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Dormire, da quanto
non lo faccio decentemente? Sembra facile: basta chiudere gli occhi, liberare
la mente e abbandonarsi al buio. Basterebbe poco, anche un’ora. Un sonno
pulito, libero da incubi. Non mi sembra di chiedere molto, no?
Per non cadere in
tentazione, mi preparo a bere il mio quinto caffè. Inspiro profondamente e ne
assaporo l’aroma ricco e penetrante. Libero la mente, non penso ad altro.
Mentre fisso lo sguardo all’interno del bicchiere, il liquido comincia ad
assumere le forme più strane: prima è soltanto un piccolo e innocuo cerchio
nero all’interno di uno più grande, poi il colore cambia. Non più nero, ma
rosso. Rosso sangue.
Scuoto la testa
immediatamente, volgendo lo sguardo altrove. Buttò giù il caffè tutto di un
fiato, poi mi ritrovo a guardare distrattamente verso i divanetti malconci del
salotto: Sam si è addormentato circa tre ore fa, Bobby ha tenuto duro mezz’ora
di più. Anche io sono stanco morto e quella sedia laggiù in fondo sembra mi
stia chiamando. Le palpebre cominciano a farsi pesanti, ormaicredo che anche la caffeina stia perdendo la sua
efficacia. Quanto tempo è passato dall’ultima vera dormita? Considerando anche
gli anni passati di sotto, direi molto. Troppo. Mi alzo di scatto: non ho
intenzione di cedere. Evito i libri sopra al tavolo: se per Sam questi sono oro
colato, a me provocano soltanto ulteriore sonnolenza. Le chiavi dell’Impala
nella tasca posteriore dei jeans si scontrano con qualche spicciolo, formando
un dolce tintinnio. Forse, uscire non sarebbe una cattiva idea, ma dove potrei
andare? Non c’è nessun posto dove sentirmi a mio agio, niente che possa farmi
sentire bene. Soltanto uno mi attira terribilmente…
ed è l’ultimo dove dovrei desiderare di tornare. Se chiudo gli occhi, posso
sentire una voce che chiama il mio nome. Lentamente. Una cantilena inquietante
che mi ripete insistentemente di andare fuori.
Che cazzo mi sta
succedendo? Va bene, ragioniamo. Non dormo da mesi praticamente, sentire voci è
normale, no? Non sto uscendo di testa, vero? Cerco di calmarmi, ma è diverso
dalle altre volte. Dura troppo a lungo e, diavolo, sono sveglio! Questi
problemi li ho soltanto quando dormo, perché sta succedendo adesso? Sto
peggiorando? L’ultima caccia che abbiamo affrontato sono state due stupide
streghe, che mi abbiano fatto un incantesimo?
“Sam?” lo chiamo
debolmente, quasi a non volerlo davvero svegliare. Ho bisogno di aiuto, ma non
riesco ad alzare la voce. Ci provo, ma più di un sussurro non esce fuori.
Sento l’impulso
irrefrenabile di uscire, di andare verso quel qualcosa. No, non sono le
streghe. So di chi si tratta, lo so eccome.
Sei tu, vero?
Ovviamente. Chi
altro potrebbe essere così fottutamente sadico da farmi provare emozioni
contrastanti nello stesso momento? Chiudo gli occhi per qualche istante e, in
questi pochi attimi, posso percepire l’aria gelida e penetrante, l’odore acre
del sangue che s’impregna nella mia pelle. Posso sentire la sua voce, bassa, ma
decisa, inquietante e rassicurante in ugual misura. Sto diventando matto? Sì,
senza alcuna ombra di dubbio.
Pazienza, figliolo. Devi avere pazienza.
Apro nuovamente gli
occhi. Basta, non posso andare avanti così. Tiro fuori le chiavi dalla tasca e
mi precipito fuori, chiudendo piano la porta per non svegliare nessuno.
Quello che mi
abbraccia fuori è un panorama magnifico. È la prima volta, dopo anni e anni,
che mi soffermo a guardare il cielo notturno. Mi appoggio al cofano
dell’Impala, mando giù lunghe sorsate di birra, beandomi del suo sapore, amaro,
ma intenso. Sorrido. Se Bobby mi trovasse qui, proverebbe a esorcizzarmi e non
avrebbe tutti i torti. Insomma, che diavolo mi sta succedendo? Questo non sono
io! Dovrei andare in un bar e fare sesso con la barista, dovrei spassarmela:
maledizione, sono salvo! Dovrei fare tante cose. Dovrei. Nonostante questo, sono
qui fuori a pensare stronzate e ubriacarmi da solo come un coglione. Invece di
essere felice di aver avuto una seconda occasione, sento la mancanza di quel
figlio di puttana. Ed è davvero grave!
No. Tutto questo
non va bene. Deve finire, prima di cadere in un fottuto buco nero.
Apro la porta per
tornare in casa, deciso a prendermi un calmante. I ragazzi ancora dormono; se
mai mi vedessero bere una schifezza simile, Sam mi ucciderebbe, quindi dovrò berlo
di nascosto, senza fare rumore. Peccato che il mio corpo non voglia
collaborare. Quando appoggio un piede sul primo dei tre scalini d’ingresso,
forti brividi mi scuotono la schiena e un crampo allo stomaco mi costringe a
piegarmi. Che diavolo è? Demoni? No, non sento alcun odore di zolfo e sono
completamente solo qui fuori. Ho fatto indigestione? Impossibile, ho mangiato
molto meno del mio solito: Sam, infatti, era molto preoccupato, non smetteva di
tormentarmi con le domande.
Streghe. A questo
punto, devono essere state loro. Quasi senza rendermene conto, tiro un sospiro
di sollievo. Pensavo che fosse ancora quella stronzata dello stress post
traumatico di cui mio fratello mi parla continuamente.
Ne devi parlare, Dean. Non ne uscirai mai, parla con me.
Che accidenti ti
posso dire, dannazione? Nessuno può sapere com’è quel posto! E poi, come vuoi
che sia stato?
Un altro crampo mi
distoglie dai pensieri. Basta pensare, devo fare qualcosa. Cerco di reagire: se
non mi muovo a rientrare in casa, rimango secco qui. Non riesco a darmi la
spinta necessaria per tirarmi su, o forse sono io. Voglio davvero che finisca
tutto questo? Oh, maledizione! Certo che voglio! Faccio un grande sforzo e mi
appoggio al muro portante, tentando di rialzarmi. Gli occhi si appannano, non
riesco quasi a respirare: mi fa male il petto.
Ti prego, Sam. Svegliati.
Sento le gambe
sempre più pesanti, non mi reggo più neppure sulle ginocchia. Sono costretto a
poggiare le braccia a terra. Fango e terriccio si appiccicano alle mani sudate
e formicolanti. Mi gira la testa e mi stendo, cercando di regolarizzare il
respiro. Qualcuno viene verso di me. Quando sorride, capisco subito di chi si
tratta.
È qui. Mi ha
trovato.
Il terrore si
affaccia sul mio volto: è decisamente incazzato. Me ne sono andato, l’ho
lasciato giù da solo come un cretino. Tento di ritrarmi, di scappare, ma non
posso fare niente. Non riesco a muovere neppure un muscolo, è come se avessi
dei pesi attaccati e, se muovo la testa, rischio di perdere conoscenza da
quanto mi pulsa. Se la situazione non fosse tragica, potrei giurare di vedere
le classiche stelline che ruotano attorno alla mia testa come nei fumetti.
Si avvicina sempre
di più, ormai posso persino sentire il suo odore: sangue.
Mi sfiora i capelli
con una mano, mentre con l’altra mi blocca un braccio a terra. Come se ce fosse
bisogno.
Con due dita mi
sfiora il polso. Un bruciore intenso s’irradia fino alla punta delle dita.
Cerco di ritrarmi, ma rafforza la sua presa. Tremo. Rovescio la testa
all’indietro, smettendo di opporre resistenza. Mi chiama, ma non rispondo: non riesco
a parlare e a muovermi. Gli impulsi che partono dal mio cervello sembrano non
arrivare alle varie destinazioni. Non riesco neppure a dire una fottutissima
parola. È come se le mie parti del corpo non fossero più collegate tra di loro.
Finalmente, un lieve lamento mi sfugge dalle labbra, quando m’intima di
calmarmi.
Che fa, prende per
il culo? Come cazzo faccio a stare calmo? Ripete il mio nome e continua ad
accarezzarmi i capelli.
Di colpo il dolore
svanisce, lasciando spazio ad un fresco sollievo.
“Andiamo, ragazzo. Svegliati!”
Apro gli occhi di
scatto.
Di fronte a me, mio
fratello e Bobby.
“Grazie al cielo,
Dean, mi hai spaventato a morte!”
“Sam?” lo chiamo,
afferrando la mano che mi tende per aiutarmi a rialzarmi.
“Che diavolo è
successo?” chiedo spaesato.
Un lieve tepore mi
fa capire che sono dentro casa. Le mie mani sono pulite. Sudate, ma non c’è
nessun segno di lividi e ghiaia. Mi guardo attorno, cercando un qualsiasi
indizio che possa farmi capire che è stato tutto reale, che non mi sono inventato
niente. La speranza va a farsi fottere in meno di dieci secondi:
“Dimmelo tu, ti
abbiamo sentito urlare” mi racconta.
Merda.
Mi spettino i
capelli, nervoso. Ho avuto un altro incubo? A quanto sembra, sì. Bene, sta
peggiorando sempre di più. Grandioso!
Non riesco a
tenermi in piedi. Mio fratello si avvicina preoccupato. Mi sorregge e, seppure
riluttante, mi vedo costretto ad accettare il suo aiuto. Mi aiuta a sedermi
sulla poltroncina al centro della sala. Bobby mi porge una tazza di the caldo,
guadagnandosi uno sguardo poco gentile. Perché devo bere questa schifezza? Io
voglio alcool, ho bisogno di una sbronza! Devo ubriacarmi, non dormire.
“Non fare storie e
bevi” ordina. Abbasso lo sguardo, mentre prendo con il pollice e l’indice il
manico della tazza per non bruciarmi: è bollente. Sam comincia a parlare, ma
non riesco a capire che cosa dice: non lo sto ascoltando. Mi concentro sul
sapore amaro della bevanda e continuo a guardare verso il basso. Sono
estremamente imbarazzato.
“Dean?”
“Sam.” lo
rimprovera Bobby.
Cosa mai potrei dirti, Sam?Lasciami stare, ti prego.
Trovo lentamente il
coraggio di guardarlo negli occhi. Forzo un sorriso e poso il bicchiere sul
tavolo.
“Cosa?”
“Ricordi tutto,
vero? E chidiavolo è Ala, Dean?” però,
va dritto al punto, il fratellino.
M’irrigidisco e
smetto di sorridere. Deglutisco, mentre cerco di ricordarmi come si respira.
“Ancora? Sam, non
ricordo niente. Chiaro?” rispondo sbottando. Da come mi guarda, capisco che non
gli basta. Sa che sto mentendo, il bastardo. Infatti. Mi chiede degli incubi,
vuole sapere che cosa sogno, senza risparmiare i dettagli.
“Non lo so! Quando
mi sveglio, non ricordo niente!” mi alzo, passeggiando in tondo per calmarmi.
Barcollo e rischio di cadere a terra, ma per fortuna, Sam capisce che deve
lasciarmi i miei spazi e non accorre in mio soccorso. Forse, è troppo
arrabbiato per farlo.
Sospiro. Da quando
comincio a pensare male di mio fratello? Da quando dubito delle sue intenzioni
e del suo affetto per me? Dal momento esatto in cui ho detto quella dannata
parola.
“Sam, te lo giuro,
non ricordo niente. Possiamo tornare a dormire adesso?” lo imploro, ignorando i
miei pensieri che continuano a correre veloci. Impazienti. Sembra non vedano
l’ora di uscire dalla bocca. M’impongo di tenerli rinchiusi lì dentro, in un
angolo remoto della mia mente. Non devono essere tirati fuori. Quella parte di
me deve restare chiusa, sepolta per sempre. Peccato non sia questo ciò che
voglio.
Ti prego, Sam, smettila di chiedere. Non farmi parlare.
“Va bene” si alza.
Il suo tono è teso, vuole solo sapere che cosa mi sta succedendo per aiutarmi,
ma come potrebbe? Sam non può fare niente per me. Nessuno può.
“Dato che siamo
svegli, perché non proviamo a salvare il Mondo?” propongo, indicando i vecchi
libri, impolverati e ancora aperti, sulla scrivania grande.
“Ottima idea” mi
asseconda Sam. Sorrido. Grazie.
Prima di
raggiungere la grande libreria, mi passa accanto:
“Non puoi
continuare così, ti ucciderà…” sussurra, ma riesco a
sentire il tono roco, quasi spezzato. Faccio finta di non aver sentito, non ho
proprio nessuna voglia di mettermi a discutere.
Mi getto su un
libro a caso e comincio a leggere. Sfoglio ogni singola parola con il dito
indice, non voglio pensare ad altro, se non a quello che c’è scritto. Non
importa se non serve alla nostra indagine, se non è di aiuto. Mi basta tenere
la mente occupata, lontana da Lui. Almeno per un po’.
Sono molto
concentrato, non sento niente. Le voci di Sam e Bobby mi risultano
lontanissime, come se si trovassero nella stanza accanto. Mi accorgo
dell’apparizione di Castiel solo perché mi compare proprio accanto.
“Spazio personale,
Cass. Ne avevamo già parlato, ricordi?” lo rimprovero. Si sposta di un micro
passo. Lo guardo accigliato e lo allontano spingendolo, portando la distanza a
un metro circa.
“Calamity Jane, rispetta gli accordi” ammicco con un
sorriso.
Chiudo il libro che
mi sta davanti e incrocio le braccia, pronto ad ascoltare le sue parole. Sul
viso ha un espressione tesa e decisa allo stesso tempo. Deve essere successo
qualcosa di grave.
“Un altro sigillo
da salvare?” chiedo.
Mi alzo per
prepararmi a uscire. Se è venuto per questo, dobbiamo sbrigarci, non possiamo
aspettare.
“Dove?” mi fermo.
Non si tratta dell’Apocalisse. Bene, un giorno di riposo non fa mai male.
“Abbiamo notizie
importanti: in città è arrivato un Demone molto potente” comincia. Sto per
interromperlo, ma mi fulmina con lo sguardo. Decido di farlo finire, non voglio
vedere com’è Cass quando è incazzato. Potrei ritrovarmi a essere il prossimo
tacchino arrosto della cena del Ringraziamento.
“Questo Demone è
molto pericoloso, viene definito come il braccio destro di Lucifero in
persona.”
Alastair.
Un’insieme di immagini e parole cominciano a pararmi davanti agli occhi.
“Dean?” mi sento chiamare, ma non rispondo. Mi vedo riflesso dalla vetrata del
mobile bar e capisco perché Sam stia pronunciando il mio nome. Il mio corpo è
rigido, gli occhi sbarrati rivolti verso un punto fisso non definito. Tento di
smuovermi dal senso di smarrimento, ma più che un lieve suono gutturale, non
riesco a fare.
“uhm?” rispondo infine.
“Qualcosa non va? Stai bene?” mi chiede.
Mi raggiunge preoccupato e mi trascina verso un angolo della casa. Bobby e Cass
sono rimasti nella zona del salotto, noi siamo nel cucinino. Almeno, questo è
quello che sembra. C’è un piccolo spazio con due fornelli, una caffettiera
gettata nel lavabo, tre bicchieri sporchi di caffè e un piccolissimo e sudicio
forno a microonde.
“sto bene, Sam” il mio tono non deve averlo convinto, perché continua a
fissarmi come se si aspettasse un altro tipo di risposta.
“non ricominciare” lo minaccio senza troppa convinzione.
“ti ricorda qualcosa, Dean? Lo conosci?”
“Chi? Alast qualcosa? Non so chi sia” poi aggiungo
“te lo giuro”. Lasciami in pace, Sam.
Avverto gli occhi di Cass su di me. Sa che sto mentendo. Cass c’era. Ha visto
tutto. Sostengo il suo sguardo, ma non dico una parola. Sta per parlare, ma
all’ultimo decide di non farlo. Grazie.
“Bene, cerchiamo di riposare almeno per qualche ora. Se questo Demone è davvero
qui, ci darà un bel po’ di filo da torcere” propongo, schiarendomi la voce per
darne autorità. Guardo Bobby per un istante, sperando capisca che ho bisogno di
restare da solo. Annuisce. Sorrido, sapevo di poter contare sulla sua comprensione.
Bobby è un duro, ma sa sempre qual è la cosa giusta per me.
Indosso la giacca e mi porto dietro le chiavi dell’Impala.
Passo per l’unica stradina che conduce verso la città. È un lastricato a senso
unico e, ai lati, due file di alberi mi accompagnano nell’oscurità. Fa freddo.
Dalla mia bocca escono folate di vapore. Sollevo leggermente il finestrino e
continuo a tirare dritto.
Rifletto su tutto quello che mi ha portato a questo punto. Non sono ‘solo’ le
bugie di Sam, il fatto che la notte mi lascia da solo per andare chissà dove.
Sono cambiato anche io. Certo, l’Inferno non è un’esperienza qualunque, non
potevo sperare di uscirne indenne, senza ricordi. Scuoto la testa. Basta, non
voglio più pensare.
“Maledizione, Cass!” impreco. Mai che ti avverta!
“Perché lo hai fatto, Dean?” fatto cosa?
“Non so di cosa stai parlando…”
“Non puoi mentire a me, sai cosa voglio dire. Perché non lo hai detto a tuo
fratello?” grandioso, ci mancava anche la ramanzina angelica!
“Senza offesa, ma non sono affari tuoi.” Mi guarda, aspettando quasi impaziente
una risposta seria.
“Non posso dirglielo, Cass. Sai cosa è successo, non chiedermi di parlarne”
rispondo infine.
Mi poggia una mano sulla spalla e mi viene voglia di spingerlo via. Mi sta
compatendo? Sto per chiedergli di andarsene, ma non lo faccio. Non lo
ammetterei mai, ma quel suo tocco mi dà comunque sollievo.
Lo guardo: “non dirgli niente, Cass. Per favore…” lo
imploro. Annuisce, poi scompare senza aggiungere altro. So che starà zitto.
Alzo la testa.
Le luci della città cominciano a intravedersi. Rallento il passo, voglio
godermi fino in fondo l’aria pura proveniente dagli alberi. È strano, io e Sam
abbiamo cacciato per i boschi per parecchio tempo e non ci siamo mai soffermati
sui profumi che emana. Raggiungo un bivio e m’avvio dritto verso la discesa che
mi porterà dritto al parcheggio. Ah, la magia del progresso! Sto per cambiare
marcia, quando una luce alla mia sinistra mi fa voltare in quella direzione. Un
lampione. Che cosa ci sarà lì? La curiosità mi spinge a cambiare la mia meta.
Metto la pistola nella tasca davanti, in modo da averla facilmente a
disposizione, nel caso ci fosse qualcosa.
“Non è possibile!” esclamo quasi divertito. Un incrocio. Un fottutissimo
incrocio!
Fermo l’Impala sotto un albero e scendo a dare un’occhiata. Mi tolgo la giacca,
incurante dell’aria gelida che mi circonda. Tiro fuori il mio piccolo
coltellino. Con l’accendino appicco un fuoco al centro. Mischio erbacce,
terriccio e un po’ del mio sangue che mi sono procurato ferendomi un braccio.
Eseguo il rituale a memoria, senza avere neanche bisogno di un suggerimento.
Qui non ho mai sentito le parole che sto pronunciando, ma so dove le ho
imparate. Non guardo neppure ciò che sto facendo, sembro un automa.
“Ora affronterete il mare delle tenebre e ciò che in esso vi è di esplorabile.
Ti ricorda qualcosa, Dean?”
Sì, parecchie cose. Sono d’accordo, bei momenti che ormai sono finiti. Sollevo
lo sguardo su di lui e noto la sua espressione: è torvo e cerca di scoprire
cosa mi passa per la testa.
“M’invochi per ricordare insieme i tempi passati? Dean, non prendermi in giro,
sai che non ti conviene. Che cosa vuoi?”
Sì, so che non mi conviene. Lo so benissimo. Non rispondo, non so cosa dire.
Perché l’ho chiamato? Perché sono masochista.
Mi volto, pronto a tornare indietro, senza degnarlo di una minima risposta.
Cosa mi aspettavo? Gli volto le spalle, ma me lo ritrovo davanti. Mi sbarra la
strada.
“Non così in fretta, Dean. Dove credi di andare?” mi fermo e lo guardo dritto
negli occhi.
“Sai che cosa voglio, non fare finta di non saperlo” comincio.
“Questa è bella! Dean, sei scappato…”
“non è stata una mia decisione!” mi difendo quasi gridando.
La sua testa s’inclina verso il lato destro, il sopraciglio sollevato. Capisco
che si sta davvero alterando e indietreggio di un passo
“Scusa. Non l’ho voluto io e tu lo sai…” mi
giustifico. Mentre parlo, abbasso il tono della voce. Questa è una delle sue
regole: mai ribattere o la punizione sarà severa.
“Va bene.”
“Va bene?” chiedo stupito. “Stai dicendo sul serio? Andiamo allora!” propongo.
Sto per andargli incontro, quando mi sento afferrare le braccia.
“Alastair? Che stai facendo?” mi allarmo.
Merda. Stupido coglione, pensavi ti riprendesse così facilmente?
“Hai un Angelo sulla tua spalla, Dean. Come faccio a sapere che non mi
consegnerai a loro? Dimostrami che posso fidarmi di te.” fiducia.
Mi chiede di dimostrargli che non lo tradirò, ma non gli basta quello che ho
fatto per lui?
“Sai che non lo farei…” ammetto.
Si avvicina a me e d’istinto cerco di indietreggiare. La presa dei due demoni
si rafforza, mentre tento di liberarmi.
“Tranquillo, Dean. Non ti faccio niente.” Il suo tono è dolce, rassicurante. Mi
poggia due dita sulla fronte.
L’ultima cosa che vedo è la luce del lampione che si spegne, poi più nulla.
Mi ritrovo in un posto chiuso, pieno zeppo di polvere. Sono in grado di
muovermi e questo mi fa capire che mi hanno lasciato andare. “Alastair?” lo chiamo titubante. Dove sono? “sono qui, Dean.” Mi volto di scatto. Accidenti,
non bastava Cass con queste apparizioni del cavolo! Il buio si dirada e, finalmente, riesco a capire
dove mi ha portato. Si tratta di una vecchia fabbrica abbandonata. Dal
soffitto scendono dei ganci ricurvi arrugginiti. Sbianco. “Sapevo ti sarebbe piaciuto questo posto” ammicca. Sadico bastardo. “Beh, adesso? Devo aspettarmi una ramanzina?” mi
guarda, ma non fa un solo gesto. “Abbassa i toni, Dean” mi rimprovera. Dalla sua
tasca tira fuori un oggetto molto piccolo. Non ci metto più di due secondi a
capire cos’ha in mano. Deglutisco e abbasso lo sguardo “Scusa, io…” tento di
giustificarmi “non vedo l’ora di cominciare” concludo, mentre mi siedo su uno
degli scatoloni gettati sul pavimento. “D’accordo” annuisce convinto, ma si avvicina e mi
afferra un braccio. Il mio corpo si irrigidisce, la gola si fa secca:
il ricordo dell’ultimo errore è ancora troppo vivido. Era il trentatreesimo
anno, non so di preciso il giorno esatto o, almeno, non mi viene in mente. Alastair
mi aveva dato il suo rasoio, voleva dimostrarmi che si fidava di me. Sono stato
l’unico ad avere il permesso di utilizzarlo. Peccato mi sia caduto. Sono stato
sotto punizione per una settimana e no, non è stato molto piacevole. “Aspetta! Ti ho detto che mi dispiace!” cerco di
ritrarmi, ma la sua presa è troppo forte. “Solo un avvertimento, Dean. Sta attento a quello
che fai” mi ammonisce. Annuisco, mentre mi massaggio il polso. Meglio che non
lo faccia incazzare. Mi siedo sopra la catena di montaggio, aspettando
in silenzio che mi dica quello che devo fare. “immaginavo saresti tornato” comincia. Mi cammina di fronte e gironzola per il magazzino
con le mani giunte dietro la schiena. “torneremo a casa, ma prima ho del lavoro qui. Sei
con me, Dean?” annuisco convinto “Certo” si ferma e mi guarda dritto negli
occhi “voglio sentirtelo dire” “Sono con te” rispondo allora con un po’ di
timore. Mi guardo attorno, senza aggiungere altro. Ai lati ci sono ancora le catene di montaggio e
sento un odore di legno bruciato. È tutto pieno di ruggine e zolfo: deve
esserci stato un incendio. Mi siedo sopra a una tavola di acciaio non lavorata.
C’è una calma surreale. Nessuno dice una parola e non oso far uscire neppure un
colpo di tosse. Indosso la giacca, sfregandomi le braccia: fa un freddo cane
qui dentro. “va a cercarti una coperta” Alastair interrompe il
silenzio. Aggrotto le sopraciglia, non capendo se mi sta sfottendo o se fa sul
serio. “domani mattina hai un lavoro da fare, devi
riposare” continua. Mi poggia una mano sulla spalla e faccio come
dice. Perlustro la zona, alla ricerca di qualsiasi cosa che possa essermi
utile, ma, ovviamente, non posso aspettare di trovarmi davanti un buon letto
caldo qui! L’unica cosa che riesco a trovare è un vecchio straccio, lurido e
zuppo di olio, che scaccio lontano con un calcio. Una smorfia evidente mi
deforma la bocca, che schifo! Cambio direzione e provo ad andare verso
l’interno. Bingo. Nell’angolo sinistro, uno scatolone è stato aperto e disteso
sul pavimento. Gettata in mezzo, senza alcuna cura, un plaid rosso e giallo.
Non sembra essere qui da molto. Forse un barbone ci ha fatto la sua dimora, ma
perché ha lasciato qui la coperta? Evito di trovare una risposta, non lo voglio
sapere, anche se posso immaginare cosa ne sia stato di quel uomo o donna che
sia. Sposto tutto quello che trovo al centro del
magazzino, dove l’aria è meno gelida, ma, soprattutto, dove Alastair può
vedermi meglio. Non voglio stare da solo e voglio sentire la sua vicinanza. Tolgo la giacca e l’arrotolo per farne una specie
di cuscino improvvisato, poi mi tolgo le scarpe e mi stendo. Mi copro le spalle
con il plaid, ma non chiudo gli occhi. “Riposa, Dean.” dice, carezzandomi i capelli. Un sorriso gli dipinge il volto e un brivido mi
pervade il corpo. Sento i muscoli farsi tesi, non riesco a rilassarmi. Come
potrei? Si siede di fronte a me. Mi promette che nessuno mi farà del male, non
permetterà agli altri demoni di alzare un dito su di me. Sospiro piano,
socchiudendo appena le palpebre. Controllo l’orologio al polso, per sapere
quanto tempo è passato. Quando sono uscito di casa erano più o meno le due,
dovrebbe essere passata circa un’ora e mezza, non di più. Risposta quasi
esatta: sono le tre e diciannove minuti, ho sbagliato di un po’. Alastair ha
ragione, è decisamente il momento di mettere a riposare il cervello. Porto le ginocchia al petto, tranquillizzandomi
poco a poco. Chiudo gli occhi e, lentamente, mi lascio avvolgere dal
rassicurante abbraccio del buio. Un sonno tranquillo, piacevole addirittura. Per la prima volta, dopo cinque mesi, non ho
incubi. “Sveglia, raggio di sole!” mi rigiro su un fianco,
dando le spalle alla voce che mi ha chiamato. Faccio finta di non aver sentito
e tengo gli occhi chiusi: voglio godermi questo momento di tranquillità ancora
per un po’. Sembra aver compreso, poi un click. Apro gli occhi immediatamente, ma non mi muovo.
Conosco bene quel suono. Lo scatto del rasoio che si apre è sempre dentro la
mia testa. “oh, cazzo.” mi lascio sfuggire. In meno di un
minuto sono in piedi, pronto ad ascoltarlo. “Alastair, ciao!” ironizzo. Sono leggermente
disorientato. È strano aver dormito così… bene? Non
ricordavo neppure la sensazione del vero riposo. I raggi del sole attraversano a fatica i
finestroni completamente ricoperti di polvere. Mi colpiscono in pieno viso e
gli occhi mi si chiudono involontariamente. Non mi preoccupo di portare una
mano alla bocca e sbadiglio, come se non avessi nessuno a cui rendere conto. Non
so da quanto tempo non godevo di questa sensazione o forse non l’ho mai
vissuta. Non saprei. So solo che mi sento bene. Dannatamente bene. “Dean, vieni qui” mi chiama. Sto per raggiungerlo,
quando mi indica la giacca di pelle arrotolata per terra. L’afferro in tutta
fretta, so che odia il disordine. L’unica volta che avevo riordinato male il
mio kit, mi ha rimesso sulla ruota per due ore. Sento freddo. Incrocio le braccia al petto,
aspettando che mi dica quello che devo fare. So che ha un lavoro per me, spero
non sia niente di impossibile, anche se con Alastair niente lo è. “Prima di tornare a casa, c’è da eseguire un
rituale: niente di complicato, ma ho bisogno di una ragazza” mi spiega. Sollevo un sopraciglio, una ragazza? Vuole
mandarmi a caccia di ragazze? “devo solo trovarla e portarla qui, no?” chiedo.
Mi avvicino di un altro passo, concentrato. Ho recuperato appena un paio d’ore
di sonno, ma è come se fossi completamente rigenerato. Diavolo, non ho neppure
avuto incubi! Annuisce e con un gesto della mano mi esorta ad andare, ma prima
che possa uscire dal magazzino, mi chiama: “Dean, la ragazza deve essere pura” che fa, mi sta
sfottendo per caso? Pura? E dove accidenti la trovo una ragazza vergine di
questi tempi? “Quanto tempo ho?” rispondo sarcasticamente. Mi
sorride, lo prendo come un prima torni, meglio è per te. “Messaggio ricevuto”. “Esci dal retro, ti ho fatto portare un regalo” mi
sorride soddisfatto. Un regalo? Allungo il passo, precipitandomi verso l’esterno.
Passo dalla parte opposta di dove mi ero diretto, come mi ha suggerito. Tiro su
il bavero della giacca e mi avvicino all’uscita. Avverto un brivido lungo la
schiena, quando supero i due demoni di guardia alla porta. Mi ricordano quelli
ai piedi della mia ruota, erano sempre lì, non se ne andavano mai. Non si
scambiavano neppure, nessuno dava loro il cambio. Quando Alastair mi lasciava
solo, dopo avermi rimarginato ogni ferita, si divertivano a tormentarmi con
battute idiote. Sì, perché avevano il divieto assoluto di toccarmi. Ricordo benissimo
quello che mi veniva detto. Erano loro due che mi davano lo scorrere del tempo.
Quello che ricordo meglio stava alla mia sinistra, era il più bastardo. Le sue
parole mi colpivano come lame affilate. Gran figlio di puttana. Fuori dall’edificio resto per qualche attimo
immerso nei pensieri. Mi sento perso, che cosa faccio adesso? Dove vado? Non so
neppure dove ci troviamo! Va bene, Dean. Una cosa alla volta. Infilo la mano nella tasca interna della giacca.
Bene, mi ha lasciato le chiavi della macchina. Cazzo. L’impala. Chi diavolo l’ha portata fino a qui? È questo il
regalo? Mi ha fatto portare l’auto? Grandissimo figlio di puttana! “Alastair!” impreco. Un demone ha guidato la mia
piccola? Sto per fare dietro front,
preso dall’impeto, ma torno sui miei passi quasi immediatamente. Cosa penso di
fare? Mi farà a pezzi! Opto per la soluzione più ovvia e meno suicida e mi
avvicino a passi veloci verso la mia bambina. La accarezzo: “coraggio, baby, abbiamo un lavoro
da fare” apro la portiera e metto in moto.
Quella fabbrica sembra essere isolata dal mondo intero, in chissà quale
posto sperduto
Quella fabbrica sembra essere
isolata dal mondo intero, in chissà quale posto sperduto. Io non li capisco
questi, non potevano trovare un luogo più normale dove costruirla?
Sono in auto da circa una
quindicina di minuti e ancora non ho raggiunto la città. Male. Molto male. Con
lo sguardo fisso sulla strada davanti a me, ho tutto il tempo per riflettere.
Non voglio pensare, eppure, non posso farne a meno.
Come mi sono trovato in questa
situazione? È davvero questo quello che voglio? Sì.
Non l’avrei mai detto, ma è tutto quello che ho. Solo qualche tempo fa avrei
detto che era Sam tutto ciò che rimaneva della mia vita, ora qualcosa si è rotto
ed è solo colpa mia. Sono cambiato. Spesso mi faccio paura da solo, ma cosa
posso farci? Stare con i miei simili, con chi mi capisce, con chi sa; questo è
ciò che devo fare. È meglio per tutti. Certo, chi voglio prendere in giro? Mi
costa sul serio essermene andato? No, affatto. Da quando sono tornato, mio
fratello non ha fatto altro che farmi pressioni: vuole sapere. Non un dannato
come stai, non un ti capisco, va tutto bene. No. Sempre e soltanto ‘cosa è
successo’. Come vuole che sia stato? Non lo immagina? Ha letto una miriade di
libri. Ha cercato per un anno intero nelle biblioteche delle varie città dove
andavamo a caccia. Ha navigato per ore sui siti internet che parlavano dell’Inferno.
Pensa sia stato in vacanza ad abbronzarmi con un paio di belle demonesse? Cosa
vuole sapere? E perché? Dice che se ne parlo, ne uscirò fuori. Vuole che ne
parli con lui. Certo. Dov’è mio fratello, quando ho gli incubi? Mi crede scemo?
Quando mi sveglio di soprassalto, sudato e ansimante, Sam non c’è. È fuori.
Stanotte è stato solo un caso: eravamo a casa di Bobby, non poteva uscire. Mi
starà cercando? Il telefonino è spento, Alastair mi ha sequestrato la batteria.
Forse, pensa che qualche giorno da solo mi faccia bene. No, non credo. Magari
ora sta chiedendo a Cass di localizzarmi.
Panico.
Inchiodo di colpo. Se mi trovano?
Alastair verrà a cercarmi ovunque, mi farà a pezzi!
Calma, Dean. Calma.
Magari non si sono ancora resi
conto da quanto tempo sono via o, ancora meglio, staranno pensando che sia da
qualche parte in città a ubriacarmi e fare sesso con la ragazza più bella del
locale.
Accendo la radio, girando la
manovella per trovare la frequenza rock: basta
pensare.
Lascio che la musica dei
Metallica si espanda per tutto l’abitacolo. L’auto trema per il forte tonfo degli
strumenti musicali. Accompagno il ritmo, tamburellando con le dita sul volante.
Mi rilasso completamente: farò il lavoro, poi finirà tutto come deve finire.
Tornerò al mio posto. Starò di nuovo bene.
Mi guardo intorno per un istante,
giusto per rendermi conto di dove sto andando. Ho il finestrino aperto e il
vento mi spettina i capelli. Sorrido e continuo a guidare, beandomi dell’aria fresca
che mi colpisce il viso.
Lancio un’occhiata fugace allo
specchietto retrovisore, non vedo niente.Nessuno mi sta seguendo. Tutto è silenzioso, solo il lieve fruscio delle
foglie causato dal vento. Niente si muove tra gli alberi, nessuna strana presenza.
Sembra che Alastair non abbia mandato altri demoni a controllarmi. Si fida di
me, sa che posso farcela. Convinto di questa mia ipotesi, spingo di più il
piede sull’acceleratore.
Canticchio tra me e me per rendere meno noioso il passare del tempo. Il paesaggio
è monotono, sempre lo stesso da quando sono partito. Dove accidenti è la città?
Non cambia niente, neppure un minimo particolare. La solita filare di alberi lungo la stradina stretta e piena
di ciottoli.
Diminuisco la velocità e metto la
seconda. Imbocco la discesa e, finalmente, qualcosa comincia a cambiare. Gli alberi
si fanno radi, ma ancora non riconosco il posto: probabilmente non ci sono mai
stato. Cominciano ad intravedersi piccoli cespugli, segno che sto arrivando a
destinazione. La città dovrebbe essere vicina. Infatti. Rallento ancora, per
poi scendere fino alla fine del percorso. Niente più alberi, niente più
arbusti. Palazzine, semafori e insegne luminose mi appaiono davanti. Sono
arrivato.
Perfetto. E adesso?
Fermo la macchina, guardandomi
attorno per qualche secondo. Un bivio. Un momento, non devo farmi una gita
turistica. Sono qui per lavoro. Devo trovare una ragazza. Dove? Semplice, dove
ho sempre abbordato. Nei bar e nei locali.
Opto per prendere la traversa di
destra, non ho voglia di aspettare che il semaforo cambi il colore della luce
da rosso a verde. Prima faccio il lavoro, prima posso tornare.
Ci siamo. Un’insegna lampeggiante
rossa con la scritta Joe’s pub.
Parcheggio l’Impala proprio davanti all’ingresso, in modo da avere una buona
via di fuga, nel caso ci fossero problemi. Scendo, chiudendomi la portiera alle
spalle. Do una leggera carezza per darmi un po’ di coraggio, poi mi decido.
Entro.
Il locale è pieno di gente. Ai
tavoli due ubriachi stanno dando spettacolo urlando frasi sconnesse: sembrano
discutere di politica. Punto immediatamente al salone bar, ma non ho molta
fortuna. Al balcone c’è un ragazzo piuttosto giovane, potrà avere al massimo 20
anni, non di più. Non mi faccio prendere dallo sconforto e riprendo la mia ricerca.
Ragazze ce ne sono a bizzeffe, basta solo trovare quella giusta. Una smorfia di
disgusto si affaccia sul mio volto: ecco, ci mancava soltanto una cinquantenne
che cerca compagnia. Per fortuna non è interessata a me. Tiro su il bavero
della giacca, giusto per darmi un alone di mistero: le ragazze lo adorano.
Incrocio il mio riflesso nei
larghi specchi, sono proprio un gran figo! Un bel tipo tenebroso e affascinante
in cerca di un’avventura.
“Ehi, ti disturbo?” eccola. Capelli
color castano chiaro, con piccole striature bionde che svariano da una parte
all’altra. Sam dice che si chiamano mesh: pare le avesse anche Ruby nel corpo
della biondina. Non me ne sono mai accorto. Oh cielo, come lo sapeva mio
fratello? Niente paura, probabilmente ha più occhio di
me in queste cose.
Ehi, ehi, calma e sangue freddo, Dean. Non sei qui per fare il
parrucchiere. Stiamo lavorando. Torna a concentrarti.
“Jason Smith, tu sei?” comincio
l’approccio.
Prima regola: mai dare il tuo
vero nominativo. Mi risponde che il suo nome è Elizabeth, ma posso,
semplicemente, chiamarla Liz. Noto che non mi da il
cognome. Magari lavora qui come spogliarellista o cubista. La faccio passare
avanti a me: la cavalleria prima di ogni altra cosa. Insomma, non è che posso
chiederle a bruciapelo ‘ehi, scusa sei vergine?’ mi
prenderei uno schiaffo diretto e, sicuramente, anche un bel ‘va a farti
fottere, stronzo.’
Ordino due Bloody Mary, pagando
in contanti e offrendole il drink. La fisso per qualche secondo, appena il
tempo per osservarla meglio, ma senza essere insistente e dare l’impressione
che la stia squadrando da capo a piedi. Il suo viso è liscio, le guance di un
rosa pallido. Il trucco è leggero. Una riga di matita nera sotto gli occhi
sottile, non troppo marcata. Ha un ombretto fuxia, anche quello molto delicato.
Non sembra una che lavora in questo posto, che ci fa qui? Beh, se non glielo
domando, non avrò mai una risposta.
Non sono all’Inferno, qui non
posso leggere i pensieri delle anime. Perché è di questo che si tratta, sono in
cerca di anime. Nient’altro.
“non lavori qui, che ci fa una
bella ragazza come te in un posto come questo?” le chiedo, indicandole con lo
sguardo la gentaglia all’interno del locale. Sfoggia un lieve sorriso forzato.
“ho appena rotto con il mio
fidanzato” mi spiega tristemente.
Perfetto, al diavolo la purezza
di Alastair. Forse con ‘pura’ Alastair non intendeva
quello che penso. Insomma, dovrei girare l’intera città per trovarne una, se
mai ci fosse. Dal suo tono scherzoso, ma serio allo
stesso tempo, credo volesse dirmi di non fare cazzate. Voleva ricordarmi che
non sono qui per divertirmi. Almeno, mi auguro che sia così, altrimenti sono
fottuto. Decisamente fottuto.
Prendo il drink, passandole
l’altro. Sollevo e inclino il mio bicchiere verso il suo scontrandolo per un
brindisi. Sorseggio piano la bibita, ne gusto il sapore forte al punto giusto.
Bene. Ora o mai più, Dean.
Prendo un bel respiro, non posso
aspettare oltre. Una rapida occhiata all’orologio: cavolo sarà già alterato
quando arriverò. Arriveremo, mi
correggo.
No, sbagliato. Qualcosa non va,
che mi succede?
Sto andando in panico, perché non
le propongo di andare alla mia macchina? Stupido idiota,
cosa stai aspettando, che sia lei a invitarti? No, niente di tutto questo. So
bene cosa sta accadendo. Sono gli occhi di questa ragazza, Liz. Le sue iridi
marroni, tendenti al grigio, mi fanno capire che sto facendo un’enorme cazzata.
Sono gli occhi di una semplice ragazzina, triste e malinconica per essere
appena stata lasciata dal fidanzato. Non è un’anima legata ad una ruota. È un
piccolo essere umano. Non posso farle del male, non posso permettere che lui le faccia del male. Devo trovarne
un’altra, una che possa fare al caso suo, nostro. Certo, chi voglio prendere in
giro? Non porterò a termine il lavoro, so che non lo farò. Uscirò da questo pub
a mani vuote. Se solo ci fosse Alastair con me. Perché mi ha mandato qui fuori
da solo? Vuole dimostrarmi che cosa? Che ha fiducia in me? Va bene, lo so, me
lo ripeteva ogni dannatissimo istante, ma ero sempre e solo in sua compagnia.
Non sono mai stato sballottato a lavorare da solo. Avevo sempre il suo ‘ottimo
lavoro, figliolo, ottimo lavoro’ nelle orecchie.
Sempre dietro di me a controllare ogni mio movimento, a correggermi dove
commettevo errori, a migliorare le mie capacità. Da solo non posso farcela.
Questa non è casa. Non mi trovo a mio agio qui. Basta. Devo uscire da questo
maledetto posto.
Mi alzo di scatto dal sottile
sgabello su cui ero seduto. Lascio una cospicua mancia al barista, poi senza
dire una sola parola, esco dal locale.
Mi dirigo velocemente all’Impala,
sfrecciando via. Una rapida occhiata allo specchietto alla mia sinistra, giusto
per controllare che Liz non si sia precipitata fuori a vedere cosa mi stava
succedendo. La poverina deve essere rimasta così spiazzata, da essersi bloccata
al balcone. Bene, non credo di poterci tornare mai più lì
dentro: la mia reputazione da latin lover è appena andata a puttane o, per
meglio dire, è andata letteralmente a farsi benedire.
M’infilo in un vicolo appartato,
senza rotture di scatole. Rifletto un momento su quello che è accaduto un
attimo fa. Ho buttato al vento una grande opportunità: quella ragazza mi
avrebbe seguito senza obiettare, voleva soltanto svagarsi e non pensare. Non ci
avrei messo molto a farla salire in auto e portarla via. Oltretutto, sono molto
più forte di lei e addestrato: era molto esile. Anche se avesse opposto
resistenza, avrei potuto metterla KO in meno di un secondo e caricata su senza
incontrare alcuna difficoltà.
Tiro un violento pugno al
volante, che cosa mi è saltato in mente? Farmi venire scrupoli in questo modo.
Alastair mi ucciderà! No, magari lo facesse. Prima mi punirà, mi farà
rimpiangere le torture prima del sì, poi mi lascerà agonizzante e mi
abbandonerà in quel magazzino.
Vengo scosso da un brivido.
Paura. Adesso ho di nuovo paura. Non sentivo più questa sensazione da una vita
ormai. No, non proprio da una vita. Vero che sono passati dieci anni, ma qui
sono stati soltanto quattro mesi.
Poggio la testa sul sedile, coprendomi
il viso con le mani. Che cosa faccio? Dove vado? Potrei tornare da mio
fratello, ma dove sono? Non ho neppure chiesto in che città mi trovo! Sarà
lontana la casa di Bobby? Sì, ma torno lì con che faccia? Se mi chiedessero
dove sono stato, cosa potrei rispondere? Ho evocato il mio peggiore incubo,
perché sono un coglione masochista? E se Sam non aspettava altro che il mio
allontanamento? Se stava meglio senza di me?
No, non posso tornare lì. Non mi
capirebbero.
Se Sam mi vedesse qui, mi farebbe
rinchiudere in un ospedale psichiatrico e farebbe gettare via la chiave. No,
non lo farebbe. O sì? Adesso non sono più sicuro di niente. Tutta la mia vita,
a che cosa è servita? Che razza di scopo ho? Azazel aveva ragione, l’ha sempre
avuta, solo che non volevo crederci. I demoni mentono, questo mi ripeteva papà
in continuazione, ma non era vero.L’unico interesse di papà è sempre stato tenere al sicuro Sam.
A sei anni io avevo già un fucile
e cominciavo a sparare,mentre Sam, alla stessa età, guardava ancora i cartoni animati
alla televisione. Ha preso una pistola in mano solo tre anni dopo, quando papà
ha deciso che doveva imparare a difendersi anche lui stesso. Non c’è mai stato
un momento in cui sentivo papà dire che doveva proteggere me, mai. Era una litania
continua: Sammy, Sammy, Sammy.
Alastair, al contrario, è stato
l’unico ad occuparsi di me. Vero, in un modo abbastanza contorto, ma almeno mi
ha dato importanza. Mi ha sempre detto chiaramente quello che voleva fare:
spezzarmi. È sempre stato sincero. Ero il suo preferito, lo sono ancora. Voleva
che gli cedessi, il suo intento era giocare con me, sfidarmi, fino a quando non
avessi scelto di seguirlo. Così è stato. Mi ha protetto: nessuno poteva
avvicinarsi a me.
Opto per la soluzione più
dolorosa: tornare da Alastair al magazzino. Non potrei andare da nessun’altra
parte.
Esco dal vicolo, dirigendomi di
nuovo verso la stradina lastricata. La percorro a tutta velocità: prima
affronto la cosa, meglio è.
Ci impiego la metà del tempo di quando sono partito per arrivare alla
fabbrica. Fermo la macchina di fronte all’entrata, dirigendomi a testa bassa
verso i due uomini posseduti che sono di guardia. Mi vengono incontro,
guardando attentamente attraverso i vetri dell’Impala. “sono solo…” dico, quasi
in un sussurro. Il tipo più grosso mi lancia uno sguardo di fuoco;
se potesse, mi fulminerebbe all’istante. Non mi preoccupo più di tanto, so che
non è autorizzato ad alzare un dito su di me. Quello che mi fa paura è là
dentro. Non dice una sola parola, ma conosco bene la
procedura e so cosa mi aspetta. Non oppongo neppure una minima resistenza e
porto le mani dietro la schiena. L’altro non deve neanche venire in suo
soccorso. Mi lascio afferrare le braccia senza aprire bocca. La porta viene
aperta e vengo letteralmente spinto all’interno. Alastair è lì, a braccia conserte. “Cosa è successo? Dov’è la ragazza, Dean?” mi
chiede. Andiamo, Al. Sai bene che non c’è nessuno oltre a
me. Scuoto la testa, restando a testa bassa. Sento i suoi passi pesanti, ma puliti. Si
avvicina. Non provo a difendermi, non cerco di allontanarmi o di liberarmi
dalla presa non troppo possente del demone: non mi servirebbe, peggiorerei
maggiormente la mia situazione già delicata. Posso vedere i suoi scarponi neri, niente
stringhe. La sua mano sul mio viso. Chiudo forte gli occhi, preparandomi a
ricevere un primo pugno di avvertimento. Non succede. Mi afferra il mento. Mi costringe a sollevare la testa, in modo che
possa guardarlo in faccia, poi da ordine di lasciarmi andare. Cosa? Perché? Non perdo tempo a chiederlo a voce alta, è la
volta buona che mi fa a pezzi sul serio. Massaggio velocemente i polsi, prima tenuti
stretti dietro la schiena, e lo seguo, dopo il suo cenno di avvicinarmi. “Siediti, Dean” sedermi? Su quella catena di
montaggio? Mi prendi per scemo? Eseguo comunque l’ordine, seppure riluttante. Il suo sguardo severo mi fa capire che o mi sarei
seduto di mia spontanea volontà o mi ci avrebbe costretto lui e non sarebbe
stato affatto piacevole. Guardo impaurito i ganci sopra la mia testa. Mi poggia
una mano sulla spalla, sembra tranquillo. Non è affatto un buon segnale. “Me l’aspettavo. Immaginavo saresti tornato a mani
vuote.” Se lo aspettava? Sapeva che avrei fallito? “Senti, Alastair, non puoi semplicemente punirmi e
basta? Facciamola finita.” Tutto questo mi sta facendo innervosire, mi sta
spaventando. Stringe la presa sulla spalla: “pensavo più ad una
chiacchierata, ma se proprio ci tieni…” ammicca. “tu vuoi parlare?” Panico. Quando Alastair vuole parlare, è sempre un
pessimo segnale. Ti entra nella mente, ascolta i pensieri. Capisce i tuoi punti
deboli e li usa contro di te per l’affondo finale. Dio, preferisco la tortura a questo! “Che ti succede? Hai perso colpi?” provo a
sfidarlo, quasi sperando che accolga la provocazione. “Volevo vedere come stavi. Ora lo so: non sei
ancora pronto.” Pronto per cosa? La domanda non esce fuori dalla bocca, non
riesco a parlare. Sono confuso. A quanto pare, ha fatto finta di non avermi
ascoltato. Vuole parlare. “Ti capisco, qui è tutto diverso. Il mondo esterno
ti spaventa, sei spaesato. Mi aspettavo questa reazione, ma sapevo anche che
saresti tornato.” “Non sapevo dove altro andare” ammetto sottovoce,
ma sono sicuro che mi abbia sentito. A lui non sfugge mai niente. “Lo so, Dean.” si sposta, lasciandomi più spazio
per mettermi comodo. “sapevi che tuo fratello sa tutto, Dean” no, un
momento. Cosa ha detto? Sam sa tutto cosa? “Scusa?” chiedo allarmato. “Pensi davvero che non sappia nulla?” Scuoto la testa. “Non è vero, non può saperlo. Sammy non…” le parole mi si spezzano in gola. “Onestamente? Non dirmi che non hai notato: il suo
allontanarsi, le sue domande. Tuo fratello è schifato da te…” “Tu come accidenti le sai queste cose?” sbotto. Fermo, Dean. Non abusare della sua clemenza. “ho i miei informatori, dovresti saperlo” mi
ammonisce. Risposta impeccabile. Va bene, ragioniamo. Sam sa quello che ho fatto. “non sto mentendo, figliolo” mi assicura,
ammorbidendo la sua presa. “Lo so, lo so…” sospiro. “Povero ragazzo, ti abbandonano tutti: mamma, papà
e ora anche Sammy…” Già. Odio ammetterlo, ma ha ragione. “Guardati, Dean. Pensi che non lo senta? Il tuo
dolore, la tua rabbia. Sei annientato, non hai più niente da perdere.” si ferma
giusto per qualche secondo, poi riprende il suo discorso “siamo solo io e te,
come prima” conclude, posandomi una mano sulla spalla. “E non sei deluso?” “Forse un po’” scherza “non ti sei comportato da
bravo allievo, no no” si alza e cammina per la
stanza, formando un cerchio perfetto, poi si ferma. Il suo tono ora è serio, lascivo: “non deve
succedere di nuovo: la prossima volta non sarò così clemente, Dean” mi minaccia
“se mi deluderai ancora, sarò costretto a trovarmi un nuovo assistente”. “Cosa vuoi che faccia?” chiedo infine. Sorride “resta qui” detto questo, sparisce dalla
mia vista.
Non mi rendo conto di ciò che sta accadendo, fino a quando non mi sento
chiamare. “Dean?!” Cazzo. “Alastair!” grido sconvolto. Che diavolo ha combinato?! Davanti a me, mio
fratello è immobilizzato da due demoni. Cosa è successo? “Al?” lo chiamo “cosa è questo?” “non è stato difficile: eravamo in maggioranza”
ammicca. Mi spiazza. Sam viene legato ad un palo. Non riesco a muovere
un passo. Dentro di me ci sono troppi sentimenti, emozioni. Il primo istinto è quello di andargli incontro, ma
vengo fermato: “ah ah, cosa stai facendo?” Niente, non faccio niente. Deglutisco, ingoiando anche la paura che mi
pervade. Alastair mi chiama. Lo raggiungo. Quando mi posa
il suo adorato strumento sulla mano, lo guardo incredulo: “non hai mai voluto
che lo toccassi da quando…” dico titubante “Prendilo, Dean.” mi esorta ad andare. “Figlio di puttana, cosa hai fatto a mio
fratello?” Sam cerca di liberarsi, senza esito. Le sue mani sono strette in una
morsa ferrea: non può muoverle. “Dean, ascoltami. So tutto” cosa? Mi volto verso
Alastair che sorride. Mi sento ribollire dalla rabbia. Dovrei calmarmi, non
dovrei esplodere di botto, ma… “Che cosa sai, Sam?” “Ti ho chiamato, Sam! Ho urlato il tuo nome per
non so quanto tempo, sapevi anche questo?” fletto il braccio e gli sferro un
pugno. Rivoli di sangue fuoriescono dal suo naso, insieme a minuscoli ossicini.
Una frattura. Il suo viso è visibilmente distorto dal dolore, ma non fa uscire
un verso di lamento. “Sai ogni dannata cosa e hai anche il coraggio di
chiedermelo? Volevi sentirmelo dire, Sam? Hai idea di quello che mi costi
parlarne?” un altro pugno. “Adesso basta, Dean.” Alastair mi ferma dal
colpirlo ancora Stringo tra le mani il suo bisturi. Basta questo
per infondermi coraggio. Mi da fastidio: questo è il mio mondo, lui non
centra nulla qui. Gli sarebbe bastato osservarmi per capire come mi sentivo.
Sapeva. Sam era a conoscenza di tutto. Tutte quelle domande, tutta quella
insistenza. Adesso capisco: mi pressava perché voleva sentirlo dalla mia voce.
Non si è interessato del perché ho ceduto. Non mi ha mai chiesto come stavo. “Hai sempre saputo tutto e non hai pensato a come
potevo starci?” gli chiedo. Spiacente, Alastair, ma è una cosa personale. “Dean, non so di che diavolo stai parlando!” “Sì che lo sai!” mi arrabbio. “Tu, cosa? Dean, tutto quello che so me l’ha detto
Castiel!” si volta furioso “Tu, che cazzo hai fatto a mio fratello?” Sam si
agita, scandalizzato. Si dibatte per tentare di liberare i polsi. D’istinto, faccio un passo indietro. Mi fa male la testa: troppe informazioni, troppa
carne al fuoco. Alastair non dice una parola. Si limita a godersi
la scena. Appoggiato alla parete, mi sorride, gustandosi ogni frase. Devo calmarmi e ragionare. Stare qui fermo come un
cretino non mi aiuterà a risolvere questo casino. Castiel. È stato Cass a riferire tutto a mio
fratello? Porca puttana, non ci sto capendo più niente. “Possiamo risolvere questa crisi familiare più
tardi, Dean?” “Alastair, sta zitto!” esplodo. Sono confuso. In
questo momento anche l’unica certezza che avevo è diventata un dubbio. Non so
più chi sta mentendo. “Come hai detto, scusa?” Alastair. Ignoro il suo tono arrabbiato, non ho
tempo per farmi prendere dal panico adesso. “Al, mi devi una spiegazione. Mi hai mentito?”
faccio cadere il coltello a terra, senza riflettere. “Il mio informatore ha commesso un errore. Verrà
punito, te lo assicuro.” Perché faccio fatica a credergli? Forse, perché
non posso pensare che Sam menta su questo? Non potrebbe mentirmi su una cosa
del genere. Sarebbe meschino e mio fratello non lo è. È un grandissimo idiota,
ma non meschino. Mi avvicino ad Alastair, incurante del fatto che potrebbe
farmi a pezzi con un solo gesto della mano. “Tutto quello che mi hai detto, il discorso che ho
ascoltato. Tu sei l’unico ad avere fiducia in me, l’unico su cui posso contare:
erano tutte stronzate. Sono stati quaranta fottutissimi anni di stronzate” dico
deluso. Che cosa ho fatto? Distolgo lo sguardo da mio fratello.
Maledizione, che cosa ho combinato? “tira su il bisturi.” Come? È questa l’unica cosa
che ha da dire? Tira su il bisturi? Lo guardo con aria di sfida: “No.” “No?” solleva un sopraciglio, avanzando di un
passo verso di me. Non mi muovo di un millimetro. Spavaldo e teso nello stesso
momento. In un attimo la mia mente mi riporta indietro nel
tempo. Ricordo bene tutti quegli anni, prima di quella parola, due fottutissime
lettere che hanno mandato al diavolo tutte le mie convinzioni. Buffo che un
miserabile sì possa essere così importante. Mi sto pentendo? Sono anni che
faccio a pugni con questa cosa. Il rimorso, ma anche la sensazione di puro
piacere, si mischiano in un inquietante frullato di emozioni. Se tornassi
indietro, rifarei la stessa cosa? Direi ancora quel ‘sì’? Senza nessuna ombra
di dubbio. Non avrei potuto sopportare oltre. Sono terrorizzato, sono ad un passo dal ritornare
alla fase precedente. ‘La persuasione’ come la chiamava Alastair. Ricordo
benissimo quelle dita lunghe, nere. Posso ancora sentire la morsa delle catene
serrarsi attorno ai polsi e alle caviglie, il dolore lancinante dei ganci
conficcati nella carne. Il suo sorriso e quella carezza quasi rassicurante sul
mio viso, prima di procedere con la sessione giornaliera. “fa male, Dean. Lo so, ma è necessario.” Il tono
era dolce, sembrava volermi mettere a mio agio. Ricordo anche i soliti scambi
di battute, il suo modo gentile di calmarmi, non appena gli spasmi del dolore
mi sconquassavano il petto martoriato dai suoi strumenti. “Ti basta una parola, Dean. Dimmela e smetterò”
l’ho mandato a farsi fottere per una trentina d’anni, poi ho pensato di non
avere niente da perdere: Sam poteva non esserci più, Bobby sicuramente. Ha
vinto.
“Dean, non farmelo ripetere una seconda volta.” mi
minaccia. Allargo le braccia: “o cosa? Mi rimetterai sulla
ruota? Non siamo più all’Inferno, Al!” lo sfido. Cazzo, ho una paura fottuta.
Mi sono bevuto il cervello? Che cosa sto facendo? “Dean?” Sam mi chiama. Mi volto per un attimo a
guardarlo; le sue mani sono legate sopra la testa, i piedi immobilizzati da una
cinghia scura. Vedo i suoi muscoli tendersi, sta cercando di liberarsi. Una
smorfia, dettata dallo sforzo, appare sul suo volto. Non gli rispondo, mi
limito a guardarlo e fargli un occhiolino di intesa. Andrà tutto bene, Sam. Un demone accorre a raccogliere il piccolo
coltello sul pavimento. Lo porge ad Alastair che tiene lo sguardo fisso su di
me. “Sono davvero deluso, Dean.” Scuote la testa. “Penso che tu abbia bisogno di tornare sui banchi
di scuola” mi rimprovera “dovresti sapere qual è il tuo posto.” “Piantala, fallo e basta” prima che il terrore
prenda il sopravvento. Un lieve cenno della testa e mi ritrovo bloccato
da due demoni. Sam non fa altro che chiamarmi. Si dimena, chiedendo ad Alastair
di lasciarmi andare. Vengo trascinato dove comincia la catena di
montaggio. Oppongo una forte resistenza, cercando di ritardare il momento il
più possibile. Reazione stupida, serve a stimolare maggiormente quel sadico
figlio di puttana. Mi spingono contro la tavola liscia e nera, le caviglie mi
vengono immobilizzate con la stessa cinghia utilizzata per Sam. Tento di
resistere, ma in cambio ricevo soltanto un’ulteriore stretta sulle braccia.
Sento qualcosa stringersi attorno ai polsi, tenendomi le mani stese contro la
superficie. È finita. Non posso più muovermi. Sollevo la testa, quando i demoni si allontanano.
Accidenti. Non è una corda, sono fili elastici; questi mordono la carne, è
praticamente impossibile e impensabile anche tentare di liberarsi dalla loro
morsa. “Allora, Dean, è bello tornare ai vecchi tempi? La
tua voce mi mancava così tanto” si avvicina, un passo dopo l’altro. Si accuccia
per prendere una ciocca corta di capelli tra le mani. “Fottiti.” gli sputo addosso la mia strafottenza,
mascherando la paura. Non servirà a nulla: Alastair mi conosce molto bene. Sa
dove e come colpire, conosce i miei punti di forza e i miei punti deboli,
soprattutto quelli. Sa quando faccio lo spaccone per paura o quando lo faccio
per fare il semplice cretino esaltato. “Sai cosa ti succederà, no?” “Sì, lo so. Fallo.” lo esorto. Prima comincia,
prima finisce. Questo è stata la frase ricorrente che mi ha permesso di non
impazzire per tutti i trent’anni. Sventola il rasoio davanti ai miei occhi, poi
sorride. Guarda verso l’alto. Merda. Deglutisco, gli occhi fissi sul gancio
appeso sopra le gambe. Alastair, no. Non siamo all’Inferno. Ti prego, non
farlo. Vorrei fermarlo, ma so che non servirebbe a
niente: non mi ascolterebbe. Dalla bocca non esce nulla di tutto questo, se non
un “speravo mi facessi vedere qualcosa di nuo…” devo
smettere di parlare. Per fortuna il gancio non lo alletta, ma purtroppo
sa usare quel bisturi dannatamente troppo bene. Dalla mia gamba comincia a
fuoriuscire il sangue. Sento la carne lacerarsi sotto la pressione della
lama. Mi costringo a tenere a freno un conato di vomito: il coltello entra in
profondità, lacerando muscoli e tendini. “Dean!” la voce di Sam mi risulta lontana, ma lo
sento ancora. Il colpo mi ha stordito parecchio. Stringo i denti più che posso,
ma alla fine devo cedere. Non riesco a trattenermi e grido di dolore. “Bravo, il mio ragazzo. Tira fuori quella voce” mi
dice in tono scherzoso. “Vaffanculo!” impreco. Apre la bocca e fa uscire una sonora risata. Sento la sua mano effettuare un movimento
rotatorio. Fa un male allucinante, quasi peggio delle torture dell’Inferno.
Sento lo stridio dei denti che sbattono gli uni contro gli altri. Un altro giro
e sono di nuovo costretto a urlare. “Oh, che c’è, Dean? Ti faccio male?” “Fottiti, bastardo!” Lo vedo voltarsi verso Sam e mi prende il panico
quello vero. “Alastair… non farlo” lo
imploro. “Davvero mi credi così subdolo? Sai che se voglio
colpirti, lo faccio direttamente” m’ammonisce, lavorando ancora con il suo
arnese. Va bene. Siamo fottuti. Chiudo gli occhi. Basta, non posso farcela. Non voglio più soffrire,
non voglio tornare su quella ruota. Una lacrima, dovuta al forte dolore, mi scende
sulle guancie. Per la prima volta, da quando sono tornato, prego. Mi ricordo molto bene l’ultimo giorno ai piani
bassi. Stavo eseguendo il solito lavoro, era una donna, ora come ora non mi
viene in mente quanti anni potesse avere quando è stata prelevata, ma non era
giovanissima. Un lampo più luminoso degli altri, poi grida di rabbia. Un calore
rassicurante mi avvolge le spalle. Mi culla con una litania, calmando la mia
resistenza iniziale. L’ultima cosa che ricordo è il senso di soffocamento
dentro la mia tomba. Quanto vorrei che Castiel mi venisse a salvare una seconda
volta. È chiedere troppo? Maledizione, Cass! Sorrido tra il dolore, non
tutto è ancora perduto. Alastair continua a maneggiare quel dannato
bisturi, ma cerco di isolare la mente. Non funzionerà, lo so, ma a questo punto vale la
pena provarci. Non resta altro che tentare. Cass, mi senti? Probabilmente penserai che sia
un’idiota, ti capisco, ma qui avrei un piccolo problema. Non è che potresti
usare uno dei tuoi trucchetti magici e venire a
prenderci? Amen. Beh, il tentativo l’ho fatto. Ora non resta altro
che aspettare. E sperare. Provo a liberare i polsi, devo avere un po’ di
tregua. “Mi hai chiamato, Dean?” un boato sordo infesta il
magazzino e ricopre le mie urla. “Cass? Non sai quanto…
sono felice di rivederti, amico” diavolo, ha funzionato! Alastair si allontana dalla gamba, dandomi
finalmente una pausa. I demoni vengono accerchiati da un gruppetto di
uomini: Angeli. Cass si è portato la cavalleria. Alastair mi guarda: “non pensare che finisca così, Dean. Abbiamo
ancora un conto in sospeso” mi minaccia. Apre la bocca e getta la testa indietro. Del fumo
nero e denso fuoriesce dall’apertura e dalle narici: se ne è andato. “Dean, ragazzo, come ti senti?” Bobby. “Sei venuto… con lui?”
indico Cass che, nel frattempo, è impegnato a fare non so cosa con un demone.
Gli poggia una mano sulla fronte e questo perde conoscenza. “è divertente il teletrasporto” mi prende in giro.
Mi libera le caviglie e i polsi dalle costrizioni. “ho bisogno di Sam, non muoverti” m’intima severo.
Lo seguo con lo sguardo, mentre fa lo stesso con mio fratello che subito
accorre da me. “Dean! Maledizione!” impreca, dando un’occhiata
alla gamba. Sforzo un sorriso, ho tante cose che dovrei
dirgli. Al centro della fabbrica c’è un caos allucinante.
Angeli e demoni combattono furiosamente uno contro l’altro. “D’accordo, Dean, ora sta fermo” Bobby si toglie
la maglia e straccia via la parte di jeans vicino alla ferita. Fa un cenno a
mio fratello che passa dietro di me. So cosa deve fare. Sam mi prende la testa
e la poggia sulle sue gambe. Mi afferra le spalle, tenendomi fermo. Improvvisamente, un dolore acuto mi pervade la
gamba. Riesco a sentire le mani calde e pesanti di Bobby sulla gamba. Preme con
la sua maglia per fermare l’emorragia. Non appena ha concluso, m’immobilizza la
gamba con un pezzo di legno, trovato sul pavimento, e la sua cintura. “È finita, Dean. È tutto finito.” mio fratello mi
rassicura, poggiandomi una mano sulla fronte. Cerco di sollevarmi, ma non mi lascia muovere: “Dean, è meglio che stai ancora un attimo
sdraiato” non ho la forza di obiettare, meglio che faccia come dice. Non sento più i rumori e le grida del
combattimento. Il silenzio assoluto. A terra, i corpi inermi di alcune persone: sono i
quattro scagnozzi di Alastair. Sam mi tiene la mano, lo sguardo perso nel vuoto.
Sembra stia cercando di dirmi qualcosa, ma questa volta sarò io ad anticiparlo.
Quello che è successo oggi non deve ripetersi mai più. “Sammy, mi…” “No, Dean. Avrei dovuto capirlo, solo non volevo
vederlo” si scusa. “non potevi” lo giustifico. Sorride, ma non dice altro. “Sam, dico sul serio. Mi dispiace” dico a testa
bassa. “Dean, basta. Non sei stato in un agriturismo, è
normale che fossi confuso. Adesso calmati, d’accordo?” annuisco, incapace di
rispondere. “Forza, ti portiamo a casa. Dobbiamo sistemare
bene questa gamba. Cass ti guarirà, andrà tutto bene” mi aiuta ad alzarmi. Mi sorregge saldamente, mentre Bobby fa lo stesso
dalla parte opposta. “Cass, ci dai un…
passaggio?” mi guarda con un’espressione che sembra dire ‘non ti serve altro,
sua maestà?’ e mi raggiunge. Mi posa un dito sulla fronte, ma prima di
teletrasportarci a casa di Bobby, mi dice: “Dean, io non uso trucchetti
magici”.
NOTE: ed ecco che arriva la parola Fine per questa storia.
Cosa dire, ringrazio tutti per le recensioni che mi avete lasciata e spero
che vi sia piaciuta.
A me l’ultimo capitolo proprio non piace, ma perdonatemi: l’ho scritto in
un brutto periodo senza ispirazione e dovevo consegnare la fan fiction per il
giorno dopo XD