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É da parecchio tempo, in
realtà, che desidero
scrivere una raccolta simile: considerato che amo Star Trek, le serie
di storie e i due adorabili studiosi di cui si parla qui sotto, mi
è
sempre parsa infatti un'opzione più che appetibile. Ma ora,
passiamo
alle doverose note tecniche.
Non ho idea del numero di capitoli
a cui arriverò,
ma l'argomento sarà comune: vorrei infatti scrivere una
sequenza di
racconti, principalmente flash-fics e one-shots, incentrati sul
Dottor McCoy, e in particolare sullo sviluppo del suo legame con
Spock; molti si potranno tranquillamente interpretare sia come
semplice, profonda amicizia sia come pre-slash, ma è
possibile che
in qualche capitolo successivo la sfumatura romantica diventi
più
marcata, seppur sempre con toni delicati: da qui la decisione di
inserire "slash" tra gli avvertimenti. Come avrete dedotto, il titolo
della raccolta gioca sulla parola "Bones", che si riferisce sia al
soprannome del nostro dottore, sia alle "ossa" vere e proprie: ogni
capitolo riprenderà questo doppio significato, con
riferimenti più o meno velati al suo contenuto. Conoscendomi, la frequenza degli
aggiornamenti sarà piuttosto irregolare: per ora ho tre
capitoli quasi completi che cercherò di pubblicare con una
certa costanza, ma per il futuro non mi pronuncio. Tuttavia, ringrazio
in anticipo chi ha deciso di aprire il mio timoroso omaggio
agli splendidi eroi di quella serie: dedico il mio lavoro a tutti
coloro che amano come me
questi straordinari uomini di carta, le loro avventure, e la bellezza
dell'amore, in ogni sua sfumatura.
Bones
and Souls
Riflettendovi
attentamente, Spock aveva infine concluso che i suoi sentimenti per
il Dottor McCoy fossero davvero incongrui. Il medico sembrava infatti
recare in sé tutti i difetti che maggiormente criticava
negli esseri
simili a lui: un temperamento scostante e impetuoso, un'
indisciplinata, caustica ironia spesso incomprensibile e una
sconvolgente inclinazione per imprecazioni di una tortuosa
complessità addirittura affascinante. Considerando questo
elemento,
e il fatto che quasi tutti i loro contatti si concludessero con
qualche bizzarro, improbabile insulto indirizzato alle sue orecchie o
ad altri dettagli della sua persona, sarebbe stato ragionevole
supporre che la sua unica reazione fosse la flemmatica e moderata
irritazione caratteristica del suo popolo. Invece, nonostante lo
scontro sgraziato delle loro indoli, nonostante le furiose
filippiche che gli venivano quotidianamente gridate dietro, e
nonostante la sconcertante rapidità con cui il chirurgo si
accendeva d'ira, aveva assistito, mentre condividevano viaggi,
pericoli, e semplice domestica quotidianità, al sorgere in
lui di
un'ammirazione radicata, sottile, curiosamente vivida per quell'uomo
orgoglioso e imprevedibile, in un flusso lento e impercettibile che
si era rivelato anche completamente inarrestabile; e
inestricabilmente intrecciata alla stima, avvertiva anche la presenza
di un'impressione più tenera, più calda,
più misteriosa, e
tuttavia soffusa di un bizzarro ed innegabile senso di conforto.
Di
conseguenza, seguendo la sua connaturata, rigorosa urgenza di
analisi, si era adoperato alacremente per scoprire l'origine di
quelle percezioni tanto inusuali e inspiegabili, cominciando a
trascorrere molto tempo a studiare e osservare scrupolosamente il
dottore.
L'esasperante,
irriverente testardaggine di quest'ultimo si era rivelata
indiscutibile, così come incontrovertibile era il furore
chiassoso e
subitaneo di cui era capace; non c'erano inoltre dubbi sul fatto che,
nei giorni in cui si aggirava per la nave con un torvo e inquietante
cipiglio sul volto, la sua compagnia potesse rivelarsi solo o molto
spiacevole o molto rischiosa; e certamente i suoi ragionamenti,
nonché le furibonde e contorte maledizioni che bofonchiava
più o
meno continuamente contro la sua algida civiltà e il cosmo
intero,
apparivano spesso al Primo Ufficiale a dir poco enigmatici. La sua
intera natura pareva costituire un inestricabile, convulso groviglio
di irrefrenabili proteste e devastanti fiammate.
Era
insomma l'uomo più rabbioso, scorbutico, lunatico e
intrattabile che
avesse mai conosciuto; ma vi era anche un'altra essenza in lui, una
porzione più cruda e affilata, come l'emisfero sconosciuto
di un
pianeta, che tuttavia da sempre, in determinate circostanze, balenava
in improvvisi e folgoranti bagliori appena oltre il margine del suo
sguardo. Quando Bones si ritrovava di fronte ad uno dei suoi
pazienti, mentre le grida insanguinate dei feriti addensavano l'aria
e appesantivano perfino il suo imperturbabile respiro di Vulcaniano,
lo sguardo tempestoso del chirurgo diveniva fermo e limpido, colmato
da una lucidità rigorosa e potente, come se la passione
irruenta che
riversava comunemente nei suoi malumori si incanalasse durante quei
momenti in una concentrazione implacabile, sorprendentemente
siderale, impietosamente penetrante; quasi che il suo compito, il
patto che aveva onorato da quando era un medico, fosse così
importante, così fondamentale e prezioso da poter eclissare
anche la
sua litigiosa fierezza da uomo del Sud.
Era
quella, l'unica vera missione di Leonard McCoy; l'unico giuramento a
cui tributasse una devozione autentica e incrollabile, e l'unico
ideale per cui sarebbe stato disposto a morire. E Spock sapeva che
nessuna delle loro eroiche campagne, nessuno degli ordini gloriosi
imposti dalla Federazione, nessuno dei principi immacolati e composti
che tutti loro servivano avrebbe potuto vincolarlo più
intimamente e
solennemente della promessa di bende e sangue che stringeva ogni
volta con i suoi pazienti.
Ma
non c'era solo questo: nel guardarlo in quelle occasioni, in quegli
istanti in cui il dolore e la morte sembravano scuotere e minacciare
ogni ordine e ogni logica, Spock riusciva finalmente a carpire
l'autentica giustificazione delle emozioni, il significato di quel
viluppo volubile e palpitante che la sua gente riteneva così
superfluo; e che ora, però, lui era arrivato a comprendere.
Perché
era quella forza vulnerabile e selvaggia ad accendere nella mente di
Bones parte della sua grandezza, ad arricchire la sua logica con gli
strappi scintillanti dell'intuizione, a infondere l'energia tenace e
disperatamente viva necessaria al meccanismo del suo intelletto,
come il flusso frenetico e incontrollato di atomi che anima un
motore. Perché quando lavorava diventava l'incarnazione
dell'uomo
nella sua pienezza, dell'armonia prodigiosa tra i cristalli della
ragione e i sussulti di un animo umano; e ogni replica bellicosa,
ogni insopportabile sconsideratezza pareva confluire e splendere in
un incastro di chiara bellezza, meravigliosamente comprensibile e
straordinariamente complesso.
Sì,
i suoi sentimenti per il dottor McCoy erano davvero incongrui.
Ma
Il Primo Ufficiale, in un qualche angolo remoto e segretamente
sincero del suo spirito, era certo che sarebbe stato sempre disposto
a sostenere le loro ragioni.
Ecco a voi il secondo
capitolo della mia raccolta, che, con mio immenso piacere, ha ricevuto degli
splendidi commenti: ringrazio tutti coloro che hanno recensito, sperando che il
nuovo parto della mia mente possa piacervi. Qui, per la gioia di alcune di voi,
farà un'apparizione anche Jim, perché, sebbene adori gli altri
due, amo molto il modo in cui vuole bene ai suoi due bizzarri, cocciuti
migliori amici. Prima di lasciarvi alla lettura, volevo sottoporre una domanda
tecnica:avevo pensato di
aggiornare più o meno ogni mese, od ogni tre settimane, a seconda del
tempo e dell'ispirazione. È troppo? Devo provare ad essere più
veloce? Accetto liberamente suggerimenti. Intanto vi auguro buona lettura, e vi
ringrazio ancora.
P.S.:Scusate per l’impaginazione,
ma io e l’html abbiamo spesso de problemi di comprensione.
Feeling in the Bones
Chiunque, limitandosi ad
un'osservazione casuale e poco approfondita, sarebbe certamente giunto alla
conclusione che il Primo Ufficiale Spock e il Dottor McCoy non potessero in
alcun modo essere più differenti: li avrebbe giudicati anzi totalmente
antitetici, inesorabilmente distanti, come due stelle opposte e incompatibili
il cui unico elemento comune possa essere la forza sfolgorante con cui si
scontrano. L'impressione del capitano Kirk, il giorno in cui aveva assistito al
loro primo, leggendario battibecco, era stata infatti l'oscura inquietudine di
chi si trovi di fronte a due poteri speculari e altrettanto devastanti: se in
uno vegliava una spoglia, granitica logica, nell'altro era un cuore di sangue e
passioni ad animare i complicati ingranaggi del suo intelletto; se Spock era un
silente e severo deserto, Bones possedeva il bagliore
impetuoso e mutevole dei vasti fiumi celesti che nutrivano la sua terra. Jim
aveva tentatoper lungo tempo di
attenuare quelle differenze, di limare gli orli acuminati del Vulcaniano, di
smussare le scabre asperità di Leonard; ma il torrente e la roccia
avevano continuato a cozzare, a lottare, a combattersi in vampe di scintille
sfrigolanti, instancabilmente e implacabilmente. E alla fine, il capitano aveva
concluso che nulla sarebbe mai cambiato, e si era rassegnato a svolgere per
sempre il ruolo di mediatore tra quelle nature diametralmente diverse e
ugualmente tortuose.
Era stato proprio allora,
però, che Kirk si era improvvisamente reso conto che tra quei due
spiriti esistevano in realtà richiami sottili, segrete simmetrie
inscritte nei confini del loro essere, impensabili e tuttavia geometricamente
perfette; che le spirali di sabbia delle dune si plasmavano nelle stesse forme
dei tremolii dell'acqua. Nei momenti in cui era particolarmente sconcertato o
confuso, il sopracciglio di McCoy si inarcava in un modo quasi identico a quello
del Vulcaniano; le mani di Spock, quando danzavano tra i delicati, intricati
esperimenti di una nuova ricerca, fremevano della grazia fluida e appassionata
con cui le dita di Bones sfioravano un corpo; lo
schietto, compassionevole disincanto del dottore non era che lo specchio franco
e accessibile dell'austera lucidità del Primo Ufficiale. In ognuno di
loro si ritrovavano accenni dell'altro, sfumature che solitamente venivano
quasi schiacciate dalla ricchezza degli spiriti a cui appartenevano, e che
nell'altro riacquistavano inveceil
loro originale valore, la loro antica luce. Il capitano l'aveva compreso con
allegro stupore e un certo malizioso divertimento, infinitamente compiaciuto
sia dal pensiero delle espressioni dei due interessati davanti a una simile
rivelazione, sia dalla sensazione istintiva e sfuggente che finalmente due
fondamentali tasselli della sua vita avessero trovato la loro naturale
collocazione; e mentre le fiammeggianti sfuriate di uno e le glaciali repliche
dell'altro continuavano a seminare il terrore per la nave, i suoi interventi
erano diventati meno solleciti, e i suoi rimbrotti più sogghignanti.
Per molto tempo era stato
l'unico depositario di quel segreto, l'unica creatura nell'intero universo
consapevole dei grovigli di concordanze e assonanze che scorrevano sotto il
frastuono iroso delle loro battaglie. Ma alla fine, a causa della sua
implacabile acutezza di medico, anche Leonard si era reso conto che la loro
sfrontata, stizzosa ostilità non era che la goffa manifestazione di una
vicinanza troppo diretta e troppo improvvisa: lo aveva sentito nelle vene,
nelle ossa, come aveva sentito da bambino di essere nato per curare gli altri.
Si era adoperato ferocemente per allontanare quell'intuizione, per frantumarla
sino a trasformarla in un abbaglio bislacco, ma alla fine non c'era stato modo
di negarlo: se lui e Jim addomesticavano le reciproche fiamme, e Kirk e il suo
Primo Ufficiale si completavano con armoniosa, disciplinata agilità, Bones e Spock si richiamavano nell'intesa inconscia e
brutale di un lago e del cielo che vi si riflette. Per sfuggire a
quell'intuizione, il dottore aveva inseguito furiosamente per intere galassie e
centinaia di creature diverse una comprensione così articolata e
involontaria: aveva avvicinato alieni dai volti di pietra scintillante, aveva
provato affetto per esseri stupefacenti ed ammalianti, aveva difeso i membri di
civiltà dai tratti spaventosi e dallo spirito pietoso; ricordava
frammenti vivi e minimi di cosmi straordinari, mondi remoti, e vi veniva a sua
volta ricordato. Eppure quasi tutte le amicizie che aveva cercato, quasi tutte
le complicità che aveva accuratamente costruito e custodito si erano
rivelate meno intense di quell'affinità inaspettata e accidentale. La
loro era una somiglianza profonda, sgraziata, accesa di una qualità
quasi violenta, come se le loro anime si fossero in qualche modo scontrate e
malamente incastrate: per la maggior parte del tempo era una percezione
sgradevole e frustrante, perché se si vedevano riecheggiare nell'altro
si divincolavano con selvaggia ostinazione, torcendo quei legami fin quando non
sanguinavano; ed era anche conturbante, un'unione troppo oscura e troppo grande
per poter rientrare nei canoni che ognuno di loro aveva appreso e riconosciuto.
Ma talvolta, nei silenzi abissali e liberi delle notti di quiete o nel
frastuono furioso delle guerre, entrambi si arrendevano a quel legame, e mentre
i tendini e le connessure che li intrecciavano si distendevano, traevano forza,
anche senza saperlo, dal riflesso inaspettatamente familiare che scorgevano
negli occhi al loro fianco: ed allora non importava più che quella
vicinanza non avesse un nome, o che non sapessero ritrovare i passi che li ci
avevano portati, o che vi fossero centinaia di motivi per cui sarebbe dovuta
apparire assurda, insensata, casuale. E anzi la ragione per cui quell'intimo
accordo esisteva, per cui una parte del loro spirito aveva attraversato il gelo
dello spazio per aggrovigliarsi ad un'altra, diventava in quei momenti chiara e
lucente come cristallo: perché potessero ritrovarsi lì, nel
vascello in cui gli uomini non avevano né patria né esilio, e
proteggere la luce dell'altra metà di quell'intreccio segreto.
Eccoci
al terzo capitolo della mia raccolta! Come sempre, mi sembra prima di
tutto opportuno ringraziarvi per i vostri commenti e per il vostro
supporto; voi infatti non lo sapete, ma per me il terzo capitolo di
una storia ha qualcosa di critico, perché è il momento
in cui di solito corro il rischio di fermarmi tragicamente: quindi le
vostre favolose recensioni sono state davvero importanti. Passando al
capitolo, che credo vi interessi più delle mie bizzarre
idiosincrasie, è nato dalla combinazione di una riflessione
che mi indugiava da un po' nel cervello, e da un tema a me molto caro
e molto classico: nonostante tutti gli stereotipi che li circondano,
infatti, io sono una di quelli che alla menzione degli eroi, che
siano i cavalieri della Tavola Rotonda o i protagonisti di un film di
rudi Marines americani, rimane ineluttabilmente affascinata e
commossa. Così ho mescolato tutto in una sequenza di periodi,
e li ho costretti nella bocca del nostro Vulcaniano preferito. Ditemi
se il trucco è riuscito.
Alla
prossima, Ceci
Precious
Bones
Spock,
a differenza di ciò che molti dei suoi compagni
dell’equipaggio supponevano, sapeva cosa fossero gli eroi.
Nonostante
la lucidità rigorosa con cui aveva scelto d esplorare e
giudicare il mondo, non era insensibile alla grandezza: negare che
gli uomini potevano essere straordinari sarebbe stato illogico quanto
ignorare che sapevano essere atroci. Da bambino, e poi durante la sua
intera esistenza, non aveva anzi mai rinunciato ad ammirare altre
creature, a riconoscere la luce di una natura eccezionale negli
uomini antichi di cui apprendeva le opere o le parole; aveva
immaginato e inseguito e prediletto miti, come qualsiasi membro di
qualsiasi popolo. Il suo disincanto, la sua apparente incapacità
di commuoversi di fronte a gesta e racconti, non nascevano da un'
algida superbia Vulcaniana, o da una sorta di dispettosa diffidenza
verso le manifestazioni di calda nobiltà umana: semplicemente,
i suoi eroi erano sempre stati diversi.
Spock
era stato cresciuto con l'ideale Vulcaniano di eroe. Ricordava bene
il grande libro di fiabe della Terra, trapuntato di figure
lussureggianti e fantastiche, che sua madre gli leggeva alla sera, ma
per lui i veri eroi erano stati i signori della Logica: gli eruditi
più austeri, i monaci più ascetici e rigorosi, gli
uomini dal contegno solenne e dallo sguardo implacabile che talvolta
visitavano suo padre nel giardino interno del loro palazzo.Erano modelli concreti e severi da perseguire con
fermezza, idoli imperturbabili che non dovevano ispirare sogni ma
precise ambizioni, lontani e duri come astri. Erano
esseri rari che si erano votati completamente alla ragione, a quella
freddezza abissale che pochi, anche nel suo popolo, avevano davvero
compreso, che avevano avuto la nobiltà e il coraggio per
rinunciare ad ogni egoismo ed ogni sentimento; creature che, più
che compiere gesta strabilianti e uniche come gli eroi della Terra,
avevano raggiunto con pazienza e dedizione i vertici più
lontani e più perfetti dei principi della sua gente. Aveva
quindi giudicato totalmente illogico, immaginare che quella virtù
potesse fiorire anche tra creature turbolente e caotiche come gli
umani; assolutamente impensabile, che luci simili potessero esistere
proprio in coloro che lo accompagnavano nel suo viaggio tra le
stelle.
Prima
che il tempo e gli incontri affinassero la sua saggezza, e prima che
i sorrisi pazienti dei suoi compagni mitigassero le asprezze della
sua mente, Spock aveva ritenuto che le azioni e le scelte del
Capitano e del Dottor McCoy potessero essere spesso affascinanti,
bizzarre, generose, onorevoli, ma non eroiche; che non ci fosse altro
modo di essere eccezionali che l’imparare ad abbandonare con
sempre maggiore abilità le ombre e le nebbie che possono
offuscare la coscienza, il disciplinare con la sola forza della
propria mente gli impulsi e le passioni che gli altri popoli credono
irrefrenabili: il librarsi tra le geometrie nette in cui lui trovava
conforto. Aveva immaginato che al di fuori della sua civiltà e
della sua filosofia, non potessero davvero esistere imprese e parole
degne di diventare leggende. Presto, si era reso conto di quanto si
fosse ingannato.
Ognuno
di loro, aveva lentamente compreso, sia il Capitano, sia il dottore,
sia lui stesso, davanti ai pericoli e ai sogni che avevano affrontato
in quegli anni aveva compiuto gesti straordinari, esponendo il
proprio corpo e la propria mente per proteggere un uomo, una terra,
un’idea; in ognuno di loro, si era trovato a riconoscere i
lampi di una lucentezza rara, come quella che traspare dai miti e
dalle storie: e se non era la stessa che aveva sempre cercato e
compreso, era comunque qualcosa di altrettanto eccezionale, e
ugualmente prezioso. Tutti e tre, secondo l'opinione comune e infine
anche la sua, possedevano la scintilla della grandezza, quella
qualità impalpabile e leggendaria che aveva sempre saputo
percepire così bene: semplicemente, dovevano seguire sentieri
diversi per raggiungere quelle vette; innescare meccanismi
differenti, per rivelare il loro potere. Il Capitano era quanto di
più vicino avesse mai incontrato agli eroi della Terra che
avevano vegliato sulle sue sere da bambino: un cavaliere intrepido e
dorato, in grado di combattere con forza ogni insidia e sfidare con
audacia ogni minaccia, ma che traeva tuttavia il suo valore da
un’umanità incrollabile, e da una sconfinata lealtà
per la sua gente e la vita che era in realtà amore. Ma questo
non era stato particolarmente complesso, da accettare: si trattava in
fondo di un valore accessibile, chiaro, familiare anche per un
Vulcaniano che condivideva, almeno in parte, il sangue di quella
stirpe.
Inizialmente,
invece, non aveva visto quella scintilla nel Dottor McCoy: il medico
non rientrava in nessun modello di eroe, né Vulcaniano né
umano; e appariva troppo irascibile, troppo concreto, troppo fragile
per esserlo. Aveva quindi dovuto osservarlo più a lungo, per
accorgersi che quell’uomo era capace di pensieri e imprese
ammirabili quanto le loro, e che in lui c'era la luce che molti
scorgevano in Jim e in Spock stesso. E aveva dovuto studiare a lungo,
con un’intensità quasi testarda, anche i modi in cui il
Dottor McCoy conquistava i suoi vertici: perché spesso gli
sembravano assurdi, dissennati, oscuri, persino folli, e tuttavia non
poteva negare ciò che aveva ormai riconosciuto. L’aveva
visto gettarsi fuori da un riparo durante una battaglia per
soccorrere un caduto, senza curarsi dei proiettili o dello stemma
sulla divisa del ferito; l'aveva osservato medicare senza guanti
uomini divorati da mali contagiosi e terribili; l'aveva trovato a
sanguinare sulle sue stesse mani, senza attenzione, per non sottrarre
tempo ad un paziente. Una sera gli aveva anche chiesto perché
agisse così, perché a volte, quando esercitava la sua
arte, si comportasse in modo così sconsiderato e così
pericoloso; il dottore curiosamente non si era irritato, ma gli aveva
lanciato uno sguardo penetrante, sorpreso, e gli aveva risposto
subito, come seguendo un istinto: -Perché io funziono così-.
Il
primo Ufficiale si era interrogato spesso su quel rompicapo, su come
combinare i frammenti confusi che nel corso del tempo il dottore gli
aveva concesso; e alla fine, aveva trovato una risposta, un
meccanismo.
Spock
doveva distaccarsi dal mondo, rifugiarsi in un cosmo di linee vitree
e chiarezze siderali per poter analizzare, combattere e forse
debellare un'avversità: doveva spogliarsi del peso necessario
e tremendo del sangue, dell'affetto, della lealtà, per
tramutarsi in un essere dalla mente implacabile, dalla logica remota,
senza passioni e senza pietà come le stelle. Il Dottor McCoy,
invece, era il suo opposto: lui doveva gettarsi nel caos e
nell'orrore, affondare le dita fino alle radici del dolore per
vederlo, conoscerlo, estirparlo. Quando operava, o quando soccorreva
un ferito durante le loro missioni, le sue mani si tendevano,
sfioravano, stringevano, arginavano, fino a ricoprirsi di fluidi
scuri, fino a impregnarsi di chiazze rosse e rigurgiti densi: perché
in quelle occasioni nulla importava, se non evocare i suoi occhi e le
sue dita, i suoi veri strumenti, ed usarli per scoprire il meccanismo
segreto per alleviare la sofferenza di quel corpo e preservare quella
vita. Per riuscirci, Bones aveva bisogno del contatto, di confondere
il suo fiato con quello di chi stava curando, di avanzare attraverso
il sangue e i veleni, mescolandosi ai tendini lacerati e alle urla
terrorizzate, lasciandosi sommergere dai loro tocchi violenti. E ogni
volta, ciò che gli sfiorava la pelle poteva rivelarsi fatale:
avrebbero potuto essere gocce di liquidi mortali, cellule di virus,
polveri di sostanze sconosciute, senza che Leonard vi prestasse
attenzione; senza che si curasse di quanto di tutto quello potesse
insinuarsi in lui, nei suoi respiri, nelle sue vene.
Spock
era giunto alla conclusione che entrambi i loro sentieri fossero una
sorta di prezzo, un contrappasso preteso dal mondo in cambio dei doni
che aveva loro concesso: come se, mentre la sua reclamava nude,
immobili lontananze, la mente del Dottor McCoy esigesse l'esperienza,
le percezioni dei sensi, l'affondare fino al centro del male per
liberare il suo potere. Anche nei sentimenti, aveva compreso il Primo
Ufficiale, nulla cambiava: per consolare qualcuno, per ricomporre uno
spirito spezzato, Leonard doveva spingersi fin nel profondo,
lasciandosi marchiare dal dolore, e non preoccupandosi di evitare che
lo strazio di un altro bruciasse e infettasse di nuovo le sue
cicatrici. Era per questo che tante volte dopo una missione
disastrosa aveva trascorso la notte nell'Infermeria, ad ascoltare gli
orrori sussurrati dai sopravvissuti, con le loro teste nascoste
contro la spalla e gli occhi accecati dalle lacrime.
La
prima volta, il Vulcaniano lo aveva giudicato illogico; ma poi i
discorsi che gli aveva rivolto il medico, e più ancora i
prodigi che avevano compiuto le sue dita, lo avevano costretto a
riconoscere i meriti di quel metodo azzardato, ad imparare a
rispettarlo: persino ad apprezzarlo, e a temerne le conseguenze.
Così, quando il dottore si chinava sui feriti di qualche
remoto pianeta, sondando e riparando con la sua ferma, stupefacente
delicatezza, si era ritrovato ad osservare le mani di Bones, senza
poterselo impedire, trattenendo il fiato mentre premevano su membrane
marce e si coprivano di fiotti oscuri. Sapeva di ammirarlo per il suo
coraggio, per quella capacità sconvolgente di affrontare
qualunque minaccia immergendosi nel suo potere e accettando il
rischio di rimanerne ferito, nonostante il suo corpo fosse tanto più
fragile e vulnerabile di quello di un Vulcaniano; sapeva che quello
era il suo modo di essere un eroe. Ma nonostante tutto Spock non
poteva evitare che ogni volta in cui McCoy si sollevava dai suoi
pazienti, barcollando sotto i grumi del sangue e dello sfinimento, un
brivido sottile di paura gli formicolasse lungo la schiena; e allora
non poteva che porsi silenziosamente, ostinatamente al suo fianco,
pronto a sostenerlo, nel caso in cui il veleno fosse riuscito infine
a lambirgli il cuore.
Quarto capitolo della mia raccolta, anche se
abbastanza in ritardo... perdonatemi, ma trovare il tempo e la
concentrazione necessaria per una revisione costituisce una missione
intrinsecamente complessa. Stavolta l'attenzione è tutta per
il nostro Dottore: ho ritenuto opportuno occuparmi un po' della sua
diretta psicologia, per quanto ritenga che i punti di vista di Spock
e Kirk possano delineare il suo spirito con delle pennellate
estremamente profonde e ricche di possibilità. Il nome del
mentore di McCoy è Osler, in onore di William Osler, celebre
chirurgo ottocentesco e vero riformatore dei metodi di insegnamento
della medicina, e in particolare primo insegnate a portare gli
studenti fuori dalle aule per assicurare loro una diretta esperienza
del lavoro di dottore: considerato l'atteggiamento del nostro Bones e
la sua predilezione per le tecniche che implicano lo stabilirsi di
legami umani, mi sembrava plausibile che anche il suo maestro
sostenesse idee simili. Come sempre, grazie per tutti i vostri
commenti, e per la vostra partecipazione a questo mio bislacco e
ambizioso progetto.
Alla prossima, Ceci
P.S.:Per il titolo, devo ringraziare mia mamma e i
suoi suggerimenti: lode ai parenti creativi, e pazienti con gli
aspiranti scrittori.
Bones' Bonds
Certi
giorni, Leonard odiava possedere le sue conoscenze. Odiava essere in
grado di elencare in qualunque momento tutti i tipi di frattura alla
gamba che Umani e Vulcaniani potevano riportare, o ricordare con
precisione le centinaia di circostanze per cui una ferita si sarebbe
infettata, o sapere così bene quanto gli agglomerati di
proteine che chiamavano corpi fossero vulnerabili; odiava, pur
sapendo quanto fosse stato prezioso per molte esistenze e molti
individui, la facilità con cui poteva immaginare e vedere le
sfaccettature del dolore, e della morte. Quelle conoscenze
diventavano insopportabili soprattutto le volte in cui Spock e Jim
andavano in missione senza di lui: perché allora Bones non
riusciva ad impedire alla sua mente di enumerare ogni minaccia e ogni
debolezza che avrebbe potuto tradirli, ogni male che avrebbe potuto
divorarli, e trascorreva le ore fino al loro ritorno sgranando i
minuti in ipotesi angosciose e sospetti orribili: visioni vecchie e
nauseanti di ossa spezzate e pelle bruciata e occhi morenti. E tutti
i suoi fantasmi, tutte le ombre e gli sguardi di coloro che non aveva
salvato, in quei momenti tornavano ad assediarlo, scandendo il tempo
con i loro echi freddi, rivestendo di volti dolorosi e carne urlante
ogni supposizione che lo attraversava, e non tacevano fino a quando
sentiva i passi fluidi di Spock e la risata di Kirk avvicinarsi di
nuovo all'Infermeria.
D'altronde,
lo aveva capito molti anni prima. La medicina era un grande dono, e
un grande potere, ma esigeva un prezzo: quello di essere sempre il
più pessimista, il più irrequieto, il più
sospettoso; quello più consapevole di quanto mortalmente
fragili fossero gli uomini. Jim aveva riso, la prima volta che
nell'attesa di uno sbarco aveva consegnato a lui e a Spock quattro
kit medici con furiosa scrupolosità, affermando che nemmeno
sua madre era mai stata tanto apprensiva;quella volta Leonard gli
aveva risposto che doveva ricordare di trovarsi davanti non solo un
medico, ma anche un uomo della Georgia, dotato perciò di tutta
la torva, ostinata sollecitudine delle madri che avevano popolato la
sua infanzia. Ed era vero; il suo sangue gli imponeva di difendere
ciò a cui teneva senza tenere minimamente conto delle
convenzioni, dei tempi o delle circostanze, e la sua disciplina gli
insegnava ogni giorno quanto fosse spaventosamente semplice scivolare
al di là della vita e perdersi: e se quella combinazione,
quella misteriosa mescolanza di istintiva dedizione e spietata
lucidità scientifica costituiva il grande motore della sua
mente, più volte l'aveva guidato a vette vertiginose, e più
volte l'aveva condotto sull'orlo negli abissi da cui strappava gli
altri uomini. E
poi, c'erano le ragnatele.
Il
Dottor McCoy sapeva come erano costruiti i cervelli degli umani e dei
Vulcaniani, e quindi anche quelli dei suoi due migliori amici: ne
aveva studiato i modelli all'università, li aveva visti nelle
radiografie, li aveva snudati durante le operazioni. Conosceva
perfettamente la forma e il peso dell'encefalo, la struttura delle
ramificazioni nervose, le danze di ioni che le rendevano vive: ed era
consapevole di come in realtà non fossero meccanismi meno
saldi degli altri. Eppure, quando pensava ai pericoli che incombevano
sui suoi pazienti, o quando sopportava quelle disperanti attese
nell'Infermeria dell' Enterprise, la sua mente correva sempre a quel
groviglio disperatamente leggero di condotti, a quell'albero di
reticoli e impulsi troppo sottili, troppo facili da spezzare: e per
qualche motivo sconosciuto, aveva cominciato a vederli come il
simbolo di tutte le minacce che potevanocolpire
un
organismo, l'emblema della fragilità che, al di là di
tutta la sua audacia e la sua tecnologia, l'uomo si portava dentro.
Era
una paura che lo seguiva fin dai suoi anni da studente: il timore
affascinato di fronte ai canali finissimi e delicati che custodivano
l'anima di ogni individuo, l'inquietudine viscerale davanti a un
sistema tanto potente e tanto effimero; per lui, che amava le
mangrovie enormi e possenti su cui si arrampicava da bambino, quelle
radici non sembravano abbastanza forti, abbastanza solide, per essere
tutto ciò che univa i corpi alle menti che li abitavano.
La
prima volta che aveva visto il sistema nervoso di un uomo, quando era
ancora uno specializzando, era rimasto sconvolto da quanto apparisse
fragile. Non era corretto, aveva pensato, non era possibile che fosse
così facile strappare ad un individuo la sua mente; che per
qualche scherzo crudele la natura avesse affidato la parte più
preziosa e più necessaria di un essere umano a quell'intrico
di rami tremanti. Con mani leggere, incerte, aveva percorso gli orli
del midollo, le tenere spirali infinitamente mutevoli del cervello,
le ramificazioni pallide, sottili come ragnatele, dei nervi: e il
pensiero che un'intera esistenza dipendesse da un incastro così
delicato, che un semplice tocco potesse annientare e distorcere per
sempre lo spirito di un uomo, lo aveva paralizzato. Continuando a
fissare quei ricami indifesi, aveva chiesto al suo mentore di
ricucire subito, di chiudere di nuovo l'incastro nella sua corazza di
ossa e carne, al sicuro. Il dottor Osler l'aveva mandato al diavolo,
gli aveva spinto brutalmente il bisturi tra le mani e gli aveva
ordinato di cominciare l'operazione, perché solo così
avrebbe potuto proteggere davvero quell'intreccio: perché solo
se le sue dita fossero affondate tra quei filamenti, accettando il
rischio di strapparli, l'incastro non si sarebbe spezzato.
Leonard
non aveva mai dimenticato quella lezione, anche dopo tutti gli anni e
tutte le cicatrici che erano passati. E con il tempo, aveva compreso
che spesso si doveva agire nello stesso modo con coloro che si amava:
non trattenerli, non tentare di preservarli da ogni pericolo, ma
azzardare, spingere la lama fin all'interno, perché in certe
occasioni quello era il più grande gesto d'amore che si
potesse compiere.
La
paura non lo aveva mai davvero abbandonato; era terribili conoscere
gli orrori che avrebbero potuto stroncare volti amici, era terribile
non sapere chi sarebbe tornato, e chi non sarebbe riuscito a salvare:
per lui, Spock e Jim sarebbero sempre stati due di quei cervelli, due
ragnatele complesse, meravigliose, spaventosamente esposte. Ma sapeva
anche che entrambi dovevano vivere in quel modo, rischiando e patendo
e lottando, nelle immensità selvagge dello spazio, e che
rinchiuderli tra le ossa sicure dell'Infermeria, nella carne
protettrice dell'Enterprise, avrebbe solo negato al mondo scoperte e
avventure eccezionali, e li avrebbe divorati. Perciò ogni
volta li lasciava andare, lanciando loro dietro solo qualche
scontrosa raccomandazione, senza trattenerli davvero, pur sapendo
quanto fossero fragili le radici delle loro vite, e quanta parte del
suo cuore avrebbero strappato spegnendosi: perché talvolta era
questo ciò che gli comandava l'amore che lo legava a loro.
Perché talvolta bisognava solo infilare il bisturi nel
profondo, tra i nervi sottili, per essere un buon dottore.
E
ogni volta, pregava che anche quel giorno le ragnatele non si
sarebbero spezzate.
Ebbene
sì: dopo
due mesi suonati di silenzio sono finalmente riuscita a compiere
l'improba impresa di pubblicare il mio quinto capitolo:; mi scuso
moltissimo per il mio ritardo, ma la prodigiosa capacità di
maggio
di prosciugare il tempo degli studenti mi ha duramente sconfitta.
Passiamo però al mio racconto, argomento che ritengo
decisamente più
interessante delle improbabili angherie inflitte dai mesi. Il tema
questa volta è azzardato, crudo, forse esagerato, ma non
nasce per
essere una provocazione: è una riflessione che ho maturato
lentamente, scrupolosamente, e che reca in sé molto di
ciò che
riesce a strapparmi un fremito. Capisco che possa risultare
conturbante in certe conclusioni, quindi, a costo di apparire
prolissa, voglio assicurare che si tratta esclusivamente di giudizi
personali, nel pieno rispetto di ogni convinzione e pensiero: mi
taglierei una mano prima di offendere consapevolmente qualcuno.
Ultimo
avviso:
può darsi che nei mesi a venire i miei aggiornamenti
diventino ancor
più sporadici (ebbene sì, è
fisicamente possibile), poiché, nel
disprezzo di ogni ragionevolezza e di ogni buonsenso, mi sono
imbarcata in un azzardato progetto letterario in inglese che dovrei
finire in tempi relativamente brevi. Sappiate però che non
abbandonerò i nostri ragazzi: ormai hanno scavato troppo a
fondo
nella mia anima e si sono ingarbugliati troppo intimamente alle mie
ossa perché possa metterli da parte. Vi lascio ora alla mia
storia,
assicurandovi che ho convogliato sangue, fiducia e inchiostro nelle
sue pagine, nella speranza di trarne fuori un grumo di armonia.
Buona
lettura, e
alla prossima, Ceci
“Eppure
è sempre l'antica umana razza, la stessa, dentro e fuori,
facce
e cuori gli
stessi, gli stessi sono affetti e desideri.
Lo
stesso antico
amore, e la bellezza, e il modo di usarne.”
Walt
Whitman, da “Foglie d'erba”
Bones'
Sanctuary
Nella
sua vita, il
Capitano Kirk aveva conosciuto solo sacerdoti del cielo.
Per
prime c'erano
state le ingenue, austere cerimonie della sua infanzia:ricordava la
piccola chiesa di legno bianco sperduta nella ruvida campagna
dell'Iowa, i canti di promesse e di luci celesti borbottati da
schiere di uomini dalle camicie fragranti di bucato e di donne
avvolte in vestiti a fiori, le scaglie di luce variopinta che
piovevano dalle vetrate vivaci e chiassose nei giorni di sole, le
mani del pastore che si slanciavano verso l'alto, verso il denso
azzurro rovente al di là del soffitto di intonaco, come in
un
richiamo, come in una speranza. E dopo ricordava suo nonno, il medico
e il grande sapiente della loro cittadina, che durante le lunghe
notti dell'estate gli aveva svelato i segreti delle danze delle
stelle e narrato le imprese con cui l'uomo li aveva conquistati,
tendendo il dito verso i bagliori di stelle morte da eoni con la
solenne meraviglia di un profeta. E anni più tardi, quando
aveva
cominciato a solcare i mari disumani dello spazio, c'erano stati i
sacerdoti degli infiniti popoli che incontrava: tutte le creature che
sollevavano le braccia verso cieli ignoti, che innalzavano templi e
offrivano sacrifici a soli e lune incommensurabilmente lontani. Non
aveva mai avuto tempo di conoscerli davvero: un capitano doveva
affrontare gli insidiosi rituali della diplomazia e le grevi asprezze
della guerra, ma raramente si avvicinava agli idoli di una
civiltà,
al cuore intimo e fragile di credenze e di miti che sorreggeva il suo
spirito. I loro viaggi erano rapidi e densi di eventi e parole, lampi
sfuggenti tra energie mai mescolate. Di solito nessuno, tra i suoi
compagni, arrivava durante le loro visite a scorgere
profondità
tanto private, a penetrare tanto a fondo sotto la carne di una razza
intera.
Nessuno,
tranne
Bones.
Nel
corso degli
anni, Leonard aveva conosciuto fedi di ogni genere, culti di
qualunque entità; aveva guidato centinaia di creature ai
loro dei,
bisbigliato le promesse di innumerevoli aldilà, e aveva
pregato
qualunque spirito quando chi vi credeva non era più in grado
di
farlo. McCoy era quello che raccoglieva gli ultimi sussurri di un
uomo, e che spesso ne scorgeva l'essenza, quando tutto il resto si
era già dissolto: era quindi ovvio che fosse anche colui che
aveva
imparato più di tutti sulle religioni dei popoli in cui si
imbattevano, che avesse scoperto quali ombre e quali luci ogni gente
della galassia invocasse nei suoi ultimi respiri. Nessun uomo,
secondo Bones, doveva affondare nel buio da solo: e se l'unico
conforto che chiedevano era il sussurro di qualche nome remoto o
l'augurio cantilenante di una lingua arcaica, Leonard non avrebbe mai
potuto negarglielo. Così, se lo permettevano e lo
desideravano, lui
stesso recitava le formule rituali che voci spezzate gli mormoravano,
accompagnandoli nelle tenebre con le parole della loro infanzia,
guidandoli con le voci dei loro dei, qualunque volto avessero,
qualunque potere reclamassero.
Jim
lo aveva visto
spesso, quando scendevano su pianeti divorati dalle piaghe, o quando
le ferite dopo una battaglia erano troppo profonde, sedere sull'orlo
delle brande da campo dei suoi pazienti, sussurrando le preghiere e i
nomi di decine di fedi diverse, di centinaia di divinità
differenti,
senza mai condannare, senza mai denigrare. E per quanto quei culti
potessero essere distanti dal suo modo di pensare e sentire, per
quanto in qualsiasi altro momento li avrebbe contestati con tutto il
suo polemico entusiasmo, in quelle occasioni ripeteva i loro dogmi e
pronunciava le loro promesse:perché credeva di non avere
nessun
diritto di rifiutare un ultimo sollievo per principio, di scegliere
per un altro le mani a cui affidarsi nell'abisso.
Nessuno
di coloro che lo conoscevano davvero avrebbe potuto scambiare quei
gesti per empietà: perché se McCoy non credeva in
nessuno di quegli
spiriti e in nessuna di quelle statue severe, credeva invece negli
uomini, nell'amore, nella pietà nuda che colmava ogni volta
i suoi
occhi. Per Leonard, rinunciare all'immortalità, rinunciare
all'aldilà e ad un'esistenza dopo il buio, non era stato
troppo
difficile: esistevano, in fondo, destini peggiori del disgregarsi in
milioni di scintillii di vita, e rigenerare il mondo che si ha amato
e vissuto in uno scorrere senza fine. Ma comprendeva quanto orrendo
potesse essere per altri, e rispettava le speranze con cui lottavano
contro quel terrore. E quindi ogni volta li seguiva silenziosamente
nei loro ultimi rituali, supplicando per un istante inconsapevole di
essersi sempre sbagliato; pregando le remote forze dell'universo di
avere pietà per coloro che avevano levato canti per loro, e
che
sull'orlo della vita confidavano nel loro abbraccio.
Riguardo
agli dei,
Kirk si era sempre affidato all'istintiva, salda tolleranza che gli
permetteva di lasciarsi sfiorare da esseri dalle menti vicine e i
volti deformi e di non uccidere gli abitanti di mondi semplicemente
troppo lontani per essere compresi: avanzava semplicemente, tra i
prodigi di particelle invisibili e i miracoli di poteri mistici,
senza giudizi e senza illusioni, disposto ad accettare l'arrivo di
una rivelazione, ma in grado di vivere senza il suo conforto. Per
Bones, lo sapeva, era diverso. Ne avevano discusso spesso, attorno
al tavolo della sua cabina, mentre si concedevano qualche bicchiere
del brutale brandy ambrato di McCoy e ascoltavano il mugghio gentile
e profondo della nave: Leonard credeva nel sangue, nella carne e
nelle ossa, nelle verità brutali dei corpi, nell'universo di
meccanismi e materia e percezioni a cui il mondo si riduceva durante
le operazioni. Aveva rifiutato, con una sorta di rabbiosa, inquieta
ostinazione, ogni forma di certezza, ogni genere di dogma, che fosse
incastonato nelle serene geometrie dei numeri o nei fulgori accecanti
di un culto: perché dopo aver trattenuto tra le mani le
viscere
pulsanti di un uomo, gli aveva più volte ripetuto,
ciò che ti
permette di non fermarti, ciò che ti infonde la forza di
stringere
il tuo pugno di conoscenze e lottare, non sono gli ideali, ma le
leggi violente della medicina, le coordinate chimiche e vive che non
portano giudizio né perdono. Per questo, agli occhi di un
estraneo
le ultime premure che rivolgeva ai morenti avrebbero potuto apparire
incongrue, e addirittura blasfeme:un inganno crudele, l'ultimo gesto
di scherno verso gli illusi inconsapevoli di essere solo macchine di
carne. Ma Jim conosceva il suo amico da troppo tempo, e sapeva vedere
l'armonia dietro quei gesti.
Il
Dottor McCoy
custodiva in sé cicatrici slabbrate, e seguiva principi
altrettanto
aspri: e le une e gli altri, se rivelati troppo improvvisamente,
troppo bruscamente, potevano sconvolgere, e incidere la pelle. Ma
sotto tutto il suo sarcasmo, sotto tutto il suo disincanto, Leonard
amava gli uomini: li amava di un amore sconfinato e invincibile, di
una devozione incrollabile, intima come l'affetto, disinteressata
come una fede, che trascendeva, senza ignorarle, tutte le ombre e di
tutti gli orrori di cui erano capaci: una fiducia inestirpabile per
cui sarebbe sempre stato disposto a combattere, e a morire. Amava i
prodigi che erano capaci di plasmare con le mani e con le parole,
amava le loro risate e le loro lacrime, amava la paura e il segreto
coraggio con cui affrontavano le mostruose immensità dello
spazio. E
profondamente, dolorosamente, credeva anche che non ci fosse nessun
volto a vegliare su di loro, e nessun nome a cui rivolgere preghiere,
né oltre il sole, né oltre l' oscurità
della terra; solo le forze
immense ed elementari della natura, che aggregavano senza coscienza i
loro corpi, e in cui alla fine sprofondavano di nuovo. Per Leonard,
gli uomini erano soli. Era anche per questo, che ogni operazione
riuscita sapeva sciogliere gli orli scabri del suo cuore, e riempire
i suoi occhi della dolcezza stanca e viva della sua terra; era per
questo, che ogni volta che uno di quei meccanismi di carne e ossa si
spegneva, il dolore continuava a strappargli il respiro. E per
questo, era così importante che fosse lui, un altro uomo, il
calore
comprensibile di una mano e una voce che sapevano sentire e cantare
come la propria, l'ultima memoria del mondo di ognuno dei suoi
pazienti: un sacerdote laico, per permettere ad ogni spirito di
scivolare nelle tenebre con l'impronta di quel tepore. Ecco cos'era,
aveva compreso Jim un giorno. Un sacerdote, vincolato da un
giuramento pronunciato di fronte alle ossa ed al sangue e solenne
quanto quelli rivolti al cielo, il ministro di un culto che viveva di
bisturi e garze, e non pretendeva certezze.
Per
questo, i riti
di Bones erano tutti i riti dell'universo: perché con ogni
rito
celebrava gli uomini, la sua fede, accompagnando le suppliche
cantilenanti di un vecchio, inviando donne sanguinanti ai grembi
generosi di grandi dee antiche, invocando avi orgogliosi per un
giovane guerriero caduto; e offrendo tutti i congedi possibili
dall'esistenza, offriva anche il suo, quello di chi ha promesso di
servire con dedizione e lealtà i fragili filari di luci
degli
uomini, quello del laico sacerdote dell'umanità. Per offrire
il
pianto e il ricordo dei suoi simili, e onorare l'estinguersi di una
scintilla irripetibile.
E
per concedere a
tutti, se non il perdono degli dei, almeno quello degli uomini.
Dopo
miliardi e miliardi di anni, sono finalmente riuscita a produrre il
nuovo capitolo della mia storia sul duo più commovente e
più
stravagante dello spazio: ci ho combinato brani e frammenti e squarci
scritti nelle condizioni più disparate, per cui non
garantisco la
più invidiabile e infallibile delle coerenze. Tuttavia, ci
sono
delle idee a me molto, molto care, e, in fondo, il fulcro di quello
che io chiamo amicizia o amore o intesa: insomma, uno qualunque dei
vincoli che inducono gli esseri umani a torcere il proprio sentiero
per un altro, e ad avventurarsi nel buio per andare a cercarlo.
Come
sempre, auguro a tutti buona lettura, sperando che questi due
straordinari personaggi possano avvampare un istante, con le mie
parole, nel vostro spirito.
Truths
in the Bones
Per
molto tempo, nessuno aveva davvero scalfito le loro corazze.
Certamente,
non si trattava di armatura evidenti, abbastanza ostili e pesanti da
impedire di percepire il tocco di un amico o il gelo di un odio:
più
che maglie di ferro e acciaio, le loro erano veli, trasparenti ma
forti come ragnatele. La corazza di Leonard erano le sue sfuriate, le
sue tortuose imprecazioni, la premura pungente e sbrigativa che
scagliava sui suoi pazienti: uno scudo che graffiava la pelle di chi
non ne conosceva la consistenza, ma che sapeva proteggere dal freddo
e dal dolore più di molte sete e molte fredde carezze. Nel
dottore
però esisteva anche un altro nucleo, al di sotto delle
rocce, un
cuore più fermo, più complesso, più
vulnerabile; un cristallo
nudo, prodigiosamente limpido, che affiorava solo nei suoi occhi, e
catturava e penetrava ogni luce irradiata dal mondo; e che,
altrettanto facilmente, veniva incrinato dalle sue ombre. Il Capitano
e i suoi uomini riconoscevano le imperfezioni e le sbavature del
dottore, e accettavano con bonaria rassegnazione i suoi impulsivi,
tempestosi malumori; apparentemente, fiduciosamente, comprendevano
che anche lui fosse un essere umano, e potesse vacillare e sbagliare
come tutti loro. Ma nel profondo, in corde grevi e sepolte di cui non
erano forse neppure consapevoli, si aspettavano che lui li avrebbe
accolti ogni volta in Infermeria con un borbottio di rimprovero e una
mano gentile sulla spalla, pretendendolo con l'urgenza incosciente e
feroce dei bambini; e senza quella rassicurazione, senza quella
conferma chiara e concreta degli equilibri e delle leggi del proprio
mondo, nessuno di loro avrebbe più avuto il coraggio di
muovere un
passo nel buio, perché non ci sarebbe stato più
nessuno pronto ad
afferrarli se fossero caduti. Se Spock si fosse spento, tutti loro
sarebbero stati ciechi; se fosse accaduto al dottore, non avrebbero
più potuto reggersi in piedi. Per molti anni, da quando per
la prima
volta aveva intravisto le leggi feroci che compongono e infrangono
gli uomini, Leonard aveva calibrato scrupolosamente, con la spietata,
leale lucidità che gli permetteva di scorgere gli schemi
affondati
tra il sangue e la carne urlante, le distanza e le vicinanze con i
propri compagni: per timore di avvelenarli con le proprie ombre, o di
ferirli con le sue schegge se fosse caduto a pezzi. A Jim aveva
concesso di avanzare tanto profondamente, di giungere molto vicino
alle radici intense e difficili del suo cuore, perché sapeva
che
avrebbe potuto difendersi dagli orli più taglienti, e
sopravvivere
alle sue tempeste. Ma ciò non gli impediva di rabbrividire
pensando
alle cicatrici che le sue spine gli avrebbero inferto, e più
ancora
delle crepe che gli avrebbe impresso nello sguardo dopo aver rivelato
tutte le sue tenebre. Pur di non arrivare a quel momento, pur di non
tradire il proprio giuramento, aveva accettato di porre tra
sé e
coloro che amava quel solco, esile come garza, ampio come pochi
passi, quell'esilio impalpabile che gli permetteva di preservarli dai
suoi sussulti, ma di raggiungerli in tempo se fossero stati loro a
vacillare; e di tremare da solo nelle tormente, quando il vento
soffiava troppo forte e non c'era nulla a proteggere la sua schiena.
D'altra
parte, per Spock non era stata neppure necessaria una vera armatura:
il suo sangue ambiguo, l'armonia vagamente ostile della sua logica, i
suoi modi asettici, avevano eretto intorno a lui un silenzio
ammirato, una distanza riguardosa come il recinto di un tempio. I
suoi sottoposti, e più confusamente i suoi compagni, si
ritraevano
naturalmente dai confini della sua anima, raggelati in un rispetto
reverente che somigliava molto all'ammirazione senza passione che si
rivolge agli sguardi fissi dei santi e degli antichi: una devozione
immacolata, preziosa e inviolabile come il candore di una chiesa, e
che tuttavia non generava tepore.
Entrambi,
seppur in modi diametralmente differenti, seppur per combinazioni di
eventi intrinsecamente remote, aveva imparato ad apparire
invincibili, incrollabili, inesorabili: entrambi si erano trasformati
nei perni solidi e robusti attorno a cui ruotavano le orbite delicate
di decine, centinaia di vite. Se il Primo Ufficiale doveva essere il
vigile, infaticabile occhio di quell'immensa creatura di uomini e
metallo, Leonard ne era diventato lo scheletro, la salda, sensibile
impalcatura che sosteneva le scosse delle sue lotte e tratteneva
insieme le sue carni. Tutti e due condividevano la nuda, mortale
consapevolezza del peso di un simile compito: del fatto che un loro
tremito avrebbe potuto infrangere per sempre quelle traiettorie
sottili, che una sola indecisione avrebbe saputo annientare il loro
equilibrio. Anche il capitano Kirk conosceva ovviamente la
responsabilità di così tante vite, la pressione
necessaria e
terribile dei sentieri, delle speranze, delle memorie di un intero
equipaggio: ma il suo ruolo era quello di infondere luce e energia a
quel flusso di esistenze, di proteggerne e guidarne il potere verso
splendenti trionfi o leggendari nemici. Erano loro due invece coloro
che sostenevano le ordinate armonie necessarie al suo compito, che
permettevano alla vertiginosa trama di ingranaggi dell'Enterprise di
rispondere fluidamente ai comandi e ai tocchi del suo comandante;
erano loro a conoscere le viscere di quel grande corpo levigato, ad
aver scorto e raccolto le piaghe e il sangue abbandonati da ognuna
delle loro vittorie luminose. L'anima dell'Enterprise, il benevolo
sole dorato che la conduceva tra i freddi venti dello spazio, poteva
anche urlare il proprio dolore, e tremare per le proprie ferite; il
suo occhio e le sue ossa, no. E forse per questo, forse
perché le
loro mani si ustionavano e si agitavano sulle stesse dure, taglienti
giunture nascoste dietro la meraviglia delle loro imprese, erano
stati loro a riconoscere la corazza dell'altro. Per
qualche bizzarra, complicata combinazione di eventi, nel corso del
tempo avevano visto il peggio e il meglio di ognuno: Spock lo aveva
guardato quando il terrore della sua malattia lo aveva strangolato, e
il disinvolto coraggio con cui aveva affrontato Jim e il mondo si era
infranto in una tempesta di singhiozzi, scomposti e irrefrenabili
come quelli di un bambino; quando mostri antichi e crudeli, dai volti
dolorosamente familiari e incalcolabilmente alieni, lo avevano
toccato appena troppo vicino ai graffi non ancora rimarginati, e lui
non aveva potuto che ringhiare come un cane ferito; quando un uomo
scivolava nell'abisso sotto il tocco delle sue mani, e la passione
che animava i congegni della sua mente lo costringeva ogni volta a
straziarsi e scorticarsi le dita contro il cuore muto dell'universo.
E il Dottor McCoy era stato presente quando il Primo Ufficiale aveva
cominciato a temere le crepe che quegli umani stavano schiudendo
nella sua crisalide, e aveva voluto pungerli con gli orli aspri della
sua logica; quando le urgenze che aveva sempre orgogliosamente
tralasciato gli avevano ruggito nelle viscere, e si era ritrovato a
torcersi singhiozzando su una branda; quando pur di non incrinare la
sua austera filosofia, pur di non dubitare di nuovo della via severa
ma salda che aveva scelto molti anni prima, aveva scagliato i propri
compagni nelle fauci oscure delle minacce da cui avrebbe dovuto
proteggerli, dimenticando di muovere uomini e non tasselli di un
gioco. Ognuno
di loro aveva visto le ombre che minacciavano gli occhi
dell’altro,
le fragilità che nascondevano al mondo, gli angoli in cui le
cicatrici potevano ancora sanguinare. Ognuno di loro aveva visto
l’altro nel dolore, nella gioia, nella rabbia, nella miseria,
senza
nebbie, senza eroismi, senza confini: senza filtri che potessero
mitigare la realtà, o inasprirla. Erano entrambi, in fondo,
scienziati: era stato loro insegnato ad osservare i fenomeni
lucidamente, con precisione, ma mai con crudeltà, mai
spingendo lo
sguardo abbastanza a fondo da graffiare; ed era stato così,
con la
pietà scabra che condividevano, che avevano osservato le
oscurità
più vischiose, le debolezze più inconfessabili
dell’altro.
All’inizio
avevano provato ad usare quella conoscenza per colpirsi, durante i
loro primi furiosi battibecchi, quando ancora erano davvero uno
scontrarsi selvaggio di ossa e menti; ma le ferite che quelle
stoccate lasciavano si erano rivelate troppo profonde, e si erano
fermati entrambi, perché nessuno dei due aveva mai voluto
davvero
trafiggere l’altro. Lentamente, senza accorgersene, avevano
cominciato a ricorrere a quella conoscenza per sostenersi a vicenda,
e tentare di ricucire fessure che gli altri non sapevano neppure
esistere. Non potevano ignorare che quelle rivelazioni, scomode e
taglienti ,e tuttavia così intime, così
profondamente intrecciate
alle loro vene, avevano plasmato un legame tra di loro, un legame
differente da qualunque altro: più adulto, più
doloroso di quello
che allacciava entrambi al Capitano. Inconsapevolmente,
inesorabilmente, si erano trasformati in moniti, nei contrappesi
brutali e inestimabili che bilanciavano e trattenevano i voli troppo
azzardati dell'altro, quando era accecato dal dolore o dalla
superbia: riecheggiando in silenzio gli scricchiolii dei suoi sbagli,
sussurrandogli all'orecchio che anche lui era mortale. Ed in quel
ruolo entrambi si risultavano odiosi, irritanti, offensivi; ma
necessari, al modo spigoloso e scarno di un ingranaggio banale, o di
un tessuto grossolano. Jim era stato il primo a rivelare le loro
luci; ma erano stati loro due a vedere le reciproche ombre. Non era
stato facile, comprendere che quella precisione spietata, quei
confini troppo permeabili che balenavano nelle loro discussioni non
scaturivano da una distanza incolmabile, ma da una vicinanza
eccessiva; che quei giudizi sapevano percuoterli non perché
si
abbattevano sulle loro corazze, ma perché colpivano le corde
che vi
si celavano. Negli occhi dell'altro, Bones e Spock avevano scorto le
loro colpe, le loro ferite, le loro incertezze i riflessi di
sconfitte ignobili, gli spettri di rimorsi infami. C'era voluto
più
tempo prima che vi riconoscessero anche le luci dei loro trionfi; e
scoprissero quanto radiosi apparissero fra quelle ombre. Il Dottor
McCoy ricordava ancora la frustrazione, la vampa di rabbia che lo
aveva attraversato quando si era reso conto che ognuno di loro sapeva
come spezzare l'altro: che ognuno di loro era ormai capace di
strappargli il cuore. Leonard aveva affidato più volte la
sua vita a
qualcuno, e aveva stretto centinaia di volte gli intrecci sfilacciati
di quella degli altri; ma quei compiti, quei legami, erano sempre
appartenuti solo allo spazio e al tempo della sala operatoria, alla
terra aspra e nitida in cui si combattevano vita e morte. Si era anzi
sempre impegnato per recidere al più presto i vincoli di
quegli
istanti e liberare il prima possibile i suoi pazienti,
perché il suo
compito era preservare le possibilità della mente e del
corpo di un
essere umano, e non trasformarlo in un agglomerato di carne e tendini
che lui poteva dominare o dilaniare. Con Spock, invece, aveva
travalicato quei confini, ritrovandosi a riconoscerne i tremiti, a
ricordarne le incrinature anche fuori dall'Infermeria, e comprendendo
che anche l'altro poteva vedere così profondamente oltre la
sua
pelle. Così, Bones non aveva trovato che una
soluzione:concedere
anche al Primo Ufficiale la fiducia dei medici, la fiducia dei pari;
la sicurezza che l'altro saprà come aiutarti e quando
sorreggerti,
semplicemente perché conosce le tue tenebre e le tue luci.
Anche
Spock, appena era diventato consapevole di quel nuovo patto, lo
aveva apprezzato: la conoscenza troppo brutale e troppo intima che lo
aveva turbato fino a quel momento era diventata riposante, quasi
balsamica, la certezza confortante e sconvolgente che vi fosse
qualcuno, nell'universo, che non avrebbe più potuto
offendere o
scandalizzare davvero. E non importava che continuassero a pungersi e
azzuffarsi nei loro eterni litigi, o quanto potessero infuriarsi con
l'altro, o quali insulti e insinuazioni si lanciassero contro,
perché
la catena d'acciaio, la catena segreta del loro vincolo, non si
spezzava; e piano, continuava ad accarezzarli, in ogni gesto e ogni
sguardo che si scambiavano, sussurrando la loro promessa: di vigilare
sulla schiena dell'altro, impedendogli di smarrirsi nei suoi baratri,
e di dimenticare lo splendore dei suoi trionfi. Perché
sebbene
mostrassero al resto dello spazio il contrario, avevano scoperto che
entrambi avevano bisogno di qualcuno che potesse sorreggerli quando
cadevano, e non distogliere lo sguardo quando tremavano come tutti
gli altri uomini.
E
tacitamente, inconsapevolmente, sia il dottore che lo scienziato si
erano offerti per quel ruolo.