~ Black Blood ~

di HOPE87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II. ***
Capitolo 4: *** III. ***
Capitolo 5: *** IV. ***
Capitolo 6: *** V. ***
Capitolo 7: *** VI. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un tuono squarciò il cielo, attraversandole i timpani come una stilettata

*Prologo*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un tuono squarciò il cielo, attraversandole i timpani come una stilettata.

Le prime gocce di pioggia che raggiunsero il suo volto la convinsero a riaprire gli occhi, seppur il resto del corpo non accennò a muoversi. Palpebre a parte, il corpo era fuori uso. Sarebbe morta assiderata.

Il solo pensiero le fece piegare gli angoli della bocca verso l’alto, per poi mostrare due file di denti rossi, imbrattati di sangue.

La leggera risata che le fuoriuscì le procurò un dolore atroce all’altezza del torace, facendole congelare l’espressione sarcastica sul volto.

Tossì, macchiando il candore della neve su cui era malamente adagiata con sprazzi di rosso vermiglio. Puntò lo sguardo su quello, ritornando con la memoria indietro nel tempo.

“Io non sono umana”.

Lui aveva sollevato lo sguardo dalle riviste sconce che era solito leggere, per rivolgerlo su di lei.

“No?”.

“No”.

L’aveva osservata a lungo, attraverso le lenti scure degli occhiali, prima di ripiegare ordinatamente la rivista e avvicinarsi a lei, che aveva lo sguardo rivolto verso il mare.

Goku e Crilin hanno il sangue rosso”.

Si era interrotta, irrigidendo la mascella, indecisa se continuare o meno.

E il tuo com’è?” le aveva chiesto cauto, attendendo pazientemente l’arrivo di una risposta.

Lei allora aveva rivolto gli occhi verso l’orizzonte, per poi cercare sulla riva della spiaggia qualcosa che potesse tornarle utile. Individuato un frammento di vetro, lo aveva recuperato, ponendoselo al centro esatto della mano e stringendo quest’ultima sufficientemente da ferirsela, mostrandola poi successivamente all’anziano uomo.

“È rosso” aveva constatato il maestro Muten, sperando che quello fosse il modo giusto.

L’aveva vista scuotere la testa con rammarico.

“È nero”.

L’eremita della tartaruga aveva rivolto gli angoli della bocca verso il basso.

Quanto poteva scavare a fondo il senso di disadattamento e solitudine di una bambina di cinque anni?

Sospirando profondamente, si era piegato sulle ginocchia, in modo da poterla guardare negli occhi. Poi le aveva sottratto il frammento di vetro dalla mano, ponendolo nella propria e imitandola. Era riuscito a scorgere i suoi occhi spalancarsi dallo stupore, prima di riaprire la mano e mostrarle il risultato.

O-ho. Mi sa che anch’io non lo sono”.

Lei si era limitata ad osservare la ferita che si era procurata il maestro, prendendo a confrontare il colore del proprio sangue col suo. Continuava a vedere il proprio diverso, solo che non lo espose, limitandosi a socchiudere gli occhi e a rivolgere lo sguardo altrove.

“Il tuo è rosso” aveva semplicemente pronunciato, tornando a rivolgere lo sguardo all’orizzonte. Lui allora aveva estratto un fazzoletto dalle tasche dei pantaloni corti che era solito indossare, avvolgendolo attorno alla propria mano, per poi recuperarne un altro dalla stessa tasca.

Anche il tuo lo è, Shizue” le aveva detto, afferrandole delicatamente ma con decisione l’arto ferito. “E anche se non lo fosse, non cambierebbe nulla”.

Lei lo avevo guardato coi suoi occhi grandi e profondi. Troppo profondi per una bambina.

“Sarei comunque orgoglioso di averti come allieva”.

Si ritrovò a sorridere mestamente.

Chissà se fosse stato ugualmente orgoglioso in quel momento, nel vederla ridotta in quelle condizioni.

Chissà se fosse stato ugualmente orgoglioso nel sapere cos’aveva fatto.

Chiuse gli occhi, avvertendo le poche forze rimastele scemare lentamente, la vista annebbiarsi, la volontà di sopravvivere abbandonarla.

Era così che doveva finire. Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.

Voleva solo che nessuno in futuro s’incolpasse di niente.

Non seppe dire se in quel momento l’immaginazione le stesse giocando brutti scherzi. Era escluso che qualcuno potesse essere ancora vivo… eppure erano quasi sicuramente dei passi, quelli che i suoi sensi sviluppati avvertivano avvicinarsi.

La neve produceva un rumore graffiante quando veniva pestata, aveva imparato a capirlo nell’arco di quella permanenza a cui si era costretta, durante le umiliazioni che giornaliermente vedevano affondarle la testa nel manto candido vellutato procurato dalle nuvole.

Si costrinse a riaprire gli occhi, pregando intensamente – per la prima volta in vita sua – che non fosse nessuno delle persone che si era ripromessa di uccidere.

Quando la sua visuale ebbe catturato nitidamente l’immagine di un paio di stivali familiari, spalancò gli occhi.

Cosa ci faceva lui lì?

Era abbastanza lontano da poterne scorgere l’intera elegante figura. Seppur controluce, il mantello che gli svolazzava alle spalle era la prova inequivocabile che si trattava di lui.

Si rese conto che, con un leggero sforzo, avrebbe potuto sollevare la testa sufficientemente da poterlo vedere in viso. Non lo fece.

Tenne ostinatamente lo sguardo rivolto ai suoi calzari singolari, provando a immaginare le diverse espressioni che potevano essergli dipinte sul volto in quel momento.

Divertimento? Soddisfazione? Pena?

Non volle saperlo.

Si arrese all’idea di vederlo avvicinare lentamente alla sua figura riversa a terra, agonizzante. Quando fu abbastanza vicino, inspirò profondamente.

-          Uccidimi - .

Il vento soffiò violentemente, graffiandole i pochi punti del corpo che non erano ancora stati coinvolti nel processo d’assideramento.

Era assolutamente certa che l’avesse sentita. Considerando la particolare peculiarità che contraddistingueva la sua razza, sarebbe riuscita ad udirla anche se l’avesse sussurrato, mentre era ancora distante.

Richiuse gli occhi, realizzando solo in quel momento cos’aveva fatto.

Morire in quel preciso momento, le avrebbe risparmiato di subire le pene che sarebbero seguite successivamente.

Gli aveva appena chiesto di avere pietà di lei.

Represse l’impulso di lasciarsi scivolare sul viso deturpato le lacrime che aveva accumulato al di sotto delle palpebre. Con un po’ di fortuna – solo un po’ – se ne sarebbe andato, lasciandola alla fine tanto agognata.

Invece qualcosa andò storto.

Avvertì il proprio corpo venir voltato, posizionato in modo supino. Poi una raffica di vento la percorse, investendola interamente, seppur diversamente dalle volte precedenti.

Si convinse ad aprire gli occhi, trovando una difficoltà immane a compiere il gesto a causa della velocità a cui era stata sottoposta.

Stava attraversando il cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

Primo esperimento in questo fandom.

Siate buoni J

 

Note:

-          La storia è ambientata dopo gli avvenimenti di Freezer, esattamente da quando i namecciani – sbarcati sulla Terra per la gioia della Capsule Corporation ^  ^ - esprimono il desiderio di ritornare sul loro nuovo pianeta. Tutto ciò che viene dopo: cancellatelo J

 

Stavo riguardando le prime puntate della prima serie, quando tutti i personaggi erano ancora dei cuccioli senza la minima idea di ciò che papà Toriyama farà affrontare loro in futuro *___* E mi son detta: E se…?

Ecco dunque a voi questa “What if?” J a cui spero vorrete dare anche solamente una piccola chance.

Per correttezza, v’informo che gli aggiornamenti non saranno affatto frequenti. O forse sì. Dipende tutto da molti fattori. La cosa certa è che – indipendentemente da quanto tempo possa trascorrere tra un aggiornamento e l’altro – non amo lasciare le mie storie incomplete J e non avverrà di certo con questa.

 

Ringrazio sentitamente chiunque si accosterà a leggerla J

Senza alcuna pretesa.

 

 

 

HOPE87

 

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Capitolo 2
*** I. ***


-

I.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Sei strana. - .

Aveva sollevato seccamente lo sguardo verso di lui, rivolgendolo – scettica – alla coda scodinzolante del ragazzino, chiedendogli implicitamente cosa lo convincesse a sentirsi in diritto di utilizzare un termine del genere.

-          Perché non sorridi mai? –, le aveva chiesto con la tipica ingenuità che lo contraddistingueva.

-          E tu perché accidenti sorridi sempre? – aveva ribattuto con sdegno, decisa a chiudere il discorso sul nascere, portandosi poi in piedi sul ramo sul quale si era momentaneamente seduta per riposarsi, dandogli le spalle.

-          Perché sono contento! - .

Aveva impiegato un po’ di tempo ad immagazzinare quelle parole, poi si era voltata nuovamente verso di lui, tra l’incredula e la frastornata, e aveva assottigliato lo sguardo.

-          Cosa diavolo hai da essere contento?! Sei uno stupido ragazzino completamente solo, lasciato a crescere come un animale! - .

-          Animale? - .

Trattenne l’impulso di colpirlo con un pugno in pieno viso, mandandolo a sbattere contro l’albero alle sue spalle. Come al solito, in una qualsiasi frase Son Goku riusciva ad afferrare sempre il senso più inutile.

Quando la venetta sulla fronte ebbe smesso di pulsarle freneticamente, si piazzò davanti al ragazzino con impeto, stringendo forte i pugni.

-          Sei solo, Goku! Tuo nonno è o non è morto? - .

Potè giurare di aver visto passare qualcosa d’incredibilmente simile ad un’ombra nello sguardo sempre spensierato del suo compagno di allenamenti, ma ciò non la scoraggiò. Aveva toccato le corde giuste. Forse.

-          Sei o non sei cresciuto completamente solo fino a quando per puro caso non ti sei imbattuto in Bulma e Oolong? - , il suo sguardo si spostò nuovamente sul particolare fisico che caratterizzava il bambino. – Hai o non hai una coda? Sai o non sai che non è normale possederne una?! -.

Goku aveva abbassato lo sguardo, ammutolendosi.

-          Che male c’è nell’avere una coda? –, le aveva poi chiesto, risentito, afferrandosi la parte del corpo chiamata in causa, prendendo ad accarezzarne il pelo scuro che la ricopriva.

Si era ritrovata leggermente spiazzata nel sentirsi rivolgere una domanda del genere, non era quella la direzione verso cui voleva far dirigere la conversazione.

Non era sicurissima di essere riuscita davvero ad offenderlo e nemmeno le importava – anche se l’improvviso stringersi dello stomaco successivamente le suggerì il contrario – voleva solo avere una dannata risposta a quella domanda che ogni tanto le capitava di porsi, con la stessa frequenza con cui probabilmente Goku doveva chiedersi il contrario.

-          Dimmi cosa diavolo hai da essere così tanto contento. - , aveva replicato, ritornando al punto ed esigendo una risposta.

Aveva osservato il ragazzino continuare ad osservarsi la coda per un po’, prima di riavere l’attenzione dei suoi occhi.

-          Non è colpa mia se ho la coda, non credo di poterci fare molto. - .

Ancora una volta, si ritrovò spiazzata dalla risposta.

-          Il nonno è morto… - aveva poi quasi sussurrato Son Goku, abbassando per un attimo lo sguardo. – … ma non sono solo! –, aveva ripreso con entusiasmo, sorridendo come suo solito. Lei si era semplicemente limitata a spalancare gli occhi ambrati, interdetta… per poi sussultare.

-          Ci sei tu! - .

-          Io? - .

-          Sì, tu! E poi Crilin, il maestro Muten, Bulma, Oolong… - .

In un attimo si ritrovò sommersa da un fiume di parole entusiasmanti… che le fecero mancare l’aria.

Fu il suo turno di abbassare lo sguardo, sicura di renderlo invisibile grazie ai folti capelli neri che le ricadevano sul volto, inducendo Goku a fermarsi e ad osservarla con espressione interrogativa.

-          E tutto questo ti basta? - .

-          Uh? - .

Si umettò le labbra, cercando di trovare le parole giuste.

-          Non hai mai desiderato… avere una famiglia? Una madre, un padre… dei fratelli. - .

Osservò sottecchi Goku guardarsi attorno smarrito, come a voler cercare altrove una riposta che non riusciva a trovare.

-          Non saprei. - .

La venetta tornò a pulsarle nuovamente sulla fronte.

Cosa diavolo si sarebbe inventato, questa volta?

-          C’è Crilin. Ci sei tu. - .

-          Io non sono tua sorella! Come accidenti devo fartelo capire?!aveva esclamato lei, furibonda, non capacitandosi di come lui non arrivasse a comprendere una cosa tanto banale.

-          Vuoi esserlo? - .

Restò in silenzio, impietrita, avvertendo man mano un lieve calore avvolgerle la bocca dello stomaco. Non si accorse di essere arrossita all’ennesimo sorriso disarmante di Son Goku.

 

 

L’essere che si era autodefinito sayan sollevò un angolo della bocca, in quello che in ben altre circostanze si sarebbe potuto definire un sorriso.

-          e se proprio vuoi saperlo io sono Radish, tuo fratello maggiore! - .

-          Che cosa?! -.

Sgomento. Terrore. Non una risposta.

Quella, semplicemente, non era accettabile.

 

 

Riaprì gli occhi con ancora vari stralci del sogno a rievocarle brutti ricordi.

Rivide per un attimo il volto dell’alieno che aveva cambiato loro completamente la vita sulla superficie rocciosa spigolosa dove, prima che perdesse i sensi, vi era il cielo.

Quando sentì nuovamente i dolori procurateli dalle ossa rotte, il sogno fece prontamente spazio alla realtà, facendole stringere i denti con stizza.

Se doveva morire, voleva almeno poterlo fare sotto un manto stellato.

Il vento che avvertì provenirle dal lato sinistro le fece rendere conto di aver riacquisito parzialmente la sensibilità venutale a mancare a causa dell’assideramento, ma non ebbe il tempo di voltarsi a capire di cosa si trattasse che avvertì una mano afferrarle la mascella, inducendola ad aprire la bocca. Successivamente, ebbe modo di vedere l’altra mano di Piccolo avvicinarsi alle labbra con qualcosa che conosceva molto bene.

Impedita nell’opporsi a causa delle condizioni in cui riversava il suo corpo, l’unica cosa che le restò da fare fu stringere i denti, impedendo di portare a termine il soccorso che le stava offrendo il namecciano.

Per un attimo i suoi occhi ambrati s’immersero in quelli neri dell’alieno, scorgendo in essi uno sguardo calmo, fermo, sicuro. Tenne ostinatamente le labbra sigillate, sfidando con lo sguardo il suo soccorritore improvvisato.

-          Non morirai. Non oggi. Non a causa mia. – la informò lapidario, attendendo che demordesse.

Lei gli lanciò uno sguardo minaccioso, maledicendolo mentalmente in tutti i modi che le venivano in mente, cosa che, naturalmente, non lo impressionò minimamente.

Si sentì spingere fino alla gola il fagiolo magico di Bazar contro la sua volontà, sentendosi attraversare il corpo da un calore che andò a intensificarsi subito in tutti i punti in cui aveva le ferite peggiori.

Avvertì nitidamente le ossa ricomporsi, i tagli rimarginarsi, il sangue riprendere un percorso regolare, la temperatura corporea alzarsi, la vista acuirsi, gli altri sensi risvilupparsi uno dopo l’altro.

Il volto pallido della giovane donna riacquisì colore, facendo piegare gli angoli della bocca di Piccolo verso l’alto, in una pseudo espressione soddisfatta.

Espressione che non si scalfì nemmeno quando un pugno di Shizue andò a colpirgli violentemente lo sterno, facendogli sollevare un mucchio di polvere a causa dell’impatto.

-          Prego. -, rispose sarcasticamente l’alieno alla reazione della donna, ormai in piedi davanti a lui, furente. – Anche se credo te ne serva un altro. – aggiunse provocatorio, riferendosi alla scarsa forza che aveva impiegato la donna nel colpirlo.

-          Lurido bastardo! – urlò lei in preda all’ira, avventandosi nuovamente su di lui con una serie di attacchi a distanza ravvicinata che, questa volta, s’impegnò ad evitare per precauzione, fino a che un calcio in pieno stomaco – completamente inaspettato – non gli fece abbattere la parete rocciosa della caverna in cui aveva deposto precedentemente il corpo della ragazza, costringendolo ad alzarsi in volo per distanziarsi da lei.

Shizue lo raggiunse velocemente, ritrovandosi faccia a faccia con lui, prendendo nuovamente ad eseguire una serie di mosse che potessero tentare di metterlo in difficoltà, ma la rabbia cieca che l’attraversava le offuscava i sensi, impedendole di concentrarsi sufficientemente da creare una strategia, tanto che questa volta fu il suo turno di ricevere un calcio in pieno stomaco.

Precipitò rovinosamente al suolo, provocando una profonda voragine dalla quale uscì con difficoltà, riprendendo a fissare con astio il namecciano, che ora troneggiava su di lei, sospeso a mezz’aria e a braccia incrociate, nella sua consueta postura elegante e altezzosa.

Ridusse nuovamente le distanze che li separavano, trovandosi ancora una volta ad avere la peggio. Prima ancora che potesse rendersene conto, Piccolo le aveva afferrato entrambe le braccia, costringendole gli arti dietro la schiena.

-          Sei patetica! – esclamò sprezzante, osservando la donna – di cui ora poteva vedere solo la schiena - sussultare.

Era perfettamente consapevole che quello non era il reale potenziale di Shizue, così come sapeva perfettamente che la donna non si sarebbe impegnata più di tanto, continuando ad avventarsi su di lui solo e unicamente per stramazzare nuovamente a terra.

Non riusciva a tollerarlo.

Un tuono squarciò il cielo, illuminandole il profilo del volto, bagnato dalle lacrime.

-          Non ne avevi il diritto… né il dovere… -, riuscì a formulare con voce ferma, approfittando della posizione che la vedeva rivolgergli le spalle, sottraendo il volto alla sua vista.

-          Non venire a parlare di doveri a me, non sono stato io ad aver fatto una promessa a qualcuno decidendo poi di dimenticarmene! ribattè lui, stringendole i polsi con violenza.

Shizue si ritrovò a stringere i denti – questa volta – per non urlare.

Non per il dolore fisico, quello ormai le era completamente indifferente.

-          Guarda. - .

Era stato poco più di un sussurro, ma Piccolo era riuscito ugualmente ad udirlo.

-          Guarda le mie mani, Piccolo. -.

Gli occhi del namecciano corsero di conseguenza a quelle, riuscendo a scorgerne i palmi, incrostati di rosso. Quasi automaticamente le lasciò andare i polsi, attendendo che lei trovasse il coraggio di voltarsi. Lo sguardo che scorse dietro alle lunghe ciocche di capelli corvini gli fece accapponare la pelle.

-          Guardale. - , ripetè ancora, sollevando i palmi davanti al volto dell’alieno. - E dimmi come potrei mai tornare indietro. - .

Gli occhi neri si specchiarono in quelli ambrati, ormai spenti, non trovando risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

 

 

Ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno deciso di dare una chance a questa storia! In particolar modo a sese87, Giulz87, silvergirl90, yori, Lirin Lawliet (che mi ha commossa particolarmente, perché ormai ci becchiamo praticamente ovunque <3 ) e owll, che mi hanno accolta nel modo migliore che una fanwriter possa sperare, recensendo il capitolo e facendomi sapere di apprezzare ciò che scrivo… signore, sul serio, sono imbarazzata ^///^ ° non credevo di ricevere tutti questi riscontri positivi, anche – e soprattutto – perché questo fandom è davvero popolatissimo, quindi più soggetto ad attenzioni e confronti con autori davvero degni di nota.

*s’inchina ripetutamente, imbarazzata*

Prima di andare volevo rispondere all’osservazione di Giulz87, in merito al discorso diretto: sì che ci vuole la punteggiatura all’interno! Sono io la somara sbadata e strafottente che il più delle volte la lascia così com’è, senza! Spero quindi vorrai scusarmi, qualora accada nuovamente in futuro >__< ora ho tentato di non mancarla da nessuna parte, ma in seguito… >__> Ti ringrazio comunque per avermelo fatto notare! Spero mi farai notare altre imprecisioni in seguito, cosicché possa migliorarmi! Un bacio J

 

Ringrazio inoltre Silvergirl90 che l’ha aggiunta tra le preferite e Lirin Lawliet che ha aggiunto la storia tra le seguite. Infine, ma non certo per importanza, ringrazio tutti i silenziosi lettori, sperando di leggere una loro opinione in futuro J *inchino*

 

 

 

 

HOPE87

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Capitolo 3
*** II. ***


II

II.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo diversi giorni le nuvole avevano infine lasciato il posto al sole, che ora si estendeva lentamente e con una certa discrezione su tutta la valle, toccando col rosso dei suoi raggi dell’alba ogni creatura vivente e ogni centimetro del suolo incontaminato dei boschi, come a voler dare loro il buongiorno delicatamente.

Degli uccelli spiccarono il volo dai rami di alcuni alberi, scuotendo le chiome di questi e diffondendo tutt’attorno il sottile fruscio delle foglie, mentre l’ombra che aveva governato fino ad allora, mano a mano, si ritirava.

Per un momento sembrò dimenticare ciò che la perseguitava, concedendosi di inspirare profondamente l’aria fresca del mattino e di rivolgere gli occhi umidi al cielo azzurro… limpido e sereno.

Com’era consuetudine, trasse un ultimo, profondo respiro e s’immerse nell’acqua ghiacciata, lasciando estraniarsi dall’ambiente circostante, avvertendo il corpo scivolare verso il basso e i capelli, lasciati liberi di vorticare senza freni, accarezzarle il volto rilassato.

Adesso poteva restare da sola, col battito del proprio cuore a pulsarle nelle orecchie.

Il corpo, nella posizione del loto, sospeso dalle stesse correnti che indirizzavano i pesci. Gli occhi chiusi. Il cuore in pace.

Non era una tecnica di concentrazione comune, quella che adottava. Sapeva che vi erano guerrieri che non tolleravano a lungo l’apnea, trovandosi in difficoltà nel gestire l’iperventilazione, col rischio di avere seri problemi nel ritornare a galla.

Ma per lei, quella, era stata una cosa sempre naturale da eseguire, tanto da guadagnarsi l’epiteto di “pesciolina” da bambina e di “sirena” da adulta. Crilin, artefice del primo epiteto, era riuscito a scatenare dei sorrisi divertiti in tutti, Yamcha, artefice del secondo, era riuscito invece a scatenare la furia di Bulma.

Entrambi, ad ogni modo, avevano tentato d’imparare quella tecnica così come lei aveva tentato loro d’insegnarla, ma con scarsi risultati.

Si erano ritrovati – svariate volte – a dover iniziare l’allenamento di gruppo solo al momento del combattimento.

Era riuscita a impressionare perfino Tenshinhan, che dal primo momento aveva dimostrato di essere più esperto di loro sotto svariati punti di vista, sebbene anche lui, alla fine, si era ritrovato costretto a lasciar perdere quel tipo di tecnica.

-          Devi aver iniziato a nuotare prestissimo! – aveva esclamato una volta Crilin, colpito dalla sua abilità.

Lei si era limitata a sorridere.

Aveva, sì, imparato a nuotare presto, ma non nell’acqua.

La prima volta che si era ritrovata a dover tentare di riemergere per non sprofondare, era stata in uno sconfinato, denso lago di sangue.

 

 

 

***

 

 

 

-          ShiShizue! - .

La voce di Bulma era salita di un’ottava mentre la teiera raggiungeva il parquet della Kame House, spargendo il proprio contenuto lungo i piedi di Yamcha, intento a fissare stralunato anch’egli la piccola figura che aveva fatto capolino nella penombra della porta che dava al piano superiore.

Gli occhi del maestro Muten corsero agli arti superiori della ragazzina, studiandone la strana posizione che avevano assunto e da cui sembrava provenire un luccichio che, nonostante il buio, delineava perfettamente la sagoma di un oggetto lungo e appuntito.

Allungò il bastone sul quale usava sorreggersi verso l’allievo più grande – in procinto d’intervenire - intimandogli così implicitamente di non muoversi, mentre con la sua andatura lenta e cadenzata si faceva avanti, portandosi ad una distanza più ravvicinata all’allieva che, sulla soglia della porta, sembrava non essere intenzionata a muoversi.

-          Shizue. -, l’aveva chiamata, curioso e pronto ad una qualsiasi reazione dell’allieva.

Era stato allora che l’aveva sentita.

Un rincorrersi di singhiozzi soffocati, seguiti da lamenti e mugugni disconnessi, la rendevano incapace di articolare qualsiasi frase.

Era avanzata nella sala d’ingresso adibita a cucina, lasciando che grosse gocce rosse s’intervallassero alle lacrime, solcando un volto piccolo e pallido, su cui due occhi si spalancavano, terrorizzati.

-          Li ho uccisi io… - .

Bulma si premette le mani sulla bocca, tentando d’impedirsi di urlare allo spettacolo a cui stava assistendo. Non sapeva se a farle più paura fosse l’aspetto sotto cui si presentava ai loro occhi la bambina in quel momento, se fosse la frase che aveva appena pronunciato, o il coltello insanguinato che teneva stretto nel palmo di una palmo, mentre l’altra sanguinava copiosamente.

-          Sono stata io… - riprese Shizue, senza smettere di piangere. - …perché ho il sangue nero! - .

Il coltello finì a terra, mentre la mano che prima lo stringeva convulsamente andava a coprire il volto rigato di lacrime, contratto in una maschera d’orrore.

Muten fece per raggiungere la piccola, lasciando andare il bastone che fino a poco tempo prima aveva stretto nervosamente, ma fu anticipato dalla ragazza che fino a quel momento era rimasta a tremare alle spalle di Yamcha, che aveva tentato – invano – di fermarla, preoccupato che potesse accaderle qualcosa.

Bulma si fiondò su Shizue per avvolgerla in un abbraccio, sotto lo sguardo confuso del ragazzo, mentre le braccia gli cadevano lungo il corpo e i piccoli occhi s’intristivano dietro alle lenti scure degli occhiali.

Non s’era mai sentito tanto impotente.

 

-          Genio... ehi, mi ascolti? - .

-          La vecchiaia gli sta facendo perdere colpi… -, udì subito dopo borbottare da Oolong, poco distante, con la bocca sicuramente piena di chissà quale alimento.

-          Mh? Sì, certo. – rispose ad un dubbioso Crilin, sulla cui fronte spuntò una gocciolina di sudore.

-          E allora? – incalzò il giovane, prendendolo alla lettera.

-          E allora… -.

-          Oh, insomma, che fine ha fatto Shizue?! -.

Per poco non esternò il sussulto interiore che gli aveva procurato quella domanda.

Stava pensando la stessa identica cosa.

-          Cosa vuoi che ne sappia, io? Siete voi giovani scriteriati a tenervi in contatto, nessuno considera più un povero vecchio! -.

-          Ah, ci risiamo! – esclamò Oolong, voltandosi a guardare seccato il Genio delle Tartarughe per poi concentrarsi nuovamente sul barattolo di cioccolata che aveva tra le mani.

-          Sì, sarebbe bello se così fosse! Yamcha si è ritrasferito alla Capsule Corporation, Tenshinaan e Jiaozi sono scomparsi di nuovo per allenarsi in chissà quale posto sperduto della Terra, mentre Piccolo e Vegeta… - . 

-          Oh, lascia perdere quei due, Crilin! È meglio che se ne stiano alla larga, non se ne può più di avere guai! - .

Crilin cambiò espressione, prendendo a guardare il maialino con scetticismo.

-          In quali guai saresti mai stato coinvolto, tu? - .

-          Salve a tutti! - .

-          Oh… Gohan! -, fu lieto di esclamare il maestro Muten, sollevato dall’avere un buon pretesto per non lasciar correre più pensieri negativi. – Che sorpresa, cosa ci fai qui? -, gli chiese, avvicinandoglisi per invitarlo ad entrare, dal momento che il ragazzino era rimasto sulla soglia della porta di casa, com’era sempre solito fare per educazione.

-          Sono passato a salutarvi! – esclamò entusiasta, facendo scorrere i grandi occhi neri sugli abitanti della casa.

-          In effetti è da un po’ che non ci si vede! – esclamò con lo stesso entusiasmo Crilin. Per quanto tentasse di convincersi di esagerare, ogni volta non poteva fare a meno che rivedere per un attimo Goku dietro le movenze e le espressioni del figlio. - Come stai? – gli chiese poi, dandogli una pacca sulla spalla e ricevendo in cambio un sorriso.

-          Bene! – rispose, annuendo. – La mamma vi manda questi! - .

-          Oh, la cara Chichi… come sta? – chiese cautamente il Genio, mentre Oolong si avvicinava quattamente alla cesta che il ragazzino aveva poggiato sul tavolo.

Gohan impiegò un po’ di tempo per rispondere.

-          Bene. - , rispose poi, sorridendo. Al Genio non era sfuggito il lampo di tristezza che gli aveva attraversato gli occhi.

-          Ti alleni ancora con Piccolo? – chiese improvvisamente Crilin, rompendo il ghiaccio che era andato a crearsi. Il Genio non era stato l’unico ad essersi reso conto della tristezza che s’era impadronita di Gohan.

-          Oh, sì! – esclamò in tutta risposta il figlio di Goku, apparentemente dimentico di ciò che gli aveva dato tanto da pensare. – Solo che a dire il vero è da qualche giorno che non lo vedo… - .

Sia il maestro Muten che Crilin aggrottarono la fronte, mentre Oolong continuava a rimpinzarsi di cibo, alle loro spalle.

Crilin fece per aprire la bocca per dire qualcosa, ma fu dissuaso dall’ennesima strana espressione che assunse il ragazzino.

-          Avete visto Shizue? - .

Il silenzio tornò a impadronirsi della Kame House.

-  No, Gohan. - , decise di rispondergli il Genio, mentre dentro il suo animo si scatenava una tempesta.

-    …Non era solita allenarsi con te e Piccolo? -, gli chiese invece Crilin, tentando di scacciare lo strana sensazione che s’era impadronita di lui. A vivere determinati tipi di esperienze a diretto contatto con gli altri lo aveva reso particolarmente empatico.

L’angoscia del Genio sembrava essere sua.

Gohan scosse la testa, apparendo improvvisamente più rigido di quanto non lo fosse prima.

-          Da quanto non la vedi? – tentò di andargli incontro il maestro Muten, comprendendo finalmente che doveva esserci una ragione in più per cui Gohan fosse andato a trovarli.

-          Da molto. – rispose dopo una lunga pausa il figlio di Goku, con lo sguardo nel vuoto.

-          Gohan… - , la voce di Crilin gli fece sollevare lo sguardo. – È successo qualcosa? - .

Gli occhi neri, così simili a quelli del suo migliore amico, si specchiarono per un attimo nei suoi. Poi presero a fissare le punte dei calzari.

 

Aveva ascoltato ogni singola parola che Shizue gli aveva sussurrato, tentando di focalizzarsi sul sorriso rassicurante che le incorniciava il volto.

Ma quella volta non lo rincuorò.

Quella volta il sorriso non si estendeva agli occhi ambrati della donna.

-          Cosa c’è? – gli aveva chiesto, intuendo probabilmente la sua perplessità, prendendo a fissarlo intensamente.

-          Perché non vuoi che lo dica agli altri? - .

L’aveva vista irrigidire la mascella, nonostante gli occhi tentassero di risultare quantomeno normali.

-          Preferisco di no - , si era limitata a rispondergli, imponendo nella voce un’inflessione più rigida.

-          Ma… - .

-          Gohan, ascoltami. - .

Aveva fissato i propri occhi nei suoi, avvertendo le mani della ragazza cingergli le spalle.

-          A volte le persone si trovano a dover compiere delle scelte difficili. – si era interrotta, sedendosi davanti a lui per stare più comoda. – E non sempre riescono a prendere la strada più giusta… ma non perché non lo vogliano. Semplicemente perché non la vedono.- .

Lui era rimasto a guardarla, comprendendo – nonostante la giovanissima età – che dietro quelle parole vi fosse un significato più profondo di quanto apparentemente sembrasse. Shizue stava cercando di dirgli qualcosa d’importante. Che non era sicuro di voler ascoltare.

Lui allora aveva distolto lo sguardo, puntandolo in punto imprecisato alle spalle della donna.

-          Come camminare in una strada, di notte, senza la luna? - .

L’aveva vista sorridere teneramente per un istante, per poi recuperare un’espressione seria.

-          Esatto - .

-          Non si deve per forza camminare da soli… -.

-          A volte è necessario. - .

-          Ma se si è in compagnia ci si può aiutare a vicenda a trovare la strada - .

-          A volte capita di dover camminare necessariamente lungo una strada pericolosa, perché non vi sono altre alternative… - , lui aveva aperto la bocca per ribattere, ma lei lo aveva interrotto. – Tu lasceresti che qualche tuo amico si mettesse in pericolo per aiutarti a venir fuori da una strada pericolosa in cui hai deciso d’incamminarti di tua spontanea volontà? - .

Ci aveva riflettuto a lungo, per poi scuotere la testa, sconsolato.

-          Riesci a capirmi, ora? - .

Lui aveva annuito, semplicemente, avvolgendole poi le braccia attorno al collo, per abbracciarla.

-          Spero tanto che tu riesca a trovare un’altra strada – le aveva sussurrato, sussurrandole così anche il timore che aveva covato dentro fino a quel momento.

Si era sentito stringere più forte.

-          Ti voglio bene, Gohan. - .

 

-          Gohan? - .

Sentitosi richiamare alla realtà, si convinse a sollevare la testa, ancora incerto sul da farsi. Se avesse avuto modo di specchiarsi, avrebbe potuto trovare molto familiari quegli sguardi che ora si erano posati su di lui.

-          Io… devo dirvi una cosa. -.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

 

Oh sì, ci rileggiamo presto stavolta J non posso non approfittarne quando mi coglie l’ispirazione. E no, non mi preoccupo della precocità d’aggiornamento, tanto io sono una fanwriter cattiva J che non scrive interamente una storia per poi postarla, la posta man mano che sforna i capitoli. Alla luce di tutto ciò: cos’avrei dovuto aspettare?

 

 

Piccola delucidazione: immagino che man mano che leggiate non abbiate ben chiaro il quadro della situazione… è un effetto voluto, i flashback sono messi a posta, a poco a poco capirete J quindi occhio, che potreste trovare collegamenti sparsi a destra e a manca.

 

Ringrazio fufa78, Lirin Lawliet, BeNnY e Dream_of per aver commentato lo scorso capitolo… Lirin Lawliet non fa altro che lusingarmi e viziarmi continuamente J lieta di esser riuscita ad attirare anche l’attenzione di nuove lettrici J spero continuiate a farmi sapere la vostra su quanto partorisco ;) vi prego di farmi notare eventuali errori grammaticali e/o punti in cui i concetti non sono espressi molto chiaramente… per il resto, buon proseguimento J e grazie mille davvero! Quanti complimenti tutti in una volta *///* <3

 

Ringrazio inoltre Lirin Lawliet e Silvergirl90 che l’hanno aggiunta tra le preferite e Dream_of, Elfosnape, fufa78 e Lirin Lawliet che l’hanno aggiunta tra le seguite! *inchino*

 

Nonché, come al solito, i numerosi lettori… nutro sempre la speranza di leggere una vostra opinione in futuro *doppio inchino*

 

Alla prossima!

 

 

 

HOPE87

 

 

 

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Capitolo 4
*** III. ***


III

III.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Capsule Corporation aveva sempre vantato di avere uno spropositato numero di mezzi tecnologici all’avanguardia, costituendo la prima azienda a cui l’intero mercato mondiale faceva riferimento per ogni campo a cui la mente geniale del Dott. Brief riuscisse a dedicarsi.

Ciò, purtroppo per la figlia, non significava – come senz’altro immaginavano tutte le altre donne della sua età – avere tutto ciò che si voleva sempre a portata di mano, con il solo scoccare delle dita.

In quel momento, Bulma avrebbe dato tutto il patrimonio che aveva a disposizione pur di avere la certezza che ciò che le si stava palesando davanti agli occhi non corrispondesse a verità.

-          Bulma… -.

La giovane donna sbattè le palpebre un paio di volte, prima di tornare a concentrarsi sull’amico.

-          No. - , rispose infine, scuotendo la testa come a voler scacciare qualcosa di fastidioso.

Crilin assunse uno sguardo sconsolato, restando seduto, impotente, e vedendola sollevarsi stizzita dalla sedia sulla quale era stata seduta fino a quel momento, per poi prendere ad attraversare la sala in cui si trovavano a lunghe falcate, mordicchiandosi le unghie di tanto in tanto, con lo sguardo perso nel vuoto.

Sospirò profondamente, chiedendosi come proprio lui riuscisse a mantenere tutto quel sangue freddo ora che la situazione sembrava farsi più critica.

-          Chiaramente, non ne siamo sicuri… - azzardò nuovamente, indietreggiando spaventato non appena vide l’amica tornare indietro, sbattendo le mani sul tavolo che li separava.

-          Ci mancherebbe! Ma dico, come diavolo fate tu e quel vecchiaccio a insinuare una cosa simile?! - .

-          Bulma... non credi di esagerare? – intervenne Yamcha, facendosi più vicino all’amico, ben consapevole di quanto riuscissero a incutere timore le sfuriate della sua ragazza.

-          Esagerare?! – inveì anche contro di lui Bulma, indecisa su chi sfogare per prima la frustrazione che quella notizia le aveva infuso.

-          Noi… - ritentò Crilin, interrompendosi quando si vide investire nuovamente dagli occhi di ghiaccio della donna. - … Noi non… - . S’interruppe nuovamente, non trovando le parole per esprimersi.

Temeva che quel tremendo nodo che gli si era formato alla gola potesse trovare il modo di tradirlo in qualche maniera, mostrando ciò che provava.

Come tutti, anche lui era affezionato a Shizue.

Ci era cresciuto insieme, era naturale che ci fosse affezionato.

Assorto com’era nel ricordare per l’ennesima volta il sorriso della ragazza, non si accorse che l’amico Yamcha era intervenuto di nuovo in suo aiuto finchè non sentì nuovamente Bulma sbraitargli contro.

Quando risollevò gli occhi, scoprì quelli della donna particolarmente lucidi.

Fece per aprire bocca di nuovo, ma il repentino cambiamento d’espressione della sua migliore amica lo dissuase per l’ennesima volta.

-          Hai avvertito Tenshinhan? - .

La domanda lo colse impreparato tanto quanto Yamcha, che sbattè le palpebre più volte, palesemente confuso dalla domanda della donna.

-          I primi che ho pensato di avvertire siete stati voi… ma è nelle mie intenzioni. Lui e Jiaozi potrebbero aiutarci nelle ricerche. -.

-          Sì, che potrebbero… - rispose Bulma in un sussurro, lasciando che il suo sguardo si fissasse in un punto imprecisato alle spalle dell’amico, perdendosi nel vuoto.

 

-          Shizue… non credi di aver esagerato? - .

La ragazza si era voltata a guardarla perplessa, chiedendole implicitamente a cosa si riferisse.

Quando lo sguardo della donna si era posato sulla pentola dalle dimensioni spropositate che aveva appena depositato sul fuoco, sorrise.

-          Non so te, ma io non ho intenzione di vigilare per tutta la durata della cena sulle portate a causa del buco nero che Goku si ritrova al posto dello stomaco! - .

Bulma s’era trovata a ridere di cuore, seguita a ruota dalla ragazza, che nel frattempo aveva iniziato a badare a diverse altre pentole poste sui fornelli.

Un sorriso malizioso s’era fatto largo sul volto della Brief, mentre lo sguardo si era assottigliato, prendendo a saettare dalla ragazza alla finestra della cucina, attraverso cui si potevano intravedere i ragazzi allenarsi.

-          Goku di qua, Goku di là… - .

Shizue aveva smesso di tagliare le carote che aveva precedentemente afferrato, voltandosi poi a sfidare con lo sguardo la donna, con un mezzo sorriso stampato sul volto.

-          Continua. - , l’aveva invitata a fare, incrociando le braccia e attendendo il proseguo.

-          Continua tu – aveva allora ribattuto Bulma, cogliendo la palla al balzo.

Shizue aveva scosso la testa, sorridendo divertita, voltandosi verso i fornelli per ridedicarsi ad essi.

-          Stai facendo viaggiare troppo la fantasia, mia cara Bulma. - .

-          Oh, certo… - le aveva risposto in maniera languida, avvicinandosele, in modo da poterla guardare in volto. – Pasti consumati a metà… occhi aperti nel buio della notte… sguardo perso nel vuoto… certo, certo… faccio viaggiare troppo la fantasia! - .

L’allieva del maestro Muten aveva sorriso di nuovo, non questa volta con un minimo d’imbarazzo, che le aveva colorato le guance, costandole una risata di trionfo da parte della donna.

S’era voltata fulminea verso di lei, riassumendo un’espressione seria.

-          Goku per me è come un fratello… sei fuori strada. - .

Era a quel punto che una sensazione fastidiosa s’era impadronita della bocca dello stomaco, facendola riflettere febbrilmente.

Con sua somma sorpresa, aveva visto materializzarsi sulla soglia della porta l’oggetto delle sue elucubrazioni mentali.

-          Donne, è pronto? - , aveva chiesto baldanzoso Yamcha, appoggiandosi allo stipite della porta, grondante di sudore, rivolgendosi a Shizue.

Bulma stette coi nervi tesi, a fior di pelle, osservando attentamente le reazioni della ragazza per tentare di soddisfare la sua morbosa curiosità, che ora le stava scatenando quella che riconobbe essere una fitta di gelosia.

Shizue si voltò verso il ragazzo con aria di sufficienza, guardandolo dalla testa ai piedi con un sopracciglio inarcato.

-          Chi non si lava, non mangia. - , era stata la sua risposta lapidaria, spostando poi lo sguardo rapidamente sul nuovo venuto, grondante di sudore quanto il primo ma più coraggioso, che aveva varcato la soglia della cucina, in direzione di un vassoio poggiato sul tavolo.

-          Urca, che fame! – aveva esclamato Goku entusiasta, prima di vedersi lanciare in volto – con una discreta velocità, che lo fece sbilanciare – una tovaglia azzurra, perdendo così di vista il suo obiettivo, prontamente sottrattogli da sotto al naso dalla ragazza.

-          Chi non apparecchia, non mangia. Rendetevi utili, sciattoni! – aveva esclamato infine Shizue, vedendoli subito ubbidire, per poi sorridere divertita non appena i ragazzi avevano abbandonato la cucina, sconsolati, borbottando proteste a mezza voce.

Bulma aveva osservato l’intera scena attentamente, non scorgendo assolutamente nulla di anomalo nei comportamenti della ragazza, chiedendosi – a quel punto – dove avesse sbagliato.  

Restò immobile nella sua posizione a guardare Shizue muoversi per la cucina con assoluta tranquillità, portandosi poi una mano al mento e aggrottando la fronte, intenta a riflettere… quando in cucina fece capolino un terzo intruso.

Rispose al cenno di saluto col capo che lui garbatamente le aveva rivolto, osservandolo poi portarsi alle spalle dell’amica - immersa quasi completamente nel frigorifero - per allungare una mano ad afferrare una bottiglia d’acqua all’interno di questo.

Poco mancò che il vassoio che stava tirando fuori Shizue precipitasse a terra.

Bulma spalancò gli occhi.

Osservò sempre più rapita Shizue bofonchiare palesemente imbarazzata qualcosa a Tenshinhan che, apparentemente incurante della reazione della ragazza, l’aiutò a rimettersi in piedi, per poi recuperare la bottiglia d’acqua a cui aveva precedentemente mirato e abbandonare la cucina.

Quando gli occhi azzurri della donna tentarono d’incrociare quelli ambrati dell’amica, questi non si sollevarono, evitandoli accuratamente, mentre sul suo viso si diffondeva un lieve rossore.

 

-          Beh? Che stiamo aspettando? – , chiese Bulma, riavutasi dai suoi ricordi, afferrando una giacca sportiva e un kit di capsule per ogni emergenza. – Andiamo a cercarli! - .

 

 

 

***

 

 

 

Piccolo riaprì gli occhi – precedentemente chiusi per meditare - avvertendo un’aura familiare dirigersi verso la loro posizione.

Sola.

Non seppe se esserne sollevato o meno.

Indeciso sul da farsi, volò in direzione del luogo verso cui s’era diretta la donna, intravedendone il profilo longilineo delinearsi man mano che si avvicinava.

Gli occhi stretti dallo sforzo, la fronte sudata, i muscoli tesi. Era palesemente affaticata.

Non solo fisicamente.

Posando lo sguardo sull’ultimo cumulo di terreno sul quale troneggiava, non potè fare a meno che allungare lo sguardo su tutta la pianura dove prima un lago di sangue si estendeva incontrastato e di cui, ora, non ne era rimasta che qualche traccia.

S’era premurata di occultare tutto.

A mani nude.

Strinse i denti, avvertendo l’aura familiare farsi sempre più vicina.

Senza che aprisse bocca, la vide sollevarsi in volo.

Rimase in silenzio, ad osservare gli occhi spenti della donna riprendere vita solo dopo quello che gli sembrò molto tempo.

-          Che intenzioni hai? - , le chiese, scrutandone lo sguardo attentamente, alla ricerca di un qualsiasi tipo d’indizio.

-          Potrei fare la stessa domanda a te… - , gli rispose lei, voltandosi poi a guardarlo, incrociando il suo sguardo.

-          Rispondi! -.

Perché con lei non riusciva mai a mantenere la consueta calma che lo contraddistingueva?

Ebbe di nuovo solamente le sue spalle a cui fare riferimento.

La sentì sospirare profondamente, avvertendo una morsa gelida avvolgergli e stringergli le interiora.

Quando la vide accennare a muoversi per allontanarsi, non riuscì a impedirsi di reagire.

Una sua mano andò ad avvolgerle un polso, in una presa forte e salda, che non intendeva farle alcun male.

Prima ancora di rendersi conto di ciò che aveva fatto, avvertì la mano della ragazza muoversi all’interno della sua presa in modo da poter fare lo stesso con lui.

Le sue dita andarono a circondargli il polso in maniera delicata, trasmettendogli dei brividi sotto pelle che non potè fare a meno di non notare.

-          Non lasciarlo solo. - .

La sua voce gli giunse ovattata, sottile… supplichevole.

Restò immobile, ad osservare gli occhi della donna perdere opacità e divenire lucidi.

Ricordava di non essersi mai sentito così terribilmente… vuoto.

La vide distogliere lo sguardo in un modo tanto tremendo che gli ricordò il senso di smarrimento che aveva provato quando s’era trovato a combattere per la prima volta contro i Sayan.

La consapevolezza che di lì a poco sarebbe morto.

Quando udì la voce di Gohan, di Shizue non era visibile che un puntino piccolissimo in mezzo al cielo sconfinato.

-          Signor Piccolo! - .

Si costrinse a distogliere lo sguardo dal cielo, per voltarsi verso l’allievo, specchiandosi nei suoi occhi grandi e scuri, attraversati da un lampo d’ansia.

Sapeva perfettamente che domanda aspettarsi.

Così come sapeva esattamente che riposta fornire.

Anche se dentro di lui, qualcosa – incomprensibilmente – non lo accettava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

Non lo so. Davvero non so il motivo per il quale stia riuscendo a scrivere questa storia tanto velocemente… e per giunta con estrema naturalezza. Non ho bisogno di sforzarmi, non ho bisogno di cercare determinati tipi di parole per esprimere un concetto, un pensiero… come solitamente mi ritrovo a fare. Le trovo e basta.

La storia mi si sta snodando davanti agli occhi come la pellicola di un film… e credo di averne intravisto anche il finale. Chissà J

Fatto sta che si sta per giungere nel vivo della storia, tutto ciò che state leggendo non è che un contorno, da come sicuramente avrete capito J

Ora passiamo ai ringraziamenti, stavolta ho il tempo di rispondervi una alla volta:

 

-          Lirin Lawliet: My darling, eccoti accontentata J Tu sgrammaticata? Ma nemmeno se ti mettessi a scrivere a testa in giù ci riusciresti secondo me! J J grazie mille per la tua puntualità nelle recensioni, per i pareri che esprimi, per i complimenti che continuamente mi fai ^///^ Esattamente che punto della parte iniziale ti ha perplessa? Cosa non ti è chiaro? Scrivimi anche in privato eventualmente se ti va! Un bacio! ;

-          BeNnY: Grazie, mia cara J Spero ti piaccia il genere introspettivo, perché questa storia si baserà fondamentalmente su questo! I misteri invece man mano verranno svelati… tanti cari saluti J ;

-          Silvergirl90: Sono contenta che stia riuscendo a coinvolgervi ^///^ è esattamente questa la mia intenzione, grazie mille per avermi fatto sapere la tua, spero di leggerti nuovamente, ciao!;

-          Dream_of: …eccellente?  O//////O GRAZIE. Davvero… finisco con l’essere terribilmente ripetitiva quando rispondo ai commenti… il punto è che, se potessi, farei a voi tutte delle statue d’oro per dimostrarvi quanto apprezzo che voi spendiate del vostro tempo a leggere i miei parti malsani ^  ^’ spero di rileggerti, alla prossima!

 

Ringrazio inoltre tutte le persone che hanno aggiunto questa storia tra le preferite, tra le seguite e chi semplicemente legge!

*inchino*

 

 

HOPE87

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** IV. ***


Non era mai stato abile nel comprendere i sentimenti umani

IV.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non era mai stato abile nel comprendere i sentimenti umani.

Uno stralcio di questi gli era stato fatto conoscere per la prima volta al ventiduesimo torneo Tenkaichi, laddove l’intera vita gli era stata cambiata completamente sotto svariati aspetti, ma in seguito non s’era mai soffermato a familiarizzare con essi.

Inizialmente ci si era semplicemente scontrato, ma era stata in maniera graduale che aveva conosciuto alcuni di essi. L’amicizia, lo spirito di sacrificio, il rispetto per l’avversario. Per stessi.

Per l’appunto, alcuni.

Lunch era venuta successivamente, in reazione più o meno consequenziale alla crescita interiore che stava affrontando.

Pur avendola incontrata per puro caso, non era stato per altrettanto puro caso che le aveva concesso di restare.

Nonostante ciò, le sue priorità erano state sempre altre.

Fu per questo motivo che rimase completamente spiazzato quando si ritrovò a dover allontanare le labbra di Shizue dalle proprie.

Escluso il Genio, che riposava beatamente al piano inferiore della Kame House, loro erano gli unici abitanti della casa quella giornata, in quel momento.

Preso com’era dal tentare di rimettere insieme i molteplici pensieri che gli si stavano affollando nella testa, non ricordava nemmeno come potesse essersi concretizzata per lei quell’opportunità. Sapeva solo che quella camera che, prima di chiudere gli occhi per riposare, aveva considerato particolarmente spaziosa, ora gli sembrava incredibilmente piccola.

-          Cosa stai facendo? - , era stato semplicemente in grado di chiederle, incapace di distogliere gli occhi da quello sguardo tanto intenso che sembrava stesse carezzandogli il volto.

Era stato allora che aveva letto una leggera esitazione negli occhi della ragazza.

Della donna, si corresse poi subito mentalmente.

Shizue non era una ragazzina.

Se avesse avuto modo di chiederlo a Yamcha, o a Crilin, o a Goku, si sarebbe probabilmente sentito rispondere che un tempo lo era stata.

Ma lui ne dubitava.

Persone con gli occhi come quelli di Shizue, non avevano mai conosciuto la spensieratezza tipica delle prime fasi dell’età che – come solitamente accade – attraversano le persone.

Persone con gli occhi come quelli di Shizue avevano visto, vissuto e provato cose di cui la stragrande maggioranza del resto del mondo non immaginava nemmeno l’esistenza.

Così come i suoi stessi occhi, di cui ora poteva vederne il riflesso in quelli ambrati di lei, riavvicinatisi pericolosamente al suo viso.

E le labbra ben definite e morbide.

E le gambe che andavano a circondargli il bacino.

E il seno che andava a poggiarsi sul suo petto.

-   Non è evidente? - , si era sentito sussurrare ad un centimetro dalle labbra, per poi trovarsi a muovere le proprie con le sue.

Era una donna.

Dentro e fuori.

E lui era pur sempre un uomo.

Ma questo, pensò, mentre i baci si facevano più audaci e i respiri affannosi, non bastava a giustificarlo.

Non poteva bastare.

Per quegli occhi, che come i suoi avevano visto solo il buio, non doveva bastare.

-          Fermati. - .

Era riuscito a separarla da sé con fatica, portando velocemente le mani che in un primo momento le avevano cinto i polsi – per indurla ad allontanarsi – al bacino della donna, il punto più pericoloso, che, così tanto ancorato al proprio, avrebbe potuto condurli al punto di non ritorno.

Lei l’aveva guardato coi suoi grandi occhi espressivi, spalancandoli, prima di ridurli nuovamente a due fessure per poi avvicinarsi nuovamente al suo volto.

-          Perché? – gli aveva chiesto sussurrando, tenendo lo sguardo fisso nel suo, alla ricerca di un cedimento.

Tenshinhan aveva recuperato le distanze.

-          Perché non sarebbe giusto. - .

-          Per chi? – gli aveva allora chiesto lei, sollevando un sopracciglio, sarcastica, mentre lui prendeva un gran bel respiro.

-          Io non provo niente per te - , aveva trovato il coraggio di dirle, fissandola intensamente affinché le giungesse il messaggio, intravedendo negli occhi della donna spegnersi la luce che l’aveva animata e guidata fino ad allora.

-          Chi ti dice che per me sia diverso? -, l’aveva allora affrontato con spavalderia, lasciando intendere di aver voluto condurre quel gioco sopra un altro piano, mentre i battiti del cuore, attraverso la pelle sottile del polso, aumentavano a dismisura ogni secondo di più, tradendola.

Tenshinhan non era bravo coi sentimenti.

Ma quel disperato tentativo di aggrapparsi per non cadere, seppe capirlo.

Addolcì lo sguardo, carezzandole una guancia con le nocche di una mano, teneramente, avvertendola rabbrividire.

-          Non posso darti quello che cerchi. – le aveva sussurrato senza smettere di fissarla, vedendo gli occhi di Shizue inumidirsi, man mano sempre di più, senza che lei potesse impedirlo.

Aveva pianto silenziosamente.

Non un singulto, non un lamento.

Lui aveva distolto lo sguardo, sentendosi colpevole.

-          Scusami… - le aveva sentito dire infine, dignitosamente, prima di abbandonare la camera, senza voltarsi.

Lui aveva scosso la testa desolato, sospirando profondamente.

 

-          Tenshinhan, allora? - , chiese Bulma, spazientita.

-          No, non lo so - , rispose amaramente l’uomo, riportando gli occhi sull’intero gruppo che si era visto piombare nella distesa incontaminata in cui si stava allenando con Jiaozi.

-          Accidenti… - non riuscì a fare a meno di dire Crilin, sconsolato, andando a sedersi su una roccia piana e bassa poco lontana da loro.

Bulma si lasciò scappare un urlo frustrato, facendo sussultare Jiaozi, Pual e Olong, che presero a guardarla con timore.

-          Siamo completamente inutili. I-nu-ti-li! – esclamò adirata, stringendo i pugni, mentre gli occhi le si riempivano le lacrime.

Diede all’intero gruppo le spalle.

-   Come facciamo a trovarla? – chiese Yamcha, poggiando una mano su una spalla della Brief, per infonderle coraggio.

Jiaozi volse lo sguardo verso il suo migliore amico, trovandolo completamente immerso in quella che sembrava essere una profonda riflessione.

-          Cos’hai, Tenshinhan? - , gli chiese preoccupato, riuscendo ad ottenere la sua attenzione solo poco dopo. Lo sguardo che gli lesse in volto non gli piacque affatto.

-          Perché la state cercando? - .

Il silenzio s’impadronì della radura nella quale si trovavano.

-          Tenshinhan, dopo tutto il parlare di Bulma pensavo fosse chiaro! – esclamò tra lo sbalordito e il confuso Crilin, ricevendo l’appoggio di Olong, che annuì vigorosamente.

-          Lo dico io che l’eremitaggio fa male… - disse a bassa voce il maialino, che per tutto quel tempo se n’era stato in disparte ad ascoltarli, lanciando un’occhiataccia all’ex allievo dell’eremita della Gru e allontanandosi di un po’, seccato, continuando a borbottare cose incomprensibili.

-          E lo è. - , replicò il giovane, non curandosi minimamente del sarcasmo del coabitante del maestro Muten. – Quello che voglio sapere è cosa davvero temiate. - .

La risposta sortì l’effetto aspettato.

Nessuno parlò.

Nonostante desiderasse ardentemente sapere se fosse l’unico ad essere giunto a quel tipo di conclusione che gli si era formulata nella testa, comprendeva che loro difficilmente sarebbero potuto arrivarci.

-          Che possa esserle successo qualcosa di brutto… - si decise a rispondere Bulma, rivolgendogli uno sguardo intenso e serio, facendogli intendere di volerci vedere chiaro.

Tenshinhan sospirò.

-          Potrebbe esserle già accaduto qualcosa del genere. -.

-          Non ne abbiamo la certezza! – replicò con riacquisito vigore Bulma, guardandolo con astio.

-          Te ne sei chiesta il perché? - .

La donna sbattè le palpebre più volte, smarrita.

-          Vi siete chiesti come mai nessuno abbia delle risposte? – chiese nuovamente, rivolgendosi stavolta all’intero gruppo, guardandoli uno a uno. – Avete provato anche solo per un attimo a pensare che Shizue possa averlo fatto a posta? - .

Bulma sollevò lo sguardo – precedentemente abbassato per lo scoraggiamento – puntandolo nuovamente sull’uomo, finchè gli occhi di quest’ultimo non ebbero incrociato di nuovo i suoi.

-          Cosa sai tu che noi non sappiamo? – quasi sibilò, attendendo calma l’arrivo di una risposta.

Lo sguardo dell’ex allievo della Gru si adombrò.

Voltò le spalle a tutti, rivolgendo lo sguardo in un punto imprecisato dello sconfinato orizzonte che gli si stagliava di fronte.

-          Tenshinhan! - , esclamò Crilin, sollevandosi dalla posizione improvvisata e avvicinandosi nuovamente agli amici. Anche lui, come Bulma, non ne poteva più.

-          So che è completamente impossibile vedere l’alba se si aprono gli occhi solamente al tramonto... - , iniziò, con gli occhi rivolti verso il rosso sprigionato dai raggi di sole calante, continuando a dare loro le spalle.

Pual e Olong spalancarono gli occhi contemporaneamente, voltandosi l’uno verso l’altro, mentre l’ultimo faceva roteare un dito in prossimità della testa e il primo scuoteva la propria.

Jiaozi abbassò il capo, facendosi più vicino al suo amico, comprendendo perfettamente cosa intendesse dire.

-          Voi volete aiutarla. - .

Ancora una volta, nessuno rispose.

-          Ma ciò potrebbe corrispondere all’esatto contrario di ciò che vuole lei. - , tentò di spiegarsi, riuscendo finalmente a scorgere comprensione negli sguardi dei suoi amici.

A quanto pareva, ne erano consapevoli.

Sospirò, scuotendo appena la testa.

-          Le chiacchiere servono a ben poco – , capitolò infine Tenshinhan, voltandosi nuovamente verso l’intero gruppo. - Dobbiamo sbrigarci – aggiunse, aggrappandosi a quell’ultimo barlume di speranza che gli era rimasto e che, seppur in maniera diversa, era rimasta a tutti. – Dov’è Gohan? - .

-          È andato a cercare Piccolo! – gli rispose prontamente Crilin.

-          Per la gioia della madre… – ironizzò Yamcha, guadagnandosi uno sguardo inceneritore da parte di Bulma e uno interessato da Tenshinhan.

In breve parvero pensare tutti la stessa cosa.

-          Chichi! -, fu l’esclamazione generale.

 

 

 

***

 

 

Umigame* riaprì gli occhi stanchi, ridestandosi prontamente dal torpore del sonno che l’aveva colto.

Credeva fosse stato solamente un sogno, si vide costretto invece a spalancare la bocca quando vide Shizue toccare coi piedi la riva, guardando verso la sua direzione con uno dei suoi sorrisi appena accennati. Tristi.

Appariva visibilmente stanca, notò.

E pallida… molto pallida.

Stette a osservarla con uno sguardo misto tra stupore e ansia finchè non sentì una mano della ragazza appoggiarsi sulla sua testa, prendendo a muoversi in maniera delicata, com’era solita fare per salutarlo.

-          Ti cercano tutti, figliola. - .

Shizue parve non avere alcuna reazione. La sua mano continuò a muoversi sulla sua testa, come se non avesse udito nulla.

-          Lo so - , si sentì rispondere comunque, a riprova del fatto che l’avesse ascoltato.

Poi si alzò, concedendogli un ultimo sorriso, e si avviò verso la Kame House senza più voltarsi.

 

Il maestro Muten non si mosse dalla sua posizione.

Seduto accanto al tavolo, con un bicchiere di sakè tra le mani, attese che l’allieva varcasse la porta della casa, restando poi ad osservare la sua ombra stagliarsi lungo l’interno dell’abitazione.

Doveva star tramontando il sole, pensò, collegando amaramente il fenomeno alla donna che aveva davanti.

Quando Shizue fu completamente entrata nella casa, non disse una parola.

Se ne stette ferma, sul ciglio della porta, a osservare con sguardo spento l’uomo che l’aveva accolta, cresciuta e amata osservarla a sua volta.

Come aveva immaginato durante tutto il viaggio di ritorno, lui, evidentemente, doveva averlo capito subito.

-          Avevi ragione – esordì, con voce flebile e stanca, abbassando il capo, lasciando che i capelli le nascondessero lo sguardo e il sorriso amaro che le era affiorato sul volto. – Non avevo il sangue nero. - .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

Note: Umigame* è la tartaruga amica del maestro Muten. Non avevo idea che avesse un nome, l’ho scoperto grazie a Wikipedia J

 

Mi vien da chiedermi quanti di voi staranno perdendoci la testa per il fatto di non aver ancora un quadro chiaro della situazione J un po’ di pazienza, nel prossimo verrà svelato tutto. E vi sorprenderete della semplicità della storia… forse qualcuno di voi ci è già arrivato.

 

Ringrazio BeNnY, Lirin Lawliet e silvergirl90 per aver recensito lo scorso capitolo J J <3 Cara Lirin (posso chiamarti così?), come avevi pensato l’effetto detto/non detto era voluto J tutto verrà spiegato prestissimo ;) in merito a Tenshinhan… vedo che sei rimasta sorpresa xD poi hai avuto modo di vedere le cose come sono andate J tra un po’ riporterò i riflettori su Piccolo, don’t worry! Niente è come sembra J inclusa la “missione” che credi debba svolgere Shizue.

 

Qualora qualcuno volesse ulteriori delucidazioni in merito a particolari appartenenti a questo capitolo e a quelli passati, basta chiedere J

 

Ringrazio inoltre le 2 persone che hanno aggiunto questa storia tra le preferite e le 5 che l’hanno aggiunta tra le seguite. E, come sempre, tutti i silenziosi lettori! <3

 

 

HOPE87

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** V. ***


V

V.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il villaggio da cui proveniva.

La sua collocazione.

Il motivo che le aveva fatto perdere la memoria.

Prima di atterrare sul suolo di Namecc, non ricordava nulla di tutto questo.

Poi diversi flashback le si erano intervallati nella mente. Prima come immagini confuse e sfocate, che avevano fatto luce nel vuoto della sua mente come lampi in un cielo scuro. Infine come vere e proprie scene, che le avevano ricostruito l’intera vicenda con cinismo disarmante.

In ogni cadavere in cui incappava muovendosi sul suolo di Namecc, rivedeva i corpi straziati dei genitori.

Ogni volta che si trovava ad osservare i palmi delle proprie mani, rivedeva il sangue con cui si era svegliata quella volta, nel cuore della notte.

Le urla, i lamenti, i pianti dei namecciani avevano rievocato quelli degli abitanti del villaggio che erano accorsi a casa sua, prendendo ad osservare la scena orripilanti.

Il ghigno di Zarbon quando si era trovata ad affrontarlo, aveva presto preso posto su un altro volto, che le aveva fatto ghiacciare il sangue nelle vene.

Aveva ricordato tutto con una perfezione sconvolgente, senza riuscire a spiegarsene il motivo.

Una volta il Genio - seriamente allarmato dagli incubi che la tenevano poi sveglia per notti intere, in stato catatonico - l’aveva portata da un medico.

L’uomo aveva spiegato che il vivere degli eventi traumatici, talvolta, poteva portare ad una parziale perdita della memoria, consistente in una voluta rimozione degli stessi, che potevano poi ritornare a galla attraverso l’attività onirica.

Era ciò che doveva essere accaduto a lei.

Il maestro Muten non aveva dubbi.

Ricordava che una volta aveva provato a mostrarle gli abiti con cui l’avevano trovata i ragazzi quel lontano giorno piovoso di diciannove anni prima.

Allora non ne aveva compreso il motivo. Non aveva riconosciuto nemmeno essere suoi abiti quegli stracci rovinati, intrisi di sangue rappreso. Se ne era spaventata. Aveva chiesto al Genio se si stesse prendendo gioco di lei e perché, se così non fosse, quella volta era ricoperta di sangue.

Il maestro Muten non aveva saputo risponderle. Aveva abbassato lo sguardo stanco, riponendo gli abiti laddove li aveva per tutto il tempo conservati, forse con la speranza di venire a capo di qualcosa di cui perfino lui non riusciva a capacitarsi.

Poi erano arrivati i sayan. La scoperta delle vere origini di Goku e Piccolo… Namecc, Freezer.

Su quel pianeta che un tempo doveva essere stato un luogo mite e pacifico, privo della più blanda violenza, aleggiava aria di morte.

L’aveva avvertita non appena aveva messo piede fuori dalla navicella che Bulma aveva progettato per raggiungere il pianeta.

L’aveva riconosciuta.

Aveva impiegato un po’ di tempo a comprenderlo ed era stato solo una volta tornata sulla Terra che aveva tirato le somme.

Per giorni era ritornata su quei ricordi che a lungo aveva represso, studiandone i contorni, i dettagli, ripetendone a memoria le sequenze.

Eppure non aveva saputo trovare la chiave, il tassello mancante che l’aveva portata a chiedersi continuamente perché fosse accaduta una cosa simile.

Quella notte di diciannove anni prima, poco dopo aver spento le quattro candeline che troneggiavano sulla torta che la madre aveva preparato per l’evento – aveva ricordato, rigettando poi subito dopo in una delle toilette della Capsule Corporation, in cui si trovava – erano andati tutti a dormire.

Le luci erano spente, fu per questo motivo che inizialmente non aveva saputo individuare la fonte del rumore che l’aveva fatta sobbalzare, facendole aprire di scatto gli occhi. Aveva visto un’ombra intrufolarsi furtivamente nella propria camera, poi un tonfo, un verso che non seppe definire in altra maniera se non “strano”, e un odore pungente arrivarle al naso, disgustandola.

Il terrore l’aveva immobilizzata, prendendo a divorarle la bocca dello stomaco. Si era resa conto di aver nascosto la testa sotto alle coperte solo quando l’aveva tirata nuovamente fuori, incuriosita dal silenzio che sembrava essersi impossessato della camera.

Era stato allora che li aveva visti.

Due occhi.

Opalescenti - nel buio della camera - taglienti… inquietanti.

Aveva ripreso a tremare, non riuscendo a discostare il proprio sguardo da quello che la stava fissando in modo agghiacciante.

Poi un urlo.

Quello che riconobbe essere di suo padre.

Si era chiesta perché si fosse messo ad urlare, invece di correre ad aiutarla.

Forse non si era accorto che in casa sua fossero entrati degli estranei, aveva pensato.

Poi i suoi occhi avevano spezzato l’incanto sinistro con cui quelli sospesi nel buio l’avevano soggiogata, spostandosi sulla porta, attraverso la quale qualcosa di particolarmente grande e pesante era stato lanciato, facendole emettere un urlo spaventato.

Quando aveva nuovamente rivolto gli occhi a quelli che aveva scorto nell’oscurità se li era ritrovati a pochi palmi dal viso.

Un volto a cui aveva potuto finalmente associare una fisionomia.

Era stata per un periodo indefinito a fissare il volto estraneo, trattenendo a tratti il respiro, con occhi sgranati.

Poi aveva sentito un dolore lancinante alla testa, e tutto si era fatto buio.

Al risveglio, si era ritrovata catapultata direttamente all’inferno.

Tutto, attorno a lei, era rosso.

Le pareti, il pavimento, le finestre, il letto… qualche traccia di quel colore tanto fastidioso era riuscito perfino a raggiungere il soffitto, a quanto sembrava.

E quell’odore…

Aveva spostato gli occhi verso il basso, scorgendo – tra quel mare denso di un rosso porpora - due figure riverse a terra, in posizioni del tutto innaturali.

Si era sentita stringere la gola a tal punto da soffocare. Poi aveva urlato.

Aveva urlato tanto forte da attirare l’attenzione dei vicini, che – in breve – erano tutti accorsi in casa sua.

Lei si era condotta le mani al viso, allontanandosele quando le aveva sentite umide. Osservandone i palmi, vi aveva trovato lo stesso maledetto colore in cui i corpi esanimi dei genitori erano malamente adagiati.

Da quel momento, i ricordi erano divenuti più sfocati e confusi che mai.

Ricordava poi di essere stata sollevata malamente dal suo futon, interamente sporco di sangue, e portata al centro del villaggio, costretta a inginocchiarsi di fronte ad un uomo vestito di una strana tunica.

Quando aveva trovato il coraggio di sollevare il viso rigato di lacrime, aveva sgranato gli occhi, riconoscendo nella fisionomia dell’uomo la stessa che le si era portata ad una spanna dal viso quella notte stessa.

Poi la bocca dell’uomo si era schiusa, e le sue labbra avevano formulato quello che poi si era rivelato essere una sorta di verdetto.

- Sangue nero. - .

 

***

 

 

Gohan aprì e chiuse la bocca più volte, per poi finire a mordersi le labbra per tentare di rimandare giù il groppo che gli era salito alla gola.

Piccolo continuò a dargli le spalle, ben consapevole dell’effetto che quelle parole stessero procurando al suo allievo.

Ma doveva capire.

Omettere frammenti della storia equivaleva a trasmettergli una visione parziale dei fatti, che avrebbe potuto fargli trarre delle conclusioni sbagliate.

Non poteva definirsi tanto presuntuoso da credere di conoscere bene la donna, ma di una cosa era assolutamente certo: Shizue non avrebbe mai voluto che Gohan avesse un cattivo ricordo di lei.

Era per questo – non ci voleva molto a capirlo – che aveva evitato di raccontare al figlio del suo migliore amico l’intera realtà dei fatti, prima di arrivare al punto di non ritorno.

Il timore che potesse ricordarla solo come un’assassina.

-          P-poi cos’è successo? -.

Piccolo riaprì gli occhi, riallontanando momentaneamente dalla sua mente l’immagine malinconica della donna.

-          Ha ritrovato il suo villaggio natio e vi si è recata. - .

-          E come ha fatto a trovarlo…? – chiese Gohan, titubante.

-          Questo non lo so, non me l’ha detto, ma credo si sia messo a cercarlo facendo sempre riferimento agli stralci di ricordi che si è portata dietro. - .

Il suo allievo rimase in silenzio, avendo compreso – molto probabilmente – di essere arrivato al punto cruciale della storia.

-          Ad ogni modo, riuscì a ritrovare il santone che quella mattina aveva fatto sì che gli abitanti del villaggio decidessero di lapidarla. - .

-          Santone? – chiese prontamente Gohan, ricollegando, nel frattempo, la questione della lapidazione ad una frase che Shizue, una volta, gli aveva detto, lasciandogli però numerosi dubbi sul come, dove e perché.

Tuo padre mi ha salvato la vita.”.

Crilin gli aveva poi raccontato che era stato così che avevano conosciuto Shizue.

Lui, Bulma, Goku e Olong erano incappati nel villaggio di Shizue durante una delle loro prime avventure, alla ricerca delle sette sfere del drago, proprio mentre la donna – allora bambina – si trovava in difficoltà.

Non era sceso nei particolari. E adesso ne comprendeva il perché.

-          In questo modo si era fatto conoscere da quel branco di stupidi umani. -, gli rispose Piccolo, trovandosi a digrignare i denti e a innervosirsi, con sua somma sorpresa. – Un esorcista. – sputò fuori sprezzante, lasciando che un ghigno derisorio gli si delineasse sul volto. – L’erede di Mutaito*… da cui aveva appreso la tecnica per debellare il maligno! - .

Gohan fu sorpreso dal notare quanta enfasi stesse imprimendo nelle parole il proprio maestro. Ma non seppe individuarne il motivo. Stette per un po’ a rimuginare su quanto aveva appena appreso.

-          Ma perché? – capitolò poi infine, non riuscendo a capacitarsene.

-          Questo mentecatto non esorcizzava il male gratuitamente - , rispose Piccolo, enfatizzando di proposito la quarta parola, voltandosi poi verso il suo allievo, per poterne osservare le prossime reazioni direttamente, senza doverle immaginare. – Pretendeva un compenso. Anche piuttosto sostanzioso. -.

Gli occhi di Gohan si spalancarono, mettendo insieme velocemente tutte le cose di cui era venuto a conoscenza, rimanendone sconvolto di volta in volta.

Dopo Radish… Vegeta, Nappa… Freezer, aveva imparato con estrema naturalezza a considerare il male e il pericolo provenire da pianeti diversi dal suo.

L’idea che potesse esistere tanta perversione anche nel luogo che lui aveva sempre amato e che avesse dovuto subirne le conseguenze una persona a lui tanto cara... gli procurò inevitabilmente lo scorrere delle prime lacrime.

Se ne liberò rapidamente con l’ausilio di un braccio, tornando poi a guardare il suo maestro con determinazione.

-          Come ha reagito Shizue? - .

Piccolo fissò il proprio sguardo in quello del suo allievo, avvertendo nuovamente quello strano peso sullo stomaco che l’aveva colto quando era arrivato a quel punto anche lui.

 

Era rimasto fermo, immobile, in attesa che Shizue continuasse.

All’inizio – non comprendendone bene il motivo - l’aveva infastidito il fatto che la donna gli stesse rivelando tutte quelle cose. Poi il fastidio era divenuto curiosità. Infine, questa era stata soppiantata dall’ansia, e da quella che aveva riconosciuto essere- solo successivamente - rabbia.

Le esili spalle tremavano come non aveva mai visto fare.

Per un attimo si era preoccupato. Sembrava quasi che non riuscisse a respirare.

Aveva avvertito l’impulso di avvicinarsi… per far cosa, non lo sapeva, ma si era sentito disposto a fare qualsiasi cosa purchè quella fastidiosa visione cessasse.

Poi l’aveva vista voltarsi, con un volto irriconoscibile, rigato dalle lacrime.

-          L’ho ucciso… - aveva sussurrato con un filo di voce. Era convinto che pur non disponendo dell’udito fine che caratterizzava la sua razza, sarebbe riuscito ugualmente a capire i suoi farfugliamenti.

Lo aveva capito da quando aveva preso a tremare.

-   Quando gli ho chiesto il perché… - aveva ripreso, mentre le lacrime continuavano a scorrerle sul viso pallido. – Sai cos’ha fatto? Mi ha riso in faccia. - .

Gli occhi ambrati di lei si erano fissati nei suoi.

-   E allora sì, l’ho ucciso. - .

L’aveva vista tramutare l’espressione del viso in una maschera sinistra, avvertendo dentro di sé qualcosa muoversi, inquieto. 

-          Gli ho trapassato il torace con un pugno – aveva continuato, riprendendo un tono di voce più chiaro, mentre gli occhi le si erano spalancati, rivolgendosi su un punto indefinito davanti a sé, dando l’impressione che stesse ricordando. – E ho continuato a inveire su di lui anche da morto. Poi sono arrivati i suoi seguaci…- , si era interrotta, spostando di poco lo sguardo. – Avevano visto l’intera scena da lontano… ne erano decine. -, lo sguardo si spostò ancora una volta. – Ed io ero completamente impreparata… ho incassato numerosi colpi prima d’iniziare a colpire alla cieca ognuno di loro. La rabbia non si era placata… ogni pugno andato a segno nel punto giusto ne eliminava uno… e ho continuato, continuato, continuato, continuato… -, si prese la testa tra le mani. - … Finchè non ne è rimasto nemmeno uno. - . La voce s’era assottigliata nuovamente, così come gli occhi si erano spalancati più di quanto già non lo fossero. – E sai qual è stata la cosa più sconvolgente? Ho goduto… -.

Piccolo aveva osservato, impotente, i suoi occhi riprendere a lacrimare.

-          A ogni collo che si spezzava, a ogni scricchiolio di ossa, ad ogni sguardo combattivo che lasciava il posto a uno vitreo, io… godevo. - . Aveva ripreso a tremare, per poi rivolgere il proprio sguardo allucinato nuovamente verso il suo. – Sono un mostro… un mostro! – aveva urlato, completamente fuori di sé, riconducendosi le mani alla testa per riprendere a torturarsi i lunghi capelli neri. – Come farò a dirlo agli altri? Come farò a dirlo al Genio? - , si era interrotta, dandogli le spalle, conducendosi una mano sulla bocca e riprendendo a piangere, completamente schiacciata dal peso della consapevolezza di ciò che aveva fatto.

-          Come farò a dirlo a Gohan? – chiese ancora, voltandosi per l’ennesima volta verso di lui, afferrandogli la casacca con entrambe le mani in maniera del tutto inaspettata, stringendogliela convulsamente, mentre il suo sguardo si fissava implorante nel suo. – Come farò a dirgli che sono diventata un’assassina?! – aveva di nuovo chiesto istericamente, senza separarsi da lui, continuando a versare lacrime su un volto contratto dal dolore.

Non riuscendo più a sopportare tale visione, pensò di passare all’unica maniera rimastagli valida fino ad allora.

La schiaffeggiò violentemente, sperando che il colpo potesse farla rinsavire. Sentì le mani abbandonare la casacca, mentre il volto prendeva la direzione verso cui l’aveva condotto il colpo, per poi ritornare nella posizione originaria.

-          Ti prego… - riprese Shizue, riavvicinandosi di nuovo.

-          Smettila! – aveva allora esclamato lui, afferrandole le spalle per scrollarla, avvertendo le mani di lei stringere di nuovo convulsamente la stoffa dei suoi abiti.

-          Ti scongiuro… non dirlo a Gohan… non dirglielo… - continuò a ripetere Shizue, lasciando che la follia cedesse il posto alla disperazione.

Non seppe dire cosa successe immediatamente dopo.

Ricordava solo di essersi ritrovato a stringere il corpo di Shizue tra le braccia, con il suo volto affondato nell’incavo del collo, e le sue mani adagiate delicatamente sul torace, mentre il vento alle sue spalle soffiava forte, come a voler portar via la disperazione di cui s’era impregnato quel momento.

 

-          Signor Piccolo? - .

La voce di Gohan lo distolse dai suoi ricordi, facendogli sollevare nuovamente lo sguardo su di lui.

Fece per aprire bocca per concludere il discorso, ma qualcosa alle spalle del ragazzino gli fece aggrottare la fronte e assottigliare lo sguardo, mettendolo in all’erta.

 

 

***

 

 

Carezzò la mano del suo maestro con infinita dolcezza, cercando di trovare un ultimo ricordo che lo riguardasse, prima di abbandonare definitivamente la Kame House.

Era bastato dirigersi in cucina a preparare del thè, per potersi garantire quella situazione. Un paio di gocce di quel potente sonnifero che aveva utilizzato lei svariate volte per addormentarsi era bastato a metterlo ko.

Lui, troppo preso dal racconto che lei aveva iniziato, non se n’era accorto.

E poi, fondamentalmente, era molto anziano.

S’era sentita un po’ in colpa per il modo in cui aveva deciso di neutralizzarlo, ma l’aveva ritenuto quello più idoneo.

Non che lui avesse potuto impedirle di portare a termine il suo piano, ma non sarebbe mai riuscita a farlo davanti a lui.

Non era giusto che assistesse, era già troppo scoprire che un proprio allievo era andato contro tutti i principi inculcatigli.

Rivolse lo sguardo verso la mobilia posta poco lontana. Si alzò e vi si avvicinò, afferrando la cornice che conteneva la foto di gruppo scattata uno dei giorni successivi all’ultimo Torneo Tenkaichi a cui avevano preso parte.

C’erano tutti. E a tutti rivolse un pensiero, sperando che in futuro non potessero mai giudicarla e che il loro amore nei suoi confronti equivalesse almeno al dieci per cento di quello che lei nutriva per loro.

Ne accarezzò il contorno con le dita, prima di posarla e dirigersi all’esterno della casa.

Rivolse gli occhi al cielo.

L’unico suo rimpianto si trovava lì.

-          Perdonami, Goku… - .

Si asciugò con una mano le lacrime che le erano sfuggite dagli occhi, dirigendosi poi verso la riva, laddove si trovava ancora Umigame, che aprì un po’ gli occhi, non appena la vide.

Si chinò nuovamente ad accarezzarle la testa rugosa, per poi sollevarsi e dirigersi a passo cadenzato verso il mare.

-          Hai deciso di aspettare gli altri? – si sentì chiedere inaspettatamente dalla tartaruga marina.

Cercò d’ignorare il groppo che le era salito alla gola e le lacrime che avevano ripreso a bagnarle il volto, sforzandosi di sorridere.

-          Sì, aspetto gli altri. - .

Rabbrividii quando avvertì l’acqua arrivarle alla pancia, ma non si fermò.

Quando pensò essere arrivato il momento giusto, si tuffò.

Con l’intenzione di non riemergere più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

Come qualcuno aveva sospettato, non riuscirò più ad aggiornare tanto velocemente come ho fatto fino ad adesso ^  ^’ sto trascorrendo gran parte delle giornate fuori casa, uscendo prestissimo e tornando particolarmente tardi e purtroppo ciò non mi consente di dedicarmi a questa storia il necessario tempo che vorrei.

Dunque mi trovo a sfruttare la domenica (in cui mi concedo decisamente una pausa da tutto), quindi eccomi qui J sperando che questo capitolo sia piaciuto, benchè sia – lo ammetto – particolarmente “pesante”, sotto svariati punti di vista.

A voi la sentenza J

 

Note: Mutaito* è il maestro dell’Eremita della Tartaruga e l’Eremita della Gru, che inventò la tecnica per sigillare il Grande mago Piccolo. Ho voluto nominarlo per sottolineare il fatto che il “santone” che rovina la vita a Shizue fosse schifosamente propenso a inventare balle su balle per rendersi credibile.

 

Ringrazio:

 

-          fufa78: Tranquilla, tranquilla… avrai modo di leggere di Piccolo J qui un po’ se ne parla, ma pazienta e vedrai… grazie per la recensione J e no, la storia non è affatto finita! xD perché hai pensato ciò? J avevi forse intuito quest’epilogo? spero di rileggerti presto!;

-          BeNnY: Grazie Benny! J non stai mancando un capitolo, ne sono onorata J J;

-          Lirin Lawliet: Sì, lo ammetto, l’ho presa davvero a cuore… Shizue è un personaggio che non mi era mai venuto fuori prima e, beh, considerando come ho fatto concludere il capitolo… sarebbe stato meglio se non l’avessi mai partorita, poverina! xD Tenshinhan IC? Fiuw! Menomale… aspetto un tuo parere anche su questo J un bacione, alla prossima!;

-          Silvergirl90: … immagino che questo ti sia piaciuto un po’ meno ^  ^’ non saprei, dimmelo tu J

 

 

Ringrazio inoltre le 2 persone che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite, le 5 persone che l’hanno aggiunta tra le seguite e tutti coloro che leggono anche senza commentare! *inchino*

 

Alla prossima!

 

 

HOPE87

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** VI. ***


VI

VI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se fosse riuscita a concentrarsi sullo splendido paesaggio marino che la circondava, avrebbe potuto considerare dolce la morte con cui aveva deciso di abbandonare quella vita.

Decidere.

Aveva autonomamente deciso di dichiararsi a morte.

Se per il sangue di cui si era macchiata o per gli sguardi che le sarebbero stati rivolti dalle persone a lei più care, non importava.

L’unica cosa che desiderava era trovare pace.

Era sempre stata convinta che la tanto agognata pace a cui aspirasse le sarebbe stata donata non appena avesse fatto luce sugli incubi che la tormentavano da bambina.

Quando era venuta a conoscenza della verità sul suo passato, quella piccola, flebile luce che ancora riusciva ad animarla, s’era spenta definitivamente.

S’era lasciata consumare rapidamente dall’odio.

E in quell’odio aveva trovato soddisfazione, il riscatto di una vita intera.

Uccidere quell’uomo, quegli uomini, aveva rappresentato il dare senso alla sua misera esistenza.

Un’esistenza imbrattata di sangue fin dalla nascita.

Sì.

Se non fosse nata, i suoi genitori non sarebbero morti.

“Sono contenta di averti conosciuta, sai?”.

Spalancò gli occhi.

Com’erano potute tornarle in mente le parole di Bulma?

“Ho sempre desiderato avere una sorella, e tu sei quella che più le si avvicina!”.

Delle piccole bollicine provocate dal sussulto provocatele dal ricordo si sparsero attorno a lei, dirigendosi verso la superficie rapidamente.

Chiuse gli occhi fino a strizzarli.

Non doveva ricordare tutto quello… non adesso!

L’iperventilazione terminò la sua durata.

“Ci siamo”, pensò mestamente, mentre i polmoni cominciavano ad esigere ossigeno e la sua gabbia toracica iniziava a comprimersi, per implodere.

In un attimo le balenarono in mente tutti i momenti allegri e spensierati che era riuscita nonostante tutto a vivere con quelli che avevano finito col rappresentare la sua famiglia… alcuni dei quali raffiorarono più prepotenti degli altri, come a voler cinicamente sottolineare a cosa stesse rinunciando.

“È ciò che mi merito”.

Chiuse gli occhi, in attesa che il suo cuore forte cedesse a quella costrizione innaturale a cui era stato sottoposto.

La fauna marina nuotava attorno a lei lentamente, a volte sfiorandola, incurantemente, quasi come facesse già parte del loro habitat.

Si piegò su se stessa in preda agli spasmi di dolore provenienti dal petto, perdendo la stabilità corporea che aveva avuto fino ad allora, lasciandosi andare e ruotando su se stessa per lasciarsi trasportare dalla corrente… fattasi particolarmente calda di punto in bianco.

Riaprì gli occhi.

Tutte le creature che nuotavano attorno a lei s’allontanarono velocemente, come in preda al panico, in fuga.

Suppose l’arrivo di una creatura più grande e tentò di muovere il corpo affinché potesse fornirle una visuale più ampia… ma si vide circondata dal nulla.

Sollevò il capo, alla ricerca della fonte di quell’evento, spalancando gli occhi a poco a poco.

Il cielo era di un azzurro terso quando aveva deciso d’immergersi… ora appariva, attraverso il limitare dell’acqua marina, di un cupo grigio ceruleo… tendente al marrone.

Un cupo grigio ceruleo tendente al marrone che si stava spostando rapidamente sull’ambiente esterno all’acqua.

Spalancò gli occhi, sentendosi percorrere la schiena da un brivido sinistro.

Con le poche forze che le erano rimaste tentò di nuotare verso la superficie, avvertendo una fitta al torace ogni qual volta si muoveva, sentendo l’energia mancarle sempre di più e per un attimo ebbe l’impulso di demordere.

La Kame House.

Quella cosa era diretta verso la Kame House.

Il volto contratto in una maschera di disperazione e dolore, attraversò ad ampie falcate l’acqua pesante, muovendo i piedi più velocemente che poteva, con i lunghi capelli neri che ad andavano a frapporsi tra lei e il suo obiettivo.

-          Onda energetica! - .

La voce risuonò appena, distorta dall’affanno e dall’acqua, ma un piccolo concretizzarsi del poco potere che le restava andò a segno, colpendo una roccia che sporgeva poco sotto di lei, dandole così lo slancio per poter ritornare a galla più velocemente.

Il vento che l’accolse fu come una frustrata in pieno petto.

Gli occhi strabuzzati dallo sforzo immane, i muscoli tesi, le vene pronte ad esplodere, il ritmico pulsare del cuore a confermarle che ce l’aveva fatta.

Con la gola raschiata dal violento tossire, si concentrò allo stremo tentando di levitare, ma la parte inferiore del proprio corpo rifinì in acqua, palesandole l’esaurirsi momentanea delle sue possibilità.

Gli occhi corsero all’esigua struttura di legno che si stagliava poco lontano da lei, con un’ansia sempre crescente.

Doveva farcela.

Alternò nuoto e levitazione, restando sempre al limite dell’acqua, riuscendo infine a raggiungere la riva tanto agognata, trovandosi costretta a fermarsi a causa della fatica immane a cui si era sottoposta.

Tra il tossire e il respirare ritmicamente, fece vagare lo sguardo per la zona d’isola che si stagliava di fronte a lei, continuando a vedere i colori di quella strana aria che sembrava aver investito tutto… finchè i suoi occhi non finirono su Umigame, ferma, nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata.

-          U-Umigame! – tentò di chiamarla, ma con scarsi risultati. Tutto quello che le fuoriuscì fu un rantolo spasmodico sofferto, interrotto bruscamente da un ennesimo attacco di tosse.

Facendosi leva sulle braccia, si costrinse ad un ennesimo sforzo, strisciando sulla sabbia per arrivarle vicino.

-          Umigame... – la richiamò di nuovo, a un palmo dal suo guscio, allungando un braccio per attirare la sua attenzione. – Cos’è successo qui? - .

Spalancò gli occhi dall’orrore.

Gli occhi della vecchia amica del maestro Muten erano cerulei, privi di vita.

Mosse ancora il suo guscio, nel vano tentativo di svegliarla, dovendo poi rapidamente arrendersi alla realtà delle cose, che si stava stagliando nella sua mente con tutta la sua rude crudeltà.

Con gli occhi ancora spalancati, voltò il capo in direzione della Kame House, soffermandosi rapidamente sugli alberi di palma che sorgevano accanto alla costruzione.

Le noci di cocco erano tutte rotolate ai loro piedi.

Le lunghe, lucide e verdi foglie che l’adornavano erano ora di un beije spento.

Erano…

-          Morte… - pronunciò in un sussurro, mentre l’ansia continuava a staccarle a morsi lo stomaco.

Incurante delle lacrime che avevano iniziato a solcarle il volto, si portò all’in piedi, prendendo a correre disperatamente verso l’ingresso della casa.

 

 

***

 

 

-          Dov’è il mio bambino?! - .

-          Chichi, ti prego, calmati! - .

-          DITEMI DOV’É IL MIO BAMBINO! - .

Crilin incassò l’urlo tentando di nascondersi la testa tra le spalle.

Non si sarebbe mai abituato agli attacchi d’ira della moglie del suo migliore amico, ma d’altro canto avevano toccato per lei un tasto dolente e allo stesso tempo prezioso.

-          Non sappiamo dove sia il tuo bambino, se lo avessimo saputo stai certa che non saremmo venuti a sorbirci le tue sfuriate inutili! – replicò amareggiata Bulma, facendosi incontro alla donna, innervosita dal menefreghismo che stava dimostrando nei confronti dell’argomento che le avevano appena esposto.

Yamcha si fece avanti per tentare di far desistere la propria ragazza dal soffiare altro vento sul fuoco, ma questa gli sfuggì di nuovo dal controllo.

-          Inutili? INUTILI?! Mio figlio potrebbe essere in balìa di due assassini! - .

Lo schiaffo arrivò preciso e pesante, riecheggiando nell’ambiente con tutta la carica emotiva con la quale era stato sferrato.

Chichi spalancò gli occhi, mentre una rabbia crescente le divorava le interiora, facendole pensare rapidamente a un modo per restituire il colpo.

Quando rialzò lo sguardo, però, gli occhi azzurri della donna che le era davanti – privi dell’astio che l’aveva animata fino a quel momento, ma lucidi e gonfi – ebbero la capacità d’aquietarla, facendola rinsavire e rendere conto di aver superato ogni limite.

Fu la volta dei suoi occhi d’ebano di riempirsi di lacrime.

-          S-se ha perso il controllo… Gohan potrebbe essere in pericolo… i-io… - .

Le braccia di Bulma l’avvolsero rapidamente e velocemente, mentre gli occhi, come quelli di Chichi, presero a lacrimare.

Entrambe sapevano di star condividendo lo stesso fardello, seppur orientato verso persone diverse, e l’ansia accumulata dalle prospettive che si paravano loro nella mente era finita con l’esplodere.

-          Se siete d’accordo, adesso sarebbe il caso di arrivare al sodo. - .

Tenshinhan non aveva gradito il siparietto a cui era stato costretto ad assistere.

E a nulla era valso il commento sussurratogli dell’ex predone del deserto sulla prerogativa tipicamente femminile dello starnazzare, per allentare un po’ la tensione.

La persona che si stavano affannando a cercare non si sarebbe mai lasciata andare ad un simile spettacolo.

Sospirò profondamente quando ebbe ricevuto da tutti un tacito assenso, cercando di scacciare momentaneamente dai suoi ricordi l’espressione matura dell’amica.

-          Quando è stato l’ultima volta che hai visto Shizue? - .

Gli occhi di tutti i presenti in sala si spostarono dall’ex allievo dell’eremita della Gru a Chichi, presa ancora dall’asciugarsi le ultime lacrime versate.

-          Non ricordo precisamente… - rispose la donna, scuotendo la testa mestamente.

-          Cerca di sforzarti. - .

A Jiaozi non sfuggì la punta di nervosismo che aveva tinto le ultime parole dell’amico.

La moglie di Goku scosse nuovamente la testa, facendo vagare lo sguardo sull’ampio tavolo quadrato che adornava la cucina, alla ricerca di qualche ricordo più preciso.

-          Gohan era a casa in quel periodo… perciò aveva avuto il permesso di restare fuori fino a tardi con Shizue quella volta… - .

Crilin spostò lo sguardo sul calendario affisso ad una delle pareti della sala, tentando di ricordarsi i giorni  - di cui lo stesso Gohan gli aveva parlato – in cui non sarebbe dovuto andare a scuola per dei problemi tecnici relativi all’impianto idraulico dell’istituto.

-          Quindi… all’in circa… intorno ai… quindici giorni fa? – si rivolse così alla donna, approssimativamente, che sollevò il capo per rivolgere lo sguardo verso di lui.

-          Sì. – rispose infine, dando un rapido sguardo al calendario che aveva osservato precedentemente il ragazzo.

Il cuore di Bulma battè più velocemente.

Quindici giorni.

Poteva essere accaduto di tutto in quel lasso di tempo.

-          No, un momento. – disse nuovamente Chichi, attirando di nuovo tutti gli sguardi su di se. – Nei cinque giorni precedenti alla chiusura della scuola Gohan si era ammalato… lei è venuta a fargli visita il primo… se non il secondo giorno di febbre. - .

-          Venti giorni circa, dunque. – calcolò rapidamente Jiaozi, continuando a levitare a mezz’aria accanto a Tenshinhan, com’era solito fare.

-          Puoi ripetere ancora una volta cosa vi ha detto, per favore? - .

Crilin sussultò nel sentirsi chiamato in causa, annuendo a Tenshinhan e riprendendo a ricordare.

-          “Temo che Shizue sia in pericolo.” – ripetè testualmente il guerriero.  – Alla domanda mia e del Genio sul cosa potesse avergli fatto pensare una cosa del genere, lui ha tentennato un po’… sembrava indeciso sul confessarcelo o meno. - .

Chichi stette ad ascoltare in religioso silenzio.

Quella sera, al suo rientro a casa, lo aveva trovato un po’ turbato, ma aveva attribuito la brutta cera allo stato di malore in cui riversava.

-          Evidentemente Shizue deve avergli fatto promettere di non farne parola con nessuno. – constatò Yamcha, portandosi una mano al mento e immergendosi nei suoi pensieri.

-          Ma perché non ce ne ha parlato? Avremmo potuto aiutarla! – espresse i suoi pensieri poi, frustrato dai troppi nodi che non tornavano al pettine.

-          Un passo alla volta. – intervenne Tenshinhan, che aveva già risposto dentro di sé alla domanda che tormentava l’amico e tutti gli altri. – La domanda ora è: come ha fatto a risalire al suo passato? - .

-          Cosa? – Chichi sembrava essere uscita dal suo stato catatonico tutto ad un tratto. – Aspettate un momento, ma lei… non soffriva di quella specie di amnesia? Goku diceva sempre che per lei era doloroso non riuscire a ricordare i fatti precedenti al loro primo incontro e se ne dispiaceva perché non era in grado di aiutarla… - .

-          Noi arrivammo nel suo villaggio esattamente pochi minuti prima che la spada di quel mostro si abbattesse sul suo collo. – ricordò la Brief dopo aver annuito alle parole dell’amica, accarezzandosi le braccia per farsi passare la pelle d’oca che quel solo ricordo ebbe modo di causarle. – Gli abitanti del villaggio esplosero in rivolta… Goku riuscì a tenerne a bada qualcuno, dopodichè fummo costretti ad andarcene per evitare che qualche povero idiota si facesse ammazzare. Portammo Shizue con noi, che nel frattempo era svenuta… quando rinvenne non ricordava niente… aveva solo l’intrinseca sensazione di essere sbagliata… di avere il sangue nero. - .   

-          Ti stai dimenticando degli incubi! – fece Oolong, comodamente steso su un divanetto che arredava la cucina, parlando per la prima volta.

-          Come potrei… - rispose amaramente la donna, con un sorriso sarcastico a dipingerle il bel volto. – Ma quelli sono venuti dopo. Ad intermittenza. Come se in un certo senso avessero voluto tentare di mostrarle qualcosa che doveva aver rimosso disperatamente… - .

-          La morte dei genitori… - quasi sussurrò Yamcha, per poi sospirare profondamente e grattarsi il capo con le mani, come a voler scacciare via un brutto ricordo.

-          Si convinse di averli uccisi lei. – intervenne Crilin, ricordandosi una delle notti in cui Shizue aveva preso ad urlare e piangere disperatamente, in preda al panico scaturitole da uno degli ultimi incubi.

-          E qui arriviamo a noi. - .

Tenshinhan aveva ascoltato l’intera storia come non l’aveva mai fatto.

Erano bastati gli occhi di Shizue a fargli intendere di trovarsi di fronte una donna con un vissuto poco spensierato alle spalle. Gli altri si erano lasciati sfuggire qualcosina in sua assenza ma in quanto a lui… non era mai stato tipo da impicciarsi degli affari degli altri.

-          Per aver confidato a Gohan di aver trovato il suo villaggio di origine deve esserle ritornata la memoria… come, quando e perché, purtroppo non credo che-… - .

-          Dopo la sconfitta di Freezer. - .

Gli occhi di Tenshinhan si spostarono sul piccolo Jiaozi, così come quelli di tutti gli altri.

-          M-ma… come? – provò a chiedere Crlin in maniera piuttosto sconclusionata, tentando di chiedere delucidazioni sull’affermazione dell’amico, che per tutta risposta scosse la testa, esprimendosi così incapace di fornire le risposte che gli erano state implicitamente richieste.

-          Perché dopo la sconfitta di Freezer? – gli chiese allora Tenshinhan, voltandosi verso di lui per osservarlo attentamente.

-          Perché è stato allora che è cambiato qualcosa. – rispose Jiaozi, portandosi un dito alla tempia e indicandosela.

-          Potresti tentare di essere un po’ più chiaro? – chiese Bulma, spazientita dalle pseudo risposte del guerriero.

Lui allora si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa che potesse tornargli utile, scorgendo su una piccola mensola un contenitore pieno di gomitoli di lana.

Ne fece levitare uno meno corposo con la forza del pensiero, portandolo al centro esatto del tavolo per fare in modo che tutti potessero guardarlo.

-          Questa è la mente umana. – iniziò a spiegare Jiaozi. – Teoricamente, la mente di un comune essere umano. – Il gomitolo prese poi ad allargarsi sotto il potere del guerriero, che prese a disporre i fili della matassa in maniera orizzontale, pur sempre in modo concentrica. – Questo… - fece, per poi cambiare nuovamente disposizione ai fili del gomitolo. – Questo… - continuò ancora, fino ad eseguire una serie di esempi che vedevano il gomitolo di lana allargarsi verso l’alto, verso il basso, in verticale e in trasversale. – Sono tutti esempi di come possa essere invece la mente di una persona non comune, un guerriero. - .

Erano tutti praticamente col fiato sospeso, con l’attenzione completamente concentrata sulla spiegazione di Jiaozi, meno Tenshinhan, che già era a conoscenza di tutto quello e attendeva solo di sapere cosa avrebbe detto della donna l’amico.

-          La larghezza dipende dallo spessore in cui si sviluppa la capacità d’inglobamento, la direzione dei fili dipende invece da… - .

-          Sì, ok, andiamo avanti! – esclamò spazientita Bulma, beccandosi un’occhiataccia in tralice da Tenshinhan. – Per favore… - aggiunse subito dopo, ricordandosi che un manipolamento del genere Jiaozi sarebbe stato in grado di esercitarlo anche direttamente sulle persone.

-          Prima che arrivassero i saiyan e che accadesse tutto quello che ne è conseguito, la mente di Shizue era così: - continuò a spiegare il guerriero, creando con la matassa di lana un intrigato cespuglio disordinato di fili, che non aveva niente a che fare con gli esempi precedentemente mostrati. – Quando invece ho avuto modo di leggergliela in uno dei nostri incontri successivi ai fatti di Namecc, era così:  - concluse, riordinando la matassa di fili in un lineare, seppur complesso, tessuto di fili, molto simile ai primi che aveva mostrato.

Tutti stettero col fiato sospeso.

Gli occhi di Bulma rivolti in un punto imprecisato del tavolo, palesemente persa tra i propri pensieri.

-          Non sei riuscito a comprendere altro? – chiese allora Tenshinhan a Jiaozi, che scosse la testa mestamente.

-          Non mi ha mai concesso di entrare. È sempre stata attenta alle sue difese mentali… - .

-          Ma perché su Namecc? Perché Freezer? – intervenne improvvisamente Yamcha, palesando un ennesimo dubbio.  – Non potrebbe esserle accaduto dopo la nostra… sconfitta? – concluse, evitando categoricamente di evitare la parola “morte”. Era ancora in grado di provare dei brividi ogni volta che ci ripensava.

Jiaozi sollevò le spalle.

-          Sentiva odore di morte. - .

Tutti gli sguardi furono stavolta calamitati su Bulma, interrogativi.

-          Quando mettemmo per la prima volta piede sul suolo di NameccShizue ebbe un mancamento. – riprese, tenendo ostinatamente lo sguardo ancora perso nel vuoto, probabilmente per far sì che i ricordi riaffiorassero nitidamente. – “Odore di morte”, furono le sue prime parole. Non compresi per niente a cosa si stesse riferendo, eravamo ancora lontani dai luoghi abitati dai namecciani ormai deceduti… “odore di morte” disse, poi fu colta da un attacco di panico. – . La Brief congiunse le mani sotto al mento, mentre man mano le immagini di quel giorno le si stagliavano nella testa.

Jiaozi ne seguì il percorso dall’inizio alla fine, discretamente, sapendo che la donna non avrebbe avuto niente da ridire dal momento che non se ne sarebbe mai potuta accorgere.

Rivide con gli occhi blu di Bulma Shizue reggersi la testa come in preda ad una fitta di dolore… urlare disperata di punto in bianco… rigettare alla vista dei primi corpi senza vita dei namecciani… cambiare lo sguardo.

La sentì pronunciare una sequenza di parole apparentemente sconclusionate che richiamavano sempre gli stessi punti… “Non sono stata io…”, “Non è possibile…”, “Sono stata ingannata...”.

La vide barcollare pericolosamente per poi andare a raggiungere uno specchio d’acqua nei dintorni, per scorgervi all’interno il proprio riflesso.

Gli occhi.

Gli occhi non erano più gli stessi.

-          È avvenuto su Nameccsentenziò infine il piccolo guerriero, annuendo alla domanda implicita che con lo sguardo Tenshinhan gli aveva rivolto, accortosi di quel che stava facendo.

-          E ha deciso di agire dopo che le cose si sono sistemate. – aggiunse poi, venendo finalmente a capo di quella lunga e triste storia.

-          Io continuo a non capire. – intervenne allora Crilin, che fino a quel momento era stato a braccia conserte e capo chino. – Come può averla aiutata Namecc? - .

-          In un certo senso, probabilmente deve aver ricondotto lo scempio che è accaduto lì con quel che è accaduto a lei tempo prima… - tentò di spiegare Tenshinhan. – È l’unica supposizione valida che sono riuscito a formulare. – continuò. – L’ “odore di sangue” deve averle fatto scattare qualcosa. In fondo chi può dirlo? - .

-          Lei avrebbe potuto dircelo. – replicò Yamcha con malcelata tranquillità. – Ma non l’ha fatto. - .

Tenshinhan chiuse gli occhi.

-          Avrà avuto le sue buone ragioni. - .

-          Ragioni adesso non più trattabili. – replicò l’ex predone del deserto, abbassando il capo amareggiato, sconfitto, dirigendosi poi verso la porta. – Sappiamo tutti il continuo della storia: lei ha ripercorso il suo passato e s’è messa sulle tracce dei reali responsabili della morte dei suoi genitori… dopodichè deve aver fatto qualche sciocchezza. - .

La Brief prese a correre in preda alle lacrime all’esterno della casa, lontana da occhi indiscreti. Yamcha sospirò pesantemente e la seguì.

La tensione era diventata così tanto opprimente che nemmeno Oolong fu in grado di ignorarla.

-          E adesso cosa facciamo? – chiese rivolto un po’ a tutti, non ricevendo alcuna risposta.

-          La cerchiamo! – esclamò rabbiosamente Crilin, battendo tanto forte un pugno sul tavolo da incrinarlo. – Non m’interessa quanto tempo ci vorrà, non m’interessa dover perlustrare ogni angolo del pianeta, la troverò! Fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia! - .

Tenshinhan osservò a lungo il volto determinato dell’amico, meditando tra se e se.

-          Allora muoviamoci. – incitò poi, scostandosi dalla parete lungo cui aveva adagiato la schiena, lanciando uno sguardo d’intesa a Crilin, che accettò dopo un primo momento, con un sorriso.

-          Vado a chiamare Yamcha! – urlò Pual entusiasta, dirigendosi all’esterno della casa per comunicare la notizia all’amico.

Avvertirono nitidamente la sua voce chiamare il nome di Yamcha una prima volta, poi un urlo diverso li fecero mettere in all’erta.

Il secondo li fece accapponare la pelle.

Scattarono tutti fuori per capire cosa stesse succedendo... trovandosi poi costretti a spalancare gli occhi.

-          Cosa diavolo è quello?! – urlò spaventato Crilin, vedendo una densa nebbia avvicinarsi velocemente a loro.

-          CORRI! – urlò Tenshinhan prima di spiccare il volo, afferrando in extremis Chichi e Oolong, seguito subito dopo da Jiaozi, che aveva tentato di mettersi in contatto telepatico con Yamcha.

Se avesse potuto rappresentare la sua matassa di fili, l’avrebbe mostrata disintegrata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice…

 

Benritrovati! Buon anno nuovo! ^   ^

Eh beh, concedetemelo, d’altronde è dall’anno scorso che non ci si legge J

Mi scuso per il mostruoso ritardo ma con le sessioni d’esami in vista il tempo non c’è praticamente mai!

Spero solo che l’attesa sia valsa questo capitolo J

Il quadro credo si stia delineando adesso, no? ^___^

 

Volevo ringraziare BeNnY, LirinLawliet (a cui spero di aver dato qualche delucidazione in più questa volta J) e owll per aver commentato lo scorso capitolo. In più volevo dare il benvenuto a jamieO! È un onore sapere che la mia storia ti appassioni! Grazie per i complimenti J davvero, spero solo che i continui flashback non ti abbiano fatta avvilire troppo e che adesso la situazione sia un po’ più chiara! xD conto di rileggerti presto J un bacio!

 

Inoltre volevo ringraziare silvergirl90 che ha aggiunto la mia storia tra le preferite, jamieO per averla aggiunta tra le ricordate e Dream_of, Elfosnape, fufa78, Lirin Lawliet e Mc_T93 per averla aggiunta tra le seguite! *inchino*

 

Alla prossima! ;)

 

HOPE87

 

 

 

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