Just Bones

di Ceci Princessofbooks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bones and Souls ***
Capitolo 2: *** Feeling in the Bones ***
Capitolo 3: *** Precious Bones ***
Capitolo 4: *** Bones' Bonds ***
Capitolo 5: *** Bones' Sanctuary ***
Capitolo 6: *** Truths in the Bones ***



Capitolo 1
*** Bones and Souls ***


Hoping 2

É da parecchio tempo, in realtà, che desidero scrivere una raccolta simile: considerato che amo Star Trek, le serie di storie e i due adorabili studiosi di cui si parla qui sotto, mi è sempre parsa infatti un'opzione più che appetibile. Ma ora, passiamo alle doverose note tecniche.

Non ho idea del numero di capitoli a cui arriverò, ma l'argomento sarà comune: vorrei infatti scrivere una sequenza di racconti, principalmente flash-fics e one-shots, incentrati sul Dottor McCoy, e in particolare sullo sviluppo del suo legame con Spock; molti si potranno tranquillamente interpretare sia come semplice, profonda amicizia sia come pre-slash, ma è possibile che in qualche capitolo successivo la sfumatura romantica diventi più marcata, seppur sempre con toni delicati: da qui la decisione di inserire "slash" tra gli avvertimenti. Come avrete dedotto, il titolo della raccolta gioca sulla parola "Bones", che si riferisce sia al soprannome del nostro dottore, sia alle "ossa" vere e proprie: ogni capitolo riprenderà questo doppio significato, con riferimenti più o meno velati al suo contenuto. Conoscendomi, la frequenza degli aggiornamenti sarà piuttosto irregolare: per ora ho tre capitoli quasi completi che cercherò di pubblicare con una certa costanza, ma per il futuro non mi pronuncio. Tuttavia, ringrazio in anticipo chi ha deciso di aprire il mio timoroso omaggio agli splendidi eroi di quella serie: dedico il mio lavoro a tutti coloro che amano come me questi straordinari uomini di carta, le loro avventure, e la bellezza dell'amore, in ogni sua sfumatura.


Bones and Souls


Riflettendovi attentamente, Spock aveva infine concluso che i suoi sentimenti per il Dottor McCoy fossero davvero incongrui. Il medico sembrava infatti recare in sé tutti i difetti che maggiormente criticava negli esseri simili a lui: un temperamento scostante e impetuoso, un' indisciplinata, caustica ironia spesso incomprensibile e una sconvolgente inclinazione per imprecazioni di una tortuosa complessità addirittura affascinante. Considerando questo elemento, e il fatto che quasi tutti i loro contatti si concludessero con qualche bizzarro, improbabile insulto indirizzato alle sue orecchie o ad altri dettagli della sua persona, sarebbe stato ragionevole supporre che la sua unica reazione fosse la flemmatica e moderata irritazione caratteristica del suo popolo. Invece, nonostante lo scontro sgraziato delle loro indoli, nonostante le furiose filippiche che gli venivano quotidianamente gridate dietro, e nonostante la sconcertante rapidità con cui il chirurgo si accendeva d'ira, aveva assistito, mentre condividevano viaggi, pericoli, e semplice domestica quotidianità, al sorgere in lui di un'ammirazione radicata, sottile, curiosamente vivida per quell'uomo orgoglioso e imprevedibile, in un flusso lento e impercettibile che si era rivelato anche completamente inarrestabile; e inestricabilmente intrecciata alla stima, avvertiva anche la presenza di un'impressione più tenera, più calda, più misteriosa, e tuttavia soffusa di un bizzarro ed innegabile senso di conforto.
Di conseguenza, seguendo la sua connaturata, rigorosa urgenza di analisi, si era adoperato alacremente per scoprire l'origine di quelle percezioni tanto inusuali e inspiegabili, cominciando a trascorrere molto tempo a studiare e osservare scrupolosamente il dottore.
L'esasperante, irriverente testardaggine di quest'ultimo si era rivelata indiscutibile, così come incontrovertibile era il furore chiassoso e subitaneo di cui era capace; non c'erano inoltre dubbi sul fatto che, nei giorni in cui si aggirava per la nave con un torvo e inquietante cipiglio sul volto, la sua compagnia potesse rivelarsi solo o molto spiacevole o molto rischiosa; e certamente i suoi ragionamenti, nonché le furibonde e contorte maledizioni che bofonchiava più o meno continuamente contro la sua algida civiltà e il cosmo intero, apparivano spesso al Primo Ufficiale a dir poco enigmatici. La sua intera natura pareva costituire un inestricabile, convulso groviglio di irrefrenabili proteste e devastanti fiammate.
Era insomma l'uomo più rabbioso, scorbutico, lunatico e intrattabile che avesse mai conosciuto; ma vi era anche un'altra essenza in lui, una porzione più cruda e affilata, come l'emisfero sconosciuto di un pianeta, che tuttavia da sempre, in determinate circostanze, balenava in improvvisi e folgoranti bagliori appena oltre il margine del suo sguardo. Quando Bones si ritrovava di fronte ad uno dei suoi pazienti, mentre le grida insanguinate dei feriti addensavano l'aria e appesantivano perfino il suo imperturbabile respiro di Vulcaniano, lo sguardo tempestoso del chirurgo diveniva fermo e limpido, colmato da una lucidità rigorosa e potente, come se la passione irruenta che riversava comunemente nei suoi malumori si incanalasse durante quei momenti in una concentrazione implacabile, sorprendentemente siderale, impietosamente penetrante; quasi che il suo compito, il patto che aveva onorato da quando era un medico, fosse così importante, così fondamentale e prezioso da poter eclissare anche la sua litigiosa fierezza da uomo del Sud.
Era quella, l'unica vera missione di Leonard McCoy; l'unico giuramento a cui tributasse una devozione autentica e incrollabile, e l'unico ideale per cui sarebbe stato disposto a morire. E Spock sapeva che nessuna delle loro eroiche campagne, nessuno degli ordini gloriosi imposti dalla Federazione, nessuno dei principi immacolati e composti che tutti loro servivano avrebbe potuto vincolarlo più intimamente e solennemente della promessa di bende e sangue che stringeva ogni volta con i suoi pazienti.
Ma non c'era solo questo: nel guardarlo in quelle occasioni, in quegli istanti in cui il dolore e la morte sembravano scuotere e minacciare ogni ordine e ogni logica, Spock riusciva finalmente a carpire l'autentica giustificazione delle emozioni, il significato di quel viluppo volubile e palpitante che la sua gente riteneva così superfluo; e che ora, però, lui era arrivato a comprendere.
Perché era quella forza vulnerabile e selvaggia ad accendere nella mente di Bones parte della sua grandezza, ad arricchire la sua logica con gli strappi scintillanti dell'intuizione, a infondere l'energia tenace e disperatamente viva necessaria al meccanismo del suo intelletto, come il flusso frenetico e incontrollato di atomi che anima un motore. Perché quando lavorava diventava l'incarnazione dell'uomo nella sua pienezza, dell'armonia prodigiosa tra i cristalli della ragione e i sussulti di un animo umano; e ogni replica bellicosa, ogni insopportabile sconsideratezza pareva confluire e splendere in un incastro di chiara bellezza, meravigliosamente comprensibile e straordinariamente complesso.
Sì, i suoi sentimenti per il dottor McCoy erano davvero incongrui.
Ma Il Primo Ufficiale, in un qualche angolo remoto e segretamente sincero del suo spirito, era certo che sarebbe stato sempre disposto a sostenere le loro ragioni.

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Capitolo 2
*** Feeling in the Bones ***


Ecco a voi il secondo capitolo della mia raccolta, che, con mio immenso piacere, ha ricevuto degli splendidi commenti: ringrazio tutti coloro che hanno recensito, sperando che il nuovo parto della mia mente possa piacervi. Qui, per la gioia di alcune di voi, farà un'apparizione anche Jim, perché, sebbene adori gli altri due, amo molto il modo in cui vuole bene ai suoi due bizzarri, cocciuti migliori amici. Prima di lasciarvi alla lettura, volevo sottoporre una domanda tecnica:  avevo pensato di aggiornare più o meno ogni mese, od ogni tre settimane, a seconda del tempo e dell'ispirazione. È troppo? Devo provare ad essere più veloce? Accetto liberamente suggerimenti. Intanto vi auguro buona lettura, e vi ringrazio ancora.

P.S.:Scusate per l’impaginazione, ma io e l’html abbiamo spesso de problemi di comprensione.

 

 

Feeling in the Bones

 

 

Chiunque, limitandosi ad un'osservazione casuale e poco approfondita, sarebbe certamente giunto alla conclusione che il Primo Ufficiale Spock e il Dottor McCoy non potessero in alcun modo essere più differenti: li avrebbe giudicati anzi totalmente antitetici, inesorabilmente distanti, come due stelle opposte e incompatibili il cui unico elemento comune possa essere la forza sfolgorante con cui si scontrano. L'impressione del capitano Kirk, il giorno in cui aveva assistito al loro primo, leggendario battibecco, era stata infatti l'oscura inquietudine di chi si trovi di fronte a due poteri speculari e altrettanto devastanti: se in uno vegliava una spoglia, granitica logica, nell'altro era un cuore di sangue e passioni ad animare i complicati ingranaggi del suo intelletto; se Spock era un silente e severo deserto, Bones possedeva il bagliore impetuoso e mutevole dei vasti fiumi celesti che nutrivano la sua terra. Jim aveva tentato  per lungo tempo di attenuare quelle differenze, di limare gli orli acuminati del Vulcaniano, di smussare le scabre asperità di Leonard; ma il torrente e la roccia avevano continuato a cozzare, a lottare, a combattersi in vampe di scintille sfrigolanti, instancabilmente e implacabilmente. E alla fine, il capitano aveva concluso che nulla sarebbe mai cambiato, e si era rassegnato a svolgere per sempre il ruolo di mediatore tra quelle nature diametralmente diverse e ugualmente tortuose.

Era stato proprio allora, però, che Kirk si era improvvisamente reso conto che tra quei due spiriti esistevano in realtà richiami sottili, segrete simmetrie inscritte nei confini del loro essere, impensabili e tuttavia geometricamente perfette; che le spirali di sabbia delle dune si plasmavano nelle stesse forme dei tremolii dell'acqua. Nei momenti in cui era particolarmente sconcertato o confuso, il sopracciglio di McCoy si inarcava in un modo quasi identico a quello del Vulcaniano; le mani di Spock, quando danzavano tra i delicati, intricati esperimenti di una nuova ricerca, fremevano della grazia fluida e appassionata con cui le dita di Bones sfioravano un corpo; lo schietto, compassionevole disincanto del dottore non era che lo specchio franco e accessibile dell'austera lucidità del Primo Ufficiale. In ognuno di loro si ritrovavano accenni dell'altro, sfumature che solitamente venivano quasi schiacciate dalla ricchezza degli spiriti a cui appartenevano, e che nell'altro riacquistavano invece  il loro originale valore, la loro antica luce. Il capitano l'aveva compreso con allegro stupore e un certo malizioso divertimento, infinitamente compiaciuto sia dal pensiero delle espressioni dei due interessati davanti a una simile rivelazione, sia dalla sensazione istintiva e sfuggente che finalmente due fondamentali tasselli della sua vita avessero trovato la loro naturale collocazione; e mentre le fiammeggianti sfuriate di uno e le glaciali repliche dell'altro continuavano a seminare il terrore per la nave, i suoi interventi erano diventati meno solleciti, e i suoi rimbrotti più sogghignanti.

Per molto tempo era stato l'unico depositario di quel segreto, l'unica creatura nell'intero universo consapevole dei grovigli di concordanze e assonanze che scorrevano sotto il frastuono iroso delle loro battaglie. Ma alla fine, a causa della sua implacabile acutezza di medico, anche Leonard si era reso conto che la loro sfrontata, stizzosa ostilità non era che la goffa manifestazione di una vicinanza troppo diretta e troppo improvvisa: lo aveva sentito nelle vene, nelle ossa, come aveva sentito da bambino di essere nato per curare gli altri. Si era adoperato ferocemente per allontanare quell'intuizione, per frantumarla sino a trasformarla in un abbaglio bislacco, ma alla fine non c'era stato modo di negarlo: se lui e Jim addomesticavano le reciproche fiamme, e Kirk e il suo Primo Ufficiale si completavano con armoniosa, disciplinata agilità, Bones e Spock si richiamavano nell'intesa inconscia e brutale di un lago e del cielo che vi si riflette. Per sfuggire a quell'intuizione, il dottore aveva inseguito furiosamente per intere galassie e centinaia di creature diverse una comprensione così articolata e involontaria: aveva avvicinato alieni dai volti di pietra scintillante, aveva provato affetto per esseri stupefacenti ed ammalianti, aveva difeso i membri di civiltà dai tratti spaventosi e dallo spirito pietoso; ricordava frammenti vivi e minimi di cosmi straordinari, mondi remoti, e vi veniva a sua volta ricordato. Eppure quasi tutte le amicizie che aveva cercato, quasi tutte le complicità che aveva accuratamente costruito e custodito si erano rivelate meno intense di quell'affinità inaspettata e accidentale. La loro era una somiglianza profonda, sgraziata, accesa di una qualità quasi violenta, come se le loro anime si fossero in qualche modo scontrate e malamente incastrate: per la maggior parte del tempo era una percezione sgradevole e frustrante, perché se si vedevano riecheggiare nell'altro si divincolavano con selvaggia ostinazione, torcendo quei legami fin quando non sanguinavano; ed era anche conturbante, un'unione troppo oscura e troppo grande per poter rientrare nei canoni che ognuno di loro aveva appreso e riconosciuto. Ma talvolta, nei silenzi abissali e liberi delle notti di quiete o nel frastuono furioso delle guerre, entrambi si arrendevano a quel legame, e mentre i tendini e le connessure che li intrecciavano si distendevano, traevano forza, anche senza saperlo, dal riflesso inaspettatamente familiare che scorgevano negli occhi al loro fianco: ed allora non importava più che quella vicinanza non avesse un nome, o che non sapessero ritrovare i passi che li ci avevano portati, o che vi fossero centinaia di motivi per cui sarebbe dovuta apparire assurda, insensata, casuale. E anzi la ragione per cui quell'intimo accordo esisteva, per cui una parte del loro spirito aveva attraversato il gelo dello spazio per aggrovigliarsi ad un'altra, diventava in quei momenti chiara e lucente come cristallo: perché potessero ritrovarsi lì, nel vascello in cui gli uomini non avevano né patria né esilio, e proteggere la luce dell'altra metà di quell'intreccio segreto.

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Capitolo 3
*** Precious Bones ***


Eccoci al terzo capitolo della mia raccolta! Come sempre, mi sembra prima di tutto opportuno ringraziarvi per i vostri commenti e per il vostro supporto; voi infatti non lo sapete, ma per me il terzo capitolo di una storia ha qualcosa di critico, perché è il momento in cui di solito corro il rischio di fermarmi tragicamente: quindi le vostre favolose recensioni sono state davvero importanti. Passando al capitolo, che credo vi interessi più delle mie bizzarre idiosincrasie, è nato dalla combinazione di una riflessione che mi indugiava da un po' nel cervello, e da un tema a me molto caro e molto classico: nonostante tutti gli stereotipi che li circondano, infatti, io sono una di quelli che alla menzione degli eroi, che siano i cavalieri della Tavola Rotonda o i protagonisti di un film di rudi Marines americani, rimane ineluttabilmente affascinata e commossa. Così ho mescolato tutto in una sequenza di periodi, e li ho costretti nella bocca del nostro Vulcaniano preferito. Ditemi se il trucco è riuscito.

Alla prossima, Ceci


Precious Bones


Spock, a differenza di ciò che molti dei suoi compagni dell’equipaggio supponevano, sapeva cosa fossero gli eroi.

Nonostante la lucidità rigorosa con cui aveva scelto d esplorare e giudicare il mondo, non era insensibile alla grandezza: negare che gli uomini potevano essere straordinari sarebbe stato illogico quanto ignorare che sapevano essere atroci. Da bambino, e poi durante la sua intera esistenza, non aveva anzi mai rinunciato ad ammirare altre creature, a riconoscere la luce di una natura eccezionale negli uomini antichi di cui apprendeva le opere o le parole; aveva immaginato e inseguito e prediletto miti, come qualsiasi membro di qualsiasi popolo. Il suo disincanto, la sua apparente incapacità di commuoversi di fronte a gesta e racconti, non nascevano da un' algida superbia Vulcaniana, o da una sorta di dispettosa diffidenza verso le manifestazioni di calda nobiltà umana: semplicemente, i suoi eroi erano sempre stati diversi.

Spock era stato cresciuto con l'ideale Vulcaniano di eroe. Ricordava bene il grande libro di fiabe della Terra, trapuntato di figure lussureggianti e fantastiche, che sua madre gli leggeva alla sera, ma per lui i veri eroi erano stati i signori della Logica: gli eruditi più austeri, i monaci più ascetici e rigorosi, gli uomini dal contegno solenne e dallo sguardo implacabile che talvolta visitavano suo padre nel giardino interno del loro palazzo. Erano modelli concreti e severi da perseguire con fermezza, idoli imperturbabili che non dovevano ispirare sogni ma precise ambizioni, lontani e duri come astri. Erano esseri rari che si erano votati completamente alla ragione, a quella freddezza abissale che pochi, anche nel suo popolo, avevano davvero compreso, che avevano avuto la nobiltà e il coraggio per rinunciare ad ogni egoismo ed ogni sentimento; creature che, più che compiere gesta strabilianti e uniche come gli eroi della Terra, avevano raggiunto con pazienza e dedizione i vertici più lontani e più perfetti dei principi della sua gente. Aveva quindi giudicato totalmente illogico, immaginare che quella virtù potesse fiorire anche tra creature turbolente e caotiche come gli umani; assolutamente impensabile, che luci simili potessero esistere proprio in coloro che lo accompagnavano nel suo viaggio tra le stelle.

Prima che il tempo e gli incontri affinassero la sua saggezza, e prima che i sorrisi pazienti dei suoi compagni mitigassero le asprezze della sua mente, Spock aveva ritenuto che le azioni e le scelte del Capitano e del Dottor McCoy potessero essere spesso affascinanti, bizzarre, generose, onorevoli, ma non eroiche; che non ci fosse altro modo di essere eccezionali che l’imparare ad abbandonare con sempre maggiore abilità le ombre e le nebbie che possono offuscare la coscienza, il disciplinare con la sola forza della propria mente gli impulsi e le passioni che gli altri popoli credono irrefrenabili: il librarsi tra le geometrie nette in cui lui trovava conforto. Aveva immaginato che al di fuori della sua civiltà e della sua filosofia, non potessero davvero esistere imprese e parole degne di diventare leggende. Presto, si era reso conto di quanto si fosse ingannato.

Ognuno di loro, aveva lentamente compreso, sia il Capitano, sia il dottore, sia lui stesso, davanti ai pericoli e ai sogni che avevano affrontato in quegli anni aveva compiuto gesti straordinari, esponendo il proprio corpo e la propria mente per proteggere un uomo, una terra, un’idea; in ognuno di loro, si era trovato a riconoscere i lampi di una lucentezza rara, come quella che traspare dai miti e dalle storie: e se non era la stessa che aveva sempre cercato e compreso, era comunque qualcosa di altrettanto eccezionale, e ugualmente prezioso. Tutti e tre, secondo l'opinione comune e infine anche la sua, possedevano la scintilla della grandezza, quella qualità impalpabile e leggendaria che aveva sempre saputo percepire così bene: semplicemente, dovevano seguire sentieri diversi per raggiungere quelle vette; innescare meccanismi differenti, per rivelare il loro potere. Il Capitano era quanto di più vicino avesse mai incontrato agli eroi della Terra che avevano vegliato sulle sue sere da bambino: un cavaliere intrepido e dorato, in grado di combattere con forza ogni insidia e sfidare con audacia ogni minaccia, ma che traeva tuttavia il suo valore da un’umanità incrollabile, e da una sconfinata lealtà per la sua gente e la vita che era in realtà amore. Ma questo non era stato particolarmente complesso, da accettare: si trattava in fondo di un valore accessibile, chiaro, familiare anche per un Vulcaniano che condivideva, almeno in parte, il sangue di quella stirpe.

Inizialmente, invece, non aveva visto quella scintilla nel Dottor McCoy: il medico non rientrava in nessun modello di eroe, né Vulcaniano né umano; e appariva troppo irascibile, troppo concreto, troppo fragile per esserlo. Aveva quindi dovuto osservarlo più a lungo, per accorgersi che quell’uomo era capace di pensieri e imprese ammirabili quanto le loro, e che in lui c'era la luce che molti scorgevano in Jim e in Spock stesso. E aveva dovuto studiare a lungo, con un’intensità quasi testarda, anche i modi in cui il Dottor McCoy conquistava i suoi vertici: perché spesso gli sembravano assurdi, dissennati, oscuri, persino folli, e tuttavia non poteva negare ciò che aveva ormai riconosciuto. L’aveva visto gettarsi fuori da un riparo durante una battaglia per soccorrere un caduto, senza curarsi dei proiettili o dello stemma sulla divisa del ferito; l'aveva osservato medicare senza guanti uomini divorati da mali contagiosi e terribili; l'aveva trovato a sanguinare sulle sue stesse mani, senza attenzione, per non sottrarre tempo ad un paziente. Una sera gli aveva anche chiesto perché agisse così, perché a volte, quando esercitava la sua arte, si comportasse in modo così sconsiderato e così pericoloso; il dottore curiosamente non si era irritato, ma gli aveva lanciato uno sguardo penetrante, sorpreso, e gli aveva risposto subito, come seguendo un istinto: -Perché io funziono così-.

Il primo Ufficiale si era interrogato spesso su quel rompicapo, su come combinare i frammenti confusi che nel corso del tempo il dottore gli aveva concesso; e alla fine, aveva trovato una risposta, un meccanismo.

Spock doveva distaccarsi dal mondo, rifugiarsi in un cosmo di linee vitree e chiarezze siderali per poter analizzare, combattere e forse debellare un'avversità: doveva spogliarsi del peso necessario e tremendo del sangue, dell'affetto, della lealtà, per tramutarsi in un essere dalla mente implacabile, dalla logica remota, senza passioni e senza pietà come le stelle. Il Dottor McCoy, invece, era il suo opposto: lui doveva gettarsi nel caos e nell'orrore, affondare le dita fino alle radici del dolore per vederlo, conoscerlo, estirparlo. Quando operava, o quando soccorreva un ferito durante le loro missioni, le sue mani si tendevano, sfioravano, stringevano, arginavano, fino a ricoprirsi di fluidi scuri, fino a impregnarsi di chiazze rosse e rigurgiti densi: perché in quelle occasioni nulla importava, se non evocare i suoi occhi e le sue dita, i suoi veri strumenti, ed usarli per scoprire il meccanismo segreto per alleviare la sofferenza di quel corpo e preservare quella vita. Per riuscirci, Bones aveva bisogno del contatto, di confondere il suo fiato con quello di chi stava curando, di avanzare attraverso il sangue e i veleni, mescolandosi ai tendini lacerati e alle urla terrorizzate, lasciandosi sommergere dai loro tocchi violenti. E ogni volta, ciò che gli sfiorava la pelle poteva rivelarsi fatale: avrebbero potuto essere gocce di liquidi mortali, cellule di virus, polveri di sostanze sconosciute, senza che Leonard vi prestasse attenzione; senza che si curasse di quanto di tutto quello potesse insinuarsi in lui, nei suoi respiri, nelle sue vene.

Spock era giunto alla conclusione che entrambi i loro sentieri fossero una sorta di prezzo, un contrappasso preteso dal mondo in cambio dei doni che aveva loro concesso: come se, mentre la sua reclamava nude, immobili lontananze, la mente del Dottor McCoy esigesse l'esperienza, le percezioni dei sensi, l'affondare fino al centro del male per liberare il suo potere. Anche nei sentimenti, aveva compreso il Primo Ufficiale, nulla cambiava: per consolare qualcuno, per ricomporre uno spirito spezzato, Leonard doveva spingersi fin nel profondo, lasciandosi marchiare dal dolore, e non preoccupandosi di evitare che lo strazio di un altro bruciasse e infettasse di nuovo le sue cicatrici. Era per questo che tante volte dopo una missione disastrosa aveva trascorso la notte nell'Infermeria, ad ascoltare gli orrori sussurrati dai sopravvissuti, con le loro teste nascoste contro la spalla e gli occhi accecati dalle lacrime.

La prima volta, il Vulcaniano lo aveva giudicato illogico; ma poi i discorsi che gli aveva rivolto il medico, e più ancora i prodigi che avevano compiuto le sue dita, lo avevano costretto a riconoscere i meriti di quel metodo azzardato, ad imparare a rispettarlo: persino ad apprezzarlo, e a temerne le conseguenze. Così, quando il dottore si chinava sui feriti di qualche remoto pianeta, sondando e riparando con la sua ferma, stupefacente delicatezza, si era ritrovato ad osservare le mani di Bones, senza poterselo impedire, trattenendo il fiato mentre premevano su membrane marce e si coprivano di fiotti oscuri. Sapeva di ammirarlo per il suo coraggio, per quella capacità sconvolgente di affrontare qualunque minaccia immergendosi nel suo potere e accettando il rischio di rimanerne ferito, nonostante il suo corpo fosse tanto più fragile e vulnerabile di quello di un Vulcaniano; sapeva che quello era il suo modo di essere un eroe. Ma nonostante tutto Spock non poteva evitare che ogni volta in cui McCoy si sollevava dai suoi pazienti, barcollando sotto i grumi del sangue e dello sfinimento, un brivido sottile di paura gli formicolasse lungo la schiena; e allora non poteva che porsi silenziosamente, ostinatamente al suo fianco, pronto a sostenerlo, nel caso in cui il veleno fosse riuscito infine a lambirgli il cuore.


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Capitolo 4
*** Bones' Bonds ***


Quarto capitolo della mia raccolta, anche se abbastanza in ritardo... perdonatemi, ma trovare il tempo e la concentrazione necessaria per una revisione costituisce una missione intrinsecamente complessa. Stavolta l'attenzione è tutta per il nostro Dottore: ho ritenuto opportuno occuparmi un po' della sua diretta psicologia, per quanto ritenga che i punti di vista di Spock e Kirk possano delineare il suo spirito con delle pennellate estremamente profonde e ricche di possibilità. Il nome del mentore di McCoy è Osler, in onore di William Osler, celebre chirurgo ottocentesco e vero riformatore dei metodi di insegnamento della medicina, e in particolare primo insegnate a portare gli studenti fuori dalle aule per assicurare loro una diretta esperienza del lavoro di dottore: considerato l'atteggiamento del nostro Bones e la sua predilezione per le tecniche che implicano lo stabilirsi di legami umani, mi sembrava plausibile che anche il suo maestro sostenesse idee simili. Come sempre, grazie per tutti i vostri commenti, e per la vostra partecipazione a questo mio bislacco e ambizioso progetto.

Alla prossima, Ceci

P.S.:Per il titolo, devo ringraziare mia mamma e i suoi suggerimenti: lode ai parenti creativi, e pazienti con gli aspiranti scrittori.



Bones' Bonds



Certi giorni, Leonard odiava possedere le sue conoscenze. Odiava essere in grado di elencare in qualunque momento tutti i tipi di frattura alla gamba che Umani e Vulcaniani potevano riportare, o ricordare con precisione le centinaia di circostanze per cui una ferita si sarebbe infettata, o sapere così bene quanto gli agglomerati di proteine che chiamavano corpi fossero vulnerabili; odiava, pur sapendo quanto fosse stato prezioso per molte esistenze e molti individui, la facilità con cui poteva immaginare e vedere le sfaccettature del dolore, e della morte. Quelle conoscenze diventavano insopportabili soprattutto le volte in cui Spock e Jim andavano in missione senza di lui: perché allora Bones non riusciva ad impedire alla sua mente di enumerare ogni minaccia e ogni debolezza che avrebbe potuto tradirli, ogni male che avrebbe potuto divorarli, e trascorreva le ore fino al loro ritorno sgranando i minuti in ipotesi angosciose e sospetti orribili: visioni vecchie e nauseanti di ossa spezzate e pelle bruciata e occhi morenti. E tutti i suoi fantasmi, tutte le ombre e gli sguardi di coloro che non aveva salvato, in quei momenti tornavano ad assediarlo, scandendo il tempo con i loro echi freddi, rivestendo di volti dolorosi e carne urlante ogni supposizione che lo attraversava, e non tacevano fino a quando sentiva i passi fluidi di Spock e la risata di Kirk avvicinarsi di nuovo all'Infermeria.

D'altronde, lo aveva capito molti anni prima. La medicina era un grande dono, e un grande potere, ma esigeva un prezzo: quello di essere sempre il più pessimista, il più irrequieto, il più sospettoso; quello più consapevole di quanto mortalmente fragili fossero gli uomini. Jim aveva riso, la prima volta che nell'attesa di uno sbarco aveva consegnato a lui e a Spock quattro kit medici con furiosa scrupolosità, affermando che nemmeno sua madre era mai stata tanto apprensiva;quella volta Leonard gli aveva risposto che doveva ricordare di trovarsi davanti non solo un medico, ma anche un uomo della Georgia, dotato perciò di tutta la torva, ostinata sollecitudine delle madri che avevano popolato la sua infanzia. Ed era vero; il suo sangue gli imponeva di difendere ciò a cui teneva senza tenere minimamente conto delle convenzioni, dei tempi o delle circostanze, e la sua disciplina gli insegnava ogni giorno quanto fosse spaventosamente semplice scivolare al di là della vita e perdersi: e se quella combinazione, quella misteriosa mescolanza di istintiva dedizione e spietata lucidità scientifica costituiva il grande motore della sua mente, più volte l'aveva guidato a vette vertiginose, e più volte l'aveva condotto sull'orlo negli abissi da cui strappava gli altri uomini. E poi, c'erano le ragnatele.

Il Dottor McCoy sapeva come erano costruiti i cervelli degli umani e dei Vulcaniani, e quindi anche quelli dei suoi due migliori amici: ne aveva studiato i modelli all'università, li aveva visti nelle radiografie, li aveva snudati durante le operazioni. Conosceva perfettamente la forma e il peso dell'encefalo, la struttura delle ramificazioni nervose, le danze di ioni che le rendevano vive: ed era consapevole di come in realtà non fossero meccanismi meno saldi degli altri. Eppure, quando pensava ai pericoli che incombevano sui suoi pazienti, o quando sopportava quelle disperanti attese nell'Infermeria dell' Enterprise, la sua mente correva sempre a quel groviglio disperatamente leggero di condotti, a quell'albero di reticoli e impulsi troppo sottili, troppo facili da spezzare: e per qualche motivo sconosciuto, aveva cominciato a vederli come il simbolo di tutte le minacce che potevano colpire un organismo, l'emblema della fragilità che, al di là di tutta la sua audacia e la sua tecnologia, l'uomo si portava dentro.

Era una paura che lo seguiva fin dai suoi anni da studente: il timore affascinato di fronte ai canali finissimi e delicati che custodivano l'anima di ogni individuo, l'inquietudine viscerale davanti a un sistema tanto potente e tanto effimero; per lui, che amava le mangrovie enormi e possenti su cui si arrampicava da bambino, quelle radici non sembravano abbastanza forti, abbastanza solide, per essere tutto ciò che univa i corpi alle menti che li abitavano.

La prima volta che aveva visto il sistema nervoso di un uomo, quando era ancora uno specializzando, era rimasto sconvolto da quanto apparisse fragile. Non era corretto, aveva pensato, non era possibile che fosse così facile strappare ad un individuo la sua mente; che per qualche scherzo crudele la natura avesse affidato la parte più preziosa e più necessaria di un essere umano a quell'intrico di rami tremanti. Con mani leggere, incerte, aveva percorso gli orli del midollo, le tenere spirali infinitamente mutevoli del cervello, le ramificazioni pallide, sottili come ragnatele, dei nervi: e il pensiero che un'intera esistenza dipendesse da un incastro così delicato, che un semplice tocco potesse annientare e distorcere per sempre lo spirito di un uomo, lo aveva paralizzato. Continuando a fissare quei ricami indifesi, aveva chiesto al suo mentore di ricucire subito, di chiudere di nuovo l'incastro nella sua corazza di ossa e carne, al sicuro. Il dottor Osler l'aveva mandato al diavolo, gli aveva spinto brutalmente il bisturi tra le mani e gli aveva ordinato di cominciare l'operazione, perché solo così avrebbe potuto proteggere davvero quell'intreccio: perché solo se le sue dita fossero affondate tra quei filamenti, accettando il rischio di strapparli, l'incastro non si sarebbe spezzato.

Leonard non aveva mai dimenticato quella lezione, anche dopo tutti gli anni e tutte le cicatrici che erano passati. E con il tempo, aveva compreso che spesso si doveva agire nello stesso modo con coloro che si amava: non trattenerli, non tentare di preservarli da ogni pericolo, ma azzardare, spingere la lama fin all'interno, perché in certe occasioni quello era il più grande gesto d'amore che si potesse compiere.

La paura non lo aveva mai davvero abbandonato; era terribili conoscere gli orrori che avrebbero potuto stroncare volti amici, era terribile non sapere chi sarebbe tornato, e chi non sarebbe riuscito a salvare: per lui, Spock e Jim sarebbero sempre stati due di quei cervelli, due ragnatele complesse, meravigliose, spaventosamente esposte. Ma sapeva anche che entrambi dovevano vivere in quel modo, rischiando e patendo e lottando, nelle immensità selvagge dello spazio, e che rinchiuderli tra le ossa sicure dell'Infermeria, nella carne protettrice dell'Enterprise, avrebbe solo negato al mondo scoperte e avventure eccezionali, e li avrebbe divorati. Perciò ogni volta li lasciava andare, lanciando loro dietro solo qualche scontrosa raccomandazione, senza trattenerli davvero, pur sapendo quanto fossero fragili le radici delle loro vite, e quanta parte del suo cuore avrebbero strappato spegnendosi: perché talvolta era questo ciò che gli comandava l'amore che lo legava a loro. Perché talvolta bisognava solo infilare il bisturi nel profondo, tra i nervi sottili, per essere un buon dottore.

E ogni volta, pregava che anche quel giorno le ragnatele non si sarebbero spezzate.

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Capitolo 5
*** Bones' Sanctuary ***


Ebbene sì: dopo due mesi suonati di silenzio sono finalmente riuscita a compiere l'improba impresa di pubblicare il mio quinto capitolo:; mi scuso moltissimo per il mio ritardo, ma la prodigiosa capacità di maggio di prosciugare il tempo degli studenti mi ha duramente sconfitta. Passiamo però al mio racconto, argomento che ritengo decisamente più interessante delle improbabili angherie inflitte dai mesi. Il tema questa volta è azzardato, crudo, forse esagerato, ma non nasce per essere una provocazione: è una riflessione che ho maturato lentamente, scrupolosamente, e che reca in sé molto di ciò che riesce a strapparmi un fremito. Capisco che possa risultare conturbante in certe conclusioni, quindi, a costo di apparire prolissa, voglio assicurare che si tratta esclusivamente di giudizi personali, nel pieno rispetto di ogni convinzione e pensiero: mi taglierei una mano prima di offendere consapevolmente qualcuno.

Ultimo avviso: può darsi che nei mesi a venire i miei aggiornamenti diventino ancor più sporadici (ebbene sì, è fisicamente possibile), poiché, nel disprezzo di ogni ragionevolezza e di ogni buonsenso, mi sono imbarcata in un azzardato progetto letterario in inglese che dovrei finire in tempi relativamente brevi. Sappiate però che non abbandonerò i nostri ragazzi: ormai hanno scavato troppo a fondo nella mia anima e si sono ingarbugliati troppo intimamente alle mie ossa perché possa metterli da parte. Vi lascio ora alla mia storia, assicurandovi che ho convogliato sangue, fiducia e inchiostro nelle sue pagine, nella speranza di trarne fuori un grumo di armonia.

Buona lettura, e alla prossima, Ceci



Eppure è sempre l'antica umana razza, la stessa, dentro e fuori,

facce e cuori gli stessi, gli stessi sono affetti e desideri.

Lo stesso antico amore, e la bellezza, e il modo di usarne.”

Walt Whitman, da “Foglie d'erba”



Bones' Sanctuary



Nella sua vita, il Capitano Kirk aveva conosciuto solo sacerdoti del cielo.

Per prime c'erano state le ingenue, austere cerimonie della sua infanzia:ricordava la piccola chiesa di legno bianco sperduta nella ruvida campagna dell'Iowa, i canti di promesse e di luci celesti borbottati da schiere di uomini dalle camicie fragranti di bucato e di donne avvolte in vestiti a fiori, le scaglie di luce variopinta che piovevano dalle vetrate vivaci e chiassose nei giorni di sole, le mani del pastore che si slanciavano verso l'alto, verso il denso azzurro rovente al di là del soffitto di intonaco, come in un richiamo, come in una speranza. E dopo ricordava suo nonno, il medico e il grande sapiente della loro cittadina, che durante le lunghe notti dell'estate gli aveva svelato i segreti delle danze delle stelle e narrato le imprese con cui l'uomo li aveva conquistati, tendendo il dito verso i bagliori di stelle morte da eoni con la solenne meraviglia di un profeta. E anni più tardi, quando aveva cominciato a solcare i mari disumani dello spazio, c'erano stati i sacerdoti degli infiniti popoli che incontrava: tutte le creature che sollevavano le braccia verso cieli ignoti, che innalzavano templi e offrivano sacrifici a soli e lune incommensurabilmente lontani. Non aveva mai avuto tempo di conoscerli davvero: un capitano doveva affrontare gli insidiosi rituali della diplomazia e le grevi asprezze della guerra, ma raramente si avvicinava agli idoli di una civiltà, al cuore intimo e fragile di credenze e di miti che sorreggeva il suo spirito. I loro viaggi erano rapidi e densi di eventi e parole, lampi sfuggenti tra energie mai mescolate. Di solito nessuno, tra i suoi compagni, arrivava durante le loro visite a scorgere profondità tanto private, a penetrare tanto a fondo sotto la carne di una razza intera.

Nessuno, tranne Bones.

Nel corso degli anni, Leonard aveva conosciuto fedi di ogni genere, culti di qualunque entità; aveva guidato centinaia di creature ai loro dei, bisbigliato le promesse di innumerevoli aldilà, e aveva pregato qualunque spirito quando chi vi credeva non era più in grado di farlo. McCoy era quello che raccoglieva gli ultimi sussurri di un uomo, e che spesso ne scorgeva l'essenza, quando tutto il resto si era già dissolto: era quindi ovvio che fosse anche colui che aveva imparato più di tutti sulle religioni dei popoli in cui si imbattevano, che avesse scoperto quali ombre e quali luci ogni gente della galassia invocasse nei suoi ultimi respiri. Nessun uomo, secondo Bones, doveva affondare nel buio da solo: e se l'unico conforto che chiedevano era il sussurro di qualche nome remoto o l'augurio cantilenante di una lingua arcaica, Leonard non avrebbe mai potuto negarglielo. Così, se lo permettevano e lo desideravano, lui stesso recitava le formule rituali che voci spezzate gli mormoravano, accompagnandoli nelle tenebre con le parole della loro infanzia, guidandoli con le voci dei loro dei, qualunque volto avessero, qualunque potere reclamassero.

Jim lo aveva visto spesso, quando scendevano su pianeti divorati dalle piaghe, o quando le ferite dopo una battaglia erano troppo profonde, sedere sull'orlo delle brande da campo dei suoi pazienti, sussurrando le preghiere e i nomi di decine di fedi diverse, di centinaia di divinità differenti, senza mai condannare, senza mai denigrare. E per quanto quei culti potessero essere distanti dal suo modo di pensare e sentire, per quanto in qualsiasi altro momento li avrebbe contestati con tutto il suo polemico entusiasmo, in quelle occasioni ripeteva i loro dogmi e pronunciava le loro promesse:perché credeva di non avere nessun diritto di rifiutare un ultimo sollievo per principio, di scegliere per un altro le mani a cui affidarsi nell'abisso.

Nessuno di coloro che lo conoscevano davvero avrebbe potuto scambiare quei gesti per empietà: perché se McCoy non credeva in nessuno di quegli spiriti e in nessuna di quelle statue severe, credeva invece negli uomini, nell'amore, nella pietà nuda che colmava ogni volta i suoi occhi. Per Leonard, rinunciare all'immortalità, rinunciare all'aldilà e ad un'esistenza dopo il buio, non era stato troppo difficile: esistevano, in fondo, destini peggiori del disgregarsi in milioni di scintillii di vita, e rigenerare il mondo che si ha amato e vissuto in uno scorrere senza fine. Ma comprendeva quanto orrendo potesse essere per altri, e rispettava le speranze con cui lottavano contro quel terrore. E quindi ogni volta li seguiva silenziosamente nei loro ultimi rituali, supplicando per un istante inconsapevole di essersi sempre sbagliato; pregando le remote forze dell'universo di avere pietà per coloro che avevano levato canti per loro, e che sull'orlo della vita confidavano nel loro abbraccio.

Riguardo agli dei, Kirk si era sempre affidato all'istintiva, salda tolleranza che gli permetteva di lasciarsi sfiorare da esseri dalle menti vicine e i volti deformi e di non uccidere gli abitanti di mondi semplicemente troppo lontani per essere compresi: avanzava semplicemente, tra i prodigi di particelle invisibili e i miracoli di poteri mistici, senza giudizi e senza illusioni, disposto ad accettare l'arrivo di una rivelazione, ma in grado di vivere senza il suo conforto. Per Bones, lo sapeva, era diverso. Ne avevano discusso spesso, attorno al tavolo della sua cabina, mentre si concedevano qualche bicchiere del brutale brandy ambrato di McCoy e ascoltavano il mugghio gentile e profondo della nave: Leonard credeva nel sangue, nella carne e nelle ossa, nelle verità brutali dei corpi, nell'universo di meccanismi e materia e percezioni a cui il mondo si riduceva durante le operazioni. Aveva rifiutato, con una sorta di rabbiosa, inquieta ostinazione, ogni forma di certezza, ogni genere di dogma, che fosse incastonato nelle serene geometrie dei numeri o nei fulgori accecanti di un culto: perché dopo aver trattenuto tra le mani le viscere pulsanti di un uomo, gli aveva più volte ripetuto, ciò che ti permette di non fermarti, ciò che ti infonde la forza di stringere il tuo pugno di conoscenze e lottare, non sono gli ideali, ma le leggi violente della medicina, le coordinate chimiche e vive che non portano giudizio né perdono. Per questo, agli occhi di un estraneo le ultime premure che rivolgeva ai morenti avrebbero potuto apparire incongrue, e addirittura blasfeme:un inganno crudele, l'ultimo gesto di scherno verso gli illusi inconsapevoli di essere solo macchine di carne. Ma Jim conosceva il suo amico da troppo tempo, e sapeva vedere l'armonia dietro quei gesti.

Il Dottor McCoy custodiva in sé cicatrici slabbrate, e seguiva principi altrettanto aspri: e le une e gli altri, se rivelati troppo improvvisamente, troppo bruscamente, potevano sconvolgere, e incidere la pelle. Ma sotto tutto il suo sarcasmo, sotto tutto il suo disincanto, Leonard amava gli uomini: li amava di un amore sconfinato e invincibile, di una devozione incrollabile, intima come l'affetto, disinteressata come una fede, che trascendeva, senza ignorarle, tutte le ombre e di tutti gli orrori di cui erano capaci: una fiducia inestirpabile per cui sarebbe sempre stato disposto a combattere, e a morire. Amava i prodigi che erano capaci di plasmare con le mani e con le parole, amava le loro risate e le loro lacrime, amava la paura e il segreto coraggio con cui affrontavano le mostruose immensità dello spazio. E profondamente, dolorosamente, credeva anche che non ci fosse nessun volto a vegliare su di loro, e nessun nome a cui rivolgere preghiere, né oltre il sole, né oltre l' oscurità della terra; solo le forze immense ed elementari della natura, che aggregavano senza coscienza i loro corpi, e in cui alla fine sprofondavano di nuovo. Per Leonard, gli uomini erano soli. Era anche per questo, che ogni operazione riuscita sapeva sciogliere gli orli scabri del suo cuore, e riempire i suoi occhi della dolcezza stanca e viva della sua terra; era per questo, che ogni volta che uno di quei meccanismi di carne e ossa si spegneva, il dolore continuava a strappargli il respiro. E per questo, era così importante che fosse lui, un altro uomo, il calore comprensibile di una mano e una voce che sapevano sentire e cantare come la propria, l'ultima memoria del mondo di ognuno dei suoi pazienti: un sacerdote laico, per permettere ad ogni spirito di scivolare nelle tenebre con l'impronta di quel tepore. Ecco cos'era, aveva compreso Jim un giorno. Un sacerdote, vincolato da un giuramento pronunciato di fronte alle ossa ed al sangue e solenne quanto quelli rivolti al cielo, il ministro di un culto che viveva di bisturi e garze, e non pretendeva certezze.

Per questo, i riti di Bones erano tutti i riti dell'universo: perché con ogni rito celebrava gli uomini, la sua fede, accompagnando le suppliche cantilenanti di un vecchio, inviando donne sanguinanti ai grembi generosi di grandi dee antiche, invocando avi orgogliosi per un giovane guerriero caduto; e offrendo tutti i congedi possibili dall'esistenza, offriva anche il suo, quello di chi ha promesso di servire con dedizione e lealtà i fragili filari di luci degli uomini, quello del laico sacerdote dell'umanità. Per offrire il pianto e il ricordo dei suoi simili, e onorare l'estinguersi di una scintilla irripetibile.

E per concedere a tutti, se non il perdono degli dei, almeno quello degli uomini.


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Capitolo 6
*** Truths in the Bones ***


Dopo miliardi e miliardi di anni, sono finalmente riuscita a produrre il nuovo capitolo della mia storia sul duo più commovente e più stravagante dello spazio: ci ho combinato brani e frammenti e squarci scritti nelle condizioni più disparate, per cui non garantisco la più invidiabile e infallibile delle coerenze. Tuttavia, ci sono delle idee a me molto, molto care, e, in fondo, il fulcro di quello che io chiamo amicizia o amore o intesa: insomma, uno qualunque dei vincoli che inducono gli esseri umani a torcere il proprio sentiero per un altro, e ad avventurarsi nel buio per andare a cercarlo.

Come sempre, auguro a tutti buona lettura, sperando che questi due straordinari personaggi possano avvampare un istante, con le mie parole, nel vostro spirito.


Truths in the Bones


Per molto tempo, nessuno aveva davvero scalfito le loro corazze.
Certamente, non si trattava di armatura evidenti, abbastanza ostili e pesanti da impedire di percepire il tocco di un amico o il gelo di un odio: più che maglie di ferro e acciaio, le loro erano veli, trasparenti ma forti come ragnatele. La corazza di Leonard erano le sue sfuriate, le sue tortuose imprecazioni, la premura pungente e sbrigativa che scagliava sui suoi pazienti: uno scudo che graffiava la pelle di chi non ne conosceva la consistenza, ma che sapeva proteggere dal freddo e dal dolore più di molte sete e molte fredde carezze. Nel dottore però esisteva anche un altro nucleo, al di sotto delle rocce, un cuore più fermo, più complesso, più vulnerabile; un cristallo nudo, prodigiosamente limpido, che affiorava solo nei suoi occhi, e catturava e penetrava ogni luce irradiata dal mondo; e che, altrettanto facilmente, veniva incrinato dalle sue ombre. Il Capitano e i suoi uomini riconoscevano le imperfezioni e le sbavature del dottore, e accettavano con bonaria rassegnazione i suoi impulsivi, tempestosi malumori; apparentemente, fiduciosamente, comprendevano che anche lui fosse un essere umano, e potesse vacillare e sbagliare come tutti loro. Ma nel profondo, in corde grevi e sepolte di cui non erano forse neppure consapevoli, si aspettavano che lui li avrebbe accolti ogni volta in Infermeria con un borbottio di rimprovero e una mano gentile sulla spalla, pretendendolo con l'urgenza incosciente e feroce dei bambini; e senza quella rassicurazione, senza quella conferma chiara e concreta degli equilibri e delle leggi del proprio mondo, nessuno di loro avrebbe più avuto il coraggio di muovere un passo nel buio, perché non ci sarebbe stato più nessuno pronto ad afferrarli se fossero caduti. Se Spock si fosse spento, tutti loro sarebbero stati ciechi; se fosse accaduto al dottore, non avrebbero più potuto reggersi in piedi. Per molti anni, da quando per la prima volta aveva intravisto le leggi feroci che compongono e infrangono gli uomini, Leonard aveva calibrato scrupolosamente, con la spietata, leale lucidità che gli permetteva di scorgere gli schemi affondati tra il sangue e la carne urlante, le distanza e le vicinanze con i propri compagni: per timore di avvelenarli con le proprie ombre, o di ferirli con le sue schegge se fosse caduto a pezzi. A Jim aveva concesso di avanzare tanto profondamente, di giungere molto vicino alle radici intense e difficili del suo cuore, perché sapeva che avrebbe potuto difendersi dagli orli più taglienti, e sopravvivere alle sue tempeste. Ma ciò non gli impediva di rabbrividire pensando alle cicatrici che le sue spine gli avrebbero inferto, e più ancora delle crepe che gli avrebbe impresso nello sguardo dopo aver rivelato tutte le sue tenebre. Pur di non arrivare a quel momento, pur di non tradire il proprio giuramento, aveva accettato di porre tra sé e coloro che amava quel solco, esile come garza, ampio come pochi passi, quell'esilio impalpabile che gli permetteva di preservarli dai suoi sussulti, ma di raggiungerli in tempo se fossero stati loro a vacillare; e di tremare da solo nelle tormente, quando il vento soffiava troppo forte e non c'era nulla a proteggere la sua schiena.
D'altra parte, per Spock non era stata neppure necessaria una vera armatura: il suo sangue ambiguo, l'armonia vagamente ostile della sua logica, i suoi modi asettici, avevano eretto intorno a lui un silenzio ammirato, una distanza riguardosa come il recinto di un tempio. I suoi sottoposti, e più confusamente i suoi compagni, si ritraevano naturalmente dai confini della sua anima, raggelati in un rispetto reverente che somigliava molto all'ammirazione senza passione che si rivolge agli sguardi fissi dei santi e degli antichi: una devozione immacolata, preziosa e inviolabile come il candore di una chiesa, e che tuttavia non generava tepore.
Entrambi, seppur in modi diametralmente differenti, seppur per combinazioni di eventi intrinsecamente remote, aveva imparato ad apparire invincibili, incrollabili, inesorabili: entrambi si erano trasformati nei perni solidi e robusti attorno a cui ruotavano le orbite delicate di decine, centinaia di vite. Se il Primo Ufficiale doveva essere il vigile, infaticabile occhio di quell'immensa creatura di uomini e metallo, Leonard ne era diventato lo scheletro, la salda, sensibile impalcatura che sosteneva le scosse delle sue lotte e tratteneva insieme le sue carni. Tutti e due condividevano la nuda, mortale consapevolezza del peso di un simile compito: del fatto che un loro tremito avrebbe potuto infrangere per sempre quelle traiettorie sottili, che una sola indecisione avrebbe saputo annientare il loro equilibrio. Anche il capitano Kirk conosceva ovviamente la responsabilità di così tante vite, la pressione necessaria e terribile dei sentieri, delle speranze, delle memorie di un intero equipaggio: ma il suo ruolo era quello di infondere luce e energia a quel flusso di esistenze, di proteggerne e guidarne il potere verso splendenti trionfi o leggendari nemici. Erano loro due invece coloro che sostenevano le ordinate armonie necessarie al suo compito, che permettevano alla vertiginosa trama di ingranaggi dell'Enterprise di rispondere fluidamente ai comandi e ai tocchi del suo comandante; erano loro a conoscere le viscere di quel grande corpo levigato, ad aver scorto e raccolto le piaghe e il sangue abbandonati da ognuna delle loro vittorie luminose. L'anima dell'Enterprise, il benevolo sole dorato che la conduceva tra i freddi venti dello spazio, poteva anche urlare il proprio dolore, e tremare per le proprie ferite; il suo occhio e le sue ossa, no. E forse per questo, forse perché le loro mani si ustionavano e si agitavano sulle stesse dure, taglienti giunture nascoste dietro la meraviglia delle loro imprese, erano stati loro a riconoscere la corazza dell'altro.
Per qualche bizzarra, complicata combinazione di eventi, nel corso del tempo avevano visto il peggio e il meglio di ognuno: Spock lo aveva guardato quando il terrore della sua malattia lo aveva strangolato, e il disinvolto coraggio con cui aveva affrontato Jim e il mondo si era infranto in una tempesta di singhiozzi, scomposti e irrefrenabili come quelli di un bambino; quando mostri antichi e crudeli, dai volti dolorosamente familiari e incalcolabilmente alieni, lo avevano toccato appena troppo vicino ai graffi non ancora rimarginati, e lui non aveva potuto che ringhiare come un cane ferito; quando un uomo scivolava nell'abisso sotto il tocco delle sue mani, e la passione che animava i congegni della sua mente lo costringeva ogni volta a straziarsi e scorticarsi le dita contro il cuore muto dell'universo. E il Dottor McCoy era stato presente quando il Primo Ufficiale aveva cominciato a temere le crepe che quegli umani stavano schiudendo nella sua crisalide, e aveva voluto pungerli con gli orli aspri della sua logica; quando le urgenze che aveva sempre orgogliosamente tralasciato gli avevano ruggito nelle viscere, e si era ritrovato a torcersi singhiozzando su una branda; quando pur di non incrinare la sua austera filosofia, pur di non dubitare di nuovo della via severa ma salda che aveva scelto molti anni prima, aveva scagliato i propri compagni nelle fauci oscure delle minacce da cui avrebbe dovuto proteggerli, dimenticando di muovere uomini e non tasselli di un gioco.
Ognuno di loro aveva visto le ombre che minacciavano gli occhi dell’altro, le fragilità che nascondevano al mondo, gli angoli in cui le cicatrici potevano ancora sanguinare. Ognuno di loro aveva visto l’altro nel dolore, nella gioia, nella rabbia, nella miseria, senza nebbie, senza eroismi, senza confini: senza filtri che potessero mitigare la realtà, o inasprirla. Erano entrambi, in fondo, scienziati: era stato loro insegnato ad osservare i fenomeni lucidamente, con precisione, ma mai con crudeltà, mai spingendo lo sguardo abbastanza a fondo da graffiare; ed era stato così, con la pietà scabra che condividevano, che avevano osservato le oscurità più vischiose, le debolezze più inconfessabili dell’altro.
All’inizio avevano provato ad usare quella conoscenza per colpirsi, durante i loro primi furiosi battibecchi, quando ancora erano davvero uno scontrarsi selvaggio di ossa e menti; ma le ferite che quelle stoccate lasciavano si erano rivelate troppo profonde, e si erano fermati entrambi, perché nessuno dei due aveva mai voluto davvero trafiggere l’altro. Lentamente, senza accorgersene, avevano cominciato a ricorrere a quella conoscenza per sostenersi a vicenda, e tentare di ricucire fessure che gli altri non sapevano neppure esistere. Non potevano ignorare che quelle rivelazioni, scomode e taglienti ,e tuttavia così intime, così profondamente intrecciate alle loro vene, avevano plasmato un legame tra di loro, un legame differente da qualunque altro: più adulto, più doloroso di quello che allacciava entrambi al Capitano. Inconsapevolmente, inesorabilmente, si erano trasformati in moniti, nei contrappesi brutali e inestimabili che bilanciavano e trattenevano i voli troppo azzardati dell'altro, quando era accecato dal dolore o dalla superbia: riecheggiando in silenzio gli scricchiolii dei suoi sbagli, sussurrandogli all'orecchio che anche lui era mortale. Ed in quel ruolo entrambi si risultavano odiosi, irritanti, offensivi; ma necessari, al modo spigoloso e scarno di un ingranaggio banale, o di un tessuto grossolano. Jim era stato il primo a rivelare le loro luci; ma erano stati loro due a vedere le reciproche ombre. Non era stato facile, comprendere che quella precisione spietata, quei confini troppo permeabili che balenavano nelle loro discussioni non scaturivano da una distanza incolmabile, ma da una vicinanza eccessiva; che quei giudizi sapevano percuoterli non perché si abbattevano sulle loro corazze, ma perché colpivano le corde che vi si celavano. Negli occhi dell'altro, Bones e Spock avevano scorto le loro colpe, le loro ferite, le loro incertezze i riflessi di sconfitte ignobili, gli spettri di rimorsi infami. C'era voluto più tempo prima che vi riconoscessero anche le luci dei loro trionfi; e scoprissero quanto radiosi apparissero fra quelle ombre. Il Dottor McCoy ricordava ancora la frustrazione, la vampa di rabbia che lo aveva attraversato quando si era reso conto che ognuno di loro sapeva come spezzare l'altro: che ognuno di loro era ormai capace di strappargli il cuore. Leonard aveva affidato più volte la sua vita a qualcuno, e aveva stretto centinaia di volte gli intrecci sfilacciati di quella degli altri; ma quei compiti, quei legami, erano sempre appartenuti solo allo spazio e al tempo della sala operatoria, alla terra aspra e nitida in cui si combattevano vita e morte. Si era anzi sempre impegnato per recidere al più presto i vincoli di quegli istanti e liberare il prima possibile i suoi pazienti, perché il suo compito era preservare le possibilità della mente e del corpo di un essere umano, e non trasformarlo in un agglomerato di carne e tendini che lui poteva dominare o dilaniare. Con Spock, invece, aveva travalicato quei confini, ritrovandosi a riconoscerne i tremiti, a ricordarne le incrinature anche fuori dall'Infermeria, e comprendendo che anche l'altro poteva vedere così profondamente oltre la sua pelle. Così, Bones non aveva trovato che una soluzione:concedere anche al Primo Ufficiale la fiducia dei medici, la fiducia dei pari; la sicurezza che l'altro saprà come aiutarti e quando sorreggerti, semplicemente perché conosce le tue tenebre e le tue luci. Anche Spock, appena era diventato consapevole di quel nuovo patto, lo aveva apprezzato: la conoscenza troppo brutale e troppo intima che lo aveva turbato fino a quel momento era diventata riposante, quasi balsamica, la certezza confortante e sconvolgente che vi fosse qualcuno, nell'universo, che non avrebbe più potuto offendere o scandalizzare davvero. E non importava che continuassero a pungersi e azzuffarsi nei loro eterni litigi, o quanto potessero infuriarsi con l'altro, o quali insulti e insinuazioni si lanciassero contro, perché la catena d'acciaio, la catena segreta del loro vincolo, non si spezzava; e piano, continuava ad accarezzarli, in ogni gesto e ogni sguardo che si scambiavano, sussurrando la loro promessa: di vigilare sulla schiena dell'altro, impedendogli di smarrirsi nei suoi baratri, e di dimenticare lo splendore dei suoi trionfi. Perché sebbene mostrassero al resto dello spazio il contrario, avevano scoperto che entrambi avevano bisogno di qualcuno che potesse sorreggerli quando cadevano, e non distogliere lo sguardo quando tremavano come tutti gli altri uomini.
E tacitamente, inconsapevolmente, sia il dottore che lo scienziato si erano offerti per quel ruolo.

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