La Vita è un Sogno, Charles van Pelt.... di Good Old Charlie Brown (/viewuser.php?uid=97316)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Volo notturno ***
Capitolo 2: *** L'Interpretazione dei Sogni. ***
Capitolo 3: *** Dubbi e Paure ***
Capitolo 4: *** Quando i sogni diventano veri. ***
Capitolo 5: *** Ricercato! ***
Capitolo 6: *** Gelati e Discorsi ***
Capitolo 7: *** La Nobile Casata Balsamo ***
Capitolo 1 *** Un Volo notturno ***
Prologo: Volo Notturno.
Prologo.
Volo Notturno.
Charles
van Pelt stava volando. Era semplicemente meraviglioso librarsi
nell'aria, facendosi sostenere dalla forza delle correnti ascensionali, precipitarsi
a terra in picchiata, scartare a pochi metri dal suolo e poi
sollevarsi sbattendo con forza le ali per vincere, ancora una volta,
quella gravità che lo voleva avvinto a terra. Sentirsi un
tutt'uno con l'aria, quasi come se il corpo non esistesse, quasi che,
per qualche istante, pensieri e preoccupazioni potessero svanire, in un
vuoto privo di coscienza. Anche se non poteva durare a lungo.
Charles non
aveva amato le scope. Sapeva usarle, certo, come si dice che un
uomo che, pur non amando la guida, sa come fare funzionare un auto, ma
non era mai stato un campione, come il suo amico Hac. Proprio per
questo aveva scelto di diventare un Animagus. Per questo e per la sua mania di apprendere ogni cosa, come un vero
erede dello spirito di Rowena Ravenclaw, alla cui casa aveva reso onore
in sette anni di frequenza a Hogwarts.
Molte volte aveva pensato che sarebbe stato
molto opportuno registrarsi al Ministeto della Magia dal momento che
era divenuto Animagus illegalmente, durante la scuola, ma ora c'era
altro a cui pensare: dopo la morte di Dumbledore, l'ascesa al potere di
Voldemort sembrava inarrestabile: mettersi in mostra come Animagus, per
lui che era un Nato Babbano poteva portare qualche rischio di troppo.
Sempre trasformato in falco, Charles planò
dolcemente fino a posarsi dolcemente sul ramo di un vecchio tiglio,
proprio presso la sua casa: l'oscurità della notte di
agosto, ormai calata anche sul Kent, lo nascondeva agli occhi di tutti,
salvandolo dalla possibile curiosità dei Babbani che avrebbero
giudicato piuttosto insolito vedere un falco, in piena notte, in quella
parte dell'inghilerra.
Attese, immobile per qualche minuto, poi finalmente
la vide rientare. Provò un moto di intensa gioia che espresse
con un verso stridulo e immediatamente volle ristrasformarsi,
capì che quello era il momento di dirle, finalmente addio. Di
spiegarle. Lei sapeva già molto. Avrebbe capito. Atterrò
al suolo, piuttosto incerto nella sua forma di falco ma scoprì
con un certo orrore di non essere in grado di ristraformarsi.
"Ma che cavolo succede" pensò. "Perchè diamine non sono
tornato umano?" Un senso di panico lo attanagliò improvviso.
"Se qualcosa è andato storto, dovrò rimanere per
sempre in questo stato?" Eppure si era trasformato tante volte e senza
alcun problema....
CRACK
Il sonoro rumore di una Materializzazione interruppe il corso dei suoi
confusi pensieri. E Charles van Pelt avvertì una sensazione di
gelo innaturale e di un'oscurità più nera della notte: la
luce dei lampioni sembrava come scemata e tutto era come avvolto da
un'oscura nebbia soffocante. Ma Serena era ancora lì. Ferma.
"Perchè diamine non rientri? Torna in casa! Sai quanto è
pericoloso stare fuori!".
Una figura nera, incappucciata camminava a passi decisi verso di lei.
Il viso era celato da un'orribile maschera scura. Il Mangiamorte si
avvicinava a Serena, lento e inesorabile, ma lei sembrava come
pietrificata. Charles voleva intervenire, attaccando il Mangiamorte in
forma di falco, ma scoprì, sempre più terrorizzato, che
ora non riusciva nemmeno a muoversi. Poteva solo fissare la scena,
senza poter intervenire, senza nemmeno poter gridare. Quando
arrivò a pochi mentri da lei, il Mangiamorte, con un rapido
movimento estrasse la bacchetta e la puntà verso la ragazza...
«AVADA KEDAVRA»
Il gridò risuonò tetro nella notte, echeggiando sinistro,
come in una caverna. Il fiotto di luce verde colpì Serena al
cuore. Qualcosa di enorme sembrò aleggiare nell'aria. Serena cadde
morta, come una marionetta senza fili. Charles avrebbe voluto urlare,
piangere, attaccare quel cane che l'aveva uccisa, così, senza
nemmeno una ragione. Nemmeno gli animali si uccidono in questo modo. Ma
non riusciva a fare nulla. Bloccato come da un incantesimo Petrificus
e ancora un forma di Animagus. Poi venne la risata: il Mangiamorte
rideva. Rideva come un pazzo furioso, senza una vera gioia e senza
divertimento e la risata gelava il sangue nelle vene di Charles.
Poi il Mangiamorte, sempre ridendo follemente, accostò la mano
destra al viso, si calò si cappuccio e contemporaneamente si
tolse la maschera. E con profondo orrore, Charles lo potè vedere
in volto: capelli castani corti, ma piuttosto disordinati, occhi scuri,
coperti da spesse lenti e lo sguardo folle e assurdamente sofferente.
Il viso di un assassino. Il SUO viso.
Charles Joseph van Pelt si svegliò all'improvviso urlando, madido si sudore.
Note: Questa storia intende fare parte di una specie di serie dedicata
ad un personaggio "originale", Charles van Pelt appunto. Ho deciso,
di iniziare con questa storia che si colloca verso la fine delle sue
avventure, perchè è, in un certo senso il punto di
partenza delle mie idee sul personaggio. Ovviamente questa storia non
è finita qui e ci sarà presto (lo spero) una storia
più organica di come e quando Charles giunse a Hogwarts, dei
suoi amici e dei suoi compagni.
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Capitolo 2 *** L'Interpretazione dei Sogni. ***
L'Interpretazione dei Sogni.
Capitolo 1.
Dell'interpretazione dei sogni.
(e di paure più o meno nascoste)
Il sole era
già sorto da almeno un'ora, ma le finestre semichiuse lasciavano
la stanza di Charles ancora in penombra: egli se ne stava seduto sul
letto, respirando affannosamente, ancora piuttosto scosso. Il suo grido
improvviso aveva richiamato l'attenzione di sua madre che, piuttosto
preoccupata, spalancò la porta della sua camera.
«Cosa succede, Charlie? Ti ho sentito urlare»
«Non è niente mamma. Non temere. Solo, un brutto sogno."
«Un sogno?»
«Un incubo. Ma ora è passato, non ti preoccupare: i sogni sono solo sogni, no?»
«Va
bene. Quando vorrai fare colazione, il caffè è già
pronto». La donna chiuse la porta e si allontanò,
lasciando il figlio solo.
Charles van
Pelt non aveva mai frequentato Divinazione. Non è che avesse in
antipatia Sibilla Trelawney: semplicemente riteneva che non si
trattasse di una materia che fosse possibile insegnare e su cui si
potesse fare affidamento. Da suo padre aveva appreso, o forse
ereditato, una certa avversione per oroscopi, sogni premonitori e cose
di questo genere.
Tuttavia i fatti di un anno
prima, all'Ufficio Misteri, per come li aveva appresi dai confusi e
spesso contraddittori resoconti del Profeta, gli avevano in parte
aperto gli occhi sulla possibilità di fare profezie. (Questo
benchè, personalmente, ritenesse che Barnabas Cuffe1 avrebbe
volentieri riempito paginate intere sui Ricciolcorni Schiattosi e gli
Snorticoli Cornuti del Cavillo se solo avesse pensato di poter vendere
qualche copia in più).
E tuttavia, come ripeteva spesso
al suo amico Hac (che al contrario era arrivato persino a dare i
M.A.G.O. guadagnandosi la stima del Centauro Firenze), "conoscere in
anticipo il futuro non è nemmeno lontanamente interessante come
averne esperienza in quanto divenuto presente".
Malgrado
ciò il sogno di quella notte lo aveva sconvolto. In precedenza
non aveva mai dato alcun peso ai suoi sogni, anzi il più delle
volte semplicemente li dimenticava, non conservandone al risveglio il
minimo ricordo. Ora, però ogni particolare di quello
strano incubo sembrava essere stato vividamente scolpito nella sua
mente e sembrava anche voler emergere a tutti i costi dalla
memoria. Così Charles si ritrovò a ripercorrerlo
mentalmente: a partire dalla meravigliosa sensazione di gioia e di
libertà della prima parte, quella in cui volava sotto forma di
Animagus ("Forse dovrei davvero registrarmi" si disse, ancora una
volta, prima di scacciare quel pensiero come irrilevante). Ricordava la
gioia nel rivedere Serena e la decisione che, in sogno, aveva preso
all'improvviso di lasciarla, per proteggerla da ogni eventuale pericolo
("sarà meglio che lo faccia entro domani sera" pensò
fugacemente prima di scacciare anche quel secondo pensiero per
ritornare al sogno). E poi il terrore, dapprima nell'insolita
sensazione di non riuscire a tornare umano e poi..
Quasi non
riuscì a proseguire; si prese la testa fra le mani, ancora
profondamente scosso da ciò che aveva visto, seppure solo in una
visione onirica. Si ritrovò, come spesso gli accadeva a pensare
tra sé e sé.
"Cosa diamine
significa questa cosa? Può essere una visione? E' accaduto
qualcosa di grave a Serena? No, no.... queste sono sciocchezze. Non
può essere una visione. Era un sogno, solo un sogno e a Serena
non è accaduto nulla....Ma forse potrebbe essere un sogno
premonitore, una visione del futuro? No, no! Io non ucciderei mai
Serena e poi non potrei mai essere un Mangiamorte. Ma il sogno deve
pure significare qualcosa. Non può essere un caso se io, di
tutti i sogni che faccio, mi sono ricordato solo questo...".
Accese la luce e si alzò
in piedi, vestendosi per andare a fare colazione. Si muoveva
lentamente, sempre immerso nel flusso turbinoso dei suoi pensieri.
"Calma. Calma,
vediamo di riflettere. Prima di tutto perchè questo mi
è rimasto così impresso? Certamente perchè
è stato spaventoso. Ma qual'è la cosa che più mi
ha colpito, in tutto l'incubo? E' stato quando non riuscivo più
a tornare umano? Forse temo che la mia trasformazione in Animagus mi
crei qualche genere di problemi....No, è ridicolo. Anche se il
Ministero mi scoprisse, non rischierei più di una multa e di
qualche mese ad Azaban. Poi c'è stato l'omicidio di Serena" al
ricordo, benchè sapesse che non era altro che un sogno
rabbrividì. "Quindi forse ho fatto quel sogno perchè temo
che lei muoia? Forse, forse....Ma non è stato ancora il punto
più spaventoso, quello che mi ha fatto svegliare. Mi sono
svegliato solo quando ho visto il viso del Mangiamorte. Quando nel suo
viso ho visto il mio."....
Giunse in cucina e mentre
metteva sul fuoco la moka ripensò, quasi senza ragione, ad un
fatto avvenuto poco più di un anno prima, un ricordo che, dopo i
terribili eventi degli ultimi mesi, aveva come rimosso e che ora, forse
in virtù del sogno, gli ritornava prepotentemente alla memoria.
«C'è qualcosa che
non va in un armadio in soffitta» annunciò Hac con
uno sbadiglio «Che ne dici, Jack? Ce ne occupiamo noi?»
«Prima di tutto, Hac,
smettila di chiamarmi Jack! Sai che non lo sopporto! Non riesco a
capire perchè non mi puoi chiamare Charles o Charlie o in
qualunque modo che comprenda uno qualunque dei miei nomi!» disse
Charles levando appena gli occhi da 'Affrontare l'informe'
«Non mi piacciono i tuoi, nomi 'Charles Joseph', sono brutti. Preferisco di gran lunga Jack»
«Oh, Santo Cielo! Sentirsi
dire che i propri nomi sono brutti da un tizio vanta il nome di
Hackluit Gawain Riddle è davvero il colmo» rispose Charles
con un sorriso chiudendo finalmente il libro e appoggiandolo sul
tavolo. «Comunque, che cosa intendi con ‘qualcosa che non
va?’»
«Oh niente di che, in
realtà. Credo che si tratti semplicemente di un Molliccio. Ma
sarebbe interessante affrontarlo, non ti pare?»
«C'è un Molliccio in
un armadio?» intervenne dalla poltrona vicina la voce di Gwen
O'Sullivan. «Non è che sia poi molto interessante. Li
abbiamo affrontati con Lupin, al quarto anno, e li avremmo affrontati
anche prima se solo avessimo avuto professori di Difesa almeno decenti.
Alla fine sono piuttosto innocui»
«Non è questo quello
che intendo» ribattè Hac «Voglio dire: i Mollicci
fanno vedere le nostre paure più profonde no? Sono proprio
curioso di vedere quali sono...»
«Se ben ricordo, Hac - lo
interruppe, sempre sorridendo Charles - il TUO Molliccio si era
trasformato in un Lupo Mannaro...il povero prof. Lupin deve aver preso
un mezzo colpo» Scoppiò a ridere, insieme a Gwen. Hac
incrociò le braccia, fingendosi risentito.
«Oh, ma il prof. Lupin
è a posto. Non potrei mai avere paura di lui. Ma se avessi
sentito la metà di quello che ho sentito io su Fenrir
Greyback....e comunque non permetterò di essere preso in giro
sulle mie paure da una ragazza che teme gli scorpioni - e indicò
eloquentemente Gwen - o da un Ravenclaw che teme i corvi....» e
si rivolse con un ghigno a Charles, il quale si limitò a
scrollare le spalle.
«Quello che volevo dire -
proseguì poi Hac dopo un attimo di pausa - è che mi
piacerebbe vedere se in questi anni le nostre paure sono
cambiate...sapete dopo il ritorno di Voi-Sapete-Chi....in fondo siamo
cresciuti tutti».
Borbottando qualche parola in
assenso, Charles e Gwen seguirono Hac in soffitta. La casa dei Riddle
non era certo una residenza grandiosa, come quella di molte famiglie
purosangue inglesi, restava tuttavia una gran bella villa a due piani
con molte stanze e anche un piccolo giardino. La soffitta, che si
poteva raggiungere attraverso una botola, era molto ampia e polverosa
scarsamente illuminata dalle torce che si erano accese ad un cenno
della bacchetta di Hac; addossato ad una parete, proprio al centro,
c'era un vecchio armadio piuttosto malridotto che traballava
vistosamente, come scosso da una bestia nascosta al suo interno.
«Ecco, il Molliccio deve essere lì dentro!»
«L'avevamo capito, sai, Hac - rispose Gwen - Siamo discretamente
intelligenti».
«Allora chi lo affronta per
primo? - continuò Hac ignorando il commento della ragazza -
«Magari tu, Gwen, che capisci sempre tutto? Pronta ad affrontare
le tue paure?».
Gwen fece un cenno d'assenso e
avanzò verso l'armadio, sfoderando la bacchetta, mentre Hac
apriva lo apriva ("Alohomora"). Subito dall'armadio uscì un
gigantesco Schiopodo Sparacoda. Simile ad un enorme scorpione, ma molto
più orribile e molto più pericoloso. La coda vibrava
minacciosamente, come se stesse per esplodere in fiamme e la creatura
avanzava verso Gwen che esitò solo qualche secondo prima di
gridare «Riddikulus!». Dalla coda dello Schiopodo, invece
che una fiammata uscì un grosso mazzo di fiori di campo mentre
il corpo dello strano animale, 'creato' da Hagrid, diventava di un
colore rosa intenso. I tre risero, lasciando il Molliccio piuttosto
confuso e Hac avanzò per attaccare di nuovo. Con un sonoro CRACK
lo Schiopodo rosa si trasformò in un Lupo Mannaro che per
effetto dell’incantesimo si ridusse alle dimensioni di un
chihuahua. Infine, si fece avanti anche Charles; il Molliccio attese
per qualche secondo poi CRACK: una figura umana incappucciata, alta
più o meno come lo stesso Charles, avvolta in un lungo mantello
nero, il volto coperto da una maschera orribile. Il Mangiamorte
avanzò verso Charles che gridò «Riddikulus!»:
istantaneamente il vestito lungo del Mangiamorte divenne una lunga
veste a fiori, il cappuccio sostituito da un cappello con un avvoltoio
impagliato e la maschera si trasformava in una faccia da pagliaccio.
Allo scoppio di risate che seguì il Molliccio, definitivamente
sconfitto, svanì in una nuvola di fumo.
«Non
avrei mai pensato che ti facessero paura i Mangiamorte, Charlie.
Credevo che fossi ben deciso ad affrontarli».
«Non è proprio così Gwen. Non sono i Mangiamorte che mi fanno paura...»
«Intendi dire un
Mangiamorte in particolare? Ho sentito dire che Rodolphus Lestrange
è crudele quasi quanto Voldemort. E pare che Fenrir Greyback sia
anche lui alleato di Tu-Sai-Chi»
«No, no.
Non è
nemmeno questo, credo....accidenti è difficile da spiegare... -
rivolse uno sguardo esasperato ad Hac che continuava a sorridere
divertito. Inspirò profondamente e poi proseguì -
credo
che quel Mangiamorte, insomma... ero io...»
«Ma tu non sei un Mangiamorte» esclamò Hac a voce un po' troppo alta.
«Certo che no! Non sono forse un 'Sanguesporco'?»
«Non usare quella parola» lo interruppe Gwen protestando.
Charles agitò la mano,
come a scacciare quella protesta e proseguì. «Io voglio
lottare contro Voldemort e i suoi tirapiedi, capite? Ma cosa
succederebbe se nel combatterli diventassi come loro? Se iniziassi ad
usare le Arti Oscure, a provare piacere nel fare del male ai miei
avversari o, peggio ad ucciderli?»
«Non dire sciocchezze! Tu non sarai mai come loro!»
«Esatto, Jack»
intervenne Hac ignorando l'espressione insofferente dell'amico
all'ennesimo uso del nomignolo «Tu sei troppo nobile per
abbassarti al livello di un Mangiamorte! E non sei mai stato il tipo da
ricercare il potere per il potere!».
«Ma io ho anche studiato le
Arti Oscure" protestò Charles . "Insomma, è innegabile
che abbiano un certo fascino su di me!».
«Ma lo hai fatto solo per
desiderio di conoscenza, Charles!» rispose Gwen pestando un pugno
sul tavolo. «Per conoscerle e capire come contrastarle meglio!
Non è così? Insomma, io SO che tu non le vuoi usare»
Charles sorrise, sbuffando
leggermente: «Certo che sì. Ma credevo non approvassi,
Gwen. Ti sei arrabbiata come una bestia quando mi hai scoperto del
reparto proibito. Giuro che in quel momento il mio Molliccio saresti
stata tu». Charles fece un leggero sorriso.
«E ancora non approvo del
tutto Charles!" rispose lei "E non sei poi così in disaccordo
con me, a quanto vedo. Ma, insomma! Il fatto stesso che tu non voglia
essere come loro, dimostra inequivocabilmente che tu non sei come
loro?. Capisci?"
«Veramente, IO, non capisco" intervenne Hac, piuttosto confuso.
«Ma è semplice Hac:
Se uno teme di divenire ciò che potrebbe diventare seguendo una
certa strada, significa che non vuole essere ciò che teme di
diventare. Invece se uno vuole diventare ciò che vuole
diventare, significa che non teme ciò che vuole diventare. E
questo rende il primo diverso dal secondo. E' chiaro il concetto?"
«Sai,
Jack, ti odio davvero quando ti comporti come un maledetto, confondente
e profondo Ravenclaw»
Alcune note utili:
1 - Barnabas Cuffe è effettivamente il direttore del profeta.
Viene nominato da Slughorn/Lumacorno in Harry Potter e il Principe
Mezzosangue cap. 4. Tuttavia se nomino questo personaggio è come
omaggio a Morea e alla sua Teoria dell'Immutabilità.
2 - Il nome Hackuit esiste veramente, a quanto pare, io l'ho
trovato in
un elenco su un famoso dizionario. Mi serviva un nome che potesse avere
come diminutivo "Hac" e così ho scelto questo. Posso dirvi che
Hackuit è di famiglia purosangue, Slytherin ma non legato a
pregiudizi sul sangue puro. Non è parente dei Riddle di
Voldemort, ma il cognome mi piaceva così ho stabilito che il
padre di Charles è di origine Sudafricana.Nelle prossime storie
vedremo come sorse la sua amicizia con Charles.
3 - Llwellellin "Gwen" Michaela
O'Sullivan. Hufflepuff, della stessa età di Charles e Hac
è anche la ragazza di quest'ultimo.
4 - Charles è figlio di Babbani, il padre ha origini olandesi,
ma piuttosto remote, la madre invece è di orgine Italiana (su
questa parte della famiglia ci sono sorprese in serbo, ma non so ancora
come e quando svelarle).
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Capitolo 3 *** Dubbi e Paure ***
Preoccupazioni
Capitolo 2.
Dubbi e Paure.
«Sono preoccupata, Hac!» disse, per quella che era
probabilmente la decima volta, Gwen O’Sullivan. «Sono
davvero preoccupata».
«Lo sono anch’io, Gwen,» le
rispose lui sorridendo ironicamente «ma non credo che ripeterlo
almeno dieci volte al giorno possa giovare a qualcosa. Rilassati un
po’ per favore».
Gwen si alzò di scatto fissandolo in modo
truce e gli urlò contro «RILASSARMI! Rilassarmi,
dici! Accidenti a te, Hackluit Riddle! Come osi dirmi di
“rilassarmi”?! Non ti rendi conto della situazione che
c’è la fuori? I mangiamorte sono sempre più potenti
e sempre più vicini a vincere questa guerra. Il Ministero della
Magia non sa cavare un ragno da un buco, perché a causa di un
ministro totalmente idiota ha perso un intero anno a perseguitare
Potter e Dumbledore anziché fare qualcosa contro l’unico
vero nemico! La situazione è sempre più critica, tra
infiltrati vicino al Ministro, criminali fuori da Azkaban e i
dissennatori fuori controllo! Il Profeta cerca di rassicurare tutti,
certo! Ma chi ci crede? Con tutto questo io non dovrei essere
preoccupata Hac? Certo che lo devo essere! Perciò non osare mai,
MAI più dirmi di stare calma! Se tu hai dimenticato il cervello
ad Hogwarts, vedi di recuperalo in fretta! E vedi un po’ di
toglierti dalla faccia quel tuo sorrisetto ironico che mi fa venire i
nervi!».
Vedendola scattare in quel modo, Hac ripensò
con una punta di nostalgia ai tanti battibecchi che avevano avuto ad
Hogwarts prima (e dopo anche) di fidanzarsi alla fine del quinto anno.
Sorrise ancora più ampiamente. «Sai Gwen! Ti adoro
quando ti arrabbi in questo modo. Sei più bella che mai!».
«HAC RIDDLE! IO...»
«Dai, Gwen, scherzavo! Non farmi del male, ti
prego, sono troppo bello per essere ferito» aggiunse, di fronte
all’occhiata omicida della fidanzata. «Ascolta –
proseguì facendosi finalmente serio – credi davvero che io
non abbia pensato e non pensi a tutto questo? Che non abbia paura anche
io? Sono preoccupato quanto te da questa situazione. Ma davvero,
pensarci continuamente non porta a nulla. Quando succederà,
faremo quel che dovremo fare. Ma per il resto... è tutto troppo
fuori del nostro controllo per preoccuparci continuamente.
Perciò, ti prego, sorridi finché puoi, prima che ci
manchi anche la forza di farlo».
«Ma non capisci, Hac? È proprio questo
non poter far nulla che mi fa impazzire! Odio non poter far nulla!
Dover aspettare che le cose accadano senza poter far niente! Non voglio
permettere a Voldemort di prendere il potere! Non possiamo
permetterglielo Hac!»
Hac sospirò, si sedette accanto a lei e la abbracciò,
stringendola a sé con dolcezza. «Lo so, Gwen, lo so.
Neanche a me piace, te lo assicuro. Ma non possiamo fare altro che
aspettare, per ora. E sperare che tutto vada per il meglio».
«E se vincesse Hac? Se alla fine vincesse lui?»
Il suo tono era tanto incerto, il timore che vi
traspariva tanto evidente, che Hac esitò prima di risponderle,
ricordando quanto Gwen sapesse essere forte, molto più forte di
lui e di Charles e quanto ora si lasciasse scivolare nella
disperazione, come se tutta la sua forza fosse stata risucchiata da un
dissennatore.
«Se vincerà – “sai che
vincerà” non poté fare a meno di pensare
“ormai nulla lo potrà arrestare” allontanò
quel pensiero tetro, senza riuscire a scacciarlo – se
vincerà, potrà al massimo controllare il Ministero, o il
Profeta o Hogwarts, ma non potrà mai controllare noi. E alla
fine verrà sconfitto. Sono certo che sia così. Come che si giunge al mattino solo attraverso le ombre della notte. Alla fine
qualcuno più forte di lui verrà e lo
sconfiggerà».
«Stai parlando di Potter? Credi davvero che
lui possa essere “il Prescelto” come tutti dicono? Colui
che sconfiggerà Voldemort una volta per tutte?».
«Non lo so. Dicono che ci sia di mezzo anche
una profezia. Ma vedi, le profezie non sempre si avverano e quando lo
fanno non sempre avviene ciò che sembra più ovvio.
Almeno così mi ha detto Firenze. Vorrei
capirci di più».
«Charles non crede nelle profezie»
intervenne Gwen «diceva che sono tutte sciocchezze. Che prevedere
il futuro è inutile, se non impossibile. Ricordi?».
«Oh credo che Charlie si sia ricreduto su quel
punto. Beh, in parte almeno. Non penso che quello zuccone lo
ammetterà mai, ma so che è rimasto colpito dalla storia
dell’Ufficio Misteri».
«Lo hai chiamato Charlie!?» domandò Gwen, ritrovando finalmente un sorriso.
«Sì, Gwen, l’ho chiamato Charlie:
è quello il suo nome» rispose il ragazzo, un po’
interdetto «Insomma Charlie è il diminutivo di Charles, a
casa mia».
«LO SO!» rispose lei seccata «Ma
tu lo chiami continuamente “Jack”, anche se il suo secondo
nome è “Joseph” e non “Jonh”. Non penso
di averti mai sentito usare il suo vero nome negli ultimi tre
anni»
Hac scoppiò a ridere, lieto anche di aver
finalmente tirato su di morale la fidanzata. «Oh ma lo chiamo
così quando lui è presente. Sai quanto mi piace
stuzzicarlo. E poi, sotto sotto, a lui fa piacere essere chiamato
così. Lo so per certo!»
«Ne dubito!» rispose lei ridendo a sua
volta poi riprese, facendosi nuovamente seria: «Senti, a
proposito di Charlie... non credi possa essere in pericolo? Lui
è...beh un Nato Babbano: agli occhi di quei pazzi è un
bersaglio da attaccare»
«Oh, non ti preoccupare per lui: scommetto
quello che vuoi che la sua casa è più protetta della mia
e della tua! Avrà messo tutte le difese di cui è a
conoscenza, quel geniaccio, e forse pure qualcuna inventata da lui.
E poi è diventato un mago discretamente abile, non è
più il bambino timido ed insicuro che abbiamo conosciuto sul
treno».
«Lo so, Hac, ma non sarebbe meglio che stesse
qui? A parte la protezione, non è che stare sempre chiuso in
casa da solo sia il massimo. La tua casa è abbastanza grande per
tutti».
«Gliel’ho proposto, infatti, ma sai come
è fatto quello zuccone! Ha blaterato qualche sciocchezza sul
fatto che non voleva mettere in pericolo me e la mia famiglia e ha
accuratamente ignorato la questione in tutte le sue lettere».
«Potrei convincerlo io...» buttò
lì Gwen con un sorriso «e nel caso non riuscissi a
convincerlo potrei schiantarlo e trascinarlo via di peso».
«Questa potrebbe essere un’idea... penso
che dovremo farlo nel caso la situazione si facesse più dura. E
se il caro Jack insistesse a comportarsi da zuccone».
**************
Completamente ignaro del piano dei suoi amici
di schiantarlo per portarlo “in salvo” a casa di Hac,
Charlie stava cercando di concentrarsi su un testo avanzato di Difesa
Contro le Arti Oscure. Tuttavia, dopo oltre dieci minuti trascorsi a
fissare inutilmente la stessa pagina, sforzandosi di comprendere
ciò che c’era scritto, decise di rinunciare e chiuse il
libro.
In quel momento nemmeno lo studio sembrava in grado
di distrarlo dalle sue preoccupazioni. Non si trattava solo del sogno
della notte prima. Certamente anche quello aveva la sua parte e a poco
era servito ripetersi che era sciocco e irrazionale preoccuparsi per
uno stupido incubo e che, qualunque cosa esso significasse, che fosse
legato o meno al suo timore di cedere alle Arti Oscure, non serviva a
nulla rimuginare su una visione. Era qualcosa come la sensazione di un
pericolo imminente, come se qualcosa di terribile stesse per accadere
da un momento all’altro. Non gli piaceva affatto: odiava dare
retta a qualcosa di così etereo ed incerto come una sensazione,
senza un vero riscontro nei fatti. Pure quella volta si era costretto a
farlo: aveva telefonato a Serena, chiedendole di poterle parlare quella
sera stessa di qualcosa di importante. Non aveva dubbi che lasciarla
– almeno per qualche tempo – fosse la decisione giusta. E
aveva scritto una lettera ad Hac che però non aveva ancora
inviato; e nemmeno l’aveva terminata, in realtà. La prese
in mano, rileggendola rapidamente.
Caro Hac (e cara Gwen se ti trovi con lui).
Spero che entrambi stiate bene e
che vi stiate godendo questi ultimi, preziosi, momenti di svago e di
vacanza prima che le nostre “carriere lavorative” abbiano
inizio. Sembra impossibile che fino a qualche tempo fa potessimo ancora
essere preoccupati per i nostri M.A.G.O. ... Lo sembrava anche allora,
in fondo, con la morte di Dumbledore e tutto quanto, concentrarsi su
degli stupidi esami (sì, Hac “stupidi esami” non
sono impazzito) è stato difficile. Ma ora siamo qui. Gwen sta
per entrare al San Mungo, come tirocinante; tu, Hac, lavorerai alla
Gringott come spezzaincantesimi–mestiere pericoloso ma tu sei
sempre stato avventato – e io... beh lo sapete io vorrei fare
ricerca. All’ufficio Misteri. O qualcosa del genere: preferirei
che ciò che faccio non resti un “mistero”. Sempre
che riesca a farcela con questa poco simpatica...situazione. Penso che
mi mancherà moltissimo Hogwarts e tutti i momenti che riuscivamo
a passare assieme, malgrado lo scherzetto del Cappello Parlante. Quella
fu una separazione parziale, ma ora le nostre vite, in qualche modo si
dividono. Siete stati amici preziosi e vi voglio bene. Ci
rivedremo ancora, ma non sarà la stessa cosa.
Ma ecco che divento
sentimentale. Succede sempre così quando mi faccio prendere dai
ricordi. Un modo come un altro per scacciare un presente troppo
opprimente...
Qui la lettera si interrompeva bruscamente.
Charles prese la penna, incerto se continuare parlando, come una parte
di lui avrebbe voluto, dello strano incubo – Hac poteva capirci
qualcosa visto il suo M.A.G.O. in Divinazione – decise di lasciar
perdere. In parte per non preoccupare inutilmente l’amico, in
parte per non dargli la soddisfazione di sapere che lui poteva credere
ai sogni premonitori. Riprese a scrivere.
Ho ripensato molto, Hac, alla
proposta che mi hai fatto alla fine di giugno. Intendo quella di
trasferirmi da te per “sicurezza”. Penso che alla fine
potrei accettare. Se la situazione dovesse degenerare nel modo
peggiore. Sai di cosa parlo. Se Voldemort prendesse il potere. Prima
però devo sistemare un po’ di faccende. In primo luogo
devo trovare un modo per proteggere mia madre. Non penso potrebbe
vivere con noi. Preferirei saperla dai suoi parenti in Italia. E poi
Serena. So che cosa vorresti dirmi. Che questa storia di lasciarla per
proteggerla è assurda. Che è una della mie solite
fissazioni. Anche se tu avessi ragione... mi conosci. Sai che non
cambio facilmente idea. Farò quel che ritengo giusto.
In ogni caso quando lo riterrò giusto ti avviserò e ti
chiederò di “portarmi in salvo”. Per ora ti
abbraccio e ti auguro ogni bene possibile.
P.S. Gwen, se sei li. cerca di tenere d’occhio quella testa matta
del tuo fidanzato: sarebbe capace di cacciarsi in qualunque guaio.
Ricorda che voglio farti da testimone di nozze. E se mi chiamasse
“Jack” in tua presenza, per favore, tiragli un calcio da
parte mia. Un abbraccio anche a te.
Charlie J.
Charles rilesse un ultima volta la lettera,
sistemando qui e là ortografia e sintassi, poi estrasse la
bacchetta e sussurrando una formula picchiettò sul testo che
scomparve. Una precauzione inutile, probabilmente, ma in quel modo solo
i suoi amici l’avrebbero potuta leggere. Una cosuccia di sua
invenzione, di cui andava molto fiero. Chiuse la lettera in una busta
segnandoci l’indirizzo della casa di Hac e la legò alla
zampa del suo gufo Gwahir.
Mentre lo guardava sparire all’orizzonte
– confidando che nessun babbano curioso notasse un gufo volare in
pieno giorno – Charles pensò che era bello avere degli
amici.
**********************
Benvenuti
a tutti! Scrivere questo terzo capitolo della mia prima storia del
fandom di Harry Potter è stata un'impresa lunga e dolorosa. A
dire il vero solo recentemente mi sono impegnato abbastanza da portare
a termine qualcosa di decente. Ma finchè non ho avuto l'idea di
parlare un po' di Gwen e Hac non ho avuto idee sufficientemente buone.
Spero che vi sia piaciuto. Ho anche corretto alcuni errori di
grammatica o di battitura nei primi due capitoli. Ma se mi fosse
sfuggito qualcosa ditemelo.
Ringrazio telesette e JuliaWeasley per avermi dato una spinta in più per proseguire.
Se avete qualcosa da dirmi o da chiedermi: Recensite.
Due cose che ho dimenticato:
1) "Si giunge al mattino solo attraverso le ombre della notte" -
è una frase tratta da "Il Signore degli Anelli" quando Frodo e
Sam sono in vista di Mordor, se non ricordo male. E' probabile che Hac
abbia sentito la frase da Charles, ma non è impossibile che
abbia letto anche lui l'opera di Tolkien.
2)Gwahir: Il nome del gufo di Charles è un altro omaggio al SdA. Si tratta del capo delle Grandi Aquile. Il
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Capitolo 4 *** Quando i sogni diventano veri. ***
Quando i sogni
Capitolo 3
Quando i sogni diventano veri.
«Grazie
davvero signora Riddle, la cena era squisita lei è
un’ottima cuoca!» disse Gwen mentre la madre di Hac
raccoglieva piatti e bicchieri da tavola.
«Grazie a te, Gwen – rispose la donna con un sorriso
– sei molto gentile. Ma, ti prego, non chiamarmi “Signora
Riddle”. Dammi del tu e chiamami Endora. Ho appena passato i
quaranta, se mi chiami “signora” mi fai sentire ancora
più vecchia».
«Oh non
dire così, mamma! Tu sei sempre così giovanile e bella,
nessuno potrebbe mai pensare a te come una vecchia!» intervenne
Hac con il sorriso più accattivante di cui era capace.
«Mille
grazie Hac. Ma non avrai la terza porzione di zuppa inglese. Due sono
più che sufficienti, senza contare che tuo padre non è
ancora tornato.»
«Come
puoi pensare che ti abbia fatto i complimenti solo per quello! –
esclamò Hac, fingendosi offeso – è proprio vero che
non mi conosci affatto».
«Ti
conosco, ti conosco. – rispose lei con un sospiro divertito
– Sei tutto tuo padre! Anche lui cerca sempre di blandirmi con
qualche complimento... e devo ammettere che il più delle volte
ci riesce».
Scoppiando a
ridere insieme a lei, Gwen si trovò a pensare che Hac avesse
proprio ragione su sua madre. La signora Riddle – Endora –
era una donna ancora molto attraente: alta, ma non troppo, aveva un bel
fisico snello senza per questo apparire eccessivamente magra; i capelli
biondi, corti fino alle spalle, erano in quel momento raccolti in
un’elegante coda; ma ciò che più colpiva erano gli
occhi: così azzurri da sembrare un riflesso del cielo e che nel
profondo sembravano celare una sorgente di infinita allegria che si
comunicava all’intero volto e che rendevano ancora più
bello il suo sorriso.
Apparentemente
Hac aveva preso poco da lei: molto alto, una folta chioma di capelli
bruni e lisci che ricadeva, ordinatissima, sul capo; nei suoi occhi,
nerissimi, l’allegria della madre era spesso sostituita da una
sfumatura ironica. Eppure, ad uno sguardo più attento, alcuni
particolari, come la forma del naso o degli occhi o qualcosa di
indefinibile nell’espressione, lo qualificavano immediatamente
come figlio di Endora.
«A
proposito di papà. Non è strano che non sia ancora
tornato? Capita raramente che non riesca a tornare a casa per cena. In
un modo o nell’altro...»
«Sarà stato trattenuto al lavoro. Con la situazione
attuale il Dipartimento per la Legge Magica deve lavorare a pieno
ritmo. Proprio ieri mi diceva che le ricerche di Charity Burbage sono
ancora in alto mare: lui pensa che i mangiamorte l’abbiano fatta
sparire».
Sentendo queste parole, Gwen si
rattristò: ricordava la professoressa Burbage come una donna
simpatica e solare, appassionata del suo lavoro come poche;
benché non avesse poi proseguito Babbanologia fino ai M.A.G.O.
(gli studi per Medimagia erano già sufficientemente duri) la
ricordava con affetto. «Anche suo marito era stato ucciso
dai Mangiamorte – disse – Durante la prima guerra. Era un
babbano, sapete, è anche per quello che ha scelto di insegnare
quella materia».
«Ce lo
ha raccontato durante la prima lezione, al terzo anno» aggiunse
di fronte allo sguardo interrogativo di Hac. Questi le rivolse un
sorriso incoraggiante, le si avvicinò e la abbracciò
baciandola teneramente sulla fronte. Gwen gli diede un leggero bacio
sulla bocca, prima di sciogliersi dall’abbraccio.
«Passando ad argomenti più allegri, ti ricordi di Fleur
Delacour, la campionessa di Beauxbatons?»
«Certo!
Come dimenticare una tale straf... ehm, volevo dire, una così
bella ragazza?» rispose Hac, correggendosi appena in tempo di
fronte allo sguardo di Gwen e – soprattutto – della madre.
«Proprio
lei» disse Gwen guardandolo torva, sapeva che Hac aveva usato
quell’espressione apposta per irritarla, sotto quel punto di
vista non sarebbe probabilmente mai cambiato. «A quanto pare si
sta per sposare».
«Chi è il fortunato?»
«Bill
Weasley, il maggiore dei fratelli. Tra l’altro sono una bella
coppia, visto che anche lui è molto attraente. A quanto pare si
sono conosciuti dopo il torneo tremaghi. Sembra che il matrimonio sia
proprio oggi».
«E tu
come cavolo fai a saperlo? Non mi pare tu sia mai stata troppo legata
ai Weasley... o anche a Fleur. Chi te l’ha detto?»
«Mia
madre, naturalmente. Oh non guardarmi in quel modo! – aggiunse di
fronte allo sguardo ancora confuso di Hac – quando si tratta di
matrimoni mia madre trova sempre il modo di sapere tutto. È
meglio del Settimanale delle Streghe».
Hac stava per
compiere un’osservazione ironica sulla sorprendente
capacità delle donne in generale di conoscere sempre ogni
pettegolezzo, di qualunque natura quando il suono del campanello
interruppe la conversazione. Mettendo tutti un po’ in allarme.
«Vado a
vedere chi c’è alla porta» disse la signora Riddle
estraendo, per sicurezza la bacchetta magica dalla tasca.
«Vengo
anche io, mamma!» le andò dietro Hac, facendo
contemporaneamente segno a Gwen di restare lì, al sicuro in sala
da pranzo; al che la ragazza protestando vivacemente che il fatto di
essere una ragazza non la rendeva una completa incapace bisognosa di
protezione, si unì a loro. Hac sospirò esasperato, ma non
insistette.
«Chi
è alla porta?» chiese Endora con voce ferma. In fondo,
anche se la prudenza non era mai troppa, non temeva molto: un eventuale
mangiamorte avrebbe probabilmente sfondato la porta e sarebbe entrato
con la forza.
«Endora,
sono tuo marito Uther Riddle, lavoro al dipartimento della legge
Magica, il mio Patronus è un falco, nostro figlio si chiama
Hackluit, come il nonno».
Hac
aprì lentamente la porta e il signor Riddle entrò
richiudendola immediatamente alla sue spalle e bloccandola con un
incantesimo: era sorprendentemente agitato.
«Come mai sei tornato così tardi, tesoro? Hai avuto dei guai al lavoro?»
«Fire...Firewhiskey!» articolò l’uomo, quasi a fatica.
«Come? Caro, ti senti bene?» rispose Endora preoccupata dall’atteggiamento del marito.
«Scusami, cara! – rispose lui ritrovando per un attimo la
calma – ho bisogno di bere qualcosa di forte... Sono... piuttosto
agitato... poi ti dirò...Hac, ti prego...»
Hac intanto
aveva già appellato la bottiglia e un bicchiere in cui aveva
versato due dita di liquore. Il signor Riddle bevve il bicchiere
d’un fiato e si accasciò sulla sedia.
«Rufus Scrimgeour...il Ministro... è morto»
«Come sarebbe a dire... il Ministro...papà...cosa significa?»
«È STATO UCCISO, HAC! ECCO COSA SIGNIFICA!»
sbottò l’uomo, ancora profondamente scosso.
«Perdonami – aggiunse subito – non volevo urlare in
quel modo. Voi-sapete-chi ha fatto irruzione al Ministero con i suoi
mangiamorte e Scrimgeour... a quanto pare era circondato da infiltrati.
Il capo del mio dipartimento, Ticknesse era uno di loro. Lo hanno
immobilizzato, torturato e poi....ucciso. Ora il ministro è
Ticknesse. Una marionetta. Io... sono tornato non appena ho
potuto...hanno fatto un sacco di controlli su tutto il personale».
Hac, Gwen ed
Endora erano sotto shock. Nessuno di loro poteva immaginare che il
Ministero potesse cadere così presto e così
all’improvviso. Hac strinse a sé la sua ragazza che era
sbiancata completamente, ma lui stesso si mordeva le labbra per la
rabbia e il senso di impotenza che provava: in quel momento Gwen era
per lui un sostegno almeno quanto lui stesso lo era per lei.
«Quindi... tu-sai-chi... ha vinto? Ormai... è lui il
padrone...». disse Endora a voce bassa, come se non volesse
credere alle sue stesse parole. Uther annuì stancamente.
«Dovevamo aspettarcelo. Con la morte di Dumbledore era solo
questione di tempo. Comunque... per ora noi non siamo in pericolo...
non penso che passeranno subito ad uccidere...»
Endora
annuì, ma Hac e Gwen pensarono immediatamente a Charles, che era
un Nato Babbano e che, nel migliore dei casi, ora non sarebbe mai
potuto entrare all’Ufficio Misteri, né insegnare ad
Hogwarts e forse nemmeno avere una vita normale. Tutto per colpa di
Voldemort.
«A proposito. Non dovete più usare il vero nome di Voi-sapete-chi! Per nessun motivo!»
«Perché
papà? Io non ho nessun motivo per aver paura del suo nome. Non
lo rispetto per nulla quell’essere immondo. Lo chiamerò
col suo nome, qualunque cosa lui voglia!»
«NO! Il
suo nome è Tabù! Chi lo pronuncia fa scattare un
incantesimo che cancella tutte le protezioni magiche e si rende subito
reperibile. Siamo stati costretti ad occuparcene, in dipartimento.
È furbo. Un modo per scovare gli oppositori...».
«Hac!
– disse Gwen sottovoce prendendolo da parte – dobbiamo
andare subito a prendere Charlie. Ora è più in pericolo
che mai. Non sa nulla del ritorno di Tu-sai-chi, né del
Tabù. A costo di costringerlo con la forza dobbiamo riportarlo
qui! Non voglio perderlo, non voglio che lui muoia».
«Hai
ragione! – convenne Hac – ma credo sia meglio chiedere
aiuto a mio padre. Conosce bene Charles e gli sta a cuore. E poi, tre
bacchette sono sempre meglio di due...».
*********************
«Quindi,
mi stai dicendo che non vuoi più stare con me? Che mi vuoi
lasciare? Insomma, non mi vuoi più bene?» c’era una
punta di rabbia nella voce di Serena che tuttavia affiorava a malapena
dalla delusione e dalla tristezza: sembrava che trattenesse a fatica le
lacrime.
«Te lo
già spiegato, Serena!» sbottò Charles con un filo
di irritazione. «Non vorrei farlo. Ma non posso più stare
con te: ti metterei in pericolo e non posso, non voglio farlo!».
Non osava guardarla negli occhi, certo che non sarebbe mai stato in
grado di dire ciò che doveva se lo avesse fatto. Rinviare
continuamente quel momento non era servito a molto: non aveva reso
più facile dare corpo alla sua decisione, anzi l’aveva
resa ancor più dolorosa all’atto di compierla. Per quanto
lo ritenesse necessario, temeva di perderla più di ogni altra
cosa al mondo.
«Ma
perché questo mago così cattivo dovrebbe prendersela
proprio con me? Cosa c’entro io con lui?»
«Te
l’ho già spiegato! Lui e tutti suoi
“mangiamorte” odiano tutti i Babb... tutti quelli senza
poteri magici! Vi vogliono morti. O al massimo schiavi!».
«Appunto! – ribattè lei trionfante – sono
comunque in pericolo, no? Perché non possiamo affrontarlo
insieme? Perché no, Charles? E GUARDAMI NEGLI OCCHI QUANDO TI
PARLO!».
Charles
sollevò finalmente lo sguardo e si stupì quando
incrociò i suoi occhi verdi scintillanti per le lacrime
represse. Sospirò, provando un senso di rimpianto e un
improvviso, folle, desiderio di darle retta, di tenerla con sé
ancora per qualche tempo, qualche giorno magari o qualche mese,
finché la situazione non fosse precipitata e poi... se qualcosa
fosse successo... sparire. “Non puoi farlo!” si disse.
“Sii un uomo, non un patetico ragazzino”.
«NO! Tu
non capisci! Con me sei ancora più in pericolo! Io sono un Nato
Babbano! Loro ci odiano ancora più dei normali Babbani! Dicono
che rubiamo i loro poteri magici. Che siamo degli usurpatori! Sai come
ci chiamano? Sanguesporco! Ci vogliono tutti morti e chiunque sia
vicino a loro è in pericolo! Con me, tu saresti in pericolo e io
non posso permettere che...».
«E se
non mi importasse? – lo interruppe lei all’improvviso
– se non mi importasse? Io... non voglio dimenticarti Charles.
Non voglio perderti ora. Come puoi chiedermi di non starti vicino
proprio ora che sei in pericolo? Io ti amo...»
Charles
sussultò, fissandola come se la stesse vedendo davvero per la
prima volta. Stava già per cedere, per acconsentire a continuare
la relazione, quando, improvvisa, gli tornò in mente
l’immagine del sogno: il mangiamorte che compariva e la uccideva
senza pietà, lei a terra morta, scomparsa per sempre. Non poteva
rischiare. Ma dovette raccogliere tutta la sua forza di volontà
per dire ciò che voleva.
«Anche
io ti amo. Ma non posso. Non posso permettere che tu sia in pericolo
per causa mia. Forse un giorno finirà questa orribile
situazione. Forse ci sarà ancora speranza per noi. Ma fino ad
allora non possiamo più vederci. Tengo troppo a te per poterti
mettere in pericolo, solo per avere la gioia di stare con te....»
«Charles... Io...»
«È la mia ultima parola, Serena!» disse a fatica
Charles: quasi sentiva di voler piangere, come lei già stava
facendo, seppure silenziosamente. «Voldemort è un pazzo,
capace di qualunque cosa per il potere. Se uscirò vivo da questa
storia... forse potrò tornare».
Infine Serena
annuì, lentamente, ancora in lacrime. «Immagino che dovrai
modificare i miei ricordi. Per lo Statuto di segretezza magica e
per la mia sicurezza».
Charles
annuì, preparando la bacchetta. «Non sarà
doloroso» disse. Ma si interruppe improvvisamente sentendo uno
strano rumore, simile ad un piccolo POP, come quello di una
materializzazione. Assurdo: lo avrebbe saputo se qualcuno di fosse
materializzato anche ad un miglio di distanza; nessuno che avesse
cattive intenzioni avrebbe potuto avvicinarsi senza che lui lo sapesse.
«Cosa succede Charlie?»
«Non lo so. Forse c’è qualcuno qui. Aspetta. Homenum innimicum revelio»
Sussultò quando l’incantesimo rivelò la presenza di
una persona che si avvicinava e che per di più sembrava non
avere buone intenzioni. «Torna in casa! SCAPPA! SBRIGATI!».
Il momento di distrazione fu fatale: un incantesimo lo colpì in
pieno, scaraventandolo a qualche metro di distanza e facendogli perdere
la bacchetta.
«CHARLIE!»
«SCAPPA, HO DETTO! SBRIGATI!».
Subito dopo il
misterioso aggressore gli era addosso e Charles trasalì vedendo
l’orribile maschera argentata che gli copriva il viso. Il
Mangiamorte gli puntò la bacchetta al petto.
«CRUCIO!»
Charlie
urlò. Era come se tutto il suo corpo stesse bruciando dal
dolore: niente di quello che aveva mai provato poteva eguagliare quella
sensazione; nessuna descrizione di nessun libro avrebbe potuto far
comprendere che cosa si potesse provare. Persino le sue viscere, la sua
stessa bocca che urlava, erano in preda al dolore. All’improvviso
esso finì ed egli si trovò a terra, boccheggiante.
Tentò di recuperare la sua bacchetta, ma ciò che vide gli
ghiacciò ancora di più il sangue. Serena non era
scappata: era rimasta e aveva aggredito il mago, tentando di
disarmarlo. Forse proprio a causa sua si era interrotta la Cruciatus.
Ma quello era troppo forte per lei: si liberò con un incantesimo
e folle di rabbia scaglio contro di lei la maledizione:
«CRUCIO!».
Le urla di dolore di Serena
riempirono la testa di Charles, che non riusciva a fare alto che
fissare terrorizzato la scena, soffrendo come se lui stesso fosse il
torturato mentre il sogno della notte prima gli tornava sempre
più vivido nella mente. Poi il mangiamorte alzò la
bacchetta.
«Basta!
– disse rivolgendosi a lui – ora vedrai morire questa
puttanella. E poi... ucciderò te!» Levò la
bacchetta e....
«AVADA KEDAVRA!».
Il tutto non
poteva essere durato più di qualche secondo, ma a Charles
parvero lunghi, lenti minuti. Dapprima il senso di terrore, di rabbia
impotente, all’idea che quel pazzo potesse uccidere Serena
– proprio come nel suo sogno. Poi la bacchetta che, da pochi
metri di distanza, gli volava in mano, come a rispondere al suo
desiderio: lui stesso che puntava la bacchetta verso il suo nemico e
pronunciava quella terribile formula. E infine il fiotto mortale di
luce verde e l’urlo di stupito terrore del mangiamorte che si
interrompeva all’improvviso non appena l’incantesimo lo
colpì al cuore.
Charles impiegò qualche
secondo per rendersi conto di quanto aveva fatto: si avvicinò
lentamente al corpo dell’uomo che giaceva a terra, sperando
assurdamente che non fosse morto, che l’incantesimo non fosse
stato efficace. Bastò poco a scoprire che non era così:
non c’era polso, né respiro: gli occhi dell’uomo,
sotto la maschera, erano aperti e sbarrati; Charles li richiuse
meccanicamente. Si sentiva sporco, colpevole. Anche se lo aveva fatto
per difendere la persona che amava, era diventato un assassino. Che
cosa lo rendeva differente dall'uomo che aveva ucciso, ora? Girandosi
vide Serena: era svenuta,
forse per lo shock dovuto al dolore della maledizione Cruciatus,
Charles tentò di rianimarla, ma senza alcun successo.
Improvvisamente, Charles
sentì il rumore dei passi di qualcuno che si avvicinava: erano
almeno tre persone che parlavano tra loro: poteva essere chiunque. Un
gruppetto di Babbani in uscita serale, o qualcuno che aveva cattive
intenzioni. Charles si tenne pronto a tutto la bacchetta levata di fronte a sé.
*******************
Bentornati!
Scrivere questo capitolo, in particolare la seconda parte, è
stata una delle cose più difficili. Spero di essere stato
efficace nel rendere la drammaticità della situazione. Ora, come
avete visto il sogno si è realizzato almeno in qualche senso.
Non so come giudichiate Charles, a questo punto. Devo dire che nelle
mie intenzioni originali, Serene sarebbe dovuta morire, uccisa dal
mangiamorte. Se ho deciso altrimenti è per non caricare Charles
di un peso così grande. Perdere qualcuno e diventare un
assassino in una sola sera sarebbe stato troppo.
Ifine un paio di note.
1- Endora. Il nome della madre di Charles è un omaggio al
meraviglioso personaggio della serie VITA DA STREGA interpretato da
Agnes Moorhead. Anche se. probabilmente, non esiste personaggio
più diverso dalla gentile e allegra signora Riddle (che
fisicamente è invece ispirata a Samantha).
2- Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e in particolare Beatrix
Bonnie che ha gentilmente recensito tutti e tre i capitoli. Ringrazio
anche tutti quelli che leggono o leggeranno questa storia. Mancano
ancora un paio di capitoli. Poi potrei scrivere qualche altra storia su
questo simpatico trio.... Spero di farcela!
Non so quando avrete il prossimo aggiornamento. Spero in una settimana...
Ciao!
Good Old Charlie Brown....
|
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Capitolo 5 *** Ricercato! ***
Capitolo 4
Capitolo 4.
Ricercato!
La stanza degli ospiti era abbastanza ampia, silenziosa e tranquilla.
Un piccolo globo di luce azzurrina galleggiava pigramente a
mezz’aria illuminando una parte dell’ambiente, ma lasciando
tutto il resto in penombra. Seduto alla scrivania alla pigra luce della
stanza, Charles fissava un grande quadro sulla parete di fronte a lui.
Rappresentava una nave, in balia di una grande tempesta che la agitava
e la scuoteva: si trattava di un dipinto magico e quindi le immagini si
muovevano rendendo ancora più realistica e terribile
l’immagine della piccola nave che, sempre di nuovo, veniva
investita da onde e cavalloni e che sempre di nuovo continuava a
galleggiare mentre intorno ad essa infuriava la pioggia. In quel
momento Charles si sentiva come quella nave: sballottata qui e
là da qualcosa di immensamente più grande di lei e che
non poteva in alcun modo controllare. Poteva solo resistere, ondata
dopo ondata e colpo su colpo sperando di passare, se non indenne
(sarebbe stato impossibile) almeno sufficientemente sano da poter
ritrovare la rotta per un porto sicuro.
Si sentiva soprattutto solo. Hac aveva iniziato il
suo corso di addestramento per spezza-incantesimi: presto,
probabilmente, sarebbe stato assunto alla Gringott, ma già
così era impegnato per buona parte della giornata; Gwen a sua
volta si faceva vedere sempre più di rado, occupata
com’era dal lungo e difficile tirocinio di Guaritrice. Ma Charles
non poteva fare nulla, condannato a rimanere isolato, ospite benvoluto,
ma pur sempre ospite, della famiglia di Hac. Certo, con la sua
“nuova politica” il Ministero della Magia non avrebbe
mai assunto un “Nato Babbano” (ancora non osavano dire
pubblicamente “Sanguesporco”): si parlava persino di
provvedimenti contro di essi necessari per “proteggere la razza
magica” non si sapeva bene da quale strano pericolo.
L’Ufficio Misteri era destinato a rimanere un sogno. Ma
c’era dell’altro. Qualcosa per la quale lui si sentiva
colpevole. Qualcosa per la quale chiunque fosse vicino a lui poteva
essere in pericolo. Era passata poco più di una settimana ma
sembrava appartenesse ad un’altra vita: dopo quel fatto era come
se il suo primo Io fosse morto e un nuovo Charles avesse preso il posto
di quello vecchio. Non fosse stato per i suoi amici, giunti lì
come gli eroi delle grandi storie proprio nel momento giusto, e tuttora
vicini, malgrado la lontananza fisica, chissà cosa sarebbe stato
di lui.
Il cono di luce
che veniva dalla bacchetta era appena sufficiente ad illuminare
più chiaramente il marciapiede davanti a lui. I lampioni
più vicini in quel momento non funzionavano: lo stesso Charles
li aveva spenti non appena aveva sentito qualcuno avvicinarsi. Tutto
era silenzio; Charles sentiva il proprio cuore battere sempre
più forte e veloce man mano che i tre estranei si avvicinavano.
Non ci volle molto perché giungessero appena fuori dal cono
illuminato: riflessi che uscivano dall’ombra, appena
distinguibili.
«Fermi! Chi siete? Fatevi vedere, lentamente. O sarò costretto ad attaccare!»
Una voce nota gli
rispose. «Ehi Jack! Siamo noi! Siamo i tuoi amici!
Cos’è questa storia? Che è successo?». Hac
Riddle avanzò lentamente, mettendosi in luce, presto seguito da
suo padre, Uther, e dalla sua ragazza, nonché amica di Charles,
Gwen O’Sullivan. In un’altra situazione Charles avrebbe
anche potuto sospettare o almeno essere più prudente: anche se
fossero stati davvero dei Mangiamorte travestiti non sarebbe stato in
grado di reagire in alcun modo.
«HAC! GWEN!
– gridò, lasciando quasi cadere la bacchetta magica per la
sorpresa – Siete voi! Santo Merlino! Non sono mai stato
così felice di vedervi!». Abbracciò con forza prima
Hac e poi Gwen lasciandosi brevemente cullare dal calore di quelle
strette, cercando di far scivolare via il dolore e l’orrore che
si erano impadroniti di lui. Non passò molto, però, prima
che la realtà con la sua crudele indifferenza lo riportasse
indietro attraverso la voce di Uther.
«Cosa è successo qui?. Charles...c’è una ragazza svenuta qui...».
Serena! La gioia di vedere i suoi
amici in un momento così teso e terribile gli aveva quasi fatto
dimenticare di lei. Staccandosi lentamente dall’abbraccio di Gwen
si chinò su di lei, fissandola triste. Era colpa sua se era
stata torturata, se aveva sofferto: se solo l’avesse lasciata
prima. Se solo non fosse stato tanto egoista!
«Un
Mangiamorte ci ha attaccati. – si costrinse a spiegare,
benché ogni parola fosse come una pugnalata – è
arrivato all’improvviso. Non capisco perché le difese non
abbiano funzionato. Ha torturato me... poi...Serena si è messa
in mezzo e lui... l’ha torturata...la stava per uccidere».
Non riuscì a continuare. Un nodo alla gola gli bloccò la
parola.
«E il Mangiamorte? Cosa gli è successo? Dove è andato».
Charles si
limitò ad indicare stancamente nella direzione in cui il corpo
dell’uomo era stato sbalzato dall’incantesimo. In attesa.
Presto lo avrebbero visto per ciò che era. Un assassino.
«Ma è
morto!» nella voce di Gwen sentì l’orrore, simile a
quello che anch’egli provava verso se stesso. La guardò e
annuì.
«Quest’uomo è stato ucciso – intervenne Uther
con la sua voce profonda e calma, anch’egli chino sul cadavere. E
sembrerebbe opera di un Anatema-che-Uccide. Cosa...?»
«Sono stato
io. – disse Charles con voce neutra – L’ho
ucciso io». Incrociò rapidamente lo sguardo di Gwen, ma
distolse subito gli occhi di fronte allo stupito orrore che vi aveva
letto: Hac, invece lo fissava con uno strano sguardo stupito e in
qualche modo ammirato.
«Beh credo
che ci convenga lasciarlo qui, per ora. Tanto non gli può
accadere nulla. Meglio occuparsi della ragazza».
Il sommesso rumore di qualcuno che bussava alla
porta lo distolse dai ricordi, riportandolo alla realtà del
presente. «Avanti!».
Endora Riddle si fece avanti, il volto come sempre sorridente, portando
un vassoio con una tazza una teiera e dei biscotti. «Non è
necessario fare questo, sai? - disse, indicando il globo di luce
– abbiamo la luce elettrica che è molto più
efficace».
«Grazie, signora Riddle, ma preferisco
così. L’altra luce è troppo intensa. Questa...
lascia la giusta quantità di buio. Mi piace che ci sia del
buio...ora. Mi fa sentire più tranquillo...».
«Ti ho portato un po’ di the con qualche
biscotto fatto in casa. Stamattina non hai preso nulla di colazione.
Non va bene».
«La colazione è il pasto più
importante della giornata... già – rispose Charles con un
sorriso stentato – bene ne prenderò un po’. Grazie
ancora, signora Riddle».
«Questa sera Hac tornerà e penso che
anche Gwen passerà per un saluto. Mi dispiace che tu non possa
uscire... non deve essere piacevole».
«Non lo è. Ma ciò che mi succederebbe se uscissi sarebbe ancora meno piacevole».
Mentre Endora usciva dalla stanza, rivolgendogli un
ultimo sorriso caldo e quasi materno, Charles versò un poco di
the nella tazza intingendovi un biscotto. Aveva un vago aroma di
cannella – ad Hac piacevano i the aromatizzati e li aveva imposti
all’intera famiglia e, di conseguenza anche a lui. Ripensando ai
Riddle e alla loro incredibile, sorprendente gentilezza nei suoi
confronti, Charles si sentì improvvisamente in colpa. Li stava
mettendo in pericolo, tutti quanti. Hac, Uther ed Endora erano quelli
più esposti, visto che lo ospitavano nella loro casa. Ma anche
Gwen e la sua famiglia erano in visto che sapevano dove si
trovava e contribuivano a nasconderlo.
Almeno Serena era in salvo e al sicuro: lo shock
provocato dal dolore della Cruciatus l’aveva fatta svenire ed
anche quando si era ripresa tremava, ancora spaventata dalla terribile
esperienza. Allontanarsi da lei era stato doloroso per entrambi. Aveva
modificato la sua memoria perché non ricordasse nulla di quella
serata – sperava che non ritornasse a tormentarla nei suoi sogni,
non poteva esserne sicuro. E aveva fatto anche in modo che dimenticasse
quasi tutto di lui. Ai suoi occhi era ritornato solo il vicino di casa
un po’ strano che spariva per mesi nessuno sapeva dove.
Un’ottima decisione visto quanto aveva scoperto poco dopo.
Camminavano
lentamente, in direzione della casa dei van Pelt, entrando e uscendo
dai coni di luce dei lampioni che si susseguivano lungo Oak Street, le
ombre che si allungavano e accorciavano davanti e dietro di loro.
«Grazie per
il vostro aiuto, amici – disse dopo aver lanciato un ultimo
sguardo alla casa di Serena – ma, scusate, cosa vi ha portato
qui? Avete ricevuto la mia lettera da Gwahir?»
«No...,
Cioè si.... voglio dire. Quando Gwahir è arrivato stavamo
già partendo per venirti a prendere».
«Venirmi a
prendere? Senti, Hac, capisco che voi possiate essere preoccupati per
me. Ma non era il caso. E soprattutto non è il momento.
Deciderò io quando venire da te... per ora dovrò tornare
a casa... aspettando il processo...».
«No, Charles! Tu non capisci! Sei in pericolo! Non puoi assolutamente restare qui!».
Gwen era chiaramente molto
preoccupata: non era mai stata una ragazza incline a cedere alla
disperazione o a dimostrarsi sconvolta.
«Cosa
è successo? Insomma! Non mi piace quello che ho fatto ma... il
Wizengamot dovrà capire che non avevo scelta! Che l’ho
fatto per autodifesa... per difendere Serena».
Gwen, Hac e Uther
lo fissarono tristemente: «No, Charles. Non credo nemmeno che
potrai avere un processo. Il Ministero della Magia è caduto. I
Mangiamorte hanno ucciso il Ministro e...hanno preso il potere».
Charles
impiegò qualche secondo ad assorbire l’impatto di quella
notizia: aveva temuto che potesse accadere, ci aveva pensato più
volte, aveva persino preparato anche dei piani di azione per essere
pronto. Eppure tutto rimaneva nel vago ambito del possibile. Essere
colpito dalla realtà, con tutta la sua terribile forza era
tutt’altra cosa. Si riprese in fretta, tuttavia, riuscendo a
ritrovare la sua solita calma. «Molto bene. Anzi – si
corresse con una smorfia – molto male. Non posso dire che me lo
aspettassi. Quindi il nuovo ministro è Vol...»
«NO!!
– lo interruppe gridando Hac, cercando di coprirgli la bocca con
la mano, ma finendo per colpirgli il naso con una forte manata –
Scusa! Non devi più pronunciare il suo nome! È un
tabù. Chi lo fa si rende subito reperibile!»
«Va bene va
bene ho capito! – rispose Charles toccandosi il naso dolorante
– C'era proprio bisogno di colpirmi in questo modo? Non lo
pronuncerò più...adesso ho capito cosa...». Si
interruppe come sconvolto da un pensiero improvviso.
«Che succede Charles? Cosa hai capito?».
«NO! È colpa mia! Quello che è successo... è colpa mia».
«Colpa tua? Cosa intendi?».
«Ho
pronunciato il suo nome, Gwen! Mentre parlavo con lei. Non ci ho
nemmeno pensato. È questo che deve aver portato qui il
Mangiamorte. È per questo che sono saltate le mie protezioni...
per colpa mia...».
«Non dire
sciocchezze, Charlie! Non è per niente colpa tua! La colpa
è solo di quel Mangiamorte e di quell’altro pazzo che li
comanda! Se ti sento fare un’altra volta discorsi del genere,
giuro che ti schianto!».
«Dovevo
aspettare di commettere un omicidio per sentirti usare il mio nome,
Hackluit» rispose il ragazzo con una risata nervosa.
I suoi due amici sorrisero brevemente
di rimando, ma senza divertimento: era evidente che il giovane non
fosse affatto allegro: aveva la stessa espressione seria e concentrata
di quando era morto Dumbledore o di quando il preside aveva dato la
notizia del ritorno di Voldemort. Era evidente che si sentisse ancora
in colpa per quello che era sueccesso oltre che preoccupato da tutto
ciò che era appena accaduto.
«Tornerai da lei Charlie?»
«Non credo,
Gwen. Sarebbe... troppo complicato tornare indietro. In questo momento
Serena si ricorda a malapena della mia esistenza. Anche se tutto
tornasse come prima che V..lui prendesse il potere ormai sarebbe troppo
tardi».
«Mi dispiace, Jack!»
«Grazie,
Hac, sei un amico prezioso. E lo saresti di più se evitassi di
chiamarmi Jack». Rispose Charles abbandonandosi ad una risata,
sincera e genuina.
Quella risata mancava ormai da diversi giorni dal volto di Charles: da
quella fatidica sera viveva nascosto nella casa di Hac che aveva
rifiutato anche solo di prendere in considerazione l’idea che lui
fuggisse da solo e vivesse come un reietto. Avevano preparato accurati
piani per proteggerlo e per farlo eventualmente fuggire: quasi tutta la
sua roba era stata abilmente nascosta in vari luoghi della casa in modo
da non essere troppo visibile e nel caso (non probabile, ma pur sempre
possibile) di un’ispezione del Ministero avrebbe potuto
trasformarsi in falco per non farsi trovare in casa.
Essere costretto ad una vita da recluso, a mille cautele e precauzioni,
a nascondersi ogni volta che un estraneo veniva a visitare i Riddle
cominciava a pesargli. Ancora più gli pesava la forzata,
pressocchè totale, inattività. Uther gli aveva messo a
disposizione una discreta biblioteca, grazie alla quale aveva
approfondito le sue conoscenze in vari campi della Magia, ma si sentiva
un inutile peso per la famiglia dei Riddle, visto che non poteva
lavorare né fare alcunché. D’altronde lui era un ricercato.
Il gufo che come
ogni mattina recava la copia quotidiana della Gazzetta del Profeta
atterrò placidamente sul tavolo della colazione, rischiando di
far cadere la tazza di caffèlatte di Charles. Uther prese il
giornale lasciando cadere un paio di Falci nel sacchetto legato alla
zampa del gufo che subito riprese il volo. Charles e Hac, troppo
impegnati con la loro colazione per prestare attenzione, diedero solo
una rapida occhiata all’uccello (quanto bastava per evitare un
disastro con il Caffèlatte). All’improvviso la voce del
sig. Riddle, stranamente agitato, attirò la loro attenzione.
«Oh
Santo Cielo! No!». Dietro alla coltre del giornale si poteva
indovinare la sua espressione preoccupata, il viso piegato da rughe, i
neri occhi aperti e spaventati.
«C osa succede papà?».
Il signor Riddle
si limitò a porgere il giornale ai due ragazzi, perché lo
leggessero di persona. In prima pagina campeggiava il volto di Harry
Potter sotto un titolo a tutta pagina: RICERCATO COME PERSONA INFORMATA
SUI FATTI RELATIVI ALLA MORTE DI ALBUS SILENTE.
«Potter
– osservò Charles – beh c’era da aspettarselo.
Con il nuovo regime del “Signore Oscuro” era ovvio che
finisse per diventare una sorta di nemico pubblico. Spero che se la
cavi...».
«Non mi riferisco a lui. Guarda in terza pagina!».
Hac girò
pagina e a Charles quasi prese un colpo vedendo la sua foto campeggiare
in alto a destra accanto ad un articolo dal titolo tutt’altro che
rassicurante per lui.
L’OMICIDIO SELWYN. RICERCATO IL NATO BABBANO CHARLES VAN PELT
L’articolo
non diceva nulla che Charles non sapesse in fondo anzi, come era ovvio
glissava su punti essenziali come la ragione per cui il
“dipendente del Ministero” (come era definito il
Mangiamorte) si trovava lì e come la tortura inflitta a lui e ad
una Babbana, o la minaccia di morte. Ma costituiva chiaramente un punto
di non ritorno: era chiaro ormai che mai il Wizengamot o il Ministero
avrebbero preso in considerazione le sue ragioni o gli avrebbero
garantito un processo equo. Come a dimostrare definitivamente tutto
ciò Hac lesse «il signor Augustus Rookwood,
dipendente del Ministero, ha dichiarato: “Questo dimostra
chiaramente quanto la presenza di Nati Babbani sia pericolosa per il
nostro buon mondo dei Maghi la presenza di questi usurpatori. Il
Ministero deve fare qualcosa per proteggere la razza dei puri
maghi”». Hac lasciò il giornale, schifato, e lo
restituì al padre «Non posso crederci! È uno
scandalo quello che è successo».
«Fantastico!
– osservò Charles con amarezza – ora non solo sono
un assassino ricercato dal Ministero e dai Mangiamorte, ma sono anche
il pretesto per una campagna contro i Nati Babbani. Ci voleva
proprio»
«Non è colpa tua, Jack. Non pensarlo nemmeno per un momento»
Il ragazzo sorrise
debolmente, in parte seriamente rincuorato dalla sincera vicinanza
dell’amico, in parte come ancora dubbioso. «Sentite –
mormorò gettando uno sguardo alla sua foto sul Profeta –
forse non è il caso che io continui a rimanere qui. Sono in
pericolo e sono un pericolo per voi. Non siete tenuti a nascondermi...
posso cavarmela».
«Non dire
sciocchezze, ragazzo. Quando abbiamo deciso di tenerti qui sapevamo
bene quali rischi avremmo corso. E li abbiamo accettati. Hac, io ed
Endora siamo fieri di poter fare qualcosa – ti assicuro che
è poco – per contrastare questo regime. E poi, dove
vorresti andare? Cosa vorresti fare da solo? Saresti catturato subito.
Resterai qui. Per tutto il tempo necessario a che le cose si calmino
poi... vedremo».
********************
Molto ma molto benissimo. Sono
soddisfatto di aver finalmente completato anche questo capitolo. Non so
però quanto essere soddisfatto del capitolo in sè. Fatemi
sapere cosa ne pensate.
Un'annotazione che volevo scrivere nel capitolo precedente. ma che sta bene anche in questo:
Charles usa abbastanza abitualmente il vero nome di Voldemort. Lo fa
perchè è un Nato Babbano e non è mai stato
"educato" alla paura di quel nome. Inoltre quando si è trovato
di fronte alle reazioni dei suoi amici ha deciso di continuare a
pronunciarlo perchè ritiene le locuzuoni "Tu-sai-chi" o
"Colui-che-non-deve-essere-nominato" stupide e ridicole.
Hac ogni tanto finisce per utilizzare a sua volta questo nome, proprio
perchè influenzato e "abituato" dall'amico e lo stesso vale (in
misura minore) per Gwen.
Ringrazio tutti quelli che seguono e ricordano questa storia e tutti
quelli che l'hanno recensita e anche quelli che l'hanno solo letta. Se
mi lasciate una traccia del vostro passaggio vi ringrazierò
ancora più sentitamente.
Al prossimo capitolo (che probabilmente non sarà l'ultimo come avevo creduto).
Ciao
Good Old Charlie Brown.
|
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Capitolo 6 *** Gelati e Discorsi ***
Capitolo 5
Capitolo 5.
Gelati e Discorsi.
Da
quando il nuovo governo si era installato al Ministero, le strade del
quartiere magico di Diagon Alley erano sempre più tetre e
silenziose: molti negozi avevano chiuso i battenti e i marciapiedi
sembravano più sporchi e meno curati. I pochi maghi che le
percorrevano si affrettavano alle loro destinazioni degnando appena di
un’occhiata le vetrine dei pochi negozi rimasti aperti, che
comunque erano per la maggior parte coperte da manifesti di ricercati
del Ministero o sciocchezze sul censimento dei Nati Babbani, o si
affannavano ad acquistare il più in fretta possibile quanto
avevano bisogno, come se temessero di restare in vista anche un solo
minuto di troppo.
Hackluit Riddle usciva con calma dalla sede della Gringott,
incamminandosi lungo Main Street verso una piccola gelateria sul lato
destro della strada; seduta da sola ad un tavolino appena fuori dal
locale, al caldo tepore della fine di agosto, lo aspettava Wendelin
O’Sullivan, la sua ragazza. Quel giorno portava i capelli lisci,
corti fino alle spalle e leggermente più scuri del solito. Una
volta sua madre gli aveva detto che le donne associano il cambio di
pettinatura ad eventi particolarmente importanti, dolorosi o gioiosi
che fossero. In quel senso Gwen non faceva assolutamente testo, dato
che cambiava look almeno una volta alla settimana, appassionata
com’era di quel genere di incantesimi e pozioni
“cosmetiche” e aveva un talento più che discreto.
Secondo Hac avrebbe dovuto fare l’estetista anziché la
Medimaga, ma l’ultima volta che aveva accennato alla cosa aveva
rimediato solo una fattura, così aveva lasciato perdere.
«Sei in ritardo Hackluit!» esclamò Gwen.
«Solo di un quarto d’ora, tesoro – rispose lui,
abbracciandola con un gran sorriso – e non è colpa mia. I
Goblin sono diventati ancora più sospettosi e non ti permettono
di entrare o uscire senza aver fatto ogni genere di controlli, compreso
infilarti una sonda su per il....
«Va bene Hac, ho capito! Non c’è bisogno di dire proprio tutto.... »
«Perché te la prendi così, Gwen? Stavo per dire
“su per il naso”. Cosa diamine andavi pensando, ragazza
perversa?». La rimbeccò Hac, sorridendo maliziosamente.
«Non sono certa che tu stessi davvero per dire questo, ma non
importa – rispose Gwen sorridendo a sua volta – Piuttosto,
com’è la situazione alla Gringott? Voglio dire, misure di
sicurezza a parte, che posizione vogliono prendere i Goblin in questa
situazione».
«Non buona. I Goblin sono nervosi, temono che il Ministero voglia
intromettersi nei loro affari, controllare la banca o peggio
sottometterli. Quanto alla nostra “situazione”... a loro
non importa nulla di nulla. Lotte tra maghi, dicono. Affari di maghi.
Finchè non saranno toccati nel loro oro e nei loro tesori non
faranno mai niente. Ma non è prudente parlare di queste cose
così all’aperto... non si sa mai chi potrebbe ascoltarci.
Su, ordiniamo un bel gelato».
Il
gelato era molto buono, anche se non paragonabile a
quell’autentico capolavoro del gusto che era quello di Florian
Fortescue: Hac ordinò una grande coppa alle “Gelatine
Tuttigusti + 1” (che cambiava sapore ad ogni cucchiaiata), mentre
Gwen optò per una più classica coppa cioccolato e crema.
«Davvero non capisco come tu possa mangiare quella roba»
esclamò Gwen rivolta ad Hac, che aggrediva la sua coppa,
gustandola con allegria.
«Lo mangio fin da bambino e non mi ha mai fatto male».
Rispose Hac, sollevando appena lo sguardo della sua coppa; poi
ingoiò una grossa cucchiaiata di gelato, per sputacchiarla quasi
subito, con un’espressione schifata.
«Che succede?»
«Era al gusto vomito». rispose Hac pulendosi la
bocca, per poi continuare ad mangiare il suo gelato come se nulla
fosse. Gwen sollevò lo sguardo esasperata.
Terminato il gelato i due giovani si avviarono per una passeggiata per
il quartiere: entrambi avevano finito il loro tirocinio per quel giorno
e avevano voglia di stare un po’ insieme, di passare del
tempo come due giovani, normali innamorati, senza dover pensare ai
Mangiamorte, alla guerra, ai pericoli che stavano correndo e che
avrebbero corso. Ma l’ambiente di Diagon Alley era troppo tetro
e per una passeggiata romantica o anche solo per allontanare i
pensieri più cupi e tristi: da ogni parte i poster del Ministero
ricordavano che la “Campagna per il Censimento dei Nati
Babbani” – naturalmente era solo una copertura per
legalizzare la “Caccia al Sanguesporco” di Voldemort e dei
suoi Mangiamorte – era in corso e che tutti i maghi erano tenuti
a dimostrare la loro ascendenza magica.
«Sai – disse Gwen, indicando uno dei tanti manifesti
– proprio ieri gli uomini del Ministero ha fatto visita a casa
mia. I miei genitori si sono spaventati molto e...»
«COSA? – la interruppe Hac, molto preoccupato – vi
hanno interrogato? Torturato? Perché non me lo hai detto prima,
Gwen?»
«Non ti preoccupare, Hac! – fece lei, agitando la mano
– Volevano solo controllare il nostro “Stato di
Sangue”. Naturalmente entrambi i miei sono dei
“Purosangue”. Sono stati poco gentili, forse, ma è
stata una normale visita di controllo: mi è venuto in mente
vedendo quei manifesti!».
Hac
arrossì leggermente, vergognandosi di quello sciocco scatto di
preoccupazione: se fosse accaduto qualcosa di grave Gwen non avrebbe
certo taciuto. Gwen gli sorrise cogliendo immediatamente il suo stato
d’animo, ma insieme apprezzando la sua preoccupazione per lei: si
comprendevano sempre al volo, con un semplice sguardo, un sorriso, un
cenno col capo, spesso senza bisogno di parole. Era molto più
difficile con Charles, malgrado i molti anni di amicizia: lui era
più chiuso e, pur essendo sempre stato sincero con loro,
più portato al segreto. Sospirò fissando ancora una volta
i manifesti.
«Sembra incredibile che fino a qualche tempo fa Jack dovesse
preoccuparsi solo di cose come questa, vero? – sussurrò a
Gwen - Oh beh, non che sia una cosa da poco. Ma ora hanno messo
addirittura una taglia su di lui». Accanto al proclama sul
Censimento dei Nati Babbani, campeggiavano altri manifesti, con i volti
dei maghi e delle streghe ricercati dai Mangiamorte del Ministero:
sulla destra accanto alla taglia di Potter, indicato come
“Indesiderabile Numero 1” (per il quale si offriva la
favolosa cifra di 10.000 Galeoni), si poteva vedere il volto di
Charles, indicato come un pericoloso assassino e Ladro di Magia.
«Parla piano – fece Gwen girandosi nervosamente intorno
– non si sa mai chi potrebbe ascoltare. Come ha reagito
Charles?».
«Sai come è fatto... – rispose Hac con una smorfia
– Prima ha cercato di scherzarci su, sostenendo che cinquecento
Galeoni erano troppo pochi per lui e dicendosi offeso che Potter avesse
avuto una taglia tanto più alta della sua; poi ha ricominciato
con le sue assurdità sul fatto che sta mettendo in pericolo me e
i miei genitori...».
«Temi che voglia fare qualche sciocchezza?»
«Che voglia scappare da solo, dici? Non credo che lo
farà... Voglio dire, non si sa mai con quella testadura, ma ha
promesso che non fuggirà e lui mantiene le promesse».
«Speriamo. Faremmo comunque meglio a tenerlo d’occhio, Hac,
e a fargli sentire la nostra vicinanza: forse una di queste sere potrei
venire da voi: è un po’ che non lo vedo».
«Charles ne sarà molto felice. E i miei genitori saranno semplicemente estasiati».
Proseguirono insieme verso l’uscita di Diagon Alley, fermandosi
solo un’ultima volta, proprio di fronte alla taglia di Charles:
la foto del manifesto risaliva all’ultimo anno ad Hogwarts ed era
stata forse scattata poco prima dei M.A.G.O. Charles indossava ancora
la divisa della scuola, con i colori della sua casa Ravenclaw.
L’immagine riportò alla loro mente i momenti di gioia
sincera che avevano condiviso durante i sette anni ad Hogwarts: quei
tempi che ora, soprattutto per Charles, sembravano essere un ricordo
sempre più lontano di giorni che, forse, non sarebbero
più tornati.
Era
una tranquilla serata di fine agosto, da ormai quasi un mese Charles si
nascondeva a casa Riddle: la situazione era molto pesante per lui ed
era lieto che – dopo tanto tempo – Gwen avesse avuto
occasione di venirlo a trovare. Quei momenti che poteva dividere con i
suoi amici avevano come il magico potere di allontarLa signora Riddle
aveva preparato una splendida cena: un Roast Beef cotto alla
perfezione, che si scioglieva semplicemente in bocca, con contorno di
patate al forno e una porzione della sua ottima Zuppa Inglese
Uther Riddle mancava ancora, trattenuto al lavoro anche quella sera.
«Allora, Gwen, come sta andando il tuo tirocinio al San Mungo?
Immagino sia piuttosto dura, ma ti darà un sacco di
soddisfazioni.».
«Oh, sta andando davvero bene Charles. Certo è un
po’ dura: ci sono le lezioni avanzate di Pozioni, Incantesimi,
Trasfigurazioni ed Erbologia che sono davvero pesanti sia da seguire
che da studiare. Inoltre ci mettono sotto a preparare le pozioni
più semplici, visto che i veri guaritori più esperti non
possono perdere tempo con sciocchezze come la Pozione
Rinvigorente.».
«Ti è già capitato di lavorare nei reparti? O ancora non te lo permettono?»
«Ho fatto qualcosa questa settimana! I nostri Tutor ci stanno
facendo conoscere un po’ tutti i reparti: non si tratta di
lavorare propriamente, capisci? Si fa solo assistenza spicciola. Ma ci
dà modo di sperimentare un po’ la situazione, visto che
tra un paio di anni dovremo decidere in che reparto specializzarci.
Credo che mi piacerebbe molto lavorare nel reparto “Lesioni
permanenti”: la guaritrice Sprout sostiene che con la mia
allegria sarei molto adatta!».
«Ne sono certa, Gwen – intervenne Endora Riddle –
sono molto contenta che tu possa realizzare il tuo sogno. Sai, anche io
avrei voluto fare la Guaritrice. Ma ho scoperto che la vista del sangue
mi nauseava troppo e così ho dovuto rinunciare. Alla fine ho
deciso di dedicarmi alla mia famiglia a tempo pieno, anche se un poco
mi è spiaciuto...».
Gwen
rivolse un sorriso grato ad Endora «Lei è molto gentile,
signora Riddle. Peccato che lei non abbia continuato la sua carriera:
sarebbe stato bello lavorare insieme».
«Comunque» proseguì dopo qualche secondo di
silenzio. «Sapete chi ho incontrato al San Mungo, durante il
tirocinio?»
«No, Gwen. Ma immagino che tu non veda l’ora di dircelo...».
Charles ridacchiò sotto i baffi, mentre Hac sorrideva
ironicamente, Gwen fulminò entrambi con lo sguardo.
«Gilderoy Lockhart, il nostro vecchio professore di Difesa Contro
le Arti Oscure». Nessuno fece particolari commenti così
lei proeseguì. «Beh, ha completamente perso la memoria:
ora si comporta come un bambino di cinque anni. Ma non ha perso le sue
abitudini: non appena mi ha visto mi ha chiesto se volessi un suo
autografo...».
Hac
e Charles si abbandonarono ad una autentica risata, scandalizzando la
signora Riddle che subito li riprese. «Hac! Charles! Come fate a
ridere di una disgrazia del genere? Perdere la memoria è una
cosa gravissima! Povero Lockhart!».
«Oh, mamma!» ribatté Hac, soffocando le risate.
«Lockhart era un buffone e un incapace, anche se pieno di
sé come pochi. E poi non ridiamo per la sua disgrazia, ma
perché malgrado la disgrazia non è cambiato».
Charles annuì prontamente, dichiarandosi assolutamente
d’accordo con l’amico e anche Gwen fece lo stesso e poi
commentò. «Beh, come professore non è stato un gran
che ma bisogna ammettere che era davvero un bell’uomo. Alto,
biondo, occhi azzurri... davvero molto affascinante!».
«Certo!» commentò acidamente Hac. «Se ti piace
il tipo pieno di sé e gonfio come un pallone...».
«Che c’è? Solo tu puoi fare apprezzamenti
sull’altro sesso? Dai, non fare il geloso! Lockhart non è
il mio tipo, è troppo vecchio. E poi... di persone che si
comportano come un bambino di cinque anni ci sei già tu!».
A questa battuta tutti, compreso lo stesso Hac, scoppiarono nuovamente a ridere.
«A proposito.» disse Hac prendendo dal tavolino di fronte a
sé la Gazzetta del Profeta «Cosa pensate delle
novità su Hogwarts? Insomma, Snape diventato preside e tutto il
resto?».
«Beh è ovvio che Voi-sapete-chi voglia controllare anche
Hogwarts! Insomma, quando Dumbledore era in vita non poteva nemmeno
provarci... ma ora...»..
«Però...» intervenne Endora. «Non è
strano che abbiano scelto proprio Snape? Insomma è noto a tutti
che è stato lui ad uccidere il Dumbledore. Non posso credere che
gli altri professori lo possano accettare come preside!»
«Dovranno farlo, se vogliono restare ai loro posti e cercare di
proteggere gli studenti: altrimenti l’intero corpo docenti
sarebbe in mano ai Mangiamorte. Pare che abbiano già preso
Babbanologia e Difesa. Tu cosa ne pensi, Charlie?».
Charles tacque per qualche istante, riflettendo tra sé: fino a
qualche mese prima la notizia che Severus Snape fosse stato eletto
preside di Hogwarts lo avrebbe reso felice. L’insegnante di
pozioni gli era sempre stato tra i suoi preferiti e lo aveva apprezzato
ancora di più durante l’anno in cui aveva insegnato Difesa
Contro le Arti Oscure: sembrava condividere con lui l’idea che
esistevano branche della Magia che dovevano essere ben conosciute per
poter essere combattute efficacemente. Dopo i fatti di giugno si
sentiva deluso, quasi tradito da un uomo in cui aveva posto la sua
fiducia, un uomo che aveva ritenuto grande e che invece si era rivelato
una sciocca marionetta nelle mani di Voldemort. Cominciava anche a
dubitare di sé stesso e delle sue convinzioni sulle Arti Oscure:
forse c’erano cose semplicemente troppo pericolose anche per
essere solo studiate, forse Snape era diventato Mangiamorte proprio per
quello, forse...
Hac lo riscosse dai suoi pensieri, scuotendogli il braccio.
«Ehi, Jack! Che c’è ti sei incantato?»
«Oh scusate! Stavo riflettendo tra me e mi sono
perso un po’. Naturalmente sono d’accordo con te, Gwen.
Credo anche io che Flitwick, la McGonagall e gli altri cercheranno di
fare il possibile per limitare il potere di Snape e dei suoi. Temo
però che non sarà affatto facile e ho paura che
durerà poco. Se il Signore Oscuro riuscirà ad uccidere
Harry Potter penso che prenderà Hogwarts tutta per
sé».
«Pensi davvero che Potter sia tanto importante? Non hai mai avuto molta stima di lui!».
«Non è importante quello che penso io, Hac, ma quello che
pensa Tu-Sai-Chi. E per qualche ragione lui è convinto che
Potter sia l’ultimo ostacolo tra lui e il potere assoluto. Come
vorrei dimostrargli che si sbaglia...».
In
quel momento il loro discorso fu interrotto dall’improvvisa della
figura argentea di un Patronus, un falco: era il segnale che Uther era
tornato a casa. Avevano stabilito quella modalità perché
era molto più sicura di qualunque parola d’ordine: in
primo luogo ogni Patronus è unico e personale e non è
possibile imitarlo, in secondo luogo era poco comune così se
qualcuno avesse preso le sembianze di uno di loro avrebbe tentato di
scoprire la parola d’ordine, falsa, che avevano stabilito.
Poco
dopo Uther entrò in casa: era nervoso e agitato come spesso gli
accadeva da quando aveva assistito al colpo di stato al Ministero.
L’idea che stesse di fatto lavorando per Voldemort lo metteva a
disagio: da giovane, pur non avendo combattuto apertamente i
Mangiamorte, ne aveva disprezzato pubblicamente le idee ed ora si
ritrovava ad operare per un governo che perseguitava Nati Babbani e
Mezzosangue. Contribuire a nascondere Charles, malgrado i pericoli che
ciò comportava, alleviava solo in parte quel disagio.
«Come è andato il lavoro, caro?»
«Male»
rispose, con una smorfia di insofferenza. Sedette al tavolo e si
versò il consueto bicchierino di Firewhiskey, per calmarsi.
«Questa situazione non mi piace. Sto pensando seriamente di
dimettermi» annunciò infine.
«Vuoi dimetterti?» domandò stupito Hac.
«A
dire il vero mi sarei già dimesso se non fosse per la paura di
attirare l’attenzione su di noi: se mi dimettessi mi
considererebbero subito come ostile al governo e forse mi
arresterebbero con qualche scusa. O potrebbero prendersela con voi.
Senza contare che ora abbiamo anche Charles da proteggere....».
«Signor
Riddle, io...davvero non è necessario che voi...»
tentò timidamente di protestare Charles, ma Uther lo interruppe
con un cenno della mano.
«Lo so, Charles. Non dire nulla. Noi lo facciamo con
gioia! Comunque, probabilmente non mi permetteranno nemmeno di
dimettermi, ma non intendo essere complice di questa cosiddetta
“Commissione per il Censimento dei Nati Babbani!”!»
«Che cosa fanno?»
Uther lo raccontò brevemente: la “Commissione” aveva
cominciato le sue attività solo quel giorno, ma era bastato a
riempirlo di orrore: i Nati Babbani rintracciati, o che rispondevano
alla convocazione del Ministero, erano trattati come esseri inferiori,
torturati dai Dissennatori e privati della bacchetta. Alcuni venivano
spediti ad Azkaban, altri venivano liberati, ma privati di tutti i
diritti, del loro lavoro e persino delle loro sostanze.
«Tu cosa hai intenzione di fare, papà?».
«Beh,
intanto potrei cercare di cambiare ufficio. Il mio è coinvolto
direttamente in questa storia e Dolores Umbridge potrebbe coinvolgermi
da un momento all’altro».
«La Umbridge?» domandarono, più o meno contemporaneamente Charles, Hac e Gwen.
«Proprio lei. Se avete avuto a che fare con lei avrete presente
che razza di pazza sadica sia... E poi vorrei mettermi in contatto con
qualcuno di fidato. Per fare qualcosa di concreto. Mi piacerebbe
parlare con Arthur Weasley, ma è costantemente sotto
sorveglianza e potrebbe suonare sospetto...».
«Cosa pensi di fare, caro?».
«La cosa più sensata mi sembra cercare di trasferire
quanti più “ricercati” possibile all’estero,
dove sono più al sicuro. Magari in Irlanda, attraverso
l’Ulster...»
«Buona idea. Ma McPride non ne sarà molto felice!». Osservò Gwen.
«McPride?» Domandò Hac incerto.
«Adolphus McPride, Presidente della Repubblica Magica
d’Irlanda, un mago piuttosto abile e potente a quanto ho sentito.
Solo non capisco perché non dovrebbe esserne contento».
Rispose Charles.
«Beh vedi» spiegò Gwen « alcuni maghi
Irlandesi di stirpe celtica hanno dei... pregiudizi nei confronti
delle persone di stirpe inglese. Immagino che permettere un esodo di
maghi inglesi possa essere deleterio per la sua immagine».
«Mi sembra giusto» commentò Hac sarcastico «Se
non ci sono stupidi pregiudizi verso i Babbani, allora bisogna
inventarsene di nuovi, ancora più stupidi! Mah!».
L’improvviso, sonoro, rumore di una
materializzazione interruppe il discorso. Tutti scattarono in piedi,
tesi e spaventati: in teoria nessuno avrebbe potuto materializzarsi
così vicino alla casa. Se quelle protezioni erano saltate forse
si stavano avvicinando gli uomini del Ministero o, peggio, i
Mangiamorte.
Nessuno fiatò mentre qualcuno bussava forte
alla porta. Charles si trasformò immediatamente in Animagus,
restando sempre pronto e all’erta mentre Hac e Uther si
avvicinavano alla porta, aprendola con circospezione.
Ma la persona sull’uscio non era un
Mangiamorte, e nemmeno un dipendente del Ministero. Alto poco meno di
un metro, due grandi orecchie a punta ed enormi occhi a palla: sulla
soglia stava un Elfo Domestico.
***************************
Note dell'Autore.
Allora... ehm.... Miei cari quattro o cinque (quel che sia) lettori...
sono mancato da un po' nevvero? Davvero dovete scusarmi se non ho
aggiornato per così tanto tempo, ma l'ispirazione latitava
profondamente e a volte anche la voglia. Il vero problema è che
inizialmente la storia doveva finire con il salvataggio di Charles da
parte di Hac e Gwen... poi ho pensato di andare avanti e... beh
comunque ora SONO andato avanti.
Lo so il capitolo non è molto emozionante. Un sacco di dialoghi
e quasi niente azione. Comunque spero apprezziate lo stesso. Non mi
soddisfa completamente, ma avevo bisogno di un capitolo per illustrare
un po' la situazione del punto di vista dei miei personaggi. Spero che
con questo la loro psicologia sia stata ulteriormente approfondita...
Il prossimo capitolo potrebbe essere ancora piuttosto simile a questo
ma ci saranno grandi rivelazioni (per voi, almeno!)
Infine alcune annotazioni tecniche.
Adolphus Mc Pride è un personaggio che appartiene a Beatrix
Bonnie. In particolare alla saga del "Trinity College" ambientata nel
mondo magico irlandese. Appartiene a lei anche l'idea di un odio dei
maghi celti irlandesi verso gli inglesi. Ho voluto citarlo come omaggio
ad una storia molto bella perchè mi piace fare questi
riferimenti incrociati ad altre Fanfiction (lo so sono strano) comunque
QUI. Potete trovare le storie di cui parlo.
Il gelato "Tuttigusti +1" è un'idea che mi è venuta
così. La magia funziona non solo grazie al gelato, ma anche per
lo speciale cucchiaio che fa sì che ogni cucchiaiata abbia il
suo gusto. Altrimenti verrebbe un impasto orribile di sapori. Anche
così', naturalmente, solo dei pazzi completi come Hac possono
prendere un gelato di questo tipo... Mah....
Beatrix è stata anche tanto gentile da disegnare per me il mio
Trio Protagonista (io non ne sarei capace nemmeno tra millemila anni)
QUI. potete vedere il suo lavoro.
Beh ho finito con le note. Vorrei ringraziare tutti quelli che seguono
recensiscono o mettono tra i preferiti o leggono o passano per caso su-
le mie storie. Questa o le altre.
Se mi lasciate un giudizio è ben gradito. A là prochaine....
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Capitolo 7 *** La Nobile Casata Balsamo ***
La Nobile Famiglia Balsamo
Capitolo 6
La nobile casata Balsamo.
Ancora
fermo all’ingresso il piccolo Elfo Domestico fissava i Riddle e
Gwen; i suoi grossi occhi, simili a palle da ping-pong, erano colmi di
incertezza e del timore reverenziale verso i Maghi che pareva innato
nella sua specie. Dopo qualche secondo, disse:
«Prego, signori… Pillo… Pillo cercare signorino Balsamo. Dove trovarsi signorino Balsamo?».
Parlava in un
inglese davvero molto incerto – persino per un Elfo Domestico
– e per di più con uno strano accento, ma riusciva
comunque a farsi capire.
«Ehm… mi dispiace Pil..Pillo.. –
balbettò incerto Uther, mentre Endora lo raggiungeva e Hac e
Gwen si scambiavano uno sguardo incerto – qui non
c’è nessun Balsamo… questa è casa Riddle Io
sono Uther Riddle, mia moglie Endora e mio figlio Hackluit con la sua
amica Gwen..».
Il povero Elfo
divenne ancora più insicuro e spaurito, fissò lo sguardo
su ciascuno dei membri della famiglia poi disse nuovamente
«Prego,
Signore… di scusare. Pillo mandato a cercare signorino Balsamo
da Padron Julius. Padron Julius certo che trovarsi qui. Padroncino
Balsamo suo nipote. Carlo Giuseppe… Pillo non potere tornare
senza una risposta… Prego..». Finalmente questa litania fu
interrotta, nientemeno che da Charles in persona.
«Ciao Pillo! Che piacere vederti qui! Non me lo aspettavo!»
«CHARLES! Ma cosa diavolo fai? Devi restare nascosto! Sei in pericolo!»
«Va
tutto bene, signora Riddle! – rispose Charles – conosco
bene questo Elfo e… beh… il “Padroncino
Balsamo” di cui va parlando da cinque minuti sono io».
«Credevo che glielo avessi già detto Hac!». Aggiunse rivolgendosi all’amico
«Ma se
sei stato tu a chiedermi di mantenere il tuo segreto! “Per adesso
non ditelo a nessuno, per favore! Voglio che resti un segreto!”
sono parole tue santo Merlino! Ti sei raccomandato tanto (e non ho mai
capito il perché) e adesso ti lamenti che non ho detto nulla ai
miei? Prima mi chiedi di non fare una cosa e poi mi sgridi per non
averla fatta? Io…».
«Sì! D’ACCORDO!» lo interruppe Charles
«Ma io intendevo ai nostri compagni di scuola! Potevi dirlo ai
tuoi genitori! Specialmente ora!»,
«Beh, potevi essere più chiaro sai?» ribatté acidamente Hac.
«Va bene! Va bene! Ma credevo che fosse ovvio! Sono i tuoi genitori!».
«Beh! Non lo era! Non è vero Gwen?».
«Non
mettermi in mezzo Hac! – rispose lei – comunque… io
ai miei l’ho detto».
«Visto? Cosa ti dicevo?»
«Visto cosa? È una donna, è ovvio che non sappia mantenere i segreti».
«HACKLUIT GAWAIN RIDDLE! Osa ripetere una cosa così
maschilista e di rifilo uno schiantesimo là dove non batte il
sole».
«Oh
andiamo, Gwen! – replicò Hac senza nemmeno preoccuparsi di
non farsi sentire da sua madre – lo sanno tutti che le donne
fanno pena a mantenere i segreti! Giusto Jack?».
«Che c’entro io adesso? E smettila di chiamarmi Jack! Non lo sopporto!».
«La
verità è che voi due siete dei maledetti
maschilisti» gridò arrabbiata Gwen.
«Non
prendertela così Ti chiamo Jack perché mi piace di
più e ti voglio bene».
«Ma che
c’entro io Gwen?! – protestò Charles con la ragazza
– non ho detto NULLA contro le donne!»
«Oh non
fare il santarellino Jack! Voi due fate sempre comunella. Fingete
qualche contrastom ma siete sempre d’accordo! Non lo dici
apertamente, sì, ma la pensi come lui!»
«Non cominciare a chiamarmi anche tu JACK!».
«Oh,
suvvia Gwen! Era una semplice battuta! Stavo solo scherzando!»
ribatté seccamente Hac, tentando di riportare la calma. Ma non
erano esattamente le parole adatte a questo scopo.
«Beh, era una battuta stupida! Dovresti imparare a fare
scherzi più intelligenti! Anzi dovresti smetterla proprio di
fare battute! Che tanto non fai ridere! Idiota!».
«Ehm…ragazzi, per favore! Potreste spiegare anche a noi
cosa sta succedendo?» tentò timidamente di intervenire
Uther cercando di porre fine a
quell’improvvisa lite. Fu tutto inutile. I tre, non lo udirono o
lo ignorarono e continuarono a discutere con ancora più
violenza. L’Elfo, intanto continuava a rimanere sulla soglia,
pigolando ogni tanto «Signorino Balsamo» e qualche altra
parola in una lingua straniera
«E POI
IO NON HO DETTO NIENTE DI MALE!» protestò nuovamente
Charles rivolto a Gwen «Non te la puoi prendere con me se
fidanzato fa sciocche battute sessiste proprio quando hai le tue
cose!».
«EHI! Credevo fossi dalla mia parte, Jack!»
«LE MIE
COSE? CHARLES VAN PELT! Cosa centrano adesso “le mie cose”?
E poi non saresti un maschilista».
«Lo
sarei, Hac, se tu iniziassi a chiamarmi con il MIO VERO NOME! CHARLES!
Possibile che ti sia tanto difficile? Dovresti avere abbastanza
cervello almeno per questo!».
«Dai
ragazzi, non litigate così». Provò nuovamente a
mediare Uther, ormai praticamente disperato di fronte all’assurda
discussione nata tra i tre amici Aenche questo tentativo, tuttavia,
finì nel nulla. A dire il vero non capiva nemmeno bene di che
cosa discutessero: ciascuno parlava sopra all’altro, litigando
per almeno tre motivi differenti, nessuno dei quali sensato.
«Oh Santo cielo ancora con questa storia!»
«Sì, ancora con questa storia! Quante volte ti ho detto di chiamarmi con il mio nome?».
«Oh, andiamo! Lo so che ti piace che io ti chiani Jack!».
«Certo come “sapevi” di dover nascondere le mie origini ai tuoi!».,
«E tu potevi avere il cervello di dire chiaramente a chi potevo svelare il tuo stupido segreto!».
«E tu avresti potuto chiedermelo! Gwen lo ha fatto!»
«MI HAI FATTO FARE LA FIGURA DELLO STUPIDO!».
«NON HAI MAI AVUTO BISOGNO DEL MIO AIUTO PER QUELLO».
«STO
ANCORA ASPETTANDO LE VOSTRE SCUSE!». Intervenne Gwen, come
sentendo il dovere di rientrare nel litigio dei due.
«NON HO DETTO NIENTE DI MALE» gridarono Hac e Charles più o meno contemporaneamente.
«NIENTE DI MALE? MI AVETE OFFESA!» ribattè lei piccata,
«SILENCIO!» Intervenne finalmente Uther, levando la
bacchetta e lanciando un incantesimo tacitante sui tre che, finalmente,
trovandosi senza parole – anzi proprio senza voce, gli diedero
retta interrompendo il loro assurdo alterco.
«Grande
Merlino Ragazzi! Ma cosa diavolo vi è preso? Vi rendete conto
che avete passato gli ultimi dieci minuti litigando senza una sola
ragione sensata? Ora per favore cercate di calmarvi, di fare la pace e
di spiegarmi con calma cosa sta succedendo!».
I tre amici,
fortunatamente ancora ammutoliti dall’incantesimo, si guardarono
in cagnesco ancora per qualche istante. Ma l’interruzione del
padre di Hac, unita all’impossibilità di parlare, aveva
come tolto il carburante che alimentava il loro litigio. Le loro
espressioni si rilassarono ed i tre – ancora senza poter parlare
– suggellarono la pace con una tripla stretta di mano. Solo a
questo punto Uther si sentì abbastanza sicuro da rimuovere
l’incantesimo silenziatoire.
I tre amici
provavano un senso di vergogna e di inquietudine per quella lite
scoppiata improvvisamente: ripensandoci dall’esterno poteva
sembrare persino buffa tanto erano assurde ed insensate le ragioni per
le quali era scoppiate la lite. Ma durante il litigio si erano stati
terribilmente seri. Anzi, ciascuno di loro aveva la sensazione che, se
non fossero stati interrotti, il loro bisticcio sarebbe potuto
degenerare in qualcosa di peggio. Avrebbero potuto volare offese o
accuse delle quali si sarebbero pentiti; sarebbe scoppiato persino un
duello, forse.
Fu Charles,
sebbene un po’ imbarazzato, a rompere il silenzio: «Scusa
Hac! Avrei dovuto dirti che potevi parlare liberamente ai tuoi. E
Gwen… mi dispiace per quell’osservazione sulle “tue
cose”».
«Beh.
Forse avrei almeno potuto chiedertelo, Jack…ehm…Charles.
È più forte di me! Scusa! E… Gwen… dovrei
stare più attento con le mie battute. A volte non capisco quando
è il momento sbagliato».
«Ed io, avrei potuto essere meno permalosa» Intervenne Gwen.
«Il
punto è che mi sento terribilmente teso. Questa maledetta storia
mi sta facendo diventare troppo nervoso! Odio restare chiuso in
casa!». Intervenne nuovamente Charlie, sentendo l’urgenza
di spiegarsi, dopo un altro breve istante di silenzio.
«Lo
siamo tutti, Charlie. Tu ne hai più motivo di noi, ma anche io e
Hac siamo preoccupatissimi per te. Questa cosa ci sta facendo saltare i
nervi. Ma dobbiamo restare uniti! Se litighiamo tra noi, abbiamo
già perso!».
Sorrisero,
finalmente ed un triplo abbraccio suggellò così la
pace e l’amicizia ritrovata: in quel calore ogni tensione
scomparve: erano amici, il loro legame aveva superato la differenza e
l’ostilità tra le loro case, i pregiudizi dei compagni e
molto altro: avrebbero superato anche questa crisi e ne sarebbero
usciti più forti.
«Scusate!». Li interruppe dopo un poco Uther «Mi
dispiace interrompere la vostra riappacificazione ma… avreste,
per favore, la compiacenza di spiegare anche noi perché questo
Elfo Domestico conosce Charles?».
Charlie si
sentiva un poco in imbarazzo sotto lo sguardo interrogativo, anche se
benevolo, dei signori Riddle. Sedevano tutti a tavola, Charles ad un
capo con accanto a lui Gwen e Hac, all’altro capo sedevano Uther
ed Endora; tra loro stava anche Pillo. L’Elfo Domestico aveva
protestato a lungo, come se la prospettiva di sedere a tavola con una
famiglia di maghi, quasi da pari a pari, forse una sorta di bestemmia.
Aveva ceduto solo ad uno stizzito ordine di Charlie, ma continuava a
guardarsi intorno terrorizzato.
«Ecco
ehm…» esordì nervosamente Charles. «È
una storia un po’ complessa da spiegare… non so come
iniziare e…»
«Forse
potremmo farti qualche domanda. Potrebbe metterti più a tuo
agio». Intervenne gentilmente la signora Riddle.
«Mi
sembra una buona idea». Disse Gwen poggiando una mano sulla
spalla dell’amico che annuì.
«Molto
bene – cominciò Uther Riddle in tono accomodante –
cominciamo dalla questione principale. Perché questo
Elfo… Pillo, giusto?... Perché ti ha chiamato
“signorino Balsamo”?».
«Balsamo
è il cognome di mia madre: Giovanna Balsamo. Suo padre, mio
nonno, Carlo Balsamo era un Magonò. Apparteneva ad una famiglia
davvero molto antica, ricca e potente. Suo padre, Costantino Balsamo,
era l’alleato di Grindelwald nel paese. La sua situazione non era
facile. Lasciò l’Italia poco dopo il suo matrimonio per
trasferirsi qui e non ebbe mai più alcun contatto con il mondo
magico. Pillo è l’Elfo Domestico del fratello di mio
nonno, il mio prozio Julius».
«Quindi tu non saresti propriamente un Nato Babbano. Più un Mezzosangue».
«Considerato che il mio primo ascendente magico è il mio
bisnonno, non credo che ci sia tutta questa differenza». Rispose
amaramente Charles.
«Certo, scusa hai ragione» disse Endora un poco mortificata.
«Non
importa, signora Endora… e comunque, Nato Babbano o meno, ora
sono soprattutto un assassino ricercato».
«Andrà tutto bene Charlie, non temere». Intervenne
Hac. Charles gli rivolse un sorriso grato.
«E tutto questo lo hai scoperto… quando?»
«Solo
al mio terzo anno. Non so bene come i miei parenti abbiano
scoperto di avere un discendente segreto. Forse è stato mio
nonno a dirlo o forse mi tenevano d’occhio… fatto sta che
ho ricevuto questa strana lettera in cui il mio prozio mi spiegava
tutto e mi chiedeva di incontrarlo. Sapete, era il periodo in cui a
scuola c’erano tutte quelle aggressioni ai Nati Babbani. Passai
alcune settimane in Italia l’estate successiva, per conoscere
quel ramo della mia famiglia».
«D’acccordo, ma… come mai tenerlo nascosto? Non
è certo una cosa di cui vergognarsi!».
«Non
saprei dirvelo bene. Penso che di fronte a tutto quel disprezzo che
sentivo verso i cosidetti “Sanguesporco”, volevo affermare
il mio orgoglio per i miei genitori: tutto questo si è solo
rafforzato con il ritorno di Voi-Sapete-Chi e tutto il resto. Poi i
rapporti con i Balsamo si allentarono: io volevo continuare a frequentare
Hogwarts mentre loro pretendevano che mi trasferissi alla Scuola
Italiana. Non li sentivo da più di un anno, ormai. Non mi sarei
mai aspettato che avrebbero mandato qui Pillo».
Gli occhi di
tutti si rivolsero finalmente all’Elfo Domestico che, sentendosi
ancora una volta al centro dell’attenzione tornò guardarsi
intorno, incerto o tremante. Fissava soprattutto Charles ed era
evidente che attendeva ordini da lui.
Fu di nuovo Uther, tuttavia, a prendere la parola. «Molto
bene. Penso di aver capito a sufficienza, per ora. Adesso veniamo alla
questione fondamentale. Perché questo Elfo è venuto qui?
E come ha fatto a trovarti?».
«Rispondi alla domanda del signor Riddle Pillo. Per favore».
«Padron
Julius mandato Pillo a cercare padroncino…lui vuole parlare con
padroncino…Pillo pensa che padrone volere padroncino a
casa». Balbettò l’Elfo sempre in quell’inglese
incerto e con un forte accento.
«D’accordo – lo interruppe Hac – ma come hai fatto a trovarci?».
L’Elfo sembrò non
capire il punto. «Padron Julius avere ordinato. Lui sicuro che
padroncino trovarsi in casa di amici…»
«Sì, ma come hai fatto a superare le protezioni?».
Pillo fissò Hac con sguardo vacuo poi ripetè «Padron Julius avere ordinato. Pillo deve ubbidire».
«La
magia degli Elfi Domestici ubbidisce a regole proprie. –
spiegò finalmente Charles – Se hanno un ordine diretto
possono fare cose per noi impossibili. Non ci ho pensato quando abbiamo
imposto le protezioni. D’altra parte non saprei nemmeno come
avrei potuto impedirlo».
«Pensi che potremmo essere in pericolo?».
«Per i
Mangiamorte dici? Credo di no. La gente come loro non presta molta
attenzione ad esseri che considera poco più che animali o
strumenti parlanti».
«Pillo
avere lettera da parte di Padron Julius!». Intervenne finalmente
l’Elfo tirando fuori una busta dalla sua veste.
«Cosa? Perché non lo hai detto subito? Su! Dammela!». Disse Charles concitato.
«Pillo
stava per dire, ma amico del padroncino interrompere». Rispose
l’Elfo. Poi, come ripensadoci «PILLO CATTIVO!».
Strillò sbattendo la testa contro il grosso tavolo in quercia.
«Santo
Cielo! Smettila di punirti!» gridò Charles sconvolto dalla
reazione. «Scusa, non volevo gridare così. Non hai fatto
nulla di male. Non punirti più senza il mio permesso».
L’Elfo si interruppe immediatamente. Poi sbatté un’ultima volta la testa sul tavolo.
«Pillo
doveva punirsi per essersi punito senza permesso, signore».
Esclamò di fronte all’espressione sbalordita di Charles.
Questi preferì non dire altro. Gli Elfi erano una razza davvero
troppo strana. Presa imano la busta. Conosceva bene la figura incisa
nel sigillo di caralacca; il blasone della famiglia Balsamo: un
serpente, o un drago che si morde la cosa. Aprì la busta prese
la lettera e la lesse davanti a tutti.
Caro Carlo
Spero che il mio Elfo sia riuscito a
trovarti e a consegnarti questa lettera: sembra che ti sia protetto in
modo efficace. Sono molto fiero della tua abilità, stai rendendo
onore ai tuoi antenati.
Ora, so che l’ultima
volta non ci siamo lasciati sotto i migliori auspici: capisco che
probabilmente in quel momento la mia proposta era fuori luogo, che
volevi concludere gli studi nel tuo paese natale, con i tuoi amici.
Sono stato forse troppo brusco con te. E me ne dispiaccio.
Adesso però la
situazione è radicalmente cambiata. Ho seguito con grande
interesse gli eventi inglesi, ma devo dire di non aver mai immaginato
che tutto potesse precipitare tanto rapidamente. Dopo la caduta del
Ministero avere informazioni è stato ancora più
difficile: il paese è pressoché chiuso con
l’esterno. Tuttavia sono venuto a sapere dell’accusa che ti
hanno rivolto. Sono certo che si tratta di una montatura e che sapresti
giustificarti in un processo giusto. Ma un equo giudizio è
proprio quello che non puoi sperare di ottenere dal vostro attuale
governo.
Per questa ragione torno a
proporti di trasferirti qu in Italia. Sono certo che comprendi bene che
questa è la decisione migliore che tu possa prendere. Vorrei
comunque parlare con te di persona per stabilire un piano dettagliato e
decidere su alcuni particolari di una certa importanza.
Mi piocerebbe inoltre
ringraziare i tuoi amici e la famiglia che ti ha ospitato per averti
protetto e aiutato in questa situazione tanto difficile.
Se intendi accettare la mia
proposta, scrivi due parole in calce a questa mia. Non limitarti a
dirlo direttamente dall’Elfo: Pillo parla pochissimo inglese e ad
ogni modo non è il caso di affidare oralmente ad un Elfo
un messaggio tanto importante.
Attendo la tua risposta
Julius Apuleio Balsamo.
Non appena finì di leggere, Charles
gettò la lettera sul tavolo, come per metterla a disposizione di
tutti, poi sedette per riflettere. Vero, tra lui e il suo prozio non
correvano ottimi rapporti. Ma la proposta era buona; persino troppo
buona: accettarla avrebbe significato la salvezza per sé e la
fine di una situazione fin troppo pericolosa per i suoi amici. Eppure
gli dispiaceva scappare, lasciare il suo paese, il luogo in cui era
cresciuto. Restando in Inghilterra, forse, avrebbe potuto lottare
contro Voldemort, o almeno resistere: certamente Hac e Gwen non
avrebbero chinato il capo senza opporre resistenza. Partire per andare
al sicuro sarebbe stato come abbandonarli. D’altra parte lui era
una fonte di pericolo immediato per tutti loro. Si sentiva incerto e
insicuro come non mai, stretto tra due fuochi. Come inconsciamente
cercò lo sguardo dei suoi due amici seduti accanto a lui.
«Senti,
Charlie… Questa è una grande occasione per te. Ma non
voglio che sappia che noi siamo contenti di aiutarti e proteggerti. Non
devi scegliere di partire solo per non metterci in pericolo». Gli
disse Hac, cogliendo al volo l’implicita richiesta di consiglio.
Conosceva bene il suo amico e intuiva i suoi pensieri. Da parte sua
avrebbe forse preferito che rimanesse: se fosse partito avrebbe potuto
non vederlo più.
Charles sorrise. Hac lo aveva
chiamato con il suo vero nome. Lo faceva solo nelle occasioni
importanti: quando le cose si facevano serie. Gwen non disse nulla, ma
il calore della sua mano che stringeva la sua e il suo sorriso,
valevano più di un lungo discorso.
«Hac ha parlato anche per noi, Charles»
intervenne Uther. «Ma la decisione spetta solo a te. Cosa
farai?»
«Penso
che almeno sia il caso di parlare con il mio prozio. Non sono convinto
che mi abbia detto tutto. In seguito deciderò».
Prese la lettera e vergò poche parole proprio sotto la firma
Molto bene. Trova il modo per incontrarci. Charles.
Consegnò la lettera a Pillo, ordinando gli di portarla al suo
padrone. Quando l’Elfo Domestico svanì con un debole POP
si era ormai fatto buio e andarono tutti a riposare, pensando con
trepidazione ed un vago timore a cosa il futuro avrebbe portato loro.
*************************
Ehm.... Alllora... Sono un filino scomparso con questa storia non è vero?
Davvero scusatemi tanto, ma non è sempre facile per me trovare
l'ispirazione. E ci sono TANTE cose da fare... Comunque ora sono
arrivato. Come potete immaginare ci sarà almeno un altro
capitolo. Volevo finire con questo ma c'erano troppe cose da dire -
più di quante pensassi - e volevo rendere l'attesa il più
breve possibile. Inoltre voglio dedicare un capitolo apposta
all'incontro-scontro tra Charles e Julius.
A proposito: vi aspettavate questo colpo di scena? Che ne pensate? Ditemi la vostra.
Per quanto riguarda i Balsamo, comunque, c'è anche un'altra storia che potete vedere QUI. Incontrerete il Bisnonno di Charles ed un giovane (e un po' migliore forse) Julius.
Ora passiamo ad un po di cose divertenti.
QUI
il Blasone di famiglia dei Balsamo L'ho realizzato con un sito online e
un po' modificato con il Paint. Ma dovrebbe essere un po' diverso. Il
motto "Est in fine principium novum" (In ogni fine c'è un nuovo
inizio) dovrebbe essere nella banda. Il serpente dovrebbe essere
più simile ad un dragone e dovrebbe essere d'oro. Purtroppo sono
una chiavica con i disegni. Se qualcuno sapesse darmi una mano gli
sarei molto molto grato. Altrimenti va bene così.
QUI
invece Un Albero Genealogico della famiglia Balsamo (comprensivo di
Charles!) tanto per farvi capire l'intreccio delleti parentele. Se
porterò avanti la storia che vi ho linkato prima qualcuno di
questi dovrebbe comparire. Visto che l'ho dovuto caricare sul gruppo
facebook qualcuno potrebbe non vederlo. Nel caso siate curiosi fate
richiesta QUI
Metterò anche qualche nota di spiegazione nel gruppo. Le note a questo capitolo sono già abbastanza lunghe.
Grazie della vostra attenzione. Vi voglio bene.
Recensite se potete
Tutto il resto è vanità.
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