Passato e presente

di tibi86
(/viewuser.php?uid=38890)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** primo capitolo ***
Capitolo 2: *** secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** capitolo tre ***
Capitolo 4: *** quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** sesto capitolo ***



Capitolo 1
*** primo capitolo ***


Dormire, da quanto non lo faccio decentemente? Sembra facile: basta chiudere gli occhi, liberare la mente e abbandonarsi al buio. Basterebbe poco, anche un’ora. Un sonno pulito, libero da incubi. Non mi sembra di chiedere molto, no?

Per non cadere in tentazione, mi preparo a bere il mio quinto caffè. Inspiro profondamente e ne assaporo l’aroma ricco e penetrante. Libero la mente, non penso ad altro. Mentre fisso lo sguardo all’interno del bicchiere, il liquido comincia ad assumere le forme più strane: prima è soltanto un piccolo e innocuo cerchio nero all’interno di uno più grande, poi il colore cambia. Non più nero, ma rosso. Rosso sangue.

Scuoto la testa immediatamente, volgendo lo sguardo altrove. Buttò giù il caffè tutto di un fiato, poi mi ritrovo a guardare distrattamente verso i divanetti malconci del salotto: Sam si è addormentato circa tre ore fa, Bobby ha tenuto duro mezz’ora di più. Anche io sono stanco morto e quella sedia laggiù in fondo sembra mi stia chiamando. Le palpebre cominciano a farsi pesanti, ormai credo che anche la caffeina stia perdendo la sua efficacia. Quanto tempo è passato dall’ultima vera dormita? Considerando anche gli anni passati di sotto, direi molto. Troppo. Mi alzo di scatto: non ho intenzione di cedere. Evito i libri sopra al tavolo: se per Sam questi sono oro colato, a me provocano soltanto ulteriore sonnolenza. Le chiavi dell’Impala nella tasca posteriore dei jeans si scontrano con qualche spicciolo, formando un dolce tintinnio. Forse, uscire non sarebbe una cattiva idea, ma dove potrei andare? Non c’è nessun posto dove sentirmi a mio agio, niente che possa farmi sentire bene. Soltanto uno mi attira terribilmente… ed è l’ultimo dove dovrei desiderare di tornare. Se chiudo gli occhi, posso sentire una voce che chiama il mio nome. Lentamente. Una cantilena inquietante che mi ripete insistentemente di andare fuori.

Che cazzo mi sta succedendo? Va bene, ragioniamo. Non dormo da mesi praticamente, sentire voci è normale, no? Non sto uscendo di testa, vero? Cerco di calmarmi, ma è diverso dalle altre volte. Dura troppo a lungo e, diavolo, sono sveglio! Questi problemi li ho soltanto quando dormo, perché sta succedendo adesso? Sto peggiorando? L’ultima caccia che abbiamo affrontato sono state due stupide streghe, che mi abbiano fatto un incantesimo?

“Sam?” lo chiamo debolmente, quasi a non volerlo davvero svegliare. Ho bisogno di aiuto, ma non riesco ad alzare la voce. Ci provo, ma più di un sussurro non esce fuori.

Sento l’impulso irrefrenabile di uscire, di andare verso quel qualcosa. No, non sono le streghe. So di chi si tratta, lo so eccome.

Sei tu, vero?

Ovviamente. Chi altro potrebbe essere così fottutamente sadico da farmi provare emozioni contrastanti nello stesso momento? Chiudo gli occhi per qualche istante e, in questi pochi attimi, posso percepire l’aria gelida e penetrante, l’odore acre del sangue che s’impregna nella mia pelle. Posso sentire la sua voce, bassa, ma decisa, inquietante e rassicurante in ugual misura. Sto diventando matto? Sì, senza alcuna ombra di dubbio.

Pazienza, figliolo. Devi avere pazienza.

Apro nuovamente gli occhi. Basta, non posso andare avanti così. Tiro fuori le chiavi dalla tasca e mi precipito fuori, chiudendo piano la porta per non svegliare nessuno.

Quello che mi abbraccia fuori è un panorama magnifico. È la prima volta, dopo anni e anni, che mi soffermo a guardare il cielo notturno. Mi appoggio al cofano dell’Impala, mando giù lunghe sorsate di birra, beandomi del suo sapore, amaro, ma intenso. Sorrido. Se Bobby mi trovasse qui, proverebbe a esorcizzarmi e non avrebbe tutti i torti. Insomma, che diavolo mi sta succedendo? Questo non sono io! Dovrei andare in un bar e fare sesso con la barista, dovrei spassarmela: maledizione, sono salvo! Dovrei fare tante cose. Dovrei. Nonostante questo, sono qui fuori a pensare stronzate e ubriacarmi da solo come un coglione. Invece di essere felice di aver avuto una seconda occasione, sento la mancanza di quel figlio di puttana. Ed è davvero grave!

No. Tutto questo non va bene. Deve finire, prima di cadere in un fottuto buco nero.

Apro la porta per tornare in casa, deciso a prendermi un calmante. I ragazzi ancora dormono; se mai mi vedessero bere una schifezza simile, Sam mi ucciderebbe, quindi dovrò berlo di nascosto, senza fare rumore. Peccato che il mio corpo non voglia collaborare. Quando appoggio un piede sul primo dei tre scalini d’ingresso, forti brividi mi scuotono la schiena e un crampo allo stomaco mi costringe a piegarmi. Che diavolo è? Demoni? No, non sento alcun odore di zolfo e sono completamente solo qui fuori. Ho fatto indigestione? Impossibile, ho mangiato molto meno del mio solito: Sam, infatti, era molto preoccupato, non smetteva di tormentarmi con le domande.

 

Streghe. A questo punto, devono essere state loro. Quasi senza rendermene conto, tiro un sospiro di sollievo. Pensavo che fosse ancora quella stronzata dello stress post traumatico di cui mio fratello mi parla continuamente.

Ne devi parlare, Dean. Non ne uscirai mai, parla con me.

Che accidenti ti posso dire, dannazione? Nessuno può sapere com’è quel posto! E poi, come vuoi che sia stato?

Un altro crampo mi distoglie dai pensieri. Basta pensare, devo fare qualcosa. Cerco di reagire: se non mi muovo a rientrare in casa, rimango secco qui. Non riesco a darmi la spinta necessaria per tirarmi su, o forse sono io. Voglio davvero che finisca tutto questo? Oh, maledizione! Certo che voglio! Faccio un grande sforzo e mi appoggio al muro portante, tentando di rialzarmi. Gli occhi si appannano, non riesco quasi a respirare: mi fa male il petto.

Ti prego, Sam.  Svegliati.

Sento le gambe sempre più pesanti, non mi reggo più neppure sulle ginocchia. Sono costretto a poggiare le braccia a terra. Fango e terriccio si appiccicano alle mani sudate e formicolanti. Mi gira la testa e mi stendo, cercando di regolarizzare il respiro. Qualcuno viene verso di me. Quando sorride, capisco subito di chi si tratta.

È qui. Mi ha trovato.

Il terrore si affaccia sul mio volto: è decisamente incazzato. Me ne sono andato, l’ho lasciato giù da solo come un cretino. Tento di ritrarmi, di scappare, ma non posso fare niente. Non riesco a muovere neppure un muscolo, è come se avessi dei pesi attaccati e, se muovo la testa, rischio di perdere conoscenza da quanto mi pulsa. Se la situazione non fosse tragica, potrei giurare di vedere le classiche stelline che ruotano attorno alla mia testa come nei fumetti.

Si avvicina sempre di più, ormai posso persino sentire il suo odore: sangue.

Mi sfiora i capelli con una mano, mentre con l’altra mi blocca un braccio a terra. Come se ce fosse bisogno.

Con due dita mi sfiora il polso. Un bruciore intenso s’irradia fino alla punta delle dita. Cerco di ritrarmi, ma rafforza la sua presa. Tremo. Rovescio la testa all’indietro, smettendo di opporre resistenza. Mi chiama, ma non rispondo: non riesco a parlare e a muovermi. Gli impulsi che partono dal mio cervello sembrano non arrivare alle varie destinazioni. Non riesco neppure a dire una fottutissima parola. È come se le mie parti del corpo non fossero più collegate tra di loro. Finalmente, un lieve lamento mi sfugge dalle labbra, quando m’intima di calmarmi. 

Che fa, prende per il culo? Come cazzo faccio a stare calmo? Ripete il mio nome e continua ad accarezzarmi i capelli.

Di colpo il dolore svanisce, lasciando spazio ad un fresco sollievo.

“Andiamo, ragazzo. Svegliati!”

Apro gli occhi di scatto.

Di fronte a me, mio fratello e Bobby.

“Grazie al cielo, Dean, mi hai spaventato a morte!”

“Sam?” lo chiamo, afferrando la mano che mi tende per aiutarmi a rialzarmi.

“Che diavolo è successo?” chiedo spaesato.

Un lieve tepore mi fa capire che sono dentro casa. Le mie mani sono pulite. Sudate, ma non c’è nessun segno di lividi e ghiaia. Mi guardo attorno, cercando un qualsiasi indizio che possa farmi capire che è stato tutto reale, che non mi sono inventato niente. La speranza va a farsi fottere in meno di dieci secondi:

“Dimmelo tu, ti abbiamo sentito urlare” mi racconta.

Merda.

Mi spettino i capelli, nervoso. Ho avuto un altro incubo? A quanto sembra, sì. Bene, sta peggiorando sempre di più. Grandioso!

Non riesco a tenermi in piedi. Mio fratello si avvicina preoccupato. Mi sorregge e, seppure riluttante, mi vedo costretto ad accettare il suo aiuto. Mi aiuta a sedermi sulla poltroncina al centro della sala. Bobby mi porge una tazza di the caldo, guadagnandosi uno sguardo poco gentile. Perché devo bere questa schifezza? Io voglio alcool, ho bisogno di una sbronza! Devo ubriacarmi, non dormire.

“Non fare storie e bevi” ordina. Abbasso lo sguardo, mentre prendo con il pollice e l’indice il manico della tazza per non bruciarmi: è bollente. Sam comincia a parlare, ma non riesco a capire che cosa dice: non lo sto ascoltando. Mi concentro sul sapore amaro della bevanda e continuo a guardare verso il basso. Sono estremamente imbarazzato.

“Dean?”

“Sam.” lo rimprovera Bobby.

Cosa mai potrei dirti, Sam?  Lasciami stare, ti prego.

Trovo lentamente il coraggio di guardarlo negli occhi. Forzo un sorriso e poso il bicchiere sul tavolo.

“Cosa?”

“Ricordi tutto, vero? E chi  diavolo è Ala, Dean?” però, va dritto al punto, il fratellino.

M’irrigidisco e smetto di sorridere. Deglutisco, mentre cerco di ricordarmi come si respira.

“Ancora? Sam, non ricordo niente. Chiaro?” rispondo sbottando. Da come mi guarda, capisco che non gli basta. Sa che sto mentendo, il bastardo. Infatti. Mi chiede degli incubi, vuole sapere che cosa sogno, senza risparmiare i dettagli.

“Non lo so! Quando mi sveglio, non ricordo niente!” mi alzo, passeggiando in tondo per calmarmi. Barcollo e rischio di cadere a terra, ma per fortuna, Sam capisce che deve lasciarmi i miei spazi e non accorre in mio soccorso. Forse, è troppo arrabbiato per farlo.

Sospiro. Da quando comincio a pensare male di mio fratello? Da quando dubito delle sue intenzioni e del suo affetto per me? Dal momento esatto in cui ho detto quella dannata parola.

“Sam, te lo giuro, non ricordo niente. Possiamo tornare a dormire adesso?” lo imploro, ignorando i miei pensieri che continuano a correre veloci. Impazienti. Sembra non vedano l’ora di uscire dalla bocca. M’impongo di tenerli rinchiusi lì dentro, in un angolo remoto della mia mente. Non devono essere tirati fuori. Quella parte di me deve restare chiusa, sepolta per sempre. Peccato non sia questo ciò che voglio.

Ti prego, Sam, smettila di chiedere. Non farmi parlare.

“Va bene” si alza. Il suo tono è teso, vuole solo sapere che cosa mi sta succedendo per aiutarmi, ma come potrebbe? Sam non può fare niente per me. Nessuno può.

“Dato che siamo svegli, perché non proviamo a salvare il Mondo?” propongo, indicando i vecchi libri, impolverati e ancora aperti, sulla scrivania grande.

“Ottima idea” mi asseconda Sam. Sorrido. Grazie.

Prima di raggiungere la grande libreria, mi passa accanto:

“Non puoi continuare così, ti ucciderà…” sussurra, ma riesco a sentire il tono roco, quasi spezzato. Faccio finta di non aver sentito, non ho proprio nessuna voglia di mettermi a discutere.

Mi getto su un libro a caso e comincio a leggere. Sfoglio ogni singola parola con il dito indice, non voglio pensare ad altro, se non a quello che c’è scritto. Non importa se non serve alla nostra indagine, se non è di aiuto. Mi basta tenere la mente occupata, lontana da Lui. Almeno per un po’.

Sono molto concentrato, non sento niente. Le voci di Sam e Bobby mi risultano lontanissime, come se si trovassero nella stanza accanto. Mi accorgo dell’apparizione di Castiel solo perché mi compare proprio accanto.

“Spazio personale, Cass. Ne avevamo già parlato, ricordi?” lo rimprovero. Si sposta di un micro passo. Lo guardo accigliato e lo allontano spingendolo, portando la distanza a un metro circa.

Calamity Jane, rispetta gli accordi” ammicco con un sorriso.

Chiudo il libro che mi sta davanti e incrocio le braccia, pronto ad ascoltare le sue parole. Sul viso ha un espressione tesa e decisa allo stesso tempo. Deve essere successo qualcosa di grave.

“Un altro sigillo da salvare?” chiedo.

Mi alzo per prepararmi a uscire. Se è venuto per questo, dobbiamo sbrigarci, non possiamo aspettare.

“Dove?” mi fermo. Non si tratta dell’Apocalisse. Bene, un giorno di riposo non fa mai male.

“Abbiamo notizie importanti: in città è arrivato un Demone molto potente” comincia. Sto per interromperlo, ma mi fulmina con lo sguardo. Decido di farlo finire, non voglio vedere com’è Cass quando è incazzato. Potrei ritrovarmi a essere il prossimo tacchino arrosto della cena del Ringraziamento.

“Questo Demone è molto pericoloso, viene definito come il braccio destro di Lucifero in persona.”

Merda.

“Il suo nome è Alastair”.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** secondo capitolo ***


Alastair. Un’insieme di immagini e parole cominciano a pararmi davanti agli occhi.
“Dean?” mi sento chiamare, ma non rispondo. Mi vedo riflesso dalla vetrata del mobile bar e capisco perché Sam stia pronunciando il mio nome. Il mio corpo è rigido, gli occhi sbarrati rivolti verso un punto fisso non definito. Tento di smuovermi dal senso di smarrimento, ma più che un lieve suono gutturale, non riesco a fare.
“uhm?” rispondo infine.
“Qualcosa non va? Stai bene?” mi chiede.
Mi raggiunge preoccupato e mi trascina verso un angolo della casa. Bobby e Cass sono rimasti nella zona del salotto, noi siamo nel cucinino. Almeno, questo è quello che sembra. C’è un piccolo spazio con due fornelli, una caffettiera gettata nel lavabo, tre bicchieri sporchi di caffè e un piccolissimo e sudicio forno a microonde.
“sto bene, Sam” il mio tono non deve averlo convinto, perché continua a fissarmi come se si aspettasse un altro tipo di risposta.
“non ricominciare” lo minaccio senza troppa convinzione.
“ti ricorda qualcosa, Dean? Lo conosci?”
“Chi? Alast qualcosa? Non so chi sia” poi aggiungo “te lo giuro”.
Lasciami in pace, Sam.
Avverto gli occhi di Cass su di me. Sa che sto mentendo. Cass c’era. Ha visto tutto. Sostengo il suo sguardo, ma non dico una parola. Sta per parlare, ma all’ultimo decide di non farlo.
Grazie.
“Bene, cerchiamo di riposare almeno per qualche ora. Se questo Demone è davvero qui, ci darà un bel po’ di filo da torcere” propongo, schiarendomi la voce per darne autorità. Guardo Bobby per un istante, sperando capisca che ho bisogno di restare da solo. Annuisce. Sorrido, sapevo di poter contare sulla sua comprensione. Bobby è un duro, ma sa sempre qual è la cosa giusta per me.
Indosso la giacca e mi porto dietro le chiavi dell’Impala.
Passo per l’unica stradina che conduce verso la città. È un lastricato a senso unico e, ai lati, due file di alberi mi accompagnano nell’oscurità. Fa freddo. Dalla mia bocca escono folate di vapore. Sollevo leggermente il finestrino e continuo a tirare dritto.
Rifletto su tutto quello che mi ha portato a questo punto. Non sono ‘solo’ le bugie di Sam, il fatto che la notte mi lascia da solo per andare chissà dove. Sono cambiato anche io. Certo, l’Inferno non è un’esperienza qualunque, non potevo sperare di uscirne indenne, senza ricordi. Scuoto la testa. Basta, non voglio più pensare.
“Maledizione, Cass!” impreco. Mai che ti avverta!
“Perché lo hai fatto, Dean?” fatto cosa?
“Non so di cosa stai parlando…
“Non puoi mentire a me, sai cosa voglio dire. Perché non lo hai detto a tuo fratello?” grandioso, ci mancava anche la ramanzina angelica!
“Senza offesa, ma non sono affari tuoi.” Mi guarda, aspettando quasi impaziente una risposta seria.
“Non posso dirglielo, Cass. Sai cosa è successo, non chiedermi di parlarne” rispondo infine.
Mi poggia una mano sulla spalla e mi viene voglia di spingerlo via. Mi sta compatendo? Sto per chiedergli di andarsene, ma non lo faccio. Non lo ammetterei mai, ma quel suo tocco mi dà comunque sollievo.
Lo guardo: “non dirgli niente, Cass. Per favore…” lo imploro. Annuisce, poi scompare senza aggiungere altro. So che starà zitto.
Alzo la testa.
Le luci della città cominciano a intravedersi. Rallento il passo, voglio godermi fino in fondo l’aria pura proveniente dagli alberi. È strano, io e Sam abbiamo cacciato per i boschi per parecchio tempo e non ci siamo mai soffermati sui profumi che emana. Raggiungo un bivio e m’avvio dritto verso la discesa che mi porterà dritto al parcheggio. Ah, la magia del progresso! Sto per cambiare marcia, quando una luce alla mia sinistra mi fa voltare in quella direzione. Un lampione. Che cosa ci sarà lì? La curiosità mi spinge a cambiare la mia meta. Metto la pistola nella tasca davanti, in modo da averla facilmente a disposizione, nel caso ci fosse qualcosa.
“Non è possibile!” esclamo quasi divertito. Un incrocio. Un fottutissimo incrocio!
Fermo l’Impala sotto un albero e scendo a dare un’occhiata. Mi tolgo la giacca, incurante dell’aria gelida che mi circonda. Tiro fuori il mio piccolo coltellino. Con l’accendino appicco un fuoco al centro. Mischio erbacce, terriccio e un po’ del mio sangue che mi sono procurato ferendomi un braccio. Eseguo il rituale a memoria, senza avere neanche bisogno di un suggerimento. Qui non ho mai sentito le parole che sto pronunciando, ma so dove le ho imparate. Non guardo neppure ciò che sto facendo, sembro un automa.
“Ora affronterete il mare delle tenebre e ciò che in esso vi è di esplorabile. Ti ricorda qualcosa, Dean?”
Sì, parecchie cose. Sono d’accordo, bei momenti che ormai sono finiti. Sollevo lo sguardo su di lui e noto la sua espressione: è torvo e cerca di scoprire cosa mi passa per la testa.
“M’invochi per ricordare insieme i tempi passati? Dean, non prendermi in giro, sai che non ti conviene. Che cosa vuoi?”
Sì, so che non mi conviene. Lo so benissimo. Non rispondo, non so cosa dire. Perché l’ho chiamato? Perché sono masochista.
Mi volto, pronto a tornare indietro, senza degnarlo di una minima risposta. Cosa mi aspettavo? Gli volto le spalle, ma me lo ritrovo davanti. Mi sbarra la strada.
“Non così in fretta, Dean. Dove credi di andare?” mi fermo e lo guardo dritto negli occhi.
“Sai che cosa voglio, non fare finta di non saperlo” comincio.
“Questa è bella! Dean, sei scappato…
“non è stata una mia decisione!” mi difendo quasi gridando.
La sua testa s’inclina verso il lato destro, il sopraciglio sollevato. Capisco che si sta davvero alterando e indietreggio di un passo
“Scusa. Non l’ho voluto io e tu lo sai…” mi giustifico. Mentre parlo, abbasso il tono della voce. Questa è una delle sue regole: mai ribattere o  la punizione sarà severa.
“Va bene.”
“Va bene?” chiedo stupito. “Stai dicendo sul serio? Andiamo allora!” propongo.
Sto per andargli incontro, quando mi sento afferrare le braccia.
“Alastair? Che stai facendo?” mi allarmo.
Merda.
Stupido coglione, pensavi ti riprendesse così facilmente?
“Hai un Angelo sulla tua spalla, Dean. Come faccio a sapere che non mi consegnerai a loro? Dimostrami che posso fidarmi di te.” fiducia.
Mi chiede di dimostrargli che non lo tradirò, ma non gli basta quello che ho fatto per lui?
“Sai che non lo farei…” ammetto.
Si avvicina a me e d’istinto cerco di indietreggiare. La presa dei due demoni si rafforza, mentre tento di liberarmi.
“Tranquillo, Dean. Non ti faccio niente.” Il suo tono è dolce, rassicurante. Mi poggia due dita sulla fronte.
L’ultima cosa che vedo è la luce del lampione che si spegne, poi più nulla.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo tre ***


Mi ritrovo in un posto chiuso, pieno zeppo di polvere. Sono in grado di muovermi e questo mi fa capire che mi hanno lasciato andare.
“Alastair?” lo chiamo titubante. 
Dove sono?
“sono qui, Dean.” Mi volto di scatto. Accidenti, non bastava Cass con queste apparizioni del cavolo! 
Il buio si dirada e, finalmente, riesco a capire dove mi ha portato. 
Si tratta di una vecchia fabbrica abbandonata. Dal soffitto scendono dei ganci ricurvi arrugginiti. Sbianco.
“Sapevo ti sarebbe piaciuto questo posto” ammicca.
Sadico bastardo.
“Beh, adesso? Devo aspettarmi una ramanzina?” mi guarda, ma non fa un solo gesto.
“Abbassa i toni, Dean” mi rimprovera. Dalla sua tasca tira fuori un oggetto molto piccolo. Non ci metto più di due secondi a capire cos’ha in mano. Deglutisco e abbasso lo sguardo
“Scusa, io…” tento di giustificarmi “non vedo l’ora di cominciare” concludo, mentre mi siedo su uno degli scatoloni gettati sul pavimento.
“D’accordo” annuisce convinto, ma si avvicina e mi afferra un braccio. 
Il mio corpo si irrigidisce, la gola si fa secca: il ricordo dell’ultimo errore è ancora troppo vivido. Era il trentatreesimo anno, non so di preciso il giorno esatto o, almeno, non mi viene in mente. Alastair mi aveva dato il suo rasoio, voleva dimostrarmi che si fidava di me. Sono stato l’unico ad avere il permesso di utilizzarlo. Peccato mi sia caduto. Sono stato sotto punizione per una settimana e no, non è stato molto piacevole.
“Aspetta! Ti ho detto che mi dispiace!” cerco di ritrarmi, ma la sua presa è troppo forte. 
“Solo un avvertimento, Dean. Sta attento a quello che fai” mi ammonisce. Annuisco, mentre mi massaggio il polso. Meglio che non lo faccia incazzare. 
Mi siedo sopra la catena di montaggio, aspettando in silenzio che mi dica quello che devo fare.
“immaginavo saresti tornato” comincia. 
Mi cammina di fronte e gironzola per il magazzino con le mani giunte dietro la schiena.
“torneremo a casa, ma prima ho del lavoro qui. Sei con me, Dean?” annuisco convinto “Certo” si ferma e mi guarda dritto negli occhi
“voglio sentirtelo dire”
“Sono con te” rispondo allora con un po’ di timore. 
Mi guardo attorno, senza aggiungere altro.
Ai lati ci sono ancora le catene di montaggio e sento un odore di legno bruciato. È tutto pieno di ruggine e zolfo: deve esserci stato un incendio. Mi siedo sopra a una tavola di acciaio non lavorata. C’è una calma surreale. Nessuno dice una parola e non oso far uscire neppure un colpo di tosse. Indosso la giacca, sfregandomi le braccia: fa un freddo cane qui dentro. 
“va a cercarti una coperta” Alastair interrompe il silenzio. Aggrotto le sopraciglia, non capendo se mi sta sfottendo o se fa sul serio.
“domani mattina hai un lavoro da fare, devi riposare” continua. 
Mi poggia una mano sulla spalla e faccio come dice. Perlustro la zona, alla ricerca di qualsiasi cosa che possa essermi utile, ma, ovviamente, non posso aspettare di trovarmi davanti un buon letto caldo qui! L’unica cosa che riesco a trovare è un vecchio straccio, lurido e zuppo di olio, che scaccio lontano con un calcio. Una smorfia evidente mi deforma la bocca, che schifo! 
Cambio direzione e provo ad andare verso l’interno. Bingo. Nell’angolo sinistro, uno scatolone è stato aperto e disteso sul pavimento. Gettata in mezzo, senza alcuna cura, un plaid rosso e giallo. Non sembra essere qui da molto. Forse un barbone ci ha fatto la sua dimora, ma perché ha lasciato qui la coperta? Evito di trovare una risposta, non lo voglio sapere, anche se posso immaginare cosa ne sia stato di quel uomo o donna che sia. 
Sposto tutto quello che trovo al centro del magazzino, dove l’aria è meno gelida, ma, soprattutto, dove Alastair può vedermi meglio. Non voglio stare da solo e voglio sentire la sua vicinanza.
Tolgo la giacca e l’arrotolo per farne una specie di cuscino improvvisato, poi mi tolgo le scarpe e mi stendo. Mi copro le spalle con il plaid, ma non chiudo gli occhi.
“Riposa, Dean.” dice, carezzandomi i capelli. 
Un sorriso gli dipinge il volto e un brivido mi pervade il corpo. Sento i muscoli farsi tesi, non riesco a rilassarmi. Come potrei? Si siede di fronte a me. Mi promette che nessuno mi farà del male, non permetterà agli altri demoni di alzare un dito su di me. Sospiro piano, socchiudendo appena le palpebre. Controllo l’orologio al polso, per sapere quanto tempo è passato. Quando sono uscito di casa erano più o meno le due, dovrebbe essere passata circa un’ora e mezza, non di più. Risposta quasi esatta: sono le tre e diciannove minuti, ho sbagliato di un po’. Alastair ha ragione, è decisamente il momento di mettere a riposare il cervello. 
Porto le ginocchia al petto, tranquillizzandomi poco a poco. Chiudo gli occhi e, lentamente, mi lascio avvolgere dal rassicurante abbraccio del buio. Un sonno tranquillo, piacevole addirittura. 
Per la prima volta, dopo cinque mesi, non ho incubi.
“Sveglia, raggio di sole!” mi rigiro su un fianco, dando le spalle alla voce che mi ha chiamato. Faccio finta di non aver sentito e tengo gli occhi chiusi: voglio godermi questo momento di tranquillità ancora per un po’. 
Sembra aver compreso, poi un click. 
Apro gli occhi immediatamente, ma non mi muovo. Conosco bene quel suono. Lo scatto del rasoio che si apre è sempre dentro la mia testa. 
“oh, cazzo.” mi lascio sfuggire. In meno di un minuto sono in piedi, pronto ad ascoltarlo.
“Alastair, ciao!” ironizzo. Sono leggermente disorientato. È strano aver dormito così… bene? Non ricordavo neppure la sensazione del vero riposo.
I raggi del sole attraversano a fatica i finestroni completamente ricoperti di polvere. Mi colpiscono in pieno viso e gli occhi mi si chiudono involontariamente. Non mi preoccupo di portare una mano alla bocca e sbadiglio, come se non avessi nessuno a cui rendere conto. Non so da quanto tempo non godevo di questa sensazione o forse non l’ho mai vissuta. Non saprei. So solo che mi sento bene. Dannatamente bene.
“Dean, vieni qui” mi chiama. Sto per raggiungerlo, quando mi indica la giacca di pelle arrotolata per terra. L’afferro in tutta fretta, so che odia il disordine. L’unica volta che avevo riordinato male il mio kit, mi ha rimesso sulla ruota per due ore. 
Sento freddo. Incrocio le braccia al petto, aspettando che mi dica quello che devo fare. So che ha un lavoro per me, spero non sia niente di impossibile, anche se con Alastair niente lo è.
“Prima di tornare a casa, c’è da eseguire un rituale: niente di complicato, ma ho bisogno di una ragazza” mi spiega. 
Sollevo un sopraciglio, una ragazza? Vuole mandarmi a caccia di ragazze?
“devo solo trovarla e portarla qui, no?” chiedo. Mi avvicino di un altro passo, concentrato. Ho recuperato appena un paio d’ore di sonno, ma è come se fossi completamente rigenerato. Diavolo, non ho neppure avuto incubi! Annuisce e con un gesto della mano mi esorta ad andare, ma prima che possa uscire dal magazzino, mi chiama:
“Dean, la ragazza deve essere pura” che fa, mi sta sfottendo per caso? Pura? E dove accidenti la trovo una ragazza vergine di questi tempi?
“Quanto tempo ho?” rispondo sarcasticamente. Mi sorride, lo prendo come un prima torni, meglio è per te. 
“Messaggio ricevuto”. 
“Esci dal retro, ti ho fatto portare un regalo” mi sorride soddisfatto. Un regalo? 
Allungo il passo, precipitandomi verso l’esterno. Passo dalla parte opposta di dove mi ero diretto, come mi ha suggerito. Tiro su il bavero della giacca e mi avvicino all’uscita. Avverto un brivido lungo la schiena, quando supero i due demoni di guardia alla porta. Mi ricordano quelli ai piedi della mia ruota, erano sempre lì, non se ne andavano mai. Non si scambiavano neppure, nessuno dava loro il cambio. Quando Alastair mi lasciava solo, dopo avermi rimarginato ogni ferita, si divertivano a tormentarmi con battute idiote. Sì, perché avevano il divieto assoluto di toccarmi. Ricordo benissimo quello che mi veniva detto. Erano loro due che mi davano lo scorrere del tempo. Quello che ricordo meglio stava alla mia sinistra, era il più bastardo. Le sue parole mi colpivano come lame affilate. Gran figlio di puttana.
Fuori dall’edificio resto per qualche attimo immerso nei pensieri. Mi sento perso, che cosa faccio adesso? Dove vado? Non so neppure dove ci troviamo!
Va bene, Dean. Una cosa alla volta.
Infilo la mano nella tasca interna della giacca. Bene, mi ha lasciato le chiavi della macchina. 
Cazzo. 
L’impala. 
Chi diavolo l’ha portata fino a qui? È questo il regalo? Mi ha fatto portare l’auto? Grandissimo figlio di puttana!
“Alastair!” impreco. Un demone ha guidato la mia piccola?
Sto per fare dietro front, preso dall’impeto, ma torno sui miei passi quasi immediatamente. Cosa penso di fare? Mi farà a pezzi! Opto per la soluzione più ovvia e meno suicida e mi avvicino a passi veloci verso la mia bambina. 
La accarezzo: “coraggio, baby, abbiamo un lavoro da fare” apro la portiera e metto in moto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** quarto capitolo ***


Quella fabbrica sembra essere isolata dal mondo intero, in chissà quale posto sperduto

Quella fabbrica sembra essere isolata dal mondo intero, in chissà quale posto sperduto. Io non li capisco questi, non potevano trovare un luogo più normale dove costruirla?

Sono in auto da circa una quindicina di minuti e ancora non ho raggiunto la città. Male. Molto male. Con lo sguardo fisso sulla strada davanti a me, ho tutto il tempo per riflettere. Non voglio pensare, eppure, non posso farne a meno.

Come mi sono trovato in questa situazione? È davvero questo quello che voglio? Sì. Non l’avrei mai detto, ma è tutto quello che ho. Solo qualche tempo fa avrei detto che era Sam tutto ciò che rimaneva della mia vita, ora qualcosa si è rotto ed è solo colpa mia. Sono cambiato. Spesso mi faccio paura da solo, ma cosa posso farci? Stare con i miei simili, con chi mi capisce, con chi sa; questo è ciò che devo fare. È meglio per tutti. Certo, chi voglio prendere in giro? Mi costa sul serio essermene andato? No, affatto. Da quando sono tornato, mio fratello non ha fatto altro che farmi pressioni: vuole sapere. Non un dannato come stai, non un ti capisco, va tutto bene. No. Sempre e soltanto ‘cosa è successo’. Come vuole che sia stato? Non lo immagina? Ha letto una miriade di libri. Ha cercato per un anno intero nelle biblioteche delle varie città dove andavamo a caccia. Ha navigato per ore sui siti internet che parlavano dell’Inferno. Pensa sia stato in vacanza ad abbronzarmi con un paio di belle demonesse? Cosa vuole sapere? E perché? Dice che se ne parlo, ne uscirò fuori. Vuole che ne parli con lui. Certo. Dov’è mio fratello, quando ho gli incubi? Mi crede scemo? Quando mi sveglio di soprassalto, sudato e ansimante, Sam non c’è. È fuori. Stanotte è stato solo un caso: eravamo a casa di Bobby, non poteva uscire. Mi starà cercando? Il telefonino è spento, Alastair mi ha sequestrato la batteria. Forse, pensa che qualche giorno da solo mi faccia bene. No, non credo. Magari ora sta chiedendo a Cass di localizzarmi.

Panico.

Inchiodo di colpo. Se mi trovano? Alastair verrà a cercarmi ovunque, mi farà a pezzi!

Calma, Dean. Calma.

Magari non si sono ancora resi conto da quanto tempo sono via o, ancora meglio, staranno pensando che sia da qualche parte in città a ubriacarmi e fare sesso con la ragazza più bella del locale.

Accendo la radio, girando la manovella per trovare la frequenza rock: basta pensare.

Lascio che la musica dei Metallica si espanda per tutto l’abitacolo. L’auto trema per il forte tonfo degli strumenti musicali. Accompagno il ritmo, tamburellando con le dita sul volante. Mi rilasso completamente: farò il lavoro, poi finirà tutto come deve finire. Tornerò al mio posto. Starò di nuovo bene.

Mi guardo intorno per un istante, giusto per rendermi conto di dove sto andando. Ho il finestrino aperto e il vento mi spettina i capelli. Sorrido e continuo a guidare, beandomi dell’aria fresca che mi colpisce il viso.

Lancio un’occhiata fugace allo specchietto retrovisore, non vedo niente.  Nessuno mi sta seguendo. Tutto è silenzioso, solo il lieve fruscio delle foglie causato dal vento. Niente si muove tra gli alberi, nessuna strana presenza. Sembra che Alastair non abbia mandato altri demoni a controllarmi. Si fida di me, sa che posso farcela. Convinto di questa mia ipotesi, spingo di più il piede sull’acceleratore.

Canticchio tra me e me per rendere meno noioso il passare del tempo. Il paesaggio è monotono, sempre lo stesso da quando sono partito. Dove accidenti è la città? Non cambia niente, neppure un minimo particolare. La solita filare di alberi lungo la stradina stretta e piena di ciottoli.

Diminuisco la velocità e metto la seconda. Imbocco la discesa e, finalmente, qualcosa comincia a cambiare. Gli alberi si fanno radi, ma ancora non riconosco il posto: probabilmente non ci sono mai stato. Cominciano ad intravedersi piccoli cespugli, segno che sto arrivando a destinazione. La città dovrebbe essere vicina. Infatti. Rallento ancora, per poi scendere fino alla fine del percorso. Niente più alberi, niente più arbusti. Palazzine, semafori e insegne luminose mi appaiono davanti. Sono arrivato.

Perfetto. E adesso?

Fermo la macchina, guardandomi attorno per qualche secondo. Un bivio. Un momento, non devo farmi una gita turistica. Sono qui per lavoro. Devo trovare una ragazza. Dove? Semplice, dove ho sempre abbordato. Nei bar e nei locali.

Opto per prendere la traversa di destra, non ho voglia di aspettare che il semaforo cambi il colore della luce da rosso a verde. Prima faccio il lavoro, prima posso tornare.

Ci siamo. Un’insegna lampeggiante rossa con la scritta Joe’s pub. Parcheggio l’Impala proprio davanti all’ingresso, in modo da avere una buona via di fuga, nel caso ci fossero problemi. Scendo, chiudendomi la portiera alle spalle. Do una leggera carezza per darmi un po’ di coraggio, poi mi decido. Entro.

Il locale è pieno di gente. Ai tavoli due ubriachi stanno dando spettacolo urlando frasi sconnesse: sembrano discutere di politica. Punto immediatamente al salone bar, ma non ho molta fortuna. Al balcone c’è un ragazzo piuttosto giovane, potrà avere al massimo 20 anni, non di più. Non mi faccio prendere dallo sconforto e riprendo la mia ricerca. Ragazze ce ne sono a bizzeffe, basta solo trovare quella giusta. Una smorfia di disgusto si affaccia sul mio volto: ecco, ci mancava soltanto una cinquantenne che cerca compagnia. Per fortuna non è interessata a me. Tiro su il bavero della giacca, giusto per darmi un alone di mistero: le ragazze lo adorano.

Incrocio il mio riflesso nei larghi specchi, sono proprio un gran figo! Un bel tipo tenebroso e affascinante in cerca di un’avventura.

“Ehi, ti disturbo?” eccola. Capelli color castano chiaro, con piccole striature bionde che svariano da una parte all’altra. Sam dice che si chiamano mesh: pare le avesse anche Ruby nel corpo della biondina. Non me ne sono mai accorto. Oh cielo, come lo sapeva mio fratello? Niente paura, probabilmente ha più occhio di me in queste cose.

Ehi, ehi, calma e sangue freddo, Dean. Non sei qui per fare il parrucchiere. Stiamo lavorando. Torna a concentrarti.

“Jason Smith, tu sei?” comincio l’approccio.

Prima regola: mai dare il tuo vero nominativo. Mi risponde che il suo nome è Elizabeth, ma posso, semplicemente, chiamarla Liz. Noto che non mi da il cognome. Magari lavora qui come spogliarellista o cubista. La faccio passare avanti a me: la cavalleria prima di ogni altra cosa. Insomma, non è che posso chiederle a bruciapelo ‘ehi, scusa sei vergine?’ mi prenderei uno schiaffo diretto e, sicuramente, anche un bel ‘va a farti fottere, stronzo.’

Ordino due Bloody Mary, pagando in contanti e offrendole il drink. La fisso per qualche secondo, appena il tempo per osservarla meglio, ma senza essere insistente e dare l’impressione che la stia squadrando da capo a piedi. Il suo viso è liscio, le guance di un rosa pallido. Il trucco è leggero. Una riga di matita nera sotto gli occhi sottile, non troppo marcata. Ha un ombretto fuxia, anche quello molto delicato. Non sembra una che lavora in questo posto, che ci fa qui? Beh, se non glielo domando, non avrò mai una risposta.

Non sono all’Inferno, qui non posso leggere i pensieri delle anime. Perché è di questo che si tratta, sono in cerca di anime. Nient’altro.

“non lavori qui, che ci fa una bella ragazza come te in un posto come questo?” le chiedo, indicandole con lo sguardo la gentaglia all’interno del locale. Sfoggia un lieve sorriso forzato.

“ho appena rotto con il mio fidanzato” mi spiega tristemente.

Perfetto, al diavolo la purezza di Alastair. Forse conpura’ Alastair non intendeva quello che penso. Insomma, dovrei girare l’intera città per trovarne una, se mai ci fosse. Dal suo tono scherzoso, ma serio allo stesso tempo, credo volesse dirmi di non fare cazzate. Voleva ricordarmi che non sono qui per divertirmi. Almeno, mi auguro che sia così, altrimenti sono fottuto. Decisamente fottuto.

Prendo il drink, passandole l’altro. Sollevo e inclino il mio bicchiere verso il suo scontrandolo per un brindisi. Sorseggio piano la bibita, ne gusto il sapore forte al punto giusto.

Bene. Ora o mai più, Dean.

Prendo un bel respiro, non posso aspettare oltre. Una rapida occhiata all’orologio: cavolo sarà già alterato quando arriverò. Arriveremo, mi correggo.

No, sbagliato. Qualcosa non va, che mi succede?

Sto andando in panico, perché non le propongo di andare alla mia macchina? Stupido idiota, cosa stai aspettando, che sia lei a invitarti? No, niente di tutto questo. So bene cosa sta accadendo. Sono gli occhi di questa ragazza, Liz. Le sue iridi marroni, tendenti al grigio, mi fanno capire che sto facendo un’enorme cazzata. Sono gli occhi di una semplice ragazzina, triste e malinconica per essere appena stata lasciata dal fidanzato. Non è un’anima legata ad una ruota. È un piccolo essere umano. Non posso farle del male, non posso permettere che lui le faccia del male. Devo trovarne un’altra, una che possa fare al caso suo, nostro. Certo, chi voglio prendere in giro? Non porterò a termine il lavoro, so che non lo farò. Uscirò da questo pub a mani vuote. Se solo ci fosse Alastair con me. Perché mi ha mandato qui fuori da solo? Vuole dimostrarmi che cosa? Che ha fiducia in me? Va bene, lo so, me lo ripeteva ogni dannatissimo istante, ma ero sempre e solo in sua compagnia. Non sono mai stato sballottato a lavorare da solo. Avevo sempre il suo ‘ottimo lavoro, figliolo, ottimo lavoro’ nelle orecchie. Sempre dietro di me a controllare ogni mio movimento, a correggermi dove commettevo errori, a migliorare le mie capacità. Da solo non posso farcela. Questa non è casa. Non mi trovo a mio agio qui. Basta. Devo uscire da questo maledetto posto.

Mi alzo di scatto dal sottile sgabello su cui ero seduto. Lascio una cospicua mancia al barista, poi senza dire una sola parola, esco dal locale.

Mi dirigo velocemente all’Impala, sfrecciando via. Una rapida occhiata allo specchietto alla mia sinistra, giusto per controllare che Liz non si sia precipitata fuori a vedere cosa mi stava succedendo. La poverina deve essere rimasta così spiazzata, da essersi bloccata al balcone. Bene, non credo di poterci tornare mai più lì dentro: la mia reputazione da latin lover è appena andata a puttane o, per meglio dire, è andata letteralmente a farsi benedire.

M’infilo in un vicolo appartato, senza rotture di scatole. Rifletto un momento su quello che è accaduto un attimo fa. Ho buttato al vento una grande opportunità: quella ragazza mi avrebbe seguito senza obiettare, voleva soltanto svagarsi e non pensare. Non ci avrei messo molto a farla salire in auto e portarla via. Oltretutto, sono molto più forte di lei e addestrato: era molto esile. Anche se avesse opposto resistenza, avrei potuto metterla KO in meno di un secondo e caricata su senza incontrare alcuna difficoltà.

Tiro un violento pugno al volante, che cosa mi è saltato in mente? Farmi venire scrupoli in questo modo. Alastair mi ucciderà! No, magari lo facesse. Prima mi punirà, mi farà rimpiangere le torture prima del sì, poi mi lascerà agonizzante e mi abbandonerà in quel magazzino.

Vengo scosso da un brivido. Paura. Adesso ho di nuovo paura. Non sentivo più questa sensazione da una vita ormai. No, non proprio da una vita. Vero che sono passati dieci anni, ma qui sono stati soltanto quattro mesi.

Poggio la testa sul sedile, coprendomi il viso con le mani. Che cosa faccio? Dove vado? Potrei tornare da mio fratello, ma dove sono? Non ho neppure chiesto in che città mi trovo! Sarà lontana la casa di Bobby? Sì, ma torno lì con che faccia? Se mi chiedessero dove sono stato, cosa potrei rispondere? Ho evocato il mio peggiore incubo, perché sono un coglione masochista? E se Sam non aspettava altro che il mio allontanamento? Se stava meglio senza di me?

No, non posso tornare lì. Non mi capirebbero.

Se Sam mi vedesse qui, mi farebbe rinchiudere in un ospedale psichiatrico e farebbe gettare via la chiave. No, non lo farebbe. O sì? Adesso non sono più sicuro di niente. Tutta la mia vita, a che cosa è servita? Che razza di scopo ho? Azazel aveva ragione, l’ha sempre avuta, solo che non volevo crederci. I demoni mentono, questo mi ripeteva papà in continuazione, ma non era vero.  L’unico interesse di papà è sempre stato tenere al sicuro Sam.

A sei anni io avevo già un fucile e cominciavo a sparare,  mentre Sam, alla stessa età, guardava ancora i cartoni animati alla televisione. Ha preso una pistola in mano solo tre anni dopo, quando papà ha deciso che doveva imparare a difendersi anche lui stesso. Non c’è mai stato un momento in cui sentivo papà dire che doveva proteggere me, mai. Era una litania continua: Sammy, Sammy, Sammy.

Alastair, al contrario, è stato l’unico ad occuparsi di me. Vero, in un modo abbastanza contorto, ma almeno mi ha dato importanza. Mi ha sempre detto chiaramente quello che voleva fare: spezzarmi. È sempre stato sincero. Ero il suo preferito, lo sono ancora. Voleva che gli cedessi, il suo intento era giocare con me, sfidarmi, fino a quando non avessi scelto di seguirlo. Così è stato. Mi ha protetto: nessuno poteva avvicinarsi a me.

Opto per la soluzione più dolorosa: tornare da Alastair al magazzino. Non potrei andare da nessun’altra parte.

Esco dal vicolo, dirigendomi di nuovo verso la stradina lastricata. La percorro a tutta velocità: prima affronto la cosa, meglio è.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** quinto capitolo ***


Ci impiego la metà del tempo di quando sono partito per arrivare alla fabbrica. Fermo la macchina di fronte all’entrata, dirigendomi a testa bassa verso i due uomini posseduti che sono di guardia. Mi vengono incontro, guardando attentamente attraverso i vetri dell’Impala.
“sono solo…” dico, quasi in un sussurro. 
Il tipo più grosso mi lancia uno sguardo di fuoco; se potesse, mi fulminerebbe all’istante. Non mi preoccupo più di tanto, so che non è autorizzato ad alzare un dito su di me. Quello che mi fa paura è là dentro. 
Non dice una sola parola, ma conosco bene la procedura e so cosa mi aspetta. Non oppongo neppure una minima resistenza e porto le mani dietro la schiena. L’altro non deve neanche venire in suo soccorso. Mi lascio afferrare le braccia senza aprire bocca. La porta viene aperta e vengo letteralmente spinto all’interno.
Alastair è lì, a braccia conserte.
“Cosa è successo? Dov’è la ragazza, Dean?” mi chiede. 
Andiamo, Al. Sai bene che non c’è nessuno oltre a me. Scuoto la testa, restando a testa bassa. 
Sento i suoi passi pesanti, ma puliti. Si avvicina. Non provo a difendermi, non cerco di allontanarmi o di liberarmi dalla presa non troppo possente del demone: non mi servirebbe, peggiorerei maggiormente la mia situazione già delicata. 
Posso vedere i suoi scarponi neri, niente stringhe. La sua mano sul mio viso. Chiudo forte gli occhi, preparandomi a ricevere un primo pugno di avvertimento. Non succede. Mi afferra il mento. 
Mi costringe a sollevare la testa, in modo che possa guardarlo in faccia, poi da ordine di lasciarmi andare.
Cosa? Perché? 
Non perdo tempo a chiederlo a voce alta, è la volta buona che mi fa a pezzi sul serio. 
Massaggio velocemente i polsi, prima tenuti stretti dietro la schiena, e lo seguo, dopo il suo cenno di avvicinarmi.
“Siediti, Dean” sedermi? Su quella catena di montaggio? Mi prendi per scemo? Eseguo comunque l’ordine, seppure riluttante. 
Il suo sguardo severo mi fa capire che o mi sarei seduto di mia spontanea volontà o mi ci avrebbe costretto lui e non sarebbe stato affatto piacevole. Guardo impaurito i ganci sopra la mia testa. Mi poggia una mano sulla spalla, sembra tranquillo. Non è affatto un buon segnale.
“Me l’aspettavo. Immaginavo saresti tornato a mani vuote.” 
Se lo aspettava? Sapeva che avrei fallito?
“Senti, Alastair, non puoi semplicemente punirmi e basta? Facciamola finita.” Tutto questo mi sta facendo innervosire, mi sta spaventando. 
Stringe la presa sulla spalla: “pensavo più ad una chiacchierata, ma se proprio ci tieni…” ammicca.
“tu vuoi parlare?”
Panico. Quando Alastair vuole parlare, è sempre un pessimo segnale. Ti entra nella mente, ascolta i pensieri. Capisce i tuoi punti deboli e li usa contro di te per l’affondo finale.
Dio, preferisco la tortura a questo!
“Che ti succede? Hai perso colpi?” provo a sfidarlo, quasi sperando che accolga la provocazione.
“Volevo vedere come stavi. Ora lo so: non sei ancora pronto.” Pronto per cosa? La domanda non esce fuori dalla bocca, non riesco a parlare. Sono confuso. A quanto pare, ha fatto finta di non avermi ascoltato. Vuole parlare.
“Ti capisco, qui è tutto diverso. Il mondo esterno ti spaventa, sei spaesato. Mi aspettavo questa reazione, ma sapevo anche che saresti tornato.” 
“Non sapevo dove altro andare” ammetto sottovoce, ma sono sicuro che mi abbia sentito. 
A lui non sfugge mai niente.
“Lo so, Dean.” si sposta, lasciandomi più spazio per mettermi comodo. 
“sapevi che tuo fratello sa tutto, Dean” no, un momento. Cosa ha detto? Sam sa tutto cosa?
“Scusa?” chiedo allarmato.
“Pensi davvero che non sappia nulla?”
Scuoto la testa.
“Non è vero, non può saperlo. Sammy non…” le parole mi si spezzano in gola.
“Onestamente? Non dirmi che non hai notato: il suo allontanarsi, le sue domande. Tuo fratello è schifato da te…
“Tu come accidenti le sai queste cose?” sbotto.
Fermo, Dean. Non abusare della sua clemenza.
“ho i miei informatori, dovresti saperlo” mi ammonisce. Risposta impeccabile.
Va bene, ragioniamo. 
Sam sa quello che ho fatto. 
“non sto mentendo, figliolo” mi assicura, ammorbidendo la sua presa.
“Lo so, lo so…” sospiro.
“Povero ragazzo, ti abbandonano tutti: mamma, papà e ora anche Sammy… 
Già. Odio ammetterlo, ma ha ragione.
“Guardati, Dean. Pensi che non lo senta? Il tuo dolore, la tua rabbia. Sei annientato, non hai più niente da perdere.” si ferma giusto per qualche secondo, poi riprende il suo discorso “siamo solo io e te, come prima” conclude, posandomi una mano sulla spalla.
“E non sei deluso?” 
“Forse un po’” scherza “non ti sei comportato da bravo allievo, no no” si alza e cammina per la stanza, formando un cerchio perfetto, poi si ferma. 
Il suo tono ora è serio, lascivo: “non deve succedere di nuovo: la prossima volta non sarò così clemente, Dean” mi minaccia “se mi deluderai ancora, sarò costretto a trovarmi un nuovo assistente”.
“Cosa vuoi che faccia?” chiedo infine. 
Sorride “resta qui” detto questo, sparisce dalla mia vista.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** sesto capitolo ***


Non mi rendo conto di ciò che sta accadendo, fino a quando non mi sento chiamare.
“Dean?!”
Cazzo.
“Alastair!” grido sconvolto. 
Che diavolo ha combinato?! Davanti a me, mio fratello è immobilizzato da due demoni. Cosa è successo?
“Al?” lo chiamo “cosa è questo?”
“non è stato difficile: eravamo in maggioranza” ammicca. 
Mi spiazza. 
Sam viene legato ad un palo. Non riesco a muovere un passo. Dentro di me ci sono troppi sentimenti, emozioni. 
Il primo istinto è quello di andargli incontro, ma vengo fermato: “ah ah, cosa stai facendo?” 
Niente, non faccio niente. 
Deglutisco, ingoiando anche la paura che mi pervade. 
Alastair mi chiama. Lo raggiungo. Quando mi posa il suo adorato strumento sulla mano, lo guardo incredulo: “non hai mai voluto che lo toccassi da quando…” dico titubante 
“Prendilo, Dean.” mi esorta ad andare.
“Figlio di puttana, cosa hai fatto a mio fratello?” Sam cerca di liberarsi, senza esito. Le sue mani sono strette in una morsa ferrea: non può muoverle.
“Dean, ascoltami. So tutto” cosa? Mi volto verso Alastair che sorride. Mi sento ribollire dalla rabbia. Dovrei calmarmi, non dovrei esplodere di botto, ma…
“Che cosa sai, Sam?” 
“Ti ho chiamato, Sam! Ho urlato il tuo nome per non so quanto tempo, sapevi anche questo?” fletto il braccio e gli sferro un pugno. Rivoli di sangue fuoriescono dal suo naso, insieme a minuscoli ossicini. Una frattura. Il suo viso è visibilmente distorto dal dolore, ma non fa uscire un verso di lamento. 
“Sai ogni dannata cosa e hai anche il coraggio di chiedermelo? Volevi sentirmelo dire, Sam? Hai idea di quello che mi costi parlarne?” un altro pugno.
“Adesso basta, Dean.” Alastair mi ferma dal colpirlo ancora 
Stringo tra le mani il suo bisturi. Basta questo per infondermi coraggio.
Mi da fastidio: questo è il mio mondo, lui non centra nulla qui. Gli sarebbe bastato osservarmi per capire come mi sentivo. Sapeva. Sam era a conoscenza di tutto. Tutte quelle domande, tutta quella insistenza. Adesso capisco: mi pressava perché voleva sentirlo dalla mia voce. Non si è interessato del perché ho ceduto. Non mi ha mai chiesto come stavo.
“Hai sempre saputo tutto e non hai pensato a come potevo starci?” gli chiedo. 
Spiacente, Alastair, ma è una cosa personale.
“Dean, non so di che diavolo stai parlando!”
“Sì che lo sai!” mi arrabbio.
“Tu, cosa? Dean, tutto quello che so me l’ha detto Castiel!” si volta furioso “Tu, che cazzo hai fatto a mio fratello?” Sam si agita, scandalizzato. Si dibatte per tentare di liberare i polsi. 
D’istinto, faccio un passo indietro.
Mi fa male la testa: troppe informazioni, troppa carne al fuoco. 
Alastair non dice una parola. Si limita a godersi la scena. Appoggiato alla parete, mi sorride, gustandosi ogni frase.
Devo calmarmi e ragionare. Stare qui fermo come un cretino non mi aiuterà a risolvere questo casino.
Castiel. È stato Cass a riferire tutto a mio fratello? Porca puttana, non ci sto capendo più niente.
“Possiamo risolvere questa crisi familiare più tardi, Dean?”
“Alastair, sta zitto!” esplodo. Sono confuso. In questo momento anche l’unica certezza che avevo è diventata un dubbio. Non so più chi sta mentendo.
“Come hai detto, scusa?” 
Alastair. Ignoro il suo tono arrabbiato, non ho tempo per farmi prendere dal panico adesso.
“Al, mi devi una spiegazione. Mi hai mentito?” faccio cadere il coltello a terra, senza riflettere. 
“Il mio informatore ha commesso un errore. Verrà punito, te lo assicuro.” 
Perché faccio fatica a credergli? Forse, perché non posso pensare che Sam menta su questo? Non potrebbe mentirmi su una cosa del genere. Sarebbe meschino e mio fratello non lo è. È un grandissimo idiota, ma non meschino. Mi avvicino ad Alastair, incurante del fatto che potrebbe farmi a pezzi con un solo gesto della mano. 
“Tutto quello che mi hai detto, il discorso che ho ascoltato. Tu sei l’unico ad avere fiducia in me, l’unico su cui posso contare: erano tutte stronzate. Sono stati quaranta fottutissimi anni di stronzate” dico deluso. 
Che cosa ho fatto? Distolgo lo sguardo da mio fratello. Maledizione, che cosa ho combinato?
“tira su il bisturi.” Come? È questa l’unica cosa che ha da dire? Tira su il bisturi? Lo guardo con aria di sfida: “No.”
“No?” solleva un sopraciglio, avanzando di un passo verso di me. Non mi muovo di un millimetro. Spavaldo e teso nello stesso momento.
In un attimo la mia mente mi riporta indietro nel tempo. Ricordo bene tutti quegli anni, prima di quella parola, due fottutissime lettere che hanno mandato al diavolo tutte le mie convinzioni. Buffo che un miserabile sì possa essere così importante. Mi sto pentendo? Sono anni che faccio a pugni con questa cosa. Il rimorso, ma anche la sensazione di puro piacere, si mischiano in un inquietante frullato di emozioni. Se tornassi indietro, rifarei la stessa cosa? Direi ancora quel ‘sì’? Senza nessuna ombra di dubbio. Non avrei potuto sopportare oltre.
Sono terrorizzato, sono ad un passo dal ritornare alla fase precedente. ‘La persuasione’ come la chiamava Alastair. Ricordo benissimo quelle dita lunghe, nere. Posso ancora sentire la morsa delle catene serrarsi attorno ai polsi e alle caviglie, il dolore lancinante dei ganci conficcati nella carne. Il suo sorriso e quella carezza quasi rassicurante sul mio viso, prima di procedere con la sessione giornaliera.
“fa male, Dean. Lo so, ma è necessario.” Il tono era dolce, sembrava volermi mettere a mio agio. Ricordo anche i soliti scambi di battute, il suo modo gentile di calmarmi, non appena gli spasmi del dolore mi sconquassavano il petto martoriato dai suoi strumenti. 
“Ti basta una parola, Dean. Dimmela e smetterò” l’ho mandato a farsi fottere per una trentina d’anni, poi ho pensato di non avere niente da perdere: Sam poteva non esserci più, Bobby sicuramente. Ha vinto.

“Dean, non farmelo ripetere una seconda volta.” mi minaccia. 
Allargo le braccia: “o cosa? Mi rimetterai sulla ruota? Non siamo più all’Inferno, Al!” lo sfido. Cazzo, ho una paura fottuta. Mi sono bevuto il cervello? Che cosa sto facendo?
“Dean?” Sam mi chiama. Mi volto per un attimo a guardarlo; le sue mani sono legate sopra la testa, i piedi immobilizzati da una cinghia scura. Vedo i suoi muscoli tendersi, sta cercando di liberarsi. Una smorfia, dettata dallo sforzo, appare sul suo volto. Non gli rispondo, mi limito a guardarlo e fargli un occhiolino di intesa.
Andrà tutto bene, Sam.
Un demone accorre a raccogliere il piccolo coltello sul pavimento. Lo porge ad Alastair che tiene lo sguardo fisso su di me.
“Sono davvero deluso, Dean.” 
Scuote la testa.
“Penso che tu abbia bisogno di tornare sui banchi di scuola” mi rimprovera “dovresti sapere qual è il tuo posto.”
“Piantala, fallo e basta” prima che il terrore prenda il sopravvento.
Un lieve cenno della testa e mi ritrovo bloccato da due demoni. Sam non fa altro che chiamarmi. Si dimena, chiedendo ad Alastair di lasciarmi andare. 
Vengo trascinato dove comincia la catena di montaggio. Oppongo una forte resistenza, cercando di ritardare il momento il più possibile. Reazione stupida, serve a stimolare maggiormente quel sadico figlio di puttana. Mi spingono contro la tavola liscia e nera, le caviglie mi vengono immobilizzate con la stessa cinghia utilizzata per Sam. Tento di resistere, ma in cambio ricevo soltanto un’ulteriore stretta sulle braccia. Sento qualcosa stringersi attorno ai polsi, tenendomi le mani stese contro la superficie. 
È finita. Non posso più muovermi. 
Sollevo la testa, quando i demoni si allontanano. Accidenti. Non è una corda, sono fili elastici; questi mordono la carne, è praticamente impossibile e impensabile anche tentare di liberarsi dalla loro morsa.
“Allora, Dean, è bello tornare ai vecchi tempi? La tua voce mi mancava così tanto” si avvicina, un passo dopo l’altro. Si accuccia per prendere una ciocca corta di capelli tra le mani.
“Fottiti.” gli sputo addosso la mia strafottenza, mascherando la paura. Non servirà a nulla: Alastair mi conosce molto bene. Sa dove e come colpire, conosce i miei punti di forza e i miei punti deboli, soprattutto quelli. Sa quando faccio lo spaccone per paura o quando lo faccio per fare il semplice cretino esaltato.
“Sai cosa ti succederà, no?”
“Sì, lo so. Fallo.” lo esorto. Prima comincia, prima finisce. Questo è stata la frase ricorrente che mi ha permesso di non impazzire per tutti i trent’anni.
Sventola il rasoio davanti ai miei occhi, poi sorride. Guarda verso l’alto. Merda. Deglutisco, gli occhi fissi sul gancio appeso sopra le gambe.
Alastair, no. Non siamo all’Inferno. Ti prego, non farlo. 
Vorrei fermarlo, ma so che non servirebbe a niente: non mi ascolterebbe. Dalla bocca non esce nulla di tutto questo, se non un “speravo mi facessi vedere qualcosa di nuo…” devo smettere di parlare.
Per fortuna il gancio non lo alletta, ma purtroppo sa usare quel bisturi dannatamente troppo bene. Dalla mia gamba comincia a fuoriuscire il sangue.
Sento la carne lacerarsi sotto la pressione della lama. Mi costringo a tenere a freno un conato di vomito: il coltello entra in profondità, lacerando muscoli e tendini.
“Dean!” la voce di Sam mi risulta lontana, ma lo sento ancora. Il colpo mi ha stordito parecchio. Stringo i denti più che posso, ma alla fine devo cedere. Non riesco a trattenermi e grido di dolore. 
“Bravo, il mio ragazzo. Tira fuori quella voce” mi dice in tono scherzoso.
Vaffanculo!” impreco. 
Apre la bocca e fa uscire una sonora risata. 
Sento la sua mano effettuare un movimento rotatorio. Fa un male allucinante, quasi peggio delle torture dell’Inferno. Sento lo stridio dei denti che sbattono gli uni contro gli altri. Un altro giro e sono di nuovo costretto a urlare.
“Oh, che c’è, Dean? Ti faccio male?”
“Fottiti, bastardo!”
Lo vedo voltarsi verso Sam e mi prende il panico quello vero.
Alastair… non farlo” lo imploro.
“Davvero mi credi così subdolo? Sai che se voglio colpirti, lo faccio direttamente” m’ammonisce, lavorando ancora con il suo arnese.
Va bene. Siamo fottuti.
Chiudo gli occhi. 
Basta, non posso farcela. Non voglio più soffrire, non voglio tornare su quella ruota. 
Una lacrima, dovuta al forte dolore, mi scende sulle guancie. Per la prima volta, da quando sono tornato, prego. 
Mi ricordo molto bene l’ultimo giorno ai piani bassi. Stavo eseguendo il solito lavoro, era una donna, ora come ora non mi viene in mente quanti anni potesse avere quando è stata prelevata, ma non era giovanissima. Un lampo più luminoso degli altri, poi grida di rabbia. Un calore rassicurante mi avvolge le spalle. Mi culla con una litania, calmando la mia resistenza iniziale. L’ultima cosa che ricordo è il senso di soffocamento dentro la mia tomba. Quanto vorrei che Castiel mi venisse a salvare una seconda volta. È chiedere troppo?
Maledizione, Cass! Sorrido tra il dolore, non tutto è ancora perduto.
Alastair continua a maneggiare quel dannato bisturi, ma cerco di isolare la mente. 
Non funzionerà, lo so, ma a questo punto vale la pena provarci. Non resta altro che tentare.
Cass, mi senti? Probabilmente penserai che sia un’idiota, ti capisco, ma qui avrei un piccolo problema. Non è che potresti usare uno dei tuoi trucchetti magici e venire a prenderci? Amen.
Beh, il tentativo l’ho fatto. Ora non resta altro che aspettare. E sperare.
Provo a liberare i polsi, devo avere un po’ di tregua.
“Mi hai chiamato, Dean?” un boato sordo infesta il magazzino e ricopre le mie urla.
“Cass? Non sai quanto… sono felice di rivederti, amico” diavolo, ha funzionato! 
Alastair si allontana dalla gamba, dandomi finalmente una pausa. 
I demoni vengono accerchiati da un gruppetto di uomini: Angeli. Cass si è portato la cavalleria. Alastair mi guarda: 
“non pensare che finisca così, Dean. Abbiamo ancora un conto in sospeso” mi minaccia. 
Apre la bocca e getta la testa indietro. Del fumo nero e denso fuoriesce dall’apertura e dalle narici: se ne è andato.
“Dean, ragazzo, come ti senti?” Bobby. 
“Sei venuto… con lui?” indico Cass che, nel frattempo, è impegnato a fare non so cosa con un demone. Gli poggia una mano sulla fronte e questo perde conoscenza.
“è divertente il teletrasporto” mi prende in giro. Mi libera le caviglie e i polsi dalle costrizioni.
“ho bisogno di Sam, non muoverti” m’intima severo. Lo seguo con lo sguardo, mentre fa lo stesso con mio fratello che subito accorre da me.
“Dean! Maledizione!” impreca, dando un’occhiata alla gamba. 
Sforzo un sorriso, ho tante cose che dovrei dirgli.
Al centro della fabbrica c’è un caos allucinante. Angeli e demoni combattono furiosamente uno contro l’altro.
“D’accordo, Dean, ora sta fermo” Bobby si toglie la maglia e straccia via la parte di jeans vicino alla ferita. Fa un cenno a mio fratello che passa dietro di me. So cosa deve fare. Sam mi prende la testa e la poggia sulle sue gambe. 
Mi afferra le spalle, tenendomi fermo. 
Improvvisamente, un dolore acuto mi pervade la gamba. Riesco a sentire le mani calde e pesanti di Bobby sulla gamba. Preme con la sua maglia per fermare l’emorragia. Non appena ha concluso, m’immobilizza la gamba con un pezzo di legno, trovato sul pavimento, e la sua cintura. 
“È finita, Dean. È tutto finito.” mio fratello mi rassicura, poggiandomi una mano sulla fronte.
Cerco di sollevarmi, ma non mi lascia muovere: 
“Dean, è meglio che stai ancora un attimo sdraiato” non ho la forza di obiettare, meglio che faccia come dice.
Non sento più i rumori e le grida del combattimento. Il silenzio assoluto. 
A terra, i corpi inermi di alcune persone: sono i quattro scagnozzi di Alastair.
Sam mi tiene la mano, lo sguardo perso nel vuoto. Sembra stia cercando di dirmi qualcosa, ma questa volta sarò io ad anticiparlo. Quello che è successo oggi non deve ripetersi mai più.
“Sammy, mi…
“No, Dean. Avrei dovuto capirlo, solo non volevo vederlo” si scusa.
“non potevi” lo giustifico. 
Sorride, ma non dice altro.
“Sam, dico sul serio. Mi dispiace” dico a testa bassa.
“Dean, basta. Non sei stato in un agriturismo, è normale che fossi confuso. Adesso calmati, d’accordo?” annuisco, incapace di rispondere.
“Forza, ti portiamo a casa. Dobbiamo sistemare bene questa gamba. Cass ti guarirà, andrà tutto bene” mi aiuta ad alzarmi. 
Mi sorregge saldamente, mentre Bobby fa lo stesso dalla parte opposta.
“Cass, ci dai un… passaggio?” mi guarda con un’espressione che sembra dire ‘non ti serve altro, sua maestà?’ e mi raggiunge.
Mi posa un dito sulla fronte, ma prima di teletrasportarci a casa di Bobby, mi dice: 
“Dean, io non uso trucchetti magici”.

 

NOTE: ed ecco che arriva la parola Fine per questa storia.

Cosa dire, ringrazio tutti per le recensioni che mi avete lasciata e spero che vi sia piaciuta.

A me l’ultimo capitolo proprio non piace, ma perdonatemi: l’ho scritto in un brutto periodo senza ispirazione e dovevo consegnare la fan fiction per il giorno dopo XD

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=638332