Non c'è logica nell'amore

di Dea Elisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BLOCCO I - Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Quinta parte ***
Capitolo 6: *** Sesta parte ***
Capitolo 7: *** Settima parte ***
Capitolo 8: *** Ottava parte ***
Capitolo 9: *** Nona parte ***
Capitolo 10: *** Decima parte ***
Capitolo 11: *** Undicesima parte ***
Capitolo 12: *** Dodicesima parte ***
Capitolo 13: *** Tredicesima parte ***
Capitolo 14: *** Quattordicesima parte ***
Capitolo 15: *** Quindicesima parte ***
Capitolo 16: *** Sedicesima parte ***
Capitolo 17: *** Diciassettesima parte ***
Capitolo 18: *** Diciottesima parte ***
Capitolo 19: *** Diciannovesima parte ***
Capitolo 20: *** Ventesima parte ***
Capitolo 21: *** Ventunesima parte ***
Capitolo 22: *** Ventiduesima parte ***
Capitolo 23: *** Ventitreesima parte - FINE BLOCCO I ***
Capitolo 24: *** INIZIO BLOCCO II - Tre mesi dopo ***
Capitolo 25: *** Il dono ***
Capitolo 26: *** Tutti sapranno ***
Capitolo 27: *** Cercando un testimone ***
Capitolo 28: *** Famiglia allargata ***
Capitolo 29: *** Maschio o femmina? ***
Capitolo 30: *** Quel giorno ***
Capitolo 31: *** Quel giorno, qualche minuto dopo ***
Capitolo 32: *** Quel giorno, quel momento ***
Capitolo 33: *** Ancora quel giorno ***
Capitolo 34: *** L'ascensore ***
Capitolo 35: *** Benvenuta al Morandini - FINE BLOCCO II ***
Capitolo 36: *** INIZIO BLOCCO III - G come Gandini ***
Capitolo 37: *** A volte ritornano ***
Capitolo 38: *** Dove eravamo rimasti ***
Capitolo 39: *** Gli ultimi pezzi del puzzle - FINE BLOCCO III ***
Capitolo 40: *** EPILOGO - Due anni dopo ***



Capitolo 1
*** BLOCCO I - Prima parte ***






Non c'è logica nell'amore





Prima Parte.

“Cristiana!” stava gridando il dottor Malosti camminando a passo veloce tra i corridoi del Morandini.

Eccola, non troppo sorridente, e nemmeno con l’intenzione di fermarsi ad ascoltarlo.

“Cristiana ma ti vuoi fermare?” continuava lui, aumentando il passo per raggiungerla. “Manco stessimo giocando a guardie e ladri…” commentò inoltre, e iniziò a correre.

Bottone premuto, porte aperte, due passi avanti… e il piede di lui tuffatosi quasi in scivolata tanto che impedì all’ascensore di continuare il suo corso.

“Potevi anche aspettare qualche secondo in più, no? Così non rischiavo di slogarmi una caviglia.”

“Ritieniti fortunato che questi ascensori hanno il sensore” rispose con indifferenza, braccia incrociate, corpo appoggiato alla parete laterale.

“Dottoressa Gandini, siamo sul nervosetto oggi?” Le si avvicinò, con un sorrisetto che lei conosceva bene.

“Stiamo assistendo all’inversione dei ruoli, o…”

“Piano?” interruppe lei, l’ascensore ancora in attesa di un comando.

“Quello che vuoi.” Riccardo eliminò quel passo di distanza che li separavano e intrappolò Cristiana appoggiando le mani alla parete. La dottoressa cercò di forzare le braccia, ma quelle non cedevano. Passò al piano B: si abbassò e provò a passare sotto di esse, ma Malosti fu più rapido e la chiuse in un abbraccio.

“Non ti faccio scappare” dichiarò.

“Mmm.”

“Molto eloquente.” Con due dita le accarezzò una guancia, Cristiana non si scostò ma non sembrava gradire.

“Che c’è? Pensavo ti piacesse ricevere qualche attenzione, no?” chiese lui spingendola verso la parete.

“Se l’ascensore si apre…”

“Fingerai un malore.”

“Astuto.”

“Sssh.”

Con le proprie labbra sfiorò appena le sue e Cristiana non si tirò indietro, anzi, diede mentalmente ragione a Riccardo, con il quale erano ormai giorni che non aveva il minimo contatto fisico, per via del lavoro in ospedale che non li lasciava respirare e dei turni a cui Sergio non voleva mettere più mano.

Lo strinse a sé con maggior foga, ma questa volta fu lui a distanziare il proprio viso. “Visto che avevo ragione?” Le accarezzò i capelli e lei sorrise. Sorrise per la prima volta in quella giornata.

“Finalmente.”

Lei lo guardò con espressione interrogativa.

“Sei più bella quando sorridi.” Si bloccò, incerto. “Non che tu non sia bella arrabbiata, triste, infastidita, agitata, stanca, in ritardo…”

 

“Non avete nient’altro da fare, voi due, che frequentarvi in ascensore? Voglio dire, ci sono tanti posti, casa vostra, ristorante, al massimo – e dico al massimo – il parcheggio del pronto soccorso!”

“Mmm… troppo aperto” commentò Malosti prendendo a braccetto Cristiana, “meglio il tuo studio, no?” scherzò lui, non senza ricevere un’intensa gomitata dalla dottoressa. “Ah!”

“Chiuso a chiave, mi dispiace” rise il primario.

“Va bene va bene” disse con i denti stretti per il male. “Vado a farmi ricoverare!” e si mise una mano sul fianco colpito, quasi piegato a causa dell’acuto dolore.

“Ci sono la Costa e Santamaria liberi, se vuole farsi visitare, dottor Malosti” lo informò premendo il pulsante all’interno dell’ascensore.

“No, professore, li lascio tranquillamente a civettare da soli, io ho bisogno solo delle carezzevoli cure di…”

“Peccato, mi sono ricordata or ora che ho lasciato solo un mio paziente con una frattura, non vorrei che fosse finito l’effetto dell’antidolorifico” disse a velocità raddoppiata per tagliare quell’imbarazzante discussione, e s’intrufolò di nuovo nell’ascensore.

“Ma…”

“Non ti dispiace se scendo con Sergio, vero?” e si chiusero le porte. Riuscì a gustarsi l’ultima espressione di Riccardo, tra lo sconvolto e il sorpreso: era da incorniciare.

“A dir la verità sto salendo” la informò Danieli subito dopo.







Dunque... questo è il primo capitolo di una long-fic, ma molto long-fic.
E... sì, qualcuno avrà già sentito parlare di questa ff.
Non mi dilungo inutilmente, ma dico solamente che quando l'ho scritta stavano trasmettendo gli ultimi episodi di Terapia (credo però di averla iniziata ancor prima, ossia durante lo stacco tra l'ottavo e i successivi), quindi rappresenta una sorta di enorme what-if che inizia quando i protagonisti hanno più o meno cominciato la loro "relazione" e comprende inoltre un'ipotetica seconda serie.
L'ho pubblicata anche se, rileggendola ora dopo molto tempo, mi rendo conto della banalità degli avvenimenti e di quanto sia infantile la narrazione. E' comunque parte di me, avendomi impegnato per quasi un anno, tra una cosa e l'altra, ed essendo la fanfiction più lunga che abbia scritto sinora.




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Capitolo 2
*** Seconda parte ***





Seconda Parte.

“Cristiana.” Lei si voltò. “È successo qualcosa?”

“No” risposta secca, istintiva.

“Mh. Ti conosco bene, e vedo quando c’è qualcosa che non va” insisteva.

L’ascensore si fermò.

“Scusami Sergio, scusami, ma non ne voglio parlare ora” e si dileguò tra gli altri camici del reparto.

 

“Signora, mi raccomando, le lascio la lista degli alimenti che non può mangiare almeno per due mesi, poi verrà per il controllo e vedremo se sarà il caso di continuare la dieta” spiegò la dottoressa Gandini alla paziente sdraiata al box 2.

“Dottoressa” esclamò un infermiere sopraggiunto di corsa in quel momento. “C’è un’emergenza, il dottor Malosti mi ha detto di chiamarla.”

Cristiana lasciò la donna e lo seguì svelto.

 

“Non sappiamo di preciso cos’abbia, un signore l’ha trovato svenuto davanti al suo negozio e ci ha chiamati” diceva intanto Franco mentre con Eva spingeva all’interno del pronto soccorso la barella.

“Forza, portiamolo in Chirurgia 1” li sollecitò Malosti, informandosi intanto dei parametri vitali.

Pochi metri mancavano all’entrata della sala.

“Eccomi.” Una voce familiare lo raggiunse da dietro.

“Ben arrivata, dottoressa” l’accolse in tono da rimprovero, senza ottenere risposta.

 

Nella sala antistante Chirurgia 1 c’era  un silenzio che avrebbe spaventato anche la più quieta delle persone: solo l’acqua scorreva attirata dalla gravità verso il fondo del lavandino, e una lacrima… una lacrima percorreva lo stesso percorso, per disperdersi in mezzo alle altre gocce, mischiarsi con la schiuma del sapone e scomparire inesorabilmente, chissà per quale meta.

“Non dovrebbe avere alcun tipo di reazioni post-operatorie” commentava nel frattempo Malosti. “Certo, se avesse evitato di drogarsi…” sbuffò. “Ma dico io, cosa mai insegnano ai figli, i genitori di oggi?”

“E se magari hanno fatto di tutto pur di dare giusti insegnamenti?” intervenne a testa bassa Cristiana, passando la manica dell’abito blu scuro sulla guancia, affinché anche solo l’ombra della scia della goccia salina se ne andasse. “E se non ce li hanno mai avuti, questi genitori?”

“Ma che discorsi sono?” rispose lui duramente. “Allora perché si perdono i genitori ci si deve drogare?” si fermò a guardarla, ma lei continuava a fissare l’acqua scorrere.

Riccardo si asciugò le mani e gettò il foglio di carta accartocciato nel cestino, poi si avviò verso di lei, abbassò la manovella del lavandino e le accarezzò il capo.

“Scusa” borbottò piano, quasi con vergogna.

Lei non disse nulla, lo guardò per un attimo negli occhi, poi prese la direzione opposta e uscì.

Non si era neanche curata di riprendere il proprio camice.

 

“Dottoressa Gandini, va tutto bene?” Teresa, l’agente segreto sempre pronta all’attacco per scoprire e diffondere novità, la vide passare veloce davanti al bancone dell’accettazione.

Si ricordò però di una cosa importante che doveva chiedere alla maga del pettegolezzo – ma sempre efficiente –, perciò prese coraggio e, mascherando un po’ tutte le preoccupazione che l’attanagliavano in quell’istante, raggiunse il desk e si fece dare un post-it.

“Questo è il nome del ragazzo che abbiamo operato. Puoi provare a rintracciare i suoi genitori, per favore?” chiese con tono distaccato.

“Certo, dottoressa, certo, ma…” non rischiò di andare oltre, pensando che i dottori avrebbero meritato un po’ di privacy, o almeno un po’ di più degli infermieri…

Così Cristiana poté dileguarsi, alla volta del bagno in fondo al corridoio, per un minimo di pace, per poter respirare qualche secondo prima della successiva visita od emergenza. Si chiuse dentro, non prima di aver assistito con la coda dell’occhio allo sguardo stupito e curioso di Rocco appena uscito da uno dei box adiacenti.

 

Rocco comparve all’improvviso dietro di lei. “Hai visto che faccia aveva la dottoressa Gandini?”

“Sì, ho visto, ma non è che tutto il giorno sto dietro ai fatti degli altri, eh.”

“Beh insomma…” commentò l’infermiere con il sorriso sotto i baffi.

“Però, da quel che ho visto, posso benissimo immaginare che un certo qualcuno tra poco passerà di qui chiedendo di lei. Problemi in vista.”

“Terry, Terry… ma se saranno sì e no due settimane…”

“Teresa hai visto Cristiana?” La rossa guardò Rocco con un puntino di soddisfazione sul volto.

“L’ho vista passare di qua, non so di preciso…”

“In bagno” intervenne Cannizzaro. “Provi a guardare in bagno” e ricambiò lo stesso sguardo a Teresa.

Si voltarono entrambi verso il medico, che però si era già volatilizzato.

“Teresa non sbaglia mai” dichiarò lei, raccogliendo alcune cartelle sparse sul bancone.
“Sì ma anche Rocco non è che scherza…” rispose agitando in aria le braccia, ma si zittì dopo un’occhiataccia della sua interlocutrice.

 

Cristiana si guardò allo specchio, osservando come in pochi giorni pareva invecchiata di anni. Occhiaie – e abbastanza profonde da fare a gara con chi passava le notti in discoteca –, sguardo spento e pelle pallida.

“Sono un mostro” disse alla sua immagine speculare.

“No, non lo sei.” La stessa voce, profonda, e… sexy da morire.

Lo vide dallo specchio, ma evitò i suoi occhi; si stava avvicinando, con il suo camice in mano. Lei abbassò il capo verso il lavandino, ma non si poté sottrarre all’inesorabile evento successivo.

Sulle proprie spalle avvertì ricadere delicatamente l’indumento riportato alla legittima proprietaria, accompagnato da un dolcissimo gesto delle mani di lui sulle spalle di lei, le quali percorsero lentamente la lunghezza delle braccia, per poi ricongiungersi alle dita in un caldo intreccio.

 

Appoggiò la testa tra il collo e una sua spalla, ma, come Riccardo aveva presupposto, la sentì allontanarsi da lui, scivolare via, centimetro dopo centimetro.

Il camice cadde a terra in un soffio, ai loro piedi, e lo stesso avrebbe fatto lei stessa, se Malosti non avesse fatto da contropeso per tenerla in piedi.

Pensava fosse uno scherzo, lei che si lasciava andare contro il suo corpo per essere abbracciata, ma evidentemente non lo era. L’accompagnò dolcemente a terra e la fece sedere con il busto appoggiato a lui, mentre con voce non troppo serena continuava a chiamare il suo nome.

Non fece in tempo a ragionare su cosa potesse essere successo, che i suoi occhi castani si riaprirono quasi in simultanea con un lieve sorriso.

“Riccardo…”

Solo allora, davanti all’espressione spaventata dell’uomo, si rese conto di cosa fosse successo, e rimediò subito. “Non è niente, solo un capogiro, questa mattina non ho fatto colazione.” Fece per alzarsi ma lui la bloccò.

“Aspetta un attimo, finché non ti passa del tutto. Non vorrai mica farmi prendere un altro spavento del genere, vero?” simulò una risata.

“Mh” acconsentì lei portandosi una mano sulla fronte. “Sto bene” ripeté.

“Adesso ti vado a cercare un box libero, così ti sdrai un po’, ok?”

“No” rispose brusca. “Ti ho detto che non è niente, basta che prenda qualcosa ai distributori e vedrai che mi sentirò meglio.”

“Ad una condizione.” Strofinò il proprio volto contro il suo, incrociando le braccia sul suo petto e la strinse verso di sé. “Ti accompagno.”

Cristiana mugugnò qualcosa.

“Cos’hai detto?” domandò scherzosamente tenendola in trappola. Poi cercò i suoi fianchi e si mise a farle il solletico, mentre lei cercava di sfuggirgli agitandosi e ridendo.

“Niente niente ti prego!” esclamava rigirandosi addosso a lui.

“Ah ecco… altrimenti…” e riprese a solleticarla dappertutto.

“Riccardo!” gridava esausta.

Il dottore si fermò, ad ascoltare il respiro affannato di lei alternato a sbuffate.

“Adesso però ce ne andiamo, eh” disse lui, e si mise in ginocchio. “Se entra qualcuno e ci vede in questa posa potrebbe equivocare…”

“Meglio di no” confermò Cristiana tirandosi su.

Riccardo la sollevò con forza e aspettò che lei fosse pronta per uscire. Si diede una sistemata ai capelli arruffati e si infilò il camice dopo averlo lisciato un po’.

“Andiamo.” Lui la prese a braccetto.

“No, dai, così no!” cominciò a lamentarsi la Gandini.

“E se finisci ancora una volta per terra? Devo sostenere i miei pazienti, dottoressa.” Fece una pausa. “In tutti i sensi.” E le stampò uno schioccante bacio sulle labbra.






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Capitolo 3
*** Terza parte ***





Terza Parte.

“Caffè?”

“No, magari acqua, non so se…”

“Va bene, va bene, te la prendo subito, ma tu finisci di mangiare quella cioccolata!”

Erano passati incolumi attraverso il corridoio, anche se Teresa dall’accettazione non aveva fatto a meno di notare lo strano comportamento dei due, ed ora Malosti stava riempiendo il tavolino dietro al quale c’era Cristiana di merendine varie estratte dalle macchinette.

“Sì, ma non posso mangiare tutto, Riccardo, non stai esagerando?” controllò le etichette delle confezioni. “Non immagini neanche quante calorie ha ognuna di queste!”

“Non importa, ti devi riprendere, no?” Lei annuì, contenta per quella premura che le stava dimostrando.

 

“Dottor Malosti, c’è bisogno di lei su in reparto, è urgente” la voce di Ettore risuonò nell’ampio ambiente, facendo girare entrambi.

Guardò Cristiana con faccia scocciata, lei ricambiò sorridendo e partì seguendo lo specializzando.

“Riguardati!” le gridò giratosi indietro dopo qualche passo.

Avrebbe voluto sotterrarsi. Raccattò tutte le merendine e le distribuì per le tasche; prese in mano la bottiglietta d’acqua e, dopo essersi guardata intorno attentamente, cercò di raggiungere nel minor tempo possibile la sala medici, per poter nascondere tutta quella cioccolata in mezzo agli altri rimasugli del reparto alimentare dell’ospedale.

Peccato, però. Quel desiderio di entrare e non trovare nessuno non si realizzò, e ad accoglierla con un mezzo sorriso furono Laura e Danieli, che si stavano concedendo una pausa.

“Professore, io vado” stava dicendo la dottoressa Costa. “Ho un sacco di pazienti che mi aspettano.”

Si salutarono, Cristiana fece lo stesso con la collega e si tuffò in una delle sedie che attorniavano il tavolo. Estrasse dalle tasche tutte le confezioni e le gettò sul ripiano accanto, sotto gli occhi di Sergio, in piedi davanti al frigorifero, alla ricerca di qualcosa di più che uno yogurt scaduto.

“E queste?” chiese, un po’ affamato.

“Te le cedo volentieri” sospirò la Gandini con espressione seria.

Danieli ancora non capiva.

“Malosti… ha paura che io muoia di fame” spiegò calma.

Al primario sfuggì una risata.

“Tu ridi…”

Le si avvicinò scartando un Kinder Cereali. “Vuoi un pezzo?”

“Per carità! Mi ha già riempita di cioccolata!” questa volta sembrava aver ripreso un po’ il buon umore.

“Hai voglia di raccontarmi quello di cui mi hai accennato prima?” tentò il medico, dopo essersi seduto sul tavolo accanto a lei.

“Non so se è il caso.”

“È così grave?”

“No, appunto per questo. Ci sono cose ben più importanti a cui pensare ora.” Terminò il discorso e si alzò in piedi. “Vado da Teresa, non vorrei mai che avessero bisogno di me.”

“Vengo con te.”

Si alzarono entrambi e uscirono dalla sala.

Non riuscirono ad attraversare nemmeno mezzo corridoio, che Malosti li aveva già trovati.

“Ma qui non si lavora mai?” esordì il primario osservando Riccardo con un bicchiere di plastica in mano.

“Pausa caffè, altrimenti come faccio a tenermi sveglio?” si giustificò fissando la collega.

“Non credergli” bisbigliò lei a Sergio. “Questo è il terzo, in una sola mattinata!”

Il professore scosse la testa. “Posso approfittare della tua gentilezza  e generosità?” Gli sfilò dalle mani il bicchierino e bevve tutto d’un sorso la bevanda rimasta, sotto l’espressione incredula del medico.

“Amaro.” Sottolineò dopo aver scolato anche l’ultima goccia.

“Come lui” terminò Cristiana.

Trascorse un attimo di silenzio, i due a guardarsi negli occhi e Sergio ad osservare il contenitore di plastica.

“Bene, buon lavoro a tutti” interruppe la dottoressa.

“Sergio, ho bisogno di parlarti un attimo” gli riferì Malosti cercando di non farsi notare dalla donna, che, come solito accade, non aveva perso un’acca.

Il primario annuì e la Gandini, fingendo un totale disinteresse, proseguì per la sua strada.

 

“Esther, se non impari a ordinare i turni, col cavolo che Danieli ti assegna il posto da caposala!” sbraitava la donna in mezzo al corridoio con una decina di cartelle sotto braccio.

“Scusami…”

“Eh, scusami, scusami” ripeté. “Con tutto il rispetto, ma credevo ci sapessi un minimo più fare. Qui c’è bisogno di un corso accelerato, ma se nella tua testa ronza qualcos’altro, non possiamo mica star qui a pettinare le bambole!”

“Giulia, d’accordo, ho capito, cercherò di dare il mio meglio.” Si tirò dietro le orecchie i ciuffi color zucca.

In quel medesimo istante, all’estremità opposta del corridoio, una certa pediatra stava passando.

“Appunto” disse la caposala. “Se hai altri grilli per il cervello, fai saltare quelli, prima di sognare il mio posto e poi lamentarti per il troppo lavoro.”

 

“Suvvia, abbassi il tono, signorina Graziosi, in fondo è la prima volta che assegna tali mansioni all’infermiera Bruno, no?” la voce di Danieli placò immediatamente la discussione.

“Mi scusi, professore, volevo solo…”

“Va bene così. Esther si impegnerà, vero?” si rivolse a lei.

“Certo” rispose con fare incerto. “Darò tutto il meglio.”

“Vede? Abbiamo già risolto.” E appoggiò per un millesimo di secondo una mano sulla spalla a Giulia.

Malosti, che era rimasto in disparte, continuò a seguire Sergio diretto al suo studio.

“Difficile, da dimenticare, eh?” chiese.

“Sì, ma se ti ci metti pure tu…”

 

“Allora, cosa mi dovevi dire?”

“Cristiana.”

“Non mi dire che hai già dei problemi con lei, eh, perché per questo potresti al massimo parlarne con Teresa, non sono il tipo in grado di dare consigli sulle donne.”

“Se mi lasciassi parlare…”

“Ti ascolto.” Si sedette dietro la sua scrivania, mentre Malosti passeggiava tranquillo avanti e indietro per la stanza. Il primario mosse il mouse per liberare il pc dallo screensaver e aprì il browser.

“Sì, ma guardami, per favore, già non è facile parlarne, mi rendi ancora tutto più difficile se fai qualcos’altro!”

“Riccardo.” Lui si bloccò. “Siediti qui e prendi fiato.” Il medico eseguì, appoggiò i gomiti sulla scrivania e si sporse verso il collega, che attendeva sorridente.

“Cristiana.” Disse un’altra volta, come se il suo interlocutore non avesse ancora capito quale fosse l’oggetto del discorso. “Stavamo parlando e mi è svenuta addosso.”






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Capitolo 4
*** Quarta parte ***





Quarta parte.

In corridoio, davanti ad una parete che faceva angolo con un’altra ala del pronto soccorso, stava immobile con un braccio appoggiato al muro e l’altro al fianco opposto. Ansimava.

“Cristiana!” la voce spagnoleggiante di Palumbo proveniva da dietro alle sue spalle.

L’afferrò per le braccia.

“Non ti preoccupare, sto bene” diceva lei. “Solo una fitta, ma ora è passata.”

“Sicura? Non vuoi che ti accompagni a sedere, o hai bisogno di qualcosa, un bicchier d’acqua?”

“Niente, non mi serve niente, grazie. Non so cosa mi succeda oggi” aggiunse poi, mentre il respiro le tornava abbastanza regolare. “Ce la faccio, ce la faccio” ripeté per allontanare Nicola e con lui ogni sospetto.

“Sono troppo stressata, sì” rifletteva tra sé e sé. “Qualche giorno di riposo non mi farebbe male. Oppure è stata tutta quella cioccolata…”

 

“Potrebbe essere qualunque cosa.”

“È proprio per questo che mi preoccupo” rispose lui, e sbatté un pugno sulla scrivania.

“Perché non provi a chiederglielo?” propose il primario a corto di altre idee.

“Ma che ne so!” si stava innervosendo.

“Senti, lo so che per te è una cosa importante, me ne rendo conto, ma la giornata non è ancora finita, e non possiamo chiuderci qua dentro per delle ore in cerca di una possibile soluzione al tuo dilemma.”

Sembrava averlo convinto, ma l’espressione di Malosti non era quella di chi considera avvincente il discorso dell’altro al punto di inchinarsi.

“Forse hai ragione” si limitò a dire, sottolineando il primo lemma dell’affermazione.

Sergio annuì e si alzò in piedi.

“Andiamo, dai, e non ci pensare più, sono sicuro che se ci saranno problemi, non verrai tenuto all’oscuro. Cristiana non è il tipo da nascondere cose serie.”

Sì, stavolta la faccia era un pochino meno turbata. Solo un po’.

 

“Cos’abbiamo? “

Franco ed Eva stavano spingendo all’interno del pronto soccorso una barella con una signora immobile sopra di essa.

“Donna, 63 anni, caduta dalle scale.”

“Sono sua figlia” esclamò in quell’istante una donna vicino a loro. “Ero in casa quando è successo, mentre aspettavamo l’ambulanza continuava a dire che le faceva male qui” si mise una mano all’altezza dello stomaco.

“Va bene, signora, vada in sala d’attesa, appena sapremo qualcosa la faremo chiamare” spiegò tranquilla la dottoressa Gandini, accompagnando la barella verso l’entrata del corridoio che portava alle sale chirurgia.

“Prima di qualsiasi intervento, le dovremmo fare una radiografia al torace, quindi chiedi a Teresa di rintracciare Malosti, lo aspetto direttamente là.”

“Subito, dottoressa” ed Eva fece marcia indietro.

 

“Signora, stia tranquilla, tra poco avremo finito.”

“Sì, ma mi fa male a respirare!” era evidentemente agitata.

“Faremo in fretta, poi aspetteremo i risultati e agiremo di conseguenza.”

Il radiologo fece un cenno a Cristiana che tutto era pronto, e iniziò a dare istruzioni alla paziente, mentre la dottoressa continuava a voltarsi verso l’uscita per controllare che Riccardo arrivasse.

“Cerchiamo di sollecitare i risultati, d’accordo?” chiese al collega prima di intravedere la sagoma di Malosti dietro la porta. Gli fece un cenno per entrare, ma l’unica risposta fu una scossa di testa.

“Accompagna lei la signora?” domandò quindi all’infermiere che assisteva all’esame.

“Certamente dottoressa, me ne occupo io.”

Lo ringraziò e prese il via per la porta.

“Grazie per la tua presenza” ironizzò Cristiana.
“Mi hanno appena avvertito, e non avendo le ali ai piedi…”

“Potevi almeno entrare” si mise le mani ai fianchi, un po’ scocciata.

Riccardo avvicinò la propria bocca al suo orecchio. “Non farmi venire strane voglie qui in mezzo al corridoio…” Adorava quando s’impuntava su qualcosa che non le andava bene.

“Mh?”

“Hai capito benissimo.” Le diede un piccolo bacio nell’incavo tra il collo e la spalla che le provocò un brivido non da poco. “Avrei bisogno di parlarti” disse poi, allontanandosi un attimo per sviare l’attenzione di alcuni infermieri che passavano in quel momento davanti a loro. Poi, quando l’area adiacente si svuotò, gliene diede un altro sul collo.

“Malosti, così mi provoca” sorrise maliziosa.

“Era mia intenzione” le solleticò ancora l’orecchio con il suo fiato.

“Quando ci troviamo?”

“Stasera da me?” rispose rapido.

“Non è un po’ troppo… azzardato?”

“Azzardato? Dario e Alessandro hanno una cena con i loro compagni di classe, non saranno di ritorno prima di mezzanotte, e visto che tu per quell’ora sarai già a casa…”

“Ritardatario ma pianificatore” commentò mordicchiandosi le labbra.

“Gandini, non ho solo difetti” dichiarò dondolandosi sulle gambe come era suo solito fare.

“Però forse sono l’unica ad averlo scoperto, qua dentro.”

“Ti sei mai chiesta il perché?”

“Sinceramente no.”

“Sento che sei l’unica a meritarlo.” E sorrise dopo aver ottenuto in risposta l’espressione sorpresa e sconcertata della collega, che non tardò a gettarsi contro di lui per farsi abbracciare, decisamente noncurante di tutto il resto.

 

“Come si vogliono bene.” E ti pareva che non passassero inosservati.

“Esther, ti prego, abbiamo fin troppe cose a cui pensare, tu soprattutto” le ricordò Rocco indicando le cartelle che aveva con sé.

“Sì, ma… come non notare una coppia così… felice…” era fissa a guardarli, quasi commossa.

L’infermiere si fermò ad osservarla e le agitò una mano davanti: “Oho?”

Lei si risvegliò dal coma sognante ad occhi aperti. “Scommettiamo che domani mattina li vediamo entrare insieme?”

“Per forza. Iniziano il turno alla stessa ora.”






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Capitolo 5
*** Quinta parte ***





Quinta parte.

Era felice. Nessuno poteva immaginare come stesse bene tra le braccia della persona che amava, come il suo calore le infondesse sicurezza e senso di protezione. Lo strinse a sé maggiormente, la testa appoggiata ad una sua spalla e una mano di lui che le accarezzava i capelli. La frase di prima le ronzava ancora nella testa, le era rimasta impressa dal tono così sincero e naturale con cui Riccardo l’aveva pronunciata. Non sembrava più lui.

Malosti si scostò di un centimetro, benché non avesse la minima intenzione di concludere così quel momento di riavvicinamento.

La guardò un attimo negli occhi, dentro ai quali si perse per qualche eternità che per la vita degli esseri comuni accanto a loro sarebbero state definite come secondi, e gli prese un desiderio irrefrenabile di baciarla, lì davanti tutti. E chissenefrega.

Cristiana percepì il suo movimento e fu lei a bloccarlo. Scosse la testa. “Non possiamo” sussurrò pianissimo.

“E chissenefrega” il pensiero divenne parola.

Le prese il volto con entrambe le mani e la trasse a sé delicatamente, per poi solleticarle le labbra con le sue in un semplice e breve bacio. Si staccò quasi subito, perché aveva avvistato dall’angolo del corridoio di fronte a loro che erano appostati due infermieri. Chissà quali.

 

“Ah, non ci avevo pensato. Beh è vero, se hanno lo stesso turno entrano insieme, non ci vuole molto per capirlo.”

Ma Rocco non la stava più ad ascoltare: aveva qualcosa di meglio da tenere sotto controllo. L’occhiataccia che Malosti stava indirizzando nella loro direzione lo fece pentire di essere finito in quel punto in quel momento; prese Esther a braccetto e la condusse nel senso opposto.

“Ma…”

“Vedi, Esther, non ci vuole molto per capire anche che è meglio stare alla larga da problemi inopportuni.”

 

“Scusa, hai ragione tu” si separò completamente da lei. “Non è il caso, in questo ospedale la parola discrezione non compare nel vocabolario dei nostri colleghi.”

Cristiana annuì.

“Anche se non mi interessa, non m’importa di quello che dicono di noi, se fanno scommesse o…”

“Scommesse?”

“Sì, si sono messi a fare anche quelle.”
La Gandini non sapeva più che dire, non se lo sarebbe mai aspettata una cosa simile da parte dei colleghi.

“Forse non dovevo dirtelo.”

“No, anzi, hai fatto bene. Riccardo, nemmeno a me interessa, credimi. Quello che voglio è solo stare bene con te, e se ci scappa un bacio, non muore nessuno, no?”

Malosti sorrise perfettamente d’accordo.

 

“Riccardo, Cristiana, non voglio essere ripetitivo, ma tutte le volte che vi vedo siete sempre appiccicati! Provate a dare voi il buon esempio, che siete i più grandi qui dentro!” Era Sergio. Che puntualmente li beccava insieme.

“Ah, tu, vieni con me, che sono pronte le lastre di quella signora.” Lo seguì, dopo aver sorriso amabilmente a Riccardo.

 

“Tutto apposto?” ne approfittò il primario.

“Sì, perché?”

“Ricordati che hai un discorso in sospeso con me.” Entrarono in ascensore, lasciato libero da Valerio e Palumbo che stavano discutendo in toni accesi di qualcosa.

Cristiana premette il tasto del piano e si appoggiò alla parete. “Non mi sento troppo bene, tutto qui. Volevo chiederti almeno una giornata libera, ma se non puoi basta anche un pomeriggio, o una mattinata…”

“Che cosa ti succede?” O tirava ad indovinare o aveva davvero il sesto senso per queste cose. Chiusa in gabbia, non poté non accennare alla situazione.

“Te l’ho detto, non mi sento in gran forma.” Ma non riusciva a mentire.

“E Malosti lo sa?”

“Che cosa ti ha detto?” Palla in buca, frittata fatta. Ora mancava solo che anche Nicola andasse in giro per l’ospedale a dire di aver visto la dottoressa Gandini lamentare un dolore addominale.

“Non c’è bisogno che te lo dica, tanto sappiamo entrambi di cosa stiamo parlando.” L’ascensore era arrivato, per fortuna.

“Ne parliamo dopo, ok?”

Danieli la prese per un braccio. “Appena abbiamo finito con la paziente del 2, vieni con me e risolviamo una volta per tutte questa situazione.”

La dottoressa acconsentì e si recò nel reparto di radiologia dove le consegnarono l’esito.

Aprirono il referto e si recarono a dare la buona notizia a madre e figlia: solo una costa rotta.

 

Il momento della verità era arrivato, doveva solo pensare a come dirglielo, tutto il resto sarebbe venuto da sé. Sergio la fece entrare nel suo studio, ma prima di chiudere la porta le chiese una cosa.

“Se non ne vuoi parlare con me, fallo almeno con Riccardo.”

“No, prima preferirei sapere il tuo parere, è una faccenda un po’ delicata e… lui è coinvolto.”

 

“Mi devi fare delle analisi, te lo chiedo per favore” sbottò tutto d’un tratto.

“Delle analisi? Dio mio, Cristiana, ma cosa succede?” Non era esattamente la reazione che avrebbe voluto.

Lei mostrò un lieve sorriso. “No, non è niente di preoccupante. Solo che…” non era molto facile confidarsi, anche se con un amico come lui.

Stavolta però non l’esortò più di tanto, temeva una chiusura ancor maggiore, così stette in silenzio a guardarla.

“Giramenti di testa, fitte addominali e… ritardo di due settimane” svelò lei, lo sguardo fisso al pavimento.

“Se non ti conoscessi direi che sei incinta.”

Sorrise e lo guardò. “Oppure sono solo una marea di coincidenze.”






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Capitolo 6
*** Sesta parte ***





Sesta parte.

“Però, se metto il tuo nome, chi vedrà la cartella si insospettirà.” Appoggiò gli strumenti per il prelievo sulla scrivania.

“Non importa” rispose seria lei. Si scoprì il braccio e lo lasciò fare.

“Hai ancora bisogno di quel giorno di permesso?” chiese slegando il laccio.

“Non lo so.” Si tirò giù la manica e guardò Sergio sistemare la provetta.

“Se non stai bene, non pensarci due volte a chiedermelo” le disse gentilmente.

“Grazie. Però… acqua in bocca con Riccardo, non vorrei magari dargli false speranze.”

“Cercherò di essere il più discreto possibile, però se gli capitano in mano le tue analisi, oppure se si accorge di qualcosa, poi non dare la colpa a me, d’accordo?”

“No, tranquillo” la voce rotta da un velo di tristezza.

“Cercherò di avere l’esito più in fretta possibile. Tu però non strapazzarti troppo.” Si alzò e le posò una mano sulla spalla. “Vado.” Le sorrise e uscì dalla stanza, lasciandola sola davanti alla scrivania. Appoggiò i gomiti alle ginocchia e con le mani si sostenne il capo. Lo sguardo le cadde accidentalmente a terra, e un sorriso non poté non comparire sul suo volto.

 

Bicchiere in mano e piedi sul tavolo, la sala medici era tutta per lui.

“Dottor Malosti?” la voce di Ettore distrusse il muro di riflessione che lo chiudeva nella sua solitudine.

“Che c’è?” era evidentemente scocciato.

“No, niente, mi chiedevo dove fosse andato, volevo chiederle qualche consiglio su un mio paziente.”

“Coselli… ma quando imparerai a cavartela da solo?”

“Dottore, ha ragione, ma…”

“È tuo, no?”

“Chi?”

“Il paziente, chi sennò? Sveglia!”

“Sì sì, certo Malosti, è mio” rispose con rapida parlantina.

“E allora prenditi le tue responsabilità, o al massimo chiedi a qualcun altro, in questo momento sono occupato.”

“Vedo.”

“Prendi in giro?”

“No, signore, sono serissimo, ora vado.” E scappò fuori prima che Riccardo riuscisse a tirargli una delle cartelle appoggiate sul tavolo.

 

Aveva capito che era decisamente meglio lasciarlo in pace. Si diresse quindi verso un’altra vittima disponibile, e in questo caso toccò al docile Santamaria, che stava sistemando la flebo ad un paziente nel box adiacente la sala medici.

“Dottore.”

Valerio si girò verso di lui, terminò di controllare la situazione del ragazzo e uscì chiudendo dietro di sé la porta.

“Dimmi” acconsentì con pacatezza.

“Volevo chiederle se poteva venire con me a visitare questo paziente, guardi” gli mise sotto il naso una cartella prima ancora che il dottore potesse replicare.

“Ettore” la prese in mano e le diede una rapida occhiata. “Lo sai quante persone devo ancora visitare oggi?”

“Sì, lo so, dottore, ma è una questione importante, non riesco a capire se si tratta di intossicazione alimentare o se è qualcos’altro…”

“Hai fatto un’ecografia nella zona dolorante?”

“No…”

“Bene, parti da quella. E la prossima volta pensaci prima.”

“Sì sì, certo, e scusi se le ho fatto perdere tempo.”

“Ritieniti fortunato che te l’ho detto io, perché se lo viene a sapere Malosti…” ma era già scappato.

 

“Valerio, vieni a prendere un caffè con me?” Era Laura.

“Non credo di riuscire a ritagliarmi un po’ di tempo, sono pieno di pazienti fino al collo.”

“Eddai, cinque minuti” lo implorò con espressione dolce.

“Se fai quella faccia…”

Lo prese per un braccio e lo trascinò con lei. “Però decaffeinato.”

“Come vuole!”

 

Quando Sergio rientrò nel suo studio, Cristiana se n’era già andata, e al suo posto un’altra donna occupava quella sedia. Una donna riccia. E rossa.

Si voltò.

“Ciao.”

“Ciao.”

“Come va con Esther?”

“Un disastro.” Si alzò in piedi e gli si avvicinò, mentre lui chiudeva la porta.

“Allora hai deciso.”

“Sì.”

Danieli si ammutolì.

“Avrei voluto che le cose fossero andate in un altro modo. Tra noi. Tra me e Francesco.”

Non rispose.

“Sei felice?” chiese dopo alquanti secondi.

“Non lo so.” “E tu?”

“Ogni volta che ci penso mi viene l’istinto di aprire quella finestra e gettarmi di sotto.” Il tono si faceva più grave, e Giulia non sapeva cosa replicare.

“Non posso fare altrimenti.”

“Non puoi fare altrimenti?” Le si avvicinò a pochi centimetri dalla sua bocca. “Ma ti senti come parli? Tu che scappi con tuo marito e suo figlio, lasci il pronto soccorso, che è per te come una seconda casa – o non è così? –, lasci me!” Era furioso, e ora girava intorno davanti a lei con le mani nelle tasche del camice.

“Non è facile, Sergio…” cercava di giustificarsi inutilmente.

“È più facile scappare e fregarsene di tutti gli altri, che fare qualsiasi altra cosa” replicò sicuro di sé.

Come solito aveva ragione.

“Vedrai che con Esther risolviamo, si impegnerà e riuscirà a sostituirmi al meglio.”

“Credici poco. Tu non puoi essere sostituita. Tu sei LA caposala di questo pronto soccorso… e il posto è unicamente tuo.”

“Non dire sciocchezze, dai, calmati e parliamo come due persone normali.”
“Perché, cosa stiamo facendo?” alzò la voce.

“Tu gridi, e io grido, così non risolviamo niente.”

La porta si spalancò.

“Oh, scusate.” Malosti. “Cercavo Cristiana, ma evidentemente non c’è.”

“No, a meno che non si sia nascosta dentro gli armadietti” rispose, tra l’ironico e l’infastidito.

“Mh.” E richiuse la porta.






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Capitolo 7
*** Settima parte ***





Settima parte.

“Sempre il solito rompiballe.” Sergio era completamente fuso a causa dello spiacevole dialogo.

“La ama, per questo la cerca” ribatté acida.

“Anche io ti amavo.” Abbassò gli occhi al pavimento.

“Non mi ami più?” La domanda che tanto temeva. Certo che sì, diamine! Pensava a lei dieci minuti sì e uno no, cercava di non averla come infermiera assistente in sala operatoria per non rischiare di uccidere il paziente a causa dei suoi pensieri non proprio innocenti e lei… lei glielo chiedeva anche?

“Lo sai benissimo.”

“Hai usato l’imperfetto.”

“Giulia, tu e la tua mania di perfezione!” La prese per le spalle e la scosse, poi si fermò, a guardarla in viso. “Che tanto adoro” aggiunse modificando il tono della conversazione.

 

“Dobbiamo fargli una tac.”

“Sì, certo, me ne occupo io.” Esther sembrava un’altra, e trascinò fuori la barella con gran disinvoltura e professionalità.

“Dottoressa Gandini, finalmente la trovo.” Sempre e maledettamente tra i piedi. E nel contempo che sensazione estatica udire la sua voce.

Si voltò e gli sorrise.

“Mancato?” Lui e il suo vizio di accorciare parole, frasi e perfino lettere. Mezzo ospedale lo capiva a gesti, un quarto grazie alla traduzione simultanea di qualcun altro e il rimanente faceva di meno di parlare con lui.

“Neanche un po’.”

“Bugiarda.”

“Non vedi come sono sincera?” si mise a ridere anche nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole.

Esther si allontanò sorridendo loro.

“Ma, è la nostra Esther?”

“Non chiedermelo, è da dieci minuti che non sembra neanche più lei.”

“Avrà fatto pace con Marina.”

“Buon per loro.”

“Senti…” la prese per un braccio come suo solito e la condusse più all’interno del box, lontano da sguardi indiscreti.

“Non ti farai venire strane idee anche qui, vero?”

“Non ne avevo proprio l’intenzione, ma ora che mi ci fai pensare…”

Risero entrambi.

“No, dai, volevo dirti di stasera.”

“No, no, aspetta. Provo ad indovinare. C’è in giro un’altra epidemia? No, impossibile. Beh, allora salta la cena dei tuoi figli, molto più plausibile.”

“Nessuno dei due.”

“…”

“Volevo chiederti se preferivi una pizza o qualcosa di surgelato, pesce, carne…”

“Ma guarda te!” gli diede un piccolo pugno sul petto, mentre lui la intrappolava tra le sue braccia. “Comunque per me va bene qualsiasi cosa.”

“Allora…” le si pose accanto maggiormente. “Tagliamo la testa al toro e ti porto fuori a cena.”

“Ma no, dai, casa tua è molto più… comoda, e meno dispendiosa…” Non aveva decisamente voglia di vedere altra gente anche in serata. “Più che altro… chi porta a casa Dario e Alessandro?”

“Il padre di un loro compagno carica la macchina e porta a casa alcuni ragazzini che abitano dalle nostre parti.”

“Mmm…”

“Hai sempre meno possibilità di scampo, Gandini…” Le diede un soffice bacio su una guancia, anche se lei cercava di dileguarsi. L’attrazione e la voglia di un contatto erano però fatali, così che le loro labbra si cercarono e si trovarono, e la paura di essere beccati a scambiarsi effusioni sul posto di lavoro non faceva altro che eccitare solamente i loro sensi.

Cristiana si sentì afferrare con due forti mani dietro la schiena e percepì Riccardo voler approfondire il bacio a qualcosa di meno superficiale. Le loro lingue si intrecciarono per un secondo, ma la Gandini bloccò l’assalto di Malosti.

“C’è anche la porta aperta, è meglio evitare.” Questo purtroppo non migliorò l’umore di Riccardo, che per farsi perdonare dell’occhiataccia per niente appagata che gli uscì spontanea, tornò ad abbracciarla. Mantenendo ovviamente lo sguardo puntato verso l'entrata.

 

“Rocco, ti rendi conto, mi ha sorriso!” Esther era fuori di sé dall’emozione.

“Un sorriso, un sorriso, poteva anche essere indirizzato a chi era in quel momento dietro di te, magari una bella e affascinante donna, 1 metro e 90, occhi azzurri, capelli biondi…”

“Sì, nei tuoi sogni! No no, lei stava guardando proprio me! Me lo sento, mi vuole ancora!”

Era esaltata da matti, e Rocco non fece che assecondare passivamente le sue congetture.

 

“E poi se n’è andata, ma c’eri anche tu, per cui l’hai vista.”

“Beh, non sei stato il mago della cortesia, potevi anche farglielo capire in una maniera un po’ più… soft.”

“Cosa ci vuoi fare, se tutte le volte che saltano fuori questi discorsi, mi viene voglia di prendere e andarmene? Non lo voglio un figlio, non in questo momento.”

“Sono i primi tempi del matrimonio, vedrai che andrà meglio.” E intanto lo fissava con aria sognante.

“Laura, non scherzare. Tu non ci sei mai passata, e sei l’ultima a cui potrei chiedere consigli.”

“Scusa, scusa, volevo solo tirarti su il morale!” sbuffò e incrociò le braccia.

“Scusami tu” le toccò una guancia, suscitandole un brivido. “Parlare di queste cose mi rende un po’ nervoso.

 

E tutto finì in un bacio. In un lungo e desiderato bacio che li spinse attaccati al muro per assaporare di nuovo quello che si erano persi l’uno dell’altra. “Vieni da me stasera” aveva pronunciato Sergio mentre prendeva fiato per mezzo secondo.

“Ci puoi giurare.”






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Capitolo 8
*** Ottava parte ***





Ottava parte.

Sergio raggiunse il desk dove Teresa era occupata in un’intensa telefonata. Le fece un cenno come per dire di muoversi perché aveva bisogno di lei.

“Puoi dirmi per favore se sono arrivate le analisi di…”

“Professore, sono tutte lì impilate, scusi ma non ho tempo di smistarle ora, la prego, ci guardi lei” e, con la cornetta in mano, digitò un altro numero.

Meglio così. Si avvicinò furtivo all’angolo del bancone e sfogliò quella decina di cartelle appoggiate l’una sull’altra.

Cristiana Gandini. La prese sottobraccio e tornò da dov’era venuto.

 

Rocco ed Esther stavano terminando di sistemare medicine e strumentazioni nella sala operatoria appena lasciata libera da un intervento.

“Ti vedo proprio raggiante” affermò lui fermandosi a guardarla mettere in ordine le ultime cose.

“Che ci vuoi fare, ho capito che l’amore è più importante che qualsiasi pregiudizio od opinione della gente.”

“E glielo hai detto, alla tua pediatra?” spense le luci e insieme si allontanarono dalla sala.

“Non ancora…”

Uscirono in corridoio, e l’oggetto del discorso fece la sua apparizione davanti a loro.

“Ciao” sussurrò Marina ai due.

“Ciao” ripeté Esther con un sorriso ebete sul volto.

La dottoressa Ranieri ricambiò il sorriso e procedette per la sua strada.

“Mi ha sorriso di nuovo!” esclamò esaltata.

“Ho visto.”

 

“E anche questa è fatta” sospirò la Gandini togliendosi guanti e camice.

“Già.” “Tu come stai?”

“Io?”

“Sì, non te l’ho nemmeno chiesto.”

“Non male. Però guai a te se stasera mi dai da magiare altro cioccolato, già che prima ho rischiato una mezza indigestione.”

“Per quella barretta? Ma adesso stai meglio, sì?”

Si asciugò le mani. “Riccardo, ma… sono io che ti faccio questo effetto o sul serio ti stai preoccupando di me?”

“Sono un medico, mi sembra normale, no?” Le accarezzò una guancia con una mano umida.

“Mi piaci ancora di più quando ti comporti così.”

“Tu invece quando mi guardi con questi occhioni…”

“Riccardo…”

“Mh?”

“Mi sa che mi sono proprio innamorata…” Era arrossita, anche se la luce soffusa della stanza non lo rendeva molto evidente.

Riccardo quasi si commosse. Non gliel’aveva mai detto. E fu un colpo al cuore. Non voleva altre parole. Voleva lei. Eliminò la distanza che li separava e le si gettò contro. La stava baciando ovunque riuscisse a raggiungere il morbido e il profumato della sua pelle; la spinse contro la parete a vetri che dava alla sala operatoria buia e deserta e l’urto inflesso provocò l’apertura della porta scorrevole automatica che portava all’interno.

Riccardo gettò un’occhiata dentro, mentre con una mano s’intrufolò sotto la stoffa blu scuro della maglietta della dottoressa ad accarezzare la sua schiena nuda. Mille brividi si svilupparono in lei.

“Hai le mani fredde…” commentò con voce tremante.

E con quelle stesse mani tentava in quel momento di staccare i gancetti della chiusura del reggiseno.

“Riccardo ma che fai?” gli afferrò le braccia e lo bloccò, ma lui fu più rapido e le catturò i polsi incatenandoli alla parete.

“Niente che tu non voglia.”

“Mi stai facendo paura” gli confessò, il cuore che le tamburellava nel petto e il respiro affannato.

Malosti sorrise e la tranquillizzò con un altro bacio. “Vieni con me.” La prese per mano e tentò di trascinarla dentro.

“Noo.” Inchiodò i piedi al pavimento e iniziò a sciogliersi la treccia che abitualmente faceva ai capelli per gli interventi. Con il cuore in gola. “Ti piace il rischio” commentò poi infilando l’elastico in tasca.

“In effetti.” E fece quello che avrebbe voluto fare. Si piegò e, con gesto rapido e agile la prese in braccio.

“Mettimi giù” si dimenava come una bimba. Ma poi si zittì. Non con un ciuccio ma con un bacio. Decisamente molto meglio.

La sala operatoria era completamente immersa nell’oscurità. L’unica luce proveniva dalla saletta adiacente.

 

Un tonfo terribile, come di una vetrata in frantumi, o come di un carrello ribaltato. E finirono entrambi a terra.

 

“Cos’è stato?” Esther si voltò verso la sala operatoria, e con lei altre cinque o sei persone nella stessa zona del corridoio. E corse a vedere.

 

L’espressione terrorizzata sul volto di Riccardo e Cristiana comparve dopo mezzo secondo. Lui si tirò su e aiutò la dottoressa, che lo guardava stralunata. Poi si girò e vide il guaio.

“Scappiamo” non aveva mai sentito la voce di Malosti così strana. Aveva paura anche lui.

“Sì ma è da vigliacchi!” E intanto s’inginocchiò a constatare l’entità del danno. Il buio è molto pericoloso. Ma lo è di più se accompagnato da due medici non troppo curanti degli ostacoli esterni…

 

Rumori provenivano dall’esterno. Riccardo afferrò la donna per la vita e tirò da una parte, in cerca di una via di fuga, ambedue con i battiti accelerati e l’affanno nel respiro.

“Prima la radio, poi questo…”

“Ssh!” La trascinò nella sala di sterilizzazione e si appiccicarono al muro vicino alla porta d’uscita per non essere visti.

Come previsto, Esther entrò in sala operatoria dalla porta principale, perciò in quel momento si potevano considerare salvi.

“Quando non c’è più nessuno che gira qui davanti, ce ne andiamo. E di corsa” disse Malosti in un sussurro all’orecchio di lei. Allungò il collo per controllare all’esterno. Erano almeno in quattro, tra medici ed infermieri, a curiosare.

 

“Qualcuno deve aver avuto voglia di scherzare” parlò Esther per prima.

“Che succede?” Era arrivata Giulia di corsa. Accese tutte le luci e si fermò a guardare. “Non è niente, dai, hanno solo fatto cadere il carrello.”

“Sì, ma così tutto il nostro lavoro non è contato a niente. Ci tocca sterilizzare di nuovo tutti gli strumenti” cominciò a lamentarsi l’infermiera, ma cambiò subito il tiro del dialogo, perché la caposala non era in vena di capricci. “Ma non ti preoccupare, ci penserò io.”

 

“Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità.”

“Cristiana smettila, l’ha detto anche Giulia, non è successo niente.”

“Ma perché ci siamo cacciati in questa situazione?” Aveva le lacrime agli occhi. Si girò appoggiando le spalle al muro e guardò Riccardo che le si addossò.

“Ti prego, non fare così, è tutta colpa mia, avevi ragione tu sin dall’inizio. Dobbiamo smetterla di comportarci come sciocchi adolescenti.” Spalancò la porta e raggiunse Esther dall’altra parte, sotto gli occhi stupiti della dottoressa che si sporse a guardare cosa avesse in mente, con un misto tra il disperato e il soddisfatto. Lo intravide discutere prima con Esther e poi con la caposala.

Dopo qualche minuto era già di ritorno; la prese per mano e insieme lasciarono il luogo del delitto, sotto gli occhi attoniti del gruppetto curioso e della stessa Cristiana.

“Caffè?”







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Capitolo 9
*** Nona parte ***





Nona parte.

“Cosa caspita hai raccontato!?” Stavano camminando a braccetto. Ridendo.

“Sssh. Segreto professionale.”

 

“E poi se n’è andato, così, come se niente fosse successo!”

“Io so solo che in questo ospedale ne succedono ogni giorno una peggio dell’altra” dichiarò il primario masticando un pezzetto di cracker. “Vuoi?” indicò la confezione accanto alla tastiera del computer.

“No, grazie, ho lo stomaco sottosopra.”

“Ma cosa ti ha raccontato, di preciso?” Strano ma vero, qualche volta anche lo stesso Sergio, condizionato da tutti gli altri, si faceva prendere da un po’ di curiosità di pettegolezzo.

“Che è inciampato mentre usciva dalla sala, poi l’hanno chiamato per un’urgenza. Per questo sarebbe arrivato solo quando noi eravamo già dentro. Pero non sta in piedi, anche perché nessuno l’ha visto, è comparso all’improvviso, come se avesse aspettato il momento giusto.”

“Valli a capire, questi dottori.”

“Ah, non ti ho detto la cosa fondamentale.”

Danieli si avvicinò.

“C’era anche Cristiana, nei paraggi.”

“Giulia!” esclamò subito dopo, e a momenti non gli andò di traverso il cracker.

“Che c’è?”

“Le analisi! Me n’ero completamente scordato, devo rintracciarla subito.”

“Se vuoi te la vado a cercare io…”

“No, no ti preoccupare” si alzò in piedi, “è una cosa molto importante, ci penso io.” E la lasciò, dopo averle baciato una guancia.

 

“Mi devo preoccupare?”

“No, assolutamente. Se sei così tanto curiosa, perché non chiedi a Esther? O a Giulia?”

Avevano raggiunto il box 1, dove una paziente stava riposando, in attesa dei risultati delle analisi.

“La stai seguendo tu?” chiese lui.

“Sì, ma non ho ancora idea di cos’abbia, quando è arrivata presentava dei forti dolori al petto, le abbiamo fatto un paio di esami e tra poco dovremmo avere i risultati. Anzi, mi fai un favore? Io entro e controllo una cosa, tu vai a vedere se sono arrivati.”

Il dottore eseguì.

Cambiò la flebo e le chiese se aveva avuto altri episodi di dolore in quell’arco di tempo. Purtroppo la donna non riuscì a darle una risposta, perché perse conoscenza subito dopo.

“Ma cosa…!?”

Uscì rapida dal box in cerca d’aiuto, ma di Malosti non c’era traccia. Acchiappò però al volo Danieli, di ritorno dall’accettazione.

“Ti prego, dobbiamo portarla subito in sala operatoria!” Entrò con lei nel box, appoggiò la cartellina celeste che aveva in mano sul comodino accanto al letto e preparò la paziente, che entrambi trascinarono fuori a gran velocità.

In quello stesso istante apparve Riccardo, che aveva appena letto le analisi.

“Non sono per niente positive, ve le lascio e vi raggiungo subito in sala operatoria.”

Rientrò nel box per recuperare la cartella clinica della paziente, e l’occhio gli cadde sul fascicolo che qualcuno doveva aver dimenticato lì poco prima. Lo raccolse con l’intenzione di portarlo in sala medici, magari chi l’aveva perduto sarebbe tornato a cercarlo, ma il nome scritto a pennarello nero indelebile sulla copertina  lo spiazzò e allo stesso tempo terrorizzò: Cristiana Gandini, recitava la scritta.

 

Valerio era al telefono. E Laura a pochi metri da lui.

“Carola, te l’ho già detto, non so se potrò venire con te a cena fuori stasera!”
“Potevi almeno dirmelo prima, no?” gracchiava la voce dall’altro capo. “Ho prenotato venti giorni fa per questa sera, e tu mi dai buca?”

“Non dipende da me!”

“Non dipende da te nemmeno avermi sposato, o almeno quella è stata una tua decisione?”

“Ma cosa dici!? Carola? Carola?” aveva buttato giù. Forse era meglio così, e sarebbe rimasto tranquillo per la serata.

“Problemi?” la sua voce lo fece girare. “No, scusa, hai ragione, non mi dovrei impicciare.”

“Ho da farmi perdonare una mancata cena al ristorante più prestigioso di tutta Milano. Consigli?”

“Beh, vediamo, potresti provare con dieci giorni in crociera…”

“E dici che le basteranno?”

“Venti?”

“Poi sarei io a perdere il posto, Danieli non mi concederebbe mai venti giorni di seguito di ferie!”

 

La donna aveva una malformazione al cuore, ma i chirurghi riuscirono comunque a riportarla stabile. Per quanto tempo non sapevano, doveva rimanere sotto stretta osservazione almeno per qualche ora.

“Riccardo non si è fatto vedere” diceva Cristiana al primario mentre uscivano dalla sala.

“Ci saranno state altre urgenze, però sembra strano anche a me” confermò lui.

“Tanto adesso glielo chiediamo.”

“Ah, senti, ho ritirato le tue analisi” si ricordò Sergio. “Non chiedermi niente, perché non le ho nemmeno aperte.”

“Sono nel tuo studio?” chiese. Effettivamente era abbastanza curiosa. No, non abbastanza. Fremeva dal desiderio di aprirle.

“Porca miseria!” si lasciò sfuggire. Cristiana lo guardava non capendo.

 

Era corso in sala medici, in ricerca di un luogo vuoto e silenzioso. Si era seduto sulla prima sedia attorno al tavolo, il fascicolo davanti a lui. Chiuso.

Aprì con le mani tremanti la prima pagina. Valori nella norma. Sfogliò con nervosismo quelle quattro pagine di analisi. Ma all’ultima, all’ultima il nervosismo si trasformò in agitazione, ansia, angoscia, affanno e chi più ne ha più ne metta. I suoi occhi si erano fermati su quella parola. E con loro il suo respiro.

 

Stava rischiando il soffocamento. Prese aria e si sventolò agitando in aria le mani. Stava sudando freddo. Si alzò in piedi e aprì la finestra in cerca di un po’ di libertà, almeno fittizia, ma quella stanza gli sembrava una trappola. Una prigione. Si sporse più che poté, e trasse lunghi respiri. Per ossigenare il cervello. Ne aveva davvero bisogno. E per un attimo le immagini di tutta la sua vita gli passarono davanti. Per ultima Cristiana, e quel suo sorriso da mozzare il fiato. “Questa me la paga.” In effetti aveva quasi rischiato l’infarto per colpa sua. Ma almeno sarebbe morto contento.






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Capitolo 10
*** Decima parte ***





Decima parte.

Test di gravidanza. Positivo.

E Riccardo era ancora tutto sottosopra. Come i fogli delle analisi che aveva sparpagliato per il tavolo. Fece un giro per la stanza, cercando di tornare in se stesso. Raggruppò i fogli e richiuse la cartellina. L’obiettivo era quello di riportare tutto com’era e dov’era prima. Sempre che quei due non avessero già finito di operare. Controllò l’orologio, e si rese conto di come fosse impossibile la sua missione: era rimasto in quella sala per un’ora e mezza e buona. Però ci doveva almeno provare. Prese sottobraccio i documenti e si avviò.

 

Arrivarono di corsa al box, prima ancora che gli infermieri avessero riportato la paziente dopo l’operazione. Si guardarono entrambi in giro, ma l’unica cosa che vedevano era un letto fatto e un comodino. Vuoto.

“Dove le avevi lasciate?” chiese lei.

“Sul comodino, sono sicurissimo.” Lo indicò. “Dove possono essere finite?”

Aprirono tutti i cassetti e gli armadietti possibili. Come se non bastasse, controllarono anche sotto il letto.

“Sono sparite” constatò Sergio, le mani sui fianchi, agitato per aver tradito in parte la fiducia di una collega.

Nessuno dei due si era però voltato dalla parte opposta.

 

Malosti, fermo in mezzo al corridoio in una posizione giusto giusto adatta a vedere e a non essere visto. Con le analisi in mano. E l’ansia di chi non vuole essere scoperto con l’arma del delitto ancora fumante o sanguinante. Si sentiva un ladro, o peggio ancora, un assassino. Le facce sui volti dei colleghi non erano proprio… allegre, anzi, oltre ad essere preoccupate forse erano anche arrabbiate.

 

“Ma chi sarà stato?” continuava a tormentarsi Cristiana.

“Al massimo le facciamo rifare.”

“Sì, ma ti assicuro che non è proprio una bella sensazione quella di sapere che in giro per l’ospedale stanno viaggiando le mie analisi.”

“Immagino. Dai, andiamo, e non ci pensare, vedrai che prima o poi salteranno fuori.”

Stavano per uscire. E Riccardo fece dietrofront, il più rapidamente possibile.

 

Giunse con il fiatone in sala medici, dove aprì con poca usta il suo armadietto personale, all’interno del quale finì il fascicolo celeste. Prova nascosta. E adesso bastava solo che le indagini non iniziassero dalle… persone più vicine.

“Dottor Malosti, è successo qualcosa?” Ettore, con l’espressione di chi aveva appena visto una cosa ma avrebbe voluto essere da tutt’altra parte.

“Tu” iniziò Riccardo, puntandogli un dito addosso, “non hai visto niente.”

“No, no, ovvio che no.” “Forse è meglio che mi tolga dai piedi.”

“Bravo, Ettore, bravo, forse ti ho sottovalutato.” Ma non rispose, uscì e lo lasciò da solo in mezzo alla stanza. Con l’aria sconvolta.

 

“Potresti andare a controllare in sala medici, no? Magari le hanno trovate e le hanno lasciate sul tavolo, pensando che quello fosse il primo posto in cui si viene a cercare ciò che si è perduto.”

“Vado subito.” “Sergio?” Si guardarono. “Grazie di tutto.”

“Ma se è stata tutta colpa mia!”

“Non dirlo nemmeno per scherzo.”

 

Allora era così che ci si sentiva da colpevoli? Combattuti tra il confessare e tenere tutto per sé, con i battiti del cuore mai alla giusta velocità. E raccontare bugie a tutti, minacciare uno specializzando per non farne parola con nessuno.

“Ma che cazzo sto facendo?” appoggiò le mani sul tavolo e si piegò, lasciandosi appoggiare su di esse. La testa bassa, gli occhi chiusi, i pensieri che vagavano tra Cristiana e quelle analisi. E Sergio. Quel primario sempre in mezzo. Perché ha chiesto a lui di farle le analisi? “Perché non è venuta da me?” Stava ormai parlando da solo. Con gli occhi prossimi alle lacrime. Era troppo duro anche formulare una domanda del genere e rendersi conto che Cristiana non si fidava di lui, oppure si limitava a farlo per certe faccende. E quando si era trattato di lei… era corsa da Danieli, Invece di parlare con Riccardo.

Ma chissà come mi sarei comportato io. Magari avrei iniziato a tremare dall’emozione al punto tale di non riuscire nemmeno a prelevarle il sangue. Però le sarei stata vicino. Avremmo riso insieme. Avremmo aperto insieme quelle maledettissime analisi.

E invece in quel momento erano là dentro, chiuse in un armadietto a chiave. Ed Ettore poteva testimoniare. Ma, nonostante questo, era sicuro almeno di una cosa: lì non avrebbero frugato.

 

Lo scatto della maniglia della porta lo fece sobbalzare. Tornò in fretta in posizione eretta, per affrontare il primo interrogatorio del caso. Era Cristiana, che lo guardava come se fosse un alieno.

“Riccardo, ma…” Gli si avvicinò lentamente, per poi arrestarsi a una decina di centimetri da lui, a guardarlo. “Hai pianto.” Ecco quello che odiava delle donne. Sapevano riconoscere con una sola occhiata ciò che avevi fatto fino a quel momento. E si vergognò. Nessuno l’aveva mai visto piangere da quando non era più un bambino. Nessuno. A parte lei, che ora faceva parte della sua vita, che in quel momento sapeva di lui più di quanto lui stesso era a conoscenza. Capiva i suoi gesti, le sue parole, le sue allusioni. I suoi sguardi. E aveva visto che erano lacrime quelle che in parte avevano percorso le sue guance.

Lui immobile, davanti a lei. Gliele asciugò con il morbido contatto dei suoi polpastrelli, e poi gli si gettò al collo.

“Ti amo, Riccardo, ti amo.”

Ti amo anche io, avrebbe voluto risponderle. Ma l’unica cosa che fece fu quella di strizzare gli occhi affinché altre due lacrime fuoriuscissero all’unisono. E caddero insieme sulla spalla di Cristiana.

 

“Perché non ci hai raggiunti in sala operatoria?” il suo respiro gli solleticò il padiglione dell’orecchio, e nel contempo sentì il suo corpo volersi staccare. Glielo impedì, intrecciando le braccia dietro la sua schiena. Per averla ancora più vicino. Per non guardarla in faccia mentre mentiva.

“Era arrivata l’ambulanza con un ferito grave. E non c’era nessuno disponibile.” Quanto era difficile inventare qualcosa con a disposizione meno di due secondi. Però ci riuscì, mentre le accarezzava i capelli lisci. “Mi dispiace.” Di averla lasciata sola. Di aver mentito. Di aver commesso un errore di cui si era già pentito. Di tutte le volte che l’aveva trattata male. Di non averle ancora detto che l’amava.

 

“Teresa, senti, dove le tieni le analisi che arrivano?”

“Ancora? L’ho già detto a tutti i medici, e dico tutti; sarà l’unico a non saperlo!” Era proprio una giornataccia.

“E allora illuminami, no?”

Gliele indicò. “E non azzardatevi a chiedermelo ancora.”

Percorse il desk ovalizzato sino all’angolo, dove tre o quattro fascicoli come quello che aveva sottobraccio giacevano sul piano. Alzò gli occhi verso di lei: era al telefono, e gli occhi erano rivolti allo schermo del pc. Rocco non era nei paraggi. E dietro di lui c’erano solo alcuni pazienti in attesa di una chiamata. Infilò la sua cartellina in mezzo alle altre e fece finta di cercarne un’altra.

“Niente, Teresa, non sono ancora arrivate!”

“Come se fosse colpa mia.”

Bene, anche questa era fatta. Ora bastava solamente che o a Danieli o a Cristiana venisse in mente la possibilità che le analisi fossero tornate a casa.






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Capitolo 11
*** Undicesima parte ***





Undicesima parte.

Se l’era sposato. Poteva amarlo. Poteva litigarci. Viveva con lui. Mentre lei… lo doveva considerare un collega. Al massimo un amico. E ovviamente un ex.

Ancora non si capacitava di come fosse stato possibile lasciarlo per Nicola. Era stato tutto un capriccio, ecco la spiegazione. L’aveva lasciato per colpa di un periodaccio. Ancora non aveva capito che i momenti difficili all’interno di una coppia non fanno altro che metterne alla prova la resistenza. Ed era stata Laura a cedere, ad avere paura nell’affrontare la situazione. Oppure era stata solo pigrizia, nel discutere e nel tornare felici come prima. Un errore che stava pagando.

Seguivano insieme i casi, prendevano un caffè, ogni tanto scherzavano anche. Magari parlando del suo matrimonio. E di quella sciocca di Carola. Sciocca ma non scema, visto che alla fine se l’era sposato. Bella mossa. E loro che erano stati insieme tre anni… hanno spazzato via i cocci della loro relazione.

Sdraiata sul divano, ingoiava cucchiaino dopo cucchiaino uno yogurt che sapeva di pianto e lacrime.

Mentre Valerio chissà dov’era.

 

Non c’era bisogno di andare a cercare troppo lontano. Fuori, fermo davanti alla veneziana che lasciava intravedere chi era all’interno della ben frequentata sala medici.

Ed entrò, non facendo rumore. Per far prendere un accidente alla dottoressa Costa quando le appoggiò le mani sulle spalle.

 

Sergio tentò l’ultima mossa prima della resa. Si sentiva troppo in colpa per aver dimenticato quelle analisi sul comodino all’interno di un box accessibile a tutti. Non era da lui.

Giunse all’accettazione. Alcune ragazze erano ai computer.

“Teresa?” chiese il professore.

“Si è presa dieci minuti di pausa, stava rischiando di impazzire, con tutto il via vai che c’è oggi” gli rispose una di loro.

“Grazie. Senti, non è che per caso qualcuno ha trovato un fascicolo di analisi nel box 1?”

“Non lo so, dovrebbe chiedere a Teresa, qui è lei che tiene testa a tutti. Però, se vuole, potrebbe controllare in mezzo alle altre, non si sa mai che qualcuno l’abbia riportata.”

Giusta osservazione, avrebbe dovuto pensarci prima. Le sfogliò una dopo l’altra. E tra le sue mani poté finalmente riaverle.

“Se vedete la dottoressa Gandini, ditele di venire nel mio studio il prima possibile.”

 

Il tramonto si stava avvicinando: il sole primaverile non era più alto nel cielo, e lasciava entrare nello studio di Sergio qualche raggio rossastro che illuminava a tratti il pavimento davanti alla scrivania. Il primario era davanti al suo pc, che stava digitando qualcosa alla tastiera. La cartellina celeste di fianco a lui.

Il bussare alla sua porta lo distolse dal ticchettio uniforme sulla tastiera.

“Avanti.”

“Sergio sono io, mi hai fatta chiamare?”

“Sì, vieni” e scostò lo schermo del pc per vederla meglio. “Non pensi che avresti dovuto fare tutto questo in presenza di Malosti e non di me?”

“Di cosa stai parlando?”

“Delle analisi e dei risultati.”

“Le hai trovate?”

“Non hai risposto alla mia domanda. Il figlio è suo, io non c’entro niente.”

“Le hai lette?”

“No. Però continui a cambiare discorso.”
“Non so se lui lo voglia, questo figlio” dichiarò con un velo di tristezza negli occhi.

“Se ti ama, amerà anche lui.” Le passò le analisi. “Chiamalo da parte, digli tutto e scommetto che se sei incinta sarà felice più di tutti i medici del pronto soccorso messi insieme.”

 

Effettivamente già una buon percentuale di tristezza era racchiusa in sala medici, e anche solo uno spiraglio di allegria avrebbe ravvivato l’umore generale del pronto soccorso.

Era favoloso a fare i massaggi. La testa piegata indietro, con gli occhi chiusi e un impercettibile sorriso nascosto dalle guance umide di lacrime.

“Non ti chiedo perché stessi piangendo.” La sua voce la fece sussultare. Si era inginocchiato dietro di lei, e il suo volto era vicino come non se lo immaginava. Si passò una mano sul viso.

“Grazie” sussurrò senza girarsi. Assaporava ogni istante di quel momento, temendo ogni secondo che passava che quelle mani si staccassero da lei.

“Va meglio adesso?”

“Sì.” Aveva smesso di piangere.

“Erano mesi che non le si era avvicinato in quel modo. Si era comportato d’istinto: era entrato e le si era accostato. Aveva desiderato massaggiarle le spalle. Anche se sapevano entrambi che non era del tutto corretto quel che stavano facendo.

Laura continuava a mischiare col cucchiaino la pappina contenuta nel barattolino dello yogurt, che ormai aveva assunto una consistenza acquosa e la temperatura ambiente.

“Deve fare proprio schifo” commentò lui passando a massaggiarle il collo dalla pelle chiara.

Un brivido raggiunse Laura. E Valerio se ne accorse.

“Già” si limitò a confermare.

 

“Amore?” La porta si era spalancata repentinamente. E una donna castana, con i tacchi più alti di lei in abbinamento ad una borsa esageratamente grande e un vestitino da sfilata eccessivamente primaverile, fece il suo ingresso trionfale.

“Vedo che il tempo di stare con lei non ti manca mai, però!” E, dopo averli aggrediti con un occhiata furibonda, uscì sbattendo forte la porta.

Laura e Valerio si guardarono. E scoppiarono a ridere.

 

“Non adesso però” diceva Cristiana con una mano sulla maniglia. “Rischierei di condizionargli il lavoro. Stasera. Stasera gli dirò tutto.” Ma non ci credeva nemmeno lei.

“Ohi, ciao, Giulia” le sorrise. E si scambiarono il posto.

“Problemi?” chiese la caposala dopo essere entrata.

“No. Le solite cose.” Si alzò in piedi e la raggiunse. Lei si era già cambiata; e aveva cappotto e borsa sottobraccio. Quella borsa nella quale aveva sistemato la sua uniforme ben piegata. E il suo cartellino. Danieli si tolse il camice e lo appese all’attaccapanni accanto alla porta. “Allora, dove ti porto a cena?”

“Ti devo dire una cosa, Sergio” sbottò. “Abbiamo deciso e partiamo domani mattina.”

Ci rimase di sasso. “Ah.”

“Io ti amo, e lo sai.” Gli percorse una guancia con un dito.

“Anche io ti amo. E allora perché? Perché mi fai tutto questo?” avrebbe voluto mettersi ad urlare.

“Mi dispiace. Ma non voglio lasciare Pedro da solo.”

“Non vuoi lasciare solo Pedro o tuo marito?” l’assalì.

Giulia non rispose. Ma gli si avvicinò e gli diede un piccolo bacio sulle labbra.

“Mi dispiace anche per stasera. Ciao Sergio, e grazie di tutto.” Non lo guardava più negli occhi. Aveva una paura tremenda di affrontare il suo sguardo.

Lui le aprì la porta. “Addio.” E se ne andò. Per sempre.

Il professore richiuse l’imposta appoggiando ad essa la schiena, e si lasciò scivolare a terra. Non poteva essere finita. E non riusciva nemmeno a piangere.

 

“Carola, ti prego, non reagirai mica così tutte le volte che parlo con una collega?” l’aveva rincorsa.

“Parli? Ah, perché stavi parlando?” Agitava in aria le braccia, e ogni millesimo di secondo si sistemava qualcosa di diverso. Prima la gonna, poi i capelli e la borsa che non aveva intenzione di rimanere attaccata alla spalla.

Valerio sorrise: era calmissimo. “Hai equivocato, come sempre.”

“No, ho visto giusto, come sempre!” pestò i piedi per terra e sembrava davvero una bimba capricciosa.

“Sentiamo.”

“Non ho la voglia né il tempo di dirti una cosa che sai meglio di me.”

“E allora? Qual è il problema?”

“Che il nostro matrimonio è stato l’errore più grande di tutta la mia vita!”

E l’ultima cosa che vide di lei fu l’imbarazzante caduta in mezzo al corridoio. La causa? Saranno stati i tacchi…

 

Giulia percorse l’ultimo corridoio del Morandini con un groppo in gola. Non riusciva più né a deglutire, né a respirare normalmente. Trovò Esther alle prese con una pila di cartelle e le diede una mano.

“Esther, mi fido di te.”

“Ma Giulia…”

“Ssh. Giulia niente. Ora tu sei la nuova caposala. E niente storie.”

“Te ne vai oggi?”

Scosse la testa. “Domani mattina.”

Esther la guardò triste.
“Niente lacrime, d’accordo? Ché altrimenti mi metto a piangere anche io.”

L’infermiera annuì. “Ciao Esther, e abbi cura di te.”

“Arrivederci Giulia. E sii felice.”

 

L’accettazione. Teresa alle prese con un tizio che si era fatto male a giocare a basket con gli amici.

“Guardi, c’è il dottor Palumbo che la può visitare, prego, lo segua.”

“Meno male che la giornata è quasi finita” considerò poi con le colleghe dell’accettazione.

“Puoi ben dirlo!” rispose una di loro.

Vide la caposala camminare lentamente in direzione della porta d’uscita. “Giulia!” Le gridò sorridente.

La donna si voltò. Sperando che la maga del pettegolezzo non avesse assoldato delle spie per venire a conoscenza anche della sua partenza.

“A domani!” si limitò invece a dire.

Giulia alzò un braccio, inventando un sorriso. Un dolce sorriso. L’ultimo di quella giornata. E l’ultimo riservato al Morandini.






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Capitolo 12
*** Dodicesima parte ***





Dodicesima parte.

Si sentiva veramente uno schifo. Un mostro che si era impossessato della fanciulla di turno. Si portò una mano alla fronte e poi se la passò tra i capelli dando loro una ravviata. Aveva davanti a sé lo specchio, ma non aveva lontanamente l’intenzione di guardarsi. Per vedere quella faccia che vorrebbe prendere a schiaffi.

Nonostante la temperatura abbastanza mite del pronto soccorso, Riccardo sentiva solo un gran freddo, e aveva le mani che gli tremavano. Non era una cosa normale, per un chirurgo. Meno male che dopo dieci minuti sarebbe finito il suo turno. Ma doveva rivedere Cristiana. E raccontarle la verità.

Aprì il rubinetto e lasciò scorrere l’acqua. Con le mani ne raccolse un po’ e s’inondò il viso, per cancellare le ultime tracce saline delle lacrime, e per cercare di eliminare insieme a loro il gesto commesso.

Si appoggiò al lavandino, lasciando cadere dal suo viso le gocce d’acqua in eccesso.

Era veramente a pezzi.

 

“Carola se n’è andata.” Valerio era tornato indietro, alla sala medici, sicuro di trovarla lì dov’era prima. Con lo stesso barattolo di yogurt in mano. Glielo prese e lo gettò nel cestino.

“In che senso?”

“Nel senso che mi ha fatto una scenata di gelosia, poi è inciampata coi tacchi e se n’è andata.”

“E non l’hai aiutata a rialzarsi?”

“No.” Ora che glielo faceva ripensare, è stata una decisione un po’ vergognosa quella di voltarsi dall’altra parte come non l’avesse mai conosciuta. “Ho esagerato?”

“Un pochino.” E gli sorrise. E lui non ci vide più. Si sedette sul divanetto vicino a lei, le prese il mento e la fece girare verso di lui. La baciò. E fu subito contraccambiato.

 

Cristiana, con le analisi in mano, girava per l’ospedale. Le aveva sottobraccio, le teneva strette, e non era curiosa. Voleva solo Riccardo. Voleva che fosse lui a sfogliare quella pagina e dire aspettiamo un bambino. O anche solamente no. Però era lui che faceva la differenza.

Raggiunse il bagno, per sciacquarsi il viso e rendersi un minimo presentabile a quella specie di appuntamento che avevano fissato per la serata.

Aprì la porta.

“Ah, sei tu.” Di nuovo la sua voce. Un po’ impaurita.

“Ti ho spaventato?” Girò la cartella dalla parte opposta, così che non si vedesse il nome.

“No.” Controllò l’orologio. Erano le otto. “Andiamo?”

“Lascia almeno che mi sistemi un po’ i capelli…”

“Sei bellissima così.” La prese sottobraccio e la portò fuori.

 

La macchina di Cristiana li stava aspettando nel parcheggio dietro al pronto soccorso. Quella mattina, infatti, erano giunti insieme al lavoro, dopo una notte passata insieme a casa di lei. Rigorosamente senza Elena, che dalla disperazione era fuggita a casa del padre. E ci era rimasta anche quella sera.

“Guido io, eh” prenotò il posto Riccardo, fregandogli le chiavi dalle mani. Entrarono in auto e si infilarono le cinture.
“Ho sempre guidato io…” evidenziò lei, controllando la situazione capelli dallo specchietto del parasole. “Avrei proprio bisogno di un parrucchiere” commentò scostando i ciuffi ribelli dalla fronte.

Riccardo si voltò verso di lei sorridendo. “Ti ho già detto che stai benissimo così come sei.”

“Guarda la strada, va là…” E gettò nei sedili posteriori la sua borsa, al cui interno aveva ripiegato ciò di cui avrebbe parlato più tardi.

 

“Arrivati” annunciò lui spegnendo la macchina dopo averla posteggiata in garage, accanto alla propria.

Cristiana si riprese le chiavi, mentre il collega faceva il giro dell’auto per aprirle la portiera.

“Non ce n’era bisogno” affermò la donna divertita dal suo gesto galante. L’unica cosa che si limitò a fare lui fu sorridere. Era di buon umore. E forse era meglio così: avrebbe facilitato le cose.

 

Entrarono in casa e, mentre Riccardo cercava l’interruttore della luce – che puntualmente non trovava mai – un essere soffice e peloso si strofinò per un istante contro le gambe della dottoressa Gandini, così che si mise a urlare dallo spavento e rischiò di scivolare addosso a Malosti, il quale l’accolse tra le sue braccia dopo aver acceso la luce. Cristiana era ancora immobile con il capo nascosto sul suo petto, gli occhi serrati contro il colletto della camicia.

“È solo Briciola.” E un miagolio rese chiaro l’equivoco.

La donna aprì gli occhi e si voltò a guardare quell’esserino che sembrava più un batuffolone di cotone bianco e grigio che un micio.

“Non mi avevi mai detto che avevi un gatto!” lo aggredì osservando il musetto baffuto che intanto si era seduto a controllare chi fosse in compagnia del padrone.

“E tu non mi avevi mai detto che avevi paura dei gatti!” si mise a ridere.

“Non ho… paura. È che non mi fanno molta simpatia.” Guardò il micetto con la fronte corrugata.

“Non è meglio se entriamo?” cambiò argomento Riccardo, che era ancora fermo tra la porta aperta e Cristiana. Si sistemarono sul divano, dopo che, tra un miagolio e un altro, il dottore era riuscito a telefonare per ordinare due pizze.

Non la smetteva di passarle tra le gambe, e ad ogni contatto con la sua pelliccia le veniva la pelle d’oca.

“Vieni, su, ciccino, che andiamo a magiare la pappa” lo prese il braccio e gli accarezzò il musino, sotto lo sguardo sbalordito della collega. Di sottofondo, le fusa.

“Che c’è?”

“Io… non pensavo che… cioè, insomma” non riusciva a mettere insieme due parole. “Dico, il gatto… ti comporti in maniera… strana.”

La guardò con aria interrogativa. “Non è da te. Mi sarei aspettata un modo di fare più… duro, ecco; vederti fare le coccole al gattino non è proprio una scena che ti rappresenta al meglio, Malosti.”

“Appunto. Meglio se non te lo lasci sfuggire con la sfera femminile del pronto soccorso.”

“No, no, tranquillo.”

“Lo vuoi prendere in braccio?”

“No, assolutamente! E se poi sono allergica?”

“Eddai, non inventare scuse.”

Si concentrò a visualizzare quel quadretto. Riccardo che accarezzava un micio che faceva le fusa dalla contentezza. Non può essere, continuava a ripetersi nella testa. Però era così.

“Sei ancora sconvolta?”

Scosse la testa. “Solo un pochino.”

Si sedette di nuovo accanto a lei con il micio in braccio. “Le paure si devono affrontare, dottoressa.”

E glielo piazzò sulle gambe, al ché la reazione di lei fu del tutto logica. S’immobilizzò, con il busto piegato indietro contro lo schienale del divano, e le braccia incrociate sul viso a mo’ di scudo. Gli occhi stretti.

“Facciamo una cosa.”

“Toglimelo, ti prego!” era terrorizzata.

“Apri gli occhi.”

“No!”

“Aprili!”

Uno per volta. Per osservare quel micio che non stava né mostrando gli artigli, né uno sguardo assassino. Fece un respiro di sollievo.

“Non ti mangia mica.”

“Mh.”

“Dai, accarezzalo” tentò Malosti divertito.

“Non ci penso neanche!”

Il gattino si era arrotolato e ora controllava prima il suo padrone, poi la nuova tizia davanti a lui. Sbadigliò. E Cristiana sorrise.

“Vedi che allora ti piace?”

Sì, doveva ammetterlo. Era proprio carino, ma da lì a volerlo accarezzare o tenere in braccio ce n’era di strada.

Riccardo le prese una mano.

“No. No.” Era una negazione continua. Ad ogni centimetro di spostamento.

Gliela portò sopra la testolina dell’animaletto, che la rovesciò indietro alzando le zampe per prenderle le dita. E gliele sfiorò appena, senza estrarre le unghie.

“Ti ha fatto male?”

“No.”

“Se te lo faccio accarezzare, sono sicuro che non ti staccherai più da lui.”

“Ne dubito.”

“Provare per credere.”

E condusse la sua mano in direzione della collottola. Gliela appoggiò sopra, per tastare la consistenza del manto. Era liscio e caldo. E molto soffice.

Le fece accarezzare lentamente la schiena, la propria mano sulla sua.

“Non mi vorrai mica dire che non hai mai toccato un gatto prima d’ora.”

Scosse la testa mordicchiandosi il labbro inferiore. Era così.

“E come ti sembra?”

“Morbido.”

“Avevo ragione io. Ti piace.”

Gli occhietti vispi corsero in direzione di Cristiana dopo aver staccato la mano dal micetto.

“Vuole essere coccolato ancora. Ma stavolta non t’aiuto.”

Infatti lo accarezzò lei, e lo grattò sotto il mento, ascoltando il rilassante suono delle fusa. Riccardo aveva maledettamente ragione. Di nuovo. Si scambiarono uno sguardo complice, poi un dolcissimo bacio sulle labbra. Il gattino scappò giù e Riccardo si chinò su di lei, finché quel bacio che si prospettava a qualcosa di più venne interrotto dal suonare del campanello.

“Vado io.” Riccardo si tirò su e Cristiana fece altrettanto, sistemandosi l’abito stropicciato dall’ardore di Riccardo. Pagò le pizze e le appoggiò sul tavolo in cucina, dove dopo poco arrivò anche Cristiana. E il gatto che miagolava. Gli preparò la ciotola con i croccantini e procedette nell’apparecchiare la tavola. Bastarono una tovaglia, due bicchieri, le posate e una bottiglia d’acqua. Niente vino, disse Riccardo, categoricamente. Per me e per te.

“Eh beh, certo, perché se tiriamo fuori la bottiglia poi va a finire che lo bevi anche tu…”

“Ehm… naturalmente” ma non era esattamente per quella ragione.






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Capitolo 13
*** Tredicesima parte ***





Tredicesima parte.

Forse avrebbe dovuto dirglielo prima. Sì, così, se fosse andata male, non avrebbero nemmeno mangiato. E lei se ne sarebbe andata. Allora tra un morso e l’altro, no? No, avrebbe rischiato di farle andare di traverso la pizza.

Dopo, meglio dopo.

“Che c’è?” Cristiana aveva notato che erano cinque minuti buoni che Riccardo la fissava.

“No, niente.”

Lei appoggiò le posate nel piatto.

“Non mangi più?”

“Mi si è chiuso lo stomaco, scusa.”

“Stai poco bene? Sei pallida!” Si alzò e le s’inginocchiò di fianco.

“No.”

Le appoggiò una mano sulla fronte. “Niente febbre.”

 

La donna sospirò. Com’era difficile cercare di aprire bocca. Mettere in successione una dopo l’altra parole su parole, per formare un discorso, che fosse anche abbastanza convincente. E per di più aveva lasciato la borsa giù in macchina. Chissà, forse era il segno che se ne doveva stare zitta. Però per quanto sarebbe andata avanti una storia del genere? Giorno dopo giorno, con quella cartellina ancora chiusa. Ma che qualcuno probabilmente aveva già aperto, di nascosto.

“Sto bene. Mi è solo passata la fame” lo rassicurò. “Finisci almeno tu di mangiare, dai, non vorrei fare la guastafeste.”

“No, neanch’io ho più fame. Magari le teniamo per domani, tanto in frigo non dovrebbero fare niente, no?”

Cristiana annuì.

“Ti va almeno un po’ di gelato?” tentò l’ultima possibilità per addolcire un po’ la serata.

“Solo un cucchiaino.”

Malosti sorrise. “Allora aspettami di là sul divano, io metto un po’ d’ordine e arrivo.”

“Non vuoi una mano?”

“No.”

Non volle insistere. E tornò in soggiorno.

“Ah, Cristiana!”

“Sì?”

“Accendi la tv, guarda quello che vuoi… insomma fai come se fossi a casa tua.”

“Grazie” sentì pronunciare dall’altra stanza.

Avvolse nella carta stagnola in quattro e quattr’otto i due pezzi di pizza rimanenti e li proiettò nel frigo nel primo scomparto libero. Ammucchiò piatti e bicchieri all’interno della lavastoviglie e si limitò a chiuderla: l’avrebbe accesa più tardi insieme a tutto l’occorrente per mangiare il gelato. Ecco, appunto, qui subentrava il primo problema organizzativo. Dove trovare due coppette. Sane. Cominciò ad aprire tutti gli armadietti della parte superiore della cucina. Pentole disposte in maniera molto disordinata, barattoli di tutte le forme, piatti, bicchieri e… una coppetta. Pure scheggiata. Eh no, non era proprio il caso di presentare un obbrobrio simile alla prima visita di lei a casa sua.

Aprì il freezer dal quale estrasse la vaschetta di Affogato al cioccolato della Carte D’Or. No. Ci mancava pure questa. Aveva detto che non voleva cioccolato. Tutte a lui dovevano succedere! Si tuffò all’interno del refrigeratore per essere certo che quella fosse l’unica vaschetta rimasta. Per sua fortuna trovò qualcos’altro, anche se lo stato non era del tutto ottimo. Avrà avuto più o meno un mese, e non si ricordava nemmeno più di averlo preso, quel gusto. Fragola. E gli faceva pure schifo. Con entrambe le vaschette si recò nel salotto. Le luci erano spente, solo quella proveniente dalla cucina gli permetteva di non inciampare. Poi comparve sul suo volto. Quel sorriso involontario di quando si vede la persona che si ama.

Solo una domanda gli venne spontanea: si poteva essere più felici di come lo era in quel momento?

Accucciata sul divano, sembrava essersi addormentata con il sorriso sulle labbra. E una palla di pelo di nome Briciola aveva fatto lo stesso sulle sue gambe.

Malosti gettò nel congelatore quelle due vaschette e tornò di là. Si appoggiò allo stipite della porta ad osservare i suoi due cuccioli dormire l’uno in braccio all’altra. Spostò indietro la testa e con la coda dell’occhio controllò l’orologio della cucina. Mezzanotte meno un quarto. E uno scatto di nervosismo lo attanagliò da dentro. Era rimasto fermo a guardarla per chissà quanto tempo.

Svegliarla? Non se ne parlava proprio.

Lasciarla sul divano? Così poi con l’arrivo dei due figli sarebbe stato un casino.

Ci voleva proprio un miracolo…

Trascorsero altri cinque minuti in completo silenzio. Ascoltava i rumori impercettibili della notte.

Poi la vibrazione del suo cellulare nella tasca dei pantaloni lo fece saltare dallo spavento. Lo estrasse e osservò il display lampeggiante: Dario.

Si rifugiò in cucina socchiudendo la porta dietro di sé.

“Pronto” sussurrò.

“Papà?”

“Sì, Dario, dimmi.”

“Papà ma perché parli così!?”

“Non ti preoccupare, tu dimmi cosa c’è.” Aprì di qualche centimetro la porta per controllare che Cristiana stesse ancora dormendo.

“Ma ti ho svegliato?”

“No!” esclamò brusco.

“Va bene, va bene scusa. Senti, pa’, posso dormire a casa di Matteo con Ale, questa notte?”

Non ci credeva.

“Cos’hai detto?”

“Eddai, pa’, solo per stanotte… è già tardi, e poi domani c’è anche l’assemblea d’istituto a scuola e entriamo due ore dopo!”

“D’accordo, ma non fate arrabbiare i suoi genitori” lo avvertì.

“No, stai tranquillo, dormiremo come due angioletti.”

“Ti vengo a prendere domattina?”

“Ci pensa sua mamma, mentre va al lavoro, a portarci a scuola.”

“Allora a domani pomeriggio. E fai il bravo!”

“Grazie, sì, a domani!”

Si ritrovò il gatto in mezzo ai piedi. “Ssh, zitto!” Lo prese in braccio e lo trasportò nella sua cuccetta allestita accanto alla ciotola. Si arrotolò su se stesso e si addormentò prima ancora che il padrone uscisse dalla cucina.

Recuperò un plaid e lo posò delicatamente su Cristiana fino a coprirle tutto il corpo. Almeno non avrebbe preso freddo. Poi cambiò idea: il divano non era esattamente un luogo molto comodo dove dormire. Con tutta l’attenzione possibile le mise un braccio sotto il collo e uno sotto le gambe e la sollevò piano piano, cercando di evitare movimenti bruschi, lasciandola inglobata nel caldo panno. Riuscì ad alzarsi in piedi senza che lei se ne accorgesse, lasciando per terra vicino al divano le scarpe che Cristiana si era tolta prima di sdraiarsi. Ma non durò a lungo. Udì una specie di mugugno, un borbottio senza senso di quelli che solitamente si fanno quando qualcuno ti dice di alzarti, ma non sei né sveglio né addormentato, bensì in uno stato altamente confusionale dopo il quale sei ricatapultato tra le braccia di Morfeo. O di Malosti.

Si era rannicchiata in braccio a lui, con il capo appoggiato saldamente al suo corpo.

E ricevette un amorevole bacio sulla fronte, prima che Riccardo la portasse in camera da letto. Aprì la porta con una spallata e non accese la luce. Quella della cucina si proiettava anche in quell’ambiente, così che Riccardo riuscì ad appoggiare Cristiana tra le morbide lenzuola con tranquillità. La coprì accuratamente e ripiegò il plaid alla bell’e meglio per poi lasciarlo andare in una zona indistinta del pavimento accanto al letto.

Ma non era ancora finita. In punta di piedi tornò in cucina e spense la luce.

Buio.

Buio totale.

Ma quel buio di cui non ci si abitua nemmeno rimanendoci mezz’ora. Si ricostruì mentalmente lo schema della casa, non tralasciando eventuali oggetti e arredamenti spigolosi o pericolosi in qualsiasi modo. Arrivò al salotto con non troppa difficoltà, ma la faccenda diventava seria quando si trattava di imbucare correttamente la porta della camera da letto. Proseguiva tentoni con le mani davanti a lui per tastare cosa si ritrovava di fronte e finalmente le sue dita avvertirono il fresco legno che attorniava l’ingresso della stanza.

Dopo pochi passi trovò anche il letto, e ci si sedette sopra. Allungò la mano per afferrare la maniglia del cassetto del comò dove teneva il pigiama. Ma lo sanno tutti che non c’è un cassetto che non faccia silenzio né al momento dell’apertura né della chiusura. Un mesto cigolio lo accompagnò durante la sua corsa d’andata, e Riccardo fu lì lì per mordersi una mano. Silenzio. Poté proseguire nella sua impresa. S’infilò i pantaloni del pigiama non curandosi di dove sarebbero finiti i suoi vestiti, se dentro al cassetto, per terra o fuori dalla finestra (che comunque era dalla parte opposta della stanza), ma assicurando tutte le sue energie al senso dell’udito, in modo tale da valutare ogni singola mossa di Cristiana.

Scostò le lenzuola e si sdraiò, rilassando finalmente tutti i muscoli. Alla sua sinistra proveniva solamente l’eco di un respiro: poteva finalmente pensare di dormire.

 

Boia. Ecco cosa si era dimenticato. La tapparella alzata.






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Capitolo 14
*** Quattordicesima parte ***





Quattordicesima parte.

Ma dove caspita sono? Fu la prima domanda che occupò i pensieri della dottoressa. Non si mosse di mezzo millimetro e la sola cosa che cercò di portare a termine fu aprire gli occhi.

Dalla finestra la luce del sole che stava nascendo già si proiettava all’interno della camera, illuminandola completamente. Non era intensa, ma fastidiosa per gli occhi di chi aveva dormito suppergiù sette ore. Decise di aspettare qualche minuto in più, perché, in fondo, tanto male non stava, e se la sveglia non aveva ancora suonato, o Elena non era entrata urlando, ci sarà stato un motivo.

 

La sentiva muoversi. E spalancò gli occhi, riflettendo simultaneamente sulle azioni compiute precedentemente. Si odiava per non aver chiuso quella maledettissima tapparella. Chissà che ore erano, magari anche le cinque, e quella luce lo aveva disturbato da quel piacevole torpore sotto le coperte.

Ma non erano solo le lenzuola a riscaldarlo. Abbassò lo sguardo e la vide, più vicina di come l’aveva lasciata la sera prima. Decisamente più vicina. Aveva appoggiato la testa al suo petto nudo, e si era rannicchiata contro il suo fianco, con una mano che gli cingeva la vita.

Si chiese come ci fosse finita, in quella posizione. Magari quella notte si era svegliata. Oppure era stato solo un movimento involontario durante il sonno.

Attorno al polso della donna c’era ancora il suo orologio. Segnava le sei e dieci. Poco male, avrebbero avuto ancora un’oretta per dormire.

 

Tastò la superficie su cui era appoggiata. E la sentì muoversi. Mugugnò qualcosa e si rannicchiò maggiormente contro di lui. Aveva freddo.

Riccardo tirò le coperte del letto disfatto verso di loro per coprirla; la vide sorridere con gli occhi ancora chiusi.

Com’era bello guardarla dormire. Il tempo passava ma la voglia di rimanere lì, accanto alla sua donna, non cambiava mai. Le appoggiò una mano sui capelli spettinati e la coccolò a dovere. Aveva capito che era sveglia.

 

Eccolo, l’oggetto infernale che ogni individuo, sia esso maschio, femmina, piccolo o adulto, vorrebbe cancellare dalla faccia della terra. Chiamasi sveglia. Iniziò piano, un bip dopo l’altro. E Riccardo sussultò sul letto quando sentì il primo. Allungò rapido la mano sul comodino per premere quel bottone maledetto, ma aveva sbagliato le misure, perché la fece cadere a terra e il rumore si spense attutito dal tappeto. Insieme a quei bip. Non si ricordava nemmeno di averla puntata così presto: segnava le sei e mezza precise.

Si gettò la testa sul cuscino. Ma perché era così difficile combinarne una giusta quando stava con Cristiana?

“Riccardo…” un borbottio a basso volume proveniva dalla donna.

“Ssh. È presto, dormi.” Le afferrò testa e busto e l’appoggiò sul proprio cuscino, così era anche già caldo, mentre lui uscì dalle coperte rischiando ancora una volta di ammazzarsi rimanendo impigliato con un piede. E l’altro a momenti non finiva sopra la sveglia sul tappeto.

Una risata soffocata gli fece vibrare i timpani. Si voltò dopo aver riconosciuto la fonte del suono, raccolse la sveglia e l’appoggiò sul comodino.

“Tu ti permetti… di ridere di me?” fece un passo in direzione del letto, sul quale appoggiò un ginocchio.

“No, no!” afferrò in fretta il cuscino dietro la testa e se lo appoggiò davanti al viso per nascondersi, ma stava ridendo.

Riccardo camminò gattonando sul letto e la raggiunse subito, posizionandosi sopra di lei. Agguantò il cuscino e lo gettò via, così che finalmente poté osservare la sua risata divertita sotto a due braccia che si incrociavano davanti al viso. Riccardo sapeva bene di quanto fosse vulnerabile una donna in preda al riso; le acchiappò i polsi e districò le braccia, incollandogliele al materasso come se fosse in prigione. E si bloccarono, entrambi. Lei smise di dimenarsi e di ridere, lui le si sdraiò addosso completamente e le baciò il collo. Percepì il suo brivido e avvicinò la bocca ad un orecchio: “Buongiorno amore” sussurrò piano, mentre con una mano le percorreva una gamba in direzione della coscia.

Il respiro di Cristiana divenne sempre meno rilassato e si lasciò tingere le labbra del suo sapore, senza opporre resistenza in alcun modo. Riccardo le sollevò il busto per cercare la cerniera dell’abito, che aprì fino alla fine della schiena, mentre le loro labbra si cercarono in un bacio che li portava sempre di più ad unire le loro lingue in un intreccio affannato. Malosti sfilò il leggero vestito della dottoressa con delicatezza e precisione, scatenando in lei un fremito ad ogni contatto delle proprie mani con la sua pelle fresca e profumata di lenzuola.

Le baciò il seno mentre finalmente riusciva a staccare quei maledetti gancetti da dietro la schiena, poi scese a regalare teneri baci anche alla creatura che le stava nascendo in grembo, solleticandole la pelle attorno all’ombelico.

“Riccardo…” la sua voce tremante lo fece trasalire. Si tirò su a sedere e continuando a baciarlo infilò due dita tra l’elastico dei suoi pantaloni del pigiama e la sua pelle morbida. Si staccò sorridendo maliziosa, mentre il collega la prendeva per i fianchi e la faceva sdraiare sotto di sé.

Si amavano come se per mesi non avessero mai avuto la possibilità di toccarsi. Assaporando tutto dell’altro, ogni centimetro di pelle, ogni minima imperfezione, e imprimendo nella mente tutto quello che bastava ad essere felici. Loro stessi.

Le loro labbra si raggiunsero ancora una volta, per poi staccarsi per guardarsi negli occhi. Sorridendosi a vicenda. Tornarono abbracciati e si lasciarono cadere tra le lenzuola stropicciate, dove vennero rapiti dalla magia del sonno. Anche se era tardi. Anche se la luce penetrava inesorabilmente da quella finestra.

 

“Riccardo…” cercava di destarlo solleticandogli il petto. Ma non ci riusciva.

“Cinque minuti” borbottò assonnato.

“Allora sei sveglio!” Ma non c’erano più cuscini da tirargli, perché l’altro si era andato a fare benedire da qualche parte attorno al letto. Però la volontà c’era. Si alzò in ginocchio e scrutò la stanza. Camminò senza fare rumore sul gelido pavimento per recuperarlo. E molto cautamente si avvicinò al viso dormiente di Riccardo, per fargli prendere uno di quegli spaventi che, avesse avuto dieci anni, avrebbe giustificato quel sorriso compiaciuto sul suo volto. Ma la scusa dell’età con lui non valeva più. Salì sul letto dosando ogni suo movimento, e si preparò dietro alle spalle dell’uomo, concentrata al massimo per perfezionare la mira.

Ma non poté avere il suo momento di gloria. Malosti era stato più veloce di lei e aveva agguantato il cuscino su cui appoggiava la testa per gettarlo addosso a Cristiana, che, anche se con un po’ di ritardo, fece lo stesso con quello che aveva in mano, sebbene non ottenendo lo stesso risultato.

Una gara a colpi di cuscini. Peggio che ad un adolescenziale pigiama party.

“Ti pensavo più in forma, Gandini” commentò Malosti dopo che esausti e con il fiatone avevano smesso la battaglia.

“Provochi?” si tirò su e si appoggiò su di lui.

“No, ma arrendersi alle prime cuscinate…” si mise a ridere.

“Riccardo” l’espressione tra lo sconvolto e il divertito.

“Ho detto qualcosa di sbagliato?” si preoccupò subito lui.

Si morse un labbro, lo sguardo fisso oltre Riccardo, al display della sveglia. “Sono… le otto.”

Malosti si mise seduto scostandola da sopra di lui, e le prese il braccio dove teneva l’orologio. “Cazzo.”

Si guardarono un attimo negli occhi. E si alzarono entrambi dal letto come un fulmine.

“Due minuti per vestirci, tre per fare colazione…” elencava intanto Riccardo infilandosi i primi jeans trovati nell’armadio.

“Nono, facciamo colazione direttamente là!” esclamò lei accucciandosi sotto il letto. “Dove diavolo sono le mie scarpe?”

“Sul tappeto del salotto, e non è colpa mia!” Stava comicamente tentando di infilarsi i pantaloni. Ma non ci riusciva. Se li sfilò e controllò l’etichetta. “Ma sono di Dario!” stava gridando. “Come cavolo fanno a stare nel mio armadio!?” Ne cercò un altro paio e si vestì svelto. “Dicevo… un quarto d’ora per arrivare.”
“Dieci minuti se guidi tu” intervenne lei rientrata in stanza con le scarpe ai piedi. “Io vado a darmi una sistemata in bagno, eh.”

Riccardo mugugnò qualcosa, del tipo ecco, saltano i miei conti. Ma due secondi dopo la vide rientrare.

“Senti, ma dov’è il bagno?”

Scoppiò a ridere. “La porta vicino alla cucina.”

“Cristiana?” la richiamò svelto prima che potesse fare qualche passo in più.

“Che c’è?”

“Camicia o maglia?”

“Quello che vuoi, Riccardo!” e corse fuori svelta.

Si abbottonò una camicia a caso che non stonasse con i jeans e uscì dalla stanza.

Si vide fissato da una Cristiana appoggiata alla porta del bagno. Non del tutto allegra.

“Senti, ma ce l’hai un pettine?”

Le si avvicinò abbottonandosi i polsini. “Dovrei.” “Dunque…” Osservò il mobiletto del lavandino. “Non puoi fare senza?” tentò.

“No.” Non era il caso di discutere: non si sarebbe districata i capelli con le dita.

Mise in disordine il contenuto di ogni cassettino. Poi lei lo bloccò con una mano. “Eccolo.”

“Visto, ce l’avevo.” Sorrise soddisfatto. E lei iniziò a pettinarsi nervosamente quei capelli che faticavano a sgrovigliarsi.

“Otto e sette” dichiarò lui fermando un attimo il gesto ripetitivo del braccio di Cristiana.

“Ma non ce l’hai un orologio?”

“Sì, ma chissà dove l’ho messo.” E se ne stette lì, vicino a lei, a guardarla torturarsi i capelli. “Dammi quel pettine, che facciamo notte!” Glielo levò dalle mani. E cominciò a passarle i capelli, una ciocca dopo l’altra, con delicatezza e velocità. La Gandini si stava quasi assopendo da quanto era piacevole quella sensazione. Chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Peccato che finì presto.

“Va bene così?” La risvegliò.

“Wow” si lasciò sfuggire osservandosi allo specchio. “Chirurgo, meccanico e pure parrucchiere. Ma dove lo trovo un altro come te?” Si voltò a guardarlo sorridere.

E se non bastasse quella camicia scura gli stava divinamente.






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Capitolo 15
*** Quindicesima parte ***





Quindicesima parte.

“Sergio ci massacra. Sergio ci massacra” ripeteva Cristiana in continuazione. “Ti muovi con quel gatto?” Malosti gli stava riempiendo la ciotola di croccantini. “Sergio ci massacra.”

“Scusa, non ho capito bene. Cosa ci fa Sergio?”

“Ci massacra. Ci fa a pezzettini, ci smonta un organo alla volta. E magari se li tiene come ricordo.”

“Come sei truce” affermò.

“Vedo già i titoli sul giornale: Primario adirato, uccide due chirurghi e ne nasconde i resti nel suo studio.”

“Cristiana non essere così devastante. Per adesso sono solo venti minuti di ritardo.”

“Venti? Erano quindici cinque minuti fa!”

“Ehm…” ma lasciò in sospeso il dialogo.

“Con che macchina andiamo?”

“La mia, la tua, quella del vicino. Altrimenti ti ci porto in elicottero.”

Miao.

“Concorda anche Briciola.” Si alzò in piedi e attirò a sé la collega per la vita. “Prendiamo la tua macchina. E guido io, così risparmiamo questi maledetti cinque minuti.”

“Sì, ma tanto il nostro destino è segnato. Sergio…”

“Ci massacra” completò la frase ridendo, al contrario di Cristiana che era davvero preoccupata.

 

“Dario e Alessandro sono già andati a scuola?” chiese mentre salivano in macchina. E poi la rivide. Quella borsetta.

“A dir la verità questa notte non sono tornati.” Era già lì lì per subirsi un'altra delle loro discussioni sul fatto che poteva dirglielo prima, o avvisarlo in qualsiasi modo, ma la risposta monosillabica della collega lo meravigliò.

Infatti non lo stava ascoltando. “Ah.” Disse solo, inventandosi un’interiezione sul momento. Aprì la portiera e si sedette sul sedile, il volto coperto da un’espressione non troppo sorridente.

“Senti, glielo dico, con il tuo amico primario, che sei arrivata in ritardo per causa di forza maggiore.”

“Il tuo gatto.”

“E i tuoi capelli.”

 

Valerio raggiunse quasi correndo l’accettazione. “Teresa, ho bisogno di qualcuno che mi assista in sala operatoria. È urgente.”

“Dottore, mi dispiace, ma sono tutti occupati e gli altri non sono ancora arrivati.” Diede un’occhiata al grosso orologio appeso al muro dietro di lei. “Anche se è strano.”

“Gli altri chi?”

“Malosti e la Gandini, non sono ancora arrivati. E il loro turno iniziava alle otto.”

“Ma che bell’inizio di giornata. Non riesco a trovare nemmeno Giulia.”

Teresa alzò le spalle e afferrò la cornetta del telefono. “Se Danieli viene a cercarli e se la prende con me, quei due me la pagano.”

 

“Ma vai piano!” Una mano aggrappata alla maniglia della porta e l’altra alla base del sedile, erano parecchi minuti che Cristiana esortava il suo autista a diminuire la velocità. Il display verdognolo sul cruscotto segnava le otto e mezza.

“Prima mi dici di guidare, poi ti lamenti perché vado troppo forte?”

“Tanto a questo punto un minuto in più di ritardo non fa la differenza. La nostra fine è vicina.”

Le appoggiò una mano sul ginocchio e glielo massaggiò. “Ti calmi?”

Fece aderire il suo corpo allo schienale del sedile e chiuse gli occhi, mentre quel movimento rilassante delle dita di Riccardo le penetrava dentro e le faceva a poco a poco scomparire ogni noia.

Sarebbe stato il caso di afferrare la borsa, estrarre la cartellina e leggere i risultati lì, in quel momento, per togliersi ogni pensiero, prima di iniziare la loro giornata lavorativa? Ogni momento era il meno opportuno, se ci rifletteva per più di dieci secondi. Ma decise fermamente di dirglielo prima della fine del turno. Costasse quel che costasse.

 

Cristiana sei incinta. No, troppo brusco. Cristiana aspetti un figlio. No. Amore, aspettiamo un bambino. Ecco, un po’ meno aggressivo, ma veritiero e con un pizzico di romanticismo.

 

“Possiamo fermarci un secondo a casa mia?”

“Vuoi suicidarti prima che ti ammazzi Sergio?” Rallentò l’andatura. “Cosa ci devi fare, a casa tua?”

“Volevo cambiarmi il vestito” cercò di assumere l’aria più innocente che potesse.

“Se me lo dicevi prima, ti prestavo una maglia e un paio di pantaloni.” Poi si voltò a guardare la sua bocca dischiusa dallo stupore, e quella ruga che le si era formata sulla fronte. “I più piccoli che ho.”

“Arriviamo in ritardo.”

“Bella osservazione.” Come se fosse la prima volta che lo diceva da quando si erano svegliati.

“Insieme.”

“Mh.”

“E io con lo stesso abito di ieri.”

“Non vedo dove vuoi arrivare.”

“Teresa non ci mette molto a fare i suoi conti, e vedrai che dopo poco tutto l’ospedale saprà che ho dormito da te.”

“È una cosa così orrenda? Pensavo ti fosse piaciuto…”

Cristiana sorrise. “In fondo non è stato così male.”

E si allungò verso di lui per baciarlo sulla guancia. Malosti si trattenne nel replicare fino a quando non ebbe parcheggiato davanti al Morandini. Spense la macchina e si slacciò la cintura.

“Cos’hai detto?” fece la faccia più cattiva che poté, anche se con la Gandini non era così facile. Le andò incontro, mentre lei cercava di allontanarsi sprofondando nel sedile e contorcendosi pur di evitarlo. Ridendo.

Riuscì a rubarle un bacio dopo averla intrappolata a forza di solletico nei fianchi.

“Basta!” esclamava Cristiana con l’affanno nel respiro tentando inutilmente di placare la risata involontaria. Alzò le braccia in segno di resa. E si ritrovò il viso di Riccardo a qualche millimetro dal suo. Le stava accarezzando i capelli che lui stesso aveva lisciato, mentre assaporava il suo dolce profumo, lo stesso che aveva accompagnato il proprio risveglio. Con un male atroce nell’addome dove la leva del freno a mano lo stava infilzando, allungò un braccio e aprì la portiera di Cristiana.

“Prego” disse poi, invitandola a scendere.

“Grazie, Malosti.” E come ricompensa spinse le labbra contro le sue in un piacevole bacio.

 

“Eccoli” annunciò Rocco a Teresa appena la coppia dell’anno del Morandini appariva a braccetto da dietro le porte automatiche. Si stavano sorridendo complici.

“Ho vinto la scommessa” rispose lei orgogliosa.

“Mi devo essere perso qualcosa. Di quale scommessa vai parlando?”

“Hanno dormito insieme.” Un sorriso soddisfatto apparve sul suo volto, mentre i due appena arrivati raggiungevano il desk.

“Sì, ma se li guardi così troveranno qualcosa di sospettoso in te, no?”

“Ma non li vedi? A loro non importa niente di noi!” Sveglia, accorta, aveva sempre la risposta pronta. E anche perennemente ragione.

A Cristiana e Riccardo si spense il sorriso nel momento stesso in cui incrociarono lo sguardo di Sergio, che in quel momento aveva spalancato la doppia porta d’entrata nel corridoio interno.

“Buongiorno” disse loro sotto gli occhi curiosi di Teresa che assisteva alla conversazione con una curiosità immensa.

“Eh… ciao” salutò Riccardo lasciando il braccio di Cristiana.

“Spero che abbiate un valido motivo” continuò il primario portando le mani ai fianchi.

“Sì, certo, è tutta colpa mia.”

“Io vado a cambiarmi” intervenne la donna sviando la discussione. E sparì dietro la porta.

“Sei fortunato che non abbiamo il tempo di fare i conti, ma sappi che la prossima volta ti faccio imbalsamare e ti appendo come trofeo al muro del mio ufficio” parlò calmo, come suo solito.

Malosti annuì. E rincorse la Gandini. Cavolo, ci aveva quasi preso.

La raggiunse in sala medici dove si stava infilando il camice di spalle, e le cinse la vita incrociando le braccia per poterla stringere a sé.

“Già di ritorno?” piegò la testa all’indietro per potersi appoggiare alle sue spalle.

“Ho rischiato grosso.”

“Aveva il bisturi in tasca e ti ha minacciato?” scherzò lei.

“Quasi. La prossima volta che succede una cosa simile, non venirmi a cercare qui o a casa. Vai direttamente nello studio di Sergio e mi vedrai sul muro stile orso imbalsamato con la bocca spalancata.” Le percorse il collo con le labbra semichiuse.

Possibile che tutte le volte che lo faceva, fosse percorsa da brividi ovunque?

Rise. “Almeno saresti… intero.”

“Spiegami una cosa” tirò indietro il camice aperto della dottoressa e le poggiò le mani sui fianchi, solleticandola appena. “Da che parte stai?”

“Da quella dell’orso.”






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Capitolo 16
*** Sedicesima parte ***





Sedicesima parte.

“Oh, era ora che onoraste il pronto soccorso della vostra presenza!” Valerio li aveva trovati. E in un baleno i due si staccarono, ricomponendosi.

“State, state, tanto questa mattina noi chirurghi puntuali siamo così poco impegnati che ho dovuto affrontare un’operazione con Marina. Che, preciso, aveva dieci bimbi in coda da visitare.”

I due medici annuirono all’unisono.

“È stato solo un caso. Non accadrà più” dichiarò Cristiana seria.

“Bene. Allora vieni con me, così organizziamo la giornata.” Fece per seguire il collega ma venne strattonata per un braccio da Malosti, che riuscì a darle ad un orecchio indicazioni su dove trovarsi più tardi. Un appuntamento, se poteva essere definito in tal senso. All’interno del pronto soccorso e alla distanza di un’ora. Sempre se aveva capito bene le parole arruffate e aggrovigliate di Riccardo.

 

La voce cominciò a girare, e non ci mise più di dieci minuti per raggiungere anche gli sconosciuti.

“Ma chi è questa Giulia, di cui tutti parlano?” si chiedevano due medici di reparto ritrovatisi a sentire a destra e a manca quel nome. Accompagnato da facce tristi o lacrime.

“Ne so meno di te, guarda” rispondeva l’altro.

“Ma sarà morta?” azzardò il primo.

“Chi è morto?” Esther e la sua delicatezza.

“Boh, Giulia…”

“Ma Giulia chi?”

“Ma ne parlano tutti, qua!” l’aggredì esasperato il medico più anziano.

La neocaposala afferrò il concetto. Con un po’ di ritardo, ma ci arrivò.

“La caposala.”

“Aaah!” s’illuminarono in coro, nonostante non sapessero né chi fosse, né che faccia avesse.

“Sì, ma cosa volete saperne voi, che non lavorate in pronto soccorso” il suo tono era di rimprovero. Che si facessero i cavoli loro e tornassero da dove erano venuti. “Comunque vi informo che da oggi in poi io prenderò il suo posto. Quindi non ho tempo da perdere.” Li guardò un secondo in più e voltò loro le spalle.

 

“Saputo di Giulia?” Malosti le fece prendere un colpo.

“Sì.” Sospirò. “La prossima volta, quando arrivi, avvertimi.”

“Che faccio, ti mando un fax?” Si avvicinò alle macchinette e inserì una moneta. “Cosa vuoi?”

“Non ho il fax.”

“Meglio, mi risparmio di pensare al tuo regalo di Natale. Che cosa vuoi?”

“Cioccolata.”

“Amara, forte, con latte, con caffè, con me…”

“Forte. E con tanto zucchero.” “Scusa, qual era l’ultima opzione?” sul momento non ci aveva fatto caso.

“Niente, niente” e rise tenendo tra i denti il bastoncino di plastica del suo caffè.

Afferrò il bicchiere bollente e lo estrasse dalla macchinetta. “Attenta, scotta.” Glielo porse.

E si incamminarono l’uno di fianco all’altra per il corridoio.

 

“’Giorno” la voce pimpante come uno zombie addormentato di Laura li sorprese.

“Quanto hai dormito, stanotte, Costa, sì e no quattro ore?” infierì Riccardo osservando le occhiaie violacee che risaltavano sulla pelle pallida della dottoressa. Quello che ottenne fu un’occhiataccia.

“È sempre di grande consolazione parlare con lei, dottor Malosti. Ma oltre a bere il caffè dal distributore, c’è qualche altra mansione per cui la pagano? Magari qualche colpo di bisturi, per coprire il suo tempo libero…”

“Lo vuoi in testa?” si riferiva al caffè. “Magari ti sistemerebbe un po’ quei capelli…” stava cercando un aggettivo adatto. Ma Laura lo precedette e se ne andò.

La donna in sua compagnia si voltò verso di lui. E lo guardò male.

“Ha cominciato lei.”

“Solo per il fatto di essere passata di qua?” “Bugiardo” aggiunse poi, enfatizzando la parola, ma lasciandosi sfuggire un sorrisetto.

Riccardo mischiò il caffè, tralasciando il discorso e continuando a camminare accanto a lei.

Era l’unica donna con cui non riusciva ad avere l’ultima parola. Ed era anche l’unica donna con cui non la voleva avere.

 

“Mi è venuta fame.”

“Potevi dirmelo prima, che ti prendevo qualcosa.”

“Prima non ce l’avevo.”

“Prima cioè un minuto e mezzo fa.” Sorseggiò il caffè. “E fa pure schifo.”

A Cristiana scappò una mezza risata, e per non fargliela notare si nascose dietro il bicchierino di plastica pieno per metà.

“Il tuo com’è?”

Ma continuava a ridere.

“Tu hai… la cioccolata” si ricordò subito dopo. Non era abituato a vederla bere a colazione qualcosa che non fosse caffè. Si liberò le mani centrando il cestino nell’angolo del corridoio con il bicchierino semivuoto.

E fu tutto per lei.

 

Le stava venendo sempre più incontro. Passo dopo passo la distanza diminuiva e anche lo spazio che aveva per poter scappare. Gettò un’occhiata dietro di sé tenendo in bilico il bicchiere affinché non si rovesciasse il contenuto: il muro era troppo vicino. Troppo per potersi permettere una via di fuga senza venire acchiappata e rischiare di rovesciare tutto. Meglio la resa. Nessuna figuraccia e un po’ di coccole gratuite. Anche se in mezzo al corridoio. Anche se per quella giornata si erano già giocati il cartellino giallo. Molto giallo; arancione.

“Me ne fai assaggiare un po’?”

Lo sapeva. E gli disse di no, con tono deciso.

“Solo un goccio.”

“Ti ho detto di no. Hai voluto il caffè, arrangiati.” La sua schiena era ormai attaccata alla parete.

“Dai fammela sentire.”

“Non ci penso neanche.” Il braccio teso in fuori con il bicchiere più verticale possibile. E lui non si arrischiava a prenderlo perché sapeva bene come avrebbe reagito la collega. Cioccolata dappertutto, in primis sui loro camici. E il marrone non era esattamente un colore che andava di moda nel settore medico dell’abbigliamento.

La inchiodò al muro, le loro bocche quasi si sfioravano da quanto Malosti le era addosso.

Lui sapeva di caffè, quell’aroma amaro ma al tempo stesso intenso e attraente.

Lei da zucchero cioccolatoso, quel profumo simile a quello di una torta appena sfornata, che si diffonde inesorabile nelle stanze di casa.

E Riccardo volle mischiare i loro gusti.

“Ti prego, ho il bicchiere in mano!” si mossero le labbra appena sotto di lui.

Ma l’impulso irrefrenabile di stabilire un contatto non fece caso al contesto in cui esso sarebbe avvenuto.

Sentì le sue labbra volere aprire le proprie, ma lei fece resistenza.

 

Malosti si staccò un secondo, per guardare quegli occhi che dicevano di no. Ma si piegò di nuovo su di lei prendendola per la vita; percorse con la lingua il contorno delle sue morbide labbra, per cancellare le tracce umide della cioccolata e finalmente percepì un leggero movimento di Cristiana, che distrusse la barriera e allentò la chiusura forzata della sua bocca. Così che Riccardo poté unire i due sapori in un tutt’uno di dolce e amaro, seguito dalla dottoressa che rispose al bacio con trasporto mentre con la mano libera passava tra i lisci capelli del collega, provocando in lui una sensazione estatica.

 

“Qui sono tutti matti” fu il commento di Rocco davanti alla scena. Si avvicinò loro, lungi dal notarlo, e sfilò dalla mano in equilibrio precario di Cristiana il bicchierino. “Questo è meglio se lo prendo io.” E si allontanò lasciandoli in preda a quell’impeto di passione inopportuna.






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Capitolo 17
*** Diciassettesima parte ***





Diciassettesima parte.

“Mi offri un caffè?” Era Sergio, che li aveva raggiunti in pausa pranzo seduti attorno ad uno dei tavolini di fronte ai distributori. Ce l’aveva con Malosti, che dovette così rimandare a più tardi il morso che stava dando al suo panino.

“E ti pareva.” Si alzò, fissando Cristiana che stava soffocando una risata, mentre Sergio era già pronto per prendere il suo posto davanti alla donna.

“Come va?” domandò il primario girando di tanto in tanto la testa verso Riccardo.

“Insomma” si limitò a rispondere.

Danieli stava per chiederle qualcosa in più riguardo alle analisi, ma la velocità di Malosti nell’aver servito il caffè al professore fu sorprendente.

“E ora via dal mio posto.” L’occhiata assassina che visualizzò Sergio non lasciava adito a dubbi.

“Non vi dispiace se mangio qualcosa con voi?” Tentò allo stesso modo.

“Peccato, noi abbiamo appena finito.” Recuperò il proprio panino ancora integro, il pacchetto di cracker e la bottiglietta d’acqua di Cristiana. Fece il giro del tavolino e afferrò la collega per un braccio, così da farla alzare.

“Scusalo…” fu l’unica cosa che riuscì a dire la Gandini prima di essere strattonata altrove dal dottore.

 

“Eva, tu non puoi capire, mi ha baciato!”

Erano in bagno, e si stavano parlando guardandosi attraverso lo specchio.

“Vi siete baciati anche prima che lui si sposasse. E appunto per questo hai visto che importanza gli ha dato.”

“Ma questa volta è diverso!” esclamò Laura convinta.

“Anche la volta scorsa era… diverso.”

“Hanno litigato. E di brutto. Ma Valerio non l’ha seguita. È tornato da me.”

“Potevi dirmelo prima, no?”

“Ho ancora qualche speranza?”

“Non ti arrendi mai, eh?”

“No. Chi ama non si arrende.”

 

“Vuoi sentire?” Malosti, seduto sulla poltroncina della sala medici, stava masticando allegramente il suo panino.

“Preferisco qualcosa di dolce.” Aprì l’armadietto accanto al cibo e ci ritrovò tutte le schifezze che le aveva preso Riccardo. Ne agguantò una a caso e cominciò a scartarla.

“Vieni qui” la voce profonda di Malosti le provocò un brivido che le percorse tutta la schiena. Sorrise. E lo raggiunse. Era lì lì per estrarre una sedia dal tavolo e portarla vicino alla poltrona per sedersi accanto.

“No, vieni qui.” Si fermò ed eseguì la richiesta.

In piedi, davanti a lui seduto, diede un morso alla barretta Kinder. E si sentì afferrare per la vita e venire trascinata in braccio a Riccardo.

Le diede un piccolo bacio in corrispondenza dell’orecchio. “Ti devo parlare” le sussurrò.

 

Anche lei doveva dirgli una cosa. Ma chissà qual era la sua. Riguardava un paziente di sicuro. Oppure i suoi figli, oppure il fatto che dormivano clandestinamente in casa dell’altro appena non avevano i ragazzini di torno. Per risolvere questa faccenda non sarebbero bastati, però, i dieci minuti di pausa.

E non gli aveva ancora risposto. Riccardo finì il panino e bevve un sorso dalla bottiglietta di Cristiana.

“Non finirmela tutta” si sentì subito rimproverato.

Accartocciò l’involucro della cioccolata e lo appoggiò sul tavolo per ricordarsi di buttarlo nel cestino prima di uscire di lì. E venne letteralmente sollevata da terra da Riccardo.

“Mettimi giù, che ti peggiora l’ernia!” Si reggeva a lui con un braccio attorno al collo, e l’altra mano appoggiata al petto.

“Allora ti avrei dovuto lasciare dormire tutta la notte sul divano, così sai con che dolori al collo ti saresti svegliata!”

Cristiana Rise. E gli accarezzò una guancia.

“Potevi svegliarmi.”

“Sarà per la prossima volta.” “E poi eri troppo bella” aggiunse con sguardo sincero.

La liberò lasciandola scivolare a terra.

“Dottor Malosti?” Un infermiere aveva appena aperto la porta. “Potrebbe venire un attimo? Ci sono alcune richieste di dimissioni da firmare.”

“Torno subito” assicurò alla dottoressa dopo averle mandato un bacio.

 

Inspirò profondamente prima di avvicinarsi al suo armadietto e infilare la chiave. La serratura scattò e l’anta metallica ruotò sui cardini mostrando la borsa di Cristiana. L’estrasse e sfilò dal suo interno il fascicoletto che aveva perso la sua forma perfettamente liscia dell’ultima volta che lo aveva visto. Appiattì gli angoli per renderlo un po’ più presentabile e si fermò a guardarlo. Gli occhi si arrestarono sul suo nome, scritto con quel pennarello nero uguale per tutti. Fu colpita da un brivido che si prolungò fino a quando la voce di Riccardo non fece il suo ingresso.

 

“Non capisco perché la gente abbia così tanta fretta di uscire…” commentò prima di richiudere la porta alle sue spalle. “Cristiana…” Era immobile davanti a lui, la cartellina stretta a lei con il nome rivolto verso l’interno.

E in un baleno gli crollò tutto addosso. Gli occhi quasi spenti della dottoressa, fissi sul pavimento, non si erano ancora accorti dell’incredulità e del terrore al tempo stesso comparsi sul volto di Riccardo, la cui mente si avviò rapida alla ricerca di una scusa decente, di una giustificazione che fosse in grado di non far scoppiare la terza guerra mondiale.

“Ti senti bene?” domanda idiota, decisamente. Ma non riuscì a trovare una frase decente per rimediare.

“Ti devo dire una cosa.” Cristiana alzò gli occhi verso di lui. Ma non s’immaginava di vederlo con la bocca dischiusa e gli occhi impauriti.

E se quelle non erano le sue analisi? Respirò a fondo. Magari anche per quella volta aveva scampato il patibolo. Purtroppo per lui non fu così. Doveva aspettarselo. La fortuna non colpisce mai per più di due volte di seguito. E a lui erano già state concesse. Cristiana. E il loro bambino.

La donna si mosse e appoggiò piano la cartellina sul tavolo. Con il proprio nome ben in vista.

Riccardo si dovette appoggiare alla parete per non rischiare di cadere a terra. Tutta la stanza gli girava intorno, e ci vedeva doppio. Sbatté più volte gli occhi per tornare alla dimensione reale e si avvicinò a Cristiana, che non aveva ancora detto una parola.

“Sono stato uno stupido” iniziò.

La Gandini lo guardò stranita.

“Quando le ho viste…”

“Sei stato tu!?” Era talmente frastornata che non riusciva a crederci. “Le hai prese tu!?” Non ci stava capendo più niente.

“Sì, ma le ho riportate al loro posto!”

“Perché non me lo hai detto?” il suo tono rimaneva impassibile. Si appoggio con entrambe le braccia al tavolo.

“Ora sai la verità…”

“Perché… non me lo hai… detto?” schiarì ogni parola, in un climax ascendente di nervosismo.

“Non ho mai trovato l’occasione giusta.”

“Non è vero.”

Non si faceva abbindolare facilmente da frasi insulse riproposte per tappare i buchi di una conversazione. Fece un respiro e buttò fuori l’aria: “Ho avuto paura.”

“Paura di cosa?”

Non sarebbe bastato per troncare la discussione. “Di questo. Di farti incazzare per non essere venuto subito a dirtelo.”

“Riccardo…” sollevò il visto un attimo per incrociare i suoi occhi.

“Ho fatto una stronzata, d’accordo?”

“Non puoi continuare a difenderti così.”

“E allora cosa devo fare, gettarmi di sotto per aver aperto le analisi della mia donna? Perché ti sembra facile, a te, capitare d’innanzi ad un fascicolo con il nome di una persona a cui tieni, e non avere l’istinto di controllare che cos’abbia! No, tu invece saresti andata a cercarla, a chiederle di aprirlo insieme, di sfogliare quella maledettissima pagina…”

“Sì.” Aveva le lacrime agli occhi, ma teneva il capo abbassato per non farglielo notare.

Riccardo non rispose. Avrebbe solo rischiato di commettere l’ennesimo errore sparando un’altra sciocchezza.

“Perché le cose si fanno in due.” Le tremavano le labbra. “Queste, cose.”

Si passò una mano sugli occhi per asciugare quelle lacrime che ancora non avevano trovato la forza di scendere, e raggiunse la porta, che aprì con delicatezza, per poi sfogare tutta la sua ira e la sua delusione in una folle corsa di pianto per allontanarsi il più possibile da lui.






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Capitolo 18
*** Diciottesima parte ***





Diciottesima parte.

Non doveva chiedere a Sergio, ma direttamente a lui. Si sarà sentito offeso, trascurato; avrà pensato che lei non lo considerasse un medico all’altezza, quando invece per lei era il migliore del Morandini.

Ma ora il gioco era fatto, e si erano portati a casa anche una bella litigata. In compenso, però, aveva fatto capire a Malosti che per lei quella era una cosa importante, che avrebbe cambiato il corso delle loro vite.

E ora lui sapeva il verdetto, al contrario di Cristiana che ancora non immaginava niente.

Non lo vuole, un figlio, non lo vuole. La dottoressa si ripeteva questo ritornello in testa, mentre sotto i suoi piedi correvano rapide le piastrelle del pavimento dell’ospedale, bagnate ogni tanto da qualche lacrima.

 

Non ci aveva pensato due volte. Fuggito fuori come una lepre dalla sala medici, Riccardo rincorreva quella donna, nonintenzionato a commettere una seconda volta quell’errore. Quello che mesi prima condizionò la loro esistenza, il loro rapporto e tutto ciò che ci girava intorno: considerare quel bacio solo qualcosa che non doveva essere successo. Ma era successo. E tutto ciò che accade ha alla base un motivo, sia esso anche il più stupido. Era stata Cristiana a volerlo. Ancora nella sua mente si stagliavano chiare quelle tre parole. Non lo so...

 


Non lo so
… La sua mano che gli percorreva il petto, quasi tremando. E le sue labbra sulle proprie, dopo quella sua esitazione che gli aveva dato tutto il tempo per respingerla.



E il suo vizio di chiamarla sempre per cognome. Lei l’aveva sempre lasciato fare; non si era mai lamentata di questa sua abitudine.

Per non parlare di quella tremenda gelosia, che lo attanagliava da dentro, gli prendeva il cuore e glielo stringeva fino a farlo battere tre volte più forte tutte le volte che la scorgeva. Ed era sempre in compagnia di quel bambinetto. Non riuscire ad evitare di vederla era impossibile: lavoravano insieme, tutti e tre.



Che ti succede Gandini? Succede quello di cui si era accorto solo ora: che non poteva lasciarla andare, che aveva bisogno di lei. Voleva chiamarla per nome, e sentire ancora il suo respiro così vicino, il suo desiderio di stabilire un contatto.




E la mamma? No perché pensavo di invitarti a cena.
Io e te? Io e te. Ma poi la vide con lo specializzando, e non fu abbastanza coraggioso da mantenere l’invito. Nonostante fosse stato felice come un bambino quando lei gli aveva detto di sì.


Le persone cambiano, Riccardo. Peccato che se ne fosse accorto troppo tardi. Ed era stata lei ad averlo sottoposto alla sua trasformazione. Non riusciva più a guardarla negli occhi senza che gli venisse spontaneo un sorriso, che non la volesse stringere forte contro il suo corpo, che non sentisse il bisogno di assaporarne le labbra.


Come te la cavi con i bambini? Cristiana, con un bimbo in braccio. Faticoso trattenere un sorriso per la dolcezza di quel quadretto. Sono un po’ arrugginito, sarebbe stata la risposta, ma si sarebbe dato da fare per recuperare l’esperienza acquisita con i suoi due figli e dispersa in quegli anni. Già s’immaginava la prima volta in cui avrebbe preso in braccio il loro bambino. E si chiedeva se fosse ancora capace di coccolare ed accudire un piccolo.


Esattamente, che cos’è che ti dà fastidio di me: che io abbia una relazione, o che ce l’abbia in particolare con lui? Se solo avesse trovato le parole giuste. Se solo le avesse rivelato tutto quell’insieme di strane emozioni che lo colpivano quando stava con lei. Se solo avesse risposto affermativamente a tutte le volte che gli aveva chiesto se era geloso.



Ma che sei geloso? Solo professionalmente. Era una di quelle domande, sempre pronte a punzecchiarlo e a farlo riflettere su come stavano realmente le cose. Però era riuscito a tirare fuori una parte di verità. Tuttavia tra professionalità e vita privata il passo era breve, troppo affinché le due gelosie parallele potessero godere di due esistenze separate.



Sono un medico alle prime armi, vero? Non sei quello che sembri. Se la ricorda come se fossero passati solo alcuni minuti, quell’espressione che le era apparsa sul volto quando con l’altra mano gli stava accarezzando la guancia. Aveva un sorriso un po’ triste, forse rassegnato, e due occhi scuri e profondi da perdersi dentro. Ma chi era, allora? Non ce n’era stato il tempo. E si era ripromesso di chiederglielo, prima o poi.




Me lo hai detto tu. Non permettermi di scappare.
Ed era di nuovo la stessa storia. L’unico problema era che stavolta Cristiana ne aveva tutto il diritto. Non c’era riuscito, ma la resa era l’ultimo dei suoi pensieri.


“Cristiana.” Spalancò la porta ma davanti a lui c’era solo qualche infermiere, che lo guardava come per chiedergli cosa diavolo gli era successo. Doveva avere davvero una faccia sconvolta.

“Avete visto la dottoressa Gandini?”

I due infermieri in veste rossa si guardarono. Bastò quella domanda perché tutto si chiarisse.

“Sì” confermò uno di loro.

“È andata di là.” Concluse l’altro, e indicò con molta calma il corridoio alla destra del dottore.

Fece loro un cenno del capo per ringraziarli. “Certo che gli infermieri sono molto efficienti, ma solo se girano in coppia” si disse mentre si voltava a destra e a manca per focalizzare tutte le persone presenti intorno a lui, alla ricerca di una chioma castana resa unica da qualche colpo di sole.

Doveva affrontare un altro bivio, ma stavolta non c’era nessuno in grado di aiutarlo. Di solito medici ed infermieri che conosceva erano sempre pronti in ogni angolo a mettere bocca sulle faccende personali, con la solita scusa che erano tutti colleghi, e non erano concepibili segreti tra di loro.

Imboccò la strada più semplice, più scontata: quella dell’uscita. E sicuramente quelle menti rose dalla curiosità di Rocco e Teresa non si erano lasciate sfuggire niente e nessuno.

Si ritrovò nell’enorme ingresso del pronto soccorso.

“Dottor Malosti” un grido di voce femminile proveniva dalla sua sinistra.

“Non ho tempo” rispose lui, ma le sue parole non surclassarono l’alto brusio di fondo causato dalla folla di pazienti in attesa.

Teresa uscì dal desk intrufolandosi in mezzo alla gente e lo raggiunse, tirandogli un lembo del camice per far sì che si accorgesse di lei.

“Ho detto che non ho tempo.”

“La Gandini è uscita.” Il suo interlocutore si mise a fissarla. “Non l’ho vista bene, ma credo stesse piangendo.”

Malosti non fece scrupolo di ringraziarla in alcun modo, ma con un rapido scatto corse l’ultima parte di pronto soccorso prima di trovarsi all’esterno della struttura, che, a differenza di pochi passi prima, sembrava la rappresentazione di una città deserta. Qualche macchina che passava in lontananza era l’unico segno di movimento. No, non esattamente.

 

Una dottoressa coi capelli al vento stava seguendo una scia immaginaria che l’avrebbe portata chissà dove; non sentiva dolore alle gambe, né stanchezza. I suoi arti inferiori si muovevano ritmicamente in modo involontario, quasi non percependo più la loro presenza. Davanti a sé si stagliava un muro di nebbia, e riusciva a mettere a fuoco solamente la pavimentazione irregolare della strada asfaltata, contornata da un verde prato alla sua destra, dove gli alberi del giardinetto curato si ergevano contro un cielo grigio.

“Cristiana.”

Sentì il proprio nome pronunciato da lui, da quelle labbra che solo qualche ora prima fremevano di possedere le sue. Non si voltò: voleva scappare, non voleva anche solo per un attimo sentire ancora quel desiderio di stargli vicino.

“Cristiana!” Si faceva sempre più forte, la stava raggiungendo, ma lei ce la metteva tutta pur di aumentare il passo e raggiungere il parcheggio, tornare a casa, farsi una doccia e sprofondare nel divano a non pensare a lui. Avrebbe guadagnato solo una tremenda sgridata da parte di Danieli, ma non la impauriva più di tanto. Quello che la terrorizzava era anche solo poter pensare di far passare quella giornata dopo quello che era successo, e magari essere tempestata di chiamate, di messaggi – no, messaggi no, Malosti era negato con l’uso dei cellulari –, e tornare il giorno dopo in pronto soccorso e rivederlo, con il suo sguardo penetrante, serio, duro, le sue mani che vorrebbero solo toccare lei.

“Cristiana fermati!” Di nuovo. E di nuovo quella voglia di allontanarsi, di non udire più quella voce.

“Cristiana ho sbagliato, ho sbagliato! Ma mi devi perdonare!” Aveva il fiatone, come lo stesso Riccardo. Mi devi perdonare. Per cosa? Per averla fatta innamorare di lui? Per trattarla a volte anche peggio di Ettore?

“Cristiana io ti amo!” Gridò più forte, più chiaramente, e le sue gambe cessarono il movimento; i suoi piedi poggiarono entrambi completamente a terra. Ma le lacrime no, le lacrime uscivano dai suoi occhi umidi ancora più copiose di prima. Gliel’aveva detto; per la prima volta le aveva detto che l’amava. Un sorriso spontaneo si fece largo sul suo volto e respirò, a fondo, mentre sentiva da dietro di sé i passi di Riccardo sempre più vicini. Stava camminando lentamente: forse sapeva che ormai non sarebbe più fuggita da nessun’altra parte.

Le sue mani sui suoi fianchi la fecero rabbrividire. Come anche le sue braccia, quando la strinsero forte contro di lui, incrociandosi sul suo ventre.

E lo sentì baciarla alla base del collo, poi sempre più su, fino all’orecchio. Con una mano intanto le asciugava le lacrime che si erano fermate sulle guance e le tirava indietro i capelli mossi da un vento leggero.

“Se nasce femmina, speriamo che non corra come la mamma.”

Cristiana si liberò dalla presa e si voltò a guardarlo. “Cos…?”

“Altrimenti sai, tutte le volte, ad acchiapparla per darle la pappa, per farle il bagnetto…” sorrise.

“Aspettiamo…”

“Un malostino.”

Era incredula. Incredula che Riccardo le avesse regalato quel sogno, e incredula che lui fosse così felice di averlo fatto. E lo guardava sorridere, gli percorreva i lineamenti del viso con un dito, immaginando quali suoi tratti avrebbero ritrovato nel loro figlio. Se i suoi occhi chiari, o le sue labbra sottili che tanto le piaceva baciare. Si mise a giocare con i suoi capelli, a spettinarli, a passarli tra le dita, mentre le loro bocche si sfioravano.

“Amore mio, è il più bel regalo che avresti potuto farmi…” La voce di Riccardo la percosse e la meravigliò al tempo stesso.

“Ripetilo.”

“Mi hai regalato la cosa più bella del mondo.”

“No.” Sorrise. “Quello che hai detto prima.”

Si sentì baciare il collo e poi una spalla, mentre una sua mano le scostava il colletto del camice e della divisa blu sotto di esso.

“Amore mio.”

“Questo.”

“Ti amo.”













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Capitolo 19
*** Diciannovesima parte ***





Diciannovesima parte.

“Andiamo dentro? Fa un po’ freschino.”

“Eddai, aspettiamo un po’, si sta così bene…”

Sulla panchina davanti al giardinetto, Cristiana era semisdraiata, con la testa appoggiata alle gambe di Riccardo, che le massaggiava il capo con una dolcezza squisita.

Non voleva andarsene, a costo di farsi venire a cercare da un collega.

“Senti ma…” Alzò il capo nella sua direzione, ma lo vide immerso in altri pensieri. “Mi ascolti?”

“Eh?” “Sei bellissima.”

“Sì, lo so.” Scoppiò a ridere, e lui la seguì a ruota.

“Cosa stavi dicendo?”

“Che spero nostro figlio non prenda da te.”

La guardò con aria interrogativa.

“Scherzo! Vedi che non mi stavi ascoltando?”

Touché.”

Gli diede un pugno sul petto. “Come lo dico ad Elena?”

“Prova con un cellulare nuovo.”

“Gliel’ho comprato l’anno scorso.”

“Allora con un computer.”

“Tu pensi che possa accettare la notizia solo se accompagnata da qualcosa di costoso?”

“Un cane.”

“Pericolo allergie.”

Trascorse un attimo in silenzio.

“Ma è così traumatico sapere di…”

“Ssh!”

“Che c’è?”

“Ettore.”

Alzò la testa in direzione del pronto soccorso. “Non c’è nessuno.”

“No, non in quel senso. Potremmo chiedere ad Ettore di fare da intermediario. Magari con lui avrà tutt’altra reazione.”

“Sai che ogni tanto anche tu hai qualche idea intelligente?”

“Vuoi dire che tra me e te, saresti tu il genio?”

“A quanto pare…”

Riccardo le sollevò la maglia sull’addome e infilò una mano sotto il tessuto, appoggiandogliela sul ventre. Era fresca, ma molto morbida. Le solleticava la pelle, ma era tremendamente piacevole.

“È strano, sai?”

“Cosa?”

“Accarezzare qualcuno che non è ancora nato.”

 

“Teresa, mi spieghi qual è il problema di questa mattina? Ci saranno sì e no tre medici in tutto il pronto soccorso.”

La donna si ricompose i capelli di fronte all’apparizione del suo dottor Palumbo.

“Eh, sa, sono successe delle cose…” allungò il collo verso l’uscita, ma il suo raggio visuale era troppo limitato.

“Cose… quali cose?”

“Cose private, non posso spiegarglielo.” Alzò le spalle e lasciò che Nicola si allontanasse ancora più inferocito di prima.

“Chiamate Esther e chiedetele di andare a cercare la dottoressa Gandini e il dottor Malosti: sono usciti.” L’ordine raggiunse rapido alle ragazze dell’accettazione, e una di loro sollevò la cornetta del telefono.

 

“Senti, ma… se provassimo con una riunione di famiglia?”

“Che vuoi dire?”

“Tua figlia e i miei due figli, anche qui in ospedale.”

“Era meglio la prima idea.”

“Con cui però sistemiamo solo Elena.”

“E ti pare poco?”

“Esther in arrivo a ore nove.”

Cristiana si sollevò fino a mettersi seduta.”

“Finalmente vi ho trovati” la voce della donna li distrasse dal leggiadro cinguettio dei volatili.

“Oh, la nostra nuova caposala. Già al lavoro?”

“Dottor Malosti, c’è bisogno di voi in pronto soccorso.”

“Ah, davvero? E perché hanno mandato te?”

“Sono la nuova…”

“Già, già, scusa, l’ho appena detto io.”

“Posso chiedervi perché siete qui fuori?”

“Non mi sento bene” Cristiana si portò una mano alla fronte.

“Eh, non si sentiva bene, l’ho portata a prendere una boccata d’aria” mentì spudoratamente.

“Sì.” Esther era convinta come quando prendeva una decisione davanti al distributore delle bevande, cioè sotto zero.

“Vi aspetto dentro, vi do cinque minuti.”

 

“Riccardo, non sto bene.”

“Dai, su, la farsa è finita, se n’è andata.”

“Riccardo…” La sua voce era sempre più debole.

“Cristiana, che hai?”

Era pallida come un lenzuolo; stava perdendo i sensi. Se la ritrovò accasciata alla sua spalla.

“Cristiana!” La donna muoveva impercettibilmente le braccia per trovare un appiglio, ma non aveva quasi più sensibilità agli arti.

“Esther!” La donna udì il grido e corse verso di loro. “Vai a chiamare qualcuno, in fretta!”

“Sì, dottore, vado subito!” esclamò incespicando mentre correva all’indietro.

La sollevò dalla panchina richiamandola più volte. “Cristiana riesci a sentirmi, sono Riccardo!”

“Amore…” fu la sua risposta mentre con una mano gli sfiorava il collo.

“Va tutto bene, ti porto dentro.”

Esther non fece in tempo ad uscire con una barella, che Riccardo era già entrato con Cristiana in braccio e l’aria molto più preoccupata di quella che solitamente si mostra di fronte ad un parziale svenimento di una collega.

 

“O mio Dio!” a Teresa scivolò quasi il telefono di mano. “Fate chiamare qualcuno, subito! Palumbo, Santamaria, anche Danieli, chiunque sia libero!”

Malosti l’adagiò sulla barella preparata dalla caposala, che aveva inoltre già controllato se c’era un box libero.

“La possiamo portare al 5, hanno appena dimesso il paziente.”

Il dottore annuì e accompagnò la Gandini sino al letto appena fatto. Insieme all’infermiera fecero i controlli di routine, che non resero evidente nessuna irregolarità.

“Analisi del sangue?” chiese Esther.

“Non c’è bisogno, sto bene.” La voce di Cristiana era già tornata alla regolarità.

“Sono in sala medici. Quando le hai fatte?”

“Ieri.”

“Le rifacciamo” disse rivolto alla caposala Bruno.

“Ti ho detto che…”

“Sei una mia paziente. E decido io per te.”

 

“Scusate” Santamaria fece il suo ingresso nella stanza. Con quella cartellina in mano. “Cristiana, stai bene?”

“Sì, sì, non è niente.”

“Lo dice lei” s’intromise Malosti, con la siringa già pronta.

“Mh. Ho trovato queste, in sala medici. E…”

“Le hai lette.”

“Pensavo fosse successo qualcosa, scusa se mi sono permesso…”

“Tanto prima o poi lo verranno a sapere tutti, no?” affermò la donna arrotolandosi la manica e assecondando tutta quella premura del dottor Malosti. “Non farmi male.”

“Pensi che io sia capace di farti del male?”

Non rispose, ed Esther li guardò divertita. “Vi punzecchiate sempre, eh?”

“Con o senza aghi” fu la risposta di Malosti con lo sguardo puntato verso Cristiana.

“Mi volete spiegare cosa sta succedendo?” Valerio agitava il fascicolo in aria.

“Niente, io sto bene. Ma non avevi letto di averle lette?”

“A dir la verità lo hai detto tu.”

Cristiana guardò Riccardo in cerca di una risposta, ma lui scosse la testa sorridendo.

“Allora?”

“Santamaria?” Slegò il laccio e le sistemò la manica. “Non ci sono altre emergenze, in giro?”

“Riccardo smettila!” L’intervento della Gandini non migliorò la situazione.

“Dovremmo avere un quadro clinico completo per permetterci una diagnosi, no?” Il nervosismo di Valerio si stava diffondendo troppo in fretta.

“Io vi lascio soli” Santamaria si scostò dalla porta e lasciò uscire Esther, diretta a far analizzare gli esami.

“Bene, allora, visto che voi non mi date ascolto, l’unica cosa che farò sarà sfogliare questa cartella, così che non fatichiate tanto per parlarmene.”

“Senti, Santamaria, ma ti ha morso un lupo mannaro?”

“No, però sono un medico, e cerco di curare i miei pazienti, cosa che tu non hai intenzione di fare, a quanto pare.”

“Cristiana è una mia paziente, non sono stato di certo io a chiamarti qui.”

“Ma qualcuno l’ha fatto.”

“Si sarà sbagliato.”

Preso da un attacco di nervosismo aprì la cartellina e controllò veloce i risultati delle analisi.

“Era così difficile” domandò poi, “dire che aspetti un figlio? Hai forse paura che il padre lo venga a sapere? Chi è, un delinquente, un tossico…?”

Cristiana osservò un attimo Riccardo negli occhi, con la bocca aperta per lo stupore nel sentire quelle strane parole da un Valerio che sembrava aver subito un cambio di personalità.

“Ah” iniziò poi, cercando di calmarlo. “Ecco svelato il tuo pessimo umore” indicò con un cenno del capo l’uomo seduto accanto a lei che le teneva la mano. “Crisi d’astinenza.”

Valerio si zittì. Fu come se si fosse risvegliato da un sogno. “Scusate, non so cosa mi è preso. E come non sia riuscito ad immaginarlo.” Abbassò il capo e fece cadere le analisi sulle gambe di Cristiana stesa sul letto.

“Vatti a bere una camomilla, oppure vai direttamente a casa, non so se tu sia in grado di visitare qualcun altro, oggi.” Malosti scosse serio la testa verso la donna che fissava Santamaria silenzioso.

“Scusate, scusate, non ci sto con la testa.”

“Lo abbiamo notato” mormorò Riccardo a Cristiana, che gli gettò un’occhiata per fargli capire che non era il caso di peggiorare la situazione.

“Me ne vado, ci vediamo domani.”

“Ciao” risposero quasi in coro.

“E… auguri.” Uscì dalla stanza e lasciò che la porta si richiudesse da sola.

 

“Oggi va così” commentò la Gandini sollevandosi a sedere.

“Vuoi un altro cuscino?”

“No.”

“Sicura?”

“Sì.”

Malosti si ammutolì. “Scusa. Così rischio di farmi odiare.”

“No, non dire sciocchezze. Sono io che non sono abituata a sentirmi… viziata da te.”

“Non so cosa sia peggio, se non essere abituati a ricevere attenzioni o ad amare qualcuno.”

“Prima o poi accadono entrambe, no?”

“Già.”

Cristiana si mise seduta con le gambe incrociate, di fronte a Riccardo. “Ehi” gli spettinò i capelli e lui sollevò il capo. “Amare è la cosa più facile del mondo.”

“Non quando di mezzo ci sono l’orgoglio, i pregiudizi, la gelosia e la paura di non essere corrisposti.”

“Parli di Laura? Forse è per quello che Valerio è così agitato.”

“Parlo in generale. E in particolare anche di lei. O di me. O di te.”

Gli sorrise. “Pensavo non lo volessi.” Gli prese una mano e gliela portò sul ventre. “Quel giorno, mi avevi detto…”

“Le cose si dicono a seconda di quello che ci aspettiamo risponda l’altro. Ecco in cosa sbagliano, gli esseri umani. Prima di pronunciare una frase, il loro cervello parte alla ricerca di tutte le possibili risposte. E così comincia ad escluderne via via. Di solito quella che rimane o è la più sbagliata, o non c’entra niente col discorso.”

La Gandini lo guardava incantata. “Non ti ho mai sentito parlare così.”

“In effetti sei tu che stai tirando fuori tutto il meglio di me.” La prese delicatamente per i fianchi e la sdraiò. “Adesso riposati.”

Lo prese per un polso, e Riccardo si bloccò. “Rimani qui.”

“Dieci minuti.”

“Grazie.”

















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Capitolo 20
*** Ventesima parte ***





Ventesima parte.

“Carola mi ha chiesto il divorzio.”

“Eh!?”

“E me ne vado a casa: ho chiesto mezza giornata di permesso.” Santamaria salutò la collega, che in quel momento non poteva nemmeno permettersi di ascoltarlo, visto che stava visitando un ragazzino.

“Tesoro, aspetta un attimo, torno da te tra poco” assicurò al giovanotto, che si chinò sul lettino.

“Valerio, ma quando è successo?” gli sussurrò allontanandosi dal paziente.

“Ieri sera. L’ho trovata in camera, che faceva le valige.”

“Torna dai suoi?”

Il medico annuì.

“E per quello oggi sei così intrattabile?” Valerio si fermò ad un lato del corridoio.

“Hai lasciato un paziente, per di più non maggiorenne.”

“Più che intrattabile sei… nervoso. Ti turba qualcosa?”

“Laura.” Le prese il collo fra le mani per parlarle guardandola negli occhi. “Non lo so perché mi comporto così. Se è colpa del fatto che il mio matrimonio si sia disintegrato dopo neanche tre mesi, o che sia stata la scelta più sbagliata della mia vita. Però vorrei cercare di incollare tra loro gli ultimi cocci che sono rimasti.”

“Vuoi chiedere a Carola di tornare?”

“Mi sembra il minimo.”

“Ma quel bacio…”

“Non sembra anche a te di cadere in un dejà vu?”

“Anche troppo.”

“Allora conoscerai anche il verdetto finale.”

“Tu non vuoi tornare da Carola perché la ami.”

“Ora sai entrare anche nel cuore della gente e scoprire i loro sentimenti, no?”

“Tu hai paura che i suoi genitori si incazzino a dovere.” E dopo averlo fulminato con lo sguardo, ripercorse il tratto precedente per continuare il suo lavoro.

 

Un rumore di chi non vuole farsi sentire entrare provoca spesso l’effetto contrario.

“Ci sono visite.”

Cristiana sorrise.

“Come stai?” La notizia aveva raggiunto anche il primario.

“Bene.”

“Vuoi andare a riposarti a casa?”

“No. E poi qui c’è…”

“Riccardo. Che tra un paziente e l’altro trova il tempo di coccolarti per benino.”

“Essì.”

“Alla fine poi i nostri sospetti erano fondati.”

La donna annuì. “Peccato che Riccardo mi vorrebbe segregare in un box d’ospedale per i restanti otto mesi. O al massimo a casa, ma con due o tre medici sempre pronti a provarmi la pressione.”

“Lo fa perché si preoccupa per te.”

“E vuoi che io non lo sappia?” Rise.

 

“Sono tornato… Oh, scusate” Riccardo si bloccò sull’uscio. “Non pensavo foste in due.”

“In tre” lo corresse subito lei.

“Non ti preoccupare, io sono solo passato per un saluto.” Appoggiò una mano sul bordo della porta. “Trattamela bene” sussurrò prima di andarsene.

“Cosa ti ha detto?” si fece avanti la curiosità di Cristiana.

“Niente. Cose da uomini. A proposito.” Prese posto accanto a lei. “Cosa ci faceva qui?”

“Sei geloso anche di Sergio?”

“Noo!”

“Sì, lo sei.”

“Però ti fa piacere.”

“Visto? Ho ragione io.”

“Mi arrendo.” Le si avvicinò e la baciò. Prima sulle labbra e poi sul ventre. “Tutto bene?”

Sto bene. E mi annoio.”

“Ti posso portare qualche rivista… di là in sala medici ho trovato un giornalino pieno di sudoku.”

“Non li so fare.”

“Ti insegno, non è difficile.”

“Mi pare che tu abbia altro da fare, qui dentro, che andare in giro a distribuire giornali e insegnare un noioso gioco enigmistico ai tuo pazienti.”

“No, è qui che ti sbagli. Alla madre di mio figlio.”

 

Seduto sulla sua poltrona di pelle nera dietro alla sua scrivania, il professor Danieli rifletteva sui sintomi di un paziente che aveva appena visitato. Il desktop del pc visualizzava i risultati di una ricerca su Google: come solito più di duemila e nessuno che facesse al caso suo.

Il silenzio rappresentato unicamente dal sordo brusio del condizionatore sempre in funzione, anche se la stagione non ne rendeva indispensabile l’uso, fu spezzato dall’improvviso squillo del telefono. Ma non era quello fisso, che di solito veniva utilizzato per mettere in comunicazione i vari reparti dell’ospedale. Era il cellulare, che suonava e vibrava sul piano perfettamente liscio della scrivania. Il display illuminato scandiva un nome e Sergio, dopo averlo lasciato squillare per tre volte in attesa di trovare almeno un motivo valido per non rispondere, premette il tastino con il simbolo della cornetta verde.

“Giulia.” Bell’inizio di conversazione. Ma, anche se solo per mezza giornata, già gli era mancato poterlo pronunciare.

“Ciao” rispose la voce spenta dall’altro capo del telefono.

“Come va?” glielo stava chiedendo con il sorriso sulle labbra.

“Come vuoi che vada?” Leggeri singhiozzi occuparono la restante parte del dialogo. “Cerco di pensare a Pedro… è la sola cosa che mi permette di resistere lontano da… voi.”

“Dove sei?”

“Sul terrazzo.”

“E tuo marito?”

“In bagno.”

“E se ti trova a parlare con il tuo…”

“Amante? È questo che volevi dire, no? A me non importa di quello che pensa.”

“Fino a poco tempo fa non era così.”

“Ma ora sì.”

“…”

“Scusa, c’è Pedro che sta piangendo. Ti devo lasciare.”

“Aspetta. Dimmi solo una cosa. Perché mi hai telefonato?”

“Non lo so. Ho preso in mano il cellulare e ho digitato il tuo numero. Devo spegnere, c’è Francesco che mi chiama, il bimbo non smette di piangere.”

“Sente la mia mancanza…” voleva sembrare spiritoso, ma avrebbe voluto solo piangere.

“Può darsi.” Sorrise, ma Sergio non poteva vederla. “Manchi a tutti.”

“A presto Giulia. E ricorda che ti amo.”

“Non lo dimentico.”

 

“Qui abbiamo finito. Adesso seguimi, controlliamo il paziente al box 7, l’ultima volta che l’ho visto mi aveva detto di stare meglio.” Malosti s’incamminò seguito dal suo specializzando. “Ti devo chiedere un favore.”

“Certo, dottore, mi dica.”

“Dovresti dire ad Elena che sua madre aspetta un figlio.”

“Co-cosa!?”

“Hai capito bene.”

“Ma, dottore, è un sacco di tempo che io e la figlia della Gandini non ci sentiamo più, e l’ha detto la stessa dottoressa di non assecondarla…”

“Sei più stupito e preoccupato del fatto che ti chiedo di dirlo ad Elena, piuttosto che della notizia in sé?”

Giunsero davanti alla porta del box.

“Sono… contento per voi.”

“Bene; questo allora ti faciliterà.”

“Ma, si rende conto anche lei che non sarà un’impresa semplice! Se le telefono per dirglielo, s’insospettirebbe…”

“Ma tu non devi mica telefonarle.”

“Devo… vederla?”

“Ettore, non sei più un ragazzino, non ti posso insegnare tutto io! Chiedile un appuntamento, anche qui in ospedale!”

“Così fraintenderà e penserà che io sia interessato a lei…”

“E tu dille che non c’entra niente l’aspetto relazionale.”

“Così rifiuterà.”

“Ettore! Sii più sicuro di te stesso. E basta.”

“Mi farà operare?”

Il dottore rimase spiazzato.

“Un intervento vero” precisò il giovane.

“Dovrei parlarne con la Gandini…” temporeggiò.

“È lei, il mio tutor. Mi faccia operare e vedrà che con Elena sistemerò tutto.”

“Ad una condizione.”

“Un’altra?”

“Sì. Niente pettegolezzi.”

“Le sembro il tipo?”

 

Cristiana si appoggiò al vetro del box che dava sull’accettazione e s’incantò a guardare scorrere davanti a lei quel flusso continuo di pazienti, medici e infermieri. Si sentiva letteralmente chiusa in gabbia. Una gabbia di vetro che le permetteva di avere un contatto visivo con l’esterno. Solo visivo. Era una dottoressa, sarebbe potuta uscire senza che gli altri se la prendessero con lei. Era ancora in grado di badare a se stessa, anche senza il perenne controllo di Riccardo.

Il suo cellulare iniziò a squillare. Lo cercò nelle tasche del camice appoggiato all’attaccapanni accanto alla porta, e inizializzò la chiamata.

“Mamma.” Era Elena.

“Amore ma non sei a scuola?”

“Sono appena uscita.”

“Ah.”

“Non mi parte il motorino.”

“Prendi l’autobus.”

“Non ho voglia. Una mia amica abita vicino all’ospedale, ha detto che mi può accompagnare fino lì. Posso venire?”

“Elena, finisco il turno alle cinque, non posso portarti a casa prima di quell’ora!”

“Non fa niente. Ti aspetto.”

“L’autobus ti porta direttamente a casa.” Era la prima volta che di sua spontanea volontà voleva venire al Morandini a trovare sua madre. Ed era anche l’unica volta in cui avrebbe preferito che andasse a casa direttamente. Non voleva farla preoccupare in nessun modo.

“Sì ma non lo voglio prendere. Eddai, non ti disturbo, e poi magari pranziamo insieme!”

“Mi dispiace, ho già mangiato, e non posso concedermi un’altra pausa.” Si sentiva veramente una madre infame, nonostante fosse la verità.

“E allora mi prenderò un panino al bar. Ci vediamo lì tra poco, ciao!”

Aveva messo giù. E Cristiana doveva assolutamente rintracciare Malosti. Ripose il cellulare e si infilò il camice mentre raggiungeva la porta. Abbasso la maniglia, ma non dovette applicare molta forza: si aprì da sola. E dietro di lei comparve Riccardo.

“Oddio scusa” fu l’immediata risposta del medico.

Sorrise. “Ma… non ti avevo detto di rimanere sdraiata?”

“Ehm…” si portò un dito sulle labbra semichiuse e alzò gli occhi, fingendo di non ricordare. “Può darsi…”

Le sfilò rapido il camice e lo risistemò sull’appendiabiti.

“Che cosa…?” La prese per mano e la ricondusse sul letto. “Di nuovo? Te lo devo dire in aramaico, che sto bene?”

“Dubito che tu conosca quella lingua. Al massimo in inglese.”

“Hai i risultati delle analisi?” Si sistemò seduta sul lettino e si mise a dondolare le gambe.

“Sì. E stai bene.”

“Ooh.” Riccardo le si parò davanti e la tenne stretta per le braccia.

“Dottore.” Si mordicchiò un labbro inclinato in un sorriso. “Così mi spaventa.” Gli fece avvicinare il volto tirandolo per i lembi del colletto del camice.

“Signorina, lei deve mangiare e non si deve stancare troppo.”

“Ma io mangio.”

“Un pacchetto di cracker lo definisce pasto completo?”

“Abbiamo opinioni diverse.”

“Stasera vi porto fuori a cena.”

Vi? Vuoi portare anche Elena? Non verrebbe mai.”

“Fino a prova contraria siete in due. Anche se uno è ancora troppo giovane per prendere decisioni. Abbiamo opinioni diverse anche in merito a questo?”

“No, su questo no.” Appoggiò le proprie labbra sulle sue e si fece inebriare dall’aroma di caffè. “Hai preso un altro caffè?”

“No!”

“Ma come no!?”

“E va bene, solo uno.”

“La devi smettere. Stanno diventando come una droga per te. Quanti ne bevi, cinque al giorno?”

“No… tre, quattro…”

“Riccardo sono troppi.”

“E va bene, hai ragione. Ti prometto che cercherò di evitarne uno o due.” Questa volta fu lui a volerla baciare.

“Aspetta.” Gli incrociò le mani dietro al collo. “Mi fai uscire da qui?”

“Vuoi perdere il privilegio di essere servita, riverita e baciata dal tuo dottore?”

“Certo che no. Tanto tu mi servi e mi baci lo stesso…” sorrise maliziosa, perdendosi negli occhi luminosi di Riccardo.

“Allora, dove ti porto stasera?” Le passò una mano sulla guancia spostando dietro l’orecchio una ciocca di capelli.

Cristiana abbassò il capo. “Perché non lo chiedi a lui?”

















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Capitolo 21
*** Ventunesima parte ***





Ventunesima parte.

“Non lo chiedo a lui perché c’è già la mamma che può rispondermi. E comunque non sa ancora parlare.”

“Perché tu non vuoi ascoltare.” Si liberò dalla presa di Malosti e si sdraiò sul letto. “Vieni qui.” Gli indicò la sedia dove si era seduto prima. “E adesso appoggia l’orecchio. Qua.” Si alzò la maglietta per scoprire il ventre.

Riccardo era titubante. “Stai scherzando?”

“No.”

Avvicinò la sedia e poggiò il capo sul suo addome, con lo sguardo rivolto verso di lei che faceva forza sulle braccia per rimanere in posizione semiseduta.

Non sentiva niente. O meglio, quasi niente. Ma, nonostante questo – e nonostante fosse in una posizione alquanto strana –, stava bene, mentre abbracciava i suoi due doni più grandi che la vita gli avesse potuto dare, e mentre guardava gli occhi grandi e scuri di Cristiana sorridere.

Una sua mano gli accarezzò il capo passandogli tra i capelli. “Riccardo?”

“Mh?” Era intontito da quella sensazione incantevole.

“Lo senti? Sta dicendo che sono pronta ad uscire di qui e a tornare a lavorare.”

Non ottenne una risposta, ma Riccardo si sollevò a baciarla.

 

Una sedicenne con lo zaino sulle spalle fece il suo ingresso al Morandini e si diresse subito in direzione dell’accettazione.

“Ohi, Elena! Come stai?” fu l’esordio di Teresa.

“Sto bene, grazie. Mia madre?”

L’espressione sorridente della donna si tramutò in seria. “L’hanno portata nel box 5, puoi andarla a trovare!”

“In che senso… l’hanno portata?”

Ops. Non lo sapeva. E doveva rimediare. “Cioè… una paziente. E tua madre è là.” Le indicò la direzione.

“Ah.” Anche se non era del tutto convinta, lasciò il desk abbastanza lentamente mantenendo costante lo sguardo su Teresa, in caso le dicesse qualcos’altro.

Entrò all’interno dell’ala sinistra del pronto soccorso e cercò il numero del box che le aveva detto Teresa.

Uno. Due. Tre. Quattro. E… cinque. Si affacciò al vetro della porta per verificare che sua madre fosse veramente lì. In effetti c’era. Peccato che non ci fosse nessuna paziente, e che su quel lettino fossero in due.

Presa da uno scatto d’ira incontenibile si mise a correre nel senso opposto in direzione dell’uscita. Voleva andarsene, cancellare dalla sua mente quell’immagine, che però rimaneva lì, davanti ai suoi occhi, chiara e inequivocabile. Fino a quando non finì contro qualcosa. O… qualcuno.

“Elena, cosa ci fai qui?” era Ettore, che era finito per abbracciarla.

Iniziò a piangere, stringendosi a lui, che, dopo un po’ d’imbarazzo iniziale giustificato dal luogo e dalla persona, fece lo stesso con lei, per cercare di tranquillizzarla. “Elena… calmati dai…”

“No, non mi calmo!” Cercò di trascinarla in una stanza che fosse meno affollata del corridoio. Di fronte a loro c’era un box vuoto; la condusse all’interno e la fece sedere sul letto.

“Tieni” le consegnò in mano un pacchetto di fazzoletti di carta. “Adesso smetti di piangere e mi dici cos’è successo.”

“No.” Si soffiò il naso.

“Bene. Allora rimani qui finché non ti calmi, io ho altro da fare che dare retta ad una ragazzina piagnucolona.”

“No!” Ettore sorrise. Una volta tanto era riuscito a ottenere quel che voleva. “No, ti prego, va bene.”

“Allora?”

“Giura che non lo dici a nessuno.”

“Giuro.”

“Io lo odio.” E scoppiò ancora a piangere.

“Ma chi? Qualcuno che ti ha fatto del male, un compagno di scuola?”

“No…”

Si stava preoccupando. “Un professore…?”

“Ma no!”

“Potremmo stare qui tutto il pomeriggio. Io sparo e tu ripeti quell’avverbio fino a che non indovino.”

“Riccardo.”

“Un tuo compagno di classe? Vedi che avevo indovinato?”

“Riccardo. Malosti.”

“Ah. Beh, non è che faccia molto per non farsi odiare.”

“Lo odio e basta.”

“Se mi spiegassi il perché…”

“Esce con mia madre.”

“Ah, ecco il motivo. E ti dà così fastidio?”

“Dorme a casa nostra un giorno sì… e un giorno sì!”

“Posso capire che non sia esattamente la cosa più bella del mondo svegliarsi e ritrovarsi a fare colazione con il nuovo fidanzato di mamma, però… non sei più una bambina. Prima o poi dovrai accettarlo…”

“Così lo odio ancora di più. Ma perché proprio lui? Voglio dire, in questo ospedale non c’è solo lui.”

“Beh ma… è lui che vuole, cioè…” si arrampicò sugli specchi, sapendo che non sarebbe arrivato da nessuna parte spiegando qualcosa che non conosceva nemmeno lui.

“Senti Ettore, non prendiamoci in giro. Riccardo è cattivo, è sempre di pessimo umore, se la prende con tutti, non dà mai retta a nessuno, odia la gente e soprattutto le donne…”

“Non tutte.”

“Va beh, non tutte. Potrà far bene il suo lavoro, non lo metto in dubbio. Però si comporta male. È logicamente possibile che mia madre si potesse innamorare di uno così?” Aspettava una risposta. Ma Ettore non l’aveva. O forse sì, ma non sapeva se sarebbe bastata a farle cambiare idea.

“Non c’è logica nell’amore.” Fu una frase chiara, non interrotta da balbettii. Era esattamente quello che serviva a farla zittire e meravigliare.

Si voltò dalla parte della porta, ma prima di uscire tornò a guardarla, per una sola volta, per concludere il suo compito. “Ah, dimenticavo” disse, quasi ironico. “Presto avrai un fratellino.” Si godette per un attimo la faccia scioccata della ragazza, poi si allontanò dal box.

Elena rimase impalata per qualche secondo, la bocca semispalancata da quella notizia tragica, inimmaginabile. E svelta corse dietro lo specializzando per raggiungerlo.

 

Sentì essere tirato per una manica. “Elena!”

“Non è vero.” Aveva le lacrime agli occhi. “Tu… stai mentendo. Ti stai vendicando.”

“Non lo farei mai. E ora scusa, ho un paziente da visitare.”

La lasciò in mezzo al corridoio a chiedersi perché dovevano succedere tutte a lei. Non bastavano una madre troppo apprensiva e un fidanzato appiccicoso peggio della colla vinilica. Ora anche un bambino.

 

“Dai andiamo” Cristiana si alzò dal lettino e tirò per un braccio Riccardo, che non voleva muoversi.

“Si sta così bene…” mugugnò. E si girò su un fianco.

“Dottor Malosti!”

“Mmh…!”

“Riccardo, ti prego.” Controllò l’orologio. “Tra poco arriva Elena; che cosa le dico, se entra qui?”

“Elena!?” si girò verso di lei.

“Finalmente mi guardi in faccia. Ha chiesto se poteva rimanere qui in ospedale fino alla fine del mio turno. Ha detto che non le partiva più il motorino.”

“Potevi dirmelo, la andavo a prendere io, le aggiustavo lo scooter e se ne poteva tornare a casa.”

“Eri troppo impegnato a preoccuparti di me.”

Si mise seduto, e lei lo afferrò perché si alzasse.

“Oppure Ettore l’ha chiamata” presuppose il medico.

“Hai già detto tutto a… Ettore!?” Gli diede uno strattone e lui toccò terra con i piedi.

“Meglio prima che poi.”

“Riccardo, tra due ore lo saprà tutto l’ospedale.”

“Io dico tra un’ora. Vuoi scommettere la cena di stasera?”

“No.”

“Hai paura di perdere.”

“Ho solo…” non terminò la frase, perché l’espressione di Riccardo si trasformò all’improvviso.

“Elena” in un sussurrò ad un suo orecchio.

Cristiana si voltò e la vide in corridoio, davanti alla porta del box. Ma non per molto: dopo averle gettato un’occhiata disgustata scomparve.

“Elena!” Spalancò la porta e la rincorse lungo il corridoio, noncurante delle grida di Malosti che cercava a sua volta di fermarla.

“Non puoi stancarti!” le diceva. Ma si stancò prima lui di lei e si arrese.

“Elena, ti prego…”

La ragazza non continuò a correre, ma si voltò verso la madre e gettò a terra lo zaino.

“Ti prego cosa?”

“Di fermarti e di ascoltarmi.”

“Ci ha già pensato Ettore, a dirmi tutto. Siete stati bravi, tu e il tuo collega, a fare in modo che lo sapessi da lui. Così bravi che ora oltre ad odiare lui odio anche te e il figlio che hai nella pancia!” Raccolse furiosa la cartella e con un rapido scatto raggiunse la porta. “E, se questo non bastasse, non fate niente per evitare di farmi stare male. Lo inviti sempre a restare da noi, così o mi segrego in camera mia, o scappo a dormire da mio padre; siete appiccicati peggio di due calamite e vi baciate in qualsiasi luogo dell’ospedale!”

Fece un passo in avanti.

“Lascia almeno che ti accompagni a casa!”

“Prendo l’autobus, o la metro, o ci vado a piedi!” Le porte automatiche slittarono e i suoi piedi si mossero veloci per uscire dall’edificio.

Cristiana volle seguirla, non voleva lasciarla andare da sola, con tutta quella rabbia addosso, ma Riccardo, che l’aveva raggiunta con un po’ di fiatone, la bloccò trattenendola fisicamente.

“Non andare” fu un sussurro vicino all’orecchio, accompagnato da un bacio tra i capelli. “Lasciala sfogare.”

“Mi odia. Sono stata una stupida.”

“Non è vero, capirà. Devi solo darle un po’ di tempo.” Sospirò.

Lei ruotò su se stessa nello spazio tra il suo corpo e le sue braccia curvate intorno alla vita per guardarlo in viso. Si sentiva gli occhi bruciare, anche se le era scesa solo qualche lacrima; li strizzò e si strinse a lui più forte che poteva, premendo con le mani sulla schiena di Riccardo. Nascose il volto tra le pieghe del suo camice tra una spalla e il petto, soffocando un pianto che aveva vergogna di mostrare a tutti quelli che non c’entravano niente con lei.

 

“La figlia è venuta a conoscenza di qualcosa di non troppo piacevole. Cinquanta euro che o si sposano, o lei è incinta.” Rocco, da dietro il desk accettazione, ce l’aveva con Esther, appoggiata al bancone dal lato opposto, con una cartella in mano. Si era fermata ad osservare, come poi tutto il resto del personale, la scena.

“Non si può fare una scommessa con esclusione.”

“Allora io dico che si sposano” scelse l’infermiere.

“E io che lei è incinta.”

Si strinsero la mano, ed Esther uscì di scena.

“Mi dispiace amico” fece capolino il dottor Santamaria, con l’umore visibilmente migliorato da prima, e diede una pacca sulla spalla a Rocco. “Hai perso.”

“È molto più probabile il matrimonio, che un figlio” controbatté sicuro.

“Tutto il contrario. Comincia a racimolare i soldi per Esther…” sorrise.

“Ma…” non capiva come Valerio avesse già la risposta.

“Dovresti smetterla di scommettere con Esther. Vince sempre.”

 

“Terry, mi presti venti euro?”

“E che ci devi fare?”

“Ho perso una scommessa.”

“Di nuovo?”

“Sì. Cinquanta euro. Ma stamattina non mi sono premunito, quindi me ne mancano venti.”

“È per via di questo bel teatrino, vero?” sul suo volto apparve il sorrisino da volpe.

“Non vado in giro a parlare delle mie scommesse.”

“Se vuoi i soldi, spara.”

Era stato incastrato e ora doveva parlare. “È incinta” sbuffò alla fine.

Teresa era rimasta paralizzata con gli occhi sgranati e muoveva le labbra come in cerca di qualcosa da dire.

“O mio Dio… povera ragazza…”

“Ah, beh, con un padre come quello, non so che bimbo verrà fuori…!”

“Poverina…” era scioccata.

“Ma perché dici così?”

“Non hai un minimo di sensibilità! Elena… ha solo sedici anni!”

















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Capitolo 22
*** Ventiduesima parte ***





Ventiduesima parte.

“Ti credevo più perspicace, Terry.”

“Perché adesso va di moda mettere al mondo figli prima ancora di aver raggiunto la maggiore età? Per forza che sua madre sta piangendo in quel modo, chissà cosa le avranno fatto, povera piccola!”

Rocco rideva come un matto.

“Tu ridi… ma è una cosa tristissima! E chissà il padre, un ragazzaccio, un poco di buono!”

“Teresa, il padre è Malosti.”

La donna si sedette per non rischiare uno svenimento.

“Io chiamo la polizia.” Afferrò la cornetta, ma Rocco gliela prese dalla mano.

“E la madre…” sistemò il telefono, “è la Gandini.”

“Ma… potevi dirmelo prima!” Fece un gran respiro.

“E perdermi la tua faccia sconvolta? Mai!” Teresa si riprese dallo shock, e sollevò la cornetta del telefono.

“Chi chiami, un’ambulanza? Guarda che sei attorniata da dottori…”

“No. Devo dirlo a qualcuno, altrimenti rischio di impazzire.”

 

“Vieni, andiamo.”

“No, io vado a casa.”

“Non puoi guidare in queste condizioni.”

“Allora non rinchiudermi di nuovo in quel box.”
Le asciugò le lacrime massaggiandole le guance con i polpastrelli. “No, te lo prometto. Però stammi dietro, non voglio che per oggi tu stia da sola nemmeno un minuto.”

 La prese a braccetto e, mentre intorno a loro il tempo ricominciò a scorrere, s’incamminarono insieme verso il corridoio interno.

 

“Che ore sono?”

“Le due.”

“Io me ne voglio andare.”

“Cristiana calmati.”

“Non sono di nessun aiuto, qui. Mi sento a pezzi e voglio tornare a casa a chiarire con Elena.”

“Non sarai di nessun aiuto, ma almeno qui ti posso controllare e, se non altro, mi potrai assistere con i pazienti.”

Entrarono in sala medici e Riccardo vuotò un po’ d’acqua presa dal frigorifero per farla bere alla collega, poi la convinse di seguirlo nel corso delle visite, così da distrarla da tutti quegli avvenimenti.

“È stata colpa mia.” L’arrivo di Ettore quasi le fece andare l’acqua di traverso. Tossì un paio di volte e poi lo fissò in cerca di una motivazione. “Non pensavo reagisse così. Mi sono arrabbiato.”

“Per una volta che ti chiedo un favore al di fuori dei casi medici!” sbraitò Riccardo.

“Sì, lo so, però posso provare a rimediare.”

“Non ce n’è bisogno, Elena è fuggita” chiarì la donna.

Lo specializzando fece per uscire, demoralizzato e pentito.

“Aspetta” la voce della dottoressa lo bloccò. “Grazie comunque.”

“Almeno non avrà il rimorso per tutta la vita” commentò poi Cristiana quando la porta si richiuse.

“Non è colpa sua, ma mia.”

“Bene, adesso andiamo all’indietro fino a quando non troviamo la causa prima di tutto il nostro dolore, che è… chi è? Un bambino che ha più o meno un mese di vita? No, più indietro. Ah, ecco, trovato. La colpa è di Sergio, che ci ha assunto e ci ha messo a lavorare insieme!”

“Hai trovato la soluzione. Glielo vuoi andare a dire? Se vuoi ti accompagno.”

Cristiana si portò una mano alla bocca. Stava per mettersi a ridere. “Hai mai provato a fare un provino per uno show comico? Magari ti prendono.”

“O magari prendono te.”

 

“Tu credi che pagare l’avvocato divorzista mi costi di più del matrimonio?”

“Non c’è alcun dubbio.”

Valerio aveva raggiunto Laura in sala TAC, senza che lei lo avesse chiamato per assisterla.

“Hai bisogno di una mano?”

“No, grazie, altrimenti qui con me ci sarebbe stato qualcun altro. Però rimani, non si sa mai che il paziente vada in shock anafilattico e muoia su quel lettino.”

“Sbaglio o l’esame è senza mezzo di contrasto?”

L’occhiata della donna gli fece intendere come la sua constatazione fosse del tutto ironica.

Dopo che gli infermieri ebbero lasciato la stanza con il paziente, Laura e Valerio non andarono con loro.

“Stai meglio?” gli domandò la dottoressa guardandogli il volto delineato dalla luce rossastra della sala.

“E tu?”

“Sei proprio deciso di sottometterti a lei?” cambiò discorso.

“Non è sottomissione.”

“Vuole il divorzio. Un conto è se lo volessi tu…”

“Ma lo voglio anche io. Basta come compromesso?”

“Valerio…”

“È una cosa mostruosa separarsi dopo solo pochi mesi di matrimonio, ma non sarebbe ancora peggio trascinarmi dietro per anni una moglie che non amo? O magari rimanere sposati ma vivere in due case diverse?”

Laura non sapeva come rispondere. Era felice, sì, perché Santamaria aveva esplicitamente rivelato di non amare Carola, ma era possibile che non provasse davvero nulla con la prospettiva di un divorzio?

“Perché non mi hai fermato?” sbottò Valerio, come si stesse liberando di un grosso peso, ma Laura lo fissò incerta.

“Potevi urlare, rompermi una gamba, romperti una gamba. Ma non l’hai fatto.”

“Ho cercato di fermarti. Ma non ci sono riuscita. Né con una telefonata, né con un mazzo di rose rosse, né con un’ultima supplica davanti alla chiesa.”

“Mi perdonerai mai?” Le prese una mano e la portò alla bocca per baciargliela.

Laura lo abbracciò, serrando forte gli occhi.

 

Quattro e dieci. Sala medici.

Gli scuri della finestra erano semichiusi; nella stanza entrava solo qualche raggio di sole che illuminava una striscia di pavimento.

Cristiana era sdraiata sul divanetto, con una mano sugli occhi per non vedere nemmeno quel poco di luce.

C’era un silenzio immenso, si era isolata mentalmente dal mondo esterno, anche dai passi e dalle voci fastidiose che provenivano dal corridoio.

Riccardo le aveva detto che era meglio per lei se rimaneva seduta o sdraiata, almeno per quel pomeriggio, e aveva già chiesto al primario di concederle una giornata di riposo. E in quel momento mancavano più o meno cinquanta minuti alla fine della tortura. Era la prima volta che le pesava rimanere in ospedale. Si era più volte sentita stanca dopo una giornata di lavoro, ma non in quel modo. Non era stanca fisicamente, anche perché aveva fatto ben poco, ma non ci stava più con la testa. Troppe cose tutte insieme la tormentavano, prima fra tutte Elena, che non sapeva nemmeno se fosse giunta a casa incolume. Al cellulare non rispondeva e il telefono di casa era sempre occupato.

“Vuoi che ti accompagni a casa?” Non si era accorta che Sergio aveva aperto la porta. Si mise a sedere e scosse la testa.

“Ce la faccio da sola.”

“Ordini del re supremo dell’ospedale?” fece un cenno del capo in direzione della finestra oscurata.

Cristiana annuì sorridendo. “Re supremo del Morandini e del mondo” precisò, per poi sbadigliare.

“Ti ha iniettato anche un sedativo?” rise.

“No, per fortuna no. Sono già mezza intontita senza… Anzi, mi dispiace, oggi sono solo stata un peso per tutti, qui al pronto soccorso.”

“Non devi dirlo neanche per scherzo. Se fosse stato per me ti avrei legato al letto del box almeno fino a stasera, ma Riccardo sta diventando anche più buono di me.”

“Sarà l’effetto paternità.”

“Senti, vai a casa, dai.”

“Ma il mio turno…”

“Ah-ah. Oggi sei una paziente. E ti sto dimettendo. Però prima vai a salutare il tuo Riccardo.”

“Grazie.” Si alzò.

“L’ultima volta l’ho visto ai distributori.”

 

“Se stai prendendo un caffè ti ammazzo.”

Estrasse il bicchierino dalla macchinetta e glielo portò sotto gli occhi.

“Camo… milla?”

“Controindicazioni?” Ne bevve un sorso e allontanò subito il bicchiere dalle labbra.

“A parte la temperatura troppo alta in grado di provocare ustioni di primo grado alla bocca, direi nessuna.”

“Vai a casa?” aveva notato il soprabito e la borsa.

“Sì. Non azzardarti a volermi accompagnare.”

“Fino alla macchina?”

“Non oltre.”

Finì la camomilla bollente sopportando in silenzio le sue gengive urlanti e gettò il bicchiere di plastica nel cestino. Insieme arrivarono davanti all’accettazione, ma la giornata non era finita lì, perché un predatore di pettegolezzi era già in agguato da dietro la sua trincea di plastica e metallo…

All’improvviso tutti i colleghi di Cristiana sembrarono apparire da dovunque: chi da dietro il bancone dell’accettazione, chi dai corridoi laterali, chi da dietro le tendine dei letti.

“Sto avendo un’allucinazione? Reggimi prima che cada…” Si attaccò alle braccia di Riccardo che non sapeva che fare. Avevano medici e infermieri davanti, dietro e pure di fianco. Mancava solo che qualcuno di loro scendesse dal soffitto, magari Laura la biondina, col camice bianco e un paio di ali di carta. Allora sì che il teatrino sarebbe stato completo.

Teresa sgusciò rapida fuori dal desk e si mise a comando della schiera.

“Volevamo farvi gli auguri” sussurrò timida mostrando un sorrisone da trentadue denti.

“Ehm…” Cristiana si risvegliò dal coma pseudo-allucinogeno. “Come…”

“Ah, non guardate me, la voce non è partita da me. È stato…” Si voltò a cercarlo. “Rocco.” E lo indicò con un dito.

Malosti era già alla ricerca di un bisturi o di qualcosa di tagliente, però purtroppo nelle tasche del camice c’erano solo gli spiccioli di resto della camomilla.

“Dottori, ma mi credete capace di questo? Se dovete dare la colpa a qualcuno, dovete darla a Santamaria!”

“Santamaria!?” esclamarono in coro Teresa e Danieli che si era appena aggiunto alla comitiva.

Valerio si guardò intorno spaesato.

“Beh, sì…”

“Rocco, ma i miei cinquanta euro, allora?” s’intromise la caposala con voce gracchiante.

“Sìsì, valli a chiedere a Terry…”

“Oh, ma io che c’entro? Mi tirate sempre in mezzo, e poi non ho mai detto che te li prestavo!”

“Se qualcuno si sposa, io mi prenoto come testimone, sia chiaro.” La dottoressa Ranieri era emersa in quel momento dal caos di medici. “Ma di chi stiamo parlando?”

“Malosti e la Gandini” l’informò svelta Teresa a denti stretti.

Cristiana e Riccardo erano rimasti immobili ad assistere allo spettacolo. Sembrava avessero preparato le battute una per una.

“E comunque non si è ancora capito cosa c’entra il dottor Santamaria in tutto questo…” tornò all’argomento precedente la rossa.

“Ma me l’hanno detto loro!”

Cristiana e Riccardo si guardarono allibiti e con sguardo interrogativo.

“Lo sapevo, che alla fine erano loro i colpevoli!” esclamò il primario.

“Come vedi, cara Terry…”

“Teresa!”

“Terry! Non hai più l’esclusiva…”

“Zitto Rocco, fatti gli affari tuoi almeno una volta!”

“Senti chi parla: la più discreta delle pettegole…”

“Dammi l’autorizzazione e sparo qualche siringa di tranquillante tra la folla” bisbigliò Malosti alla collega.

“Smettila.”

“A me lo ha detto Ettore” l’accento spagnolo di Palumbo risaltò in quel brusio confuso.

Lo specializzando era rimasto in disparte fino a quel momento. “Ormai lo sanno tutti…” mormorò soltanto.

 

“Direi che la recita è finita.” Concluse Danieli dopo qualche istante alquanto imbarazzante.

“Grazie a tutti” rispose Riccardo fingendosi il più possibile contento e grato. Prese Cristiana per un braccio e la portò fuori, contro il suo volere.

“Dai, mi stavo divertendo!” si lamentò.

“Sul serio!?”

















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Capitolo 23
*** Ventitreesima parte - FINE BLOCCO I ***





Ventitreesima parte.

Raggiunsero la macchina di Cristiana.

“Tu torni in metro?” gli chiese mentre lui le apriva la portiera.

“Sì, certo, stai tranquilla, tu vai e stai attenta, mi raccomando.”

“Senti, per stasera, non lo so se…” se era il caso di uscire per cena dopo il litigio con la figlia.

“Ti vengo a prendere alle otto.”

“Riccardo non ce l’ho con te, ma…”

“Mi avevi detto di sì.”

“No, non te l’avevo detto, e poi, ricordami una cosa, eri stato tu ad invitarmi a cena quel giorno per poi dimenticarti all’improvviso, oppure me lo sono sognato?”

“Più probabile la seconda.”

“Mi piacerebbe rimanere a casa con Elena” spiegò ritornando seria.

“Capisco.”

“Scusa, lo so che odi i cambiamenti di programma, i ripensamenti all’ultimo minuto, però non vorrei che mi si rivoltasse contro e decidesse di andare a vivere con suo padre, o di trovarsi un appartamento in affitto… insomma, lo sai come sono fatti gli adolescenti di quell’età.”

“Ci vediamo domani allora.” Era splendido, il modo in cui le aveva risposto, il tono rassicurante e senza nessun rammarico, la voce serena. Si chiese come fosse stato possibile non essersi innamorata prima di lui.

“Sergio mi ha concesso un giorno di permesso. E… sbaglio o tu domani non lavori?”

“Non ho esplicitato il dove, dottoressa. E poi ho anche imparato il tragitto da casa mia a casa tua senza disturbare sempre il navigatore.”

Salì in macchina e abbassò il finestrino. “Abitiamo così lontani?”

“Le distanze sono relative, Gandini.” Si chinò verso di lei e le baciò le labbra. “A domani” ripeté sorridente.

 

“Elena, sono a casa!” Richiuse la porta dietro di sé e si sfilò il soprabito appoggiandolo insieme alla borsa all’attaccapanni di legno scuro. Non ricevette risposta, così la chiamò un’altra volta, non senza un minimo di preoccupazione. “Elena sei in camera?”

“Sto studiando!” La sua voce scocciata raggiunse la madre, che decise di non infierire.

“Io faccio una doccia.” Aveva sicuramente sentito, ma una risposta era chiedere troppo.

Prima di entrare in bagno passò davanti al tavolino su cui c’era il telefono: la cornetta era stata riposta male, volontariamente o no.

 

In realtà non era né infastidita dell’arrivo a casa della madre, né stava studiando. Era rimasta sdraiata sul letto da quando era tornata, senza avere né pranzato né mosso un muscolo, a parte per l’azione abituale di togliersi zaino e giubbotto e gettarli dove capitava nella stanza. Stava fissando il soffitto da ore. E da ore si era già torturata mentalmente per tutto quello che aveva gridato a sua madre al pronto soccorso. Si era fatta prendere dall’ira, tutto qua. Anche se non era esattamente un “tutto qua”, perché o Cristiana o Malosti o entrambi si erano messi d’accordo con Ettore affinché glielo dicesse. Proprio lui, perché di lui tutti sapevano che si era presa una cotta.

Fece un respiro profondo. Un fratellino. O una sorellina. La madre avrebbe smesso di lavorare per un po’, magari un annetto, così se la sarebbe ritrovata a girare per casa con un neonato in braccio tutto il giorno. Pianti, pappette, pannolini. Un disastro, insomma.

Si voltò su un fianco e sorrise. Però, a pensarci bene, sarebbe stato un bel disastro. Un fratellino da coccolare e da tenere a bada avrebbe significato meno tempo da dedicare alla scuola e allo studio. Sua madre non sarebbe stata così d’accordo da questo punto di vista, però magari non l’avrebbe tenuta chiusa in camera davanti al libro di matematica ad ogni insufficienza.

I lati buoni c’erano; chissà come se la sarebbe cavata come sorella maggiore.

Si alzò dal letto e uscì in corridoio. Voleva parlare con sua madre, spiegarle che poi non era così male la prospettiva di avere un piccoletto che scorrazza per casa piangendo e dimenandosi.

Scese le scale e udì dal bagno lo scroscio dell’acqua. Gliel’avrebbe detto appena fosse uscita.

Si sistemò allora sul divano e prese in mano il telecomando per accendere la tv, ma prima che il suo dito potesse premere uno dei pulsanti numerati, la sua attenzione venne distratta dal suono di un cellulare proveniente dalla borsa di Cristiana. Si alzò e la raggiunse; trovò il telefonino della madre al suo interno e lesse la scritta dell’utente chiamante: Riccardo. Doveva chiamarla per passarglielo o forse sarebbe stato meglio lasciarlo squillare? No, niente di tutto questo. Rispose lei.

“Pronto” cercò di mantenere la voce bassa perché la madre non la sentisse.

“Cristiana?” chiese dall’altra parte l’uomo.

“No, sono Elena.” Accidenti, adesso avrebbe messo giù.

“Oh, scusa” ribatté indeciso su come continuare il discorso.

“Non fa niente. Mi dispiace per come mi sono comportata oggi.”

“Hai avuto una reazione del tutto giustificabile, non ti devi scusare.”

E invece sì, sentiva che doveva farlo. Con lui e anche con sua madre.

“Vieni da noi questa sera?” Non sapeva esattamente perché gli aveva fatto quella domanda, le era venuta spontanea. Ormai era abituata a vederlo girare per casa qualche sera a settimana, e di certo non le avrebbe dato più fastidio di quanto era solita provare.

“Ehm… non lo so… tua madre aveva detto che voleva rimanere con te…”

 

“Amore con chi stai parlando?” la voce di Cristiana le fece venire un colpo.

“C’è la mamma che mi chiama, devo mettere giù” disse in fretta. “Alle otto, vieni alle otto.”

“Ma…”

“Le facciamo una sorpresa, no?”

“Va bene…” rispose perplesso.

La ragazza spense il cellulare e lo infilò nella borsa, appena un attimo prima che sua madre l’avesse raggiunta. Era in accappatoio e i capelli le cadevano umidi sulle spalle.

“Tutto bene?” Elena le stava sfoderando un grosso sorriso.

“Sì sì” disse svelta.

La madre annuì e fece per tornare in bagno.

“Mamma.”

Si voltò verso di lei. “Dimmi.”

“Posso toccarti la pancia?”

Eccola, la sua Elena. Le venne incontro e l’abbracciò. Le voleva troppo bene, troppo per sgridarla per quello che aveva detto.

“Mi dispiace, mamma” stava per mettersi a piangere. “Non dovevo dirti quelle brutte cose.”

“Non è niente, dai.”

Si staccò da Cristiana. “Adesso però vai ad asciugarti i capelli, che altrimenti ti prendi un raffreddore!”

“E tu invece vai a finire i compiti.” Le accarezzò una guancia e l’osservò sorridere fino a quando non fu scomparsa al piano di sopra.

I problemi sarebbero stati tanti, primo fra tutti quello relativo alla casa, ai figli grandi, al lavoro, però una cosa era certa: le famiglie di Riccardo e Cristiana si stavano ricostruendo una nell’altra, e questo bastava per farli sentire felici, al di là delle questioni concrete. Finì di asciugarsi i capelli e si infilò un paio di pantaloni da tuta e un maglione comodo smormato. Poi raggiunse la figlia al piano di sopra, che aveva acceso lo stereo a tutto volume.

“Siamo di buon umore, eh?” le chiese entrando, alzando la voce per sovrastare il suono.

La ragazza portò al minimo la regolazione del suono e annuì sorridendo. Non aveva ancora fatto nemmeno un compito, ma per una volta poteva altamente fregarsene: li avrebbe copiati da qualcuno la mattina successiva.

“Io vado a preparare qualcosa per cena.”

“Fai qualcosa di buono, perché ho molta fame!”

“Come mai tutto questo appetito?”

“Non ho pranzato…”

“Già… d’accordo allora.”

 

“Come ci si sente ad aspettare un figlio?” Riccardo era ormai esasperato: uno per uno i colleghi lo beccavano ovunque per fargli gli auguri o chiedergli come stavano lui e Cristiana. E questa volta era il turno di Valerio.

“Non sarebbe ora che anche tu e tua moglie ci pensiate?”

“Non è un buon periodo.”

“Aria di crisi? Al quarto mese di matrimonio!? Quando festeggerete il primo anno vi tirerete i piatti?” si mise a ridere.

“Non fare lo spiritoso, ho visto quant’è durata con la tua ex…”

“Però siamo arrivati all’anno.”

“Fa molta differenza… E poi siamo troppo diversi.”

“Non mi dire che per qualche giorno infelice stai già pensando di lasciarla!”

“Ci ha pensato prima lei di me.”

Malosti ci rimase di sasso.

“Non mi dire che hai perso qualche scommessa…” tentò Santamaria.

“No. E credo anche che nessuno di noi abbia mai pensato di scommettere su un avvenimento simile…”

“Lo immaginavo.”

“Valerio. Sei sicuro di quello che fai?”

“Sì. Per la prima volta.” Sorrise al collega e si allontanò felice.

 

“Elena, è pronto!” La ragazza si sollevò a sedere sul letto e controllò subito la sveglia sul comodino. Erano le otto meno cinque, e qualcosa doveva pur trovare, per far passare quei minuti senza destare sospetti.

“Mamma, arrivo tra cinque minuti, devo finire una cosa!” urlò forte per farsi sentire il più chiaramente possibile.

“E va bene!”

 

Sistemò le ultime cose sulla tavola e si appoggiò al bancone della cucina in attesa della figlia.

Sentì suonare il citofono. Diede un’occhiata all’orologio appeso al muro: le otto precise.

Tornò in salotto e alzò il capo in direzione del corridoio sopraelevato: “Aspetti qualcuno?” Non udì risposta, ma in compenso chi era dall’altra parte del cancello continuava a premere quel pulsantino.

“Chi è?”

“Il postino.”

“A… quest’ora!?”

“Avevo perso l’indirizzo.”

Aprì il cancello e successivamente la porta.

“Non avevi il navigatore?” gli chiese quando fu abbastanza vicino da poter parlare senza urlare.

“Ha fatto sciopero.”

Rise. “Niente fiori, né vino” commentò osservandolo.

“Senza fiori preveniamo le allergie; senza vino… tutto il resto.”

Le si avvicinò e le diede un delicato bacio sulle labbra.

“Perché sei qui?” chiese Cristiana rimanendo abbracciata a lui.

“Perché ti amo.”






Fine BLOCCO I

















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Capitolo 24
*** INIZIO BLOCCO II - Tre mesi dopo ***





Inizio BLOCCO II






Tre mesi dopo.

Dieci e quaranta. Pronto soccorso Morandini.

Una donna coi capelli sciolti che le cadevano castani fino alle spalle fece scattare la porta automatica dell’ingresso in una calda mattinata d’inizio estate.

“Dottoressa Gandini!” la voce squillante di Teresa fece spuntare un sorriso sul volto di Cristiana.

“Ciao Teresa.” Mai che qualcuno passasse invisibile ai suoi occhi.

“Come sta?” E dire che si erano viste la settimana prima.

“Tutto bene, grazie. Tu?”

“Oh… si tira avanti.”

Le regole di Riccardo erano rigide e impassibili: al massimo due turni a settimana, evitando accuratamente la sala operatoria se non per emergenze. Aveva provato a controbattere in qualsiasi modo, ma niente, era irremovibile. Così si era fatta assegnare da Sergio – o, per meglio dire, era stata obbligata a farsi assegnare – il martedì e il venerdì, incastrando i giorni affinché coincidessero con quelli del collega.

“Ho visto il dottor Malosti poco fa…”

Appunto. Il tempo era passato, ma tutte le volte che entrava in quel pronto soccorso, Teresa era sempre pronta ad informarla sull’ultima apparizione di Riccardo, comprensiva di orario e localizzazione. Non che non gliene fosse grata, ma non sarebbe stato male fare un giro da sola per l’ospedale, ogni tanto.

“Era con Danieli, credo siano andati a prendersi un caffè.”

Conosceva anche le future azioni di ognuno dei colleghi, a seconda dell’espressione, della camminata, della pettinatura…

“Con quanto zucchero?” chiese ironica, non aspettandosi nient’altro che una risata. E invece no. Era capace di rispondere anche se le veniva  domandato quanti capelli aveva in testa Palumbo.

“Malosti amaro, molto amaro. Il professore dipende dal tipo di giornata.” Passò una cartella ad una collega dietro di lei e sorrise a Cristiana. Ecco cosa si era dimenticata: per le sue previsioni teneva conto anche del piede con cui la gente scendeva dal letto alla mattina.

“Va bene, grazie” cercò di mostrarsi di buon’umore e uscì dalla mira della donna raggiungendo gli altri due.

Erano appollaiati attorno ad un tavolino di fronte ai distributori: sul piano figuravano due bicchieri di plastica vuoti e due confezioni aperte di merendine che dovevano essere state consumate da poco.

Si fermò ad un metro da loro, che si voltarono all’unisono e l’accolsero con sorrisi sinceri.

“Mamma Gandini” la salutò Sergio alzandosi in piedi. Le andò in contro e le accarezzò il pancione che continuava a crescere. “Tutto bene?”

“Non potrei mai dire il contrario, avendo un certo dottore sempre tra i piedi con stetoscopi, siringhe, sfigmomanometro e tutto il resto.”

“È mio figlio. E si merita un trattamento privilegiato” spiegò Riccardo, calmissimo per via dell’effetto caffeina, di cui ormai faceva uso per rilassarsi, più che per darsi una svegliata. Si alzò a sua volta e le baciò le labbra. “Buongiorno amore.”

“Anche tre ore fa ci siamo dati il buongiorno, o sbaglio?”

“Scusa, non pensavo che quel borbottio addormentato che ho sentito quando mi sono alzato potesse essere classificato sotto la voce saluti…”

“Alt. Fine primo round!” scherzò il primario fermando la discussione. “Non la finite mai!”

“Perché non ti ho detto l’ultima” bisbigliò Cristiana a Sergio che stava ancora ridacchiando. “A momenti la settimana scorsa si portava a casa l’ecografo portatile…”

“Eh no, eh, Riccardo” disse al medico che stava abbracciando la donna. “Se continui così mi toccherà assumere un altro chirurgo per rimpiazzarti, o non avremo più il contrappeso burbero che equilibri la bilancia delle personalità del Morandini.”

“Perché non inizi tu levandoti dai piedi insieme a queste frasi a falso effetto? Ah, e intanto che ci sei, dai un’occhiata da Teresa, se sono arrivate le analisi del paziente del box 3.” Prese Cristiana per un braccio e si allontanarono per qualche passo.

“Ti ho promosso inconsciamente?” domandò Sergio un po’ scocciato dalla reazione di Malosti.

“No, ma grazie del pensiero!”

Li guardò camminare sorridenti. Era proprio vero che l’amore era capace di cambiare le persone.

All’improvviso si insidiò nella sua mente l’immagine di Giulia, che era riuscito a mantenere in disparte per un buon lasso di tempo. Le mancava. Troppo.

 

“Elena?”

“Era già sveglia, sono uscito mentre faceva colazione.” Aprì la porta della sala medici e la fece entrare prima di lui. “Hai dormito bene?”

Cristiana gli si avvicinò portandosi alla distanza di un centimetro dal suo viso. “Con te non posso che dormire bene.” Rabbrividì quando sentì una sua mano accarezzarle il grembo e le sue labbra sulle proprie. Ogni bacio che le dava era come se fosse il primo: riprovava la stessa emozione di quando le loro bocche si erano sfiorate per la prima volta, in quello stesso luogo. Solo un aspetto era diverso: ora anche lui lo voleva. E, chissà, forse lo aveva voluto anche quel giorno.

Riccardo sentì Cristiana scostarsi di qualche millimetro da lui. “Ti vibra il cellulare.”

Lo estrasse controvoglia dalla tasca del camice e riconobbe il numero illuminato sul display. “Scusa, devo rispondere.” Con rapidità raggiunse la porta per uscire.

“Ma chi è?” chiese lei insospettita da tutta questa fretta.

“La mia amante.” Aspettò serio qualche altro tremolio del telefonino per osservare la reazione di Cristiana, che non tardò a rivelare un’espressione sconvolta. Era già pronta a tirargli addosso una sedia, ma Malosti non riuscì a trattenersi oltre e scoppiò a ridere.

“Sei un…”

“Lo so” l’interruppe. “Ed è anche per questo che mi ami.” Le sorrise e uscì in corridoio.

 

Cristiana decise di avviarsi verso il box che ospitava il paziente di cui aveva parlato Riccardo, e al suo interno vide Danieli, con la cartella in mano, che stava parlando con l’uomo sdraiato a letto. La porta era aperta, così Sergio si accorse subito della presenza della collega e le fece segno di entrare. Controllarono insieme per due o tre volte le analisi, e la Gandini confermò quello che il professore aveva già intuito: era da operare.

“Dove hai lasciato Malosti?” le chiese in un angolo del box dopo aver avvisato il paziente delle sue condizioni critiche.

“Si è nascosto da qualche parte per rispondere al cellulare.”

“Questo pronto soccorso sta diventando sempre più una stazione telefonica, e il miglior contribuente è senza dubbio Palumbo. Non c’è una volta che lo veda senza quel dannato aggeggio incollato all’orecchio.”

“Posso assisterti io.”

“Non se ne parla. Il paziente è di Malosti, opera lui e assiste qualcun altro a sua scelta, ma non tu.”

“D’accordo. Vorrà dire che andrò da Teresa a sentire se hanno bisogno di una mano con le visite.”

“Brava. E non affaticarti.”

“Non c’è dubbio. Dormo di più io che tutti voi messi insieme…” Abbassò la maniglia e lo salutò con un cenno del capo.

“Dove vai?” si sentì chiedere, come se il suo movimento fosse incoerente con tutto il resto che si erano appena detti.

“Come dove vado, ti ho detto che…”

“Sì, sì, ma prima mi devi rintracciare Malosti!”

“Prova con il cercapersone.”

“Prova invece a chiamarlo tu con il cellulare, sia mai che capisca quanto sia conveniente tenerlo spento, una volta tanto.”

La donna sfilò il cellulare dalla tasca, entrò nella rubrica e, alternando lo sguardo dal primario al display selezionò il nome di Riccardo.

“Cristiana, è successo qualcosa?” la tempestività nel rispondere la sorprese, come anche il tono perennemente preoccupato, da cui però traeva soddisfazione.

“No, niente” rispose sorridendo a Sergio. “Ti passo qualcuno di molto arrabbiato.” Danieli prese in mano il cellulare.

“Malosti, vedi di darti una mossa e…”

 

“Mi cercavate?” Cristiana saltò dallo spavento portandosi una mano in corrispondenza del cuore.

“Dio, ma mi vuoi far morire!?” esclamò mentre i battiti accelerati pian piano tornavano al ritmo abituale.

Riccardo riprese fiato e si scusò con lei, mentre Danieli cercava di velocizzare la faccenda.

“Chiama un paio di infermieri e portalo in sala operatoria, ho già avvertito Teresa. Io vado a cercare qualcuno che ti assista, sempre che non siano occupati a telefonare.” Restituì il cellulare alla collega mentre borbottava una frase del tipo dovrei decidermi a sequestrarli tutti all’inizio dei turni.

La Gandini tenne aperta con una mano la porta, perché uscì a sua volta. “Servono due infermieri per la sala operatoria!” gridò, e qualcuno di loro che era nei paraggi si avvicinò al box.

“Tutti tuoi” disse infine a Riccardo. “Io vado a cambiarmi” gli riferì dandogli una leggera pacca sul petto.

La salutò con un sorriso ed evitò di fissarla andar via come faceva di solito, vista la presenza di tre infermiere sulla porta in attesa di ordini.

 

Alla fine della vana ricerca, toccò a Danieli entrare in sala operatoria con Malosti.

“La prossima volta che mi capita l’occasione, indìco un’assemblea e schiarisco loro le idee. Posso capire tutti i problemi che hanno, sentimentali e non, però quando si entra in pronto soccorso bisognerebbe lasciarli fuori, e, se non è possibile farlo con tutti” sottolineò l’inciso guardando Riccardo, “almeno la maggior parte.”

Si strappò decisamente arrabbiato il camice sterile e lo gettò insieme alla mascherina nel cesto accanto ai lavandini.

“Sei un po’ fuori di te, in questo periodo” infierì Riccardo chiudendo il rubinetto dell’acqua con il gomito.

“Perché tu no? Stai facendo venire il diabete a tutti coloro che entrano in contatto con te, da quanto sei diventato zuccheroso.”

“Dai, non esagerare.”

“Stai attento, ché non sono così sicuro che tutta questa sdolcinatezza piaccia a Cristiana allo stesso modo del Malosti che conoscevamo prima.”

“Sergio, aspetto un figlio” si giustificò serio. E per lui era decisamente il motivo più valido del mondo per essere felice e coccolare la donna che amava.

“Ah sì!?” ironizzò. “Fino a poco tempo fa non ti credevo in grado di provare sentimenti.”

“Fino a poco tempo fa non conoscevo così bene Cristiana da potermi considerare capace di amare veramente una donna.” Gettò nel cestino la carta con cui si era asciugato le mani.

Il primario si zittì: gli era passata la voglia di scherzare. Riccardo aveva ragione, e nessun trucchetto in stile dialettico formulato dal migliore oratore in circolazione sarebbe bastato a fargli ammettere che quella relazione era solo uno svago e niente di importante. L’aveva sottovalutato. Oppure aveva sempre saputo che in fondo era un uomo anche lui e prima o dopo sarebbe caduto nella trappola di Cupido.

“Ti volevo chiedere una cosa” affermò Riccardo dopo qualche istante di silenzio in contemplazione delle gocce d’acqua rimaste sul fondo del lavandino. “Mi concederesti mezz’ora di permesso?”

Il primario rise. “Ti dovrei chiedere il dove, il come e il perché, ma non lo farò. Tanto, in caso d’emergenza, chiamerò Palumbo con i segnali di fumo e per trovare tutti gli altri mi basterà controllare negli ascensori e in magazzino. Di solito sono quelli i posti che preferiscono.”

“Dimentichi il tuo studio.”

“Dimentichi che dall’ultima volta lo tengo sempre chiuso a chiave quando mi allontano.”

“Grazie.”

Sergio guardò l’orologio. “Hai ancora ventinove minuti.”

“Grazie grazie grazie” ripeteva Riccardo.

“Ma se Cristiana mi chiede dove sei?”

“E tu dille che sono andato a trovare la mia amante, no?”

















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Capitolo 25
*** Il dono ***





Il dono.

Trentuno minuti dopo, il dottor Malosti rientrava al pronto soccorso con la stessa uniforme blu con la quale era uscito.

“Dottore, la stavamo cercando in dieci…” lo mise al corrente Teresa riponendo la cornetta del telefono. Bene, questo voleva dire che almeno per una volta Danieli aveva fatto finta di niente e non aveva lasciato dilagare la curiosità per la mezz’ora di libertà concessa ad un collega.

“Sì, sì” annuì velocemente percorrendo il tratto di ingresso che mancava alla porta del corridoio interno.

Controllò per l’ennesima volta la tasca dei pantaloni; poteva stare tranquillo: il motivo della sua uscita – e della telefonata ricevuta prima – era ancora lì.

Intravide Cristiana venire verso di lui, con il camice aperto e la maglietta blu un po’ più stretta del solito. “Riccardo, ma dov’eri finito?”

“Non sono tenuto a dirtelo.”

“Non mi piacciono questi scherzi.” Si voltò imbronciata dall’altra parte.

Malosti sorrise. “Dai, raccontami cos’hai fatto in questo tempo senza di me. Ti sono mancato, eh?”

“Aah smettila” sbuffò e si diresse rapida verso la direzione opposta.

“Dove vai?” le chiese a voce alta non muovendosi dal punto in cui era.

“Non sono tenuta a dirtelo!” rispose lei ripetendo la sua stessa frase.

Si era arrabbiata, come aveva previsto. Ormai la conosceva abbastanza bene per poter affermare che non le piaceva sentirsi presa in giro: odiava le bugie.

E mentre ripensava sorridendo a tutte le volte che l’aveva rincorsa per i corridoi del Morandini e non solo, si stava comportando allo stesso modo anche in quel momento. Non correndo per poi afferrarla per un braccio come ormai era sua abitudine, ma camminando dietro di lei come se niente fosse.

E Cristiana sapeva di essere seguita. Svoltò l’angolo e aumentò il passo per raggiungere la porta del bagno dei medici. L’aprì rapida e la richiuse dietro di lei senza girarsi a controllare a che distanza fosse il suo inseguitore. Si appoggiò ad essa e respirò profondamente, pregando più volte tra sé e sé che Riccardo non cercasse di entrare. Attese qualche minuto in silenzio, poi si voltò, piegò verso il basso la maniglia e tirò la porta verso sé per qualche centimetro. Gettò un’occhiata all’esterno: non c’era nessuno. Tirò un sospiro di sollievo e cominciò ad aprirla per poter uscire.

Malosti le si piazzò davanti e bloccò la porta trattenendola dalla maniglia esterna. “Allora, a che gioco giochiamo?” stava sorridendo.

“Lasciami sola.”

“No.” Spalancò la porta ed entrò con lei, che cercò di allontanarsi da ogni contatto con lui. “Ringrazia la tua condizione per non averti presa e sbattuta contro il muro per farti stare ferma.”

“Gentile come sempre.” Incrociò le braccia.

“Mi vuoi dire che cos’hai?” Il suo tono tornò normale, e con due dita le accarezzò una guancia. Lei non si scostò, ma nella sua espressione apparve una nota di fastidio. E gli occhi le si inondarono di lacrime. “Cristiana…”

Gli si aggrappò alle spalle e si gettò contro di lui sfogandosi in un pianto. “Riccardo… Riccardo” nascose il viso nell’incavo tra il collo e il petto e continuò a ripetere il suo nome.

Lui la strinse contro il suo corpo e continuò a carezzarle il capo passando le dita tra i suoi capelli profumati di shampoo. Non voleva sapere perché stesse piangendo; la sentiva abbastanza distrutta dal comprendere che d’infilare il coltello nella piaga non era il caso.

I singhiozzi cessarono, e il bagno ripiombò nel silenzio. Riccardo le prese il capo tra le mani e glielo sollevò per guardarla in viso: era completamente bagnata. Andò a recuperare due o tre salviettine di carta dal contenitore appeso al muro e le asciugò delicatamente le scie del suo pianto.

“Tu pensi davvero che possa funzionare?”

Dallo sguardo che Cristiana gli stava rivolgendo, il soggetto della domanda era tutt’altro che qualcosa di futile. Stava per chiederle a cosa si riferiva, ma poi lo capì. “Perché mi chiedi una cosa del genere? Tu che…”

“Io cosa? Che mi sono presa una cotta per te dal primo giorno che ci siamo conosciuti?” Abbassò il capo e si portò una mano sopra gli occhi per nascondersi dall’imbarazzo, dalla vergogna, o forse dall’incredulità che ora condivideva tutto con lui. Anche un figlio. Lui che all’inizio non faceva altro che deriderla davanti a tutti, darle filo da torcere ad ogni diagnosi. Le prime settimane di lavoro insieme erano state l’inferno, nonostante si cercassero sempre l’un l’altro, nonostante avessero un bisogno intrinseco della reciproca compagnia.

“Ti ho salutato offendendoti per come eri vestita” le ricordò il loro primo incontro.

“Mi avevi guardata. E questo era tutto quello che m’importava.”

Riccardo sorrise. “Non me l’avevi mai detto.”

Scosse la testa. “Siamo diversi. Terribilmente diversi. Tu hai due figli, io una che fa per dieci. E ne aspettiamo un altro. A volte ho persino paura di…”

“Frena” la prese per le spalle. “Paura di cosa, Cristiana?”

“Paura di chiedermi se tu stai con me solo perché ci conosciamo da così tanto tempo che ci abbiamo fatto l’abitudine, oppure perché aspetto un figlio da te. Tu non… non volevi stare con me!” Pronunciare quella frase fu come sollevare un enorme macigno di pietra. Aveva il cuore che le martellava insistentemente nel petto, il fiato corto e stava ricominciando a piangere. Di nuovo. “Dimmi che non mi vuoi, e io mi toglierò dai piedi. Cercherò un altro lavoro, farò di tutto pur di dimenticarmi di te. Anche se sarà impossibile…”

“Mi vuoi sposare?”

Alzò gli occhi verso di lui. Aveva davvero sentito quelle parole? “Co…?” Si stava agitando, le si era bloccata la parola in gola e non riusciva più a deglutire.

“Respira, su.” Le fece aria con le salviettine rimaste che aveva ancora in mano. “Stai bene? Vuoi che ti porti fuori?”

“No, no, non voglio.”

“Lo sapevo che non dovevo chiedertelo.” Si allontanò da lei e fece un giro intorno alla stanza, per poi raggiungere la porta. “Me ne vado.”

“Riccardo.” Toccò l’interruttore della luce. E fu il buio totale. “Cosa succede nei film, quando salta la luce?”

“Ma non è saltata” precisò.

“Smettila di fare il pignolo.”

“Smettila di non rispondere alle mie domande.” La cercò muovendo a vanvera le braccia, ma se la ritrovò dietro di lui, appoggiata alla sua schiena. Che rideva.

“Potresti riformularla? Scusa, non ero attenta.”

Malosti si girò verso di lei e appoggiò il capo contro il suo, guancia a guancia. “Vuole diventare mia moglie, dottoressa Gandini?” le sussurrò lentamente, parola dopo parola, al suo orecchio.

“Dio quanto mi fai impazzire…” Sfregò il suo viso contro di lui e lo baciò sulle guance.

“Lo prendo per un sì?”

“Prendilo come ti pare, basta che mi baci.”

Non la fece aspettare oltre. Premette sulle sue labbra ancora umide di pianto, che subito si dischiusero per continuare quel bacio tanto desiderato. Il primo con la consapevolezza di quello che sarebbero diventati: marito e moglie, con una proposta di matrimonio nelle tenebre di un bagno di un pronto soccorso.

 

“Rocco, hai visto M&G?” parlarono Esther e i suoi ciuffi arancio zucca.

“Chi!?”

“Dai, ormai qui li chiamano tutti così!”

Emmegì?”

“Malosti e la Gandini! Emme e Gi. Stai perdendo punti, sai. Se vuoi continuare a fare concorrenza a Teresa ti devi dare da fare per rimanere aggiornato.”

“Primo: non voglio fare concorrenza a Terry. Secondo: quella sottospecie di acronimo te lo sei inventato tu in questo momento. Non è così?” Raddrizzò la colonna di cartelle che stava reggendo la caposala, affinché ritrovassero un minimo di equilibrio.

“D’accordo, mi hai scoperta. Ma non è una genialata?” Sorrise fiera di se stessa, come se avesse appena trovato la cura per una malattia incurabile.

“Esther, se fossi in te lo andrei a dire un po’ in giro. Faresti risparmiare a tutti almeno due millesimi di secondo a chi li deve chiamare.”

“È pratico, no?” Si stimava davvero. E non si rendeva nemmeno conto di quanto Rocco la stesse prendendo in giro.

“Sul serio. Grandissima. Però, la prossima volta che non hai niente da fare, invece di inventare diminutivi, potresti… che ne so, dare una spazzata al ripostiglio dei medicinali, o spolverare l’ufficio di Danieli…”

“Ma non è compito mio!”

“Però faresti felice un bel po’ di gente, te lo garantisco!”

 

Riaccesa la luce, poterono tornare a guardarsi in faccia.

“Peggio che al liceo” commentò Malosti appoggiandosi al muro.

“Mah, non credo che nei bagni del liceo si arrivi a parlare di matrimoni…” Si guardò allo specchio e fece una smorfia. “Mi è andato via tutto il trucco…” mormorava all’altra se stessa al di là del vetro.

“A proposito” riprese la frase precedente. “Allora?”

“Allora cosa?”

“Hai risposto alla mia domanda con tutto fuorché quello che in teoria si dovrebbe dire.”

“Troppo banale.” Piegò la testa sul lavandino per sciacquarsi il viso, e quando si tirò su, vide dietro di lei Riccardo con un fantastico sorriso.

“Che c’è?” Allungò una mano per prendere una salvietta ed asciugarsi, controllando Malosti dallo specchio, che attese che i suoi movimenti si fermassero.

“Chiudi gli occhi.”

“Perché?”

“Tu fallo e basta.”

Li chiuse dubbiosa. “Mh…”

Riccardo estrasse dalla tasca quel cofanetto rettangolare e ne chiuse in una mano il contenuto.

“Apro?” insisteva lei.

“No.”

Le passò attorno al collo quella sottile cordicella metallica, che spaventò Cristiana al contatto con la sua pelle per la sensazione di freddo caratteristico del materiale.

“Stai ferma…” la tranquillizzava lui mentre tentava di assemblare la chiusura senza combinare guai.

“Puoi aprire.”

“Finalm… Riccardo ma sei matto?” Non un anello; non un bracciale, ma dallo specchio quel che vide fu una collana. Toccò quella catenella d’oro bianco che le passava intorno al collo e il ciondolo attaccato alle due estremità. Scintillava di piccole pietruzze bianche il suo nome, Cristiana.

Ecco perché era uscito.

Ecco il perché di quella telefonata strana.

Ma ora non le importava più niente, tantomeno delle insicurezze che di tanto in tanto la facevano entrare nel panico. Era lui che voleva. E Riccardo voleva lei, ormai glielo aveva dimostrato in sufficienti occasioni da non avere più paura.

 

“Non dovevi” gli disse attraverso lo specchio.

“Non dirlo nemmeno. Non so se sia l’effetto della collana o della gravidanza, però sei bellissima.”

“Grazie” sussurrò piano, quasi arrossendo.

“Allora, ti piace?”

Sollevò il capo per guardarlo negli occhi. “Sì, è meravigliosa.” Sorrise. “E sì, ti voglio sposare.”

















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Capitolo 26
*** Tutti sapranno ***





Tutti sapranno.

“Allora, come vanno le faccende burocratiche?” Laura si sedette sul tavolo della sala medici mescolando uno yogurt bianco pallido con il cucchiaino.

“Duemila euro solo per iniziare” la informò Valerio. “I miei suoceri hanno contattato l’avvocato più costoso di tutta Milano e dintorni.”

“Vuol dire che si vogliono liberare di te in fretta.”

“Così sembra. Si dice che più ci viene a costare, più le pratiche vengono sbrigate in minor tempo. Però ci credo poco.”

“Vi dividete la parcella?” chiese, dopo aver assaggiato un cucchiaino di yogurt.

“Macché. Almeno di questo posso ritenermi fortunato. Carola, oltre ad avermi escluso da ogni contatto visivo ed umano con lei, non vuole che sborsi nemmeno un euro.”

“Ah però.”

“Ormai è quasi un mese che le carte sono state firmate, ora tocca solo a lui mettere in moto tutto quanto. E tra poco potrò tornare finalmente libero.” Le si avvicinò. “Cioè… per modo di dire.” Le schioccò un bacio su una guancia.

E tornarono entrambi al lavoro, consapevoli di stare iniziando una nuova vita insieme.

 

“Venti euro.”

“Rocco, hai rotto.” La sfacciataggine di Teresa non aveva limiti.

“Dieci.”

“Tanto perdi. È un maschio.”

“E allora cosa ti costa scommettere, se sai anche la risposta?”

“Niente. Ma non vedi quanta gente? Dammi una mano.” Preparò due cartelle vuote per due ragazzi reduci da una partita di calcetto.

“E poi, scusa, come fai a saperlo?” Il dialogo si faceva interessante.

“La dottoressa Gandini è più bella.”

“Che discorsi. È sempre stata bella.”

“Ma lo è di più. Di solito quando…”

“Ecco appunto, di solito. Sono credenze popolari. Torna a lavorare, va’…”

 

Cristiana e il suo pacchetto di cracker si stavano godendo la fine del turno. Seduta con le gambe appoggiate ad uno sgabello davanti ai distributori, fu subito adocchiata da Malosti, che stava arrivando con lo stetoscopio in mano. Se lo sistemò attorno al collo e rubò un cracker dal pacchettino della Gandini.

“Non dovresti essere già a casa?” le chiese con la bocca piena.

“Aspetto Elena, andiamo a casa insieme.”

“Ma la scuola non è finita?”

“Ben arrivato. È andata in piscina con alcune sue compagne.”

Riccardo le spostò le gambe e sullo sgabello si sedette lui.

Si guardò intorno e poi le si avvicinò. “Senti, preferisci i fiocchi o i fiori?”

“Mh?”

“Tu dimmi quali ti piacciono di più.”

“Ma che ne so… ma da mettere dove?” Accartocciò la confezione vuota e gliela mise in mano.

“In chiesa!” “In chiesa” lo ripeté abbassando la voce, perché evidentemente la sua prima risposta era più un grido ai quattro venti.

Cristiana si mise a ridere.

“Quale chiesa?” Riccardo si voltò e trovò dietro di lui un tizio che doveva somigliare a Valerio.

“Te i tuoi interessi mai, eh?”

“No, ma… tranquilli, ero solo venuto a prendere una bottiglietta d’acqua.” Inserì nel distributore due monete e recuperò la sua scelta dal cassetto in fondo.

Nel frattempo Riccardo stava guardando Cristiana in ricerca di un modo non troppo villano per eliminare ogni traccia di sospetto in Valerio, ma lei continuava a fissarlo divertita, prima che uno squillo di cellulare non fece muovere tutti e tre alla ricerca del proprio.

“Il mio non è stato, non so nemmeno dove l’ho lasciato” iniziò Malosti ispezionando le tasche di camice e pantaloni.

“Non è che te lo sei dimenticato ancora da…?”

“In sala medici” finì la frase di Cristiana sorridendo a Valerio che aveva allungato le orecchie.

“Già” confermò lei scuotendo la testa.

Fece una rapida ricerca nella borsa e recuperò il suo. “È Elena. Mi aspetta alla macchina, devo andare.”

Si alzò e controllò la scena. La borsa l’aveva presa, aveva rifilato a Riccardo l’involucro vuoto dei cracker, le chiavi della macchina le aveva…

Si fermò un momento a riflettere sugli avvenimenti di quella mattinata, sotto lo sguardo stupito degli altri due colleghi. Aprì di nuovo la borsa e frugò insistentemente in ricerca.

“Cristiana.”

“Non posso averle perse!”

“Cristiana!” Alzò il capo e le vide, appese dal portachiavi tra il pollice e l’indice di una mano di Riccardo.

Le afferrò sorridendo. “Dove le hai trovate!?”

“Nella tasca dei miei pantaloni.”

Quante volte gli aveva detto che, quando guidava lui, doveva rimetterle dentro la sua borsa? Mai una volta che le trovasse al posto giusto.

“Mh, va bene, io vado.” Salutò Riccardo con una carezza sulla spalla, ma lui la trattenne e le diede un innocente bacio sulle labbra.

“Ciao” le disse sorridendo.

“Ciao Cristiana” fece eco Valerio, che in un batter d’occhio aveva già preso il suo posto.

La guardarono entrambi uscire dalla porta principale del pronto soccorso e, appena ciò accadde, Santamaria riprese in mano il discorso. “Adesso puoi dirmi tutto.”

“Non era nelle mie intenzioni prima. E non lo è neanche adesso, mi spiace.”

“Eddai Riccardo” sorrise impaziente.

“Non ne hai abbastanza dei tuoi problemi matrimoniali ed extra?” Si mise a giocherellare con la carta dei cracker di Cristiana.

“Appunto per quello. Ci sono passato: se hai bisogno di consigli…”

“Non-ho-bisogno-di-consigli” rispose scandendo ogni parola.

“Però le hai chiesto di sposarla.”

“Tu stai sognando” si alzò e raggiunse il cestino per buttare la carta.

“Allora ho sognato anche quella bella collana che indossa da qualche giorno? Non potrà mai essere stata sua figlia a regalargliela!”

“Il buon umore ti dà alla testa, Santamaria. Perché non ne approfitti per andare a salvare un po’ di gente?” Lo osservò ancora qualche istante, poi se ne andò.

“Tanto prima o poi si verrà a sapere!” esclamò ad alta voce apposta per farsi sentire bene anche da chi si trovava in quel raggio d’azione.

 

Semaforo rosso.

“Ti sei divertita?”

“Sì, mamma, moltissimo.”

“Bene, sono contenta.”

“Allora, visto che sei contenta, perché non mi dici chi te l’ha regalata?” Si drizzò sul sedile.

“Me lo hai già chiesto mille volte. No.”

“Dai mamma, ti prego!” Simulò gli occhioni in stile Gatto con gli stivali di Shrek. “È stato Riccardo, vero?”

Scattò il verde.

“Come sei insistente quando vuoi sapere una cosa!” Le scappò un sorriso.

“Lo sapevo. Non poteva essere stato nessun altro.” Si appoggiò allo schienale e si voltò a guardare fuori dal finestrino. “Perché te l’ha regalata?”

“Elena, sei troppo curiosa.”

“Ah, ma allora c’è un motivo in particolare.” Aveva fatto apposta, quella furbetta di sua figlia, a formulare quella domanda.

Cristiana scosse la testa.

“Comunque è bellissima.”

Parcheggiò la macchina in garage ed Elena gettò il borsone con gli accessori della piscina sul divano.

“Vado a farmi una doccia” dichiarò la ragazzina lasciando le infradito sul tappeto, disordinatamente come sempre.

“Adesso!?”

“Sì, così finisco giusto in tempo per il pranzo.”

“Sei mezza matta, ecco cosa sei!” scherzò la madre aprendo il borsone. “E molto disordinata!”

“Mamma” era ritornata in soggiorno mentre si disfaceva le trecce.

“Dimmi.”

“Tanto l’ho capito che ti ha chiesto di sposarti.”

 

“No, non ci posso credere! Ma non stai scherzando, vero?” chiese conferma Laura.

“Certo che no” asserì Valerio pacatamente.

“Ma te l’hanno detto loro?” rise, ancora incredula.

“Indirettamente…”

“E noi quando ci sposiamo?”

“Vuoi tentare di farmi fare il record di più matrimoni nel minor tempo?”

“Dai, non dicevo sul serio.”

“Vieni qui” la prese per la vita e l’abbracciò, accarezzandole i capelli biondi. “Non dirlo in giro, ok?”

“Solo ad Eva.”

“Noo.”

“Dai, almeno avremo un argomento su cui discutere… le nostre serate in questo ultimo periodo si spengono dopo qualche chiacchiera su di te…”

“Grazie per avermi messo al corrente. Tanto lo so che voi femmine morite dalla voglia di spettegolare su tutto.”

“È la mia migliore amica. E poi prima o poi dovranno dirlo a tutti.”

Sorrise. Era la stessa identica cosa che aveva cercato di dire a Riccardo per fargli sputare il rospo.

“Però questo non vuol dire che voi dobbiate velocizzare la faccenda.”

La porta si spalancò e un infermiere si catapultò nella stanza. “Abbiamo un codice rosso!”

Entrambi uscirono di corsa lasciando il discorso al punto in cui era giunto.

 

Eva e Franco erano appena entrati al pronto soccorso spingendo una barella con un bambino incosciente. Avrà avuto sì e no quattro anni.

Ad accoglierli furono Valerio, Laura e Malosti.

“Costa, vai a chiamare la Ranieri, dille che l’aspettiamo in…” Riccardo si voltò verso Teresa come per chiederle quale sala fosse libera.

“Chirurgia 1, potete andare là” rispose rapida la donna da dietro il desk.

“Hai visto Marina?” chiese Laura a sua volta, mentre i due medici si occupavano del bambino.

“La chiamo subito.” Digitò svelta il numero della pediatra e l’avvisò di recarsi in sala chirurgia.

Eva e Franco si avvicinarono al bancone.

“Povero piccino, ma che cos’ha?” domandò loro Teresa.

“Non lo sappiamo. La madre ha detto di averlo trovato nel suo lettino che non respirava. Siamo riusciti a rianimarlo, ma è necessario un intervento d’urgenza” spiegò diligentemente il paramedico.

I tre si guardarono un attimo negli occhi in silenzio, sospirando.

“Voi state bene?” tentò Laura sapendo del periodo non troppo buono che avevano passato i due colleghi.

“Sì, dai, abbastanza” rispose Eva guardando Franco con il sorriso sulle labbra.

“E tu invece? È un po’ che ti vedo davvero felice” affermò l’altro dandole una leggera pacca sulla spalla.

“Sì, lo sono. Tra poco il matrimonio di Valerio sarà acqua passata” confermò raggiante.

“Ah sì?” s’intromise la voce squillante di Teresa appoggiandosi al bancone di fronte a loro. “Le cose si stanno sistemando un po’ per tutti, qui al Morandini.”

“Già. Anche Riccardo e Cristiana…”

“Ah beh, io lo sapevo sin dall’inizio che quei due più litigavano e più si avvinavano” si vantò la rossa.

“In effetti… Adesso aspettano anche un figlio, e poi…” si zittì all’improvviso.

“Poi?” ripeté la curiosona spalancando le orecchie.

“Sì, poi cosa?” la seguì Franco ricevendo una gomitata da Eva per rimproverarlo di ficcare il naso negli interessi altrui.

Si guardò intorno, ma in realtà quello che avrebbe voluto fare era dare testate al muro per non essere stata più discreta. “Io non dovrei dirvelo” li avvertì.

“Però l’hai detto” la mise alle strette.

“Vanno a vivere insieme?” scattò Eva illuminandosi.

“Sarebbe il minimo” intervenne Franco.

“Appunto” terminò Laura, titubante.

“Non le sai dire, le bugie.” Eva scosse la testa.

“E va bene. Si sposano” riferì come se stesse parlando dei biscotti preferiti di Valerio.

La faccia di Teresa era tutto un programma: con la bocca semispalancata guardava Laura tenendo il capo inclinato e gli occhi luccicosi. “Lo sapevooo!” gridò tutto d’un tratto, spaventando metà della gente tra medici e pazienti. Fece un giro su se stessa e continuò a ripetere la stessa frase fino a quando le espressioni tra lo stupito e il preoccupato degli altri tre non la riportarono coi piedi per terra.

Si schiarì la gola e si lisciò l’abito tornando nella sua compostezza. “Che bello, no?”

















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Capitolo 27
*** Cercando un testimone ***





Cercando un testimone.

“Scalcia?”

“Qualche volta.”

Teneva la propria mano sul pancione e il suo sguardo sorridente alla mamma.

La sala medici era tutta per loro, in quel pomeriggio di luglio: il caldo cominciava a farsi intenso, anche se con l’aria condizionata all’interno del pronto soccorso quasi non ci si faceva caso.

Riccardo era semidraiato sul divano bianco, e la Gandini era appoggiata a lui, la schiena contro il suo petto.

“Ho incontrato Palumbo, prima” raccontò Cristiana deliziata dalle coccole di Riccardo.

“Mmm; è una novità. Credevo frequentasse il Morandini solo come passa tempo.”

“Eh, ma devi capirlo, adesso ha una vita anche al di fuori del pronto soccorso.”

“Sarà. Comunque, dicevi?” Le solleticò la nuca con le labbra, facendola sorridere.

“Mi ha fatto gli auguri per il matrimonio.”

“Palumbo” ripeté, un po’ sorpreso.

“Sì.”

“E chi gliel’ha detto?”

“Non guardare me.”

“Tu a chi l’hai detto?”

“A Marina.”

“Ecco.”

“Solo perché le ho chiesto di essere la mia testimone!” si giustificò subito.

“Stai già pensando ai testimoni!?”

“E tu ai fiori per la chiesa. Guarda che organizzare un matrimonio non è così immediato.”

“Quindi dici che dovrei cercare un testimone anche per me.”

“Bravo, hai colto nel segno.” Si lasciò stringere dalle braccia di Riccardo. “Come hanno reagito Dario e Alessandro?”

“Non gliel’ho ancora detto.”

“Complimenti.”

“Non è facile… ed Elena?”

“Lo ha capito da sola.”

Non rispose, e a Cristiana scappò una risata.

“Perché non li fai venire qui?”

“Sì… e poi? Dai, sii seria.”

“Oggi a pranzo. Ci prendiamo tutti e quattro un panino al bar e intanto ne parliamo. Anzi…” Pescò il cellulare dalla tasca del camice. “Chiamo anche Elena.”

“Pure.”

“Ssh.” Appoggiò il telefonino all’orecchio, mentre Malosti faceva di tutto pur di distrarla e farla ridere.

“Pronto, Elena?” Ma Riccardo cominciò a farle il solletico e il tentativo inutile di Cristiana di bloccargli il braccio non andò a buon fine, anche perché con l’altra mano teneva il cellulare.

“Uffa, perché mi hai svegliato?” fu il saluto lamentoso dall’altro capo del filo.

“Riccardo smettilaaa!” gli afferrò la mano ma lui continuò con l’altra.

“Mamma che succede?” chiese accompagnando la domanda con uno sbadiglio.

“Niente niente” riappoggiò l’apparecchio all’orecchio e cercò di alzarsi, ma il suo nemico non la lasciava andare.

“Allora?” la voce di Elena era abbastanza scocciata.

“Mangiamo insieme, oggi a pranzo?” chiese trattenendo una risata.

“A dir la verità avevo già un appuntamento con le mie amiche.”

Silenzio.

“Mamma ci sei ancora?”

“Sì, sì, amore, ci sono. Stai fermo!”

“Ma con chi ce l’hai?” Il cellulare volò all’altro capo del divano, e finalmente Cristiana fu libera di alzarsi per andare a recuperarlo.

“Scusa, Elena, è colpa di un paziente un po’ irrequieto.” Lo guardò sdraiato sul divano che rideva.

“È proprio necessario?”

“Sarebbe bello che venissi anche tu. Però, se proprio non puoi…”

“Non è che non posso, è che avevamo già organizzato una cosa tra noi amiche…” Starnutì.

“Hai il raffreddore?” le chiese subito.

“No, non ho niente. È l’orario.”

“Ma se sono le dieci e mezza?”

“Mamma per favore” tirò su col naso.

“Va bene, Elena, fai quello che vuoi, non ti obbligo a venire.”

“Ok, mamma, ci vediamo stasera.” E chiuse la chiamata prima che Cristiana potesse salutarla.

La Gandini lasciò cadere il cellulare in tasca e si girò verso Riccardo che aveva preso una posa un po’ più degna di prima.

“Cos’ha detto?” le chiese.

“Che non viene.”

“Mi dispiace.”

“Chiedi ai tuoi figli, no?” Tornò a sedersi accanto a lui, mantenendo però rigorosamente qualche decina di centimetri di distanza.

“Avessi il cellulare…”

“Oddio, mi sa che è una settimana che giro con il tuo telefonino nella borsa!” Si alzò e raggiunse il suo armadietto personale, dal quale estrasse la borsa. “Scarico.”

“Che bello.”

“Tieni il mio, dai.” Glielo gettò addosso.

“Come si accende?”

È acceso.”

“Non fare la precisina…”

Se lo riprese e avviò la telefonata verso il numero di casa di Riccardo. “Tieni, sta già chiamando.”

“Pronto, chi è?” La velocità della risposta dimostrò quanto suo figlio fosse più mattiniero di Elena.

“Dario, sono Riccardo.”

“Che c’è?”

“Non ti ho svegliato, vero?” richiese la conferma.

“No, stavo facendo colazione.” Ah beh, tanta differenza non c’era.

“Vi va, a te e tuo fratello, di pranzare con me e Cristiana, oggi a pranzo?” Al suo nome la Gandini cominciò ad agitare le braccia in aria per cercare di dirgli che non doveva lasciarsi sfuggire quel particolare.

“Ah sì sì” rispose invece il figlio, calmissimo.

“Anche Alessandro è d’accordo?”

“Boh. Lui sta dormendo.” Sentì sgranocchiare qualcosa, molto probabilmente un biscotto.

“Vabbè, dai, allora vi aspetto verso l’una.”

“Va bene, pa’. Ciao.”

“Ciao ciao.”

Pigiò tutti i tasti possibili e immaginabili prima di trovare quello giusto per interrompere la chiamata.

“Probabilmente ti ho fatto un po’ di casino…” Si alzò dal divano e le restituì il cellulare.

“Mmm!” Cristiana dovette togliere e reinserire la batteria per resettarlo. “Combinaguai” gli disse sorridendo. E in cambio ricevette un bacio.

“Vado a trovarmi un testimone.”

“Ok.”

Si piegò sulle ginocchia per arrivare ad altezza pancione. “Ciao piccolino” lo accarezzò e poi uscì dalla sala scoppiettante d’allegria.

 

“E così ti sposi. Pure tu.” Si appoggiò alla scrivania tenendo lo sguardo fisso al pavimento.

“È così devastante?”

“Mi sento di troppo, dentro tutta questa felicità.”

“Non dire sciocchezze. Sarai il mio testimone, vero?” Gli diede una pacca sulla schiena.

“Non sono in vena di matrimoni.”

“Sergio, sei l’unico a cui posso chiedere.”

“No, non è vero.” Si portò una mano davanti agli occhi.

“Lo so che sei distrutto. Vuoi che non capisca che lavori tutto il giorno solo per distrarti?”

“Palumbo, Santamaria…”

“Rocco ed Ettore. Ma secondo te al mio matrimonio voglio come testimone uno di quegli addormentati?”

Era riuscito a farlo ridere.

“Grazie, Malosti, che almeno ci sei tu, a tirare su di morale i poveri disgraziati come me.”

“Mai arrendersi.”

“Già.”

“Dai, io vado, a presto.”

“Ciao.”

Raggiunse la porta e l’aprì. Poi, ripensando all’ultima frase del primario, tornò sui suoi passi. “Eri ironico, vero?”

“Ovviamente.”

















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Capitolo 28
*** Famiglia allargata ***





Famiglia allargata.

Riccardo e la Gandini erano in piedi di fronte all’entrata del Morandini, e controllavano di tanto in tanto se i due ragazzi s’intravvedessero all’orizzonte.

“A che ora hai detto che sarebbero venuti?”

“All’una. Ma sono sempre in ritardo.” Malosti controllò l’orologio. Era l’una e un quarto.

“Avranno avuto dei problemi con la metro” ipotizzò Cristiana.

“Eccoli” li indicò.

“Ciao pa’. Buongiorno Cristiana” esordì Dario.

“Una pettinata ogni tanto non ti farebbe male” lo riprese Riccardo spettinandolo ancora di più con una carezza sulla testa.

“Ciao ragazzi” li salutò molto più cortese la dottoressa.

“Posso sentire il pancione?”

“Dario!” intervenne Malosti.

“Eddai, pa’!”

Alessandro si mise a ridere: suo fratello era sempre il solito.

“Riccardo, lascialo fare!” Guardò il ragazzo che sorrise e appoggiò timido una mano sul ventre di Cristiana.

“Ciao, bambino!”

Riccardo scoppiò a ridere e si appoggiò al muro.

“È un maschio o una femmina?” chiese Alessandro rimasto in quel momento in disparte.

“Non lo sappiamo ancora” rispose Cristiana.

“Io spero sia un maschio” disse francamente Dario. “Così possiamo giocare in tre alla play station.”

“Perché, una femmina non saprebbe fare a giocare alla play station?” domandò Riccardo.

“Beh… in effetti…”

“Dai, andiamo dentro, su, ché la nostra pausa pranzo non dura in eterno” li spronò il padre facendoli entrare.

 

“Ah, ma abbiamo tutta la famigliola al completo, qui!” I soliti commenti di Teresa.

“Ciao” salutarono in coro i due ragazzi.

“Come state?” fece il giro del bancone e li raggiunse. “Come siete cresciuti!”

“Bene, grazie” rispose Alessandro.

“Bene” fece eco l’altro.

“Siete venuti a trovare il futuro fratellino, eh?”

I due figli guardarono il padre in cerca di una risposta.

“Sì, sì, Teresa, scusaci, andiamo a prendere qualcosa da mangiare, sono affamati” sciolse l’inghippo Malosti, placando la sete di curiosità della donna.

“Bene, buon appetito.”

Aspettarono che avesse compiuto qualche passo in direzione della sua postazione, poi Riccardo mise un braccio attorno alla schiena di Cristiana e insieme ai due figli si fiondarono al bar.

“Io prendo due panini, però di quelli grandi” stava prenotando Dario al padre.

“Non devi mica dirlo a me, ma al barista…” rispose lui cercando con gli occhi un tavolino libero abbastanza grande. L’unico da quattro posti era occupato da Danieli. Da solo. Che però, appena li vide, si alzò, gettò la carta della consumazione appena fatta e li andò a salutare.

“Famiglia Malosti!” esclamò, mentre i due ragazzini si dileguavano al bancone del bar per comprare tutto ciò che fosse commestibile.

“Non prendere bibite gassate, che fanno solo male!” raccomandò loro Riccardo.

“Che carini che sono” commentò il primario.

“Perché li vedi adesso…”

“Andiamo a sederci?” chiese Cristiana interrompendo la discussione.

“Sì, andiamo. Ciao Sergio.”

“No, aspetta. Vuoi sederti con noi?” lo invitò la Gandini.

“No, guarda, grazie, ma ho già messo qualcosa sotto i denti, e devo sbrigare alcune faccende nel mio studio.” Alzò una mano in segno di saluto e uscì dalla sala.

Entrambi si voltarono verso Dario e Alessandro, che si stavano in quel momento sedendo al tavolo appena lasciato libero, con due vassoi pieni di cibo. E lattine.

“Ma quanta roba avete preso?” cominciò Malosti contando mentalmente i panini e le bibite.

“Ne abbiamo presi anche per voi…” spiegò con aria innocente Alessandro. “Ho fatto male?” subito si sentì in colpa.

“Ma no, certo che no” lo tranquillizzò Cristiana. “Avete preso dell’acqua?”

“Vado subito a prendertela” si offrì Dario gentilmente.

“Strano” considerò Riccardo appena si fu allontanato. “Con me non si è mai comportato così educatamente. Per farlo alzare da tavola ci volevano i carri armati.”

Alessandro sorrise. “Posso dirvi un segreto?”

“Certo” rispose la dottoressa.

“Mentre venivamo qua, mi ha confessato che è stracontento di avere un fratellino.”

Riccardo guardò Cristiana con aria allegra, poi si rivolse al figlio. “E tu sei contento?”

Arrossì. “Certo, non vedo l’ora di prenderlo in braccio!”

Cristiana non poteva non sentirsi felice. Aveva un uomo che l’amava, i cui figli non si erano indiavolati alla notizia di un nuovo membro della famiglia in arrivo. Ma ora stava per arrivare il bello. Chi avrebbe parlato loro del matrimonio?

Tornò Dario, con la bottiglia d’acqua fresca in mano. “Va bene naturale?”

“Sì, è perfetta, grazie.”

I due ragazzi si erano già catapultati sui vassoi ad agguantare i panini più grandi che avevano preso – svaligiando quasi tutto il banco –, ma i due adulti non avevano ancora toccato cibo.

Cristiana fece un cenno col capo a Riccardo come per fargli aprire bocca per primo, ma lui non demordeva nel suo silenzio. Allora lei, da brava donna diplomatica, iniziò il discorso.

“Ragazzi, io e vostro padre volevamo dirvi una cosa.”

“Sono due gemelli?” saltò su Dario sorridendo raggiante.

Riccardo guardò la futura moglie ridendo. “No, non sono due gemelli” negò.

“Ah, peccato.”

“Volevamo dirvi che…” tentò di continuare lui.

 

“Dottoressa Gandini!” Di nuovo quella voce. Li perseguitava ovunque. Si voltarono tutti e quattro e all’ingresso del bar c’era proprio lei: Teresa.

Ma non era sola. Sua figlia era accanto a lei, il volto piegato e gli occhi bassi verso il pavimento.

“Elena?” La vide e si alzò, cosa che fece Riccardo a sua volta. “Cosa ci fai qui?”

“Mamma… Mi dispiace. Io mi comporto sempre male con te. Sono venuta per scusarmi.”

“Non fare così…” le sollevò il mento per guardarla in faccia. “Tesoro ma sei pallidina!”

“Non ho niente, solo un po’ di raffreddore.” Quello che aveva diagnosticato la madre quella mattina grazie ad uno solo starnuto per telefono.

“Riccardo, ce l’hai in tasca un termometro?” Il dottore infilò le mani nelle tasche e lo trovò; lo passò sulla fronte della ragazza e lesse la temperatura: trentasette e otto.

“Un po’ d’alterazione” disse.

“Insomma… quasi trentotto!”

“Vabbè, se la metti così!”

“Vi prego, non cominciate a litigare” li fermò la cheta voce di Elena.

“No, no, amore, adesso ti porto a casa, ti faccio qualcosa da mangiare e poi vediamo se ti passa…”

“Dottoressa, se vuole l’accompagno io a casa, lei non ha ancora finito il turno…”

“Teresa, non ti preoccupare, ci penso io.” Le accarezzò una guancia e si rivolse a Riccardo. “Ci parli tu con Sergio?”

“Sì, vai pure” rispose serio.

“Salutami i ragazzi.” Fu l’ultima frase. Poi un sorriso. E uscì di scena.

 

“Che cos’è successo?” chiese Dario il curiosone nel momento stesso in cui Riccardo si sedeva al tavolo con loro.

“Niente, la figlia di Cristiana ha un po’ di febbre.”

“Ah.”

“Non è niente, dai, continuate a mangiare.”

“Papà?” parlò poi Alessandro tra un morso e un altro. “Ma cosa dovevate dirci?”

Il momento della verità. Ma ormai era in gioco, tanto valeva svelar loro la realtà dei fatti.

“Non è che vi lasciate, vero?” continuò il ragazzino.

“No, no, al contrario.” Fece una pausa. “Siete i miei figli, io avrei dovuto prima chiedere a voi. Perdonatemi.”

“Se ci dici…”

“Ho chiesto a Cristiana di sposarmi” riuscì a annunciare con grande fatica.

Dario e Alessandro si guardarono.

“Quindi vuol dire… che diventerà tipo una mamma per noi?” chiese il primo dall’aria non esattamente sconvolta come se l’aspettava.

“Beh, diciamo di sì.”

Sorrisero.

“Non siete arrabbiati, non ve ne andate gridando, o offendendomi…?”

“Ma no, papà” disse calmo Alessandro. Si alzò dal tavolo seguito dal fratello e gli andarono incontro abbracciandolo tutti e due insieme. “Ti vogliamo bene.”

“E ne vogliamo anche a Cristiana, e al nuovo fratellino” concluse Dario.

“Grazie ragazzi. Vi voglio bene anch’io.”

















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Capitolo 29
*** Maschio o femmina? ***





Maschio o femmina?

Ad una settimana al matrimonio cominciava a farsi sentire l’ansia.

 

Quel pomeriggio Cristiana aveva appuntamento dal ginecologo per i controlli di routine, e si recò quindi in reparto non senza tremila raccomandazioni di Riccardo.

“Guarda che sanno fare il loro mestiere!”

“Sì, sì, però sai che non mi fido molto.”

“Lo so. Ma non sei l’unico bravo medico sulla faccia della terra.”

Le schioccò un bacio sulle labbra.

“E poi, scusa, cosa cavolo ci vai a fare, se ci sono io a tenerti sotto controllo?”

“Ma per principio, no? È il ginecologo che mi segue, e ci vado!”

“E poi lo sai, no.”

“Cosa?”

“Che è una femmina.”

“Lo dici tu, ma non hai prove empiriche.”

“Mi basta guardarti.”

Sorrise. Perché ad un sorriso come quello che le mostrava, non c’era altro da fare che ricambiarlo.

“Ti accompagnerei, ma Sergio rompe, se mi allontano.”

“Lo so.”

“Torna presto.”

“Stai tranquillo.” Entrò nell’ascensore che si era appena aperto e premette il pulsante del piano relativo all’ambulatorio dove si doveva recare. E, prima che la porta si chiudesse, lo salutò un’ennesima volta agitando un braccio.

 

Il primario prese in mano quella cornetta e digitò rapido quel numero che conosceva a memoria. Non era mai stato ferrato ad imparare numeri di telefono, a dir la verità. Ma quello… beh, quello gli era costato la minima fatica.

Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, si prega di richiamare più tardi, grazie.” Forse era l’orario. E si mise l’animo in pace. Certo che, però, una telefonata ogni tanto non sarebbe stata male. Tuttavia non poteva sapere se il marito la controllasse o no giorno e notte. O se fosse lei stessa a volere eliminare per sempre il contatto con lui.

Toc toc.

“Avanti” disse calmo il professore.

Era Marina. “Posso entrare?”

“Certo, vieni.”

Si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania. “Hai già pensato al regalo per Cristiana e Riccardo?”

“Gli altri hanno qualche idea?”

“Non lo so. Fatto sta che il regalo dei testimoni è a parte.”

“Ah.” C’era dentro con tutte le scarpe. “Tu sei una donna, hai ovviamente più fantasia di me in questo genere di cose.”

“Avevo pensato ad una carrozzina-passeggino di quelle super accessoriate.”

“Non male.”

“Però dobbiamo dirlo agli altri prima che ci rubino l’idea.”

E Sergio non era per niente in vena di discutere su queste cose.

“Tutto bene?” lo risvegliò la pediatra.

“Sì, sì.” Si alzò e fece il giro della scrivania. “Ci pensi tu, a dirlo in giro?”

“Certo.” Si alzò a sua volta. “Sicuro che sia tutto apposto?”

Danieli annuì. “Ci vediamo più tardi.”

“Ok.” Richiuse la porta dello studio e sospirò. Come solito era sempre lei che alla fine si doveva occupare di queste cose.

 

Rocco ed Esther stavano allegramente passeggiando per i corridoi del Morandini.

“Non è che stavolta al posto del set di mestoli regaliamo una batteria di pentole, vero?” iniziò Esther spingendo il carrello dei medicinali davanti a sé.

“Guarda che sono state la Gandini e la Ranieri, a decidere, per lo scorso matrimonio” puntualizzò Rocco.

La caposala sorrise.

“Sì, ma se tutte le volte che si pronuncia il suo nome, ti illumini come un albero di Natale, faccio a meno, eh!”

“No, no, scusa.”

Lasciarono il carrello all’interno del box doppio e continuarono il viaggetto.

“Il lettino, no?”

“Un lettino!?”

“Ma sì, per il bambino.”

“Devo dire che ogni tanto hai anche delle buone idee. È l’effetto della pediatra, che ti mette in moto il cervello?”

“Smettila di scherzare.”

 

“Oh, Esther” la sua voce la fece girare.

“Marina!”

“Eccola” mormorò piano Rocco, mettendosi a ridere.

“Scusate se vi disturbo…”

“No, no, non ci disturbi” rispose rapida la caposala mostrando un suo miglior sorriso.

“Volevo parlarvi dei regali per il matrimonio” incluse nel discorso anche Rocco. “Lo so, noi siamo tremendamente in ritardo.”

“Pure noi” confermò l’infermiere.

“Tanto meglio. Io e Sergio abbiamo deciso per la carrozzina, quindi, attenti a non fregarci l’idea!”

“Puoi stare tranquilla, non era nostra intenzione” la mise al corrente Esther.

“Già” s’inserì Rocco. “Costei ha pensato al lettino.”

“Grande idea, complimenti!” le appoggiò istintivamente una mano sulla spalla e lei sorrise nervosa per il contatto.

“Ehm… grazie.”

“Senti, io questo pomeriggio vado in centro in quel negozio per bambini che hanno aperto l’anno scorso, hai presente?”

“Ehm…” Risposta insicura per evitare di limitarsi ad un no secco.

“Volevo chiederti se ti faceva piacere accompagnarmi, così diamo un’occhiata.”

La proposta di Marina la fece arrossire a tal punto che persino le sue mesh alla zucca cambiarono colore.

“Sì, grazie, ci penserò…” Era al massimo dell’agitazione.

“Va bene, allora mi avvertirai della tua decisione più tardi in pediatria, ok?”

La caposala annuì, e Marina si allontanò.

“No, aspetta!” esclamò Esther prima che la donna percorresse l’intero corridoio.

La pediatra si voltò.

“D’accordo, vengo.”

Marina sorrise e tornò a camminare, mentre la caposala continuava a guardarla incantata.

 

“Stamattina sono andata a ritirare il mio vestito per il matrimonio di Riccardo e Cristiana.” Laura fece dondolare una sportina colorata davanti al dottor Santamaria. “Vuoi vederlo?”

“Eh, no! Non voglio mica rovinarmi la sorpresa!”

“D’accordo…” finse una faccia imbronciata.

“Solo il colore.”

“No, non vale più.” Nascose la sportina nel suo armadietto e lo richiuse dolcemente.

“Ho sentito che stanno scegliendo i regali” la mise al corrente Valerio.

“Lo so. Rocco ed Esther il lettino, i testimoni il passeggino…”

“Come fai a sapere tutte queste cose!?”

“Io mi informo. E ho già pensato a noi.”

E meno male, lui non aveva nemmeno una mezza idea. “Sentiamo.”

“Hai presente quell’affare che si attacca sopra la culla e gira facendo la musichetta?”

“Quello con le apine e i vari animaletti?”

“Bravo, quello lì.”

“Ma ti pare un regalo… normale?”

“Se hai delle storie ci vai tu, a comprare quello che vuoi! Gli altri hanno già prenotato tutti i regali che tu definisci normali!”

“Va bene, finiamola qua. Almeno ci ricorderanno per qualcosa di diverso, mettiamola così.”

Laura sorrise. “Sei fantastico.”

 

L’ascensore si fermò al piano terra e la donna di Malosti fece il suo passo fuori dalla cabina.

Glielo doveva ovviamente dire. E sorbirsi altre mille lamentele sulla professionalità non professionale degli altri medici. Rigorosamente tutti incompetenti. Perché solo lui era il più bravo. Perché solo lui era il chirurgo con più esperienza e abilità manuale di tutto il Morandini & Co. Perché solo lui era Malosti.

E si sarebbe arrabbiato. Con lei, con il ginecologo, con tutti.

 

Le sue labbra non sorridevano, quando entrò nella sala medici silenziosa.

E così si alzò e le andò incontro senza parlare.

“Il bambino sta bene?” era l’unica cosa che gli interessava in quel momento.

“Sì.”

La guardò con espressione interrogativa. Perché non sorrideva. “Allora qual è il problema?”

“Il ginecologo non è riuscito a capire se è un maschio o una femmina.”

“Di nuovo?” Ok, era arrabbiato. “Facciamo prima a vederlo nascere, che aspettare lui!”

“Non fare così, dai.” Cercò di calmarlo. Ma non ci riuscì. Era testardo come pochi.

“Certo che un ginecologo che non sa leggere un’ecografia… Come siamo ridotti!”

“Daiii, non è colpa sua, c’entra con la posizione del bambino!”

Ma non si smuoveva. “Vieni con me.” La prese per mano, ma lei non si mosse.

“E dove?”

“Te la faccio io, l’ecografia.”

“Adesso non esagerare, ti prego.”

“Fidati di me.”

Il problema era che si fidava di lui, forse troppo. E quindi lo seguì. Purtroppo per lei un box libero c’era, così dovette sopportare l’esagerata premura di Malosti, che andò a recuperare l’ecografo portatile che in quel momento aveva appena finito di utilizzare un altro medico nel box adiacente, e tornò da lei, che, di malavoglia, si era sdraiata sul lettino.

“Ma non faranno male, tutti questi ultrasuoni?” tentò di convincerlo a piantarla.

Ma Riccardo negò. “Solo qualche secondo.”

Dopo avere applicato un po’ di gel sul pancione di Cristiana – e dopo averla sentita lamentarsi per il fatto che fosse gelato – accese lo schermo e si mise a scrutare suo figlio con molta attenzione.

“Potresti girare lo schermo, per favore?” chiese lei sollevandosi sui gomiti per cercare di vedere qualcosa.

“Ssh. E stai ferma.”

Tornò sdraiata. “Ma potevo scegliermelo non dottore?” mugugnò aspettando una sua reazione.

“No.”

Ancora qualche attimo di silenzio. E poi, finalmente, girò lo schermo verso di lei.

“Te l’avevo detto che sono il migliore. È una femmina.”

Dannazione. Aveva sempre ragione.

















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Capitolo 30
*** Quel giorno ***





Quel giorno.

“È… tutto pronto, no?” Cristiana era al limite dell’agitazione.

“Sì, ma ti devi rilassare, altrimenti non ci arrivi all’altare” cercava di mantenere tutto sotto controllo.

La fece sedere sul divano in soggiorno. “Ora mi devo vestire anche io, ché è già tardi.”

Laura la lasciò nel silenzio della stanza.

Mi sposo. Cioè, non ci credo. Tra mezz’ora mi sposo. Mi sposo con Riccardo. E aspetto un figlio da lui. Cioè, una figlia. Lei dice bene, ma com’è possibile stare calmi in una situazione del genere?

La bambina scalciò, spaventando la madre.

“Ti ci metti pure tu adesso? Non farmi brutti scherzi, eh!”

“Parli da sola?” era Laura dalla camera da letto.

“Ma no! Con lei…” disse accarezzandosi il pancione. “Oggi non vuole star ferma…”

“Sarà nervosa anche lei!”

“E chi lo sa, può darsi.”

“Allora, come sto?” Laura era tornata davanti a lei a mostrarle l’abito. Lungo fino al ginocchio, color rosa chiaro con una fantasia a fiori, molto estivo, fasciato in vita da un nastro fucsia che terminava sulla schiena in un grosso fiocco.

“Sei… bellissima.”

“No, bellissima sei tu, sia chiaro.”

 

Stesso orario, studio del professor Danieli. Rigorosamente chiuso a chiave.

“Sì, ma se stessi fermo, non vedi che hai la gamba del pantalone messa male?”

No, in realtà non vedeva proprio niente. Aveva solo un gran caldo, e quella cravatta gli dava un enorme fastidio, così la slacciò un po’.

“Eh no, pure la cravatta?” Danieli si stava arrabbiando. Gli sistemò il nodo ma Riccardo reclamava come un bambino a cui non andava bene niente.

“Non sono abituato a portare cravatte!” esclamò nervoso.

“E abbi pazienza per qualche ora! Cosa sarà mai!”

“La fai facile… non sei tu, lo sposo.”

Sergio prese in mano il telefono. “Vuoi chiamarla e disdire?”

“Non ci penso neanche, ormai sono vestito, e la torta è ordinata…”

 

“Dai, andiamo” Laura l’accompagnò alla propria macchina sistemando di tanto in tanto l’abito della sposa.

“Saranno già arrivati?”

La guardò tramite lo specchietto. “Beh, manca un quarto d’ora, credo di sì…”

Cristiana sorrise. “Sono felice, lo sai?”

“E lo credo bene! Tra poco ti sposi… e aspetti anche una bambina!”

“Non saranno troppe cose tutte insieme? Forse avremmo dovuto aspettare la nascita…”

“Il battesimo, la prima comunione e la maturità! Cristiana, ma non sarà la cosa migliore quella di diventare una famiglia e poi mettere al mondo vostra figlia?”

“Sì, sì, scusa, ma è tutta questa agitazione che mi mette sotto sopra i pensieri.”

 

“Sergio, adesso mi devi ascoltare bene.”

“Allora aspetta che mi siedo, non si sa mai.” Prese posto su una delle due sedie antistanti la scrivania.

“Dunque…” fece mente locale. “La macchina di Cristiana è nel garage di casa mia, ieri pomeriggio l’ho portata a far lavare e stamattina prima di venire qui c’ho messo i fiori sul cofano con tutti i nastri, nastrini e robe varie.”

“Mmm… non pensavo ti fossi ricordato perfino di sistemare la macchina della sposa. Ma qual è il problema? Non usate la tua?”

“Voglio farle una sorpresa.” Sorrise. “E tu sarai l’autista.”

“Bel lavoro.”

“Non scherzare. Adesso io vado in chiesa, invece tu vai a casa mia, tiri fuori la macchina e ci raggiungi con quella.” Sfilò le chiavi dalla tasca degli altri pantaloni appoggiati a casaccio sull’altra sedia.

“Mi raccomando però” lo avvertì prima di consegnargliele. “Parcheggiala dietro la chiesa, non la deve vedere nessuno.”

“Va bene, va bene.”

Si sistemò per l’ennesima volta il nodo alla cravatta e aprì la serratura della porta.

“Riccardo.”

Si voltò a guardarlo.

“Auguri.”

















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Capitolo 31
*** Quel giorno, qualche minuto dopo ***





Quel giorno, qualche minuto dopo.

Teresa, Esther e Rocco erano in mezzo alla navata in cerca del pettegolezzo prematrimoniale.

“Avete visto com’è bella Marina?” iniziò Terry toccandosi i capelli per controllare che tutto fosse in ordine.

“È la testimone. Ci mancherebbe che non fosse bella…” fece il suo intervento Rocco. “Sarai forse invidiosa?”

“Macché” si affrettò a rispondere lei. Esther, che non aveva ancora detto nulla, lasciò il trio e raggiunse la pediatra vicino all’altare.

“Ma…” iniziò l’ispettrice.

Rocco rise. “Già, tu non lo sai!” esclamò, tutto orgoglioso.

“E cosa dovrei sapere?” era già infuriata al solo pensiero di non sapere qualcosa.

“Dicono di averle viste entrare in un ascensore” spiegò sottovoce fieramente.

“E con ciò?”

“E uscire a braccetto” terminò piegandosi verso di lei.

“Tutto è bene ciò che finisce bene” si limitò a constatare Teresa, anche se il fatto di non aver avuto l’esclusiva della notizia la stava rodendo completamente.

“È arrivato lo sposo!” la pronuncia española zittì tutti i presenti, così che l’imbarazzo di Malosti nell’entrare fu raddoppiato da quell’aria osservatrice degli ospiti, che lo stavano squadrando dalla testa ai piedi.

“Com’è teso!” commentò Teresa fissando il gesto ormai involontario di allentarsi la cravatta.

Raggiunse velocemente l’altare, dove Esther e Marina si stavano dando opinioni sui loro rispettivi abiti, e l’occhiataccia che lo sposo offrì alla caposala bastò a farle tagliare la conversazione per tornare alla sua postazione accanto a Rocco e Teresa.

“Che modi!” esordì quando fu accanto a loro.

“Eh, Estherì, già fa così abitualmente, pensa il giorno del suo matrimonio…” rispose Rocco terminando la frase in una risatina.

 

Di lì a poco anche il secondo testimone raggiunse il suo posto.

“Tutto a posto?” chiese subito Malosti. Sergio annuì sorridente.

















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Capitolo 32
*** Quel giorno, quel momento ***





Quel giorno, quel momento.

La tensione era ormai al culmine, e Riccardo alternava momenti di lucidità a momenti in cui non sapeva nemmeno dove si trovasse. Ogni tanto gettava occhiate a Danieli, impeccabilmente vestito con quell’abito scuro che ne sottolineava l’eleganza, immobile di fianco a Marina.

E lui… beh, lui era proprio irresistibile. Giacca e pantaloni neri, camicia bianca e cravatta dello stesso colore scuro dell’abito. Uno sposo classico, insomma. Per non parlare del suo gesto nervoso e molto ripetitivo di allentarsi il nodo, che sembrava ogni minuto di più stringersi per non farlo respirare.

Controllò l’orologio: le undici e cinque minuti. Si voltò verso il parroco, che annuì sorridendo.

“Le spose sono sempre in ritardo” lo confortò.

“Sì, ma non Cristiana…” rispose lui borbottando sottovoce.

Avevano ragione entrambi. Cinque minuti non sono nemmeno classificabili nel range del ritardo, però erano sempre cinque minuti.

La marcia nuziale attaccò all’improvviso, così che oltre a tutta l’ansia accumulata sin quel momento, il poverello dovette subire un forte spavento.

Dalle porte già aperte provenivano alcuni raggi di sole, anche se la giornata di fine estate non era delle più calde. Ma il raggio che fece voltare Malosti non fu uno di quelli che derivava dalla grande stella infuocata, bensì dal sorriso luminoso e incantante della dottoressa che iniziava in quel momento a percorrere la navata centrale della chiesa. E pensare che poco tempo prima entrambi erano seduti dalla parte opposta, ad assistere ad un matrimonio del loro collega, mentre adesso… beh, non avrebbero mai immaginato di scoprirsi innamorati l’uno dell’altra al punto tale da prendere il loro posto. Ma, come si dice, in questi casi non si sa mai come va a finire…

 

Eccola, era lei. Ma non sembrava nemmeno lei, e Riccardo dovette fare un certo sforzo pur di riconoscere quel viso, incorniciato in un’espressione fantastica, quei capelli e quel pancione. Dietro di lei Elena, che ogni tanto sistemava la coda dell’abito della mamma, felice e sorridente allo stesso modo, e Laura, di cui molto probabilmente lo sposo non si era nemmeno accorto, che raggiunse rapida il suo posto in mezzo agli altri colleghi.

 

Sembrava essere stata colpita da una paralisi momentanea. Il sorriso sul suo volto era totalmente involontario, colpa della gioia che quel momento le stava portando dentro.

 

“No, non posso essere io la persona che vuole sposare, non posso essere io lo sposo…” erano i dubbi insulsi di Riccardo, tutti conseguenza dell’apparizione di Cristiana, così angelica, celestiale.

Continuava a osservarla camminare, fissando nella testa tutti i particolari di quell’attimo, dal vestito all’ultimo invitato in fondo alla chiesa.

L’abito della sposa, bianco, era appena scollato in alto, e le estremità della parte superiore si andavano a ricongiungere con le maniche rotondeggianti e voluminose. La stoffa candida scivolava poi dolcemente sulla curva deliziosa del pancione e cadeva a terra, contornata da un paio di scarpe con tacco non troppo alto che si intravedevano appena dietro la semitrasparenza dell’abito.

Le mani sostenevano un raffinato bouquet di rose bianche e rosa, tra le quali spuntavano nastri di colore intonato ai fiori.

Era a poco più di un metro di distanza da lui, così che poté notare finalmente il suo regalo pendere con grazia infinita dal suo collo, appena nascosto dal velo trasparente che le copriva il volto.

Giunse di fianco a lui. Si guardarono reciprocamente, poi Riccardo sollevò delicatamente il velo e lo lasciò cadere dietro il capo, così che liberò una minicoroncina argentata che lo reggeva ai capelli lievemente arricciati.

 

La cerimonia poté avere inizio, anche se non fu facile affrontarla mantenendosi tranquilli, dato che l’agitazione continuava a farsi sentire anche dopo i fatidici .

Elena si fece avanti con le fedi, che consegnò loro dopo aver guardato sorridendo la madre.

Si dissero l’un l’altra la frase di rito, scambiandosi gli anelli con evidente tremore alle mani.

“Vi dichiaro marito e moglie” terminò infine il parroco, godendosi l’espressione gioiosa sul volto degli sposi.

Riccardo si voltò verso di lei, le mise una mano sul pancione e con l’altra le accarezzò una guancia.

“Ma siamo sicuri che ci siamo sposati per davvero?” chiese sottovoce mentre la folla, e soprattutto il club pettegolaro del pronto soccorso, seduto in seconda fila, allungava i colli per leggere il labiale.

“Purtroppo sì” rispose. Si mordicchiò un labbro, poi lo guardò in attesa. “Riccardo” lo chiamò.

“Che c’è?”

“Il bacio.”

“Eh?”

“Mi devi baciare” gli rammentò, guardandosi intorno un po’ imbarazzata, ma cercando di fare finta di niente.

“Ah, sì” si corresse subito, dopo essere diventato paonazzo. Le prese il viso tra le mani e toccò le sue labbra con le proprie.

Gli ospiti non aspettarono un istante di più per applaudire, e anche l’organo iniziò la sua corsa di note musicali.

 

Entrambi al loro secondo matrimonio, entrambi restii e confusi sul comportamento a cui attenere per l’uscita. Così improvvisarono, e percorsero la navata dall’altare sin all’esterno senza che nessuno desse loro un segno.

“Ma le foto?” cominciò a lamentarsi Teresa dalla seconda fila. “Avevamo detto che ne facevamo un po’ dentro e un po’ fuori…”

Il fotografo intanto era uscito con loro.

“Si vede che hanno cambiato idea” commentò Esther dandosi una sistemata ai capelli.

“Dai, dai, andiamo, chi ce l’ha il riso?”

“Io” era Valerio.

“E dove?” chiesero in coro l’infermiera Bruno e la receptionist.

“In macchina.”

“In macchina, ma sei normale? Dobbiamo tirarlo adesso e tu lo lasci in macchina?” Terry era fuori di sé e stava sbraitando in mezzo alla chiesa. Dietro al Santamaria mortificato trovò con gli occhi Elena con due cestini ricamati in mano. Le corse dietro facendosi largo tra gli ospiti e gliene chiese uno.

“Scusa ma è un’emergenza” si giustificò, e, con un cenno del capo, invitò gli altri due a uscire dalla chiesa.

Cristiana e Riccardo si erano fermati esattamente davanti alla porta, e si guardavano sorridendo, noncuranti del via vai di colleghi e parenti che facevano a gara per uscire.
All’interno non vi era rimasto nessuno, a parte loro due. “Andiamo?” domandò lui. La prese a braccetto.

“Sì” sorrise dolcemente. E insieme raggiunsero gli altri nel piazzale esterno.

Non potevano scampare al lancio del riso. Erano già pronti, loro, chi si era preparato i cestini, chi si era limitato alla confezione da cucina, ma sempre il rito era. Pronti con un pugnetto già stretto in mano per prendere la mira e colpire il bersaglio il più in sincronia possibile, per inondarli di chicchi bianchi ovunque.

“Viva gli sposi!” era il grido di Dario, sorridente vicino ad Elena e al fratello, entrambi tutti in tiro. Non finì nemmeno la frase che la tempesta ebbe inizio, e con essa il tentativo disperato di difesa. Cristiana si nascose dietro Riccardo e non la smetteva di ridere alla visione di lui che agitava in aria le braccia come chi cerca di allontanare una mosca.

E poi finì anche il riso.

La Gandini tornò di fianco a lui, ma non aveva fatto i conti con Teresa, che se n’era risparmiato un po’ giusto per tirarlo addosso alla sposa nel momento più inopportuno. Ecco, ora era tutto perfetto, e anche Malosti rideva.

Felici come due bambini si lasciarono scattare un paio di foto da soli e successivamente con tutta la schiera di colleghi, tra cui la donna dai capelli rossi che non smetteva di ripetere che avrebbe ordinato una copia della foto da attaccare dietro al desk accettazione.

Terminato il servizio fotografico post-matrimonio, non rimaneva altro che tornare tutti insieme al pronto soccorso per gustarsi il rinfresco che avevano preparato in sala medici per l’occasione. Niente gran pranzo al ristorante, anche se non sarebbe stata male come idea, ma una cosa più in famiglia, più… a casa.

“Volevo ringraziarvi tutti” la voce di Cristiana placò il borbottio generale e ottenne in pochi secondi il totale silenzio. “È stata una cerimonia splendida, proprio come avevamo desiderato.” Fece una pausa e guardò Riccardo. “Anche se… tutti avremmo voluto che ci fosse anche Giulia, qui con noi.”

“Sì” intervenne il marito. “Però sappiamo anche che non possiamo avere tutto. Quindi ringraziamo chi è venuto oggi senza dimenticare chi non ha potuto raggiungerci. Grazie.”

L’ennesimo applauso partì nel semicerchio che si era formato davanti a loro.

“Vado a prendere la macchina” disse poi Sergio per concludere.

“E il bouquet?” la voce era ovviamente quella di Teresa.

“Lancio?” chiese conferma a Riccardo.

“E lancia!”

Si girò di spalle e lo gettò indietro a casaccio.

Due mani dalla pelle chiara lo accolsero. E una chioma bionda si voltò verso il collega accanto a lei.

















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Capitolo 33
*** Ancora quel giorno ***





Ancora quel giorno.

“Chissà che non sia una storia a lieto fine anche la loro” si lasciò sfuggire Cristiana, lo sguardo puntato verso Valerio e Laura.

“Qui ci sono fin troppe storie a lieto fine. Speriamo non porti male” commentò lui.

Un’auto, quell’auto, si fermò davanti alla chiesa e suonò due volte il clacson.

“E… questa!?” La dottoressa la indicò esterrefatta. La sua macchina, tirata a lucido, fiocchi e fiori ovunque.

“Una sorpresa per mia moglie.” Che effetto strano gli faceva pronunciare quella parola.

Sorrise. Un sorriso sincero, dolce, da mangiarselo di baci. Ed è quello che fece. Le circondò il collo con un braccio e posò le proprie labbra sulle sue. Sapeva di fragola.

“Sei contenta?”

“No. Di più.”

Sergio pigiò di nuovo sul volante. “Allora, vi muovete?” gridò sporgendosi dal finestrino aperto.

“Che autista rompiballe!” replicò Malosti prendendo a braccetto la donna per accompagnarla all’auto.

“Che sposo volgare!” disse per tutta risposta il primario.

“Ma guarda te, non scende nemmeno per aprirci le portiere” si lamentò con Cristiana mentre tentava di infilarle tutto l’abito all’interno dell’abitacolo.

“Troppa grazia!” esclamò Sergio ridendo.

“Va bene così, dai, sistemo io” disse piano la dottoressa raccogliendo la coda del vestito.

Riccardo chiuse la porta e fece il giro della macchina per sedersi accanto a lei.

 

Laura era seduta accanto al posto conducente nella macchina di Valerio, a fissare il bouquet che teneva ancora in mano da quando le era stato lanciato.

“Bella cerimonia” commentò Santamaria mettendo in moto la macchina parcheggiata nel cortile di fronte alla chiesa.

“Già.” Giocherellò con i nastrini, mentre Valerio aspettava che l’auto degli sposi partisse, per seguirla fino al Morandini.

“Sei proprio bella, sai?”

“Grazie” rispose, con un dolcissimo sorriso.

“Laura?”

“Sì?” distolse per un momento lo sguardo dai fiori.

“Ti voglio sposare.”

Lo fissò stupefatta. “Non è uno scherzo, vero? No, perché, capisco che abbia preso il bouquet, però…”

“No, non sto scherzando.”

“Sicuro?”

“Laura mi vuoi rispondere?”

“Sì, sì, sì, sì” ripeté entusiasta, gettandosi al collo di Valerio.

 

“Sergio, vogliamo partire, o facciamo notte?”

“Parto, parto.”

Riccardo si voltò nella direzione in cui Danieli stava guardando fino a quel momento.

“Cosa c’è di così interessante?” chiese poi, mentre anche Cristiana si faceva prendere dalla curiosità e ruotava il collo a sua volta.

“La Costa e Santamaria. Si stanno abbracciando.”

“Capirai… come se non li avessimo visti mille volte.”

“Mi sa che il vostro matrimonio sia contagioso.”

Cristiana guardò Riccardo sorridendo.

“Quanto sei bella…” le sussurrò lui ad un orecchio sporgendosi verso di lei.

 

Arrivarono al pronto soccorso.

“Tutto apposto per il rinfresco?” subito Teresa chiese delucidazioni in merito.

“Sì, ci doveva pensare Esther. Anche se ancora non capisco perché l’abbiano voluto fare qua…” rispose Rocco parcheggiando svelto la macchina. Scesero entrambi, seguiti dalla caposala e Marina, la quale aveva posteggiato l’auto accanto alla loro.

“Dai, dai, dai, diamoci una mossa, prima che entrino!” corsero verso la sala medici, mentre il resto del personale del Morandini li guardava con delle espressioni che erano tutto un programma.

“Ma cos’hanno da guardare?”

“Terry, ti rendi conto, vero, di come siamo vestiti?”

“Teresa! Beh, che c’è di male, ogni tanto un po’ d’eleganza non fa male…”

“Voglio vedere cosa diranno quando ad entrare saranno gli sposi” intervenne Esther facendosi largo tra un gruppo di infermieri.

 

Niente, era la risposta. Perché li accolsero con un caloroso applauso. Sia che li conoscessero da una vita, sia che fosse la prima volta che li vedevano.

 

Sorrideva, Riccardo, e si sentiva felice. Felice come non mai, di essersi ricreato la sua famiglia. Con una mano reggeva un lembo dell’abito di Cristiana per non farla inciampare, con l’altra le teneva la mano e la guardava sorridere.

“Dove dobbiamo andare?” si voltò verso Danieli, che li seguiva.

“In sala medici, mi sembra ovvio” gli rispose.

 

“Esther, ma non avevi portato la roba in frigo?” Teresa osservava davanti a lei i ripiani semivuoti.

La caposala si mise una mano davanti alla bocca e cominciò a sbraitare. “Oddio oddio oddio!”

“Ma perché?” chiese Marina non essendo al corrente.

“Non è possibile… ma come ho fatto a dimenticarmi?”

“Ti sei dimenticata tutti i pasticcini e i salatini a casa!?” Rocco non sapeva se mettersi a ridere o piangere.

“No, non li ho proprio ritirati dal negozio…” si lasciò cadere sul divano, mentre Teresa si metteva le mani nei capelli: aveva i nervi a fior di pelle.

“Ragazzi, dobbiamo risolvere.”

“Tu sei la testa del gruppo, pensa a qualcosa…” le disse l’infermiere controllando che da fuori non entrasse nessuno.

“Sì, sì, penso, penso, penso…”

“Un mio amico ha un ristorante, qui vicino” la pediatra zittì tutti. “Sì, ma non mi guardate così!”

 

Danieli, davanti agli sposi, raggiunse la sala medici, davanti alla quale si erano riuniti tutti i colleghi. Dalla stanza ne uscirono due, che però si appiattirono sulla porta.

“Beh, non si entra?” chiese Cristiana osservandoli ad uno ad uno. Teresa, che aveva la mano appoggiata alla maniglia, chiese conferma a Rocco – che era rimasto dentro con Marina – tramite il vetro della porta.

Si annuirono a vicenda, e la donna poté finalmente farli entrare.

“Oddio” fu l’esclamazione della Gandini appena ebbe messo piede nella sala.

La luce proveniente dalla finestra illuminava il grosso fiocco attaccato al manubrio di una carrozzina ultima generazione rosso fiammante.

A Malosti scappò una risata.

“Beh, ecco, volevamo che si notasse bene” giustificò la scelta del colore Marina, che rigirava tra le mani il cellulare appena utilizzato.

“Regalo dei testimoni” spiegò a sua volta Sergio. “Carrozzina, passeggino e seggiolino auto, tutto incluso.”

“Caspita, avete pensato in grande, eh” esclamò la sempre più meravigliata Cristiana.

“Perché non hai visto gli altri regali.”

“Ah, perché ce ne sono degli altri? Se sono tutti così grandi, ci toccherà noleggiare un furgoncino per portarli a casa” scherzò Riccardo.

“Intanto questo è il nostro.” Valerio recuperò da sotto il tavolo un grosso pacco incartato. “Mio e di Laura, intendo” precisò.

Lo passò a Riccardo, che subito lo consegnò in mano a Cristiana. “No, no, lo lasciamo aprire alla mamma!”

“Ah, ma che carino, grazie!” commentò lei dopo aver strappato un lembo della carta colorata.

“Te l’avevo detto, io, che le sarebbe piaciuto quello con le apine” si affrettò Laura a borbottare a Valerio.

“Grazie a tutti, davvero, siete stati gentilissimi” concluse la Gandini appoggiato l’involucro sul tavolo.

“Il nostro… ehm” Rocco si guardò intorno titubante.

“Sì, ecco” seguì Teresa toccandosi nervosamente i capelli.

Entrambi guardavano Danieli, che intervenne. “Cosa c’entro io?”

“L’abbiamo montato nel suo studio, professore” chiarì Esther. Rocco le pestò un piede. “Ahi!”

“Montato!?” esclamò il primario, a cui solo a sentire nominare il suo studio veniva la pelle d’oca.

“Io, l’ho montato, diciamo le cose come stanno” si fece avanti Palumbo.

“E ti tocca anche smontarlo, perché mi sa che non riusciranno a portarsi a casa un lettino intero.” Eva, la voce della saggezza.

“Ci avete preso…”

“Anche un lettino?” si terminarono la frase a vicenda Malosti e la Gandini. Che vennero trascinati nello studio di Sergio insieme a tutti gli altri.

 

Era tutto rosa, comprese le copertine.

“Speriamo che le piaccia, il rosa” dichiarò Riccardo osservandolo.

“Il mio studio… una cameretta” fingeva di disperarsi Sergio camminando avanti e indietro per la stanza occupata da tutti i colleghi.

“Dai, su, dà un tocco giovanile all’ambiente, no?”

Danieli gli gettò un’occhiataccia. E Riccardo alzò le mani in segno di resa come per fargli capire che stava scherzando.

“È stupendo, grazie, però… mi sa che davvero dovrete smontarlo, perché nella mia macchina non entra di sicuro” fece presente la Gandini a Palumbo, che alzò le spalle arrendendosi al suo destino.

“Nemmeno nella mia, se è per questo.”

“Io avrei un’idea” disse sogghignando Rocco. “E se lo incastriamo dentro l’ambulanza?”

“See!” fu la risposta quasi in coro di tutti gli altri, che si misero a ridere.

 

“Io avrei un po’ di fame” la voce che rese noto ciò che gli altri avevano timore di rivelare fu quella di Franco, che fu subito ripreso da Eva per la sua troppa schiettezza.

“In effetti non sarebbe male mettere qualcosa sotto i denti” seguì subito Valerio.

Teresa guardò Rocco e poi Cristiana, la quale scosse veloce la testa come per chiedere quale fosse il problema.

“C’è stato un disguido tecnico” annunciò l’infermiere dopo essersi schiarito la voce.

Riccardo si voltò verso la moglie. “E ti pareva…”

“Ehm” cercò di continuare, ma si bloccò subito dopo.

“Quello che voleva dirvi Rocco è che ci aspetta un pranzo come si deve, degno del matrimonio dei nostri due migliori chirurghi” aveva preso la parola Marina e con efficacia aveva risolto il problema.

“Ma… non avevamo detto che…” la Gandini non sapeva più cosa dire, così guardò Sergio, che forse sapeva più di lei.

Il primario scosse però il capo, e seguì Esther e Marina che stavano cominciando ad uscire con tutta la squadra.

“Ma dove?” volle sapere Malosti, a cui gli imprevisti non erano mai piaciuti.

“Non vi preoccupate, ogni ristorante è sempre meglio che un semplice rinfresco!”

“Dipende da che ristorante…” commentò il dottore tenendo stretta la coda dell’abito di Cristiana, che mugugnava qualcosa del tipo accontentati ogni tanto.

“Posso andarmi a cambiare, prima?” esclamò la Gandini a tutti quanti.

“No!” se non erano stati tutti, a gridare con tono deciso quel monosillabo, ci mancava davvero poco.

“Va bene, va bene, va bene” ripeté. Ormai comandavano loro.

Ma almeno si sarebbero risparmiati un pranzo a base di soli pasticcini, e nessuno dei dottori si sarebbe lamentato in fatto di dieta.

 

Cristiana e Riccardo presero posto sulla macchina infiocchettata, mentre Danieli metteva in moto.

“Io seguo Marina, eh, non l’ha voluto dire nemmeno a me il nome del posto.” Fu una dichiarazione inutile. Li controllò dallo specchietto retrovisore e poi si voltò direttamente verso di loro. “Quando parlo mi potreste anche ascoltare, eh!” Fu inutile anche questo, perché i due sposi avevano appena trovato un briciolo di tranquillità per potersi baciare in santa pace e per quanto volevano.

“Riccardo…” si staccò dalle sue labbra.

“Mh?”

“Ti amo.”

Malosti sorrise. “Anche io” le sussurrò prima di perdersi di nuovo in quegli occhioni scuri e tornare a giocare con la sua bocca.

















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Capitolo 34
*** L'ascensore ***





L'ascensore.

“Cristiana.”

“Eh?” si voltò verso di lui, dopo aver riconosciuto la voce. La donna, in piedi davanti alle porte chiuse dell’ascensore, aveva appena premuto il pulsante di chiamata.

“Non mi avevi detto che venivi.”

“Ho cambiato idea. Teresa mi ha detto che dovevi essere su.” Alzò la testa verso il soffitto.

“Ci sto andando, ho preso un caffè.”

Lo guardò corrugando la fronte.

“Il primo.”

Sorrise.

“Vengo con te?” le propose lui.

“È solo un consulto.”

“Non ti disturbo.”

Le porte dell’ascensore si aprirono.

“Allora?” lo incalzò, mentre alcuni infermieri uscivano dalla cabina. “Mi sa che la caffeina ti debba ancora andare in circolo bene, perché ti vedo così poco scattante…”

“Ho dormito poco stanotte.” L’accompagnò all’interno dell’ascensore tenendole un braccio attorno alla schiena. Pigiò il tasto del piano e si appoggiò alla parete, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio.

“Qualche problema?” gli si avvicinò e gli ricompose un ciuffo dei capelli decisamente disordinati, mentre lui le accarezzava il pancione.

“No, ho dovuto aiutare Dario a studiare. Oggi ha il compito in classe di recupero di matematica.”

“Aah, capisco. Ecco perché non hai voluto che rimanessi.”

“Sarebbe stata una scocciatura.”

“Grazie.”
“Ma no, non tu.” Gli sfuggì una risata. “Per te, sarebbe stata una scocciatura.”

“Certo, ora è chiaro.”

Sorrisero entrambi, e Riccardo sbadigliò un’altra volta.

“Appena torniamo in pronto soccorso ti prendi un altro caffè.”

“È un rimprovero, una resa o semplicemente una constatazione?”

“È una richiesta. Non vedi che non ti reggi nemmeno in piedi?”

Allungò il collo per darle un piccolo bacio sulle labbra.

“È tutto qui, quello che sa fare, dottor Malosti?” lo guardò sorridendo maliziosa.

“Siamo in ascensore, dottoressa Gandini. Le poche volte che lo abbiamo preso insieme le abbiamo usate solo per litigare.”

“C’è sempre tempo per rimediare, no?” gli si avvicinò e cominciò a baciarlo sulle guance.

“Gandini…”

“Sì, Malosti?”

“Te l’ho mai detto quanto io odi gli ascensori?”

Aveva raggiunto le labbra. “Te l’ho mai detto quanto io odi che mi chiami per cognome?”

Uno a zero per Cristiana.

Lo sentì sospirare, prima che eliminasse di nuovo la distanza e ricongiungesse le proprie labbra con le sue, rispondendo al bacio della moglie.

L’ascensore si fermò di botto al piano, spaventandoli.

“Ahia!” gridò la dottoressa portandosi una mano alla bocca. “Mi hai morso un labbro!”

“Scusa, non ho fatto apposta, dai, fai vedere” le prese il polso e le spostò il braccio. “Non è niente” disse toccandole delicatamente il labbro inferiore. “Andiamo” la prese per mano.

“Che cazzo succede?” Le porte dell’ascensore non si erano aperte, sebbene sul display fosse visualizzato il numero del piano.

“Riccardo perché non si apre?”

“È quello che sto cercando di capire!” cominciò a premere rapidamente il pulsante a cui erano indirizzati, ma la luce rimaneva accesa senza che effettivamente succedesse niente.

“Stai calmo, eh, altrimenti inizio ad agitarmi anche io.”

“Calmo, calmo… io odio gli ascensori!”

“Sei claustrofobico?”

“No.”

“E allora…?”

“Li odio e basta. Mi dai il tuo cellulare?”

“Per fare cosa?”

“Vuoi che facciamo le belle statuine fino a che qualcuno non scopre che siamo chiusi dentro?”

“No, le belle statuine no…” gli si avvicinò lentamente e gli appoggiò le mani sui fianchi, sotto il camice aperto e si fece abbracciare da un Riccardo che non aveva nessuna intenzione di perdere tempo in coccole.

Così cercò nelle tasche della giacca di Cristiana il telefonino, digitò rapido il numero e lo portò all’orecchio, mentre la Gandini appoggiava le mani sul suo petto.

“Teresa?”

“Sì, chi parla?” La voce squillante raggiunse anche la donna, che si alzò sulle punte per addossarsi a lui e ascoltare meglio.

“Chi vuoi che parli, sono il dottor Malosti!” esclamò in tono un po’ alterato.

“Oh, scusi, non l’avevo riconosciuta.”

“Forse per l’acustica che c’è nell’ambiente in cui mi trovo!”

“Ah, perché, dove si trova?” chiese ingenua.

“Chiuso in ascensore!” gridò.

“Ah.”

“Teresa, fai chiamare subito qualcuno, chi vuoi tu, quelli della manutenzione, i pompieri… e avvisa il professor Danieli, che se non viene nessuno a tirarci fuori entro un tempo ragionevole, vedrai che quarto d’ora gli faccio passare!”

“Dottore, farò il possibile, io non so cosa dirle, qui è tutto apposto, la luce non è saltata… lo capisce anche lei che ho una quantità indescrivibile di cose da fare, e non posso stare dietro a tutto!”

“Comincia a stare dietro a quello che ti dico io!”

“Riccardo basta!” Cristiana gli prese il cellulare dalla mano e parlò con Teresa.

“Sono la dottoressa Gandini, mi dispiace per come ha reagito il dottor Malosti, ma si trova in uno stato emozionale e mentale alterato. Quindi ti prego, avvisa qualcuno, perché non so quanto durerà qui dentro.”

“Sì, certo, dottoressa, allora c’è lei con lui… Faccio subito.” E chiuse la conversazione.

“Ci voleva molto, eh?” gli chiese rimettendo apposto il telefono.

Riccardo si sfilò il camice che appoggiò spiegazzato per terra e tornò con la schiena attaccata al muro.

“Rilassati, non è successo niente.”

“Mh.”

“Va meglio?”

“Sì. Tu?”

“Mi sta venendo mal di schiena.” Appoggiò le mani ai fianchi cercando di stare in posizione più eretta possibile. “Era meglio se rimanevo a casa.”

“Siediti, dai” Riccardo le diede una mano ed entrambi finirono per sedersi a terra. “Non mi hai ancora detto perché sei venuta qui.”

“Non me l’hai ancora chiesto” con un mugugno si sistemò più vicino a lui e appoggiò il capo sul suo petto.

Lasciò passare qualche secondo, mentre finalmente poté sentire il respiro di Riccardo tornare alla normalità.

“Sono venuta a salutarti.”

“Non ci credo.” Iniziò ad accarezzarle i capelli.

“Invece dovresti.”

“Ah sì. Perché sei tu quella che dice che la sincerità è tutto, tra marito e moglie.”

“Lo è.”

“Non è vero. Qualche piccola bugia a volte può salvare il matrimonio.”

“Mi hai mai mentito?” alzò la testa per guardarlo negli occhi.

“Certo che no. Cioè…”

“Cioè cosa?”

“Almeno non da quando siamo sposati.”

Lo guardò stupefatta. “Se l’avessi saputo, ci avrei pensato due volte prima di dirti di sì.”

“Lo avresti fatto comunque. E poi siamo pari.”

“Pari?”

“Sì. Mi hai mentito anche tu. Nella stessa identica situazione. Almeno spero.”

Ora ce l’aveva Riccardo, il coltello dalla parte del manico.

Cristiana tornò nella posizione di prima e intrecciò le mani con quelle di Malosti appoggiate sul pancione.

“Allora l’hai capito.” Le baciò una tempia.

“Certo che l’ho capito. E magari se me lo dicevi prima…”

“Non sarebbe stato tutto così bello.”

“E non avrei fatto la sciocchezza più grande di tutta la mia vita.” Si riferiva a Guidi.

“No. Quella l’hai fatta sposandomi.” Rise, mentre lei iniziò a dargli dei colpetti a pugno chiuso sul petto.

“Ma guarda te…” si mordicchiò il labbro superiore e anche a lei sfuggì una risata.

Finirono per guardarsi. E Cristiana si lasciò baciare da suo marito.

Marito… che effetto le faceva tutte le volte che pensava di essere unita a lui da quel legame.

“Ma tu non odiavi gli ascensori?”

“Beh, diciamo che con te mi fanno un altro effetto.”

“Chissà se ci tireranno mai fuori di qui” si levò la giacca.

“Adesso hai preso il mio posto?”

“No, era solo per ironizzare un po’.” Si portò una mano sul grembo, facendo una smorfia.

“Che c’è?” intervenne subito lui.

“Non lo so. C’è qualcosa che non va.”

“Daniela, tesoro!” Palumbo si fece largo tra alcuni infermieri con il cellulare in mano.

“Mi spieghi cos’è questa storia?” chiese la voce un po’ meno zuccherosa dall’altra parte del filo.

“Quale, mio amor?”

“Il regalo che mi hai lasciato sul tavolo questa mattina.”

“È per te, stellina.”

“Un cellulare.”

“Sì, piccola.”

“Non lo volevo.”

“Eddai, amore della mia vita, così possiamo sempre rimanere in contatto!”

Gli passò accanto Marina con un orsacchiotto in mano, e si mise a ridere sentendo di sfuggita le frasi sdolcinate di Nicola.

“Ci rimaniamo già abbastanza!”

“Ops, scusa, ho un’altra chiamata, ti metto in attesa, amore mio.”

“Sì, ciao” e buttò giù, senza tanti problemi.

“Papi, ci sei?” era l’altra chiamata. E cambiò istantaneamente registro linguistico per inventarsi altri epiteti più consoni ad una bambina.

“Certo, zuccherino, dimmi.”

“Posso dormire da un’amica questa sera? Ti prego ti prego ti prego.”

Vide Danieli dietro di lui e nascose il cellulare in tasca.

“Tanto ti ho visto” gli disse. Poi passò oltre.

“Pulcino, ci sei ancora?”

“Ovvio, papà. Allora?” iniziava ad essere scocciata.

“E quale sarebbe, questa tua amichetta, coniglietto?” Si chiese come gli era saltato in mente, di chiamarla coniglietto.

“Margherita. Allora ci posso andare, vero, vero, vero? Mi viene a prendere la sua mamma!”

“E va bene, però mi raccomando, principessa, comportati bene!”

“Sì, certo, papi. Ciao!”

“Cioè ma non ci credo. Ma sul serio ‘sta voce che gira è vera?”

“Quella dell’ascensore?”

“Macché! Quella ormai si sa…” Teresa abbassò la voce e si piegò verso Rocco. “Il matrimonio” bisbigliò pianissimo e accelerando la frase.

“Eh?” fece lui, che non aveva capito nulla.

“La Costa e Santamaria” spiegò per intero. “A te le cose bisogna sempre ripeterle due volte. Le ha fatto la proposta.”

“Ma quando?”

“Ma che ne so… forse ancora un paio di mesi fa, quando aveva concluso il divorzio con quell’altra.”

“Ah, Terry, non sei più quella di una volta. Anni fa fiutavi le notizie fresche fresche. Adesso invece devi mandare in giro delle spie…”

“Io non ho delle spie” si difese subito.

Squillò il telefono.

“Scusa eh…” sollevò la cornetta mettendosi a sedere. “Pronto soccorso Morandini?”

“Teresa…”

“Oh, dottor Malosti!” guardò Rocco con un cenno d’intesa.

“Come procedono le cose?” S’inginocchiò davanti a Cristiana, tenendo in equilibrio il telefonino.

“Eh…” continuò a guardare l’infermiere in cerca di una risposta. “Eh, non lo so, qui quelli della manutenzione stanno cercando il guasto, ma all’apparenza tutto dovrebbe funzionare…”

“Cristiana stai tranquilla, eh…”

“Dottore cosa succede?”

“Niente. Niente.”

Teresa adocchiò Danieli passare accanto al desk, e svelta lo chiamò. “Professore, è Malosti, al telefono.”

“Ah, sì, mi faccia parlare con lui.” Si allungò per prendere la cornetta. “Riccardo?”

“Sergio? Invece di girare inutilmente per il pronto soccorso, potresti anche dare una mano a quegli scansafatiche dei tecnici!”

“Stai calmo!” guardò alternativamente Rocco e Teresa cercando di mostrar loro un’espressione rassicurante.

“Stare calmo!?”

“Vi tireremo fuori!”

Attimo di silenzio.

“Riccardo, ci sei ancora?”

“Cazzo!”

“E non reagire così, datti una regolata!”

“Rilassati, respira…”

“Ma ce l’hai con me? Guarda che sei tu quello…” Sentì un gran botto.

Aveva mandato al diavolo il cellulare della Gandini, che ora giaceva in un angolo dell’ascensore con la voce di Danieli che gridava il nome di Riccardo.

“Cristiana, ti giuro che ci tireranno fuori da qui.”

Le stringeva una mano.

“No, no…” scosse la testa e le scese una lacrima. “Ti prego di’ a Sergio di muoversi…”

Camminò gattoni e recuperò il telefonino ancora in fase di chiamata.

“Sergio?”

“Alla buon’ora. Che è successo?” Ormai si stavano preoccupando tutti i presenti, che si stavano moltiplicando parola dopo parola.

“Se non ci tiri fuori da qui entro cinque minuti non so cosa ti faccio!”

“Primo: non è colpa mia; secondo…”

“Teresa, che succede?” la tipa dai ciuffi arancioni non poteva certo mancare.

“Ssh” la zittì, tutta intenta ad ascoltare la discussione del primario.

“… se mi spiegassi qual è il problema…”

“Le si sono rotte le acque, santo Dio!”

















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Capitolo 35
*** Benvenuta al Morandini - FINE BLOCCO II ***





Benvenuta al Morandini.

Danieli appoggiò lentamente la cornetta al suo posto, con la faccia un po’ sconvolta.

“Beh?” fu la richiesta di informazioni di Teresa. “Cosa…?”

“A che piano sono?”

“Loro o i tecnici?”

“Tutti e due.”

“Credo al quinto, così dicevano.”

La ringraziò con un rapido cenno del capo, poi corse lungo l’ambiente d’ingresso per raggiungere le rampe di scale.

“Che cosa…?”

Teresa si passò una mano tra i capelli.

“Esther, non ti ci mettere anche tu, non vedi che si sta innervosendo?” la zittì Rocco, e la caposala si dileguò, per evitare altri guai.

“Eh certo che mi sto innervosendo!” scattò la donna colpendo la scrivania davanti a lei con un pugno.

“Terry…”

“Teresa!”

“Ti stanno guardando tutti…” le bisbigliò dandosi un’occhiata intorno.

“Non mi interessa, che guardino pure! Qui non ne va bene una! E l’ascensore, e Danieli, e Esther… e te!”

“Non è niente…” diceva intanto l’infermiere al capannello di curiosi.

Rocco s’inginocchiò accanto a lei e la prese per le braccia. “Terry guardami.”

“No!” si passò una mano sugli occhi per asciugarsi una lacrima. “Va tutto da schifo…”

“Ci stai mettendo del tuo meglio, non devi sentirti in colpa se gli ascensori si bloccano o se quella sottospecie di caposala non sa fare il suo lavoro senza disturbare quello degli altri!”

Continuava a piangere.

“Vieni qui, dai…” L’abbracciò. “E non piangere, che altrimenti ti si spettinano i capelli…”

“Che stupido che sei…”

 

“Riccardo, ma perché così presto, perché?”

“Tranquilla.” Le prese le mani e gliele baciò. “Va tutto bene.”

“Cos’ha detto Sergio?”

“Niente, ha messo giù.”

“Bell’aiuto.”

“Sarà caduta la linea.”

“Aaah!” si portò le mani sul grembo, in una smorfia di dolore.

“Un’altra contrazione?”

“Sì…”

“Vedrai che usciremo prima…”

“Prima che nasca? Io Sergio lo ammazzo!”

Riccardo si appoggiò alla parete accanto a lei. “E posso darti una mano?”

“Con molto piacere.”

 

“Riccardo? Cristiana?” un grido proveniente dall’esterno fece scattare in piedi Malosti. “Mi sentite?”

“Si parla del diavolo” disse piano alla moglie. “Sì, ti sentiamo!” gridò forte.

“Come va?”

“Una meraviglia…” ironizzò lui, avvicinandosi di più alle porte.

“Male!” tentò invece la Gandini, in un urlo. “Vogliamo uscire da qui!”

Sentirono bisbigliare qualcosa dall’esterno, probabilmente era il primario che parlava con i tecnici.

Riccardo tornò accanto alla donna, che aveva chiuso gli occhi addossata alla parete.

Le carezzò una guancia, e lei lo guardò cercando di sorridere.

“Mi spieghi perché non me ne sono rimasta a casa?”

“Perché… ti mancavo?”

“Un’altraaa!” si piegò in avanti. “Se continuano così…”

“Non ci pensare. Non nascerà qui, te lo prometto.” Le diede un bacio sulle labbra.

Si alzò di nuovo in piedi e raggiunse le porte. “Sergio, porca miseria, la smetti di parlare del più e del meno e chiami qualcuno di più capace?”

“Riccardo basta, stiamo facendo il possibile.”

“Mettetevi nella testa di fare anche l’impossibile. Sono stato chiaro?”

 

Esther camminava allegramente per il corridoio e a metà strada tra le scale e l’ascensore incontrò la pediatra, che la salutò con un sorriso.

“Ciao.”

“Ciao. Tutto bene?” le sollevò la testa con una mano sotto il mento.

“Nessuno mi dà retta” mise il broncio.

“E tu comincia a dare degli ordini, no? Sei o non sei la caposala?” sorrise Marina cercando di tirarle su il morale.

“Come se fosse facile… Cambiando discorso, dove vai di bello?” le chiese Esther cominciando ad agitarsi.

“Mi accompagni?” mise un piede sul primo gradino.

“Sì, ma dove?”

“Devo andare a visitare un bimbo, su in reparto. Avrò bisogno d’aiuto, mi hanno detto che è un po’ scalmanato.”

“Ah, sì, certo, vengo molto volentieri!” Si scostò di qualche passo e chiamò l’ascensore.

“È inutile, oggi non funziona.”

“Come mai?”

“Un guasto…”

“Ah.”

“Dai, andiamo” la prese per mano e insieme salirono le scale.

 

“Oddio!” fu la reazione di Cristiana quando avvertì l’ascensore muoversi.

Riccardo, che era ancora impalato davanti alle porte a discutere con Sergio, si zittì all’improvviso e alzò gli occhi verso il display, su cui i numeri in rosso decrescevano.

“Stiamo scendendo” constatò lui.

Il suono caratteristico dell’arrivo li fece automaticamente voltare verso la porta che si sarebbe dovuta aprire.

E che si aprì.

 

Un infermiere a pochi metri da loro li vide e subito corse loro incontro.

“Vai a chiamare qualcuno… la dottoressa Costa, Santamaria, ci va bene anche Palumbo, o Esther, Rocco… insomma, vai a cercare chiunque!”

“Grazie al cielo…” pronunciò la donna colta all’improvviso da un’altra contrazione.

“Ah, e porta anche una sedia, una barella, quello che c’è!” gli gridò prima che se ne andasse.

Tornò da lei. “Ce la fai ad alzarti?”

“Penso di sì.”

Si aggrappò a lui che la tirò su di peso.

“Ti avevo detto che ce la facevo da sola.”

“Usciamo di qui, prima che si chiuda di nuovo.” La portò fuori e la fece sedere sulla sedia che aveva appena portato Rocco.

Malosti la spinse in direzione dell’accettazione, seguendo l’infermiere che gli camminava accanto.

“Esther non è rintracciabile, Marina pure, Palumbo è al telefono, Santamaria si è preso mezza giornata di permesso, Danieli è al quinto piano, Ettore è a casa con l’influenza e… io sono qui.”

“Eccomi!” esclamò Laura arrivando rapida verso di loro per poi procedere al loro passo.

“Ah, ecco chi mi ero scordato” sorrise l’infermiere.

“Contrazioni?” chiese la Costa.

“Ogni due minuti” rispose la Gandini alzando gli occhi verso suo marito che annuì.

“Rocco, ma dove stiamo andando?” si preoccupò quest’ultimo.

“Da Teresa, no? Sentiamo se c’è un box libero…”

Giunsero davanti al desk accettazione, dove la donna scattò in piedi appena li vide.

 

“Cioè… fatemi capire… non avete chiesto nemmeno un posto in maternità?” continuò Malosti guardando tutti e due.

“No, dottore, mi dispiace, non c’è stato tempo… però c’è il box quattro libero…” intervenne Teresa.

“Che consolazione!”

Sergio arrivò di corsa mentre Riccardo stava già accompagnando Cristiana al box indicato.

“Malosti!” lo raggiunse col fiatone giusto in tempo per aprirgli la porta. “Come ci siete riusciti? I tecnici hanno detto” riprese fiato, “che è ripartito da solo!”

“Se fossi in te mi licenzierei.”

“Potete rimandare la vostra discussione a più tardi? Qui, se non l’avete ancora capito, c’è una bambina che vuole nascere!” gridò la Gandini tirando Riccardo per la manica della maglia blu.

“Vai almeno a sentire se possono mandarci giù un’ostetrica…” fece un tentativo il dottore parlando con Danieli, che annuì e tolse il disturbo.

 

“Ehm… è lei la caposala?” Un tizio vestito con una tuta blu elettrico fece alzare lo sguardo a Teresa.

Erano in tre, uno più atletico dell’altro, a guardarla, al di là del bancone, con lo stesso abbigliamento da lavoro.

“Purtroppo no” disse dopo essersi ripresa dalla visione. “Perché la cercavate, se posso chiedervelo?”

“Volevamo informarla del costo della riparazione dell’ascensore.”

“Ma se si è riparato da solo?” si lasciò sfuggire la donna sorridendo, per poi smetterla subito, viste le facce dei tre, che si guardavano sbuffando.

“Non è meglio riferirlo al primario del pronto soccorso?”

“Signorina…”

“Signora” lo corresse.

“Signora, ci faccia parlare con chi vuole, ma qualcuno ci dovrà pur pagare.”

 

“Teresa, chiama immediatamente in maternità, e chiedi…”

“Eccolo!” lo indicò, piegato sul bancone.

Sergio guardò i tre. “Avete trovato il guasto?”

“Sì. Non c’era nessun guasto.”

“Ah. Senti Teresa” cercò di continuare la frase, ma il destino voleva che non ci riuscisse.

“È lei il primario?”

“Sì, sono io, qualche problema?”

“Ci sarebbero da pagare i costi per la riparazione.”

“Ma se avete appena detto…”

“La chiamata ha un prezzo.”

“Sì, sì, certo, avremo tempo per discuterne. Teresa…”

“Le lascio la fattura” il tipo più grosso la sfilò dalla tasca dei pantaloni e gliela porse. Era ripiegata in quattro parti.

Danieli lo guardò un attimo, poi aprì il foglio e lesse la cifra.

“Duecento euro?”

“Una chiamata, d’urgenza, in piena mattinata…”

“Per forza che era d’urgenza, siamo in un pronto soccorso!”

“Noi ora dobbiamo andare. E lei sicuramente ha di meglio da fare che stare qui a discutere. Arrivederci.”

“Ma guarda questi…” borbottò a Teresa dopo che si erano allontanati.

“Aveva bisogno, professore?”

“Sì, devi chiamarmi un’ostetrica, subito.”

“Allora è proprio ora?” Già non stava più nella pelle di raccontarlo a tutti.

“Sì, Teresa, sì.”

 

“Riccardo rimani qui, ti prego!” esclamò Cristiana.

Malosti le strinse una mano tra le sue e le diede un bacio sulla fronte. “Sono qui amore mio, sono qui.”

La porta si spalancò ed entrò Danieli. “Ci mancavano anche i tecnici dell’ascensore. Duecento euro per niente.”

“Ti pare il momento?” lo rimproverò svelto Riccardo.

“A che punto siamo?” chiese poi il primario a Laura.

“Mi sa che dell’ostetrica dovremmo fare a meno. La dilatazione è completa” rispose tranquilla. Si rivolse poi alla Gandini. “Ora tocca a te, fai dei bei respiri e spingi.” Sorrise. “Ma che te lo dico a fare, lo sai meglio di me!”

 

“Da non crederci. No, no, da non crederci.”

“Ora parli da sola. Guarda che te lo pago io, uno psicologo, se proprio devi continuare così.”

“Rocco perché non te ne vai a fare un giro?”

“Perché l’ho appena fatto.”

“Vanne a fare un altro.”

L’arrivo di Esther tutta di corsa spaventò entrambi.

“Sapete qualcosa di quella donna che sta partorendo? Si sentono le urla dal corridoio… Stamattina non ho visto mica nessuno, è arrivata mentre io ero su? E poi perché non l’avete portata a maternità? Ah, forse per via dell’ascensore rotto!”

Teresa guardò Rocco, che la zittì con lo sguardo.

“Non sappiamo niente, mi dispiace. Come vedi per una volta siamo disinformati come te” le disse l’infermiere.

“Perché non ti vai a fare un giro anche tu e non vai a vedere chi è? Così ti passi via un po’ il tempo” la donna cercò di parlare nel modo meno scontroso possibile.

“Bella idea, vado. Ciao!”

“Ciaoo” mosse appena un dito per salutarla. “Rocco, non dire niente.”

“Da non crederci, eh?”

“Cosa?”

“Ah, non lo so, è quello che stavi dicendo tu prima che arrivassi.”

 

“Dai, Cristiana, ci siamo quasi, un ultimo sforzo” le diceva intanto Danieli.

“Devi chiamare Elena, Riccardo, devi chiamarla…” gli stringeva forte la mano.

“Sì, dopo, adesso pensa a farla nascere!” intervenne la Costa.

 

E un grido, un pianto, il suono di una nuova vita che aveva conquistato l’aria per la prima volta riempì la stanza, accompagnato dai sorrisi di tutti e quattro i medici.

Ma soprattutto di quello della Gandini appena l’accolse in braccio.

“È bellissima, Cristiana, è… è il regalo più bello che mai potessi farmi…” Riccardo si stava quasi commuovendo, sotto le risatine divertite di Laura e Sergio, il quale intanto aveva raggiunto la porta per controllare se in giro si vedesse Marina.

No, quella che vide fu Esther, che si affacciò al vetro della porta e si mise una mano davanti alla bocca per lo stupore.

La neonata piangeva tra le braccia della madre, che continuava a guardare alternativamente la bambina e Riccardo, che quasi aveva paura di accarezzarla, da quanto delicatamente la stava toccando.

Se qualcuno le avesse chiesto cosa stesse provando in quel momento, non sarebbe riuscita a spiegarlo neanche con il ricorso ad un dizionario. Con la mano libera cercò Riccardo, che si piegò su di lei sorridendo e baciandole le guance, la fronte, le labbra, piegate in quel sorriso dolcissimo.

“È così piccola…” disse il padre sollevandole una manina con un dito.

“È identica a sua madre” commentò la Costa avvicinandosi per guardarla meglio.

“E meno male” la risata non proveniva da nessuno di loro quattro.

Si zittirono tutti quanti e si voltarono.

La videro, appoggiata alla porta, con un sorrisetto che subito si spense.

“Che c’è, stavo scherzando!”

La caposala evitò di guardare Malosti, che se non fosse stato per il fatto che davanti a lui c’era sua figlia appena nata, gliene avrebbe dette di tutti i colori, a partire dal colore dei suoi capelli e dalla sua scarsa abilità lavorativa.

 

“Ah, ma allora è nata!” questa volta la voce era molto meno gracchiante della precedente.

E Marina s’intrufolò all’interno del box facendo scostare la caposala.

“Che bella bambina!”

Cristiana la lasciò prendere in braccio. “Adesso tu vieni con me” la coprì maggiormente con il lenzuolino che l’avvolgeva. “Ve la riporto presto… giusto il tempo dei controlli di routine… ma quanto sei bella?” esclamò accarezzandola.

Si girò verso Esther, impalata fuori dalla porta. “Vieni con me?” Il sorriso della pediatra era così irresistibile che la caposala non se lo fece ripetere due volte.

 

“Ma…” Riccardo fece due passi verso l’uscita, come per richiamare Marina.

“Dottor Malosti, stia tranquillo, non le ha mica rubato sua figlia!” esclamò la Costa, che fu subito guardata male.

Il medico si girò quindi verso Cristiana, che soffocava una risata con un dito in mezzo ai denti.

“Cosa ridi, te, eh?”

In un baleno la raggiunse e l’acchiappò in un abbraccio.

“Sei sempre il solito.”

“Ah sì?”

La Gandini gli prese il volto tra le mani e lo baciò sulle labbra. “Sì. Ed è per questo che ti amo.”

 

Ora avevano davvero tutto.

Cristiana aveva un marito che l’amava, una figlia adolescente con tutti i problemi che si portava dietro (primo fra tutti la matematica), una figlia appena nata da poter coccolare e crescere insieme ad un uomo e un padre meraviglioso.

Riccardo aveva finalmente una donna che riusciva a tenergli testa, in gamba, sempre attenta e… bellissima.

Gli aveva dato una figlia, per la quale si stava lamentando di non averla ancora presa in braccio, causa una certa pediatra frettolosa, due figli da tenere sotto controllo ogni secondo della giornata e uno specializzando da torturare.

Cristiana e Riccardo avevano due case, due affitti – oh, pardon, due case e un affitto –, un matrimonio, quattro figli, una decina di colleghi più impiccioni delle casalinghe annoiate, un primario con cui litigare, un passato pieno di errori, ma…

Ma erano felici, e non potevano chiedere nient’altro.

 

O forse…?






Fine BLOCCO II

















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Capitolo 36
*** INIZIO BLOCCO III - G come Gandini ***





Inizio BLOCCO III






G come Gandini.

“Oh, finalmente, Santamaria!” lo chiamò Riccardo fermandolo in mezzo al corridoio.

“Per una volta che mi prendo qualche ora libera…” borbottò Valerio sistemandosi il camice che si era appena infilato.

“Senti, non è che ti occuperesti dei pazienti del tre” gli appoggiò in mano una cartella di quelle che aveva, “e del nove? Diciottenni, lite scolastica, niente di preoccupante. Pensa che li hanno dovuti separare di sei box, altrimenti sarebbero tornati a scannarsi.” Gli porse la seconda cartella sopra l’altra.

“Non puoi pensarci tu?”

“Eh, no, Santamaria” sorrise. “Io ho un’altra faccenda da sbrigare.” E lo salutò con una pacca sulla spalla, allontanandosi prima che Valerio potesse sbuffare.

 

La Gandini era semidistesa sul letto del box, a braccia conserte, con lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé. Dalla sua sinistra sentì la porta aprirsi, e un sorriso accompagnò l’entrata del suo visitatore.

“Ciao Cristiana.” La raggiunse svelto e si sedette sul letto accanto a lei, che subito si tirò su per dargli un bacio.

“Come va il lavoro?” gli chiese.

“Non c’è male. E tu, come stai?”

“Un po’ stanca… però bene, dai” si lasciò abbracciare. “Perché sei qui?”

“Perché… perché… perché… scusa, fammi pensare, non è nata mia figlia, oggi?” rise.

“Intanto Marina non me l’ha ancora riportata.”

“Eh, lo sai come sono le pediatre.”

“E come sono?” gli appoggiò le mani sulle spalle e piegò la testa da un lato in attesa di una risposta.

“Molto scrupolose.”

“Hai una così alta considerazione per gli altri medici, adesso?”

“No, non dicevo mica sul serio.”

Cristiana lo guardò e si mise a ridere. “C’avrei giurato. Perché sei tu il migliore.”

“Vedo che cominci a capire la mia filosofia.”

“Non ci vuole molto.”

La porta si aprì di nuovo. E questa volta era Esther che spingeva un carrello per neonati.

“Marina ha detto che è sanissima. Tre chili e sei.” Fece per prenderla in braccio, ma Riccardo fu più svelto.

“La prendo io.” E con una delicatezza unica ed un sorriso emozionato, Malosti la sollevò pian piano cercando di non farla piangere.

“Io vado allora” disse la caposala cercando conferma.

“Grazie” rispose la Gandini osservando attenta il lavoro del marito. “Guarda che non è di cristallo, puoi anche stare meno rigido quando la prendi in braccio!” esclamò dopo che la donna dai ciuffi arancio se ne fu andata.

“Puoi avere un po’ di pazienza? E non urlare, che altrimenti comincia a strillare.”

Detto fatto. Appena la sistemò in braccio e le accarezzò il capo lentamente, la neonata iniziò a piangere dentro il suo pigiamino rosa.

“Visto?” si lamentò il dottore cercando di calmare la piccola cullandola.

“Dammela qui.” Allungò le braccia verso di lui.

“No, tra un po’ smette” si ostinava. Ma continuava ancora più forte. “C’avrà fame…”

“Secondo me le fai paura.”

“Ma sono suo padre!”

“Ma lei non lo sa! Dai, portala qui, e non fare storie.”

Tra un mugugno e un altro, coperto dal pianto della malostina, Riccardo fece il giro del letto e la consegnò tra le braccia della madre.

“Su, su, piccola, adesso c’è la mamma qui con te…” le sussurrava mentre la cullava lentamente.

“Ssh… dai, amore, che non è successo niente, sì, il mostro cattivo è andato via…” Guardò Malosti trattenendo una risata.

“Ah cominciamo bene…” si lasciò sfuggire lui.

Fatto sta che la bambina smise di agitarsi.

“Gandini, lo sai che non si dovrebbero insegnare queste cose ai bambini…”

“L’hai spaventata!”

“Non l’ho spaventata, è lei che senza un motivo logico ha cominciato a piangere!”

“Tu e i tuoi motivi logici, perché non pensate ad un nome da darle?”

Si zittì.

“Ora non hai più parole, eh?”

“Sto pensando…”

“Pensa, pensa” e intanto lei coccolava la sua piccolina.

“Gelsomina.”

Cristiana sollevò il capo e corrugò la fronte. “Eh!?”

“Gertrude. Genoveffa.”

“Riccardo, non è mica un cane!”

“Girasole.”

“E nemmeno una pianta!”

“Serve un nome significativo, aulico, elegante, ma allo stesso tempo pratico… che dici di Gina?”

“Senti, ma ti sei rimbambito? Prima la vuoi chiamare Gelsomina, poi Gina?”

“No, hai ragione, troppo corto.” Si portò una mano alla bocca per assumere una posizione pensante. Poi alzò al cielo un dito, come se avesse trovato l’illuminazione. “Giuseppina!”

“Tu hai la febbre.”

 

Marina camminava tranquilla verso l’accettazione, e le venne da sorridere quando vide di sfuggita Cristiana, Riccardo e la piccola all’interno di quel box.

“Ciao Teresa” salutò la donna, che aveva appena messo giù il telefono.

“Oh, dottoressa. Allora è nata, come sta?”

“Certo che è nata. Ed è una bellissima bambina.”

“Ma com’è, com’è, dico… a chi somiglia?”

“Beh, è troppo piccola per dire da chi ha preso… ti posso dire che ha i capelli castani, ma per gli occhi bisogna aspettare qualche mese prima che il colore si definisca del tutto.”

“Ah, sì, sì, certo.”

“Vado a prendermi un caffè, a dopo.”

“A dopo, dottoressa.”

 

Fu il turno di Esther, che appena la Ranieri ebbe svoltato l’angolo, si presentò al cospetto di Terry l’acchiappa pettegolezzo.

“Allora come va, come va, con Marina, eh?” si allungò la rossa sul bancone.

“Bene, perché?”

“Bene bene, o bene insomma?”

“Bene e basta, ma perché?”

“No, così, tanto per.”

“È nata la bambina della Gandini, te l’ha detto?” cercò di cambiare discorso.

“Oh, certo che me l’ha detto. Ah, a proposito… mi ha detto anche che andava a prendersi un caffè. Se corri fai in tempo a raggiungerla…”

“Beh, grazie…” sorrise e si allontanò in direzione dei distributori.

 

Valerio entrò in sala medici e gettò sul tavolo le due cartelle che gli aveva consegnato Malosti.

Solo dopo si accorse che accucciata sul divano c’era Laura, che con il botto si era svegliata di colpo.

“Non ti avevo vista, scusa…”

“Non fa niente. Che succede?”

“È un’ora scarsa che sono qui e già mi hanno riempito di lavoro. Soprattutto Riccardo.”

“Ci credo. Vorrà stare un po’ con sua figlia.”

“Sua moglie” puntualizzò lui.

“Beh, anche, ovviamente.”

Si guardarono.

“Mi sa che non ti hanno messo al corrente della novità.”

“Cioè? È già nata?”

“Esatto. Questa mattina.” Si stiracchiò sbadigliando. “Dopo essere rimasta chiusa in ascensore.”

“In ascensore?”

La Costa sorrise. “Dai, vieni qua, che ti racconto tutto.”

 

Riccardo continuava a girare per la stanza inventandosi dei nomi.

“Giacinta.”

“Ancora con questi fiori… e poi tutti con la G?”

“Sì. G come Gandini.”

Cristiana si mise a ridere.

“Giulietta” fece un altro tentativo.

“Sì, e se era un maschio Romeo.” Poi si fermò, e si mise a fissare Riccardo. “Tu sei un genio” gli disse, tirandosi un po’ su con l’aiuto della mano libera.

“Grazie, ma lo sapevo da me.”

“Sì, tuo papà è proprio un genio” ripeté, seria, questa volta alla bimba.

“Ah, sì? Poco fa non ero un mostro?”

“Poco fa.”

“Allora, la chiamiamo Giulietta?”

“Ma no!”

















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Capitolo 37
*** A volte ritornano ***





A volte ritornano.

Donna.

Tacchi alti.

Un bambino in braccio.

Nell’altra mano una borsa.

Scosse la chioma riccioluta per allontanare dalla fronte una ciocca rossastra e fece due passi in avanti, il cuore che le martellava nel petto.

Ispirò profondamente per inglobare quanta più aria poteva.

“Casa” si disse.

E sul suo volto si instaurò un sorriso.

Un sorriso che valeva molto più di cento parole.

 

“Allora, che ne dici, Sergio, ti piace? Sai, io l’ho scelto perché… beh, lo sappiamo tutti il perché.”

Cristiana stava camminando avanti e indietro per il box con la piccola addormentata in braccio, mentre il primario era appoggiato al letto.

“No, no, è… bellissimo” disse, con un velo di tristezza negli occhi.

“Ehi… che ti succede?” si fermò a guardarlo.

“Niente. Mi fa davvero piacere che voi siate così felici.”

La donna sorrise. “Vuoi prenderla in braccio?”

“Posso?”

“Ma certo!”

Danieli le si avvicinò e la prese piano tra le braccia. “E a Riccardo piace, il nome?”

“Pensa che voleva chiamarla Genoveffa.”

“Malosti!?”

“Sì. E poi mi ha fatto tutta una sfilza di nomi di fiori… Gelsomina, Giacinta… beh, insomma, alla fine ha tirato fuori pure Romeo e Giulietta.”

Sergio guardava rapito il visino della bambina. “È proprio bella.” Le accarezzò pianissimo il capo. “Senti, ma… come hai fatto a mandare a lavorare tuo marito?”

“Gli ho detto che non gliel’avrei più fatta prendere in braccio, se non usciva di qua.”

“Astuta!”

La porta si spalancò in un tremendo tonfo, e la piccola cominciò a strillare per lo spavento.

“Buona, buona, buona!” Cristiana la riprese in braccio e cercò di calmarla.

“Sergio, c’è un’emergenza, devi venire con me in sala operatoria, subito!” E Santamaria se lo portò via, non prima di essersi scusato e congratulato al tempo stesso con la madre della bambina.

 

Non era cambiato nulla dall’ultima volta in cui aveva visto il pronto soccorso.

Dall’ultimo saluto a Teresa.

Che ora lei era là, frenetica come suo solito a dar retta a dieci persone contemporaneamente, di cui due al telefono e una che era Rocco.

“Signora, se non è urgente, si vada a sedere in sala d’attesa; la chiameremo noi quando si libererà un medico!” Appoggiò il telefono all’orecchio. “Le ho detto che mi servono subito, quelle analisi!”

Passò Nicola. “Dottor Palumbo?”

“Sì?”

“Ci sarebbero questi due pazienti da dimettere.” E gli allungò con un sorriso da trentadue denti le cartelle.

Poi un’altra voce si distinse nel confuso mormorio di fondo.

“Teresa, ho bisogno che chiami immediatamente questo chirurgo da cardiologia, ti lascio il nome.”

 

E lo vide.

E si sentì morire.

 

“Sì, professore, mi dia pure, lo contatto subito…” annuì Teresa appoggiando il fogliettino sul banco.

“Quanto mi piacerebbe andare a vedere la bimba della Gandini e di Malosti… guarda, se non avessi tutto questo lavoro sarei già scappata a darle un’occhiata…” Teresa stava parlando con Rocco, che intanto masticava un cracker, accanto a lei.

“Ti copro io, se vuoi” disse, accartocciando la carta della confezione.

“Sì, con Danieli qui…” le parole le morirono in gola, appena ebbe sollevato il capo verso Sergio.

Il primario si era irrigidito, appoggiato al bancone, e guardava verso l’uscita del pronto soccorso con la bocca socchiusa.

Teresa si lasciò cadere all’improvviso sulla sedia dietro di lei, prendendo Rocco per una manica.

“Io non mi sento tanto bene…” gli disse scuotendo la testa.

 

Il professore aveva lasciato il desk e camminava lento in direzione della donna, che stava immobile, a pochi metri dalle porte scorrevoli del pronto soccorso, dalle quali continuava ad entrare e uscire altra gente.

 

Lei abbassò gli occhi verso il pavimento, controllando di tanto in tanto il bambino che teneva fra le braccia.

 

Com’era cresciuto, pensava in quel momento Danieli vedendolo dopo così tanto tempo.

Non sapeva come comportarsi. Se correrle incontro e riabbracciarla, o se stringerle semplicemente la mano.

In fondo il loro rapporto si era spezzato mesi prima, e ora non erano nient’altro, se non semplici ex colleghi.

 

Teresa osservava la scena ammutolita e si ripeteva dentro di sé che sicuramente stava sognando.

Si alzò dalla sedia e fece il giro del bancone, con la bocca semispalancata.

 

“Sergio…” aveva sorriso.

La gente camminava, intorno a loro, ma a nessuno dei due importava realmente.

Danieli sarebbe dovuto correre in sala operatoria dove lo aspettava Valerio, ma non si muoveva da lì.

Lei avrebbe dovuto dire qualcosa in più che pronunciare semplicemente il suo nome, ma non sapeva da dove cominciare.

Se dalle pochissime telefonate, dal cellulare sempre spento, oppure da quanto gli era mancato, anche solo poterlo guardare dentro quegli occhi chiari.

Sergio si avvicinò di più e, mentre le posò una mano sulla sua guancia destra, si piegò su di lei e le impresse un dolcissimo bacio sull’altra.

Un bacio innocente, da primo incontro, da affetto.

Un bacio che sembrò durare tutto il tempo che era passato dall’ultimo.

Il primario si scostò, giusto lo spazio per poter sussurrare in modo che lei sentisse.

“Ciao, Giulia.”

 

Cristiana era girata su un fianco sul letto del box, con gli occhi chiusi, ma non aveva nessuna voglia di dormire.

Avvertì aprire delicatamente la porta e richiuderla subito dopo, così che si voltò rapida a scoprire chi era.

“Sei tu…” Riccardo era entrato con due bicchieri di plastica in mano.

“Ti va del tè?”

“Ah, sì, va bene, grazie.” Sollevò i due cuscini in modo da appoggiarsi rimanendo seduta e incrociò le gambe per lasciare spazio a Malosti, che le allungò la bevanda bollente.

“Dorme?” si piegò indietro per guardare all’interno del carrello.

“Sì. È tranquillissima.” Bevve un sorso di tè. “Troppo zuccherato.”

“Lo sapevo che non ci avrei preso.”

“C’è una tal confusione… e ora anche un’emergenza in sala operatoria. Meno male che se ne occupano Santamaria e Danieli.”

Alzò il busto e si avvicinò a lui. “Riccardo, posso chiederti una cosa?”

Lui finì di bere il suo caffè e appoggiò il bicchiere al comodino. “Dimmi.”

“Stavo pensando che dobbiamo seriamente riflettere sul nostro futuro.”

“Vuoi un altro figlio? No, perché…” si piegò su di lei facendola sdraiare.

“Dai, non fare lo sciocco, che ho anche il tè in mano!”

“Allora, dai, spiegami” si tirò su dopo averle dato un bacio.

“Insomma, casa mia è grande, e tre camere ci sono. La mia, quella di Elena e quella degli ospiti.”

“Mh.”
“In quella degli ospiti potremmo sistemare Dario e Alessandro, è abbastanza grande da farci stare due letti.” Appoggiò il bicchiere accanto a quello di Riccardo.

“E lei?” indicò la bambina.

“Per un po’ dormirà nella nostra stanza, no? L’abbiamo montato là, il lettino…”

“Non stiamo andando un po’ troppo di fretta? Voglio dire… i miei figli sono abituati da quando erano piccoli a dormire nella stessa stanza, ma tutto questo cambiamento…”

“Siamo sposati.”

“Scusa, qualche volta me lo dimentico” scherzò.

“E ha senso, secondo te, continuare a vivere in due case diverse?”

“Mi spieghi perché mi sono innamorato di te?”

“Sarebbe troppo lungo. E poi non si risponde una domanda ad una domanda. Allora, proviamo a fare come ho detto?” Si spostò verso di lui e si appoggiò alla sua spalla sinistra. “Daiii” cominciò a massaggiargli il collo e a dargli dei piccoli baci sulle guance.

“Gandini… non provocarmi…”

Cristiana sorrideva a Malosti, che l’afferrò con le mani dietro la sua schiena e la portò a sdraiarsi sotto di lui, mentre ancora rideva.

“Riccardo…”

“Colpa tua” scoppiò in una risata anche lui.

 

“Sorpresa!” un grido proveniente dall’entrata fece sobbalzare entrambi, che tornarono a sedersi composti non finendo di ridere.

“Che cosa ci fate qui?” chiese Malosti, mentre guardava Cristiana asciugarsi i lacrimoni dovuti alla risata.

“Siamo venuti a vedere la nostra sorellina!” spiegò Alessandro che seguì il fratello già davanti al carrello.

“E voi cosa stavate facendo?” domandò Dario sorridendo per la posizione un po’ imbarazzante nella quale aveva scoperto i due.

“Parlando di voi” tagliò corto subito il padre, alzandosi in piedi.

La bambina iniziò a piangere.

“Troppa gente” affermò Cristiana scendendo dal letto e prendendola in braccio.

“Posso prenderla anche io?” intervenne Dario osservando attentamente la neonata.

“Ehm…” la donna guardò il marito, che prese la parola.

“È meglio di no, è ancora troppo piccola.”

“Noi andiamo, adesso, altrimenti perdiamo l’autobus” li informò Alessandro controllando l’orologio.

“Così presto?”

“Sì, pa’, che poi dobbiamo studiare.”

“Va bene. Ah, sentite, cominciate a far su le vostre cianfrusaglie, che non voglio perdere un mese per il trasloco.”

Cristiana lo guardò e le si illuminarono gli occhi.

“Quale… trasloco!?” esclamò Dario già preoccupato girandosi verso suo fratello.

“Poi ve lo spiego, eh…”

 

“Mamma!” un’altra voce, questa volta femminile, fece il suo ingresso dalla porta ancora aperta.

Elena.

“Amore, cosa fai anche tu qui?”

“Ti avevamo detto alle due e mezza, sei in ritardo” cominciò Dario.

“Mi sono fermata a parlare con una mia amica, scusate… oddio! Ma è lei la mia sorellina?” Gettò svelta a terra lo zainetto e si avvicinò alla madre. “Com’è bella…” Le accarezzò una guancia mentre la piccola continuava a piangere.

“Va beh, noi andiamo.” Alessandro fece un cenno al fratello, e, dopo aver salutato il resto della famiglia, uscirono dal box.

“Mamma, c’è un casino, là fuori…”

“Fuori dove?” chiese mentre dondolava la figlia tranquillizzandola.

“Ma lì davanti all’accettazione… boh… Posso prenderla in braccio?”

“Va bene, dai” guardò Riccardo, che scuoteva la testa. “Ma non dire niente a quei due.”

“No, no” mostrò un grosso sorriso e la madre le passò la sorellina.

“Così, con la testa più in alto, ecco, brava.”

“Ma è stupendaaa! È bellissimo tenerla in braccio, è… è fantastico! Però non smette di piangere…”

Riccardo, da seduto sul letto, borbottava qualcosa.

“Che cos’ha?” bisbigliò Elena alla madre.

“No, niente” alzò la voce per farsi sentire anche da lui. “Nemmeno quando è lui a prenderla in braccio smette…” Finì la frase con un sorriso.

“Mamma, io adesso vado, ho messo il motorino in sosta vietata. Tieni” le restituì la bimba.

“Su su, piccolina, buona…”

“Ciao!”

“Elena, aspetta” la chiamò sua madre. “Senti…” cercò nel marito le parole giuste per dirglielo, ma lui si sistemò più comodo ancora sul letto, indifferente.

“E se Dario e Alessandro si trasferissero da noi con Riccardo?”

“Non dici sul serio, vero?”

“Te l’avevo detto, che non era una buona idea” fece il suo intervento Malosti stiracchiandosi.

“Infatti è ottima!” rispose la ragazza. “Così finalmente la smetterete di andare avanti e indietro da una casa all’altra tutti i giorni… e le notti!”

La Gandini sorrise incredula e le si avvicinò baciandole la fronte. “Grazie, amore, grazie…”

Elena indietreggiò fino alla porta e salutò tutti e tre.

“Stai attenta, mi raccomando.”

“Sìì.”

E uscì dal box.

 

“Ma chi gliel’ha detto?”

“Che cosa?” Riccardo le camminò incontro e carezzò una guancina della piccola.

“Io non mi sono mossa da qui…”

Malosti sorrise e le sollevò il mento per guardarla negli occhi. “Io l’ho detto ad Elena, secondo i tuoi ordini.”

Cristiana adagiò la figlia tra le lenzuolina rosa e la coprì con cura, aiutata da una mano di Riccardo.

“Perché non te ne vai a lavorare?” si lasciò prendere in vita da Riccardo, che la trasse a sé.

“Perché sto troppo bene qui con te.”

Le passò un dito sulle labbra socchiuse che baciò subito dopo.

In piedi davanti alla loro bambina.

Nel box numero quattro.

















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Capitolo 38
*** Dove eravamo rimasti ***





Dove eravamo rimasti.

Giulia sorrise.

“Ti aiuto?” s’offrì Danieli allontanandosi di qualche centimetro. Passò nella sua mano la borsa che portava, sfiorando le sue dita volontariamente. Alzò il capo, incontrando di nuovo i suoi occhi che lo ringraziavano.

Percorsero insieme lo spazio che li separava dall’accettazione, e quando raggiunsero quella pettegola di Teresa, la donna non riuscì a trattenersi oltre, e con tutta la sua esuberanza accolse finalmente come si doveva l’arrivo di quel grande ritorno.

“Non sai quanto ci sei mancata; non te lo puoi immaginare come mi sono sentita quando ho capito che quel saluto sarebbe stato l’ultimo, ma in fondo al cuore” si mise una mano sul petto, “ho sempre saputo che saresti tornata qui tra noi.”

Riprese fiato dopo quella corsa di parole di un discorso quasi studiato e la fissò in attesa di un ringraziamento, un saluto, qualsiasi cosa che la facesse sentire meglio in quella giornata così pesante.

“Anche io l’ho sempre saputo. Mi siete mancati anche voi.”

Volse lo sguardo anche a Rocco, che aveva i cracker ancora in sospeso tra esofago e stomaco per quella sorpresa.

 

“Ehm… camice… ma dove l’ho messo il camice?”

Girò per la stanza controllando a destra e a manca.

“Sai, credo che sia rimasto da qualche parte, forse in sala medici…” ipotizzò.

“Mmm… Sai una cosa? Adesso andiamo a fare un giretto, io e te…” Prese in braccio la bambina avvolgendola completamente al lenzuolino e lasciandole scoperto solo il visino dalle guanciotte morbide.

“Allora…”

Con un gomito abbassò la maniglia della porta e uscì sorridendo a quel dolce brusio quotidiano del pronto soccorso, che per la prima volta le sembrava un vero ritorno a casa.

La neonata non piangeva, ma se ne stava cullata tra le braccia della madre sotto gli occhi curiosi di chi rallentava per guardarla nella sua bellezza e innocenza.

 

“Oh, eccolo qui!” Con una mano reggeva la figlia e con l’altra raggiunse il camice appeso all’attaccapanni dietro la porta.

Quella porta che si spalancò violentemente contro di lei.

“Ma stia attent… Riccardo!?”

“Adesso tu mi devi spiegare cosa ci fai qui.”

L’uomo richiuse la porta, così da aver la possibilità di inveire contro di lei al tono di voce che reputava più opportuno.

“Niente, te lo giuro, sono venuta solo a fare un giro con lei…”

“Tu-non-devi-uscire-da-quella-stanza.”

“Ma…”

“E soprattutto lei! Non ha le idonee difese immunitarie, eppure non dovrei spiegartele, queste cose!”

Fece scivolare la piccolina dalle sue braccia alle proprie, senza che cominciasse – stranamente – a strillare.

“Chiamo il reparto maternità, ché ti trovi un posto: non potete rimanere qui in pronto soccorso, sai quanti virus girano?”

Non rispose.

“E a casa è ancora troppo presto.”

Lasciò andare il camice spiegazzato sul bordo del tavolo, e tornò a guardare il marito rapito da quell’attimo d’ira.

Aveva fatto un cazzata, non era necessario un giudice che glielo imputasse.

Portare in giro per l’ospedale una bambina nata da qualche ora era la stupidaggine più grande che un medico potesse permettersi.

E per questo si odiava a morte, sia per il gesto inconscio così pericoloso, sia perché ora Riccardo la stava guardando come fosse un’estranea; come non fosse più la madre di sua figlia.

Avrebbe voluto chiedergli cosa ci fosse di così scorretto nel far respirare aria diversa da quella viziata della stanza ad un essere umano appena nato, ma si trattenne, perché sapeva dell’esistenza potenziale di un’altra discussione sotto i loro sguardi.

“Torna in camera.”

Non disse altro: l’unico movimento fu quello di restituirle la figlia in braccio e lasciarle lo spazio sufficiente per uscire dalla sala medici.

 

“Francesco vuole tornare in Messico. E io non ce la faccio a rimanere in quella casa da sola.”
Sergio le schioccò un bacio sulle labbra, facendola sorridere.

“E mi dispiace di non essere venuta al matrimonio della Gandini, mi sarebbe davvero piaciuto, ma mio marito…”

“Ovvio. Tuo marito.”

“Beh, presto ex.”

Al primario s’illuminarono gli occhi.

“Pensavo fosse scontato. Ma mi fa piacere…”

Un altro bacio.

Questa volta meno fugace del precedente, interrotto però dallo squillare del telefono.

“Scusa…” alzò la cornetta.

“Pronto papà…”

Sergio cominciò a tremare. “Scusi?”

“Sono… sono io, Emma.”

Si resse alla scrivania per non perdere l’equilibrio.

“Ho bisogno di parlarti, ti trovo domani sera al Morandini?”

Cercò di fare mente locale, non lasciandosi sopraffare dalla sorpresa e da quella strana sensazione di poter risentire la sua voce.

“Sì, quando vuoi.”

Un breve saluto e la conversione ebbe fine, sotto lo sguardo stupito e un po’ spaventato di una Giulia che aveva messo i piedi sul pavimento del suo studio dopo una vita.

“Vieni con me” le disse.

Mentre sul suo volto si faceva largo un’espressione di serenità e dolcezza, nascondendo il turbamento provocato da quell’imprevedibile avvenimento.

“Dove?” chiese la donna lievemente incuriosita, senza aver chiesto delucidazioni in merito a quella telefonata strana.

“A vedere la figlia di Cristiana.”

“La cosa di chi!?”

Sergio la prese per mano ridendo.

“La figlia di Cristiana.”

Giulia inseguiva impaziente il suo amante non più amante, cercando di mantenere il suo passo rapido lungo il corridoio.

“Ma quando è nata?”

“Poche ore fa.”

“Ma proprio oggi!?”

“Sì.” Si fermò, regalandole un sorriso da fotografare. “Perché oggi è un giorno speciale.”

















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Capitolo 39
*** Gli ultimi pezzi del puzzle - FINE BLOCCO III ***





Gli ultimi pezzi del puzzle.

Toc toc.

Un sorriso.

Un altro sorriso.

Un’entrata di chi un po’ pentito lo era.

E quando la linea immaginaria che congiungeva i loro occhi si raddrizzò, quelli di Cristiana gli sembrarono ancora più scuri di com’erano di solito.

Più scuri e più intensi, luminosi, grandi.

Come di una madre che ha appena messo al mondo la propria figlia.

“Dorme?” La voce bassa e profonda si sparse omogeneamente per la piccola stanza.

“Sì.”

Fu il monosillabo più bello di quella giornata, da quanto era dolce.

La osservò mettersi seduta a gambe incrociate su quel letto sfatto, la schiena dritta e composta.

“Mi dispiace.”

La donna scosse la testa.

Perché tanto era sempre stato così, da che mondo e mondo: un perdonami, un mi dispiace, uno scusami, magari alternati di giornata in giornata per non sembrare troppo monotoni.

“Perdonami” continuò allargando le braccia.

Wow. Due in una volta.

“Ti prometto che non litigheremo più.”

“È la più grande stupidaggine che tu abbia mai detto.”

Cristiana si alzò a sedere,  lentamente.

Riccardo alzò gli occhi al cielo.

“Lo sai, vero, che non saremmo qui se il nostro rapporto non fosse d’odio reciproco.”

“Ma che dici, io ti amo!”

Era la prima volta che glielo diceva con tanto entusiasmo.

“Ci amiamo a forza di odiarci. Ci abbiamo fatto l’abitudine.” Cristiana abbassò il capo facendo scorrere avanti e indietro un dito sulle lenzuola.

“Quindi? Siamo già arrivati alla fine del nostro matrimonio?”

“Stavo solo argomentando la mia tesi iniziale.”

“Ah.” Fu l’interiezione di chi non ci stava capendo molto.

“Ora che hai capito quanto mi piace litigare con te, puoi continuare.”

E, sorprendentemente, Riccardo non seppe come mandare avanti il discorso.

Sembrava essere stato spinto contro un vicolo cieco.

Continuare a fare… cosa?

Si era scordato perfino della motivazione per cui si era trovato nella stanza di sua moglie.

“Non ti stavi scusando?”

“Ah, sìsì.”

“È un po’ presto per perdere la memoria a breve termine.”

“Già.”

“La sai una cosa?”

“Eh.”

“Ho voglia di baciarti.”

 

“Mi chiedevo se…”

Corse per tenere dietro il primario, ma poi, sfinita, lo afferrò per il camice bloccandolo.

“Che c’è?”

Giulia scrollò le spalle. “Mi chiedevo se potevamo andare a vivere insieme.”

“Beh, ci sono tanti fattori da valutare prima di prendere una decisione simile, lo sa che…”

Le schioccò un bacio sulle labbra. “Sì.”

La caposala si portò una mano alla bocca, mentre le sue guance prendevano il colore dei capelli.

“Sei impazzito!?”

“Non sai come si siano attrezzati per diffondere le novità, qui al pronto soccorso. Si faccia dare un po’ di ripetizioni da Teresa, signorina Graziosi…”

 

“Eccola là.”

“Marina?” ipotizzò Rocco, non avendo individuato l’oggetto del discorso.

“Dove, dove, dove?” scalpitò la caposala declassata.

“Ma da nessuna parte! A chi ti riferisci?”

“La vedi, la vedi?” Esther allungò un braccio. “Lei.”

“Signore mio aiutami.”

“A me deve aiutare! Ho perso il posto in dieci minuti!”

“Ma ancora non lo sai se la riassume o no!”

“E come no. Guarda che confidenza che hanno.”

Rocco sbuffò.

“Tieni, va’.” Le appioppò tre cartelline. “Esami del sangue.”

 

“Ah, da domani qui a lavorare. E non tollero ritardi.”

“Non posso, Sergio.”

“Certo che puoi. Devi.”

“Non posso riprendere il posto di Esther, dopo il duro lavoro che ha fatto per imparare a gestirlo. È in gamba.”

“Non come te.”

Silenzio.

“Lo sappiamo tutti e due quanto tu tenga a riavere il tuo posto.”

Lo sguardo basso della donna gli diede ragione.

“Ed Esther sarà solo contenta di avere meno mansioni da svolgere.”

 

Riccardo inclinò il capo quanto bastava per incontrare le labbra della moglie.

Soddisfare quella semplice richiesta non necessitava un grandissimo impegno, anche se la sua schiena piegata in quella posizione sembrava gridare qualcosa al suo sistema nervoso.

Con una mano Cristiana attrasse a sé il capo dell’uomo, che si appoggio al bordo del letto finché lei non si scostò il minimo necessario perché si riuscisse a sedere accanto a lei.

Si staccarono solo per sorridersi.

“Hai un buon odore, sai?” esordì lui accarezzandole una guancia.

“Mh?”

“Sì, hai quel profumo… di latte, di neonato… di mamma.”

Cristiana si emozionò, ad ascoltare quelle parole, così sentite, così diverse, così… nuove.

Un abbraccio suggellò il dolce dialogo.

“Mi prometti una cosa, amore mio?” gli chiese Cristiana parlandogli ad un orecchio.

“Tutto quello che vuoi.”

“Che non mi lascerai mai.”

“Mai.”

Sorrise.

“Grazie, Riccardo.”

Un gridolino di bimba li risvegliò dal coma sentimentale.

“Eh, la gelosia” commentò lui spostandosi verso la figlia. “Tranquilla” si rivolse poi ad una Cristiana con il finto broncio. “Continuiamo presto il nostro discorso.”

Rise.

E appena la neonata si rintanò nelle braccia del padre, smise di piagnucolare.

“Ricc-Riccardo…”

Gli venne da sorridere, mentre cullava la piccina pian piano.

E gli occhi enormi della mamma guardavano esterrefatti quella scena.

 

Et voilà.”

Sergio indicò l’interno del box davanti al quale si erano fermati.

“Malosti… con sua figlia in braccio… è… un miracolo o cosa?”

“È solo la dimostrazione secondo cui una donna – ma anche e soprattutto un figlio – possa cambiare la vita” saggiamente il primario rispose.

“Già. Devo ricredermi sul dottor Malosti. Sinceramente non avrei mai pensato subisse una trasformazione così radicale.”

“Beh, in realtà credo che sul lavoro sia rimasto il tiranno di sempre. È già una soddisfazione vederlo così almeno in campo relazionale.”

“Relazionale-privato” precisò la caposala.

“Effettivamente è un settore molto ristretto.”

Giulia scrollò le spalle.

“Effettivamente alla Gandini basta e avanza.”

“Già.”

Osservarono ancora qualche istante quel quadretto famigliare, soffermandosi sulla figura paterna che ora si avvicinava al letto per permettere alla moglie di accarezzare la bimba.

“E come si chiama?”

“Giulia.”






Fine BLOCCO III

















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Capitolo 40
*** EPILOGO - Due anni dopo ***





EPILOGO






Due anni dopo.

“Teresa, hai visto mia moglie?” Il dottor Santamaria correva spedito verso il banco dell’accettazione, dove la donna era intenta a compilare alcune cartelle. In mano aveva un fascicoletto beige.

“No, l’ultima volta l’ho vista questa mattina quando siete arrivati, mi dispiace.”

“Va bene, grazie.”

Teresa si alzò sulle punte per dare un’occhiata intorno. “No, aspetti, dottore. Laura!” le gridò forte per farsi sentire dal lato opposto dell’ingresso. “Eccola là” disse poi a Valerio, che la raggiunse rapido.

 

“Mamma!” La bimba si dimenava in braccio a Cristiana e allungava le braccine verso il pavimento sbilanciandosi con tutto il corpo: voleva scendere. “Giù!”

“Sì, tesoro, adesso ti metto giù, un attimo di pazienza.” Stava lottando contro le due borse, una a tracolla e l’altra che rischiava ogni secondo di scivolare dalla spalla, e la bambina che non stava ferma. Si piegò e le lasciò appoggiare i piedini sulla zona asfaltata antistante la porta d’ingresso del Morandini, poi le prese la manina e, mentre si sistemava le borse, insieme varcarono l’entrata.

 

Sorrideva, la piccolina, con quella sua boccuccia dalle labbra sottili che somigliava tanto a quella di Riccardo.

E con due occhioni scuri e luminosi.

Quelli della madre.

 

“Allora, dottor Malosti, ci sono due pazienti che stanno aspettando, ecco” Teresa allungò oltre il bancone due cartelle. “Sono al box doppio, reduci da un incidente in bicicletta, non sembrano gravi.”

“Grazie Teresa, vado subito. Non c’è nessun’altro libero?”

“Provvedo a cercare qualcuno.”

Squillò il telefono.

“Pronto soccorso Morandini.”

Riccardo tamburellò con le dita sul piano perfettamente liscio dell’accettazione.

“Sì, dottore, va bene, ho capito, ma poteva avvertire prima…”

Malosti sbuffò. “Teresa, datti una mossa!”

La donna appoggiò la cornetta. “Palumbo non riesce a venire, ha un’emergenza a casa.”

“Sì, con la sua amante.”

“Non è la sua amante!” lo contraddisse svelta. “E comunque cosa vuole che faccia… chiamo Coselli?”

“Ma sì, dai, prova a sentire se almeno lui non è occupato a guardarsi allo specchio e a dirsi quanto è bello con la divisa da medico specializzato.”

 

“Esther, basta!” esclamò Rocco decisamente adirato.

“Mi viene rabbia, tutte le volte che la vedo.”

“Lo so, ma ti devi abituare.”

I suoi ciuffi perennemente meshati dondolavano allegri sulla sua fronte. “Non ci riesco. Mi ha preso il posto, porca miseria!”

“Oh, calmina, eh! Casomai sei tu che hai preso il posto a lei.”

 

La caposala entrò nello studio del primario passando indifferente tra i due infermieri.

“La babysitter mi ha detto che può stare fino a stasera alle nove” disse richiudendo la porta.

“Direi che è perfetto.” Sergio lasciava ciondolare le gambe dalla scrivania.

“Già, così avremo anche il tempo per andare a decidere le bomboniere. Questa mattina ho telefonato e dicono che sono aperti fino alle nove, visto che è sabato.”

“E io che ti volevo portare a mangiare fuori, visto che è sabato” enfatizzò l’ultima frase.

“Dopo.”

Scese dalla scrivania e le andò incontro.

“Quando finisce il suo turno, signorina Graziosi?”

“Alle otto.”

“E in un’ora facciamo in tempo sia a scegliere le bomboniere che cenare?”

“Direi di no, professore. Dobbiamo cambiare i programmi della serata.”

Portò il proprio viso a pochi centimetri dal suo. “Noi non cambiamo proprio niente. Perché non chiede al suo primario di anticiparle la fine del turno?”

“Non mi sembra il caso, dai…” gli disse, sfuggendo ad un suo bacio. “Mangiamo a casa.”

“Ma quanto sei testarda.”

“Vuole trasgredire alle regole troppo spesso, professor Danieli.”

“Tu no?”

 

“Odiosa, odiosa, odiosa, odiosa.” L’ex caposala si massaggiava le tempie seduta su una delle sedie di plastica in corridoio.

“Esther, è successo qualcosa?” La voce di Marina la fece saltare in piedi.

“No, dottoressa, niente.”

“Ti va di venire a bere qualcosa con me, questa sera finito il turno?”

“Oh, beh, sì, certo, come no!” sorrise.

“Bene, allora a dopo. Ciao.”

E l’infermiera rimase a guardarla andar via con un sorriso mezzo ebete sulla faccia.

 

Non c’erano parole per descrivere quant’era affascinante suo marito con quel camice.

“Risponde?”

Anche se non era proprio di ottimo umore.

“No, dottore, il telefonino suona…”

“Quando si cerca qualcuno, oh!”

Non si trova mai, rispose automaticamente Cristiana.

La bambina tirava la mamma per camminare più in fretta.

“Vai pianino, ché cadi…”

 

Laura e Valerio si erano fermati ai distributori.

“Ho una fame che mi mangerei tutto” dichiarò la Costa addentando una barretta di cioccolato.

Valerio l’osservava sorridendo.

“Perché mi guardi così?” gli chiese, la bocca ancora impastata.

Sollevò la cartellina, e Laura tossì per il cibo che le andò di traverso.

“Di già!?” si stupì pulendosi le labbra con un fazzolettino.

Santamaria annuì.

“Io… non ce la faccio ad aprirle. Oddio…”

“Non ti devi scomodare. Le ho già aperte io.”

“E allora?”

“E allora aspettiamo un bambino” svelò, con tutta la sua tranquillità.

La donna gli corse incontro e si tuffò tra le sue braccia. “Ma sei sicuro?”

“Ma perché, non mi credi?”

Risero entrambi.

“Certo che ti credo. E ti amo.”

 

“Ettore?” Fece un cenno del capo a Riccardo per rassicurarlo. “Sì, raggiungi per favore il box doppio. Ok, perfetto, ciao.”

“A posto” si rivolse poi al dottore.

“Grazie eh.”

“Ma si figuri!”

 

“Mammaaa.” La voce squillante della piccola per poco non richiamò l’attenzione di un padre intento a tornare nell’ala interna del pronto soccorso.

“Ssh.”

Cristiana le si inginocchiò accanto e le tolse il giubbetto. “Facciamo una sorpresa al papà, va bene?”

“Sì!”

“Dai, allora, corrigli incontro!”

La bambina, divertita, non vedeva l’ora di farlo.

 

“Papiii!”

Le sue gambine corte ma agili in un battibaleno la portarono a poca distanza da un Riccardo che si voltò dopo essere stato agguantato ad una gamba.

“Amore!” Con lo stupore negli occhi e la felicità di poter abbracciare sua figlia per la prima volta in orario di lavoro, la prese in braccio e le fece fare un giro intorno.

“Sei venuta a trovarmi!” Le diede un bacione tra i profumati capelli castani.

La bambina rideva: adorava guardare il mondo da così in alto.

Poi Malosti tornò serio e i suoi occhi caddero sull’ingresso del Morandini, alle sue spalle, dove colei che aveva permesso tutta quella felicità stava immobile, con borse e giubbino in mano.

“Cristiana.”

Sorrise dopo aver pronunciato quel nome.

“Mamma” fece eco la piccolina.

“Andiamo dalla mamma?”

“Nooo. Cavalluccio!”

“No, niente cavalluccio, quello stasera!”

“Nooo!”

“Niente storie, papà ha mal di schiena!”

Riccardo si avvicinò a Cristiana che non si era ancora mossa.

“Cosa ridi tu, eh?” le sorrise appena le fu abbastanza vicina.

“Con me non fa mai i capricci, vero Giulia?”

La bambina annuì.

“Che cosa le hai promesso, stavolta? Torta al cioccolato, nutella, una casa delle bambole ancora più grande…”

“Sììì, bambole!”

“Oddio, adesso ti tocca comprargliela…”

“Non ci penso nemmeno.”

Riccardo si piegò verso la moglie e le posò un leggero bacio sulle labbra.

 

“Ma non sono bellissimi? Guarda Giulia, è tutta sua madre…” Con sguardo sognante Teresa commentava la scenetta.

“Ma che dici, è uguale a Malosti… speriamo non ne abbia ereditato anche il carattere!”

“Rocco, sempre con queste allusioni… si amano, si sono sposati, e chissenefrega se è il dottore più str… cioè, più beh insomma hai capito… del Morandini!”

“Terry.”

“Che c’è ora?”

“Finalmente. E adesso basta immischiarti nei fatti dei poveri lavoratori di quest’ospedale.”

“Ma non ho mica detto questo, oh!”

L’infermiere si allontanò a passo svelto dal bancone ridendo sotto i baffi, mentre Teresa cercò di rincorrerlo.

“Rocco! Hai frainteso le mie parole!”

Il telefono della reception trattenne la donna dall’aumentare il passo.

“Vai vai, Terry, vai a rispondere, non si sa mai che sia il tuo amante!”

 

“Piccola!”

Marina raggiunse i due coniugi e con un allegro sorriso salutò la bambina.

“Posso prenderla in braccio?”

“Ma come no, certo!” rispose rapida la donna, anche se il mugugno che fece nel contempo Riccardo non era del tutto d’accordo.

“Posso giocarci un po’?” Le fece solletico nei fianchi.

“Oh, certo, questa è la sua borsa, se ha bisogno di qualcosa” gliela appoggio sopra una spalla.

“Grazie, a dopo! Ma che bella che sei…”

 

“Fff.”

“Sempre a sbuffare, dai.”

“La vedo sì e no due ore al giorno e per una volta che me la porti qui…”

“Senti, ti volevo dire una cosa.”

“Sentiamo.”

“Non qui.”

Si recarono in sala medici, dove finalmente Cristiana poté liberarsi di cappotto, cappottino e della seconda borsa.

“Allora?”

“Sei nervoso?”

“No, non sono nervoso.” Stava alzando la voce. “Solo vorrei avere un po’ più di tempo.”

Non rispose. Perché quello che gli voleva dire l’avrebbe fatto imbestialire ancora di più.

“Qual è il problema, Riccardo?”

“Sono in ospedale dalla mattina alla sera, ti vedo poco, troppo poco! E mi manchi…”

“Lo sapevamo entrambi che le cose sarebbero cambiate con il trasferimento e tutto il resto. Abbiamo tutti meno tempo.”

Abbassò lo guardo, dopo essersi appoggiato al mobile della cucinetta.

“E tu vuoi tornare a lavorare.”

Cristiana spalancò gli occhi.

Come diavolo aveva fatto a capirlo?

“Io…”

“Hai tutte le ragioni del mondo.”

Le prese le mani e l’alzò dalla sedia.

“Se non vuoi, io me ne resterò a casa. Dario, Alessandro, Giulia: me ne occuperò io, come ho fatto sinora, così non dovremmo chiamare nemmeno una babysitter.”

“Non posso chiederti di lasciare per sempre il tuo lavoro.”

“Non per sempre, Riccardo, non per sempre.” Malosti l’avvicinò a sé. “Come posso sentirmi così male?”

“Amore mio…”

La donna si lasciò andare tra le sue braccia in un abbraccio.

“Io sono contenta, davvero.” Si strinse a lui. “A che ora torni, stasera?”

“Adesso.”

Si tolse rapido il camice e lo appoggiò allo schienale della sedia.

“Andiamo a casa.”

Cristiana sorrise divertita per quell’improvviso cambio di programma.

“E cosa dirai a Sergio?”

“Che vada a casa pure lui.”

Afferrò il cappotto della Gandini e l’aiutò ad infilarlo.

“E che ti riprenda a lavorare. Perché è qui il tuo posto. Con me.”

“Ma… cosa ti prende?”

“Mi prende che è così e basta. E visto che ho sempre ragione io…”

A Cristiana scappò un sorriso. “Dovresti darla un po’ anche a me.”

“E non è quello che ho appena fatto!?” In fretta indossò anche il proprio soprabito e la sua attenzione ricadde poi sulle labbra della moglie, che baciò ardentemente prima di aprirle la porta.

“Prego.” La lasciò passare per prima.

“Grazie…” rispose ancora scossa da quel contatto imprevisto.

“Ah, aspetta.” Le catturò per un braccio e la trascinò di nuovo dentro la stanza, rubandole un altro bacio.

“Ti amo, eh.”

 

Ed ora erano tutti finalmente felici.

Chi per finta, chi per davvero.

Chi aveva messo su famiglia, chi stava per farlo, chi viveva già nella propria da anni.

 

Ma almeno una consolazione c’è: adesso possiamo essere un po’ felici anche noi.

 

Fine.



No, aspettate…

 

“Cristiana…”

“Che c’è, non vedi che ho da fare, devo visitare quello del cinque…”

“Ci pensa Ettore. Ettore?” L’aveva visto passare nel corridoio trasversale. “Letto cinque.”

“Sì, dottore.”

L’afferrò da dietro e le baciò il collo.

“Riccardo… che cosa vuoi?”

Dalla tasca sfilò qualcosa di tintinnante e le lasciò oscillare davanti ai suoi occhi.

“Sono dello studio di Sergio. E Sergio non c’è.”

La Gandini si voltò verso di lui sorridendo. “Come hai fatto a…?”

“Ssh.” La prese a braccetto. “Ho le mie conoscenze.”

“Le hai rubate.”

“Poco importa.”

Aprì la porta ed entrambi entrarono richiudendola dietro di loro.

“Gandini?” la chiamò, facendole cadere il camice a terra.

“Sì?”

Avvicinò il viso al suo. “Parquet o divano?” le sussurrò con voce profonda.

“Non lo so…” Cristiana sorrise maliziosa e lo guardò negli occhi mentre gli passava una mano tra i capelli. “Come preferisci.”

“Ok. Vada per tutt’e due.”




Questa è la FINE.















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