Indagini

di Diana924
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1° cap ***
Capitolo 3: *** 2 cap ***
Capitolo 4: *** 3 cap ***
Capitolo 5: *** 4 cap ***
Capitolo 6: *** 5 cap ***
Capitolo 7: *** 6 cap ***
Capitolo 8: *** 7 cap ***
Capitolo 9: *** 8 cap ***
Capitolo 10: *** 9 cap ***
Capitolo 11: *** 10 cap ***
Capitolo 12: *** 11 cap ***
Capitolo 13: *** 12 cap ***
Capitolo 14: *** 13 cap ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1 posto

Caterina de’Medici si era svegliata tardi quella mattina. Di solito era Flavia, la sua liberta personale a svegliarla ogni mattina. Eppure quella mattina Flavia non c’era. Si alzò indispettita. Da quando era rimasta vedova avvertiva su di sé gli occhi di tutta Roma. Era rimasta da sola a crescere gli altri figli, le figlie maggiori si erano sposate e il figlio maggiore era morto tre anni prima. Attese, mentre altre due schiave, una greca e un’egiziana, le portavano le vesti e l’aiutavano a indossarle. E Flavia ancora non si vedeva.

<< Lucio! Dov’è Flavia?>> chiese allo schiavo greco che era appena entrato. << Non lo so domina, non è qui con voi? >> << Come vedi no! Cercala, la voglio qui ora! >> disse, prima che le schiave iniziassero a truccarla per nascondere i segni dell’età. Otto lustri, tre meno di Livia Drusilla, eppure c’era un abisso a separarle. Livia Drusilla era sempre stata bellissima e indossava vesti molto semplici, si diceva che se le filasse personalmente la lana delle sue vesti e delle toghe del divo Augusto. Caterina de’Medici invece indossava vesti sontuose, ma sempre nere. I suoi punti di forza erano gli occhi, grandi ma molto penetranti.

<< Domina >> << Dimmi pure Lucio, dov’è Flavia? >> << Domina, l’hanno trovata, di fronte al tempio del Divo Giulio >> << Che venga allora, falla chiamare >> << Domina, non può venire, lei … lei è nell’Ade ora >> << Per tutti gli dei! E com’è accaduto? >> << E’ stato un incidente, voleva sporgersi per vedere in maniera migliore Roma, ha sbagliato ed è caduta >> << Dì ai portatori di preparare la mia lettiga, voglio vederla, c’è già qualcuno? >> << Nessuno, il genero del divo Augusto che si trovava lì per caso ha ordinato che nessuno si avvicinasse ai resti di Flavia >> rispose Lucio, mentre Caterina de’Medici si dava gli ultimi ritocchi.

Flavia, la sua migliore amica, la sua confidente, il suo giocattolo, morta. Voleva vederla, doveva vederla, per l’ultima volta. E doveva scoprire se qualcuno le aveva rotto il suo giocattolo, o se si era rotto. Gli schiavi morivano così facilmente a Roma, e nessuno si occupava di loro, nessuno, e allora perché c’era quella sensazione che la pervadeva? Perché?

storia partecipanteal contest http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9460428&p=1 di Emily Alexandre, arrivata prima

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Capitolo 2
*** 1° cap ***


Quella mattina al tempio del Divo Giulio vi erano solo i sacerdoti. Tutti i passanti evitavano quel luogo. Fu questo ciò che vide Caterina de’Medici quando arrivò. I suoi portatori erano tutti schiavi etiopi, tutti neri come la notte, e la sua lettiga era bianca, per cui tutti l’avevano vista arrivare. Si erano sorpresi di vedere una delle matrone più in vista dell’urbe che andava a riprendersi il corpo di una schiava, anche se era la sua schiava personale. Sono solo oggetti, cose che abbiamo comprato, così ragionavano tutti, ma in quel momento per lei era diverso. Scese dalla lettiga con l’aiuto di Lucio, che l’aveva seguita a piedi, e si diresse verso il tempio. Vide un uomo, biondo, con il naso leggermente adunco, il corpo robusto di chi ha passato la vita sui campi di battaglia e gli occhi brillanti.

Indossava un’uniforme militare e non una toga come gli altri cittadini. Doveva essere certamente Marco Vispanio Agrippa, genero nonché amico personale dell’imperator Augusto.

Un bell’uomo, si ritrovò a pensare Caterina, prima di ricordarsi che lei aveva fatto un voto a Giunone e che lui era sposato con la figlia dell’uomo più potente di Roma.

Marco Agrippa le sorrise << Domina, non capisco perché una delle matrone più in vista di Roma si sia scomodata per venire fin qui a quest’ora. E’ solo una schiava >>. << No Marco Agrippa, è una mia amica >>. << Domina, ma perché siete qui? >> << Perché oltre a essere la sua padrona, ero anche amica di Flavia, e vorrei sapere com’è morta >>. << Domina, ma è evidente. La poverina voleva vedere in modo migliore la notte stellata di Roma, si è sporta troppo ed è finita tra le braccia di Thanatos >>.

La spiegazione avrebbe dovuto soddisfarla, eppure c’era qualcosa che le era poco chiaro, ma non sapeva dire cosa. << Vorrei vederla >> disse semplicemente, e scansò il generale e si avvicinò al tempio.

L’avevano lasciata così com’era, senza trasportare il corpo all’interno o da un’altra parte; con una matrona non l’avrebbero mai fatto, ma lei era una schiava, una semplice schiava.

La prima cosa che noto fu la posizione insolita del corpo, una persona non stava in quella posizione innaturale se cadeva, tutt’altro. Se era davvero caduta perché il suo viso era rivolto verso il cielo, e perché i suoi occhi esprimevano sorpresa?

Si chinò per chiuderle gli occhi, almeno quello glielo doveva, e vide che la spilla che le aveva regalato quando suo marito l’aveva liberata dalla schiavitù. Era una spilla molto semplice, a forma di ape, e non vi erano pietre preziose che potessero attrarre un ladro, eppure era scomparsa. Caterina de’Medici sapeva bene che Flavia non si sarebbe mai separata da quella spilla volontariamente, qualcuno doveva averla rubata.

 Si chiese se ci fosse qualcuno che l’odiasse ma che avesse anche paura di lei. Così tanta paura e odio da uccidere la sua liberta preferita e rubarle la spilla che lei le aveva regalato. Era sì ammirata, ma diverse personalità dell’Urbe non tolleravano il suo affidarsi ai maghi caldei e agli astrologi, considerandola una superstiziosa dedita ai culti orientali.

Sapeva che non ci sarebbe stato un funerale pubblico, ma una semplice cerimonia di schiavi, e lei avrebbe vegliato su quella cerimonia.

Oltrepassò il corpo ormai senza vita di Flavia, raggiunse Lucio, che si era tenuto in disparte, e gli ordinò di portare via il corpo di Flavia.

Non sapeva che rapporti ci fossero stati tra i due, e se doveva essere sincera, nemmeno le importava.

Ora aveva faccende più importanti alle quali badare.

x FedeMorningRock: grazie socia!!!! ich auch!!! quello era solo l'inizio, l'indagine comincia da qui XD

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Capitolo 3
*** 2 cap ***


La lettiga si fermò davanti all’abitazione di Druso Coccei, uno degli astrologi più in voga del momento. Lei era stata una delle prime clienti, e sapeva che lui la vedeva con favore.

Fu Afro, uno degli schiavi etiopi, il più massiccio, a farla scendere dalla lettiga questa volta. Si avvolse nel mantello nero, anche se era mattina ormai inoltrata. Sapeva bene che se qualcuno l’avesse vista in quel posto la sua reputazione ne avrebbe avvertito il colpo, era meglio che si nascondesse agli sguardi indiscreti della plebe operosa e ridanciana che lavorava o oziava.

Bussò tre volte, come faceva sempre. Una schiava nera, alta e formosa, venne ad aprire. La donna, che nonostante fosse molto bella aveva una cicatrice sulla faccia, retaggio del periodo in durante il quale lavorava come prostituta in un vicolo della Suburra, si inchinò e la fece entrare.

Caterina de’Medici la seguì, osservando come la schiava si muoveva per quelle stanze, quasi senza peso, volando, fino alla stanza dove Druso Coccei esercitava la sua arte di astrologo e di mago.

La donna bussò, due colpi vicini e uno lontano, poi si allontanò discretamente. Caterina de’Medici entrò nella stanza, che come al solito era al buio, eccezion fatta per il lume di una candela che illuminava fiocamente la stanza e Druso Coccei, che stava consultando un rotolo di pergamena.

Druso Coccei aveva cinquant’anni, un’età avanzata, capelli bianchi e occhi grigi che erano rimasti gli stessi della sua gioventù, freddi eppure così magnetici da convincere le matrone più ricche di Roma a fargli ricche donazioni.

Di Druso non si sapeva nulla sulla sua vita prima del suo arrivo nell’Urbe, all’indomani della conquista di Alessandria da parte dell’imperator.

Si mormorava che avesse servito alla corte della regina Cleopatra, che fosse il sacerdote di qualche culto nascosto e che conoscesse molte cose, la maggior parte oscure e pericolose.  Caterina de’Medici si era rivolta a Druso diverse volte, poche di queste perché aveva bisogno di un pugnale e di persone che lo sapessero maneggiare bene.

Caterina de’Medici mosse i primi passi, prima di sentire la voce di Druso: << Caterina de’Medici, sapevo che sareste venuta >>. << Maestro, voi mi sorprendete sempre con i vostri poteri >> disse lei, mentre si sedeva su una sedia, in modo da poter vedere abbastanza nitidamente Druso Coccei. << Mia cara, cosa vi inquieta? >> << Molte cose mio caro Druso. Ricordate la mia liberta, Flavia la cipriota? >> << La liberta che un anno fa vi chiese di poter andare a Cipro, sua patria, per avere notizie dei familiari? Venne a me, ma lessi un futuro incerto e ambiguo, le consigliai di non partire, ma non mi dette ascolto >> fu la risposta di Druso, che si era rimesso a leggere la pergamena, incurante della sua ospite.

<< Vedete, Flavia è morta >> annunciò Caterina de’Medici, con voce rotta dall’emozione. << Pugnale, veleno o incidente? >> << Tutti dicono incidente, ma io non ci credo >>. << Perché mai? >> << La sua spilla, che le avevo regalato io, è scomparsa >>. << E per questa spilla tu credi che non sia stato un incidente? >> disse Druso, alzando gli occhi dalla pergamena. << Sì, conoscevo molto bene Flavia, non se ne sarebbe mai separata, non di sua spontanea volontà>>. << Gli schiavi non hanno volontà >>. << Ma i liberti si >>. << Che cosa volete? >> << Voglio che mi indichiate il mio futuro, voglio sapere quello che mi accadrà, e se mai scoprirò quello che le è accaduto >> fu la risposta, e per la prima volta in quel giorno i suoi occhi mandarono lampi d’orgoglio, lo stesso che ancora le permetteva di camminare a testa alta, ma che durante gli anni di matrimonio, a causa del rango superiore della famiglia di suo marito, le aveva fatto difetto.

Druso arrotolò la pergamena e ne prese un’altra. In questa vi erano il movimento dei pianeti, i segni dello zodiaco e le stelle della volta celeste. << Voi siete nata il secondo giorno delle Ceralie, mentre la costellazione dei Gemelli era vicina a Mercurio. Quindi voi siete una donna terrena, fissa alla terra, ma calcolatrice e con un doppio volto, incline a usare l’astuzia piuttosto che la forza bruta. Voi scoprirete quello che è accaduto, ma non ne trarrete giovamento per il vostro spirito, sarà solo fonte di angoscia. Voi non lo fate per amor della verità, ma solo per poter stare in pace con voi stessa, che perisca il mondo se mi sbaglio >> concluse, con un gesto solenne.

Caterina de’Medici fece segno di si con la testa, era la pura verità, e che Giove e Giunone le fossero testimoni, avrebbe scoperto cosa era davvero accaduto quella notte al tempio del Divo Giulio.

X  NonnaPapera ( risposta cumolativa): ti ringrazio, da cui in poi si entra nel vivo. Per capire Caterina ho letto 2 sue biografie, quindi credo di averla capita abbastanza, aggiungi che a casa mia ci si interessa molto dell'antica Roma... et voilà

X Emily Alexandre: ti ringrazio molto, è stato molto divertente partecipare

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Capitolo 4
*** 3 cap ***


Quella sera la figlia dell’imperator, Giulia dava un banchetto a casa sua, e tutta la nobiltà romana, specialmente la gioventù licenziosa, vi si sarebbe recata. La moglie dell’imperator, Livia Drusilla, aveva scelto quella serata per una recitatio di uno dei carmi del poeta Catullo. Caterina de’Medici aveva deciso che sarebbe andata alla seconda, la prima non faceva per lei, e inoltre sarebbe stato oltraggioso che una vedova della sua età si mischiasse a dei giovanotti così dissoluti.

Salutò Lucio e si fece preparare per la serata dalla schiave. Alla fine scelse una veste nera con una stola rossa, per ultimo si fece acconciare i capelli, da una schiava illirica che in quello era davvero brava.

Poi salì sulla lettiga, e si rilasso sui cuscini.

L’atteggiamento di Lucio le era sembrato strano. Se tutti gli altri, schiavi e schiave, avevano versato delle lacrime, lui non ne aveva versata alcuna, non in sua presenza. Eppure era stato lui ad avvisarla della morte di Flavia, lui l’aveva accompagnata, e lui e altri due schiavi l’avevano riportata a casa.

E allora perché tutta quella indifferenza? Quel distacco, perché? Da quel che sapeva Flavia e Lucio andavano molto d’accordo, anzi, lei li aveva colti più di una volta a conversare, da soli, specialmente quando si trovavano nella villa di Baia.

Una volta li aveva colti vicini, molto vicini, ma era rimasta in silenzio e aveva sorriso, nulla di più.

Non era una donna vendicativa o ambiziosa, ma alcune volte, poche ringraziando gli dei, si era servita del potente veleno o del sanguinoso pugnale, ma solo quando le circostanze lo richiedevano. Non si sporcava le mani personalmente, era meglio ricorrere a sicari prezzolati o ai suoi schiavi, certa che non avrebbero mai parlato. La tortura era un problema, ma finora nessuno dei suoi servi l’aveva mai subita, e si rallegrava di questo. Certo, ogni tanto li faceva picchiare, o usava la frusta, ma erano occasioni rarissime.

La lettiga si fermò davanti all’abitazione dell’imperator e di sua moglie, e ancora una volta Afro la aiutò a scendere.

Il viale era illuminato da diverse torce e già altre lettighe erano ferme lì.

Nella stanza principale v’era l’imperator, che era ancora piacente, nonostante l’età. Seduta alla sua destra c’era la moglie Livia Drusilla, bionda e bella come sempre. Alla sinistra dell’imperator, su un triclinio, c’era invece Marco Agrippa, genero di Ottaviano Augusto.

Evidentemente si trovava più a suo agio con il suocero e la moglie di lui che con la propria moglie, forse anche a causa dell’età, considerato che lui e l’imperator erano coetanei e quindi Livia Drusilla era minore di loro di soli due anni.

Con loro c’erano anche Gaio Mecenate e Ottavia, rispettivamente amico personale e sorella dell’imperator.

***

La serata era deliziosa finora, e la notte prometteva indubbiamente di meglio.

Poi la vide. Giulia, la figlia dell’imperator era lì.

Caterina de’Medici si chiese il perché, era risaputo in tutta Roma che lei e il marito non si sopportassero, e che nonostante i figli che lei gli aveva dato entrambi si disinteressassero dell’altro.

Giulia sorrise agli ospiti, salutò il padre e la matrigna, ignorò il marito, e rivolse un sorriso alla zia, di cui in precedenza aveva sposato il figlio Marcello, sorrise al fratellastro Tiberio che quella sera si trovava presso la madre e il patrigno; e infine si sedette vicino alla matrigna, con cui iniziò a parlare.

Mentre si muoveva verso la sua sistemazione, Caterina de’Medici vide una cosa che per un secondo la fece restare senza fiato: la sua spilla. Poteva non essere la sua, ma quella sulla tunica di Giulia era sicuramente una spilla a forma d’ape, con delle pietre, che a prima vista le sembravano preziose. Un regalo del marito per un figlio in arrivo, o di qualche amante, si disse, mentre anche Livia Drusilla aveva notato la spilla e stava facendo i complimenti alla figliastra.

Lei rimase in silenzio, poi vide che il banchetto entrava nel vivo e che la recitatio era finita. L’imperator si alzò, imitato da sua moglie, Ottavia, Mecenate, Agrippa e una Giulia riluttante, lei sarebbe voluta restare ma il padre e il marito avrebbero disapprovato, e se ne andarono in un’altra stanza, evidentemente disapprovavano quello che sarebbe accaduto a breve sotto il loro tetto.

Caterina de’Medici aveva capito cosa sarebbe accaduto, e con un sorriso si congedò, quel tipo di divertimenti non facevano per lei, né alla sua età né prima.

Permetteva che fatti del genere accadessero quando aveva ospiti per un banchetto, ma lei non doveva vedere, lontano dagli occhi lontano dal cuore, si ripeteva in quelle circostanze.

Però, si disse, mentre saliva sulla sua lettiga, e due schiavi tenevano una torcia ciascuno, aveva fatto uno sbaglio. Avrebbe potuto avvicinare uno degli schiavi di Giulia, per sapere da dove proveniva quella spilla. E si fossero rifiutati di dirglielo con le buone, ovvero grazie a una lauta mancia, aveva pur sempre le cattive, ricatti, minacce e un imprecisato altro che era meglio rimanesse imprecisato.

Poteva essere la stessa, ma era molto più probabile che non lo fosse.

Ripensò all’ultima volta che aveva usato dei metodi imprecisati, ma quella volta era un’emergenza.

Uno dei parassiti che affollavano casa sua durante i banchetti che lei e suo marito, pace eterna alla sua anima nell’Ade, le aveva rivelato che suo marito si era preso un’amante, una ricca cortigiana, di diversi anni più anziana, ma che amava con tutto il cuore.

Sapeva dei trastulli del marito, e siccome era quasi sempre incinta più di una volta, aveva chiuso entrambi gli occhi. Una cosa era sedurre schiave, liberte e cortigiane, un altro era venirlo a sapere dal primo scroccone che passava.

Si era sentita ferita e umiliata. E aveva reagito. All’inizio si era rivolta a Druso Coccei, che ormai sapeva tutto di lei, per sapere se c’era un modo, uno qualunque, per evitare che l’importuno parlasse con qualcuno.

All’inizio l’astrologo si era limitato a dirle di avere pazienza, che forse era solo un castello d’aria, ma le cose erano andate diversamente. Il parassita le aveva portato delle prove inequivocabili. Voleva, come le rivelò, credito e cibo vita natural durante, altrimenti avrebbe parlato, e lei e suo marito avrebbero perso la loro reputazione e il buon nome che dovevano tramandare ai figli.

Così Druso le aveva detto, quasi per caso: << Dove le parole falliscono un buon veleno riesce >>.

E l’idea le era piaciuta, da morire.

Si era affidata a uno schiavo tracio, di cui non si era mai fidata, e l’uomo aveva svolto il lavoro alla perfezione. Terminato il compito aveva ordinato a Lucio, che era l’unico in cui riponeva una fiducia cieca, di sbarazzarsi del tracio, e gli aveva consegnato un pugnale. E appena la mattina seguente, non appena suo marito si era assentato perché voleva andare al Foro del divo Giulio, Lucio era ricomparso, con il pugnale, che aveva lavato personalmente.

Lei si era limitata a sorridere, gli aveva messo in mano un sesterzio e si era recata a osservare le lezioni dei figli, come se quello fosse un giorno normale.

Così rifletteva, mentre la lettiga si fermava davanti casa, e Afro l’aiutava a scendere.

Era molto stanca, così congedò le schiave che l’avevano spogliata, e si mise a letto, sognando un sonno senza sogni.

L’indomani, si disse, avrebbe cercato di saperne di più, forse era venuto il momento di informarsi veramente sulla vita di Flavia, cosa che non aveva mai fatto in tutti quegli anni.

X NonnaPapera: grazie ancora, per il eprsonaggio di Druso mi sono ispirata ai fratelli Ruggeri, gli astrologi di Caterina, mi dispiace di non avergli dato l'importanza che meritava

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Capitolo 5
*** 4 cap ***


La mattina seguente, dopo che i figli erano a lezione con i precettori greci che lei e suo marito avevano assunto, Caterina de’Medici decise che era venuto il momento di interrogare i suoi schiavi. C’era solo un problema, in altre parole non sapeva quanti schiavi possedesse. Non si curava di queste cose, agli affari aveva badato suo marito, fino alla morte, e da allora aveva affidato tutto a Lucio, di cui si fidava ciecamente. Gli schiavi li aveva ereditati o ricevuti in dote, erano pochi quelli che lei o suo marito avevano acquistato al mercato degli schiavi.

Come prima cosa chiese quindi a Lucio di portarle i registri della contabilità, dove suo marito aveva registrato tutte le loro proprietà e cose, schiavi e liberti compresi. Doveva esserci anche una lista di clientes, ma ignorava dove si trovava.

Lucio tornò dopo un po’, dicendole che i rotoli cui era interessato erano nella biblioteca, e che lei poteva consultarli quando desiderava.

<< Va bene Lucio, intendo farlo adesso >> ordinò lei. << Come desiderate domina, vi faccio strada >> fu la risposta, rispettosa eppure orgogliosa dello schiavo, che precedette la sua signora nella biblioteca.

Le chiese se poteva restare con lei, ma ricevette un diniego, doveva occuparsi di altre faccende.

Congedato Lucio Caterina de’Medici si mise all’opera. Dopo diversi minuti dovette riconoscere che suo marito era stato molto scrupoloso, avendo egli eseguito una divisione molto netta, da una parte alimenti, da un’altra suppellettili, in un’ultra ancora le loro abitazione e infine una per gli schiavi e le schiave.

Quegli oggetti erano indicati secondo il Paese di provenienza, il sesso e l’età.

Vi era scritto accanto anche perché alcuni di loro erano diventati schiavi. Possedevano 300 schiavi, solo in quella casa, più altri 1000 nella casa in campagna appena fuori Roma, e altri 1200 nella villa a Baia.

Sorrise, era sicuramente una donna ricca, ma non aveva mai saputo quanto.

La lista dei liberti era più corta. Vi comparivano Flavia, che cancellò con un colpo di stilo, i precettori dei figli e della figlia, un ispanico che li aveva serviti per sei lustri e una scita che si era dimostrata particolarmente propensa a chiudere gli occhi quando le veniva ordinato.

Riflette un secondo, con chi poteva cominciare. Escluse gli schiavi della residenza di campagna e quelli di Baia, per troppo tempo erano rimasti a Roma e probabilmente interrogarli sarebbe risultato inutile, doveva concentrarsi su quelli che vivevano nella casa di Roma.

Rimuginò sul da farsi, e decise che avrebbe interrogato prima di tutti Siria, che era quella che meglio conosceva Flavia, a causa dell’età.

La fece chiamare, e la giovane venne.

Era un’egiziana di Alessandria, che era nata a Roma, figlia di una serva della regina Cleopatra e di un romano. L’uomo l’aveva disconosciuta e l’aveva esposta. Sua madre l’aveva trovata alla colonna lactaria e l’aveva allevata con lo scopo di farne una schiava per la figlia che sarebbe nata di lì a poco. Siria era devotissima a Caterina de’Medici e ai suoi familiari, che l’avevano salvata dalla prostituzione o da morte certa.

<< Domina, mi avete fatta chiamare? >> domandò la schiava, inchinandosi. << Si Siria. Devo farti qualche domanda >> << Io gliel’avevo detto ad Aniceto, che voi volevate sacrificare dei galli e non delle colombe, ma lui non mi ha dato ascolto, e ha sacrificato a Minerva tre colombe invece di tre galli, domina>> dichiarò la schiava. << No Siria, non ti dovevo parlare di questo, ma di Flavia. Sai se negli ultimi tempi si comportava in modo strano? >>

<< Sì, domina, certamente, ve ne avrei parlato il prima possibile. Negli ultimi tempi Flavia era nervosa e facilmente irritabile, ogni tanto usciva di casa, con qualche scusa, e tornava solo dopo molto tempo >> << Sai dove andava? >> << Purtroppo no domina. Una volta l’ho accompagnata fino al tempio di Giove Massimo, poi ha detto che sarebbe andata da sola >> << Grazie Siria, e … >> << C’è del’altro domina. L’ho vista parlare con uno dei sacerdoti di Bacco, appena tre lune fa, non so di cosa parlassero perché era greco, ma era discussione animata >><< Grazie Siria. Ah, per la faccenda dei sacrifici, sei sicura di aver parlato bene con Aniceto, sai che il poverino è quasi sordo? >>

***

Dopo Siria fu il turno del nero Afro, che essendo quasi sempre vicino la porta doveva essere sicuramente informato su chi lasciava la casa. << Domina, cosa desiderate? >> << Afro, sai dirmi se Siria si assentava di casa? >> << Certamente domina, voi la incaricavate di fare delle commissioni, così almeno mi diceva >> << Io? >> Caterina de’Medici era rimasta senza parole, lei non aveva mai chiesto a Flavia di svolgere quelle commissioni, almeno, non nei mesi scorsi. << Si voi, e tre lune fa mi chiese se potevo portarle un pugnale, mi disse che le serviva per spaventare un romano che la importunava da qualche tempo >> Caterina de’Medici rimase senza parole, un pugnale e lei non ne aveva saputo nulla. << Altro? >> << Si domina. Da quando era tornata da Cipro era sempre in ansia, l’ho vista poche volte rilassata >>.

***

L’unica schiava che le fornì altre informazioni, oltre a Siria e ad Afro fu Greja, un’ateniese che aveva acquistato tre lustri prima, per festeggiare la nascita del primo figlio, di cui la greca era stata la balia. La donna le disse che da quando Flavia era tornata da Cipro si era particolarmente avvicinata al culto di Bacco.

Il culto di Bacco. I suoi riti blasfemi e orgiastici erano stati dichiarati illegali da più di un secolo, eppure tutta Roma sapeva che i seguaci e le seguaci di quel culto si riunivano ancora segretamente.

Dopo tre ore aveva ottenuto solo poche informazioni, ma che le sembravano abbastanza importanti. Flavia si comportava in maniera sospetta da quando era tornata da Cipro, usciva spesso di casa, con una scusa plausibile, una volta aveva chiesto ad Afro un pugnale e per ultimo, ma le sembrava la cosa più importante, si era avvicinata al culto del dio Bacco.

Flavia non era mai stata particolarmente a nessun dio, tranne forse Mitra, ma essendo questi un dio non romano Caterina de’Medici se ne era disinteressata. Sapeva che era un culto basato sulla morte e la rinascita, come quello di Cibele e del suo amante Attis, i cui sacerdoti si eviravano.

E ora c’era il culto di Bacco, cosa poteva averla convinta ad adorarlo si chiese, cosa?

Si era sempre illusa di conoscere i suoi schiavi e i suoi liberti, ma si rendeva conto che non era davvero così. D’altra parte, erano solo cose, oggetti, che una volta rotti andavano o aggiustati o ricomprati.

Chiamò il precettore dei figli, Artemidoro, un greco di Corinto, e gli disse che era necessario che per un po’ i suoi figli stessero fuori città, nella villa appena fuori Roma, almeno fino alle giornate dedicate a Minerva. Artemidoro si disse d’accordo con lei, e avvisò i ragazzi e la ragazza.

Doveva decidere il da farsi.

Frugando tra le sue cose trovò la stessa fiala di veleno che aveva usato un anno fa, e che si era dimostrata un portento. Ci rimuginò un po’ e poi la prese e l’avvolse in una bisaccia lì vicino. Prese invece un pugnale lì vicino e se lo nascose tra le vesti.

Ora si poteva considerare protetta, e poteva proseguire con le indagini, che si stavano rivelando difficili, ma al contempo stuzzicanti, si chiese se alla fine di quella vicenda ne avrebbe parlato o con divertimento e leggerezza o con angoscia e rammarico.

NonnaPapera. ti ringrazio, a casa mia io e mio padre siamo appassioanti di storia romana, così è stato facile ottenere info per scrivere la storia. Inoltre adoro gli intrighi e i vari intrallazzi.... quindi è stato divertentissimo scriverla

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Capitolo 6
*** 5 cap ***


I suoi figli erano partiti il giorno dopo per la villa fuori Roma, una maniera per tenerli al sicuro perché non si fidava dei fedeli di Bacco, da bambina i racconti su di loro le mettevano un genuino terrore; e quella sera sarebbe toccato a lei offrire un banchetto.

Fra gli invitati figurava anche sua cognata, Claudia Minore, nota per i suoi gusti letterari, sempre molto raffinati, che si era sposata da pochi mesi, appena prima della morta di suo marito.

Aveva già dato disposizioni agli schiavi e ai liberti, ordinando loro di controllare bene gli ospiti.

Come pasti aveva scelto di far servire del polpo, prosciutto e crostacei, e la specialità della sua casa, il pappagallo rosso lesso, che i suoi schiavi Giacinto e Licia sapevano preparare in maniera squisita.

Aveva invitato letterati, filosofi e generali, tutta gente morigerata e della sua stessa età, uno di quei banchetti per cui era famosa, che iniziavano con moderazione e terminavano in orge, alle quali né lei né suo marito avevano mai partecipato, si limitavano a chiudere entrambi gli occhi.

Quella sera il suo banchetto era stato molto lodato, sia dagli inviati sia dai parassiti che si erano imbucati.

Era felice, mentre  conversava di filosofia, letteratura e scienze varie con i suoi ospiti, che essendo molto colti apportavano diverso prestigio sociale alla sua dimora.

Quando venne servito il pappagallo, e dopo i vari elogi alla cucina della casa, a lei e ai suoi servi, Caterina de’Medici fece una domanda: << Cosa sapete del culto bacchico? >> << Che quello che abbiamo ora si limita ai templi, domina >> rispose Tiberio Giulio, un retore che aveva la sua età. << Menzogne. Il culto bacchico, quello vero intendo, è ancora vivo, è solo segreto >> ribatté Antonio Iullo, senatore. << Quello delle baccanti e delle orge? Quello è ormai defunto >> replicò Tiberio. << Bisogna solo ascoltare i propri schiavi >>, << Perché dovrei avere il desiderio di ascoltare degli oggetti che parlano? >> << Per questo a quelli che parlano troppo fate cucire la bocca >>, << E’ soltanto temporaneo, mio caro Antonio, non sono un barbaro >> << Ma vi comportate come tale >> si intromise Claudia << Avete ragione nell’affermare che gli schiavi sono oggetti, ma è anche vero che sono vivi, e che parlano, ridono, piangono, camminano come noi >>. << Non oserete dire che sono umani, come noi >>. << Come noi no, ma sono umani >> fu la risposta di Claudia.

Caterina de’Medici sorrise, quella sera aveva trovato un ottimo argomento, su cui si poteva dibattere per ore, e lei era libera di seguire il flusso dei suoi pensieri.

Aveva subito parlato con Claudia dell’accaduto e della sua decisione di voler andare fino in fondo a quella faccenda. << E’ un bel gioco, ma stai attenta, può rivelarsi pericoloso >>.

Un gioco, ecco come sua cognata, che era una donna di grande intelletto e cultura, vedeva la sua ricerca della verità, come un gioco, un passatempo.

E lei? Lei come vedeva quella ricerca? Come Claudia, o come una missione che si era assunta? Per Flavia, per la verità e per la sua pace dell’anima?

Non lo sapeva, ma sapeva che se le cose si sarebbero messe per il verso sbagliato, aveva pur sempre il veleno, che aveva preparato di persona, seguendo le istruzioni di Druso Coccei. Ma era passato un anno da quando aveva preparato quella pozione venefica, e l’effetto poteva anche essersi esaurito, per questo aveva con sé anche il pugnale, sebbene non avesse mai usato un pugnale in tutta la sua vita, e non sapesse nemmeno da dove cominciare.

<< Domina, una visita per voi >> << Chi è? >> << Una delle vestali, vostra cugina Servilia >> << Falla entrare, io vado nel triclinio grande, dille che sono là >>. Poi andò nel triclinio e si sdraiò su un triclinio azzurro, che era stato il preferito di suo marito.

Servilia era sua cugina, e non si vedevano da almeno un anno. Dopo un po’ la vide all’entrata della stanza.

Servilia non era cambiata, aveva sempre i suoi capelli neri e gli occhi color nocciola, un profilo aquilino e indossava il velo bianco delle vestali, bianco come la veste che indossava.

<< Ave Servilia. Cosa ti ha fatto abbandonare il sacro fuoco di Vesta per venire nella mia dimora? >> << Dovevo parlarti Caterina de’Medici, cugina mia >> << Parla pure, ma nel frattempo sdraiati, saremo più comode >>. Servilia seguì il suo consiglio e si sedette, stando attenta a non far sporcare il suo velo, bianco come la neve.

<< Riguarda la tua liberta, Flavia. Come sai il tempio di Vesta si occupa di custodire i testamenti, di chiunque, sia esso libero o schiavo. Dodici lune fa Flavia mi portò il suo, e me lo affidò >>. << Prima di partire per Cipro, fui io a consigliarle di far custodire il suo testamento presso il vostro tempio >> rispose Caterina de’Medici che si ricordava molto bene quell’avvenimento.

<< Bene, allora mi sarà più facile andare avanti. Tre lune fa ero vicina il sacro fuoco di Vesta, e la vidi. Era molto agitata, e mi chiese se poteva avere il testamento, solo per un attimo. Non vi vidi nulla di sbagliato e glielo consegnai. Veloce si assentò per qualche minuto, poi tornò e me lo ridiede. Aveva aggiunto o rimosso qualcosa, ne sono sicura, ma non so cosa >> << Hai qui il testamento? >> << Per gli dei no! Il testamento deve rimanere al tempio di Vesta, come vuole la tradizione >> dichiarò Servilia, scandalizzata da quell’audacia.

<< Vorrà dire che verrò al tempio. Ma tu come sai che Flavia è morta? >> << Sai, molti uomini parlano quando si credono da soli, ed inoltre l’aristocrazia parla del tuo nuovo passatempo. Cosa penseranno gli optimates di questa faccenda? >> << Non m’importa cosa penseranno, io non dico in giro che Sesto Tiberio adora sollazzarsi con i giovinetti, o che alla moglie di Marco Claudio piace andare di notte nella Suburra e lì prostituirsi. Io sto zitta e copro i loro segreti, e loro fanno lo stesso con me. Fidati, ci sarà qualche chiacchiera per un giorno o due, poi la smetteranno >> le rispose Caterina de’Medici che conosceva molto bene l’indole dei romani.

<< Mi auguro che tu abbia ragione, ora devo tornare >>. << Adesso? Fermati per il pranzo, sarò onorata di averti ala mia tavola, sei mia cugina, nonché una delle Vestali più anziane >> disse Caterina de’Medici mentre si alzava dal triclinio, era da tanto che non vedeva Servilia, e sperava di poter restare in sua compagnia. << Non posso rimanere, devo tornare al tempio >> disse Servilia, prima di alzarsi anch’essa e dirigersi verso la porta principale, avvolta nel suo velo bianco che la identificava come Vestale.

Tre lune, esattamente lo stesso periodo durante il quale Flavia aveva chiesto ad Afro di portarle un pugnale. Non poteva essere una coincidenza, si disse, mentre si sedeva per il pranzo, e Afranio Livii, uno dei clientes del suo defunto marito entrava in casa, e si sedeva con disinvoltura, era stato invitato da Caterina de’Medici per poter discutere se c’era la possibilità che potesse trasferire i suoi servigi al suo secondo figlio, non appena questi avrebbe indossato la toga virile.

***

Quel pomeriggio Caterina de’Medici si era recata alle terme, per potersi rilassare.

All’inizio si diresse verso la sala dei massaggi e si rilassò, mentre una schiava ispanica si prendeva cura del suo corpo. Finito  si diresse verso il tipediraium, aveva bisogno di rilassarsi. La vera pace dei sensi sarebbe venuta dopo, quando s’immerse nell’acqua bollente del calidarium, dove rimase per quasi un’ora, cullata dai vapori e dell’acqua calda, che le faceva dimenticare ogni problema, e lasciava la sua mente sgombra da ogni pensiero.

Dopo quasi due ore di permanenza si levò dall’acqua, e si diresse verso lo spogliatoi, per recuperare la sua veste, e lasciò le terme, mentre il sole iniziava a declinare.

x NonnaPapera: grazie epr i complimenti, in effetti ho voluto creare una Caterina molto complessa... cosa accadrà????? La matassa è difficile da districare...

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Capitolo 7
*** 6 cap ***


La mattina seguente, verso le nove, Caterina de’Medici si fece portare in lettiga al tempio di Vesta, per prendere visione del testamento di Flavia.

La sua lettiga arrivò poco dopo, perché il tempio era abbastanza vicino alla sua abitazione.

Non appena arrivata scese dalla lettiga con l’aiuto di Afro vide che il sacro fuoco era custodito da una bambina, di circa undici anni, che stava pregando la dea.

Entrò al tempio, e chiese di poter vedere il testamento di Flavia, dopo aver spiegato alle vestali che lei era stata la padrona della liberta.

La Vestale più anziana, che aveva la sua età, le sorrise, si assentò un momento e tornò con il rotolo su cui Flavia, o chi per lei, aveva scritto il suo testamento.

Caterina de’Medici la ringraziò, e uscì dal tempio, con il testamento ben stretto tra le mani.

Avrebbe avuto le risposte che cercava.

***

Mentre era nella lettiga lesse il testamento. Era in greco, lingua d’origine di Flavia, insieme all’ebraico, e lei conosceva bene il greco.

Flavia asseriva che a Cipro non era riuscita a rintracciare nessun membro della sua famiglia, tranne una cugina, che era sacerdotessa del culto di Bacco, o Dioniso, come le chiamavano i greci.

La donna, che era sacerdotessa fin dall’infanzia le aveva parlato a lungo del culto, e l’aveva convinta a partecipare ai riti del dio. Flavia aveva scritto che durante quei rituali si era sentita rinascere, che la sua visione del mondo era cambiata, che non trovava più repellente e abominevole quel culto, ma anzi squisito e liberatorio; e che le sue sacerdotesse non erano le tanto temute menadi, o baccanti, ma delle donne che molto semplicemente credevano in qualcosa di superiore.

Caterina de’Medici era inorridita nel leggere quelle affermazioni. Se Flavia le fosse stata accanto in quel preciso momento, non avrebbe esitato e l’avrebbe uccisa all’istante, con un pugnale o avrebbe atteso il ritorno a casa e l’avrebbe eliminata con del veleno, qualcosa di potente e istantaneo per lavare l’onta.Si sentiva ferita nell’orgoglio, e la sua fiducia era stata tradita.

Continuò la lettura. Flavia spiegava che una volta tornata a Roma aveva preso contatto con i sacerdoti di Bacco e i loro fedeli. Aveva partecipato ai riti, ma si stava accorgendo di quanto alcuni fedeli e alcuni sacerdoti fossero esaltati e fanatici. Finché si era trattato di sacrifici di animali lei era stata d’accordo, ma non appena si era cominciato a discutere di orge e di sacrifici umani aveva fatto un tentativo di abbandonare quel culto.

Ma per qualche ragione che Caterina de’Medici non si sapeva spiegare non l’aveva fatto.

Anzi, era stata anche scelta per essere la celebrante di un sacrificio umano. E questo spiegava pugnale, ma solo in parte.

Alla fine del testamento però c’era un post scrittum bizzarro: “ Se io dovessi morire aprite il cofanetto sotto il mio letto, la chiave è stata affidata a Lucio “. Quindi Lucio sapeva, Lucio era un complice, Lucio era la mente dietro a tutto.

Si sentì montare la rabbia, non una volta, ma due, per due volte era stata tradita, e ora avrebbe agito di conseguenza, si disse, mentre la lettiga si dirigeva verso casa, tra il chiasso e la bolgia dell’Urbe durante la mattinata.

x  NonnaPapera: ancora grazie. Il pappagallo lo mangiavano per davvero... anzi,e ra una leccornia da ricchi

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Capitolo 8
*** 7 cap ***


Non appena Afro l’ebbe aiutata a scendere Caterina de’Medici entrò in casa come se fosse l’incarnazione mortale di una delle tre Furie, gridando che Lucio doveva presentarsi da lei, subito, che Lucio venisse da lei, che altrimenti l’avrebbe ucciso, che si spicciasse a venire, che altrimenti avrebbe visto con quanta velocità Caterina de’Medici si liberava di uno schiavo, bastava solo fargli bere del veleno, e lui l’avrebbe bevuto perché lei gliel’ordinava, per tutti gli Dei!

Le schiave più giovani erano terrorizzate, e gli schiavi stavano cercando Lucio per ogni angolo della casa, prima che la padrona demolisse la casa con le sue stesse mani e li uccidesse o avvelenandoli, anche se in quel momento il pugnale incuteva più timore del veleno.

Poi Lucio apparve.

<< Tu! Voglio delle spiegazioni, e subito, o ti uccido con le mie mani! Ora! Stupido essere, io ti uccido, ti ammazzo, ti mando ai lavori forzati sulle galee >> urlò lei non appena se lo vide davanti.

L’uomo, nonostante fosse stato fornito dalla vita di una buona dose di coraggio, in quel momento perse tutta la sua baldanza, di fronte a quella donna che sembrava una Furia.

Obbediente fece per sedersi, ma gli fu severamente ordinato di inchinarsi, perché così sarebbe stato più facile per lei rovesciargli addosso il suo furore e la sua indignazione.

<< Spregevole verme! Tu sapevi di Flavia! Tu ti sei approfittato della mia fiducia! Non ho mai fatto frustare i miei schiavi, ma tu sarai il primo, maledetto greco! Come hai osato agire di tua volontà? Tu non hai una volontà! Io ti ho pagato, tu sei mio, la mia volontà è la tua, ignobile essere! E tu … tu hai fatto quello che hai fatto. Sono sicura che non è stato un incidente, sei stato tu! O un altro di quei pazzi esaltati! Ti sei approfittato della sua fiducia! E della mia! E … >>

<< Della vostra no, mai! >> << Osi interrompermi?! >> << Non mi approfitterei mai della vostra fiducia. Perché io vi amo >>. << Cosa? >> << Vi amo dalla prima volta che entraste in questa casa come moglie del mio signore. Eravate così bella, con i vostri capelli biondi,e gli occhi profondi, che mi innamorai subito di voi, anche se avevate appena quattordici anni e io venti, ed ero uno schiavo. Soffrì con voi quando pensaste di avere un ventre sterile, e se fossi stato più audace vi avrei chiesto se volevate approfittare di me, ma non lo feci. Perché vi amo, e sapevo che se vostro marito ci avrebbe scoperto voi avreste perso la reputazione, io la vita. La mia vita non vale nulla, ma la vostra reputazione, è più preziosa delle vite di tutti gli schiavi di questa casa >> << Per questo sei rimasto quando ti ho offerto la liberta quattro lune fa >>. << Non saprei dove andare, lontano da voi, sarebbe il mio peggior incubo esser separato da voi, domina. E ora, se volete uccidermi, frustarmi, tagliarmi la lingua per la mia insolenza fatelo, ma non cambierà quel che provò per voi >>: disse, attendendo una reazione, una qualsiasi.

<< Va pure, ma tieniti a disposizione >> disse invece lei, mentre fissava un punto imprecisato di fronte a sé, con la testa e il cuore pieni di domande; domande ansiose di ricevere una risposta il più presto possibile.

***

Si era dovuta sdraiare sul letto per riflettere meglio.

Lucio le aveva appena confessato che l’amava, ma era vero?

O era solo una menzogna per evitare un punizione che lei giudicava più che meritata?

Sapeva che già altri schiavi, o schiavi, si erano salvati da punizioni anche peggiori confessando un amore che non provavano per i padroni, nella speranza di evitare la punizione e di legare il padrone a loro. Lucio poteva essersi comportato alla stesso modo.

E se avesse avuto ragione, invece? Se fosse stato sincero?

Ma chi era lei per degradarsi così, e accettare l’amore di uno schiavo, per quanto colto?

No, e inoltre lei era ancora innamorata di suo marito, anche se lui era morto, lei continuava a sperare di poterlo rivedere, sull’altra riva, nei Campi Elisi dov’era certa che fosse finito.

Come doveva quindi comportarsi con Lucio quindi, alla luce di ciò che sapeva, e di ciò che lui le aveva rivelato, ovvero tutto e niente. Per quel che riguardava la sua indagine, che stava diventando ormai diventando un’ossessione non aveva appurato niente. Anzi, lui aveva evitato di risponderle, di farla sfogare.  E per questo avrebbe pagato.

Chiamò Marco, un gallo abbastanza robusto, e gli ordinò di frustare Lucio, abbastanza forte da farlo pentire della sua insolenza, ma anche abbastanza piano da evitare che lei sentisse i suoi lamenti. << Quando hai finito con lui fallo venire con lui >> << Non so se riuscirà a camminare, domina >>. << Fai in modo che ci riesca, non m’importa come >> fu la sua risposta, prima di dirigersi nel triclinio, e mettersi ad osservare il giardino, giocherellando con la bottiglietta in cui aveva introdotto il veleno.

Mentre se la passava tra le belle mani pensò che forse era ora di recarsi da Druso Coccei per averne dell’altro. Perché rimandare, si chiese, prima di indossare una stola nera che si mise a mo di mantello, chiamare Afro e dirgli che sarebbe andata in visita al suo amico egizio.

Poi salì sulla lettiga, e si immerse nei suoi pensieri, adagiata sui cuscini orientali che aveva dato ordine di cambiare due lune prima.

x NonnaPapera: Lucio è un personaggio ambiguo, non si sa se mente o se è sincero, e non si sa il perchè...

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Capitolo 9
*** 8 cap ***


Il tragitto le era sembrato lungo, troppo lungo per i suoi gusti.

Non appena la lettiga si fermò scese, senza curarsi di Afro che le offriva la mano per farla scendere.

Veloce bussò alla porta nel solito modo, e attese. Fu la schiava della volta precedente ad aprirle la porta, e fu sempre lei ad accompagnarla. Druso Coccei era in piedi questa volta, e stava rimettendo a posto un rotolo di pergamena.

<< Caterina de’Medici, aspettavo una vostra visita, ma non così presto, sedetevi >> << Dovreste fare l’oroscopo a un morto, potete farlo? >> << Se sapete la data di nascita e quella di morte si >> << So solo la data di morte >> << Allora posso fare poco, anzi, nulla per voi >> << Capisco >> << Ma c’è qualcosa che voi avete perso di vista, qualcosa che potrebbe essere importante per la persona morta, e che lo è stata anche per voi, ma che per l’omicida non doveva esserlo >> << La spilla! >> urlò Caterina de’Medici, facendolo sobbalzare.

Si era occupata di tutto, ma aveva tralasciato quella spilla, che era invece fondamentale. Doveva scoprire se era la spilla che aveva visto addosso a Giulia, la figlia dell’imperator, era la stessa che lei aveva donato a Flavia quando l’aveva liberata.

Ed era stato Druso Coccei a ricordarle quel dettaglio basilare, uno dei più importanti della sua indagine, che da innocuo passatempo era diventata ormai un’ossessione.

La spilla, com’era arrivata fino alla figlia dell’imperator, se poi era la stessa?

Druso Coccei era stato fondamentale, e lei lo ringraziò come meritava, ossia con otto sesterzi, con il volto di Ottaviano Augusto, l’imperator.

Mentre usciva da quell’abitazione si chiese se dovesse tornare subito a casa o andare a fare una visita a Giulia. Optò per la seconda, sebbene fosse quasi ora di pranzo.

***

La lettiga si fermò davanti il superbo palazzo che la figlia dell’imperator aveva fatto costruire. Caterina de’Medici entrò e si fece annunciare da uno schiavo, che la condusse nel giardino, dove Giulia stava giocando a palla con uno dei figli.

La donna la vide e le sorrise, era così giovane, come un tempo lo era stata anche lei, un tempo che sembrava svanito per sempre.

<< Caterina de’Medici, cosa vi porta nella mia umile dimora? >> << Solo curiosità, credetemi >>. << Allora parlate >> << Vedete quella spilla? Quella che indossate in questo momento? Io ne avevo una simile, e la mia schiava l’ha perduta, almeno è questo quant’afferma. Non vorrei che l’avesse venduta, e che sia finita per caso in mano vostra >>. << Tutto qua? Lo sapremo subito >> fu la risposte di Giulia, che le diede la spilla a forma di ape.

Caterina de’Medici la esaminò. Vi erano montate delle pietre preziose, ma le sembrava proprio la sua. La voltò, e vide piccolo taglio, conseguenza di una sua caduta poco prima del matrimonio.

Non c’era dubbi, era la sua. Ma perché le pietre preziose, perché?

<< Non più alcun dubbio, è la mia. Ma non capisco le pietre >>. << Ah, quelle. Le ho fatte inserire io. La rendono più bella, più adatta a me, non credete anche voi? >> fu la semplice risposta di Giulia.

<< E come ne siete entrata in possesso? >> << Un regalo di mio marito, mi fa sempre un regalo quando mi ingravida; l’ha fatta comprare da uno schiavo. Vicino il Circo Massimo, almeno così mi ha detto >>. << Ne sono felice, ora devo andare >> << Non volete la spilla? >> << No, mi è servita solo per questo. Anzi, sì, datemela >>. Disse, aveva avuto un ripensamento, ed era sicura che la soluzione fosse vicina, almeno così pensava mentre si riprendeva la spilla, salutava Giulia ed usciva da quella casa.

Ora doveva solo risalire alla bottega dove lo schiavo di Agrippa aveva comprato la sua spilla, e poi sarebbe stato tutto più facile, ne era sicura, così pensava mentre saliva sulla sua lettiga e dava ordine di dirigersi verso casa.

***

Tornata a casa chiese a Marco dove fosse Lucio, e il gallo le rispose che Lucio era nella sua stanza, e che nessuno si era azzardato a toccarlo, se non per trascinarlo fin lì, visto che lui non riusciva a camminare, tanta era stata l’energica solerzia di Marco.

Poi pranzò con una focaccia, mentre dei suonatori suonavano un delizioso motivetto greco, di quelli che lei adorava.

Finito si diresse verso la sua stanza, ove trovò Lucio, e vide distintamente i segni delle frustrate.

Non provò pietà per lui, non si può provare pietà o compassione per un oggetto.

<< Se non mi avresti interrotto ora sapresti quel che volevo da te. Voglio la chiave del cofanetto di Flavia, e la voglio ora. O altrimenti finirai in fondo al Tevere. Sei rimpiazzabile Lucio, sei solo uno schiavo. Il fatto che tu mi ami è secondario, e forse è solo una scusa, ma ora rispondimi. Dov’è la chiave? >> << Nella vasca dei pesci, a sinistra, l’ho buttata là >> fu la risposta dello schiavo, provò ad alzarsi, ma purtroppo ricadde, il dolore era troppo. << Sta bene >> disse Caterina de’Medici, prima di ordinare a sei schiave di occuparsi di Lucio e lasciare la stanza, per dirigersi verso la biblioteca, aveva bisogno di rilassarsi.

x NonnaPapera: già, i colpi di scene... dei nuovi sviluppi ci sono qui, vedrai, vedrai...

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Capitolo 10
*** 9 cap ***


Il giorno seguente, dopo una buona dormita e una colazione ancora più frugale del solito, solamente due uova, Caterina de’Medici si decise a recuperare la chiave.

Si diresse verso la vasca dei pesci, a sinistra, e dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, si chinò e immerse la mano, cercando la chiave. Ebbe fortuna al terzo tentativo, quando la sua mano incontrò il metallo della chiave, che stava iniziando ad arrugginirsi.

La esaminò brevemente, era un chiave molto semplice, ordinaria, ma su un lato vi era l’incisione di un grappolo d’uva. L’uva, il vino, e Bacco era il dio del vino.

Corse nella stanza di Flavia e cercò il cofanetto. Lo trovò sotto il suo letto, come Flavia stessa aveva scritto nel suo testamento, lo stesso che lei preso alle vestali; lo prese e lo portò nella sua stanza, dopo aver dato ordine che non la disturbassero.

Veloce infilò la chiave, ma si rese conto che non entrava. Stava già maledicendo Lucio quando provò a  invertire il lato della chiave, e questa volta entrò. Non sarebbe stato necessario forzare la serrature con il pugnale.

Lentamente, per potersi gustare quel momento, aprì il cofanetto e vi vide quello che era custodito al suo interno.

Vi erano un mantello, accuratamente riposto, nero con i bordi ricamati in rosso,una copia della tragedia del greco Euripide “ Le Baccanti “, cosa piuttosto strana, visto che Flavia non sapeva né leggere né scrivere latino, solo in greco, e l’opera che in quel momento lei stringeva tra le mani era scritta in latino e non in greco... Quando sollevò il testo vide una veste, bianca. La prese e rimase senza parole, era macchiata di sangue, e sembrava sangue appena rappreso. Caterina de’Medici lanciò la veste, orripilata, e vide un’altra cosa. Un pugnale, sporco di sangue.

Ebbe paura, per la prima volta da quando aveva iniziato quell’indagine, ebbe seriamente paura.

Flavia aveva conservato quegli oggetti, quegli oggetti sporchi di sangue innocente.

Si voltò, e vide qualcosa che sporgeva dal libro. Si chinò e osservò meglio, era una lettera, infilata nel libro, come ultima speranza. Vi era scritto solo “ I sacerdoti di Bacco e i fedeli più esaltati sono … “ seguiva l’elenco di alcuni sacerdoti del dio e di alcuni cittadini romani, tra cui diversi personaggi importanti.

Dietro quella facciata ce n’era un'altra: “ Queste persone sono colpevoli della morte dei sei persone, di cui non ho mai saputo il nome, sacrificate a Bacco con il pugnale che ho riposto qui vicino ”.

Ecco a cosa le era servito il pugnale che aveva chiesto ad Afro quel giorno in conclusione. Ed ecco spiegata la sua ansia e la sua paura. Si chiese se le avessero chiesto solo di portare l’arma, o se l’avevano costretta a compiere il sacrificio, trasformandola in un’assassina.

Prese il foglio e se lo nascose addosso, poi rimise tutto com’era.

Portò il cofanetto in biblioteca, e là ricopiò su un pezzo di pergamena il messaggio, prese l’originale e lo nascose dentro una pergamena di inni a Giove, che reputò un nascondiglio sicuro.

Mise la copia tra le pagine de “ Le Baccanti ” di Euripide  e per terminare riportò il cofanetto al suo posto, sotto il letto di Flavia.

Era ora di procurarsi dell’altro veleno, era decisamente ora. Dopo c’era la questione della spilla, altrettanto urgente ma anche meno pericolosa.

***

Quella notte, non appena ebbe congedato gli ospiti del suo banchetto, solo tre clienti del suo defunto marito, Caterina de’Medici uscì di casa, avvolta in un mantello nero che le nascondeva il volto.

Doveva andare nella Suburra, dal suo avvelenatore di fiducia, un italico discendente dagli etruschi, Appio Tullio. Era fidato e discreto,  ed era stato incarcerato due volte per avvelenamento e di certo ciò che voleva evitare era finire per la terza volta al temuto carcere Mamertino.

Di notte Roma diveniva una città pericolosa, per questo lei si muoveva con tre schiavi armati di torce, era meglio non rischiare, in ogni stradina buia poteva celarsi un malvivente armato di coltello.

In ogni angolo c’era una prostituta con un cliente, in ogni vicolo un lenone spingeva un ragazzino tra le braccia di uomini che non vedevano l’ora di passare alcuni momenti divertenti con ragazzini che avevano l’età dei figli, o dei nipoti.

E nella Suburra era anche peggio; se negli altri quartieri tutto quello accadeva ben nascosto, lì ogni azione avveniva sotto gli occhi di Selene, la Luna., che non giudicava ma osservava implacabile.

Caterina de’Medici pensò seriamente di usare il pugnale quando un uomo le si avvicinò e le chiese quanto volesse, se non fosse stato per i suoi schiavi che lo allontanarono quell’uomo sarebbe morto. O quando un lenone cercò con tutti i mezzi di venderle per un’ora un ragazzino di circa tredici anni, che la osservava con espressione spaventata e maliziosa allo stesso tempo.

Ma era meglio non distrarsi, non ora che bussava con forza alla porta di Appio Tullio.

L’uomo venne personalmente alla porta, sebbene avesse degli schiavi era convinto che molti di questi potessero essere indiscreti e tradirlo, anche se per errore. L’uomo, capelli biondicci, occhi di un azzurro gelido, era famoso per la sua bravura nel preparare un veleno e anche per la velocità con cui incassava il compenso.

<< Domina, cosa desiderate dal vostro umile servo? >> << Per quale motivo la gente bussa alla vostra porta Appio Tullio? Per quale motivo la gente vi paga? Per quale motivo io sono qui? Per il vostro veleno, il vostro veleno, che non lascia traccia nelle sue vittime, che agisce rapido ed indolore o lentamente e con atroci tormenti per lo sventurato >> fu la risposta di Caterina de’Medici che quella notte si sentiva ispirata dalle Muse, mentre si copriva il volto, in modo che Appio Tullio la riconoscesse.

<< Domina, entrate, la mia casa è sempre aperta per voi >> disse, mentre le faceva strada; lei fece segno agli schiavi di restare nei paraggi, abbastanza vicini da poterla scortare al ritorno, ed entrò.

La casa era spoglia e semplice, senza alcuna decorazione, frugale quasi.

<< Ditemi pur. Come volete che il vostro uomo muoia? >> << Abbastanza lentamente da farmi gustare appieno lo spettacolo, e abbastanza lentamente da non farmi annoiare >> fu la risposta.

<< Penso di avere quello che cercate, domina >> le giunse la voce di Appio Tullio, che si muoveva in quella casa scarsamente illuminata con la bravura di un animale della notte.

Frugò un po’ tra le sue cose e ne emerse con una piccola custodia. << Qui dentro c’è uno dei miei veleni più potenti, domina. Di solito non lo cedo a nessuno, ma voi rappresentate una lodevole eccezione, quindi eccolo qui. E’ una polvere molto sottile, da usare a contatto, o impregnarne le vesti o mescolandola al cibo. Ma attenzione, è molto potente, e letale. E non ha un contro veleno >> disse. Caterina de’Medici capì quel che voleva e gli consegnò un borsellino pieno di monete, che tintinnò quando lui ne soppesò il contenuto.

Poi si voltò, ed uscì da quella casa, con la custodia ben stretta tra le mani, seguita dagli schiavi, che tenevano alte le torce, diretta verso casa, era stata assente anche troppo a lungo.

x  NonnaPapera: forse è innamorato, forse no, vedremo... potrebbe aver rubato, come potrebbe non averlo fatto...

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Capitolo 11
*** 10 cap ***


La mattina successiva, dopo aver sbrigato la corrispondenza e aver ricevuto la visita dei clienti di suo marito, Caterina de’Medici uscì, diretta al circo Massimo. Quel giorno si rilassò sui cuscini, e scivolò in uno stato vicino al sonno, a causa del dondolio della lettiga e dei numerosi cuscini.

Si risvegliò da quello stato solo quando la lettiga si fermò. Il giorno precedente c’era stata una corsa di cavalli, e lei vide chiaramente che quella parte della città si stava svegliando in quel momento.

Scese aiutata dal solito Afro e cercò una bottega orafa, dove poteva essere finita la sua spilla. Ebbe fortuna, c’è n’era solo una vicino il circo Massimo; altre ve ne erano sicuramente, ma dovevano essere più lontane. Entrò, e vide un liberto, probabilmente cartaginese, o fenicio, che si inchinò. << Domina, in cosa posso esservi umilmente utile? >> << Ho bisogno di un’informazione. Qualche giorno fa avete comprato una spilla a forma d’ape, che poi avete rivenduto a uno degli schiavi di Marco Agrippa, genero dell’imperator? >>.

Il giovane ci pensò su un attimo, poi prese un rotolo di pergamena e controllò.

<< Come avete affermato voi, domina, Marco Agrippa ha voluto che vi incastonassimo delle pietre preziose >> << Ma chi ve l’ha venduta? >> << Avvicinatevi domina, ve lo dirò >>, e le sussurrò un nome, che la fece sbiancare.

<< Ne siete sicuro? >> << Sulla vita del mio padrone >>. << Non è un granché come giuramento >> << Il mio padrone è un uomo buono, e io mi fido di lui >> << Ve bene >> ed uscì, mascherando con apparente disinvoltura l’informazione che aveva appena ricevuto.

***

A casa tornò a riesaminare gli elenchi che riguardavano schiavi e liberti.

Alla fine trovò quel che cercava: Greja. Era una schiava, era greca, ed inoltre sapeva che Flavia si era accostata al culto di Bacco, durante gli ultimi mesi della sua vita. La fece chiamare, le fu detto che Greja si stava occupando della pulizia delle stanze dei suoi figli, e lei rispose che non appena avesse  finito la raggiungesse.

Mentre l’attendeva pensò a quello che doveva fare con Lucio. Aveva giurato davanti alla tomba di suo marito e di fronte a diversi testimoni che nella sua vita non ci sarebbe stato nessun’altro uomo, ma Lucio non era un uomo, ma uno schiavo.

Forse poteva fare un’eccezione, non dettata di certo dall’amore, ma dal desiderio, e probabilmente dal calcolo.

L’arrivo di Greja interruppe le sue riflessioni e mentalmente la ringraziò.

<< Cosa sai del culto di Bacco? >> << Che i baccanali sono proibiti, e che se volete adorare il dio dovete andare al tempio >> << Sciocca, questo lo sapevo già, mi riferisco ad altro >>. << Domina, si riuniscono ogni luna piena, sull’altra riva del Tevere, all’opposto del Teatri di Pompeo, stessa distanza, rive diverse >> << La luna piena è tra due giorni. Intendo partecipare a uno di questi rituali >> << Sara un onore accompagnarvi domina >> << Sei nuova al culto? >> << Assolutamente no, domina, sono anni che partecipo, ma voi lo sapete solo ora, e mi dispiace di non avervi avvertito prima >>.

***

Mentre stava per chiudere gli occhi, quella notte, si chiese se fosse la cosa giusta da fare.

Doveva essere forte e non mostrare alcuna paura, e mantenere, almeno in apparenza, il sangue freddo che la di solito contraddistingueva.

Non aveva ancora rivelato nulla a nessuno le sue intenzione, e aveva ordinato a Greja di serbare il silenzio. Aveva scritto una lettera ai suoi figli, e aveva modificato il suo testamento, che il giorno dopo avrebbe portato al tempio di Vesta.

Era tutto pronto, doveva solo sperare che tutto andasse per il meglio. Per precauzione avrebbe portato il suo pugnale

x NonnaPapera: mi sono ispirata alla Caterina de'Medici storica, che era anch'essa piena di contraddizioni

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Capitolo 12
*** 11 cap ***


Quella sera c’era la luna piena. La pallida Selene illuminava con la sua luce soffusa le vie dell’Urbe, che appariva spettrale.

Due figure incappucciate avevano appena attraversato il Tevere dal ponte che si trovava di fronte il teatro di Pompeo, e ora si trovava sulla riva opposta del fiume.

Una delle due figure aveva i capelli biondi, occhi grandi e  indossava un abito che la riconosceva come una matrona, anche se era a lutto e quindi nero come la notte.

L’altra era leggermente più alta, con i capelli e gli occhi neri e indossava una semplice tunica da schiava.

La seconda precedeva la prima, che appariva incredibilmente guardinga.

Poi arrivarono alla loro meta, perché la mora si fermò, di fronte a degli individui incappucciati.

<< Hai fatto tardi Greja >> disse un uomo, dai capelli corti e castani, e degli occhi molto vivaci. << Scusami Giacinto, ma come sai io degli incarichi, sono solo una schiava >> ribatte Greja.

Giacinto Enobarbo, uno dei rampolli più in vista di Roma, sposato, con figli, tre amanti e un cinedo, prossimo a diventare questore, ottimo legionario, invischiato in certi culti sacrileghi! Evidentemente la cattiva fama della famiglia comprendeva anche lui.

Caterina de’Medici lo osservò attentamente: era bello, bellissimo, ma nei suoi occhi brillava una luce viziosa che la spaventò. Giacinto si mosse, e lei pensò che si muoveva come il giovinetto amato da Apollo cui doveva aver rubato il nome, era bello come lui, di una bellezza eterea, eppure viziosa, che la disorientava.

<< E questa donna chi è? >> chiese Giacinto, osservandola, lui e Caterina de’Medici non si erano mai incontrati. << Un’amica della mia padrona, voleva conoscere il nostro culto >> rispose Greja, che era stata istruita a dire quelle parole. << Voglio vedervi in volto, domina >>, e detto queste con un veloce gesto le tolse il mantello. Caterina de’Medici strinse più forte il pugnale, tanto che sentì le unghie entrarle nella carne. << Una donna di rara bellezza. Voi non siete bella mia cara, ma siete affascinante, incantate la plebe, i vostri occhi parlano per voi e rivelano la vostra intelligenza; siete nata per essere una regina. Venere doveva essere invidiosa di voi, perché vi ha fatto nascere non bella, ma Minerva ha posto rimedio a ciò, conferendovi l’intelligenza dei filosofi e dei saggi >>, disse, prima di darle un bacio leggero sulla bocca.

Caterina de’Medici si sentì morire, nessuno le aveva mai detto simili parole, e ora un giovane di appena venticinque anni le si rivolgeva in quel modo, e la baciava. Lo vide bellissimo, meraviglioso, ma anche corrotto e depravato.

Si sentì come preda di uno di quegli incanti di cui si favoleggiava che l’oriente fosse pieno, e senza aggiungere altre parole seguì Giacinto, e solo allora si rese conto che c’era altra gente con loro, oltre a Greja.

<< Che i sacri baccanali in onore di Libero comincino >> urlò un anziano sacerdote.

x NonnaPapera: vedremo, vedremo, chi ha venduto la spilla??? pazienza, pazienza..

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Capitolo 13
*** 12 cap ***


Era disgustata, semplicemente disgustata. Prima vi erano stati canti e balli, e lei seppur riluttante vi aveva partecipato, ballando e sentendosi libera, come non si era mai sentita fino ad allora. Era bello, ma detestava essere così libera, così esposta, senza difese. Dopo i balli c’era stato il sacrificio di un agnello a Bacco, e lei non aveva battuto ciglio, c’erano sacrifici ogni giorno.

Era rimasta sorpresa quando una schiava, giovanissima, doveva vere sedici o diciassette anni, si era inginocchiata sull’altare e uno dei sacerdoti l’aveva sgozzata come una bestia.

E dopo che alcuni di loro avevano portato via il corpo, si erano spogliati e ora stava avendo luogo un’orgia. Fece per andarsene, ma Giacinto Enobarbo la fermò: << Ve ne andate di già, domina? Pensavo che sareste rimasta >>. La sua voce, era così bella, così enigmatica, che se ne sentì quasi prigioniera. << Non intendo restare per dedicarmi a queste turpitudini, Greja ha scelto la matrona sbagliata >> rispose lei, cercando di non fargli sentire che stava per cedere, una sua parola, solo una, e sarebbe stata tra le sue braccia.

<< In questo caso ... >> disse lui, e prese un pugnale.

Lei reagì d’istinto, e veloce prese il suo. Schivò il colpo, e fuggì, terrorizzata, sperando che lui non la seguisse. Correva, correva, correva. Cadde, ma si rimise subito in piedi e riprese la sua corsa.

Le sembrava che tutti la stessero inseguendo, che lui la stesse inseguendo; ma quando si voltò si rese conto che nessuno la seguiva, e che era arrivata fino all’isola tiberina.

Si fermò e prese fiato, terrorizzata, doveva fare qualcosa, ma cosa? Il veleno, poteva avvelenarli tutti, o almeno quelli che aveva riconosciuto, erano schiavi, chi si curava delle bestie se poteva comprarne altre? O forse doveva denunciarli? O semplicemente dimenticare tutto e fare finta che non fosse successo niente?

Le domande l’assillarono finché non arrivò a casa e si addormentò nel suo letto, al sicuro, così almeno credeva.

***

La mattina si era svegliata di colpo, cosa che non le accadeva da quando era bambina, e c’era il rischio che un esercito, se dei “ liberatori “ o dei triumviri, o qualunque altro esercito, poteva piombare sull’Urbe da un momento all’altro. Mentre le schiave la vestivano e la truccavano non aveva visto Greja, e ne aveva parlato prima a Lucio e poi ad Afro.

Dopo aver ricevuto la visita di tre clientes e quella di un sua liberta che gestiva a suo nome una sartoria vicino il tempio di Marte Ultore si decise a fare qualcosa. Per prima cosa scrisse tutto quello che era accaduto, facendo nomi e cognomi di coloro che aveva riconosciuto, e la nascose in un posto che giudicò abbastanza sicuro.

Quando solai sulla lettiga per andare al Palatino si rese conto che la notte prima aveva stretto così forte il pugnale che si era leggermente ferita le mani. Se le fece fasciare da una schiava,  e risalì sulla lettiga. Frugo sui cuscini, e trovò la piccola boccetta di veleno che aveva nascosto là le sera prima, prima di andare con Greja in quel luogo, da quegli invasati.

Doveva andare al Palatino, e parlare con l’imperator, con Livia Drusilla, o con chiunque, per denunciarli tutti.

Pensava così, mentre passava davanti il Tempio della Concordia e notava un assembramento di gente. Scostò le cortine della lettiga e si affacciò. << Cosa sta succedendo? >> chiese, sperando che quell’imprevisto non ritardasse i suoi piani. << Un omicidio, domina, non sappiamo chi sia, ma questa povera sventurata è ormai nell’Ade >> disse un plebeo. Caterina de’Medici, curiosa, era scese, e si era fatta largo. Greja, era Greja, e il suo cadavere era in condizioni orribili, squartato come un animale da macello.

<< Padre Giove >> disse, era tutto così orribile, e credeva ciecamente che era tutta colpa sua, era colpa sua se Greja era morta in quella maniera tremenda. Poi vide Marco Agrippa scendere da una lettiga, e gli si avvicinò. << La mia schiava è stata uccisa. E’ la seconda volta, o si scopre chi è l’assassino o prenderò provvedimenti >> disse, cercando di spaventarlo, anche se sapeva che era impossibile.

<< Parleremo, domina, ditemi voi dove >> fu la risposta dell’uomo. << Al tempio del Divo Giulio, questa notte, verrò da sola, e sperò che voi farete altrettanto >> rispose, ricordandosi che lei apparteneva a una famiglia ricca, e da parte di madre aristocratica, mentre lui era un homo novus. << Verrò, da solo >> rispose l’uomo, prima di risalire sulla sua lettiga e andarsene; lasciando Caterina de’Medici piena di dubbi e di domande che sembravano destinate a non avere mai risposta.

Di una cosa era certa, non si sarebbe fermata, non ora che era vicinissima alla soluzione, alle risposte che cercava, ne era certa anche se fino a quel momento non ne aveva ricavato che poche soddisfazioni.

Occupò il resto del giorno andò alle terme e passeggiò vicino nel giardino di casa, fermandosi un secondo nel triclinio per leggere un testo egizio di filosofia epicurea.

Poi, dopo una cena veloce ma sostanziosa, ovvero un po’ di polipo condito con quella stupenda salsa con il pepe, si avvolse nel suo mantello nero ed uscì di casa, nella scollatura dell’abito aveva una boccetta di veleno, sulla gamba destra, appena sopra i calzari, c’era il suo pugnale. In mano stringeva l’elenco contenente i nomi dei seguaci di Bacco.

***

Era arrivata in anticipo, perché non c’era nessuno al tempio a quell’ora. Salì i gradini e si avvicinò alle colonne marmoree del tempio del divo Giulio.

Il cielo stellato quella notte si vedeva benissimo dal tempio. Avrebbe potuto studiare le stelle per ore, anche perché aveva abbastanza nozioni di astronomia per poter scrivere un trattato sugli astri.

<< E’ molto bello questa notte, domina? >> disse una voce, e vide Marco Agrippa. Indossava abiti militari, e i capelli erano perfettamente in ordine. Un soldato pronto alla battaglia, pensò confusamente Caterina de’Medici, mentre lo osservava avvicinarsi.

<< Vi sono grata di essere venuto, ma veniamo al punto. So chi è l’omicida della mia liberta, Flavia di Cipro e Greja di Atene, mia schiava. Le due sono state uccise dai seguaci di Bacco, culto nel quale l’elemento più folle è Giacinto Enobarbo, che nonostante l’età e la classe sociale si mischia a certe depravazioni. Li ho visti io stessa, si abbandonano ad orge blasfeme e sacrificano uomini e donne. Li ho visti io, con questi stessi occhi, l’ho giuro sulla vita dei miei figli. Ho qui con me l’elenco. Dove ho scritto tutti i loro nomi. Volevo denunciarli all’imperator, ma credo che lo darò a voi, Marco Agrippa >>, concluse, osservandolo, era così attraente.

<< E ditemi,Caterina de’Medici, come avrebbe fatto queste persone, che l’Averno le accolga, ad uccidere le vostre schiave? >> fu la domanda di lui. << Hanno buttato Flavia da questo tempio, e hanno sacrificato Greja a Bacco, e per di più … >>

<< Loro non hanno ucciso Flavia, l’ho uccisa io >> rivelò l’uomo, osservandola.

<< VOI? >> quasi gridò, la sorpresa, il terrore e il disgusto l’avevano quasi fatta gridare; quasi perché fin da infante sapeva che doveva controllare le sue emozioni.

<< Io, e se avete tempo, questa notte vi racconterò come >> << Ho tempo, parlate >> << Non vedo perché ve la prendiate così, non era umana, era una cosa, un oggetto >> << Ma era mia! >> disse lei, alzandola voce, ora voleva sapere la verità, era un suo diritto, sia come padrona di Flavia e Greja che come matrona romana, voleva la verità, e l’avrebbe avuta.

x NonnaPapera: forse Xd, se la cava, se la cava, come quella originale anche lei è dotata di mille risorse

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Capitolo 14
*** 13 cap ***


Si era seduta, e stringeva il pugnale, pronta ad utilizzarlo se necessario.

<< Voi eravate a Cipro quando Flavia vi si è recata per cercare informazioni sulla sua famiglia d’origine, vero? >> << Siete una donna brillante, Caterina de’Medici, e la cosa mi piace, renderà più facile la mia spiegazione. Avete visto giusto, ero a Cipro quando conobbi Flavia. Una schiava come mille altre, niente di più, credetemi. E siccome al momento mia moglie era incinta e io dovevo pur tenermi occupato, non credete? Così mi sono divertito con lei. Non sapevo che si fosse convertita al culto di Bacco, e se l’avessi saputo non mi avrebbe interessato, per niente. Insomma, era solo una schiava, non era come noi >>.

<< E perché l’avete uccisa? >> << Non potevo permettere che parlasse con mia moglie, o peggio, con mio suocero >> fu la risposta. << E la spilla? >><< Vi riferite a quella spilla a forma d’ape che Flavia portava quella sera? >> << Quella come tutte le altre sere >> << Quando le diedi appuntamento pensavo che avrebbe desistito, che non avrebbe parlato, e invece lei voleva parlare, voleva dirlo a tutti. Mi minacciò, disse che aveva amici potenti, amici che l’avrebbero aiutata. Non ci pensai nemmeno un secondo, è stato un gesto istintivo, sono un soldato, prima agisco poi penso. E la vidì là – indicò un punto – come se fossi sotto il controllo di Hypnos. Scesi, sapendo che era morta, la osservai, e me ne andai. Il giorno dopo tornai, e diedi l’allarme, e presi la spilla, poi mandai un mio schiavo a venderla, a nome di Giacinto Enobarbo, sapevo che era lui uno degli amici potenti cui Flavia aveva accennato. Successivamente ne mandai un altro a comprarla, e diedi ordine che doveva avere delle pietre preziose incastonate >> << Un piano perfetto, ne convengo >> << Vi ringrazio, per quanto riguarda l’altra credo che abbiate ragione, sono stati loro, durante un baccanale >> << Come volete comportarvi? >> << Non penserete che mi accusi dell’omicidio di una schiava, se fosse così mezza Roma si dovrebbe consegnare al carnefice e l’altra metà passerebbe la vita nel carcere Mamertino. Posso aiutarvi con l’altra, ma non per Flavia >> e detto questo si alzò e se ne andò.

Caterina de’Medici rimase al suo posto, seduta, a riflettere.

***

Era quella la verità, pura e semplice. Senza retorica, senza costrutti verbali, quella. Semplice e pura, ma per questo devastante. Aveva ragione Druso Coccei,la soluzione di quel mistero non le avrebbe portato gioia. Aveva risolto l’enigma, tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno, grazie alle sua qualità intellettuali, ma non era felice, non lo era per niente.

Aveva scoperto l’assassino di Flavia, e avrebbe avuto giustizia per la morte  prematura di Greja, ma a cosa le serviva ora saperlo? Cosa? Cosa? Cosa?

Non avrebbe ottenuto giustizia per la morte di quella che per anni era stata quasi come un’amica, una confidente, una donna discreta che non aveva mai avuto richieste, tranne un’unica volta.

Cosa poteva fare contro di lui? Cosa poteva fare una matrona, una semplice matrona contro il genero dell’imperator, marito di sua figlia, padre dei suoi nipoti, numero due dell’impero, e generale esperto vincitore di mille battaglie? Niente,ecco cosa poteva fare, niente, nulla.

Odiava quella sensazione di impotenza, la odiava, sarebbe stata meglio se avesse ingurgitato un intera fiala di veleno, o se l’avessero trafitta con un pugnale al Foro.

Sapeva che non poteva fare nulla, poteva solo sperare che Marco Agrippa e l’imperator avrebbero punito Giacinto Enobarbo e i suoi accoliti come meritavano, come prevedeva la legge.

La legge, era forse sufficiente la legge a farla sentire in pace con sé stessa.

Era consapevole che quell’indagine era stata una sfida con sé stessa, un gioco e un passatempo, abbastanza impegnativo da risultarle quasi divertente, ma proprio per questo non le piaceva la piega che avevano preso gli eventi, era come se dopo aver tentato di risolvere un enigma, dopo tanti tentativi, fosse arrivato un altro bambino e l’avesse finito lui, valendosi del suo lavoro, e alla fine non le aveva rivelato la soluzione e lei non sapeva come arrivare alla soluzione con le sue sole forza.

Era una sensazione devastante, così pensava, mentre entrava in casa, e si accorgeva che Lucio era rimasto alzato ad osservare la notte, ad attenderla. Gli sorrise e poi andò nelle sue stanze, ora doveva solo attendere.

x NonnaPapera: è come la Caterina de'Medici originale, ha troppa fiducia nelle persone... non dimentico mai nessuno, tranquilla

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Nei giorni seguenti segui attentamente tutti i pettegolezzi che nacquero nelle domus dei patrizi.

Venne a sapere che era stato scoperto un gruppo di fedeli di Bacco ancora dedito ai baccanali, malgrado il decreto del Senato di trentacinque lustri prima. I colpevoli erano stati incarcerati, e tra questi vi era il giovane Giacinto Enobarbo, così giovane così promettente. Molte matrone non vollero credere che quel giovane educato e cortese si fosse macchiato di simili turpitudini, ma lei, Caterina de’Medici, sapeva la verità, e sapeva che il bel Giacinto era colpevole. Fu uno scandalo, ma tutta l’Urbe sapeva che entro pochi mesi il giovane avrebbe lasciato il carcere Mamertino per l’esilio, che probabilmente sarebbe stato in un luogo ospitale, era pur sempre un Enobarbo.

Molti dei partecipanti, senza la guida di Giacinto Enobarbo avevano confessato crimini orrendi, così agghiaccianti che era meglio non parlarne con nessuno, troppo orrore. 

Lei era calma, aveva ottenuto ciò che voleva, ma non ne era appagata.

Seppe inoltre che Flavia era entrata a far parte di quel culto quasi controvoglia, ma che l’opera di seduzione di Enobarbo aveva fatto il resto. Era chiaro che aveva accettato le sue lusinghe per dimenticare Agrippa, che l’aveva trattata come un uomo avrebbe trattato una schiava. Solo che lei non era una schiava, non più.

E così si era lanciata nel culto di Bacco, facendosi sedurre da Giacinto. Poi doveva aver parlato con Agrippa, probabilmente non solo dell’eventualità che lei parlasse, era un motivo stupido e puerile, ma anche d’altro.

Di cosa trattasse questo altro non era in grado di poterlo affermare con sicurezza, ma si era fatta una sua idea. Lei doveva averlo minacciato di morte, aveva dei protettori potenti, se lui avesse deciso di ricominciare quella tresca, o se, era l’ipotesi più probabile, l’avesse denunciata come seguace del culto di Bacco.

Era bastato così poco, una leggera spinta, e Flavia era caduta dal tempio, battendo la testa e morendo sul colpo, vedendo come ultima immagine la notte stellata.

Che lui le avesse rubato la spilla il giorno dopo era improbabile, probabilmente l’aveva presa quella notte stessa, ne era certa, su alcuni punti lui poteva verle mentito.

Non aveva avuto bisogno del pugnale o del veleno, era bastato fare una leggera pressione sulle mani.

Così pensava Caterina de’Medici, mentre saliva sulla sua lettiga, diretta verso la sua villa fuori Roma, dai figli e dalla figlia, verso una pausa ben meritata. Si chiese come doveva comportarsi con Lucio, e non seppe darsi una risposta, non era preparata a rispondere, forse col tempo avrebbe capito.

x NonnaPapera: perchè la spilla aveva un certo valore, era un regalo, ma un regalo costoso.... cosumerano, non consumeranno????? Mistero

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