Unforgivable Sinners~

di _hurricane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mirror ***
Capitolo 2: *** Pain ***
Capitolo 3: *** Two Suns ***
Capitolo 4: *** Sin ***



Capitolo 1
*** Mirror ***


Mirror

               (specchio)

 “Driiiiiin!”

Come ogni mattina, alle 7 in punto, suona la sveglia dei gemelli Hitachiin, che dormono sereni al secondo piano della loro immensa tenuta. Li attende l’ennesima giornata di scuola media, libri e videogames, un altro tassello in un viaggio chiamato vita; un viaggio che per loro non ammette altri passeggeri. “Hikaru”, mugugna Kaoru, “Hikaru, spegni la sveglia. Tocca a te oggi.” Senza dire una parola, il fratello esegue l’ordine; poi si gira verso Kaoru, lo spinge giù dal letto e gli ruba la sua parte di lenzuola azzurrine. “Ahi! Questa me la paghi!” Kaoru risale sul letto, afferra la sveglia dal comodino di legno e la fa risuonare senza sosta nelle orecchie del fratello, aggiungendoci un suo “Driiiin! Driiiin! Driiin!”, quasi come se la sveglia avesse bisogno di un incoraggiamento. “Va bene, mi alzo, mi alzo!” ribatte Hikaru. Inizia così la solita routine: lavare il viso, i denti, farsi la riga dei capelli, mettere le divise scolastiche, già piegate su una sedia da una delle domestiche e pronte per essere indossate. Togliere il pigiama l’uno davanti all’altro non era mai stato un problema per loro; si dicevano sempre: “Beh, ci siamo già visti nudi tredici anni fa, no?” E poi, in fondo, era come guardarsi allo specchio. Da piccoli adoravano mettersi uno di fronte all’altro, per fare le stesse mosse e le stesse espressioni, come fossero riflessi nell’acqua di un laghetto. Non c’era neanche un neo, una voglia, niente che potesse distinguerli; né tantomeno qualche cicatrice, perché i loro genitori (o più che altro le loro domestiche) erano sempre stati molto protettivi riguardo al loro modo di giocare. Una volta, quando avevano più o meno 6 anni, una zanzara punse Hikaru nel bel mezzo della faccia, sulla guancia destra. Finchè il segno della puntura non se ne andò, Kaoru si rifiutò di fare il gioco dello specchio e annunciò ufficialmente che le zanzare erano degli animali stupidi e cattivi. Con il passare del tempo, però, segretamente entrambi iniziarono a covare il desiderio di poter essere distinti. Non avendo il coraggio di ammetterlo, né con sé stessi né con il rispettivo gemello, ora fanno di tutto per non essere riconosciuti dagli altri; altrimenti non sarebbero più identici, nemmeno con il gioco dello specchio. Certo, ormai hanno tredici anni e non lo fanno più, ma ne avranno comunque il ricordo. Le smorfie, le mosse perfettamente coordinate, persino le frasi: era come se ormai loro stessi fossero quel gioco. Lo specchio l’uno dell’altro, sempre.

“Basta mangiare, c’è già la macchina che vi aspetta!” incalza la madre dei gemelli, famosa stilista di moda, mentre finiscono di fare colazione. Hikaru e Kaoru obbediscono; prendono le loro cartelle e la salutano in coro, come ogni giorno: “Buona giornata, mamma!”. Sanno già che la giornata sarà come le altre, specialmente perché l’ennesima ragazzina ha mandato a Hikaru una lettera d’amore, ma quando lui si presenterà all’appuntamento fingendo di essere Kaoru, a lei andrà bene lo stesso. Gente che non sa vedere, e che quindi non vale la pena conoscere; questo il giudizio dei gemelli Hitachiin sul resto del mondo, in parole povere. L’appuntamento è quasi sempre nello stesso posto, sotto il portico che circonda uno dei cortili principali dell’Accademia Ouran, durante la pausa pranzo. Solita strategia: Kaoru si nasconde dietro un albero vicino, per uscire al momento giusto e svelare l’astuto inganno, il test che nessuna ingenua ragazzina ha mai superato. La “vittima”, una tredicenne minuta dai capelli neri e corti, con un fiocco rosso sempre in testa, si chiama Ruki. In effetti, la sua lettera è stata ampiamente prevista: pur vivendo nel loro mondo, ai gemelli non sfugge niente, nemmeno gli sguardi delle ragazze. “Ciao, Ruki” esordisce Hikaru, vedendola arrivare a testa bassa e interrompendo così il flusso dei suoi pensieri. “C-ciao” replica la ragazzina, molto a disagio. “Hai letto la lettera allora, Hikaru?”. “Ma io non sono Hikaru. Sai, lui ha un’altra per la testa al momento. Però se vuoi potrei uscire io con te. In fondo è uguale, no?”. Il solito copione. “Sei Kaoru? Oh, che figura. Purtroppo non riesco a riconoscervi, so che nessuno ci riesce. Però la lettera era per Hikaru”. “Per Hikaru? E come fai a dirlo, se non ci sai riconoscere?” “Perché ultimamente ho aiutato la professoressa a correggere i temi della nostra classe, sai, mi considera molto brava in grammatica e voleva risparmiare tempo. Comunque, so che sembra una cosa stupida, ma è da quelli che ho capito che mi piace il carattere di Hikaru, e volevo uscire con lui. Magari con il tempo potrei imparare a distinguervi. Ma non è interessato, quindi, beh… meglio che vada. Buona giornata, Kaoru.” Con un piccolo sorriso ed un velo di amarezza, Ruki si allontana. Tutti e due i gemelli, uno dietro l’albero e l’altro ancora sotto il portico, la guardano andare via, attoniti. Neanche loro sanno cosa sta accadendo nella loro testa, ma sanno che per la prima volta una ragazza, pur non avendoli riconosciuti, ha voluto almeno cercare di distinguerli, averne la possibilità. E adesso? La barriera che protegge il nostro mondo perfetto dovrà essere abbattuta, o alzata ancora di più? Questo interrogativo martellante li perseguiterà segretamente per tutto il giorno, fino a casa; ma nessuno dei due avrà il coraggio di dirlo ad alta voce.

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Capitolo 2
*** Pain ***


Pain

               (dolore)

“BAM!”

Sono le tre di notte, e Kaoru è appena atterrato sul pavimento freddo, probabilmente a causa di uno spintone di Hikaru, che dorme ‘a stella marina’, come dice sempre lui. “Mmmm” si lamenta Kaoru, assonnato e vagamente irritato, per la frequenza con cui questo accade. Il più delle volte tornava a letto, costringendo il fratello a chiudersi a riccio (tanto per restare in tema) e fargli nuovamente spazio; ma stavolta no. Rialzandosi da terra, lo sguardo di Kaoru si posa involontariamente su un piccolo baule sotto il letto, che come sa bene contiene foto dell’infanzia, vecchi giocattoli, ricordi. Sorride d’istinto. Cerca di trascinarlo fuori senza far rumore, poi si siede a gambe incrociate sul pavimento, il baule in grembo. C’è la foto della famosa puntura di zanzara: deve trattenersi per non ridere al solo pensiero, e svegliare così Hikaru. Sotto ad altre fotografie, pupazzetti e disegni stropicciati, c’è un diario segreto, ormai ben poco segreto visto che il lucchetto è andato perduto, un po’ come tutte le cose di piccole dimensioni lasciate in mano a dei bambini. La luce della luna che filtra dalla finestra permette a Kaoru di intravedere scritte, stupidi racconti delle giornate passate all’asilo, e disegni colorati a pastello, ovviamente sempre con loro due come protagonisti. “Io e Hikaru al parco giochi di Osaka”, “I fratellini Hitachiin sull’altalena”, “Io e Kaoru e il gioco dello specchio!” In quei disegni così schematici e approssimativi, però, non erano mai totalmente identici. Per un po’ Kaoru si sofferma sulle piccole differenze tra le due figure: uno sbaglio con la matita, un ciuffo di capelli in più, un piede storto. Poi, qualcos’altro cattura la sua attenzione: in fondo al diario, qualcosa fa spessore tra le ultime due pagine. E’ una graffetta blu, che tiene attaccata alla pagina del diario proprio la lettera di Ruki, la ragazza della mattina, che lui ha visto andar via da dietro l’albero, nel cortile. Tra la lettera e la graffetta, un piccolo post-it con su scritto un numero di telefono; sicuramente proprio quello di Ruki, chiestole da Hikaru senza che lui se ne accorgesse. Lo stesso Kaoru si sorprende, quando vede i numeri annebbiarsi davanti ai suoi occhi, e poi fondersi tra loro, inondati da una lacrima. Poi un’altra, e un’altra ancora. Il diario gli cade dalle mani, facendo un tonfo quasi impercettibile all’udito del fratello dormiente, ma pesante come quello di un’incudine per il suo cuore. “Hikaru… Hikaru…” ora non sono solo lacrime, ma singhiozzi. Con il piede spinge via il baule ancora aperto, e si accascia sul pavimento, raccogliendosi su sé stesso per darsi un po’ di calore, ma è inutile. Ogni singola lacrima che inonda le sue guance è come una pioggia di acqua gelida: intorpidisce il suo corpo e la sua mente. Nei suoi ricordi, che gli passano davanti agli occhi come un flashback degno di un film, il fiocco rosso tra i capelli di quella Ruki è ovunque: sulla panchina dell’asilo, nel loro giardino, persino tra i loro corpi, nel bel mezzo del gioco dello specchio, che non riesce più ora che c’è un’intrusa. Kaoru sa benissimo che le sue lacrime e i suoi ricordi plagiati sono uno sbaglio: dovrebbe essere felice per suo fratello, che per la prima volta potrebbe uscire con una ragazza, una che ci tiene davvero a conoscerlo per quello che è. “No, solo io, soltanto io, Hikaru…” Solo lui lo conosce per quello che è. Nessun altro potrà mai. La gelosia scava un solco dentro il suo petto, come una serie infinita di coltellate dolorose, ma mai letali. I secondi sul pavimento passano lenti come anni.

Improvvisamente una mano raggiunge i suoi capelli, come una corda lanciata dal nulla, per salvare un povero naufrago in mezzo ad un mare di disperazione. “Kaoru,” - il silenzio è squarciato dal suo nome come un velo - “perché stai piangendo?” “Io… ho fatto un brutto sogno. Ho sognato che tu non c’eri più, che mi lasciavi solo” mente Kaoru. “Oh, ma questo non potrebbe mai accadere, lo sai, vero?” risponde Hikaru accarezzandogli i capelli, pur avendo visto il vero motivo del pianto, a pochi centimetri dal piede del fratello. Ma lui continua a piangere, non risponde. “Kaoru… Kaoru, guardami!” Ora anche Hikaru è sul pavimento gelido, illuminato dalla luce della luna; il viso del gemello è tra le sue mani, bagnato e tremante. “Che c’è? Perché fai così? Dimmelo!” “Perché tu… stai mentendo.” Il respiro di Hikaru di colpo si ferma. Essere accusato di mentire non era mai stato un problema, ma ogni volta che era successo in passato, era stato per aver coperto una marachella di Kaoru, oppure per qualche scherzo di comune accordo. Mai, mai nella sua vita aveva sentito quelle parole uscire proprio dalla sua bocca, taglienti come lame. “Un giorno ti innamorerai, ti sposerai, avrai dei figli, e nella tua vita non ci sarà più spazio per me. Un giorno ti stancherai di vedere sempre il tuo riflesso” conclude Kaoru, improvvisamente senza più lacrime. Hikaru lo guarda, tra il dolore e lo sconcerto. “Kaoru… non è così. Un giorno ci innamoreremo e ci faremo delle famiglie separate, ma non vuol dire che mi dimenticherò di te! Non credi che sia giusto che vada così? Non credi che le persone dovranno distinguerci, prima o poi?” Una pausa, lunga forse quanto una vita intera. “Si, ma…tu… tu non capisci”. Kaoru si alza dal pavimento, lo guarda dall’alto in basso con tutta l’amarezza che ha in corpo, e fugge verso il bagno. Hikaru sente la porta chiudersi dietro di lui, la chiave girare nella serratura, e poi di nuovo singhiozzi.

“Oh, invece si.”

 

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Capitolo 3
*** Two Suns ***


Two Suns

                                   (due soli)

 

Mi lascio scivolare verso il basso, dopo aver chiuso la porta dietro di me. Mi gira la testa, il cuore batte all’impazzata e il dolore nel petto è insopportabile. Non riesco a respirare. Che mi succede? Hikaru ha ragione, non è forse giusto che vada così? In fondo anche io ho sempre sperato che qualcuno avesse almeno la volontà di distinguerci. E allora perché, perché al solo pensiero mi sento bruciare dentro? Al pensiero di vederlo camminare lungo una navata con una bellissima sposa, o giocare in giardino con lei e i suoi bambini, o semplicemente uscire a mangiare un gelato con qualcuno che non sono io. Lui vorrebbe chiamarla… vorrebbe uscire con lei. E se poi gli piacesse davvero? Cosa farò io quando lei scoprirà le piccole sfaccettature che lo rendono unico, pur essendo uguale a me?

Hikaru… ti prego, ti prego non lasciarmi qui da solo in questo mondo. Io… morirò senza di te.

Adesso sono in ginocchio, mi tengo il viso tra le mani perché mi scoppia la testa. All’improvviso tutto è chiaro, ma forse sarebbe meglio se non lo fosse. Perché io…

Io… io ti amo, Hikaru.

 ~~~

 

Sento la porta chiudersi, e i nuovi singhiozzi di Kaoru mi trafiggono come spade. Sento il suo dolore, proprio qui, sotto la pelle, nelle ossa, nel cervello. Lo sento dentro. Lui è sempre stato un po’ più emotivo, ma questa volta nemmeno io posso trattenere le lacrime, perché se il suo cuore piange, il mio non può fare diversamente. La distanza che c’è adesso tra me e il bagno, tra me e lui, mi sembra infinita. Non so se avvicinarmi o se fuggire ancora più lontano. Non so cosa fare, né cosa dire. L’unica cosa che so è che ciò che segretamente ho sempre voluto, forse l’ha sempre voluto anche Kaoru. Io lo so, so cosa intendeva dire. Solo non pensavo che l’avrebbe mai detto. Pensavo che fosse sbagliato, e innaturale, e malato. E probabilmente lo è. Ma se adesso io resto qui, sul pavimento, ad ascoltarlo piangere e a lasciare che il mio cuore vada in pezzi insieme al suo, da domani non avrò più il coraggio di guardarlo in faccia, e nemmeno di guardare la mia nello specchio. E’ sbagliato, e innaturale, e malato. Ma io…

Io… io ti amo, Kaoru.

~~~

 

Hikaru si alza dal pavimento, si asciuga le lacrime dal viso e corre verso la porta del bagno. “Kaoru, apri la porta, ti prego!” Nessuna risposta, non si sente più nemmeno un singhiozzo. “Kaoru… non farmi preoccupare, apri!” Il respiro affannato di Hikaru, che si abbatte contro la porta del bagno come un’onda contro una scogliera, è l’unico rumore in tutta la stanza. “Kaoru… ti prego, se non mi parli più io non so cosa fare, mi sento morire. Io ti a-“ Ormai non si torna più indietro; le parole non possono più aspettare. Un unico, profondo respiro sostituisce l’affanno. “Io ti amo, Kaoru.” Sente la chiave girare nella serratura, e la porta si apre davanti a lui. Kaoru è in piedi, immobile; sembra una statua di ghiaccio pronta a crollare da un momento all’altro. Un silenzio di tomba cala tra i due gemelli. Poi improvvisamente la luce, la vita.

Uno slancio e un bacio lungo un’eternità. Due soli, fino ad un secondo prima lontani anni luce, ora si incontrano ed insieme esplodono. Le lacrime tornano a sgorgare dagli occhi dei gemelli Hitachiin, ma è impossibile distinguere a chi dei due appartengono. Così come le loro mani, le labbra, le unghie quasi conficcate nelle rispettive schiene, come se in un soffio possano sparire, come se quest’attimo non possa più tornare. E forse è davvero così.

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Capitolo 4
*** Sin ***


Sin

        (peccato)

 

“Hikaru… non riesco a dormire”. Kaoru strattona il fratello per la manica del pigiama, sotto le lenzuola. Sono le tre di notte, ancora una volta. “Beh io ci ero riuscito, quindi spero almeno che il motivo sia importante” sbotta Hikaru, svegliandosi giustamente irritato. “Credo di si. Stavo pensando a quella notte”. “Oh. La notte in cui ti ho detto che ti amo”. L’irritazione è improvvisamente svanita; al suo posto, un grande e bellissimo sorriso. Kaoru sorride di rimando, e aggiunge: “Mi sembra ieri, e invece sono passati due anni. Riesci a crederci?” “Eh già”, risponde Hikaru, “sono passati due anni. Ma io ti amo allo stesso modo di allora”. Un tenero e spontaneo bacio li unisce ancora una volta, sotto la luce della luna. Un gesto ormai consueto nella loro intimità, che preferiscono tenere segreto; alle ‘clienti’ dell’Host Club gli atteggiamenti provocatori possono bastare, non c’è bisogno di far sapere a tutti che non è soltanto attrazione fisica quella che li lega l’uno all’altro, indissolubilmente. “Sai, forse avremmo dovuto ringraziare quella Ruki. In fondo è stato un po’ merito suo” esordisce Kaoru, staccando le sue labbra da quelle del fratello. “Non credo. Ho sempre saputo di appartenerti, Kaoru, è solo che non avevo il coraggio di ammetterlo. Ma prima o poi, anche senza il tuo sfogo, l’avrei fatto. Non si può soffocare una cosa come questa”. Una breve pausa, e i due gemelli si guardano negli occhi; ormai il tempo del gioco dello specchio è finito. Kaoru interrompe il silenzio: “Io proprio non capisco come fai”. “A fare cosa?” “A farmi arrossire ogni volta. A farmi sentire sempre, continuamente… vivo.” Hikaru non può avere la risposta; nessuno potrà mai. Decide quindi di mostrargli ancora una volta cosa vuol dire. Lentamente bacia il fratello lungo il collo; le mani scivolano delicate sul suo petto, per sbottonare il pigiama. Stavolta non c’è foga nel suo tocco, perché sa per certo che nessuno potrà mai rubare loro questo momento. Impresso nella sua mente e nel suo cuore, quel primo bacio di frustrazione e felicità. I bottoni non collaborano, ma a nessuno dei due importa più di tanto: c’è tutto il tempo del mondo, tutta la notte, tutta una vita che li aspetta; e se non danno peso a ciò che può pensare la gente di loro, non lo daranno certo ad un piccolo intralcio come questo. “Prendimi” ansima Kaoru, mentre abbassa i pantaloni del fratello. Cosa che Hikaru farebbe comunque, ma sentire di essere così desiderato da Kaoru lo fa letteralmente impazzire, e Kaoru lo sa. Non è un atto di dominazione o sottomissione; non si tratta affatto di questo. E’ un modo per dire “Il mio corpo ti appartiene, puoi farne ciò che vuoi. Puoi anche uccidermi, basta che sia tu a farlo”. Ormai non c’è neanche un briciolo di stoffa sui due corpi identici; Hikaru è su Kaoru, esaudendo così il suo perverso desiderio. Una mano è sulla coscia, l’altra alla base dei capelli; le labbra leccano avide il collo e la schiena, si fermano un attimo ma Kaoru implora di non smettere, mentre affonda il viso nel cuscino per evitare che il suo piacere risuoni per tutta la casa. Farlo di nascosto era sempre stato molto eccitante, tranne quando dovevano ricorrere a questi metodi per non essere scoperti. Anche Hikaru si morde le labbra per tentare di frenare i gemiti, ma alla fine è praticamente impossibile: “chi se ne frega” pensano entrambi, accasciandosi l’uno sull’altro, soddisfatti. Hikaru prende Kaoru per il mento, e gli sussurra all’orecchio: “Ti amo”. Sentendo il suo volto allargarsi in un grande sorriso, sa già di non aver bisogno di una risposta. Si addormentano così, nudi e abbracciati, senza la preoccupazione di cambiare le lenzuola, di rivestirsi, delle spiegazioni che dovranno dare la mattina dopo. Come due peccatori consapevoli di essere imperdonabili, che tuttavia non se ne curano affatto. “In fondo siamo stati per nove mesi nudi e abbracciati” si ripetevano spesso dopo le loro notti segrete. Il fatto che il mondo ‘normale’ li avrebbe considerati malati e perversi era un’idea che non aveva mai creato loro problemi, anzi, Hikaru si era sempre scusato per esserseli creati, per non aver avuto il coraggio di ammettere il suo amore fin dall’inizio. L’unico perdono che per loro aveva valore era quello dell’altro; un perdono già accordato, nel preciso momento in cui entrambi si erano resi conto dei propri sentimenti.

Perché di amare non si può fare a meno, come non si può decidere chi amare.

E se amare è peccato, beh... almeno sarà un bellissimo peccare.

 

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