Candy Flow di Nyappy (/viewuser.php?uid=56176)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Candy Flow -the story ***
Capitolo 2: *** Candy Flow -the end ***
Capitolo 1 *** Candy Flow -the story ***
CANDY
FLOW
Brand new
me!!
Se qualcuno avesse chiesto a Keith: -A cosa paragoneresti Megan?-, lui
non avrebbe risposto subito.
Lei era la ragazza che doveva proteggere, dal comportamento opinabile e
dai gusti bizzarri.
Ma era anche un genio informatico, un’ex-carcerata, uno
spirito inafferrabile.
Ecco, Megan era simile all’acqua: riusciva a sparire veloce
come
un filo di vapore, stare immobile davanti ad un monitor per ore, come
un pezzo di ghiaccio; scivolava via dalla vita di Keith come un allegro
ruscelletto, con discrezione, prima di rientrarci con la travolgente
forza di uno tsunami.
Se qualcuno avesse chiesto a Megan: -A cosa paragoneresti Keith?-, lei
avrebbe sorriso con le sue lucide labbra rosa ed avrebbe esclamato:
-E’ il mio pezzo di legno!-.
* *
L’ispettore distrettuale Keith Madison, fresco di promozione,
era
stato mandato al suo primo incarico fuori New York nel Maine, carcere
di massima sicurezza di Saint Clarisse, un posto sperduto in mezzo al
nulla.
Per lui, abituato alle strade trafficate della Grande Mela, quella
montuosa regione era quasi irritante, con quello spazio aperto, quel
cielo che l’avvolgeva e non era ritagliato dai
grattacieli… iniziava a sospettare di soffrire di agorafobia.
Arrivato al cancello si preparò alla solita sfilza di
controlli
per gli esterni, che durò molto più di quanto si
aspettasse. Terminata la procedura d’identificazione,
riuscì finalmente ad entrare nella portineria
dell’edificio principale, una stanza brutta e grigia con
pesanti
porte di metallo e la portinaia rinchiusa nel suo piccolo ufficio di
vetro.
Tutte le guardie di quel carcere femminile erano donne. Alte, grosse e
con armi in bella vista.
-Madison Keith…-, lo chiamò la portinaia
masticando una
grossa gomma rosa, -Lei arriverà tra un po’.
Comunque io
sono Trisha.-, gli sorrise in un vago tentativo di sembrare gentile.
Keith le rispose con un lieve cenno del capo. Quella tizia era
inquietante…
Trisha sbuffò prima di inchiostrare un grosso timbro e
premerlo con forza su un foglio stampato di fresco.
-Sammy… può uscire.-
La guardia che rispondeva al nome di Sammy estrasse da una tasca una
tessera e la passò sul lettore magnetico, digitando un
codice.
Iniziarono a scattare diverse serrature, e la porta si aprì
lentamente, rivelando una donna di colore che teneva per il braccio una
ragazza.
Sammy l’afferrò subito trascinandola vicino a
Keith, che l’osservò con garbo.
A differenza delle guardi era davvero minuta, e dai vestiti sporchi
uscivano degli arti piuttosto magri, quasi pelle e ossa. I capelli
biondi erano raccolti in una coda disordinata, e la frangia lunga le
copriva gran parte del viso.
-Sarai felice, vero Meg?-, le chiese Sammy fissando
l’ispettore.
In risposta, la ragazza alzò appena il viso, spuntando per
terra.
-Vaffanculo Sam.-
La donna portò indietro un braccio per caricare un pugno, ma
all’ultimo poggiò il braccio rigido sul fianco,
gli occhi
che lampeggiavano minacciosi.
-Vacci anche per me.-, bisbigliò prima di spingere la
giovane donna davanti a Keith.
-Megan Talissa Drake…-, inizò questo tirando
fuori dalla tasca della giacca un mazzetto di chiavi,
-Con il potere concessomi dagli Stati Uniti d’America
dichiaro
ufficiale la tua libertà vigilata. Io, Keith Madison
sarò
il garante personale di questo tuo diritto.-, e dopo aver improvvisato
questo discorso solenne, sciolse le manette che legavano i polsi di
Megan dietro la sua schiena, e lei fu finalmente libera.
* *
Dopo parecchie ore di macchina Keith era tornato a New York, bloccato
nel consueto traffico serale. Megan, seduta vicino a lui, non aveva
detto una sola parola, restando immobile per quasi tre ore con il capo
chino e il viso nascosto dai capelli.
-Senti…-, Keith trasalì nel sentire
all’improvviso la voce di Megan, -Quanto ci mettiamo ancora?-
Lui si girò per guardarla: il suo viso era riflesso sul
finestrino, illuminato dai lampioni.
-Ottimisticamente… un’ora.-, molto
ottimisticamente.
-E starò da te.-
-Sì, Bethany è entrata in maternità in
un brutto periodo, così ti hanno affidata a me.-
-Mmm… mi dai l’indirizzo di casa tua?-, chiese lei
scrollando il capo, e lui lo recitò veloce, un po’
sorpreso.
-Al prossimo semaforo aspetta due minuti in più, in
mezz’ora dovresti farcela. Ti aspetto a casa!-,
esclamò
aprendo la portiera e uscendo velocemente dall’auto.
-Che fai?-, gridò Keith slacciandosi le cinture di sicurezza.
Stava per uscire e rincorrerla quando le auto davanti iniziarono
timidamente ad andare avanti, e Keith si ritrovò travolto da
una
pioggia di clacson ed insulti.
-Diavolo!-, ringhiò riallacciandosi le cinture.
Parcheggiata l’auto nel garage della sua villetta di
periferia
trovò qualcuno ad aspettarlo seduto sul pianerottolo.
-Ti avevo detto di aspettare due minuti! Potevi beccare
l’onda
verde, testone!-, Keith non risciva a riconoscere la ragazza che aveva
davanti.
I corti capelli erano più scarmigliati dei suoi,
e… rosa?
Lo stesso colore del lucidalabbra che ricopriva generoso le sue labbra.
E quei vestiti sembravano costosi rimandi agli anni Ottanta.
-Megan Drake?-, chiese spaesato.
-E chi sennò?-, rispose questa alzandosi.
Keith fece un respiro profondo. –Devi spiegarmi un
po’ di cose.-
Aveva un disperato bisogno di caffè.
-WAAAARGH!-, dal bagno arrivò un grido straziante.
Keith sobbalzò, mollò di malagrazia la tazza di
caffè sul tavolo e si precipitò al piano
superiore.
-Che succede?-, chiese agitato.
-WAAAAH-, altro urlo terribile.
-Io apro!-, esclamò Keith con forza prima di abbassare la
maniglia del bagno e trovarsi davanti uno spettacolo…
bizzarro.
Megan gli dava le spalle, con i capelli rosa tinti di fresco che
brillavano. Davanti a lei, la cassetta del cucito e il beauty case con
tutte le forbici e le lime di casa, sopra la borsa aperta.
-Che stai facendo?-
Megan si girò con le lacrime agli occhi. Dal sopracciglio
sinistro e dal labbro inferiore colavano due rivoletti di sangue che
imbrattavano due anellini di metallo.
-Mi sono riaperta i buchi, no?-, strappò della carta
igienica per tamponarsi il viso.
-E ti rovini la faccia così? Le donne dovrebbero avere i
buchi
alle orecchie, no alle sopracciglia.-, la rimproverò Keith
offrendole un fazzoletto.
-Le mie orecchie non si toccano!-, ribatté combattiva Megan.
-Hai usato un ago?-, Keith assunse un’espressione sofferente
mentre distoglieva lo sguardo.
-Beh, mi rifiuto di spendere altri soldi. Cinque anni fa sono stati un
salasso, questi buchi!-
-Devi ancora dirmi com’è che ti sei comprata
vestiti e tutto. Dove hai trovato i soldi?-
Megan armeggiò con la sinistra nella sua borsa, tirando
fuori un portafoglio.
-Il mio…-, Keith lo afferrò con stizza, aprendolo.
-Furto. Perché non ti comporti da donna normale, tu?-, le
chiese con un filo di disperazione nella voce.
-Scherzi? Dopo cinque anni di gattabuia ho il diritto di affermare la
mia personalità!-
Lavish
Lollipop
Megan Talissa Drake non era di famiglia povera, anzi! I Drake erano
piuttosto conosciuti nell’alta società benpensante
di New
York.
Eppure nei suoi ventisette anni d’età Megan aveva
commesso almeno una cinquantina di furti.
Ninnoli e caramelle? Assolutamente no.
Milioni e milioni di dollari.
Appena diplomata, tutta la famiglia s’aspettava che Megan
frequentasse il college.
Voti alti, un buon comportamento… il suo percorso sembrava
già tracciato.
Una settimana dopo la cerimonia i suoi genitori si erano alzati come
sempre, e la mattinata era proseguita tranquilla…
finché
una cameriera non era entrata con la forza nella stanza di Meg,
completamente vuota e con un foglietto scribacchiato a terra.
Meg se n’era andata.
Aveva acquistato un piccolo bilocale nella prima periferia della Grande
Mela ed aveva già trovato un lavoretto part-time che le
occupava
un po’ di ore al pomeriggio.
Megan Drake sembrava una tranquilla ragazza durante il suo anno
sabbatico pre-college.
Peccato che la mattina progettasse truffe informatiche.
* *
Il suo primo colpo l’aveva fatto tutto da sola, il giorno
dopo il diploma.
A distanza di anni, ripensandoci, non poteva non sorridere nel pensare
all’esecuzione grezza, alle mille incertezze e quella
familiare
tensione che l’accompagnava ogni volta, anche se negli anni
la
sua tecnica si era affinata al punto da renderla quasi una figura
leggendaria.
Era un genio del computer, Meg. Ci aveva messo poco ad apprendere le
basi, infiltrarsi nel sistema con discrezione prima di attaccarlo, ed i
suoi primi soldi guadagnati in modo indipendente erano stati proprio
quelli del suo primo furto.
Poi aveva iniziato il part-time, convinta di non aver più
bisogno di rubare.
Ma presto le bollette, le rate dei due monitor nuovi e della memoria
più capiente per il laptop le avevano fatto cambiare idea
fin
troppo velocemente.
Presto, senza volerlo ammettere, aveva iniziato ad aver bisogno di
sempre più denaro: per il nuovo hard disk, quegli stivali
bellissimi, la chiavetta USB con i brillantini rosa…
Il giorno del suo ventiduesimo compleanno, mentre si stava divertendo a
riparare i bug di un gioco online, il nuovo piercing al labbro che
riluceva nel buio della stanza, venne raggiunta da un messaggio a tutto
schermo che rese completamente blu uno dei sette monitor, quello
centrale sui cui stava lavorando.
“Sei così bravo, Sir Drake! Ti ammiro.”,
dicevano le due righe.
Com’era possibile? Sir Drake era il nick con cui firmava
tutti i colpi…
“Che ne diresti di divertirti assieme a me?”
Dopo aver scambiato un po’ di messaggi con xxN, questo il
nome
con cui si firmava il misterioso individuo, Meg aveva accettato la sua
proposta.
Un colpo assieme al tizio che le mandava messaggi anonimi che non
venivano intercettati o tracciati, superando tutti i suoi programmi di
protezione… xxN era un pro, l’idea allettante.
E Meg aveva giusto bisogno di soldi.
xxN, vero nome Neil, era arrivato davanti all’HMV di
Brooklyn,
specchiandosi sui vetri lucidi del negozio, e vide un trentenne sfigato
con i capelli troppo unti e le occhiaie troppo profonde, gli occhi
troppo impastati e la maglietta troppo larga.
Sir Drake… se l’immaginava simile a lui. Si
sarebbero compresi alla perfezione, loro due.
Per questo quando si era trovato davanti una ragazza con i capelli rosa
vestita in modo appariscente l’aveva ignorata bellamente.
Lei aveva girato per un po’ attorno alla piccola piazza,
prima di
avvicinarsi all’inquietante uomo che la stava imitando.
-Tu sei N, vero?-, gli sorrise facendo il segno della vittoria.
-Sir…Drake?-, la voce di Neil era tremante, tanto era
stupefatto.
Sir Drake, il corsaro migliore di tutta l’Inghilterra di
Elisabetta I.
Sir Drake, la migliore piratessa informatica di tutta New York.
Da tempo non era più la brava studentessa delle superiori, e
anche allora quel suo comportamento le era servito solo come copertura.
Era stufa di fingere, ma doveva farlo.
Masticava con soddisfazione un’enorme chewing-gum rosa, che a
casa erano considerate come la peste, e ogni tanto la faceva scoppiare
in una grande bolla profumata; picchettava il terreno con i tacchi
degli stivali, seguendo distrattamente il ritmo di una canzone alla
radio del bar in cui erano seduti quei due.
E ogni tanto si grattava il collo, fregandosene del fatto che non fosse
propriamente fine, e tutti i passanti osservavano quella bizzarra
coppia: la ragazza alternativa e l’uomo trasandato.
I preparativi per l’ambizioso progetto comunitario erano
durati
quasi una settimana, un periodo piuttosto lungo per Meg, ma
l’obbiettivo… era la Central Bank, non la West
Idaho o la
Montana Unit. E alla fine, il loro piano era davvero rischioso:
c’era la necessità d’andare
personalmente là.
I computer avevano una protezione elevatissima e i nastri magnetici con
i dati erano nasscosti in tre posti differenti… ma anche la
Central Bank aveva un difetto.
Dato che tutte le chiavette erano proibite, e se necessarie venivano
controllate in precedenza, i PC avevano un livello di protezione basso
per quel tipo di infezione diretta.
Ci voleva solo un bel virus by Meg per contagiare tutti i PC grazie
alla rete interna, ma la vera sfida era raggiungerli: tutti i computer
si trovavano dietro a vetri antiproiettile, o nei piani superiori, dove
pullulavano le guardie armate e le telecamere brulicavano.
Ma Neil era riuscito a trovare un modo per entrare: bisognava
sincronizzarsi alla perfezione con l’orologio della banca, e
seguire l’occhio delle telecamere, i movimenti delle guardie
e… non farsi vedere. Bastava arrivare al primo ufficio del
secondo piano, dove il PC era privato e le protezioni minori.
Ce l’aveva fatta! Ci era riuscita! Anche Neil, appoggiato
alle colonne fuori si era complimentato con lei.
La sua chiavetta argentata piena di strass, la sua preferita, era
connessa ad un computer dell’amministrazione, e il led rosa
lampeggiava allegro. Il virus era dentro.
Eppure, proprio mentre stava per riporla nella tasca della giacca,
divenne tutto buio.
Dov’era? Dove si trovava?
Quando si risvegliò era nel carcere temporaneo di Brooklyn,
con
le mani ammanettate dietro alla schiena. L’avevano scoperta.
Quando la polizia era arrivata a casa sua, quello stesso pomeriggio, si
era trovata a litigare parecchio con i computer della ragazza, e alla
fine, dentro un cassetto nascosto dietro la scrivania avevano trovata
una busta di carta con un hard-disk dentro, la quale etichetta recava
scritto “Diario”.
Giorno per giorno la sua vita di quattro anni, da quando era scappata
di casa al giorno prima, con appuntati tutti gli acquisti e i colpi
fatti. Per fortuna non aveva scritto gran parte delle password, e gran
parte dei dati erano rimasti privati.
Avevano sequestrato tutto: le chiavette glitterose, i monitor pieni di
adesivi colorati e addirittura il mouse a forma di cuore. Tutto.
Mentre saliva sul furgoncino per Saint Clarisse, la guardia le
ripetè con sadismo la pena.
Quindici anni di reclusione nel carcere femminile di massima sicurezza
Saint Clarisse, nel Maine.
Se si fosse comportata bene, scontato un terzo degli anni le sarebbe
stata concessa la libertà vigilata.
Alla fine si era ricordata di essere figlia di due ricconi con fior
d’avvocati.
* *
-Chiudi gli occhi e apri la bocca!-
Era stata svegliata da poco da Keith. Quello era il suo primo giorno di
libertà. Libertà!!
Si era messa i vestiti nuovi e dopo essere passata per il bagno si era
precipitata giù in cucina, dove Keith l’aspettava
con il giornale aperto in una mano ed una gigantesca tazza di
caffè nell’altra.
-Perché dovrei farlo?-, chiese lui sospettoso sorseggiando
il suo caffè.
-Oh, insomma!-, Megan gli coprì gli occhi con la mano e gli
ficcò in bocca un lecca lecca.
-Ciliegia?-, chiuse lui storcendo la bocca.
-Si, il mio preferito. Ma ora sa di caffè.-, gli rispose
sorridendo.
Keith sbuffò, seppellendosi nel giornale. Era solo il primo
giorno e quella lì si prendeva già
così tanta
confidenza, roba da matti…
-Come vanno i buchi? Fanno ancora male?-, chiese distrattamente a Meg
sfogliando il Daily News.
-Oh, che carino, ti preoccupi per me!-, esclamò lei
scompigliandogli i capelli neri.
Pop the Cherry!!
Il primo giorno di libertà per Meg fu meno peggio del
previsto.
Per gran parte della mattinata le era toccato ripulire il Central Park,
il polmone della Grande Mela, con una brutta tuta arancione addosso e
delle vecchie scarpe da ginnastica. Aveva girato il parco per quasi
cinque ore con un bastone dal puntale metallico ed un grosso sacco
della spazzatura nero, in cerca di cartacce. Il suo vero problema era
la totale assenza di vere esperienze lavorative: il part-time di cinque
anni prima consisteva nel distribuire volantini in centro, e non erano
necessari grandi requisiti.
-Ma tu guarda…-, si lamentava di continuo ogni volta che
trovava
una lattina di Cola per terra o una bottiglietta d’acqua.
-Uff…-, tornò sbuffando alla stazione di polizia
dopo aver svuotato i sacchi.
-Puntualissima Drake! Puoi cambiarti in bagno.-, l’accolse la
segretaria, una bionda sulla trentina.
-Keith non c’è?-
-Dovrebbe arrivare tra un po’, ha avuto problemi sulla
ventiquattresima.-, rispose la donna dal computer.
Megan non si sentiva molto a suo agio lì. Quel posto le
ricordava troppo la prigione. Era terribile quel senso di costrizione
che provava in cella…
-Oh, si è bloccato di nuovo!-, si lamentò la
segretaria
picchettando con l’unghia il tasto sinistro del mouse.
…da quant’era che Megan non vedeva un computer? Si
avvicinò lentamente. Quella zona era off-limits per
lei…
ma Keith non era nei paraggi.
Diede una sbirciata allo schermo, pieno di cartelle uguali e
collegamenti doppi.
Quella… Rebekah, così si chiamava, non doveva
essere molto brava ad usarlo.
-Aggiorna il sistema operativo, è obsoleto, se ce la fai
uppa
l’antivirus e il firewall. Poi fai la pulizia del disco e lo
frammenti, così va più veloce e ha più
memoria.-,
i suggerimenti di Meg erano precisi e mirati, e Rebekah ci mise un
po’ per rispondere.
-…eh?!-
Quando Keith tornò in centrale trovò la
segretaria
intenta a farsi le unghie seduta sulla scrivania, mentre Megan era
seduta sulla sedia girevole e cliccava serafica il mouse.
-Oh, ciao. Puoi aspettare due minuti? Aggiorno e finisco!-
Lui fece un respiro profondo.
Un pirata informatico al computer della centrale di polizia di New York.
Aveva bisogno di tanto, tanto caffè.
Starbucks era davvero affollato, e nonostante fossero schiacciati in
coda per uscire, Keith sorseggiava pacifico il suo caffè.
-Quella roba ti renderà iperattivo!-, lo
rimproverò Meg sgusciando fuori dalla caffetteria.
-Affatto.-, replicò questo con calma.
Avevano già pranzato al Mc più vicino ed ora
stavano tornando a piedi in centrale.
-In cosa consiste il tuo lavoro?-, Meg si chinò sul computer
di Keith, esaminando critica la tastiera piena di polvere.
-Andare in giro, controllare gli altri, firmare carte, controllarti.-,
rispose lui.
-La cosa che hai appena detto è un po’ ambigua, lo
sai?-, Meg si chinò sulla scrivania sorridendo.
-Tirati su, si vede tutto.-, Keith si girò
dall’altra parte mentre Meg si sistemava la maglietta.
-Mamma mia, sei come un pezzo di legno! Davvero ligio al dovere, Mr.
Madison!-
Keith iniziò a firmare moduli, timbrare carte e leggere
plichi
di fogli legati da cordini, che tentava ogni volta di rimettere al loro
posto.
-Non è che possiamo prenderci una pausa?-, lo
implorò Meg dopo ore di ozio,che odiava con tutta se stessa.
-Finisco questo e poi andiamo.-, rispose Keith tirando fuori da un
cassetto il suo timbro personale.
* *
Per tornare a casa evitando la congestione pomeridiana Keith decise di
allungare un po’ il tragitto prendendo una via che entrava
direttamente in periferia.
All’improvviso sterzò bruscamente ed
accostò.
-Che fai?-, chiese Meg stupita mentre lui usciva dall’auto
sbattendo la portiera.
Stava camminando a passo di marcia verso un gruppetto di ragazzine che
sembravano delle medie, alcune appoggiate ad un lampione. Erano vestite
in modo provocante e il trucco sui loro visi strideva in modo
incredibile.
La ragazza abbassò il finestrino e si sporse dalla portiera
per osservare quel bizzarro spettacolo.
Keith sembrava litigare con quelle ragazzine che lo deridevano. Non era
decisamente tagliato per parlare ai giovani.
-Oddio, eccone uno nuovo. Ehi, rompipalle…-, gli si
avvicinò una ragazza più truccata delle altre,
con una
minigonna leopardata e i tacchi a spillo.
-Ti conviene andartene se non vuoi rovinarti la serata, agente.-, disse
tracciando la sagoma di un coltello su una borsa.
-Primo, sono un ispettore distrettuale, non un agente.-,
puntualizzò un po’ seccato.
-Secondo, contieni il tono.-
La scena che seguì fu parecchio confusionaria. La ragazza
aveva
infilato la mano nella borsa, mentre altre due si erano lanciate contro
Keith, ma erano state colpite da due zeppe di legno che le aveva
colpite con forza alla testa.
-Ehi nane, non rompete le palle ed andate a casa a giocare con le
Barbie. A casa ho un computer da aggiornare ed un mucchio di download
da fare.-
-Stewie…-, le ragazze fissarono il loro capo prima di
disperdersi, lasciando Meg gloriosa a piedi nudi sul marciapiede e
Keith che fissava stupefatto la scena.
-Beh, non era necessario che intervenissi tu.-, la
rimproverò Keith salendo in macchina.
-Si invece. Tu saresti ancora lì a farti prendere in giro.-
Megan era troppo esaltata: a casa aveva un vecchio PC sul quale mettere
le mani… ed un gruppo di ragazzine idiote vestite da
prostitute
le facevano perdere tempo!
Dopo qualche minuto, Keith ruppe quel silenzio: -Le hai salvate.-
-Torneranno.-, rispose Meg prima di far scoppiare un’enorme
bolla rosa, -Sanno di valere.-
Keith si voltò a guardarla, interrogativo.
-Quella Stewie, lei è il capo. Gira con i pezzi grossi e
guida
le altre. Quelle che ti volevano bloccare erano le sue vice. Quelle
più dietro erano le vergini. Quelle valgono di
più nel
giro.-, gli spiegò.
-E tu come fai a saperlo?-, chiese Keith sospettoso, fissandola di
sottecchi.
-Cultura underground. Quelle più brave finiscono a fare
snuff
movies ed essere uccise, su internet girava un mucchio di roba simile,
un giro molto fruttuoso.-, rispose lei con tranquillità.
Cultura underground?
Giusto. Keith non si doveva dimenticare di avere davanti una delle
più grandi hacker degli Stati Uniti, che era riuscita ad
infettare addirittura i computer della Central Bank…
Anche se si era ritirata dalla scena un po’ di anni fa doveva
essere rimasta una delle migliori.
Snuff movies… parlava con calma di video illegali su omicidi
e…
-Capisco. Tu saresti terribilmente utile nelle indagini della nostra
squadra informatica.-
-Scherzi?-, Meg scartò la sua quarta gomma, -Sono fuori dal
giro da troppo. Anch’io mi devo aggiornare.-
-Piove!-, esclamò seccato Keith correndo fino al
pianerottolo di
casa con la giacca a coprirgli la testa. Meg se la stava prendendo
comoda; i capelli erano tutti bagnati e il mascara le stava colando
dalle guance, ma non sembrava importarle.
-Che fai? Così ti bagni tutta!-
-Oh, ecco un’altra frase ambigua Comunque, mi piace la
pioggia. E’ da un mucchio che non la provo dal vivo.-
-Lava via tutto e pulisce l’aria.-, confermò Keith
entrando in casa.
-E sembra quasi che ti rinfreschi dentro.-, bisbigliò Meg
prima di aggiungere con tono allegro:
-Keith, ti piacciono le ciliegie? Perché io sono ancora
vergine!-
E Keith, sputando fuori tutto il caffè rispose: -E che
centra?!-
Glitter Eyes?!
Pioveva ormai da settimane, e se questo rendeva Keith di pessimo umore,
esaltava al contempo Meg, divenuta quasi iperattiva.
-Non capisco cosa ci trovi di bello-, Keith era seduto sul divano e
faceva zapping, mentre Meg era in cucina a giocare con una console
portatile che le aveva comprato Keith per non sentirla lamentarsi.
-Beh, non lavoro. E poi è bellissimo! Quando le luci dei
fari
illuminano le gocce sul parabrezza sembra che il vetro sia un
cristallo!-, trillò lei pigiando frenetica i tasti.
-Non esagerare. Blocca il traffico ed è… bagnata.-
Dopo quasi un mese di convivenza forzata Meg iniziava a comprendere
Keith.
Incredibilmente legato a doveri e moralità, per lui doveva
sempre andare storto qualcosa, che paranoico. Meg riusciva a
manipolarlo solo sulle piccole cose, come borsette nuove o una
chiavetta USB. Insomma, l’animo del buon poliziotto Anche se
era
rigido come un pezzo di legno, era il suo pezzo di legno, quello che
solo il caffè riusciva a piegare.
Meg aveva stretto subito amicizia con Rebekah, che ogni tanto le
lasciava usare il computer in ufficio. Era davvero simpatica, anche se
a volte faceva delle uscite di un cinismo assurdo.
Un giorno, per caso, si erano ritrovate a parlare di uomini.
-Bryan è un figo. Hai visto che spalle? Però
è
sposato. E Pedro ha quel fascino esotico così
irresistibile…-, Rebekah si era messa a commentare ogni
collega
della centrale, con l’accortezza di aver chiuso la porta.
-Mah…-, Megan non sembrava molto convinta, anche
perché
passava poco tempo lì e non riusciva ancora bene ad abbinare
nomi e volti.
-Per me il migliore rimane Keith.-
Ormai la sua cotta era ufficiale.
-Che gusti…-, Rebekah sembrava quasi compassionevole,
-Avrà pure un bel faccino, ma è uno sfigato.
Garantisco
io! Dove siete arrivati?-
Meg non mollava. A ventisette anni quella era la sua prima
“cotta
che può diventare qualcosa di più”,
dato che alle
superiori si era auto-isolata, così come per i quattro anni
successivi. Aggiungendo cinque anni di gattabuia, anni che non aveva
vissuto, e che erano scorsi via uguali, uno dopo
l’altro…
aveva esperienza zero, e si sentiva ancora una ventiduenne praticamente
appena uscita dalle superiori.
-Non abbiamo fatto nulla di nulla.-
-Ecco, vedi? Il tuo è solo senso di gratitudine
perché ti
ha tirata fuori di lì.E poi… dai! E’
davvero
sfigato!-
-No invece.-, ribattè Meg combattiva, -E’
dolcissimo. Ok,
un po’ rompe, ma è d’oro. Ed
è troppo carino
quando arrossisce.-
Rebekah sembrava disgustata, -Arrossisce? Alla sua età? Ma
quello è una ragazzina, altro che!-
In verità si era intenerita. Megan sembrava
un’adolescente
da come si comportava, e non che Keith sotto questo aspetto fosse
migliore. Aveva troppo l’aria del verginello.
-Ti insegno un trucco, la tecnica suprema delle donne: gli occhi dolci!-
A mali estremi, estremi rimedi!
* *
Al suo ritorno a casa, il primo giorno di beltempo, Keith non
rinunciò a passare dalla periferia.
Come aveva previsto, Stewie era là al solito incrocio,
circondata dal gruppetto di bambine.
Come da copione, Keith scese ringhiando dall’auto, ma questa
volta anche Megan lo seguì subito.
-Guardate, arriva l’agente!-, gridò sguaiatamente
Stewie battendo un pugno sulla spalla della sua amica.
-E’ un’ispettore distrettuale, poppante.-,
intervenne Megan, convinta a togliersi questo fastidioso grattacapo.
-E cambia tattica. Non puoi tenere sempre le stesse tre a fare il
premio sostanzioso, i tuoi clienti non sono scemi.-, era iniziato il
suo attacco, e sembrava intenzionata a non far parlare Keith.
-Quindi… vuoi smetterla. Certo! Se vedono che hai sempre le
solite i clienti spariscono finchè non puoi uscire dal giro,
è questo che pensi? Beh, ti sbagli!-
Aveva fatto centro. Ma come? Keith l’osservava un
po’
preoccupato. Era feroce, ed il tono della sua voce sembrava…
spaventoso.
-Credi che il tuo amico ti lascerà andare dopo tutti i bei
regali che t’ha fatto? No, tesoro.-
Era simile ad un fiume in piena, terribile e potente.
-Ti prenderà, ti porterà in una bella stanza
piena di
telecamere e giocherà con te aiutato da un po’
d’amichetti, giusto per divertirsi. E quando non sarai
più
divertente ti uccideranno e si divertiranno in modo hardcore, e con le
registrazioni faranno più soldi di tutta la tua famiglia
alla
Casa Bianca per tre anni. Snuff movies, mai sentiti nominare?-
Si, Megan ci aveva visto giusto. Stewie, che all’inizio si
mostrava spavalda, sembrava vacillante.
Lei lo sapeva. Mentre Meg le sputava addosso tutte quelle parole, le
tornava in mente…
-Vuoi fare una bella cosa? Vieni in centrale.-, Keith aprì
bocca per la prima volta.
-Venite tutte. Vi metteremo sotto protezione federale, la vostra
collaborazione può essere preziosissima, e non ci saranno
mafiosetti o gentaglia a costringervi a fare cose che non volete fare.-
Stewie sembrava incerta, e Meg sbuffò.
-Tu, come ti chiami. Anche oggi ho le zeppe, quindi ti conviene fare
come dice questo qui.-
E la ragazzina crollò in ginocchio a piangere,
l’espressione sbruffona di prima finita chissà
dove.
-Grazie sorellona!-, gracchiò tirando su col naso, mentre le
sue
amiche cercavano dei fazzoletti nelle borse troppo piccole.
Erano tornati a casa alle dieci, Keith e Megan, e anche se lui era
super-soddisfatto di aver vinto la sua battaglia personale, Megan era
un po’ infastidita. Diavolo, era in super ritardo!
Dato che dovevano ancora cenare, Keith aveva messo in forno un
po’ di patate e aperto delle buste che conservava per le
emergenze.
-Giusto. Da quand’è che sono diventato
“questo
qui”?-, chiese mentre posava i piatti in tavola, con un
grembiule
bianco e gli occhiali che gli stavano quasi per cadere.
-Te la sei presa?-, sghignazzò Meg alzandosi dalla sedia,
-“Questo qui” viene dal greco “tose
ti”. Mai
fatto Aristotele?-, gli si avvicinò saltellando.
-Non ho fatto filosofia all’università. Che vuol
dire?-, stava tirando fuori le patate dal forno.
-Vuol dire che sei unico e nessuno è come te.-, Megan gli
sfilò gli occhiali appannati e lo guardò dal
basso.
Keith strizzò gli occhi un paio di volte, e con un filo di
esasperazione Meg gli stampò un grosso paio di labbra fuxia
sulla guancia sinistra, prima di correre di sopra.
-Rebekah ha ragione, sei uno sfigato!-, gli urlò dalle scale.
E Keith, con i guanti di spugna, la teglia in mano, un grembiule bianco
e gli occhiali appannati non potè fare a meno di restare
immobile in cucina.
-Eh?-
Megan stava provando la tecnica segreta di Rebekah allo specchio. Il
suo primo tentativo prima con Keith era fallito alla grande: lui era
rimasto imbambolato come un cretino senza fare nulla. Insomma!
Era immersa nella vasca da bagno colma d’acqua calda e
schiuma
rosa, e con uno specchietto in mano si stava rimirando. Tra un
po’ si scioglieva lei, diamine!
Lanciò uno sguardo al lavello, vicino al quale erano
appoggiati
gli occhiali di scorta di Keith, e decise di provarli, così.
Non appena l’indossò e cercò di
guardarsi allo specchio chiuse subito gli occhi.
Ahi! Erano per astigmatici! E quindi… lui la sua super
tecnica occhi dolci non l’aveva nemmeno vista.
-Che ingiustizie!-, si lamentò prima di entrare con la testa
nell’acqua e rimanere in apnea.
Sarebbe stata dura, ma… lei non era certo pronta a desistere.
Era Megan Drake, non una donna comune.
In qualche modo ce l’avrebbe fatta.
Partecipante al contest Elements
indetto su EFP Forum da Mary e Pepi :)
Le note sono tante,
ohssì.
Dovrei aver corretto la maggior parte degli errori di battitura, spero
che Word non mi abbia giocato brutti scherzi xD
"Pop the cherry" vuol dire "far saltare la ciliegia" letteralmente, in
slang è più "deflorare" in modo anche volgare. La
storia
degli snuff movies è vera, ahimè.
Noterete una cosa, la storia non ha un finale. Non avevo tempo di
copiare il capitolo per il
concorso, così scrissi un finale raffazzonato che non mi
piaceva.
Nonostante sia una one-shot, ho intenzione di postare un secondo
capitolo con il vero finale, ancora sul foglio protocollo nel mio
armadio xD e il finale per il concorso, tipo bonus.
Mi piacerebbe davvero che ne pensate :D
Nyappy
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Capitolo 2 *** Candy Flow -the end ***
Lipstick Punch
Era tutto così assurdo, così sbagliato.
Un momento prima Megan era davanti a lui, che danzava nella pioggia con
il suo ombrello colorato ed un istante dopo era lì,
accasciata a
terra, l'ombrello abbandonato a terra.
Chi era stato a sparare, perché l'aveva fatto?
A Keith in realtà non importava. L'unica cosa che sentiva
era il
suo corpo caldo tra le sue braccia, il sangue che scorreva copioso e si
mischiava alla pioggia.
-Resisti!-, la stava implorando, -Resisti!-
E lei, con uno strano sorriso assolutamente fuori luogo, lo aveva
sgridato piano: -Ma sentilo, invece di baciarmi chiama il 911.-
Era un tentativo di farlo sentire meglio? Era inutile.
-Pronto? Pronto?!-, la voce di Keith non era mai stata così
esasperata.
Perché non gli importava nulla di inseguire quel bastardo,
al diavolo il suo lavoro.
Megan rischiava di morire, stava morendo lì, tra le sue
braccia, la vita che le scorreva via piano.
L'ultima immagine che Meg riuscì a scorgere nitidamente era
il
viso di Keith che sembrava piangere. Com'era bella la pioggia...
Era sdraiata, questo lo capiva. Sul morbido anche. Perché si
era
svegliata? Attraverso le palpebre abbassate poteva avvertire una forte
luce disturbarle gli occhi.
Doveva proprio svegliarsi, non poteva rimanere lì un altro
po'?
-Guarda che ho visto che sei sveglia.-
-Keith!-, Meg aprì gli occhi deliziata e si alzò
di
scatto prima di gemere e tornare sdraiata, senza rinunciare a
sistemarsi i capelli.
Keith alzò la sedia e la portò più
vicina al letto d'ospedale di Megan.
Era proprio necessario dirle che era stato il suo vecchio amico, tale
Neil Simmons a spararle, convinto che lei si sarebbe vendicata? Era
necessario comunicarle che nel trasferirla nella sua camera
l'avevano fatta sbattere contro una porta ed ora sulla sua fronte
troneggiava un grande bernoccolo verdastro? Probabilmente no.
-Ho rischiato di morire e tu mi avresti lasciato andare al Creatore
senza un bacio. Che essere meschino.-, ovviamente Meg scherzava. Quanto
le era mancata...
-Non hai rischiato di morire, l'ospedale era a due passi.-, la
ribeccò Keith, giusto per vendicarsi dello spavento.
-Non hai capito.-, lei lo guardò accigliata e vagamente
rassegnata.
-Si invece.-
-Ehi Keith, lo sapevi cosa diceva Eraclito?-
-Un altro dei tuoi filosofi?-, sbuffò lui sfogliando il
giornale.
-Si, esatto. E’ lui quello del Panta Rei.-
-Tutto scorre, questa la sapevo anch’io.-, disse Keith con
soddisfazione.
-E sai cosa vuol dire?-, chiese Megan avvicinandosi a lui.
-Forse.-, fu la sibillina replica, a cui Meg rispose con un pugno ben
piazzato sulla spalla.
-Tutto scorre.-
-Sai, io non ne sarei così sicuro…-
-E perché?-, Meg l’avvolse tra le braccia
-Certe cose restano.-
-Ad esempio?-
-Beh… il gusto del tuo lucidalabbra.-
E sorridendosi, tornarono a baciarsi, felici.
L'aggiunta rispetto
al finale originale è minima, solo i primi due paragrafi, ma
l'ultimo isolato era davvero insensato. Très bien
:D
Mmm, nonostante non abbia rispettato l'attinenza al tema del concorso
sono stata davvero molto soddisfatta di questa storia. Mi piacerebbe
sapere che ne pensate.
Nyappy
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