Flowers in the dust~

di _hurricane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un dolcissimo veleno ***
Capitolo 2: *** Tentazione ***
Capitolo 3: *** Profumo ***
Capitolo 4: *** Risveglio ***
Capitolo 5: *** Cenere ***



Capitolo 1
*** Un dolcissimo veleno ***


1. Un dolcissimo veleno

 

“Freckles, un fiore nel deserto sei per me.

Freckles, una stella a notte fonda sei per me.

Freckles, uno scoglio in mare aperto sei per me!”

 

 “E dai Smile, lo sai che io non so parlare in versi! Non prendermi in giro con queste smancerie, che poi ci credo!”

Freckles prese il cuscino della brandina che dividevamo e mi diede un colpo in pieno petto. Finsi di accasciarmi svenuto, e quando avvicinò il suo viso al mio mormorando “Tanto lo so che fai per finta” aprii gli occhi e le diedi un bacio sulla guancia. Lei rimase impietrita, a fissarmi con il suo unico occhio visibile, azzurro come il mio. Lentamente si allargò sul suo volto un sorriso, che illuminò in un secondo quella tenda a righe rosse e gialle, spoglia e anonima, del Noah’s Ark Circus. E poi mi baciò. Non come fa una ragazzina timida e inesperta; era il bacio di una donna. Un bacio intenso, perfetto, che profumava dei fiori freschi del suo costume, quando diventava ‘Doll’. Ma per me sarebbe sempre stata Freckles, gliel’avevo detto chiaramente. Le avevo detto che amavo troppo le sue lentiggini per non chiamarla così. E lei mi aveva risposto ridendo: “Va bene, ma io ti chiamerò comunque Smile! Per ricordarti sempre che ogni momento è giusto per sorridere… specialmente se sei tu a sorridere!” 

Probabilmente fu allora che mi innamorai di lei, perché quella richiesta tanto detestata, “Sorridi!”, era diventata la frase più bella che avessi mai sentito. Durante quel bacio interminabile, pensai a questo, ma anche ad Elizabeth. Come tutte le cose della mia esistenza, quell’atto puro e perfetto era contemporaneamente sporco, indecente, sbagliato. Stavo baciando una ragazza che non avrei mai potuto sposare, e che forse non avrei sposato in ogni caso: il buon nome della mia famiglia sarebbe stato infangato per sempre. Stavo tradendo la promessa fatta ad un’altra, che mi voleva bene e alla quale anch’io volevo bene. Ma Elizabeth… era troppo candida e spensierata per riuscire a capirmi davvero. Credeva che bastasse comprarmi dei vestiti nuovi, organizzare un ballo in maschera o una festa di compleanno, per rendermi felice. Non l’avevo mai disprezzata per questo, anzi: sapevo che faceva sempre del suo meglio. Freckles invece era come me. Inspiegabilmente, era riuscita a sopravvivere al dolore, all’umiliazione, alle tenebre. Me ne convinsi ancora di più quando le nostre labbra si separarono, e con la mano destra le accarezzai il viso. Senza volerlo, scostai il ciuffo da quell’occhio che non avevo mai visto, e rimasi di sasso scoprendo che non l’aveva più. “Freckles…”, sussurrai mortificato, “…mi dispiace.” “Non fa niente, Smile. L’altro giorno anch’io ho scoperto un tuo segreto, quando volevo costringerti a spogliarti. Adesso siamo pari. E poi” si interruppe, poggiando la sua mano sulla mia benda, “io e te siamo uguali.” Pregai che non la togliesse, che continuasse a pensare che eravamo davvero uguali. Non lo fece, e continuò: “Comunque, ora che ci penso, anche io so una poesia!” Si alzò dal letto, e con fare solenne iniziò a cantilenare:

 

“Tom, he was a piper’s son,

He learnt to play when he was young,

And all the tune that he could play

Was ‘Over the hills and far away’!

 

E poi… Non me la ricordo più!”

Incrociò le braccia, e tornò a sedersi sul bordo del letto, imbronciata. Mi misi seduto anch’io, accanto a lei, e le dissi: "Ah, quindi vuoi più bene a questo Tom che a me? Gli hai anche dedicato una poesia!” “E’ soltanto una filastrocca per bambini, non so nemmeno chi sia questo Tom! E anche se lo conoscessi, vorrei comunque più bene a te, Smile!” rispose gettandomi le braccia al collo. Ancor più delle sue lentiggini, amavo la sua capacità di passare da donna a bambina in un batter d’occhio. Quel bacio appassionato, e poi quell’atteggiamento così infantile… mi ricordava il bambino sepolto dentro di me.

 

Quando ero arrivato al Noah’s Ark Circus per indagare sul caso di bambini scomparsi che tanto turbava la Regina Vittoria, ero decisamente di cattivo umore al riguardo. Sebastian mi aveva trascinato a vivere in una scialba tenda, costretto a fingere di essere una sottospecie di paggetto acrobata, e come se non bastasse il soprannome che mi avevano dato era alquanto irritante. Quando poi mi avevano assegnato Freckles come compagno di tenda, la mia irritazione era arrivata alle stelle: non sapevo fosse una ragazza, e il suo modo di parlare eccessivamente sfrontato e confidenziale non mi andava molto a genio. Inoltre, stare lontano da Sebastian per buona parte del tempo avrebbe interferito con l’indagine. D’altro canto, Sebastian non sembrava affatto entusiasta di dividere la tenda con quello shinigami in giacca e cravatta, William Spears, ma forse era più che altro divertito all’idea di poterlo infastidire in tutti i modi. Tornando a me, la convivenza con Freckles ‘ragazzo’ era diventata insopportabile da quando aveva scoperto il marchio sulla mia schiena. Ero infreddolito, arrabbiato, e mi sentivo ancora una volta violato. Quel ragazzo stupido e ingenuo aveva scoperto la mia più grande vergogna. Fu allora che decisi che al più presto me ne sarei andato da quel dannato circo, sporco e anti-igienico.

Ma Freckles cambiò tutto. Dopo aver coperto il mio tentativo di furto (che in realtà era stato un tentativo di indagine nella tenda di Beast, la domatrice), mi rivelò di essere una ragazza, fragile e insicura a tal punto da non volere una tenda tutta per sé per non dover dormire da sola la notte. Quella sera, mi portò di nascosto fuori dal circo, in un piccolo spiazzo erboso. “Ti va di sdraiarti qui con me? E’ il mio posto segreto.” Senza dire una parola, la accontentai; ero terrorizzato da lei. Terrorizzato all’idea che quello scricciolo di donna potesse affascinarmi tanto, senza nemmeno conoscerla. “Sai, Smile, da piccola sgattaiolavo sempre fuori dall’orfanotrofio di notte. Volevo andare in giardino a vedere le stelle, perché Joker un giorno mi aveva detto che le mie lentiggini erano delle stelle cadute dal cielo, e quindi dovevo essere fiera di averle. Anche se adesso so che non era la verità, è un’abitudine che non sono più riuscita a togliermi!” Quelle parole così immacolate e innocenti non fecero altro che aumentare l’inspiegabile fascino di Freckles ai miei occhi. “Forse Joker ha detto la verità. Sono così belle” dissi, pentendomene un secondo dopo. Mi sentivo come sul ciglio di un burrone: una parola non detta, uno sguardo non ricambiato, mi avrebbe salvato dalla caduta. Ma se da un lato sapevo che non avrei dovuto dire quelle parole così dolci, perché non avrebbero fatto altro che illuderla, e soprattutto illudere me stesso di potermi permettere di amare, dall’altro lato pensavo seriamente che quei puntini imperfetti, sparsi in modo irregolare sulla sua pelle candida, fossero meravigliosi. Freckles smise di guardare le sue amate stelle e si voltò verso di me. Non disse nulla, ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Quella notte mi persi nel contemplare le sue guance e le sue lunghe ciglia truccate, e anche lei sembrava persa in chissà quali pensieri. Nei giorni seguenti avrei voluto chiederle a cosa stava pensando, ma preferii tacere per non rovinare quel momento di respiri nel silenzio, di erba umida e soffice, di fresca brezza notturna. Forse già allora mi ero innamorato di lei, ma non lo sapevo ancora. Non sapevo che quella circense senza cognome, senza famiglia, senza passato, avrebbe spezzato in due il mio cuore, diviso tra il dovere di onorare la mia famiglia e la volontà di essere felice almeno una volta, prima di giungere all’inevitabile fine. Fissando il suo viso, mi vennero in mente le parole che poi le dissi sulla brandina, qualche giorno dopo, prima di assaporare il mio primo bacio:

 

“Freckles, un fiore nel deserto sei per me.

Freckles, una stella a notte fonda sei per me.

Freckles, uno scoglio in mare aperto sei per me!”

 

Freckles, un dolcissimo veleno sarai per me.

 

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Capitolo 2
*** Tentazione ***


2. Tentazione

 

Dormimmo abbracciati quella notte, entrambi consapevoli delle conseguenze di ciò che avevamo fatto. Ma se la massima preoccupazione di Freckles era quella dei pettegolezzi degli altri circensi, io non potevo certo dire lo stesso. Se Sebastian l’avesse saputo (e l’avrebbe saputo, in un modo o nell’altro) mi avrebbe fatto un’interminabile ramanzina sui miei doveri nei confronti di Elizabeth, del mio cognome, del mio lignaggio, della Regina, e poi, cosa peggiore, mi avrebbe giudicato debole. Io stesso mi consideravo tale: amare non avrebbe fatto altro che portare dolore intorno a me, visto il destino che presto o tardi mi avrebbe inghiottito. L’amore era una debolezza che non avrei dovuto concedermi, una debolezza che improvvisamente mi accomunava al resto degli esseri umani che tanto disprezzavo. Questi pensieri rimasero nella mia mente per tutto il tempo in cui rimasi al Noah’s Ark Circus, ma erano come assopiti, nascosti in un angolo remoto della mia psiche, sovrastati dalla felicità che Freckles riusciva a regalarmi ogni volta che, sorridendo, gli angoli della sua bocca arrivavano a toccare le sue lentiggini. Gli allenamenti che avevo tanto odiato i primi giorni, di colpo erano momenti che non vedevo l’ora di vivere, perché mi permettevano di stare da solo con lei. Sapevo che era questione di tempo prima che Sebastian ci scoprisse, ma l’avevo mandato ad indagare sul simbolo che avevo trovato sulla lettera nella tenda di Beast, che riportava il mio nome e la mia data di nascita. Mi sentivo tremendamente in colpa ogni volta che mi ritrovavo a sperare che avesse un contrattempo, che l’indagine fosse più difficile e lunga del previsto. Avrei portato a termine il mio compito, su questo non c’era ombra di dubbio, ma non avrei mai coinvolto Freckles. Giurai a me stesso che, per quanto l’amassi, non le avrei mai confidato il mio passato, l’identità di Sebastian, la natura del nostro patto, e in particolare il motivo per cui mi trovavo al Noah’s Ark Circus. Si sarebbe sicuramente sentita presa in giro, e volevo che quel momento arrivasse il più tardi possibile; il momento in cui avrei dovuto tradirla, e abbandonarla. Ma ero sicuro che, qualunque fosse il coinvolgimento del circo nella scomparsa dei bambini, Freckles non vi avesse nulla a che fare. Era forse l’essere più innocente che avessi mai conosciuto; non riuscivo nemmeno a immaginarla mentre schiacciava un insetto sotto i piedi. Avrebbe dovuto odiare i suoi genitori, che l’avevano abbandonata e sfigurata, la società che l’aveva ripudiata e ignorata, il mondo. Invece ogni cosa di quel mondo la sorprendeva, la ammaliava, come fosse una bambina appena nata.

La mattina dopo il bacio, il cui sapore era ancora lì, sulle mie labbra, mi svegliai inspiegabilmente infreddolito. Mi ero già abituato al calore della sua pelle sulla mia? Mi voltai verso la parte interna della brandina, e mi accorsi che era vuota. Al posto del viso di Freckles, sul cuscino deformato dalla sua testa, c’era un biglietto. Con una scrittura maldestra e piena di errori, aveva scritto:

“Non ti ho voluto sveglar sveliare, dormivi cosi bene! Ti aspetto << nella tenda degli alenam allenamenti, magari oggi ti imparerai ==== finalmente a lanciare coltelli come /// si deve! Per ogni lancio giusto, == ti do un bacio.

Freckles”

Sorrisi d’istinto alla vista di quegli errori così ingenui, di quelle mille cancellature nella speranza di fare bella figura con quel piccolo bigliettino stropicciato. E rimasi incredulo nel rendermi conto che una cosa così insignificante come un foglio su un cuscino mi avesse fatto sorridere… ma ero davvero io? Quella ragazza era riuscita a cambiarmi nel giro di un paio di giorni. Chissà che fine aveva fatto il Ciel Phantomhive freddo, insensibile, egoista. Avevo paura che tornasse da un momento all’altro, come una seconda personalità fuori dal mio controllo, per dire qualcosa di inopportuno e rovinare tutto. Mi alzai dal letto stiracchiandomi, e scacciai via le mie paure, per lasciare spazio alla spontanea euforia che era nata dentro di me alla frase ‘ti do un bacio’. Il profumo di fiori freschi mi riempì il naso, al solo ricordo. Come avevo fatto a perdermi una cosa così bella, per tutto quel tempo? Mi sembrò di aver sprecato la mia vita, di averla vissuta in attesa di quel bacio. Perciò mi sarei impegnato al massimo per ottenerne almeno altri dieci. O forse venti.

Mi infilai maldestramente i pantaloni, visto che non ero affatto abituato a vestirmi da solo, poi le scarpe e un gilet sopra la casacca bianca. In assenza di uno specchio, mi preoccupava l’aspetto dei miei capelli scompigliati di prima mattina, ma decisi di lasciar perdere il look e non far aspettare oltre Freckles. Uscito dalla tenda, mi diressi sbadigliando verso quella dell’allenamento. I circensi erano già tutti svegli, alle prese con le loro attività; non riuscii a fare a meno di notare che quasi tutti, al mio passaggio, si voltavano verso di me con sorrisi maliziosi, confabulando tra loro in modo irritante. In particolare Dagger, il lanciatore di coltelli alto quanto me e fisicamente molto simile a Freckles, parlava sommessamente con Joker indicandomi; si accorse del mio sguardo irritato e abbassò il braccio sforzandosi di non ridere, ma ormai era tutto abbastanza chiaro: o qualcuno aveva sbirciato dentro la tenda e ci aveva visti abbracciati, o Freckles aveva messo i manifesti. Mentre camminavo tra le tende, cercando di far finta di niente, mi interrogai su quanto la cosa potesse interessarmi. In fondo quel pettegolezzo non avrebbe fatto saltare la mia copertura, anzi; magari mi avrebbe reso ancora più credibile agli occhi di tutti, visto che un nobile in incognito, se avesse un minimo di intelligenza, non si imbarcherebbe in una storia simile. O forse avrebbero pensato che stavo usando Freckles per ottenere chissà quali informazioni… Ma siccome i dubbi su me e Sebastian sembravano non essere ancora nati, decisi di non preoccuparmene. Vicino alla tenda in cui Freckles mi stava aspettando, c’era quello strano tizio che parlava coi serpenti; come al solito, li accarezzava e conversava con loro in maniera inquietante persino per uno come me. A quanto pare era l’unico ignaro dello scoop, o forse lo sapeva e non gli interessava affatto. Lo ignorai e scostai un lembo della tenda, per sbirciare un po’ prima di entrare. Freckles stava sistemando l’occorrente per il lancio dei coltelli: una grossa tavola con vari cerchi concentrici disegnati sopra, attaccata ad una specie di montacarichi che permetteva di sollevarla o abbassarla, avvicinarla o allontanarla attraverso una leva. Mentre allineava i coltelli su un tavolino improvvisato canticchiava quella filastrocca per bambini: “…and all the tune that… over the hills… e poi?! Accidenti!” Cercava ancora di ricordare il pezzo finale, e non riuscendoci pestava i piedi per terra come una bambina. I pantaloni troppo grandi e la casacca informe nascondevano la sua vera natura, ma adesso che anche io ne ero a conoscenza persino con un sacco addosso Freckles mi avrebbe affascinato. Fui preso da un assurdo desiderio di entrare senza farmi vedere, avvicinarmi a lei e sorprenderla alle spalle, per allentare i fili della casacca e farla scendere almeno fin sotto la spalla, vedere un pezzo di pelle in più, scoprire un neo, una voglia, qualche altra imperfezione da amare. E poi baciare quella pelle così fresca, partendo dalla spalla per poi lentamente risalire sul collo, fino alle sue guance e alle sue labbra. Tornai bruscamente alla realtà a causa delle risatine dei curiosi dietro di me, che sicuramente si stavano chiedendo cosa stessi facendo lì sul ciglio dell’ingresso, con la testa mezza dentro e mezza fuori. Mi voltai con uno sguardo di sfida verso Joker, Dagger e gli altri, che con un’aria tra il colpevole e il divertito tornarono alle loro faccende. Scacciando dalla mente quell’immagine perversa ma dannatamente perfetta, entrai finalmente nella grande tenda. Freckles si era seduta al tavolino a lucidare i pugnali allineati, non avendo evidentemente altro da fare nell’attesa. Non si accorse di me, visto che dava le spalle all’ingresso; “dannazione”, pensai. La tentazione era irresistibile, ma mi auto convinsi del fatto che era troppo presto, magari l’avrei turbata. Un pensiero forse stupido, visto che era stata lei a baciarmi con tanta intensità; ma in fondo cosa sapevamo l’uno dell’altra? Io mi ero innamorato di lei non appena mi ero reso conto che era una ragazza, e lei aveva dimostrato di ricambiare dopo soltanto cinque giorni. Che incoscienti. Comunque sia, alla fine di quel piccolo conflitto interiore decisi di controllarmi; mi avvicinai furtivamente alla sedia e mi accovacciai dietro Freckles. Canticchiava ancora la filastrocca, ma senza le parole, imitando soltanto il ritmo. Mi alzai all’improvviso e le misi le mani sugli occhi, come se li avesse entrambi. La sentii sobbalzare, e poi la pelle delle guance si tese sotto i miei palmi per lasciare spazio ad un enorme sorriso. Anche non potendolo vedere, riuscivo a riconoscerlo; ormai lo avevo impresso nella mente. “Chi sono?” le sussurrai all’orecchio. Mossa imperdonabile, perché le mie labbra fecero fatica ad allontanarsi da lì: i suoi capelli dai riflessi castani mi tentavano, così come la linea sinuosa del suo orecchio, che poi scompariva su quel collo liscio. “Sei il mio amato Tom, il figlio del pifferaio, non è vero?” mi rispose Freckles prendendomi in giro. “Sbagliato!” esclamai togliendo le mani dal suo viso. Si voltò verso di me, e con uno scatto felino si mise a cavalcioni sulla sedia, le braccia poggiate sullo schienale, con aria di sfida. “Oh, sei tu, Smile! Mi dispiace, ma sto aspettando Tom. Gli ho promesso un bacio.” Il suo sorrisino impudente, più piccolo del solito, mi spinse a rispondere: “Oooh. Beh, allora me ne vado, non vorrei che Tom si arrabbiasse!” Divertito, mi girai facendo finta di andarmene. Stavo per compiere il primo passo quando rimasi col piede a mezz’aria: Freckles mi stava tenendo per il gilet. Mi tirò a sé e mi strinse, le braccia attorno al collo e le mani sul mio petto. Sentivo il suo naso freddo divertirsi con una ciocca ribelle dei miei capelli scuri. Chiusi gli occhi. Avrei ceduto la mia anima un’altra volta, se avessi potuto, per fare in modo che quell’istante non avesse mai fine.

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Capitolo 3
*** Profumo ***


3. Profumo

 

Freckles mi tenne stretto a sé per un minuto che mi sembrò eterno. Poi mi lasciò andare, e con fare autoritario scese dalla sedia e disse: “Forza, è il momento di meritarsi questo bacio!” Deliziato all’idea, aspettavo i suoi preziosi consigli. Mi fece cenno di avvicinarmi al tavolino con sopra i pugnali; ne prese uno e si mise in posizione. “Gambe divaricate, una davanti all’altra; non scaricare il peso su una delle due, devi stare perfettamente dritto. Fissa l’obiettivo, dimentica il resto. Il pubblico, gli applausi o i bisbigli di chi pensa che non ce la farai. Solleva leggermente il braccio dietro la testa, fa un respiro profondo e… lancia!” Il pugnale raggiunse in un secondo il centro della tavola di legno. “Avanti, non è poi così difficile” mi disse Freckles, accortasi del mio sguardo poco convinto. “Va bene, ci provo” risposi prendendo per il manico il secondo pugnale allineato. Cercai di seguire al meglio i suoi consigli, ma tenere la mente sgombra non era esattamente il mio forte. Ero bravo con i casi da risolvere, gli indizi da collegare, i sospettati da tenere d’occhio; ero maledettamente bravo con le cose più complicate, che richiedono un ragionamento, e tragicamente incapace nelle cose semplici, come per esempio fissare un punto senza preoccuparmi di ciò che lo circonda. Un po’ strano, visto che la scherma richiede la medesima concentrazione; forse è l’opinione di Freckles a rendermi agitato, pensai. Presi il mio bel respiro e lanciai il pugnale, che raggiunse un punto più o meno a metà tra il centro e il cerchio più esterno. “Non male come prima volta” mi disse Freckles applaudendo. “Prova di nuovo, stavolta ti aiuto io.” Prese il terzo pugnale e me lo mise in mano, stringendola con la sua. Si mise dietro di me, indicandomi la postura esatta; i nostri corpi combaciavano perfettamente. Avrei dovuto dirle che non sarebbe stata d’aiuto, vista l’estrema vicinanza della sua spalla al mio viso. Fingendo di ascoltare i suoi ultimi consigli, abbassai lo sguardo per poterne osservare i contorni. “Smile? Smile, mi stai ascoltando?!” “Eh? S-si, certo!” “E cosa ho appena detto?” “Di… fissare l’obiettivo!” “No, quello l’ho detto per il primo lancio! Stavo parlando del fatto che non devi tenere la schiena in avan… Vabè, lasciamo perdere. Lasciati guidare da me.” Freckles mosse il mio braccio come se fossi un burattino nelle sue mani, e forse lo ero davvero. Il pugnale stavolta raggiunse un punto più vicino al centro, ma non era ancora abbastanza. L’allenamento continuò per tutta la mattina e anche nel pomeriggio; Freckles era seriamente intenzionata a farmi diventare il dio del lancio dei coltelli, mentre io ero semplicemente entusiasta di poter stare tutto quel tempo da solo con lei, soprattutto per guadagnare il mio premio. La promessa venne mantenuta: al primo lancio esatto, avvenuto più o meno verso le 4 del pomeriggio, Freckles saltellò allegra e fece una giravolta su se stessa. Eccola, la bambina. Poi mi corse incontro ridendo, mi mise le braccia attorno al collo e mi baciò. Ed eccola anche lei, la donna. La tentazione di quella mattina non era niente in confronto a ciò che provai in quell’istante: il suo profumo mi inebriò, mi rese schiavo. Forse non ero un burattino nelle mani di Freckles, perché era il suo profumo a controllarmi, non lei. Il suo profumo guidò le mie mani tra i suoi capelli ribelli, e le mie labbra sulle sue, per poi scendere lentamente alla guancia, all’orecchio, al collo. Il suo profumo guidò le mie dita verso i fili della sua casacca, per far avverare quell’assurdo desiderio di abbassarla fin sotto la spalla. Ma il passo dalla spalla a qualcos’altro era molto breve, e Freckles certamente lo sapeva bene. Lentamente la spinsi verso il tavolo, facendo cadere a terra i pugnali rimasti; ormai entrambi sapevamo cosa stava per succedere. Mi sentivo come in un altro corpo: un osservatore esterno di una scena naturale per chiunque, ma assurda per me. Il desiderio era una sensazione che mi era sempre rimasta estranea, che certamente non si addiceva alla mia giovane età. Ma Freckles aveva spazzato via tutto, come un’onda: il mio autocontrollo, il mio egoismo, forse anche un po’ della mia dignità. Il mio senso della ‘decenza’ non esisteva più; era sparito nel preciso istante in cui avevo immaginato di fare l’amore su un tavolino traballante, dentro il tendone di un circo qualunque, con una ragazza senza un soldo né un titolo. Ma inaspettatamente, mentre le mie mani continuavano a muoversi dai capelli di Freckles alla sua spalla nuda senza che io potessi fermarle, lei lo fece al posto mio. “Smile, aspetta.” “N-non vuoi?” le dissi con un filo di voce, in preda alla vergogna. I miei pensieri non erano soltanto discutibili, impudenti e amorali; erano anche non ricambiati. “No, è solo che… tra poco mi verranno a chiamare per le prove dello spettacolo.” Mi sembrò una scusa colossale, ma in fondo non avevo il diritto di arrabbiarmi per una bugia così piccola. Io le mentivo continuamente, ogni volta che mi chiamava con un nome che non era il mio. E quando un giorno avrebbe scoperto la verità, forse mi avrebbe odiato di meno sapendo di non essersi concessa ad uno come me. La parte di me più razionale fu addirittura sollevata per la sua decisione, ma l’altra parte, quella incontrollabile e appena scoperta, scalpitava dentro di me, agonizzante. “Quindi… vado” continuò, vedendo che non accennavo a rispondere. Indietreggiai per lasciarla passare, incolpando le mie mani e il suo profumo per aver rovinato un amore che era già abbastanza sbagliato, senza il bisogno di sporcare irreparabilmente la sua innocenza. Freckles uscì dalla tenda a testa bassa; l’avevo turbata, e mi sentivo malissimo per questo. Averle tolto il sorriso in quel momento era per me un crimine peggiore dell’omicidio. Arrabbiato a morte con me stesso, senza pensarci due volte presi i pugnali da terra e li scagliai furiosamente contro la tavola, prendendo tutti i punti possibili tranne il centro. Alla fine ero riuscito ad ottenere un bacio una volta sola, e l’avevo anche rovinata. Il Ciel Phantomhive che conoscevo, quello che pensava solo a sé stesso senza preoccuparsi delle reazioni altrui, forse non se n’era mai andato dopotutto. Mi accasciai sulla sedia, con la testa tra le mani, e rimasi in quella posizione per un tempo che non saprei neanche definire. So soltanto che alzai il capo quando sentii provenire dal tendone principale la voce di Joker, che dava il benvenuto agli spettatori dello show di quella sera. Mi alzai dalla sedia e uscii dalla tenda; era buio ormai, e il cielo era così sgombro che si potevano vedere centinaia di stelle, luminose e irraggiungibili, come ormai lo erano le lentiggini di Freckles. Senza un motivo preciso, decisi di andare nel suo posto segreto, quel prato al di fuori del circo sul quale mi ero innamorato della sua pelle. Ricordavo bene il percorso: un piccolo passaggio nella staccionata dietro le casse delle provviste, poi una decina di metri tra gli alberi. Arrivato in quella radura tranquilla e silenziosa, mi stesi sull’erba umida come avevo fatto quella notte e chiusi gli occhi. Senza rendermene conto mi addormentai, e dormii per almeno un paio d’ore. Lo so per certo, perché al mio risveglio trovai Freckles distesa a pochi centimetri da me, con indosso il suo costume di scena, a fissarmi come una bambina curiosa e impaurita allo stesso tempo. “Ciao” le dissi, ancora insonnolito. “Ciao” mi rispose, e non aggiunse altro. Stava ferma lì ad osservarmi, un groviglio di fiori di ghiaccio impenetrabile. Quell’improvviso freddo glaciale tra di noi ruppe il velo di incoscienza che quasi sempre mi avvolgeva per un paio di minuti dopo essermi svegliato. Mi girai su un fianco, per guardarla meglio, ed esordii: “Ascolta, Freckles… mi dispiace.” Cercai di dosare attentamente le parole; nemmeno io sapevo cosa dire. “Noi non… non siamo fidanzati, non sappiamo nemmeno noi cosa siamo. Forse non sappiamo nemmeno chi siamo. E comportarmi in quel modo, dando per scontato che tu me lo avresti permesso… non voglio che tu pensi che io ti consideri una poco di buono. Io… io… l’ho fatto senza pensarci, e ho sbagliato. Perdonami Freckles. Non lo farò mai p…” Non ebbi la possibilità di finire la frase, perché Freckles mi zittì poggiando dolcemente il suo indice sulle mie labbra. “Shhh. Sei tu che devi perdonare me, Smile. Mi sono sempre mostrata sicura di me e spigliata, forse troppo, e ho lasciato che tu lo credessi. Ma io non sono così… Mi hai sorpreso e non sapevo come comportarmi, e sono scappata via. Prima dello spettacolo però sono venuta qui, per riflettere con calma. E alla fine ho capito.” Pensavo che stesse per continuare la frase, ma non riprese a parlare, così le chiesi: “Cosa hai capito?” Lei mi sorrise. “Ho capito cos’è l’amore. Sai, Joker, Beast, Dagger e tutti gli altri sono sempre stati gentili con me, perché mi considerano la loro sorellina minore, quella da proteggere. E io pensavo che fosse quello l’amore, perché li conosco da sempre, mi fido di loro, e loro si fidano di me. So che non mi tradirebbero e non mi mentirebbero mai. Tutti dicono che l’amore è fiducia, sincerità, rispetto, tutte queste cose insieme; quindi pensavo di averlo capito. E invece… non avevo capito proprio niente. In fondo cosa so di te? Il tuo nome di scena, qualcosa della vita che facevi prima… insomma, non so niente, e non ti conosco da sempre. Forse non ti conosco affatto. Però ti amo. Quindi alla fine ho capito che l’amore è praticamente il contrario di quello che pensavo… non ha regole precise, e forse non si può neanche definire. In effetti, è un ragionamento un po’ insensato.” Fece una smorfia di disappunto, quasi arrabbiata con sé stessa per quel monologo a suo dire stupido. Io invece mi ero fermato al ‘ti amo’; le parole seguenti erano come un eco lontano, privo di senso. Pensavo che Freckles non ricambiasse a tal punto i miei sentimenti, e la cosa mi rincuorava, perché volevo ferirla il meno possibile alla fine di tutto. Pensavo di avere il controllo della situazione, di poterla gestire, di essere in grado di dire ‘basta’ in qualunque momento. Ma da quel ‘ti amo’ non si tornava più indietro. Ero nel panico. “Freckles… non dovresti. Non dovresti amarmi.” Lei mi guardò con improvvisa dolcezza; non sembrava affatto preoccupata per quello che avevo detto, né tantomeno stava aspettando che io le dicessi ‘ti amo anch’io’, o qualcosa del genere. Era tranquilla, come se la mia risposta fosse stata ampiamente prevista. Allungò una mano verso di me, per scostare una ciocca di capelli dalla mia fronte. Poi, accarezzandomi la guancia, mi disse: “Non mi importa.”

E poi profumo.

Profumo di fiori freschi sparsi ovunque, di mani intrecciate, di pelle fredda e liscia sotto le mie labbra.

Profumo di corpi nudi illuminati dalla luce della luna.

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Capitolo 4
*** Risveglio ***


4. Risveglio

 

Quella notte il tempo si fermò, e lo spazio intorno a noi svanì. Come quando per la prima volta mi era apparso Sebastian, ebbi la sensazione di non essere più su questa terra, e soprattutto capii che da quel momento in poi non si tornava più indietro. Niente di ciò che avrei potuto dire o fare avrebbe cambiato il corso degli eventi; io e Freckles saremmo stati legati per sempre, e se per qualsiasi altro innamorato questa idea doveva essere meravigliosa, io la vedevo come una condanna. Non per me ovviamente; la mia condanna era ben più grave. Ma mi preoccupava molto il pensiero di ciò che avrebbe fatto Freckles una volta che io me ne sarei dovuto andare, e mi preoccupava ancora di più la domanda ‘Ne sarò capace?’. Più che una risposta, quello che riuscivo a trovare dentro di me era una giustificazione: ‘certo che lo sarò, perché ho dei doveri nei confronti della Regina e del buon nome dei Phantomhive. E devo vendicare i miei genitori.’ Ma se fosse dipeso da me, da me soltanto, probabilmente non me ne sarei andato mai più da quel circo. Mi sentivo dilaniato tra il senso di colpa per questo assurdo pensiero, e il senso di colpa per la condanna che avevo inflitto a Freckles, legandola a me come in un groviglio di fittissime spine. Spine che ci avrebbero ferito entrambi, al minimo tentativo di allontanarci l’uno dall’altra. L’unico modo per non farci del male sarebbe stato rimanere lì su quel prato per tutta la vita, nel nostro perfetto e dannato groviglio dei suoi petali e delle mie spine. Ma la notte, che ci aveva abilmente avvolto e nascosto come un lenzuolo di stelle, pian piano svanì; le prime luci dell’alba mi ricordarono che non ero in Paradiso, e che sicuramente quello era stato l’unico scorcio di Paradiso che mi era stato concesso. ‘Almeno all’Inferno avrò qualcosa da ricordare con il sorriso sulle labbra’, pensavo malinconico mentre osservavo il sole sorgere sopra le colline. Freckles dormiva ancora, a pancia in giù sull’erba umida e piena di brina del mattino. Ogni tanto voltavo lo sguardo per vedere se accennava a svegliarsi, ma più che altro rabbrividiva di freddo, girandosi e rigirandosi per trovare un po’ di calore chissà dove. Presi la mia camicia, che si trovava a pochi centimetri da me, gettata a casaccio come il resto dei vestiti. Un flash di un secondo mi attraversò la mente, nel ricordare quei momenti. Coprii Freckles dalle spalle fino alla vita, poi mi infilai i pantaloni e mi rimisi a sedere sull’erba, a gambe incrociate. Ad ogni minimo rumore proveniente dalle fronde degli alberi scattavo, terrorizzato all’idea che Sebastian facesse irruzione da un momento all’altro nel mio angolo di Paradiso, per portarmi via, risolvere il caso, e poi, un giorno lontano, trascinarmi nel suo Inferno. Non rimpiangevo il contratto: sarei morto molto tempo prima, se non l’avessi fatto. Eppure, qualche volta arrivavo a pensare che magari quelle persone così spietate, perverse e abominevoli si sarebbero fermate, che non avrebbero avuto il coraggio di uccidermi, e che forse non sarebbe stato necessario legarmi a Sebastian per l’eternità. Io stesso sapevo che non era affatto vero, e che quel senso di sadico compiacimento che avevo provato quando li avevo visti morire davanti ai miei occhi era ancora dentro di me. Chissà cosa avrebbe pensato Freckles di una persona così. Piena di odio e rancore, a volte violenta e meschina pur di raggiungere i suoi obiettivi. Freckles si era innamorata di una bugia, o mi avrebbe amato comunque? Non potevo fare a meno di chiedermelo, ma era una domanda che lei non avrebbe udito mai.

Sentire il mio ‘nome’ dalla voce insonnolita di Freckles azzerò tutti i miei ragionamenti. Ancora con gli occhi chiusi, forse nel bel mezzo di un sogno, bisbigliava: “Smile… Prometti che non… che non mi lascerai mai. Prometti… Smile.. Prom..” e altre parole prive di senso. Serrai i pugni e i denti per la rabbia: promettere una cosa del genere sarebbe stata la mia ennesima bugia. Se me lo avesse detto da sveglia, chissà che cosa le avrei risposto… forse avrei mentito, pur di vederla sorridere. Quel che è certo è che non avrei mentito a me stesso: Freckles, nel mio cuore, non l’avrei lasciata mai. Perché Freckles era la vita che avrei voluto vivere, era tutto ciò che avrei voluto essere. Smile, che era forse la parte migliore di Ciel Phantomhive, si era innamorato di lei. “Smile…”. Stavolta la voce era ferma, convinta di ciò che stava dicendo. Freckles si era svegliata, i capelli arruffati, con fili d’erba e terriccio sparsi qua e là, il trucco di scena ormai inesistente o sbavato sulle guance e sugli angoli degli occhi. Ma per me restava comunque una visione, una piccola ninfa dei boschi infreddolita. Probabilmente lei si accorse che la stavo fissando, e continuò: “Lo so che faccio paura, però non ti sembra poco carino guardarmi in quel modo?!” Lentamente si mise a sedere, le braccia conserte in segno di disapprovazione. La donna indomabile di quella notte in fondo era solo una bambina con qualche filo d’erba tra i capelli e la mia camicia sulla schiena. Sorrisi divertito, e risposi: “Che stupida che sei.” Poi, vedendo che continuava a guardarmi con il broncio e le braccia incrociate, le dissi: “Vieni qui.” Pur ostinandosi a non concedermi un sorriso, mi accontentò. La feci accoccolare tra le mie braccia, per riscaldarla ancora di più in quella fresca mattina d’autunno. “Smile, promettimi che non mi lascerai mai.” La frase che avevo tanto desiderato di non sentire, la promessa che avrei potuto mantenere soltanto con il mio cuore, alla fine Freckles l’aveva pronunciata per davvero. Col vantaggio di non doverla guardare negli occhi, visto che anche lei come me stava osservando il sole e i suoi colori, mentii. “Te lo prometto, Freckles. Tu sarai sempre nel mio cuore.” Sicuramente Freckles non intese quello che in realtà intendevo io; più che mentire, le lasciai credere ciò che voleva credere. Ciò che anche io avrei tanto voluto credere.

Quella fu l’ultima volta che le mentii, perché non ne ebbi più l’occasione. Mentre accarezzavo i suoi capelli con la mia guancia, mi accorsi che al rosso tenue del sole che sorgeva se ne era aggiunto un altro, più intenso. Il colore della dannazione, che un giorno o l’altro mi avrebbe inghiottito, brillava negli occhi di Sebastian, nascosti tra gli alberi a destra della radura, ma inconfondibili per me. Per me, che ero abituato a parlargli fissandolo in quegli occhi d’abisso. A volte facevo fatica a farlo, ma parlargli con lo sguardo basso avrebbe significato mostrargli la mia debolezza, e se c’era una cosa che odiavo era proprio quella. In quel momento, mi resi conto che tutti quei tentativi di mostrarmi forte erano stati inutili, perché avevo appena mostrato a Sebastian la più grande debolezza della razza umana: gli avevo mostrato che sapevo amare, accarezzare i capelli di una donna al mattino, e guardare l’alba insieme a lei come un idiota che vive nel mondo delle favole. In confronto a quella vergogna, il rosso senza fine dei suoi occhi mi sembrò niente. Senza farmi notare da Freckles, che mi indicava rapita le nuvole tinte di rosa, mi soffermai con più attenzione sul punto in cui avevo visto gli occhi di Sebastian: ora tra le fronde brillava anche il bianco del suo ghigno beffardo. “Freckles, perché non torni alla tenda?” le dissi all’improvviso. “Forse ti stanno cercando, in fondo a quest’ora molti saranno già svegli.” “E tu non vieni?” mi rispose, voltandosi verso di me. Mi correggo, quella fu l’ultima volta che le mentii. “Si, arrivo tra poco. Tanto io non devo esibirmi, non si preoccuperanno della mia assenza. Resto ancora un po’ qui a guardare il sole, va bene?” Guardarla in viso mentre le dicevo quelle parole, era sicuramente molto più difficile che guardare Sebastian, immaginando ogni giorno la fine che avrei fatto per mano sua. “Va bene, ti aspetto sulla brandina allora!” mi disse maliziosa. Si infilò la mia camicia e la abbottonò; poi raccolse da terra la gonna che faceva parte del suo costume, e se la mise. Si avvicinò nuovamente a me, mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Cercai di non pensare al fatto che Sebastian ci stesse osservando: dovevo assaporare quell’ultimo momento di felicità, profumo e perfezione, perché ero certo del fatto che Sebastian era venuto per portarmi via. Il mio cuore stava per scoppiare, mentre lottava con il mio cervello per impedirgli di controllare le mie azioni. Continuava a ripetere “Prendi Freckles e scappa via”, ma il mio cervello rispondeva “Via? Non c’è posto al mondo che Sebastian non possa raggiungere, e non c’è posto al mondo in cui io potrò essere felice, al di fuori di questo circo.” La bolla di sapone che aveva protetto me e Freckles da tutto il resto, alla fine era scoppiata. Perciò cercai di ascoltare al di sopra delle voci dentro di me: i nostri respiri, il suono quasi impercettibile del vento tra i nostri capelli, e il suono forte, caldo e inconfondibile dei battiti dei nostri cuori, lo stesso che avevo sentito quella notte. Quando Freckles staccò le sue labbra dalle mie, mi sorrise come non aveva mai fatto prima. La odiai per questo; in un certo senso sembrava volermi punire per quello a cui stavo per rinunciare. La guardai allontanarsi come una goffa ballerina, la mia camicia sopra la gonna rosa a pieghe, in una mano le sue scarpe e nell’altra l’ammasso di fiori che componeva il suo costume. La guardai allontanarsi, mentre il mio cuore la implorava di restare e il mio cervello mi implorava di darci un taglio. Non appena la figura minuta di Freckles scomparve tra gli alberi, dalla parte opposta della radura sentii un fruscio. Non mi meravigliai affatto nel trovare Sebastian praticamente ad un centimetro da me, che mi guardava dall’alto in basso, in procinto di parlare. Scaricai la mia frustrazione in poche parole, fredde e lapidarie. “Non dire una parola. Non sei tenuto a giudicare quello che faccio; ti avevo dato un ordine preciso, perciò limitati a dirmi cosa hai scoperto, e nient’altro. CHIARO?” Il ghigno di Sebastian ovviamente non svanì, anzi si fece ancora più accentuato. Evidentemente non aveva bisogno di farmi chissà quale ramanzina, come avevo ipotizzato: gli era bastato scoprire che ero umano anch’io, come tutti gli altri. Mi chiesi istintivamente se questo avrebbe reso la mia anima più o meno speciale, ai suoi avidi occhi. Si limitò a rispondere, con un tono piatto e regolare: “Ma certo, signorino. Ho fatto ciò che mi aveva chiesto: sono stato all’araldica, e ho trovato il nome che corrisponde al simbolo su quella lettera. Appartiene al barone Kelvin, e ho anche trovato il suo indirizzo. Ci fermeremo per un giorno o due alla tenuta, per darle una sistemata…” a quel punto mi squadrò dalla testa ai piedi, con un’aria mista tra il divertimento e il disprezzo. La sua solita aria da demone perfetto, che osserva gli umani affliggersi e distruggersi per inutili passioni. “Continua” sentenziai, sempre guardando dritto verso il sole. “…poi faremo ciò che desidera. Proporrei di andare di persona da questo barone, se lei è d’accordo.” Avevo già sentito quel nome, ma non avevo voglia di fare ragionamenti in quel momento. Feci un impercettibile cenno di assenso, sicuro che Sebastian lo avrebbe notato, come sempre. Mi lasciai prendere il braccio, e chiusi gli occhi per non dover più guardare quel ghigno, che non faceva altro che ricordarmi quanto ero stato stupido. Ero di nuovo il ‘signorino’, il bambino viziato che si faceva prendere in braccio, vestire e consigliare dal suo perfetto maggiordomo. Solo con Freckles avevo potuto essere un vero uomo. Il cuore adesso sembrava non esserci più; forse mi era davvero uscito dal petto. Io che avevo sempre pensato di non averlo, un cuore, mi ritrovai a rimpiangere quel battito accelerato e irregolare che la vista di Freckles mi provocava ogni volta. Mentre Sebastian correva, o volava (la cosa non mi interessava affatto), sentii il freddo penetrare fin dentro le mie ossa. Avevo addosso solo i pantaloni, è vero, ma non era per quello. Il freddo si concentrò a poco a poco al centro del mio petto, dove fino a pochi minuti prima c’era il mio cuore.

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Capitolo 5
*** Cenere ***


5. Cenere

 

“Smile… Che cosa hai fatto?! Smile… SMILE!!!”

Queste sono le parole che ogni notte animano i miei incubi. Il resto è soltanto un eco lontano. Ricordo di aver ucciso quel bastardo del barone, e di aver ordinato a Sebastian di dare alle fiamme la sua casa, con lui, Joker e tutti quei bambini dentro. Ricordo di essere stato totalmente accecato dall’odio e dalla follia, ma tutto questo non mi impedisce di dormire la notte. Non è questo, il rimorso che a volte mi soffoca sotto le coperte, impedendomi quasi di respirare.

Mentre la casa del barone era in preda alle fiamme, Sebastian mi portò via. Ero sconvolto, non riuscivo nemmeno a stare in piedi da solo. Ma il rivedermi dentro quella gabbia, umiliato, aveva annientato quel poco buon senso che Freckles era riuscita a tirar fuori dalla mia anima nei giorni passati insieme al circo. Con la poca forza rimasta, sussurrai: “Sebastian, portami a ca–“, ma non riuscii a finire la frase. Freckles era davanti a noi, con il respiro affannato e il suo unico occhio spiritato; non l’avevo mai vista così, e la cosa mi terrorizzò. “Io mi fidavo di te” esordì, guardandomi dritto negli occhi. Tentai inutilmente di farfugliare qualcosa, ma spiegare quanto odio e quanto rancore avevo in corpo in così poche parole era impossibile. E in ogni caso, lei non mi avrebbe mai perdonato. Le avevo mentito, e avevo appena ucciso l’unica vera famiglia che lei avesse mai avuto. Il fatto che l’omicidio avesse reso il mio dolore un po’ più sopportabile, era qualcosa di inconcepibile per una persona buona come lei. “IO MI FIDAVO DI TE!” continuò, alzando sempre di più il tono della voce, “E tu mi hai mentito su tutto! Smile… o forse dovrei chiamarti Ciel?! Che cosa hai fatto? Dov’è Joker? Dove sono tutti?” Vederla così infuriata e sapere che la colpa di tutto quel dolore era la mia, mi diede improvvisamente la forza di scendere dalle braccia di Sebastian e di camminare con le mie gambe verso di lei. “Freckles… ti prego, ascoltami. Quel barone… vostro “padre”… era una persona malata! Tu non sai… non sai quello che ho passato! Anche io ho sofferto, proprio come te! Lasciami spiegare!” Ad ogni frase facevo un passo in più, tendendole la mano, cercando di calmarla. “Non ti avvicinare! Non mi importa niente delle tue scuse, Smile! Anche a me hanno fatto del male, ma io sono andata avanti, ho trovato una famiglia, e ho perdonato! Dov’è Joker? Dov’è mio fratello? Rispondimi!!!” Mi bloccai di colpo. Il fuoco della casa che bruciava dietro di me era riflesso nel suo bellissimo occhio azzurro, ora irriconoscibile. Ero stato io a ridurla così; qualsiasi cosa avessi toccato nella mia vita, persino la più perfetta e pura, alla fine sarebbe diventata come me: marcia, sporca, consumata dall’odio. Ormai era venuto il momento di dire le parole che avrebbero definitivamente permesso a Freckles di volermi morto. Feci un respiro profondo: la cenere che impregnava l’aria mi penetrò nei polmoni, ma era l’ultimo dei miei problemi. “E’ morto. Voleva difendere vostro padre, e io ho lasciato che Sebastian lo uccidesse.” Per un attimo lungo un’eternità Freckles rimase immobile a guardarmi. Forse avrei dovuto mentire, dire che l’incendio era nato naturalmente e che avevo fatto di tutto per salvare Joker; ma le bugie che le avevo raccontato, a cominciare dal mio nome, erano già abbastanza. Nonostante il calore che ormai inondava l’aria, e che mi faceva quasi bruciare gli occhi, Freckles cominciò a tremare come se fosse in preda a tremendi brividi di freddo. Non riuscii più a starle lontano, a quel punto. Mi precipitai da lei, ora raggomitolata su sé stessa come la bambina che era stata, quando in un vicolo guardava il disprezzo, l’indifferenza e la compassione passarle continuamente davanti. Quel fragile fiore che era sempre stata, e che adesso meritava di sentire soltanto la verità. Le presi il viso e ad un centimetro da lei le sussurrai, in modo che Sebastian potesse sentire il meno possibile: “Mi chiamo Ciel Phantomhive. I miei genitori sono stati assassinati, e per poco anch’io. Quello che vedi dietro di me è il mio maggiordomo, Sebastian, il demone che mi ha salvato e al quale io darò la mia anima un giorno, quando mi sarò vendicato. Lavoro per la Regina Vittoria, ed è per questo che sono stato mandato ad indagare nel tuo circo. Questa, questa è la verità che non ti ho mai detto. Ma Freckles, mi avresti forse amato se te l’avessi detta? E adesso, anche se mi odi con tutta te stessa, so che in fondo mi ami ancora. E anch’io ti amo. Freckles, questa è l’unica verità che conta davvero, e su questo io non ho mai, MAI mentito. Ti prego, devi credermi. Mi chiamo Ciel Phantomhive, ma tu potrai chiamarmi Smile o in qualunque altro modo vorrai. Adesso prendimi a schiaffi, gridami contro tutte le oscenità di cui sei capace, ma ti prego, ti supplico, vieni a casa con me. Ti amo, Freckles.” Ed era la verità: per lei avrei mandato all’aria la mia reputazione, il fidanzamento con Elizabeth, tutto. Per un attimo ebbi l’illusione che le mie parole avessero davvero convinto Freckles a perdonarmi, perché prese le mie mani con le sue e le allontanò dal suo viso con dolcezza. Ma subito dopo mi lanciò uno sguardo che non saprei nemmeno definire, e che tuttavia non potrò mai dimenticare: un misto di senso di colpa, disprezzo, rabbia, frustrazione. Con tutte e due le mani mi colpì in pieno petto per spingermi via, facendomi cadere a terra, a pancia in su. Il fuoco che vidi ancora una volta nei suoi occhi, adesso dal basso verso l’alto, mi spaventò molto di più di quello dell’Inferno. “Tu… tu… tu hai ucciso mio fratello. Come puoi dire di amarmi? Non ne hai abbastanza di mentire, non è ancora abbastanza questo?! Io non potrò mai perdonarti. Mai. Mai. MAI!” Con uno scatto impercettibile, uscì qualcosa da dietro la schiena; un secondo dopo, quando si stava già avventando contro di me, capii che era un coltello. Chiusi gli occhi, sperando che la mia fine avvenisse per mano sua, per alleviare almeno un po’ del suo dolore con la mia morte: glielo dovevo. Trattenni il respiro, aspettando il colpo mortale, e ripensai velocemente al nostro primo bacio sulla brandina, e alla notte sotto le stelle. Preferivo ricordarla in quel modo, e non in preda alla follia e alla disperazione a causa mia. “Ti amo” dissi ancora una volta, a bassa voce. Ma quel colpo non arrivò mai. Avevo dimenticato che Sebastian era sempre stato a pochi passi da noi, ad osservare attentamente ogni mossa. Riaprii gli occhi, chiedendomi perché non fossi ancora morto; la risposta era lì, davanti a me. Freckles era caduta in ginocchio, il coltello ancora in mano, ma senza più la forza di usarlo; al centro del suo stomaco tre ferite profonde, quelle del servizio di coltelli che Sebastian portava sempre con sé, da usare come armi improprie. La vidi accasciarsi al suolo, un’espressione indecifrabile sul suo volto. Sebastian era già tornato dietro di me, come uno spettatore pronto a godersi l’atto finale di una tragedia di teatro. Senza sapere neanche come, visto che sentivo le mie forze abbandonarmi sempre di più, mi misi in ginocchio, lo sguardo fisso sul corpo di Freckles. Avrei voluto prendere Sebastian per il collo e gridare “Perché l’hai fatto?”, ma sapevo già la risposta: poteva forse lasciare che qualcun altro strappasse l’anima che gli spetta dal mio inutile corpo? E poi, io stesso gli avevo sempre ordinato di proteggermi, a qualsiasi costo. Forse avrei dovuto essere più specifico, perché la vita di Freckles un costo per me non l’aveva. “Sebastian, questo è un ordine. Vattene, lasciami solo.” Pregai che lo facesse in fretta, e che non tornasse mai più; ma sapevamo entrambi che questo non sarebbe mai potuto accadere. Sentii un fruscio, e capii che il mio maggiordomo mi aveva obbedito, come sempre. La casa ormai stava smettendo di bruciare: il calore era diminuito, e così anche la cenere nell’aria. Nonostante ciò, il viso di Freckles si stava a poco a poco riempiendo di piccoli granellini neri, come se il fuoco volesse prendersi gioco delle sue lentiggini, imitandole. Istintivamente, ricordai di quando mi aveva raccontato che da piccola credeva che fossero stelle cadute dal cielo. Mi avvicinai al suo piccolo corpo, e vedendo ciò che le mie azioni avevano involontariamente provocato, mi resi conto che l’Inferno era la giusta punizione, e sperai che la terra si potesse aprire sotto i miei piedi per trascinarmi giù, giù nelle sue profondità. Pensare che di lì a poco sarei tornato a stupide cerimonie e balli di gala, mentre la vita di un fiore così prezioso si era interrotta per colpa mia, era tragicamente ironico. Mi distesi accanto a lei, per abbracciarla e infondere al suo corpo un po’ del calore che non avrebbe mai più avuto. Accarezzai per l’ultima volta i suoi capelli e le sue guance, immaginandole fresche e rosee, col suo bellissimo sorriso stampato sopra. Con le mie dannatissime lacrime, lavai via la cenere dal suo viso, e tra i singhiozzi la implorai di perdonarmi, consapevole del fatto che neanche io mi sarei mai potuto perdonare. Come due fiori ormai appassiti, rimanemmo lì per un tempo che non saprei definire, a lasciare che la polvere ci ricoprisse del tutto. E magari, magari l’avesse fatto davvero.

Non ricordo dopo quanto tempo Sebastian tornò, né come facemmo a tornare a casa. Le mie notti hanno smesso di essere serene, anche se non lo sono mai state del tutto. Quelle poche volte in cui gli incubi mi danno tregua per almeno due ore, mi maledico, perché non me lo merito. Meriterei di non riuscire a dormire mai più. Ma forse sarebbe una pena troppo leggera, perché non dormendo non potrei vedere gli occhi infuocati di Freckles che mi fissano, e non potrei sentire le sue urla risuonare fin dentro le mie viscere.

 

“Smile… Che cosa hai fatto?! Smile… SMILE!!!”

 

Ad ogni nuovo incubo e ad ogni nuovo urlo, sento il mio cuore sgretolarsi, pezzo a pezzo, per poi svanire come cenere nel vento.

Come quell’amore che non abbiamo mai vissuto.

 

~ The End ~

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