Nothing else matters

di Briseide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Parte prima] La vigilia ***
Capitolo 2: *** [Seconda parte] Il funerale ***



Capitolo 1
*** [Parte prima] La vigilia ***


Disclaimer: I personaggi citati e il contesto magico sono di proprietà di J.K.Rowling, e tutto ciò che è scritto in questa storia, non è stato scritto per scopi di lucro.

Note: La storia è composta da due parti e si svolge nel settimo anno dei Malandrini. Seguirà in maniera più approfondita il rapporo tra James e Lily, quello tra James e Remus, e nello sfondo quello dei Malandrini.

Ringraziamenti : A coloro che mi fanno credere nell'amicizia; ai silenzi; a mise_keith per le sue delicate e bellissime analisi delle mie one-shot ^^



Prima parte
La vigilia



La prima cosa che percepì fu l’incenso, un sapore forte e dolciastro che si impossessò della sua facoltà di respirare, non appena mise piede in quello che lui definiva alla faccia dei benpensanti, un postaccio.
Innanzitutto, non c’erano spunti di divertimento, in primo luogo perché Sirius Black in genere non aveva libero accesso a quei luoghi, era quel genere di persona che viene fermata sull’entrata ancora prima che abbia dato la minima impressione di voler entrare.
E, seconda motivazione, la folla.
James Potter amava i bagni di folla, ma quel posto era pieno di gente che non aveva la benché minima intenzione di volgere la propria attenzione a lui, bensì erano tutti fastidiosamente – e inspiegabilmente – presi dal pensiero dell’adorazione per un tale Dio benefattore, che certamente non era James Potter.
Con queste due brevi esplicitazioni, James dall’alto della sua diciassettenne insolenza, giustificava il broncio che gli oscurava il viso magro, illuminato da una carnagione piuttosto pallida e due occhi neri ripresi dalla montatura degli occhiali che si posavano sul suo naso.
“Non ci sono più posti liberi, dove andate?”
Aveva affermato a mezza voce, davanti ad una distesa di teste di individui assolutamente sconosciuti e dalle peculiarità più varie e assurde riscontrabili in natura. Sua madre poggiò una mano sulle spalle del figlio, e lo sospinse stancamente in avanti, senza perdere quel velo di controllo che si era duramente imposta, all’ennesima infantile e insofferente affermazione di James.
“Non essere ridicolo James, che ti aspettavi! E’ la messa di Natale…”
“… non una partita di Quidditch”.
Il broncio sul volto di James lasciò il posto ad una impertinente occhiata rivolta verso il soffitto a cassettoni fastosamente decorato in oro della Chiesa: suo padre era l’unico pregiato di tale titolo che non fosse entusiasta né della prestanza fisica del figlio, né della sua spiccata propensione allo sport. E James ancora non riusciva a farsene una ragione; e successivamente ad uno sguardo di puro terrore, dopo che ebbe preso atto che i suoi genitori, quei mostri che camminavano accanto a lui in quel momento, avevano intenzione di assistere ugualmente alla messa di Natale, in piedi per la durata di chissà quante ore.
“Avanti su”
lo incitò la signora Potter scoccandogli una minacciosa occhiata, che prometteva vendetta certa ed impietosa se lui non avesse smesso di alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa.
Naturalmente, James non smise. Si prese anche la briga di fare un tentativo, ma era più forte di lui: più si guardava intorno più un puro orrore prendeva il sopravvento su di lui.
Alla sua sinistra, suo padre teneva in compunto silenzio gli occhi fissi all’altare, dove qualcuno presumibilmente stava cantando qualcosa di atrocemente simile ad un canto gregoriano e assurdamente identico al lamento di una Mrs Purr in calore, e se solo provava a cercare una via di fuga alla sua destra, incontrava il profilo di sua madre, persa in chissà quale cristiana riflessione con lo sguardo concentrato sul pavimento di marmo sotto i suoi piedi e un occhio vigile pronto a scattare verso di lui. Sporse di poco lo sguardo, e incontrò la figura di due anziani signori, seduti l’uno accanto all’altro, con le lacrime agli occhi.
“Ma pensa tu”.
Mormorò mentre la sua testa faceva di nuovo un cenno di diniego. Sua madre dischiuse le labbra e mimò una minaccia, che James neanche tentò di decifrare. Era incredibile, lì c’era gente che si commuoveva quando l’unico motivo per il quale lui stesso sentiva una gran voglia di piangere, era non essere da qualche parte fuori dalla Chiesa con i suoi amici e non aver ancora potuto strappare un bacio alle morbide labbra della Evans.
“Quanto credi che durerà questo supplizio, ancora?”
“James per l’amor del cielo, fattene una ragione. E togliti quel broncio per cortesia, è una cosa che non sopporto”.
Tentativo mancato. Suo figlio si era messo le mani nelle tasche dei jeans e aveva appoggiato il peso del suo corpo contro una struttura in legno più scuro con una finestrella nel mezzo, che per lui aveva tutta l’aria di un appoggio contro la pesantezza alle gambe, e per sua madre, il resto dei presenti, e chi si trovava dietro la finestrella, aveva invece l’aria di un confessionale.
“Scostati di lì!”
Aveva sibilato lei inorridita, allungandogli una pacca sul braccio. James aveva sollevato un sopracciglio stupito, ma prima che potesse dire anche solo una parola, giusto per il gusto di tirare su polemiche, suo padre aveva fatto in modo che intercettasse il suo sguardo, e il tutto era finito con un sommesso chiedere scusa al prete di turno, e un allontanarsi in fretta dal confessionale.
“Non hai più nove anni, James, te ne ricordi vero? Cerca di vederla da un’altra prospettiva almeno: guarda quelle colonne corinzie, non trovi… James, fingi almeno di darmi retta e voltati…”
E va bene, alla fine lo aveva fatto, più per far tacere sua madre che per reale convincimento.
Per quel che ne poteva sapere, Hogwarts ne aveva altre cento di colonne di quel tipo, aveva ancora sette mesi per farci caso, ma improvvisamente aveva trovato meno asfissiante il coro che sua madre e i suoi latrati.
E si era voltato a guardare quella colonna, dove era appoggiato Sirius Black.
“Oh sì, davvero entusiasmante osservare un pezzo di marmo immobile al centro di-“
Sirius Black appoggiato ad una colonna corinzia? Ad una colonna corinzia nel centro della navata di una Chiesa durante la messa di Natale, per giunta.
James aggrottò le sopracciglia e si voltò di nuovo verso la colonna. Dove un giovane alto più o meno quanto lui, aveva sbracciato una mano in sua direzione, lasciando evidentemente in mostra i suoi jeans sbiaditi e il maglione nero decisamente più slabbrato di quello che portava un ragazzo venti passi più avanti di lui.
“Sirius?”
“Come dici?”
“Bella”
Suo padre lo aveva guardato con un cipiglio interdetto, che non aveva niente di simpatico.
“La colonna”.
Si era affrettato ad aggiungere James, cogliendo il pretesto per voltarsi ancora una volta, e constatare che Sirius era realmente appoggiato a quella bella colonna, e che stava cercando in tutti i modi più discutibili in una chiesa, di attirare la sua attenzione.
James indietreggiò di qualche passo, fingendo di voler a tutti i costi guadagnarsi la vista del centro dell’altare, e non appena gli fu possibile, voltò le spalle ai suoi genitori, per cercare lo sguardo di Sirius, nello stesso istante in cui da dietro la colonna apparve la testa rossa di Lily Evans.
Non avrebbe mai potuto sbagliare, avrebbe riconosciuto quei capelli tra mille teste diverse di mille persone presenti nella chiesa più prestigiosa di Londra, alla messa di Natale.
A quel punto lasciò definitivamente perdere la messa, i suoi genitori e la sua messinscena, e raggiunse la colonna in un battito di ciglia. Di quelle della Evans, precisamente.
“Che ci fate voi due qui?”
“Aspetto di ricevere l’ostia”.
Proferì ligio e con convinzione Sirius. Una pacca sulla spalla – e il colpo di tosse tra lo scandalizzato e l’innervosito di una anziana signora – chiarì l’idiozia della domanda di James. Lily sbuffò uscendo del tutto dall’ombra della colonna, dando sfoggio del suo perfetto cappotto nero e aderente in vita, che James notò ovviamente prima di quello che lei aveva da dire.
“L’ostia puoi prenderla solo se hai fatto la Comunione, Black”
spiegò seccata mentre una ciocca di capelli spargeva una nota di colore sulla spalla nera del cappotto. James ritenne che quell’occasione valeva un sorriso per lei. “Si chiama ironia Evans, piacere te la presento!”
“E’ per la madre di Remus”.
Tagliò corto Lily ignorando deliberatamente la provocatoria risposta di Sirius. James smise di sorridere non appena ebbe collegato le parole al loro significato e lanciò uno sguardo serio all’amico. Aveva perso anche lui l’aria beffarda e di dissacrante ironia verso il mondo e la Evans, e con un cenno di assenso aveva espresso la sua conferma.
“Sta molto male, ci ha avvisati Peter, lui è già li”.
Proseguì sbrigativa Lily, traendo dalla tasca del cappotto un foglio perfettamente piegato che porse a James. Sapeva del suo profumo.
“Non sapevo che la situazione si fosse aggravata a questo punto”.
Mormorò James, leggendo la grafia disconnessa di Peter. Perché diamine Peter scriveva a Lily e non a lui? Non era tanto per un senso di emarginazione, o la delusione di non essere in cima ai pensieri dell’amico, più che altro il vero problema era come mai in cima ai suoi pensieri ci fosse Lily Evans, la sua Lily Evans.
“Non lo sapeva nessuno infatti”.
Lo riprese Sirius facendo cenno a James di incamminarsi verso l’uscita: non gli piaceva affatto il modo in cui la vecchia signora di prima faceva caso ai loro discorsi guardandoli di conseguenza.
“Nessuno che abbia uno scarso spirito di osservazione, vorrai dire”.
Si intromise Lily, afferrando la lettera che James le stava restituendo e scrollando le spalle in un gesto di tentata indifferenza, quando invece nella sua voce dominava un timbro scostante e appena saccente, nell’aprire il bottone che chiudeva la tasca del cappotto si era lasciata sfuggire l’asola due volte, mentre argomentava il suo totale e inevitabile disappunto per l’affermazione di Sirius.
“Remus ha ricevuto lettere moto più frequenti nelle ultime settimane, ha saltato una gita ad Hogsmeade -“
“Aveva la febbre a quaranta gradi!”
“Ma il giorno dopo assisteva alla partita di Quidditch in felpa e berretto, Black, non trovi ci sia qualcosa di strano?”
Risparmiò a Sirius la fatica di mascherare lo sconcerto per non averci pensato prima e la conseguente rabbia e indisposizione verso chi invece lo aveva notato a miglia di distanza dal suo amico, tirando avanti con il suo discorso:
“E, infine, mi ha chiesto di coprire la sua ronda di Caposcuola esattamente tre sere fa, che deve essere precisamente quando le condizioni di sua madre sono precipitate”.
Concluse rilassando le spalle e mordendosi un labbro. Sapeva che Black avrebbe infierito su di lei per il tono usato e l’arguta sagacia dimostrata – quella che a lui mancava del tutto a suo parere – nel conoscere i dettagli della vita del suo migliore amico forse meglio di lui.
“D’accordo, liquido i miei e la messa e andiamo”.
Intervenne James, zittendo Sirius inaspettatamente. Lui sembrò capire che non c’era poi così molto tempo a disposizione e accettò di buon grado.
“Conosci la strada per andare a casa di Remus?”
domandò Lily mentre James spariva tra la folla. Sirius ci rifletté un attimo, giusto il tempo di prendere atto di non saperlo dopo ben sette lunghi anni di conoscenza, e infine, sospirò scoraggiato.
“Non esattamente. Sai come si arriva all’imbocco della St. Laurence?”
“Non è la mia zona, no”
Rispose quasi meccanicamente lei, mentre un’ombra di contrarietà le oscurò il viso.
“Che donna inutile”.
Bofonchiò Sirius dandole le spalle e incamminandosi verso l’uscita. Trovò modo di scontrarsi con un amena donna sui trent’anni che con un sorriso gentile gli aveva offerto una candela, come regalo, da poter accendere con la fiamma di quella di qualcun altro. Il sorriso scomparve insieme alla gentilezza dopo la risposta che si sentì dire da Sirius, con poco inerenti riferimenti sessuali piuttosto espliciti, qualcosa che vedeva come ruffianeria quella di regalargli una inutile candela in cambio di altro.
“Sirius?”
“Fuori, dopo avermi dato della donna inutile”.
Rispose Lily facendo strada a James.
“A volte non capisce proprio niente”.
Commentò a mezza voce, ma piuttosto vicino all’orecchio di Lily.
“Non ti do quel qualcosa che cerchi in cambio di uno scialbo e occasionale complimento, Potter”.
Ribatté con veemenza, e superando James a passi rabbiosi, fino a raggiungere l’uscita anche lei.
E poi se la prende con Sirius.
Pensò confuso James sentendo il pesante battente della chiesa chiudersi alle sue spalle.

***

Il silenzio della notte di Natale era qualcosa di davvero rilassante dopo i canti gregoriani.
Peccato che li avesse abbandonati per dover andare dalla madre moribonda di Remus. James calciò un sassolino davanti alla punta della sua scarpa, e si fermò di fronte ad un lampione, alzando lo sguardo in cerca di un’indicazione.
“Niente?”
domandò torvo Sirius alle spalle. James scosse la testa, tornando sui suoi passi. In una città grande come Londra, della quale James conosceva ogni singola strada babbana, Remus viveva in un quartiere magico, nella via più sconosciuta alla maggior parte della gente, che in ogni caso la notte della vigilia se ne stava a casa a rimpinzarsi di prelibatezze o a sorbirsi canti in chiesa con i propri genitori.
Piccoli passi felpati, li raggiunsero, annunciando il ritorno di Lily.
James si soffermò ad osservarla in quella manciata di minuti scarsi che lo separava dal suo arrivo, in tutta la sua grazia. Era una figura minuta, camminava a passo spedito quasi avesse sempre fretta di essere morsa ai talloni dal tempo, o fosse perennemente arrabbiata, camminava tenendo la testa bassa, in modo che la sciarpa la coprisse maggiormente, e teneva le mani nelle tasche del cappotto. Il bordo della sciarpa era finito tra le sue labbra rosee e tutto quel che James avrebbe voluto fare, era abbassare quella sciarpa e baciare Lily Evans. Anche una volta sola, con la certezza di ricevere uno schiaffo in faccia. Magari quando Sirius era voltato, possibilmente.
“Bastava chiedere, sapete? Dritti fino in fondo alla strada, non la seconda ma la terza a sinistra”.
Sirius sgranò leggermente gli occhi.
“E poi siamo da Remus?”
domandò iniziando già a percorrere la strada. Nella voce della ragazza tremò l’impazienza e un accenno di stanchezza.
“No, poi saremo all’imbocco della St. Laurence”.
“Grandioso. Arriveremo che sarà troppo tardi”.
Sussurrò rabbiosamente Sirius, prendendo a calci lo stesso sassolino di James. Fu a quelle parole che lo stesso si riscosse, quasi fino in quel momento fosse scivolato in un tiepido torpore, un ovattata dimensione di piccola serenità, dovuta in parte alla fine dei canti, un po’ alla presenza di Lily Evans.
“Affretta il passo”.
Disse soltanto, iniziando ad assumere un andatura più sostenuta. Sirius gli fu accanto in un attimo, partecipe della stessa muta angoscia del compagno. Arrivare troppo tardi a casa di Remus, senza aver neanche dato cenno di aver compreso la situazione, sarebbe stata la peggiore manifestazione di amicizia che avrebbero potuto proporre all’amico.
Proprio loro che dell’amicizia rappresentavano l’emblema.
Proprio loro che per Remus avrebbero fatto di tutto.
Pochi passi dietro Sirius e James, Lily cercava di mantenere il loro ritmo e ripassava le indicazioni ricevute poco prima, mentre immaginava la casa di Remus, calda e pervasa da una nota di panico nel veloce affaccendarsi di Remus e suo padre attorno al letto della madre, nel tentativo disperato di rubare qualche secondo al suo destino. Ben presto si rese conto che le mancava il fiato.
“Evans, datti una mossa!”
“Black io non ho le tue gambe!”
rispose risentita lei; con un imprecazione cercò di recuperare la sciarpa sfuggita alle sue labbra.
“Grazie a Dio”.
Commentò James in tono ilare. Perfino lei non riuscì a non ridere, al tono leggero con cui Potter aveva dato voce a quel pensiero. Incrociò appena i suoi occhi scuri e si meravigliò di vederli brillare nel buio di quella strada.
“Sapete, sono convinta che ce la faremo”.
Non che fosse propriamente vero, ma era stata sincera se non altro. Nell’istante in cui aveva detto quelle parole, era realmente certa che sarebbero arrivati in tempo, magari guidati dal bagliore degli occhi di Potter. Che assurdità, ma le parve un bel pensiero e non smise di pensarci fino a quando non raggiunsero l’imbocco per la St. Laurence.

***

La casa di Remus era più o meno come Lily l’aveva sempre immaginata. Era adatta a tre persone, una quarta sarebbe entrata con evidenti difficoltà allo stesso modo in cui un numero di abitanti inferiore a tre avrebbe portato una nota stonata a quel pentagramma di armonia che c’era lì dentro.
Nessun camino fumante in effetti, ma c’era una modesta cucina con un tavolo di legno chiaro, al centro sostava una statica ciotola di frutta di stagione, perfettamente al suo posto, come per gli abitanti, anche quella ciotola non sarebbe stata bene in qualsiasi altro posto che non fosse il centro di quel tavolo.
Fu James a bussare alla porta, un colpo secco nell’incertezza che recava con sé e che James aveva relegato nel suo sguardo.
“Lily non fare quella faccia, è tutto a posto”.
Le aveva detto prima di bussare, nel notare il colorito pallido e la smorfia di contrita preoccupazione che stava comparendo sul suo volto. Lei aveva annuito e preso un respiro profondo, che era valso solamente a spezzarle ulteriormente il fiato.
“Si?”
“Signor Lupin, siamo gli amici di Remus”.
Seguì un silenzio perplesso, quasi il padre di Remus stesse facendo una rassegna mentale e avesse trovato modo e tempo di chiedersi contrariato se suo figlio in effetti avesse amici. Alla fine aprì la porta, e li lasciò entrare senza un ulteriore cenno di saluto.
Nel corridoio e in ogni stanza aleggiava un silenzio innaturale che non lasciava presagire niente di buono. James sollevò lo sguardo verso il soffitto basso del corridoio, tendendo l’orecchio al minimo rumore, ma sembrava una casa disabitata, se non fosse stato che il padrone di casa li aveva appena fatti entrare, sparendo in una stanza.
Era come se fossero tutti nella silenziosa attesa di qualcosa sospeso a mezz’aria, tra lì e qua, indeciso su dove andare.
Il sospiro di Sirius spezzò l’aria rarefatta del corridoio, piuttosto claustrofobico per uno come lui, a cui disturbava persino lo spazio di un normalissimo bagno.
Due occhi incerti comparvero, al lato di un buffo naso al centro di un volto paffuto, contornato da una fratta di capelli biondicci e stoppacciosi.
“Ragazzi!”
squittì Peter scorgendo i tre, attoniti, immobili al buio.
“Peter, abbiamo fatto più in fretta possibile. Remus dov’è?”.
Apparve una perversa lusinga (o soddisfazione) in Minus nel fare cenno a James, James Potter, di seguirlo, seguire lui, in una stanza di casa Lupin. Alle spalle di James, Lily cercò di non far caso alla luce che aveva tremato in quello sguardo acquoso, eppure mentre si lasciava alle spalle quel corridoio tetro, sentì quasi l’impulso di stringere il maglione di James tra le dita, ed affidarsi a lui.
“Di qua”
li guidò Peter, fermandosi davanti ad una porta di legno scuro. Sembrava non esserci nessuno, all’interno. Sirius continuava a guardarsi intorno, a volgere lo sguardo sul soffitto e sulla fuga delle mattonelle in cotto scuro, posava gli occhi in ogni via di fuga da quell’asfissiante sensazione di angoscia e impotenza che permeava quella casa. James parve il più risoluto, era pronto a mettere mano alla maniglia ed entrare, quando quella si abbassò da sola e dalla camera uscì un Remus piuttosto abbattuto e più gracile del solito.
Fragile.
Pensò James, mentre ancora dietro di lui, Lily senza saperlo, pensava la stessa cosa.
“Ehi.” Salutò Lupin con un sorriso malconcio e un gesto affaticato del braccio sulla spalla di James. “Ma siete venuti tutti” soggiunse poi dolcemente meravigliato, posando gli occhi tristi sulla figura di Lily.
Sentì gli occhi perforanti di Sirius passarla da parte a parte, e lo sguardo di tenera attenzione di James coprirle le spalle e attendere la sua mossa, ma Lily non disse niente, sorrise e basta, con discrezione, perché qualcuno un tempo le aveva insegnato che spesso davanti ad un sorriso, le parole diventano superflue.
“Come sta tua madre?”
domandò James sentendosi due volte stupido e tremendamente in imbarazzo.
Lily spostò i suoi occhi dalla figura emaciata di Remus, al volto di James, contratto dalla tensione e dal disagio, e lo scoprì tenero e vulnerabile di fronte alle incombenze di una vita che prima o poi delude tutti, anche James Potter, idolo delle folle, pastore di generazioni di giovani maghi alle prime armi, adescatore di indifese fanciulle, Mister Sorriso perfetto, sempre e comunque. Non davanti a tutto quello.
“Stiamo aspettando”.
Rispose flebile Remus, la sua voce sembrava scivolare dallo spiffero delle sue labbra riarse dalla stanchezza e dalla spossatezza.
Si domandò se fosse stata l’unica a vederlo.
Il bagliore negli occhi di James. Il lampo di cruda consapevolezza, di atroce scoperta.
Lei lo vide, e pensò che non sarebbe stato poi così sbagliato proteggerlo. Proteggere James Potter era alquanto inverosimile, ma fu l’esatto pensiero che la investì in pieno, quando vide il mondo di James vacillare d’improvviso, mancante del sostegno sempre avuto. Sentì prima ancora del desiderio, una sorta di dovere inconscio, di fornirgli una base di appoggio su cui atterrare per non cadere.
Quei pensieri proprio davanti a Remus, che era in bilico su un dirupo quasi da tutta la vita.
“Volete entrare?”
chiese Remus, scostando con un cenno delle dita la porta. Lily, attenta osservatrice, carpì anche l’offesa e la delusione nell’incontrollata espressione di Peter. Forse si era convinto che sarebbe stato l’unico ad aver avuto accesso alla camera della madre di Remus.
“No”.
Ne fu spiazzato lui stesso, della sua risposta. Tutti gli sguardi si puntarono su James, che guardava chissà cosa davanti al velo dei suoi occhi.
Remus fu il primo – e l’unico – a piegare le labbra in un pacato e comprensivo sorriso, annuì una sola volta e non disse niente a James. Sirius continuava a guardare il suo amico fissamente, con lo stupore nello sguardo vitreo. Tanta era stata la convinzione con la quale James aveva detto No.
“Vengo io”.
Propose Lily, mentre faceva cenno a James con lo sguardo di risvegliarsi dallo stato di atarassia che lo aveva colto. Remus l’aveva squadrata qualche attimo prima di lasciarla entrare e fare cenno agli altri che ci sarebbe stato tempo per parlare e ringraziare. Poi chiuse la porta alle sue spalle e a quelle di Lily, e lasciò James Potter in preda allo sgomento più totale, per se stesso.
Evento più unico che raro.

***

Nella stanza non c’era il padre di Remus. Chissà dove era finito, pensò Lily mentre con un gesto impacciato si sfilava la sciarpa e la poggiava su una sedia lì accanto.
Su di un letto piuttosto comune, era stesa una signora, gli occhi chiusi e il respiro faticoso e disarticolato, nel suo petto si affannava un cuore che ad ogni battito perdeva un colpo, e con una stretta allo stomaco Lily si rese conto che di colpi ormai non gliene sarebbero rimasti più molti.
Guardò incerta verso Remus, appoggiato all’armadio al fianco del letto, con le braccia conserte osservava sua madre, la tristezza negli occhi era in qualche modo levigata da un sorriso di amara rassegnazione, mentre accarezzava con un lento sguardo la donna che gli aveva dato la vita.
“Avrei voluto risparmiarle tutto questo”.
Mormorò d’un tratto, con delicatezza quasi non volesse svegliarla da un sonno che in ogni caso l’avrebbe tenuta ugualmente con sé per sempre. Lily posò con discrezione i suoi occhi sulla madre di Remus.
In quel viso affaticato e turbato dalla malattia, era ancora visibile la traccia di una antica bellezza, il volto minuto, le labbra disegnate morbidamente su un mento dai lineamenti delicati, Lily vi trovò la stessa eco della bellezza di Remus, notata da poche persone, nella pallida imperfezione che rendeva tutto più amabile.
“Avresti potuto farlo?”
“Mio padre non ha voluto. Avremmo potuto addormentarla molto prima”.
Vibrava sottile una nota di rancore verso chi per egoismo lo stava privando degli ultimi bei ricordi di sua madre. Lily si alzò dalla sedia dove era seduta, e si avvicinò all’armadio dove Remus era ancora appoggiato, perso nella contemplazione di quella donna, affannato nel cercare di rubare alla sua memoria le immagini più belle che disponesse di lei.
“Lo avrei fatto anche io, se si fosse trattato di mia madre”.
Sussurrò appena udibile, poggiando una mano sul braccio dell’amico. Remus si riscosse dai suoi pensieri, aveva allargato appena gli occhi, sorpreso.
“Non credo che tuo padre lo abbia fatto con intenzione. Forse ancora non se ne capacita”.
“Non me ne capacito neanche io, a dirla tutta”.
Lasciò andare quelle parole nella stanza nello stesso istante in cui sua madre sussultò per un respiro troppo ampio per quel che si poteva permettere. Lily represse un brivido.
“Non è del tutto cosciente, tranquilla. Sente solo un dolore ogni tanto, ma ormai non sa neanche lei perché lo prova”.
La informò lui, sporgendosi su di lei, per controllare l’espressione del suo volto stanco. Lily rimase in disparte, chiedendosi se non fosse il caso di lasciarlo alla propria famiglia, quando Remus le rivolse uno sguardo stupito, c’era un velo piuttosto evidente di ilarità, nel parlarle.
“Sinceramente, non mi aspettavo di trovarti qui”.
Non c’era stata la minima intenzione né traccia materiale in quella frase, di farla sentire fuori luogo o invitarla alla porta con educazione, eppure Lily si morse un labbro, arrossendo appena.
“Ma è un bene che tu sia qui, voglio dire, mi fa piacere, perché sei stata tra le prime persone a cui ho pensato di dirlo, sapendo che non lo avrei mai fatto”.
Il seguente abbraccio tra lui e Lily, era qualcosa che sarebbe rimasto nella loro storia, condiviso in segreto e con pudore da entrambi, in teneri ricordi di quel giorno di Natale di anni prima.
“Ti preparo qualcosa di caldo? Un caffè?”
“Non sarebbe male”.
Poco dopo Peter vide comparire Lily dalla porta, il viso preoccupato, ma una serenità nei suoi gesti incredibilmente confortante. Si muoveva incerta in quel territorio sconosciuto, eppure non urtava mai niente né con il corpo né con lo sguardo.
“Vuoi un caffè anche tu?”
Peter scosse la testa, e voltò lo sguardo verso il muro opposto, deciso a non rivolgere la parola a nessuno ancora per molto tempo. Così facendo non poté notare lo sguardo bieco che Lily gli rivolse, proprio a lui, fedele compagno – e servitore – di quello che a detta di molti doveva essere l’uomo della sua vita.

***

Fu lieta di dover entrare nella cucina. Era l’unica stanza che avesse conservato una parvenza di calore e umanità, in quella casa sempre più mortifera di minuto in minuto. Abbracciò con lo sguardo l’entrata e localizzò la credenza e il cassetto delle posate, oltre che James Potter seduto sul davanzale della finestra.
Lily pensò di non infierire, a dire dall’espressione che ancora aveva dipinta sul viso, gli occhiali erano alquanto sbilenchi e i capelli di gran lunga più arruffati del solito.
“Black dove è finito?”
domandò quindi, per scuoterlo un po’ senza toccare argomenti delicati. James dovette rifletterci su, mentre il silenzio era piacevolmente riempito dal rumore tintinnante delle posate e delle ante della credenza, che Lily destreggiava ormai sicura di sé.
“Fuori, a fumare una sigaretta”.
Rispose infine, osservando le mani di Lily correre alla busta del caffè, stringere tra le dita il manico sottile del cucchiaino e posare con cautela e in tempi perfettamente studiati, la polvere del caffè nella macchinetta, e James sentì un soffio al cuore, qualcosa di caldo e avvolgente, nel vedere Lily Evans compiere davanti a lui quei gesti così familiari e intimi, in una cucina calda e silenziosa, parlando sottovoce con lui di cose obiettivamente stupide, come Sirius.
“Lo vuoi un po’ di caffè?”
gli chiese per la terza volta in tutto, mentre cercava un modo per accendere il gas.
“Non so perché ho detto di No”.
Non c’entrava niente con il caffè. Lily accese il gas e si voltò a guardare James, che intanto era sceso dal davanzale e vi si era appoggiato solamente. Aveva uno sguardo sconsolato in faccia, e lottava contro chissà cosa che gli impediva di fare quel che avrebbe voluto. La prima volta è sempre così, ricordò Lily. Attese qualche attimo, certa che ci sarebbe stato dell’altro.
“Sono stato un vero idiota, fermo come un imbecille. Neanche Frank Paciock reagirebbe così”.
Lily finse di non aver sentito il poco carino riferimento al compagno di Casa, e incrociò le braccia al petto, controllando di tanto in tanto il caffè alle sue spalle.
“Succede spesso. Sono così tante le emozioni che ti assalgono, che alla fine non ne provi nessuna”.
C’era una quieta dolcezza nel tono che aveva usato, una presa di coscienza di quanto per lui non fosse semplice, abituato al cameratismo di Hogwarts, figlio protetto di genitori sempre presenti, non aveva neanche idea di cosa significasse perdere la sponda cui guardare con conforto quando si è in mezzo ad un fiume senza fine come l’esistenza umana. Iniziava a comprenderlo ora, e di certo avrebbe imparato in fretta.
Il suo sguardo era già cambiato, a Lily parve che lentamente comparisse una certa maturità nel decidere con determinazione di poter e dover affrontare quella situazione.
“Nessuno si aspetta qualcosa di eclatante da te, questa volta. Il silenzio ha un suo suono, che il più delle volte è molto meglio di cento parole”.
Proseguì lei, alzando il coperchio della caffettiera e affrettandosi a cercare una presina da qualche parte.
James seguiva tutti i suoi movimenti con lo sguardo, mentre si lasciava assalire dalle sue parole.
“Io e Remus non siamo amici quanto lo siete tu e lui, sono sicura che il tuo silenzio conta più del mio”.
E aveva perso del tutto il tono aspro e scostante con il quale si rivolgeva sempre a lui, ogni qual volta le chiedesse o dicesse qualcosa. Era ancora più bella, in quella soffice nevicata di lentiggini sul viso, e quella nota di colore che i suoi occhi e i suoi capelli spargevano in quel posto tetro. Si intonavano perfettamente con i colori caldi di quella cucina, e James poté notare la sua mano tremare impercettibilmente quando afferrò la tazzina che lei gli stava porgendo.
“Tieni, porta anche questa a Remus”.
Le sue dita erano calde, per il caffè bollente che aveva appena versato, e nello sfiorare la mano di James, gli indirizzò un brivido gelido che si ripercosse in quasi ogni fibra del suo corpo, eppure quando arrivò dritto al petto, era divenuto caldo, quasi scottante, e una goccia di caffè era scivolata sul suo polso.
Bruciava (con ardore).

***

Bussò nervoso alla porta, sentendosi alquanto ridicolo con una tazzina in mano e una a fluttuare in aria accanto a lui, mentre con l’altra mano bussava e teneva la bacchetta più o meno dritta per non far cadere la tazzina.
Quando Remus aprì la porta, scoppiò a ridere, e quella risata riecheggiò in quella stanza, sbattendo contro la finestra chiusa, rimbalzando di parete in parete color pesca, e infine si spense in uno scintillio di colori trasparenti, invisibili ad occhio umano.
Ma James li distinse tutti.
“Il tuo caffè insomma”.
Concluse facendogli cenno di prendere almeno una delle due tazzine, per evitare prossimi danni.
Dietro di loro, Peter li fissava ancora con sguardo torvo.
“Peter, non entri?”
“No, fate voi”.
Erano entrambi troppo presi dal loro scoprirsi e conoscersi in quella situazione, per dare peso alla illogicità di quella risposta.
James richiuse la porta dietro di sé.
Aveva visto una sola volta la madre di Remus, alla stazione al ritorno di Hogwarts, e allora avevano dodici anni. Gli parve sciocco pensare che ora fosse molto cambiata, ma si stupì nel saper riconoscere molto bene quei particolari del viso e l’espressione pacifica delle rughe intorno agli occhi.
Si chiese con quali occhi Lily l’aveva vista, poco prima, cosa avesse mai potuto pensare, e quali gesti aveva compiuto in quello spazio così stretto.
“Era da un po’ che non la vedevi, in effetti”.
Notò Remus, il sorriso ancora ad increspargli le labbra. James annuì grave, cercando la via per guardare in faccia Remus. Quando lo fece, capì di non dover dire più niente. Nelle seguenti tre ore spaziò per quella stanza, camminando di tanto in tanto, appoggiandosi al muro, dando il cambio a Remus sulla sedia, imparò a saper guardare quella donna con placida rassegnazione che stavano davvero aspettando, e che tutto quello che avrebbe dovuto fare, si limitava nel semplice stare lì dentro con Remus e non uscirne, per nessuna ragione, richiamo della Evans compreso. E sapeva che lei non lo avrebbe mai chiamato, in ogni caso, proprio per quel motivo. Pensò con dispiacere al futuro di Remus, con quel vuoto accanto, e con la certezza che lui e Sirius e Peter si sarebbero impegnati con naturalezza per riempirlo nel più sincero dei modi; immaginò il viso di Lily, a sorseggiare il suo caffè in cucina, scambiando qualche parola di circostanza con Sirius, pensò a lei con amore e qualcosa gli scoppiò più volte nel petto, senza un motivo particolare e per tutte le ragioni del mondo, allo stesso tempo.
E quando il respiro della signora Lupin iniziò a scemare sempre più velocemente, rimase immobile in piedi accanto a Remus, mentre Sirius faceva capolino nella stanza, ed entrava nervosamente. Fu James a fargli cenno di avvicinarsi, e Remus si considerò fortunato, nel momento in cui sentì la presa della mano di James sulla sua spalla, quando assistette all’ultimo respiro di sua madre.
Era calato un rispettoso silenzio nella stanza, durante il tempo necessario a tutti per prendere atto di quanto successo.
“Chiama mio padre, per favore”.
Sussurrò Remus a uno dei due, scostandosi da dove era appoggiato per avvicinarsi al letto di sua madre. James fece cenno a Sirius di rimanere, dopotutto lui era stato presente in tutto quel tempo, ed era anche ora che Sirius Black si sentisse in imbarazzo.
Per il corridoio, incontrò Lily.
Lei si fermò subito di fronte a lui, interrogandolo con quegli occhi così verdi da infondere speranza anche al più disperato. Un pensiero alquanto patetico, eppure si era trovato diverse volte a pensare a quanto sarebbe stato meglio se in quella stanza ci fossero stati anche gli occhi di Lily.
“Cerchi il signor Lupin?”
gli domandò flebilmente, il suo labbro tremò nel porgli quella domanda che ne conteneva una ben diversa, a scatola chiusa. James annuì in silenzio una volta sola e lei si fece da parte, abbassando lo sguardo, per lasciarlo passare. Anche se non lo stava guardando, James la superò sfiorandola con un sorriso.
Tornò indietro subito dopo, cercando la sua figura con lo sguardo.
“Sai Evans… avevi ragione”.
Nel dispiacere per quanto successo, Lily trovò il modo di sorridere.
“E dov’è la novità?”
scherzò dandogli le spalle e nascondendo un rossore nell’ombra del corridoio. James osservò la curva delle sue spalle, e poté solo immaginare quelle gote tingersi di rosso, in un pensiero che gli sembrava piuttosto verosimile, dopotutto.

***

“Hai saputo quando ci sarà il funerale?”
“Domani mattina, alle undici”.
“Dove?”
“Alla chiesetta di Hogsmeade”.
“Ci vediamo prima?”
“Va bene”
“Ti passo a prendere in moto, all’angolo della strada”
“Sarò puntuale. Alla Evans lo dico io”
“Sarà meglio. A domani allora”
“Si. A domani. Buonanotte”
“Notte”

Fine prima parte.

###



Ok, e questa è la prima parte. Giusto qualche piccola annotazione ^^ :
Nonostante creda che fosse stato possibile un futuro anche per Remus e Lily insieme, qui mi sono dedicata interamente a lei e James, perchè infondo io li amo quando sono insieme.
Qui Sirius appare e scompare, ma insomma questa breve storia non è una monografia su di lui, quindi mi spiace per le fan più accanite (come se io poi non lo fossi più di tanto -_-' )

Bene, detto questo, mi ritiro, prima della seconda parte. Le recensioni sono sempre cosa gradita, eh. ^^'
Buone feste a tutti.

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Capitolo 2
*** [Seconda parte] Il funerale ***




Seconda parte
Il funerale


La mattina dopo fu innegabilmente fredda, il cielo sopra al tetto minacciava pioggia, pesanti nuvole grigie e compatte facevano presagire una possibile nevicata, eppure Lily non sentiva eccessivamente freddo.
Camminava a passo svelto come suo solito, stringendosi nello stesso cappotto della sera prima, persa nella contemplazione de più svariati colori delle foglie secche, in terra. Rimasugli dell’autunno ormai passato.
Quella mattina le girava la testa, da quando si era alzata. Sicuramente era per il freddo della notte prima e per la stanchezza delle poche ore di sonno, in parte anche per il pensiero di James Potter.
Ormai era cresciuta, tanto valeva dire le cose come stavano se non altro a se stessa.
Aveva pensato a lui tutte le ore prima di addormentarsi, aveva rivissuto interi spezzoni di quella nottata trascorsa in sua presenza, le erano tornate in mente sue parole ed espressioni, e quello sguardo, in quel corridoio, era stata l’ultima immagine focalizzata prima di dormire qualche ora.
Non appena si era svegliata, aveva pensato che lo avrebbe visto in una veste ancora diversa. E poi aveva pensato a Remus, naturalmente, e a suo padre, e alla vita che lo aspettava dalla notte prima in avanti.
Quando arrivò davanti alla chiesetta, trovò un discreto numero di persone, alcuni erano chiaramente parenti di Remus, identificabili dai colori e dalla conformazione del viso, altri erano studenti che di tanto in tanto aveva intravisto nei corridoi, e poi, poco lontani da Remus stesso, c’erano Sirius e James con dei caschi in mano, e Peter, che spiegava qualche cosa ad uno dei fratelli Prewett lì accanto.
James la scorse e le rivolse un saluto con la mano, i suoi occhi le sorridevano come avevano sempre fatto e come lei non aveva mai notato che facessero.
Ricambiò il saluto, incerta sul da farsi, quando vide avvicinarsi a lei due ragazze, piuttosto spedite.
“Tu sei Lily Evans, vero?”
“Si”
rispose lei perplessa alla domanda che una delle due – lunghe ciglia bionde e trasparenti occhi ambrati – le aveva rivolto. Sul suo viso pallido era comparsa l’ombra di un sorriso sollevato. Si era voltata verso un uomo poco distante che Lily non riuscì a riconoscere, e poi aveva ripreso.
“Ti andrebbe di leggere il discorso?”
le chiese mentre l’altra ragazzina accanto a lei iniziava a trafficare con il cappotto imbottito.
“Quale discorso?”
“Questo”
aveva risposto immediatamente quest’ultima, porgendole due fogli alquanto stropicciati. Lily li prese, e diede una letta, sentendo l’imbarazzo assalirla. Iniziava a comprendere di quale discorso parlassero le due.
“Beh, sentite io-“
“Sarebbe carino da parte tua”
la interruppe l’altra non appena aveva intuito il tono incerto e poco propenso che Lily aveva assunto.
“Rachel, Annah, vi cercava lo zio. È già dentro”.
La voce sommessa di Remus distolse le due ragazzine. Rachel lanciò un’ultima occhiata perforante a Lily prima di voltarsi ed entrare in chiesa. Così lei era rimasta in piedi con quei fogli in mano e la minaccia visiva che una delle cugine di Remus le aveva appena messo sotto il naso. Si morse un labbro, istintivamente, ignara dei pensieri di James, che osservava la scena dall’inizio, un po’ più in là.
“Lily, solo se ti va, io neanche ci credo”.
Bisbigliò al suo orecchio Remus, entrando in chiesa a sua volta.

***

Si poteva tranquillamente affermare, che Sirius Black non metteva piede in una chiesa dal giorno del suo battesimo, quando all’improvviso lo aveva fatto per due volte, un giorno dopo l’altro.
A questo pensava Remus Lupin, in piedi accanto a suo padre, ingessato in un completo nero nel quale era estremamente a disagio.
In bocca aveva ancora il sapore del caffè che Lily aveva preparato la notte prima, era qualcosa di accogliente e la sua amarezza spegneva in qualche modo quella di altro tipo che era pronta ad assalirlo nella sua piena di dolore e sconforto.
“Chi è quella ragazza che sta leggendo all’altare?”
“E’ Lily Evans”
rispose, volgendo di poco la testa verso sua nonna, che aveva interrotto il pianto disperato per sopperire a quella sua curiosità.
“E’ carina”.
Remus annuì guardando verso di lei, la sua figura minuta spiccava appena dall’altare, la sua voce giungeva a tratti stentata, altre volte leggermente soffocata, dagli incensi accesi accanto a lei. Poteva scorgere il profilo di James guardare nella sua stessa direzione. Aveva le labbra serrate e contratte, e Remus avrebbe scommesso tutta la sua misera casa che in quel momento non stava affatto tenendo conto di essere al funerale della madre del suo migliore amico, e ne fu estremamente divertito.
Sembrava più che altro, che stesse prendendo in considerazione l’idea di afferrarla per un polso, farla scendere per quei gradini di marmo bianco, posizionarla davanti all’altare, e chiedere in ginocchio al prete di renderla sua moglie.
“Grazie”
le disse il prete, facendole cenno di tornare al suo posto. Quando passò accanto a lui, Remus le strizzò un occhio, accennandole un sorriso grato, ma nel seguire il modo in cui aveva sceso le scale, cercando di arginare l’emozione che invece la coglieva, credette sul serio che James si sarebbe alzato e chiesto alla Evans di sposarlo, già che erano in una chiesa.
Ed era qualcosa di incredibile, ma più gli venivano in mente questi pensieri e vedeva James Potter metterli in alto, più gli veniva da ridere, una risata dal cuore, scaturita da una comicità pura ed immediata.
E nel vedere Sirius in piedi accanto a James, così estraneo a tutto quello, nel notare la sua espressione assolutamente sconcertata, e soprattutto, nel notare il sobbalzo che fece e il colpo che gli venne quando tutti si erano alzati dichiarandosi colpevoli di tutto senza una ragione apparente, scoppiò a ridere.
Servì a poco mordersi il labbro e trattenere il respiro, il figlio della defunta signora Lupin, nella prima panca della chiesa, scoppiò a ridere.
Non che tutti se ne resero conto, nell’intera chiesa, il prete probabilmente fece finta di niente e si ripromise di fucilarlo alla fine della funzione, nella cripta; ma fin da quando il suo volto aveva iniziato a contorcesi per l’ilarità improvvisa, James e Sirius vi avevano fatto caso, e avevano accuratamente evitato di guardarsi in faccia tra loro per non reagire di conseguenza.
Ma quando lo avevano sentito ridere, Sirius era inevitabilmente corso a cercare lo sguardo di James al suo fianco, e la sua faccia sconcertata, aveva portato non solo Remus ad accentuare il suo riso, ma lo stesso James a fare altrettanto, così alla fine si ritrovarono a ridere tutti e tre, cercando di non farsi notare più di tanto.
Si guardavano e più lo facevano più trovavano motivo di ridere, soprattutto perché si chiedevano tutti e tre cosa mai ci fosse da ridere in tutto quello, e perché loro lo stessero facendo così spontaneamente, come se Fabian Prewett avesse appena raccontato una delle sue più brillanti barzellette.
Il padre di Remus continuava a lanciare gomitate a suo figlio pretendendo spiegazioni, sua nonna aveva iniziato a temere per lo status mentale e psichico del nipote, e Lily Evans, l’attenta osservatrice, aveva puntato i suoi occhi fissi su James, incenerendolo.
Niente da fare, non prese fuoco.
“P-o-t-t-e-r…“
sibilò, e le sue labbra erano ridotte ad un niente. James la guardò sempre più innamorato, ma questo non valse a farlo smettere, così non poté far altro che scrollare le spalle e chiedere scusa con un cenno di diniego del capo, come stesse dicendo che non poteva farci niente.
D’altra parte, lei non avrebbe capito.
A stento iniziavano a capire qualcosa loro tre, figurarsi la Evans, pensò contemporaneamente Sirius, sopprimendo lo spasmo dell’ennesima risata.
Il suono delle campane, e il congedo dell’ officiante, permisero a tutti e tre di raggiungere il cortile della chiesa e riprendere fiato.
“Scusami tanto Rem, davvero non so cosa mi sia preso”.
Ammise James, mentre sul suo volto tornava il sorriso, e si affievolivano gli echi delle risate. Remus batté una mano sulla sua spalla, scotendo la testa, il suo volto era molto più pallido alla luce del giorno e già albeggiava l’irrequietezza nei suoi lineamenti.
Sirius spostò del terriccio con la punta della scarpa, continuando a fare cenno di no con la testa, le mani in tasca, alcune ciocche di capelli scivolate sul viso.
“La Evans ci pugnalerà con il crocifisso”
mormorò mentre un leggero senso di nausea, dovuto al suo stomaco vuoto e alla consapevolezza di quello che li aspettava ancora, si impadroniva dei suoi sensi, e faceva sì che il sorriso scomparisse.
“Già”
soggiunse Remus, mentre faceva cenno a Peter che erano lì.
“Vi ho persi di vista in chiesa”
annunciò desolato quello, sollevando i palmi delle mani verso l’alto e incassando le spalle. James scrollò le sue, segretamente lieto che fosse successo. Sirius fece cenno con la mano di non preoccuparsene, mentre nel suo io più profondo sentiva il sollievo perché quel momento tra loro tre gli fosse stato lasciato integro dalla presenza di Peter.
“Remus, il carro aspetta noi”.
La voce possente di suo padre, baritonale, gelò il sangue nelle vene di Sirius, che lo sentì incombere alle sue spalle. Parte di quel gelo era dovuta in verità all’immagine del carro e di Remus dietro a quello. Glielo avrebbe voluto evitare, convinto che lui avesse già patito abbastanza. Fu allora che sopraggiunse l’impotenza per tutto quel dolore che Remus avrebbe dovuto affrontare. James era davanti a Remus e si sforzava ancora di tenere per sé le sensazioni che quella frase aveva portato in superficie. Il saluto che porse all’amico era ancora quello del solito James Potter, amico fedele e sicuro di sé.
Remus si congedò dai tre e seguì suo padre. Non appena Lupin ebbe voltato le spalle, Sirius estrasse una sigaretta dalla manica della camicia, e la accese con un colpo di bacchetta, tirando una boccata nervosa.
Calò il silenzio, mentre alle loro spalle Lily abbracciava teneramente Remus sotto lo sguardo compiaciuto della nonna. Con una carezza gentile lui la ringraziò per essersi prestata alla lettura, e soprattutto per essere venuta, senza ricercare alcuna parola, secondo il principio in cui anche Lily credeva.
“Vaffanculo”
ringhiò Sirius, scagliando la sigaretta dritto davanti a sé e allontanandosi a grandi passi. James lo lasciò andare per la sua strada, certo che prima o poi sarebbe tornato, sentendo di non avere la forza per dire niente, neanche una sola parola. Non era tanto la forza a mancargli, ma aveva un nodo in gola serrato strettamente, che gli impediva di respirare e parlare, se per parlare si intendeva esprimere i propri pensieri.
“Dove vai?”
domandò ansioso Peter vedendolo prendere la direzione opposta a quella di Sirius, intanto che il carro funebre si allontanava progressivamente alla loro vista. Aveva deciso che non sarebbero andati fino al cimitero, ad osservare la sepoltura. Non voleva guai, con Sirius, e non poteva sopportare la vista di Remus anche in quel frangente, fosse stato lui al suo posto avrebbe voluto essere solo, e una famiglia era già abbastanza ingombrante.
Avrebbe voluto accendersi una sigaretta e fumare, anche se non lo aveva mai fatto prima d’allora, pensò che quello era il momento giusto per farlo, ma non aveva una sigaretta.
Qualche passo dopo, si scontrò per l’ennesima volta contro Lily Evans.

***

Era a pochi passi da lui, e prima che potessero rendersene conto entrambi, si erano ritrovati uno di fianco all’altra, a guardare con una certa insistenza il vuoto fuligginoso davanti a loro. Non era una vista interessante, non fosse stato per le immagini che tutti e due vedevano proiettate dalla loro mente.
“Ho sentito che Prewett si è offerto di dare un passaggio a Peter, per andare al cimitero”.
Mormorò tutto d’un tratto lei, senza sollevare lo sguardo o utilizzare un tono di voce che si sforzasse di superare quella del vento.
James voltò la testa verso di lei, e la guardò una sola volta rapidamente, prima di riprendere a fissare il suo vuoto, dove ora si rifletteva l’immagine dei suoi capelli rossi mossi dal vento.
Appena usciti dalla chiesa, aveva preso a soffiare discretamente forte il vento, eppure nessuno ne era rimasto ferito.
Era un vento buono, a James era piaciuto pensare che fosse lì per spazzare le nuvole. Qualsiasi tipo di nuvole.
“Fa bene ad andare, Remus sarà contento. Tu non hai una sigaretta, vero?”.
Lily si perse per un attimo nelle sue riflessioni, che non riguardavano certamente il suo possedimento o meno di una sigaretta.
“No. Non credevo che Remus fosse tanto legato a Peter, li ho sempre visti poco insieme”.
Rispose in tono meditativo, quasi fosse stata la prima volta che formulava quel pensiero, quando invece ai suoi occhi era sempre stato un dato di fatto, quel buco nero che sanciva il legame dei tre con Minus. Così poco coltivato nonostante l’assidua frequentazione.
La riprova fu il silenzio che seguì per lunghi attimi dopo la sua affermazione.
James non seppe cosa dire, di fronte ad una verità che per la prima volta doveva accettare, essendogli posta da chi vedeva sempre tutto dall’esterno. Una realtà innegabile, la trasparenza che avrebbe avuto Peter al fianco di Remus, al momento della deposizione della bara.
“Remus ha un’idea dell’amicizia tutta sua, è più forte di lui ma dà il tutto per tutto anche a chi non ricambia mai con niente. Magari oggi imparerà a stare dall’altra parte e a non dare niente in cambio”.
Sentiva le labbra screpolate diventare insensibili al freddo, le sue parole graffiavano quella pelle delicata non appena lasciavano la sua bocca, e iniziava a sentire un certo peso sul petto che gli impediva di prendere respiri profondi e compiuti.
“Forse, è una lezione che può essere rimandata”.
Rispose Lily con lo stesso tono, la stessa inflessione stanca della voce, un suono appena percepibile, una carezza gelida.
“Non funziona proprio così, Evans. La verità è che sono troppo arrabbiato per potergli essere utile in un momento come questo”.
Scrollò le spalle e domandò ad un passante, forse un parente forse uno studente degli ultimi anni, una sigaretta. Quando la rigirò tra le mani, si rese conto che doveva apparire abbastanza ridicolo agli occhi di chi sapeva che non era un accanito fumatore, ma trovò piuttosto semplice il modo in cui accenderla.
“Sirius ancora peggio, poi. Ha quel particolare potere di distruggere tutto, qualsiasi cosa o persona, a seconda del suo stato d’animo, lui, che farebbe meglio a rimanere dove sta”.
Concluse portando la sigaretta alle labbra, e tossendo poco dopo. Non fu poi così terribile come Remus sosteneva sempre, di salutare c’era ancora meno, ma se non altro le sue mani erano occupate in qualcosa.
Lily piegò le labbra in un sorriso, mentre i suoi occhi si velavano di un triste piacere nel sentire James parlare dei suoi amici. Lui non poteva percepire quella nota di brusco affetto e di rude tenerezza che traspariva dalla sua voce e dal suo sguardo, ma era qualcosa che scaldava il cuore della gente.
Inclinò la testa di lato, sospirando appena. Il fumo della sigaretta di James aveva un odore agre che le solleticava le narici e annebbiava i suoi sensi, era qualcosa di imprevisto quel senso di rilassamento che la stava cogliendo.
“Hai idea di quanto valga tutto questo, Potter?”.
La guardò incerto.
“Di quanto possa contare la tua rabbia in confronto al vuoto? Occupa spazio, sai?”.
Non poteva esserne certo, ma gli parve che tuonasse una nota di rabbia nella voce di Lily, nel rimproverargli quella decisione di rimanere lì come un inutile, a fumare una sigaretta altrettanto inutile, a perdere del tempo.
Non gli avrebbe chiesto di andare al cimitero, un’altra volta. Nell’attimo di riflessione che poco prima aveva ritagliato per sé, aveva scoperto nascosto in un angolo, il motivo di tutta quella ostinata scelta di non andare.
A James non piaceva fallire, e soprattutto non gli andava affatto a genio non poter far niente. Quando lo guardò, gli chiese con un semplice sguardo schietto che però non aveva perso la tenerezza con la quale aveva capito tutto quello, se lei non avesse ragione. Se per caso, tutto quel fastidio non derivasse dalla concreta realtà data dal non poter fare niente per cancellare quel dolore.
“Non puoi togliergli questa tristezza”.
Gli occhi di James si erano socchiusi appena, le sue dita avevano forzato la presa sul corpo sottile della sigaretta, un attimo dopo si era quasi spezzata. Bruciava come quella goccia di caffè e quel contatto con Lily, l’essere stato mascherato e messo di fronte al fatto compiuto.
“Né impedirgli di vivere questo dolore. Puoi prenderne un pezzetto, o semplicemente, condividerlo con lui. Mi sembra che sia sempre meglio di non fare niente”.
Soggiunse, la sua voce era andata spegnendosi lentamente, mano a mano che l’espressione di James andava cambiando.
Il nodo che gli serrava la gola era diventato quasi ferreo, deglutì a fatica, mentre qualche lacrima si affollava dietro ai suoi occhi e il suo orgoglio si incrinava appena, senza esplosioni o fratture violente, senza alcuna insistenza nell’impedirlo da parte di James. Ondeggiando in quel limbo, non disse niente.
La guardò per un attimo e poi tutto, veramente, tacque.

Anche anni dopo, Lily non seppe mai spiegare cosa accadde in lei, in quel preciso momento, in cui James la guardò senza dire niente. Non seppe neanche in quel momento cosa fosse stato, a farla capitolare.

Una fiera statua di vetro, immobile a specchiare uno sguardo ghiacciato a chi ferma davanti a lui attraversava le sue difese trasparenti, ma solide a proteggere le discrepanze di ogni singola scalfittura dignitosamente visibile dietro al vetro.

Se fu la maturità con la quale lui accettò la sua sconfitta, o l’umiltà con la quale prese atto di aver sbagliato, o la leale amicizia che lo portò a rivedere quello in cui credeva fermamente.

Lei lo guardava con una discreta timidezza, nella scottante impressione che un suo sguardo, o il minimo gesto, avrebbero potuto sfregiare ancora quella statua. Esaminava con una curiosità velata dal pesante velo delle sue palpebre ombrate e delle ciglia scure, quelle cicatrici del vetro; e sentiva un crescente desiderio, una disposizione incontrollata, quasi un volere che andava oltre al suo, di allungare una mano e sciogliere la statua.
Cosa, di lui, avrebbe cancellato, con un tocco anche così leggero?
Sfiorò il palmo della propria mano con le sue dita, voltò le spalle e si allontanò, lasciandogli la giusta intimità.

***

“Sto andando al cimitero, ti va di accompagnarmi?”
Faceva ancora tanto freddo.
Si strinse nel cappotto, attendendo una risposta.
Il vento aveva attenuato il suo soffio, le nuvole si erano scostate di poco l’una dall’altra, la loro compattezza era stata squarciata, ma aveva lasciato a loro il compito di spostarsi altrove, da sole, senza di lui.
Era stata una proposta. E loro avevano accettato.
“Andiamo”.
Faceva ancora così freddo, dopotutto, e il sorriso di Lily – che scaldò qualcosa dentro di lui – era altrettanto intirizzito.
La raggiunse e si pose al suo fianco, incamminandosi con lei.
Passo dopo passo, trovarono sempre più semplice e normale, accettare che stando più vicini facesse meno freddo, e il braccio di James che andò a circondare le esili spalle di Lily, non aveva alcun peso (e ancora nessun impegno, forse). Però teneva caldo.


... never opened myself this way
life is ours, we live it our way
all these words I don't just say
and nothing else matters


trust I seek and I find in you
every day for us something new
open mind for a different view
and nothing else matters


[Nothing else matters – Metallica]

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Quache chiarimento Non credo nè in Dio nè nella chiesa, e questa è la premessa. Spero che non sia arrivato questo messaggio, ma mi rendo conto che la descrizione di quanto accaduto durante la cerimonia in questa fic possa sembrare blasfemo o poco rispettoso, quindi a scanso di equivoci, io sono qui e specifico. ^^
Specifico che l'intento non era affatto quello. Ognuno reagisce a suo modo, le risate di quei tre non vogliono sminuire in alcun modo tutto il resto, nè il valore della sacralità. E, per entrare ancora più nel preciso, aggiungo che quel ridere non è avvenuto per noia o leggerezza, o sprezzo, o altro, si può chiamare forse necessità.

Thanksful to - Manny : Grazie. ^^

- RebelHalloweenJack : I Potter erano in chiesa per la solita messa di Natale ^^ Non ho specificato se fossero ferventi religiosi o meno, perchè nella mia città la messa si svolge in una delle chiese più famose, e molta gente ci va per vedere l'effetto che può fare di notte, e per assistere ad una messa cantata in latino pur non credendo in quello che le parole dicono. Io non li vedo come persone così religiose, però la scelta è libera. ^^ Grazie per la recensione, l'intento era quello, fa piacere sapere che è arrivato a destinazione!

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