante le proteste del resto della famiglia.

***



La sera aveva ammantato la città con un cielo così terso e con così tante stelle che a Mousse parve quasi ridicolo.

Nemmeno nei film più strappalacrime hanno mai ricreato un cielo simile.

Avrebbe dovuto essere al settimo, di cielo, invece c’era qualcosa che lo rodeva dentro, nonostante Shampoo stesse dormendo di sopra dopo aver fatto l’amore con lui. Nonostante gli avesse chiaramente detto che voleva restargli accanto.

Dorme troppo, deve essere sfinita. Che razza di giorni ha passato?!

Ma no, non era la preoccupazione per la sua salute che gli batteva in testa come un dannato martello pneumatico. Perché continuare a negarlo?

Era la gelosia.

Qualche ora prima era in uno stato di grazia tale, dopo essersi reso conto che Shampoo era sincera, che aveva perso la testa come quando correva stupidamente dietro alle sue sottane, prima del terremoto. Aveva addirittura creduto che aspettasse un figlio da lui! Qualcosa, probabilmente un meccanismo di autodifesa che impedisce di impazzire in situazioni estreme, gli aveva fatto accantonare il ricordo dell’altro senza fargli passare neanche per l’anticamera del cervello che quel bambino potesse non essere suo. Lì per lì era tale la felicità di avere Shampoo seduta accanto, che gli chiedeva di rimediare alla mancata gravidanza, se voleva, che non si era reso conto dell’entità del colpo che aveva ricevuto.

Lo andrò a cercare, se necessario, lo ucciderò se solo riesco a mettergli le mani addosso, aveva pensato. Ma cosa ne sarebbe stato del suo amore per Shampoo? Pensava di averla perdonata e, obiettivamente, non poteva dire di essere in collera con lei. Però era ferito e c’erano momenti in cui quel dannato pensiero di altre mani che la toccavano gli trapanava il cervello; come poco prima, mentre riscopriva il corpo della sua amazzone senza essere vittima dei fumi dell’alcool.

Chissà se l’ha toccata così, chissà se la baciava in questa maniera, chissà se quando…

Il pensiero gli esplose dentro come una bomba: Shampoo aveva lasciato che quel bastardo la possedesse. Fissò il sangue che colava dalla sua mano e non si stupì più di tanto quando si accorse che aveva appena spaccato il vetro di una finestra con un pugno. Aveva le mascelle tanto serrate che i denti scricchiolarono forte; il respiro affannato gli offuscò per un attimo la vista.

“Mousse!” La voce di Shampoo lo fece sussultare: non voleva che lo vedesse in quelle condizioni.

“Scusami, io… mi stavo allenando e devo aver sbagliato mira!” Disse con un tono di voce alto e innaturale. Udì i passi di lei allontanarsi e fu momentaneamente sollevato.

No, non l’ho per niente superato. Avevo solo accantonato il problema nel tentativo disperato di godermi questa felicità, ma sono ben lontano dall’averlo superato.

Trasalì quando una mano gentile gli si posò sulla spalla e un’altra gli sollevò dolcemente la mano ferita. “Fa vedere se ci sono frammenti.” Si lasciò disinfettare e bendare senza dire una parola, incapace di dare altre spiegazioni. Era chiaro che lei avesse capito che non si stava allenando, eppure, invece di inveirgli contro per la sua idiozia, lo stava medicando amorevolmente.

“Mi dispiace. È che… non ce la faccio proprio. Non subito.” Mentre faceva l’amore con lei, improvvisamente aveva visto gli occhi di Shampoo parlargli silenziosamente; lei lo aveva afferrato e gli aveva detto tutto ciò che aveva già sentito: non è con lui che volevo stare, è stato un errore. Voglio solo te.

Eppure non era stato abbastanza. L’aveva amata disperatamente come per riacquistare l’unico, imprescindibile diritto a toccarla.

“Lo so, lo capisco. Non ti biasimo, non devi per forza assecondarmi. Se vuoi posso andare altrove finché…”

“No!” L’impeto nella propria voce la fece sussultare; il rotolo di garza cadde a terra con un bisbiglio appena percettibile. “Non sopporterei di perderti di nuovo. Mi basta solo… un po’ di tempo, vuoi?”

La ragazza annuì e Mousse notò con orrore che le labbra le tremavano e gli occhi le si andavano riempiendo di lacrime.

Lei soffre di sensi di colpa, io di gelosia acuta. Siamo due casi disperati…

L’abbracciò, lentamente e con tenerezza, poi le parlò nell’orecchio: “Non sarà facile, per nessuno dei due. Ma se ce la mettiamo tutta e stiamo uniti possiamo mettere le cose a posto, che ne dici?” Sentì che annuiva contro la sua spalla.
“Bene, e ora che ne diresti di cucinare qualcosa insieme? Non so tu, ma è da stamattina che non metto niente nello stomaco.” La sua risata leggera fu il più bel suono che avesse sentito negli ultimi giorni.

***



Ranma sbirciava il profilo della fidanzata. Erano seduti sul tetto, ma stavolta pensava che nessuno li avrebbe disturbati: la casa era in giubilo per la dichiarazione di Tofu, e Kasumi aveva improvvisato una cena coi fiocchi a cui stava partecipando, a proprio modo, un po’ tutta la famiglia e Tofu stesso, tra chiacchiere e risate.
Per una volta nessuno badava a loro.

“Mai viste tante stelle in vita mia.” Sospirò Akane. “Sono così felice per Kasumi! Se lo meritava davvero.”

Conosceva da anni Akane e, nonostante sapesse benissimo che era sincera, notava chiaramente che qualcosa la tormentava impedendole di essere veramente felice. Ma decise di darle tempo, di farla continuare a parlare.

“Chi mi preoccupa, invece, è Nabiki. Non l’ho mai vista così sconvolta in vita mia.”

“Sì è vero, era sconvolta. Ma direi che se la sta cavando egregiamente: hai visto con quale decisione ha mandato via quel porco di Kuno?”

La ragazza scosse la testa. “Tu non la conosci. Forse neanche io la conosco proprio a fondo, è una ragazza molto enigmatica: però sono certa che, dietro l’apparente maschera di ghiaccio e riservatezza, Nabiki stia soffrendo molto. Ma è un bene che papà non abbia saputo niente: conoscendolo non avrebbe esitato ad uccidere il senpai.”

“E non è neanche il caso di aggiungere altre emozioni: se quei due dovessero decidere di sposarsi potrebbe morire di crepacuore!” Disse Ranma con aria tragica.

Akane rise leggermente. “Eppure sono convinta che sia felice anche lui: Kasumi non poteva trovare uomo migliore.”

“Già.”

“Chissà come è andata tra Ukyo e Ryoga, invece; l’altra sera mi sembravano abbastanza rilassati.”

Il ragazzo sospirò pesantemente. “Temo che non sarà facile per lui riprendersi dopo un colpo simile: vedere Akari in quelle condizioni lo ha provato. Ucchan dovrà stargli molto vicina in questi primi tempi.”

“Oh, sono sicura che lo farà.” Akane non si era ancora degnata di rivolgergli lo sguardo, incantata a guardare il cielo stellato o forse solo timorosa di togliersi il peso che le gravava sul cuore.

Uno scoppio di risa si levò dal piano di sotto, una bicicletta sfrecciò nella via suonando il campanello e un cane abbaiò in lontananza. Tacque, in attesa.

“Ranma…”

“Sì?”

Avanti, parla! È da ieri che sei strana, sputa il rospo!

“Temo di essere incinta.”

Smise di respirare, come in quei film dove decine di medici si affannano intorno al paziente che non immette più aria nei polmoni: solo che lì non c’era alcun medico zelante che sarebbe corso da lui ordinando a destra e a manca ‘intubatelo!’ o mettendogli sul petto quegli aggeggi elettrici per poi gridare: ‘libera!’. Dovette riprendere fiato da solo e, non appena lo fece, prese a martellargli il cuore nel petto e la vista si offuscò.

Qualche secondo dopo si rese conto che stava precipitando dal tetto.

“Ranma!” La voce allarmata di Akane gli rischiarò la vista e si ritrovò a fissare la propria mano stretta in quella di lei, le gambe penzolanti nel vuoto. Tentò di tirarsi su, la fidanzata non avrebbe resistito a lungo a reggere da sola il suo peso, ma fallì il tentativo e si accorse con orrore che stavano precipitando insieme. Come aveva fatto centinaia di volte in passato, cercò di portarsi sotto di lei per attutirle il colpo e miracolosamente ce la fece.

“Stai bene? Ti sei fatta male?” Le chiese ansioso passandole le mani sulle spalle e osservandola per verificare che non avesse ferite.

“No, sto bene.” Gli rispose lei.

“Allora… sei sicura? Voglio dire, non avevamo fatto attenzione?” Non c’era niente da fare, era il solito imbranato: il viso gli andò a fuoco, anche se aveva problemi ben più gravi della vergogna.

“Vorrei andare dal medico per accertarlo, ma ne sono quasi sicura. Insomma, ormai è quasi un mese che…” Anche lei aveva assunto il solito color porpora di quando parlava di cose imbarazzanti.

Incredibile, non cresceremo mai…

“Domani ti accompagno dal dottor Tofu, nel caso non esiterò a prendermi le mie responsabilità, Akane, non devi preocc…”

“Tu non capisci!” Gridò lei facendolo sussultare per la sorpresa. “Io… io voglio un figlio, un giorno. Ma adesso?! Non ho nemmeno vent’anni e mi sto allenando duramente per raggiungere almeno la metà del tuo livello come artista marziale! Non so se riuscirò ad allevare un figlio adesso!”

La fissò come se stesse guardando una sconosciuta. “Stai dicendo che vorresti... liberarti di nostro figlio?!” Nel giro di un minuto e mezzo aveva sviluppato un improvviso, seppur acerbo, istinto paterno e dire quella frase gli venne tanto naturale che lui stesso stentava a crederlo.

Akane lo guardò con un’espressione sofferente. “Non dire sciocchezze, non ho detto questo! Ho detto che sono spaventata e che non sono sicura che sarei una buona madre in questo momento.”

“Io sono sicuro che lo saresti.” L’afferrò per le spalle, dolcemente. “Io sono certo che la mia Akane sarebbe la madre più… combattiva del mondo!”

“Ma… ma Ranma, io…”

“Nemmeno io sono pronto per un’eventualità del genere, sappilo. Anzi, la sola idea mi terrorizza, hai visto che abbiamo appena rischiato di ammazzarci? Ma sono pronto ad accogliere questo bambino nel migliore dei modi, se veramente c’è!”

Ma quanto sarà dura affrontare una cosa così enorme!

Akane cominciò a singhiozzare, disperata, e lui la cullò fra le proprie braccia per lunghi minuti. Proprio come se fosse una bambina appena nata.

“Ho tanta paura, Ranma!” Pigolò intenerendolo.

“Ho tanta paura anch’io…”

Ci fu ancora qualche minuto di silenzio, poi il vocio all’interno della casa divenne più forte e Ranma si rese conto che era stata aperta la porta principale.

“Eccoli, i due piccioncini!” Quella era la voce di Nabiki. “Cosa sono queste effusioni al chiaro di luna?!”

Oh, se solo sapessi!

“Ranma, Akane, venite dentro! Si sta freddando tutto!” Questa era Kasumi e la sua voce sprizzava gioia a ogni singola parola.

“Arriviamo!” Gridò scostando da sé Akane e guardandola intensamente. Lei si asciugò gli occhi e annuì: non c’era bisogno di dire nulla.

Faremo finta che vada tutto bene, festeggeremo Kasumi e Tofu. Domani… domani penseremo a cosa fare e a come dirlo, se necessario.

L’aiutò ad alzarsi e si accorse che Akane era malferma sulle gambe. “Appoggiati a me.” Fu lieto di sentirla aggrapparsi al suo braccio, poggiargli la testa sulla spalla e rilassare il corpo contro il suo fianco mentre entravano in casa.

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Capitolo 15
*** Uno zaffiro blu ***


CAP. 15: UNO ZAFFIRO BLU.

Due anni dopo

Il vapore l’avvolgeva come una carezza umida e calda e chiuse gli occhi godendosi la piacevole sensazione; appoggiò le mani sul bordo della vasca da bagno e l’acqua fece un lieve rumore di sciabordio mentre si spostava. Lo stesso rumore si ripeté una seconda volta, indicandole che anche sua sorella aveva assunto la stessa posizione.

“Non mi pare vero di riuscire a rilassarmi un po’, finalmente!” Esclamò Akane.

“Beh, goditela finché dura, di là fervono i preparativi e si aspettano che anche noi diamo una mano.” Nabiki poteva cogliere le voci concitate e il rumore di stoviglie rompere il silenzio che si era creato nella stanza da bagno.

“Oh, che se lo aspettino pure! Io sono sfinita…”

“Giusto.” Allungò le braccia, stirandosi con un mugolio di soddisfazione. “Hai visto che razza di balena è diventata Shampoo?”

“È incinta, non è una balena.” Redarguì Akane accigliandosi.

Guardò in aria, chiedendosi se sarebbe mai riuscita a sparlare di qualcuno con sua sorella. “E va bene, sarà pure incinta… ma ciò non toglie che è enorme !”

“Forse sono due gemelli: magari lo sa ma non vuole dirlo a Mousse. Quel ragazzo è in un tale stato di adorazione che potrebbe prendergli un colpo se sapesse che la gioia è doppia!”

Nabiki si mise a ridere: quindi anche lei qualche volta poteva dire qualcosa di divertente! “Gira voce che, il giorno che si sono sposati per la seconda volta, il ragazzo sia stato colto da un attacco di gastroenterite fulminante. Pare ci sia voluto il tempestivo intervento di Tofu con uno dei suoi intrugli magici per farlo andare all’altare senza vomitare strada facendo! Peccato che il dottore non voglia sbottonarsi troppo su questa storia con la scusa della privacy…” Sospirò delusa.

“Hai visto come sta bene senza occhiali? Non mi ero mai accorta che avesse degli occhi così belli; certo che oggi la medicina fa miracoli! E comunque Mousse è un emotivo: adora Shampoo da tanti anni e ha sofferto molto. Non gli pare vero di veder ricambiato il suo amore; è una cosa così romantica!” L’aria di Akane si fece sognante e le strappò una smorfia.

“Penso che mi stia per venire il diabete…” Mugugnò poggiando la testa sulle braccia.

“Senti chi parla! E tu come mai sei tornata con Kuno?!”

Touché.

“Perché ha tanti soldi e sono riuscita a perdonarlo. E poi fa l’amore come parla.”

Akane la fissò come se le fosse spuntata una seconda testa. “Cioè… in maniera sconclusionata?!”

“Ma no, sciocca! Cercherò di spiegarti… È venuto da me tante di quelle volte per chiedermi scusa che ho perso il conto. Però devo dire che, oltre alla costanza, aveva una peculiarità: ogni dannata volta mi rifilava un discorso diverso; uno dei suoi discorsi… sconclusionati, come dici tu, tra il poetico e il barocco: non era il significato a colpirmi, ma la varietà di paroloni che riusciva a dire con l’aria di chi stia in adorazione. Capito?”

Akane si accigliò, fece per dire qualcosa ma poi richiuse la bocca. Nabiki si chiese come faceva a essere così ottusa. “Insomma, vuoi dire che stai con lui solo perché è ricco e… fa l’amore con te in tante maniere diverse?”

Il colorito della sorella divenne così acceso che temette che l’acqua della vasca si sarebbe messa a bollire: non poteva credere che Akane si vergognasse a parlare di quelle cose come se fosse ancora una bambinetta di sedici anni! “Diciamo che con lui non mi annoio.”

“Ma… Nabiki, quando si sta con una persona e si fanno insieme… ehm… cose così importanti, è perché si è innamorati! Non puoi stare con Kuno se non lo ami!” Ora non sembrava più solo stupita: Akane era indignata.

“Io non sono come te e Kasumi, cara Akane. Non sono tipo da fiori, cioccolatini e sbaciucchiamenti al chiaro di luna: io sto coi piedi per terra e la testa sulle spalle. Ho dovuto tenere la contabilità di questa casa fin da ragazzina e conosco solo il valore dei soldi e delle cose che posso toccare con le mie mani. Ciò che sfugge al mio controllo mi porta a essere quattro volte più prudente: ci ho messo più di un anno prima di permettere a Kuno anche solo di fare due passi al mio fianco sul vialetto di casa. Quindi, come pensi che potrei perdermi in fantasie romantiche, io?”
Lesse nel volto della sorella il netto cambio di sentimenti come fosse un libro aperto: prima la comprensione le disegnò due buffe ‘O’ al posto degli occhi, poi la bocca si serrò in segno di frustrazione; infine sopravvenne quello che giudicò un misto di amarezza e tristezza.

Lei è triste per me. Che dovrei dire io? La mia incapacità di amare fa di me un mostro, forse. Ma sono fatta così: tengo alla mia famiglia. Tengo ai soldi. Tengo, in qualche modo, a Kuno. Ma non ho mai provato quella struggente sensazione di farfalle nello stomaco e sciocchezze simili. Forse, tra tutti quanti, sono io quella ad aver subìto il colpo peggiore dalla perdita di mia madre: con lei è morta anche la mia sensibilità.

Improvvisamente si sentì davvero misera e avrebbe cominciato a riflettere seriamente sulla questione se Akane non le avesse detto, con un leggero sorriso comprensivo: “Magari il tuo modo di amare è proprio questo: oculato, poco espansivo. Ma è amore, anche se tu non lo ritieni tale.”

E brava sorellina, forse mi hai psicanalizzata alla grande.

“Su, Freud, ora basta con questi discorsi profondi.” Le disse dandole un leggero colpetto sul braccio, e fu quasi sicura che Akane avesse notato il suo leggero sorriso di gratitudine: lo lesse nello scintillio che le attraversò gli occhi sgranati. “È ora di dare una mano a organizzare questa benedetta festa!”

***



“Insomma, sei peggio di una donna! Vuoi fare proprio tardi?!”

“Eccomi, arrivo!” Ryoga corse all’ingresso con il fiatone: possibile che Ukyo fosse fissata fino a quel punto con la puntualità? Alla fine era una festa dai Saotome, mica un pranzo di gala…

“Hai preso i regali?” Il ragazzo sospirò, si precipitò dentro casa e ne riuscì con due pacchetti sotto braccio.

“Non dire niente. Li ho presi, questo è l’importante.” La prevenne: dal suo sguardo torvo si aspettava una ramanzina coi fiocchi.

“Ok, ok, andiamo e basta.” La vide alzare gli occhi al cielo e poi incamminarsi tranquillamente. Le si affiancò, con la mezza intenzione di posarle una mano intorno alle spalle; purtroppo con i pacchi in mano non poteva e si accontentò di guardarla di sottecchi ogni tanto.

“Mica sarai ancora arrabbiata per quella storia…?” Tentò sperando che il muso lungo della fidanzata si distendesse un poco.

“Mi sembra solo assurdo che tu non voglia continuare gli studi: sei un ragazzo brillante, sei riuscito a diplomarti al Furinkan pur essendo più indietro di tutti. Non ti rendi conto che così facendo ti bruci un sacco di possibilità?”

“Te l’ho già spiegato: la mia vita sono le arti marziali e il mio sogno quello di aprire una palestra tutta mia. Che me ne faccio di una cultura universitaria?”

Ukyo scosse la testa e si voltò a guardarlo. “Anche io gestisco solo un negozio di okonomiyaki, eppure desidero studiare; si tratta di una mia soddisfazione: voglio dimostrare a me stessa che non sono una semplice cuoca, ma che posso parlare dei più svariati argomenti senza fossilizzarmi sugli ingredienti di un’ottima focaccia! E poi è così interessante imparare cose nuove…”

Ucchan era molto cambiata: qualche anno prima le interessavano solo Ranma e gli okonomiyaki, ma da qualche tempo aveva sviluppato un forte interesse per lo studio e per la cultura in generale. Ryoga sospettava che si trattasse di un suo bisogno di evadere dalla quotidianità di ogni giorno, fatta di una routine che cominciava ad andarle stretta. Ammirava quella crescita personale della fidanzata, ma non poteva proprio accettare che volesse trascinarvi dentro anche lui.

“Io penso che possiamo stare bene insieme pur rispettando uno i desideri dell’altro, non ti pare?” Disse improvvisamente.

Lei lo fissò attentamente per un istante e Ryoga si ritrovò a domandarsi se questa loro diversità non avrebbe portato alla loro prima crisi da quando erano ufficialmente fidanzati. Ma lei lo stupì con un sorriso. “Sai una cosa? Non hai tutti i torti. Io…”

“Cosa…? Che c’è?” Si girò di scatto, seguendo la direzione dei suoi occhi sgranati e lasciò semplicemente cadere i pacchi dalla sorpresa quando vide Akari andare verso di loro.

***



“Dunque, la cosa importante è che tu non ti metta in cucina, d’accordo?”

Akane fece un sospiro, guardò in alto e allargò le braccia in segno di resa. “Va bene, va bene, ho capito! Dimmi che cosa posso fare, allora.”

“Che ne dici dei festoni fuori in giardino?”

Akane rifletté che Ranma, sicuramente, avrebbe commentato qualcosa del tipo: ‘Sei così imbranata che non riusciresti a montarli neanche al contrario!’, ma si astenne dal comunicarlo alla sorella. Annuì, ben felice di portare a termine un compito così importante e la osservò mentre dava indicazioni a Mousse e a Genma su come montare gli altri addobbi.

Nabiki Tendo.

La sorella fredda e calcolatrice, che riusciva a organizzare una festa per bambini con la stessa meticolosità con cui conteggiava le uscite e le entrate ogni santo mese; poco prima, quando aveva messo a nudo i propri pensieri, aveva creduto di avere a che fare con un caso davvero disperato: crescere non le aveva fatto superare la fase ‘io-non-amo-che-me-stessa-e-i-soldi’. Poi si era resa conto che, probabilmente, i suoi sentimenti erano semplicemente più nascosti e il suo modo di manifestarli differente da quello della maggior parte di loro: Nabiki era in realtà molto più sensibile, prima di lasciarsi andare completamente aveva bisogno di certezze e di conferme. Il che le confermava che era molto più insicura di lei.

Come può essere diversamente quando perdi una madre in tenera età?

Quando le aveva esposto la sua teoria su come fosse capace di amare, le era parso di cogliere un leggero sorriso di gratitudine sul volto della sorella: significava che aveva colto nel segno e questo la rendeva molto più serena.

Anche Nabiki è capace di amare…

Lei stessa ci aveva messo del tempo prima di lasciarsi andare con Ranma, ma alla fine la sua pazienza e testardaggine l’avevano ripagata.

“Mamma, mamma!” Gridarono quasi all’unisono due vocine. Akane udì uno scalpiccio di piedini malfermi e quando si voltò sorrise ai due gemelli.

“Ehi, voi due! Venite qui!” Si accovacciò e spalancò le braccia ai due bambini.

***



Stringeva le braccia intorno al suo Katsunishiki e rivolgeva loro un sorriso radioso. Ryoga non poteva credere ai suoi occhi, Akari sembrava tornata quella di un tempo. Quando il maiale gigante si fermò, la guardò con orrore spingersi in aria a forza di bicipiti, atterrare sulle braccia ed eseguire una specie di salto mortale all’indietro fino al muretto più vicino, dove si sedette come se niente fosse.

“A… Akari, ma tu…?!” Dopo due anni che non la vedeva era riuscito a balbettare solo due parole e, dalla bocca asciutta che sentiva di avere, doveva essere pallido come un cencio.

Lei invece aveva un colorito sano e roseo e rise di gusto. “Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo. A un certo punto ho deciso che la sedia a rotelle non era per me, così mi sono allenata per andare in giro con Katsunishiki e muovermi a forza di braccia sul muretto o sul ramo più vicini quando voglio fermarmi. Questo mi permette di fare spostamenti molto più agevoli!”

“Sei… sei bravissima!” Esclamò Ukyo accanto a lui e Ryoga seguì l’impulso di metterle una mano attorno alle spalle proprio in quel momento.

“Sono felice di vederti in forma, Akari. Sono stato molto preoccupato per te.” Con sua somma gioia, il gesto amorevole verso Ukyo non scalfì neanche un po’ il sorriso della giovane e avvertì come un ultimo, piccolo peso spostarsi dal proprio cuore. Finalmente, dopo due anni, aveva la conferma che Akari non soffriva più per lui.

O lo nasconde bene.

Si diede dell’idiota: perché complicarsi la vita così? Lei era là, davanti a lui, che sorrideva radiosa e aveva superato ottimamente il trauma per la sua condizione fisica.

“Ehi, sei diventato sordo per caso?” Ukyo gli stava tirando gentilmente il lobo dell’orecchio.

“Eh? Cosa?”

“Akari ci ha chiesto se le facciamo strada fino al dojo: ha ricevuto l’invito anche lei.”

“Oh, certo! Seguici pure!”

Guardò, suo malgrado con il cuore in gola, l’ennesima evoluzione della ragazza che stavolta, con una capriola frontale, atterrava sul dorso del suo maiale da sumo e lo incitava ad andare.
Strinse la mano a Ukyo e si incamminò con un sorriso sulle labbra.

***



I gemelli corsero in direzione di Akane, che stava ancora con le braccia spalancate per accoglierli. “Mamma!” Ripeterono superando la sua figura accovacciata e gettandosi invece contro le gambe di Kasumi che stava sopraggiungendo alle sue spalle.

“Ma che bravi bambini!” Pigolò la maggiore delle Tendo sollevandoli entrambi senza alcuno sforzo.

Akane si rialzò con l’espressione corrucciata. “Perché non vengono mai ad abbracciare la zia?!”

“Forse perché sanno che è più infantile di loro e finirebbero per litigarci.” Commentò Nabiki facendole venire un impeto di rabbia. “E poi sono ancora piccoli e vogliono stare solo con la loro mamma, non è vero, Kasumi?”

“Dai, bambini, andate a dare un abbraccio anche alla zia Akane, volete?”

“Cia ‘Kane fa i dolci cattivi.” Sentenziò il maschietto facendole crollare un macigno immaginario sulla testa.

“E tira tanti pugno a cio ‘Anma.” Aggiunse l'altro: un altro macigno si aggiunse al primo.

“Vedi? Hanno già imparato a inquadrarti!” Gongolò Nabiki poggiandole una mano sulla spalla e incamminandosi con lei in giardino. “Non smetterò mai di pensare che due anni fa sia stato un bene che non fossi realmente incinta: ancora oggi sei una frana con i bambini!”

Akane provò l’impulso di strozzare sua sorella per averle ricordato quei giorni di incertezza e ansia; ricordava bene come si era sentita sollevata quando aveva letto le analisi e più tardi, quando il suo ciclo tardivo aveva fatto capolino fugandole ogni dubbio residuo. Anche Ranma le era parso visibilmente sollevato: evidentemente anche lui non era affatto pronto ad avere figli.

“Ora non fare quella faccia e mettiti all’opera!” Nabiki le diede una pacca sulla schiena e lei la liquidò con una linguaccia. Si arrampicò sulla scala e cominciò a svolgere il lungo festone con la scritta: ‘buon compleanno ai gemelli!’

Non potevano farci scrivere i nomi? Rifletté accigliata e quasi cadde dalla scala quando si sentì toccare leggermente su una spalla.

“Ranma, sei un idiota! Stavo per cadere!”

Il ragazzo incassò la testa nelle spalle, contrito. “Scusa, volevo solo aiutarti.”

Sospirò facendogli spazio e gli permise di darle una mano; poteva sentire il calore del suo corpo e il profumo maschile che emanava mentre armeggiavano insieme con chiodi e martello in pochi centimetri quadrati.
Guardò sotto di sé, abbracciando con lo sguardo l’intero giardino di casa Tendo: suo padre e Genma Saotome erano in un angolo intenti, come al solito, in una partita di shogi; Kasumi usciva con i bimbi in braccio e li depositava sul prato, dove papà Tofu era pronto ad accoglierli con un grosso sorriso; Mousse e Shampoo sedevano vicini e ridevano felici, lui con la mano sul pancione; Nabiki trasportava un vassoio con le cibarie preparate da Kasumi e salutava Kuno, appena arrivato, nascosto da una pila di pacchi regalo: la sorella Kodachi rideva alla sua solita maniera con il dorso di una mano elegantemente portata alla bocca.

Sono tutti così felici. Allora perché io provo questa specie di malinconia? Manca ancora qualcosa nella mia vita?

“Ehi, ecco Ryoga con Ucchan… e c’è anche Akari!”

La voce di Ranma le fece spostare lo sguardo in un’altra direzione e spalancò gli occhi per la sorpresa quando vide arrivare quest’ultima in groppa al suo maiale gigante.

“Ma non è sulla sedia a rotelle! Che sia guarita?!” Domandò con un filo di voce.

“Mhh…” Fece Ranma perplesso; qualche istante dopo la vide sollevarsi sulle braccia e accomodarsi su una delle sedie in giardino senza mai poggiare i piedi a terra.

“Oh… però sta molto meglio da quella volta.” Era vero: la vide ridere di cuore a qualcosa che aveva appena detto Ryoga.

“Ecco fatto, ora dobbiamo spostare la scala per fissarlo all’altra estremità.”

Akane sorrise al fidanzato e cominciò a scendere ma lui la bloccò per un braccio; la guardò così intensamente che si paralizzò qualche piolo più in basso di lui.

“Che c’è?” Chiese con la bocca asciutta: non credeva di potersi ancora perdere nel suo sguardo dopo tanti anni insieme.

“Ecco, io… lo so che non è il massimo farlo in cima a una scala, in giardino, ma sono tutti affaccendati in altro e pensavo…”

Akane sentì il sangue affluirle al volto e pensò che le sarebbe uscito del vapore dalle orecchie come in alcuni cartoni animati. “Ranma, che ti salta in mente! Sei impa….?!”

“Ma cosa hai capito?!” Il codinato era in evidente imbarazzo. “Volevo solo… darti questo.”

Con noncuranza, celando evidentemente la vergogna, le posò in mano un piccolo pacchetto. “Ma oggi non è il mio compleanno.”

“Non è necessario che lo sia! Su, aprilo.” Ranma non la guardava, preferendo fissare il festone appeso per metà e lei si sentì confusa.

Sciolse con delicatezza il piccolo nastro dorato e strappò via la carta lentamente rivelando una scatolina di velluto blu. Il cuore le mancò un battito e la fece deglutire a vuoto.

Oh, è solo un altro porta pillole, come quello che gli diede Nodoka da regalarmi qualche anno fa.

Eppure, mentre apriva il piccolo contenitore, udiva distintamente il suono del respiro appena accelerato di Ranma ma non il proprio; solo quando il coperchio fu completamente aperto rivelando un piccolo brillante ed emise un suono strozzato si rese conto che il petto le bruciava per mancanza d’aria.

“L’anello è d’argento e la pietra è uno zaffiro blu, anche se piccolissimo e non si vede bene: se lo fai brillare al sole però il riflesso è… lo stesso dei tuoi capelli; ho pensato che si intonasse bene, per cui…”

Non riuscì a farlo finire di parlare, semplicemente lo abbracciò di slancio, facendo spostare pericolosamente di qualche centimetro la scala su cui stavano in equilibrio precario: le affollavano la mente mille domande: per quanto tempo aveva fatto economia Ranma per poterle regalare una pietra del genere, seppur piccola? O aveva chiesto un prestito con interessi da strozzino a Nabiki? E per quale miracolo non erano precipitati giù?
Erano domande senza senso ma temeva di scoppiare di felicità o di delusione se solo avesse fatto a voce la vera domanda a Ranma. Prima di rendersene conto, però, le scappò di bocca: “Perché?”

Ancora stretto nel suo abbraccio, il codinato alzò un braccio per grattarsi la testa imbarazzato. Akane alzò il viso per guardarlo e lui cominciò a balbettare, infondendole una tenerezza infinita. “Beh, ecco… di solito è così che si chiede a una fidanzata di… di… ehm… sposarsi.”

Nella sua vita Akane aveva pianto tante volte per frustrazione, rabbia o infelicità: non le era ancora capitato, però, di mettersi a ridere mentre lo faceva; vide il volto preoccupato del fidanzato distendersi in un sorriso stentato e poi assumere un colorito rosso acceso. “Devo… prenderlo come un sì?” Chiese con genuina speranza.

“Ma certo che sì, baka!” Stavolta l’abbraccio fu ricambiato con calore e li sbilanciò inclinando la scala che cominciò a cadere. Ridendo e piangendo, atterrò su Ranma che era caduto di schiena sull’erba attutendole il volo e capì dal suo grugnito di disappunto, seguito immediatamente da un bacio che ricambiò con passione che sì, si era fatto male ma non troppo.

Ormai precipitare fa parte dei momenti clou della nostra vita.

“Insomma, che pensate di fare qui, nel giardino con due bambini e tutta la famiglia riunita?!” Esclamò Nabiki con le mani sulle spalle. Akane notò con orrore che si stavano portando tutti verso di loro e prese un respiro di frustrazione: li avevano interrotti di nuovo sul più bello e ora Ranma si sarebbe messo a balbettare che non era come pensavano, gesticolando freneticamente. Invece il fidanzato la stupì prendendole dalla mano l’anello e aiutandola ad alzarsi in piedi con lui.

“Già, Ranma, dillo anche a noi!” Disse Mousse avvicinandosi con Shampoo sotto braccio.

“Ranma, cosa stai facendo a mia figlia?!” Sbottò Soun subito trattenuto da un sorridente Genma.

“Oh, ma vi siete fatti male?” Chiese Kasumi fuori dal coro, guardando in alto e poi fissandoli.

Ora erano tutti intorno a loro, compreso il maiale da sumo di Akari con la padroncina sul dorso a guardarli incuriosita. Akane guardò Ranma negli occhi, interrogativa. Lui la fissò intensamente e le prese le mani: entrambi le avevano gelate. Con delicatezza e decisione le infilò l’anello all’anulare sinistro e disse: “Io e Akane abbiamo deciso di sposarci, ecco cosa accade.”

Di coraggio Ranma ne aveva sempre avuto tanto ma mai, mai avrebbe pensato che si sarebbe azzardato a fare un annuncio del genere davanti a tutti; questo le fece salire agli occhi nuove lacrime e si accorse appena del caos che si era creato: era Nabiki quella che aveva appena esclamato: ‘oh, era ora!’? E chi è che batteva le mani, Kasumi o i gemellini? Cos’erano quei tonfi? Dai grugniti di gioia e dalla risata, sicuramente più umana, ne dedusse che erano Akari col suo maiale; ‘La mia bambinaaaaa!’: quel pianto era di suo padre di certo! Invece gli orgogliosi ‘bravo figliolo’, appartenevano a Genma. E tutti quei sorridenti e concitati: ‘congratulazioni!’ dovevano essere di Ryoga e Ukyo, forse anche di Mousse con Shampoo.
Non poteva saperlo con certezza, però, perché aveva il volto sprofondato nella giacca cinese di Ranma.

Ora è tutto a posto, ora non provo più alcuna malinconia. Ecco cosa mancava nella mia vita: sposare l’uomo che amo.

No, manca un’altra cosa, si disse mentre sollevava il viso verso di lui senza curarsi delle lacrime. “Non avevo ancora finito di baciarti.” Disse afferrandogli il volto e continuando da dove aveva lasciato.

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