Bloodlines

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Feste Noiose ***
Capitolo 2: *** Cullata Dalla Luna ***
Capitolo 3: *** Che tu Lo Voglia o No. ***
Capitolo 4: *** Baci Proibiti ***
Capitolo 5: *** So ciò che hai fatto. ***
Capitolo 6: *** Dolce Risveglio ***
Capitolo 7: *** Ritorno al Passato ***
Capitolo 8: *** Pensieri Privati ***
Capitolo 9: *** Troppo Tempo per Pensare ***
Capitolo 10: *** È Tempo di Decisioni ***
Capitolo 11: *** Whiskey Annacquato ***
Capitolo 12: *** Amicizie Ritrovare ***
Capitolo 13: *** La Festa ***
Capitolo 14: *** Rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Piani Segreti ***
Capitolo 16: *** Cattive Idee e Regali Stupendi ***
Capitolo 17: *** Botta e Risposta ***
Capitolo 18: *** Sentirsi a Casa ***
Capitolo 19: *** Scintilla ***
Capitolo 20: *** La Rosa e le sue Spine ***
Capitolo 21: *** Veleno e Acqua Santa ***



Capitolo 1
*** Feste Noiose ***



Feste Noiose

«Sei molto bella stasera.» disse con tono allusivo Luca Adda.
«Grazie.» sorseggiai un po di champagne dalla coppa.  Mi guardai intorno, vidi molti volti familiari ma non quello che per me era il più familiare e allo stesso tempo il piu temuto.
«Chi cerchi ?» chiese di nuovo lui.
«Nessuno.» mentii io.
«Non pensi che forse i capelli ti starebbero meglio su ?»
Non  badai molto a quello che diceva, non lo ascoltavo in ogni caso la maggiorparte delle volte.
«Huh ?» 
«I capelli, dico.» mi girai leggermente verso di lui.
«I capelli ? Ah si, forse hai ragione.» presi un paio di forcine dalla mia borsetta e cercai di creare uno chignon.
«Molto meglio. Vuoi andare a parlare con mio padre ?» suo padre. No, ti prego.
Ma alla fine ero li per quello, o almeno è per quello che i miei mi avevano trascinato a quello stupido aperitivo con i nobili di Milano, dovevo fare una buona impressione sul buon vecchio Barberi. 
«Scusami, vado un attimo al bagno.» gli porsi la mia coppa di champagne senza guardarlo, e mi diressi nel bagno. 
Notai lo sguaro di un paio di ragazzi osservarmi mentre attraversavo il salone. Penso che fosse dovuto al mio vestito.
C’erano tre rgazze nel bagno, che bisbigliavano. Riconobbi una di loro.
Rebecca Rinaldi. Era la figlia del marchese, se non vado errata. 
Mi osservai allo specchio. Quello stupido corsetto tirava parecchio. La trovavo un idea assurda quella di fare questi stupidi aperitivi con degli stupidi vestiti d’epoca. Era semplicemente…stupido. Non volevo essere irriverente, però questo corsetto mi faceva passare da una seconda, ad una quarta, sembravo una prostituta. Potei sentire Rebecca bisbigliare il mio nome alle sue due amiche, e poi ridere. Poco mi importava di loro. Mi radrizzai la collana di mia mamma. Finalmente quelle tre pettegole uscirono dal bagno. Mi lavai lentamente le mani, forse perchè non volevo tornare a quel party, e nemmeno da Luca. Presi il profumo che avevo  nella borsa. Chanel N°5. Quello della mamma, mi piace mettermelo perchè mi ricorda di lei, e mi fa sentire più adulta.  Mi diedi un ultima occhiata allo specchio, e decisi di tornare a quella noia di “festa“, se così la si vuole chiamare.
Ritornai a dove avevo lasciato Luca, ma lui non c’era più. Ero forse stata troppo tempo in bagno ? Mah. 
Camminai per il salone, e di rado mi fermavo a salutare qualche adulto e a parlare di economia. Faceva davvero caldo, e tutti questi strati di vestiti e il corsetto non aiutavano per niente.  Mi avviai verso la bellissima veranda, che dava sul centro di Milano. L’aria fredda mi colpì in pieno petto, dandomi un leggero solievo. Faceva abbastanza freddo per essere Agosto.  Le luci colorate che contornavano la balaustra antica luccicavano forti, contornando il magico paesaggio. Dei petali di rose bianche erano sparpagliate sul pavimento beije in ceramica. Me ne stavo li, a fissare le mille luci che ricoprivano Milano. 
«Cosa fa una donzella da  sola al chiaro di luna ?» mi voltai di scatto appena udii quella voce che stavo tanto aspettando. Nascosi il sorriso.
«Ehi.» Alexandre avanzò lentamente verso di me, mettendosi al mio fianco a osservare il paesaggio.
«Non mi aspettavo di trovarti qua.» confessò lui.
«Perchè ? Non ti sembro idonea a questo genere di persone ?»
«No.» 
Aggrottai le sopracciglia, sorpresa.
«No, non sei idonea a questo genere di persone, non capisco perchè ti abbassi a questo tipo di gente. » 
Sorrisi.
«Non essere sciocco. »
«Non potrei mai mentirti.» disse serio, voltandosi verso di me.
«Interessante abbigliamento.» mi fece notare.
«Ti piace ?» Chiesi girando su me stessa.
«Sai io non volevo metterlo, però la mia matrigna dice che mi dovrei mettere di più in vista.» 
«Ti preferisco in altre vesti. Più semplici. Di sicuro, gli ospiti hanno visto tutto di te.» 
Mi offendeva pure. 
«Le donne che popolavano Barcellona, quando ero giovane, indossavano quei vestiti. Erano donne frivole, e sciocche.» Notavo che quando parlava della sua vita prima di questa, gli occhi gli brillavano.
Era stranamente distante questa sera, non mi trattava come al solito.
«Chi sarebbe lui ?» 
«Di chi parli ?» chiesi io senza capire la sua domanda.
«Il ragazzo che i tuoi vogliono che tu sposa.» 
«Luca Adda. È il figlio di un marchese.» Notai Alexandre emettere un ghigno. 
«Non ti merita.» Concluse lui avvicinandosi a me. Pochi centimetri ci dividevano.
«Perchè ? Tu si ?» dissi io abbozzando un sorriso.  
«Nessuno ti merita. Solo il cielo, perchè siete uguali. Come un cielo stellato sei tu. I tuoi occhi possono solo esser paragonati alle stelle dorate nel cielo. Le tue labbra è come una nuvola pallida a forma di cuore, e i tuoi capelli corvini sono come il cielo in una notte buia. Solo lui ti merita, il cielo.» 
Mi fece salire i brividi su tutto il corpo.  Parlava come un uomo d’epoca, beh, lo era. A quel pensiero un sorriso apparve sul mio volto. Aveva degli sbalzi d’umore che mi facevano venire il mal di testa, passa dall ignorarmi, all insultarmi e poi a dire certe cose talmente belle da farmi  sciogliere alla sua dolce e soave voce. 
Portò una mano dietro alla mia nuca, giocherellando per un paio di secondi con i miei capelli. Quando la tolse, i miei capelli mi caddero leggeri sulle spalle.
«Stai molto meglio così. Dei capelli così belli non dovrebbero mai essere nascosti.» 
«Hem.. Grazie…» mi tremava la voce mentre Alexandre accarezzava il mio viso, per poi passare al collo.
 «Caterina. Che fine hai fatto ? Ti ho cercato tutto questo tempo !» Sia io che Alexandre ci voltammo di scatto al suono di quella voce, uscendo dalla nostra piccol bolla di sapone.
«Oh. Luca.» mi allontai velocemente da Alexandre.
Luca a grandi passi ci raggiunse. Porgendo la mano ad Alexandre.
«Luca Adda, marchese di Milano.» disse tutto fiero di sè.
«Alexandre Balbo di Sambuy, conte di Barcellona.» 
Aveva per caso detto conte ?
«Conte ?» La parola uscì un po’ stridula dalla voce di Luca, ma tentò di farla sembrare un affermazione, e non una domanda.
«Da quanto sei qua a Milano ?» chiese Luca con tono superiore.
«Io, da poco. Ma la mia famiglia ha avuto amicizie molto importanti in questa fantastica città per anni.» 
«Capisco.» concluse Luca guardando Alexandre dalla testa ai piedi.
«Beh, Caterina, vogliamo tornare alla festa ? Volevo presentarti mio padre, ricordi ?» 
Guardai  Alexandre per qualche secondo, ma non ricevetti nessun invito a rimanere. 
«Certo, sarebbe un piacere incontrarlo.»
« È stato un piacere conoscerti, Luca.»
«Lo stesso vale per me.» Mi circondò la vita con il braccio, e mi riaccompagnò all’interno della casa, ad un party che mi sembrò non finire mai. 

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Capitolo 2
*** Cullata Dalla Luna ***


Cullata Dalla Luna
 
 
Caro Diario, oggi ho rivisto Alexandre. Alla festa dei marchesi Adda (che trall’altro era la festa più noiosa a cui io sia mai stata.) Non lo capisco, Alexandre dico, è così lunatico, passa da essermi amico a essermi nemico in pochi secondi, poi a dirmi parole dolci, a ignorarmi del tutto. Mi ha persino lasciato andare di nuovo alla festa con quel lurido viscido di Luca Adda, e ho pure dovuto incontrare suo padre (che trall’altro sembra la copia esatta di Pavarotti.) Aspetta un attimo, sento delle voci. Torno subito.
Scesi velocemente dal letto, e mi precipitai giù dalle scale. Osservai la scena attentamente. Alexandre si trovava sulla soglia di casa mia, e parlava con mio padre. Oddio ti prego non dire niente di compromettente.
«Alexandre !» annunciai sorpresa. Mio padre non mi aveva ancora notata, ma di sicuro Alexandre sì. 
«Caterina, stavo giusto conoscendo il tuo amico.» disse mio padre interessato. Di solito non avrebbe mai reagito così ad una scena del genere, non conoscendone il rango, non gli avrebbe nemmeno aperto la porta. 
«Alexandre Di Salbuy, non è così ?» concluse mio padre. Lo conosceva ?
«Proprio così, marchese Della Torre. Lo so che l’ora è tarda, ma volevo scambiare due parole con sua figlia, se lei lo permette, ovviamente.» 
«Mia figlia ? Lei vorrebbe parlare con mia figlia ? Ovvio. Vi lascio soli.» Era la prima volta che mio padre faceva entrare uno sconosciuto in casa nostra, e sopratutto lo lasciava da solo con me, beh è anche vero che avrebbe fatto di tutto pur di trovarmi uno spasimante di famiglia nobile.
«Notte papà.» non ricevetti risposta.
Appena mio padre fù salito al piano di sopra, mi avvicinai ad Alexandre.
«Cosa ci fai qua ? Sei forse impazzito ?» 
«Mi annoiavo. E volevo parlarti.» 
«Beh… parla.» 
«Intendi lasciarmi sulla soglia di casa per sempre ?» chiese con aria superiore. Non mi piaceva quando faceva così.
«No, certo che no. Vieni, entra.»  
Fece qualche passo all’interno della casa, osservandola incuriosito.
Chiusi la porta a chiave, e con la catenella.
«Vieni.» gli feci segno di seguirmi al piano di sopra, in camera mia. 
Mentre entrammo, notai il casino che v’era. Per prima cosa, corsi a prendere il diario che avevo lasciato aperto sul mio letto, prima che con la sua super-vista o qualsiasi cosa lui abbia potesse leggerlo.
«Scusami, non pensavo fosse così in disordine. Forse preferisi rimanere di sotto a parlare.»  
«No, va benissimo, non ti preoccupare. Posso ?» mi chiese indicando il letto.
«Certo.» 
Sedendosi prese in mano Derby, il mio coniglietto di peluche. 
«Carino.» sorrise.
«Spiritoso.» glielo strappai dalle mani, e incrociai le mie braccia al petto. 
«Volevi parlarmi.»
«Si.»
«Ti preferisco vestita così. La tuta ti sta di sicuro meglio di quelle frivoli vesti.» 
«Stai cercando di offendermi ?» dissi con un tono di acidità.
«No, tutto il contrario. Sei acida stasera.» 
«Ti tratto solo come tu tratti me.» 
«Mi spiace.»
«Perchè mi hai lasciata ritornare alla festa con Adda ?»
«Non era ciò che volevi ? E poi se non saresti tornata, avresti fatto arrabbiare molte persone, e non mi piace attirare l’attenzione su di me alle feste.»
«Okay. Beh, hai parlato, ora te ne puoi pure andare.» Mi avviai verso la porta di camera mia, e la spalancai.  In meno di un secondo, Alexandre fù davanti a me. 
«Puoi non usare i tuoi super poteri con me per favore ?» 
«Hah, super poteri.» Chiuse la porta violentemente.  Sbattei le ciglia un paio di volte velocemente per lo spavento. 
Alexandre portò una mano all’altezza del mio viso. Osservai la sua mano a mezz’aria per qualche secondo. Aveva delle mani grandi ma delle dita lunghe e affusolate, portava tanti anelli grossi di metallo, due sull’indice uno sul pollice e uno sull anulare. Spostò una ciocca dei miei capelli dietro all’orecchio, lasciando il collo scoperto. Non mentirò, un sacco di idee orribili mi apparsero in mente. Molti modi in cui sarei potuta morire in quel esatto istante. Gli sarebbe bastato un semplice secondo, e avrebbe terminato la mia vita. 
Si avvicinò di un passo, e potevi sentire i nostri corpi sfiorarsi. Poggiò le labbra sui miei capelli, e poi dietro l’oreccio, lo potei sentire inspirare l’aria vicino alla pelle dietro il mio orecchio, profondamente. Mi ritrassi leggermente.
«Hai un profumo fantastico.» ammise lui sorridendo.
La visione della mia morte continuava. Il modo in cui avrebbe potuto semplicemente appoggiare le sue labbra sul mio collo, e un minuto dopo sarei caduta per terra senza vita, e senza sangue nel corpo. Mi vennero i brividi solo a pensarci. 
Osservai lo sguardo nei suoi occhi, benchè tutte le sue mosse indicavano alla mia morte, i suoi occhi mi mostravano un Alexandre diverso, dolce, come quello che v’era sulla veranda alla festa degli Adda. 
Si riavvicinò, e lo lasciai fare. Prese la mia mano nella sua, e con voce melodica mi sussurrò all’orecchio : « Questa sera, le stelle ti culleranno fino a farti addormentare, e la luna ti sussurrerà una dolce canzone all’orecchio. Buona notte.» 
Mi fece venire nuovamente i brividi, ma questa volta non dalla paura, anzi, tutt’altro. Alzò le nostre mani intrecciate, e diede un leggero bacio alla mia. Un secondo dopo, non c’era più. Mi osservai velocemente in giro, la finestra era aperta. Corsi per vedere fuori, ma tutto ciò che vidi fù il buio, le stelle, e la luna piena che emaneva una luce tenua. 

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Capitolo 3
*** Che tu Lo Voglia o No. ***


Ciao a tutti!!! Spero che vi siano piaicuti i primi due capitoli, vedrete che la storia prenderà piede, ve lo prometto :) RECENSIIITEEE, VORREI TANTO SAPERE QUALI SONO I VOSTRI PENSIERI. AH E OVVIAMENTE ANCHE LE CRITICHE SONO BEN ACCETTE :) 
Questo è un capitolo molto corto, ma fondamentale, buona lettura.
 
Che Tu Lo Voglia O Meno
 
 
«Allora, di che dovevate parlare tu e il giovane conte di Barcellona ieri sera ?» mi chiese mio padre a colazione, mentre mandava giù un boccone di croissant.
«Ehm, niente in particolare.»
«Beh, sarebbe un buon partito, forse migliore di Adda.» 
«Gia.» dissi in breve, cercando di cambiare discorso. Come se Alexandre potesse mai pensare a me in quel modo. Insomma, lui era così perfetto, perfettamente eterno. Mi fermai per qualche secondo su quel pensiero. Perfettamente eterno.
«Siete molto amici ?» Chiese Svetlana, la mia matrigna.
«Amicizia non è la parola giusta.» conclusi io afferrando il latte.
«Dovrebbe farla  diventare più di un amicizia, non trovi Enzo ?»  Odiavo quando parlavano di me come se io non ci fossi.
«È vero, hai proprio ragione amore. E poi il marchese non era per niente impressionato da lei. Caterina, dovrai impegnarti di più se vuoi sposare il giovane Adda.»
«E se non volessi ?» borbotta io. 
Mio padre sbattè il pugno forte sul tavolo, facendo tremare la tavolata. Alzai subito lo sguardo, incontrando quelli cattivi di mio padre.
«Non dire sciocchezze ! Ne abbiamo gia discusso.»  Urlò forte. Notai Gloria, la donna di servizio lasciare la sua postazione, e nascondersi in cucina, lo faceva sempre quando mio padre iniziava ad urlare.
«Hai ragione padre. Mi dispiace.» mentii spudoratamente, ma quella mattina era troppo bella per passarla discutendo con quello stolto di mio padre.
« Caterina, oggi, dopo lo studio, dovrai andare a pranzo con il signorino Adda. E comportati bene.» 
«Certo Svetlana.» Dissi giocherellando con i cereali.
«Ora vai, prima che mi arrabbi più di quanto sia già ora.» concluse mio padre.
Mi alzai lentamente dal tavolo, salutandoli. Mi avvia nella libreria della casa, per le mie solite lezioni private. Si poteva essere più sfigati ? Penso di no.
Quando vi arrivai, il signor Bianchini era già li. Per quanto adoravo il mio professore, odiavo la scuola.
«Salve professor Bianchini.» Dissi entrando e sedendomi sulla poltrona davanti alla sua.
«Buongiorno Caterina. La trovo radiosa oggi.» Aveva il suo solito sorriso felice. Era strano come quell’uomo mi metteva sempre di buon umore.
«La ringrazio.» 
«Allora, oggi inizieremo con Matematica, se per lei va bene.»  mi porse il libro, e sorise al mio sospiro annoiato.
«Dai, lo so che non le piace particolarmente, ma come si suol dire : prima il dovere e poi il piacere, o mi sbaglio ?»
«No, non si sbaglia.» Non si sbagliava mai. 

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Capitolo 4
*** Baci Proibiti ***


Spero che vi piaccia il nuovo capitoloo!! La storia tra Cate e Alex prenderà piede :) 
 
Baci Proibiti
 
Dovevo incontrarmi con Luca al ristorante Acanto, all’hotel Principe di Savoia. Andavamo sempre a pranzo li, e iniziavo ad annoiarmi parecchio. Thomas, il mio “driver“ personale mi lasciò proprio all’entrata.
«Grazie mille Thomas.»
«Di niente signorina Della Torre.» gli sorrisi da i sedili posteriori, ed ero sicura che mi avesse vista attraverso lo specchietto perchè ricambiò il sorriso. 
Ero leggermente in anticipo. 
Entrai nel lussuoso hotel in Piazza Della Repubblica, conoscevo quel posto perfettamente. 
Scesi le belle scale in vetro che portavano al ristorante. 
«Buongiorno, ha prenotato ?» mi chiese la signorina al banco.
«Ehm, si al nome Adda credo, sono un po’ in anticipo.»
La signorina dai capelli rossi e lunghi controllò la lista, e sorrise. Poi si rivolse a me di nuovo : « vuole accomodarsi al bar, o preferisce sedersi gia ?» 
«Al bar va bene, grazie.» 
Annuì e la seguii fino al bar, mi fece accomodare ad un tavolino bianco. Un minuto dopo arrivò il cameriere.
«Le porto qualcosa ?» 
«Un tè caldo, verde, se si può.»
«Ma certo, glielo porto subito.» 
Mi bloccai con lo sguardò fuori dalla finestra. Osservavo l’acqua della fontana scorrere, e così come lei, scorrevano anche i miei pensieri. 
«Signorina, ecco il suo tè.» mi porse il tè, insieme ad un biglietto piegato.
«E questo ?» chiesi al signore, ma se ne era gia andato.
Lo aprri velocemente, e aggrottai le sopracciglia. 
V’era scritto : Non smettere mai di sognare, la vita senza songi è come un cassetto vuoto.
Mi guardai in torno velocemente, per poi incrociare lo sguardo di Alexandre. Mi sorrise debolmente. Mi alzai e attraversai tutto il salotto enorme, avviandomi verso il suo tavolino. Era seduto da solo, un bicchiere giaceva sul tavolo, mezzo bevuto. Mi sedetti davanti a lui, senza nemmeno salutarlo, e gli porsi il suo biglietto. 
«Prendilo.»
«Perché?» 
«Prendilo.» allungò una mano, e sfiorò di proposito le mie dita, afferrando il bigliettino ormai stropicciato. 
«Cosa fai qui?» mi domandò lui.
«Cosa ci fai TU qui?» chiesi io.
«Non rispondermi con una domanda, lo odio.»
«Bene, mi devo vedere a pranzo con Luca.» affermai io osservando il bicchiere che mi trovavo di fronte. Era quasi trasparente, ma dava sul beije. 
Notai che Alexandre si tirò un po’ piu su nella sedia.
«Ora rispondi alla mia di domanda?»
«Io? Io ci vivo qua.» 
«In che senso?»
«Che ci vivo. Ho una suite, e ci vivo, per tutto il tempo che starò a Milano. Se vuoi te la faccio vedere.»
«No, grazie.» mi guardai intorno, non c’era nessun altro nel bar.
«Non era una domanda.» disse serio. 
Sapevo che non si sarebbe arreso facilmente. 
«Veloce. Che Luca dovrebbe essere qui tra poco.» 
«Oh, non vorremmo mai far aspettare il marchesino.» rise.
E io non nascosi un sorriso. Si alzò, e mi fece alzare dalla poltroncina. 
«Come sei elegante.» disse lui osservandomi e sorridendo.
«Ti devi “mettere in vista” pure quando siete da soli?» disse in moto retorico citandomi.
«Smettila.» lo pregai con gli occhi, e lui fece cenno di scusa con il capo. Lo seguii fino alla hall dell hotel, prendemmo un ascensore fino al 13esimo piano. Rimanemmo in silenzio, notai che non c’erano camere al 13esimo piano, ma non feci domande.
Raggiungemmo una stanza, con due guardie che la sorvegliavano. 
«Signorino Alexandre, prego.» disse uno dei due aprendoci il portone.
La porta si richiuse subito dopo di me. 
Osservai la stanza, dire che era enorme era dire poco. 
Dall’entrata potevo vedere una parte del salotto, un fuoco acceso illuminava la stanza. 
«Accomodati, fai come se fosse casa tua.» 
Tanto sarei rimasta per giusto una decina di minuti, non di più.
«È a dir poco stupenda.» sussurrai, sapendo che lui mi aveva sentita di sicuro.
Camminai verso il salotto, le pareti erano di legno scuro, sembrava molto vecchio. La cornice del camino era stupenda, marmo grigio e bianco,  e i divani erano rossi e gialli. Una interessante scelta di colori. 
Il tappeto era bellissimo, rosa chiaro, nero e blu scuro. 
«Dai, siediti sul divano.» mi spinse dolcemente Alexandre, poggiando la mano sulla mia schiena. Mi sedetti di fianco a lui.
«Posso farti una domanda?» chiesi io un po’ incerta.
«Certo.» disse lui incoraggiandomi.
«Tu… dormi? Lo so che è stupido, ma ci sono così tante cose che non so.»
«Haha. Si, io dormo. E anche tanto.» rise. Non lo avevo mai visto ridere.
«Scusa.»
«Niente, c’è qualcos’altro che vorresti sapere?»
«Beh, per esempio: Puoi mangiare cibo normale? Puoi bere? Non muori alla luce del sole? Quanti anni hai?»
«Wow. Hai tante domande, cara.» sorrise sedendosi più vicino a me. 
«Beh allora, mangio solo cibo normale, beh all’inizio bevevo solo sangue umano, ma ora non più. Bevo anche se non mi serve per sopravvivere, quindi in genere bevo solo alcolici, mi aiutano a rilassarmi. No, non mi sciolgo sotto la luce del sole, e non brillo nemmeno.»
Risi per il paragone fatto con Edward Cullen di Twilight.
Notai che non mi aveva risposto alla domanda sull’età, ma non insistetti.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Potevo sentire il suo sguardo su di me, mentre io osservavo la stanza, evitando di proposito il suo sguardo, voltai il viso perché mi accorsi che le guance mi erano diventate rosse. 
«Quando giunge il tramonto, in realtà è il cielo che arrosisce perchè è innamorato della notte. E ogni sera vorrebbe restare e parlare un po con lei, ma è troppo timido e se ne va ogni volta.» lo sapevo che si riferiva a noi due. 
«Io sarei il tramonto?» chiesi voltandomi verso di lui. Era molto più vicino di quello che mi aspettavo. Pericolosamente vicino. Sentivo ogni suo respiro, e i miei occhi nocciola erano stati intrappolati da quei occhi verde scuro, molto simile alla tsavorite un tipo di granato, scoperto in Africa negli anni ’60. 
«Il tramonto più bello. Poi un giorno, la notte riuscì a fermare il sole in tempo.» Si avvicinò con il viso ancora di più, con la mano spostò di nuovo tutti i miei ciuffi neri dietro all’orecchio, e tolse la distanza tra le nostre labbra. Quando le sue sfiorarono le mie, era come se una scossa da 3000 watts mi stessero attraversando il corpo. Rimasi immobile per qualche secondo, per poi cedere a qualsiasi tentazione, ma Alexandre era prepotente anche in questo, e doveva essere lui a condurre il gioco. 
Ogni bacio lo dava lui, e decideva lui quanto sarebbe dovuto durare. Peccato che io, al contrario di lui, prima o poi dovevo respirare.
«Forse ti sei dimenticato che io devo respirare per vivere.» dissi staccandomi da quelle dolci labbra, a malincuore. 
«Scalerei grosse montagne a piedi nudi per poter sfiorare ancora le tue labbra» 
«Sei sempre così dolce?»
«Mai quanto le tue candide labbra.»  riprese a baciarmi con foga. Ogni suo tocco mi faceva venire i brividi.  Stufa di lasciare la situazione in mano a lui, gli morsi leggermente il labbro superiore. 
«Che fai? Giochi a fare la vampira? Sappi che non funziona con me, io mordo molto di più.» disse sorridendo, e dandomi un leggero bacio a stampo. 
«Sei spiritoso.» risi io.
«Ne dubitavi?» disse alzandosi dal divano, per poi aggiungere un pezzo di legno al camino acceso. 
«Beh, a volte si.»
«Scusami, sai, se a volte sono un po’, cioè se qualche volta ti…»
«Spavento?» finii la frase per lui.
«Si. È nella mia natura. A volte, inquieto le persone.» notai una briciola di tristezza nella sua voce, e anche un po’ di malinconia. 
«Ti manca la Spagna?» chiesi io, cercando di cambiare il discorso.
«Si, molto.» ammise mentre cercava di avvivare il fuoco. Sentivo che a poco a poco la sicurezza e quella corazza che lo ricopriva svanivano. 
«Hai fame?» mi chiese lui.
«Come? Ehm giusto un pochino.» dissi toccandomi la pancia. 
«Okay, ordino qualcosa.» 
Scomparve in una delle stanze da letto. Decisi di farmi un giretto del salotto. Sopra al camino c’erano delle cornici, le osservai. Nella prima c’era una vecchissima foto, in bianco e nero, riconobbi subito Alexandre, mi fece uno strano effetto vedere lui in una foto così vecchia. Insieme a lui c’era una donna bellissima, e un uomo altrettanto bello. Nella cornice successiva, c’era Alexandre e un uomo che gli somigliava molto, che gli circondava le spalle con un braccio e ridevano. Immaginai che fosse suo padre. Nella terza c’era solo una donna. Seduta su una sedia, che sorrideva con un piccolo bambino in braccio, sorrisi vedendo Alexandre così piccolo ed indifeso. Qualcuno si schiarì la voce dietro di me, facendomi sobbalzare.
«Ehm, scusami, non stavo frugando tra le tue cose.» dissi osservando Alexandre appoggiato alla parete. Un secondo dopo era di fianco a me, facendomi venire un giramento di testa.
«Non fa niente.» disse lui sorridendo. 
«Questo sei tu?» gli chiesi indicando la foto della donna col bambino in braccio.
«Si, e quella è mia zia. Invece nella prima, sono con i miei genitori, e nella seconda con mio zio.» 
«Anche loro sono…?»
«Vampiri? No, solo mio zio.» disse con tono deluso.
«Alex, mi dispiace… deve essere stata dura vederli…mi dispiace.» mi aggrappai al suo braccio e posai la testa sulla sua spalla. Mi viene quasi da piangere pensando a quanto aveva dovuto soffrire vedendo tutti quelli che amava morire. 
«Ti prego, non sentirti triste per quello che mi è successo. È stato veramente molto tempo fa.» 
Il campanello suonò. Mi prese la mano fra la sua, per levarsela dal braccio.
«Torno subito.» e le diede un piccolo bacio. 
Era un ragazzo di vecchia stampa. Sorrisi a quel pensiero, e a quanto era vero.  Tornò pochi secondi dopo con un carrello pieno di cibo.
«Ma sei matto? Non dovevi prendere tutte queste cose!» 
Sorrise. 
«Dai siediti.» mi fece accomodare su una delle sedie che aveva sistemato a capotavola. 
Tolsi il coperchio di uno dei piatti che si trovava davanti a me, c’era della pasta al pesto. Sembrava deliziosa.  Iniziammo a mangiare.
«Allora, hai detto che tuo zio è come te, quindi vivete insieme?»
«Sisi, lui per ora è il mio tutore, ed è l’unica persona di cui io mi possa fidare.» 
«È bello avere una persona così al tuo fianco, immagino.» confessai io.
«Si, lo è.» 
«Ti piaceva veramente quel Luca?» 
Scoppiai a ridere.
«Non fa ridere.» concluse lui serio.
«Scusami. No, ovviamente non mi piaceva.» dissi semplicemente.
«E allora perché ci uscivi?»
«Perché mio padre vuole che io mi sposi con lui.» 
«Perché?» 
«Perché secondo te?»
«Ti ho detto di non rispondere alle mie domande con  una domanda.»
«Scusami di nuovo. Ehm, vedi è che la sua famiglia è molto ricca, e la mai famiglia non è più quella di una volta, diciamo.» 
«Ma tu non lo ami… non è giusto.» era un po’ ingenuo su certe cose, o meglio, era troppo gentiluomo. 
«Si lo so. Anzi, non immagino quanto mi urlerà addosso per non essere andata all’appuntamento con Adda.» 
«Mi spiace. In parte è colpa mia.» 
«Non è vero, e lo sai. A me lui non è mai interessato, e poi è così viscido e schifoso.» 
«Okay, beh nessuno ti costringerà a sposarlo, o almeno non più.»
«Che ora è?» chiesi io.
«Sono le 2» annunciò guardando l’orologio che aveva al polso.» 
«Ti va di guardare un film?» mi chiese un po’ annoiato.
«Certo.» risposi io. 
Mi sedetti sul divano, mentre Alexandre inseriva il film nel lettore dvd. 
«Cos’è?»
«Colazione da Tiffany.» ahha, vecchio stampo.
Si sedette di fianco a me, ma la cosa durò poco, perché circa dopo 10 minuti, mi addormentai tra le sue braccia. 

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Capitolo 5
*** So ciò che hai fatto. ***


So Ciò Che Hai Fatto
 
Quando arrivai a casa erano circa le sei di sera. E la notte era gia calata. Era strano, l’inverno era arrivato prima del previsto. Chiusi la porta dietro di me,  e non potei non sorridere per tutto quello che era successo. 
«Cos’hai da sorridere?» chiese la voce dura di mio padre, riportandomi alla realtà.
«Padre. Niente.» 
«Cosa diavolo ti è saltato in testa?» urlò forte facendomi tremare.
«Mi dispiace.» 
«Sei una stupida!» mi avvicinai a mio padre. 
«Mi dispiace padre, davvero.»
«Dove sei stata?» 
«Da nessuna parte.»
«Non mi mentire Caterina!» mi prese per le spalle e mi scosse fortemente.
«Papà io non amo Luca! Non mi puoi obbligare a sposarlo!» non avrei mai detto quelle parole se avessi saputo cosa sarebbe successo. 
Uno schiaffo da parte di mio padre mi arrivò diritto sulla guancia destra, facendomi cadere contro il tavolo battendo la schiena.  
«Tu, piccola, sciocca ragazzina», urlò tirandomi su dal pavimento,«hai disonorato questa famiglia!» Mi scaraventò contro la parete, più di una volta.» Tutto ciò che ricordai è che quando lui se ne andò, rimasi un paio di minuti sdraiata sul pavimento a piangere, non so bene se era per il dolore o per la delusione. Mi alzai dal pavimento, lentamente. Uscii di casa. Pioveva fortemente. Non sapevo cosa fare, o dove andare. Sapevo solo che non sarei più tornata in quella casa. Mi bagnai completamente i capelli e i vestiti.  Camminai per un po’ in direzione del centro. Ormai annaspavo alla ricerca dell’aria, ma tutto ciò che trovavo era acqua che non mi permetteva di respirare. Camminai per una ventina di minuti, e senza accorgermene mi ritrovai in Piazza Della Repubblica.  Osservai l’hotel per un paio di secondi e decisi che era l’unico posto in cui sarei potuta andare.
Non so bene come feci a ricordarmi dove stava camera di Alex, ma ci arrivai. Tremavo fortemente, e ormai il pianto durava da circa trenta minuti.  Mi aspettavo di trovare le guardie fuori dalla porta, ma non c’era nessuno. Sbattei la mano contro la porta, senza forza. Tanto l’avrebbe sentito comunque. Ero stanchissima. E gli occhi mi si stavano chiudendo, a malapena mi reggevo in piedi. Come era possibile che una giornata che era iniziata così bene, poteva finire così male? Non aveva senso. Allora è vero quello che dicono, che proprio quando sei al settimo cielo, qualcosa di brutto ti accade.  Non capii perché ci mise così tanto ad aprirsi quella stupida porta, o forse sembrava solo a me. Quando si aprii, vidi il viso confuso di Alexandre,e poi penso che mi appoggiai a lui, prima di svenire. 

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Capitolo 6
*** Dolce Risveglio ***


Dolce Risveglio
 
La luce che filtrava dalle finestre mi svegliò. Ero sdraiata a pancia in giu. Sbattei le palpebre un paio di volte. Cercai di sollevarmi lentamente. Ma i muscoli mi facevano molto male. Gemetti un pochino per il dolore. Mi girai sulla schiena, e osservai bene la stanza in cui ero. Ero di sicuro all’hotel di Alexandre, mi ricordo di esserci venuta ieri sera, quindi molto probabilmente mi trovavo distesa nel suo letto. 
«Sei sveglia.» disse Alexandre entrando nella stanza.
«Ehi.» dissi io, passandomi una mano nei capelli, per sistemarli. 
«Come va?» 
«Non lo so ancora.» ammisi sincera.
«Cos’è successo?» chiese lui perplesso. Si sedette sul bordo del letto, di fianco a me. 
«N-non te l’ho detto?» 
«No. Tutto ciò che so, è che sei arrivata qua alle 9 ieri sera, bagnata fradicia, piangevi fortemente, sei svenuta, e mentre ti cambiavo i vestiti ho notato che sei piena di lividi sulla schiena, e che hai un grosso segno rosso sul viso.» Mi ritornò tutto in mente, e le lacrime riaffiorarono. Cercai di tenermele dentro, ma un paio di esse scesero lungo le guancie.  Presi la sua mano tra le mie, e iniziai a giocherellare con i suoi anelli nervosamente. 
«Ieri pomeriggio sono tornata a casa, e mio padre era molto arrabbiato per la storia di Adda. M-mi ha scossa per le spalle, e poi mi ha tirato uno schiaffo forte, facendomi c-cadere contro un tavolo che abbiamo all’entrata di casa mia. I-io ho tentato di spiegargli che non amo Luca, m-ma lui ha detto che ho disonorato la famiglia e-e-e mi mi ha sbattuto ripetutamente contro il muro, ogni volta che cadevo per terra, mi ritirava su, e mi spingeva di nuovo contro il muro.» ormai non controllavo più le lacrime, e i singhiozzi si erano fatti sentire.  Alexandre non disse niente, si limitò a prendermi tra le sue braccia, come una bambina, e mi cullò per un periodo che mi sembrò non finire mai, piansi per un buon quarto d’ora, mentre lui mi cullava e continuava a baciare i capelli.  Quando smisi di piangere, mi accompagnò in bagno. Mi osservai un attimo allo specchio. Indossavo un suo maglione verde, che mi stava a dir poco grande e una sua tuta. Osservai il mio viso pallido, sulla guancia destra c’era un grande cerchio rosso, che la distingueva da quella sinistra. Mi portai una mano al viso, e le lacrime iniziarono di nuovo ad affluire. 
«Ti prego, non piangere. Odio vederti piangere.» mi abbracciò da dietro, e ubbidii, trattenendo le lacrime.
«Ti giuro che andrà tutto a posto.» mi girai verso di lui, e mi appoggiai con la testa sul suo petto. 
«Va tutto bene.» mi ripetè più volte, mentre passava su e giu la mano sulla mia schiena, leggermente.
«Mi dispiace di essere piombata qui. Insomma non ne avevo il diritto, sono venuta qua ti sono praticamente svenuta addosso e mi dispiace di averti recato disagio. Ti ho persino rubato il letto…» Dissi ritraendomi dall’abbraccio e passandomi le dita sotto gli occhi per togliere le lacrime.
«E ti ho anche sgualcito la camicia.» sorrisi. 
«Non ti preoccupare della stupida camicia, è solo un pezzo di cotone. Non mi hai recato nessun disagio, sono contento che tu sia venuta qua, invece di rimanere a casa tua.»
Non è piu casa mia, pensai a malincuore, o forse non l’è mai stata.
«Alexandre, lo so che è chiedere veramente tanto. Ma non ho un posto in cui andare…» 
«Non ti preoccupare, ovviamente starai qua.»
«Davvero, non voglio recarti disturbo.»
«La vuoi smettere di pensare a me per un minuto?» 
«Lo sai cosa facciamo ora? Tu ti fai una bel bagno caldo, per rilassare i nervi, e io vado a prenderti la colazione. Va bene?» Mi guardava con occhi dolci e comprensivi. Mi limitai ad annuire. 
«Non ho niente da mettermi.» fissai il pavimento con un po’ di vergogna.
«Qualsiasi cosa che ti piaccia nel mio armadio è tua. Okay?»
Annuii di nuovo. 
«Okay, ti lascio un po’ sola.» Fece per uscire dal bagno, ma lo fermai per il braccio.
«Aspetta.» dissi io in fretta.
«Che c’è?» chiese lui preoccupato.
«Mi sono dimenticata di dirti grazie.» mi alzai in punta di piedi per dargli un bacio sulle labbra. Lui ricambiò dolcemente.
«Non c’è di che.» disse tra un bacio e l’altro. 
Uscii dal bagno, lasciandomi sola ne silenzio assoluto.
Passammo il resto della giornata sul divano, io guardavo la tv e lui per la maggior parte del tempo mi osservava o leggeva un giornale. Non parlammo praticamente per tutto il giorno. Saltai perfino la cena, non avevo fame, e avevo troppi pensieri per la testa. Spensi la televisione, guardare ciccioni che fanno a gara di chi mangia la crostata per primo non mi interessava.
«Ti dispiace se vado a letto?» dissi alzandomi dal divano, con la schiena dolorante.
«Certo che no, tutto bene?» Chiese mettendo giu il giornale.
«Si, ho solo un po’ di male alla schiena. Niente che non si possa curare con una dormita.» 
«Va bene, ti ho preparato la stanza.» 
«Grazie.» ero veramente di poche parole. Persino con lui. 
Mi avviai verso una delle stanze da letto che mi aveva preparato. Non accesi nemmeno la luce, mi buttai sul letto ed in pochi minuti mi addormentai. 
Erano circa le 3:27 della notte quando mi sveglia, sudata. Non mi ricordavo di aver avuto un incubo, eppure i segni c’erano. La stanza era molto buia, e vuota. C’era solo quel letto gigantesco, e un divano verde di fianco ad esso. La luna non c’era, era una notte nuvolosa. Mi avvolse un senso di solitudine e panico. Mi alzai dal letto e camminai fuori dalla stanza. Il salotto metteva ancora più inquietudine, il camino era spento, e i vecchi mobili rendevano tutto più freddo e poco familiare. Faceva anche abbastanza freddo. Camminai sul parquet scuro, che emetteva dei piccoli cigolii. Non so per quale motivo, ma mi incamminai verso la stanza di Alexandre. La porta era chiusa, ed esitai per mezzo minuto prima di aprirla. Non sapevo cosa dire o fare. Spinsi in basso la maniglia, e la porta cigolò fortemente. La stanza era buia, ma ormai i miei occhi si erano abituati alla luce scura. Era sdraiato sotto le coperte, a torso nudo. 
«Ehi.» disse lui con voce roca e bassa.
«Come hai fatto a sentirmi?» chiesi io.
«Sono un vampiro, ricordi? Sento tutto. Che c’è che non va?» chiese alzandosi leggermente, e appoggiandosi alla testiera del letto. 
«N-non lo so. Mi sentivo sola.»
«Vieni qua.» disse semplicemente. 
«Come?» Non capivo cosa intendesse.
«Vieni qua, nel letto dico.» 
Obbedii silenziosamente. La stanza era fredda, e il letto lo era ancora di più.
«È gelato.» 
«Colpa mia.» ammise sorridendo. 
Mi infilai sotto le coperte, distesa di fianco ad Alex. 
Rimasi immobile un po’ in imbarazzo, non mi era mai capitata una situazione del genere. 
Alex si girò di lato, verso di me, facendomi girare a mia volta verso di lui, spingendomi dalla schiena con la sua mano. I nostri nasi si sfioravano, e Alex mi guardava fissa negli occhi. Avevo la testa poggiata sul suo braccio destro.
«Mi sembra di conoscerti da sempre.» sussurrò.
In effetti era vero, beh non ci conoscevamo da moltissimo, però anche a me sembrava di conoscerlo da tanto tempo. 
«Anche a me.» dissi io in soffio.
«Avevo 17 anni quando iniziò il mio processo di trasformazione. Ci vogliono 3 anni prima che la trasformazione finisca, e poi rimani bloccato a quell’età. I miei sapevano cosa era mio zio, però non accettavano che il loro primogenito maschio fosse un mostro. Così quando scoprirono che sarei diventato un mostro, mi presero, e mi tagliarono i polsi, lasciandomi svenuto nella vasca da bagno. Mi credevano morto, ma mio zio mi trovò in tempo.» 
Ero scioccata. Seriamente scioccata, come facevano dei genitori ad arrivare a così tanto? 
«Alex…» non sapevo nemmeno cosa dire. 
«Non devi dire niente.» 
Gli accarezzai il viso. Mise la sua mano sopra la mia, e portò il polso al suo naso. Lo sentii inspirare  profondamente.
«Alex?» chiesi un po’ intimorita.
«Hai veramente un odore..fantastico.» rimasi un po’ paralizzata da quella frase.
«Scusami.» disse capendo che mi stava spaventando. Diede un leggero bacio al polso e lo lasciò andare.
«Ti da fastidio? Questa vicinanza?»
«No… è solo che l’odore di certe persone è veramente forte. Più che altro mi confonde le idee. Tutto qua.» 
«Dovrei cambiare profumo allora.» era il profumo di mia mamma…
Alexandre rispose con una risata, non capivo.
«No, non in quel senso. Il profumo tuo. Non quello che ti spruzzi addosso alla mattina, ma quello naturale della tua pelle, e del tuo sangue. Io lo sento.»
«Ah. Capito. E di cosa sa la mia pelle?»
«Sai di muschio, pioggia e di orchidee.»
«Ma le orchidee non hanno un profumo.»
«Forse per voi umani, ma io lo sento.» 
Sorrisi. 
«Ce ne sono tanti come te?»
«Di vampiri? Beh in Italia sono ormai scomparsi, forse ce ne sono giusto due o tre. In spagna ce ne sono parecchi, ma ci sappiamo nascondere molto bene. In America non ce ne sono, molti sono scandinavi. Ma sai più che altro sono famiglie intere, di solito si salta una generazione o due. »
«Capisco. Lo so che ho tante domande, ma come si diventa come voi?» non riuscivo proprio a dirla la parola vampiro.
«Beh, o ce lo hai nel sangue, come me, oppure vieni trasformato. Ma è una cosa piuttosto dolorosa.»
«Ma come si fa? Il processo intendo.» Non so cosa fosse che mi incuriosiva così tanto, forse sapere se era vero che se un vampiro ti mordeva, diventavi a tua volta un vampiro.
«Beh prima di tutto, dovresti avere nel tuo sangue un po’ del sangue di un vampiro, beh un po’ tanto a dire il vero. Poi il vampiro proprietario del sangue dovrebbe morderti e bere tutto il tuo sangue, sarebbe una morte lenta e molto dolorosa. Poi da li inizia la trasformazione, che dura circa 3 anni, ma dipende, a volte di meno. Ma non è una cosa piacevole.»
Sembrava complicato.
Sbadigliai rumorosamente.
«Okay, dormiamo.» rise lui.
«No, davvero resisto ancora un po’.»
«Ma certo. Dai dormi che è tardi.»
Pensò che Alexandre notò uno sguardo un po’ preoccupato nei miei occhi, dal tono della voce che usò per parlarmi.
«Ci sono qua io, non ti succederà niente. Non me ne vado.»
«Prometti?»
«Prometto.» disse annuendo.  
Mi rannicchiai contro il  suo petto nudo, gelido. Chiusi gli occhi. E non ci volle molto prima che mi addormentai. 
                                                           

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Capitolo 7
*** Ritorno al Passato ***


Ritorno al Passato

Osservai quella figura angelica che dormiva tranquillamente nel mio letto. Delle bellissime ciocche nere gli ricadevano sul viso, e aveva i capelli leggermente arruffati. Le accarezzai dolcemente i capelli badando bene di non svegliarla. Era sdraiata a pancia in su, con la testa girata verso di me.   Indossava una ma maglietta, ormai tutta stropicciata, e dei pantaloncini corti da ginnastica che avevo nell’armadio chissà da quanto tempo, senza averli mai messi. Quel corpo piccolo e fragile giaceva li, dormiente. Pensai a ciò che le era successo due giorni prima, e a quanto fosse ingiusto.  Come si poteva anche semplicemente pensare di fare del male ad un angelo così bello? Mi fermai un attimo a pensare che io lo avevo pensato più di una volta. Scacciai via il brutto pensiero.
«Cate?» dissi sottovoce spostandogli la ciocca che le attraversava il viso.
«Cate? Sono le 12…» Le accarezzai dolcemente il volto, non c’era più il rossore sulla guancia destra. 
«Hmm…» fu tutto quello che ricevetti in risposta. Aggrottò le sopracciglia. 
Si girò sul lato sinistro, il suo viso sfiorava il mio. Sentivo il suo respiro sul mio viso, e la gola iniziò a bruciarmi leggermente.  
Le baciai dolcemente il naso, e poi gli occhi.
«Cate, sveglia.» 
«Hmmm che ora è?» chiese lei con la voce impastata dal sonno e gli occhi chiusi.
«Le 12.»
«Di gia?» 
«Si.» sorrisi. Alla fine aprì quegli occhi color nocciola, da bambi. Mi guardò con sguardo curioso.
«Buongiorno.» disse, ora più chiaramente.
Le diedi un leggero bacio a stampo sulle labbra, ignorando il dolore alla gola.
«Dobbiamo proprio alzarci?» mi chiese passando le sue piccole dita sul mio braccio, su e giù.
«Mi sa di si. Tra poco dovrebbe arrivare un mio amico dalla Spagna, a trovarmi.» 
«Ah si? Finalmente conosco un tuo amico.» disse sorridendo. Il più bel sorriso. Sorrisi a sua volta. Ci alzammo dal letto, e la osservai mentre si faceva una coda ai capelli arruffati. 
«Ti ho fatto lavare i vestiti, se li vuoi mettere sono in bagno.» dissi mentre mi infilavo una camicia bianca. 
«Grazie, posso usarlo?» era terribilmente educata.
«Ovviamente.» Corse in bagno, e lasciò la porta aperta.
Mi misi a sistemare il letto, anche se sapevo che la cameriera l’avrebbe fatto per me. 
«Allora»,urlò dal bagno, dimenticandosi che io la sentivo benissimo,«Questo tua amico è come te?» 
Non riusciva proprio a dirla la parola vampiro?
«Si, è come me. È conte di Madrid.» 
«Wow. Quindi vi conoscete da tanto tempo?»
«Da tutta la vita.» dissi con un sorriso stampato in faccia. Gli anni che avevamo passato insieme a girare per l’Europa erano stati i migliori di tutta la mia vita.
«Come si chiama?» chiese tornando in stanza, vestita come il giorno in cui ci eravamo baciati. Era stupenda, quel vestito blu con lo scollo a V la rendeva incredibilmente sexy. Penso che si accorse che le stavo guardando il corpo invece del viso.
«Che c’è? Non mi sta bene il vestito?» oltre a essere incredibilmente educata, era anche incredibilmente insicura. 
«Ti sta benissimo. Sei favolosa.» potei notare il sangue arrivare alle sue guance, e rendergli il viso pallido un po’ più rosato.
«Allora come si chiama il tuo amico?»
«Si chiama Carlos Alejandro Alvarez-Toledo.» 
«Che nome lungo.»
«Tutti i nobili spagnoli hanno nomi lunghi.» dissi finendo di abbottonarmi la camicia. Caterina si era raccolta i capelli in uno chignon, come al ballo degli Adda. La preferivo con i capelli sciolti, ma le avevano insegnato che i capelli sciolti sono solo per le donne di poco valore. Un idea alla quale io andavo proprio contro. Caterina si sedette sulla poltrona,e lentamente si infilò i tacchi neri. 
«A che ora dovrebbe arrivare?» mi chiese con un sorriso stampato sulla faccia, mentre si dirigeva verso di me. Era almeno più alta di 9 centimetri.
«Mi ha detto che il suo aereo atterrava alle 12, e che quindi sarebbe arrivato per l’ 1.» dissi posando le mie mani sui suoi fianchi. Mi chinai per darle un bacio. Fù un bacio diverso dal solito, di solito ero io che decidevo quanto durava il bacio e come doveva essere. Questa volta, invece, fù lei a prolungarlo, mise una mano nei miei folti capelli marroni, dalle labbra passò al mio collo, baciandolo in tanti punti diversi, disegnava piccoli cerchi con la lingua.  La gola iniziò di nuovo a bruciarmi. Dio, non potevo negare che mi piacesse il modo in cui mi baciava, però la sete era forte. Serrai forte la mascella, e chiusi gli occhi. Mi piaceva eccome. Il campanello suonò e giurò che in quell’esatto momento avevo quasi pensato di uccide Carlos per averci interrotti. Aprii gli occhi, e Caterina smise di baciare il mio collo. Mi sistemai la camicia, e sorrisi maliziosamente a Caterina. 
«Andiamo, dai.» dissi prendendola per la mano. Anche con quelle scarpe, Caterina riusciva a tenere il mio passo. Aprii la porta, e fui estasiato di vedere il viso di Carlos. Un sorriso apparve sui nostri visi, e ci abbracciammo. 
«Ale mi sei mancato molto.» confessò Carlos dandomi una pacca sulla spalla. 
«Anche tu Carlos. Ah, mi ero quasi dimenticato, Carlos lei è Caterina. Caterina, Carlos.» Dissi presentandoli. Potei notare uno sguardo particolare negli occhi di Carlos quando guardò Caterina.
«Piacere.» disse Carlos stringendo la sua mano. 
«Piacere mio.» I due si guardarono per qualche secondo.
«Dai entra Carlos! Devi raccontarmi tutto.» dissi facendogli segno di entrare. 
Io e Cate ci sedemmo sul divano, mentre Carlos si sedette sulla poltrona. 
«Allora, come va a Madrid?»  chiesi io.
«Tutto bene, sempre la stessa noia. E a Barcellona? Come mai questa tua decisione di venire a Milano?» 
«Barcellona bene penso. Beh mi conosci Carlos, mi muovo spesso.» 
“Ale, sei per caso impazzito? È una umana!” il pensiero di Carlos mi arrivò forte e chiaro. Era stupendo come le menti dei vampiri funzionavano, trasmettere qualsiasi tipo di pensiero ad un altro vampiro era utile in certe situazioni. Sapevo a cosa si riferiva Carlos.
“Sa tutto. Carlos so come la pensi…”
“Come fai a resisterle? Sinceramente… dio ha un odore fortissimo.” Scacciai immediatamente il pensiero che lui avrebbe potuto attaccarla dalla mente, Carlos era vampiro da molto più tempo di me, e sapeva contenersi.
«Allora, Alexandre mi ha detto che vi conoscete da molto tempo.» disse Caterina notando il silenzio che si era creato.
«Gia, fin da quando eravamo piccoli, siamo cresciuti insieme.»
«Si, ma per favore Carlos, non raccontare cose imbarazzanti sul mio conto.» dissi io ridendo.
“Ne avrei di storie da raccontarle…”
“Taci.” Gli ordinai io. E lui sorrise.
«Mi ha chiamato tuo Zio, l’altro giorno.» disse lui, questa volta ad alta voce.
«Davvero?» ero seriamente stupito.
«Gia. Ha detto di salutarti.»
“Ha detto che non ti fai sentire da settimane, che sta succedendo Ale?”
«Salutamelo.» Dissi io, senza rispondere alla sua domanda mentale.
«Beh, allora immagino che voi stiate insieme, no?» rivolse la domanda a Caterina.
«Gia. E tu Carlos? Hai una ragazza?» 
Io e Carlos scoppiammo a ridere. La fama di Carlos non era solo dovuta al fatto che era il Conte di Madrid, ma anche dal fatto che praticamente andava a letto con tutte le donne belle che incontrava.
«Ho forse detto qualcosa di sbagliato?» chiese Caterina preoccupata.
«No tesoro, è solo che Carlos è conosciuto proprio perché non ama le relazioni.»
«Ah, capisco.» sorrise lei.
Un cellulare suonò nella mia stanza da letto.
«P-penso che sia il mio.» disse Cate incerta. Non mi ero nemmeno accorto che avesse un cellulare. 
«Torno subito.» disse alzandosi. Mi preoccupai un po’, per quello che ne sapevo poteva anche essere suo padre.
“Complimenti, è molto bella.” Mi trasmise Carlos, mentre osservava Caterina uscire dalla stanza.
“Ehi! Non ci pensare nemmeno.”
“Ti pare? È la TUA fidanzata, mica la mia. Perché è qua?”
“Suo padre è un tipo un po’ violento.”dissi amareggiato.
“L’ha picchiata?” mi domandò lui sorpreso.
“Si…”
“Perché?”
“Storia lunga…Che dovevo fare, rispedirla a casa?”
“No, certo che no. Mi dispiace però, poverina. Non dirmi che dormi che siete andati a letto insieme?!”
“No, cretino. Abbiamo solo dormito.”
“Se certo.”
“Ma cosa te lo spiego a fare? Tanto da quant’è che tu dormi soltanto con una ragazza? Poi sinceramente, devo ammettere che mi è un po’ difficile starle vicino.»
“Ah! Immagino che ti manchi bere del sangue… non so come fai anche solo starle seduto accanto, e non bevi nemmeno sangue umano. Se è difficile per me… chissà quanto lo è per te.”
Stavo per rispondergli, ma Caterina tornò nella stanza.
«Tutto bene?» le chiesi preoccupato quando tornò a sedersi al mio fianco.
«Certo.» finse un sorriso. 
Strinsi la sua mano nella mia, e la appoggiai sulla mia gamba.
«Come sta tuo padre, Carlos?»
«Tutto bene, come al solito minaccia di diseredarmi, e poi non lo fa mai.»
«Se tu prendessi un po’ più seriamente il tuo ruolo di conte, forse tutto questo non succederebbe.» lo rimproverai.
«Alex, lo sai come sono… da quando Carlos prende le cose sul serio?»
«Ah, adesso sei così pieno di te che parli  di te stesso in terza persona?»
Scoppiammo a ridere.
«Dai, e poi c’è mia sorella a fare da contessa.» 
“Smettila.” Dissi io.
“Di fare cosa? Mia sorella ti porta i suoi piu cari saluti.”
“Piantala.”
“Ha detto che gli manchi.”
«Devi essere molto stanco, Carlos.»
“Cerchi di sbarazzarti di me?”
«Forse ci potremmo vedere domani per pranzo, non credi?»
«Solo se porti anche Caterina.»
«Oh, accetto volentieri.» disse Caterina felice. Prima che io potessi dirgli che era una cattiva idea.
“Sei sempre il solito idiota.” gli dissi.
“Lo so che mi ami.”
“Cretino.” Ci sorridemmo.
«Dai, me ne vado, non voglio recare troppo disturbo, a domani Caterina.»
«A domani.» rispose lei.
Lo presi per il braccio, e lo spinsi verso la porta.
“È veramente, veramente, carina. Te l’ho gia detto?”
“A domani, deficiente.” Lo spinsi fuori dalla porta, e gliela chiusi addosso.
Presi un respiro profondo, e tornai dal mio angelo. Si alzò dal divano e mi venne incontro. 
«Sembra molto simpatico.» disse sorridendo. Oh, simpaticissimo, come no.
«Gia. Gli hai fatto un ottima impressione.»
«Come fai a saperlo?»
«Lo conosco molto bene.» le diedi un leggero bacio sul naso.
«Te l’ho gia detto che sei bellissima oggi?»
«Hai detto fantastica.»
«Beh, allora: Sei bellissima oggi.» dissi di nuovo mentre mi chinavo per baciarla, questa volta sulle labbra. 
«Ti va di guardare un film a letto?» 
«Che film?» chiese lei mordendosi il labbro.
«Uhmm non so, guardiamo cosa c’è in tv.» la presi per la mano e la guidai fino in camera. Si sfilò i tacchi alti e si sdraiò sul letto. Afferrai il telecomando da sopra la tv, la accesi. Mi sdraiai sul letto di fianco a Caterina. Posò la testa sul mio petto e una mano sui miei addominali. 
«Non penso che sia una buona idea che tu venga domani…al pranzo dico.» dissi guardando la tv, ma senza veramente guardare cosa succedeva. 
«Perché?» chiese lei allarmata.
«Ti annoieresti a morte.»
«No, ci tengo a venire.»
«Davvero, non mi sembra il caso.» non ricevetti risposta. Abbassai lo sguardo per cercare di capire la sua espressione. Sorrideva.
«Che c’è?»
Si alzò leggermente per darmi un bacio sulle labbra.
«Posso venire?» sorrise maliziosamente.
«No.» dissi serio io.
Mi baciò dolcemente il collo.
«Posso venire?»
«No.» dissi sorridendo, sapevo cosa stava succedendo.
Si inginocchiò sul letto, al mio fianco. Mi diede un altro bacio sulle labbra, questa volta più intenso.
«Ora?»
«No.» risposi di nuovo io, cercando di suonare serio, ma non penso che fui molto convincente. E proprio quando mi lasciai andare ai suoi baci, la gola prese ad andarmi in fiamme. Cercai di deglutire, ma non aiutò molto. Potei sentire il  sangue fluire nelle vene, quando posò una mano sulla mia mascella, per darmi un altro bacio. Il battito del suo cuore era fortemente irregolare, capii che era nervosa. Posai una mano sulla sua spalla, e la allontanai dolcemente.
«Okay, puoi venire. Ma poi non dire che non ti avevo avvisata.» non lo dissi perché volevo veramente che venisse al pranzo con me  e Carlos, più che altro non sapevo quanto sarei resistito al bruciore in gola… o più che altro alla tentazione di… scacciai subito quel pensiero orribile. 
«Grazie.» disse con un sorrisino stampato sulla faccia.

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Capitolo 8
*** Pensieri Privati ***


Pensieri Privati

Quando arrivammo al ristorante Carlos era gia seduto ad aspettarci.  Si alzò educatamente. Mi strinse la mano.
«Ehi, stavo morendo di fame.» disse mettendo un po’ di enfasi pronunciando le parole morendo di fame.
“Come sei spiritoso oggi.”
“Gia, pensavo che l’avresti convinta a non venire.”
«Sempre bellissima, Caterina.» disse baciandogli la mano, come il giorno prima. 
Ci sedemmo al tavolo rotondo. I menù erano gia sul tavolo.
«Allora, Caterina, mai stata in Spagna?» le domandò Carlos, sfogliando il menù.
«A dire il vero no, ma spero di visitarla molto presto.» disse contenta, rivolgendomi un sorriso, che io ricambiai.
«Beh, di sicuro devi venire a fare un salto  a Madrid.»
«Direi che Barcellona è molto più interessante.» risposi io a Carlos.
«Oh davvero? Vuoi dire che la capitale fa schifo?»
«Mai detto che fa “schifo”…. Ma dai, lo sai pure tu che Barcellona è sempre la più bella.»
«Come vuoi.» rispose lui scocciato. Adoravo dargli fastidio.
«Ehm», disse un po’ incerta Caterina, «credo che posso vederle tutte e due.»
«Certo.» dissi sorridendogli, posando una mano sulla  sua, piccola e fragile.
La cameriera arrivò in pochi minuti, io e Caterina ordinammo delle insalate.
«Prendo una bistecca, al sangue, per favore.» Disse Carlos, regalando alla cameriera il suo sguardo migliore. Lei gli sorrise, probabilmente pensò che a lui lei piaceva… ma si sbagliava di grosso. Conoscevo bene quello sguardo, uno sguardo che fortunatamente non vedevo apparire sul mio viso da molti anni, ero lo sguardo che il predatore dava alla preda, prima di catturarla, uno sguardo contorto e mortale.
“Carlos.” Lo richiamai alla mia attenzione, distraendolo dalla cameriera. Quando si accorse di essere in modalità caccia, fece un lungo sorriso e bevve il bicchiere di vino. 
Notai poi che Caterina aveva intrecciato la sua mano con la mia, stringendomela leggermente, per poi lasciarmela.
«Vorrete scusarmi.» disse alzandosi e dirigendosi verso la toilette.
Appena fù abbastanza lontana per non sentirmi, dissi con tono di rimprovero, «Da quant’è che non bevi?» 
«Non da tanto. Non ti preoccupare.» disse Carlos, versandosi dell’altro vino.
«Non mi devo preoccupare? Stavi per…» non finii la frase, tanto sapeva a cosa mi riferissi.
«Oh, ma dai, smettila. Non lo avrei mai fatto davanti a tutti, come minimo me la portavo in bagno.» disse ridendo.
«Ti fa ridere?» dissi io ora arrabbiato.
«Bene, hai finito di rimproverarmi? Perché ora tocca a me. Perché non hai chiamato tuo zio?»
Non risposi.
«Alex, che succede? Ha detto che non ti fai sentire da quasi un mese.»
Continuai a tacere. Poi sentii la mente di Carlos cercare di entrare nella mia.
«Cerchi pure di vedere i miei pensieri? Lo sai anche tu che non bevi abbastanza sangue umano per farlo.» dissi sorridendogli.
«Allora dimmelo tu, quali sono i tuoi pensieri.» si sporse verso di me.
«Ale, ti conosco meglio di chiunque altro, ti prego, sto solo cercando di aiutarti.» 
Caterina tornò  al tavolo, di fianco a me. Mi strinse di nuovo la mano, osservandomi con lo sguardo perso, aveva il battito cardiaco accelerato.
“Che è successo?” dissi nella mia mente, fissando Caterina. 
“Che è successo cosa?” rispose Carlos, mentre cercava di entrarmi nei pensieri di nuovo.
“Dio, la smetti? Mi confondi, non volevo dirlo. L’ho solo pensato.” 
“La smetto quando mi dici il motivo per il quale non hai richiamato tuo zio, e perché sei andato via da Barcellona.” Scacciai via la sua voce dalla mia mente.
Mi limitai a stringere la mano di Caterina. Devo dire che il resto del pranzo andò piuttosto bene, ci furono un paio di tentavi da parte di Carlos di entrarmi nella mente ma lo respinsi. Non mi fece più domande sul motivo per il quale ero andato via da Barcellona, ed era meglio così. Pi?u ch altro si limitava a parlare con Cate del più e del meno, della scuola, degli amici, della loro infanzia. Io  e Carlos ordinammo dei caffè.  La cameriera di prima fece un sorriso ammaliante a Carlos, mentre gli porgeva il suo caffè.  Notai un bigliettino ripiegato sul piattino dov’era posata la tazzina. Caterina rise sottovoce. Carlos prese il biglietto, lo lesse per un secondo, e poi me lo passò, in brutta grafia c’era scritto:  
 
Francesca- 335.761804, chiamami.
 
Caterina rise mentre lo leggeva con me. 
«Allora, la chiamerai?» chiese ridendo a Carlos.
«Ah, le donne Italiane… non ne hanno mai abbastanza del grande Carlos.»
«Ma non ti accorgi proprio di parlare di te stesso in terza persona?!» dissi in modo retorico a Carlos. 
“Me ne accorgo, ma sono così bello,ricco e potente da potermelo permettere.” 
«Ignoro la tua domanda, Alex. Beh Caterina, l’unica ragazza Italiana che può chiedermi di chiamarla sei tu.» 
Di primo impatto Cate rimase un po’ sorpresa, ma quando capì che Carlos stava solo scherzando, rise insieme a lui.
«Beh, penso che dovrai aspettare un po’ Carlos.» disse guardandomi e sorridendo.
«Concordo.» usai la mia voce dolce. Cate arrossì violentemente. 
«Oh piccioncini, starei a guardarvi tutto il giorno, ma non vorrei rischiare di vomitare.» sempre fine. 
Si alzò dal tavolo, e sistemandosi la cravatta disse: «Bene, sempre un piacere Caterina.» iniziò ad incamminarsi. 
«Ehi, non mi saluti?» chiesi senza girarmi.
«No, tanto ci vedremo presto. Ah e paga tu, ho lasciato il portafoglio in macchina.» 
Risi.
«Che c’è da ridere?» Mi chiese Caterina.
«Carlos non ha una macchina.»

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Capitolo 9
*** Troppo Tempo per Pensare ***


Troppo Tempo Per Pensare
 
Quando la mattina dopo mi svegliai, ero da sola. Girovagai per le stanze, ma Alex non c’era. Mi vennero i brividi, non so se erano dovuti a causa del freddo, o perché mi ritrovavo sola in quella stanza che improvvisamente mi sembrava vuota e buia. Corsi velocemente in camera da letto, e afferrai una felpa di Alex. Quando la infilai, potei chiaramente sentire il suo profumo. Sorrisi stringendomi le mani al petto.  Mi sdraiai sul divano del salotto, e guardai un po’ di tv. C’era una donna a un talk show, che raccontava che lo spirito di suo marito defunto le parlava. Diceva che ogni 7 del mese, lui appariva nella loro stanza da letto, e le parlava. Alla donna fù subito chiesto di che cosa parlavano, lei rispose che non era importante ciò che diceva, l’importante era che lui era tornato per lei, e che lui l’avrebbe protetta. Osservai la donna piangere, non sapendo se crederla o no. Certa gente dal pubblico disse che si stava inventando tutto, e che gli spiriti non esistono, la donna, Kylie, ebbe il coraggio di rispondere all’uomo incredulo. Dicendo: «Signore, forse mio marito non è uno spirito, forse è un angelo. Ci sono milioni di anime dolci che ci seguono indiscreti, mentre mangiamo, mentre dormiamo e mentre preghiamo. Noi non li vediamo, perché l’occhio umano vede solo ciò che davvero vuole vedere, è limitato, ma se uno ci mette impegno e volere, loro sono là.»  non ci fù nemmeno una pausa nel suo discorso, nemmeno un sussulto nella sua voce, nemmeno un briciolo di emozione. Era come se l’angelo parlasse per lei, come se non fosse più se stessa. Altri brividi mi salirono sulla schiena. Esistevano gli angeli? O gli spiriti? Mi venne un senso di paura. Il mio cellulare squillò facendomi sussultare. Lo afferrai velocemente dalla tasca dei miei pantaloncini, e senza guardare chi era, risposi.
«Caterina.» non riconobbi subito la voce, ma poi capii.
«Caterina?» ero letteralmente paralizzata, non riuscivo ne a parlare ne a riattaccare. 
«Cate? Vieni a casa, ti prego.» era la voce di mio padre che mi supplicava. Ero ancora li, ferma, sdraiata sul divano, fissando la televisione. 
«Almeno fammi sapere se stai bene.» penso che non respirai nemmeno. 
Dopo qualche secondo di silenzio, presi il coraggio di riattaccare. 
La stanza, che prima mi sembrava buia e silenziosa, ora lo sembrava ancora di più. Osservai il telefono, forse in attesa di una seconda chiamata. Niente. Di colpo lo buttai sul tavolo. La stanza era così vuota, buia e silenziosa. Alzai il volume della tv, e cambiai canale, mettendo su dei cartoni animati. Mi sentii un pochino meglio.  Osservai l’orologio che era appeso sul muro. Segnalava le 12:30. Ma dov’era finito Alexandre? Strinsi un cuscino al petto, mentre una piccola lacrima mi rigava il viso. Cosa avrei dovuto fare? Di sicuro non sarei ritornata a casa, ma non potevo approfittare troppo della benevolenza di Alex, era così dolce e gentile con me, ma non potevo stare in questa lussuosissima camera di albergo per sempre, e poi lui sarebbe ritornato in Spagna prima o poi. F-forse avrei dovuto chiamare a casa… casa mia, intendo. Oppure ci sarei dovuta tornare a casa… f-forse a mio padre dispiaceva, e forse facevo ancora in tempo a rimediare con Luca. Ci ripensai su due volte, e arrivai alla conclusione che non era ciò che veramente volevo. Altre lacrime mi colarono dagli occhi, non cercai nemmeno di asciugarmele. Me stavo li, immobile, abbracciata al cuscino. Pensavo, e aspettavo, non so esattamente per cosa, ma aspettavo.
Osservavo il cartone animato, Willy il Coyote, e Bip Bip. Pensai che fosse un po’ sadico per essere un cartone animato per bambini. L’eterna caccia, e a quale scopo? Uccidere un povero animale…incitava alla violenza, mi feci un promemoria mentale: Non far vedere ai miei figli Willy il Coyote. Mai; ma poi quale genitore lascerebbe guardare ai propri figli un cartone dove il personaggio principale prova tutti modi possibili immaginabili per uccidere il suo alterego? Di certo non era una cosa adatta ai bambini. 
Liberai la mente, ma fui comunque felice quando Alexandre tornò. Mi alzai dal divano, e mi girò fortemente la testa; avevo sempre sofferto di pressione bassa, mi dovetti appoggiare al tavolino per non cadere.  Alex mi corse in contro, e mi sorresse per la vita. 
«Ehi, tutto bene?» mi chiese allarmato. Quando non risposi, mi scosse leggermente.
«Scusa, si tutto bene. Solo un giramento di testa.» 
«Vuoi sdraiarti un po’?» Altro tempo per pensare? No grazie. 
«Eh, no grazie, ora sto meglio.» evitai di incrociare il suo sguardo, come se potesse capire tutto.
«Scusa se non c’ero questa mattina, sono andato a vedere Carlos.»  disse spostandomi una ciocca di capelli che mi attraversava il viso. 
«Non ti preoccupare.» mi staccai dall’abbraccio gelido. Afferrai il cellulare dal tavolino, e lo spensi. Non mi aveva più chiamata, forse aveva sbagliato e non sapendo cosa dirmi ha inventato che voleva che io tornassi a casa. Lo chiusi e lo gettai sul divano. Spensi anche la tv, proprio mentre Willy stava posizionando le bombe. 
«Che stavi guardando?» 
«Niente.» dissi fredda. 
«Che c’è che non va?» chiese di nuovo. Non ce l’avevo con lui, solo che ora non volevo parlare.
«Niente.» dissi. 
Mi afferrò per il polso, e mi fece girare verso di lui.
«Non mentirmi, non lo sopporto.» disse con voce bassa e dura, senza mollarmi il polso. 
«Sto. Bene.» scandii bene le parole. Alzai lo sguardo verso di lui, sperando che non notasse che avevo gli occhi leggermente arrossiti. Mi osservo per una decina di secondi interminabili, quegli occhi verdi si mescolarono con i miei, mi ci perdevo dentro. Fu lui il primo a cedere. 
«Mi dispiace», disse con voce malinconica, appoggiando la testa sulla mia spalla. «ho avuto una brutta mattinata.» Gli passai la mano libera tra i capelli mori, notai che quando feci passare le dita sul suo collo, si rilassò, mollando il mio polso. Non avevo mai visto Alexandre comportarsi così, di solito era lui quello che mi consolava, quindi non sapevo esattamente cosa fare. Mi diede un leggero bacio sul collo, e poi disse: «Penso che andrò a sdraiarmi un po’ a letto, ti dispiace?» E come facevo a dirgli che mi dispiaceva? Mi osservava con quegli occhi da cagnolino bastonato. 
«Certo che no, ti raggiungo subito.» dissi infilando le mani nelle tasche della felpa. Appena fù nell’altra stanza, sentii il dovere di controllare se mi aveva richiamata. Corsi al divano e accesi il telefono. Niente. Nessuna chiamata. Controllai anche la segreteria telefonica, ma non mi aveva lasciato nemmeno un messaggio. In quel momento provai delle emozioni forti, ma non so descriverle con chiarezza. E sinceramente, non sapevo se piangere o ridere. Scagliai il telefono per terra, arrabbiata e frustrata. E camminai lentamente verso l camera da letto. Vi trovai Alexandre, seduto sul bordo del letto, con le mani trai capelli, appoggiato alle ginocchia. Mi sedetti di fianco a lui, passandogli una mano sulla schiena. Pensai di chiedergli cosa era andato storto,  ma sapevo che non me lo avrebbe detto, e poi lui non lo aveva chiesto a me, e mi sembrò un colpo basso. Gli presi una mano, e sbottonai i bottoni dei polsini, feci lo stesso per l’altro polsino. Mi sedetti poi su una sua gamba, e iniziai a sbottonargli anche la camicia. Potevo sentire il suo sguardo confuso posarsi su di me.  Gli sfilai la camicia, e lo feci sdraiare spinge dolo delicatamente per le spalle. Sospirò leggermente quando la sua testa toccò il cuscino di piume. 
«Vuoi che ti porto qualcosa?» chiesi dolcemente, accarezzandogli i capelli. 
«No, grazie tesoro, sei un angelo.» quella frase mi fece tornare in mente gli angeli, ma questo non mi sembrava un buon momento per chiedergli della loro esistenza. Alex chiuse gli occhi. Feci per andarmene, anche se non volevo starmene di la da sola. Per fortuna Alex mi afferrò un braccio.
«Che fai?» chiese con gli occhi ancora chiusi.
«Ti lascio dormire.» risposi un po scioccata.
«No, vieni qua. Non voglio starmene da solo.» beh su una cosa eravamo d’accordo. Obbedii, visto che nemmeno io volevo starmene da sola.  Girai intorno al letto, e mi infilai nelle coperte.  Mi misi su un lato., rannicchiata.  Sentii la mano fredda di Alex passare sotto la felpa, e posarsi sulla mia pancia. Mille brividi mi attraversarono la schiena. Con la mano mi spinse verso di lui, aderendomi al suo corpo.  Potevo sentire il suo respiro sui miei capelli, non mi mossi nemmeno di un millimetro. La sua mano se ne stava li, ferma sul mio stomaco, era presto diventata calda, visto la mia temperatura corporea. 
«Ti amo.» fu un sussurro il suo. 
«Anche io.» la mia voce suonò come un bisbiglio, ma sapevo che lui lo aveva sentito forte e chiaro. Penso che il mio cuore smise di battere per qualche secondo. Solo dopo averle dette capii il significato di quelle parole. Lo amavo.  Non mi era mai successo prima, ma sentivo che avrei anche potuto passare il resto della mia vita con lui. Lo amavo, di sicuro. Mi diede un leggero bacio sulla spalla, facendomi venire i brividi.
«Sei bellissima.» disse con la voce un po' più alta.
Sorrisi nell'oscurità della stanza.
«E lo sei ancora di più quando arrossisci.» Ovviamente lui lo aveva notato. Questa cosa, di essere super sensibili a tutto, iniziava a darmi sui nervi.
Sorrisi. Strofinò dolcemente il suo naso contro la mia guancia, facendola tornare fredda. 
«Hai un odore buonissimo.» cercò di farlo suonare romantico, ma sapevo cosa intendeva veramente, per quanto quella frase potesse mettermi paura, non riuscivo a togliermi il sorriso dalle labbra. Mi amava. Posai una mano sulla sua, che era ancora pogiata sul mio stomaco. Iniziai a disegnare dei piccoli circoli sul dorso. 
«Come fai a...» non finii la frase, incerta.
«A...» continuò lui incoraggiandomi. 
Non continuai... non sapevo come furmulare la frase.
«A resisterti?» lo fece suonare come se intendessi che sono troppo bella per resistermi. Ovviamente non intendevo quello. Mi venne in mente quella ragazza, Rebecca, quella che avevo incontrato in bagno alla festa di Adda. 
«Non bevo sangue da molto tempo.» 
«Quindi non ne sei più attratto.»
«Hmm non è che non ne sono più attratto... solo di meno degli altri.»
«Altri tipo Carlos?» 
«Si.» la voce gli si abbassò mentre pronunciava quelle due lettere. 
«Ma vedi lui... con lui è un po' piu complessa la cosa.»
«Cioè?» chiesi io curiosa.
«Vedi di solito all inizio della trasformazione poi tutti anche se solo per un periodo di tempo stanno senza bere sangue, per poi decidere se smettere o no.»
«E quindi cosa centra con Carlos?»
«Lui non ha mai provato a smettere, quindi per lui è quasi come una droga, beve quasi ogni giorno.»
«M-ma non uccide vero?»
«Non sempre.» disse lui freddo.
Mi voltai verso di lui, sciogliendo il nostro abbraccio.
«Cosa vuol dire "non sempre"?» 
Alex distolse lo sguardo.
«Che il suangue che prendiamo dall'ospedale probabilmente è li gia da qualche giorno, e perde il gusto. E lui è incosciente di ciò che fa, quindi a volte se una bella cameriera gli fa gli occhioni dolci, allora lui...» non finì la frase. Mi venne in mente la cameriera che ci aveva servito a pranzo. Francesca, se non sbaglio. Anche lei era caduta nella trappola di Carlos? Mi vennero i brividi solo a pensare a quello che poteva fare a quella povera, innocente ragazza. Fui grata di sapere così tante cose su questo mondo, sapevo da chi dovevo starmene lontana ora.
«Io ti dico queste cose perchè il nostro mondo non è come te lo immagini. È oscuro, ed è pieno di gente...cose, che non vorresti mai incontrare.» 
Notai che aveva cambiato la parola "gente" con la parola "cose".
Continuava a on guardarmi. 
«Non avrei MAI dovuto dirti la verità.»
«Non dire così. Se non mi avessi mai detto al verità, probabilmente avrei pensato che eri un serial killer intento ad uccidermi.» dissi ridendo.
Ma lui non rise, anzi. 
Gli accarezzai la mascella.
«Non c'è da scherzarci, è per questo che me ne sono andato da Barcellona.»
«Non capisco.» dissi sinceramente.
«Sono partito perchè non volevo più vivere in quel mondo.» 
Non sapevo che dire, in parte perchè non capivo cosa intendessi, e in parte perchè non lo potevo comprendere.
Distolse lo sguardo dal soffitto, e mi guardò negli occhi.
«C'è la guerra, Caterina. E non è una guerra in cui ti vuoi ritrovare.» 
«Quindi scappi?» dissi un po' arrabbiata.
«Come?» disse lui con tono sorpreso.
«Non ti credevo uno che si tirava via dai problemi. Hai abbandonato la tua famiglia in tempo di guerra.»
«Non è così.» 
«E com'è allora? Cosa intendi fare? Non tornare mai piu a Barcellona? Se questa guerra è brutta come la fai sembrare, non ti pesa sapere che non sei li con i tuoi amici e con i tuoi familiari a combatterla?»
«Ovvio che mi pesa. Ogni giorno mi alzo da questo letto e vorrei essere li con loro, a combattere, a escogitare, e a salvarli.»
«E cosa ti trattiene qua allora?» appena finii di dire quella domanda, mi venne in mente una risposta.
«Tu.» 
«Vai a barcellona Alexandre. Aiutali.»
«Non posso lasciarti qua, mi si spezzerebbe il cuore in mille pezzi, e non sarei molto d'aiuto con un cuore spezzato.»
«E quindi cosa intendi fare?»
«Proporti di venire con me.»

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Capitolo 10
*** È Tempo di Decisioni ***


È Tempo di Decisioni

Ero gia sveglio da mezz'ora e 14 minuti, con esattezza. Tenevo gli occhi chiusi. Sentivo Caterina muoversi in giro per la stanza, vestirsi, a un certo punto prese un foglio e ci scrisse su qualcosa, velocemente, lo lasciò sul tavolo. Sperai con tutto il cuore, che quelle non furono parole d'addio. Non la avrei seguita, se le fossero state. Il mio orgoglio non me lo avrebbe mai permesso. E non volevo costringerla in qualcosa che non voleva. Era colpa mia, se quelle erano parole d'addio. Non le avrei mai dovuto dire del mio mondo, non l'avrei mai dovuta baciare, non l'avrei mai dovuta spiare, non l'avrei mai dovuta ascoltare, non l'avrei mai dovuta amare. Era tutta colpa mia, se quelle erano parole d'addio. 
Sperai con tutto il mio cuore non-battente che non lo fossero. Sentii la porta della camera da letto aprirsi, e poi chiudersi emettendo un suono forte. Se non voleva svegliarmi prima, ora lo voleva di sicuro. Aprii di scatto gli occhi. Il suo profumo non fluttuava più nella stanza. Mi alzai di scatto, e corsi alla scrivania. Presi il foglio e in circa 1 secondo lessi: 
 
 
Alexandre, 
Ho bisogno di tempo per pensare. Vado a fare un giro, non ti preoccupare per me. Tornerò.
Ti amo,
 
Caterina. 
 
 
Non era un no. Respirai profondamente, mentre riappoggiavo il biglietto sul tavolo. Non era un no. Sarebbe tornata, così aveva detto. Non mi avrebbe mai mentito. Lo sapeva benissimo che odiavo le bugie. Forse però era solo un modo per scappare. Forse stava solo aspettando il momento giusto per scappare, tornare a casa sua. Mi venne in mente suo padre, e improvvisamente mi venne voglia di tirare un pugno al muro. Confusi il pensare con il fare, e tirai un pugno al muro, che si sgretolò al mio tocco. Non mi feci male, ovviamente. Appoggiai la testa al muro per qualche secondo. Se non fosse tornata non so se avrei avuto il coraggio per affrontare i miei amici e mio zio, a Barcellona. Non so cosa avrei fatto, forse sarei rimasto li, in quella stanza d'hotel, avrei tirato pugni al muro tutto il giorno, e la avrei aspettata. Per sempre. Forse sarei andato a fare un viaggio, in un posto tipo il Tibet, o l'India. Peccato che v'ero gia stato. Inspirai profondamente, di nuovo. Sentivo caldo, molto caldo. Non mi era mai successo. 
Come se la pelle mi andasse a fuoco, come se le ossa stessero generando il fuoco. Il respiro mi mancava, non che ne avessi bisogno, ma non ero abitutato a non respirare. Sentivo come se stessi sudando, ma non stavo veramente sudando. Non potevo. Non mi poteva mancare il respiro, non stavo veramente andando a fuoco e non stavo sudando. Che avevo? Sentivo che sarei potuto morire. Camminai in giro per la stanza, con la testa fra le mani. Le tempie mi pulsavano. Lei DOVEVA tornare. Stavo impazzendo. Pensai a mio zio, Aaron.
Lo avevo abbandonato nel momento del bisogno. Dio, ero un uomo orribile. Uomo, si fa per dire. Mostro era la parola che mi si addiceva di più. Pensai che forse sarei dovuto andare a cercarla. Rilessi il biglietto.
 
 
Alexandre, 
Ho bisogno di tempo per pensare. Vado a fare un giro, non ti preoccupare per me. Tornerò.
Ti amo,
 
Caterina.
 
 
Nessun' indizio di dove poteva essere andata. Era gia andata via da un po' quindi non sarei mai riuscito a rintracciare il suo profumo. E se l'avessi persa per sempre? Tirai un altro pugno al muro, lasciando un grosso buco nella parete bianca. Aveva scritto "Ti Amo" ma forse lo aveva fatto solo per addolcire la pillola. 
Mi stavo creando il problema? Oddio non riuscivo nemmeno più a capire se mi stavo creando il problema, o se il problema esisteva veramente. "Vado a fare un giro." Ma cosa intendeva? perchè gli umani erano così complicati? non potevano semplicemente dire le cose come stavano?! Presi un respiro molto profondo. Non so perchè lo feci, ma chiamai mio Zio Aaron.
Quando sentii la sua voce rispondere con un: "Ale." duro e cattivo, desiderai di non avelo mai chiamato.
Non risposi subito, ma tanto lo sapevo che mi poteva sentire.
«Zio Aaron.» risposi un po' dubbioso.
«Alex.» ripetè lui.
«Ciao.»
«Ciao?»
«Si, ciao.» 
«Ciao.»
«La possiamo smettere?» dissi io frustrato.
«Si. Dove sei stato?»
«Sono a Milano.» risposi io sincero.
«Non in quel senso, nel senso che non ti fai sentire da mesi, ti sembra il modo di sparire? Sopratutto ora.» era il suo tono di rimprovero, però sotto sotto lui mi capiva.
«Non, non è il modo.» non mi ero scusato.
«Quando torni? Perchè tornerai vero? Ci servi...» era la voce della disperazione, le cose non stavano andando troppo bene.
«Tornerò. Presto, se le cose si risolvono, tra massimo due settimane sarò li.»
«E se le "cose" non si risolvono?»
«Sarò li dopodomani.» dissi amareggiato, sperando di non rivedere Barcellona ancora per un paio di settimane.
«Va bene. Non sparire, ti prego.» "ti prego"? Mi stava supplicando?
«Quanto male vanno le cose, Aaron?» 
«Su una scala da 1 a 10? 7, Ale. 7.»
«Sono arrivati?» chiesi io.
«No. Ma lo faranno, e presto. Almeno che non sistemiamo questo casino.»
«Hai parlato con Darius?»
«Ho parlato con Ximena.» 
«Ovviamente.» dissi sorridendo, pensando al significato del nome della ragazza: "ascoltatrice".
«Non sappiamo cosa fare, torna.»
«Lo farò. Ci sentiamo.» riattaccai il telefono.
Ero riuscito a togliermi dalla testa Caterina per un paio di minuti. 
La mia famiglia era in pericolo, sperai con tutto il mio cuore che Caterina tornasse da me, perchè anche se non volevo, sapevo che sarei dovuto tornare, e anche presto. 
Non potevo lasciare che Darius e i suoi seguaci scatenassero questo casino, dovevamo fermarli, prima che fosse troppo tardi. 
Sentii dei passi fuori dalla porta principale. La porta d'entrata cigolò, il profumo di Caterina rempì l'aria del mio semi-appartamento.
La sentii sfilare la giacca, il profumo si fece più forte. Era tornata, ma forse aveva solo dimenticato qualcosa.
«Alex?» la sentii chiamare il mio nome. Se il mio cuore fosse ancora battente, ora si sarebbe fermato di sicuro. Corsi in soggiorno. Ci mancava poco che non le piombavo adosso. 
«Ciao.» dissi con voce calma, allontanandomi di qualche passo, notando la sua faccia sorpresa.
«Non vuoi sapere dove sono stata?» chiese lei con tono provocatorio. Per caso si era scordata con chi aveva a che fare? Non mi piace essere provocato.
«Come ti pare.» 
«Come mi pare? Okay. Sono stata a casa mia.» disse lei guardando per terra, il sangue le affluì nelle guance violentamente. 
Quel suo sguardo perso distrusse tutte le barriere che mi ero posto.
La strinsi forte a me, avvolgendola con le mie braccie. 
«Non saresti dovuta andare senza di me.» pensai a cosa avrebbe potuto fargli suo padre, se ancora lo volevamo chiamare così. 
«Sono andata quando loro non c'erano, ho solo preso un paio di mie cose a cui tenevo, e dei vestiti.» 
Non mi ero nemmeno accorto della valigia che aveva lasciato all'entrata.
«Ma è una valigia.» dissi io sorpreso.
«Si.» 
«Quindi...» dissi scostandola leggermente.
Lei annuì leggermente, guardando fisso negli occhi. 
Speravo con tutto me stesso che non stesse scherzando. 
La baciai dolcemente.
«Ne sei sicura?» dissi sorridendo tra un bacio e l'altro.
«Mai stata più sicura.» rispose baciandomi. 
Ignorai completamente il bruciare della mia gola, ero troppo felice per pensarci. 
La fissavo negli occhi, sorridendo.
«Che c'è?» chiese lei ridendo.
«C'è che ti amo.» risposi io baciandola un altra volta.

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Capitolo 11
*** Whiskey Annacquato ***



Whiskey Annacquato

Quel mattino non parlammo molto, erano passati solo due giorni da quando Caterina aveva accettato la mia proposta di venire a Barcellona con me, e non sembrava aver cambiato idea.
È per quello che non partimmo il giorno stesso, volevo darle tempo per abituarsi all'idea, e se lo credeva giusto, di cambiarla.
Mentre camminavamo sulla pista dell'aereoporto, Caterina osservava colpita l'aereo. 
«Ma avete...»
«Un aereo privato? Si.» dissi io sorridendo.
la sentii leggere sottovoce: «Avión Real Española»
Sorrisi.
Salimmo sull'aereo, e ci accomodammo nelle due poltrone di pelle beije. 
«Wow.» disse lei una volta seduta.
«È un po' piccolo.» commentai io.
«Pfft, ma tu sei matto.» sorrise guardandosi attorno. 
Restò in silenzio, con gli occhi chiusi, finchè l'aereo non decollò.
Non appena l'aereo fù stabile, la hostess arrivò per servirci.
«¿Ustedes quieren tomar algo?» chiese con un tono gentile.
«Me gustaría un poco de whisky por favor.» chiesi io.
Osservai Caterina, capiva la maggior parte dello spagnolo, ma non tutto.
«Nada para mi, gracias.» disse sorridendo alla hostess.
«L'ho detto bene?» mi chiese sottovoce quando la hostess si allontanò.
«Non potevi dirlo meglio.» le risposi io sorridendole.
Osservai fuori dal finestrino.
«Mi puoi spiegare un po' meglio?»
«Spiegare cosa?» chiesi io guardandola confuso.
«Ciò che sta succedendo a Barcellona.» disse lei con disinvultura.
Sapevo che questa domanda sarebbe arrivata prima o poi, ma non ero ancora pronto per dirglielo. E comunque lei non era ancora pronta, volevo almeno darle un giorno per ambientarsi nella nuova casa senza essere troppo preoccupata per ciò che succederà poi.
«Te lo racconterò dopo la festa.»
«La festa?» la sua voce si alzò di un ottava.
«Si, non te lo avevo detto?» sapevo di non avergliene parlato...Caterina odia le feste.
«No, Alex!»
«Cosa?» chiesi facendo il finto tonto.
«M-m-a io non ho nulla da mettermi...» 
«Non ti preoccupare, ci ha gia pensato Liuva.»
«Liuva?» chiese lei, estremamente confusa.
«È un amica.» dissi prendendo il bicchiere di Whisky che mi porse la hostess.
Lo bevvi tutto d'un colpo. Non c'era molto alcohol doveva averlo mischiato con dell'acqua, vedendo il mio viso giovane. Eppure pensavo di aver usato il mio sorriso migliore.
«Tutto bene?» chiese preoccupata Caterina.
Chiusi un attimo gli occhi, e poi dissi con poca sincerità: «Certo.» 
Non vedevo mio Zio da un bel po' di tempo, Milano non era di certo la prima città in cui mi ero fermato da quando avevo lasciato Barcellona. So di certo che Priam e Liuva mi avrebbero accolto a braccia aperte, ma non potevo però dire lo stesso per Aelos ed Egick, non mi avrebbero mai perdonato per essere fuggito.
Egika non mi avrebbe perdonato per molte cose. 
 «Vamos a la tierra, se puede sujetar el cinturón de seguridad, por favor?»
«Ciertamente, gracias.» risposi io cordiale.
«Allacciati la cintura.» ordinai a Caterina, pensando che non avesse capito.
«Ho capito, ma perchè tu non te la allacci?»
Sorrisi.
«Oh, gia.» disse ridendo.
Pensai al fatto che io e Caterina non eravamo mai stati ad un appuntamento ufficiale, e decisi di programmare qualcosa per domani, forse una cena.
Forse una cena, che fanno di solito gli umani? Cinema e poi cena? Cena e poi cinema? A me non piacciono i film di quest'epoca. Sono strani, e pieni di "effetti speciali" che li rendono sciocchi. 
Perchè la gente non capisce il significato dei film d'epoca? Sono stupendi. 
Appena varcammo la soglia degli arrivi, ci accolse mio Zio Aaron. 
Mi abbracciò violentemente.
«Grazie a Dio, Alex.» ricambiai l'abbraccio.
«Zio Aaron.» ero veramente felicie di vederlo, mi era mancato davvero tanto.
Aaron sciolse l'abbraccio.
Si rivolse a Caterina, e lo sentii trattenere il fiato.
«Piacere, Aaron.»
«Caterina, piacere. Alexandre mi ha parlato molto di lei.»
«Lei? Dammi del tu.» 
Aaron le baciò la mano.
"È molto bella. E il suo profumo...è divino." mi trasmise Aaron. I suoi pensieri mi arrivavano più forti di quelli degli altri, forse perchè eravamo parenti.
"Divino?"
"Divino." confermò lui. 
«È andato bene il volo?» chiese Aaron con tono gentile a Caterina.
«Benissimo, l'aereo era comodissimo.» disse lei sorridendogli.
«Era piccolo.» catturai l'attenzione su di me, i due, che stavano camminando verso l'uscita dell'aereoporto davanti a me, si girarono.
«Come?» chiese Caterina.
«Era piccolo, l'aereo.» suonai un po' duro, ma Caterina non lo notò. 
Indietreggiò di qualche passo, e mi prese la mano, stringendomela forte, ricambiai. 
Una grossa Mercedes nera dai vetri oscurati era parcheggiata, Aaron tirò fuori le chiavi dalle tasche posteriori dei suoi jeans blu scuro.
Aprì il bagliaio, e delicatamente Aaron prese la valigia di Caterina e la appoggiò all'interno. Feci lo stesso con la mia. 
Feci accomodare Caterina sui sedili posteriori, e io e mio zio ci guardammo per un paio di secondi.
"No." mi disse lui mentalmente.
"No cosa?" chiesi io.
"No, è nuova." si riferiva alla macchina.
"E dunque?"
"Smettila di farmi quello sguardo, non te la faccio guidare."
Che palle. 
Salii, a malincuore, al posto del passeggiero, aveva detto la verità sulla macchina, profumava di pelle nuova. 
«Allora, come era Milano?» chiese Aaron. In quel preciso istante avrei tanto voluto avere la mano di Cate tra le mie. 
«Favolosa.» Avevo veramente detto favolosa? Ma che diavolo...
"Favolosa?" chiese lui.
"Favolosa." confermai io.
Io e Aaron tendevamo a ripetere le cose un paio di volte. 
Osservavo fuori dal finestrino, eravamo appena saliti sul ponte che oltrepassava il fiume Llobregat. Il sole splendeva alto nel cielo, e riempiva la città col suo calore.
"Ti è mancata?" La voce di Aaron nella mia mente mi fece tornare alla realtà.
"Non lo nego."
Sorrise.
«Sai, Caterina, sono sicuro che Barcellona ti piacerà un sacco.» disse con tono di incoraggiamento Aaron a Caterina.
«Non ho dubbi su quello.» disse lei gentilmente.
"Pazza." pensò Aaron.
"Perchè?" dissi io arrabbiato.
"È pazza, nessuna donna sana di mente ti avrebbe seguito fino a qua." Sorrisi a mia volta, lasciando scivolare via l'arrabbiatura per aver insultato il mio diamante più prezioso.
"Non ho mai detto che sia sana di mente."
"Beh allora siete fatti l'una per l'altro." non potei evitare di sorridere a quel pensiero, era vero. 
Passammo di fanco al Parc De Montijuic, ovviamente mi venne in mente la Fontana Magica di Montijuic, venne costruita in occasione dell'Esposizione Universale del 1929 da Carles Buïgas nello stesso posto in cui sorgevano Le Quattro Colonne di Josep Puig i Cadafalch demolite nel 1928. Non si è mai scoperto il motivo del perchè è stata chiamata "Magica" Ma io lo sapevo bene, intorno agli anni '20, la fontana di Montijuic era il ritrovo delle streghe, poi scomparse neglia anni '50, si dice che l'acqua della fontana sia ancora sotto effetto magico delle streghe, e che se bevuta, può indebolire qualsiasi essere non-umano. Sono solo sciocchezze, o almeno credo. 
«È tutto pronto per la festa stasera. Priam e Liuva non vedono l'ora di vederti. E verrà anche Carlos da quanto ho capito.»
«Ah si?» chiesi io poco sorpreso, e un po' annoiato.
«Gia.»
«Ah ci sarà anche Carlos?» la voce di Caterina suonò un po' preoccupata. Mi girai verso i sedili posteriori, per vedere la sua espressione. Sembrava abbastanza tranquilla, osservava il paesaggio, non si accorse nemmeno che la stavo guardando.
«Si, c'è qualche problema?»
"A che ti riferisci?" mi chiese Aaron.
«Come? Ehm n-no no.» disse lei fissandomi per un nano secondo, per poi riportare lo sguardo veros il panorama.
"Ale?"
La osservai per qualche secondo, rimase immobile, a osservare il paesaggio. Non so bene perchè mi stavo preoccupando, dopotutto si trattava del mio migliore amico, non le avrebbe mai fatto del male.
"Ale?!" disse più forte Aaron.
"Che c'è?" chiesi io sedendomi di nuovo composto.
"Ma a cosa ti riferivi?"
"Niente, lascia perdere."
"Ma..." non lo lasciai finire.
"Adesso basta." lo zittì.

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Capitolo 12
*** Amicizie Ritrovare ***


Amicizie Ritrovate

Isobell, la donna di servizio, venne a prendere le valigie non appena ci vide arrivare con la macchina. La Villa non mi sembrò mai così maestosa e grande. L'edera che saliva sulle mura era cresciuta, con l'arrivo dell'estate. Il grande portone marrone si spalancò, e Liuva mi corse in contro. Il suo fragile corpo si scontrò contro il mio, e per poco non cademmo per terra. 
Era piccola, ma fortissima. Scoppiai a ridere, mentre la sorreggievo con un braccio.
«Oddio Ale! Oddio! Oddio! Oddio!» urlò abbracciandomi forte a se. 
«Haha Liuva. Calmati.» sciolse l'abbraccio, e ci guardammo diritti negli occhi per qualche secondo. Dio quanto mi era mancata la mia Luvia. Profumava sempre di zucchero filato, e aveva sempre i soliti codini ai lati della testa. Non potevo smettere di sorridere. L'abbracciai di nuovo.
"Tu mi sei mancata più di tutte." confessai senza nemmeno accorgermene.
"Ma ora rimani qua, vero? Non te ne vai più vero? Abbiamo bisogno di te."
"Non me ne vado, lo giuro." sciolsi l'abbraccio.
Caterina si fece avanti, mettendosi al mio fianco.
«Oh, scusate. Liuva, lei è Caterina. Caterina lei è mia sorella Liuva.»
«Piacere!» gridò Liuva, stringendole la mano.
«Piacere. Ma hai detto sorella?»
«Beh io e Aluz non siamo esattamente fratello e sorella, però siamo così legati che è come se lo fosimmo.»
«Capisco.» disse Caterina sorridente. Sapevo che non poteva capire, e mi dispiaceva per lei.
«C'è Priam?» chiesi io.
«No, è uscito, è andato a fare un giro per il centro con gli altri. Ci sono solo io!» enfatizzò la parola "io".
"Dove sono andati?" chiesi io.
"In centro, davvero."
«Beh Caterina, se vuoi ti posso far fare un giro per la casa!»
«Penso che ci andremo a riposare, Liura. Il volo non è stato dei migliori.»
«Oh, mi dispiace!» enfatizzava sempre tutto.
«Ci vediamo dopo.» dissi baciandola sui capelli bruni. Afferrai la mano di Caterina, e la trascinai su per le scale e dentro La Villa.
Non parlammo finchè non entrammo nella nostra stanza, la mia vecchia stanza. Tutto era come lo avevo lasciato, niente era stato toccato o spostato.
«Wow.» mi ero quasi dimenticato di Caterina, stavo osservando la stanza. I raggi del sole filtravano dalle finestre e attraverso le tende, il letto era stato rifatto, e la stanza profumava di spiaggia, e del Profumo di Caterina.
«Hai la stanza più bella del mondo.» mi fece notare lei.
«Dovresti vedere quella di Liuva. La sua è strabiliante.»
«Siete molto legati.» disse mentre posava la sua borsa sul letto. Ci si sedette sopra.
«Gia, è come una sorella minore per me. Ma il nostro legame è molto più forte di una semplice parentela.» camminavo in giro per la camera, incredulo, mi era mancato tutto questo.
Controllai se i miei libri cerano ancora, tutti erano al loro posto tranne uno. "Alice nel Paese delle Meraviglie." ma sapevo dov'era.
«In che senso?» 
«Non so come fare a spiegartelo. Se lei un giorno dovesse morire, morirebbe una parte di me. E quando siamo lontani, non siamo più noi stessi.» 
«Sembra...intenso.» intenso era la parola esatta.
«Gia.» mi sedetti di fianco a lei. Presi la sua mano nella mia, e ne baciai il dorso, dolcemente.
«Vuoi dormire?» chiesi io dolcemente.
«No, il viaggio in aereo è stato rilassante.» 
Sorrisi, si accontentava con poco. Io lo avevo trovato scomodo, lungo, traballante, e il Whisky di certo non era buono.
«Non immaginavo che fosse così.» disse lei guardandosi attorno.
«Così come?»
«Beh, senza offesa eh, ma pensavo che vivreste in un castello fatto di pietre, e un po' inquietante.» 
Risi.
«Beh, non vogliamo attirare troppo l'attenzione su di noi, e un castello lo farebbe. E poi Liuva e Egica non sarebbero a proprio agio.»
«Chi è Egica? Ti ho gia sentito parlare di lei...» 
Il volto di Egica mi apparve in testa. Quei lunghi boccoli biondi chiaro che le ricadevano sulle piccole ma forti spalle, e quei occhi di ghiaccio dalle striature verdi mi fissavano. 
«Egica è...» come potevo iniziare a descrivere Egica? Il suo nome gotico significava "terrore" e "formidabile". E ne capivo il perchè. Non c'era nome più adatto di quello, per lei. Un secondo prima era la ragazza più gentile sulla faccia della Terra, e il secondo dopo...era il terrore allo stato puro. Non ci sono parole per descrivere ciò che ha fatto nel passato, quante persone innocenti ha ucciso. Cose che nessuno vorrebbe sognare di notte. Potevo descriverla così, oppure potevo dire che era la mia ex-ragazza. Che poi "ragazza" si fa per dire, lei non è di nessuno. Potevo raccontarle di quando vagavamo per Praga insieme, due vampiri spietati che dominavano l'Europa Centrale. Potevo raccontarle di quanto chaos abbiamo creato, e di quanto ce ne siamo pentiti, per poi concludere il racconto con la rottura di noi due. Ci potevamo a malapena guardare negli occhi, dopo ciò che avevamo fatto, potevo raccontarle quello, di Egica. Ma non lo feci, in parte perchè non volevo farle vedere la mia famiglia sotto una cattiva luce, e in parte perchè non sarei mai stato capace di descrivere la seconda opzione. 
«...lei era una mia carissima amica, ma ora non più. Ma andiamo d'accordo, più o meno.» in parte era la verità.
«Come mai?» Caterina era una ragazza estremamemnte curiosa, non ingenua, ma curiosa nel lato intelligente.
«È una lunga storia. Magari te la racconto un' altra volta.» 
«Chi altro fa parte della tua famiglia?»
«Puoi chiamarlo Clan, siamo il Clan di Barcellona. Beh, ci sono Aelos e Priam. Priam è il mio migliore amico, ed è formidabile, non vedo l'ora che tu lo conosca. È come un orso gigante. Il suo nome, in Greco, significa "estremamente coraggioso".»
«E lui è così?»
«Si», sorrisi, «Aelos è il fidanzato di Liuva.» dissi con un tono di disprezzo.
«Hmm, non sembri molto convinto.»
«Non lo sono, infatti.» Aelos era un ragazzo sui 18 anni, insolente come pochi, ed è incredibilmente testardo. Non è di certo una persona che ama stare nel gruppo. Forse un po' lo disprezzavo per un torto che mi fece tanti anni fa, e io non lo avevo ancora perdonato. 
«È un ragazzino, e non sa ciò che fa.»
«Quanti anni ha Liuva?» chiese lei corrugando la fronte.
«16 anni, è la più piccola. Ma fidati, è molto intelligente, e scaltra.»
«Ci credo, sembra molto...»
«Infantile?» suggerì io.
Annuì.
«Lei è quello che è perchè è stata forzata da qualcuno. Ha sofferto molto, non era una cosa ereditaria per lei, e penso che da quel giorno il tempo si è fermato per lei. Non è mai veramente andata avanti. Le piacciono gli arcobaleni, i fiori, gli unicorni, i lecca-lecca, e il suo libro preferito è "Alice nel Paese delle Meraviglie". Penso che si comporti così solo perchè vorrebbe tornare indietro, a quando era una bimba innocente.»
«La trovo una cosa molto triste. Mi dispiace, per lei.»
«Si, anche a me dispiace.» dissi malinconico. Mi dispiaceva veramente per lei, una parte di me mi dice che se tutto ciò non le fosse mai accaduto, noi non ci saremo mai incontrati, e molte cose sarebbero state diverse, forse non sarei nemmeno qua adesso. Ma l'altra parte, quella meno egoista, vorrebbe solo riportarla indietro nel tempo, e non lasciare che tutto le accada di nuovo.
«Tutto qui?» chiese lei incredula.
«Cosa tuto qui?»
«Siete in pochi...»
«Beh noi siamo in sei. Il Clan Di Madrid, quello di Carlos, è composto da cinque persone. E il Clan Di Valencia è pari a noi.»
«Ogni città ha un suo Clan?»
«Nono, sarebbe pieno di vampiri. Qua in Spagna siamo solo noi tre. Barcellona, Madrid e la Castiglia.»
«Ah, capisco.»
«Beh, vado un attimo a parlare con mio Zio, torno tra poco okay? Tu se vuoi inizia a mettere via le tue cose.» le diedi un bacio veloce sulle labbra e uscii dalla stanza. Camminai normalmente fino al piano di sopra. Bussai alla porta di mio Zio, anche se sapevo che c'era.
"Entra."
«Ehi.» dissi entrando. Mio Zio era seduto alla sua scrivenia, stava scrivendo una lettera a Ximena.
«Spiegami tutto. Dall'inizio.» dissi camminando verso la finestra. Spostai leggermente le tende, in giardino potevo vedere Liuva che raccoglieva dei Narcisi gialli, cantava una canzone a me molto familiare, "All By Myself".
«È scoppiata una sorta di guerra a Valencia.»
«Tra chi?» chiesi osservando liuva, saltellare in giro.
«Ximena, Epona e Alucard hanno litigato con Nian, Afrika e Darius.»
«Perchè?» chiesi sorpreso, non per il fatto che avessero litigato, ma per il fatto che Epona e Darius si fossero separati.
«Vedi, Epona sostiene che debbano smettere di bere sangue, e Darius sostiene il contrario. Non vuole essere più debole di noi.»
«E quindi? Epona e gli altri non possono semplicemente smettere di bere, e Darius, Afrika e Nian continuano?»
«Beh, è quello che sarebbe successo qua da noi, ma conosci Darius... è poco tollerante con coloro che gli disubbidiscono.»
«Comprendo.» mi ricordai della vecchia relazione che aveva avuto Aaron con Epona.
«Aaron, perdona la mia stupidità, ma non capisco perchè a noi importa? Sono fatti loro...»
«Importa perchè...» fece una pausa e continuò parlando sottovoce, «gli angeli, mormorano.» 
«Mormorano cosa? Pensavo che questa questione era stata chiusa in un cassetto tanti anni fa. Avevamo risolto, o mi sbaglio?»
«Non ti sbagli, ma Darius e i suoi stanno facendo un bel casino, creano scompiglio nella città, e Darius sta uccidendo parecchia gente.»
«Torneranno?»
«Se non fermiamo la situazione, penso di si. E non so se ci concederanno una seconda opportunità, Ale.» 
«Cosa hai fatto fino ad ora? Per fermare Darius?»
«Ho parlato con Ximena, ho suggerito che lei andasse a parlare con Darius e gli dicesse come stanno le cose.»
«E?»
«E non ha voluto vederla.» 
«Parlerò con Afrika.» Non andavo molto d'accordo con il Clan Di Valencia, anzi, ci odiavamo. Ma l'unica che mi andava a genio ero Afrika, anche se in questo caso era dalla parte sbagliata. Ma lei mi avrebbe ascoltato, e magari sarei riuscito a farle cambiare idea.
"Dove vai?" mi cheise mio zio mentre uscivo da camera sua.
"Ci vediamo dopo." 
Corsi fino al portone di camera mia, lo aprii leggermente. L'odore pungente del Profumo di Caterina mi colpì come un uragano. Osservai la scena che mi trovavo davanti.
Caterina stava frugando nella sua valigia, alla ricerca di una maglietta, visto che non ne indossava una. Non avevo mai notato che il suo Profumo era più forte senza così tanti vestiti. La mia mente mi suggerì di smettere di respirare, e forse anche di guardare,  ma il mio istinto ne voleva sempre di più. Si era cambiata. Indossava dei jeans blu scuro, aderenti. La facevano sembrare ancora più alta di quanto non lo fosse gia di suo. Era girata di spalle, e i lunghi capelli neri le coprivano il collo, ricadendo in avanti, con mio grande piacere.
Tirò fuori una camicia azzzura, e se la abbottonò. Da una parte ne ero felice, il Profumo si era indebolito, ma devo ammettere che non mi dispiaceva vederla in quel modo. Sono comunque un uomo. 
Bussai leggermente sulla porta, e lei si girò di scatto, spaventata.
«Alex. Mi hai spaventata.»
«Scusa, non era mia intenzione.» dissi schiarendomi la voce. 
Iniziò a farsi una coda di cavallo. 
«Ehm, io li lascerei giu se fossi in te.»
Non sembrò capire a cosa mi riferissi.
«Si sente di più il tuo Profumo...quando hai il collo scoperto. E non tutti qua hanno il mio stesso autocontrollo.» dissi pensando a Aeolos e Priam, vampiri da molto meno tempo di me. 
«Certo, scusami.» lasciò cadere i capelli sulle spalle. Era molto più carina con i capelli sciolti che le incorniciavano il viso rotondo. Mi avvicinai lentamente a lei, gli spostai una ciocca di capelli che gli cadeva sul viso. 
«Ti ho detto quanto sei carina?»
«Hmm no.»
«Beh sei bellissima.» le baciai dolcemente le labbra, lei ricambiò.
Poggiai una mano sul suo fianco e l'attirai vero di me, per approfondire il bacio.
I suoi baci sapevano sempre di Gelsomino. 
Posò le mani alla base del mio collo, mettendosi in punta di piedi. 
Le baciai dolemente il collo un paio di volte, e la gola iniziò immediatamente a bruciarmi, il suo Profumo mi invase la mente.
Ignorai il bruciore, e continuai a baciarle il collo, con la lingua disegnavo piccoli cerchi. Caterina si aggrappò alle mie spalle, e lo presi come un segno che dovevo continuare.
La strinsi ancora più a me, e morsi dolcemente la pelle, ovviamente senza "morderla" davvero. Oh la sua pelle era così fragile, candida, e... buona.
Cercai di riprendere il controllo della situazione, o meglio di me stesso.
Mi ritrassi per qualche secondo, e la gola smise di bruciarmi. La sentii ansimare per qualche secondo. 
Osservai il suo collo, c'era un cerchio violaceo.
«Forse è meglio se ti copri il collo, tra poco gli altri saranno qui.» suggerii io.
«Perchè scusa?» corse allo specchio che c'era sopra la mia scrivania, si sfiorò il segno violaceo.
«Mi sa che è meglio se mi metto una sciarpa.» rise.
Mi corse in contro, scontrandosi con il mio corpo, mi gettò le braccia al collo. E con un gran sorriso disse: «Sono proprio felice di essere venuta qua, con te.»
«Anche io sono felice.» lo ero, eccome. Ma prima o poi avrei dovuto parlarle di ciò che stava succedendo... ma decisi che preferivo il "poi" che il "prima."

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Capitolo 13
*** La Festa ***


La Festa
 
Avevo passato tutto il pomeriggio con Liuva. Era molto sveglia per essere solo una ragazza di 16 anni. Mi stava aiutando a mettere il vestito che aveva scelto per me. era stupendo, semplice. Un vestito bianco a fascia, con dei piccoli fiorellini rossi. 
«Che vuoi fare con i capelli?» mi chiese con la voce squillante.
«Hmm non saprei, Alexandre ha detto che forse era meglio se li lasciavo sciolti...per non attirare l'attenzione.» dissi fissandomi nello specchio.
«Beh si, o forse per nascondere il mega succhiotto che ti ha fatto mio fratello sul collo.»
Ma come diavolo aveva fatto. La fissai nello specchio, incredula, avevo tenuto i capelli sciolti tutto il tempo e lo coprivano perfettamente. 
«Sono una vampira, cara.» disse lei capendo le mie intenzioni.
«Beh, comunque penso che i tuoi bellissimi capelli neri fanno da contrasto al vestito bianco, quindi dovremmo lasciarli sciolti.» disse lei muovendoli un pochino con le mani.
«Senti ma com'è che riesci a starmi così vicina?»
«Sono vampira da un sacco di anni, hihi.» 
«Beh ma anche Alexandre lo è.» dissi io.
«Si ma io di più. Ti va bene se ti trucco?» mi chiese lei tirando fuori una borsetta dei trucchi.
«Beh io di solito non mi trucco...però perchè no.» l'ultima volta che mi ero truccata era alla festa degli Adda.
«Non ti preoccupare, ci metterò giusto una decina di secondi. Tu stai immobile.» ci mise veramente dieci secondi, con le sue doti da vampira. 
«Ouilà!» gridò felice una volta ferma.
Mi specchiai, ero molto diversa dal solito. Avevo un sacco di matita sotto gli occhi, che rendeva il mio sguardo molto più intrigante. L'ombretto nero dava un tocco di misterioso. E il blush rosa mi donava un po' di colore al viso.
«Wow, sei molto brava.»
«Hihi, grazie.» mi piaceva la sua voce, sembrava di parlare con una bambina di cinque anni. Immaginai che lo faceva apposta, a parlare così. 
«Sei super pronta!» 
«Grazie ancora Liuva, davvero.» mi sistemai velocemente i capelli.
«Non c'è di che, ora che stai con mio fratello, tu per me sei una sorella.» disse dandomi un bacetto sulla guancia.
«Oh beh, lo stsso vale per me.» Liuva era davvero una delizia.
«E poi devi un po' intimidire Egika.»
«Che intendi?» 
Mi osservò per qualche secondo.
«Beh, sai, farla ingelosire.»
«E perchè mai dovrebbe essere gelosa?»
«Perchè stai con Ale, mi sembra ovvio.»
Aspetta, questo significa che stavano insieme? Ma come facevano a vivere insieme? 
«Oh beh ovvio.» dissi io facendo finta di sapere tutto.
Perchè Alex mi avrebbe mentito su una cosa del genere? Io non gli mentivo mai.
«Bene! Comincia la festa!» 
«Mah...io non sento niente.»
«Beh, io si!» battè le mani velocemente un paio di volte, sorridendo. 
Qualcuno bussò alla porta. 
«Alee aspetta un attimo.» sussurrò Liuva.
Mi fece alzare e mi osservò dalla testa ai piedi, senza dire niente. Poi mi sorrise, e aprii la porta. 
Alexandre indossava una camicia biaca, notai che gli risaltava i muscoli,  e dei pantaloni di un vestito nero. 
Mi fissava stupito.
«C-che c'è?» chiesi preoccupata che ci fosse qualcosa di sbagliato, molto probabilmente il vestito mi stava troppo piccolo e i capelli facevano schifo.
«Wow. Sei bellisima, amore.» mi piaceva quando mi chiamava amore, mi faceva sempre venire i brividi.
«S-sei sicuro? Perchè forse posso tirarmi su i capelli...» me li tirai su a mo' di chignon. Alexandre sbattè velocemente le palpebre un paio di volte, e serrò la mascella. Lasciai ricadere i capelli, capendo che non avrebbe funzionato. Lo vidi rilassarsi leggermente.
«Stai benissimo così.»
«Tutto merito di tua sorella.» mi sembrava un po' strano chiamarla "sua sorella" però loro sembravano preferire così, e non ero nella posizione giusta per contraddire qualcuno della fmaiglia di Alexandre.
«Vieni, ti devo parlare.» disse prendendomi per mano, e trascinandomi in camera nostra. 
«Che c'è?» chiesi io divertita.
«Ti devo dare una cosa.» si avvicinò alla scrivania e tirò fuori una lunga scatolina blu. 
«Cos'è?» chiesi io quando me la porse.
«Aprila e vedrai.»
Era un bracciale, un piccolo e fine bracciale...di diamanti. 
«Tu sei matto. Non posso accettarlo, davvero.» dissi io sconvolta per il bellissimo bracciale.
Mi ignorò, prese il braccialetto e me lo chiuse sul polso. Mi stava perfettamente, i piccoli diamanti brillavano alla luce della luna, lo rendevano ancora più bello.
Osservavo quel bellissimo bracciale, e dovetti trattenere le lacrime. E ovviamente questo piccolo particolare non sfuggì ad Alexandre.
«Non ti piace?» chiese lui preoccupato. 
«Nessuno mi aveva mai regalato qualcosa di così bello.» Abbracciai Alexandre più forte che potevo, e lui ricambiò, un pochino sorpreso.
«Caterina, ti amo.» fù un sussurro il suo, ma lo compresi molto bene.
«Anche io, davvero.» ci abbracciamo ancora per un po'.
«Dai, ti presento gli altri.» Mi prese per mano, e camminammo fino al salone principale. E se non gli fossi piaciuta? 
Un ragazzo alto, e moro dai capelli ricci ci venne incontro non appena entrammo nella stanza.
«Ale!» aveva una voce molto bassa. Si abbracciarono per un paio di secondi.
«Piacere, Priam.» me lo immaginavo proprio così, come un orsacchiotto gigante.
«Caterina.»
«È un nome molto bello.» quando ci demmo la mano, Priam osservò stupito il bracciale di diamanti che mi aveva regalato Alexandre. Tornò a sorridermi pochi secondi dopo.
Un altro ragazzo raggiunse Alexandre, immaginai fosse Aelos, gli strinse la mano ma non si salutarono.
Si sporse verso di me. 
«Aelos.» era un ragazzo sui 18 anni, più o meno. Aveva dei capelli biondi che gli ricadevano sullla fronte, come andavano di moda adesso.
«Caterina.» ci demmo la mano. Notai che aveva la mano gelida, non semplicemente fredda, ma gelida, mi vennero i brividi sulle braccia.
Una bionda bellissima si fece avanti, scansando Aelos. 
«Piacere, Egika.» È inutile dire quanto mi sentii in imbarazzo davanti cotanta bellezza. Io ero un ratto confronto a lei.
«P-piacere.» ero leggermente intimidita dalla sua bellezza. Aveva degli occhi azzurri chiaro con delle striature verdi scure. Occhi unici, pensai.
Lei e Alexandre si scambiarono un occhiata veloce, il sorriso sparì dal viso di Alex.
Beh, se quella era la famiglia di Alexadre, sinceramente non capisco perchè qualcuno vorrebbe andarsene.
Notai che non c'era cibo in giro, solo alcolici. Ovviamente. Tutti tenevano in mano dei calici che contenevano del vino, o almeno sperai che fosse vino.
Tutti se ne stavano in silenzio, fissando me e Alex. Per fortuna Liuva ci raggiunse con il suo buon umore.
«Bene! Vi siete tutti presentati? Yuppy! Sono troppo felice che Alex sia tornato! E poi Caterina non è un amore?!?! Uh, tra poco Carlos e Axtone dovrebbero arrivare! Hmmm, Egika ADORO le tue scarpe dove le hai prese? Ehi che ne dite se facciamo un gioco? Forse potremmo giocare a Monopoly, o a badmington, oppure a golf, oppure potremmo andare a fare una passeggiata a cavallo. Egika ti ho gia detto che hai delle bellissime scarpe?» Era una macchinetta, parlava a vanvera e spesso diceva cose senza senso. Alex le posò una mano sulla spalla.
«Ehi, tutto bene?» le chiese preoccupato. Liuva lo fissò sorridente, dondolandosi sui talloni.
«Siamo stati BENISSIMO senza di te.» borbottò Egika.
«Che hai detto?» chiese lui con tono provocatorio, anche se la aveva sentita benissimo.
«Mi hai sentita.» rispose lei sorseggiando quello che mi sembrava vino. 
Alexandre le stava per rispondere, presi la sua mano nella mia. E si bloccò. La strinse, e io ricambiai.
«Alllooooraaaa non vi sarete mica ubriacati senza di me!» ci girammo tutti verso l'entrata. Carlos se ne stava li, con una bottiglia di champagne in mano. Un ragazzo sui 27 anni entrò in casa subito dopo di lui.
Carlos indossava una camicia azzurra semi aperta e abbottonata male, e dei jeans aderenti blu scuro.
«Carlos, ciao.» disse Ale, ma Carlos lo ignorò. Si diresse verso di me, e mi diede un lungo abbraccio.
«Oh, la mia umana preferita.» mi diede un grosso bacio sulla guancia. Mi prese la mano e mi fece fare una giravolta.
«Ma che sventola. Mi spieghi perchè stai con quello stolto del mio migliore amico, invece che con me?» risi.
«Okay, adesso basta.» Alexandre lo prese per il braccio e lo allontanò da me.
Si diedero la mano.
 
 
"Sei per caso ubriaco?" gli strinsi la mano più forte del dovuto.
Non mi rispose, e andò a salutare gli altri. 
«Ciao Alex, bentornato.» 
«Grazie.» dissi dando una pacca sulla spalla a Axtone, che era entrato dopo Carlos.
"È stato un giorno duro, scusalo." mi trasmise Axtone.
"Un giorno duro?" chiesi io.
Non mi rispose. Com'è che qui non mi rispondeva più nessuno? Beh, erano tutti arrabbiati con me, e avevano tutte le ragioni di esserlo. 
«Tieni.» dissi Luvia porgendo una coppa di Champagne a Caterina. 
«Grazie, Lu.» 
Ero immensamente grato a Liuva per come si comportava con Caterina, le dovevo un favore. 
"Vieni, andiamo fuori a parlare." mio zio Aaron mi fece cenno con la testa.
Uscimmo in giardino, e ci seguirono anche Carlos, Priam e Aelos. 
«Allora di che cosa...» iniziò a dire Aelos poco prima che Priam gli mise una mano sulla bocca, e gli fece segno di stare zitto.
"Ho parlato con Ximena nel pomeriggio." disse Aaron.
"Che ha detto?" chiesi io.
"Dice che ha cercato di parlare ad Afrika, di cercare un compromesso, ma non c'è nulla da fare. Darius non vuole parlare con nessuno di loro."
"Ma perchè? Non capisco. Se Ximena ha trovato una soluzione...allora perchè non ascoltarla?" Aelos era il più giovane di noi.
"Esiste una cosa chiamata orgoglio, e Darius ne possiede fin troppo." Priam chiarì le cose per Aelos.
"Che si fa ora?" chiese il giovane.
"Ale andrà a parlare con Afrika." disse Aaron con tono orgoglioso. Dovevo pur riscattarmi in qualche modo.
"Ale? Stai affidando una cosa così importante ad uno che ci ha abbandonati nel momento del bisogno?" quel ragazzino iniziava a starmi davvero sulle scatole.
«Forse non ti rendi conto di ciò che io...» dissi ad alta voce mentre avanzai verso Aelos. Fui bloccato subito da Priam, mi mise una mano sul petto. 
"Lascialo stare. Non può capire." Ero sicuro che Priam avesse mandato quel pensiero solo a me. Sbattei le palpebre un paio di volte,e  mi ritrassi, cercando di riprendere il controllo di me stesso.
"Come stavo dicendo, Ale andrà a parlare con Afrika."
"E il resto di noi cosa fa? Aspettiamo con le mani in mano? No grazie." la vocina di quell'insolente mi faceva impazzire.
"Cerchiamo di stare calmi per favore." come al solito Aaron era il collante di questa famiglia, cercava sempre di portare la pace."
"Ecco il piano..." 
 
 
 
«Quindi da quant'è che state insieme, tu e Aelos?»
«Da una ventina di anni.» disse lei sorridendo.
Okay, lo so che sono vampiri e che sono immortali...ma mi faceva un certo effetto sapere che stavano insieme da così tanto tempo.
«Ma non litigate mai?»
«Loro litigare? Haha.» la risata di Egika riempì la stanza. Se ne era stata zitta tutto il tempo, e ora cosa voleva?
Io e Liuva ci scambiammo un occhiata veloce.
«E invece, tu e Ale come vi siete conosciuti?» chiese lei con voce dolce. Sapevo a che gioco stava giocando, e mi piaceva.
Egika sbuffò.
«Beh la prima volta che l'ho visto eravamo in un parco.»
«In un parco?» chiese lei sorpresa.
«Si...e poi l'ho iniziato a vedere più spesso. Pensavo che fosse solo una coincidenza. Finchè non mi parlò in biblioteca.»
«Che ha detto?» 
«Io stavo leggendo un libro, Oliver Twist se non mi sbaglio, si è seduto davanti a me e con voce seduttiva e tenebrosa mi disse: "Non arrivi mai a leggere tutto quello che vorresti." citando Mughini»
«E tu che gli hai detto?» chiese lei veramente incuriosita dalla nostra storia.
Stavo per risponderle, ma qualcuno lo fece al posto mio.
«"Leggo per trovare delle perle di saggezza, non per capirne il significato."» la voce di Alex suonò forte nell'aria. 
«Aww ma che dolci.» Gridò Liuva battendo le mani.
Alexandre venne a sedersi sul divano di fianco a me. 
«E da quand'è che Ale sarebbe dolce?!» chiese Egika fissandolo negli occhi.
«Con me lo è sempre stato.» dissi baciando la mascella di Alexandre. Sorrise. 
Alex si avvicinò per darmi un bacio sui capelli, mi sussurrò all'orecchio: «hai sonno?» 
Scossi la testa. Non volevo perdermi niente di quello che la famiglia di Alex avrebbe potuto rilevarmi sul loro passato. 
Alex non mi parlava mai del suo passato, e devo ammettere che ci restavo male quando mi rispondeva con un "te lo dico un' altra volta" alle mie domande.
Per fortuna sembrava che Liuva fosse dalla mia parte, ovviamente non avrei mai parlato a Liuva del passato di Alex senza prima chiedere a lui. Ma che dovevo aspettarmi da lui? Era un ragazzo, o forse dovrei dire uomo, riservato. Non gli piaceva parlare di se stesso, e in parte capivo il perchè.
«Giochiamo a un gioco?» chiese Egika sempre con gli occhi fissi su Alexandre. 
«Yuppy! Che bello! A che gioco? Di là ho: Monopoly, Cluedo e come si chiama quel gioco dove hai la tua flotta e devi conquistare il mondo? Ah sii, Risiko. A che si gioca?» chiese Liuva alzandosi e saltellando sul posto.
«Giochiamo a "verità o penitenza". È il tuo gioco preferito, o mi sbaglio?» chiese con tono ammiccante rivolta ad Alex. A cosa si riferiva? 
«Ho sonno», disse alzandosi in piedi, «Andiamo?» ora si stava rivolgendo a me. Non sapevo che rispondere, Alexandre mi tese la mano. 
«A-anche io ho un po' di sonno.» dissi incerta. La mia risposta uscì più come una domanda, cercavo la conferma di Alexandre.
Mi prese la mano e mi fece alzare, mi sistemai il vestito.
«Grazie mille per la serata.» dissi rivolgendomi alla famiglia di Alexandre.
Nessuno mi rispose, se ne stavano tutti zitti, la maggior parte fissavano il pavimento. Perfino Carlos era ammutolito. Stavo zitto, prese un sorso dalla bottiglia di champagne, e mi fece un cenno con la testa. Mi ero per caso persa qualcosa?
Lo seguii fuori dal salone in silenzio, ed in silenzio rimasimo finchè non raggiungemmo la stanza da letto. Chiusi la porta dietro di me, lentamente, appoggiandomi ad essa con la schiena. Mi sfilaii i tacchi neri, e ritornai alla mia solita statura. Alexandre se ne stava in piedi, vicino alla finestra, osservava il giardino. 
«Alex?» chiesi un po' intimorita. Non rispose. Rimasi li, appoggiata alla porta per qualche minuti. Nessuno dei due aprì bocca. Nessuno si mosse. Sapevo che lui non avrebbe mai iniziato a parlare per prima, era troppo pieno d'orgoglio.
Dopo qualche minuto mi avvicinai alla finestra, lo guardai in faccia, ma lui aveva occhi solo per la luna.
«Alexandre?» gli sfiorai l'avambraccio con la mano. 
«Alex, che è successo prima?» parlavo solo io. Non mi rispose subito, ma dopo circa un minuto di silenzio parlò.
«Vai a dormire.» aveva la voce piatta e gelida. Ma per chi mi aveva presa? Sperava davvero che gli ubbidissi e andassi a cuccia come un bravo cucciolo? Era arrabbiato, non so per cosa e non so con chi, ma era arrabbiato. Non lo avevo mai visto così. Osservava ancora la luna, ma i suoi occhi sembravano vuoti.
«Spiegami.» dissi con un po' di speranza che finalmente mi avrebbe detto la verità, non sono stupida, mi ero accorta di tutte le bugie che mi aveva detto in quei giorni.
«Caterina, vai a dormire.» 
«No.» 
Chiuse gli occhi, sospirò profondamente.
«Caterina...» lo fermai prima che potesse darmi un altr ordine.
«Ho detto di no. Dimmi la verità.» dissi con voce ferma, potei capire che era sopreso dal fatto che gli avevo risposto in quel modo.
Non mi rispose.
«Sai, sei proprio un ipocrita.» dissi camminando verso il letto.
«Come hai detto scusa?» disse girandosi verso di me, guardandomi negli occhi per la prima volta da quando avevamo lasciato gli altri.
«Si, mi hai sentita. Ipocrita. Mi dici sempre che odi quando la gente ti mente, ma poi sei tu il primo a mentire alle persone. È davvero così difficile per te farmi entrare nella tua vita?» stavo praticamente urlando, di sicuro tutti i vampiri della casa mi aevano sentita forte e chiara.
«Che diavolo ti sarà mai successo di così brutto, eh?!» Non mi resi nemmeno conto delle parole che uscirono dalla mia bocca, mi ero completamente dimenticata che quello che mio padre aveva fatto a me, non era niente confronto a quello che i genitori di Alexandre avevano fatto a lui. Ero ammutolita, almeno quanto Alex. Mi sarei aspettata una reazione negativa, che mi ignorò, che urlò, che si arrabbiò, mi sarei aspettata di tutto, tranne quello che fece veramente.
Si avvicinò lentamente a me, mi sembrava che il tempo non passasse mai. Mi sfiorò la guancia destra con il dorso della mano.
Ero immobile, non riuscivo nemmeno a guardarlo in faccia. Quando mi raccontò la sua storia, ero ancora fortemente traumatizzata dalla mia, e forse non gli avevo dato il giusto peso. Non riuscivo nemmeno a scusarmi, le parole non uscivano.
«Ti amo, ma ti prego andiamo a letto ora. Domani è un altro giorno.» non aspettò per il mio consenso, ma glielo dovevo.
Si incamminò verso il letto, lo seguii. Non parlammo per il resto della notte, non ci abbracciammo come al solito, e non ci diedimo il bacio della buona notte.
Fortunatamente mi addormentai prima di lui, sperando che all'indomani, tutto sarebbe andato per il meglio.

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Capitolo 14
*** Rivelazioni ***


Scusate per il ritardo!! Spero che vi piaccia :) 

Rivelazioni


Quando mi svegliai ero sola. La luce filtrava dalle finestre. Mi osservai attorno, ma Alexandre non c'era.
Alzandomi dal letto mi accorsi di essere ancora vestita come la sera precedente, mi vennero subito immente le parole spregievoli che dissi ad Alexandre. E di come non si arrabbiò con me. Corsi in bagno a farmi una doccia. Lasciai cadere il bellissimo vestito che Lù mi aveva regalato, per terra, sul pavimento gelido. Entrai nella doccia, e lasciai che l'acqua bollente mi rilassò i muscoli. Ci volle ben altro per far andare via i sensi di colpa, di sicuro la doccia non era bastata. Mi sentivo malissimo, come vevo potuto trattare così l'unico uomo che mi aveva trattata con rispetto? Ero un ingrata. Spensi l'acqua e rimasi ferma per qualche minuto, ragionando su come farmi perdonare. Delle semplici scuse non sarebbero bastate, o almeno se io fossi stata al suo posto, non me le sarei fatte bastare. L'acqua mi gocciolava sulle gambe, facendomi il solletico.  Uscii dalla doccia e mi avvolsi nel grande asciugamano azzurro. Mi orsservai allo specchio. Avevo dei grandi aloni neri sotto agli occhi, l'ombretto era colato insieme alla matita e al mascara. Sembravo un pugile dopo un incontro in cui non aveva vinto. Cercai di sciacquaremlo via con un po' di fazzoletti e dell'acqua. Mi ero dimenticata a Milano lo struccante. Mi dava quasi fastidio guardarmi allo specchio. Camminai fino all'armadio, Lù mi aveva comprato un sacco di altri vestiti stupendi, ma i miei mi facevano sentire a casa. Mi infilai il reggiseno e le mutande nere. Qua faceva molto più caldo che a Milano, e decisi di mettermi dei pantaloncini corti, valorizzavano le mie lunghe gambe. Presi una cannottiera nera a derente e me la infalai, lasciando così cadere l'asciugamano per terra. Lo raccolsi e camminai di nuovo fino al bagno. Mi osservai allo specchio, i capelli bagnati mi ricadevano sulle spalle, mi feci una treccia. Notai il bracciale di diamanti che mi aveva regalato Alex la sera precedente. Forse, dopo il torto che gli avevo fatto, lo rivoleva indietro. Era bellissimo, e se me lo avesse richiesto indietro, mi si sarebbe spezzato il cuore. Mi venne anche in mente come la sera prima Priam lo aveva osservato, stupito. 
Speravo che Alex entrasse in camera da un momento all'altro. Volevo parlargli e chiarire, e non volevo girovagare da sola per la grande villa. Aspettai qualche minuto seduta sul letto, ma Alex non arrivò. Rinunciai, mi infilai delle ballerine nere e uscii dalla stanza. Decisi di andare verso il salone, anche perchè era l'unico posto in cui ero stata, a parte la camera da letto di Alexandre. Camminai per il lungo corridoio, e solo allora mi accorsi di quante stanze avesse quella casa. Scesi le scale un po' incerta. Camminai fino al salone senza incontrare nessuno, sentii due persone parlare. Fui felice di sentire la voce di Carlos. La seguii attraversando il salone e dirigendomi in un altra stanza, la cucina, pensai entrando.
«Ehi.» dissi sorridendo a Carlos. Di fianco a lui, appoggiato al bancone, c'era Priam. 
«Mademouiselle.» disse con tono ammiccante Carlos, mentre mi baciava la mano. Mi faceva ridere. 
«Ciao Caterina.» 
«Buongiorno Priam.» Priam mi era da subito sembrato un bravo ragazzo, era alto e muscoloso, e mi ricordava molto un orso. Aveva persino i capelli bruni.
«Dormito bene?» mi chiese Priam.
«Ehm si, certo.» mi sentivo un po' in imbarazzo per come avevamo lasciato la festa io e Alexandre, ieri sera. Non dovevo aver fatto una buona impressione.
«A-avete visto Alexandre?» chiesi un po' incerta. I due ragazzi si guardarono per circa due secondi. Carlos teneva in mano una bottiglia di birra, e ne bevve un sorso, lasciando la risposta a Priam.
«È in giardino.» rispose lui guardando per terra. 
«Grazie mille.» mi incamminai, ma mi fermai prima di uscire dalla stanza.
«Posso farvi una domanda?» chiesi di nuovo fissando Carlos, il quale era ora obbligato a rispondermi.
«Certo.» rispose Priam.
«È arrabbiato?» Speravo in una risposta da parte di Carlos. Pensò che lo notò e mi rispose lui.
«Arrabbiato non è la parola giusta. Sembra un po' triste, questo sì.» Gli feci un cenno di approvazione con la testa, e mi voltai verso l'uscita.
Ripercorsi tutto il salone, e aprii la vetrata che dava sul giardino. Scesi le piccole scale, e mi fermai qualche secondo ad ammirare il roseto.
Camminai in mezzo alle rose, in cerca di Alexandre. Una di esse catturò il mio sguardo. Mi inginocchiai sulla ghiaia rosata, facendomi male alla pelle. 
Una rosa nera se ne stava li, in mezzo a tutte le rose rosse e rosa. Si distingueva tra tutte le altre. Osservavo i piccoli vortici che generavano i petali incastrati l'uno nell'altro. Quei petali neri mi ricordarono lo sguardo di qualcuno, ma in quel momento non mi venne in mente di chi fosse. 
«Francis Thompson disse: "Non puoi cogliere un fiore, senza disturbare una stella".» mi voltai di scatto al suono della voce di Alexandre. Indossava una maglietta nera con scollo a V, e dei jeans neri, inutile dire quanto gli donavano, si abbinavano perfettamente ai suoi capelli scuri, facendo risaltare i suoi occhi azzurri.
Mi alzai in piedi, e con la mano tolsi dei sassolini che mi erano rimasti attaccati alle ginocchia, lasciando dei piccolini cerchiolini incisi nella pelle.
«Sei arrabbiato?» chiesi un po' incerta, Alex fissava il fiore nero.
«No», disse tranquillamente, «ieri sera non mi sarei dovuto comportare così. E hai ragione.»
«Ragione? Su cosa?» chiesi un po' confusa, forse per il fatto che non era arrabbiato. Io lo sarei stata.
«Ragione sul fatto che sono un ipocrita. Ti dico che non mi devi mentire, e poi sono io il primo a mentirti.»
Annuii lentamente. Non ci guardavamo negli occhi, lui stava ancora fissando il fiore alla mia sinistra. 
«Senti, io ci ho pensato e non devi dirmi tutto. Cioè se non vuoi...» dissi con voce un po' più sicura per far avviare il chiarimento che tanto aspettavo.
«No, ho intenzione di dirti tutto», chiuse gli occhi e riaprendoli si incontrarono con i miei, «ma non ora. A cena, stasera.» lo disse quasi come fosse un comando.
«A cena?» dissi alzando le sopraciglie.
«Si, ti porto fuori a cena, in un ristorante.»
«Come in un appuntamento?» chiesi io pensando che stesse facendo uno sforzo per rendere il nostro rapporto più normale.
«Si, proprio come in un appuntamento. Vuoi andare anche al cinema prima? Non mi piacciono i film moderni, ma farò uno sforzo.» disse ancora sorridendo, avvicinandosi a me.
«No, va bene solo la cena. Non mi piace molto nemmeno a me il cinema.» Gli gettai le braccia al collo, e mi strinse a se.
«Mi dispiace.» sussurai all'orecchio di Alexandre.
«Non fa niente.» rispose lui con tono freddo. Non mi offesi, aveva tutto il diritto di essere arrabbiato con me. 
Mi interessava così tanto sapere di cosa stava succedendo? Se non voleva dirmelo un motivo c'era, forse era una cosa privata, della famglia, o clan. Forse non voleva dirmi cosa stava accadendo solo perchè faceva troppo paura, oppure perchè lo intristiva. Ovviamente mi interessava sapere cosa stava succedendo, perchè io amo Alexandre, e se ami una persona, devi amarla per ogni singola parte di loro. Mi serviva sapere tutto, per amarlo. Dovevo scoprire ogni cosa, il brutto e il bello, il semplice e il complicato, la luce e le tenebre. Fui veramente felicie che finalmente avesse deciso di rivelarmi, stavolta senza mentirmi. O almeno lo speravo.
«Ti piace quella rosa?» mi chiese Alex sciogliendo l'abbraccio e scacciando via i miei pensieri. 
«Come?»
«La rosa...» disse facendo un cenno verso il fiore che stavo osservando prima. 
«Oh si, è stupenda. Non ne avevo mai vista una nera.» 
«Non è nera.» disse lui dolcemente.
«Hmm, si, lo è.» dissi con aria confusa, sorridendo.
Alex rise. «Penso che i tuoi occhi non vedano la differenza. Ma è di un bordeaux scurissimo, ma non è nera.» 
«Oh, peccato. Mi sarebbe piaciuto avere una rosa nera.»
«Beh, puoi averla. Dopo tutto, per te è nera.» 
«Si ma ora so che non lo è...quindi non ha senso.» dissi cercando di intravedere del bordeaux in quel che a me sembrava un nero cupo.
«Mi dispiace deluderti, tesoro, ma le rose nere non esistono.» disse lui baciandomi i capelli. 
«Come no? Ma io le ho viste in foto!» pensai a quella foto che mia mamma mi aveva mostrato quando ero piccola. Era una favolosa fotografa, o forse era favolosa solo ai miei occhi. Faceva principalmente foto ai fiori, agli animali, e alla natura. "«L'ho trovata in un giardino segreto.»" mi disse mentre mi mostrava la foto. Era nera, ci avrei scommesso. Era nera, non bordeaux. Nera.
«Non so cosa tu abbia visto...»
Era veramente nera? La rosa della foto di mia madre? Forse mi ero solo immaginata che fosse nera, forse era semplicemente rossa, rosa, o bianca. L'immaginazione fa brutti scherzi. 
«Torniamo dentro? Fa un po' freddo.» chiesi io. Le nuvole coprirono in fretta il sole. E la giornata si fece cupa, proprio come quella rosa. 
«Certo.» mi prese la mano, e restammo in silenzio finchè non raggiungemmo la cucina. I due ragazzi, Carlos e Priam erano ancora li, questa volta seduti al piccolo tavolino.
Notai lo sguardo di Carlos ricadere sulle mani mie e di Alexandre, che si tenevano. I suoi profondi occhi neri mi guardarono mentre parlava con Alex.
«Allora, che fate stasera?» Mi mettevano un po' di inquietudine quegli occhi neri, fissi sui miei. 
«Andiamo a cena fuori.»
«Che cosa romantica!» urlò Liuva entrando nella stanza, seguita poi da Aelos, che l'abbracciò da dietro, baciandole i capelli rossi. 
«Gia.» risposi io. Sentivo ancora gli occhi di Carlos fissi di me. 
«E voi invece?» chiese Alexandre, rivolto a tutti.
«Io e Lù rimaremo qua, a guardarci un film.» si scambiarono un bacio veloce.
«Beh, che ti aspetti da me?» disse sorridente Carlos, spostando finalmente gli occhi neri da me ad Alex.
«Io e Priam andremo a farci un giro per Barcellona, mi è mancata questa città.» 
«L'unica cosa che ti è mancata di Barcellona sono le ragazze.» disse Priam dandogli un colpo alla spalla. 
Scoppiammo tutti in una fragoroa risata, compreso Carlos. Era tornato tutto a posto.
 
 
«Dove stiamo andando?» mi chiese dubbiosa Caterina.
«In garage.» 
«Avete un garage?» disse con tono sconcertato.
«Certo, dove pensi che teniamo le nostre macchine?»
Non rispose. La presi per mano e le feci scendere dalle piccole scale, che dal giardino portavano al garage sotteraneo. 
Accesi la luce, più per lei che per me. 
Osservai le varie macchine, e poi vidi la mia, la mia bellissima Mustang GT Rossa fuoco. Dio se mi era mancata. Lasciai la mano di Caterina, senza nemmeno accorgermi. Camminai in fondo al garage. Sfiorai quella bellezza. 
«Mi sei mancata.» sussurrai aprendo lo sportello, per vedere se qualcuno c'era salito. Ognuno di noi aveva una macchina, persino Liuva, anche se in realtà non poteva. Aveva una patente falsa, un passaporto falso, e i documenti falsi. Ce li avevamo fatti fare da un capo molto importante dell'FBI, che conosceva molto bene Aaron. Quindi Liuva guidava senza problemi la sua Mini Cooper gialla. Caterina raggiunse me e la mia adorata macchina. 
«Dai andiamo.» dissi a Caterina, più che altro perchè volevo guidare la mia stupenda macchina.
Salì al posto del passeggiero. Chiusi la portiera, e poggiai le mani sul volante, sorridendo.
«Ma ti piace così tanto?»
«Piacere è dire poco.» dissi inserendo la marcia, fu un solievo sentire il rombare del motore. Mi rilassai sul sedile.
Uscimmo dal garage tranquillamente. Imboccammo subito la B-20. Finalmente potei accellerare, non mi servì guardare il tachimetro per sapere che stavo andando a 180 chilometri per ora.
«Alexandre il limite è di 120.» disse Caterina con tono preoccupato. Schivavo le macchine come se fossero mosche. La mia macchina rombò in segno di approvazione.
«Lo so, mi sto solo divertendo un po'. Non ti preoccupare.» dissi voltandomi verso di lei, teneva gli occhi fissi sulla strada.
«Ma che sei matto?! Guarda la strada!» urlò lei.
Presi poi la B-23 in direzione Est. Un paio di minuti dopo arivammo sulla Avinguda Diagonal, una strada principale, stavo andando molto più piano adesso. Seguivo i cartelli stradali, a malincuore. Sentii le spalle di Caterina rilassarsi notevolmente. Proseguii diritto alla rotonda.
«Allora, che ristorante è?» 
«Siamo quasi arrivati.» conclusi io in fretta, girai a destra, su una piccola stradina, e mi fermai proprio davanti all'Hotel Omm. Uscii dalla macchina, e lasciai le chiavi al valleto.
«Bella macchina, amico.» disse il giovane dai capelli bruni, sorridendo.
«Grazie.» 
Caterina mi raggiunse dall'altra parte della macchina. 
«Andiamo?» chiesi io, porgendogli il braccio.
«Aspetta, posso andare a vedere quella vetrina?» mi chiese indicando la vetrina di Pomellato.
«Certo.» le presi la mano nella mia.
«Alex, guarda che bella.» indicò con il dito una collana piccola. Aveva la catena fatta d'argento, e una piccola gemma di quello che mi parse Peridoto. Era un piccolo cerchio. Non era esattamente una collana per grandi feste. Era più che altro una collana da tutti i giorni.
«Si, è vero.» era semplice. Il colore mi ricordò molto gli occhi di Caterina, erano identici. 
«Non so se te l'ho gia detto, ma sei davvero bellissima stasera.» in casa non me ne ero accorto. Indossava un bellissimo vestito senza spalline verde scuro. Non era ne troppo corto ne troppo lungo, ma in ogni caso le sue gambe sembravano lunghissime, come al solito. Si era legata i capelli neri in una coda alta, sapendo che io sarei resistito comunque al suo dolce profumo. 
Non sembrò ascoltarmi, era come ipnotizzata da quella collana. Aveva una mano posata sulla vetrina, come se potesse toccare la piccola gemma verde.
Dovetti trascinarla via per convincerla ad entrare nel ristorante. 
L'Hotel Ommm era un hotel moderno, costruto da pochi anni. Da fuori poteva sembrare quasi sembrare un museo d'arte moderno. 
«È molto bello.» disse Caterina con gli occhi spalancati, guardandosi intorno.
C'ero gia stato un paio di volte, al ristorante. Offriva cibo spagnolo, ma allo stesso tempo era di classe e moderno.
In fondo al salone d'entrata c'era un certellone che mostrava il nome del ristorante: Moovida.
«Bienvenido a el Moovida,  ha reservado una mesa?» mi chiese cordialmente il metre.
«Si, Sambuy.» dissi io osservnado il ristorante. Le luci erano soffuse, e i camerieri vestiti bene. 
Il metre ci fece segno di seguirlo, ci accompagnò nella saletta privata, separata dal resto dei tavoli.
«Il cameriere arriva subito.» disse, capendo che la mia compagna non parlava bene Spagnolo.
Feci accomodare Caterina al piccolo tavolo, mi sedetti davanti a lei.
«Perchè siamo qui?»
«Volevo stare da solo con te.» in parte era vero, ma non volevo che gli altri sentissero la nostra conversazione, al quanto privata. Il cameriere arrivò poco dopo, verso del vino e dell'acqua. Sparì subito dopo, dietro ai separè.
Presi il calicie di vino, e lo mandai tutto giu a grandi sorsi. Molto meglio.
«Allora, che vuoi sapere?» chiesi io ri appoggiando il calice sul tavolo.
«Ehm, beh, penso che forse dovremmo iniziare dalle cose basilari. Di cosa tratta questa "guerra" se così la vuoi chiamare?» 
«Esistevano moltissimi vampiri, molti anni fa, e dunque le morti inspiegabili degli umani erano molte. Un anno, la cosa ci sfuggì di mano, un clan Svedese, quello di Stoccolma, sterminò metà della popolazione di Eksjö, una piccola cittadina. Gli angeli non ne furono contenti, si arrabbiarono molto, ci avevano gia avvisati parecchie volte.»
«Aspetta... hai detto angeli?» mi interruppe Caterina, facendo sparire il viaggio nel tempo che stavo percorrendo.
«Angeli. Esistono, ma non sono come te li immagini. Comunque, convocarono il Clan di Stoccolma, per assegnarli una punizione.» 
«Punizione? di che tipo?»
«Li uccisero. Uno per uno.» le parole uscirono gelate dalla mio bocca. «vennero a farci visita, a tutti i Clan Spagnoli. Ci dissero che una seconda occasione non ce la avrebbero data. Che non potevamo più comportarci così. Carlos disubbedì.»
«E?» chiese lei nervosamente.
«E dunque lo torturarono, per una settimana. La chiamarono Settimana Della Purificazione. Il Clan di Carlos, quello di Madrid, corse molti rischi, rischiarono di essere tutti puniti in modo esemplare. Ma, Aaron parlò con l'arcangelo Gabriele. Lui, come noi, voleva evitare un apocalisse, uno scontro tra vampiri e angeli.» mi fermai brevamente, il cameriere ci porse due piatti di pasta che avevo gia ordinato per telefono il giorno precedente.
Nessuno dei due toccò la pasta.
«Gabriele parlò con gli altri, in particolare con Raffaele, e conclusero che Carlos era gia stato punito abbastanza, e che il suo Clan non si meritava la stessa orrenda fine.»
Mi fermai per verificare che avesse appreso tutto. Sembrava leggermente scioccata, ma pensai che dopotutto lo sarei stato anche io. E lo sono. Mi fece cenno di continuare. 
«Il capo del Clan di Castiglia, Darius, è un vampiro in piena regola, si ciba solo di sangue umano e non gli importa niente degli altri. Epona, una del suo clan, lo ha contrastato, dicendogli che era forse più consono che smettessero di berne così tanto. Beh, lei voleva proprio smettere...ma Darius non si farà mai convincere. Hanno scatenato una piccola rivoluzione. Epona, Ximena e Alucard sono disposti a smettere, ma Nian, Afrika e Darius non lo sono. Dopo tant litigi, Darius ha voluto provare a tutti di essere più forte di Epona, e ha iniziato a uccidere molte persone, arrivando a una media di 3 per giorno. Gli angeli sussurrano che torneranno, se non riusciamo a controllare la situazione.» mi fermai, e bevvi anche il calicie con l'acqua, avevo la bocca asciutta.
«Torneranno...per fare cosa esattamente?»
«Ucciderci. Sono stati molto chiari, la scorsa volta, non ci sarà una seconda possibilità. E non aspetteranno a lungo, prima di tornare.»
«Q-quindi cosa pensate di fare?»
«Andrò a Valencia, per parlare con Afrika. È la più debole del gruppo di Darius, mi ascolterà, cercherò di convincerla a parlare con Darius, o almeno di stare dalla parte di Epona.»
«M-ma non puoi farlo da solo...» disse lei con occhi preoccupati.
«Si che posso, starò bene, non ti preoccupare. Aaron e Carlos stanno gia facendo un Piano B, in caso che gli angeli arrivino.» 
«Finito?»
«Finito.» dissi io sospirando. Non volevo che lei sapesse il resto delle cose orribili che gli angeli ci avevno fatto quando erano arrivati la prima volta, delle torture, le minacce, o come avevamo fatto ad invocare Gabriele.
«Possiamo tornare a casa?» chiese lei, guardandosi le mani, che teneva sulle gambe. Mi colpì il fatto che la chiamò "casa". Quella in cui abitava con la sua matrigna e suo padre none ra di certo una casa, e nemmeno la stanza dell'hotel, per quanto fosse bella, poteva essere chiamata casa.
«Certamente, tutto bene?»
«Si, è solo che ho bisogno di dormirci sopra.» 
«Ovvio.» era un umana, era più debole mentalmente di noi. Mi ero dimenticato che le grande notizie andavano date con calma. Forse avrei dovuto regalarle qualcosa, per addolcire la pillola. Si diceva così no? Pagai velocemente il conto, nessuno dei due aveva mangiato. Diedi le chiavi a Caterina, e le chiesi di aspettarmi in macchina, mentre pagavo. Qundo pochi minuti dopo uscii, Caterina era seduta nell'autovettura, appoggiata al finestrino appannato per colpa del freddo di Novembre. Mi sedetti al posto del guidatore, sbattendo la porta. La osservai per un paio di minuti, era bella quasi quanto un angelo, quando dormiva tranquilla. 

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Capitolo 15
*** Piani Segreti ***


 
Oh mio dio, scusatemi tantissimo per il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la scuola, e quindi non ho potuto scrivere!!!
Questo capitolo è mooolto corto, ma i prossimi saranno più lunghi.
 
Piani Segreti
 
Mi svegliai per colpa di qualche maleducato che bussava alla mia porta.
"Ale!" urlò fra i pensieri mio Zio.
Mi sedetti velocemente sul letto.
"Ma sei matto? Sono le 5:30!" dissi osservado l'orologio appoggiato al mio comodino.
Guardai velocemente Caterina. Dormiva beata. Aveva un debole sorriso sul viso, stava forse sognando?
"È importante, Ale. Afrika è qua."
Afrika? Ma non ha senso, perchè dovrebbe venire?
"Ma di cosa Diavolo stai parlando?!"
"Non nominarlo. Ti sto dicendo che Afrika e qua, e ti vuole parlare! Quindi se non ti dispiace, alzati dal letto e scendi in salotto."
Sentii i suoi passi che si allontanavano. Se Afrika era venuta fino a qua solo per parlarmi, voleva dire che qualcosa di grosso era successo.
Mi alzai velocemente, e in meno di due secondi mi infilai dei jeans neri e una camicia bianca. Mi guardai allo specchio, e sistemai leggermente i capelli. Diedi un ultimo sguardo a Caterina, prima di uscire dalla stanza. La luce del sole che passava dalla finestra in corridoio, non coperta dalle tende, mi abbagliò, svegliandomi.
Camminai normalmente giu dalle scale, potevo sentire che tutti erano nelle proprie camere. Aelos e Lù dormivono beati al buio totale della loro stanza. Priam stava facendo delle flessioni, ed Egika si stava pettinando i capelli d'oro, seduta sul suo letto. 
Perchè erano tranquilli nelle loro stanze, mentre giu c'era Afrika? Forse Zio Aaron non li aveva avvisati, ma perchè?
Scesi le scale, ritrovandomi Isobell davanti.
«Buongiorno Isobell.» le disse sorridendo, aveva in mano degli asciugami azzurri, profumavano decisamente di pulito.
«Buongiorno.» mi sorrise, e salii sulle scale da cui ero appena sceso.
Isobell non era una donna stupida, sapeva da tempo di noi, il suo bis nonno era uno di noi, ma per qualche strano motivo, fù anche l'unico della famiglia di Isobell.
Afrika era seduta sulla poltrona di mio Zio, mentre quest'ultimo stava camminando su e giù per la stanza.
«Afrika?!» dissi con tono un po' sorpreso, anche se sapevo che era arrivata. Non la vedevo da davvero molto tempo. Forse un paio di anni, o forse di più.
«Alexandre.» era l'unica, a parte Caterina, a chiamarmi col mio nome per intero. Si alzò e mi venne in contro, ci abbracciamo come vecchi amici, ma vecchi amici non lo eravamo.
«Cosa ti porta qua?» le chiesi cercando di non sembrare scortese.
«Mi dispiace piombare nella vostra bellissima dimora, ma ho bisogno d'aiuto.»
«Ti daremo tutto l'aiuto di cui hai bisogno.» disse con tono speranzoso mio Zio, facendole segno di ri accomodarsi sulla poltrona.
«L-la situazione ci è sfuggita d-di mano.» disse posandosi le mani sulla fronte. Ma aveva balbettato? I vampiri non balbettano mai.
«Raccontaci.» dissi io con tono sicuro, per incoraggiarla.
«I-o non volevo far del male a quelle persone. Darius aveva detto che era solo per poco tempo, solo per insegnare una lezione a Epona. Ma Epona non ha mollato, e nemmeno Darius. Sta uccidendo davvero molta gente, bisogna fermarlo.» alzò la testa mentre pronunciò la parola "uccidendo".
«E quindi noi cosa dovremmo fare?» chiesi io. Volevo bene ad Afrika, e sapevo che Aaron teneva tanto ad Epona, ma noi non centravamo veramente nulla.
«Parla con Darius, Aaron.» disse voltandosi verso di lui.
"Come?" chiesi io svelto ad Aaron.
Non mi rispose.
«Penso che ti sia sfuggito il piccolo fatto che io e Darius non siamo più amici.» disse lui con un sorriso amaro sul viso.
"Io non posso aiutarli, Ale."
"Capisco."
«M-ma dovete pur far qualcosa, loro arriveranno, e ci uccideranno tutti.» disse lei con gli occhi colmi di lacrime.
Che razza di vampiro è? I vampiri non piangono. Da quando era cambiata così tanto? O, piu che altro, cosa l'aveva cambaiata così tanto?
«Io posso parlare al massimo con Alucard, è l'unico del vostro "gruppo" con cui ho dei legami.» Mi avrebbe ascoltato di sicuro, ma dubitavo del suo aiuto.
«V-va bene. Qualsiasi cosa.» disse lei speranzosa.
«Se arriveranno, noi non vi proteggeremo. Questo lo dovete sapere.» disse mio Zio, riferendosi agli Angeli.
«O-okay.» 
«Vi aiuteremo, parlerò con Alucard. Ma è tutto ciò che posso fare.» dissi io. Mi sentivo male per Afrika, Clan sbagliato al momento sbagliato. 
«Che farai ora?» chiese mio Zio, riferendosi al fatto che forse sarebbe dovuta tornare da Epona.
«Io non voglio più bere, e poi»,
«No, aspetta.» dissi io interrompendola, «devi tornare da Darius, fare finta di niente. Sarai la nostra spia.» dissi io, sentendomi molto furbo.
«Non so se ne sono capace.» ammise lei guardando il pavimento.
«Beh o fai quello, e moriamo tutti. Scegli tu.» stavo usando il mio tono minaccioso, ed un po' ce la avevo con lei, per aver fatto la scelta sbagliata.
«Ci sto.»
 

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Capitolo 16
*** Cattive Idee e Regali Stupendi ***


Cattive Idee e Regali Stupendi
 
 
I miei pensieri furono interrotti da Alexandre, aprii la porta lentamente. Ero ancora sotto le coperte, al caldo, ma ero ormai sveglia da molto tempo. Forse un'oretta. Non mi piaceva svegliarmi senza Alex, non ne ero abituata. Avevamo praticamente passato gli ultmi due mese insieme, uscivamo insieme, mangiavamo insieme, giravamo persino per casa insieme, e dunque dormivamo anche insieme. Ma da quando eravamo arrivati a Barcellona, tra me e Alex c'era stato quasi un distacco. Io lo so che è un momento difficile per lui, io lo so che devo lasciarli i suoi spazi, perchè a lui non piace parlare dei suoi problemi. Ribadisco, non mi piace svegliarmi da sola, mi sento abbandonata. Non si chiama crisi di abbandono? O una cosa del genere... lo avevo letto in un libro di psicologia, credo. Mi girai di lato, per osservare Alex, immobile sulla soglia.
«Scusa, ti ho svegliata?» disse quasi con tono incredulo.
«No, ero gia sveglia.» gli sorrisi. 
La sera precedente ero troppo stanca, e tutte quelle news mi avevano sconvolto, insomma, i Clan, gli Angeli e tutte quelle guerre che non mi erano ancora molto chiare. 
Non ricambiò il mio sorriso, automaticamente, senza nemmeno accorgermene aggrottai la fronte, mi ingionicchiai sul letto. Coprendomi leggermente con la vestagli di seta bianca di mia  madre. 
«C'è qualcosa che non va?» chiesi un po' ansiosa. Alex sbuffò fortemente, scuotendo la testa, ma non era un "no", era solo un segno che le cose non andavano per niente bene.
«Alex?» 
Si sedette sul bordo del letto, prendo la mia mano fra le sue, fredde.
«Non è niente di brutto, non ti preoccupare.» disse facendomi dei leggeri grattini sul palmo. Anche se la sua voce faceva sembrare tutto più bello, non potevo non pensare che fosse una cosa brutta.
«Senti, io dovrei partire, per al massimo 4 giorni.» 
«E andare dove?» partire? Ma non posso stare da sola.
«Devo andare a Valencia, a discutere con un vampiro, Alucard.»
«Lui, però, sta dalla parte di Darius, se non mi sbaglio.»
«Si, devo parlargli e vedere se posso farlo ragionare, in qualche modo.» 
Fissai le sue mani, quelle lunghe dita affusolate,e coperte da quei grossi anelli, che però gli donavano.
Uno degli anelli, il più grosso, aveva una montatura grossa, in argento puro, l'anello era a forma di stemma, nero e argento, rappresentava uno stemma che avevo gia visto prima, ma in quel mometo non mi venne in mente dove. 
«Tu non puoi stare qui, Cate.» mi disse guardandomi negli occhi.
«Perchè no?» non mi voleva più? fore voleva rimandarmi a Milano? Non avrei mai avuto il coraggio di affrontare mio padre...
«Perchè non è sicuro,non capiamo bene perchè Afrika sia venuta a farci visita, questa mattina, lei dice di voler aiuto, ma non ci fidiamo. Potrebbe essere una trappola.»
«Quindi pensi che Milano sia più sicura...» non era una domanda, ma non era una propria affermazione.
«Milano? Ma di che stai parlando?» Alex mi accarezzò la guancia. Non capivo, che altra soluzione c'era.
«Beh, ma se qui non è sicuro...»
«Io intendevo chiederti se avresti accettato di andare a Madrid per questi quattro o cinque giorni.»
«A Madrid? Da Carlos?» chiesi con una voce un po' stridula.
«Beh, si. È la soluzione migliore, amore.»
Annuii con la testa.
Sarei davvero andata a stare a casa di Carlos, a Madrid per "quattro o cinque giorni" come aveva detto Alex? Carlos sembrava un tipo a posto, ma a volte mi metteva un po' di inquietudine, con quei suoi profondi occhi neri. Di un nero che avevo visto solo un'altra volta.
«Va bene?» disse sollevandomi il mente dolcemente.
«Va bene.» dissi, non perchè andasse veramente bene, ma perchè non volevo lagnarmi proprio ora quando Alex era pieno di problemi suoi da risolvere.
Ci abbracciamo per qualche minuto, ma a me sembrarono due secondi.
«Ti devo dare qualcosa.» mi disse Alex alzandosi dal letto, andando verso la scrivania, non mi ero nemmeno accorta che un pacchettino blu scuro, infiocchettato, era li.
«Cos'è?» chiesi io. Devo essere sincera, mi piaceva ricevere così tanti regali, ero pue sempre una ragazza.
«Apri.»
«A cosa devo questo regalo?»
«Non lo devi a niente, ti amo, tutto qua.» disse sorridendomi, gli sorrisi in ricambio.
Snodai il fiocco, e aprii la piccola scatolina azzurra.
Ero veramente sorpresa. Un piccola collanina d'argento, con una pietra verde giaceva li. In quella scatolina verde.
Era la stessa che mi aveva ipnotizzata la sera prima. Stupenda.
«Wow.»
«Ho visto come la guardavi, come se fosse la cosa più preziosa che tu abbia mai visto. Beh, per me, sei tu la cosa più preziosa che io abbia mai visto, e quella collana è il mio amore, per te.»
«Grazie mille, la indosserò, ongni giorno.»
«Fallo, ti prego.» disse baciandomi sulle labbra dolcemente.
«Mettimela.» gli dissi io tutta felice.
Me la infilò, e corsi allo specchio sopra la scrivania.
La pietra era della stessa tonalità di verde dei miei occhi, e risaltava molto visto i miei capelli neri. Era bellissima.
Alexandre mi raggiunse, abbracciandomi da dietro, mentre mi osservavo allo specchio. Quella collana mi rendava più bella, ne ero convinta.
Mi diede un dolce bacio sull'orecchio, prima di sussurrarmi con voce suodente: «Sei bella quanto un angelo.»
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Botta e Risposta ***


Botta e Risposta 
 
«Con Carlos starai al sicuro, te lo prometto.» Me lo ripeteva ormai da due giorni, ma ora che mi trovavo davanti all'aereo volevo sentirmelo dire più che mai.
«Prometti di chiamarmi ogni giorno?» chiesi fissando dubbiosa l'aereo.
«Te lo prometto. Caterina, sono solo quattro, massimo cinque, giorni. Non ti preoccupare.» mi sorrise, abbracciandomi. 
«Stai attento.» dissi sottovoce ma sapevo che Alex lo aveva sentito benissimo.
«Vedrai, ti piacerà Madrid, ne sono sicuro. E poi Carlos è una ottima guida. Vero?» disse sciogliendo l'abbraccio e rivolgendosi a Carlos, il quale stava parlando con il capitano.
«Certo, ti farò vedere il Palazzo Reale, il Museo del Prado, e poi Madrid è famosa per le sue serate di divertimento assoluto. Fidati, non ti accorgerai nemmeno che Ale non c'è.» 
Mi sorrise, ma non mi rasserenò per niente.
«Non credo.» dissi mettendo il broncio.
«Dai su, sali sull'aereo, vedrai che il tempo passa veloce.» mi disse Alexandre baciandomi sulla testa, prendendo la mia valigia. 
Gli diedi un bacio sulle labbra, e camminai verso l'aereo. Non mi fermai, solo perchè sapevo che sarei tornata indietro.
Salii sull'aereo, e mi accomodai in una delle poltrone di pelle beije, veramente comode. C'era una rivista sul tavolino: "Avión Real Española". La rivista della società. 
Ma quanto ci metteva Carlos a salire su uno stupido aereo. 
Osservai fuori dal finestrino.
Alex e Carlos stavano parlando. Non sembrava proprio una conversazione felice, Carlos diede una pacca sulla spalla ad Alex, e finalmente prese la valigia e venne verso l'aereo. Sono quasi sicura che mi vide, osservarli.
Mi rimisi in fretta a sedere. Presi la rivista in mano, e finsi di leggerla. 
Non lo guardai nemmeno, Carlos, mentre si stava per sedere davanti a me. Si bloccò, mi strappò la rivista dalla mano, e la girò, ridandomela.
«Non sapevo che tu sapessi leggere al contrario.» 
Merda.
Finsi di essere offesa, e la riappoggiai sul tavolino. 
Carlos stava scrivendo sul cellulare, mentre l'aereo iniziò a muoversi.
«Non lo sai che non si mandano messaggi sugli aerei? E se cadiamo?»
«Beh, io sono sicuro di sopravvivere. Quindi non mi interessa.» 
Fece un sorriso cattivo, continuando a scrivere. 
Chiusi gli occhi mentre l'aereo decollava, mi dava fastidio lo sbalzo di pressione.
Finalmente si stabilizzò.
Osservai Carlos, stava dormendo.
«Allacciati la cintura.» disse rimanendo immobile.
Lentamente me la allacciai.
La hostess arrivò poco dopo, con due bicchieri di quella che mi sembrava dell'acqua. 
Avevo proprio sete. Presi uno dei due bicchieri, e Carlos prese l'altro senza aprire gli occhi. 
Ne sorseggiai un pochino, prima di capire che non era acqua. 
Avevo come il fuoco in gola. Mi portai una mano alle labbra, e appoggiai velocemente il bicchiere sul tavolino.
«Che c'è non ti piace?» mi chiese Carlos sorridendo, il quale ovviamente sapeva che quello era un bicchiere di pura Vodka. 
«Carlos!» dissi quasi indignata.
«Dammi, lo bevo io.» notai solo allora che aveva gia bevuto il suo bicchiere. 
Glielo porsi, sfiorando le sue dita, ritrassi subito la mano. 
Bevve tutto d'un sorso. 
«Carlos posso farti una domanda?» chiesi osservandolo in modo particolare. 
Appoggiò il bicchiere sul tavolo, e mi rispose serio: «tutto quello che vuoi.»
«Perchè bevi così tanto?» 
«Perchè mi aiuta a rilassarmi. Per via di quella cosa che scorre nelle tue vene.» Sorrise, era un sorriso sarcastico, e scomparve dopo nemmeno un secondo.
«Si ma, anche Alexandre beve, ma non quanto te.»
«Gli ho promesso che non avrei bevuto sangue, in questi quattro giorni.» disse guardando per terra, come se stesse cercando di nascondere un segreto che però sapevano gia tutti.
«Mi dispiace, è colpa mia.»
«Mi farà di sicuro bene.» disse annuendo. 
Mi dispiaceva per lui, per colpa mia doveva astenersi. Alexandre mi aveva raccontato del fatto che Carlos non aveva mai nemmeno provato a smettere di bere sangue.
«Comunque, vedrai, più o meno Alexandre tornerà tutto intero. Forse un paio di ossa rotte.»
Mi dispiaceva per lui, e poi diceva una cosa così, e d'un tratto non mi dispiaceva più così tanto.
Alex mi aveva spiegato che non sarebbe successo niente, ai vampiri piace pianificare le battaglie in grande stile. Quindi non sarebbe successo nulla.
«Ti odio.» dissi scherzando.
«Poca è la differenza tra amare e odiare.»
E quando diceva cose del genere, mi dispiaceva ancora meno. 
L'aereo iniziò ad abbassarsi, finalmente, era stancante trovare una risposta da dare a Carlos, per ogni cosa che diceva per darmi fastidio. 
Osservai fuori dal finestrino, le nuvole iniziavano a sparire, e Madrid comparse. Non mi sarei mai immaginata Madrid come un posto pieno di verde, ma era proprio così. Montagne, parchi, alberi. Ne era pieno. C'erano un sacco di case, messe a caso, non aveva un senso. Erano quasi tutte sul chiaro, beije, bianche, rosa chiaro. 
L'aereoporto era lontano dal centro, chissà dove abitava. 
Chiusi gli occhi durante l'atterraggiò. Ma il pilota fù bravissimo.
«Dai, andiamo.» Carlos prese la mia valigia nera, lui non l'aveva. 
Lo sportello si aprii, e fecero scendere la scala.
Attentamente, per non rischiare di cadere, scesi. L'aria fredda mi colpì come un tempesta in un bel giorno d'estate.
Faceva molto più freddo che a Barcellona, anche sotto il sole che batteva forte. 
Camminai lungo la pista, osservando la piccola "casetta", se così si poteva chiamare, dove sarei dovuta entrare. 
Un signore della polizia stava seduto alla sua scrivania, e per il resto era completamente vuoto. Nessun agente della sicurezza, nessun controllo passaporti, niente.
«Carlos, ma che razza di aereoporto è?» chiesi a Carlos sottovoce, mentre ci dirigevamo verso l'uscita.
«È un aereoporto privato, della nostra famiglia.»
«Della tua famiglia?» 
«Della mia, e di Alex.»
«Ah capisco.»
Uscendo, il freddo mi ricolpì. 
C'era solo una macchina nel parcheggio, che comunque aveva pochissimi posti auto. Era una RangeRover rossa fuoco. Non ne avevo mai vista una così, mi ricordò molto la macchina rossa di Alex, che amava quasi quanto me.
Un ragazzo, dall'aspetto bello e solare, se ne stava li, appoggiato alla portiera. 
Si tolse i RayBan oro, e mi fissò, come se vedesse il sole dopo tanti anni passati in una cella buia.
«Piacere, Axtone.» mi disse il ragazzo biondo, porgendomi la mano, piena di anelli d'argento.
«Caterina.»
Carlos non lo salutò, aprii il grande baule, e ci appoggiò la mia valigia dentro.
«Nome interessante, il tuo.» Dissi al giovane biondo, dagli occhi azzurri.
«Profumo interessante, il tuo.» Gli uomini di questa famiglia avevano sempre la risposta pronta. 

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Capitolo 18
*** Sentirsi a Casa ***


Sentirsi a Casa
 
Se la casa di Alexandre era bellissima, quella di Carlos lo era ancora di più. Era gigantesca, i rampicanti ricoprivano le mura bianche della reggia, e il giardino era pieno di rose rosse e nere. Le mie preferite, neanche a farlo apposta.
«Wow.» fù tutto ciò che riuscii a dire, mentre il sole spariva, e veniva ricoperto dalle nuvole. Rendendo la reggia leggermente teatrale.
«Nina è dentro che ci aspetta.» disse il ragazzo biondo, Axtone, portando dentro la mia valigia. 
«È molto particolare.» dissi a Carlos, osservando la casa da fuori, ne ero terribilmente affascinata, era di sicuro molto antica, probabilmente 200 anni li aveva di sicuro. Ristaurata, di sicuro, ma sempre con quel fascino antico.
«Lo so che non è moderna, come quella di Ale, ci devi stare solo per poco.»
«Ho detto particolare, Carlos, non vuol dire che non mi piace, vuol dire che è bellissima.» camminavo lentamente sulle pietre per terra, verso il portone d'entrata, semi aperto.
L'aria era ancora fredda, erano più o meno le 2 del pomeriggio, ma faceva freddo. Osservai il cielo, il sole era ben nascosto e non sembrava voler tornare indietro. 
Mi strinsi le braccia al petto, sfiorandomi la pelle doca che avevo sulle braccia, con le dita. Mi bloccai al primo scalino. Osservai i gargoyle difianco a me, appoggiati su due piedistalli. Inquotevano terrore, si addicevano all'aspetto antico della casa, se non altro.
«Entriamo, hai freddo.» mi girai di scatto, sentendo la voce di Carlos fin troppo vicina. Girandomi confermai la mia teoria. Feci quasi automaticamente un passo indietro, inciampando nello scalino. Sarei di sicura caduta sugli scalini di cemento, se il braccio di Carlos non si fosse avvolto intorno alla mia vita, tenendomi più o meno in piedi. 
«Eh si, è proprio questo l'effetto che faccio alle donne.» sorrise, sarcastico come al solito. 
Mi alzai in piedi, diritta, e lo respinsi fortemente. 
«Ma smettila.» 
Carlos aprii completamente il portone d'entrata. 
Cercai di spiarvi l'interno, da dietro le spalle di Carlos. 
«Carlos?» una voce di donna lo chiamò.
«Nina.» disse lui non appena una alta ragazza mora si fece avanti. Carlos entrò in casa per abbracciarla. 
«Ti trovo bene.» confessò Carlos a Nina. 
Era una ragazza carina, altissima, forse un metro e settantasette, se non di più, e aveva i capelli lunghissimi, le ricadevano diritti sulle spalle, e arrivavano fino infondo alla schiena. 
La ragazza si girò verso di me, mi sorrise cordialmente e mi invitò ad entrare. Obbedii, ovviamente. 
«Io sono Nina, benvenuta a Madrid, vedrai che ti piacerà un sacco.» ma perchè me lo ripetevano tutti? Le strinsi la mano.
«Caterina.» mi presentai. Le luci della casa erano buie, e la grande scalinata che portava al piano di sopra, sembrava tenenbrosa. 
«Oh scusami per la luce, è che anche io sono appena arrivata e non ho fatto in tempo ad accederle tutte.» Mi sembrò strano che capì il mio pensiero, ma forse era solo il modo in cui osservavo le scale, come una ceca. 
Prese un piccolo telecomando bianco, appoggiato ad un tavolino all'entrata. La porta era ancora aperta, avrei douto chiuderla, ma così saremmo rimasti senza luce. 
Nina presse una paio di bottoncini, e le luci cominciarono ad accendersi, una ad una. Dovetti chiudere gli occhi per un paio di secondi, per abituarmi alla luce forte. 
«Ecco, così va meglio.» disse felice Nina.
Sembrava una persona normale, non so se mi spiego, la famiglia di Alexandre era fantastica, veramente, ma quella di Carlos mi faceva sentire a casa, anche se li avevo appena conosciuti.
La casa era bellissima, ogni angolo della casa era rifinito in oro, c'erano quadri appesi ovunque, vasi con fiori vistosi, e questo era solo l'ingresso.
La scalinta era tutto tranne che inquietante o tenebrosa, il corrimano era tutto in oro, e c'era un piccolo tappeto rosso sugli scalini. Sembrava un palazzo reale. La casa, gia da sola, metteva allegria. Sorrisi senza nemmeno accorgermene. 
«Ti piace?» mi chiese Carlos.
«Se mi piace? È stupenda.» camminai sorridendo verso le scale. 
«Dai ti faccio vedere camera tua.» mi disse Nina, raggiungendomi sulle scale. 
Carlos chiuse la porta, ma ormai non avevamo più bisogno della luce dell'esterno. 
Il piano di sopra, era bello quasi quanto il soggiorno. Le porte era di acero, pensai, fatte ad archi. Era semplicemente un corridoidoio di porte. Sul pavimento c'era la moquette rosa chiaro, e le pareti erano di un giallo tenue, sempre con le rifiniture in oro. 
«Allora la prima camera è la mia e di Axtone, l'hai conosciuto no?» mi chiese sorridente, indicando la porta all'inizio del corridoio.
«Axtone? Si l'ho conosciuto. State insieme?» 
«Si, da poco.» sorrise ancora di più. Era come se ogni volta che sorridesse, la stanza diventasse più luminosa. La capivo, sull'essere innamorati da poco.
«Hmm quella davanti alla mia, è il mio bagno. Poi la seconda è vuota, ci mettiamo solo dei documenti e robe varie. La terza è quella di Carlos, col bagno davanti. La querta è di Michelle», stava per finire ma la interruppi.
«Michelle?» chiesi io, non ricordarmi di aver incontrato una Michelle.
«Ah si, Michelle, ora lei non c'è, è in un viaggio per conto nostro.» sorrise debolemnte. 
Non sapevo cosa volesse veramente dire "in giro per conto nostro", ma non sembrava niente di troppo divertente. 
«E questa è la tua!» disse aprendo la penultima porta. 
La camera era bellissima, aveva un letto a baldacchino di almeno due piazze e mezzo, se non tre. I veli che lo ricoprivano erano bianchi, e cadevano leggeri nell'aria. 
Le finestre erano leggermente aperte, facendo entrare nella stanza un po' di aria pulita. Non la usavano da molto, pensai. 
«È davvero stupenda.» Sorrisi entrandovi dentro. Il bagno doveva essere quello davanti alla mia stanza, come per tutti gli altri. Avevo una sottospecie di cabina armadio, con una parete di soli specchi, e l'altra era composta da due grossi armadi gialli chiaro. 
La mia valigia era sulla piccola panchina nella cabina armadio. 
«Bene, ti lascio un po' da sola, ci vediamo dopo.» sorrise, e io ricambiai, chiuse la porta dietro di se.
Camminai sulla moquette per qualche minuto, osservando l'affresco che c'era sul soffitto. 
Corsi verso la finestra, osservai fuori, la mia finestra dava sul giardino d'entrata. Le rose nere e rosse lo decoravano. Cavolo se ero in alto, osservai sotto e mi venne un leggero calo di pressione, soffrivo di vertigini. 
Il sole non era ancora tornato, e dava un tocco teatrale al giardino, che confronto alla casa tendeva al grigio senza il sole.
La mia solitudine fù subito interrotta. Qualcuno bussò alla porta. 
«Avanti.» dissi sporgendomi un po' dalla finestra. 
«Cat?» 
Cat? Mi ha appena chiamata Cat?
«Come mi hai chiamata?» chiesi ridendo.
Carlos non si era nemmeno accorto di avermi chiamata così.
«Ehm ti piace la tua stanza?»
«È stupenda.» dissi andando verso il letto. Il copriletto era bianco, e c'erano delle piccole rose rosse ricamate sopra. Molto carine, pensai.
«Ehi, Carlos?» dissi seduta sul copriletto.
«Si?» chiese lui appoggiato alla porta.
«Che dipinto è quello sul soffitto?» chiesi indicandolo.
«La Morte di Giulio Cesare.» aveva le braccia conserte. 
«Oh beh...» risi.
«Perchè rdi?» mi chiese lui, sorridendo, uno di quei sorrisi che sompare dopo quasi un secondo.
«Perchè stiamo parlando di morte, in una casa di vampiri.» ridemmo tutti e due. 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Scintilla ***


Recensite!! Fatemi sapere cosa ne pensate di Carlos, e qualche consiglio sarebbe molto gradito! :D Buona lettura!!!
 
Scintilla
 
La pioggia arrivò poche ore dopo il mio arrivo a Madrid, mettendomi sempre più tristezza.
Eravamo tutti seduti nel grande soggiorno. Durante il pomeriggio, avevo imparato a conoscere Axtone meglio, non era il ragazzo strano e controverso che pensavo fosse, anzi, amava scherzare, ed era estremamente sincero.
«Da una scala da 1 a 10, quanto è più bello avere un fidanzato vampiro, confronto a uno umano?» chiese Axtone, scherzando.
Stavo per rispondere, ma Nina mi precedette.
«Ma che domande fai?» gli tirò un colpo al petto, quasi offesa.
«Sono solo curioso.» ammise stringendosi nelle spalle. 
Sorrisi senza rispondere alla domanda. 
«Sei sicura di non volere qualcosa da mangiare?» mi chiese Carlos preoccupato.
«Si davvero, sto bene.» ero troppo preoccupata per Alex per mangiare qualcosa. Erano le 9 di sera, e non mi aveva ancora chiamata, me ne stavo li, seduta, col cellulare in mano.
Un lampo illuminò la stanza, semi-buia. E tutti ci voltammo verso la finestra. Giusto per sentire il tuono circa 4 secondi dopo.
«Peccato per questo brutto tempo, speriamo che domani ci sia il sole, volevo portarti a fare un giro per la città.» mi sorrise Carlos.
Stavo quasi per rispondere che non vedevo l'ora, ma il telefono iniziò a squillare. Risposi senza nemmeno accorgrmene.
«Pronto?» 
«Ehi.» la voce di Alex mi colmò di felicità. 
«Alex.» Mi alzai senza guardare gli altri, e camminai fino alla grande cucina, sedendomi sul bacone centrale.
«Tutto bene?» chiese con voce neutrale.
«Oh si, tutto fantastico. Sai la casa di Carlos è stupenda, tutto è in oro, e Nina e Axtone sono persone fantastiche, mi hanno accolto come loro compare.»
«Ne sono felice amore.» 
«Però piove, ma Carlos ha promesso di portarmi a fare un giro domani, vedrò il Museo del Prado e il Palazzo Reale, ma ci credi? Fantastico.»
«Fantastico amore.» 
«E li come va? Hai parlato con qualcuno?»
«Si, ho parlato con qualcuno, se così si può dire.» aveva la voce bassa, triste.
«T-tutto bene?» 
«Si, tesoro, tutto bene.» 
«Okay...»
«Ti chiamo domani okay?» 
«Va bene, ti amo.»
«Anche io.» chiuse la telefonata. 
Rimasi quasi offesa, ma la sua voce mi suonò un po' triste. Quindi lasciai perdere. 
Tornai in salone.
C'era solo Carlos, intento a prepararsi un drink.
«Ehi, dove sono andati Nina e Axtone?» 
«Oh a letto, erano un po' stanchi. Era Alex vero?»
«Si, ti saluta.» non so perchè mentii, con esatezza.
Carlos annuì.
«Quello è scotch scommetto.» dissi andandogli incontro. Inciampai per sbaglio nel tappeto, per tenermi in piedi dovette appoggiarmi al tavolino degli alcolici. Un paio di bottiglie caddero ma Carlos le afferrò prima che toccarono il pavimento. Tutte tranne una, che si ruppe in mille pezzi di vetro, bagnando il parquet. 
Carlos si tirò su con la schiena, e sbuffò leggermente, riappoggiò sul tavolino le due bottiglie salvate. 
«Oh Dio, mi dispiace tantissimo, scusa è che sono inciampata nel tappeto, e...e...mi dispiace.» Osservai il liquido alcolico scorrere sul parquet. 
«Non fa niente, ma la prossima volta ricordati che ho solo due mani.» sorrise. 
Lo osservai mentre si sfilava la maglietta. Sotto indossava una cannottiera bianca, per fortuna. Si chinò con la maglietta di cotone in mano, e la appoggiò sulla chiazza di alcol per terra. Strofinandoci sopra. 
«Mi spiace per la maglietta.» 
«Non fa niente, davvero.» 
Non me ne accorsi subito, da dietro, potei notare delle piccole cicatrici rosa chiare alla base del collo, e delle altre sulle spalle. Erano piccole, ma si notavano, il rosa chiaro contrastava col bianco della sua pelle.
«Carlos?»
«Si?» Disse tirandosi su, non mi ero mai accorta di quanto fosse alto e muscoloso. 
«Come ti sei fatto quelle cicatrici?» 
Sembrò confuso per qualche secondo, ma poi capì a cosa mi riferivo.
«Te lo racconto un altra volta.» finse un sorriso,e ritornò a versarsi dello Scotch nel bicchiere.
«Raccontamelo ora.» dissi più decisa. 
Bevve il bicchiere di scotch in meno di tre secondi, e sospirò.
«Vai a letto Caterina.» quelle parole mi ricordarono le parole che mi ripetè Alexandre, la notte in cui litigammo.
«No.» e anche in quel caso "no" fu la mia risposta.
«Sono le dieci e mezza. Vai a dormire.»
«Non ho sonno.» 
Mi guardo con occhi di supplica. Come per dirmi che forse non è che non voleva raccontare la storia a me, ma che non la voleva raccontare a nessuno.
«Carlos...»
«Fammi bere dell'altro Scotch, poi te la racconto.»
Lo osservai mentre prese la bottiglia intera, e iniziò a bere a canna. 
Mi chiedevo come facesse a bere così tanto e non sentire niente, insomma non gli faceva nemmeno schifo. Qualsiasi umano si sarebbe gia fermato, ma lui non era umano.
Quasi schiantò la bottiglia vuota sul tavolo. 
Si passò una mano nei capelli, prima di sedersi sul divano. Mi sedetti di fianco a lui.
«Alex ti ha parlato degli angeli, no?» chiese guardando per terra. Poche volte avevo visto un vampiro guardare per terra. Non erano  mai imbarazzati, e dunque non erano preoccupati di raccontare nulla.
«S-si.» dissi non capendo subito il nesso.
«Quando vennero a farci visita, dopo l'assassinio del Clan di Stoccolma, ci dissero che non avremmo mai avuto una seconda chance.»
«Si mi ricordo, e dunque?» non capivo proprio, o forse me lo ero dimenticata.
«Io ero stupido, giovane e incoscente. Non mi andava giu che fossero loro a dirci cosa fare, e forse non capivo che loro erano nettamente più forti di noi. Perchè loro sono più forti di qualsiasi altra cosa io abbia mai affrontato o visto. Non ubbedii, e sterminai qualche famiglia in più del consentito. Lo feci apposta, e fui punito.»
La sua voce si strozzò sull'ultima parola. Ora mi ricordavo, lo avevano torturato, per sette giorni se non mi ricordavo male.
Non dissi niente, sul fatto di sapere gia la storia, forse perchè volevo sentirla raccontare da lui.
«Mi dispiace.» mi uscì come un sussurro.
«Va tutto bene, ora.» mise enfasi in quell "ora". Come se per tanto tempo le cose non fossero andate poi così bene. 
«Non devi raccontarmi il resto della storia, se non vuoi.»
Non rispose, era come immobile. A volte Alexandre lo faceva, rimaneva immobile come una statua. Ne erano capaci. 
Fissava per terra, non sbatteva mai le palpabre, non respirava, non si muoveva. Una statua.
«Carlos?» chiesi un po' dubbiosa. Non si mosse. Osservai i suoi occhi, erano come spenti, come se la scintilla di quegli occhi neri, fosse scomparsa. Tendevano più che altrò al grigio scuro, ora. Sembrava un disco rotto. Poi qualcosa ridieda la scintilla a quegli occhi. 
«Beh, io vado a dormire, ci vediamo domani.» Si alzò di scatto, e mi sorrise. 
Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere, e scomparve al piano di sopra. 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** La Rosa e le sue Spine ***


La Rosa e le sue Spine.
 
Qualcuno, o meglio, qualcosa, mi stava osservando. Ci avrei giurato. Cosa ci facevo nella foresta in ogni caso? Feci un passo in avanti, e mi accorsi di non avere su le scarpe. Mi osservai i piedi, appoggiati alle ruvide e secche foglie arancioni. Il cuore iniziò a battermi sempre più forte. Dov'ero? Ero in un bosco, di sicuro. Gli alberi erano altissimi, e se provavo a guardare in alto non vedevo altro che rami e foglie arancioni che si mescolavano, formando una ragnatela.
Mi guardai in torno con il cuore che batteva forte. Era solo un mare di foglie arancioni, l'aria era gelida. In lontananza potevo solo vedere un velo di nebbia. 
Snetivo quegli occhi su di me. Sentii delle foglie rompersi alla mia destra, mi girai ma non vidi niente. Pensai di scappare, ma chi mi diceva che c'era un modo per uscire da questo dedalo di alberi e foglie rotte? Mi passai una mano nei capelli, mordendomi il labbro inferiore. Sentii un altro rumore dietro di me, mi girai di scatto, causandomi un leggero giramento di testa. Niente. Stavo impazzendo? Di sicuro. Dio quello sguardo posato su di me mi stava facendo impazzire. Mi girai di nuovo di scatto verso la sinistra. Un ragazzo se ne stava li, in piedi, davanti a me. Un ragazzo biondo, dagli occhi grigi chiaro, quasi sull'argento. Stava a circa 5 metri da me, ma lo vedevo chiaramente in volto. 
Era perfetto. Viso perfetto, capelli perfetti, occhi perfetti, corpo perfetto. 
Aprii bocca per chiedergli chi fosse, e perchè mi stava osservando.
«Shh.» disse portandosi un dito sulle labbra, chiedendomi di tacere.
Non facevo più caso al cuore che stava praticamente esplodendo nel mio petto. Mi osservava, con il dito ancora sulle labbra, sorrideva. Non uno di quei bei sorrisi, uno di quelli che ti fanno a tua volta sorridere. Un sorriso maligno. 
«Rosam cape, spinam cave.» lo disse con molta teatralità, la voce era a dir poco stupenda. Ma c'era qualcosa di profondamente sbagliato in quel ragazzo, maligno, quasi. 
Non riuscivo nemmeno a parlare, il fiato mi si bloccava in gola. Qualcosa continuava a urlare nella mia mene: "non dire niente!"
Stavo zitta, ferma. Il ragazzo mi fissava. Sorrise un ultima volta, e poi finalmente, aprii gli occhi.
 
 
Mi alzai a sedere di scatto, respirando a fatica. Mi trovavo nella mia stanza, o meglio, quella in casa di Carlos. Respiravo ancora a fatica. Quando mi passai la mano nei capelli, potei sentire il sudore sulla fronte. Faceva estremamente caldo. Scesi dal letto alto, e accesi subito le luci della stanza. Odiavo il buio, e odiavo dormire da sola. Alex mi apparve nella mente, corsi sulla scrivania a prendere il cellulare. Andai sotto ultime chiamate, avevo pure le mani sudate, schiacciai il bottone verde. 
Partì subito la segreteria: «La persona que vos llama no está momentaneamente disponible.» 
Chiusi il telefono.
Pensavo al sogno, o meglio incubo, che avevo appena avuto. Gli occhi ghiacciati di quel ragazzo ricompasero nella mia mente, facendomi venire i brividi. 
Aveva detto qualcosa no? Qualcosa ma non in Italiano...ne in Spagnolo. Dai Cate, pensa. Era forse Latino? Qualcosa tipo: Rosa capem? e poi? Spinam caven? 
E dire che lo avevo pure studiato per due anni, ma era una delle lezioni che facevo al mattino presto, quindi non prestavo molto ascolto. Aprii il primo cassetto, e fui felice di trovarvi un blocchetto a quadretti, e una penna. Cercai di nuovo di ricordarmi le parole, ma era solo un ricordo confuso. Alla fine scrissi, con una calligrafia disordinata, "Rosam Capem, Spinem Cave". Non suonava giusto, ma mi venne solo quello in mente. 
Decisi che mi serviva una camomilla per calmarmi. Aprii lentamente la porta della camera, sperando di non svegliare nessuno. 
Le luci del corridoio erano spente. C'era solo la luna, che filtrava dalal finestra sopra le scale. Esitai passando di fianco la stanza di Carlos. Mi fermai, notando che la luce filtrava da sotto la porta. Era sveglio? Saranno state le 3. Continuai lungo il corridoio, scesi le scale silenziosamente. Corsi verso il tavolino di fianco all'entrata, presi il piccolo telecomando, e schiacciai il bottone che Nina aveva schiacciato prima. Si accesero le luci del piano terra. Camminai verso la cucina, passanodo per il salone notai che la maglietta di Carlos era ancora per terra. La raccolsi, puzzava estremamente di alcohol. La portai con me in cucina, la buttai nel lavandino di metallo, e lasciai scorrerci sopra l'acqua fredda. Cercai tra i vari cassetti, ma non c'era segno di bustine di tè. Aprii il grande frigor, era quasi vuoto. Giusto un paio di bistecche, del latte, dell'acqua e degli affettati. Presi la bottiglia di latte, e andai alla ricerca di un bicchiere. Aprii un paio di scompartimenti sopra il forno, ma non trovai altro che piatti. 
«Che cerchi?»  
Feci cadere il latte dallo spavento, ma qualcuno lo raccolse prima che toccasse terra. Pensai che fosse Carlos, ma mi sbagliavo. Axtone si allontanò velocemente da me, non appena prese la bottiglia del latte nelle mani. La appoggiò sul tavolino che ci separava. 
«Dio mi hai spaventata.» dissi toccandomi il petto, il cuore mi batteva forte. Ma che serata era? Tra la storia di Carlos, l'incubo, e questo...
«Scusami. Disse sorridendo, come se stesse ridendo ad una battuta che solo lui aveva colto.
Passò di fianco a me, aprii l'ulrimo sportello della credenza, e tirò fuori un bicchiere. Aprii la confezione del latte, e ne versò un po' dentro. 
«Tieni» sorrise. 
«Grazie.» mi sedetti al tavolo, mentre metteva via il latte.
«Axtone? Perchè sei vestito così?» osservai i pantaloncini corti che aveva addosso. Le scarpe da ginnastica, e una felpa nera. Lo guardai con sospetto.
«Oh, stavo andando a correre.» mi sorrise. 
«Tu cosa fai sveglia alle 5 del mattino?» Le 5? No impossibile...quel sogno era veramente durato così tanto?
«Ehh mi sono svegliata e non sono più riuscita ad addormentarmi. Pensavo di bere una camomilla, ma ho trovato il latte.»
Una porta al piano di sopra sbattè. 
«Carlos.» confermò Axtone, mi guardò come se fossi colpevole del cattivo umore di Carlos.
«Io non volevo...si insomma non volevo...»
«Riaprire vecchie ferite?» chiese con tono retorico. Aveva le braccia conserte. 
Sospirai, «gia.» 
«Gli piace farsi vedere come un tipo duro, ma dentro di sè soffre molto.» 
Annuii lentamente. 
«Se fossi in te,» mi avvertì, «non approffiterei troppo della pazienza e dell'autocontrollo di Carlos.» A cosa si riferiva? Parlavamo ancora di quello che gli era successo o no?
«C-certo. Non gliene parlerò più.» 
«Non mi riferivo a quello.» stavo per chiedergli a cosa si riferisse, ma era gia scomparso. Posai il bicchiere vuoto nel lavandino, e recuperai la maglietta di Carlos. Puzzava un po' meno di alcohol, ma era ancora terribilmente macchiata. Mi accorsi solo allora di cosa stavo indossando. Una camicia da notte di pizzo nero, e anche abbastanza corta. Axtone doveva essere un fidanzato molto fedele, probabilmente non se ne era nemmeno accorto. 
Rimasi li al lavandino, intenta a pulire le macchie di alcohol con il sapone. Un impresa non facile. 
Ripensai alla telefonata di Alexandre, c'era qualcosa che non andava nel tono della sua voce mentre mi parlava. Non mi ha dato nemmeno il tempo di chiedergli con chi aveva parlato...ero forse egoista? Si insomma, ho parlato solo di Madrid e di me stessa, non gli ho nemmeno detto quanto mi mancava. Volevo solo sentire la sua voce. Si, ero di sicuro un egoista. La stupida macchia non se ne voleva andare. Mi sorpresi quando il sole iniziò velocemente a sorgere. Dovevano essere le 6. Osservai il giardino di rose, fuori dalla finestra. La tenue luce del sole rendeva il giardino ancora più bello. Fui quasi spinta ad uscire in giardino.
L'aria era a dir poco gelida, il temporale aveva lasciato una aria fresca. Camminai sul sentiero bagnato, poco mi importava. Mi vennero subito i brividi lungo tutto il corpo, ma li ignorai. Ero nel paradiso terrestre, circondata da bellissime rose rosse e nere, anche se nere non erano. Il sentiero di pietre divideva esattamente le rose rosse da quelle nere. Mi sedetti a gambe incrociate sul sentiero di pietre, come una bambina dell'asilo, e a volte lo ero. Sfiorai i petali di una delle rose nore. Era la più piccola tra tutte le altre, e i petali erano ancora ben chiusi. C'era una cosa che non mi spiegavo, eravamo a metà novembre, come facevano le rose a essere ancora vive? E a fiorire?
Sentii dei passi di fianco a me, ma non mi voltai per guardare chi era. Carlos si accovacciò di fianco a me, sedendosi sulla punta dei piedi. Mi appoggiò un cappotto sulle spalle. E i brividi sparirono in un paio di secondi. 
«Perchè ci sono le rose?» chiesi osservando ancora quella più piccolina.
«Hmm cosa intendi?» aveva la voce stanca, come se avesse parlato per ore e ore.
«Siamo in inverno, o comunque autunno. Le rose ci sono solo in primavera e estate.»
«Si è vero.» sapevo che non mi avrebbe dato una risposta. Sorrisi.
Pensai che forse lui parlasse il Latino, essendo "vecchio".
«Posso farti una domanda? Ma non mi puoi chiedere da dove proviene.»
«Va bene.» 
«Cosa sgnifica "Rosam capem, spinem cave"?» 
«Rosam che? Forse intendi "Rosam cape, spinam cave"?» aveva un tono come per dire che ero stupida per non sapere perfettamente il Latino.
«Si quella cosa li.» l'immagine del bel ragazzo biondo mi ritornò in mente.
«Significa che se vuoi la rosa, devi prenderti anche le sue spine.» 
Ma cosa poteva sinificare? E perchè un bel ragazzo mi sarebbe venuto in sogno per dirmi una cosa del genere?
Se vuoi la rosa, devi prendere anche le sue spine. 
 

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Capitolo 21
*** Veleno e Acqua Santa ***


Veleno e Acqua Santa
 
Il veleno mi bruciava nelle vene, come alcohol versato su una ferita aperta. Non solo le vene mi bruciavano, ma la vista era ofuscata. Quella roba era micidiale.
«Darius ti prego, non sono venuto per iniziare una guerra.» dissi tossendo e barcollando verso di lui.
«Amico mio, siamo gia in guerra, non lo vedi?» La guerra l'aveva creata lui.
«Lo vedo, vedo solo che è colpa tua. E che un giorno sarà fatta giustizia.» Fui lieto di vedere la faccia arrabbiata di Darius, ma lo fui un po' meno, quando Alucard mi fece ingoiare acqua santa per farmi tacere. Appena Alucard mollò la presa sulle mie mascelle, iniziai a tossire, fino al punto di cadere inginocchiandomi sul pavimento freddo. 
«Stronzo.» bisbigliai tossendo.
«Che hai detto?» disse Alucard minaccioso, tirandomi su per le spalle. 
«Ho detto: stronzo.» sputai un po' di sangue per terra, dovuto alla gola andata a fuoco a causa dell'acqua santa.
Non ci pensò due volte prima di scaraventarmi contro una delle statue di marmo che c'erano nel palazzo.
Rimasi li, fermo per terra. Come un cane bastonato. Ero stufo di combattere.
Solo un immagine mi attraversò la mente, Caterina.
Lei con quei bellissimi ochi verdi, e quei bellissimi capelli neri. Mi guardava e sorrideva.
Cercai di rialzarmi, ma il veleno aveva gia fatto effetto. Non sentivo più niente, come una paralisi.
Avevo sonno, molto sonno. Le palpabre si chiudevano poco a poco, cercavo di rimanere sveglio, per non rimanere in balia di Darius. 
Come avevo fatto a cacciarmi in questa situazione? Non mi sarei mai dovuto fidare di Afrika. Io, che non mi fido mai, avevo visto un guizzo di speranza e sincerità nei suoi occhi, a Barcellona. Beh, la ragazza si meriterebbe un Oscar. 
L'unico pensiero che mi tirò un po' su il morale era che Caterina era a Madrid, salva. 
Avevo fatto giurare a Carlos di non bere sangue, durante la mia assenza, e di non dirle della chiamata che gli avevo fatto questa mattina verso le 5. Aveva promesso, e sapevo che non mi avrebbe mai tradito. Non mi uccideranno, pensai. Si scatenerebbe l'armageddon. 
O peggio, il paradiso e l'inferno. 

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