CAPITOLO
2:
Malintesi di vecchia data avvelenano il cuore dei coniugi Tsukino
Persino al tempo del loro fidanzamento c’erano momenti in cui
Mamoru veniva preso da un cupo sconforto. D’improvviso, alla sprovvista, come il
primo fulmine che squarcia il cielo tingendolo di viola. Quasi sempre nei
periodi di pace, quando non c’era molto altro a cui pensare.
Usagi non ne era mai venuta a conoscenza: era stato sempre
molto attento a tenere nascosto quanto provava perché sapeva che la cosa
l’avrebbe distrutta, o quantomeno stressata. Si sarebbe data mille colpe che non
aveva e avrebbe trascorso ogni momento della giornata a pensare a come poter
rimediare, a cosa poter fare perché il suo Mamo-chan tornasse quello di sempre
quando a dirla tutta lui non riusciva a trovarle una colpa che fosse una: Usako
era una fidanzata perfetta e non ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto fare
di più per lui. Eppure c’erano quei momenti radi e subdoli in cui guardandola
negli occhi non riusciva a pensare ad altro che al bisogno di fuggire da lei e
al diavolo tutto il resto. Ma non vi aveva mai dato importanza. Erano brevi e se
ne andavano improvvisamente così come venivano lasciandolo tornare quello di
sempre. Bastava sempre poco.
A volte niente.
Magari era il fatto che Usako gli offrisse il primo boccone
del suo dolce preferito durante un appuntamento al centro commerciale o come si
illuminava radiosa quando all’uscita della scuola lo scorgeva in lontananza
scostandosi dal gruppo delle amiche per cercare il suo braccio. Un broncio o un
sorriso che mostrava solo a lui, un gioco particolare della luce del sole tra i
suoi capelli di cui nessun altro s’avvedeva. Piccole attenzioni spontanee da
parte di lei, inconsapevole, peculiarità che lo ammaliavano. Si sentiva il
centro del suo piccolo universo: la stringeva a sé, la baciava e improvvisamente
tutti i dubbi provati fino a un istante prima parevano sciocchi.
*
… Al risveglio del re Endymion la mattina successiva tutto
pareva avvolto da una luce diversa, più calda, un bagliore che lo costrinse a
strizzare gli occhi e a porvi davanti i palmi perché le palpebre non bastavano a
fare da schermo. Dalle labbra sfuggì un gemito roco tra i denti serrati.
Serenity doveva aver dimenticato di tirare le tende la notte prima e lui non ci
aveva badato per la stanchezza. Ora invece il sole del primo mattino filtrava
attraverso le sottili tende a baldacchino proiettando tra le coltri ombre
opache, di un flebile giallo pulcino.
Lui aveva bisogno del buio.
Che l’occhio si abituasse con calma all’inizio di un nuovo
giorno.
Serenity, all’opposto, aveva sempre adorato svegliarsi
bagnata dalla piena luce del mattino forse per vecchie abitudini dure a morire,
ma per venire incontro alle esigenze del consorte aveva accettato di votarsi
all’oscurità mattutina. Un piccolissimo sacrificio che aveva fatto volentieri
per lui, e che non le cambiava poi molto le cose, nel pratico. Mamoru era sempre
il primo ad alzarsi e come prima cosa (se non contiamo il suo bisogno impellente
della prima tazza di caffè del mattino) si premurava di spalancare le tende per
lei. Da sovrani questo non era stato più possibile, ovvero da quando i loro
domestici avevano deciso che aprirsi le tende da sé doveva essere troppo
proletario.
Così come infilarsi le ciabatte.
O imburrarsi il pane.
Se non fosse stato per le ferme proteste del re niente niente
si sarebbe insistito anche per cambiare loro i vestiti. Ma, e su quest’unica
cosa era stato categorico, nessuno e per nessun motivo avrebbe messo le mani
addosso alla regina. Per il resto non c’era stata opposizione che avesse tenuto,
così dal giorno dell’insediamento ogni mattina si erano visti invadere la stanza
da un piccolo e solerte esercito invasore che predisponeva tutto il necessario
per il sacro risveglio della loro amata regina e del di lei consorte: i due
avevano finito per trovare la cosa immensamente buffa. Spesso erano già svegli
al loro arrivo, a osservare quello spettacolo divertiti.
A sghignazzare insieme dell’aria asprigna della cameriera che
portava il limone per il tè.
Al pensiero di quella piccola quotidiana il viso del re si
schiuse in un pigro sorriso mentre con la mano tastò alla cieca alla sua
sinistra in cerca del tepore della moglie: tra le dita non strinse che aria e
lenzuola appena tiepide. Subito si agitò nella sua mente il pensiero che dovesse
essere passata di molto l’ora della sveglia: possibile che fosse stato così
stanco da non accorgersi della routine quotidiana, lui che di solito si
svegliava al minimo scricchiolio del materasso? Schiuse appena un occhio e si
sincerò della cosa.
Pareva che il sole non fosse che un baluginio appena
accennato dietro le case e nel cielo sembravano non esserci ancora che vaghe
spruzzate di turchese. In pratica non dovevano essere neppure le 6, il che
rendeva praticamente un miracolo il fatto che Serenity fosse già sveglia. Questo
lo fece rizzare a sedere con uno scatto deciso dei reni.
Che le fosse accaduto qualcosa?
Ma no, non ebbe neanche il tempo di far montare il panico
perché era proprio lì, a pochi passi da lui, seduta al tavolinetto da tè del
terrazzo a godersi l’aria fresca del mattino: un vezzo che si concedeva spesso,
prima, quando la mattina restava spesso e volentieri a casa da sola e non aveva
una scaletta fitta d’impegni e un centinaio e più di persone ad assicurarsi che
la rispettasse. Adesso non riusciva più a svegliarsi in tempo per ritagliarsi
qualche minuto di tranquillità: di solito anzi per schiodarla dal letto al
mattino bisognava portarla in braccio fino alla vasca da bagno e buttarcela
dentro di prepotenza. Endymion, scrollatosi ormai di dosso ogni rimasuglio di
sonno, era sceso dal letto per raggiungerla, rabbrividendo alla brezza contro il
torace nudo.
Non fu notato.
Lei gli dava quasi totalmente le spalle.
Le lunghe candide vesti da camera si rimescolavano ai capelli
insolitamente sciolti facendola sembrare molto più giovane, e bella come non
mai: non ne intravedeva che uno scorcio di viso, le dita affusolate che
sorreggevano leziosamente la guancia, un baluginio d’azzurro dello sguardo
sognante e nostalgico che dietro ciglia ricurve contemplavano i confini di
palazzo, le case e le strade, la luce del sole che cominciava a imbiondire la
sua città assopita. Una regina innamorata che non riusciva mai a distogliere lo
sguardo dal suo regno.
- Il nostro – lo correggeva sempre lei.
Il pensiero lo fece sorridere intenerito mentre a passi
solenni le si faceva accanto: cingendola da dietro si era chinato su di lei per
un bacio ma il contatto delle sue labbra contro il collo l’aveva fatta
sobbalzare comicamente.
- Troppo freddo? – si era scusato lui.
- No… - aveva mormorato lei soprappensiero mentre una mano
era salita a lambirgli timidamente la guancia ruvida di un velo di barba. – No,
affatto. – aveva ripetuto a se stessa, più sicura. – E’ che mi hai colta di
sorpresa in certi pensieri, ero distratta. Mi dispiace. – Finalmente si era
voltata verso di lui incerta, quasi titubante, e un sorriso teso e appena
accennato che gli incurvava le labbra non riusciva a raggiungere gli occhi.
- Qualcosa ti turba?
Lei aveva sembrato pensarci un po’ su.
- … Niente di cui valga la pena discutere adesso, con una
giornata così bella.
Endymion le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso e
si era chinato su di lei per catturarne le labbra in un bacio gentile: lei vi si
era staccata quasi subito, poi si era alzata in piedi sciogliendosi educatamente
dalla stretta di lui: poi, ticchettando elegantemente in punta di piedi sui suoi
scarpini da camera di cristallo aveva biascicato a bassa voce qualcosa di
confuso a riguardo del bisogno di chiamare all’istante qualcuno che portasse
loro la colazione: perché ormai erano entrambi svegli e sarebbe stato sciocco
aspettare ancora; perché stava morendo di fame; perché l’avrebbe aspettata una
lunga e faticosa giornata, non aveva tempo per poltrire.
*
Le battaglie della regina Serenity in tempo di pace erano
combattute contro nemici molto più temibili dei demoni: al chiuso del suo studio
reale, tra scartoffie e documentazioni che la lasciavano solo a sera con gli
occhi che le si incrociavano per la stanchezza e il polso a pezzi. La gente di
fuori o anche solo la servitù di palazzo aveva l’immagine totalmente fuorviante
di questa eterea sovrana da favola che rinchiusa nella torre più alta e
inaccessibile del suo splendente palazzo trascorreva il tempo in preghiera
davanti a un magico pezzo di vetro.
Certo era una mezza verità.
La regina avrebbe preferito di gran lunga questa versione dei
fatti: almeno, pensava, avrebbe potuto approntare un divanetto nella sala delle
invocazioni e schiacciare all’occorrenza qualche pisolino. Ma quello, che era
stato il metodo di sua madre e che aveva funzionato benissimo per millenni su
Silver Millennium, a quanto pareva non andava più bene. Persino la stirpe della
luna si era arresa alla modernità. Il fatto era che, le avevano spiegato, il
potere del Cristallo d’argento poteva servire nei momenti di grande scompiglio,
di guerra, al limite come ipotetico spauracchio per nemici e malintenzionati, ma
in tempo di pace il suo unico compito era quello di portare il bel tempo o una
pioggia provvidenziale, a garantire raccolti abbondanti, un clima temperato e
poco altro, ma non poteva certo cambiare il cuore o l’indole degli uomini. A
questo serviva il “potere della burocrazia reale” come l’aveva chiamata Mercury.
“Reale rottura di scatole” l’aveva ribattezzata con prontezza
di spirito la regina.
Questo però non la esulava dal trascorrere gran parte delle
sue giornate chiusa tra quattro mura come un’impiegata sotto la sorveglianza
solerte della sua consigliera mentre fuori imperversava un tempo meraviglioso
grazie ai poteri del suo cristallo d’argento. L’ironia di tutto questo non
mancava di deprimerla.
*
- Io non credo che il regno abbia bisogno di un “Piano di
risanamento delle falde acquifere.”
- Io invece penso proprio di sì. – aveva replicato Luna tra
il basito e lo sconcertato, negli occhi un furore omicida tutto felino verso la
sovrana che si era presa l’ennesima pausa-riposo della giornata e ora si
stiracchiava e rigirava sbadigliando sullo scomodo divano dello studio, con
l’avambraccio sugli occhi a coprirle la vista estenuante della pila di
scartoffie che l’aspettava. – Maestà, dobbiamo veramente fare queste storie
tutti i giorni?
- Fuori è troppo bello per lavorare. – aveva mugugnato lei
strascicando stancamente le parole. – Magari se facessi piovere andrebbe meglio.
- O magari le verrebbe la voglia di saltellare tra le
pozzanghere.
La replica sdegnata della sovrana non era stata però molto
convincente.
Luna sospirò affranta. Sarebbe stata una di quelle giornate
in cui ad andar bene si sarebbe riuscito a svolgere la metà del lavoro
programmato, ed si sarebbe quindi reso necessario smistare e separare i carteggi
per ordine di importanza perché non succedessero disastri, compito non facile
per un gatto ma essere la consigliera delle regina comportava anche questo.
Mentre a balzi leggeri atterrava sulla scrivania della sovrana pronta a
immergersi nel lavoro l’altra aveva sollevato appena il braccio, guardandola di
sottecchi.
Poi aveva chiesto con aria casuale:
– Dimmi Luna, quando mi raggiungerà il re?
- Mi chiede di scusarlo ma oggi non verrà. – aveva replicato
distrattamente il felino senza sollevare lo sguardo dal suo compito. Serenity
l’aveva fissata a dir poco incredula, eppure stavolta le aveva promesso che non
sarebbe mancato per nulla al mondo! Sarebbe stato la sua salvezza. In giornate
come questa, in cui si sentiva talmente spossata da non riuscire neppure a
sollevare la testa dal bracciolo, bastava che il re Endymion facesse capolino
dall’uscio per offrire il proprio aiuto che subito lei si rianimava per
diventare una regina di tutto rispetto. - … E di grazia, Luna, perché non viene?
– aveva chiesto la sovrana cercando di nascondere la grande delusione.
- Impegni di palazzo.
- Del tipo?
- Oggi è impegnato in un compito di rappresentanza, mi pare
che adesso si trovi nei giardini a intrattenere l’ambasciatore dell’Ovest e sua
figlia.
A quelle parole la sovrana era balzata in piedi di scatto.
- Figlia? – aveva urlato. – Nessuno mi ha mai parlato della
presenza di una figlia!
Si era alzata in piedi, percorrendo più volte la stanza in
grandi falcate rabbiose a mo’ di animale in cattività.
- E’ giovane? E’ carina? – aveva inquisito agitando
forsennatamente le braccia. – Luna, manda immediatamente a chiamare il capo del
Reparto Investigativo Reale, indagheremo sulla cosa. Anzi no. – si era corretta
subito. – Non chiamare Mercury, c’è la possibilità che mi dia della pazza e si
rifiuti di eseguire i miei ordini. Magari chiama qualcuno che rispetti la mia
autorità.
- Maestà, se solo si calmasse per un secondo…
- Calmarmi è proprio fuori discussione.
- Ma ascolti…
- Oh, questo è veramente un quadretto tipico! – l’aveva
interrotta di nuovo la sovrana, il cui viso aveva raggiunto delle inquietanti
tinte purpuree. – Mentre la moglie vecchia e noiosa è costretta a trascorrere
tutte le sue giornate incarcerata tra quattro mura muffite come un’impiegata,
sommersa di lavoro per il bene del loro regno – invano Luna aveva cercato di
obiettare a questo punto che non sarebbe poi così oberata se non si distraesse e
procrastinasse in continuazione - il marito infingardo, con l’aiuto di
consiglieri traditori – e Luna si era vista investire da una guatata omicida –
intrattiene nei giardini giovani e belle straniere!
- Giovani non c’è dubbio… - aveva bofonchiato in un mugugno
il felino.
La replica della regina era stata un singulto d’orrore.
- Allora le cose stanno davvero così! Magari a quest’ora quei
due stanno già siglando un patto d’alleanza infrattati in qualche cespuglio!
- Sì, se non fosse che Briana Flores ha 9 anni.
Serenity si era ammutolita con la mano già stretta attorno
alla maniglia della porta, pronta a interrompere il romantico incontro di
culture in cui immaginava il suo sposo. Erano seguiti lunghi attimi di totale
immobilità durante i quali il viso della regina si era sbiancato di colpo per
poi riassumere un bel colorito sano d’imbarazzo.
- E da quando?
- Da questo aprile. Prima se non erro ne aveva 8.
La regina aveva tentato di raccattare gli ultimi rimasugli
della sua dignità. - Questo non sarebbe successo se mi avessi mandato quei
fascicoli aggiornati sugli ambasciatori stranieri e le loro famiglie!
- Che infatti sono sulla sua pila di cose da fare da un mese.
- … Io ho una pila di cose da fare? – Luna le aveva indicato
con nonchalance il lato est della stanza, quella seconda scrivania di cui ormai
restava ben poco ricoperta com’era di volumi, carteggi e fascicoli plastificati
che arrivavano a coprire la finestra. – Ah, ecco perché da un po’ di tempo mi
pareva che facesse buio prima, credevo fosse arrivato l’inverno.
Proprio in quel momento la porta si era aperta, e Jupiter era
entrata portando con cura materna tra le braccia l’ennesimo mazzo di carteggi
della giornata. Non sarebbe stato nemmeno un suo compito ma era l’unica
abbastanza forte da potersi occupare di quell’ammasso di carta. Sensibile
com’era le bastò un’occhiata per capire che aria tirasse, e un piccolo sorriso
complice in direzione della regina (scambiare due parole era proibito durante il
lavoro, sarebbe stata ulteriore fonte di distrazione e Luna si sarebbe accanita
su entrambe) per illuminarle almeno un pochino quella giornata.
Sorriso che immediatamente si spense di fronte a quella nuova
mole di lavoro.
Una volta che l’amica si fu chiusa la porta alle spalle la
regina si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato. - Direi che è veramente ora di
mettersi seriamente al lavoro. – e con l’aria di chi veniva trascinata al
patibolo si recò in direzione di quello spreco di carta. Era una fortuna che con
l’aiuto del Cristallo d’Argento potesse far crescere foreste rigogliose in poco
tempo altrimenti la Terra sarebbe stata totalmente disboscata nel giro di pochi
mesi. Si era accasciata al suo posto prendendo in mano la sua penna d’oca bianca
per intingerla nell’inchiostro dorato che veniva riservato alle documentazioni
ufficiali e poggiando stancamente la guancia sull’altra si preparò a fare il
proprio dovere.
Ma di foglio in foglio lo sguardo correva sempre alla
finestra.
Cercando di ricordare l’ultima volta in cui avesse trascorso
del tempo con il marito.
- Non era davvero così che immaginavo sarebbe stato diventare
regina… - pensò sconsolata.
*
Capitava di rado che Serenity ed Endymion trascorressero del
tempo insieme come coppia, in intimità o in qualcosa che vagamente le
somigliasse perché in quanto sovrani avevano una precisa immagine di sé da
mostrare in pubblico. Alle cerimonie ufficiali o ai numerosi balli che venivano
indetti a palazzo si imponeva alla reale coppia una rigida disciplina
comportamentale che riduceva a zero tenerezze ed effusioni; si arrivava al punto
in cui persino il tenersi per mano prevedeva l’uso dei guanti, come se toccarsi
la pelle nuda rappresentasse uno scandalo.
Non si salvava nemmeno l’ora dei pasti, un tempo la preferita
della regina.
L’etichetta reale prevedeva che tra i due ci fossero almeno 4
metri di tavolata imbandita a separarli, cosa che li costringeva a comunicare
mediante strilli da mercato del pesce, o affidando una comunicazione per l’altro
nelle mani dell’immancabile domestico che sorvegliava il loro convito, il quale
raramente riportava la frase con precisione dando vita a volte a malintesi
imbarazzanti. Decisamente non adatto allo scambio di romanticherie.
Così toccava a loro ritagliarsi brevi momenti.
Incontrarsi di nascosto come amanti, felici come ragazzi.
La sera, i primi tempi, studiavamo minuziosamente l’uno la
scaletta giornaliera dell’altro; calcolavano tempistiche, tragitti da percorrere
ed eventualmente da modificare per strapparsi un bacio di sfuggita all’ombra di
un salice, o una carezza appena accennata dietro una colonna. Era poco ma
bastava. Poi era trascorso il tempo.
I mesi si erano fatti anni, poi decenni.
Il loro potere si era fatto più forte, il regno rinsaldato,
il che rendeva sempre più necessaria un’opera di politica estera che veniva
quasi interamente svolta dal re. Era stato deciso quasi senza discuterne: più
diplomatico di natura e più scaltro di carattere nonché praticamente disutile
alla vita di palazzo, corrispondeva di facciata anche all’immagine del potere
politico come prerogativa prettamente maschile che la maggior parte degli
ambasciatori del regno abbracciava. Il che significava impegni più pressanti,
periodi di lontananza più lunghi.
Viaggi e compiti di accoglienza ai visitatori illustri.
Mentre Serenity restava imprigionata nel suo bellissimo
palazzo di cristallo.
- E’ troppo pericoloso, Maestà, non possiamo permetterle di
andare fuori – le ripetevano tutti in continuazione. – Non sarebbe abbastanza
protetta e qualcuno potrebbe approfittarne per tendere un agguato. Il suo posto
è qui, al sicuro di queste mura. – era il coro unanime di chi le stava intorno.
Quando poi aveva chiesto al re quella prima e unica volta di appoggiarla nel suo
desiderio di seguirlo in qualcuno dei suoi viaggi diplomatici si era sentita
tradita nell’udirlo perorare la causa di tutti gli altri. – Serenity, il tuo
posto è qui.
- No. Il mio posto è accanto a te. – aveva replicato lei
sentendo premere agli angoli degli occhi due grosse lacrime ma lottando contro
il desiderio di lasciarle scorrere. Non voleva che finisse come al solito, con
lei che frignava come una bambina.
Non era servito lo stesso a farsi prendere sul serio.
Endymion le aveva preso il viso tra le mani baciandole devoto
la fronte con un sospiro stanco, di sopportazione, come se quella conversazione
bastasse a spossarlo, e l’idea che quei pochi momenti di intimità notturna
fossero sprecati in un litigio senza senso era bastato a farla sciogliere in un
pianto disperato. Gli si era accasciata sul petto in singhiozzi, consolata dalle
dita di lui che le scorrevano gentili tra i capelli.
- Non mi vuoi?
Lui non le aveva risposto.
- Qui per te è più sicuro. Sono certo che comprendi. – aveva
detto.
Lei aveva annuito per far terminare quella penosa discussione
che non avrebbe portato da nessuna parte se non a rendere più tristi quelle
ultime ore che li separavano da un viaggio che avrebbe tenuto il suo sposo
lontano per giorni, forse settimane. Non era stato chiaro, nessuno le aveva
detto nulla di preciso, forse per paura della sua reazione.
Ma non capiva, non avrebbe mai capito.
Anche se smise di chiedergli di portarla con sé e a ogni
partenza lo salutò sempre con un sorriso. Perché le pareva un controsenso
trascorrere l’esistenza a portare la pace in un regno “troppo pericoloso” per
farci due passi in libertà in compagnia del suo sposo. Perché le parole di
Endymion le erano sembrate solo l’ennesima scusa per allontanarsi da un rapporto
vecchio e stantio.
*
Una volta Luna era entrata in camera di Usagi e l’aveva
trovata così intenta a fare smorfie e pose allo specchio da non accorgersi
neppure della porta che scricchiolava. Si era accomodata sul letto per godersi
lo spettacolo da una posizione più comoda, perché anche se la tentazione di
richiamarla alla realtà era forte, da brava micetta responsabile, era uno
spettacolo piuttosto divertente.
Usagi stava mettendo in scena una commedia.
Piroettava, turnicava e balzellava nel poco spazio della sua
stanza; agitava le braccia studiando la posizione più aggraziata delle mani,
perché le dita non prendessero una foggia ad artiglio, perché gli arti tenessero
una certa eleganza di fondo, studiando la tensione giusta della caviglia perché
il polpaccio non si avvicinasse a quello di un calciatore più che a quello di
una bella guerriera. Le gonne alla marinaretta erano impietose in questo senso.
Poi c’era il viso.
Si osservava le espressioni da ogni angolazione trasmutandolo
con naturalezza da un sorriso fiero a un altero cipiglio, borbottando frasi
d’amore, verità e giustizia un po’ per tutti gli usi con una serietà che se
applicata in ambito scolastico le avrebbe permesso di essere laureata a 14 anni.
Solo quando Luna non resistendo più a quella scena assolutamente comica era
rotolata sul piumino sghignazzando rumorosamente l’altra si era accorta di non
essere sola. Allora il suo viso aveva raggiunto ammirevoli vette di rosso e
aveva persino cercato di abbozzare qualche esercizio di stretching, anche se era
stata impietosamente sgamata dall’amica.
– Non penserai mica che tutte quelle mosse di trasformazione
e di apparizione di Sailor Moon siano improvvisate! – le aveva ribattuto
palesando una non troppo convincente alterigia, mentre il viso cercava di
acquisire una tonalità non proprio naturale ma quanto meno qualcosa che la
facesse avvicinare più a un essere umano e meno a una lampada di un locale di
strip-tease. – Sono studio di una precisa preparazione scenica.
Luna l’aveva guatata di sottecchi.
- Quindi suppongo che tu abbia già fatto i tuoi compiti.
- Oh Luna, ma non serve – aveva ridacchiato lei come se le
fosse stata posta una domanda molto sciocca. In effetti lo era dal momento che
tutti i suoi libri giacevano ancora nella sua cartella, buttata in malo modo
sotto al letto. - Una principessa non deve occuparsi di queste cose ma solo di
essere sempre carina ed elegante, e di avere le parole giuste per ogni occasione
mondana. Quando sarò regina e dovrò essere d’esempio a tutte le donne del mio
regno a che servirà l’inglese o la matematica?
Non ci è dato di riportare la risposta del felino per
questioni di rating, basti sapere che un minuto dopo Usagi era china sulla
scrivania pronta a fare il suo dovere di studentessa delle medie oltre che di
guerriera.
*
A dispetto delle apparenze Usagi era sempre stata una persona
piuttosto insicura su se stessa e sulle proprie capacità. Non era
particolarmente carina con quel viso tondo e una spiccata tendenza alla
pinguedine, i suoi voti a scuola rasentavano quelli che si sarebbero potuti
avere in presenza di un grave deficit mentale e il suo carattere naif mal si
adattava alla frenetica quotidianità giovanile giapponese votata al rigore e
all’eccellenza.
Non lo dava a vedere ma non vuol dire che non soffrisse.
Poi le era stato dato un potere speciale, le era stata
affidata la leadership di un gruppo.
Era sempre l’emergenza, la situazione di pericolo, il nuovo
nemico giunto sulla Terra a tirarle fuori la forza, la luce splendente che le
permetteva di trionfare nella situazione più disperata contro i nemici più
forti. Era Sailor Moon e c’era di che esserne orgogliosi. Nella vita reale però,
una volta sciolta la trasformazione o durante i sonnacchiosi periodi di pace
continuava ad esserci quella Usagi sciocca e tonta che a volte sentiva proprio
di detestare.
Era bello lasciarla da parte per un po’.
Indulgere in fantasie su quando sarebbe stata una regina
fiera e nobile. Tralasciare quei compiti noiosi, i libri di esercizi e i test
fallimentari, le punizioni e le paternali e viaggiare in avanti con
l’immaginazione fino a quando non sarebbe stata da meno delle sue amiche o del
suo eccezionale Mamo-chan. Intendeva lavorarci seriamente, ma non essendo un
tipo cerebrale che avrebbe fatto dello studio la propria forza per il momento la
via della perfezione era lastricata di superfici riflettenti.
*
Il bello di un Palazzo di Cristallo è che ovunque si trovano
piani in cui specchiarsi. Persino l’innocua ringhiera del balcone delle proprie
stanze può restituire un nitido riflesso di sé, con lo sfondo di un cielo scuro
quasi senza luna. Serenity canticchiava distrattamente a se stessa tra le labbra
serrate nei denti un vecchio motivetto ballabile, battendo la punta di un piede
fasciato di bassi scarpini tintinnanti, col viso un po’ piegato su un lato: la
regina che gli restituiva lo sguardo era nostalgica, pensosa. Succede, dopo una
certa età.
Si perde la freschezza, l’innocenza.
Per quanto il volto resti giovane è l’animo, inevitabilmente,
a mutare.
Se avesse incontrato oggi quella ragazzina infantile, buffa e
spensierata di pochi decenni prima quanto avrebbe avuto a che spartire con lei,
si domandava pigramente lasciando scorrere un dito lungo il contorno di quel
pallido viso di cristallo: molto all’apparenza, poco nello spirito si rispondeva
tra sé e sé mentre continuando a cantare quella buffa canzone da bambini tra le
sopracciglia le si formava una sottile ruga d’espressione. La cosa non mancava
di turbarla. Benché fosse stata avvertita di quanto accadesse ai membri della
famiglia reale la consapevolezza di non invecchiare non l’aveva entusiasmata
come avrebbe pensato: quello sguardo che a tratti si faceva freddo, maturo, sul
viso da bimba le pareva un abominio. Per rifuggirlo, per nascondere tutto questo
da qualche recesso di se stessa, aveva cominciato ad appellarsi agli specchi.
In cerca di occhi innocenti.
Di un sorriso aperto, dolce e confidente.
Di quel vecchio entusiasmo onesto e quell’incrollabile
fiducia nel prossimo.
Facendo leva sulle braccia si era raddrizzata in preda a una
subitanea ispirazione e un volto fiero e risoluto incorniciato da lunghi capelli
biondi sospinti all’indietro le era venuto incontro dalle ante della porta
mentre si faceva strada fuori dalle stanze da letto reali con due manate
decisamente poco regali, ma che servirono allo scopo. Aggirandosi con sicurezza
in quella labirintica costruzione che le aveva fatto perdere più volte
l’orientamento aveva snobbato il percorso più breve e quindi più facile per la
sua destinazione, optando invece più lungo ma con l’innegabile pregio di essere
poco frequentato a quell’ora da domestici e similari ficcanaso. Percorse la
tenue penombra di un ambiente illuminato di tenui bagliori cerulei a lunghe
falcate energiche mentre il suono dei suoi passi le rimbombava intorno,
rimbalzando tra pareti e perdendosi contro l’alto soffitto avvolto nel buio,
schiudendo le labbra in un timido sorriso prima a destra poi a sinistra, in
direzione di quelle figure gemelle vestite di un bianco talmente splendente che
parevano brillare di luce propria.
Stava diventando proprio brava.
Persino la ricercatezza di un rossore di guance appena
accennato.
Nonostante il profondo tumulto interiore che la invadeva
pareva un riso innocuo e sincero che avrebbe ingannato persino sua madre.
Controllando di tanto in tanto alla fedele superficie riflettente che il tutto
non si trasformasse in una smorfia disgustata lo mantenne solidamente,
rallentando il passo, fino ad arrivare alla Sala di Preghiera, dove lo rivolse a
due solerti guardie di piantone prima di complimentarsi con loro per l’ottimo
lavoro svolto, al punto che permise loro di prendersi una meritata notte di
riposo. Nascose il tremore delle mani dietro le pieghe del vestito, nel ricevere
altezzosamente un inchino grato e devoto da parte dei due, e attese che
voltassero l’angolo lasciandola sola prima recarsi pian piano al suo interno,
con titubanza reverenziale.
Luci di un malva caldissimo ad accoglierla.
L’argento brillante del suo cristallo nella teca preziosa
foderata di velluto.
La stanza, piccola e di pianta circolare, era completamente
spoglia se non si contava il piedistallo su cui poggiava la preziosa gemma e
l’acqua che, immancabile, circondava lo spazio di preghiera. Da sempre, la
regina ricordava una struttura del genere anche a Silver Millennium, l’acqua e
la luna venivano considerate intimamente connesse l’una all’altra: si credeva
che il potere di questo elemento riuscisse a incrementare i magici poteri di
quel gioiello straordinario. Nessuno aveva mai condotto degli studi a sostegno
di questa tesi e nel frattempo la povera regina era costretta ad assolvere ai
propri doveri inginocchiata nell’acqua come un pescatore di paese. Sua madre la
regina Serenity lo faceva, le regine di Silver Millennium prima di lei lo
avevano fatto, non c’era modo di scampare a quella condanna, più che altro
perché l’acqua non si sapeva da dove provenise ma ipotizzava dal Polo Nord visto
che raggiungeva temperature infime). Luna era stata categorica in merito e a
nulla erano valse le proteste della regina, seppur a suo avviso piuttosto
logiche, che era capitato ben raramente di combattere nella vicinanza di fiumi,
laghi o fontanelle del parco, eppure il suo dovere il Cristallo lo aveva sempre
fatto più che discretamente.
Serenity aveva rabbrividito al primo contatto dei piedi nudi
con il liquido, osservando il proprio riflesso deformato nella concavità della
teca con le mani affondate con forza nelle pieghe del tessuto delle sue vesti
fino a sentire il tessuto penetrarle nelle carni. La bocca era stretta in una
linea esangue e sulla fronte le sopracciglia le si erano accartocciate in una
ruga d’espressione pensosa.
- Faccio ancora in tempo a lasciar perdere. – aveva
sussurrato paurosamente a se stessa dando voce a quel viso irresoluto. – In
fondo non è questa grande idea. Lo ripeté a se stessa molte volte come un
mantra, ma le gambe parevano incollate al suolo. Rimase lunghi istanti in attesa
di quel coraggio che la riportasse sui suoi passi, finché un nome si fece
prepotentemente strada in lei.
Quello che l’aveva guidata fin lì.
- Mamo-chan…
Il Cristallo, obbediente ai desideri del cuore della sua
detentrice, mostrò nella superficie increspata dell’acqua smossa dai lembi delle
gonne della sovrana uno scorcio dei giardini, e un piccolo gazebo sotto il quale
un uomo e un felino candido come la neve si perdevano in piacevoli chiacchiere
tra amici tra una sigaretta e l’altra, un vecchio vizio che proprio non voleva
perdere. Parevano non aspettare nessun altro. Serenity ridacchiò sospirando come
se le mancasse il respiro e il suo sollievo assunse la forma di un vapore
evanescente che arzigogolò con grazia verso l’aria; quella sera, quando Endymion
l’aveva abbandonata dopo poche incomprensibili parole perso in cupe meditazioni
aveva temuto che ci fosse di mezzo una donna, ma adesso quei timori che
l’avevano guidata fin lì nel cuore della notte, sembravano d’improvviso sciocchi
anche se la sua ansia aveva basi perfettamente razionali.
Perché se era vero che, come diceva Luna, Briana Flores aveva
9 anni era altrettanto vero che Azalea Hédérvary ne aveva 20; Irina Andreevna
16; Rebecca Hernandez 25. Figlie adolescenti e senza preoccupazioni tutte
languidità e innocenza. Troppe mogli di secondo letto altrettanto giovani e
lasciate sole per troppo tempo da mariti impegnati. Anche lei era sempre molto
impegnata. Il parallelismo non mancava di turbarla, aveva sentito troppi
pettegolezzi di corte. Una scorsa veloce a quei fascicoli dateli da Luna ed era
impazzita.
Erano tutte troppo belle.
Aveva trascorso notti insonni rosicata dal dubbio, indecisa
sul da farsi, finché non aveva supplicato Venus di pedinare il sovrano dal
momento che temeva un complotto ai suoi danni, col risultato di gettare il
Palazzo nel caos e di fare la figura della pazza.
Sciacquando via quei cupi pensieri aveva indugiato un istante
a contemplare il volto del suo re, bello come la prima volta in cui vi aveva
posato lo sguardo.
Vinta dalla curiosità tese l’orecchio per udirne le parole e
ne inorridì.
- In via ipotetica – stava domandando al suo ascoltatore. -
Se un re divorzia da sua moglie…
*
Quando era giovane non le sarebbe mai accaduto di dare così
tanta importanza a quelle parole. Le avrebbe bollate come sciocchezze,
probabilmente vi avrebbe riso oppure, arrivando proprio alle ipotesi più
improbabili, non avrebbe nemmeno collegato il discorso a loro due, se non altro
perché re e regina non lo erano ancora. Di certo non l’avrebbero ridotta a
quell’ammasso caotico di coperte imbevute di lacrime che Endymion aveva trovato
al suo ritorno dai giardini.
Nell’udire lo scricchiolio sommesso della porta si era
immobilizzata d’istinto, come morta, fingendo di essere immersa in un sogno
ignaro. Una parte di lei avrebbe voluto che lui si accorgesse di qualcosa per
toglierle questo peso che le schiacciava il cuore ma a quel punto cosa avrebbe
potuto spiegargli, che l’aveva spiato in un momento d’intimità?
Avrebbe capito?
Nella notte, stretta tra quelle braccia forti senza riuscire
ad avvertirne il calore aveva continuato a piangere in silenzio e l’arrivo della
luce di un nuovo giorno non aveva portato consiglio come si era aspettata ma una
nuova risolutezza assieme a occhi rossi e gonfi decisamente poco regali, ma
nulla che un po’ d’acqua fredda non riuscisse a sciacquare via almeno in parte.
Lei non aveva alcuna intenzione di farsi lasciare da
quell’uomo.
E comunque, se il divorzio fosse stato proprio inevitabile,
non sarebbe accaduto alle sue condizioni.
*
Tsukino Fusai no Jingi Naki
Tatakai
Fine Capitolo 2
*
Il cantuccio di
Sophie: Mi sa che
metto le mani avanti e anticipo che per il prossimo capitolo non ho proprio
nessuna idea su dove voglia andare a parare a parte il titolo e uno scambio di
battute che mi dà l’idea di una cosa più scorrevole e che a me personalmente ha
fatto piegare dal ridere. Ma io rido anche alle barzellette di Pierino di 40
anni fa quindi non è che sia dotata di un umorismo proprio fine. Insomma,
l’aggiornamento potrebbe stentare anche perché voglio provare a riprendere in
mano Sakura che come tutti ormai sapranno è l’equivalente letterario amatoriale
di un parto senza epidurale ma tant’è. I capitoli troppo lunghi mi sfiancano,
non sono avvezza. Per protesta mi darò alle drabble. Come sempre grazie a chi
legge, a chi apprezza e a chi commenta. Con menzione particolare a chi fa tutte
e tre le cose, hahaha! :D
Visto? Umorismo di patata. |