Never ending

di RedMarauder
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1- 4 years ago ***
Capitolo 3: *** capitolo 2- tears and smiles of an innocent little girl ***
Capitolo 4: *** capitolo 3- beautiful ghost from the past ***
Capitolo 5: *** capitolo 4- looking in your eyes ***
Capitolo 6: *** capitolo 5- before Alice ***
Capitolo 7: *** capitolo 6- children always understand ***
Capitolo 8: *** capitolo 7- falling in love, again ***
Capitolo 9: *** capitolo 8- into the fire of love ***
Capitolo 10: *** capitolo 9- Jane's Day ***
Capitolo 11: *** capitolo 10- building our new place ***
Capitolo 12: *** capitolo 11- the wedding ***
Capitolo 13: *** capitolo 12- All you need il Love ***
Capitolo 14: *** capitolo 13- The never ending lovely family ***



Capitolo 1
*** prologo ***


A casa mia
 
Entro in casa dopo una giornata infernale. Non avevo mai avuto un momento di pausa per sedermi!
Mi lascio cadere sul divano, spostando le coperte e le riviste che avevo lasciato sopra il telo.
Appoggio la schiena e chiudo gli occhi sospirando: finalmente!
Dopo cinque minuti riapro gli occhi, già più rilassata. Sollevo la schiena e mi guardo intorno:c’è un disordine da paura!
Guardo il tavolino davanti a me e il solito tuffo al cuore mi disorienta.
Fisso la foto abbandonata li sopra: è un po’ stropicciata, per via dei mille viaggi che ha fatto in giro per casa, ma è ancora bellissima.
Una lacrima mi scivola lungo la guancia. Ormai non ci faccio più nemmeno caso.
Quei giorni sono finiti, anche se, veramente, non erano nemmeno iniziati.
Infatti quella foto risale a molto tempo prima. Era un regalo di compleanno, o meglio il biglietto che lo accompagnava.
Però l’avevo sempre conservata. Quando poi avevo trovato il coraggio gliel’avevo regalata.
Non l’aveva più lasciata: se la portava ovunque, in cucina, in salotto, sul comodino mentre dormiva.
Spesso mi fermavo a spiarla: la guardava sempre, si perdeva a disegnare con le dita sull’immagine finti cerchi intorno ai visi. Come se volesse accarezzarli.
Un’altra lacrima si lascia andare dai miei occhi.
Non era giusto che soffrisse così. Nemmeno io avrei voluto soffrire, ma io potevo sopportarlo.
No, non è vero non lo sopportavo. Ormai non facevo che piangere, anche se ero migliorata rispetto all’inizio. I primi mesi piangevo quasi tutte le sere.
Ora riesco a resistere, ma ogni volta che ci penso il mio cuore si distrugge ancora.
Vorrei che le cose fossero andate diversamente. Non tanto per me, ma per lei.
Ogni notte sogno la mia vita se avessi scelto una strada diversa. Anche se realmente e concretamente la scelta non spettava a me, ma forse avrei potuto cambiare le cose.
Sarebbe una vita migliore?
Anche per lei?
Sospiro asciugando le lacrime. Fra poco arriverà e non voglio che mi veda così.
Devo essere la più forte. Devo mantenere la maschera salda e resistente se voglio renderle una vita felice.
Devo farlo, invece vorrei solo piangere e urlare. Vorrei prendere a pugni il muro e gridare fino a perdere la voce.
In tutti questi anni non ho mai ceduto alla tentazione, ma vorrei così tanto farlo.
Invece devo essere forte, lo devo fare per lei.
Perché la amo, è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita.
A parte..
Sento la serratura della porta scattare.
Sospiro di nuovo e piazzo un bel sorriso sul mio volto. È sincero, perché sono sempre felice di rivederla a fine giornata.
Devo tenere su la maschera, lo devo fare per lei.
Devo essere una brava madre.
 
 
 
Ore prima al parco.
 
Sto correndo intorno allo scivolo.
La mia amichetta Rosalie mi segue.
Rido felice mentre salgo i gradini del gioco. Quando sto per lasciarmi andare sullo scivolo, mi giro verso la panchina dove è seduta Anna.
La saluto con la mano e lei ricambia sorridendomi.
Mi lascio andare, sentendo l’ebbrezza del vento sul viso.
Quando arrivo a terra corso verso Anna sorridendo radiosa
“Anna, Anna, Anna!” esclamo “Hai visto che cosa ho fatto? Sono scivolata giù!” saltello felice davanti a lei.
Anna ride e cerca di afferrarmi “Si ho visto piccola, sei stata bravissima!”
Mi abbraccia e mi da un bacio sulla guancia.
“Ehi Alice ti va un gelato?” mi chiede Anna.
“Siiii!!” esclamo esultante “panna e cioccolato!”
“Va bene vado a prenderlo lì al chiosco, tu torna sullo scivolo!” mi dice accarezzandomi i capelli.
“Va bene!” rispondo e corro di nuovo verso Rosalie e verso lo scivolo.
La mamma di Rosalie ci guarda, mentre Anna prende il gelato per tutte e quattro.
Anna non è la mia mamma, è la mia baby-sitter. È un ragazza bellissima e molto giovane, che si occupa sempre di me.
Mi vuole veramente bene! È bionda come me, alta e ha circa 20 anni, quindi è molto più grande di me, ma tutti dicono che sembriamo mamma e figlia.
Però al parco non vengo quasi mai con la mia mamma: lei lavora troppo.
Ci assomigliamo molto, abbiamo le stesse labbra e gli stessi occhi verdi.
Mamma dice sempre che sono bellissima, molto più di lei, io invece dico che non è vero perché la mia mamma è davvero stupenda!
Solo che lavora molto, è una poliziotta e quindi non può prendersi cura di me il pomeriggio. Ecco perché passo tutto il mio tempo con Anna.
Quando invece Anna non c’è sto con la mia bellissima zia. Non è proprio mia zia, ma è la migliore amica della mia mamma, che si occupa di me da quando sono nata.
Ha i capelli lunghissimi, da grande voglio averli come lei. Adesso mi arrivano solo fin sotto le spalle. Solo che lei ha i capelli rossi, non sono come i miei.
“Alice è arrivato il gelato!” mi chiama Anna.
Corro giù dallo scivolo e la raggiungo.
Le do un bacio sulla guancia e afferro il gelato felice.
Mentre mangio penso che fra poco rivedrò la mamma e le racconterò tutto quello che ho fatto!
“Andiamo Alice, devo portarti dalla zia Grace!” mi dice Anna prendendomi in braccio.
“No, lasciami giù voglio camminare!” le sorrido. Ho tre anni e mezzo, ormai sono grande per stare in braccio
Lei mi rimette giù ridendo “Va bene piccola peste!”
Salutiamo Rosalie e la sua mamma e andiamo via.
 
Dopo mezz’ora siamo a casa della zia Grace.
Saluto Anna con un bacio e corro incontro alla mia bellissima zia.
Sono tutte bellissime le persone che mi vogliono bene!
“Ciao piccolina!” la zia Grace mi abbraccia e mi da un lungo bacio sulla fronte.
“Ciao zia Grace!” la stringo forte e sprofondo la testa fra i suoi capelli.
Lo faccio sempre anche con la mamma.
Prima di andare a casa passo sempre un’oretta a casa della zia, perché la mamma resta in ufficio fino a tardi a volte.
Mi siedo sul divano con lei.
Mi fermo a guardarla e vedo che ha lo sguardo molto triste. Io capisco sempre quando lei e la mamma hanno qualcosa che non va. Lo capisco sempre anche negli altri.
“Zia Grace va tutto bene?” chiedo preoccupata.
Lei si riscuote e mi risponde “Si piccola, sono solo un po’ stanca!” mi sorride.
Mi sa che mi ha detto una bugia. La mamma dice che sono troppo piccola per chiedere troppe cose alle persone, perciò lascio perdere.
Guardo i cartoni con la zia, aspettando di andare dalla mamma.
 
a casa mia
 
La porta si apre ed entra Alice correndo.
“Mamma!” grida felice.
Le corro incontro la sollevo e la stringo forte al mio petto “Amore mio!”.
La abbraccio accarezzandole i capelli.
Grace entra sorridendo a entrambe.
“Mamma oggi sono stata al parco con Rosalie e Anna, e ho mangiato anche il gelato!” mi racconta soddisfatta.
Le sorrido “Wow! Era buono?”
Lei annuisce e mi da un bacio sulla guancia.
Poi si avvicina al mio orecchio e sussurra “credo che la zia Grace non stia bene, devi parlarle!”
La guardo sbalordita “Certo piccola lo farò. Vai a lavarti le mani e a metterti degli altri vestiti, fra poco mangiamo!”
La faccio scendere e lei corre di sopra.
Guardo Grace che esita sulla porta. Credo abbia sentito il suggerimento di mia figlia.
“Alla piccola Lisbon non sfugge niente eh!” esclama imbarazzata.
Ci spostiamo verso il divano.
“In tal caso quello non è il cognome adatto” sospiro.
“Gli assomiglia troppo..” sussurro.
Grace sposta lo sguardo verso il tavolino dove ho lasciato la foto.
La prende e la osserva. Anche lei l’ha guardata tante volte.
“Cosa devi dirmi?” le chiedo voltandomi verso di lei.
Il suo sguardo si fa serio.
“Prometti che non ti arrabbi?” parliamo piano per non farci sentire da Alice.
Annuisco controvoglia: so già che non mi piacerà!
“Non avrei dovuto farlo, ma ero curiosa” si giustifica “ho rintracciato lo spostamento della sua carta di credito. Senza permesso, ma penso non sia un problema. Persino la Hightower sarebbe d’accordo!” mi dice a mo di rimproverò.
Sospiro senza rispondere.
Si non mi piace per niente! Le ho detto mille volte di non farlo.
“Non vuoi sapere dov’è?” mi chiede.
Alzo le spalle indifferente.
“è arrivato da poco a San Francisco. Non è lontano!” aggiunge titubante.
Mi volo a squadrarla.
“E con questo?” chiedo.
“Niente, volevo solo dirti che forse è il momento giusto per..”
La interrompo
“No Grace, non sarà mai il momento giusto!” mi alzo di scatto e vado in cucina.
Lei mi segue.
“Perché?” mi chiede esasperata.
“L’avremo fatto almeno un milione di volte questo discorso!” esclamo “non voglio che si senta costretto a tornare per..”
“Per Alice?” mi rimbecca lei interrompendomi.
“Grace vorrei tanto che le cose fossero diverse, ma purtroppo non è così. Vorrei che Alice potesse avere la sua parte, ma non succederà. Non voglio dargli una ragione per tornare, non sarebbe giusto. Se mi amava, se veramente voleva essere qui sarebbe già tornato da tempo!” sbotto, e una lacrima mi scivola di nuovo dalla guancia. Il mio cuore va in frantumi per l’ennesima volta, mozzandomi il respiro.
Grace mi abbraccia, poi si stacca e mi fissa preoccupata
“Prima era in Europa! Adesso è a San Francisco, secondo te non fa la differenza? Magari sta tornando!” esclama lei sicura.
Scuoto la testa “Vorrei poterti credere, ma non sono così fiduciosa”
In quel momento arriva Alice e noi tronchiamo la conversazione prima che io suoi occhi intelligenti capiscano tutto.
“Zia resti a mangiare con noi?” le chiede.
“Certo piccola, resto qui! Fra poco arriva anche zio Wayne” le sorride.
Inizio a preparare da mangiare, mentre rifletto.
E se stesse tornando davvero?
 
 
 
 
 
DICE L’AUTRICE:
allora come promesso  ho abbandonato la brutta strada (vedi shot pubblicata da poco “Red Soul”) e sono tornata sulla retta via!
Quanto avete capito dal prologo?Poco e niente? Benissimo! Perché era la mia intenzione!
Insomma che storia (mia) sarebbe senza un po’ di suspance! Bene, siccome non voglio anticiparvi niente, chiudo qui il mio commento. Spero di avervi intrigato abbastanza da seguirmi anche in questa avventura : )
Ci tengo a dire che: il personaggio di Anna, ovvero la baby-sitter di Alice, è il prototipo di una di voi: ISTERIA! Sbaglio o ti avevo promesso che avrei inserito una ragazza bionda di 20 anni? L’occasione è diversa, perché l’altra volta non sapevo come e dove metterti, quindi ho pensato che dare vita a un personaggio nuovo facesse al caso mio! Così sei ufficialmente la baby-sitter di Alice (anche se il tuo vero nome non è Anna : ) ). Dovevo mantenere la mia promessa, spero di esserci riuscita!
Buona lettura: )
Giada
 
Ps: ripeto la manfrina per questioni legali: questa è una storia scritta senza scopro di lucro;i personaggi  non sono miei ma appartengono a (genio) Bruno Heller!
 

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Capitolo 2
*** capitolo 1- 4 years ago ***


CAPITOLO 1- 4 YEARS AGO
 
Teresa
 
Sono seduta in cucina.
Sono sconvolta. Non faccio altro che piangere da quasi due giorni.
Non ho mangiato niente, non ho praticamente dormito.
Mi sento annebbiata, stanca e debole.
Suonano alla porta.
Deve essere Grace.
Infatti è lei. Entra e mi abbraccia dolcemente. Lascio cadere la testa sulla sua spalla e comincio a piangere di nuovo.
Rimaniamo ferme per qualche minuto poi lei si stacca, mi prende per mano e mi porta in cucina.
Mi lascio cadere sulla sedia di prima. Sento i suoi occhi su di me mentre mi prende un bicchier d’acqua.
“Teresa da quanto non mangi?” mi chiede preoccupata.
“Da ieri sera” rispondo. La mi voce è roca e bassa.
“Hai fame?” mi chiede accarezzandomi la testa.
Annuisco senza dire niente.
“Ti va una pizza?”
Annuisco di nuovo muta.
Lei si alza, afferra il telefono e ordina le pizze, poi ritorna a sedersi di fianco a me.
“Come stai?” mi chiede. Nei suoi occhi leggo il dolore che sta prendendo anche lei.
Alzo le spalle “così come mi vedi”
Lei annuisce e posa una mano sulla mia
“So che probabilmente non avrai voglia di sentirtelo dire: però devi reagire Teresa! Non puoi rimanere per sempre a crogiolarti  nel dolore! Devi rialzarti e ricominciare a vivere. So quanto stai male, anzi posso solo immaginare quanto stai peggio di noi. Per te era diverso! Però ora devi smettere di autodistruggerti. Sono passati cinque giorni, e prima stavi quasi meglio, perché ora stai peggiorando?” mi chiede quasi sull’orlo delle lacrime dalla disperazione.
È davvero in pena per me! Devo essere un mostro in questo stato.
Sorrido isterica “Perché ora è diverso!” rispondo.
Lei mi guarda perplessa.
Mi volto a guardarla senza riuscire a trattenere le lacrime “Sono incinta!” confesso.
Vedo i suoi occhi e la sua bocca spalancarsi.
È decisamente diverso!
 
 
Dopo ore passate a consolarmi sul divano Grace decide di passare la notte con me.
È davvero distrutta anche lei dalla notizia.
“Vedrai troveremo una soluzione!” mi dice consolandomi.
Sospiro stancamente “Si, andrà tutto bene, ce la faremo!”
Chiudo gli occhi mentre Grace torna sul divano dove ha deciso di passare la notte.
Cerco di addormentarmi e di scacciare gli incubi che da giorni mi attanagliano la mente.
 
 
un mese e mezzo dopo
 
Dopo poco più di un mese sto bene.
Ormai piango di meno, anche se il mio cuore ha ancora la consistenza di un mucchietto di blocchi ghiacciati andati in frantumi.
Ma devo riprendermi per forza, lo devo fare..in vista del futuro.
Grace ormai è una presenza costante a casa mia e nella mia vita.Si prende cura di me, mi sostiene e mi porta dal medico per le visite.
Il feto ha esattamente quattro settimane e mezzo.
Secondo il dottore è in piena forma, ma devo mangiare di più e cercare di non stancarmi troppo.
Grace mi fa rispettare queste regola anche troppo alla lettera.
Infatti in ufficio fa quasi sempre il doppio del lavoro, per non farmi stancare. Cerco di impedirglielo in tutti i modi!
Abbiamo spiegato ad Hightower la situazione, che come tutti ha cercato di aiutarmi e di consolarmi, anche se io non ho dato segni di cedimento mentre parlavo con lei.
Rigsby e Cho fanno finta di niente, ma spesso li colgo a guardarmi con sincera preoccupazione.
Sanno quello che sto passando, e sanno che non sarà facile.
Grazie al lavoro riesco a distrarmi, ma poi quando torno a casa la voragine si riapre e io ritorno nel mio stato di depressione.
Anche se devo ammettere che ultimamente sono migliorata.
Lo devo solo a Grace!
 
 
Quasi tre mesi più tardi
 
Sono passati altri tre mesi circa.
Ora sto decisamente meglio. Piango ancora di meno, sono meno depressa e sto addirittura cercando di ricominciare a sorridere.
Grace mi sta cambiando la vita e fa di tutto per rendermi felice. Anche gli altri sostengono l’iniziativa e spesso casa mia si ritrova occupata da i miei tre colleghi per passare la serata insieme.
La pancia comincia a crescere, per il momento è solo una piccola protuberanza.
Sono a casa di Grace, stiamo per uscire con gli altri.
“Sembro solo ingrassata!” mi lamento davanti allo specchio della sua camera da letto mentre Grace mi guarda storto.
“Non è vero!” esclama “è il primo arrotondamento, non lamentarti!” mi lancia la una canottiera che stava scegliendo davanti al suo armadio.
Rido e le rilancio la canottiera.
Il medico dice che è tutto a posto, e qualche settimana fa, io e Grace ovviamente, abbiamo sentito il battito del suo cuore.
Grace ha aspettato che io uscissi per confabulare con il medico.
Quando è uscita aveva in man un dischetto che ha infilato subito nella borsa. Ha fatto finta di niente, ma so cos’era: la registrazione del battito del bambino.
Spera che un giorno mi possa servire per farlo sentire a un’altra persona attualmente assente..
Quel gesto mi ha commossa, so che tiene a me. Ma mi ha anche riaperto la voragine.
Mentre Grace finisce di prepararsi io scendo disotto.
Ci sono molte foto della squadra e di lei e Rigsby in salotto.
Sono tornati insieme, e ora anche Rigsby partecipa attivamente alla campagna “Salviamo Lisbon!”
Li prendo sempre in giro per questo, ma gli sono veramente grata.
Senza di loro ora non saprei veramente come fare!
 
Un mese e mezzo ancora
 
Siamo dal dottore per l’ennesima visita.
È un femmina!
Grace è felice almeno quanto me.
Osservare da quel piccolo schermo mia figlia mi ha riempito di una gioia immensa.
Per un po’ dimentico tutto il dolore degli ultimi mesi: esiste solo lei, quella piccola e magnifica creatura che mi sta crescendo dentro!
Torniamo a casa, e per la prima volta mi sento davvero felice.
I fantasmi che assillano la mia mente scompaiono lasciando posto solo alla presenza di quella bambina che respira e vive dentro di me.
 
Passiamo la serata stese sul divano a scegliere il nome.
“Ovviamente tu sarai la madrina!” le dico sorridendole.
Lei mi abbraccia commossa “Grazie!”
La stringo forte “Devo tutto a te, è il minimo che possa fare!”
Sto bene, comincio a riemergere dal mio incubo.
Ho sempre il cuore a pezzi, ma penso che non potrà mai essere diversamente. Potrà solo migliorare e mai guarire.
Però ora ho una ragione valida per vivere: mia figlia.
 
Ancora un po’ più avanti.
 
Sono al sesto mese di gravidanza.
Ormai la pancia è diventata enorme, e crescerà ancora.
Dallo schermo ora riesco a vederla ancora meglio. È già bellissima!
Inoltre abbiamo scelto il nome: Alice Grace Lisbon!
Desideravo darle, come secondo nome, il nome della persona che mi ha restituito la vita. Se non fosse per lei oggi non sarei così felice. Forse sarei ancora un mostro che si aggira per casa piangendo e distruggendosi l’anima.
“Sai stavo pensando, magari possiamo spostare l’armadio dalla parte opposta e mettere in quell’angolo la culla. C’è più luce dall’altra parte!” mi propone Grace.
Siamo nella futura cameretta di Alice, ovvero la ex stanza degli ospiti!
“Si hai ragione!” cancello sul foglio del progetto i due mobili e li inverto.
Abbiamo già ordinato tutto, o almeno quella pazza maniaca della mia amica l’ha fatto!
Ha scelto quasi tutto lei, le ho lasciato carta bianca sul portafoglio, e fra pochi giorni quella stanza diventerà magnifica.
Cho e Rigsby si sono offerti per fare i lavori. Non tanto per montare i nuovi mobili, ma per smontare e portare in cantina quelli vecchi!
Nella mia stanza ci sono già parecchie scatole piene di vestiti che Grace ha comprato per Alice. E sono anche già arrivati i regali da parte dei miei fratelli.
“Però quella lampada che ho visto al negozio non mi convinceva molto!” esclama Grace dubbiosa.
Rido della sua espressione, sfiorando il pancione con la mano.
“Grace mancano ancora tre mesi, avrai tempo per scegliere una lampada!”
“Il tempo è prezioso cara, non dimenticarlo!” esclama lei seria e divertita insieme.
Ci rimettiamo al lavoro cambiando tutte le modifiche sul progetto e poi scendiamo disotto per una tisana.
Orma il caffè mi sta lontano da mesi, e sto prendendo l’abitudine di bere tisane sane per me e per la bambina.
Devo ammettere che mi piacciono anche!
 
 
Il tempo è agli sgoccioli
 
La data stimata del parto è il 5 giugno.
Oggi è il 29 maggio!
Comincio ad essere letteralmente in ansia.
La camera è finita: Cho e Rigsby sono stati magnifici, tanto che per ringraziarli gli ho dato due giorni di ferie in più a tutti.
Grace non li ha voluti! Dice che comunque li passerebbe qui a tormentarmi, quindi non mi conviene!
La mia pancia è gigantesca, quindi limito i movimenti e me ne sto sdraiata sul divano.
 
 
 
Tempo scaduto
 
Neanche a farlo apposta, oggi, il 5 giugno, alle nove del mattino vengo portata in fretta all’ospedale di Sacramento, dove il mio medico sfrega le mani in attesa di compiere il suo dovere.
Mi sono svegliata con delle dolorose contrazioni, che sono diventate sempre più frequenti.
Grace è corsa subito da me assieme a Rigsby, che era più in ansia di lei e di me messe insieme.
Mi hanno caricata in auto e portata subito al pronto soccorso.
Dopo esattamente tre ore e mezzo e dopo un dolore lancinante al limite della sopportazione, ce l’ho fatta!
Sono stesa nel letto candido dell’ospedale con il mio piccolo miracolo in braccio.
È la cosa più bella che abbia mai visto.
Ha gli occhi azzurri, ma secondo il dottore cambieranno nel giro di due mesi, o forse meno. Dice che le scaglie verdi nell’iride sono il segnale che avrà gli occhi come i miei. Questo mi fa piacere!
I pochi capelli che ha ora in testa sono chiari. Oso già immaginare di che colore saranno..
Brontola qualcosa afferrandomi i capelli con le mani e sorridendomi.
Ha un sorriso bellissimo, ed è veramente meravigliosa.
A turno l’hanno tenuta in braccio tutti, persino Cho!
Ha già conquistato tutti quanti, ovviamente.
Ormai è sera tardi ed è rimasta solo Grace con me. Domani arriveranno i miei fratelli per conoscere la piccola Alice. La cullo dolcemente fra le braccia. Si è addormentata.
Grace si siede di fianco a me sul letto.
“è bellissima!” dico.
“è vero!” sorride lei accarezzandomi la testa.
“Vuoi che la metta nella culla?” mi chiede.
“No, voglio stare ancora un po’ qui con lei!” dico sorridendo. Sono talmente commossa che mi si annebbia la vista.
Mentre la guardo rifletto. Il peso che avevo cercato di allontanare compare: è ora di affrontarlo.
“Vorrei che fosse qui” dico in un sussurro, talmente piano che per un momento credo di aver solo immaginato di averlo detto.
Grace ha capito ovviamente.
“Lo so” dice semplicemente.
“Vorrei che la vedesse. Vorrei che fosse fiero di lei e di me”
“Perché non..glielo dici?” mi chiede nervosa, spaventata forse dalla mia reazione.
Ma io reagisco tranquillamente.
Scuota la testa “Lo sai come la penso, non sarebbe giusto. E poi non so come rintracciarlo” rispondo, rimanendo sul vago.
Lei alza le sopracciglia “Scommetto che sappia ancora usare il suo cellulare” commenta sarcastica.
Sorrido. Il mio umore è alle stelle, troppo in alto per rovinarlo anche con ricordi così dolorosi.
“Un giorno forse..” sussurro.
Continuo a guardare la mia piccola sognando una vita ancora più felice, assieme a suo padre.
 
 
Insonnia
 
 
Sono quasi tre notti che faccio la veglia.
Alice ha le coliche e quindi piange tutta la notte.
Questa sera Grace e Wayne si sono offerti per stare a casa con me.
Mentre io dormo, se ne occupa Grace, alternandosi a Rigsby.
Dopo qualche ora mi rialzo anche io perché, oltre a sentirmi in colpa per loro, ho un bisogno frenetico di vedere come sta mia figlia, e così ce ne restiamo tutti e quattro in piedi.
Alice fra le mie braccia, alternando sonno e pianto.
Wayne e Grace che mi tengono compagnia, e prendono Alice quando rischio troppo di addormentarmi.
Ormai trascorrono più tempo qui che a casa loro, tanto che hanno una copia delle chiavi, per ogni evenienza.
 
Oggi Alice sta molto meglio.
La metto nella sua culla, che provvisoriamente sta in camera mia proprio attaccata al letto, e mi metto a dormire vicino a lei.
Mi risveglio solo per il consueto spuntino notturno, ma per il resto dormo divinamente.
 
Buon compleanno a me!
 
Oggi è il mio compleanno, e Alice invece ha compiuto da qualche giorno 8 mesi.
Aveva ragione il dottore: ha gli occhi verdi.
Ha i capelli biondi, ovviamente.
Lisci, però, come i miei.
Comincia già a capire e riconoscere cose e nomi, e ha provato a dire “mamma”!
La faccio gattonare spesso, e la sera mi siedo per terra vicino al divano e provo a farla camminare, spostando un po’ più lontano il tavolino.
 
In occasione della mia festa Grace ha organizzato una sorta di party a casa sua.
Ci sono tutti: Cho, Rigsby, Grace, Hightower, con i suoi due figli e persino Minelli!
Manca solo una persona, ma fingo che la cosa non mi interessi.
Tutti ovviamente seguono silenziosamente la mia stessa linea di pensiero.
Alla cena ha pensato Grace.
Mentre siamo a tavola a mangiare Alice mugugna qualcosa.
“Sta provando a dire “mamma” ?” chiede Rigsby stupito.
Sorrido “ci sta provando da diversi giorni” le prendo la manina dal seggiolone affianco a me “ieri abbiamo anche camminato, vero Alice!”
“Ha camminato?” chiede Hightower curiosa e piacevolmente sorpresa.
“Si, ha fatto fino al tavolino mano nella mano con Grace, poi lei l’ha lasciata e ha camminato da sola fino al divano dove la aspettavo io!” spiego soddisfatta della mia bambina.
“è stata bravissima, l’ha fatto per tre volte ma poi si è stancata!” spiega Grace ridendo.
La guarda anche lei dolcemente: praticamente è la sua seconda madre.
O meglio, una secondo figura che al momento non ha..
Continuiamo la serata ridendo e giocando tutti con Alice e con i figli del capo, che sono adorabili.
Grace e Wayne mi hanno regalato un week-end a Los Angeles da passare con Grace, non appena avrò tempo e spazio.
Cho , in associazione con Hightower e Minelli, mi ha regalato una splendida collana d’oro bianco con il ciondolo che forma un ghirigoro fra la lettera “t” e “a” le nostre iniziali, con due piccoli brillanti sulle punte.
Ringrazio tutti con le lacrime agli occhi.
Forse la mia vita non va poi così tanto male come pensavo poco più di un anno fa.
 
Buon compleanno piccola Alice!
 
Finalmente oggi Alice compie un anno.
La festa si svolge a casa mia, in giardino vista la perfetta giornata di sole.
Ci sono le stesse persone del mio compleanno, oltre a due dei miei fratelli e le loro famiglie.
Alice ha capito perfettamente che questa festa è per lei vista la quantità di regali che ha ricevuto!
Sta spesso insieme a me o a Grace, o con i miei fratelli.
Tutti le girano intorno e la vogliono tenere e questo la fa esaltare.
Ora dice “mamma” correttamente, e comincia persino a dire qualcosa di simile a Grace.
Inoltre sta provando a dire altre semplici ed utili parole come pappa, acqua e tv.
Si le piacciono molto i cartoni! Ecco perché ha imparato a dire tv!
Dal prossimo mese tornerò al lavoro, nel frattempo è stato Cho il capo della squadra e Rigsby il suo secondo.
Quindi al compleanno c’è anche Anna, la futura baby-sitter di Alice: si sono già innamorate l’una dell’altra, quindi tiro un sospiro di sollievo.
Sarà durissima separarmi dalla mia piccola.
Inoltre la mattina Alice la passerà al nido, da settembre. Quando gliel’ho spiegato ha riso contenta battendo le mani: certo, davanti alle parole giochi, colori e altri bambini non poteva fare altrimenti!
Sto chiacchierando con Grace e Anna, mentre guardo Alice giocare con Rigsby: un giorno mi toccherà spiegarle la situazione.
Ho paura di quel momento, ma so che arriverà.
Mi chiederà perché tutte le altre bambine hanno un papà e lei invece no.
Mi chiederà dov’è e perché non è con noi.
E io dovrò inventarmi una scusa plausibile.
 
Quando finisce il compleanno riamiamo in casa io, Alice e Wayne e Grace.
Mentre Rigsby gioca con Alice in salotto, io e Grace andiamo a farci un caffè in cucina.
Ora che ho smesso di allattare posso finalmente riprendere a berlo!
Fisso la tazza riperdendomi nei pensieri del pomeriggio.
“Che hai?” mi richiama Grace.
Ormai capisce quando qualcosa non va.
“Cosa le racconterò?” alzo lo sguardo un po’ triste.
Grace mi guarda perplessa.
“Da settembre andrà al nido, tutti i bambini parleranno o disegneranno mamma e papà, lei si chiederà perché ha solo una madre e due zii fuori di testa” spiego con un sorriso triste.
Grace abbassa la testa capendo il peso della mia domanda.
“è una bambina troppo intelligente, sai che lo farà” le dico.
Grace annuisce “si è vero”
Scuoto la testa appoggiandola alla mano.
“Potresti raccontarle la verità” azzarda Grace incerta ancora prima di proporlo.
Alzo lo sguardo sorridendo sarcastica “Certo le racconterò che un bastardo assassino a cui davamo la caccia da una vita finalmente è stato catturato e condannato a morte, che suo padre confuso e addolorato se n’è andato perché aveva bisogno di tempo, lasciandomi qui con poche spiegazioni e distruggendo ogni contatto fra noi,  che solo pochi giorni dopo ho scoperto di essere incinta e che lui nemmeno sa di avere una figlia”
Qualche lacrima sfugge ai miei occhi, rompendo il tono sarcastico e trasformandolo in disperato
“Non posso dirle la verità o mi odierà fino al college!”
Grace sorride all’ultima battuta “avrei qualcosa da ridire, ma ti risparmio la paternale!”
Scuoto la testa “Lo so, secondo te avrei dovuto dirglielo”
Lei annuisce, ma sa meglio di me che infondo il mio ragionamento non è poi così errato.
Se voleva tornare a casa dalla donna che amava a quest’ora era già sotto la porta.
“Allora dille solo una parte della verità” mi risponde.
“Cioè?” chiedo dubbiosa.
“Dille che tu e suo padre avete avuto dei problemi, che papà è partito per andare lontano prima di sapere di avere una figlia, altrimenti sarebbe rimasto, e non provare a contraddirmi perché sai che è così!” mi punta il dito contro prima che possa aprire bocca.
“Lo sai Teresa, lo conosci bene, non ti avrebbe mai fatto una cosa del genere se l’avesse saputo!” esclama.
“Mi ha abbandonata lo stesso” dico piano mentre sento i blocchi di ghiaccio del cuore creparsi ancora di più.
“Mi ha abbandonata comunque, dicendo di amarmi. Non è tanto diverso” aggiungo con la voce rotta dall’improvvisa fitta di dolore.
Grace si alza e viene ad abbracciarmi
“Scusa piccola mi dispiace” si scusa stringendomi.
Le accarezzo la testa “Non è colpa tua, è soltanto colpa mia e della mia stupidità” la tranquillizzo.
Lei si stacca guardandomi “Non dire così..”
“No, invece è proprio questo il problema Grace” dico con un sorriso triste e una lacrima fra le ciglia “perché io sono solo un’illusa. Non passa giorno in cui non speri di vederlo arrivare, di vederlo tornare per restare. E mi sto solo illudendo, perché lui non tornerà”
Lei mi accarezza la guancia “Ma ha detto che l’avrebbe fatto”
Sorrido ironica “Ah be allora mi è di conforto”.
Sorride della mia battuta.
Ci ricomponiamo prima che Alice venga da noi e ci veda così, soprattutto a me.
Vorrei crederti Grace, vorrei davvero crederti..
 
 
Momenti difficili
 
Alice va al nido da circa tre mesi.
Si trova molto bene e questo mi rende felice.
Il lavoro per me è come prima, e sono contenta di essere tornata, anche se sento spesso la mancanza della mia bambina.
E anche di un’altra persona, ma cerco di non pensarci.
Ma questa sera, improvvisamente, per me, arriva il giorno del giudizio.
Sto mettendo a letto Alice, che ora ha un anno e mezzo, ed è più intelligente di prima.
Sto per raccontarle la solita favola della ninna nanna, ma lei mi ferma.
“Mamma” mi chiama con la sua voce delicata e squillante allo stesso tempo.
“Dimmi tesoro” le dico sedendomi sulla nostra poltroncina delle favole con lei in braccio.
“Io ho un papà?” mi chiede con un piccolo sorriso, così simile al suo.
Una scossa mi ferma il cuore. Sento il dolore riaffiorare, ma devo rimanere salda per poterle parlare.
Non posso cedere.
Le sorrido
“Certo che ce l’hai” le rispondo.
“E alloa dov’è?” mi chiede un po’ triste.
“Aspetta qui!” la faccio sedere al mio posto e vado nella mia stanza.
Io e Grace c’eravamo preparate per questo momento.
Spulciando fra scatoloni di vecchie foto sia a casa sua che a casa mia, avevamo trovato quello che cercavamo: una foto mia e di Jane, scattata al CBI dopo che avevamo chiuso un caso qualche anno prima. Era stata la serata delle foto ricordo, ne avevamo ritrovate parecchie, e lui aveva insistito per farsi fare una foto con me. Mesi dopo, il giorno del mio compleanno, il suo regalo aveva come biglietto di auguri la nostra foto.  A quel tempo eravamo solo amici, ma è l’unica foto che ho con lui.
La prendo in mano e la osservo:  siamo noi due mentre sorridiamo all’obbiettivo. I suoi occhi azzurri brillano come se fossero vivi e non immortalati, il suo sorriso così simile a quello che vedo ogni giorno sul volto di Alice.
 L’ho guardata spesso ultimamente.
Torno di là da mia figlia, la prendo in braccio e mi siedo come prima.
Tengo la foto stretta al petto, esitando.
Poi prendo coraggio e gliela porgo.
Lei la prende, tenendola fra le sue piccole manine e la guarda.
Dopo qualche secondo traccia il contorno del suo viso con il ditino.
“è papà?”chiede.
“Si” rispondo con voce tremante.
Non so cosa mi stia commovendo di più, se i ricordi o la vista di mia figlia che osserva per la prima volta il volto di suo padre.
Una lacrima le scivola sulla guancia, nello stesso tempo in cui una scivola lungo la mia.
“pecchè non è con noi?” chiede mentre il labbro le trema leggermente.
Mi guarda negli occhi.
Sospiro asciugando la lacrima dai suoi occhi
“Vedi amore, papà è andato via prima che tu nascessi. Io e lui” esito cercando di controllarmi “be avevamo qualche problema. È dovuto partire”
Lei continua a guardarmi “tornerà, velo?” mi chiede speranzosa.
Le sorrido “Io lo spero sempre. Ascoltami tesoro” le dico prendendole la manina “papà non sa di te, ma se lo sapesse tornerebbe subito, e ti vorrebbe sicuramente bene. Sei sua figlia e comunque vadano le cose lui ti amerà sempre!” esclamo convinta.
Questo è vero, e Grace ha pienamente ragione.
Lei mi guarda ancora un po’ triste “e a te vuole bene?” mi chiede.
Esito mentre altre lacrime scivolano giù “Non lo so” rispondo sincera.
Lei mi abbraccia gettando le sue piccole braccia attorno al mio collo e strofinando la guancia sul mio petto
“Ti voglio bene mamma” mi dice.
Singhiozzo stringendola a me “ti voglio bene anche io tesoro”
Restiamo qualche minuto così, poi la metto nel suo lettino.
“Ora dormi” le accarezzo la testa.
“Tienila tu la foto, portala sempre con te ogni volta che vuoi” le sorrido appoggiando la foto sul comodino.
“Notte mamma” mi dice lei chiudendo gli occhi.
“Notte piccola” esco spegnendo la luce.
Senza esitare vado disotto e mi lascio cadere sul divano.
Resisto nemmeno cinque minuti e scoppio a piangere, reprimendo i singhiozzi nel cuscino per non svegliare Alice.
Sento il muro tanto bene costruito crollarmi addosso e riaprire la voragine che pensavo di aver chiuso.
Il cuore mi fa male, e non riesco a sentire altro che dolore.
Sento la mente sprofondare in un buco nero e scuro, dove mi sento sola e persa.
Mi addormento sul divano mentre sto ancora piangendo.
 
 
Alice e Grace
 
Sono al parco con la piccola Alice.
Teresa lavora oggi, mentre io avevo il pomeriggio libero, così mi sono offerta si stare con lei e di lasciare la giornata libera alla baby-sitter.
Dopo il nido l’ho portata al parco.
Stiamo prendendo il sole stese su una grossa coperta che abbiamo steso sull’erba.
“sia Gace?” mi chiama Alice.
Ancora non sa dire il nome, tanto meno quello di Wayne!
“Dimmi piccola!” apro gli occhi e mi metto a sedere insieme a lei.
Mi guarda prima sicura, poi più titubante.
“Vuoi chiedermi qualcosa?” provo ad incoraggiarla con un sorriso.
Lei annuisce arrossendo.
“Puoi chiedermi tutto quello che vuoi piccola!” abbasso il volto fino ad averlo all’altezza del tuo.
“Tu sei una bava poliziotta, vero?” chiede lei già sicura della risposta.
“Certo che lo sono, sono molto brava!” le sorrido.
Chissà cosa vuole chiedermi!
“Alloa, vitto che sei bava, puoi trovae il mio papà e riportarlo da noi?” mi chiede con gli occhi tristi.
Una fitta mi prende il cuore. Povera piccola..
Non so nemmeno cosa risponderle. So che qualche giorno fa ha parlato con Teresa.
Non molla più quella foto da quel giorno.
Quando è venuta al CBI con la baby-sitter aspettando sua madre, ce l’aveva in mano. Ricordo le facce di tutti quando l’hanno vista: maschere di ghiaccio e di dolore.
Sospiro provando a rispondere “Tesoro non so se posso farlo” ammetto sincera.
“La mamma piange sempe,non voglio più vedela piangele!” esclama mentre una lacrima le scivola sulla guancia rosea.
Mi si spezza il cuore vedendola così.
La abbraccio poi la guardo negli occhi.
“Ascolta Alice!” le dico “la mamma è forte, non devi preoccuparti per lei! Lo so che piange tanto, ma devi essere forte anche tu! Papà un giorno tornerà, ne sono sicura, e allora le cose si sistemeranno. Ma fino ad allora devi essere forte come la tua mamma!” le sorrido.
Lei annuisce
“Me lo prometti?” le chiedo
“Si” mi risponde sorridendomi.
La stringo forte in una abbraccio.
Odio doverle mentire, ma resto convinta che lui tornerà.
Deve farlo! Altrimenti un giorno lo andrò a cercare io e lo riporterò qui, a costo di girare mezzo mondo per trovarlo!
 
 
 
Spiacevoli incontri
 
Sono al supermercato con Alice, alla vigilia del suo terzo compleanno.
Stasera vengono a cena Grace, Rigsby e Cho, per festeggiare e la cena la prepariamo io ed Alice.
Lei adora cucinare.
Sono davanti allo scaffale del caffè per prenderne una bella scorta per stasera, mentre Alice sta andando  dalla parte opposta, lontana da me, ma a portata di vista, per prendere i nostri biscotti al cioccolato preferiti.
“Teresa Lisbon!” sento un’esclamazione alle mi spalle.
Mi volto sorpresa e davanti mi ritrovo Walter Mashburn.
“Mashburn!” esclamo senza troppo entusiasmo, costringendomi ad accettare il bacio sulla guancia che vuole darmi.
“è incredibile, ne è passato di tempo!” esclama “come stai?”
Esito leggermente “Bene, tu?”
“Bene grazie. È bello rivederti!” mi sorride radioso.
Gli sorrido poco sincera.
“Avremo così tante cose da dirci, perché non usciamo?” mi propone con la sua tipica spavalderia.
Sorrido esasperata dai suoi modi tipici “Non penso sia una buona idea!” commento.
Si finge esterrefatto “Perché?” chiede.
“Perché, fidati, non è una buona idea! E poi non mi va di uscire!” rispondo sincera.
“Ma come! Non mi dire che sei troppo impegnata!” mi sorride ammiccante.
 “Si effettivamente si!” esclamo sorridendo.
Sta per parlare, ma viene interrotto dalla cristallina voce di mia figlia
“Mamma,mamma i nostri preferiti non ci sono!”
Resto a guardare l’espressione sbalordita di Mashburn, e poi mi volto sorridendo verso mia figlia, piegandomi sulle ginocchia per arrivare al suo livello.
“Allora scegline degli altri!” le sorrido e lei riparte a razzo verso i biscotti.
“Non correre!” le urlo dietro, ma sorrido.
È cresciuta tanto, i capelli le arrivano a metà schiena, formando un’ onda liscia e bionda ogni volta che si muove. Dice sempre che li adora perché sono morbidi come i miei e lunghi come quelli della zia Grace.
E dello stesso colore di quelli di papà..
Mi volto nuovamente verso Mashburn, che guarda ancora in direzione di mia figlia sbalordito.
“Hai una figlia?” mi chiede sorpreso tornando a guardarmi.
“Già!” rispondo fiera di lei.
“Una bambina con i capelli biondi e il sorriso facile!” commenta lui guardandomi.
Una piccola fitta fa traballare il mio sorriso.
“Perché ho l’impressione che mi ricordi qualcuno?” chiede retoricamente con un sorriso.
“è abbastanza evidente!” confermo io cercando di imitare il sorriso di prima.
“Sono due gocce d’acqua!” afferma lui “Congratulazioni allora!” mi porge la mano e io la stringo sorridendo.
“Grazie!”
“Salutami il fortunato consulente!” mi sorride e si dilegua prima che riesca a rispondere.
Ha più probabilità di salutarlo lui di persona..
“Eccomi mamma” si annuncia Alice, arrivando con i biscotti.
“Brava, adesso andiamo che abbiamo tante cose da fare!”
Ci avviamo verso la cassa sorridendoci.
 
 
 
DICE L’AUTRICE:
Care donzelle, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ho voluto fare un remix di questi 4 anni, piccoli momenti presi lungo il tempo per spiegare cosa è successo a Teresa e Alice.
Detto ciò: al prossimo capitolo!
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito e che continuano a seguirmi: grazie di cuore, siete voi la mia unica ispirazione!
Un bacione:)
Giada

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Capitolo 3
*** capitolo 2- tears and smiles of an innocent little girl ***


 
CAPITOLO 2- TEARS AND SMILES OF AN INNOCENT LITTLE GIRL
 
 
Teresa ed Alice
 
Finalmente sono riuscita a prendere una domenica libera da passare con Alice.
Mi alzo dal letto alle 9:30 invece che alle 6:30!
Mi preparo e scendo a fare la colazione.
Alice adora i pancake ma senza sciroppo d’acero, come me. Le faccio sempre  il latte con il cioccolato e la spremuta d’arancia, per colazione.
Apparecchio per la colazione e salgo a svegliarla.
Entro in camera sua aprendo le tende e le finestre per far entrare la luce del sole.
Alice si rigira nel lettino stropicciandosi gli occhi
“Sveglia dormigliona!” mi appoggio sul suo lettino e le faccio il solletico.
Le scoppia a ridere svegliandosi e cercando di sfuggire alla tortura mattutina.
“Sono sveglia!” urla ridendo.
“Davvero?” fingo stupore “non me ne ero accorta! In tal caso” la afferro e me la carico sulle spalle “via, è pronta la colazione!”
Mentre scendiamo ridendo Alice annusa l’aria
“Hai fatto pancake!” esclama gioiosa.
Ci vuole poco per rendere felice mia figlia: pancake, gite al parco, cartoni animati preferiti, lasagne, pizza e giocare a carte con zio Rigsby. È facile!
Ci sediamo al tavolo e cominciamo a mangiare.
Alice fa fuori in men che non si dica quattro pancake, una tazza enorme di latte caldo al cioccolato, e un bicchierone di succo d’arancia.
Fortuna che corre dalla mattina alla sera altrimenti peserebbe almeno 10 kg in più!
Invece, al contrario delle aspettative di quando la vedi  a tavola, Alice è piccola di statura, ma più alta di me alla sua età, forse non  ha preso completamente da me, e magra al punto giusto, ma non ossuta.
Non per farmi le lodi, ma è una bellissima bambina! Lo diranno tutte le madri delle proprie figlie, ma ovunque vada le persone si perdono a guardarla, e molti mi fanno i complimenti.
Una volta persino un sospettato mi ha fatto i complimenti quando ha saputo che la bambina seduta nel bullpen era mia figlia.
Tanto poi era innocente quel tipo!
Tutti mi dicono che siamo due gocce d’acqua. Il che in parte è vero.
Ma chi conosce anche il padre sa che buona parte del viso di Alice è la sua copia perfetta, occhi esclusi.
Ora che è cresciuta di più i suoi occhi sono ancora verdi, ma con delle sottilissime scaglie azzurre a renderli più lucenti. Secondo il dottore sono rarissimi questi tipi di colorazione.
Sorrido soddisfatta alla mia bambina.
Non sarà completamente merito mio, ma ho fatto un buon lavoro.
“Mamma cosa facciamo oggi?” chiede curiosa.
Le sorrido “Oggi abbiamo tante cose da fare: prima di tutto dobbiamo aiutare lo zio Wayne per la festa a sorpresa di stasera per la zia Grace!”
Oggi è il compleanno di Grace e le organizziamo una festa a sorpresa, idea di Rigsby.
“E poi?” chiede tutta contenta Alice.
“Poi prendiamo dei panini e andiamo a mangiarceli al parco, stese al sole!” le sorrido, so che adora farlo.
“Siiii!” si mette a balzare sulla sedia, poi riprende a bere il suo succo ancora sorridendo.
“E poi torniamo a casa, ci facciamo belle e andiamo alla festa della zia Grace!” concludo accarezzandole la mano.
“Forza peste, andiamo  a prepararci!”
Mi alzo in piedi prendendola in braccio.
“Mamma sono grande, lasciami camminare!”
Rido della sua espressione “Ai suoi ordini!” la lascio per terra e lei vola su per le scale.
Le prendo i vestiti dall’armadio dove ancora non riesce ad arrivare e la vesto.
Poi mentre lei aspetta disotto, io vado a prepararmi.
Indosso un paio di comodi jeans, una canottiera semplice bianca e delle vecchie scarpe da tennis bianche.
Vestiti comodi per una giornata oltre programma!
Afferro borsa, chiavi e occhiali da sole e scendo.
Raggiungo la mia bambina che è vestita identica a me, solo in vestiti decisamente più piccoli, e indossa gli occhiali da sole minuscoli che le ha regalato Grace.
“Forza si parte!”
Saliamo in macchina, Alice dietro nel suo apposito seggiolino. Mi sento più sicura se se ne sta buona in macchina.
Partiamo e andiamo a casa di Wayne e Grace.
Lei lavorerà tutto il giorno così io e lui potremo dedicarci agli addobbi e alla prima parte della cena, che finiremo verso sera.
Il piano è questo: Cho, dopo il lavoro, la costringe a prendere un aperitivo per festeggiare il compleanno, assieme all’Hightower. Intanto io e Rigsby prepariamo la cena.
Così quando loro arrivano è tutto pronto. Buon compleanno Grace!
Suono al campanello e Rigsby mi apre subito.
“Ben arrivate!” ci saluta radioso facendoci entrare.
“Zio Wayne!” grida Alice correndo fra le sue braccia.
“Ciao piccola peste!” sorride lui facendola girare in aria.
Alice con lui si diverte molto. Secondo Grace vede in lui una pseudo figura paterna.
In tal caso sono contenta per Alice, visto che la sua figura paterna non è presente.
O probabilmente solo perché il livello di comportamento sociale di Wayne spesso sfiora quello di Alice!
“Ciao Rigsby!” lo saluto.
“Ciao!” mi sorride lui mettendo giù Alice “pronta?” mi chiede facendomi l’occhiolino.
“Ho portato gli addobbi!” rispondo sorridendo e alzando l’enorme sacchetto che ho in mano.
 
Addobbiamo tutta la casa: enormi festoni appesi alle pareti e al lampadario. Ricopriamo ogni tavolino e mobile con delle stelle in fogli argentati luccicanti.
Sistemiamo il tavolo più piccolo al centro del salotto per l’aperitivo e i dolci e Alice lo apparecchia con un bel centrotavola, piatti, bicchieri e fazzoletti rossi e argentati. I colori preferiti di Grace.
Io e Wayne allunghiamo la tavola principale e la apparecchiamo per la sera.
Prepariamo gli antipasti freddi, che dovranno riposare in frigo, e la pasta per il dolce che deve riposare un’ora.
“Cosa le hai regalato?” gli chiedo mentre cuciniamo.
Alice è in salotto che guarda la tv.
Lui mi fissa imbarazzato “sei l’unica a cui lo dico, per ora, quindi acqua in bocca!” mi sorride rosso come un peperone.
“Muta come un pesce!” rispondo sorridendo.
“Le chiederò di sposarmi!” annuncia rosso e fiero di se stesso.
Sorrido emozionata e lo abbraccio.
“è una cosa meravigliosa!”
“Grazie Teresa!” ci sciogliamo dall’abbraccio.
“Ho la tua benedizione vero?” mi chiede un po’ incerto.
“E me lo  chiedi?” lo colpisco al braccio.
“Sai, visto che Hightower ha approvato la relazione ho pensato di renderlo ufficiale. La amo e non ha senso aspettare!” esclama emozionato.
Lo guardo sorridendo “è un’ottima decisione!”
“Pensi che dirà di si?” mi chiede un po’ insicuro.
“Dubito riesca a dirti di no!” gli sorrido riprendendo a cucinare.
Abbasso lo sguardo sulle verdure che sto tagliando, pensando inevitabilmente a lui.
Cosa sarebbe successo se non fosse partito?
Sospiro senza accorgermene.
Wayne si gira a guardarmi
“Tu come stai?”  mi chiede sinceramente interessato.
Lo guardo negli occhi tranquilla.
“Bene” rispondo sincera, ma non del tutto.
“Sicura?” mi chiede alzando un sopracciglio con un sorriso.
Sorrido anche io
“Le cose vanno meglio. Sai Alice è la mia ragione di vita, a parte voi, e questo basta a farmi vivere. La amo davvero, è la cosa più bella che mi sia mai capitata!”
Wayne sorride “si, questo è vero!”
Abbasso lo sguardo sulle verdure e poi lo rialzo verso di lui
“Sai, non passa giorno in cui non mi fermi a guardarla, ad osservarla. Gli assomiglia così tanto che a volte devo concentrarmi per non trovarmi davanti il suo volto invece di quello di Alice” ammetto sincera “questo mi fa male, fa davvero male, ma lo sopporto. Vorrei solo rendere più felice mia figlia”
“E te stessa!” conclude Wayne.
Mi volto a guardarlo perplessa.
“Ti meriteresti anche tu la sua presenza, non solo lei. Hai bisogno di lui” afferma senza mollare lo sguardo dai miei occhi.
Scuoto la testa sorridendo “Sono passati quasi quattro anni..e lui ancora non è tornato. Il problema non sussiste!” affermo convinta, riprendendo a tagliare le verdure.
“Come vuoi!” risponde lui con un mezzo sorriso.
Dopo poco Alice ci raggiunge.
Finiamo di cucinare, ritocchiamo gli ultimi addobbi e salutiamo lo zio Rigsby.
 
Siamo arrivate al parco con le nostre coperte e i nostri panini.
Ci stendiamo al sole in un punto isolato  e cominciamo a mangiare.
Alice mi fa ridere mostrandomi dei buffi balletti che hanno fatto all’asilo, e cerca di insegnarmeli.
“No mamma!” mi rimprovera ridendo per l’ennesima volta.
“Non devi muoverle così le mani, ma così!” mi dice prendendomi le mani con le sue minuscole e muovendole al posto mio.
Rido con lei “Non avevo capito!” mi giustifico.
“Mamma ti ricordi che sabato prossimo c’è la festa dell’asilo vero?” mi chiede squadrandomi e strizzando gli occhi.
Quando fa così gli assomiglia ancora di più. Ha preso quasi tutti i suoi modi di fare, come se fosse stato sempre qui ad insegnarglieli.
“Certo che mi ricordo tesoro. E mi ricordo anche che devo fare la torta alla crema!” le sorrido fingendomi fiera della mia ottima memoria.
Certe volte, quando parlo con Alice, mi sembra di parlare con una bambina molto più grande della sua età.
“Brava mamma!” mi prende in giro dandomi un buffetto sul naso.
Poi vedo il suo sorriso spegnersi, piega la testa verso il basso e fissa la coperta con gli occhietti spenti.
Riconosco quell’espressione.
“Cosa c’è Alice?” chiedo preoccupata.
“Niente” risponde piano lei alzando le piccole spalle.
Sorrido dolcemente “Lo sai che la tua mamma è addestrata a scovare i bugiardi, è il mio lavoro, quindi non provare a fregarmi!”
Lei sorride e alza la testa, poi ritorna triste, ma continua a guardarmi.
“Vorrei tanto che venisse anche papà” dice piano.
Sospiro:  avevo perfettamente riconosciuto quell’espressione sul volto di mia figlia.
Era la stessa che aveva ogni volta che pensava a lui. In questo ci somigliamo molto.
“Lo vorrei anche io” dico sincera.
“Anche la mia amica Rosalie non ha qui il suo papà” mi racconta.
“E come mai?” chiedo esitando.
“Lavora molto lontano, a New York, ma loro non possono partire perché la nonna di Rosalie sta tanto male” mi risponde.
“Queste cose possono succedere Alice. Lo capirai quando sarai più grande” le dico, con il cuore spezzato dal suo dolore.
“Si ma il papà di Rosalie verrà lo stesso alla festa!” esclama mentre una lacrima le bagna la guancia.
Il mio cuore lotta contro una nuova fitta. Non posso vedere mia figlia soffrire.
La abbraccio forte, e quando so che non mi può vedere lascio andare le lacrime.
E se avesse ragione Grace?
E se per il bene di mia figlia lo dovessi chiamare e raccontargli tutto?
Infondo cosa mi impedisce di farlo? Il troppo dolore che potrei subire?
Non vale niente rispetto alla felicità di mia figlia.
“io non gli vorrò mai bene” dice mia figlia contro il mio petto.
La allontano guardandola negli occhi
“No, Alice non dire così..” la supplico asciugandole gli occhi.
“Lui non ci vuole bene, perché noi invece dovremmo?” chiede piangendo.
È più intelligente di quanto pensassi.
“Papà non sa di te” le ripeto cercando di distoglierla dal suo ragionamento.
“ma di te si! Tu sei la mia mamma, tu c’eri anche prima!” le trema la voce per il pianto.
Il ghiaccio nel mio cuore si sgretola ancora sotto il peso del dolore. Come può una bambina di tre anni e poco più capire cosa mi è successo?
“Lo so, ma tu devi volergli bene comunque” dico convinta.
“Perché?” mi chiede asciugandosi gli occhi.
“Te lo spiegherò quando sarai più grande. O forse sarà lui a farlo” le dico accarezzandole i capelli.
È una storia troppo dolorosa da raccontare ad una bambina di appena tre anni e mezzo.
Anche se, ci scommetto tutto, lei la capirebbe benissimo.
Alice mi guarda intensamente poi mi fa una domanda
“Com’è?” mi chiede con un piccolo sorriso.
Le sorrido di rimando.
“Gli assomigli molto” rispondo, leggermente commossa.
“Anche lui sa giocare a carte?” chiede improvvisamente entusiasta.
Rido, reclinando la testa all’indietro
“Certo che lo sa fare. E anche lui capisce bene le persone come te” rispondo.
Alice sbatte le mani gioiosa “Anche lui capisce quando qualcuno dice le bugie?” chiede allegra.
“Lo capisce eccome!” le sorrido.
“Vedi Alice” abbasso lo sguardo cercando le parole giuste poi torno a guardarla.
Lei ascolta seria senza staccare gli occhi dai miei
“tuo padre non è una cattiva persona. Ha sofferto molto nella sua vita e questo, purtroppo, l’ha cambiato. La scelta che ha fatto, quella di andarsene, forse per noi sarà ingiusto, ma per lui significava qualcosa. Ha sempre avuto paura di farmi soffrire, e questa paura l’ha portato a farlo davvero, senza rendersene conto. Un giorno lo capirai meglio. Quello che voglio è che tu possa perdonarlo. Perché comunque vadano le cose, lui è tuo padre, e ti proteggerà sempre”
“Tu lo perdoni mamma?” mi chiede incerta.
Sospiro abbassando lo sguardo.
Bella domanda.
“Se servirà ci proverò” rispondo sicura.
È la risposta migliore alla domanda che tanto mi turba.
Se lui tornasse cosa ne sarebbe di noi?
Lo cancellerei dalla mia vita?
Lo riprenderei con me?
 
 
Poche ore dopo siamo a casa a farci belle.
Porto Alice e il suo vestito in camera mia, così possiamo cambiarci insieme.
Lei mette il suo vestitino rosso preferito, con le ballerine argento.
Visto che sono i colori preferiti della zia ha voluto indossarli!
Io metto un vestito nero che mi ha regalato Grace, che scende morbido fino a sopra il ginocchio, ed è stretto fino alla vita.
Pettino i lunghi capelli di Alice, legandole due ciuffi dietro la testa, con un fermacapelli d’oro che le è stato regalato dai miei fratelli. Una fatina dorata che tiene in mano un luccicante smeraldo, simbolo dei suoi e dei miei occhi.
In generale gli occhi dei Lisbon!
Vestita così sembra una fatina: è bellissima!
“Mamma sei bellissima!” esclama quando finisco di acconciare i capelli in uno chignon abbastanza artistico.
“Sei più bella tu amore mio!” la prendo in braccio e le do un bacio sulla guancia.
“Siamo due Lisbon!” esclama lei alzando la mano per darmi il cinque.
La sbatto contro la sua sorridendole e ricambiando
“Siamo due Lisbon!”
Scendiamo e saliamo in auto, pronte per la magnifica festa della zia Grace.
 
 
Inutile dire che a Grace a momenti viene un infarto quando ritrova il suo salotto pieno di addobbi, occupato dagli ospiti e pieno di bicchieri di Champagne.
Ed inutile dire che ha accettato di sposare Wayne!
Gliel’ha chiesto a pranzo, davanti a un romanticissimo panorama in un parco!
La serata è davvero bellissima.
Grace è la stella del momento: tutti puntano l’occhio all’anello che splende al suo dito!
Alice ha saltellato per quasi venti minuti quando ha saputo che gli zii si sposavano.
Il cibo è ottimo, lo champagne è buonissimo e il chiacchiericcio continuo è rilassante ed energizzante allo stesso tempo.
Nonostante il permanente vuoto che sento ogni giorno, sono questi i momenti che mi fanno credere quante cose belle ho avuto dalla vita.
Lui non c’è, e forse non ci sarà mai, ma io ho una famiglia, una figlia meravigliosa, e tante persone che mi vogliono bene.
I pilastri delle mia vita sono saldi: ora sono certa che non crollerò mai!
 
Solo alle 2:30 la casa è completamente vuota!
Rimaniamo solo io, Grace, Alice, che si è addormentata fra le braccia della zia da più di due ore, e Wayne e Cho, che stanno pulendo, per far riposare noi donne.
Li sentiamo scartabellare in cucina, mentre noi ce ne stiamo comodamente sul divano.
“Oggi mi ha chiesto di lui” racconto a Grace.
Lei sgrana gli occhi sorpresa
“Sul serio?”
Annuisco sorridendo.
“Che cosa le hai detto?” chiede dolcemente.
“Che si assomigliano molto e che non deve giudicarlo. Lei mi ha detto che non gli vorrà mai bene, e io le ho risposto che invece non deve essere arrabbiata con lui, e che deve volergli bene, perché è suo padre” spiego.
Grace mi guarda stupefatta
“Da che pulpito viene la predica!” ironizza.
Sospiro con un sorriso, guardando mia figlia addormentata
“Per me è diverso”
“Non ci vedo tutta questa differenza!” commenta Grace.
“Grace è diverso!” le spiego “mi ha detto che mi amava, e il giorno dopo è sparito con pochissime spiegazioni e moltissime scuse. Mi ha abbandonata, senza mai cercarmi, ne farsi sentire, per dirmi dov’era o se stava bene. Alice può ancora perdonarlo. So che lo farà, perché quando, e se, Jane saprà di lei, farà di tutto per poterle stare accanto”
Grace sospira “ragion per cui dovresti dirglielo”.
Fisso il tavolino di fronte a me
“Non sono io a dovergli dare un valido motivo per tornare. Deve sentirlo dentro. Deve essere volontario” rispondo “inoltre voglio che sia Alice a chiedermelo. Quando lei mi chiederà di farlo tornare allora io lo farò!” aggiungo sicura.
“L’ha già chiesto a me!” puntualizza lei.
“Si, ma l’ha fatto perché non voleva vedermi soffrire. Oggi era arrabbiata con lui. Ha detto che non gli vorrà mai bene! Voglio che si convinca del contrario prima di incontrarlo”
“E tu puoi perdonarlo?” mi chiede interessata Grace, cambiando il filo della conversazione.
Esito prima di rispondere.
“Non lo so, Grace. È molto ciò che si deve far perdonare. Gli accredito il fattore Alice, ma solo perché non lo sapeva” rispondo, con una leggera fitta al cuore tipica dei momenti in cui ripenso a lui.
“Pensavo di poter iniziare una vita bellissima. Finalmente innamorata, finalmente libera dai miei e dai suoi incubi. E invece è sparito tutto prima ancora che potessi viverlo davvero” aggiungo triste.
Grace allunga una mano tenendo Alice con l’altro braccio, per stringere la mia.
“Le cose cambieranno Teresa! Ne sono sicura!” mi conforta decisa, con un sorriso dolce.
Le sorrido anche io
“Ci spero sempre” confesso sincera.
Restiamo ancora un po’ mano nella mano in silenzio. Poi io mi alzo e vado a casa salutando tutti.
Una volta a casa infilo il pigiama a Alice e la metto a letto, sciogliendole prima i capelli.
La accarezzo dolcemente e torno in camera mia.
Mi stendo sul letto esausta.
Prima che possa fermarlo un barlume di speranza ripara alcuni pezzi distrutti del mio cuore.
Il problema è che è solo una speranza, e se non accadrà, farà ancora più male..
 
 
Alice
 
Sono in macchina con lo zio Wayne.
La mamma ha una riunione importante “con quelli in alto” o qualcosa di simile.
Mi chiedo sempre perché si chiamino “in alto”.
Boh, non lo so, lo chiederò alla mamma.
La zia Grace aveva molto lavoro, così è venuto lo zio a prendermi all’asilo.
Sono seduta sul mio seggiolino, la mamma gli ha prestato la sua macchina, vicino al finestrino.
Siamo fermi a un semaforo vicino al parco. Mi perdo ad osservare i passanti e il loro volti.
A volte sono proprio buffi!
La mamma dice che io sono come papà, e capisco le persone, quindi forse un giorno diventerò brava anche con quelle che non conosco!
“Zio Wayne!” lo chiamo.
“Dimmi piccola!” risponde voltandosi con un sorriso.
“Secondo te un giorno sarò brava come papà a capire le persone?” chiedo sinceramente interessata.
Lui mi sorride “Certo, diventerai anche più brava! Soprattutto se è tua madre a crescerti!” esclama.
Mi giro sorridendo soddisfatta verso il finestrino.
Guardo di nuovo la folla nel parco, c’è davvero tanta gente!
Uffa, ma quanto ci mette questo semaforo!
Sbuffo e lo zio Wayne capisce
“Siamo quasi arrivati peste, sta tranquilla!”
Mentre guardo la gente penso a papà. È davvero bello, quasi quanto la mamma. Anzi no sono belli uguali.
Zio Cho dice che è molto simpatico! E che è anche un rompiscatole, ma secondo me non è vero!
Sto pensando così tanto a lui che mi sembra quasi di vedere solo persone bionde nella folla.
In quel momento scatta il verde e lo zio Wayne parte.
Nello stesso istante un’ombra cattura il mio sguardo: una testa bionda e riccia come la sua.
No, è proprio lui!
“Zio Wayne!” urlo, facendogli prendere un infarto.
Scatto dritta, incollandomi al finestrino e guardando indietro.
Ritorno delusa al mio posto.
Non c’è più, era solo un’illusione.
“Alice che succede? Ti sei fatta male?” mi chiede agitato lo zio.
Scuoto la testa, mentre una piccola lacrima scende dai miei occhi. La asciugo prima che lo zio possa vederla.
“No, pensavo di aver visto..una cosa” rispondo delusa.
Lui mi squadra dal finestrino, dubbioso.
Gli sorrido per tranquillizzarlo e mi sorride anche lui.
Era troppo bello per essere vero!
 
 
Wayne
 
Siamo appena arrivati al CBI.
Si crea una specie di festicciola quando entra Alice: la adorano tutti!
Poi lei vola nell’ufficio con sua madre, e io rimango solo con Grace nel bullpen.
Appena Teresa chiude la porta, mi avvicino a Grace, deciso a fare quello che sto per fare.
Quando Alice ha urlato, il mio istinto mi ha fatto guardare subito nello specchietto retrovisore e in quello laterale: deformazione professionale.
In quell’istante i miei occhi avevano catturato un’immagine.
Non poteva essere vero..
Ero convinto di averlo solo immaginato, avevo ripreso fiato e avevo chiesto ad Alice cosa non andava. Una lacrima le aveva rigato il viso.
Prima urlava entusiasta, poi piangeva delusa. Aveva visto qualcosa, non me la dava a bere.
E se avessimo visto la stessa cosa?
Magari lei ha pensato a un’illusione, ma io voglio chiarire ogni dubbio.
Mi avvicino a Grace le spiego in un orecchio cosa ho visto.
“Sei sicuro?” mi chiede allibita.
“Deve averlo visto anche Alice, ma lei, quando si è girata non l’ha più ritrovato e avrà pensato di esserselo immaginato. Non ho le allucinazioni Grace! Manca a me, ma non così tanto da immaginarlo!” esclamo convinto.
Grace si volta verso il computer come una furia.
Per tutti questi anni ha segretamente seguito i suoi spostamenti e quelli della sua carta di credito, di nascosto da Teresa.
Io e Cho la aiutavamo, e ci tenevamo aggiornati.
Mentre il computer compie la ricerca ripenso a quell’immagine.
Quella testa bionda e riccia, quel viso così famigliare: no, non l’ho immaginato.
Jane è a Sacramento!
 
 
DICE L’AUTRICE:
Dico solo: odiatemi! Il finale è proprio sul mio stile ma ci provo troppo gusto!
Ringrazio tantissimo tutti quelli che mi stanno seguendo e tutti quelli che recensiscono: fa sempre piacere sentire il vostro parere!!
La parola passa a voi: commenti? : )
A prestissimo.
Bacione : ) Giada

 

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Capitolo 4
*** capitolo 3- beautiful ghost from the past ***


CAPITOLO 3- BEAUTIFUL GHOST FROM THE PAST
 
Grace
 
Sto seduta sul mio divano, immobile a riflettere.
Questo si è che è un grosso problema.
Sento Wayne sedersi vicino a me e prendermi la mano. Scuoto la testa silenziosamente, come per cacciare l’affollamento che sento dentro.
“Che cosa facciamo?” chiedo terrorizzata all’idea di prendere una decisione.
“Glielo diciamo a Teresa!” risponde Wayne, ma poco sicuro.
Scuoto nuovamente la testa “Ucciderebbe tutti e due, poi lo andrebbe a cercare e farebbe fuori anche lui!” rispondo sarcastica, ma non troppo. Quella donna avrebbe potuto reagire veramente male.
“Perché?” mi chiede lui.
“Perché le ho mentito! Le ho detto solo una volta che avevo seguito i suoi spostamenti, ma la verità è che l’ho sempre fatto, ogni singola volta che cambiava città! Mi ucciderebbe se lo sapesse!” rispondo.
“Allora cosa facciamo?” chiede lui riflettendo più con se stesso che con me.
“Dobbiamo fare in modo che non sia lui il primo a cercarla!” rispondo, trovando l’illuminazione.
Wayne mi guarda come se fossi matta.
“Ascolta!” esclama entusiasta della mia trovata “se Jane vedrà lei ed Alice insieme, gli verrà un infarto! Dobbiamo fare in modo di contattare Jane, senza spiegargli niente, così gli diremo quando andare da lei, sempre che sia questa la sua intenzione. Così noi, con una scusa, porteremo via Alice!”
Wayne mi guarda senza capire “perché dovremmo portare via Alice?”
Alzo gli occhi al cielo esasperata
“Wayne quando quei due si incontreranno probabilmente si scatenerà l’inferno, meglio tenere Alice fuori portata di proiettile!”
“Ahh, giusto!” esclama Wayne trionfante.
Poi torna perplesso “E come facciamo?”
Sospiro “Non lo so, dobbiamo inventarci qualcosa”
Wayne riflette poi mi sorride “Io ce l’ho un piano!”
Annuisco ascoltando la sua idea, e mi sembra fattibile.
Spero solo che funzioni..
 
 
Teresa
 
Sto preparando la cena quando squilla il telefono di casa.
“Pronto?” rispondo.
“Teresa sono Grace” risponde lei dall’altro capo.
“Ciao Grace, c’è qualche problema?” chiedo preoccupata. Non chiama mai a quest’ora.
Dimmi che non è un omicidio..
“No assolutamente, volevo solo chiederti una cosa!” risponde lei.
Sorrido sollevata: meno male!
“Certo, dimmi”
“Domani sera io e Wayne pensavamo di andare alla partita di baseball, doveva venire un suo amico, ma all’ultimo minuto si è ritirato, così abbiamo un biglietto in più. Sono le squadre preferite di Alice, ti va se la portiamo?” mi chiede entusiasta.
Alice adora il baseball.
“Si, certo, sarebbe fantastico! Alice farà i salti di gioia!” rispondo allegra.
“Magnifico! La partita finirà molto tardi, tu hai bisogno di dormire, Alice può dormire da noi, te la riporto la mattina!”
“Grace tranquilla, non voglio disturbarti..” ma lei mi interrompe
“Scherzi? È da così tanto che non resta qui da noi! Portala da noi per le 18!”
“Grazie Grace, veramente!” sorrido all’apparecchio.
“Figurati, è un piacere!”
Chiudo la conversazione felice e chiamo Alice
“Alice è pronto, scendi!” le urlo.
Sento i passi rapidi di mia figlia giù per le scale, e pochi secondi dopo me la ritrovo incollata alle gambe.
“Ho una bella notizia per te!” esclamo mentre ci mettiamo a tavola.
“Cosa?” chiede lei già entusiasta.
“Domani zia Grace e zio Wayne ti portano alla partita di baseball, poi resti a dormire da loro!” le rispondo con un bel sorriso.
Alice comincia a saltellare sulla sedia ridendo “Evviva!”
Rido guardandola così felice “Dai adesso smetti di saltellare e mangia!” esclamo.
Mangiamo chiacchierando: Alice mi racconta per filo e per segno la sua giornata, facendomi ridere con le sue idee buffe.
Guardiamo un po’ di tv insieme e poi andiamo a dormire. Abbiamo guardato uno dei suoi cartoni preferiti “Alla ricerca di Nemo”. C’è un motivo se è il suo cartone preferito.
Un padre che attraversa l’oceano per salvare il figlio. Mia figlia ha la straordinaria capacità di dare speranza a sé stessa e a me. Nonostante lui non ci sia da molto tempo, lei non ha mai perso quella speranza che la lega a lui.
Certe volte vorrei avere la sua innocenza e la sua forza. Sarebbe tutto più semplice.
Saliamo in camera mia per mettere il pigiama e filare sotto le coperte.
Una volta alla settimana dormiamo insieme: Alice la chiama “la serata della mamma”.
Quando ci infiliamo nel lettone Alice mi abbraccia dandomi un grosso bacio sulla guancia.
“Buona notte mamma” mi dice chiudendo gli occhi.
“Buona notte tesoro” le sorriso dolcemente.
Le notti passate con lei sono le migliori. Sentirla vicina mi fa dormire bene.
In casa nostra la situazione è ribaltata: sono io, la mamma, che ha bisogno di dormire con sua figlia, e non il contrario.
Ma questo, se non altro, mi rende felice.
 
 
Cho
 
Sono le 9 del mattino, e io sto camminando lungo la via principale.
Sospiro stancamente: spero solo che il piano di quei due vada a buon fine, altrimenti Lisbon ci fa fuori a tutti quanti!
Accelero attraversando la strada.
Ieri ho chiamato Jane, giurandogli di essere solo e ho fissato un appuntamento.
Mi fa piacere aiutare Lisbon, ma questa storia è complicata, e ho paura di fare la cosa sbagliata.
Il piano ufficiale? Devo dire a Jane che Lisbon è arrabbiata con lui, e che se vuole parlarle deve agire in fretta e di nascosto,  perché altrimenti lei lo allontanerebbe soltanto. Devo dargli la copia delle chiavi di casa sua, che ha Grace, e dirgli a che ora deve andare lì.
Teresa nel frattempo si allontanerà per accompagnare Alice da Grace.
Così Alice sarà lontana, e forse si eviterà il massacro.
Ho paura che quando saprà la verità, se Jane non riesce a farsi perdonare, potremo considerarci tutti licenziati o defunti!
Confido solo nel forte debito che Lisbon sente di avere con noi. In realtà nessuno ha mai preteso niente: l’abbiamo aiutata perché teniamo a lei.
Alice è una forza della natura, una bambina meravigliosa. Anche se, per via del lavoro, passo poco tempo con lei rispetto agli altri, sono molto affezionato. Ne sa una più del diavolo quella peste!
E dovrò sinceramente controllarmi per non tirare un pugno dritto nel naso a quell’idiota.
Da un lato spero che Lisbon non lo perdoni, perché gli servirebbe da lezione.
Sospiro allungando lo sguardo e mi blocco quando incontro il suo.
Non è cambiato di una virgola, sembra addirittura più giovane.
Alzo la mano a mo di saluto. Lui mi sorride avvicinandosi. Quando siamo vicini, inaspettatamente, Jane mi abbraccia. Cerco di ricambiare l’abbraccio e lasciar perdere il risentimento. Infondo mi è mancato davvero.
Quando ci stacchiamo ci guardiamo negli occhi.
“Che succede Cho?” mi chiede lui serio. Ha capito, come sempre , che qualcosa non va.
“Ti devo spiegare delle cose?” rispondo serio.
“Non vuoi che indovini?” sfodera il suo solito sorriso da bastardo.
“Taci prima che ti prenda a calci!” esclamo, ma mi sfugge un mezzo sorriso.
“Sappi comunque, che è bello rivederti” gli dico sinceramente.
Lui mi sorride. È un sorriso diverso da quello che ha sempre sfoderato da quando lavoriamo insieme. Ora non porta più il peso dell’angoscia e del dolore, e questo si nota molto in ogni lineamento del suo viso. Sembra quasi un’altra persona.
“Vieni!” gli faccio strada verso la panchina.
Ti aspetta proprio una bella giornata Jane!
 
 
Quando finisco le spiegazioni non riesco a trattenere una domanda.
“perché?” chiedo serio.
Sa benissimo a cosa mi riferisco, non ha bisogno di spiegazioni, a meno che le sue doti non siano scomparse.
Lui sorride tristemente “Bella domanda Cho”
Scuote la testa e rivedo uno spiraglio di quel Jane affranto dal dolore.
“Non l’ho mai capito, ma ho capito di aver sbagliato. So dirti perché sono tornato, ma non perché me ne sono andato”
“L’hai fatta soffrire” puntualizzo, lasciando perdere le buone maniere: deve starci male anche lui, deve sapere quanto è costata la sua partenza alle persone che gli erano vicine, soprattutto a Lisbon.
“Lo so, e credimi sono pronto a qualunque cosa pur di farmi perdonare! Ti sembrerà strano, e forse non mi crederai, ma la amo” mi guarda dritto negli occhi.
È sincero, lo capisco.
“Lo so, ma non è a me che devi dirlo!” rispondo con un mezzo sorriso.
Infilo la mano nella tasca e tiro fuori le chiavi.
“Vai, e vedi di non farci ammazzare tutti!”
Lui afferra le chiavi al volo e mi sorride
“Consideralo un giuramento!” mi sorride e si alza.
Dopo due passi si volta nuovamente verso di me
“Cho!” mi chiama, e io alzo la testa “scusa! Devo delle scuse a tutti quanti per ciò che ho fatto, non solo a lei” poi sorride sornione “mi perdoni?”
Mi alzo sospirando e andando dalla parte opposta alla sua.
“Sparisci Jane!” esclamo indifferente.
Lui sorride, si volta e se ne va.
Sorrido fra me.
Mi mancava veramente..
 
 
Alice
 
Mi guardo allo specchio contentissima: il mio cappellino da baseball completa la mia tenuta sportiva, e mi fa sembrare più grande.
Sono le 17:30 e la mamma sta per portarmi da zia Grace.
Non vedo l’ora di vedere la partita!
È molto tempo che non passo una serata con gli zii. Mi diverto molto con loro, ma mi dispiace sempre lasciare la mamma a casa da sola.
Forse lei si diverte lo stesso, magari si rilassa un po’, o guarda uno dei film che piacciono a lei.
Forse se papà fosse qui sarebbe più felice..
 
Grace
 
Sono le 17:30. Fra poco arriverà Alice, e le danze si apriranno.
“Pagherei fiori di quattrini per poter assistere a quella scena” scherza Rigsby.
Sorrido anche io “meglio ancora quando incontrerà Alice. Chissà che succederà!” poi alzo la testa sospettosa
“Avete scommesso vero?” chiedo.
Wayne mi guarda colpevole poi sorride “Mi sembra ovvio!”
“Che cosa?” chiedo esasperata.
“Cho dice che mirerà al petto, io alla gamba!” scherza ridendo.
Mio malgrado scoppio a ridere. Che immaturi!
“Quella era la scommessa ufficiosa, quella ufficiale è su quanto tempo ci metterà per perdonarlo!” aggiunge, sempre ridendo. Alzo gli occhi al cielo e vado disotto.
Probabilmente è la scommessa più appetitosa che abbiano mai fatto!
 
Teresa
 
Suono al campanello di casa di Grace.
Lei mi apre dopo pochi secondi, Alice le corre incontro urlando.
Sorrido divertita da quella scena.
“è tutta tua amica mia, divertiti!” le dico sorridendo mentre la abbraccio.
“L a tengo d’occhio tranquilla!” mi sorride lei dolcemente.
Alice mi viene incontro per abbracciarmi.
“Stai attenta, e non esasperare gli zii, mi raccomando!” le dico sorridendole.
Lei annuisce divertita “Farò la brava promesso!”
Mi da un grosso bacio sulla guancia e corre a salutare Rigsby.
Saluto Grace e mi volto, tornando verso la macchina.
È sempre dura stare lontano dalla mia bambina, ma passare una serata tranquilla sul divano non mi dispiace.
Mi rilasserò, guarderò un po’ di film e mangerò del buono e sano gelato al cioccolato, che solitamente nascondo in presenza di Alice. Fosse per il suo stomaco spazzerebbe via tutta la confezione!
Una serata tranquilla, è questo quello che mi serve ora!
 
 
Jane
 
Giro e rigiro le chiavi nelle mie mani. Mi fermo davanti alla porta di casa sua.
Non riesco a togliermi dalla testa l’espressione di Cho: c’era qualcosa che non andava, ma a quanto pare dovevo parlarne con lei. Mi chiedo solo cosa sia tutto questo mistero, anche da parte di Grace.
Sospiro girando la chiave nella toppa.
Quando entro il profumo mi invade le narici e il cervello. Mi era mancato davvero: il suo profumo, il suo magnifico e dolce profumo.
Mi siedo al tavolo della cucina e chiudo gli occhi: respiro più che posso, sentendomi davvero di nuovo a casa.
Con la testa ripercorro gli eventi, e mi sento ancora più stronzo di quando sono arrivato a Sacramento.
Perché l’ho abbandonata?
Appoggio la testa sulle mani: ho rovinato tutto, e per cosa? Paura e oppressione, il desiderio di fuggire e rimettere insieme i pezzi della mia vita, senza capire che la mia vita era già tornata a posto.
Mi ero innamorato, ero libero da tutto, libero da John il Rosso. Eppure, come un idiota, avevo voltato le spalle a tutti e me ne ero andato.
Avevo spezzato il cuore della donna che amavo. Forse non meritavo nemmeno di essere perdonato.
Mi era mancata così tanto. Non passava giorno in cui non pensassi a lei, o la sognassi.
Avevo incontrato tante persone. Tante donne avevano cercato di avvicinarsi, ma io in silenzio indicavo la fede e le allontanavo.
Poi, in uno dei miei tanti spostamenti, ero arrivato in Italia, precisamente a Roma.
Ero sul lungotevere, davanti avevo Castel Sant’angelo. Rigiravo la fede fra le mani guardando l’acqua.
Lì ho capito: avevo combinato un disastro dietro l’altro, e dovevo rimediare.
Ho gettato la fede dritta nel Tevere, senza nemmeno rifletterci veramente. Una signora italiana, che leggeva il giornale a qualche metro da me, mi ha guardato sbalordita: avrà pensato che fossi pazzo!
Chi è quell’americano biondo, silenzioso e stanco che all’improvviso getta una fede in un fiume? Deve essere più o meno quello che si è chiesta guardandomi.
Se le avessi risposto non ci avrebbe creduto.
Ho preso il primo aereo per San Francisco e sono tornato.
Quando sono arrivato a Sacramento non  sapevo cosa fare. Grace mi controllava, a quanto pare, perché è stata lei a trovare me.
Meglio così, perché se avessi bussato a questa porta lei non mi avrebbe aperto. E invece sono qui, ad aspettare che lei torni a casa.
Un’improvvisa ansia mi prende lo stomaco: me la farà pagare, e probabilmente non mi perdonerà.
Sorrido odiando me stesso: prima mi innamoro, ottengo tutto ciò che di meglio potevo chiedere dalla vita e poi scappo distruggendo tutto.
Bravo, Patrick! Davvero furbo!
Sento la chiave girare nella toppa e lo porta aprirsi.
Scatto spaventato sulla sedia.
Si comincia..
 
 
Teresa
 
Arrivo a casa pronta a godermi la mia serata. Giro la chiave nella toppa ed entro in casa mia.
Un rumore improvviso mi fa trasalire.
Viene dalla cucina.
Il respiro mi si ferma. Afferro la pistola e la carico silenziosamente.
Con il cuore a mille striscio verso la cucina con la pistola dritta davanti a me. Mi fermo vicino all’angolo, prendo un ultimo respiro ed entro in cucina.
Ciò che vedo mi lascia impressionata ed immobile.
Sento braccia e gambe paralizzate.
Sbatto gli occhi per mettere a fuoco. Sto sognando, è impossibile che sia vero.
Una miriade di immagini e sensazioni mi attraversa cuore e mente.
Le braccia mi tremano.
Jane è davanti a me. È lui, veramente, non è un’illusione.
Ripercorro la sua figura con gli occhi scoprendo di non aver dimenticato un centimetro di quel corpo.
I suoi occhi azzurri mi osservano incerti.
Nel vederli il mio cuore prende a battere furiosamente, non so se per amore o dolore, ma batte di nuovo.
Abbasso automaticamente le braccia, mentre riprendo a respirare, quasi ansimando.
Jane fa un passo verso di me, e io rialzo immediatamente le braccia e la pistola, facendolo indietreggiare spaventato
“Non provare ad avvicinarti!” lo minaccio, ma la voce mi trema.
Ora sono arrabbiata, davvero arrabbiata!
“Teresa..” comincia lui.
La sua voce risuona nella mia mente, facendomi vacillare. Chiudo gli occhi per cercare di concentrarmi.
“Zitto, sto decidendo se ucciderti o no!” lo interrompo.
Riapro gli occhi tornando a guardarlo, quasi come se avessi paura che svanisca improvvisamente. E invece è ancora lì.
Lui è qui, cerco di ripetermi. Non posso ancora crederci. Vorrei lanciare la pistola dall’altra parte della stanza e abbracciarlo, ma non ci riesco.
Sono furiosa, ferita e arrabbiata.
Respiro piano cercando di calmarmi, e di ragionare.
Una lacrima mi scivola sulla guancia, abbasso le braccia e scarico la pistola, lanciandola senza troppi complimenti per terra. Mi lancio verso di lui, fra le sue braccia.
Le lacrime scendono giù rapidamente, mentre sento le sue braccia avvolgermi e stringermi. Lo stringo forte a me, il cuore sta impazzendo: mi mancava così tanto il suo abbraccio.
Le gambe mi tremano per l’emozione, non riesco a smettere di piangere.
Mi stacco da lui guardandolo negli occhi. Sta piangendo anche lui. L’ultimo pezzo di ghiaccio nel mio cuore si sgretola.
Mi avvicino al suo viso e lo bacio.
Il ricordo non valeva assolutamente niente rispetto alla realtà. Mi stringo ancora di più fra le sue braccia cercando ancora più avidamente le sue labbra.
Non voglio più separarmi da lui, sento tutta la forza riprendersi il suo posto nel mio sangue e nel mio cuore.
Ma mentre lo bacio ricordo il perché di quei sentimenti: mi ha abbandonata. Mi ha distrutta. È sparito per quasi quattro anni, lasciandomi sola, con una figlia da crescere.
Mi stacco improvvisamente allontanandolo.
Indietreggio ansimando. Lui resta li perplesso, con le braccia ancora aperte, dove prima c’ero io. Se non fosse per l’orribile situazione in cui ci troviamo, sarebbe una scena quasi comica.
Le lacrime riprendono a scorrere.
“Vattene” dico a bassa voce.
Alzo lo sguardo e vedo che mi guarda sbalordito.
“Teresa..”
“Vattene!” ripeto a voce più alta.
Lui si avvicina, mi posa una mano sulla spalla e io chiudo gli occhi cercando di rimanere cosciente.
“Jane vattene” ripeto ad occhi ancora chiusi.
Li riapro e lui è ancora di fronte a me.
“No non me ne vado!” esclama sicuro.
Lo fisso allibita.
“Non sei nella condizione di scegliere e fare quello che vuoi! Vattene!” ripeto alzando di un tono la voce.
“Lo so che mi odi, ma devi ascoltare quello che devo dirti!” risponde fermo.
Incrocio le braccia sfidandolo con lo sguardo.
“Ok, spiegamelo Jane” la rabbia sta salendo al cervello in modo spaventoso “spiegami perché te ne sei andato! Perché mi ha abbandonata qui, sparendo completamente dalla mia vita?”
Sta per aprire bocca, ma io sono più veloce di lui. Inizio a piangere, lo spingo indietro con le mani, perdendo tutta la lucidità già precaria.
“Sono passati quattro anni Jane!” urlo infuriata “quattro anni senza mai farti sentire, ne farmi sapere se eri vivo o morto! Quattro anni in cui ti sei dimenticato della mia esistenza, mi hai lasciata qui a raccattare i pezzi della mia vita, che tu avevi distrutto “ gli punto il dito contro.
“Mi hai spezzato il cuore e la vita, mi hai abbandonata. Mi hai detto ce mi amavi e sei sparito senza nemmeno prenderti il disturbo di spiegarmi il perché.  E ora cosa fai?” chiedo ironica “ti ripresenti in casa mia come se niente fosse, come se potessi entrare e uscire dalla mia vita senza pagarne le conseguenze! Ti ripresenti qui e pretendi che io ti ascolti, come se ci fosse una ragione anche solo vagamente valida per trattarmi come hai fatto tu!”
Mi fermo ansimando per la rabbia furente che mi sta divorando.
“Tu non hai idea di quello che ho passato, non hai idea di quanto sono stata male! Ho passato un inferno, convinta di averti perso per sempre, di aver perso la vita che volevo e che amavo”
“Pensi che per me sia stato facile?” reagisce tranquillo.
“Non lo so Jane, dimmelo tu! Non sono io quella che è sparita all’improvviso!”
Mi asciugo le lacrime con un gesto brusco.
Jane mi osserva zitto per un po’.
“Lasciami spiegare, poi potrai fare quello che vuoi, anche spararmi se può esserti d’aiuto, ma prima lasciami spiegare!” mi supplica.
Annuisco asciugando altre lacrime.
Rimango in piedi con le braccia lungo i fianchi a guardarlo, aspettando. La rabbia combatte con il dolore in una guerra che mi sta confondendo e abbattendo.
Lui prende un bel respiro e comincia.
“Lo ammetto, ti ho abbandonata e ti ho fatto del male e non ho giustificazione per questo! Ma posso dirti che sono partito perché ero confuso, distrutto da tutto quello che era successo. Ho pensato che andarmene sarebbe stata la cosa giusta, perché non volevo crollare davanti a te. Ero al limite Teresa!” confessa con un improvviso dolore negli occhi “stavo per crollare sotto il peso di tutto quello che era successo, e non volevo danneggiarti. Non volevo costringerti a condividere con me quel dolore. Non sapevo nemmeno io quello che mi stava succedendo, sentivo solo il bisogno di allontanarmi, perché avevo paura. Avevo paura di farti ancora più male, e così me ne sono andato. Ho preso il primo aereo che mi è passato per la testa e sono arrivato a Londra. Ho iniziato a vivere in modo pessimo: dormivo e mi risvegliavo senza un orario preciso, mi spostavo continuamente. Poi sono arrivato a Roma, e lì ho capito che non potevo andare avanti così. Dovevo tornare, perché mi ero reso conto di aver sbagliato tutto. L’avevo capito anche prima, ma non avevo trovato il coraggio. Poi mi sono deciso e sono ripartito. Una volta a San Francisco mi sono reso conto veramente di quello che avevo fatto. Sono tornato senza sapere se mi avresti perdonato!” si avvicina a me di qualche passo.
“Ti amo, non ho mai smesso di amarti in ogni istante di questi quattro anni. Lo so, ho sbagliato, ho davvero fatto l’errore più grande della mia esistenza, e so che forse non mi crederai, non dopo quello che è successo. Ti capirò se non mi vorrai mai più vedere, ma devi sapere la verità, e cioè che ti amo, e comunque vadano le cose ti amerò sempre”
Resto a guardarlo immobile mentre le lacrime scorrono lungo le mie guance.
Il dolore continua a frantumare il cuore alternandosi a pulsazioni di sollievo alle sue parole.
Scuoto la testa in preda alla confusione, razionalità e sentimento che lottano per farsi valere l’una sull’altra.
“Tu non hai idea di quello che ho passato” sussurro singhiozzando.
Improvvisamente sento un peso enorme sulle spalle, il cuore mi cede e la testa vortica rapidamente.
“Io..” inizio, ma la voce si spegne.
Sento le gambe cedere, sento le sue braccia afferrarmi prima di finire sul pavimento.
Sento la sua voce.
Poi tutto diventa buio..
 
Mi risveglio e sono seduta sul divano.
Jane affianco a me mi stringe la mano e accarezza la mia fronte.
“Teresa” mi chiama piano.
Apro gli occhi e lo guardo. Mi sento debole. Stacco lentamente la schiena dallo schienale del divano.
Mi sento veramente a pezzi, ma se non altro il cuore ha smesso di farmi male.
“Mi hai spaventato, non ti risvegliavi più!” mi dice lui togliendo la sua mano dalla mia, forse per non turbarmi.
Mi giro a guardarlo, ancora un po’ stordita. Sono tanto confusa che pensavo quasi di essermelo solo immaginato. Ma mi sbagliavo.
Non era un sogno..
“Jane..” inizio ma mi trema la voce.
“Teresa, ascoltami..” inizia.
Allungo una mano e lo interrompo.
“No, rimandiamo a dopo questo discorso..”
Mi rendo conto che c’è una cosa che devo dirgli: non è l’unico a dovermi confessare qualcosa. Improvvisamente capisco quanto sia difficile dire ciò che sto per dire.
Prendo un bel respiro: non è per niente facile, ma devo farlo subito.
“Jane, devo dirti una cosa” mi giro verso di lui con le lacrime agli occhi.
 
 
Jane
 
“Dimmi” la incito preoccupato.
La sua espressione non mi piace per niente, è la più dolorosa che le ho visto da quando sono entrato, a parte quella ferita e furiosa che mi ha rivolto quando ho tentato di avvicinarmi.
Scoppia a piangere all’improvviso, la abbraccio stringendola a me, senza pensarci
“Va tutto bene, calmati!”la tranquillizzo.
Si scioglie lentamente dal mio abbraccio. Si alza a fatica, tento di aiutarla, ma lei mi ferma. Tremando arriva a un mobiletto dietro il divano pieno di foto che non avevo notato. Ne prende una, la guarda per un secondo e torna da me.
Si mette seduta e tiene la foto girata al contrario, con l’immagine schiacciata sulle sue gambe.
“Quando..” comincia tremando “quando sei partito io..sono crollata. Mi sono chiusa in casa per molti giorni, Grace è venuta spesso a trovarmi , ma io non me lo ricordo!” esclama con un mezzo sorriso “poco tempo  dopo mi sono sentita male. Ero tornata al lavoro, ma non stavo bene. Sono andata dal mio medico e..” si ferma ricominciando a piangere, si gira a guardarmi “ho scoperto di essere incinta”
Il respiro si blocca in gola, il cuore si ferma. La mia mente si spegne, e non sento più nulla. Mi fischiano le orecchie e sento i polmoni farsi più pesanti.
“Mi dispiace!” mi dice fra le lacrime “non te l’ho detto, ma..non volevo che fosse un pretesto per farti tornare. Non sapevo dov’eri, ero così confusa” prende un bel respiro “pensavo che non mi amassi, e non volevo costringerti a tornare. Grace cercava di convincermi, ma io non l’ho ascoltata! Quando poi è nata la bambina ho capito che non sarei mai riuscita a chiamarti e dirtelo.  Avrei dovuto trovare la forza, ma poi sono passati i primi due anni, e io ho capito che non saresti tornato per me. Ho sbagliato, ma mi è mancato il coraggio!” confessa “avevo paura che se fossi tornato sarei stata ancora più male!”
Rimango immobile incapace di parlare.
Passano vari minuti.
“Jane, di qualcosa ti prego!” mi supplica lei tremando.
Scuoto la testa cercando di risvegliarmi.
“Io..tu..” non mi vengono le parole “ho una figlia?” chiedo tutto d’un fiato.
Annuisce e con mani tremanti mi allunga la foto.
La giro lentamente, tremano le mani anche a me. La volto completamente e resto ad osservarla paralizzato: nella foto c’è Teresa, sorridente e radiosa, seduta sull’erba con in braccio una bambina con i suoi stessi occhi, un sorriso bellissimo e i capelli biondi.
È una bambina meravigliosa, talmente bella che sembra quasi viva nella foto, come se mi stesse sorridendo salutandomi.
Quell’immagine mi strappa un sorriso. Sono bellissima insieme.
“Si chiama Alice, a giugno compierà quattro anni” mi dice Teresa con un sorriso, molto più calma di pochi secondo fa.
Passo lo sguardo dalla foto a Teresa.
“Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo..” ammette lei alzando le spalle.
“No, me lo merito!” ammetto. Mi meriterei anche di peggio.
Lei mi guarda sbalordita.
“Non sei arrabbiato?” chiede stupefatta.
“No, perché dovrei?” chiedo “ti ho rovinato la vita, avevi paura di soffrire ancora di più e così l’hai cresciuta da sola, ritrovando il lei la tua nuova felicità!”
Lei spalanca la bocca poi si ricompone “Devo dire che non sei cambiato affatto!”
Le sorrido. Apriamo bocca insieme per parlare e ci sorridiamo imbarazzati.
“Prima tu!” le dico.
Lei tira un sospiro “Patrick, io..non so come andranno le cose. Ho bisogno di tempo, ho il cuore a pezzi e non so nemmeno come fare per rimetterlo a posto”
“Hai tutto il tempo del mondo, qualunque sia la decisione a cui arriverai” le sorrido.
Fa male, ma è il minimo che possa fare per lei. Soprattutto dopo ciò che le ho fatto.
Annuisce, poi mi prende la mano “ma voglio che tu la conosca!” dice sicura.
La guardo sbalordito “davvero?”
“Voglio che lei ti conosca. Ha bisogno di te..voglio che abbia un padre, qualunque problema ci sia fra noi! Sempre se tu lo vuoi ovviamente!” aggiunge insicura.
Le sorrido “Non le hai detto che suo padre è un grandissimo bastardo?”
Lei ride piano “No, ho tralasciato gli aspetti secondari!”
Ci guardiamo a lungo negli occhi.
Ho una figlia. Ho una figlia con questa donna meravigliosa, e per tutto questo tempo me ne sono stato lontano, facendole soffrire entrambe.
Ora ho due anime sulla mia coscienza.
“Parlami di lei” le chiedo guardando la foto di Alice. È veramente bellissima!
Teresa sorride “Ti assomiglia molto”
“Vedo” sorrido anche io “ma assomiglia molto anche a te!”
Lei scoppia a ridere “ti assomiglia anche in quanto a carattere: non si riesce a mentirle, ha beccato tutti: me, Grace, Wayne e Cho. Non ci riusciamo! È molto intelligente, frega già Rigsby a carte, e ficca il naso ovunque può!”
Rido anche io “è una Jane allora!”
Ride raccontando ancora “a due anni e mezzo mi ha rimproverata perché ho mentito a Grace, non mi ricordo nemmeno su cosa. A un anno mi ha chiesto perché Cho sta sempre per i fatti suoi. Qualche mese dopo ha detto che secondo lei lo zio Wayne e la zia Grace si sarebbero sposati e aveva ragione”
La interrompo  “Si sono sposati?” chiedo sbalordito.
“No, si sono solo fidanzati ufficialmente, con il permesso della Hightower!” mi spiega.
“Continua” la incito.
Voglio sentirla raccontare di lei, della bambina e di tutto il tempo in cui non siamo stati insieme.
“A circa un anno e mezzo le ho detto di te. Ha una nostra foto, da quella volta non la molla più, se la porta ovunque. Ha cercato di corrompere Grace per venire a cercarti, perché io non volevo. Pochi mesi fa, al CBI, ha scoperto per caso dei ragazzini che spacciavano con una delle guardie, è venuta a dirmelo e noi li abbiamo arrestati. Lei ovviamente non ha capito di cosa si trattava, ma dalle loro espressioni ha capito che stavano facendo una cosa proibita e così è corsa a dirmelo!” conclude fiera di lei.
Sorrido “Cavolo, chissà da chi ha preso?”
Teresa alza gli occhi al cielo “Non vantarti troppo!”
Nonostante i sorrisi la sua espressione è ancora dolorosa e ferita.
“Come hai fatto?” le chiedo con sincera ammirazione.
Lei mi guarda poi mi sorride “Grace è stata la mia ombra per tutta la gravidanza. Mi ha portata alle visite, è stata con me durante il parto e lei e Wayne hanno passato varie notti qui per farmi dormire quando Alice aveva le coliche e piangeva per molte notti di fila. Non so come avrei fatto senza di loro. Cho e la Hightower sono stati altrettanto presenti. Me la sono cavata solo grazie al loro sostegno e al loro aiuto!” confessa alzando le spalle.
Mi giro intorno colto da un improvviso pensiero.
“Non c’è! È con Grace e Wayne!” mi spiega lei capendo il mio sguardo.
“Ah, ora capisco!” dico sorridendo.
Lei mi guarda interrogativa, senza capire a cosa mi riferisco.
“Hanno architettato tutto loro per farci incontrare. Grace ha seguito i miei spostamenti, quando ha visto che ero a Sacramento ha pianificato tutto. Ho incontrato Cho questa mattina che mi ha dato le chiavi di casa tua, le chiavi di Grace, ecco come sono entrato. Mi ha detto che era l’unico modo per avvicinarmi a te, ma ora capisco che avevano fatto tutto per fare in modo che Alice non ci fosse” le spiego “avevo capito che c’era qualcosa che non andava e ora so cos’è!”
Lei mi sorride, poi abbassa lo sguardo sulle sue gambe.
“Promettimi che non sparirai mai più!” mi chiede mentre una lacrima le solca il volto, e un fitta di dolore più intenso riattraversa i suoi occhi.
“Te lo prometto!” rispondo sincero.
“Sei libera di non credermi, ma io te lo prometto comunque” . lei annuisce piano.
Mi alzo lentamente dal divano
“Meglio se vado, avrai bisogno di riposare!” le dico.
Lei si alza annuendo. È davvero esausta.
Mi accompagna alla porta. Le restituisco le chiavi di Grace. Sto per aprire la porta quando lei mi tira per la mano e mi abbraccia.
Mi lascio andare sentendola di nuovo vicina: un tuffo al cuore mi ricorda il male che le ho fatto
“Giuro che  non ti farò soffrire mai più!” sussurro al suo orecchio.
Lei annuisce e mi stringe forte.
“Non so come, ma ti prometto che rimetteremo insieme tutti i pezzi. Ho solo bisogno di tempo.” mi confessa.
Sorrido, evitando di dire qualcosa di idiota. Ci sciogliamo insieme dall’abbraccio.
“Se vuoi puoi tornare domani. Devi conoscere una persona” mi sorride tranquilla.
Le sorrido “Non vedo l’ora!” mi chino a darle un bacio sulla guancia.
La abbraccio di nuovo, incapace di realizzare che sono di nuovo vicino a lei, e che forse, con tempo e dedizione, riusciremo a rimettere a posto la nostra vita, insieme.
“Mi farò perdonare te lo prometto” le dico accarezzandole la guancia.
Lei annuisce sorridendo.
“Buona notte”
“Buona notte” mi risponde in un sussurro.
Esco e mi allontano verso il viale dove ho parcheggiato la macchina, nascosta, per far si che non la vedesse.
“Patrick” mi richiama lei.
Mi volto a guardarla.
“Sono contenta che sei tornato” confessa sorridendo e piangendo allo stesso tempo.
“Anche io” le rispondo sorridendole.
 
Mi stendo nel letto del motel dove mi sono fermato in questi giorni. In un moto di pazzia ho venduto la mia vecchia casa.
Ripenso alla serata che ho passato, e giuro a me stesso per l’ennesima volta che non farò mai più del male a quella donna!
Quando l’ho rivista il mio cuore è esploso: perché era stupenda, più di quanto l’avevo sognata e immaginata in quegli anni, e perché era straziata dal male che le ho fatto.
Si era fiondata addosso a me in pochi secondi, pensavo mi volesse uccidere, e invece mi aveva baciato.
Riprovare quel contatto mi aveva dato una scarica inverosimile. Ogni cellula del mio corpo era stata rigenerata dalle sue labbra in un nanosecondo. Niente era più importante, tranne quel così tanto atteso bacio.
No, non farò mai più del male alla donna che amo.
E alla mia bambina.
Il pensiero mi fa rotolare il cuore di felicità: ho una figlia! Una bambina stupenda, figlia della mia unica ragione di vita, che amerò sempre in ogni caso.
Chiudo gli occhi e cerco di dormire, ripensando che in poche ore ho riavuto indietro molto più di quello che mi aspettavo e che da domani inizia la vita che ho tanto sperato di riavere in tutto questo tempo.
 
 
 
 
Teresa
 
Sono sveglia da venti minuti e sono già esausta. Gli avvenimenti di ieri sera mi hanno distrutta.
Jane è tornato. Sembro una stupida, perché me lo devo ripetere ogni cinque minuti.
Forse perché mi sembra un’illusione. Ancora non mi sembra vero.
Oggi dovrò presentargli Alice, e la cosa mi rende piuttosto nervosa. Non so come fare, né come la prenderà lei.
Rivederlo era stato uno shock: era molto più bello di come l’avevo ricordato. I suoi occhi azzurri, che mi erano così tanto mancati, erano stati capaci di annullare tutto in me.
Rabbia, dolore, risentimento, abbandono: tutto quello che avevo sentito in quei quattro anni era scomparso, solo guardandolo negli occhi.
L’avevo baciato in preda all’istinto di risentire le sue labbra sulle mie, di sentirlo nuovamente vicino.
Sento il campanello suonare, e vengo risvegliata dai miei pensieri. Deve essere Grace che mi riporta Alice. Giusto in tempo: io e lei dobbiamo fare due chiacchiere!
Apro la porta e  vedo Grace prestare molta attenzione ad ogni tratto del mio viso. Alice mi salta addosso urlando e io la stringo forte.
“Amore mio!” le sorrido stringendola.
Non appena lei fionda la testa sul mio collo abbracciandomi,  io ritorno a fissare Grace, che mi fissa a sua volta leggermente preoccupata. Sta cercando indizi sul mio viso, ma io sono tranquilla.
Wayne sta aspettando addirittura in macchina!
“Mamma, mamma è stato bellissimo!” esclama Alice ridendo.
“Sono contenta piccola mia! Vuoi una tazza di latte?” chiedo con un sorrisone.
Lei annuisce.
“Vai a lavarti le mani allora, intanto lo preparo!”
La lascio andare e Alice di fionda di sopra. Mi giro verso Grace.
“Tu e il tuo futuro marito venite dentro, dobbiamo fare due chiacchiere!” le sorrido. Non volevo farla suonare come una minaccia, ma forse lei non ha colto il mio vero umore.
Lei si volta preoccupata verso Wayne e gli fa cenno di venire.
Aspetto che entrino tutte i due e richiudo la porta. Nel frattempo Alice arriva.
“Vai a guardare i cartoni amore, arrivo subito!” le sorrido e mi piego per darle un bacio sulla guancia.
Vado in cucina, seguita dai due preoccupatissimi amici.
Avvio la macchinetta del caffè e mi siedo al tavolo, facendo loro segno di sedersi.
Quando si siedono mi fissano entrambi pronti a una sfuriata alla Lisbon.
“Vorrei potermi arrabbiare, ma non ci riesco, perché avete fatto la cosa giusta, e mi avete dimostrato per l’ennesima volta quanto teniate a me. Quindi niente sfuriata!”
Mi fissano sbalorditi.
“Non fate quelle facce, che vi aspettavate?” chiedo ridendo.
“Un mitra puntato addosso!” risponde Wayne.
Rido della loro espressione “Sul serio ragazzi non sono arrabbiata!”
Tirano entrambi un sospiro di sollievo.
“Pensavamo te la fossi presa!” ammette Grace sollevata.
Sospiro e gli racconto, bacio e sfuriata a parte, che cosa è successo.
Il tutto a bassa voce per non farsi sentire da Alice in salotto.
“Bene, quindi noi ora togliamo il disturbo!” dice Grace alzandosi di scatto.
“Buona fortuna!” mi fa Wayne facendomi l’occhiolino.
Grace mi abbraccia e mi sussurra all’orecchio “Te l’avevo detto che le cose sarebbero cambiate”
La stringo forte prima di salutarla, sorridendo. Le restituisco le chiavi usate da Jane, e li accompagno alla porta.
Quando se ne vanno torno in cucina, verso un po’ di latte in un bicchiere, ci metto del cioccolato e lo porto in salotto ad Alice.
Mi siedo sul divano con lei e guardiamo i cartoni insieme.
“Mamma perché sei così felice?” mi chiede lei fissandomi con un sorriso.
Le sorrido dolcemente alzando le spalle “Perché sono qui con te!”
Lei mi sorride abbracciandomi.
Il momento si avvicina!
 
 
Alice
 
Me ne sto tranquilla sul divano mentre la mamma è andata a fare alcune faccende.
Di domenica, quando non lavora, le fa sempre.
Quando sarò grande voglio farmi insegnare, perché un giorno la aiuterò a fare le faccende di casa e a cucinare. Se papà non verrà dovrò prendermi cura io di lei.
Oggi la mamma è più felice del solito. Chissà perché, di solito me lo dice sempre, se c’è qualcosa che non va o se succede qualcosa di bello.
Mi alzo e vado a prendere la foto di mamma e papà dal mobiletto per tenerla con me.
Vado verso la finestra e mi siedo sulla mia poltroncina. Il sole accecante che viene da fuori illumina la foto e i loro visi. Sono così belli insieme.
Ma perché il mio papà ha abbandonato la mia mamma? È così bella!
Io non l’avrei mai fatto.
La mamma dice che è una storia molto lunga e che dovrò aspettare di crescere prima di saperla.
Anche la zia Grace e lo zio Wayne non vogliono raccontarmela, dicono che sono troppo piccola. Allora un giorno ho provato a chiedere allo zio Cho. Magari lui me lo poteva dire. Invece anche lui mi ha detto che sono troppo piccola.
È stata l’unica volta in cui ho visto triste lo zio Cho, quindi forse deve essere una storia brutta, ecco perché non me lo dicono.
Penso che aspetterò a chiedere di nuovo di raccontarmela, magari quando sarò più grande.
La mamma dice che non devo essere arrabbiata con papà, ma io non sono poi tanto arrabbiata con lui: vorrei solo che tornasse da noi, che chiedesse scusa alla mamma e che mi conoscesse.
Gli devo dire quanto sono brava a capire le persone e quanti giochi so fare con le carte. E voglio farmi insegnare tutto quello che sa, voglio diventare brava anche io come lui.
Gli devo dire che la mamma piangeva sempre, anche se cercava di non farsi vedere da me. E che una notte ha detto nel sonno il suo nome e il nome di qualcun altro che non ho capito. Qualcosa con  “rosso”..boh!
Però io non le ho detto che l’ho sentita. Dormivo con lei quella sera e non volevo svegliarla. Quando le ho posato la manina sulla guancia ha smesso di piangere e non ha più sognato.
Gli devo dire tante cose.
Vorrei tanto che arrivasse, anche in questo momento.
Come il papà di Rosalie, che non c’è mai, ma poi torna da lei e dalla sua mamma.
Sento il rumore di una macchina e alzo lo sguardo fuori dalla finestra. Una macchina più piccola di quella della mia mamma parcheggia davanti a casa nostra.
Sarà qualcuno che conosce la mamma.
Aspetto di vedere chi è prima di aprire la porta: non devo aprire agli sconosciuti! Non come la mamma che non guarda mai dalla fessura sulla porta chi è che ha suonato!
Forse lei si sente al sicuro perché è una poliziotta!
Guardo ancora la macchina aspettando di capire chi è. Quando scende lo osservo bene.
È girato di schiena, ma vedo i suoi capelli biondi e ricci alla luce del sole. Poi si gira e viene verso la casa a passo lento.
Ora vedo il suo viso.
Il cuore batte più forte di prima, non so perché, ma fa così: bum, bum,bum bum
“Mamma!” strillo con tutta la voce che ho.
“Mamma, mamma!” saltello allegra verso le scale per chiamarla.
Lei corre disotto preoccupata che mi sia successo qualcosa.
“Alice che succede?” urla  mentre scende verso di me.
“Mamma è tornato papà!!” strillo contenta.
Una piccola lacrima mi scivola dagli occhi.
Sono così tanto felice!
 
Dice l’autrice:
e così finalmente il nostro Jane è tornato! Spero vi sia piaciuto (è stato un capitolo un po’ ostico da scrivere), spero di essere riuscita in meglio!
Attendo i vostri commenti come sempre!!
Ringrazio ovviamente tutte le persone che mi stanno seguendo!!
Un bacione : )
Giada

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Capitolo 5
*** capitolo 4- looking in your eyes ***


 
CAPITOLO 4- LOOKING IN YOUR EYES
 
 
 
Alice
 
Continuo a saltellare indicando la porta.
“Visto te l’avevo detto che sarebbe tornato!” prendo in giro la mamma.
Lei mi sorride, mi prende per mano e corre verso la porta. La apriamo insieme.
Adesso lo vedo.
Alzo lo sguardo verso la mamma, che sorride radiosa: la vedo raramente sorridere così, rivolge solo a me quel sorriso, quindi forse gli vuole bene!
Ritorno a guardarlo.
È a pochi passi da noi, si è fermato a guardarmi. È ancora più bello della foto, mi assomiglia tantissimo.
La mamma mi tiene una mano sulla spalla. Io mi libero e comincio a correre verso di lui.
“Papà!!” strillo correndogli incontro.
Non so perché, ma l’ho fatto senza pensarci un secondo.
Mi getto fra le sue braccia, come faccio con la mamma, e lui mi prende al volo, mi solleva e mi stringe forte a sé.
Appoggio la testa sulla sua spalla stringendogli il collo con tutta la forza che ho. Ha un profumo buonissimo, e stare fra le sue braccia è bellissimo.
Sento le lacrime scorrere ancora, ma non sono triste. Sono solo felice!
Il mio papà è tornato a casa! Io e la mamma non siamo più sole!
 
Teresa
 
Non ho bisogno di una macchina fotografica per immortalare questo momento.
Resterà impresso nella mia memoria per l’eternità.
Alice fra le sue braccia, che piange contenta.
Sorrido salutandolo con la mano.
Sento il cuore battere forte, i pezzi di ghiaccio che mi avevano graffiato l’anima in quegli anni, si stanno sciogliendo.
 
 
Patrick
 
 
La abbraccio forte, non mi sembra reale.
Mia figlia mi è appena corsa incontro urlando “papà” come si mi stesse aspettando. Eppure pensavo che Teresa non gliel’avesse detto. La guardo: è sorpresa anche lei. Non gliel’ha detto!
Questa è stata la volontaria reazione di mia figlia quando mi ha visto.
È ancora più bella della foto. Mi stringe forte e la sento piangere.
Poi si scosta da me e mi guarda.
Restiamo occhi negli occhi. Vedo gli occhi di Teresa, sfumati dall’azzurro dei miei.
Alice mi guarda sorridendo.
Nel silenzio vedo ogni cosa di lei. Tutto quello che sta provando ora lo capisco anche io.
“Bentornato papà” mi dice sorridendomi. La sua voce è dolce e cristallina.
Le sorrido anche io abbracciandola di nuovo.
“Mi dispiace tanto Alice” le dico, mentre una lacrima spontanea lascia i miei occhi.
Lei si stacca di nuovo e mi guarda
“Io ti perdono” mi sorride anche con gli occhi, poi abbassa un po’ la voce “la mamma non lo so, ma se fai il bravo ti perdona anche lei secondo me!” puntualizza con tono sicuro.
Rido della sua espressione: siamo identici!
Ci abbracciamo di nuovo mentre cammino verso di lei. È rimasta a guardarci commossa, appoggiata alla porta. Mi sorride dolcemente.
Si, se faccio il bravo mi perdona!
Mi avvicino a lei, continuando a sorriderle. Sto per parlare, ma lei mi abbraccia.
Anzi ci abbraccia, visto che Alice è ancora in braccio a me. Ci stringiamo tutti e tre in un caldo abbraccio che non sentivo da tempo.
L’abbraccio di una famiglia.
 
Pochi minuti dopo siamo tutti e tre seduti sul divano a parlare.
Alice è ancora in braccio a me, non si è tolta un secondo, e sta monopolizzando la conversazione.
Mi sta facendo un riassunto di tutta la sua vita, per aggiornarmi!
Io sorrido emozionato, mi si sta paralizzando la mandibola da quanto sorrido.
Teresa asseconda Alice raccontandomi tutto.
“Allora lo zio Wayne ha detto a tutti che sposava la zia Grace, e io sono stata contentissima, perché se loro si sposano poi posso avere un cuginetto, e poi diventiamo una famiglia ancora più grande!” conclude sorridendo.
Poi si gira verso Teresa, strizzando gli occhi come faccio io quando cerco la verità
“Mamma, lo perdoni papà vero?” chiede sorridendo subito e abbracciandomi.
Io e Teresa ci guardiamo intensamente per un secondo.
Nei suoi occhi leggo il ricordo e il sentimento che ci ha unito tanto tempo fa, e che ci unisce ancora oggi.
“Certo che lo perdono” risponde poi sorridendo.
“Siiiiii!” esclama mia figlia lanciandosi sulla madre.
“Resti con noi papà, non te ne vai più vero?” chiede lei guardandomi e strizzando gli occhi di nuovo.
Le sorrido dolcemente “Certo che non me ne vado, resterò qui per sempre!”
Alice abbraccia anche me poi salta in piedi entusiasta, balzando giù dal divano
“Mamma dobbiamo chiamare la zia Grace, lo zio Wayne e lo zio Cho, gli dobbiamo dire che papà è tornato!” dice a raffica e scappa via verso il telefono.
“Cosa le dai da mangiare?” chiedo allibito dalla carica di quella bambina.
Teresa ride della mia espressione “Ci credi ora se ti dico che mi sembra di crescere te?”
Le sorrido prendendole la mano.
“Uno non ti bastava?” le chiedo facendo l’idiota.
Lei alza gli occhi al cielo, ma sorride.
Alice torna a raffica verso di noi già al telefono.
Si sente un “Pronto?” dall’altra parte dell’apparecchio.
“Zia Grace, zia Grace, senti chi è tornato!” strilla sorridendo e passandomi il telefono.
“Ehi là piccola Grace!” la saluto.
“Jane!” esclama lei.
Sapeva che c’ero, ma forse non si aspettava la telefonata tempestiva della piccola Alice!
“In persona!” rispondo allegro. Mia figlia continua a saltellare sorridendo davanti a noi.
“Possiamo venire? Ho così tanta voglia di vederti, e anche Wayne!” chiede con voce tremante.
“La zia Grace chiede se può venire?” chiedo sorridendo alle mie due donne.
“Siiiiiii!” Alice mi salta addosso e riprende il telefono.
“Sbrigati zia Grace!” le dice e chiude subito la chiamata, senza aspettare la risposta di Grace.
Teresa ci guarda ridendo.
“Mamma ora posso cambiare cognome?” chiede Alice, guardando Teresa che guarda me.
“Se papà è d’accordo..” alza le spalle sorridendo.
Lei si volta a guardarmi. Restiamo occhi negli occhi per qualche secondo.
“Pronta ad essere una Jane?” le chiedo sorridendole.
Lei si lancia fra le mie braccia “Si sono pronta!” risponde ridendo.
 
Un’ora dopo suona il campanello. Prima ancora che qualcuno possa fare un passo Alice è già andata ad aprire.
“Zia Grace, Zio Wayne!” salta addosso a Grace urlando.
Ci alziamo anche noi andando verso la porta. Quando mi vedono sgranano gli occhi.
Lo so cosa pensano tutti: quanto sono ringiovanito da quando non ho più addosso il senso di colpa, il dolore e la vendetta.
“Jane..” sussurra Grace.
Molla Alice a Rigsby e mi corre incontro.
Una fiammata di capelli rossi mi travolge quando mi abbraccia.
“Mi sei mancata piccola Grace!” sorrido.
“Anche tu!” risponde lei, poi avvicina la bocca la mio orecchio.
“Non ti tiro un pugno dritto nello stomaco  solo perché c’è tua figlia. Però sono davvero contenta di rivederti!” aggiunge in tono più dolce.
Rido della sua minaccia.
Ci sciogliamo sorridendo, Teresa se la ride perché ha sentito tutto. Rigsby si avvicina e mi stritola in un abbraccio da orso.
“Rigsby mi stai soffocando!” gli dico a mezza voce.
“Ops scusa!” sorride imbarazzato.
“Bentornato sensitivo!” mi da una pacca sulla spalla sorridendomi.
“Grazie, è bello rivedervi!” rispondo sincero.
Vedo Alice alzare gli occhi al cielo, in un modo identico a quello di Teresa, “Zio i sensitivi non esistono!”
Ridiamo tutti insieme, mentre Rigsby si gira stupito verso Teresa.
“Non guardare me!” dice allargando le braccia “è figlia sua!”.
Sorrido soddisfatto di questa verità: è mia figlia!
 
Siamo tutti seduti in cucina a bere thè, solo io, latte, solo Alice, e caffè tutti gli altri.
“Congratulazioni!” sorrido alla coppia, quando mi annunciano il matrimonio.
“Indovina chi farà la damigella che lancerà i petali di rose?” chiede Grace facendo il solletico ad Alice, che è sempre in braccio a me.
“Io!” risponde lei entusiasta. “E la mamma sarà la damigella d’onore delle zia!” esclama.
Teresa le sorride dolcemente.
Istintivamente le prendo la mano appoggiata sul tavolo. Lei si gira a guardarmi con lo stesso sorriso perenne che ormai abbiamo stampato in faccia entrambi.
“Ti saluta anche Cho, non è potuto venire perché era di turno al CBI” mi dice Rigsby.
“A proposito!” esclama Grace alzando le sopracciglia “dobbiamo rimettere a posto il tuo divano?” chiede con un sorriso.
Sgrano gli occhi “Perché dov’è finito?” chiedo sbalordito.
“In soffitta! Non ci serviva a niente lì!” risponde sincero Rigsby.
“Bene, lo rivoglio!” rispondo convinto.
“è tutto tuo! Però lo riporti giù tu!” mi sorride Teresa.
“Lo prendiamo come un si allora!” esclama Rigsby.
“Mi state chiedendo se voglio tornare al CBI?” chiedo conferma guardandoli tutti e tre.
“Sempre se hai le stesse doti di prima, altrimenti non ci servi a niente!” esclama Teresa.
Le sorrido “Sono come prima, in tutto e per tutto!”
Lei alza le spalle “Ok sei ri-assunto!” e mi sorride radiosa.
“Uhuh, un brindisi al nostro consulente!” esclama Rigsby alzando la tazza.
Alziamo ognuno la sua e beviamo.
In tutto questo ci rendiamo conto che Alice è stranamente silenziosa. La guardiamo tutti nello stesso istante: si è addormentata! È appoggiata alle mie spalle e dorme come un ghiro.
Sorrido dolcemente guardandola dormire.
Teresa si alza piano e me la prende dalle braccia. La porta su divano, le mette una coperta addosso e torna in cucina.
“Il bello dell’iperattività e che prima o poi crolla come una pera!” sorride mentre torna a sedersi.
“Sarà stanchissima, ha avuto una giornata speciale!” esclama Grace, sorridendomi.
Sorrido anche io.
“Vi devo delle scuse ragazzi!” dico serio alzando guardandoli “mi dispiace veramente!”
Loro mi sorridono.
“è tutto a posto Jane, ciò che conta è che sei tornato!” mi sorride Grace.
“E devo anche ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per Alice” gli sorrido grato.
“Dovere di bravi zii!” mi risponde Rigsby sorridente.
Grace si alza da tavola.
“Noi andiamo, Wayne mi deve una cena!” sorride soddisfatta, mentre Rigsby si alza sbuffando.
“Ti sei messa a scommettere anche tu?” chiede Teresa sorridendo.
“In realtà ho solo scommesso contro lui e Cho, e ho vinto!”
Sorridiamo tutti  e due a Grace e al povero Rigsby. Dopo averli salutati restiamo soli.
Ci sediamo sul divano vicino a quello dove dorme Alice e la osserviamo.
“è bellissima!” esclamo riverente.
“Si è vero!” conferma lei guardandola con ammirazione. Una volta pensavo che la cosa più bella che potessi vedere era l’immagine della donna che amo che mi sorride.
Invece mi sbagliavo. La cosa più bella del mondo è vedere la donna che amo sorridere a mia figlia. A nostra figlia!
Teresa si gira a guardarmi. Restiamo in silenzio, persi negli occhi l’uno dell’altra, occhi che non vedevamo da troppo tempo.
“Mi sei mancata” le dico sincero.
“Anche tu” mi sorride dolcemente.
“Dove sei stato?” mi chiede sussurrando per non svegliare Alice.
Non è arrabbiata, non c’è nemmeno risentimento nella sua voce: è solo curiosa.
“Il primo aereo che ho preso mi ha lasciato a Londra!” rispondo “sono stato lì quattro giorni, poi sono partito per Dublino, dove ho incontrato un allevatore di pecore di montagna e ho vissuto in casa sua per due mesi. Lo aiutavo a pascolare, a tosare le pecore  e girare il latte!” sorrido.
Teresa ride piano “Sul serio?” chiede sbalordita.
“Sul serio, non sto scherzando! Poi l’ho salutato, gli ho lasciato persino il mio indirizzo di posta elettronica del CBI per tenerci in contatto!”
“Non l’hai mai usato quell’indirizzo!” esclama stupita.
“Lo so, infatti è ora di cominciare!” ribadisco sorridendo “poi ho preso un aereo e sono andato a Parigi. Ci sono rimasto un anno intero: è una città bellissima, ti porterò un giorno!” le prometto “lì ho lavorato in un bar come prestigiatore. Davvero squallido! Ma è stato costruttivo! Dopo Parigi ho passato circa quattro mesi a Berlino, dove non ho preso nessun lavoro, vivevo di rendita dal mio conto in banca. Dopo Berlino sono stato in Svizzera, dove ho vissuto fra i monti per più di un anno e mezzo. Ho comprato una casetta in un minuscolo villaggio sperduto fra le vallate. È un posto bellissimo, e la casa è ufficialmente ancora mia. Possiamo portarci Alice quando vogliamo! Giocherà con le capre del villaggio!” esclamo sorridendo facendo ridere Teresa. “ Infine sono arrivato a Roma, dove sono rimasto circa un mese. Ho gettato la vecchia fede nel Tevere e sono andato via!”
Lei mi interrompe
“Hai gettato la fede?” chiede sbalordita.
“Certo che l’ho gettata!”
“Ma era un ricordo?” mi rimprovera lei.
Sembriamo tornati indietro nel tempo!  I soliti battibecchi.
“Era il ricordo di qualcosa che volevo dimenticare” spiego tranquillo “Ho deciso di andare avanti, mai più guardare al passato”
Lei sospira sorridendo.
“Poi sono arrivato a San Francisco, e il resto lo sai!” concludo alzando le spalle.
Sentiamo un borbottio venire dal minuscolo gomitolo di coperte.
“La smettete di parlare..” bofonchia Alice senza aprire gli occhi.
Ridiamo tutti e due poi Teresa si china su di lei “In ogni caso è ora di alzarsi, perché stasera dobbiamo uscire a cena e tu sei ancora qui a poltrire sul divano!” le sorride e comincia a farle il solletico.
Alice ride, risvegliandosi e urlando “Ok, sono sveglia!”
Teresa smette di farle e il solletico e torna seduta vicino a me.
Alice stiracchia il suo piccolo corpo, poi si alza, fiondandosi addosso a noi!
“Ben svegliata piccola mia!” le dico quando schiocca un bacio sulla guancia a tutti e due.
“Perché dobbiamo uscire stasera?” chiede curiosa.
“Perché il frigo è vuoto e mamma e papà non hanno voglia di cucinare, quindi si va a cena fuori!” risponde Teresa.
Mi volto verso di lei perplesso “Davvero?”
“Si, davvero!” mi sorride lei, facendomi capire benissimo, però, che non ammetteva repliche.
Sorrido fra me: era la mamma quella che non aveva voglia di fare spesa e di cucinare!
“E poi così festeggiamo in grande stile il ritorno di papà!” commento io.
Alice annuisce concordando.
“Allora andiamo, io ho fame!” si alza e scappa di sopra per prepararsi.
Teresa sospira.
“Fammi indovinare: ha l’appetito di un adulto!” la guardo sorridendo.
“Peggio!” si alza lei sbuffando e ridendo allo stesso tempo.
Mi alzo con lei e quando sta per salire la afferro per il braccio e la stringo in un forte abbraccio.
Lei ricambia e mi chiede con un sorriso “A cosa lo devo?”
“Grazie per avermi permesso di tornare nella vostra vita, soprattutto in quella di Alice. Grazie per avermi dato una seconda opportunità!” rispondo sincero stringendola ancora più forte.
Quando ci stacchiamo lei mi guarda dritto negli occhi
“Se l’ho fatto è perché, in un modo o nell’altro, non ho mai smesso di amarti. Devo solo dimenticare il dolore, il resto tornerà normale!” mi sorride, convincendo più se stessa che me.
Sospiro amaramente. L’ho veramente distrutta, e ora sta cercando tutta la forza possibile per ricominciare.
Scuoto la testa “Non me lo merito”
Lei mi accarezza la guancia “Tutti commettiamo degli errori. La cosa che conta è sapere come rimediare. Alice ti adora, ed essere suo padre è già molto più di quello che credi. Ha sentito la tua mancanza anche se non ti aveva mai realmente conosciuto. Sei qui, hai capito il tuo errore, e ora vuoi restare con noi. È più che sufficiente!” mi sorride dolcemente.
La abbraccio di nuovo, cullandola fra le mia braccia.
“Grazie!” le dico.
“Di niente” mi risponde con un sorriso.
“Mamma, ho bisogno di te!” urla Alice dal piano superiore.
Teresa di scioglie e mi sorride.
“Devo compiere il mio dovere”
“Vi aspetto qui” le sorrido mentre sale le scale per raggiungere la bambina.
 
Teresa
 
 
Salgo in camera di Alice per vestirla. Scelgo dall’armadio il suo vestito blu preferito, delle calze sottili bianche e una giacca panna.
“Mamma dove andiamo a mangiare?” chiede Alice curiosa mentre le vesto.
“Scegli tu il ristorante!” le rispondo.
Lei comincia a saltellare felice “Andiamo in quel posto in alto, in alto, dove si mangia quella frutta strana?”
Rido della richiesta di mia figlia. Il posto, in alto, in alto, come dice Alice, è un ristorante sul tetto di un palazzo. Un’enorme terrazza con un panorama spettacolare. È un ristorante molto lussuoso, dove siamo state una sera, per puro sfizio, io, Alice e Grace.
Si mangia italiano, e la frutta strana di Alice è un vassoio enorme di frutta, ghiaccio e gelato, molto bella da vedere e buonissima da mangiare.
“Va bene ok, metteremo mano al portafoglio!” acconsento felice: adoro quel posto!
Finisco di vestire Alice, che vola disotto da suo padre e vado a cambiarmi.
Mentre mi vesto sorrido fra me: oggi per Alice è una giornata importante e meravigliosa.
Nel giro di poche ore ha riavuto suo padre e  ha ottenuto una famiglia.
Mi siedo sul letto, mentre infilo le scarpe. Sospiro piano: una nuova vita per entrambe. Ed è qui il bello! Sento il cuore martellare sotto il ricordo del dolore che ho provato in quei quattro anni.
Non è facile lasciarmelo alle spalle, ma la parte prevalente di me vuole riavere la vita tanto sognata e desiderata.
Voglio la mia famiglia come l’ho sempre immaginata in tutto quel tempo. Voglio vedere mia figlia felice perché i suoi genitori sono insieme.
E, per quanto mi costi ancora ammetterlo, voglio tornare a innamorarmi di lui. Lo rivoglio, tanto quanto l’ho desiderato quattro anni fa. Non importa quanto tempo ci vorrà, ma voglio che le cose tornino al loro giusto posto.
Sospiro nuovamente facendomi coraggio.
Scendo le scale raggiungendo la cucina, dove Alice sta facendo vedere a Jane un album pieno di nostre foto.
Li guardo sorridendo: non mi sembra vero che sia qui, e invece c’è sul serio!
Mi siedo accanto a loro.
“Che fate?” chiedo sorridendo a entrambi.
Lui si ferma a guardarmi con un sorriso dolce. Si, anche lui non crede di essere veramente qui, ed è felice di esserci.
“Faccio vedere a papà le nostre foto” risponde Alice con un sorrisone.
Gli fa un resoconto dettagliato di ogni foto: dove eravamo, quando e perché.
Jane ascolta interessato e fa mille domande. Io sorrido guardando quei ricordi, che mi sembrano così lontani.
C’è una foto bellissima, scattata al  CBI: ci siamo io, Grace, Alice, Rigsby, Cho e la Hightower.
Alice tiene in mano un paio di manette e il mio distintivo.
“e qui Alice ha deciso di diventare un’agente!” esclamo indicandola.
“Prenderò tutti i cattivi della California!” esclama Alice fiera del suo futuro lavoro.
Ridiamo insieme della sua ambizione.
Mi alzo sorridendole “Da qui a quando dovrai decidere avremo tempo di pensarci. Ora andiamo a mangiare!”
Alice scende con un balzo dalla sedia, prende per mano me e Jane e ci tira verso la porta.
“Muovetevi!” ci dice ridendo.
Le sorridiamo insieme e usciamo tutti e tre mano nella mano verso la macchina.
 
Siamo al ristorante. Mangiamo e chiacchieriamo tutti insieme. Chi ci guarda vede una famiglia che sembra essere unita da tempo. Invece siamo insieme solo da poche ore.
Alice sorride spesso a Jane. Si guardano a lungo, occhi negli occhi. Forse lei è ancora piccola, ma scommetto che sta facendo la stessa cosa che fa suo padre: guardare nella sua mente!
Prendo con la forchetta una fragola dal piatto della frutta  e la mangio sorridendo, fissando la tovaglia. Alice sta raccontando cosa faranno alla festa dell’asilo.
“E la mamma farà la torta alla crema, vero?” chiede Alice.
Mi risveglio sentendomi menzionata “Si è vero!” rispondo con un sorriso.
Jane sposta spesso lo sguardo su di me. Lo so che sta cercando di capire cosa provo in questo momento, ma i miei sentimenti sono palesi: sono felice di essere qui con mia figlia e suo padre, felice che le cose possono tornare finalmente alla normalità.
Ricambio lo sguardo sorridendogli.
Alice appoggia la testa al braccio che ha sul tavolo.
Io la prendo in giro “Ma come, non mi dire che sei stanca?” le chiedo.
Lei mi sorride “Un pochettino”
Jane ci guarda entrambe sorridendo “Allora andiamo a casa fanciulle!” si alza porgendomi la mano con un sorriso.
Mi era mancato così tanto quel sorriso! Prendo la sua mano e mi alzo, girando attorno al tavolo per prendere Alice.
“Vuoi camminare o stare in braccio?” le chiedo.
“In braccio” bofonchia lei alzando le braccia verso di me. La prendo in braccio sorridendo.
Usciamo dal ristorante e Alice si è già addormentata, prima ancora di toccare il seggiolino della macchina.
 
Quando arriviamo a casa Jane apre la porta, perché io ho ancora Alice in braccio.
Entriamo silenziosamente per non svegliarla.
“Posso farlo io?” mi chiede sussurrando e allungando le braccia.
Gli sorrido capendo la sua domanda.
Delicatamente lascio Alice fra le sue braccia e gli indico la sua stanza.
Mi lascio cadere sul divano e chiudo gli occhi sorridendo.
 
Jane
 
Entro piano nella sua stanza, appoggiandola sul suo lettino.
Le infilo il piccolo pigiama, e la metto sotto le coperte. È bellissima anche quando dorme. A occhi chiusi mi assomiglia ancora di più.
Rimango seduto per terra a guardarla per qualche secondo. Non avrei mai pensato che un giorno sarei stato padre di nuovo. E invece ho scoperto di amare Alice tanto quanto amavo Charlotte.
È impossibile fare paragoni fra loro due, perché non ci sono. Lei è mia figlia, Charlotte lo era, e lo resterà sempre nel mio cuore. Come ho amato Angela, e ora amo Teresa. Sempre senza nessun paragone.
Mi alzo piano e le do un bacio sulla fronte. Mi giro e sto per uscire quando lei si sveglia
“Papà?” mi chiama sussurrando.
Torno vicino a lei “dimmi tesoro”
Lei mi sorride “Quando mi sveglierò domani mattina tu sarai qui vero?”
Le sorrido dandole un altro bacio sulla fronte “Certo che sarò qui!” le rispondo.
“Buona notte papà!” mi dice chiudendo gli occhi e sorridendo contenta. Le ho regalato la certezza che da domani avrà suo padre sempre con sé.
“Notte piccola mia”
Esco e chiudo la porta senza fare rumore.
Scendo disotto e vedo che Teresa si è addormentata sul divano. Sorrido a quell’immagine. Nel sonno sembra più rilassata, non c’è niente che la terrorizza. Sa che sono qui, e questo tanto basta a farla stare bene.
Mi siedo accanto a lei, svegliandola. Apre gli occhi e mi sorride.
“Scusa non volevo svegliarti” le dico piano.
Lei alza le spalle “Non importa tranquillo”
“Domani mattina passo a prendervi io, ho promesso a Alice che ci sarò! A che ora va all’asilo?” chiedo per organizzarmi.
“Di solito la passa a prendere Anna, la baby-sitter, verso le 8, poi io vado al CBI” risponde sbadigliando.
“Ok ci sarò prima, porto le ciambelle!” le sorrido e mi alzo.
Lei mi ferma prendendomi la mano
“Patrick ma tu dove stai?” mi chiede curiosa.
“In un motel non lontano da qui, è carino!” commento con un sorriso.
Lei sbuffa e alza gli occhi al cielo. Si alza in piedi, e io mi allontano verso la porta.
“Ma dove vai?” mi chiede sospirando esasperata.
La fisso perplesso “Dove vuoi che vada?” chiedo retorico.
“Resta qui, non ti faccio dormire in un motel!” commenta stiracchiandosi la schiena.
“Ti va bene il divano?” chiede girandosi verso di me.
La fisso con un sorriso “Vuoi che resti qui?” chiedo dubbioso.
“Sei sicuro che il viaggio non ti abbia tolto le capacità? Certo, che domande fai?” chiede sorpresa prendendomi in giro.
Le sorrido grato “Grazie, il divano andrà benissimo”.
Lei mi sorride e prende delle coperte e un cuscino da un armadietto, e le appoggia sul divano. Mi avvicino e la abbraccio per l’ennesima volta in quella giornata.
Lei si rilassa ricambiando l’abbraccio. Restiamo così per un tempo infinito.  Non mi rendo conto del tempo che passa, ma solo del fatto che lei è di nuovo vicina a me.
Le accarezzo i capelli
“Buona notte Teresa” le dico guardandola negli occhi e dandole un bacio sulla guancia.
Lei mi sorride “Buona notte”
Scioglie l’abbraccio, stringendo ancora un po’ la mia mano, poi sorridendo sale le scale.
Sento la sua porta chiudersi dopo pochi secondi. Mi lascio cadere sul divano esausto.
Chiudo gli occhi sentendo il sonno farsi strada nella mia mente.
Respiro il profumo delle coperte in cui anche lei deve aver dormito: sanno di lei, del suo magnifico profumo, che mi culla meglio di una ninna nanna, e mi fa addormentare serenamente, senza incubi né dolore.
 
Dice l’autrice:
iniziano i momenti Jisbon, lo annuncio ufficialmente! Comincia l’avventura : )
piccolo spoiler prossimo capitolo:  dico già che il prossimo capitolo sarà un salto indietro nel tempo..punto non dico altro : )
 A parte questo , spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto!!
Aspetto con ansia i vostri commenti e recensioni, che fanno sempre tanto piacere!!
A prestissimo
Un bacione :)
Giada
 
Ps: ringrazio veramente di cuore tutte le magnifiche persone che mi seguono e recensiscono con tanta pazienza i capitoli: grazie : )!!

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Capitolo 6
*** capitolo 5- before Alice ***


 
CAPITOLO 5- BEFORE ALICE
 
 
Teresa
 
Siamo davanti alla prigione federale. Ancora mi tremano le gambe per la scarica di adrenalina che ho subito nell’arco di pochi minuti, meno di tre ore fa.
Si , perché meno di tre ore fa ho ucciso Kristina che mi ha puntato una pistola contro e ha sparato a Jane, colpendolo di striscio alla spalla, per difendere John. Poco dopo John il Rosso era in manette, Jane su un’ambulanza, e tutti gli altri intorno a me a guardare con disprezzo quel mostro.
Esito davanti alla prigione.
Jane è in macchina con me e fissa il finestrino, ma senza guardare realmente ciò che ha davanti.
Siamo fermi nel parcheggio in silenzio, aspettando di capire cosa fare. È lui che deve decidere, non io.
“Parti” dice Jane, con voce spenta.
“Patrick, non ti impedirò di fare ciò che vuoi, ma ascolta il mio consiglio” gli chiedo piano.
Lui si volta a guardarmi, e prendo il silenzio per consenso
“è l’ultima occasione che hai per parlagli. Verrà giustiziato entro tre o quattro mesi, e se non lo fai ora non lo farai mai più” mi spiego
Lui scuote lentamente la testa “Non ho niente da dirgli” risponde tornando a guardare fuori dal finestrino.
Poi si volta, ritornando a guardarmi.
“Andiamo?” insiste.
Sospiro, capendo i suoi sentimenti e metto in moto. Non voglio costringerlo. Immagino che per lui questa sia la scelta migliore da prendere.
Poco più di mezz’ora dopo siamo a Sacramento. Jane non ha mai staccato lo sguardo dal finestrino. Siamo rimasti in totale silenzio tutto il tempo.
Mi fermo nel parcheggio del CBI dove ha lasciato la macchina. Spengo il motore e mi giro a guardarlo.
“Lo so che ce l’hai con me” dico piano, sapendo benissimo che ho ragione.
Lui mi fissa come se fossi pazza “Perché dovrei essere arrabbiato con te?” chiede stupito, senza però variare di troppo la maschera di dolore che porta.
“Vorresti che io avessi premuto il grilletto, avevo l’occasione giusta. Vorresti che gli avessi sparato dopo aver sistemato Kristina, ma io non l’ho fatto. Non era armato, legalmente non avrei potuto, ma se avesse avuto in mano una pistola, un coltello o un’arma qualsiasi lo avrei fatto. Voglio che tu sappia che non avrei esitato un solo secondo, e che ho dovuto lottare con me stessa per non sparargli a bruciapelo. L’avrei fatto per te, perché io me la sarei cavata comunque, ma avrei rinnegato ogni cosa che ti ho detto in tutti questi anni. Non so se può farti stare meglio, ma questa è la verità” concludo, continuando a guardarlo negli occhi.
Per un attimo la sua maschera di dolore crolla, facendolo sorridere un po’, anche se di un sorriso triste.
“Grazie Teresa! Immagino siano amici sinceri quelli che ucciderebbero il tuo peggior nemico al posto tuo, per non farti andare in prigione”
Sorrido dolcemente, prendendogli la mano “Immagino di si” rispondo.
Restiamo in silenzio per qualche minuto, persi ognuno nei propri pensieri.
“Ti va di farmi compagnia stasera?” mi chiede all’improvviso “non mi va di stare da solo”
Gli sorrido piano “Certo che mi va”
Lui mi sorride e esce dalla macchina.
Sta per parlare, ma io lo fermo “Quando vuoi, sai dove trovarmi” gli sorrido.
Lui annuisce sorridendomi, senza rispondere, e va verso la sua macchina.
Metto in moto e torno a casa.
Ho bisogno anche io di compagnia, della sua compagnia, altrimenti rischio di cedere sotto il peso di tutti gli avvenimenti di quella giornata.
Non gli ho mentito, avrei davvero premuto il grilletto se avessi potuto. L’avrei fatto solo per risparmiargli tutto il dolore che avrebbe subito in seguito alla sua folle vendetta.
Invece, non so come, Jane non ha fatto una piega. È rimasto immobile a guardarlo, gli ha dato un pugno dopo qualche secondo, con la tacita approvazione di tutti, ed è salito sull’ambulanza per farsi medicare la ferita alla spalla.
Non gli ha detto niente. È rimasto in silenzio per tutto il tempo anche con me.
Mi aspettavo qualunque reazione, ma non questa! Mi ha sorpresa.
Entro dentro casa e filo subito sotto la doccia.
Cerco di rilassarmi, perché questa sera dovrò far fronte anche al suo dolore, e non sarà facile. Ma lo faccio volentieri..
Perché lo amo. Mi sono resa conto di amarlo, ma sono rimasta in silenzio, perché la situazione è troppo complicata. Non posso dirglielo, soprattutto in questo momento. Ma posso prendermi cura di lui, e fare in modo che stia bene.
Negli ultimi mesi ci eravamo avvicinati molto di più. Il nostro rapporto stava cambiando, ma per tacito accordo nessuno dei due ha fatto il passo successivo.
Gli sguardi erano diventati più intensi, le risate più spontanee e sincere. A volte passavo la serata in ufficio a lavorare, seduta sul suo divano con lui, che restava per tenermi compagnia.
A volte passeggiavamo mano nella mano senza nemmeno rendercene conto.
Il giorno dell’anniversario della morte di mia madre mi aveva fatto una sorpresa: mi ha portata al luna-park, dopo il lavoro, e ha addirittura fatto in modo che la ruota panoramica fosse tutta per noi, bloccata in cima.
Siamo rimasti lassù per quasi un’ora a guardare il panorama, e a chiacchierare.
Gli ho raccontato di mia madre, di mio padre e dei suoi problemi, dei miei fratelli e della mia vita distrutta dalla responsabilità di crescerli e proteggerli da un padre alcolista.
Era quasi successo. Ci siamo quasi baciati, ma poi siamo stati interrotti dal proprietario della ruota.
Da quella volta ho deciso di tirare il freno, anche se di poco.
Non volevo mettergli fretta, capivo quanto dovesse essere difficile. E ora che l’incubo è finito mi rendo conto di quanto ci metterà a rimettere insieme i pezzi della sua vita.
Io sarò lì con lui, qualunque cosa accadrà.
Ci sarò sempre per lui, qualunque sia il nostro destino.
 
 
Dopo circa due ore il campanello suona.
Mi alzo e vado ad aprire, trovandomi di fronte Jane, con una cera decisamente migliore di quella di oggi pomeriggio. Gli sorrido lasciandolo entrare.
“Tutto bene?” mi chiede sorridendomi. Non è ancora un sorriso tipico del suo volto, ma è già un inizio.
“Certo. Tu come stai?” gli chiedo apprensiva, accarezzandogli una spalla.
Lui mi sorride di nuovo “Meglio”
“Vieni” gli dico, accompagnandolo in salotto.
Ci sediamo tranquilli sul divano, la tv accesa, ma non la ascoltiamo.
“Sono andato al cimitero, dopo che mi hai lasciato” mi dice tranquillo.
Resto in silenzio, lasciando a lui il discorso, senza invadere il suo spazio personale.
“Ho lasciato dei fiori. Sono stato lì un po’, ma..” esita guardandosi le mani “non riuscivo a stare tranquillo. Sentivo che qualcosa era sbagliato. Ci ho riflettuto e ho capito. Avrei dovuto ascoltarti” alza la testa sorridendomi “ho fatto marcia indietro e sono andato alla prigione”
Esito, incerta se chiederglielo. Capisco benissimo il suo dolore.
Prendo un bel sospiro “Cos’è successo?” chiedo con delicatezza.
Lui sospira, il suo volto torna a contrarsi, come quando stava in silenzio davanti a lui questa mattina,
“Ci siamo guardati per svariati minuti, poi lui mi ha detto che ero un fallito, che non avrei mai ottenuto niente dalla vita. Mi ha detto che ciò di cui sono capace è stato solo la rovina della mia famiglia, e che non potrò mai tornare ad essere felice, perché anche se lui ora morirà, la mia famiglia non tornerà indietro” racconta.
Rimango senza fiato “E..e tu cosa gli hai detto?”
Lui fa un mezzo sorriso “Che doveva andare all’inferno” risponde tranquillo.
Sorrido sollevata dalla sua reazione pacifica, e mi rilasso.
“Credo che abbia ragione” confessa tornando ad oscurarsi.
Rimango di sasso “Che diavolo stai dicendo?” chiedo improvvisamente arrabbiata.
Lui si volta a guardarmi senza reagire veramente “Sono solo un fallito. Tutto ciò che ho fatto nella mia vita ha causato dolore a qualcuno, ed è costato la vita stessa di mia moglie e mia figlia” risponde sempre tranquillo.
Scatto in piedi, come se una ago mi avesse punto improvvisamente il braccio.
“Tu ti rendi conto delle cazzate che stai dicendo?” chiedo sbalordita e infuriata.
Lui ride sarcastico e si alza piazzandosi di fronte a me “Vorresti dirmi che non è vero? Vuoi che ti porti al cimitero, per farti realizzare che loro sono morte per colpa mia?” chiede ironico, ma più nervoso di prima.
“Non sto parlando di loro, sto parlando di te!” gli punto il dito contro “tu non sei un fallito. Se quel mostro bastardo è dietro le sbarre è solo merito tuo! Hai fatto tante cose belle Jane. Ogni criminale che prendi equivale a una vita salvata in più, o forse anche più di una! E hai preso John! Pagherà per ciò che ha fatto, hai avuto la tua vendetta!”
“Ma loro non torneranno comunque indietro!” replica tornando alla sua maschera di dolore
“Jane questo l’hai sempre saputo, quello che non hai capito è che se continui a distruggerti l’esistenza in questo modo non le riporterai indietro comunque!” esclamo.
“Sono morte per causa mia, è così sbagliato sentirsi in colpa?” chiede sarcastico.
“Si, Jane, è sbagliato!” replico infuriata per la sua testardaggine “perché non è così che loro vogliono essere ricordate! Finché John era libero potevo capirlo, ma ora basta: devi vivere Patrick, devi ricordarle nel modo giusto, senza rancore, senza rabbia e senza dolore. Devi portarle nel tuo cuore con il giusto sentimento, smettendo di sentirti in colpa. Loro sono morte, ma tu sei vivo, e sicuramente loro non vogliono vederti così, perché questa non è vita! Permetti a John di distruggerti anche dietro le sbarre, e oltre la morte quando lo giustizieranno!”
Mi fissa immobile, nei suoi occhi non c’è più rabbia, ma solo dolore.
“La sera prima che mia madre morisse io e lei avevamo litigato” confesso all’improvviso, mentre il dolore del ricordo prende il posto della rabbia.
Lui continua a guardarmi, triste perché sa cosa sto per dirgli, e sa il dolore che provo nel raccontarglielo, ma lo faccio comunque.
“La mattina dopo corsi subito da lei a chiederle scusa, perché era stata tutta colpa mia. Lei mi consolò dicendomi che il senso di colpa è stupido, perché capire i propri errori e saper rimediare è un segno di forza, che non ha nulla a che fare con il senso di colpa. Starsene con le mani in mano a crogiolarsi nella propria angoscia non porta da nessuna parte. Capisci il tuo errore e fai la cosa giusta. Mi disse questo, e quella sera stessa morì per colpa di un pazzo ubriaco. Me l’hanno portata via nel momento in cui avevo più bisogno di lei. E non passa giorno in cui non pensi che se non fosse uscita di casa quella sera, mi avrebbe vista crescere. Ecco perché cerco di fare sempre la cosa giusta, ed ecco perché ho cresciuto i miei fratelli con la stessa etica: non bisogna piangersi addosso, bisogna reagire e dimostrare di vivere veramente questa vita e di viverla per uno scopo. Tutte le persone accanto a te devono volerti bene ogni giorno, perché la vita non è facile, e tutto può accadere in un istante” una lacrima mi scivola dagli occhi mentre i ricordi mi affollano la mente.
“Non importa quale sia la tua ragione di vita Patrick, ma devi trovare la forza di vivere. Devi dimostrare a quel mostro che tu hai ancora la forza di andare avanti. Devi dimostrare a tua moglie e tua figlia che fai buon uso del dono che a loro è stato tolto. Perché se potessi parlare con mia madre, la prima cosa che le direi è che le voglio bene, che ringrazio di essere viva e che mai e poi mai farò in modo di tradire la sua memoria non apprezzando ciò che mi è stato donato” chiudo gli occhi, scossa da un’improvvisa fitta di dolore al ricordo di mia madre.
Sento le sue braccia avvolgermi. Mi stringo forte al suo corpo, lasciando andare la scarica di emozioni che mi attraversano.
Le lacrime scendono rapidamente lungo le mie guance. Dovevo dirglielo, dovevo fargli capire quanto sia importante la sua vita.
“Non so se ci riesco” confessa, la sua voce rotta. Sta piangendo anche lui.
Mi sciolgo dall’abbraccio restandogli vicina, lo guardo negli occhi, prendendogli il viso con le mani.
Ogni dolore e ogni lacrima che aveva cercato di trattenere erano venuti alla luce. Davanti a me non avevo più il Patrick Jane nascosto dalle mille maschere che portava, ma quello vero. Il vero uomo che viveva sotto quelle identità. La vera persona che soffriva e aveva paura di riprendersi la sua vita.
Gli accarezzo la guancia, asciugando le lacrime.
“Devi farcela” sussurro con un piccolo sorriso.
“Devi aiutarmi” risponde scuotendo leggermente la testa fra le mie mani.
“Io sono qui, non vado da nessuna parte” gli rispondo sincera.
Non l’avrei mai abbandonato, a qualunque costo.
Lascia andare la testa sulla mia spalla, sfogando tutto il dolore che aveva racchiuso. Lo stringo forte per tranquillizzarlo. Passo una mano fra i suoi capelli, accarezzandoli dolcemente.
Restiamo così per qualche minuto, in silenzio, a cercare e dare conforto.
Lui alza la testa dalla mia spalla, stringendomi di nuovo fra le sue braccia.
“Ti amo” dice all’improvviso.
Il respiro mi si ferma in gola, e per un momento credo di averlo solo immaginato.
Mi scosto guardandolo dritto negli occhi
“Ti amo” ripete “mi dispiace solo di non avertelo detto prima, perché forse ora le cose sarebbero diverse, ma ti amo. La mia vita è un disastro, e l’unica ragione che ho per apprezzarla sei tu” mi confessa.
Sorrido incapace di trovare una giusta risposta, rapita da un’emozione forte mai provata in vita mia.
Ci avviciniamo insieme e le nostre labbra si toccano, dando vita a un bacio meraviglioso e intenso che grida ogni singolo sentimento che ci unisce.
Le sue mani mi accarezzano, stringendomi più forte al suo corpo.
La mia mente smette di lavorare, e si lascia andare a quella scarica di emozioni improvvise e totalmente inaspettate.
Mi lascio trascinare nel vortice, senza paura. Lascio che ogni cosa che non sia lui si oscuri.
Mi perdo nel suo bacio, dimenticando persino tutto quello che ci aveva portato proprio lì.
 
Jane
 
È mattina presto, ma io sono già sveglio. Teresa dorme ancora, fra le mie braccia. La sento respirare dolcemente.
Fisso il soffitto mentre mi perdo nei miei pensieri.
Ieri sera il vortice di emozioni scatenato dagli eventi mi aveva portato a dirle la verità. Sapevo che anche lei mi amava, lo avevo capito tempo fa. Eppure ho apprezzato la sua scelta di lasciarmi spazio e tempo. È stato un gesto davvero bello.
Abbiamo passato la notte insieme, la notte migliore della mia vita, da quando l’incubo era cominciato.
La amo, eppure..c’è qualcosa che non va. Mi sento strano e vuoto, come se avessi sbagliato qualcosa.
Sento Teresa risvegliarsi e smetto di pensare.
“Buongiorno” le dico con un sorriso.
Lei mi sorride “da quanto sei sveglio?” mi chiede
“Da un po’” rispondo.
Lei si china a baciarmi, e improvvisamente mi dimentico tutto quello a cui stavo pensando.
Ricado nello stesso vortice in cui ero caduto la sera prima, e tutto mi sembra nuovamente perfetto.
 
Teresa
 
Esco dal CBI più tardi del previsto.
Sapevo che sarebbe stata una giornata complicata. Abbiamo chiuso il caso di John il Rosso, quindi questo significava conferenza stampa, carte burocratiche infinite, telefonate da amici e parenti delle vittime per i ringraziamenti.
E tutti i superiori che chiedevano di incontrare Jane, che ovviamente  non è venuto al lavoro.
Gli ho detto io di stare a casa, sapevo che per lui la giornata sarebbe stata peggiore della nostra.
Parcheggio l’auto davanti a casa e lo vedo seduto sul gradino della mia porta.
Sorrido mentre vado verso di lui. Quello che è successo ieri sera è stato magnifico, e non lo rimpiango. Ma nei suoi occhi rivedo lo stesso dolore che lo ha accompagnato nei giorni prima della cattura.
Ho paura che sia stato troppo affrettato e forse è giunto il momento di parlarne.
“Ma come, non hai trovato la chiave?” lo prendo in giro.
Lui mi sorride allegro “L’ho trovata, ma volevo fare il bravo e aspettarti!”
Rido “Non c’è nessuna chiave!” puntualizzo.
“Lo so, ti ho mentito” mi sorride.
Alzo gli occhi al cielo sorridendo e apro la porta facendolo entrare.
Andiamo in cucina e ci sediamo al tavolo. Non so perché, ma nel mio stomaco di forma uno strano nodo che mi fa tremare. Non mi piace il suo sguardo.
“Devo dirti una cosa” mi dice alzando lo sguardo dal tavolo. La sua espressione è molto seria, e anche un po’ triste.
Il nodo allo stomaco si stringe, reagendo ai suoi occhi.
“Dimmi” rispondo cercando di non far tremare la voce.
“Io..” esita tornando a fissare il tavolo. Non l’ho mai visto così in difficoltà
“Io non sto bene” dice tutto d’un fiato alzando gli occhi poco dopo.
Lo fisso perplessa senza capire, e lui, capendo il mio sguardo, si spiega.
“Non so cosa mi sia preso, ma mi sento confuso e vuoto. Sto cercando di capire cosa mi renda così, ma non lo capisco. Ieri sera..” esita di nuovo.
Il nodo nel mio stomaco si stringe ancora di più.
“Non è stato un errore, ma..forse, è stato affrettato” torna a guardarmi e nei suoi occhi vedo solo sincerità “questo non cambia quello che provo per te. Ti amo comunque, qualsiasi siano gli errori che ho commesso”
Il nodo si allenta un po’, facendomi sentire molto meglio. Ma non bene..
“Possiamo tornare indietro, se è quello che vuoi” propongo tornando a respirare.
“Non ti piacerà..” mi avvisa tornando alla sua espressione dolorosa.
“Che cosa?” chiedo perplessa. Ma ho come l’impressione di non volerlo sapere.
“Quello che sto per dirti” risponde. Si alza in piedi e mi prende per mano, alzando anche me e abbracciandomi.
Poi lui parla senza sciogliere l’abbraccio.
“Devo andarmene” mi sussurra all’orecchio.
Il cuore si ferma a metà battito, il respiro rimane nei polmoni. La mia mente si svuota.
“Devo andarmene da Sacramento, devo rimanere da solo per un po’. Ho bisogno di rimettere a posto i pezzi della mia vita, e ho bisogno di tempo. Non è una spiegazione valida da darti, ma spero possa bastare per aspettarmi. Non so quando tornerò, ma so che lo farò. Tornerò da te, perché ti amo. Ti chiedo solo di darmi una possibilità, di potermi perdonare un giorno. So cosa sto per fare, e so che ti farà male, ma lo devo fare. Ne ho bisogno, o rischio di perdere il controllo e danneggiarti ancora di più”.
Non sento niente. Il cuore è fermo..la mente è spenta.
Il nodo allo stomaco si rompe sotto il peso del dolore che comincia a farsi strada attraverso ogni cellula.
Si scosta da me, guardandomi negli occhi.
Improvvisamente mi rendo conto di quello che sta succedendo, scuoto la testa, mentre sento una voragine aprirsi dove prima c’era il mio cuore.
I suoi occhi capiscono, e lasciano andare una lacrima in risposta.
Si avvicina a me e mi bacia dolcemente, talmente tanto che per un momento dimentico il perché di quel bacio.
“Mi dispiace” mi sussurra sulle labbra.
Sento le sue mani allontanare le mie dai suoi fianchi. Uso l’ultima forza rimasta per riabbracciarlo di nuovo, mentre con una voce che non sembra nemmeno mia glielo dico
“Non andare via, ti prego”
“Ti amo” è tutto ciò che mi dice.
Un secondo prima era lì ad abbracciarmi. Il secondo dopo mi allontana e se ne va. nei suoi occhi vedo solo il dolore di quella scelta, forse il riflesso del mio dolore.
Improvvisamente non sento più le gambe, mi appoggio appena in tempo al tavolo crollando sulla sedia sotto il peso del dolore.
Appoggio la testa sul tavolo e scoppio a piangere, capendo solo ora cos’è veramente successo.
 
Dopo quelle che mi sembrano ore sento il telefono squillare.
Lo prendo meccanicamente e rispondo
“Pronto?” la mia voce, rotta dal pianto quasi ininterrotto fino a pochi minuti fa, è bassa e roca.
“Capo sono Van Pelt” risponde Grace con una leggera nota d’ansia.
“Ciao, dimmi” cerco di schiarirmi la voce e riprendermi.
“Volevo  dirti che..posso venire un attimo da te?” chiede preoccupata.
“Ok” rispondo e riattacco.
 
Dopo circa mezz’ora Grace è seduta di fronte a me.
“L’ha detto a Cho per telefono, pensavo scherzasse” ammette asciugandosi una lacrima fuggitiva.
“Faceva sul serio a quanto a pare” rispondo sentendo il cuore spezzarsi per l’ennesima volta dopo che lui.. Scuoto la testa cercando di ricompormi, ma mi sembra un gesto impossibile.
Grace mi prende la mano
“Vuoi che resti con te stanotte?” mi chiede preoccupata.
Scuoto la testa, cercando si sorriderle “sto bene”
Lei annuisce e si alza.
Mi alzo anche io e Grace mi abbraccia.
“Se hai bisogno di qualunque cosa chiamami” mi dice piano.
Annuisco “Grazie Grace”
“Figurati”
Esca da casa mia e io vado di sopra, mi getto sul letto e chiudo gli occhi.
Il cuore si trasforma in blocchi di ghiaccio, il sangue smette di fluire rapidamente, come se fosse molto più denso e faticasse a scorrere. La testa pulsa e il respiro diventa pesante.
Sono i sintomi di un dolore con cui dovrò convivere.
Mi lascio sprofondare in un buco nero, non so se sia il sonno o qualcos’altro, ma mi lascio  andare.
Tutto diventa un incubo, e io vorrei solo svegliarmi..
 
Il giorno dopo..
 
Sono a letto, penso di non essermi mai alzata.
Rimango sotto le coperte, al buio, cercando di dormire. Mi sono accorta che se dormo non sento niente, quindi voglio dormire così non posso pensare.
Posso perdermi senza soffrire..
 
Non so quando..
 
Sono sul divano, non so nemmeno da quanto e come ci sono arrivata.
Grace è seduta di fianco a me, mi tiene la mano.
Sento freddo..
Il cuore è freddo..
E tutto è buio..
 
Risalita
 
Sono al CBI.
Sono tornata al lavoro stamattina, dopo una settimana di congedo temporaneo.
La Hightower è stata informata da parte di Grace che non stavo bene e che avevo bisogno di stare a casa.
Lei ha capito che la cosa aveva a che fare con un’altra persona che una settimana fa ha lasciato il suo cartellino sulla sua scrivania con la lettera di dimissioni, e un biglietto di scuse.
Sono seduta alla mia scrivania e sto cercando di cominciare a smaltire il lavoro che si è accumulato in mia assenza.
Ma ogni cosa mi ricorda lui..ogni cosa mi ricorda che lui era qui e che ora non c’è più..
 
Ricaduta
 
Lo vedo ovunque.
Nei miei sogni, nei miei ricordi.
Vedo sempre il suo sorriso davanti a me.
I suoi occhi azzurri mi guardano anche se non ci sono realmente.
E ogni volta tutto diventa buio, e io crollo di nuovo, perché non c’è niente che può tenermi in piedi ora.
Non ho nessuna ragione che mi aiuti a farlo.
Lui non c’è..
 
 
Silenzio
 
Ho esaurito ogni sfogo, e ogni lacrima. Ormai la verità è arrivata.
Sono seduta nel corridoio dell’ospedale, Grace mi tiene la mano.
All’improvviso comprendo.
“Grace” dico piano.
“Si?” chiede lei.
“Mi aiuterai vero?” chiedo guardandola.
“Certo che ti aiuterò” mi sorride.
Annuisco piano e sfioro la pancia con la mano.
Cala il silenzio fra noi due, e nella mia mente. È così piacevole il silenzio.
Sospiro piano. Una nuova vita sta crescendo dentro di me, e io la proteggerò.
Qualunque sia il prezzo che dovrò pagare.
“Tornerà” dice Grace sicura.
Annuisco senza rispondere.
Cerco di nuovo il silenzio, perché mi fa stare bene. Spegne le voci nella mia testa..
Tornerà..
 
 
 
DICE L’AUTRICE:
lo so questo capitolo è triste, ma tranquille, era l’ultimo della fase “tristezza”.
D’ora in poi si va avanti con i momenti felici!
Spero vi sia comunque piaciuto! Volevo descrivere cosa succedeva dopo la cattura di John e farvi vedere cosa era successo fra loro due!
Non ho dato un’identità a John, l’ho lasciato ignoto (o comunque a vostra libera scelta), ma ho inserito la Kristina che odio tanto nel team dei cattivi muahahaah!!
Ringrazio come sempre le tantissime donzelle che hanno recensito e tutti quelli che mi stanno seguendo e sostenendo!! Grazie davvero : )
Un bacione!!
Giada

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Capitolo 7
*** capitolo 6- children always understand ***



 
 
CAPITOLO 6- CHILDREN ALWAYS UNDERSTAND
 
 
Alice
 
Io e papà siamo acquattati davanti alla porta della mamma.
Stamattina è venuto lui a svegliarmi, un po’ prima del solito, per fare uno scherzo alla mamma.
Ci guardiamo negli occhi con un sorriso, in silenzio.
Poi contiamo insieme con le dita: 1,2,3
Papà spalanca la porta e corriamo tutti e due a raffica verso il letto urlando, cadendo addosso alla mamma, facendola svegliare di soprassalto e spaventandola anche un po’.
Poi insieme le facciamo il solletico, mentre lei ride e ci prega di smetterla.
“Va bene, va bene, ho capito, buongiorno anche a voi” ci dice ridendo.
Lei si solleva sedendosi e io mi lancio subito fra le sue braccia.
“L’idea è stata di papà” le confesso.
Lei ride alzando le sopracciglia e girandosi verso di lui “Non l’avrei mai detto!”
Lui ride e la abbraccia, stringendo anche me. Adoro i nostri abbracci di famiglia. Mi fanno capire che ora siamo una vera famiglia, e che papà è qui con noi!
Poi ci da un bacio sulla guancia a tutte e due.
“Chi ha fame?” chiede con un sorriso.
Io mi lancio su di lui ridendo “Io ho fame!” esclamo.
“Allora via, si va a fare colazione!” annuncia papà, caricandomi sulle spalle.
“Forza mamma sbrigati!” le dico mentre vedo che si alza lentamente dal letto.
“è vero muoviti pigrona, sei in ritardo sulla tabella di marcia della famiglia Jane” dice papà sorridendole.
Lei fa quella faccia cattiva che le vedo fare ogni tanto “tabella di marcia della famiglia Jane?” chiede sarcastica “da quando hai una tabella di marcia?” chiede alzandosi e venendoci incontro.
“Da quando ho una famiglia!” risponde papà alzando le spalle.
La mamma alza gli occhi al cielo e ci segue disotto.
Mi siedo  a tavola, papà prepara la colazione mentre la mamma ne approfitta per tornare di sopra a prepararsi per il lavoro.
Quando la mamma torna disotto io sto già mangiando gli ottimi pancake di papà, e sto bevendo il mio latte.
Come fa papà a saperlo che è la colazione che preferisco? Boh..gliel’avrà detto la mamma.
La mamma si siede a tavola e papà le da la sua tazza di caffè. Si sorridono guardandosi come si guardano sempre da quando papà è tornato, ovvero solo ieri. Sembra molto più tempo.
“Lo so che siete felici di rivedervi, ma dovete sorridervi in quel modo tutte le volte?” chiedo disgustata da tutta quella dolcezza.
Mamma e papà mi guardano allibiti, poi papà sorride, mentre la mamma continua a guardarmi sbalordita.
“Lo so che sei gelosa, ma io amo anche te!” mi dice papà.
Io gli faccio la linguaccia “Non sono gelosa” ribatto subito.
“Si che lo sei!” dice papà facendo anche lui la linguaccia.
La mamma alza gli occhi al cielo.
“Va bene bambini è ora di prepararsi!” ci dice prendendoci in giro “Forza Alice sono già le otto, fra poco arriva Anna e tu sei ancora in pigiama!”
Scendo dalla sedia, facendo un’altra smorfia a papà e poi corro di sopra con la mamma, mentre lui ride.
 
 
Jane
 
Sto ancora ridendo quando suona il campanello.
“Patrick apri è la baby-sitter!” mi urla Teresa da di sopra.
Vado alla porta e la apro.
Davanti a me c’è una ragazza bionda, molto giovane e molto carina, che prima mi sorride. Poi la sua espressione diventa un misto fra dubbio e ansia.
“Sono Anna, la baby-sitter di Alice” mi dice, la voce le trema.
Sto per chiedermi il perché di tutta questa apprensione, poi ho l’illuminazione: deve avermi visto in foto, e nessuno le ha detto che sono tornato.
“Ah si, io sono chi tu pensi che io sia” le rispondo sorridendole e porgendole la mano.
“Patrick!” mi presento.
Lei mi stringe la mano con un piccolo sorriso timido.
La faccio entrare in casa e quando chiudo la porta lei si gira puntandomi il dito contro.
“Forse non dovrei intromettermi, ma voglio dirtelo lo stesso: voglio molto bene ad Alice, la considero come una sorella minore. Scappa un’altra volta, fa soffrire lei e quella donna e giuro che dovrai vedertela con me!”
Le sorrido “Consideralo un giuramento”.
Agguerrita la ragazza..
Lei mi sorride capendo che sono totalmente sincero “Lieta di conoscerti comunque!”
In quel momento arriva mia figlia urlando “Anna!!”
Le salta in braccio, mentre Anna la saluta “ciao piccola! Pronta per l’asilo?” le chiede.
Alice annuisce “Anna hai visto che è tornato papà!” sorride indicandomi.
“Si ho visto!” si sorridono “ora andiamo però che è tardissimo! Saluta mamma e papà!” le dice rimettendola a terra.
Alice corre da Teresa che scende in quel momento e la abbraccia
“Ci vediamo stasera al CBI piccola, fa la brava mi raccomando!” le dice dandole un bacio sulla guancia.
Lei annuisce, le da un bacio e corre da me.
“A stasera tesoro!” le do un bacio, lei mi sorride e mi abbraccia.
Poi prende per mano Anna e se ne vanno salutando.
“Pronto?” chiede Teresa prendendo le chiavi della macchina.
“Non molto, si ricorderanno chi sono?” chiedo ironizzando.
Teresa alza gli occhi al cielo inchiavando la porta d’ingresso, “Sarebbe difficile scordarsi” commenta sospirando.
Ci avviamo alla macchina sorridendo, ricominciando la nostra routine.
 
 
Teresa
 
 
Arriviamo poco dopo al CBI, dove tutti nel parcheggio si girano a guardarci.
Non sa nessuno del ritorno di Jane, tutti rimangono immobili a guardarlo.
Ci avviamo lungo le scale mentre Jane saluta qui e là gli agenti all’ingresso, seguito da svariati e sorpresi  “Bentornato!”
Quando arriviamo nel bullpen non ci sono più sguardi sbalorditi: molta più gente del solito occupa lo spazio fra le scrivanie, sento un colpo sonoro del tappo di una bottiglia e un coro allegro di “Bentornato Jane!”.
Jane rimane sorpreso guardando tutti i nostri colleghi radunati lì per lui.
“Ragazzi così mi fate arrossire!” commenta come suo solito.
L’atmosfera si fa più allegra, perché ora tutti si rendono conto che lui è realmente tornato.
Rigsby fa girare bicchieri di spumante e quando tutti, compresi noi, ne hanno uno, alza il proprio.
“Al nostro consulente che ci mancava così tanto e che da oggi  tornerà a rompere le scatole a tutti quanti!”
Tutti ridono e alzano il bicchiere brindando.
Mi volto verso di lui e gli sorrido “Bentornato”
“Grazie!” mi risponde sorridendo e avvicinando il suo bicchiere al mio.
“Abbiamo una piccola sorpresa!” esclama squillante Grace.
“Che sorpresa?” chiede Jane curioso.
Grace e Rigsby lo prendono per le braccia e lo portano verso il fondo della sala, dove le persone si spostano contemporaneamente, rivelando la sorpresa: il divano di Jane è tornato al suo posto circondato da un gigantesco fiocco blu.
“Cosa saresti senza il tuo divano?” chiede Cho retorico.
“Grazie ragazzi!” esclama Jane leggermente commosso.
Lentamente la gente torna al proprio lavoro, e noi cinque rimaniamo lì: siamo di nuovo tutti insieme, come se fossimo tornati indietro nel tempo.
In quel momento compare Hightower
“Scusate, mi sono persa la festa!” viene verso Jane e lo abbraccia.
“Bentornato Patrick sono contenta di riaverti al CBI!” esclama sincera.
“E io sono pronto a tornare sul campo!” esclama lui allegro.
“Vieni nel mio ufficio, così firmi il nuovo contratto e ti riprendi il tesserino” poi si volta verso di me “Vieni anche tu Lisbon!” mi dice sorridendo.
Annuisco  e vado con lei e Jane.
Mi aspettavo la chiacchierata con il capo!
Quando entriamo ci sediamo, ognuno ai rispettivi posti. Jane firma il suo pezzo di carta e si riprende il suo nuovo tesserino.
Vecchia foto, vecchio lavoro!
“Lasciatelo dire Patrick hai una figlia meravigliosa!” commenta Hightower con un sorriso.
“Merito della madre!” risponde lui sorridendomi.
Io arrossisco e ricambio il sorriso.
“Ho concesso a Lisbon un orario di lavoro più flessibile, ora che sei tornato vorrei sapere come devo gestirvi?” chiede tranquilla guardandoci.
“Potrei ritornare al vecchio orario e lasciare a lui quello più flessibile!” propongo.
Lui mi sorride “Posso arrivare più tardi al lavoro?” chiede
Alzo gli occhi al cielo “Jane arrivavi comunque allo stesso orario anche senza permesso, non fa molta differenza!”
Lui si finge indignato “Non è vero, non sempre almeno!”
Sospiro spazientita “Come vuoi!”
Hightower scoppia a ridere, mentre io la guardo sorpresa
“Vedo che la lontananza non ha cambiato la vostra routine!” commenta sorridendo.
“Irritante, tale e quale a prima!” commento, con un mezzo sorriso.
“Grazie Lisbon, sono contento! Significa che non è cambiato niente e che continueremo a prendere i cattivi esattamente come prima!” risponde sorridendomi e alzandosi in piedi.
“Che gran bella notizia per la nostra carriera!” commenta sarcastica Hightower, ma sorride.
Mi alzo salutando il capo e uscendo con lui dall’ufficio.
“Allora, andiamo?” chiede curioso.
Lo guardo perplessa “Perché dove vuoi andare?”
“Non abbiamo un caso?” chiede speranzoso.
“No, niente casi oggi!” rispondo alzando le spalle.
Lui mi fissa sbalordito “E allora cosa sono venuto a fare io?”
Sospiro alzando gli occhi al cielo, senza rispondergli. Ritorno nel bullpen dove gli altri stanno un po’ lavorando, un po’ passando il tempo.
Jane mi segue silenzioso, toglie il fiocco dal suo divano e si siede sospirando.
Lo osservo mentre chiude gli occhi sorridendo, godendosi il ritorno sul suo amato divano, nel suo posto di lavoro.
Patrick Jane, nel suo consueto tre pezzi, sul suo consueto divano. Sembra un’immagine passata, invece che presente.
Mi siedo accanto a lui, che apre gli occhi e mi sorride. Mi prende la mano e rimaniamo a guardarci felici.
Vedo una rapida occhiata di Van Pelt, e un sorriso che ora rivolge al computer.
Dopo qualche secondo mi alzo.
“Ho del lavoro da sistemare” gli spiego.
Si alza anche lui sorridendomi “Ti faccio compagnia”
Gli sorrido e andiamo insieme nel mio ufficio, come avremmo fatto quattro anni fa.
 
 
Alice
 
 
Sono all’asilo e sto giocando con Rosalie. Le ho raccontato che il mio papà è tornato e lei è stata molto contenta di saperlo.
“Quindi ora vivrete tutti insieme?” mi chiede.
Rosalie è una bambina molto bella: ha i capelli scuri, quasi come quelli della mai mamma, e ricci. Ha gli occhi verdi come i miei.
“Penso di si, ma la mamma è ancora un po’ arrabbiata secondo me” rispondo sincera.
“Quindi verrà anche il tuo papà alla festa dell’asilo!” esclama contenta.
Anche io sono contentissima che verrà. Anche il papà di Rosalie ci sarà, è per questo che siamo così felici.
“Si ci sarà!” rispondo sorridendo contenta.
Non vedo l’ora che sia il momento di andare al CBI per riabbracciarli!
 
Teresa
 
 
Sono quasi le 17. Fra poco arriverà Alice!
La giornata è stata molto tranquilla: ho svolto tutto il lavoro di ufficio in compagnia di Jane, che mi raccontava qualche aneddoto dei suoi stravaganti spostamenti in Europa.
È stato piacevole sentirlo raccontare, ma solo perché ha smesso di farmi male.
Ogni tanto sento qualche raggio di dolore che viene dal ricordo di ciò che ho vissuto. Poi ripenso al fatto che è tornato e tutto scompare, mi sento di nuovo felice e tranquilla.
Non sono riuscita a staccargli gli occhi di dosso per tutto il giorno.
Non riesco a resistere alla tentazione di guardarlo, di assaporare la sua presenza accanto a me.
Spesso gli prendo la mano senza nemmeno rendermene conto, perché non resisto alla tentazione di toccarlo, di sentire la sua pelle morbida e accarezzarla.
Ho l’impressione che sarà più facile del previsto innamorarmi di nuovo, forse perché non ho mai veramente smesso di farlo.
Né nei momenti felice, né nei momenti bui.
 
Poco dopo sento delle risate venire dal bullpen. Anche Patrick se ne accorge, e capisce che qualcuno di nostra conoscenza è arrivato.
Usciamo dal mio ufficio e andiamo insieme nel bullpen.
Alice ci corre incontro sorridendo radiosa “Mamma! Papà!”
Patrick è più veloce di me e la afferra al volo, abbracciandola. Alice lo stringe poi, quando sono vicina a lei, si sporge per venire in braccio a me. Mi bacia dolcemente la guancia.
“Ciao piccolina!” la saluto sorridendole, mentre lui si avvicina e ci abbraccia tutte e due.
Tutti gli altri ci guardano inteneriti da quella scena. La famiglia Jane al completo e di nuovo unita. Anni fa sembrava quasi un’utopia.
“Com’è andata all’asilo?” le chiedo curiosa.
“Bene, abbiamo disegnato i cartelloni per la festa di domani!” ci racconta sorridendo “Rosalie è contenta, perché ci saremo tutti quanti, e anche i nostri papà”
“Bene, sono contenta anche io” le sorrido.
“E oggi pomeriggio cosa hai fatto?” chiede Patrick sorridendole.
“Sono stata al parco con Anna, abbiamo passeggiato, abbiamo mangiato il gelato e poi Anna mi ha riportata qui, ma è dovuta andare via subito, infatti sono salita con Tommy” ci spiega sorridendo.
Tommy è molto affezionato ad Alice, come un po’ tutti al CBI. È diventata la mascotte dell’ufficio.
“Devo finire del lavoro, poi possiamo andare a casa. Aspetta qui con papà, io torno subito” le dico dandole un bacio sulla guancia.
Lei annuisce e torna in braccio a suo padre.
Voglio lasciarli un pochettino da soli, ne hanno bisogno. Torno nel mio ufficio e cerco di finire  in fretta il lavoro, per poter tornare a casa e gustarmi la serata in santa pace con la mia famiglia.
 
Quando torno nel bullpen gli altri stanno ridendo. Jane sta facendo uno dei suoi soliti spettacolini assieme a Rigsby, che è destinato a perdere come sempre. Grace tiene in braccio Alice e Cho è accanto a loro.
Mi avvicino e mi siedo affianco a Grace.
“Mamma, papà sta facendo un trucco con le carte, guarda che bravo! Sta fregando lo zio Rigsby!” esclama convinta e divertita.
Rido, mentre Rigsby si gira sbalordito verso di lei “Non è ancora detta l’ultima parola!” esclama, poco sicuro di sé però.
Infatti, come volevasi dimostrare, ha perso! Alice guarda suo padre con ammirazione. Vedo nei suoi occhi la curiosità e il desiderio di imparare e diventare brava come lui.
Patrick si gira e la prende in braccio. Si fermano a guardarsi in silenzio, sorridendosi, mentre gli altri prendono in giro Rigsby.
Mi avvicino a loro, risvegliandoli dalla loro comunicazione silenziosa. Ho come l’impressione che Jane stia insegnando a sua figlia a leggere la mente!
“Andiamo a casa?” chiedo a tutti e due con un sorriso.
“Si, io ho fame!” annuncia Alice.
Alzo gli occhi al cielo ridendo “Chi l’avrebbe detto!” la prendo in giro.
Lei mi fa la linguaccia, mentre Patrick ci sorride.
Salutiamo tutti e usciamo dal CBI.
Una volta a casa Alice annuncia di avere voglia di pizza, così ordiniamo tutto per telefono.
“Vado a farmi la doccia, pensate di riuscire a stare un po’ da soli senza combinare casini?” chiedo prendendoli in giro.
“Tranquilla mi tiene d’occhio Alice!” mi risponde Patrick prendendosi in giro da solo.
Lei sorride radiosa annuendo “Ci penso io mamma!”.
Rido della sua espressione: sembra veramente la più adulta.
Li lascio soli e mi infilo sotto la doccia.
Mentre il getto d’acqua calda mi solletica la pelle ripenso alle ultime due giornate. Patrick è tornato, Alice ha un papà, e io ho la mia famiglia.
Sorrido finalmente felice. Tempo fa non avrei mai immaginato che sarebbe accaduto davvero. Pensavo fosse impossibile, ma mi sbagliavo.
E sono veramente contenta di essermi sbagliata!
Un pensiero mi fa tremare cuore e stomaco. Ogni sentimento che provavo per lui sta tornando in superficie. Erano stati sepolti dal dolore, ma ora sono liberi di tornare.
Tutto l’amore sta tornando nel mio cuore, finalmente libero dal ghiaccio.
Sospiro felice ed esco dalla doccia per prepararmi.
Una parte, forse poco nobile, di me non vede l’ora che Alice si addormenti per rimanere sola con lui. Sono stati pochissimi i momenti in cui siamo riusciti a rimanere soli, e voglio recuperare.
Voglio rimanere con lui e godermi veramente il suo ritorno, qualunque cosa accada.
 
Quando scendo disotto, Alice e Patrick sono stesi sul pavimento. Lui si è tolto la giacca, che giace appoggiata a una sedia in cucina.
Se ne stanno lì stesi per terra con un mucchio infinito di carte davanti.
“Che combinate?” chiedo sedendomi di fianco ad Alice.
“Insegno a nostra figlia dei semplici trucchetti con le carte!” mi risponde sorridendo senza staccare gli occhi da Alice, che invece fissa le carte attenta.
Poi lei alza lo guardo sorridendomi “Sto imparando un sacco di cose, papà mi insegna anche a fregare lo zio Rigsby!” esclama entusiasta.
Sorrido e rimango a guardare tutta la spiegazione. Alice sembra capire tutto, e quando facciamo una prova, riesce persino a battermi, nonostante anche io abbia ascoltato le istruzioni di Patrick.
“Lascia perdere, tua madre è un disastro!” mi prende giro lui sorridendomi.
Lo fisso sbalordita “Come prego?” chiedo fingendomi indignata.
Gli tiro un pugno sul braccio e lui ride cercando di allontanarmi quando carico il secondo.
Alice ci guarda ridendo e tifando per me.
In quel momento suonano alla porta, deve essere il fattorino. Patrick si alza ancora ridendo e va ad aprire. Quando rientra il profumo della pizza calda invade la casa e mi fa brontolare lo stomaco.
Andiamo a sederci a tavola e apriamo le nostre pizze. Patrick si mette capotavola, e io Alice ai suoi lati.
Patrick cerca di rubarmi la salsiccia, mentre io allontano la sua forchetta con la mia.
“Se ti andava la salsiccia perché non l’hai presa anche tu?” gli chiedo ridendo.
“Perché mi andava più l’ananas! Dai solo un’altra” mi supplica con i suoi occhioni dolci tipici di quando vuole fregarmi.
Sospiro spazientita “Solo una!” lo avverto, mentre sorridendo infilza la forchetta nella mia pizza. Alice, che era rimasta silenziosa e apparentemente indifferente, approfitta della distrazione del padre per rubargli un pezzo di ananas, mentre io le faccio l’occhiolino
Patrick se ne accorge e si gira a guardarla, fingendosi  offeso e triste.
“Mi hai rubato l’ananas!” esclama imbronciandosi.
“Tu hai rubato la salsiccia alla mamma!” esclama tranquilla Alice, alzando le spalle.
Rido divertita da quella scena “Tale padre, tale figlia!”  esclamo guardandoli.
Allungo la forchetta e rubo anche io un pezzo di ananas dalla sua pizza.
Lui si volta di scatto a guardarmi, sgranando gli occhi.
“Hai rubato la salsiccia alla mamma!” mi giustifico imitando il tono spavaldo di mia figlia, che ride a crepapelle.
Improvvisamente Patrick afferra il cartone di pizza e lo avvicina a sé lontano dal tavolo.
“Via tutte e due dalla mia pizza!” esclama fingendosi offeso.
Io e Alice ridiamo e torniamo  a mangiare tranquille la nostra pizza, battendoci il cinque in mezzo al tavolo.
Fra un furto e l’altro riusciamo a finire di mangiare. Ci spostiamo sul divano e guardiamo un film tutti e tre insieme.
Alice si siede in mezzo a noi, e ci tiene tutti e due per mano. È bellissimo vederla così contenta.
Dopo nemmeno un’ora, però, si addormenta. Mi alzo sorridendo a Patrick e la prendo in braccio.
Le metto il suo piccolo pigiama e la infilo nel lettino. Dorme talmente tanto profondamente che non si accorge di niente. La copro per bene e le do una bacio sulla fronte.
Torno disotto e mi lascio cadere sul divano di fianco a Jane, che nel frattempo ha continuato a guardare il film.
Ci voltiamo a guardarci contemporaneamente sorridendoci. Patrick ha uno sguardo strano, lo stesso che ha quando ne combina una e non vuole dirmelo.
“Parla” gli dico con un sorriso.
Lui mi fissa per un secondo un po’ sorpreso, poi si riprende.
“Non è niente, sono solo felice di essere qui. Sono felice di avere una figlia meravigliosa come Alice, e che sua madre sia fantastica tanto quanto lei” mi sorride sincero.
Sorrido guardando verso la tv “Ruffiano” lo prendo in giro.
Lui sorride “Solo un po’!”
“C’è una cosa che vorrei chiederti” confessa un po’ più triste e spento.
Mi volto a guardarlo preoccupata dal suo sguardo.
“Tutto quello che vuoi” rispondo.
Prende un bel sospiro e alza gli occhi puntandoli nei miei.
“Quando è stato giustiziato?” chiede con una nota di dolore.
Capisco a chi si riferisce, è inevitabile. Sospiro piano.
“Sei mesi dopo la tua partenza, il processo è stato più breve del previsto. Nessuno di noi è andato ad assistere, io ero al sesto mese di gravidanza e non me la sono sentita. Per quanto ne so gli è stata fatta l’iniezione” spiego.
Patrick annuisce piano.
“Saresti andato?” chiedo curiosa, forse mancando di tatto.
“No, penso di no. Avrebbe solo peggiorato il mio stato d’animo” risponde sincero.
Poi sorride, ritornando sereno e tranquillo come pochi minuti prima.
“è finita, basta pensare a lui. Ho di meglio da fare!” esclama contento.
Sorrido anche io “Sentiamo, cosa avresti di così importante a cui pensare?” chiedo.
“Be, prima di tutto devo crescere mia figlia, e secondo, ma non meno importante, devo riconquistare sua madre!” mi sorride sornione.
Sorrido arrossendo leggermente “Buona fortuna!” scherzo alzando un sopracciglio.
“Non sono sicuro di avere bisogno di molta fortuna!” esclama sorridendo.
Alzo le sopracciglia “Convinto tu!” commento, ma sorrido.
Restiamo per qualche minuto in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Patrick allunga la mano e accarezza la mia.
Mi volto a sorridergli, e rimaniamo occhi negli occhi, le mani ancora intrecciate.
Sta per parlare, ma lo squillo del mio telefono interrompe il nostro momento intenso.
Sbuffo prendendo il cellulare dal tavolino.
“Lisbon” rispondo poco entusiasta.
“Agente Lisbon è stato segnalato un cadavere vicino al molo, ho bisogno del vostro intervento” mi spiega Hightower, scocciata anche lei dal lavoro extra serale.
Sospiro disperata “Sarò lì fra venti minuti, gli altri sono stati informati?” chiedo
“Sono già pronti a partire” risponde.
“Arrivo” rispondo   e chiudo la chiamata.
“Fammi indovinare, un cadavere?” chiede Patrick sorridendo sornione.
Annuisco imbronciata.
“Vuoi che vada io?” chiede gentile.
Sbuffo con un sorriso “Sei matto? Non ti avvicini a una scena del crimine senza di me!” rispondo alzandomi dal divano.
Patrick si alza con me seguendomi fino all’ingresso, mentre prendo giacca e chiavi.
“Probabilmente dovrò rimanere in ufficio fino a domani mattina, pensi di potertela cavare da solo?” chiedo fingendomi preoccupata per prenderlo in giro.
“Certo che posso!” mi sorride tranquillo.
“Significa svegliarti, svegliare Alice, ricordarti di portarla all’asilo, magari anche nutrirla e vestirla se riesci!” spiego con una nota di sarcasmo.
“Alice è in una botte di ferro!” mi risponde sicuro, poi mi da un bacio sulla guancia, mi prende per le spalle e mi volta verso la porta
“Vai e prendi il cattivo!” risponde mentre io alzo gli occhi al cielo.
Mi volto appena fuori dalla porta puntandogli il dito contro, sto per parlare, ma lui mi ferma.
“Non aprire la porta agli sconosciuti, non lasciare il gas acceso e inchiavare casa prima di andare via!” risponde sorridendo.
Sorrido prendendolo in giro “E obbedisci a Alice mi raccomando!”
“Sarà fatto!” mi sorride e mi da un altro bacio sulla guancia, un po’ più lungo e dolce di quello di prima.
“Corri!” mi dice mentre mi volto per andarmene.
Lo saluto con la mano e salgo in macchina.
Fantastico mi dico mentre viaggio in auto per raggiungere la scena del crimine. Se volevo un momento per stare sola con lui, ora  me lo posso sognare.
Certo che il tempismo degli assassini sfiora la perfezione!
 
Arrivo sulla scena del crimine, parcheggio dietro il furgoncino del CBI e scendo per raggiungere gli altri.
“Cos’abbiamo?” chiedo sospirando mente mi avvicino agli altri che mi aspettano prima di proseguire.
“Un cadavere” risponde Rigsby sbadigliando, probabilmente dormiva.
“Grazie Rigsby, davvero illuminante” commento sarcastica.
“Una donna, non ancora identificata, colpo d’arma da fuoco alla testa” risponde Cho pronto.
Nel frattempo raggiungiamo il corpo, che giace disteso dietro un grosso furgone.
“Il furgone?” chiedo.
“Risulta rubato ieri, ci sono tracce di sangue sul sedile del passeggero, deve averla trasportata con questo” risponde Grace.
Osservo il corpo della donna, cercando qualche dettaglio utile, ma non noto niente di strano.
“Identificata!” annuncia Rigsby, che stava parlando con un agente della scientifica “Mandy Hock, 32 anni, viveva a sud di Sacramento, sposata con Terrance Smith”
“Il marito è stato chiamato?” chiedo a Rigsby.
“L’hanno appena rintracciato i poliziotti della zona, ce ne occupiamo noi?” chiede sconfortato dal lavoro notturno.
“Andiamo io e Van Pelt, voi finite con la scena del crimine, poi andate al CBI, vi raggiungiamo lì” gli rispondo.
Mi volto e risalgo verso la macchina seguita da Grace, che sbadiglia silenziosamente.
“Mi dispiace per il lavoro extra” le dico con un sorriso comprensivo.
“Nessun problema, significa mezza giornata libera a caso chiuso!” mi sorride lei salendo in macchina sul sedile del passeggero, ottimista come sempre.
“Jane è a casa con Alice?” mi chiede mentre partiamo.
“Si, ho affidato il bambino all’adulta, spero di rivederli interi domani” scherzo mentre seguo le indicazioni sul GPS, per la casa della vittima.
Grace ride della mia battuta.
“Come stanno andando le cose fra loro?” mi chiede sorridendomi teneramente.
“Bene, si assomigliano molto più di quanto pensassi, e questo migliora il loro rapporto. Alice lo adora, difficile immaginare che fino a poco tempo fa era arrabbiata con lui” rispondo sorridendo al pensiero.
“Difficile immaginare che fino a pochi giorni fa lo odiavi anche tu” ribatte Grace alzando un sopracciglio senza smettere di fissarmi.
Sposto lo sguardo da lei alla strada.
“Perché mi fissi così?” chiedo perplessa.
“Sto solo cercando di capire che succede fra voi?” mi risponde imitando lo sguardo indagatore di Jane.
Sorrido “Che vuoi che succeda Grace? È il padre di mia figlia”
“E..” mi incita lei.
Sbuffo alzando gli occhi al cielo “e lo amo ancora!” ammetto arrossendo leggermente.
Lei si volta sorridendo “Era quello che volevo sentirmi dire!”
“Ti ho mai detto che sei irritante quanto lui quando fai così?” chiedo retorica.
Lei sorride, facendomi l’occhiolino.
Arriviamo davanti a casa della vittima, le luci sono accede. Il marito ci sta aspettando e a noi toccherà una spiacevole chiacchierata.
“Forza al lavoro!” le dico scendendo dalla macchina.
 
Dopo aver parlato con il marito torniamo stanche e deluse al CBI. Ovviamente non abbiamo scoperto niente di utile, tanto per complicare le cose.
 Cho e Rigsby erano arrivati da poco al CBI, ma senza troppe novità. Hightower mi aspettava nel suo ufficio.
Busso alla sua porta, ed entro dopo la sua risposta.
“Signora, la vittima è stata identificata, ma non abbiamo nessuna pista da seguire. Stiamo aspettando il responso preliminare della scientifica” le spiego.
Lei sospira stanca “D’accordo, io torno a casa, sarò qui in ufficio domani mattina presto. Puoi mandare a casa anche uno dei tuoi, voi altri rimanete ad aspettare i risultati” mi dice.
Annuisco “D’accordo manderò a casa Cho, è di turno da questa mattina presto e non ha ancora staccato”.
Saluto il capo e ritorno nel bullpen dove gli altri stanno aspettando.
“Cho tu vai, rimaniamo noi” dico a Cho.
“Grazie capo” mi risponde, prende la sua giacca, saluta gli altri e si avvia verso l’ascensore.
“Noi aspettiamo il responso della scientifica. Nel frattempo vediamo se riusciamo a trovare qualche pista da seguire” mi siedo sospirando di fronte alla scrivania di Rigsby.
Passeremo una fantastica notte chini sulle scrivanie!
 
 
 
Dice l’autrice:
Famiglia Jane alla riscossaaa!!
IsteriaàAnna è tornata!! Brava, hai sgridato il povero Jane!!
Attendo le vostre recensionii!!
Ringrazio come sempre tutte le mitiche persone che mi stanno seguendo : )!!!!!
Un bacione : )
Giada!

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Capitolo 8
*** capitolo 7- falling in love, again ***


CAPITOLO 7- FALLING IN LOVE, AGAIN
 
 
 
Teresa
 
 
Mi risveglio, sentendo già il preludio di un fastidioso mal di testa in arrivo.
Guardo l’orologio sulla scrivania del mio ufficio: sono le 8.
Alle 4 sono arrivati i rapporti preliminari della scientifica, Rigsby è andato a casa e Grace è rimasta con me di turno al CBI.
Intorno alle 5 ho deciso di andare a riposarmi e mi sono addormentata sul divano del mio ufficio.
Mi alzo stiracchiando la schiena intorpidita dalla dormita scomoda. Giro il collo lentamente per sbloccarlo e riapro gli occhi.
Prendo la borsa, le chiavi e la giacca e mi preparo per uscire. Anche Grace è tornata a casa.
Giusto il tempo di una doccia, un cambio d’abiti e poi si ritorna al lavoro..odio il turno di notte!
Quando esco dall’ufficio vedo Rigsby e Cho arrivare.
“Ci vediamo dopo” li saluto prendendo il loro posto in ascensore.
“Si capo” risponde Cho.
Arrivo fino alla mia macchina trascinando i piedi dalla stanchezza. Salgo, metto in moto e parto, guidando con il finestrino aperto per tenermi sveglia.
Quando arrivo a casa il silenzio mi accoglie sulla porta: è un buon segno, significa che Jane è uscito e Alice è all’asilo, forse. Vado in cucina per preparare la macchina del caffè e, infatti, vedo un biglietto sul bancone, proprio di fianco alla macchinetta.
 
Se stai leggendo questo biglietto significa che siamo già usciti! E che Alice è all’asilo e io sto arrivando al lavoro, puntuale!
Ce la siamo cavata anche senza di te, quindi rilassati!
E vacci piano con il caffè, mi raccomando!
 
 
Alzo gli occhi al cielo, lascio il biglietto dov’era e salgo le scale per prepararmi.
Dopo una doccia troppo corta per i miei gusti, mi vesto e scendo a prendermi la mia meritata tazza di caffè.
Il liquido caldo mi riscalda la gola e lo stomaco, risvegliandomi un po’, ma senza troppo successo.
Svuoto la tazza, riprendo la mia roba e torno in macchina.
Quando arrivo al CBI trovo anche Grace, pronta e scattante davanti al computer, mentre Rigsby sembra molto più stanco.
“Cho, Rigsby, andate a parlare di nuovo con il marito, stanotte non era molto lucido. Chiamate se scoprite qualcosa” gli dico prima di andare nel mio ufficio.
Loro si alzano e si preparano ad uscire.
Entro nel mio ufficio, già occupato, ovviamente, da Jane, che mi aspetta sul mio divano.
“Buongiorno” mi saluta con uno dei suoi soliti sorrisi.
“Buongiorno” rispondo ricambiando il sorriso, ma senza tutto il suo entusiasmo.
Mi siedo di fianco a lui sul divano, sospirando. Sto per parlare, ma Jane mi interrompe.
“Alice è all’asilo, al sicuro, vestita e a stomaco pieno. Mi ha detto di ricordarti della festa dell’asilo alle 20” mi dice con un sorriso.
Alzo le sopracciglia “Non stavo per chiederti questo” ribadisco.
“è lo stesso” risponde lui alzando le spalle.
Sospiro scuotendo la testa “Dobbiamo andare sul posto di lavoro della vittima” gli annuncio alzandomi svogliatamente dal divano.
“Si lavora!” si alza anche lui esclamando sorridente.
Lo fisso stupita “Come mai tutto questo entusiasmo?” chiedo.
Lui alza le spalle, sempre sorridendo “Sono solo contento di essere di nuovo sul campo!” risponde.
“Contenta per te!” commento con un sorriso.
“Guido io?” chiede speranzoso.
“No!” rispondo con un sorriso, afferro le chiavi prima di lui ed esco dall’ufficio.
Lui mi segue ridendo in ascensore “Rischi di addormentarti da un momento all’altro, sei tu la più pericolosa!” commenta.
“Allaccia bene la cintura!” rispondo alzando le spalle indifferente.
Saliamo in macchina e partiamo.
Passiamo molto tempo a interrogare i colleghi della vittima e ogni cosa mi fa pensare al passato, o meglio, tutto mi sembra così identico a tanto tempo fa, che quasi dimentico gli ultimi quattro anni.
Sembra veramente una scena di tanti anni fa. Tutto è tornato alla normalità: noi due in macchina che discutiamo su chi deve guidare, le solite frecciatine di Jane ai sospettati e i suoi soliti metodi per trovare il colpevole.
Come se quei quattro anni non fossero realmente passati. Ma la vivida testimonianza degli eventi è quella fantastica bambina bionda che aspetta di riabbracciarci!
 
“Sono sicuro, è lui il colpevole!” ripete Jane convinto.
Sbuffo e alzo gli occhi al cielo “Non abbiamo le prove!” ripeto per l’ennesima volta.
Siamo tutti nel bullpen, è tardo pomeriggio e abbiamo ancora poche prove e zero piste da seguire. Ci resta solo l’opinione poco credibile di Jane.
“Lo dico io, non ti servono prove!” commenta Jane con un sorriso.
“Ok, chiamalo tu il procuratore per il mandato d’arresto, ti aspettiamo qui, pronti con le manette in mano!” commento sarcastica.
“Ragiona Lisbon!” mi dice sedendosi di fronte a me e fissandomi intensamente, come ogni volta che spiega uno dei suoi assurdi ragionamenti.
“Tom è l’unico a non avere un alibi per quella notte, ed è evidente che fosse innamorato della vittima. Lei non ricambiava, e lui, in preda alla gelosia e alla rabbia, la uccide, ruba un furgone e scarica tutti e due in un luogo isolato. Torna a casa, si ripulisce, e torna al lavoro, facendo finta di niente!” conclude con un sorriso.
“E su quali basi hai fondato questa teoria?” chiede Rigsby rubandomi le parole di bocca.
“Nel suo ufficio, c’era una foto di gruppo della ditta, l’unico che non guarda l’obiettivo è il caro Tom, che in quel momento sta sorridendo alla povera vittima. Inoltre la sua giacca puzzava come il furgone, di sigaretta e alcol. Doveva essere il furgone di un fumatore alcolista, o qualcosa di simile. Credo che conoscesse il proprietario, ecco perché ha scelto di rubarlo”
“Non è sufficiente per il giudice” commenta Cho indifferente.
“Ma possiamo provare a farlo confessare” propone Grace.
La fisso allibita, mentre Jane le sorride “Questo è lo spirito piccola Grace!”
Lei mi sorride spiegandosi “Se, e ripeto, se, Jane ha ragione, potremmo provare ad incastrarlo. Ha sempre funzionato in passato!” si giustifica.
Sbuffo spostando lo sguardo su Jane.
“Andiamo Lisbon, prometto di non combinare niente di grave. Se ho ragione, e io sono sicuro di avere ragione, il colpevole sarà in manette entro la festa dell’asilo di nostra figlia!” mi sorride incoraggiante.
Sospiro “Va bene, ma se  succede qualcosa in galera ci vai tu” lo minaccio.
“Preparo lo spazzolino!” commenta con un sorriso “Forza squadra, si va ad arrestare l’assassino!” si alza sorridendo.
Gli altri lo seguono entusiasti per aver ritrovato il nostro vecchio ritmo di lavoro.
Seguo Jane in macchina, visto che ha insistito tanto per guidare. Gli altri tre ci seguono con il furgone.
Mentre siamo in viaggio ripenso alle parole di Jane su Tom, e un pensiero rapido quanto fastidioso mi sfiora la mente.
“Jane?” lo chiamo improvvisamente nervosa.
“Si?” risponde lui senza staccare gli occhi dalla strada.
Prendo un bel respiro “Come fai a sapere che la giacca di Tom ha lo stesso odore del furgone?” chiedo, cercando di controllare il mio tono di voce.
“Ho riconosciuto l’odore come faccio sempre, perché?” risponde innocente, ma riconosco quel tono di voce.
Prendo un altro bel respiro “Jane tu non c’eri sulla scena del crimine, coma fai a sapere quale fosse l’odore del furgone?” ripeto senza resistere e lasciandomi sfuggire un tremore di rabbia sulle ultime parole.
Capisco che ho fatto centro perché vedo la sua espressione farsi improvvisamente preoccupata.
“Posso spiegarti..” comincia fissandomi con i suoi occhi più supplichevoli.
“Non vedo l’ora!” commento sarcastica e infuriata.
“Sai che la mia presenza sulla scena del crimine è indispensabile. Così ho cercato di raggiungervi, ma quando sono arrivato non c’eravate..”
Lo interrompo bruscamente “Hai lasciato Alice a casa da sola?” chiedo più allibita che arrabbiata per un momento.
“No, l’ho portata con me!” risponde più rilassato.
Sgrano gli occhi completamente sbalordita “Hai portato nostra figlia sulla scena del crimine?” chiedo piano, perché mi manca la voce.
“No, aspetta!” cerca di calmarmi prima dell’arrivo della sfuriata “l’ho svegliata, spiegandole che dovevo lavorare e che dovevamo andare in un posto. L’ho portata in macchina, dicendole che lei poteva continuare a dormire. Quando sono arrivato ho parcheggiato lontano dalla scena, ho chiesto a due agenti di fare la  guardia alla macchina e sono sceso. Ci ho messo cinque minuti, e dopo venti minuti Alice era di nuovo nel suo lettino!” spiega ormai completamente rilassato.
 Lo fisso allibita, sospiro e torno a guardare la strada: se non altro Alice dormiva ed era lontana dalla scena.
“Tutto bene?” mi chiede di nuovo preoccupato.
“Spero per te che il piano funzioni” rispondo sospirando.
“Funzionerà” mi risponde sorridendo e tornando a guardare la strada.
Sospiro spazientita, mentre scendiamo dall’auto e andiamo a catturare il colpevole.
 
Effettivamente, aveva ragione Jane! Tom ha assassinato Mandy perché si sentiva rifiutato dalla ragazza che amava, e ha rubato il furgone del suo vicino per trasportare e scaricare il corpo.
Pochi minuti dopo il nostro rientro arriva Alice, entusiasta come sempre di rivederci e assolutamente tranquilla. Anzi era molto contenta di aver partecipato alle indagini, anche se dormiva.
Questo ovviamente ha scatenato l’entusiasmo di suo padre, frenato immediatamente da un mio sguardo inceneritore.
Ora sono nell’ufficio di Hightower a sistemare le carte di chiusura del caso.
“E così Jane è tornato alla carica, chiudendo un altro caso!” commenta Hightower con un sorriso.
“Si, serve ancora a qualcosa!” commento ironizzando.
“Spero che fra voi si  sia tutto sistemato!” mi dice sorridendomi comprensiva.
Esito imbarazzata, non mi aspettavo di dover affrontare l’argomento.
“Più o meno si” rispondo con un piccolo sorriso timido.
“Mi fa piacere!” mi sorride sincera.
Ci alziamo contemporaneamente, chiudendo quella conversazione imbarazzante e usciamo dal suo ufficio insieme.
Quando apriamo la porta veniamo quasi investite da mia figlia, ma soprattutto da Jane. Si bloccano ridendo giusto in tempo, prima di finirci addosso.
Fisso Jane spazientita “Che state facendo?”
“Gara di velocità nei corridoi del CBI” risponde Jane sorridendo come un bambino.
Alice abbassa lo sguardo insieme a suo padre, la stessa identica espressione di colpevolezza dipinta sul viso di entrambi.
“Mi chiedo chi dei due sia il bambino!” esclama Hightower un po’ divertita, mentre io sospiro.
Alice alza la testa guardandoci “Papà!” risponde con tono ovvio, alzando le spalle sicura di se stessa.
Jane si volta a guardarla fingendosi deluso “Non fare la spia! Ha cominciato lei!” la accusa puntandole il dito contro.
“Non è vero!” risponde lei facendogli la linguaccia.
Alzo gli occhi al cielo, bloccando Jane che sta per parlare “D’accordo non mi interessa, andate a sedervi nel mio ufficio e non muovetevi da lì!” esclamo incenerendo Jane con lo sguardo.
Lui si indica con le mani sinceramente offeso “Perché a me quell’occhiataccia?”
Sospiro, mentre Hightower sorride “Perché ha ragione tua figlia!” rispondo andando verso il bullpen.
Alice si volta verso suo padre sorridendo “Visto, ho ragione io!” gli dice poi scappa nel mio ufficio inseguita da Jane, che scatta a razzo per prenderla.
Scuoto la testa, ma non riesco a trattenere un sorriso puro e sincero.
 
 
“Mamma sbrigati siamo in ritardo!!” urla Alice dal salotto. Io sono ancora in camera che sto finendo di prepararmi.
La torta alla crema tanto promessa ha richiesto un po’ del mio tempo, così mi sono ridotta all’ultimo minuto per vestirmi.
“Arrivo!” le rispondo allacciando le scarpe in fretta.
Scendo disotto, dove Jane e Alice se ne stanno comodi sul divano.
“Sempre di grande aiuto!” borbotto sarcastica.
“Parli con me?” chiede Jane sorridendo, senza staccare gli occhi dalla tv.
Sbuffo senza rispondere, vado in cucina a prendere la torta e torno indietro verso la porta.
Alice mi raggiunge pronta con la sua divisa blu che l’asilo ha fatto indossare a tutti i bambini per questa serata.
Jane ci raggiunge, fregandomi le chiavi dalle mani occupate dal vassoio, senza troppi complimenti.
“Guido io!” mi sorride aprendo la porta e facendoci uscire per prime.
Saliamo in macchina, la mia macchina, e partiamo in fretta verso l’asilo.
“Vai piano, non siamo in ritardo!” esclamo sbuffando.
“Veramente si” commenta Alice.
“Ha ragione Alice” concorda Jane.
Incrocio le braccia senza rispondere e mi rilasso contro il sedile.
“Non sentirti in colpa per averci fatto fare tardi, non ne vale la pena” commenta Jane rivolgendomi uno dei suoi sorrisi bastardi.
“Taci” esclamo fissando la strada, mentre Alice ride per il nostro piccolo battibecco.
Dopo circa 15 minuti siamo all’asilo.
La festa si svolge nel gigantesco giardino, sul retro dell’edificio. Ogni albero è pieno di luci e fari che illuminano tutto. Infondo al prato c’è un piccolo palcoscenico, dove i bambini canteranno. Davanti al palco ci sono panche e sedie per gli ospiti e tutto intorno ci sono tavoli pieni di cibo preparato dalle famiglie.
Tutto è decorato con fiocchi, nastri e cartelloni colorati, ovviamente opera dei piccoli artisti!
Alice corre a raggiungere le sue amiche, mentre io saluto da lontano una delle maestre e appoggio la torta sul tavolo dei dolci.
“Bel posto” commenta Jane guardandosi intorno.
“Me l’hanno consigliato in tanti” spiego guardandomi intorno per vedere dove fosse finita Alice.
“è là!” risponde Jane al mio pensiero, indicando un gruppetto di bambini tutti vestiti di blu.
Alice si volta verso di noi, come se avesse sentito i nostri occhi su di lei, e ci saluta sorridendo con la mano. Affianco a lei la sua amica Rosalie mi saluta timida con la mano.
Io sorrido ricambiando il saluto.
“La bambina bionda è Rosalie, la sua amichetta del cuore. Vanno sempre al parco insieme il pomeriggio” spiego a beneficio di Jane.
“Si mi ha parlato di lei. Hanno qualcosa in comune, anzi, avevano” spiega rivolgendomi un sorriso dolce.
Lo guardo perplessa per un secondo, poi capisco: anche Rosalie è sempre stata lontana da suo padre, ma la situazione era diversa.
“Avevano..” ripeto con un sorriso felice.
“Teresa!” mi chiama la maestra di Alice, interrompendo il nostro momento di beata felicità.
Mi volto a guardarla mentre ci raggiunge. La maestra Mary è una donna molto gentile, alta più o meno come me, ma più in carne, con i capelli neri e il viso molto dolce. È veramente una bravissima maestra.
“Buonasera Mary” la saluto con un sorriso. Ci siamo incontrate spesso da quando Alice va all’asilo.
Mi stringe la mano in modo tenero, lo fa tutte le volte che mi incontra.
“Alice è già in giro con Rosalie immagino!” commenta con un sorriso.
“Si, come sempre del resto!” ribadisco.
“Bene, spero che la festa ti piaccia, i bambini hanno lavorato tanto per le decorazioni!” esclama con tono riverente. Per lei i bambini dell’asilo sono come tanti figli.
“è veramente bellissimo, non sembra quasi lo stesso giardino di tutti i giorni!” rispondo sincera.
Poi lo sguardo di Mary cade, inevitabilmente, su Jane, rimasto sempre incollato al mio fianco, e la sua espressione leggermente stupida, non so perché, mi fa arrossire.
Ovviamente ha capito di chi si tratta, impossibile non notare la somiglianza con Alice.
“Mary questo è..”
“Patrick Jane” si presenta da solo con un sorriso radioso, allungando la mano.
“Il padre di Alice” concludo io, imbarazzata, sempre senza un vero motivo. O comunque un motivo che ignoro.
Mary si riprende dal suo momento di sorpresa e ricambia il sorriso stringendogli la mano.
“è un piacere conoscerla!” esclama sincera “Alice mi aveva parlato del suo ritorno! È una bambina molto speciale! A volte mi chiedo come faccia a essere così furba a soli tre anni e mezzo!”
“Colpa della genetica!” ironizzo, prendendo in giro Jane.
“Diciamo che mi assomiglia molto!” esclama Jane fiero.
“Sono veramente contenta che ci siate entrambi stasera. Ora vado a preparare i bambini. Godetevi la festa!” ci sorride dolcemente e poi si allontana di fretta verso le altre maestre, cominciando a radunare i bambini.
“Una donna molto dolce e gentile” commenta Jane osservandola.
“Le hai letto la mente con i tuoi superpoteri?” chiedo con un sorriso, prendendomi gioco delle sue capacità.
“Davvero simpatica!” commenta girandosi a guardarmi.
“è una brava persona” confermo, tornando a parlare della maestra.
“Sa fare molto bene il suo lavoro ed è molto affezionata ai bambini!” afferma “sai è rimasta sorpresa quando mi ha visto. È contenta che sia tornato”
“Non penso sia l’unica!” commento con un sorriso tornando a guardare la folla.
“Già” risponde lui sorridendo, e cingendomi le spalle con il braccio.
Mi volto a sorridergli. Improvvisamente mi sento nervosa, ma continuo a non capire perché.
Mi guardo intorno, salutando con un sorriso le persone che conosco. L’asilo di Alice non è molto grande, ospita circa venti bambini per ogni fascia di età, non di più. Considerando una famiglia per ogni bambino, questa festa è molto numerosa.
Mentre continuo a guardare la folla capisco il perché del mio inconscio nervosismo: tutti quelli che mi conoscono mi fissano. O meglio, si soffermano rapidamente a guardarmi, alternando lo sguardo su me e Jane. Sanno che Alice aveva solo me, anche se non conoscevano i dettagli, perché a tutte le feste o le riunioni mi sono presentata da sola. Inoltre Alice, parlando con gli amichetti ha sempre detto che suo padre era lontano.
Quindi, ovviamente, tutti hanno notato la presenza di un uomo al mio fianco, identico alla bambina, e quindi tutti sono sorpresi e curiosi.
Sospiro nervosamente.
“Rilassati” mi dice Jane con un sorriso.
“Sono rilassata” mento tranquilla.
“Non mentire!” mi avverte lui sorridendomi tranquillo “Lo so che ti innervosisce essere al centro dell’attenzione! Rilassati, goditi la festa, e la mia presenza” mi sorride sornione.
 Alzo gli occhi al cielo sorridendo.
In quel momento una delle maestre annuncia al pubblico di sedersi.
Io e Jane ci sediamo in due posti vicini al palco, all’estremità della fila. ci teniamo per mano, e non posso fare a meno di sentire uno strano calore fluire nel sangue e scaldare il cuore.
In quel momento un signora bionda si avvicina a noi, sorridendo.
“Ciao Teresa!” mi saluta la madre di Rosalie.
“Ciao Camille!” la saluto ricambiando il sorriso.
Istintivamente, senza averci nemmeno pensato, stringo la mano di Jane, come se potesse aiutarmi a superare quel passeggero momento di difficoltà.
“Hai visto quanto sono carine vestite così?” esclama Camille con tono adulatorio. Rosalie è la sua piccola stella, quanto lo è Alice per me.
“Sono veramente bellissime!” confermo con un sorriso.
Poi sospiro decidendo di passare alle presentazioni “Camille, volevo presentarti Patrick, il padre di Alice” dico con un leggero rossore sulle guance.
Continuo a non capire cosa ci sia di imbarazzante nel presentare il padre di tua figlia!
Camille rimane leggermente sorpresa, ma poi gli sorride gentile, porgendogli la mano.
“Molto piacere, sono la madre di Rosalie”
“Il piacere è tutto mio!” esclama lui con il suo solito sorriso a trentadue denti, ricambiando la stretta di mano.
“Vado a prendere posto, ci vediamo dopo lo spettacolo così vi presento mio marito!” ci sorride salutandoci con la mano e sparisce in mezzo alla folla che si sta lentamente sedendo.
La mia stretta sulla mano di Jane si allenta e io ritorno tranquilla.
Mi volto e noto che mi sta fissando come suo solito.
“Sto bene” rispondo istintivamente.
Lui sorride trionfante e io mi rendo conto di essermi appena fregata da sola.
“Lo so come ti senti. Tutti puntano lo sguardo su di te, o meglio su di me. E questo ti imbarazza perché sai che tutti quelli che ti guardano ora si stanno facendo delle domande, e forse ne parleranno anche con altri. Ti innervosisce essere lo scoop della serata!” spiega sicuro di se stesso.
Sbuffo “Esagerato! Credi davvero che il tuo ritorno sia così importante per tutte queste persone?” ironizzo.
Lui mi sorride “Immagino i loro pensieri. “il fuggitivo padre della piccola Alice torna a casa dalla figlia e dalla  donna, a cui ha spezzato il cuore”. Sembra più un titolo di giornale!”
Sorrido scuotendo la testa “Ti dai troppe arie!”
Jane sta per ribattere, ma  le luci si spengono e rimangono accese solo quelle che illuminano il palco.
“Evviva, comincia lo spettacolo!” esclama felice come un bambino.
Sorrido e mi avvicino, appoggiando la mia spalla alla sua. Sento il bisogno di averlo vicino, di essere in contatto con il suo corpo il più possibile.
Poi i bambini entrano sul palco, e tutta la mia attenzione è verso la mia piccola meraviglia, che sorride felice in prima fila. Si dispongono sulla piccola gradinata, pronti per cantare, con le maestre alle estremità del piccolo coro.
Quando la musica di sottofondo parte, i bambini cominciano la loro canzone, le loro voci dolci e leggere irradiano nel giardino e tutti ascoltiamo rapiti.
Ballano sulle note della loro voce, sorridono, chi più timido chi più estroverso, e cantano con tutta la voce che hanno ogni canzone del loro piccolo repertorio.
Io e Jane ascoltiamo incantati e guardiamo nostra figlia muoversi felice e cantare allegra. Abbiamo occhi solo per lei e la osserviamo emozionati, stringendoci la mano, fieri di poter essere i suoi genitori e felici di essere insieme.
Quando anche l’ultima canzone termina, i bambini fanno un enorme inchino di gruppo assieme alle maestre. Le luci si riaccendono e i bambini scendono dal palco cercando con gli occhi i propri genitori.
Alice ci ha sempre osservati, e corre subito verso di noi.
“Mamma, papà!” grida sorridendo mentre noi ci alziamo per andarle incontro.
Alice mi salta subito in braccio stringendomi forte e sorridendo a suo padre.
“Avete visto quanto siamo stati bravi?” chiede entusiasta.
“Siete stati bravissimi!” le sorrido radiosa. Jane ci abbraccia entrambe, stampando un grosso bacio sulla guancia di Alice.
“La mamma si è commossa!” le dice in un orecchio, ma facendosi sentire apposta da me.
Lo fisso sbalordita “Non è vero!” nego.
“Non si dicono le bugie Teresa, dovresti saperlo!” si finge indignato e mi rimprovera.
Alice ride prendendomi in giro “è vero mamma, non si dicono le bugie!”
Li osservo tutti e due, poi sospiro “E va bene, è vero! Ma anche papà si è commosso!” puntualizzo sorridendo.
“è vero, ma come potevo resistere?” sorride e mi prende Alice dalle braccia stringendola a se.
Lei lo abbraccia ridendo e io non posso fare a meno di sentire una piccola scossa nel cuore, come ogni volta che li vedo insieme.
“Ho fame andiamo a mangiare!” esclama poi Alice scendendo dalle braccia del padre e prendendoci per mano.
Ridendo insieme la seguiamo verso i tavoli adibiti a buffet.
Ci prepariamo tre piatti con un po’ di tutto e ci sediamo vicino al palco, assieme a Rosalie e alla sua famiglia.
Rosalie assomiglia molto a suo padre, che è un uomo molto simpatico e carismatico.
Alice e Rosalie sono sedute per terra, Alice è appoggiata con la schiena alle gambe di Jane, e ogni tanto tenta di fregare le olive dal suo piatto.
Io sono sua complice, e ho il compito di distrarlo, mentre lei compie il misfatto. Riusciamo persino a sorprenderlo, cosa che non avviene sempre!
Ma dopo un po’ capisce il trucco e decide di cedere direttamente il suo piatto al piccolo mostriciattolo seduto per terra!
I genitori di Rosalie ridono nel vedere la scena.  Probabilmente staranno pensando che sembriamo una famiglia da molto più tempo, e non da pochi giorni.
Passiamo una buona parte della cena seduti con la famiglia di Rosalie, e la serata diventa ancora più piacevole.
Dopo aver fatto anche una buona scorpacciata di dolci, le maestre e alcuni aiutanti, spostano tutte le sedie, lasciandole in giro lontano dal palco, e il piccolo spiazzo d’erba diventa una sorta di pista da ballo.
Ovviamente, una volta partita la musica, Alice è corsa via con Rosalie per ballare insieme agli atri bambini.
Io e Jane rimaniamo in piedi vicino ai tavoli per guardarla. Alice balla felice e si volta a guardarci ogni tanto, sorridendoci e salutando con la mano.
Jane mi tiene la mano e mi sorride contento.
“So cosa provi” gli dico sorridendogli dolcemente.
“Leggi anche tu nel pensiero?” scherza. Si volta fino ad essere esattamente di fronte a me.
“Con te  ci riesco!” rispondo altezzosa.
“Ok, e cosa provo?” chiede sfidandomi.
“Sei fiero di tua figlia, e contento di aver riavuto indietro la tua vita, meglio di come l’avevi lasciata. Ti senti libero di viverla veramente, e una parte di te ringrazia di aver commesso quell’errore, perché se non fossi partito le cose, forse, non sarebbero andate in questo modo. Ma visto che non lo puoi sapere, non farti troppi problemi” spiego soddisfatta della mia teoria.
Jane sorride un po’ sorpreso “Complimenti, niente male!” ammette.
“Si lo so, anche io ho qualche asso nella manica!” sorrido compiaciuta.
Lui mi osserva sorridendomi dolcemente. Sposta la sua mano libera sulla mia guancia e la accarezza piano.
Un brivido mi attraversa la pelle e percorre la linea del collo, perdendosi lungo la spina dorsale.
“Mi manca solo una cosa, e poi potrò dire che la mia vita è veramente perfetta!” sussurra avvicinandosi al mio viso.
“Cosa ti manca?” chiedo con la voce ridotta a un sussurro per via dell’emozione che sta crescendo dentro di me.
“che ti innamori ancora di me” risponde sussurrando e facendosi più vicino.
Rimango incantata dai suoi occhi, come mi era sempre successo. Gli sorrido, sentendo un’improvvisa scarica di emozione che fa tremare il cuore. Tutto scompare: la musica, le persone, le voci, la festa, e rimaniamo solo noi. Rimangono solo i suoi occhi intensi e azzurri, in cui mi perdo.
Poi la voce della realtà mi richiama sulla terra.
“Mamma!” mi chiama Alice correndo verso di noi.
“Dimmi tesoro!” chiedo cercando di tornare al presente.
“Sbrigatevi dovete andare a ballare come tutti i genitori, muovetevi!” sbuffa Alice tirandoci per mano.
Io e Jane ci guardiamo perplessi, guardando poi la pista improvvisata. Nel nostro spazio  privato e intenso non ci siamo resi conto che tutte le coppie di genitori stanno andando a ballare, sulle note di una canzone che conosciamo benissimo.
“Ah, nemmeno a farlo apposta, la nostra canzone!” esclama Patrick contento.
“La vostra canzone?” chiede Alice con la sua migliore espressione da ficcanaso.
“Si, la prima volta che ho chiesto a tua madre di ballare c’era questa canzone” le spiega lui sorridendo.
Insieme andiamo verso la pista, spinti da un’impaziente Alice, che si allontana poi assieme a Rosalie, andando a sedersi lontano dalla pista.
Patrick mi stringe a sé, come quella sera al liceo di Rancho Rosa, dove abbiamo ballato per la prima volta, sulle note della stessa canzone. La mia preferita, la canzone che ho sempre avuto nel cuore.
Appoggio la testa alla sua spalla e chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dal suo profumo dolce e dal suo respiro.
Restiamo in silenzio, per tutto il ballo. Non c’è bisogno di parlare, i nostri sentimenti sono così, come li sentiamo ora. Sappiamo cosa proviamo entrambi. Voglia di ritrovarsi, voglia di ricominciare e voglia di appartenersi, una volta per tutte, senza commettere errori. Voglia di amarsi senza più ostacoli a separarci.
Voglia di amore, solo di quello.
Quando la canzone finisce ci scostiamo lentamente sorridendoci, rimanendo mano nella mano.
Raggiungiamo Alice sempre con il sorriso stampato in faccia.
Il resto della serata lo trascorriamo a ballare assieme ad Alice e agli altri genitori e bambini.
Niente canzoni romantiche, solo sana musica da ballare tutti insieme. Ma la mia mano non si separa mai dalla sua. Ogni momento è buono per fermarci occhi negli occhi. Ogni istante è perfetto per sorriderci ancora.
 
Dopo circa due ore di festeggiamenti Alice crolla addormentata in braccio a me. Tutti i bambini seguono il suo esempio: molti abbandonano la festa mezzi addormentati con i genitori, mentre altri sono già nel mondo dei sogni, come mia figlia.
Raggiungiamo la macchina dopo aver salutato i pochi superstiti e partiamo in direzione di casa.
Quando arriviamo porto subito Alice nel suo letto, cercando di non svegliarla mentre le cambio i vestiti.
Mentre le rimbocco le coperte entra Patrick che si siede accanto a me sul lettino, accarezzandomi una spalla. Osserviamo Alice sorridendo.
“è completamente addormentata” sussurro.
“è stata una serata impegnativa per lei” risponde lui, baciandomi una spalla.
Al contatto con le sue labbra la mia pelle freme per poi scaldarsi nel punto in cui mi ha sfiorata.
Rimaniamo in silenzio a guardarla, ammirando il suo viso rilassato dal sonno.
Dopo qualche minuto ci alziamo piano e sgusciamo fuori dalla sua stanza.
Ci sediamo sul divano. Mi rilasso contro lo schienale e chiudo gli occhi. Il mancato sonno notturno e gli impegni della giornata cominciano a farsi sentire.
“C’è qualcun altro che avrebbe bisogno di una bella dormita!” scherza Patrick.
Apro gli occhi e mi giro a guardarlo “Parli con me?” chiedo retorica.
Lui sorride accarezzandomi i capelli.
Richiudo gli occhi senza resistere all’ondata di improvvisa stanchezza. Sento le sue braccia avvolgermi e stringermi a sé.
Abbandono la testa nell’incavo del suo collo e mi rilasso respirando il profumo della sua pelle.
Perdo la concezione del tempo e sento la mia mente scivolare in profondità verso il sonno.
Poi, non so dopo quanto, sento le sue braccia stringermi ancora e sollevarmi. Perdo il contatto con il divano, ma resto stretta al suo corpo e capisco che mi sta portando di sopra.
Sento la porta della mia stanza aprirsi, e dopo poco sento le coperte fresche sfiorarmi le braccia.
Mi lascia sul letto e si china su di me. Sto per aprire gli occhi, ma poi sento le sue labbra sulle mie.
Il cuore comincia a pulsare più forte per quel contatto leggero e delicato. Le sue labbra restano sulle mie per qualche secondo, poi si allontana.
Una scarica potente mi attraversa il corpo, e quasi mi sveglia, ma sono troppo stanca per reagire o fare qualcosa.
Così allungo la mano a cercare la sua. Quando la afferro, la stringo tirandolo verso di me con pochissima forza.
“Resta qui..” sussurro riaprendo gli occhi a fatica per guardarlo.
Lui sorride dolcemente “Vuoi che resti con te?” mi chiede avvicinandosi.
Annuisco piano richiudendo gli occhi. Dopo un secondo sento il suo corpo sdraiarsi di fianco a me.
Mi sollevo e appoggio la testa nell’incavo del suo collo, come prima.
Sento le sue braccia avvolgermi e il suo respiro farsi lento e rilassato come il mio.
Mi lascio sprofondare negli abissi del sonno, rilassata e felice, fra la sue braccia.
 
 
Dice l’autrice:
salve donzelle!! Scusate il ritardo, ma sono reduce da un febbrone assurdo!!
Allora, piaciuto il capitolo?
Il romanticismo si sta facendo sentire sempre di più. Lo so sono cattiva, perché non è ancora successo nada de nada, ma il risultato (spero) appagherà la pazienza e l’attesa!
Attendo con ansia i vostri commenti!! Recensite e fatemi sapere la vostra opinione!!
Ringrazio come sempre tutte le persone che seguono e recensiscono con fedeltà!! Grazie davvero di cuore : )!
Un bacione!!
Giada!

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Capitolo 9
*** capitolo 8- into the fire of love ***


 
CAPITOLO 8- INTO THE FIRE OF LOVE
 
 
 
Jane
 
 
Il gracchiare fastidioso della sveglia mi riporta alla realtà, rapendomi da un profondo e perfetto sonno.
Strizzo gli occhi infastidito e sento il movimento di un braccio che mi oltrepassa e spegne quella maledetta sveglia.
Dopo un secondo mi rendo conto di dove sono e soprattutto con chi. Stanotte ho dormito con lei, per sua volontà. È stata una notte tranquilla e bellissima, forse per la presenza del suo corpo accanto al mio.
Apro gli occhi cercando di mettere a fuoco le immagini.
“Buongiorno” mi saluta lei con un sorriso tenero, riappoggiando la testa sul cuscino.
Ricambio il sorriso guardandola negli occhi “Buongiorno”.
La accarezzo lentamente una guancia.
“Dormito bene?” mi chiede.
“Divinamente, l’unica pecca è stata la sveglia! Ha un suono terribile” ammetto.
Lei alza gli occhi al cielo ridendo “Non è vero! è il suono giusto per costringerti ad alzarti!”
“Appunto!” ribadisco con un sorriso.
In quel momento mi rendo conto che abbiamo dormito sopra le coperte e con i vestiti di ieri sera. Sorrido fra me.
“Perché sorridi?” mi chiede curiosa.
“Pensieri di passaggio, niente di che” rispondo sul vago.
Lei mi fissa un po’ perplessa poi si alza, scendendo dal letto.
“Vado a svegliare Alice” mi dice prima di uscire dalla stanza.
Lentamente e con pochissima voglia mi alzo dal letto. Vado verso l’armadio e apro uno sportello  che Teresa mi ha lasciato per la mia roba. È stato molto carino da parte sua decidere di ospitarmi qui.
Mentre mi trascino sbadigliando sotto la doccia un pensiero mi fa tremare lo stomaco.
Praticamente è come se vivessimo insieme. Con la sola differenza che, tecnicamente, non stiamo insieme.
Scuoto la testa sotto il getto freddo per svegliarmi. Sembra una situazione quasi inverosimile, eppure è così.
In quel momento ho un’illuminazione. Sorrido fra me, fiero della mia idea.
So come regalarle qualcosa di speciale, e come riconquistarla veramente.
 
Quando scendo disotto Alice sta bevendo la sua tazza di latte e Teresa vola di sopra a prepararsi.
“Buongiorno mostriciattolo!” saluto mia figlia dandole un grosso bacio sulla guancia.
Lei mi sorride stringendomi le braccia intorno al collo.
“Buongiorno!” mi risponde “Oggi mi porti tu all’asilo?” chiede riprendendo a bere il suo latte.
“Si, la mamma deve andare al lavoro. Oggi pomeriggio invece starai con Anna” le rispondo.
“Ok” mi sorride e scende dalla sedia, poi sale in camera sua per prepararsi.
Preparo la mia tazza di thè e comincio a berla tranquillo appoggiato al bancone. Quando Teresa arriva me la toglie dalle mani.
“Ehi!” esclamo.
“Siamo in ritardo, muoviti!” mi spiega, mi tira per mano e mi porta fuori di casa dove ci aspetta Alice.
“E la mia tazza di thè?” mi lamento.
“Potevi sbrigarti prima. Ci hai messo un’eternità a prepararti!” risponde lei fulminandomi.
Saliamo tutti e tre nella stessa macchina.
“Portiamo Alice all’asilo insieme poi andiamo al CBI” mi spiega lei vedendo la mia espressione perplessa.
Mette in moto e parte verso l’asilo, mentre Alice sorride contenta di andarci con entrambi i genitori.
 
Quando arriviamo al CBI Teresa vola nell’ufficio di Hightower, che a quanto pare la aspettava per una riunione con un procuratore e io approfitto della sua assenza per mettere in atto il suo piano.
“Grace?” la chiamo sedendomi vicino a lei alla sua scrivania.
“Ciao Jane!” mi saluta.
“Ho bisogno di un favore!” le dico sorridendo.
Lei mi squadra per un attimo, cercando di capire che cosa ho in mente. Le spiego tutto, chiedendole il piccolo favore di cui ho bisogno.
Lei acconsente sorridendo e si rimette al lavoro.
Mi alzo sorridendo e vado nell’ufficio di Teresa per  aspettarla.
Non vedo l’ora che sia stasera!
 
 
Dopo circa un’ora Teresa torna in ufficio. La accolgo con un sorriso alzandomi dal divano.
“Tutto bene?” le chiedo quando mi rivolge un sorriso stanco.
“Quel procuratore è un idiota!” esclama infastidita.
Sorrido e la prendo per mano, sedendomi con lei sul divano.
“L’hai sempre saputo, non pensarci ora!” le sorrido dolcemente accarezzandole la mano.
Lei mi sorride poi torna a fissare il pavimento.
“Devo andare!” esclamo alzandomi. Lei mi fissa leggermente perplessa.
“Dove vai?” chiede curiosa.
“Devo sbrigare alcune faccende” rispondo rimanendo sul vago, mentre lei si alza e si piazza di fronte a me.
“Quali faccende?” chiede perplessa.
“Spiacente, è top secret!” sorrido ammiccante.
Lei mi fissa ancora perplessa e incuriosita.
“Ci vediamo più tardi” le dico, poi la afferrò velocemente per la vita, la stringo a me e le poso un piccolo e leggero bacio sulle labbra.
Vorrei poter cedere alla tentazione di baciarla, ma resto impassibile, come mi ero ripromesso, e mi allontano subito. Con grandissima difficoltà, ovviamente!
Lei è rimasta pressoché immobile, con le guance rosse e gli occhi lucidi e confusi.
“Tieniti pronta per..diciamo per le sette!” esclamo sorridendole.
“Pronta per cosa?” chiede lei riprendendosi un po’ dal suo stato semi-catatonico.
“Top Secret!” ripeto fingendo di cucirmi la bocca.
Le sorrido e sparisco fuori dal suo ufficio, lasciandola lì, un po’ confusa, un po’ emozionata.
 
 
Teresa
 
 
Rimango a guardare la porta del mio ufficio, sono molto confusa e anche molto emozionata. Le gambe mi tremano. Mi ha baciata.
Non è stato un bacio proprio classificabile nella lista dei più lunghi e passionali, ma comunque era un bacio.
Tenermi pronta? Pronta per cosa? Che diavolo sta combinando?
 
 
Sono le 18 e io sto ancora lavorando al computer. Di Jane neanche l’ombra.
In quel momento entra Grace che rimane in piedi vicino alla porta sorridente.
“Teresa vado a prenderla io Alice!” mi annuncia con un sorriso.
La guardo basita e perplessa “Perché?”
Lei alza le spalle “Non lo so, istruzioni di Jane. Devo passare a prendere Alice, e tu devi rimanere qui ad aspettarlo” mi spiega senza riuscire a trattenere un sorriso furbo.
“Mi stai nascondendo qualcosa?” chiedo sospettosa.
“Potrebbe essere!” resta sul vago e mi sorride “Io vado..be..a domani!” mi saluta veloce con la mano e sparisce dal mio ufficio.
Ma che sta succedendo?
 
Sono le 18:40. Jane ancora non si è fatto vedere.
Sospiro spegnendo il computer. Mi alzo per sgranchirmi le gambe, e per l’ennesima volta qualcuno bussa alla porta dell’ufficio.
“Avanti” dico sospirando. Chissà ora che succederà!
Tommy, il guardiano, entra timido nel mio ufficio.
“Agente Lisbon, non voglio disturbare, ma ho un pacco da consegnarle” mi sorride timidamente, avvicinandosi alla mia scrivania.
“Un pacco?” chiedo sorpresa, prendendo la scatola bianca fra le mani.
“Si, il signor Jane me l’ha lasciato intorno alle 16, ma mi ha detto di consegnarglielo solo alle 18:45” spiega, cercando forse di giustificarsi in anticipo. Sa cosa succede ogni volta che Jane fa qualcosa al di fuori dei miei schemi.
“Grazie Tommy, sei stato davvero carino!” lo rassicuro con un sorriso.
Lui mi saluta ed esce dal mio ufficio.
Mi lascio cadere sul mio divano e sfilo il fiocco argenteo dal pacco. Sollevo il coperchio, e il contenuto mi lascia ancora più confusa e sorpresa di prima.
Nel pacco c’è un qualcosa di stoffa nera, sul fondo, e sopra sono appoggiati  un navigatore GPS e una lettera.
Indovinando di dover leggere prima la lettera, afferro la busta e la apro.
 
Non fare quella faccia, lo so che non indovinerai mai cosa sto facendo!
Ragion per cui ti ho lasciato un GPS pronto all’uso. Ora ti dirò quello che devi fare: indossa il vestito, accendi il GPS e posizionalo in macchina.
È già installato sulla meta che devi seguire, quindi non modificare niente.
Ti aspetto qui!
 
 
Rileggo la lettera tre volte. Che diavolo sta combinando?
Sono confusa, ma improvvisamente entusiasta per quella sorpresa inaspettata. Poi un pensiero mi attraversa.
Alice!
Riprendo la lettera e mi accorgo di una scritta nel retro
 
Alice è da Grace, non agitarti! È tutto sotto controllo!
 
Sospiro sollevata. Poso la lettera affianco a me, sposto il GPS e sollevo il vestito nero.
È un vestito leggero, molto semplice e anche molto bello, con le spalline sottili e la gonna larga. Sembra anche abbastanza corto, a prima vista.
Mi alzo, corro nel bagno dell’ufficio e mi cambio subito, desiderosa di scoprire il prima possibile cosa sta succedendo.
Esco dalla toilette e mi osservo nel grande specchio sopra i lavandini: il vestito mi cade leggero sulla pelle e arriva fino a  metà coscia. Mi vanto con me stessa e mi dico che sto veramente bene.
Esco dal bagno e corro  a prendere tutto quello che mi serve dall’ufficio.
Salgo in macchina osservandomi perplessa: sono  vestita elegante e ho le scarpe da tennis.
Accendo il GPS. Con un bip lo schermo si illumina. Avvio la mappa preinstallata e resto a guardarlo.
La prima indicazione dice di procedere in direzione sud. Lo appoggio sul cruscotto e parto, curiosa di scoprire la mia meta.
Mentre guido vedo sullo schermo del GPS la nota “destinazione Folsom Lake”.
Folsom Lake? Che ci fa Jane laggiù?
Continuo a guidare, seguendo le indicazioni.
Dopo circa venti minuti il GPS mi dice di svoltare a sinistra in direzione Folsom.
Passo dall’autostrada ad una strada provinciale. Percorro la strada indicata per altri dieci minuti, poi ricevo la nuova indicazione. Obbedisco e svolto a destra su  Natoma Street.
Proseguo ancora mentre intravedo il cartello di Folsom Point, una piccola riserva naturale che dà sul lago, aperta al pubblico.
Prendo la terza a sinistra e arrivo, infatti, in un piccolo parcheggio della riserva. Fermo l’auto proprio davanti ai cancelli di legno della riserva.
Un uomo alto e con i capelli bianchi mi saluta quando scendo dall’auto.
“Lei è  Teresa vero?” mi chiede sorridendo.
Io rimango leggermente sorpresa “Si, sono io” rispondo imbarazzata.
“Salve sono Bryan, il guardiano della riserva!” allunga la mano per presentarsi e io ricambio la sua stretta forte e sicura.
“Il signor Jane mi ha detto di accompagnarla fino a metà strada, c’è un sentiero nel bosco da percorrere” mi spiega sorridendomi e facendo segno di seguirlo.
Mi incammino assieme al simpatico guardiano lungo il sentiero buio. Se non fossi con lui probabilmente ora starei tremando. Non mi piacciono i boschi di notte.
“Lei è la sua fidanzata?” mi chiede Bryan per fare conversazione.
Sorrido imbarazzata “Tecnicamente no..” esito “è una storia complicata” concludo.
“Deve amarla molto se le ha preparato tutto questo!” afferma il guardiano con un sorriso.
“Già” sorrido timida “è il padre di mia figlia” spiego a beneficio delle sue teorie.
“Capisco!” annuisce.
Il guardiano si ferma sul sentiero.
“Siamo arrivati” mi sorride incoraggiante e tira fuori dalla tasca una sciarpa nera.
Il guardiano mi guarda arrossendo “Mi scusi se mi permetto Teresa, ma devo bendarla”
Io sgrano gli occhi “Perché?” chiedo impaurita.
“Non si preoccupi, non la lascio sola al buio, in mezzo al bosco” mi sorride incoraggiante mentre si avvicina.
Annuisco e resto immobile mentre mi lega la sciarpa intorno agli occhi. La vista si oscura e io cerco con la mano il guardiano che mi conduce attento a non farmi inciampare verso sinistra. Sento un albero sfiorarmi la schiena a rabbrividisco.
“Aspetti qui!” si raccomanda il guardiano.
 Dove vuole che vada? Sono bendata!
“Grazie” mi sento di ringraziarlo, per tutto quello che sta facendo anche se non so cos’è.
“Si figuri!” risponde lui e sento un sorriso nella sua voce “quel Patrick Jane è un uomo fortunato!” esclama.
Sorrido fra me mentre sento i suoi passi allontanarsi. Sto per protestare e per impaurirmi, ma improvvisamente sento una mano sulla mia spalla. Sussulto sorpresa.
“Aspetti qualcuno?” sussurra la sua voce al mio orecchio, calda e suadente.
“Un uomo biondo, riccio e con gli occhi azzurri, l’hai visto passare per caso?” chiedo sorridendo, lanciando il gioco.
“Io no, e tu?” chiede lui divertito.
“Mi hanno bendata!” alzo le spalle e le mani in segno di resa.
“Capisco! Allora lascia che ti conduca io” mi dice all’orecchio prendendomi per mano.
La sua mano mi tiene la spalla, mentre l’altra è posata sul fianco, resta dietro di me e mi conduce in avanti, sempre sullo stesso sentiero di prima presumo.
Respiro l’aria intorno a me e sento l’odore di abeti e terra umida. Mi concentro sui suoni e ascolto il fruscio delle cime degli alberi, scosse dal vento, e un rumore in sottofondo cattura la mai attenzione. È il rumore di onde leggere, quelle del lago.
Sotto i miei piedi il suolo cambia, passando dalle rocce e radici dure del sentiero, a una consistenza morbida e friabile.
“Sfilati le scarpe” mi sussurra all’orecchio, come se fosse un segreto.
Automaticamente rispondo all’ordine, sfilando le scarpe da ginnastica e aiutandomi con la mano.
“A proposito sei bellissima!” mi confessa con la sua voce calda e sorridente. Posso sentire il suo sorriso anche ad occhi chiusi.
“Grazie! Vorrei poter dire lo stesso di te se ti vedessi!” sorrido.
“Un attimo di pazienza!” esclama divertito.
Quando appoggio i piedi nudi per terra sento finalmente cosa c’è sotto di me: sabbia.
È morbida e fresca sotto i miei piedi.
“Vieni!” mi dice Jane tirandomi per mano e riportandomi alla realtà. Mi conduce lentamente lungo la spiaggia, sento il rumore dell’acqua farsi più vicino.
A un certo punto ci fermiamo. Jane mi sistema davanti a..qualunque cosa ci sia davanti a me.
Scioglie lentamente il laccio della mia benda e poi la lascia cadere a terra.
Quello che i miei occhi vedono mi paralizza dall’emozione. Sorrido, cercando di potermi esprimere in qualche modo, ma non ci riesco. Il martellare frenetico del cuore mi impedisce di parlare e quasi di respirare.
“Allora ti piace?” mi chiede lui all’orecchio, con un sorriso.
Il mio sorriso si allarga: davanti a me c’è un piccolo tavolo rotondo, coperto da una tovaglia bianca. Sopra la tovaglia ci sono delle candele bianche accese, un secchio con una bottiglia, dei bicchieri luccicanti e dei piatti coperti. Tutto intorno al tavolo e alle sedie un cerchio di candele illumina la sabbia, facendola brillare.
La luna si riflette sull’acqua immobile del lago, e delle piccolissime onde si infrangono sui sassi lucenti a pochi centimetri dal tavolo.
“è bellissimo” sussurro sorridendo, incapace di dire altro.
“Lo so, sono bravo quando mi impegno!” si vanta scherzando.
Sono talmente rapita da quel momento che non mi preoccupo nemmeno di rispondere alle sue solite battute egocentriche.
Mi volto verso di lui e ci ritroviamo occhi negli occhi.
Sarà la luna, l’atmosfera o sarà la luce delle candele, ma io suoi occhi mi sembrano ancora più azzurri e profondi del solito.
“Volevo regalarti una serata speciale” mi spiega con un sorriso dolce.
Ricambio il sorriso “Ammetto che ci sei riuscito!” rispondo.
Ci sorridiamo, restando in silenzio per qualche secondo ad ascoltare lo scrosciare delle onde sulla spiaggia.
“Vieni, accomodati” mi dice lui riprendendo parola. Mi conduce per la mano fino alla mia sedia e la scosta per farmi sedere. Anche lui è a piedi nudi come me e indossa solo la camicia, senza giacca né gilet.
Sorrido della sua galanteria. Fa il giro del tavolo e si siede di fronte a me, sorridendo.
“Ammetto che il menu è un po’ scarso, ma non è facile cucinare nella minuscola cucina del guardiano e nello stesso tempo sistemare il tavolo!” confessa sorridendo sornione.
Sorrido “Povero guardiano! Ha dovuto sopportarti tutto il giorno!” scherzo.
Lui sorride sollevando il coperchio da i nostri piatti.
“è vero, ma credo si sia divertito molto!” ammette.
“Come hai fatto?” chiedo guardandolo con ammirazione.
“è facile, basta far rosolare la carne con la paprika dolce!” risponde convinto.
“intendevo ad organizzare tutto questo!” puntualizzo sorridendo e alzando le sopracciglia divertita.
“Ah, giusto!” mi sorride “be vecchie conoscenze se devo essere sincero. Venivamo spesso da queste parti quando ero ragazzino, per le fiere della zona. Il guardiano è il fratello di quello che c’era allora. Gli ho chiesto questo favore e lui ha acconsentito”
“Ma tecnicamente noi non potremmo stare qui, giusto?” chiedo per esserne sicura.
“Ma siamo qui, quindi problema risolto!” risponde sviandomi come sempre.
Sorrido scuotendo la testa “il concetto “Spirito della legge” è una cosa che non ti entrerà mai in testa! Ma la cosa non mi dispiace!” ammetto guardandolo negli occhi.
Lui mi sorride radioso “Lo immaginavo!”
 “Quindi era tutto architettato?” chiedo senza riuscire a togliermi il sorriso ebete e radioso dalla faccia.
“Esatto, tutto alle tue spalle! E ha funzionato!” sorride fiero di se stesso.
“Presumo anche, che Alice sia al sicuro”
“è da Grace, tranquilla. Ha deciso di farci questo favore e di tenere Alice per una notte!” risponde, chinando la testa sul suo piatto per mangiare.
In quel momento un leggero nodo si forma nel mio stomaco, bloccando subito l’impulso di ingoiare il boccone di carne che stavo masticando.
Per una notte..
Ripensandoci ancora il nodo allo stomaco si stringe e il cuore sussulta. Una notte soli, lontano da nostra figlia, dalla città, dal lavoro. Lontano da tutto.
Oh cielo..
Sospiro ingoiando finalmente la carne e prendendo un sorso d’acqua dal mio bicchiere.
“Champagne?” mi chiede Patrick prendendo la bottiglia dal cestello.
“Si grazie!” rispondo con un sorriso. La tensione di prima scompare improvvisamente, ma qualcosa mi fa pensare che di lì a poco la sentirò comparire di nuovo..
 
Eppure non ricompare. La serata scorre come se l’avessi già vissuta. Tutto è talmente perfetto che niente ha il potere di spaventarmi o innervosirmi. È tutto così reale e magnifico che mi perdo completamente: il resto del mondo non esiste, ma esiste solo quel lago, quella nostra fetta di spiaggia e lui, con i suoi occhi azzurri che mi fissano, con il suo sorriso che illumina più del fuoco delle candele e con la sua voce che risuona perfetta nell’aria.
Parliamo tranquilli, seduti al nostro piccolo tavolo bianco, tenendoci la mano. Il suo pollice accarezza il dorso della mia mano, lasciando un traccia vivida e calda sulla pelle.
Ridiamo insieme dopo che gli ho raccontato l’ennesimo episodio con Alice come protagonista.
“Mi sono perso così tanto” ammette con amarezza abbassando lo sguardo.
“Ma stai recuperando!” sorrido incoraggiante, stringendogli la mano. Lui rialza lo sguardo e mi sorride tranquillo.
“Lo devo solo a te” mi sorride dolcemente, continuando ad accarezzarmi la mano.
“Faccio del mio meglio!” scherzo sorridendogli.
Giro lo sguardo verso il lago e la brezza leggera sposta i capelli dalla mia spalla. Il paesaggio è veramente fantastico. È buio, ma la luce della luna illumina la superficie dell’acqua creando uno specchio brillante. Le sagome nere delle montagne e degli alberi attorno al lago si stagliano contro il cielo rischiarato dalla luna. Ogni cosa è scura e allo stesso tempo illuminata, da quella debole e fioca luce bianca.
“A cosa stai pensando?” mi chiede con un sorriso.
Mi volto a guardarlo sorridendo “Credo sia la prima volta che me lo chiedi e non anticipi tu la risposta”
Patrick sorride abbassando lo sguardo, poi torna sui miei occhi.
“Stavo pensando a quattro anni fa” rispondo sincera “non fraintendere, non pensavo a tutto quello che è successo” spiego anticipandolo “ma pensavo a cosa sarebbe successo se non te ne fossi andato. E in un certo senso, ho capito che sarei stata comunque felice. Sono felice, ora, che sei qui e sarei stata felice se tu non fossi partito. Prima non potevo saperlo, ma ora che lo so, che sei tornato e che siamo finalmente insieme, il dolore sembra soltanto uno stupido ricordo. Non importa come sia andata, comunque, per ogni strada possibile, il finale sarebbe sempre stato quello!” concludo sorridendo.
Patrick mi fissa sorpreso e colpito dal mio discorso. Si alza dal tavolo e io lo seguo, continuando a tenere la mano nella sua. Guarda verso il lago e la luce della luna fa brillare i suoi occhi azzurri. La brezza scompiglia i suoi ricci biondi.
“Peccato che la strada che ho percorso si stata quella più dolorosa per te” ammette con un sorriso.
“è stata la più dolorosa anche per te” commento ricambiando il sorriso.
“Naa, io non conto, sei tu quella importante!” esclama sorridendo.
Rido e alzo gli occhi al cielo “Il punto è che ora siamo insieme. Se le cose fossero andate diversamente, nessuno può sapere cosa ci sarebbe successo. Magari oggi non saremmo così felici, o..innamorati” ammetto con una nuova luce negli occhi e nella voce “forse sarebbe accaduto qualcosa che ci avrebbe separati, o forse sto parlando a vuoto e mi sto sbagliando, ma quello che conta è come siamo oggi. Siamo i genitori di una bambina straordinaria, e non importa che strada abbiamo percorso per ottenere la nostra felicità, ciò che conta è che l’abbiamo ottenuta”
Patrick si gira verso di me, ritrovandosi a pochi centimetri da me, lo sguardo concentrato sui miei occhi.
“E forse è vero” continuo “abbiamo sofferto. Ma ciò che abbiamo riavuto indietro è molto più importante di qualunque dolore. E  si” ammetto con un sorriso, arrossendo “si, sono ancora innamorata di te. Forse perché una parte sana del mio cuore non ha mai smesso di amarti. Forse perché ritrovavo in Alice ogni cosa,  e vedevo te in ogni parte di lei. O forse perché non ho mai smesso di credere che saresti tornato, nemmeno quando negavo di sperarci ancora. Ti amo e per me vale molto più di tutto quello che è successo. Ti amo molto  più di quanto ti amassi allora, perché ora so cosa vuol dire perderti. E sono pronta a rischiare qualunque cosa pur di non perderti mai più” confesso tutto d’un fiato con il sorriso che non riesco più a togliermi dalla faccia.
Sarà una mia impressione, ma credo che la distanza fra noi sia sempre più insignificante. 
La sua mano si alza verso la mia guancia e la accarezza piano. I suoi occhi non si separano dai miei, come se fosse impossibile, per lui, distogliere lo sguardo. Il mio cuore continua la  martellante corsa che mi ha accompagnata per tutta la serata. 
È quell’istante ciò di cui avevo bisogno: quell’intenso istante in cui osservo i suoi occhi azzurri e la mia bocca, così vicina alla sua, sente il bisogno di avvicinarsi, di annullare quella distanza  e di raggiungere le sue labbra.
Ma non lo faccio. Lascio scorrere quell’istante in cui siamo sospesi fra due momenti diversi: due persone che si guardano negli occhi e due persone che si baciano.
Lascio che il tempo scorra, continuando a guardarlo negli occhi, trovando nei suoi, e  nel riflesso dei miei, una nuova e più intensa luce, forse più intensa di quella della luna.
“Ho lasciato Patrick Jane senza parole” sussurro vicino alle sue labbra.
Lui sorride dolcemente “Dammi un minuto e le ritrovo” sussurra scherzando.
Poi quell’istante passa. La sua magia non si spegne, ma cambia e questa volta diventa la magia del bacio.
Una magia che non sentivo da tempo. Non era il bisogno di una qualsiasi, ma di quella magia, quella che può essere solo sua.
Può essere solo delle sue labbra quel sapore dolce che ritrovo sulle mie. Può essere solo della sua pelle quel profumo inebriante.
Può essere solo suo il respiro che si unisce al mio. Perché non esiste niente di più dolce come la realtà. La realtà è molto più inebriante e dolce del ricordo.
Il ricordo non vale niente rispetto a quel bacio.
Il ricordo non vale niente rispetto alle sue mani che mi accarezzano la schiena. Non vale niente rispetto alle sue labbra che cercano la mia pelle. Non vale niente rispetto ai suoi occhi che cercano i miei, pieni di passione, desiderio e amore.
Niente vale quanto la vera realtà. E tutti quei ricordi a cui mi ero aggrappata scompaiono per lasciare libera la mente di riviverli ora.
Mi lascio scivolare fra le sue braccia sulla sabbia fresca. Le sue mani percorrono ogni centimetro della mia pelle, che diventa calda al loro passaggio.
La mia bocca continua a cercare la sua perché non può fare a meno di quel bacio. Mi lascio cullare dal suo sguardo e dalle sue mani, lasciando il cuore a briglia sciolta, libero di esplodermi nel petto.
“Ti amo” sussurra al mio orecchio.
“Ti amo anche io” rispondo con un sorriso.
Conta solo questo per me. Non esistono ricordi e non esiste un passato. Esiste solo l’amore che sento e che  voglio continuare a provare.
Cerco di nuovo la sua bocca e mi stringo forte al suo corpo.
Facciamo l’amore stesi sulla sabbia, con la luna e le stelle riflesse sul lago, a farci da sfondo.
 
 
Quando riapro gli occhi è ancora buio, ma la luna si è spostata nel cielo.
Un soffio di brezza mi fa rabbrividire e forma la pelle d’oca sulla mia schiena. La mia pelle non tocca la sabbia, perché, quella che prima era la tovaglia, ora è il nostro materasso, per così dire. Le candele attorno a noi si sono spente per il vento e la notte è ancora più scura e limpida.
Sono rannicchiata fra le sue braccia, con la tesa appoggiata sul suo braccio.
“Hai freddo?” mi chiede accarezzandomi la schiena.
“Solo un po’” rispondo alzando il viso per guardarlo.
Ci ritroviamo talmente vicini che non resisto alla tentazione di baciarlo. La sua lingua accarezza la mia in una danza dolce e sensuale.
“Aspetta” mi dice Patrick, girandosi dall’altra parte e recuperando la sua camicia.
“Mettiti questa”  dice porgendomela con un sorriso.
“Grazie” gli sorrido anche io e infilo la camicia, decisamente sproporzionata al mio corpo, ma molto comoda. Il suo profumo mi invade subito le narici, inebriandomi.
Mentre finisco di allacciarla, Patrick allunga un braccio sotto il tavolino, dove noto solo ora una coperta azzurra, piegata.
“Avevi una coperta e la tiri fuori solo ora?” chiede stupita, mentre allaccio l’ultimo bottone della camicia.
“Me ne ero dimenticato. Ero piuttosto distratto, avevo altro a cui pensare!” si giustifica sorridendo sornione, mentre stende la coperta su di noi.
Torno sorridendo fra le sue braccia, ma rimango sollevata per guardarlo negli occhi.
“Se vuoi posso distrarti ancora” sussurro, sorridendo maliziosa.
“Sembra promettere bene” mi sorride malizioso.
Rido mentre mi chino a baciarlo, scivolando di nuovo fra le sue braccia.
 
 
Jane
 
 
Quando riapro gli occhi vengo colpito da un fioco raggio di sole che sbuca da dietro una delle montagne attorno a noi.
È l’alba, il sole non ha nemmeno superato la linea del basso orizzonte, e il cielo più lontano è chiaro, ma ancora pieno di stelle.
Teresa dorme e respira tranquilla fra le mie braccia. Richiudo gli occhi sorridendo e accarezzandole i capelli, mentre ripenso alla notte passata insieme.
Il ricordo che avevo delle sue labbra, del suo corpo e delle sue mani non era niente in confronto alla realtà.
Riaverla fra le mie braccia è stata la cosa più straordinaria che potessi provare, e il mio cuore non ha ancora smesso di martellare ossessivamente da ieri sera.
Avvicino le labbra al suo orecchio e lo sfioro, scendendo lentamente, fino a baciarle il collo per svegliarla.
Lei strizza gli occhi prima infastidita, poi lentamente li apre, mentre un sorriso si allarga sulle sue labbra. Si gira verso di me con i suoi occhi verdi lucidi e svegli, e mi sorride.
“Buongiorno”
“Buongiorno” le rispondo chinandomi per baciarla.
“Dobbiamo andarcene vero?” mi chiede un po’ triste.
Sorrido “è l’alba, significa che se ci sbrighiamo saremo a casa per le 7. C’è qualcuno a casa di Grace che ci aspetta prima delle 8” rispondo.
Lei sorride, e nei suoi occhi vedo la lotta fra la voglia di rimanere qui con me e la voglia di riabbracciare la sua bambina.
“Non guardarmi così!” mi rimprovera sorridendo.
“Così come?” mi fingo indifferente.
“Come ogni volta che cerchi di guardarmi nella testa! Cos’hai trovato?” mi chiede sempre sorridendo.
“Tante cose” vagheggio dandole un altro bacio.
Ci sorridiamo ancora, poi lentamente ci alziamo dal nostro accampamento improvvisato. Teresa ha ancora addosso la mia camicia.
“Alice ci aspetta” mi dice sorridendo mentre si alza a recuperare i vestiti sparsi intorno a noi.
“Posso riavere la mia camicia?” le chiedo malizioso alzandomi e abbracciandola.
“Dipende, cosa mi dai tu in cambio?” mi chiede sfidandomi.
Sorrido beffardo, con la mia migliore espressione maliziosa, ma lei mi blocca prima che io possa aprire bocca.
“No, non c’è tempo” sorride slacciandosi la camicia “Per questa volta ti è andata bene”
“Mi è andata male, vorrai dire” commento deluso prendendo la camicia.
“Guarda il lato positivo” mi dice mentre si infila il vestito nero “Hai riavuto la tua camicia” mi sorride, si avvicina e mi bacia dolcemente.
“Evviva” dico senza entusiasmo, facendola ridere.
Finiamo di sistemare la spiaggia, fermandoci di tanto in tanto per un bacio o una carezza un po’ troppo lunga, e carichi di roba torniamo verso le auto.
Dalla finestra della casetta il guardiano ci saluta con la mano. Lo salutiamo sorridenti e saliamo ognuno sulla sua macchina per tornare a Sacramento, dalla nostra bambina.
Per quanto sembrasse infinita, la notte è terminata e ora dobbiamo tornare alla realtà. Una realtà in cui, però, saremo insieme!
 
 
 
 
Dice l’autrice:
Total Romantijisbon (termine coniato tipo..adesso!..per indicare momenti smielati e carichi di dolce passione della nostra coppia preferita!)
Domanda: sono riuscita a emozionarvi con questo capitolo? Finalmente l’amore ha trionfato! E ora ne vedrete gli sviluppi : )
Attendo con grandissima ansia i vostri commenti! Non vedo l’ora di sapere che ne pensate
: )
Un bacione enorme : )
Giada
 
Ps: e grazie veramente di cuore a tutti le persone che mi seguono, recensiscono e mi sostengono: siete la mia fonte di ispirazione (e  di autostima!): grazie veramente : )

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Capitolo 10
*** capitolo 9- Jane's Day ***


CAPITOLO 9- JANE’S DAY
 
 
 
Teresa
 
 
Esco dalla doccia, finalmente rinfrescata e comincio a vestirmi. Credo che questa sia stata la notte più bella della mia vita.
Addormentarmi fra le sue braccia e svegliarmi nella luce dell’alba, vedendo il suo viso, guardando i suoi occhi cristallini. Non potevo desiderare di meglio.
Finisco in fretta di prepararmi e scendo disotto dove Patrick si è offerto per improvvisare una rapida colazione.
Quando entro in cucina lui si volta e mi viene incontro abbracciandomi.
Mi sollevo leggermente sulle punte e cerco le sue labbra, perdendomi in uno dei nostri baci deliranti.
“Siamo in ritardo” sussurro sulle sue labbra.
“Naa, non è vero” protesta lui tornando a baciarmi. Rido sulle sue labbra e lo allontano da me.
“Alice ci aspetta a casa di Grace” gli ricordo alzando un sopracciglio.
“Il dovere di bravi genitori ci chiama!” conferma lui, sorridendo e sciogliendo l’abbraccio per tornare verso la sua tazza di thè.
Beviamo dalle nostre tazze sorridendoci perennemente e usciamo in fretta, raggiungendo la mia macchina.
Superato il solito bisticcio su chi deve guidare, salgo sul sedile del passeggero, ma solo perché mi sento estremamente buona stamattina, e partiamo.
Quando arriviamo a casa di Grace, lei, Wayne e Alice stanno uscendo in giardino per aspettarci.
Alice ci vede arrivare in auto e comincia a sbracciarsi e a sorriderci. Strano, ma mi è mancata molto, nonostante non la veda solo da un giorno. La sua presenza è vitale per me, quanto la presenza di Patrick al mio fianco. E quando, per un qualunque motivo, non siamo insieme, mi manca tremendamente.
Scendo velocemente dall’auto prima che Patrick possa spegnerla, e volo incontro a mia figlia.
“Mamma!” grida lanciandosi fra le mie braccia.
“Amore mio!” la afferro e la stringo forte in uno dei nostri abbracci soffocanti.
“Papà!!” urla lanciandosi fra le braccia di Patrick, che nel frattempo si è avvicinato a noi.
“Ciao piccolina!” la saluta lui dandole un grosso bacio sulla guancia.
“Gli zii mi hanno portata al cinema!”  ci racconta radiosa.
“Che film avete visto?” chiedo curiosa.
“Un cartone bellissimo, lo zio Wayne si è anche commosso alla fine!” ci racconta prendendolo in giro.
“Spiona!” la rimbecca lui avvicinandosi a noi.
“Rigsby, lo sappiamo che nel profondo sei ancora un bambinone!” lo prende in giro Patrick.
Nel frattempo ci raggiunge anche Grace che arriva sorridendo.
“Siamo anche andati a mangiare la pizza a forma di animali dello zoo. Alice ha preso la giraffa, vero piccola?” le chiede Grace con un sorriso affettuoso.
“Si, e la zia Grace l’ha presa a forma di pesce, mentre lo zio Wayne a forma di leone!”
“Non era un leone, era un puma!” ribatte Wayne.
“No zio era un leone!” ribadisce Alice alzando gli occhi al cielo.
“Era un puma!” ribatte lui facendole la linguaccia e ridendo.
“Vogliamo scommettere?” lo sfida Alice incrociando le braccia con aria di sfida.
Quando fa così mi ricorda me stessa nei momenti in cui cerco di fronteggiare le teorie di Jane.
Noi ridiamo, osservando divertiti la scena.
“D’accordo ora è tardi, devi andare all’asilo e i grandi devono andare al lavoro!” dico prendendo in braccio Alice.
Risaliamo in macchina e portiamo Alice all’asilo. Visto che non abbiamo casi in ballo, Patrick decide di passarla a prendere e di passare il pomeriggio con lei.
“Vi farà bene un pomeriggio tutto per voi!” ammetto sorridente. Siamo nel mio ufficio e io sto lavorando alla montagna infinita di carte che in questi giorni ho decisamente trascurato.
“Sarà una giornata fra i piccoli Jane!” si prende in giro sorridendo, e chinandosi sulla mia sedia per darmi un bacio sulla guancia.
Sorrido, mentre continuo a lavorare. Patrick ogni tanto mi aiuta, ogni tanto si stende sul divano e ogni tanto va da Rigsby a proporre qualche assurda scommessa, o a fare una delle sue magie.
Molto più velocemente del solito arriva la pausa pranzo, e quindi il momento di andare a prendere Alice. Io resto in ufficio assieme a Grace, mentre Patrick esce per godersi una giornata interamente con sua figlia.
“Che cosa farete?” chiedo curiosa, prima che esca dal mio ufficio.
“Mhm, non lo so. Magari andremo al parco o da qualche altra parte all’aperto: è una bella giornata!” mi sorride.
Mi avvicino e gli do un bacio leggero per salutarlo.
“Non accettare caramelle dagli sconosciuti” lo prendo in giro.
“Me ne ricorderò!” mi sorride, mi bacia un’ultima volta poi sparisce dal mio ufficio. Esco anche io per raggiungere Grace e pranzare con lei.
Si prevede un pomeriggio lungo: senza Jane e senza mia figlia. Chissà che combineranno quei due..
 
 
Jane
 
 
Raggiungo l’asilo di Alice con il morale alle stelle. Ho mentito a Teresa, non è vero che non so cosa faremo. Il programma della giornata è intenso e perfettamente organizzato.
Alice diventerà la complice del mio piano!
Scendo dall’auto e mi appoggio alla ringhiera, davanti all’entrata dell’asilo. Mi guardo intorno e vedo tanti genitori o baby-sitter che aspettano i loro bambini chiacchierando.
Dopo qualche minuto un fiume di bambini esce dall’asilo. Alice sapeva benissimo che sarei andato io a prenderla, infatti la vedo scrutare la folla e cercarmi. Quando mi vede mi regala uno dei suoi sorrisi gioiosi e corre verso di me.
“Ciao papà!” urla saltandomi in braccio.
“Ciao piccola!” la stringo forte e mi lascio dare un sonoro bacio sulla guancia.
“Oggi staremo tutto il giorno insieme?” mi chiede sorridendo già entusiasta.
“Oggi è la giornata dei Jane: staremo solo io e te, e abbiamo veramente tantissime cose da fare! È in programma anche una gita al parco, ma prima” alzo il dito sorridendo “abbiamo una cosa importantissima da fare!”
Alice annuisce con l’aria più adulta che riesce ad  avere e scende dalle mie braccia.
“Vuoi fare una sorpresa alla mamma?” mi chiede curiosa, con il suo, o meglio il mio, sguardo indagatore.
La fisso sorpreso: questa bambina è un prodigio!
“Come fai a saperlo?”
“Intuito!” risponde sorridendo e alzando le piccola spalle.
Rido e scuoto la testa “Sei proprio mia figlia!”
“Forza sbrighiamoci allora!” mi dice e mi prende per mano, conducendomi verso la macchina.
Saliamo in macchina e lei si sistema dietro, poi partiamo.
“Dove andiamo?” chiede curiosa.
“Lo capirai presto! Mi raccomando: acqua in bocca, la mamma non deve saperne niente!” mi raccomando guardandola dallo specchietto retrovisore.
Lei annuisce sorridendo “Muta come zio Cho!” risponde.
Scoppio a ridere “Muta come zio Cho?” chiedo.
“Si, me l’ha insegnato lo zio Rigsby, lo diciamo spesso, ma è un nostro segreto!” mi confessa sottovoce.
“Non ditelo allo zio Cho!” commento.
Continuo a ridere mentre parcheggio davanti alla destinazione prefissata.
Scendiamo e prendo subito Alice per mano: se la perdo, anche se dubito possa accadere, o accidentalmente scivola sul marciapiede, Teresa mi uccide!
“Eccoci qua!” sorrido guardando la sontuosa entrata.
“Dove siamo?” chiede Alice che sicuramente non è mai stata in un posto del genere.
“Siamo in un posto molto serio!” mi abbasso al suo livello e la guardo negli occhi “qui sono tutti vestiti eleganti, tutti snob e altezzosi, e anche un po’ antipatici. Una volta ho seguito un caso dentro a questo posto, ma noi dobbiamo farci due cose li dentro” le spiego.
“Che cosa?” chiede curiosa con un sorriso.
“Dobbiamo ritirare un foglio e firmarne tanti altri per te e poi io devo firmare un modulo importantissimo e portarlo via!” resto sul vago.
Lei mi fissa, molto perplessa e molto curiosa.
“Ok, andiamo!” alza le spalle e mi prende per mano.
Sorrido ed entro assieme alla mia bambina.
 
Dopo un’ora e mezzo usciamo dall’edificio. Alice salta tutta contenta al mio fianco.
“è un’idea bellissima!” commenta ridendo, dopo aver saputo cosa ho in mente. È contentissima anche per la prima cosa che abbiamo fatto appena entrati.
“Dobbiamo coordinarci” le spiego “dovrà essere tutto perfetto!”
“Si papà!” risponde per l’ennesima volta, alzando gli occhi al cielo. Gliel’avrò ripetuto almeno una ventina di volte.
Raggiungiamo velocemente la nostra seconda destinazione. Alice non sta più nella pelle e ovviamente entra per prima, tirandomi per la mano. Ora che ha capito cosa deve fare è andata in fibrillazione quanto me!
“Signor Jane!” mi saluta un uomo conosciuto.
“Salve George!” ricambio il saluto. Incredibile che dopo tutto questo tempo si ricordi ancora di me.
Alice passa lo sguardo da me a lui incuriosita dal nostro saluto.
“Ah, Alice questo è il signor George Doverton, il proprietario di questo posto bellissimo!”
Alice sorride radiosa “Molto piacere!” lo saluta educata.
“Il piacere è mio signorina Jane!” risponde lui con un piccolo inchino, facendo arrossire Alice: è la prima persona che ci riesce!
“Vedi Alice questo signore e io ci siamo conosciuti parecchi anni fa” le spiego.
“E come?” chiede lei curiosa.
“Ho arrestato suo fratello. Cioè la mamma ha arrestato suo fratello, io l’ho solo aiutata!” spiego, senza prendermi il merito dell’impresa.
“Già, e ha scoperto tanti scheletri nell’armadio della famiglia Doverton, che comunque ancora oggi, continua a rimanere la migliore nel suo campo!” risponde George con un sorriso. Infondo ci è sempre stato grato per aver sistemato gli affari di famiglia.
“In cosa posso esservi utile?” chiede con cortesia.
Guardo Alice che mi sorride complice, poi alza lo sguardo verso George.
“Dobbiamo fare una sorpresa alla mia mamma!” risponde con un sorriso gioioso.
Spieghiamo a George cosa ci serve e in men che non si dica ci ritroviamo seduti ad un tavolino assieme a George e un pensate libro pieno di immagini. Alice commenta ogni immagine che vede, scarta quelle che non le piacciono e aggiunge alla lista di quelle in competizione.
Lascio che Alice vada a briglia sciolta con la fantasia, e lascio decidere tutto a lei.
George ride sinceramente divertito dall’apparente maturità di Alice e dal suo buffo modo di vedere le cose.
Dopo circa un’ora Alice riesce a tirare le somme della sua lista e sceglie l’opzione preferita.
Salutiamo George, dandoci appuntamento fra due settimane e usciamo allegri dal suo negozio.
“Papà dovremmo dirlo alla zia Grace!” mi dice Alice mentre risaliamo in auto.
“Glielo diremo, ma solo poco prima di portare a termine la missione, altrimenti non riuscirà a mentire alla mamma!” rispondo sorridendo.
“E ora?” chiede Alice.
“Dobbiamo fare solo un’ultima cosa, ma questo fa parte delle cose che diremo alla mamma!” le spiego.
Raggiungiamo la donna che dovevamo incontrare e cominciamo la nostra avventura. Alice osserva, commenta e da il suo giudizio finale.
Conclusa anche questa fase, risaliamo in macchina e ci organizziamo un piccolo piano su come dirlo a Teresa.
Siamo fermi a un semaforo rosso. Rifletto sulla mia pazza idea e sorrido fra me.
“Ora dove andiamo?” chiede mia figlia.
“Per oggi basta, abbiamo fatto abbastanza. Andiamo a goderci un po’ di sano riposo al parco!” le rispondo con un sorriso.
Lei mi sorride in risposta, battendo le mani, contentissima di andare al parco con suo padre.
 
 
Dopo due ore di sane corse nel parco, torniamo esausti a casa, ma prima passiamo al supermercato a fare la spesa. Abbiamo deciso di cucinare per la mamma, e Alice è molto entusiasta di questa cosa.
Quando arriviamo a casa, dopo una rapidissima doccia e un cambio d’abiti altrettanto rapido, cominciamo a cucinare le lasagne, il piatto preferito di Alice e Teresa.
Alice è molto brava in cucina, anche se sta in piedi su una sedia per arrivare  perfettamente al ripiano e mescolare gli ingredienti nella ciotola.
Mi ha persino corretto, dicendomi che prima di mettere la carne il sugo deve cuocere da solo per qualche minuto.
Dopo aver cucinato le lasagne, puliamo tutto, per evitare di passare il compito a Teresa, e prepariamo la tavola.
Accendiamo persino una candela a centro tavola.
Nello stesso momento in cui le lasagne finiscono di cuocere in forno, Teresa apre la porta di casa.
Alice le corre incontro urlando e le salta subito in braccio.
“Mamma abbiamo cucinato le lasagne!” esclama entusiasta abbracciandola.
“Ma che bravi, avete fatto tutto voi!” esclama e sorride, abbracciando la bambina e facendomi l’occhiolino.
“Te lo meriti, dopo una giornata di lavoro è il minimo che potevamo fare!” commento avvicinandomi e dandole un bacio sulla guancia.
“Fila a prepararti mamma, altrimenti si raffredda!” la rimbecca subito Alice, scendendo dalle sue braccia e spingendola verso le scale.
“Va bene, va bene, calma, vado subito!” risponde ridendo e salendo velocemente le scale.
Circa mezz’ora dopo siamo tutti e tre allegramente seduti a tavola, a goderci le nostre ottime lasagne.
“Che avete fatto oggi pomeriggio?” chiede Teresa curiosa.
Alice, impassibile e da perfetta attrice, si lancia in un finto e dettagliatissimo resoconto della giornata, che io le ho suggerito mentre le lasagne cuocevano in forno.
“Prima siamo andati a mangiare i nostri panini preferiti nel chiosco vicino al CBI, poi siamo andati al molo, a vedere quelli che pescavano. Poi siamo stati al parco: siamo stati tantissimo al parco, e abbiamo fatto un sacco di cose, c’era anche Rosalie, con la sua baby-sitter, perché la sua mamma è andata a New York dal papà. Poi siamo andati a fare la spesa e ci abbiamo messo un sacco, perché c’era tantissima gente. Poi siamo venuti a casa e abbiamo cucinato le lasagne!” racconta tutto d’un fiato, parlando a razzo come suo solito.
Teresa ride per il resoconto dettagliato e rapidissimo “Vi siete dati da fare eh!” commenta sorridendomi.
Io, recitando la mia parte, le sorrido “Una perfetta giornata di divertimenti fra padre e figlia!” poi fingo di illuminarmi “Alice non le hai raccontato la cosa più importante!”
Anche lei finge perfettamente un’illuminazione. Abbiamo deciso di raccontarle solo due delle cose che abbiamo fatto, per il resto dovrà aspettare ancora.
“Ah si, papà mi ha portato al municipio di Sacramento, e ho cambiato cognome!” racconta entusiasta.
Teresa ci fissa sorpresi “Davvero?”  chiede stupita.
“Certo, è ufficialmente una Jane!” sorrido alzando la mano per dare il cinque a mia figlia e che colpisce con energia la mia mano con la sua minuscola.
“Sono davvero contenta!” ammette sincera Teresa sorridendoci e accarezzando la guancia di Alice.
“Ah e poi mamma abbiamo fatto anche un’altra cosa!” esclama Alice entusiasta, e facendomi di nascosto l’occhiolino.
“Che cosa?” chiede lei curiosa.
“Abbiamo comprato una casa!” risponde Alice tranquilla, con il suo sorriso furbesco.
La forchetta di Teresa scivola dalle sue dita e cade sul piatto con un rumore metallico, mentre lei spalanca la bocca e sgrana gli occhi.
“Che cosa avete comprato?” chiede allibita.
“Una casa!” ripete Alice sorridendo “è bellissima mamma! È davvero grande, ed è vicina al CBI e anche al mio asilo, così tu e papà non dovrete fare molta strada per andare al lavoro e portarmi all’asilo. C’è anche il giardino!” racconta sorridendo radiosa.
Teresa sposta lo sguardo rapidamente da me a Alice “Avete comprato una casa?” ripete ancora sbalordita, ma cominciando a sorridere.
“Ad Alice piaceva!” alzo le spalle sorridendo “così abbiamo deciso di prenderla! È spaziosa ed è in un quartiere tranquillo. È perfetta!”
“Quando ci trasferiamo? Dobbiamo andarci subito!! Iniziamo a preparare i bagagli!” propone Alice entusiasta.
“D’accordo, ma non possiamo trasferirci subito domani! Dobbiamo sistemare ancora un paio di cose dentro, e poi sarà pronta!” rispondo, calmando l’entusiasmo sfavillante di mia figlia.
Teresa scuote la testa sorridendo, mentre Alice scende radiosa dalla sedia e corre a prendere il telefono, parlando a razzo e nominando le parole “zia Grace” “nuova casa” e “trasloco” tutte in una volta.
“Hai comprato una casa?” mi chiede ancora stupita Teresa, alzandosi e sedendosi nella sedia accanto alla mia, che prima era occupata da Alice.
Le prendo la mano sorridendo come un bambino “Ho pensato che potesse essere simbolico iniziare una nuova vita insieme, in una nuova casa!”
Lei mi sorride e si sporge a baciarmi dolcemente “Quando posso vederla?” chiede curiosa.
“Se vuoi ci andiamo domani! Ho già le chiavi!” sorrido allegro “dobbiamo solo sistemare l’impianto elettrico e verniciare alcuni dei muri, e poi è tutta nostra!”
“Tu sei pazzo!” mi prende in giro ridendo e baciandomi di nuovo.
E ancora non ha visto il resto!
 
Passiamo una fantastica serata accoccolati tutti e tre sul divano a guardare uno dei soliti cartoni animati, migliori anche di qualche film che gira al giorno d’oggi.
Il risultato è che, dopo circa mezz’ora, Alice si addormenta, crollando esausta fra le braccia della madre.
Invece di portarla subito a letto, rimaniamo tutti e tre abbracciati. Abbassiamo quasi a zero il volume della tv e rimaniamo rilassati sul divano, mentre osserviamo Alice dormire beata.
Ha avuto una giornata molto impegnativa, e ha esaurito le batterie in un lampo.
Chiacchieriamo un po’, ma per lo più rimaniamo in silenzio a guardare Alice e ci teniamo per mano.
Passata un’altra ventina di minuti ci addormentiamo anche noi! Sentivo gli occhi farsi pesanti, così li ho chiusi e mi sono addormentato, seguito a ruota da Teresa.
Scivolo in un profondo sonno, ancora con il sorriso sulla faccia.
 
Alice
 
Mi risveglio dopo un po’, non so quanto, e mi accorgo che non sono più sul divano con mamma e papà, ma sono nel mio lettino.
Sbadigliando mi alzo perché ho tanta sete e scendo lentamente le scale per andare in cucina. Quando passo dal salotto vedo che la mamma è tornata sul divano, ma si è riaddormentata.
Vado piano verso il divano e vedo la mamma che dorme appoggiata alla spalla di papà. Lui non si è mai svegliato, dorme ancora da prima.
Che pigrone!
Sorrido e prendo una coperta dal mobiletto. Mi avvicino e con fatica la stendo su di loro, cercando di non svegliarli. È veramente enorme questa coperta!
Quando riesco finalmente a sistemarla bene vado in cucina, e bevo il mio bicchiere d’acqua.
Torno in salotto e mi sporgo per dare un bacino sulla guancia alla mamma e uno a papà, poi torno di sopra nel mio lettino.
Mentre mi infilo sotto le coperte ripenso alla giornata passata con papà e sorrido. La mamma sarà contentissima quando scoprirà la sua sorpresa.
Mi addormento, sognando la nostra nuova casa.
 
 
 
Jane
 
 
Non so esattamente cosa sia stato a svegliarmi, ma quando riapro gli occhi Alice non c’è più. Siamo solo io e Teresa, e per giunta siamo coperti. Mi muovo lentamente, cercando di non svegliarla e scendo dal divano.
Salgo le scale e vado in camera di Alice, aprendo piano la porta. La vedo dormire tranquilla e respirare piano, nel suo lettino.
Sorrido fra me e torno disotto. Quando è andata a dormire?
Mi siedo sul divano e cerco di svegliare Teresa.
“Teresa” la chiamo sussurrando.
Lei apre gli occhi subito e mi sorride. Mi chino a baciarla dolcemente, sorridendo.
“Ho portato Alice a dormire, volevo svegliarti e invece mi sono riaddormentata” mi spiega sorridendo.
Poi fissa la coperta. “L’hai presa tu la coperta?” chiede.
“No” rispondo perplesso “pensavo l’avessi presa tu quando hai portato Alice a dormire”
Ci guardiamo, e nello stesso momento ci sorridiamo, arrivando insieme alla conclusione: è stata nostra figlia!
“Deve essersi alzata per bere” ipotizza Teresa, sorridendo.
“Che dolce” commento con un sorriso. È davvero fantastica!
Ci alziamo lentamente e andiamo barcollando dal sonno verso il letto. Credo di essermi addormentato pochi secondi dopo aver toccato il cuscino.
L’ultima cosa che ricordo è la sua pelle calda, fra le mie braccia e il suo respiro lento sul mio collo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dice l’autrice:
Allora, so che nessuno ha capito cosa sta combinando Jane, e vi dirò anche che non lo saprete fino al capitolo 11!! se devo essere sincera, la mia è una sorta di competizione/vendetta con Bruno Heller (che ovviamente mi supera di gran lunga, perché il genio è lui!! Però io mi diverto comunque!) perché ha deciso (non è uno spoiler, ma solo una dichiarazione, però chi non vuole leggere non legga, e lo scrivo a caratteri cubitali: SPOILER!!!!!!) che la terza serie finirà di me**a! L’ha dichiarato Simon Baker in un’intervista, quindi io mi diverto a lasciare in sospeso chi legge, proprio per vendicarmi del brutto momento che passerò quando la terza serie finirà!! Da qui si capiscono perfettamente i gravi problemi di sanità mentale che mi accompagnano! Ma infondo siamo tutti un po’ pazzi, cambia solo il modo in cui lo manifestiamo!  Dopo questa perla di saggezza non richiesta, direi grazie come sempre alle fanciulle che mi stanno sostenendo e che recensiscono fedelmente : ) desidero tanti commenti per sentire il vostro parere :)!!
Un bacione : )
Giada
 
P.s.: volontariamente ho lasciato un semi indizio, che forse potrebbe farvi capire cosa sta combinando Jane (se lo capite avete la mente contorta quanto la mia, e vi avviso subito che non è un buon segno XD!): vi ricordate di Tom e George Doverton, vero? i baldi fratelli della puntata “Rosso rubino”? bene, l’indizio era quello..se vi ricordate che lavoro facevano : )

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Capitolo 11
*** capitolo 10- building our new place ***


 
CAPITOLO 10 – BUILDING OUR NEW PLACE
 
 
Teresa
 
 
È domenica mattina, ho la giornata libera e mi sono svegliata due ore dopo del solito. Ora sono con Patrick e mia figlia a vedere la famosa casa in cui ci trasferiremo.
Quando me l’hanno raccontato non ci credevo! Avevo capito che mi nascondevano qualcosa, ma non pensavo si trattasse dell’acquisto di una casa!
Patrick parcheggia nel vialetto di un bel quartiere residenziale che si vede anche dalla finestra del mio ufficio al CBI, quindi è proprio vicino!
Scendiamo e io fisso subito gli occhi sulla casa di fronte a me: inutile dire che è bellissima! Non è esageratamente grande, ma è sicuramente più grande della mia. È una villa bianca con tante finestre e un bel giardino, recintato, e c’è addirittura un garage dall’aria molto spaziosa.
Alice saltella felice da quando siamo partiti e ora sta aprendo il cancello lei, per fare gli onori di casa a sua madre.
Prendo Patrick per mano sorridendo e mi lascio tirare da quel tornado di mia figlia che mi conduce verso la casa.
Saliamo i tre gradini del portico e apriamo la porta. L’interno è ancora più bello dell’esterno! Subito davanti all’ingresso c’è un’ampia scala che porta al piano superiore. A destra un grande locale, che dovrebbe essere la cucina, diviso da un muro con un arco che separa le due stanze. A sinistra il salotto è grandissimo e molto illuminato da una portafinestra che si apre direttamente sul giardino sul retro e una che, invece, da direttamente sul portico.
“è bellissima!” esclamo con un sorriso ebete dipinto sul volto.
Patrick mi sorride, capendo il mio stato d’animo in quel momento: questa è la nostra casa! L’annuncio ufficiale che la nostra vita è cominciata e che ora siamo una famiglia, a tutti gli effetti.
“Vieni mamma, vieni a vedere di sopra!” mi dice Alice prendendomi per mano.
Saliamo le scale e ci ritroviamo in un ampio corridoio. A destra ci sono tre stanze, due da letto, una delle due ha anche il bagno privato, e una più piccola che dovrebbe essere il bagno. A sinistra ci sono altre tre stanze: una molto piccola, che dovrebbe essere il ripostiglio, e le altre due da letto.
“C’è anche il giardino dietro la casa, tutto circondato da una siepe e poi c’è anche la soffitta, ma bisogna tirare giù la scala dal soffitto!” mi spiega Alice indicando una botola perfettamente nascosta nel bianco del soffitto.
Sorrido ancora estasiata da quella casa meravigliosa.
“è semplicemente perfetta!” commento stringendo la mano di Patrick.
Alice corre in una delle stanze a sinistra, annunciando che quella sarà la sua stanza, e quella accanto sarà per gli ospiti, mentre quella con il bagno sarà la nostra e quella a canto sarà per il suo fratellino, o sorellina.
A quelle parole arrossisco involontariamente. Non  avevo mai pensato alla possibilità di un secondo figlio. Anche perché fino a meno di due settimane fa non avevo nemmeno un compagno!
Mi volto imbarazzata a guardare lui, che mi sorride tranquillo, come sempre. Figuriamoci!
“Nella vita non si può mai sapere!” commenta sorridendo sornione, senza farsi sentire da Alice che sta scendendo le scale.
“Si, ne so qualcosa!” ironizzo, cominciando a scendere le scale insieme a lui, che ride di gusto per il mio ultimo commento.
Usciamo dalla casa e torniamo alla macchina, mentre Alice saltella intorno a noi cominciando a fare un lunghissimo elenco di tutte le cose che dovremo fare in questi giorni per trasferirci.
Visto che è domenica, decidiamo di concederci un lungo pic-nic al parco. Troviamo una fetta di prato all’ombra di un grosso albero, proprio a pochi passi dal fiume che scorre, brillando sotto la luce del sole.
Alice e Patrick si lanciano in un’eterna partita di carte, mentre io li osservo ridendo, cercando di capire chi dei due veste i panni del bambino!
Finisce in parità, perché Alice è riuscita a fregarlo, ma fino a un certo punto: si parla sempre e comunque di suo padre..
Dopo il parco decidiamo di tornare a casa. O meglio, Patrick e Alice torneranno a casa.
“Tu dove vai mamma?” chiede Alice.
“La zia Grace mi ha obbligata con l’inganno a farmi provare il vestito da damigella che dovrò indossare. Visto che anche lei aveva il giorno libero lo devo fare oggi!” esclamo con poco entusiasmo.
 
Torniamo a casa, scendo solo un attimo per chiamare Grace e dirle che sto arrivando.
“Vedrai, sarai una damigella bellissima” esclama Patrick, abbracciandomi prima di uscire.
“E tu un testimone ruffiano” lo prendo in giro con un sorriso, poi lo bacio dolcemente.
Vorrei tanto poter passare il pomeriggio con lui e mia figlia, ma il dovere mi chiama.
“Torna presto da me” mi sussurra sulle labbra, prima di baciarmi di nuovo.
“Fate i bravi” lo avverto con un sorriso.
Esco di casa e vado a raggiungere la futura sposa.
 
“Mi piace!” ripete per la centesima volta Grace, sorridendo come una bambina.
Quello che non sapevo di questa prova d’abito, è che Grace non ne aveva scelti uno o due, ma ben sei!
“L’hai detto per tutti e sei i vestiti” alzo gli occhi al cielo ma sorrido.
“Be allora voglio la tua opinione, quale ti piace di più?” chiede entusiasta.
Mi osservo all’enorme specchio della saletta privata del negozio. Grace ha provato l’abito da sposa davanti a me, ed è veramente bellissima. Poi la tortura è toccata a me..
Se, però, devo essere sincera, il risultato ha ripagato pienamente il tempo passato a togliere e infilare vestiti.
Indosso un vestito blu, di seta, con delle spalline non troppo sottili. Sotto il seno il tessuto si intreccia, formando una sorta di piccola rosa blu. Da lì un velo di raso di un’altra tonalità più chiara ricopre il resto del vestito, che termina poco sopra il ginocchio. Ad ogni mio movimento la gonna ondeggia sinuosa, solleticandomi le gambe.
Il tutto contornato da un paio di scarpe argentate, con il tacco abbastanza alto e dei brillanti sul cinturino.
Fra tutti quelli che ho provato, questo è il più bello.
“Questo!” esclamo convinta, guardando Grace.
Lei sorride trionfante “Sapevo che avresti scelto questo, è decisamente il più bello!” scatta in piedi e si affianca a me “Ora posso finalmente ordinare il bouquet della damigella: visto che sei vestita di blu, ci sarà lo stesso colore anche nei fiori!”
“Vuoi coordinare il bouquet al mio vestito?” chiedo allibita.
“Certo! Lo fanno tutte le spose!” risponde sorridendo radiosa.
Scuoto la testa ridendo “Rigsby sta per sposare una pazza!”
“Ma una pazza con uno spiccato senso artistico!” ribatte lei.
Visto che eravamo insieme, passiamo anche dal fioraio che si occuperà del suo matrimonio e ordiniamo il bouquet. Volevo vederlo, almeno in una foto, ma Grace mi trascina via dal negozio.
“Perché non posso vederlo?” chiedo contrariata.
“Perché è una sorpresa! È talmente bello che dovrai vederlo sul momento!” mi spiega riportandomi verso la macchina.
Sospiro ridendo e salgo in macchina, pronta per tornare a casa dalla mia famiglia.
“Non lo trovi strano?” domando a Grace mentre la riaccompagno a casa.
“Che cosa?” chiede curiosa.
“Stai per sposarti, tu e Wayne comincerete una nuova vita, e costruirete una famiglia partendo da zero. Io invece, quanto tornerò a casa, avrò la mia famiglia ad aspettarmi, ma non ho avuto un matrimonio o un preciso punto di partenza” spiego, ma non sono troppo convinta che il mio discorso sia chiaro. Grace, però, sembra capirmi.
“Da quando sei così filosofica?” chiede ridendo “in ogni caso il tuo discorso è comprensibile. Hai tutto ciò che hai sempre voluto, e sei felice, ma gli eventi sono stati confusi e tutto è avvenuto senza un ordine preciso. Prima ti innamori, poi rimani sola e incinta. Vivi la tua famiglia, composta solo da voi due, poi lui torna e tutto ricomincia da capo. È normale sentirsi disorientati!”
Annuisco “Già deve essere così”
Grace solleva un sopracciglio con un sorriso furbesco, un’espressione che io ho imparato a riconoscere perfettamente!
“Dai dilla, qualunque cosa tu voglia dire!” esclamo con un sorriso mentre parcheggio davanti a casa sua.
“Sento aria di desideri nascosti!”
“Quali desideri nascosti?” chiedo confusa.
Lei alza le spalle “Niente, dicevo per dire!” si finge indifferente e mi abbraccia prima di scendere.
“Buona serata Teresa!” mi sorride e scende dall’auto.
“Ciao..” la saluto perplessa.
Mentre torno a casa rifletto su quello che ha detto, ma mi sembra tutto ancora più criptico!
 
 
“Mamma com’è il vestito?” mi chiede Alice mentre cucino.
“è un segreto!” le sorrido accarezzandole i capelli “Mi vedrai il giorno del matrimonio!” rispondo continuando a mescolare il sugo per gli spaghetti.
“Almeno il colore!” esclama con un sorriso supplichevole.
“No!” scuoto la testa ridendo.
“è blu!” annuncia Patrick entrando in cucina.
“Grazie papà!” esclama lei correndo verso di lui.
Io lo fisso sbalordita “Come..ah lasciamo perdere!” esclamo scuotendo la testa.
“Devi smetterla di sottovalutarmi!” mi prende in giro avvicinandosi, e assaggiando il sugo con un dito.
Io lo colpisco alla mano con il cucchiaio di legno.
“Ahia!” esclama lui massaggiandosi il la mano.
“Così impari..” borbotto sorridendo.
“Ammettilo, ti stai divertendo a fare la damigella d’onore!” mi stuzzica con un sorriso furbo.
Sbuffo alzando gli occhi al cielo “Stare dietro alla frenesia di Grace è un lavoro impegnativo, ma non è male!” sorrido.
“Lo sapevo!” esclama, dandomi un tenero bacio.
Insieme finiamo di cucinare e poi ci mettiamo a tavola.
Per tutta la cena parliamo della nuova casa: mobili da comprare, muri da dipingere, cavi da sistemare, ecc, ecc.
Stare dietro alle richieste di Alice e a quelle di Patrick contemporaneamente è complicato, ma riesco a cavarmela.
Alla fine scriviamo un lungo elenco di tutte le cose che dovremo fare, e da domani cominceremo. Patrick non verrà al lavoro per uno o due giorni, così si occuperà della casa, mentre dopo asilo e lavoro, io Alice ci occuperemo dello shopping.
Pianifichiamo tutta la settimana, e se tutto va bene, fra due o tre settimane potremo traslocare.
Ovviamente questa notizia rende Alice ancora più euforica di prima!
 
“Mamma com’è la zia Grace vestita da sposa?” mi chiede mentre la aiuto a mettersi il pigiama.
“è bellissima!” le sorrido “vedrai, ti piacerà tantissimo!”
Lei sorride radiosa “E il mio vestito?” chiede, infilandosi sotto le coperte.
“Arriverà la settimana prossima, la zia Grace mi ha detto che è stupendo!” mi avvicino a lei e le do un bacio sulla fronte “Ora dormi, domani devi andare all’asilo!”
“E fare tante altre cose! Dobbiamo mettere a posto la casa!” esclama contenta.
Rido della sua espressione buffa “Va bene tigre, adesso dormi però!” le do un altro bacio sulla guancia, mentre lei chiude gli occhi.
“Buona notte mamma” sussurra sorridendo.
“Notte tesoro” le rispondo con un sorriso che lei non può vedere.
Esco senza fare rumore e torno nella mia stanza.
Scivolo fra le coperte e mi accoccolo fra le sue braccia. Il calore della sua pelle e il suo profumo mi inebriano subito i sensi, lasciandomi in quello stadio di pace e serenità di cui non mi stanco mai.
“Stavo pensando..” comincia lui.
“Wow..” lo prendo in giro.
Lui mi fissa fingendosi offeso “Mi lasci finire?” chiede serio, ma gli sfugge un sorriso.
“Va bene” sorrido anche io.
“Stavo pensando” riprende mentre io sorrido “che il testimone deve sempre baciare la damigella al ricevimento”
Lo guardo perplessa, senza capire dove vuole arrivare “E quindi?”
“Tu sei la damigella!” mi fa notare.
Sollevo un sopracciglio “Si, lo so..”
“E io sono il testimone” precisa, sto per ribattere, ma lui continua “in realtà il principale testimone sarebbe Cho, ma io vado bene lo stesso!” conclude con un sorriso.
“Questo lo dici tu!” scherzo, alzando un sopracciglio con finta aria di sdegno.
“Spiritosa!” sorride divertito, poi si solleva e si siede, e mi siedo anche io affianco a lui.
“Il punto è” mi dice, sorridendomi e allungando un mano sotto il suo cuscino“che razza di testimone sarei, se non portassi niente in dono alla mia damigella?”
Mi sorride e apre la mano che prima era sotto il cuscino, e ciò che vedo mi lascia senza fiato per un po’..un bel po’!
È un collana con una sottile catenina d’oro, con appeso un ciondolo a forma di goccia, che racchiude un piccolo smeraldo.
“è bellissima” sussurro con un sorriso commosso.
Sorridendo si allunga verso di me, sfiorandomi le labbra con le sue mentre la allaccia al mio collo.
Sento l’oro e la pietra freddi sfiorarmi la pelle, ma non provocano brividi quanto le sue labbra.
“Non è niente in confronto a te” sussurra sulle mie labbra.
Sorrido, mentre il cuore fa le capriole davanti a tutto quel romanticismo, che mai nella mia vita avrei pensato di vivere.
“Ti ho già detto che ti amo?” sussurro avvicinandomi fino ad aderire perfettamente al suo corpo.
“Si, già tante volte, ma non farti problemi a ripetermelo” sorride, mentre le sue mani corrono lungo la mia schiena.
“Ti amo” dico guardandolo nei suoi bellissimi occhi azzurri.
“Ti amo anche io” mi sorride, per poi tornare a baciarmi.
Un bacio decisamente lungo e assolutamente perfetto!
 
 
 
Dice l’autrice:
chiedo umilmente perdono per la mia lunghissima assenza!! Ma è stata una settimana infernale! Anzi sia questa che la scorsa! Sono piena fino al collo di impegni, e mi rodeva tantissimo non poter scrivere!
Ora sono tornata però e spero di aver ripagato l’attesa con bel capitolo : )
È un capitoletto corto, di passaggio! Il bello deve ancora arrivare..
Commentate donzelle!!
Un bacione : )
E grazieee di cuore come sempre a tutte : )

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Capitolo 12
*** capitolo 11- the wedding ***


 
 
CAPITOLO 11- THE WEDDING
 
 
 
Alice
 
 
Sono passate tre settimane da quando siamo venuti a vivere nella nuova casa.
Mamma e papà si sono impegnati molto per finirla il prima possibile, e infatti, dopo nemmeno due settimane, abbiamo traslocato.
La mia stanza è bellissima, arredata con morbidi colori dall’azzurro alle sfumature del verde-acqua: mamma e papà dicono che riprende il magico colore dei miei occhi, ovvero dei loro occhi messi insieme.
Papà, zio Cho e lo zio Rigsby hanno pensato ai lavori pesanti, come montare i mobili o sistemare gli impianti di luce e acqua, mentre io, la mamma e la zia Grace ci siamo occupate dello shopping e dell’arredamento.
Ho anche aiutato a dipingere la mia stanza, e mi sono divertita tantissimo. Avrei voluto aiutare anche papà, ma sono troppo piccola per fare cose pesanti, quindi non ho potuto!
Sono davanti all’enorme specchio che mi ha regalato la zia Grace, e ammiro il mio bellissimo vestito blu.
I miei capelli sono intrecciati in alto, fermati con una spilla d’oro bianco e con delle pietre azzurre incastonate, e scendono in morbidi boccoli sulle spalle.
In mano tengo il piccolo bouquet di rose blu e rosse, fermato da un bellissimo fiocco di seta bianco.
Oggi è il matrimonio della zia Grace!
La mamma è andata da lei stamattina presto, per occuparsi della zia e aiutarla a prepararsi, mentre io e papà siamo rimasti soli a casa.
Sposto lo sguardo dallo specchio e torno verso il letto, dove ho appoggiato la mia borsetta di seta blu. La apro e controllo di aver preso tutto.
In quel momento entra papà, piuttosto ansioso ed entusiasta allo stesso tempo: ha l’abito nero ed elegante da testimone, la giacca slacciata e la cravatta ancora sciolta. Nel taschino della giacca ha un fiore bianco, che avrà anche lo zio Cho.
“Sei bellissima” mi sorride raggiungendomi e sedendosi sul letto.
Sorrido anche io “Anche tu”.
Ci sorridiamo in silenzio, mentre lui si annoda la cravatta, guardando il suo riflesso nel mio specchio.
“Pronta?” chiede, e so che non si riferisce al vestito.
“Si sono pronta!” sorrido felice.
“Hai preso tutto?” chiede, di nuovo in ansia.
“Si papà..” borbotto, alzando gli occhi al cielo.
Sta per parlare di nuovo, ma io lo interrompo “E mi ricordo tutto quello che devo fare!” esclamo.
Sorride compiaciuto dal mio talento e io mi alzo sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
Dopo qualche minuto usciamo di casa, per raggiungere la chiesa in cui si sposerà la zia Grace.
La nostra macchina, quella d’epoca di papà, è decorata con fiocchi bianchi, rose e fiori, rossi e bianchi.
Saliamo in macchina e partiamo. La zia Grace si sposerà in un posto magnifico: il giardino di una chiesa fuori città, dove si terrà anche il ricevimento.
Io e la mamma siamo state all’ultima prova di nozze, e la zia ci ha fatto vedere le decorazioni di prova del giardino, ed erano veramente magnifiche! Sembra un posto uscito dalle favole, e non dalla realtà!
Arriviamo davanti alla chiesa, e papà parcheggia dietro la macchina della mamma.
Accanto alla chiesa c’è un edificio, riservato agli sposi e ai parenti, dove gli zii si stanno preparando, aiutati dai parenti e dai testimoni.
Un’amica della zia Grace, che abbiamo conosciuto alla festa di fidanzamento, ci raggiunge, saluta papà e poi mi porta verso la casa, per andare dalla zia.
Papà, invece, raggiunge lo zio Rigsby in un’altra stanza.
Entro insieme all’amica della zia, e subito vengo raggiunta dalla mia mamma.
“Ciao piccola” mi saluta schioccandomi un dolce bacio sulla guancia.
Anche io le do un bacio e sorrido “Ciao mamma!” la saluto “voglio vedere la zia!” esclamo.
Lei mi sorride e mi prende la mano, portandomi in un stanza vicina all’ingresso.
Quando entro, rimango completamente sorpresa: la zia Grace è avvolta da un bellissimo vestito bianco, che scende morbido lungo il suo corpo slanciato. Ha i capelli mossi, come i miei, e intrecciati, fermati da delle pietre luccicanti e delle perle bianche.
È veramente bellissima!
Mi vede riflessa nello specchio e si volta a sorridermi.
“Allora, ti piaccio?” mi chiede.
Io annuisco, sorridendo e non dico niente, perché è veramente stupenda e io sono rimasta senza parole.
Lei continua a sorridere, mentre sua madre finisce di ritoccarle i capelli.
La mamma sorride dolcemente alla zia Grace, e si capisce che oggi tutti sono emozionati.
Anche la mamma è bellissima: papà ha indovinato il colore del vestito, che è blu come il mio!
È veramente magnifica, e sembra quasi una fata vestita così. Il suo bouquet è stupendo: è composto da rose bianche e blu, più quattro piccole rose rosse non completamente sbocciate, circondato da altri fiorellini bianchi e foglie verdi. Ed è legato da un nastro di seta blu, che forma un fiocco con un altro nastro bianco.
È simile a quello della zia, perché lei è la damigella d’onore, solo che al posto delle rose blu, la zia ha solo rose rosse,  il nastro è rosso e bianco e il bouquet è un po’ più grande.
Mi siedo in una delle poltroncine e la mamma mi da un bicchiere di succo. Rimango seduta a guardare gli ultimi preparativi.
Dopo circa mezz’ora, siamo pronte per uscire.
Prendo il cestino con i petali rossi che dovrò lanciare e mi avvicino alla zia Grace.
Scendiamo disotto, dalle porte socchiuse, vedo che le sedie in giardino sono già tutte occupate.
C’è tantissima gente!
Vedo lo zio Wayne sotto l’arco di fiori, con il sacerdote e papà e Cho dietro di lui, che aspettano sorridenti ed emozionati.
Lo zio Wayne sembra molto emozionato, ma anche molto felice. Credo che stia per mettersi a piangere, ma non penso che lo farà!
La mamma si avvicina a me sorridendo: io sarò davanti alla zia Grace e al suo papà, per lanciare i fiori, mentre lei e le altre due damigelle saranno dietro la zia Grace.
Si china a darmi un grosso bacio sulla guancia, poi torna dietro insieme alle damigelle.
Sono talmente emozionata che non riesco a capire come faccia la zia Grace a essere così tranquilla!
Poi la guardo e capisco che anche lei è emozionata, solo che è talmente tanto felice di sposarsi, che ora non ha più paura: è solo innamorata, si capisce dai suoi occhi luccicanti.
Quando il pianista fa risuonare la prima nota della marcia nuziale, dei paggetti aprono le porte esterne della chiesa.
Sono la prima della fila, quindi mi costringo a mettere il piede fuori. Ho un po’ paura, perché tutti, inizialmente, mi guardano, soprattutto papà, che mi sorride.
Poi l’attenzione si sposta sulla zia Grace e io tiro un sospiro di sollievo: mi sentivo osservata, e questo mi faceva venire la paura di inciampare.
Avanziamo sul tappeto rosso, lunghissimo, fino all’altare davanti a noi, e io lancio tranquilla i miei petali, sorridendo, sicura che tutti stiano guardando solo Grace. La guardano tutti con occhi luccicanti ed emozionati. Lo zio Wayne la guarda incantato, come se fosse la cosa più bella del mondo.
Ovviamente papà alterna lo sguardo da me, alla mamma e poi alla zia, ma è papà!
In un attimo ci ritroviamo all’altare. Guardo lo zio Wayne che sorride radioso, mentre il papà della zia Grace porta la sua mano in quella dello zio.
La mamma mi ha spiegato, durante le prove di nozze, che quel gesto è molto importante: il padre dona la mano della figlia allo sposo, affidandola all’uomo che la ama, e che oggi giurerà di amarla per l’eternità.
Questo pensiero, quasi mi commuove, come se la mamma me lo avesse appena spiegato: è un gesto veramente bellissimo e tanto dolce.
Mi avvicino alla mamma, alla sinistra della coppia sotto l’arco di fiori, e sorrido a papà che guarda me e la mamma sorridendo.
Guardo la mamma che gli sorride radiosa. Difficile descrivere quanto amore stia passando sotto l’arco di fiori.
Poi l’attenzione si concentra tutta sulla cerimonia, che è appena iniziata.
Rimaniamo in piedi ad ascoltare le parole del sacerdote. Sono ancora piccola per capire tutto, quindi ieri, la mamma, mi ha spiegato tutto quello che non capivo.
Mi ha detto che la promessa di matrimonio è la dimostrazione più grande dell’amore che provi per una persona.
Mi ha detto che lo scambio delle fedi è una promessa che lega due persone per sempre.
Mi ha spiegato che le parole che stanno recitando non sono dette per caso, ma si devono dire solo se ci si ama veramente. So che lo zio Wayne e la zia Grace si amano davvero, ecco perché sono qui, oggi, a promettersi amore eterno.
Sorrido, mentre lo zio Wayne infila l’anello al dito della zia, sorridendo e recitando la promessa.
Cerco la mano della mamma per stringergliela. Alzo lo sguardo verso di lei e vedo che sorride, mentre una lacrima le scivola sulla guancia.
Guardo verso gli ospiti e vedo i genitori di Grace asciugarsi gli occhi, e tante altre persone commosse.
Aveva ragione papà: ai matrimoni si piange! Questo pensiero commuove anche me.
Una piccola lacrima mi scivola sulla guancia, e io la asciugo, continuando a sorridere.
Incontro lo sguardo di papà, che mi fa l’occhiolino, e mi sorride.
Ricambio il suo sorriso, proprio nel momento in cui il prete dice allo zio che può baciare la sposa, e all’improvviso scoppia un enorme applauso.
Batto le mani anche io, sorridendo, mentre tutti festeggiano il matrimonio appena concluso.
In men che non si dica inizia il ricevimento.
La zia e lo zio propongono il primo brindisi, ringraziando tutti, commossi e finalmente felici.
Un fotografo scatta tante foto alla coppia, lungo tutto il giardino e sulla macchina di papà, che è stata adibita a set fotografico.
Facciamo anche noi una foto con loro, vicino alla macchina di papà e un’altra sotto uno dei tanti archi di fiori del giardino.
Abbraccio gli zii, mentre il mio cuore esplode di felicità per loro e dopo un numero infinito di foto e abbracci, torniamo verso il giardino, insieme a tutti gli ospiti del matrimonio.
Raggiungiamo il prato dove è stato allestito il ricevimento: ci sono tanti tavoli e sedie ricoperti e decorati di bianco, con dei bellissimi centrotavola di rose bianche e rosse.
Dagli alberi intorno a noi pendono delle luci che si accenderanno quando farà buio, e i tronchi sono avvolti da nastri di raso bianco.
Al centro si apre una pista da ballo, in una specie di piazza di marmo bianco.
Una piccola band ha posizionato i suoi strumenti su un piccolo palco, vicino ai tavoli.
Ci sediamo al tavolo, io, mamma e papà, lo zio Cho, Hightower con i suoi due bambini e il vecchio capo della mamma, Virgil Minelli.
Siamo nel tavolo vicino a quello degli zii, che non hanno smesso un attimo di sorridersi.
Dopo un po’ i camerieri cominciano a servire il pranzo, che dura tantissimo: ci sono tantissime cose buone da mangiare, ma non riesco a mangiare tutto, e dopo qualche portata sono già piena!
Quando arriviamo al taglio della torta è ormai pomeriggio inoltrato, sono quasi le 16.
Dopo la torta, gli zii aprono le danze, con il loro primo ballo da sposi, e di nuovo scoppia un applauso.
Dopo gli zii, cominciano ad aggiungersi tutte le coppie presenti, anche mamma e papà, che ondeggiano felici, vicino agli zii.
Papà non ha mai smesso di ammirare la mamma, nemmeno per un secondo. D’altro canto, nemmeno la mamma ha mai staccato gli occhi da papà. È palese quanto si amino!
Li guardo sorridendo, mentre zio Cho concede un ballo alla Hightower.
Quando la musica cambia, e inizia un altro lento, papà mi raggiunge al tavolo e mi prende in braccio.
“Forza mostriciattolo, vieni con me!” mi sorride e mi porta verso la mamma.
Quando arriviamo la mamma ci abbraccia e questa volta siamo in tre a ballare. Appoggio la testa sulla spalla di papà, mentre con la mano accarezzo la guancia della mamma.
La zia Grace ci guarda radiosa, talmente emozionata che potrebbe mettersi a piangere.
Chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dalle braccia dei mie genitori.
Quando la canzone finisce, lo zio Wayne chiede alla mamma di ballare, e papà invece balla con la zia Grace.
Mentre io vengo rapita dallo zio Cho, molto più felice ed emozionato del solito, che mi prende in braccio e balla con me la nuova canzone, facendo sorridere tutti.
I matrimoni rendono tutti più affabili, perfino lo zio Cho!
Dopo un numero infinito di balli, dove tutti hanno ballato con tutti, ballo l’ultimo come damigella di papà, mentre la mamma è accompagnata da Minelli.
Papà avvicina la bocca al mio orecchio “Hai cinque minuti per ripassare la parte” sussurra.
“L’ho già ripassata!” esclamo sorridendo, sussurrando nell’orecchio di papà.
“Cosa confabulate voi due?” chiede la mamma, avvicinandosi a noi, mentre l’ultima nota della canzone echeggia nell’aria.
“Niente!” rispondiamo in coro, sorridendo.
Scoppiamo a ridere, per il perfetto tempismo. La mamma ci guarda sospettosa, ma poi ride anche lei.
Ci sediamo al nostro tavolo, mentre la musica cambia, e dal lento si passa a un po’ di rock “da matrimonio” come lo chiama zio Wayne.
Nel frattempo viene fatto un altro brindisi agli sposi. Mentre la mamma si alza per andare in bagno, noi approfittiamo del momento per allestire la famosa sorpresa che abbiamo preparato in queste settimane.
A un cenno del capo di mio padre, la zia Grace annuisce sorridendo, sussurra qualcosa nell’orecchio a Wayne e parte per raggiunge un’altra persona.
Io mi alzo, e dopo un sorriso complice a papà, corro verso una delle panchine esterne al parco.
Intorno alla zona di ricevimento, la zia Grace ha fatto decorare delle panchine di marmo, con nastri e fiori.
Lontano dai tavoli, la musica arriva solo come un leggero sottofondo, creando un’atmosfera rilassante e tranquilla.
Il vento fa ondeggiare le cime degli alberi e il sole, che fra poco si avvierà verso il tramonto, inonda con la sua luce rossastra il giardino, donando un aspetto quasi magico.
Mi siedo sulla panchina, appoggio la mia borsetta blu accanto a me e guardo lontano, in direzione di papà.
Lui mi sorride e io alzo il pollice all’insù, per dirgli che è tutto a posto.
Papà è molto nervoso, si vede, ma è troppo contento per darlo a vedere. Credo sia la cosa migliore che potesse fare per la mamma.
Aspetto e mi godo l’aria fresca, mentre il sole, alle mie spalle, fa un altro piccolo passo verso l’orizzonte.
 
 
Patrick
 
 
Mi siedo, cercando di respirare e non svenire. Non riesco a capire se sono più emozionato o più ansioso.
La vedo tornare e venire verso il tavolo. Proprio in quel momento, seguendo il piano, la band riattacca con un altro lento.
Mi alzo sorridendo, e la raggiungo prima che possa arrivare al tavolo.
La trascino verso la pista e comincio a ballare con lei, mentre altre coppie si uniscono.
“Ti ho già detto che sei bellissima?” chiedo retorico.
Lei sorride radiosa “Almeno un milione di volte!” esclama.
Si avvicina a me, e lascio che le sua labbra sfiorino le mie. La trattengo, per continuare quel contatto, mentre continuiamo a ballare sulle note lente della musica.
Si allontana dalle mie labbra e appoggia la testa alla mia spalla, lasciandosi cullare.
Sorrido, mentre il cuore rimbomba nel mio petto. La stringo a me, respirando il profumo dolce che emana, mescolato a quello delle rose che ha tenuto in mano tutto il tempo.
Respiro l’aroma dei suoi capelli, mentre una brezza leggera li scompiglia. Sento l’aria fresca sul viso e mi rendo conto di cosa sto per fare.
Al solo pensiero, il mio cuore aumenta i suoi battiti, tanto che sono convinto che anche lei possa sentirli.
Ma forse è troppo distratta da me, per accorgersene.
Dopo un attimo di silenzio, lei rialza la testa “Dov’è Alice?” chiede.
La domanda che volevo.
“Da qualche parte, nel giardino” rispondo con un sorriso.
In quell’istante la musica termina, e noi torniamo mano nella mano verso il tavolo.
Lascio cadere appositamente lo sguardo verso il punto in cui Alice è seduta, lontano dai tavoli.
Lei ci saluta con la mano, sorride e fa cenno a Teresa di raggiungerla.
“Credo che voglia te” sorrido, mentre sento l’emozione crescere nell’anima.
Lei mi fissa perplessa, poi si avvia verso la panchina, allontanandosi da me e dal frastuono del ricevimento.
Mi giro, e prendo la direzione opposta, pronto a fare il giro del giardino.
Sorrido, mentre cammino sotto il sole, aspettando il mio momento.
 
 
Teresa
 
 
Cammino sull’erba, mentre il vento leggero fa ondeggiare il mio vestito e i raggi del sole, che comincia la sua discesa verso il tramonto, mi accecano la vista.
Raggiungo mia figlia e mi siedo con lei sulla panchina.
“Ciao amore” la saluto con un sorriso.
Lei sorride tranquilla e mi da un bacio sulla guancia “è una festa bellissima!” commenta.
“Si è vero” sorrido io.
Poi il suo sorriso cambia, e mi sembra di vedere una scintilla di emozione nei suoi occhi.
“Devo darti una cosa” mi sorride.
Allunga la mano a prendere la sua borsetta blu, e ne tira fuori un sacchettino di seta color avorio, chiuso da un laccetto di raso bianco.
Lo tiene fra le mani mentre torna a guardarmi “In realtà, non è da parte mia, ma da parte di papà” spiega.
Continuo a guardarla, leggermente confusa, senza capire.
“Dopo tutto quello che è successo, voleva rimediare al suo errore” continua, sorridendo “e il modo migliore per farlo, era prometterci che non ci avrebbe più abbandonate, e che ti avrebbe amato per il resto dei suoi giorni”
Allunga la sua manina verso di me, e io, ancora confusa, e leggermente emozionata, prendo il sacchettino.
Dentro c’è qualcosa di non molto pesante.
Guardo Alice, e lei mi sorride, incoraggiandomi ad aprirlo.
Con dita tremanti sciolgo il nastro di raso. Apro il sacchettino, e lo ribalto nella mia mano aperta, lasciando che il suo contenuto scivoli fuori.
Fisso la mia mano, senza fiato e con il cuore inspiegabilmente fermo.
Guardo i due anelli d’oro, che brillano nei riflessi rossi del sole e solo in quel momento il cuore riprende a battere, aumentando sempre di più il ritmo.
È la voce di mia figlia a riportarmi alla realtà.
“Sei stata tu a dirmelo” inizia, e io alzo lo sguardo per incontrare i suoi occhi “il matrimonio è la dimostrazione più grande dell’amore che provi per qualcuno. Ecco perché papà vuole sposarti!” esclama, sorridendo radiosa.
Rimango allibita, con occhi e bocca sgranati, incapace di reagire in alcun modo.
Sorrido, mentre vedo lui, che arriva alle spalle di Alice.
Mia figlia, come se lo avesse sentito arrivare con la mente, si sporge, dandomi un bacio sulla guancia e si alza dalla panchina, tornando verso la festa.
Incrocio il suo sguardo, e non vedo altro che i suoi luccicanti occhi azzurri. I suoi capelli biondi brillano alla luce del sole, mentre, sorridendo, si avvicina a me.
Si siede al mio fianco, e la sua mano cerca la mia, quella libera dagli anelli.
“Forse sono stato tempestivo, ma qualcosa mi diceva che non mi avresti detto di no” spiega con un sorriso.
Sorrido anche io, ritrovando stranamente la forza di respirare.
“E cosa te lo fa pensare?” chiedo.
“Be, io ti amo, tu mi ami, abbiamo già una famiglia. Quello che mancava era una vera e propria promessa, quindi ho deciso di agire” sorride fiero, e con mia grandissima sorpresa, si inginocchia davanti a me.
“Non ho un anello, in questo momento” si scusa sorridendo.
“Veramente ne hai due!” scherzo io, mostrando il palmo con i due cerchi d’oro.
“Giusto, direi che sono salvo” scherza , e prende uno degli anelli dalle mie mani “ho già giurato una volta che non ti abbandonerò mai più, e che non farò mai più niente che faccia soffrire te, o Alice. Ma non mi stancherò mai di ripetere quanto sia perfetta la mia vita da quando voi ne fate parte. Voglio una famiglia con te, una vera famiglia, che porti il simbolo di tutto l’amore che provo per te, e la voglio subito. Sposami” mi sorride radioso, accarezzando il mio anulare sinistro, senza però infilare l’anello.
Una lacrima scivola sulla mia guancia, mentre il mio cuore, incapace di aumentare ancora il suo battito, si limita a un dolce frastuono melodioso.
Sorridendo mi chino verso di lui, raggiungo le sue labbra, e lo bacio, riversando tutto ciò che provo sulle sue labbra, sapendo che lui lo capirà.
Mi perdo in un bacio infinito, e solo quando sento l’aria mancare, mi separo dalle sue labbra.
Rimango vicina al suo viso, e ad occhi chiusi, con il sorriso sulle labbra, rispondo.
“Si” sussurro.
Sento di nuovo le sue labbra sulle mie, e mi perdo in un nuovo bacio, più emozionato ed intenso del primo.
Le mie mani stringono le sue, mentre le lacrime mi bagnano le guance.
Solo quando ci separiamo, incontro i suoi occhi, che brillano di felicità. Il suo sorriso illumina l’aria più del sole alle mie spalle.
Si alza dall’erba e prendendomi le mani, mi trascina con se.
“Forza andiamo!” esclama.
“Dove?” chiedo sorridendo.
“Vuoi sposarmi, si o no?” chiede sorridendo radioso.
Mi pietrifico “A-adesso?” balbetto, completamente colta di sorpresa.
Lui sorride tranquillo “E quando se no?”
Lo fisso immobile, e il primo pensiero che sorge dentro di me è come faremo a sposarci ora..e trovo la risposta.
Sorrido “Hai organizzato il matrimonio, di nascosto?” chiedo sorpresa ed emozionata da quel gesto.
“Tempestivo, lo so, ma speravo in un si” sorride tranquillo, poi si avvicina a mi abbraccia.
“Non ci starai mica ripensando?” chiede, ma sorride.
Sorrido anche io, baciandolo un’altra volta , poi afferro la sua mano ridendo e lo trascino verso gli ospiti ignari della novità.
Sto per sposarmi!
 
 

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Capitolo 13
*** capitolo 12- All you need il Love ***


CAPITOLO 12- ALL YOU NEED IS LOVE
 
 
 
Teresa
 
 
Ritorniamo verso la festa, dove gli ospiti stanno ballando, ignari.
Grace, invece, mi guarda sorridendo. Qualcosa mi dice che lei sapesse tutto!
Patrick lascia la mia mano e raggiunge il prete, seduto a qualche tavolo di distanza, intento a gustarsi una bella fetta di torta.
Mi avvicino a Grace, che mi abbraccia, stringendomi dolcemente.
Si separa da me, quasi con le lacrime agli occhi. Si gira e prende il mio bouquet abbandonato sul tavolo.
“Credo che questo ti servirà” sorride, mentre una lacrima le sfugge dagli occhi.
Sorrido anche io “Immagino di si”
Vedo Alice venire verso di me, saltellando allegra, con un nuovo cestino, pieno di petali rossi.
Mi chino sulle ginocchia e la abbraccio, mentre sento le lacrime molto vicine.
“Andiamo, mamma!” si separa da me e mi prende per mano “altrimenti farai tardi al tuo matrimonio!” esclama.
Io e Grace scoppiamo a ridere.
In quel momento vediamo Rigsby al microfono e la band interrompe la musica.
“Scusate gente, ma c’è un altro matrimonio” annuncia sorridendo.
Il pubblico lo guarda come se fosse impazzito, ma lui continua tranquillo “Quindi seguitemi, torniamo all’altare!” esclama.
Posa il microfono e si avvia verso l’arco di fiori, a qualche centinaia di metri di distanza.
La gente, incuriosita e divertita, lo segue e prende posto, di nuovo, sulle panche decorate.
Prendo un bel respiro, quando da lontano vedo il prete riprendere il suo posto sotto l’arco, al fianco di Patrick.
Grace mi sorride radiosa e, prendendomi sotto braccio, mi porta verso il mio futuro marito.
Passiamo per l’interno dell’edificio e ci fermiamo davanti alle stesse porte che Grace ha varcato.
Chi l’avrebbe detto che ora sarò io a varcarle?
Mia figlia si posiziona allegra davanti a me, pronta a ripetere il suo tanto amato compito, questa volta per il matrimonio dei suoi genitori.
“Io vado a sedermi” annuncia Grace abbracciandomi.
Esce, sgattaiolando, e al posto suo rientra Minelli.
Mi sorride radioso “Visto che non hai un padre, posso avere l’onore di portarti all’altare?” mi chiede, inchinandosi leggermente.
Lo guardo commossa. Annuisco sorridendo e mi lancio fra le sue braccia, stringendolo fin quasi a soffocarlo.
“Grazie Virgil” dico commossa.
“è un onore” risponde lui sorridendo.
Asciugo le lacrime, mi sistemo e prendo un bel respiro.
Minelli mi porge il braccio e io, sorridendo, passo il mio attorno al suo. Alice sorride emozionata, mentre gli stessi assistenti di prima aprono le porte.
Rivedere la scena, questa volta dalla mia prospettiva, è completamente diverso. Sono consapevole che sto percorrendo lo stesso tappeto di quella mattina.
Eppure fatico a non far tremare le gambe.
La gente mi guarda, sorridendo, tutti sorpresi che la damigella d’onore sposi il testimone, senza nessun preavviso.
Avanzo, mentre osservo Alice, che questa volta lancia i fiori per noi.
È tutto così surreale e così magnifico. Alzo gli occhi e incontro i suoi.
Vedo il suo sorriso, e tutto scompare. Non esiste più la gente seduta, che si prepara ad assistere alla cerimonia. Non esiste più Minelli, nelle vesti di un padre, che mi scorta all’altare.
Non esiste niente, a parte lui. L’uomo che amo e che sto per sposare.
Mi ritrovo a pochi passi da lui, senza nemmeno essermene resa conto. Minelli prende la mia mano. Mi volto a sorridergli, ringraziandolo di aver sostituito una figura che non ho mai realmente avuto.
Con un sorriso commosso, appoggia la mia in quella di Patrick e sorride a entrambi.
“Trattala bene” lo minaccia, ma sorride.
“Lo farò” risponde lui sorridendo prima a lui, poi a me.
Intreccio la mano alla sua, incatenando gli occhi ai suoi, e salgo i due gradini che ci separano.
Mi ritrovo davanti a lui, davanti a tutte quelle persone che nemmeno ci conoscono e davanti a un prete sorridente.
Grace, dietro di me, assieme ad Alice, come mia improvvisata damigella. E Wayne e Cho, dietro Jane, come improvvisati testimoni.
E provo solo un’infinita gioia.
Il prete comincia a parlare, e io quasi non me ne rendo conto. Resto immobile, nei suoi occhi, senza smettere di sorridere.
In quelli che mi sembrano pochi secondi, arriviamo allo scambio degli anelli, che Patrick tira fuori dalla tasca.
Quando le sue dita sfiorano la mia mano, una scossa di felicità, amore ed emozione, mi attraversa il cuore.
Il metallo fresco dell’anello scivola lungo il mio dito, in contrasto con il dolce calore delle sue dita.
È perfetto, come se fosse nato per stare al mio dito. Lascio scivolare il suo anello fra le mie dita e lo infilo al suo anulare sinistro.
Incontro di nuovo i suoi occhi e sorrido, mentre una lacrima scivola sulla guancia di entrambi, e la folla scoppia in un applauso.
Patrick mi attira a sé e mi bacia, davanti a quelle persone che non ci conoscono, non sanno tutto quello che abbiamo dovuto passare per arrivare fino a qui, ma sono testimoni del nostro amore e felici di condividerlo con noi.
Alice corre verso di noi e la prendo in braccio stringendola in un dolce abbraccio. Patrick ci avvolge entrambe e il nostro diventa un vero e proprio abbraccio di famiglia.
In poco tempo mi ritrovo fra le braccia di tutti, come se la famiglia si fosse allargata. I nostri amici festeggiano con noi, condividendo la nostra felicità.
La festa ricomincia, come se fosse ricominciata la giornata da capo. Mi ritrovo ad abbracciare le persone che non conosco, sempre mano nella mano con lui e sempre con Alice al nostro fianco.
Tutti si complimentano e ci sorridono, ma io quasi non me ne rendo conto. Per me esiste solo lui, e la nostra meravigliosa bambina.
La band ci dedica una canzone e mi ritrovo a ballare con lui, soli al centro della pista.
Ci sorridiamo mentre lentamente il resto del mondo scompare.
“Ti amo” sussurra sulle mie labbra.
“Ti amo anche io” sorrido, prima di baciarlo dolcemente.
L’applauso che scoppia intorno a noi sembra solo un’eco debole.
“Ne è valsa la pena” sussurro, sorridendo. Intorno a noi le prime coppie cominciano ad unirsi al lento.
“Sposarmi?” chiede lui sorridendo.
Scuoto la testa sorridendo “Non solo questo. Ogni cosa che è successa in tutti questi anni. A cominciare dall’averti assunto”
“Allora è valsa la pena anche sopportarmi, per tutti questi anni?” chiede sorridendo allegro.
Mi fingo pensierosa “Be, forse non proprio in tutte le occasioni..” vagheggio.
Lui si imbroncia, fingendosi deluso e offeso “Ma..?” chiede speranzoso.
“Ma se tornassi indietro non cambierei niente” concludo sorridendo “Certo, ho rischiato di mandare all’aria la mia vita!” commento, alzando un sopracciglio.
Lui alza le spalle sorridendo “Per ottenere il meglio bisogna fare dei sacrifici!” commenta.
Sorrido anche io “Oggi sono troppo felice per contraddirti!” lo prendo in giro.
Sorride anche lui prima di baciarmi di nuovo.
“Scusate piccioncini, possiamo interrompere?” si intromette Wayne.
“E se ti dicessi di no?” chiede Patrick sorridendo.
“Ti risponderei che voglio un ballo con l’attuale signora Jane, prima che chieda il divorzio da te!” esclama lui sorridendo.
Scoppiamo tutti a ridere, mentre concedo il ballo a Wayne, lasciando Patrick con Grace.
Ovviamente si ripete la scena di oggi pomeriggio, e in ogni ballo sono con un compagno diverso, mia figlia compresa.
Dopo ore di festeggiamenti, mi concedo una romantica passeggiata nel silenzio, assieme a Patrick che regge fra le braccia Alice, addormentata già da un’ora.
Ci isoliamo dalla festa, sedendoci sulla lontana panchina in cui mi ha chiesto di sposarlo. Ci sediamo e ascoltiamo il silenzio e il respiro lento di nostra figlia, che dorme beata fra le braccia del padre.
Mi volto verso di lui e sorrido, mentre mi avvolge con un braccio. Accarezzo la guancia morbida di Alice, mentre lui appoggia le labbra fra i miei capelli.
È indescrivibile ciò che provo. Ho riavuto indietro l’amore che pensavo di aver perso per sempre, ho riavuto un padre per mia figlia e l’ho sposato. Tutto in così poco tempo. Quando ci penso mi spavento, credendo di essermelo solo immaginato.
Ma mi basta guardare il sorriso di mia figlia o il suo sorriso, per rendermi conto che questa è davvero la mia vita. La vita che ho sempre amato e che ora, finalmente, ho ottenuto.
E niente mai potrà distruggerla.
Alzo il viso verso il suo e lo bacio dolcemente. Appoggio la testa sul suo petto, ascoltando il suo cuore, sincronizzato con il mio.
Chiudiamo gli occhi tutti e due, godendoci quella pace, colma di tutta l’emozione che stiamo vivendo.
 
 
 
Una settimana dopo
 
Alice
 
 
È passata una settimana dal matrimonio di mamma e papà.
La zia Grace e lo zio Wayne sono in un posto bellissimo, e anche lontano. Una bellissima isola che chiama Polinesia. Papà dice che un giorno ci andremo anche noi, quando sarò più grande. La mamma non era molto entusiasta, all’inizio: credo che la spaventino tutte quelle ore di volo! Papà l’ha anche presa in giro, capendo la stessa cosa che ho capito io, e la mamma, come sempre, ha alzato gli occhi al cielo e non l’ha più ascoltato.
Cammino nel giardino e guardo le bellissime montagne intorno a me. Anche noi siamo in vacanza!
Siamo in Svizzera, da tre giorni,  nella casa che papà ha comprato mentre era via. È bellissima, ha il giardino enorme ed è tutta in legno.
Il paesino dove siamo è molto piccolo e ormai ci conoscono tutti. Si ricordavano bene di papà!
Il paesaggio è meraviglioso e mi piace tantissimo, anche se fa più freddo che a casa nostra. Mi siedo sull’erba del nostro giardino con i fiori che ho raccolto, in mano.
Ieri abbiamo fatto una lunghissima passeggiata in montagna e, per dare retta a papà e non alla mamma, ci siamo anche persi.
Fortuna che la mamma si ricordava un pezzo della strada percorsa, e così siamo riusciti a ritrovare il sentiero!
Sorrido fra me, alzando lo sguardo verso il sole caldo. Staremo qui ancora per una settimana e io sono contentissima perché questo posto mi piace tantissimo.
“Alice!” mi chiama la mamma dalla portafinestra che da sul giardino.
Mi metto a sedere “Arrivo” rispondo.
Mi alzo in piedi e corro verso di lei. Mi aspetta sorridendo e quando arrivo mi solleva per aria.
“Mamma ho preso questi per te!” le dico sorridendo e porgendole i fiori.
Lei sorride emozionata “Grazie amore! Sono bellissimi!” mi abbraccia di nuovo e mi da un bacio sulla guancia.
“Io vado a mettere questi in un vaso, tu vai a prepararti che fra poco usciamo!” mi dice, mettendomi giù.
Corro verso le scale che portano al piano di sopra, mentre la mamma mi urla dietro ridendo “Non correre!”
Oggi in paese c’è una festa bellissima, tipica del posto, e noi ci andremo.
Sono troppo felice qui, sempre con mamma e papà, niente lavoro, né asilo. Mi sta quasi passando la voglia di tornare a casa!
 
 
Teresa
 
 
Sistemo in un piccolo vaso i fiori che Alice ha raccolto. Sono bellissimi, quanto lei e quanto questo posto.
Siamo qui solo da tre giorni, ma mi sento a casa. Siamo tutti insieme, liberi da ogni preoccupazione e responsabilità, felici come non mai. Niente omicidi, né lavoro improvviso, né ore intere senza vedere mia figlia.
È tutto talmente tanto perfetto che mi sta passando la voglia di tornare a casa!
Osservo la fede al mio anulare sinistro, illuminata da un raggio di sole che proviene dalla finestra. Sono sposata da solo una settimana, eppure mi sembra una vita.
Forse perché è una vita che sono innamorata di lui? Può darsi..
All’improvviso sento delle braccia avvolgermi la vita. Sorrido voltandomi verso di lui e incontrando i suoi occhi azzurri.
“A che pensi?” chiede con un sorriso.
Lo bacio dolcemente prima di rispondere “Che non voglio tornare a casa” rispondo sorridendo.
“Ok, molliamo tutto e veniamo a vivere qui!” esclama.
Devo stare attenta a queste sue uscite, perché tende a prenderle molto alla lettera!
“Non possiamo abbandonare gli altri, sono persi senza di te!” lo prendo in giro.
“Gli dirò che sei stata tu a dirlo!” mi manaccia sorridendo.
“Spione!” sorrido e chiudo gli occhi, lasciandomi trascinare in un altro dolce bacio.
Ci separiamo lentamente, sorridendo.
“E poi la nostra vita è perfetta anche Sacramento” concludo convinta.
“Salvo per il dettaglio che corriamo dietro ai criminali tutto il giorno!” commenta Patrick.
“Io corro dietro ai criminali tutto il giorno, tu insulti e basta!” preciso.
Lui si finge offeso “è questo quello che pensi del mio brillante lavoro?”
“Ho tralasciato i particolari peggiori!” lo prendo in giro.
Imbronciandosi toglie le mani dai miei fianchi si allontana da me, mentre io cerco di riprenderlo ridendo.
Lo riabbraccio, attirandolo a me e baciandolo sorridendo.
“Saresti persa senza di me!” commenta, sorridendo.
“Già, chissà come avrei fatto, senza il suo prezioso aiuto!” lo canzono, anche se ammetto con me stessa che ha ragione. E lui sa perfettamente che lo penso!
“Chissà cosa faresti ora, se non mi avessi conosciuto?” chiede pensieroso.
“Sicuramente non sarei in Svizzera!” rispondo sorridendo.
“Magari ora saresti sposata con un tizio qualunque  e non con me. Oppure avresti ceduto alle infinite avance di Mashburn e avresti sposato lui!” commenta disgustato dall’idea.
Scoppio a ridere “Se fosse così avrei anche già divorziato!” commento.
“Il nostro, invece, è amore eterno!” sorride soddisfatto.
“Ne riparliamo fra una decina d’anni!” lo prendo in giro.
“Pagherai per questa infima battuta..fra una decina d’anni!” aggiunge sorridendo, prima di baciarmi.
Incredibile quanto mi emozioni, ogni volta, il nostro bacio. Come se fosse sempre il primo.
“Non vorrei interrompere, ma siamo in ritardo!” esclama la cristallina voce di nostra figlia dalla porta della cucina.
Ci stacchiamo sorridendo.
Chissà perché, ma, ogni volta che fa così, mi ricorda qualcuno..
Patrick si avvicina a lei con aria abbattuta. Si mette in ginocchio davanti a lei, mentre io mi avvicino sorridendo.
“Chiedo perdono vostra maestà!” esclama, chinando il busto in avanti e facendo finta di togliersi il cappello.
“Siete perdonato, sire!” risponde lei sorridendo e facendo un piccolo cenno con il capo.
Patrick rialza lo sguardo, con un’espressione e un sorriso supplichevoli “E pensate di poter perdonare anche la mia sposa?”
Mi chino anche io in ginocchio e unisco le mani in segno di preghiera con un sorriso dolce.
“La vostra sposa è sempre perdonata!” esclama Alice saltandomi addosso e abbracciandomi.
“Comincio ad essere geloso!” esclama fingendosi offeso.
“Non offendetevi, sire!” esclamo io “la vostra sposa ama entrambi!”
Lui mi sorride dolcemente, e si china a dare un bacio ad Alice e uno a me.
“Allora forza, mie amate, è giunta l’ora di andare!” esclama prendendo in braccio Alice e alzandosi.
Poi porge il gomito a me e io giro il braccio attorno al suo con un sorriso.
Usciamo insieme da casa, ancora ridendo.
 
 
Restiamo tutto il pomeriggio alla festa e decidiamo di cenare lì, con la tipica cucina svizzera.
La serata è fresca, ma non troppo. La musica si diffonde fra le vaste montagne, rallegrando il silenzio della natura attorno al paese. Le luci illuminano la piazza e le piccole e poche vie del paesino, e la gente balla per strada.
Delle bambine che Alice ha conosciuto, le insegnano a ballare una danza tipica svizzera. Non hanno bisogno di comunicare, anche perché non si capirebbero! Per loro è sufficiente ballare insieme e ridere. E poi, con Alice che interpreta ogni espressione sul viso delle bambine, la comunicazione si fa molto più semplice. Almeno, per lei!
Molte persone ci rivolgono la parola, soprattutto i genitori delle bambine, e io mi affido completamente a Patrick, che mastica un po’ il tedesco. Siamo aiutati dal fatto che loro parlano abbastanza bene l’inglese!
Nonostante riesca a comprendere poco di questa lingua complicata, la gente del posto mi sta molto simpatica: sono tutti gentili con noi e molto socievoli.
Un omone grosso, con una pancia da bevitore, ci offre due enormi boccali di birra, esclamando “Schnell, American! Festdeinen Mund mit einer gesunden deutschen Bier!“ o qualcosa di simile, che dovrebbe voler dire  “Forza americani! Rifatevi la bocca con della sana birra tedesca!“ ovviamente Jane ha tradotto per me perché io non avevo capito niente! Il boccale di birra è veramente gigantesco e penso proprio che lo svuoterò per terra non appena il grosso biondo svizzero si girerà. Assaggio la birra e scopro che è veramente buona. Niente a che fare con le nostre birre americane.
Ovviamente, non riesco ad arrivare nemmeno a metà bicchiere! I nostri nuovi amici caricano i nostri piatti con una pila enorme e traballante di salsicce condite con crauti e un’infinità si salse.
Veniamo perfino coinvolti in uno dei balli tipici, piuttosto divertente, ma anche molto difficile.
Per tutta la sera, non riesco a smettere di sorridere!
 
Patrick
 
 
Dopo circa due ore di festeggiamenti notturni, un’infinità di cibo e birra, torniamo a casa, con Alice già addormentata fra le mie braccia.
Torniamo a piedi, visto che il paese è molto piccolo e percorrere le distanze è una cosa breve.
Entriamo in casa e io porto subito Alice nel suo lettino. La sua stanza, qui, è molto caratteristica e lei la adora.
Le do un bacio sulla fronte e torno disotto. Raggiungo Teresa nel giardino sul retro. La vista da qui è spettacolare: una vallata enorme di colline verdi si apre davanti a noi, circondata dalle alte montagne, dai boschi e dalle vette rocciose.
Un fiume scorre in lontananza, e nel silenzio più totale riesco a sentire l’acqua che scorre fra i sassi e i ciottoli. Una marmotta fischia da lontano, nascosta da qualche parte.
Prendo Teresa per mano, sorridendo e camminiamo lungo il nostro prato privato, fino a trovare un punto isolato dalla luce della veranda.
Ci stendiamo a guardare le stelle, nella pace più totale.
“Questo mi mancherà” dice.
“Il silenzio?” chiedo  io sorridendo.
“Già” risponde sorridendo “il silenzio più totale, il rumore della natura come sottofondo e il cielo pieno di stelle!”
“Torneremo ogni volta che vorrai!” le prometto.
Sorride e si avvicina al mio corpo, appoggiando la testa sul mio petto.
Ancora non posso credere di averla veramente sposata. Sembra un sogno!
“Ti amo!” ho voglia di ripeterglielo ogni volta che mi passa per la mente il pensiero.
Lei si solleva sui gomiti e si avvicina al mio viso “Ti amo anche io!” mi sorride.
Ci sorridiamo un istante, prima di lasciarci andare ad un lungo e profondo bacio.
Un giorno dovremo tornare a casa, e soprattutto alla realtà, e abbandonare questo posto paradisiaco.
Ma a chi spaventa più la realtà? Ho una moglie fantastica, una figlia straordinario e una vita meravigliosa.
Ho tutto ciò che ho sempre desiderato riavere da quando ho perso la mia famiglia, e ho avuto una seconda occasione che forse nemmeno meritavo.
Voglio vivere la mia vita con la mia famiglia, e non importa dove saremo: sarà sempre perfetta!
 
 
Dice l’autrice:
 
eccomi!! Storia aggiornata (penultimo capitolo T_T) , chiedo perdono per il ritardo, ma ho un conto in sospeso con i libri di diritto pubblico (esame che dovrò dare fra due settimane! Panico!). spero che il capitolo vi sia piaciuto! La mia amata Svizzera doveva esserci! Amo troppo quel posto, e per una volta i nostri eroi saranno nella pace e nella tranquillità della montagna, invece che nel caos di Sacramento!
Attendo con ansia le vostre recensioni : )
Un bacione: )
Giada
 
Ps: grazie, veramente grazie a tutte voi che continuate a seguirmi!!
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** capitolo 13- The never ending lovely family ***


CAPITOLO 13- THE NEVER ENDING LOVELY FAMILY
 
Un anno dopo
 
 
Patrick
 
 
Mi sposto giusto in tempo, prima che un’ondata d’acqua gelida mi travolga. Sospiro e sorrido, mentre osservo Rigsby completamente fradicio per colpa di un gavettone di Alice.
Mia figlia scappa via ridendo, mentre Wayne si risveglia e le corre dietro con un bicchiere d’acqua.
Cho e Grace alzano gli occhi al cielo, mentre i due bambini corrono intorno al giardino lanciandosi l’acqua.
“Mi chiedo per quale motivo ho fatto un figlio così presto, visto che il primo non è ancora cresciuto!” esclama Grace, brontolando.
Ridiamo tutti, mentre il piccolo Jake scuote le mani ridendo, come se avesse capito la battuta della madre, anche se ovviamente non può. È ancora molto piccolo, ha solo poco più di un mese. È la copia di Rigsby, ma ha gli stessi occhi di Grace.
“Piccolo mio, vedrai che un giorno papà crescerà!” esclama, abbassandosi a baciare la fronte del piccolo che sta fra le sue braccia.
Ritorno ad osservare la carne sul fuoco, attento a non bruciarla. In occasione della prima domenica estiva di ferie, abbiamo organizzato una festicciola a casa nostra.
Tutta la famiglia riunita!
“Cho, puoi pensarci tu?” lo chiamo, indicando la carne.
Lui si alza, contento di poter sfuggire ai due pericoli pubblici che si stanno pericolosamente avvicinando al punto in cui è seduto, armati di malefici bicchieri d’acqua.
“Grazie” gli sorrido, dandogli una pacca sulla spalla.
Rientro in casa dalla veranda della cucina e salgo le scale correndo. Entro piano nella stanza, cercando di non fare rumore.
Lei alza lo sguardo, i suoi scintillanti occhi verdi mi guardano, mentre un sorriso bellissimo le illumina il viso.
“Ehi” sussurro e mi avvicino lentamente a lei.
È in piedi, davanti alla finestra, che osserva Alice e Rigsby nel giardino.
Sorride “10 dollari che vince Alice!” sussurra.
Sorrido anche io “Andata” rispondo.
Mi avvicino e la bacio dolcemente, accarezzandole una guancia. Veniamo richiamati da un piccolo e basso mugolio.
“Oh, qualcuno si sta svegliando!” esclamo sorridendo.
Sorridiamo entrambi alla fantastica creatura che Teresa tiene fra le sue braccia. Apre i suoi meravigliosi occhi verdi e ci sorride, riconoscendo i volti di mamma e papà.
“Buongiorno piccolo” gli sorride lei, prendendogli la manina. Lui stringe con tutta la sua forza le sue dita e allarga il suo sorriso. Le assomiglia tantissimo.
Teresa è rimasta incinta poco prima che ci sposassimo, anche se l’abbiamo scoperto al ritorno dalla Svizzera. E circa due mesi fa è nato Andy.
Questa volta ero con lei, durante la gravidanza, durante il parto, durante le notti che passiamo svegli per farlo addormentare. Questa volta ci sono e ne sono davvero felice.
Lo prendo dalle sue braccia, baciandogli la fronte.
“Forza campione, è ora di scendere a salutare gli amici!” esclamo, uscendo dalla stanza e tornando in giardino.
Nel frattempo, la gara di gavettoni si è conclusa..con la vittoria di Alice!
Arrivata ai cinque anni, Alice è cresciuta tantissimo. Mi assomiglia sempre di più: ficcanaso, rompiscatole, professionista nel fregare tutti quanti, scova ogni bugia e ogni segreto, tormenta tutti e vuole sempre avere ragione.
Ma essendo il suo carattere, per fortuna, molto simile a quello della madre, è anche responsabile, precisa in ogni cosa che fa, furba, ma rispettosa, e sicuramente molto più brava ed obbediente di quanto fossi io alla sua età, e forse molto più di qualunque altro bambino.
Il suo viso da bambina innocente inganna tutti, maestre ed insegnati comprese, perché nasconde la sua vera natura.
Rimangono tutti sbalorditi dalla sua intelligenza, tanto che spesso ci chiedono quale sia la sua vera età. Nessuno direbbe che ha solo cinque anni, potrebbe perfettamente spacciarsi per una di dieci.
Spesso ci fermiamo a guardarci, senza dire una parola. Io posso tranquillamente leggere la sua mente e ho il sospetto che anche lei sia in grado di farlo. E il bello è che migliorerà col tempo!
Ci corre incontro saltellando e saltando subito addosso alla madre.
“Mamma ho stracciato lo zio!” esclama ridendo.
“Non avevo dubbi!” esclama lei ridendo, mentre Rigsby la incenerisce con lo sguardo.
Alice scende dalle braccia della madre, mentre io mi siedo al tavolo. Si avvicina e mi strappa via Andy con molta delicatezza.
A differenza della maggior parte dei bambini, Alice non è assolutamente gelosa della presenza del nuovo fratellino, in quanto sostiene di averne sempre voluto uno e che vorrà crescerlo lei stessa e insegnargli tutto quello che sa.
Io e Teresa ci sorridiamo, mentre lei si siede accanto a me. Vedere nostra figlia, che coccola nostro figlio, ci rende orgogliosi, fieri e molto, ma molto, felici.
Ogni tanto, la sera, rimaniamo in piedi a guardare Alice che dorme sul nostro letto accanto a Andy. Guardiamo un film tutti insieme, nella nostra stanza, poi i bambini si addormentano e invece noi rimaniamo svegli a guardarli. Potremmo andare avanti per ore!
“D’accordo ragazzi!” esclama Cho “si mangia!”
Appoggia sul tavolo un enorme vassoio pieno di carne. Ci sistemiamo tutti sul tavolo, felici di poterci gustare una fantastico pranzetto.
Ovviamente, come ogni volta che siamo tutti insieme, si scatenano le solite scene: Rigsby e Cho che si litigano il pezzo più grosso, mentre io ne approfitto e glielo frego da sotto il naso, Grace e Teresa che ci fissano sospirando,  e Alice che, in totale silenzio e indifferenza, ruba le patate dal piatto di Rigsby, perché lui le mette sempre lontano dalla sua portata, sostenendo che le finirebbe tutte, se fossero davanti a lei. Rigsby ci ha messo due cene di fila per capire che le patate nel suo piatto diminuivano a causa di Alice, e non era lui che le mangiava senza accorgersene.
Gli unici ancora innocenti sono Andy e Jake, che, per il momento, non si lamentano di niente e non combinano disastri. Ridono spesso però, forse hanno già capito in che razza di famiglia sono nati.
Dopo aver spazzato via la cena, Alice diletta tutti con un gioco di prestigio, ovviamente elemosinato dal mio repertorio, e, dopo aver impressionato tutti, sfida Rigsby a un giochino semplice, che io stesso gli ho fatto qualche anno fa.
Inutile dire che ci è cascato, per la seconda volta di fila. Ogni tanto sveliamo a Teresa i nostri trucchi segreti e ora anche lei comincia a capire il gioco “alla Jane”, come lo chiama Alice.
Ovviamente questo non è positivo sul lavoro: è diventata talmente tanto brava a scovarmi, che ora riesce a fermarmi ogni volta che sto per combinarne una. Be..non proprio sempre, ma sa mettermi i bastoni fra le ruote.
Al di là di questo, rimaniamo comunque i migliori, tanto che abbiamo ricevuto un riconoscimento, dato a tutta la squadra, per aver chiuso un caso importantissimo che stava seriamente compromettendo la sicurezza della città.
La nostra vita è scandita da un ritmo costante e perfetto: lavoro, casa, famiglia, bambini, lavoro, casa, famiglia, ecc.
Dopo una giornata di lavoro, torniamo a casa e passiamo tutta la serata a giocare con loro. Il sabato sera abbiamo sempre qualcosa di nuovo da fare e ogni domenica libera si trasforma in una gita di famiglia.
Andy è ancora molto piccolo e ancora Teresa non è tornata al CBI. In sua assenza, io sono affidato a Cho, il che mi impedisce di fare l’idiota, perché a lui, a differenza di mia moglie, non posso corromperlo con una serata romantica.
Passiamo tutto il pomeriggio in giardino, con quella che ormai è diventata la nostra famiglia a tutti gli effetti.
Andy è in braccio a Cho, che si sta affezionando particolarmente agli ultimi arrivati in famiglia, mentre Alice gioca a palla con Rigsby.
Mi avvicino a Teresa e la abbraccio.
“Ti amo” sussurro al suo orecchio e le sorrido.
“Ti amo anche io” io risponde piano sorridendo.
Ci lasciamo andare in uno dei nostri baci sdolcinati, come ama definirli quella peste, dimenticandoci del nostro giardino pieno di amici. Entriamo nel nostro mondo privato, quello che racchiude tutto ciò che proviamo l’uno per l’altra.
Ma viene bruscamente interrotto da una pallonata che mi colpisce in testa, con una precisione perfetta.
Mi stacco da lei, incenerendo Rigsby: solo lui poteva riuscirci. Con le carte è un disastro, ma la sua mira spaventa tutti.
Afferro la palla e gliela ritiro, mentre Teresa se la ride.
“Non c’è niente da ridere!” la rimprovero.
“Se lo dici tu!” esclama sorridendo.
Torniamo verso i nostri amici e ci uniamo ai due bambini. Mi vendico subito della pallonata, beccando Rigsby in pieno stomaco. Veramente miravo alla testa, ma fa lo stesso..
 
A fine giornata, rimaniamo soli.
La casa piomba in un silenzio innaturale, dopo una giornata in cui era stata riempita dalle risate della nostra famiglia allargata.
Teresa ha portato Andy nella sua culla, dopo che si è addormentato fra le mie braccia. Alice, subito dopo cena, si è stesa sul divano a guardare uno dei suoi cartoni preferiti, addormentandosi dopo mezz’ora.
La prendo in braccio e la porto nella sua stanza. Mi siedo accanto a lei sul letto e la guardo dormire. Sul comodino accanto al letto, c’è una foto bellissima, scattata solo due settimane fa: noi quattro, al parco, che sorridiamo felici. Alice stringe in braccio il fratellino, mentre noi stringiamo lei.
Un’altra foto ritrae lei e il piccolo Andy, da soli, mentre nell’ultima ci siamo noi tre, in Svizzera.
Le do un bacio sulla fronte e scendo disotto. Sul mobile del salotto c’è un’altra infinità di foto, che immortalano i ricordi più belli di quegli anni.
Foto con tutta la famiglia, prima e dopo la nascita di Jake e Andy. Tantissime foto di Alice e Teresa, prima del mio ritorno. Tantissime foto di me e Teresa, dopo il mio ritorno, soprattutto del giorno del matrimonio.
Il mio sguardo si sofferma su una foto in particolare: scattata prima della mia “fuga”, è la foto che Alice ha conservato in mia assenza. Abbiamo deciso di incorniciarla, per  ricordarci che, a volte, le esperienze più dolorose sono solo un passaggio, una fase, che ci porta dritti verso la nostra vera vita.
Sorrido fra me, ripensando a quei mesi e anni, in cui non mi sembrava nemmeno di vivere. Ciò che abbiamo ottenuto è stato meglio di ogni speranza e desiderio.
Accanto a quella foto, un’altra cattura la mia attenzione. E mi sorprendo di non provare dolore, né rabbia, né altro che non sia serenità.
Teresa mi ha convinto a incorniciarla e a tenerla accanto alle altre.
È una foto di tantissimo tempo fa. Angela e Charlotte, mesi prima della loro morte, sorridono felici e salutano con la mano.
Abbiamo raccontato, senza particolari macabri, la storia della mia famiglia alla piccola Alice. E anche lei ha insistito per tenere la loro foto. Spesso si ferma a guardarla e mi chiede di loro.
E io mi sorprendo ancora di riuscire a raccontarle tutto, senza soffrire. Condividere il mio passato con Teresa e mia figlia mi fa stare bene. Ora posso ricordarle, nel modo giusto, nel modo che si meritano. Abbiamo anche deciso che, in ogni anniversario, le andremo a trovare. Le porto nel mio cuore, senza dolore e senza paura.
Non c’è più niente che mi spaventa. Il dolore degli ultimi anni della mia vita sembra solo un fastidioso e lontano ricordo, tanto insignificante da non sembrarmi nemmeno reale.
Il suono di un pianto mi strappa dalle mie riflessioni. Salgo di fretta le scale ed entro nella stanza di Andy, che sta piangendo, nello stesso momento in cui arriva Teresa.
Entriamo insieme e lei lo prende subito in braccio. Come per magia, Andy smette di piangere. Mi avvicino a loro e vedo Andy aprire gli occhi e guardare sua madre intensamente, per poi sorriderle.
Teresa ricambia il suo sorriso prendendo la sua manina. Lui la stringe e allarga il suo sorriso. È incredibile quanto si assomiglino. Stesso sorriso, stessi occhi e stessi lineamenti dolci.
Anche Alice somiglia molto a lei, ma in Andy c’è qualcosa di diverso. Entrambi sono la perfetta unione dei nostri due visi, ma Andy ha le sue stesse espressioni, il suo stesso modo di sorridere e di guardarti, mentre, in questo, Alice assomiglia più a me.
“Andy comincio ad essere geloso! Mi stai rubando la moglie da sotto il naso!” esclamo offeso, facendogli la linguaccia.
Per tutta risposta, lui si mette a ridere, come se si prendesse gioco di me. Si, anche in questo le somiglia decisamente!
Ridiamo entrambi nel sentire la sua voce dolce da neonato.
Appoggio il mento sulla spalla di Teresa e la avvolgo con le braccia, e insieme culliamo il piccolo. Rimaniamo in silenzio, finché non si addormenta.
“E se si dovesse svegliare di nuovo?” sussurra lei, guardando la culla poi il piccolo.
Sorrido, perché so perfettamente cosa intende. Mi sorride anche lei, capendo che io ho capito.
Le do un bacio sulla guancia e scivolo via dalla stanza in silenzio, mentre lei torna nella nostra con il piccolo in braccio.
Entro in silenzio nella stanza di Alice. Delicatamente la sfilo dalle coperte e la prendo in braccio.
Lei scuote leggermente le spalle e strizza gli occhi. Ha il sonno un po’ leggero.
“Dove andiamo?” brontola.
Sorrido mentre mi avvio lungo il corridoio “Nottata improvvisata con noi, continua a dormire” le sussurro.
Lei annuisce sorridendo e si accoccola contro il mio petto, richiudendo gli occhi.
Entro nella mia stanza, dove Teresa e Andy sono già stesi sul letto. Andy è di nuovo sveglio e sorride quando mi vede con la sorella.
Appoggio Alice accanto al fratellino e mi stendo accanto a lei.
Ogni volta che ne sentiamo il bisogno, passiamo la notte così, con i nostri figli. È bellissimo dormire con loro!
Alice riapre gli occhi, più addormentata che sveglia e sorride.
“Ciao Andy” sussurra.
Lui le sorride e con la manina cerca la sua. Rimaniamo incantanti a guardarli mentre Alice allunga la mano e prende quella del fratellino.
Il piccolo stringe le sue dita, mentre Alice scivola di nuovo nel sonno, sorridendo.
Dopo qualche minuto anche Andy chiude gli occhi e si addormenta.
Noi rimaniamo svegli e guardarli. Non ci stancheremo mai di ammirarli in quel modo.
Ci sorridiamo, prendendoci per mano e tornando a guardare le due pesti addormentate.
Dopo altri minuti passati a parlarci sussurrando e a guardare i bambini, chiudiamo gli occhi e ci addormentiamo, cullati dal loro lento e dolce respiro.
 
 
 
Alice
 
 
“Papà!” esclamo, scuotendo la sua spalla di nuovo.
Sbuffo esasperata. Ma perché non si sveglia mai!
“Papà!” esclamo più forte, dandogli una forte scrollata al braccio.
Lui scatta spaventato e strizza gli occhi confuso. Poi mi guarda perplesso.
“Alice che c’è?” chiede brontolando.
“Sono le 8! Pensi di svegliarti adesso?” chiedo sarcastica. Papà dice che, quando faccio la sarcastica, sono identica alla mamma. La mamma ribadisce sempre che meglio essere sarcastici come lei che rompiscatole come papà. Considerando che io sono entrambe le cose, li lascio battibeccare senza intromettermi! E poi sono io la bambina di 5 anni..
Papà mi guarda allibito “Come le 8?” scatta in piedi dal letto e guarda la sveglia.
Si volta a guardare me e nota che io sono già pronta e vestita. Andy e la mamma sono già usciti, perché stamattina Andy aveva una visita dal dottore.
“Non potevi svegliarmi prima!” esclama, prendendo al volo i suoi vestiti e fiondandosi in bagno.
Alzo gli occhi al cielo e torno disotto. Dopo dieci minuti papà scende, con la giacca ancora slacciata, il tesserino del CBI in bocca e il cellulare in mano.
Mi prende per mano e mi tira fuori di casa.
Non appena chiude la porta si blocca, sospirando esasperato.
“Le chiavi della macchina!” esclama.
Lo fisso ridendo e alzo la mano: dalle mie dita penzolano le chiavi della macchina di papà.
Lui mi fissa sorpreso, poi mi sorride radioso “Sei un prodigio!” esclama afferrandole.
“Lo so!” ribatto io ridendo e scappiamo correndo verso la macchina.
In men che non si dica arriviamo all’asilo, che sta per chiudere i cancelli. Per fortuna le maestre sanno che la maggior parte dei miei ritardi è causata da papà, quindi aspettano sempre di vedermi arrivare, prima di chiudere definitivamente l’entrata!
Di questa cosa la mamma non ne è a conoscenza, e così dovrà essere almeno fino al mio diploma di liceo!
Saluto papà con un bacio e corro dentro, dove le maestre mi aspettano sorridendo.
 
 
Teresa
 
 
 
“è una cosa chiamata sveglia!” esclamo mentre mescolo il sugo “dovresti usarla ogni tanto, può tornare utile!” ironizzo.
Per l’ennesima mattina, Patrick non si è svegliato e hanno fatto tardi. Difficile capire se siano più comprensive le maestre dell’asilo di Alice, o la Hightower.
Patrick sorride tranquillo “Odio il rumore che fa! E poi a me ci pensa Alice no?”
Si avvicina a me e, con il suo solito modo da bastardo e irritante seduttore, comincia a baciarmi e coccolarmi, sperando nel mio perdono. Sospiro, sapendo perfettamente che la spunterà lui, come sempre.
“Arriverà il giorno in cui smetterò di perdonarti!” borbotto, tornando a girare il sugo.
“Lo dici dal giorno in cui mi hai assunto e non è mai successo!” commenta lui sorridendo.
Sorrido “Approfittane fin che puoi!” lo minaccio.
Nel frattempo, in salotto, Alice sta facendo ridere Andy, comodamente seduto nel suo piccolo seggiolino, posato sul pavimento. Alice, seduta sul pavimento davanti a lui, gli fa le boccacce e qualche trucchetto di magia, tipo far scomparire le cose e farle riapparire da un’altra parte.
Andy, ovviamente, non capisce quello che la sorella sta facendo, ma, vedere strani oggetti colorati che scompaiono e riappaiono, lo fa ridere molto.
Appena la cena e pronta,  vado in salotto a chiamarli. Alice scatta in piedi mentre io prendo fra le braccia il piccolo Andy, ancora ignaro del significato di una vera e propria cena.
Come ogni sera, ognuno racconta la propria giornata. Io faccio le veci anche del piccolo Andy, la cui giornata è praticamente gestita da me.
Alice racconta dell’asilo, di tutto quello che hanno fatto e dell’imminente gita al parco naturale fuori città.
Patrick apre bocca e so cosa sta per dire, glielo leggo negli occhi: che una volta abbiamo seguito un caso di omicidio, avvenuto proprio in quel parco.
Lo colpisco con il gomito e lui capisce di dover tacere.
Poi è la volta di mio marito, e non mi sorprende per niente scoprire che la squadra è stata querelata dalla polizia di una piccola cittadina fuori da Sacramento, per colpa sua.
“Te lo giuro amore, era davvero necessario per prendere il colpevole!” esclama, difendendosi.
“Papà, dici così tutte le volte!” esclama Alice alzando gli occhi al cielo.
Io sospiro “Una querela!” esclamo “Ti rendi conto di quante grane hai procurato all’Hightower e a Cho?”
“Cho mi ha già perdonato, mentre Hightower mi ha divorato con lo sguardo, borbottando qualcosa del tipo “non vedo l’ora che torni Lisbon”. Me la sono cavata meglio del previsto!” spiega, sorridendo soddisfatto.
Alzo gli occhi al cielo, imitata da mia figlia.
“Non oso immaginare cosa mi succederà quando tornerò!” borbotto, facendo ridere Alice, e , casualmente, anche Andy.
Patrick sorride tranquillo, sapendo che, quando tornerò, dovrà stare più attento, ma che potrà farsi anche perdonare più in fretta.
Facile corrompere tua moglie, piuttosto che il tuo amico!
Dopo cena rimaniamo in salotto a guardare la tv. Il primo a cedere è Andy, che si addormenta subito.
Resto con Alice sul divano, mentre Patrick porta Andy di sopra.
Alice si accoccola fra le mie braccia. La stringo a me sorridendo. Da quando è nato Andy facciamo fatica a goderci momenti come questi, solo per noi.
Momenti in nome dei vecchi tempi, quando c’eravamo solo io e lei, ed eravamo in un’altra casa, in una vita completamente diversa.
Di quei giorni ho solo un ricordo felice. A volte provo un pizzico di nostalgia, dovuto dal fatto che Alice cresce in fretta e non è più la piccola bambina bionda che cullavo la sera sul divano, o che rimaneva le ore stesa sul pavimento a guardare la foto di suo padre.
“Mamma?” mi chiama.
“Dimmi tesoro” le dico sorridendo.
Lei si solleva per guardarmi negli occhi “Ti voglio bene” mi dice sorridendo.
La abbraccio, stringendola forte “Anche io ti voglio bene” sussurro sorridendo, mentre una piccola lacrima mi scende dalle guance.
Alice sa sempre ciò che provo, è impossibile sfuggirle!
“Andiamo a dormire?” chiedo guardandola nei suoi splendidi occhi azzurri.
Lei annuisce sorridendo.
Sale sulla mia schiena, come facevamo sempre quando era più piccola, e andiamo di sopra.
La aiuto ad infilare il pigiama e resto con lei, mentre lentamente si addormenta, accoccolata sotto le coperte.
Le do un bacio sulla fronte ed esco piano dalla sua stanza.
Vado nella mia stanza, dove Patrick mi aspetta.
“Dorme?” gli chiedo, riferendomi ad Andy.
“Per il momento” risponde lui sorridendo.
Sorrido anche io, abbracciandolo. Appoggio la testa sul suo petto, beandomi della straordinaria sensazione che provo quando sono con lui.
“Lo sai che giorno è domani, vero?” chiedo ironico, accarezzandomi i capelli.
Sorrido fra me “è martedì” rispondo indifferente.
Lo sento sorridere “Si, anche..”
Sorridendo sfioro con il pollice l’anello al mio anulare sinistro. Solamente un anno fa..
“Vuoi sposarmi?” chiede sorridendo.
Alzo la testa dal suo petto e lo guardo, perdendomi nei suoi incredibili occhi azzurri, che mi lasciano ammaliata ogni volta.
“Adesso?” chiedo, imitando me stessa.
“E quando se no?” ribatte lui.
Scoppiamo a ridere insieme, perdendoci in uno dei nostri baci intensi e profondi.
Lo trascino fino al letto, stendendomi al suo fianco, alla ricerca della sua pelle morbida e delle sue carezze.
Esattamente un anno fa ci siamo sposati, ma l’amore che ci unisce c’era anche prima, nei momenti belli e nei momenti dolorosi.
Ma soprattutto, ci sarà per sempre. Perché, a volte, l’amore sorpassa la vita.
Supera ogni ostacolo, non smettendo mai di brillare.
E diventa infinito!
Alice
 
 
Mi rigiro fra le coperte, dopo essermi risvegliata da un sogno. È stato strano, ma bello.
Ho sognato il giorno in cui ho conosciuto papà. Credo sia uno dei ricordi più belli, che non dimenticherò mai. Resterà nel mio cuore per sempre, come il giorno che mamma e papà si sono sposati, o come il giorno in cui è nato Andy.
È questo il bello di amare qualcuno e di avere una famiglia: tutto l’amore che provi ti rende migliore e speciale.
Sorrido, ritornando con la mente a sognare la mia famiglia.
Non mi stancherò mai di tutta questa felicità e questo, se possibile, mi rende ancora più felice!
Perché so che non avrà mai fine!
 
 
 
 
 
The (Never) End
 
 
 
Dice l’autrice:
 
amiche mie, siamo giunti alla fine! Mi viene quasi da piangere! Perché durante tutto il periodo in cui ho pubblicato questa storia, sono stata seguita da voi, che non vi siete mai stancate di leggere, commentare e sostenermi, e questo mi ha resa talmente tanto felice, che mi dispiace aver finito la storia! Quindi vi ringrazio veramente di cuore, per tutto! E poi mi mancherà molto scrivere questa storia, forse perché mi sono affezionata ad Alice (quella bambina è ufficialmente nel mio cuore!) : )! Ecco perché ho deciso di lasciare a lei il finale : )
attendo i vostri commenti, spero veramente che vi sia piaciuta!
E ancora grazie mille a tutteeeeeeeeeee : )!!!
Un bacione enorme : )
Giada

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