Shining Star

di Yumi_Slyfox483
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Storia: Axel e la sua Mamma ***
Capitolo 2: *** Seconda Storia: Axel e La Neve ***
Capitolo 3: *** Terza Storia: Axel e la Stella Magica (Prima Parte) ***
Capitolo 4: *** Quarta Storia: Axel e la Stella Magica (Seconda Parte) ***



Capitolo 1
*** Prima Storia: Axel e la sua Mamma ***


Shining Star



Prima Storia: Axel e la sua Mamma



Il giorno più pesante di tutta la settimana per i quattro componenti della famosissima band tedesca, Tokio Hotel, era il mercoledì.
Quasi sempre vi era un sacco di lavoro arretrato da terminare, a detta del loro manager David Jost, e in quel periodo, con il nuovo album in produzione e i nuovi pezzi da scrivere, lo stress raggiungeva il culmine proprio in quel giorno della settimana.
Ma quel mercoledì c'era qualcosa di ancora più impegnativo a cui pensare. Qualcosa di meraviglioso, ma allo stesso tempo devastante.
Quel qualcosa si chiamava Axel.
"Papà..." sussurrò un bambino con gli occhietti stanchi e la vocina triste che stava seduto comodamente sulle gambe di Bill Kaulitz "mi sento la testa pesante..."
Bill lo fissò preoccupato e posò delicato una mano sulla fronte bollente del figlioletto.
Axel aveva quattro anni, capelli biondo cenere che cadevano lisci all'altezza del collo e due occhi esattamente dello stesso colore di quelli del suo papà. Assomigliava in ogni lineamento del viso, persino dalla forma orecchie, ai gemelli Kaulitz e ogni volta che nonna Simone lo guardava si aspettava di veder spuntare da un momento all'altro un bambino identico accanto a lui, ma poi si ricordava che quel bambino non era suo figlio, bensì il suo nipotino e se lo stringeva forte riempiendolo di baci.
"Tomi, mi porti il termometro?" urlò Bill dal salotto non riuscendo ad alzarsi tanto il figlioletto si era stretto al suo petto. Non aveva intenzione di staccarsi da lui e forse quel giorno, a giudicare dal suo stato di salute, non era in grado di portarlo all'asilo.
Tom Kaulitz spuntò dalla cucina e si inginocchiò accanto al gemello e al nipotino passando il termometro nelle mani di Bill.
Due occhietti socchiusi si posarono su di lui guardandolo tristi e sofferenti.
"Ehi, come sta il mio campione?" esclamò Tom arruffandogli i capelli e sorridendo, constatando che la fronte del bambino era bollente.
"Eh zio..." rispose il bambino sospirando afflitto "forse ho la febbre..." disse a denti stretti come se avesse comunicato allo zio qualcosa di orribile e devastante.
Tom sorrise e alzò lo sguardo verso un Bill preoccupato che, come il gemello, mosse le labbra in un sorriso tirato e posizionò il termometro sotto l'ascella del figlio.
"Adesso papà te la prova e vediamo..." pronunciò Tom e Axel sembrò sollevato da quella notizia.
Il termometro digitale suonò dopo cinque minuti e il vocalist lo prese in mano controllando il risultato segnato sul display.
"38 e mezzo..." sussurrò preoccupato mentre il figlioletto si aggrappò al suo collo per poggiare la testa sulla spalla ossuta del padre.
"Ho la testa pesante..." ripeté il bambino prendendo a giocare con il lobo dell'orecchio del papà.
"Devo chiamare l'asilo! E David! Non posso venire a lavoro!" esclamò Bill, sul viso ancora un'espressione preoccupata.
"Bill, non preoccuparti. E' solo un po' di febbre, una supposta e passa tutto!"
Axel alzò il capo di scatto e guardò lo zio con due occhi sgranati per il terrore.
"No, non voglio!" gridò perforando un timpano al padre.
"Come non vuoi?" esclamò Tom fingendosi sorpreso "E come fai a guarire? Vuoi avere la testa pesante per sempre?"
Axel guardò il padre terrorizzato, come cercando conferma alle parole dello zio e Bill annuì sorridendo.
"Non ti faccio male... non te ne accorgerai neppure!" lo rassicurò il padre e Axel chinò il capo rifugiandolo sulla spalla del papà.
"Lo abbiamo convinto..." sussurrò Tom ridendo e Bill si alzò portando il bambino in camera.
Il chitarrista si diresse in cucina e si sedette a tavola zuccherando il suo caffé e guardando Georg Listing intento a preparare la colazione.
"Papà... ho paura!" urlò una vocina in lontananza.
"Ma non c'è niente di cui avere paura. Il papà non ti potrebbe mai fare qualcosa di brutto!" fu la risposta di Bill e il moro e Georg si guardarono sorridendo.
"Come sta?" chiese il bassista.
"Il pargoletto ha la febbre." rispose Tom sorseggiando il suo caffè.
"Quindi oggi niente lavoro per Bill?"
"Non credo che David accetterà la cosa di buon grado, però Axel sta male e di certo non possiamo portarlo fuori al freddo. Sa anche lui che è un bambino debole."
"Ha preso da Bill..." sorrise Georg sedendosi "stai a casa anche tu?"
"Io non ho nulla da fare. Ho quasi finito di scrivere i pezzi e con l'incisione sono a buon punto. Posso permettermi di saltare una giornata di lavoro, non mi va di lasciare Bill a casa da solo."
"Fai bene... quando Axel sta male è sempre ansioso. Comprensibile dopo quello che è successo quando è nato. Ci penso io ad informare David." Il moro sorrise e anche Tom gli ricambiò un sorriso imbarazzato.
"Grazie, Hagen!"
Bill ricomparve in cucina dopo qualche minuto con ancora Axel in braccio e si sedette a tavola affamato.
"Ehi!" esclamò Georg scompigliando i capelli biondi del bambino "che ci fai in braccio a papà? Non dovresti essere a letto visto che sei malato?"
"Ci ho provato a metterlo a letto!" rispose Bill "ma non vuole saperne di staccarsi dal mio collo."
"Ho la testa pesante!" gridò il bambino per l'ennesima volta e Bill fece una smorfia di dolore.
"Axel, papà non riesce a tenerti così tanto. Vieni dallo zio, ti va?" pronunciò Tom avvicinandosi al posto del gemello e tendendo le braccia.
"No!" esclamò il bambino stringendosi più forte al collo paterno.
"E se ti prende lo zio Hagen?" esclamò Georg guardando il bambino e facendogli l'occhiolino.
Axel voltò lo sguardo e guardò Georg mentre una lacrima scendeva sulla sua guancia, ma la sua buffa espressione era tutto tranne che triste.
"Mi fai volare?" domandò sottovoce.
"Certo! Però dopo a letto!" rispose Georg.
"Shi!" il bambino si staccò dal padre e tese le manine verso Georg che lo prese in braccio e lo sollevò in aria scatenando le risa del piccolo.
"Uh, come sei alto!" esclamò Bill ridendo e battendo le mani.
"Tuo figlio si fa convincere con poco!" sbottò Tom verso il gemello.
"Sì!" rispose Bill ridendo "ha preso tutto da me! Se fossi capace lo farei giocare anche io così!"
"Non credo che lo solleveresti più di due centimetri!" Bill gli lanciò un'occhiataccia e il gemello rise.
"Grazie..." rispose sarcastico.
"Di nulla, fratellino, quando vuoi!" I due gemelli scoppiarono a ridere, aggiungendosi alle risate felici e squillanti di Axel.
"Che succede qui?" esclamò Gustav entrando in cucina con un sopracciglio alzato e gli occhi piccoli per il sonno, grattandosi la testa.
"Abbiamo svegliato lo zio Klaus!!" gridò il bambino e Georg scoppiò a ridere stringendolo forte tra le braccia e baciandolo affettuoso.
"Axel ha la testa pesante!" esclamarono Bill e Tom all'unisono verso Gustav e tutti scoppiarono a ridere guardando Axel tra le braccia del bassista.
"Vai, zio Hagen, ancora! Ancora!"

***



"Questo?"
"Questo lo mettiamo qui! Vedi?" Tom posizionò un pezzettino di puzzle al suo posto, sotto gli occhi incuriositi di Axel che guardava i movimenti dello zio con meraviglia. I lati coincidevano perfettamente con gli altri pezzettini già allineati e cominciavano a far intravedere la forma di una figura.
"Questo?" Axel prese un altro pezzo e lo fece vedere allo zio.
"Qui..." rispose il moro indicando il punto giusto.
Axel lo infilò al suo posto e batté le mani eccitato.
"Zio Tomi, perché dobbiamo fare il pazol?" domandò incuriosito.
"Perché così scopriamo la figura che è rappresentata..." rispose Tom.
"Ma io la so già!" sbottò Axel "è un leone come il mio papà!"
Tom scoppiò a ridere si portò una mano sulle labbra. "Shh, non farti sentire da tuo padre!"
"Eh Eh!" il bambino continuò a ridere divertito prendendo i pezzettini mancanti e posizionandoli a casaccio nel puzzle.
"Papà è un leone! Papà è un leone!" gridò e si portò una mano alla bocca sconvolto guardando il padre che stava entrando in salotto. Il moro guardò male i due componenti della famiglia offeso.
"Chi sarebbe un leone?" esclamò fingendosi imbronciato.
Axel corse tra le braccia di Tom ridendo "nessuno, nessuno!" esclamarono in coro zio e nipote.
Bill li guardò cercando di rimanere serio, ma non riuscì a trattenersi e dall'angolo della bocca comparve un piccolo sorriso. Si sedette sul divano e si portò le mani in viso stravolto.
"Che state facendo?" esclamò.
"Giochiamo!" rispose Axel, ancora intento a trovare da solo i posti giusti dove infilare i pezzettini del puzzle.
"Sei stanco?" domandò Tom, mentre il piccolo era impegnato a concentrarsi a fondo.
"Stargli dietro tutto il giorno è quasi più faticoso di una giornata di lavoro." rispose Bill sorridendo.
"E io che ci sto a fare?" esclamò Tom voltandosi imbarazzato verso Axel, decidendo di fare tutt'altro tranne che guardare il gemello negli occhi "ti do una mano io, tu riposati!"
"Grazie, Tomi..." rispose Bill anche lui un po' imbarazzato diventando completamente rosso.
"Zio Tomi..." esclamò d'improvviso Axel, rompendo il silenzio che si era creato tra i due gemelli "posso farti una domanda?"
"Certo!"
"Come nascono i bambini?"
Calò un silenzio ancora più imbarazzante del precedente dopo quella domanda posta così su due piedi, fino a quando Bill non lo interruppe, alzandosi dal divano ancora più rosso di prima.
"Axel, smettila di dare fastidio allo zio!" sbottò prendendo il bambino da sotto le ascelle e sollevandolo a pochi centimetri da terra.
"No, no!" strillò il bambino divincolandosi dalla stretta del genitore "lasciami, papà! Lasciami!"
"Dai, Bill, non mi sta disturbando. Vuole saperlo, è lecito!" disse Tom ridendo.
"Deve dormire! Invece di scendere la febbre è salita, perché continua ad andare in giro scalzo e in pigiama!"
"No, no, sto bene! Voglio giocare con lo zio! Non voglio dormire! Non voglio dormire!"
Il bambino cominciò a divincolarsi tra le braccia del genitore, che barcollò rischiando di farlo cadere a terra.
"Axel, fai il bravo e obbedisci a papà! Non hai più la testa pesante, eh?" lo sgridò Tom serio.
"No, sto benissimo!" replicò il bambino e nello stesso istante si accasciò per terra e Bill lo issò tra le braccia preoccupato.
"Bill, lo sai che ha preso tutto da te? Anche la curiosità!" esclamò Tom ridendo. A confronto padre e figlio sembravano l'uno la copia dell'altro.
"Tomi, per favore,!" sbottò Bill sedendosi sul divano e baciando delicato i capelli del figlio.
"Dai, stai tranquillo, è solo stanco." lo rassicurò il gemello.
"Per quello che volevo che dormisse... conosco mio figlio!"
"Sì lo so. Lo conosco anche io..." il gemello si sedette vicino a Bill e incrociò lo sguardo di Axel che lo fissava con la testa poggiata sulla spalla del papà, mentre giocherellava ancora con il suo orecchio.
"Me lo sta torturando questo orecchio!" sibilò Bill alzando gli occhi al cielo.
"Ho la testa pesante... e ho freddo, papà..." sussurrò Axel, mentre una piccola lacrima scivolava timidamente sulla sua guancia posandosi sul collo di Bill.
Axel era un bambino molto debole, sin dalla nascita, e soffriva spesso di emicrania, quindi una semplice influenza, come quella che si era preso quel giorno, poteva sfiancarlo completamente e Bill questo lo sapeva bene.
Tom si alzò e prese una coperta da un mobiletto lì vicino, con la quale coprì il nipotino e il proprio gemello e posò una mano sulla fronte calda di Axel, accarezzandogli piano i capelli.
"Grazie, zio Tomi..." sussurrò il piccolo aggiustandosi sulla spalla di Bill e continuando a torturargli l'orecchio ormai arrossato.
"Prego, amore." rispose Tom avvicinandosi e dandogli un bacio sulla guancia accaldata.
Con Axel riusciva ad essere molto più affettuoso che con il suo gemello. Forse era dovuto a ciò che era successo alla sua nascita, quando il piccolo aveva rischiato di morire venendo al mondo, ma da quando era nato lo aveva amato più della sua stessa vita e in un certo senso era un modo per dimostrare il suo affetto anche al gemello. E anche questo Bill lo sapeva bene, infatti gli sorrise e lui chinò il capo imbarazzato.
"Zio Tomi..." sussurrò Axel dopo un po' con un filo di voce, distraendo Tom da quei pensieri.
"Dimmi..."
"Adesso me lo dici come nascono i bambini?"
Bill sorrise guardando Tom un po' intimidito.
"Non molla mai!" sussurrò.
"Come te!" rispose Tom. Gli fece l'occhiolino, mentre Bill sorrideva compiaciuto, e si schiarì la voce.
"Ecco... sei ancora troppo piccolo per capire queste cose. Quando sarai grande, però, lo zio ti racconterà tutto quello che vorrai sapere."
"Quando?"
"Quando avrai dodici o tredici anni."
"Cosa?" sbottò Bill furibondo "come minimo quando avrai diciotto anni, forse anche di più!"
"Ma non fare lo scemo! E poi io ho detto sapere, Bill, non fare."
Bill lo guardò scocciato e Axel alzò la testolina per fissare il padre ridendo.
"Zio, ma perché non me lo puoi dire adesso?" domandò poi tristemente.
"Perché sei troppo piccolo, non puoi capire come funzionano queste cose..." intervenne Bill accarezzandogli la schiena per scaldarlo.
"però..." il piccolo chinò il capo e lo appoggiò sul petto di Bill, giocherellando stavolta con la sua maglietta.
"I miei amichetti lo sanno già e loro sono come me. Perché io non posso capire e loro sì? Mi prendono in giro perché io sono stupido..."
Bill corrucciò la fronte innervosito e costrinse il figlio a guardarlo negli occhi. "Non è affatto vero! " ribatté "chi ti dice queste cose?"
"Bill, calmati..." lo ammonì Tom tranquillo "sai una cosa, Axel? Loro sono i veri stupidi... perché tutto quello che credono di sapere non è vero!"
"Non è vero?" ripeté il bambino sorpreso.
"No..." confermò Bill "sono le solite storielle che si raccontano ai bambini stupidi per farli stare zitti..."
"... ma tu sei intelligente" continuò Tom "e noi ti raccontiamo solo la verità."
Il bambino sorrise visibilmente compiaciuto e si arrampicò sul petto paterno per stampargli un bacio inumidito dalle lacrime sulla guancia. Il contatto con la pelle fredda del genitore lo fece rabbrividire.
"Quindi..." continuò dopo un po' "non esistono le api dei papà che mettono il semino nel fiore della mamma?"
"Bè..." risposero di gemelli in coro "non è proprio così che funziona!"
"E la cicogna che porta i bambini a mamma e papà?"
"Oh Tomi, quello che ci ha raccontato la mamma, ti ricordi?"
"Fin troppo bene... ho avuto gli incubi due notti immaginando che la cicogna ti avesse fatto cadere dalla fascia perché eri troppo pesante."
Bill scoppiò a ridere ricordandosi le innumerevoli lacrime che aveva versato da bambino pensando di essere cresciuto con la testa deforme a causa di quell'incidente e anche Axel rideva come un forsennato guardandolo in volto "Papà, sei caduto?"
"Ma no, amore, era invenzione. Anche quella storia non è vera." lo rassicurò Bill.
"Però è vero che ci sono sempre mamma e papà?"
Bill smise improvvisamente di ridere e divenne serio. Sembrava che avesse appena visto un fantasma.
"Bè..." cercò di articolare.
"E' vero!" continuò Tom.
Axel spostò gli occhietti stanchi dal padre allo zio e continuò "allora dov'è la mia mamma? I miei amichetti dicono che non ce l'ho..."
"Che cosa ne sanno i tuoi amichetti stup..." incalzò Bill frustrato.
Tom gli fece un pizzicotto e il gemello non terminò la frase guardando Tom con un'espressione incomprensibile.
"Dì ai tuoi amichetti che anche tu hai una mamma!"
"Davvero? E dov'è? Perché non vive con noi?"
"Bè... vedi lei non può essere qui con noi, però ti svelo un segreto..." Tom si avvicinò al bambino e Axel tese l'orecchio incuriosito.
"Hai presente quella stella che vedi brillare tutte le sere quando comincia a farsi buio? La stella più luminosa che compare in cielo?"
"Shi..." rispose Axel e Bill chinò il capo portandosi una mano in volto.
"Ecco. Lei è la tua mamma..." continuò Tom.
"La mia mamma è una stella?" chiese il bambino come sorpreso da quella notizia, guardando prima lo zio e poi il genitore.
"Proprio così. Una stella che ti protegge sempre e non ti lascia mai da solo." esclamò Tom e Axel sorrise rincuorato e riappoggiò il capo sul petto di Bill.
"La mia mamma mi vuole bene, allora?" chiese di nuovo timidamente.
"Tanto..." fu la voce rauca di Bill a rispondere. Aveva il viso rigato da una linea nera "non sai neppure quanto!"
Tom lo fissò tristemente, sostenendo lo sguardo del fratello fisso sul vuoto.
"La mia mamma è una stella." sussurrò di nuovo il bambino chiudendo gli occhi, cullato dai battiti del cuore e i movimenti irregolari del torace del suo papà.
"Ha dato la sua vita... per salvare la tua." Terminò Bill scosso da piccoli singhiozzi, ma Axel non aveva sentito quelle parole, perché era caduto addormentato preso dalla stanchezza e la febbre alta.
Bill si asciugò il viso con una mano e passò il corpicino del figlio addormentato tra le braccia del gemello.
"La febbre è salita!" sbottò alzandosi agitato "Vado a prendere un panno fresco!"
"Bill, tutto bene?" domandò Tom preoccupato.
"Certo!" rispose Bill con un sorriso triste sul volto e gli occhi gonfi di lacrime.
Tom gli ricambiò il sorriso e baciò il capo di Axel seguendo con lo sguardo Bill che si dirigeva in cucina.
"Zio Tomi..." esclamò d'improvviso una vocina debole tra le sue braccia.
"Ehi campione! Sei ancora sveglio? Devi riposare!" pronunciò Tom asciugandogli con la mano la fronte sudata.
"E se anche papà diventasse una stella? Io non voglio vivere senza di lui." Due grossi lacrimoni rigarono le sue guanciotte arrossate e Tom le catturò prontamente con le dita.
"Papà non diventerà una stella. Vivrà sempre con te e ti starà sempre accanto, quando la mamma non potrà consolarti."
"Me lo prometti?" domandò il bambino.
"Te lo prometto." rispose Tom.
Axel gli stampò un grosso bacio umido sulla guancia e Tom lo strinse forte al petto. Se di una cosa era sicuro, quella era che se il suo gemello fosse morto l'unica cosa che lo avrebbe spinto a sopravvivere era quel pargoletto che stringeva tra le braccia.
Bill tornò con il panno fresco e si sedette accanto a Tom poggiandolo sulla fronte sudata di Axel.
Non ci sarebbe stato nulla che avrebbe riportato lei indietro, ma almeno ora Axel sapeva che non era solo. In cielo una stella brillava solamente per lui e lo avrebbe protetto senza mai abbandonarlo.
Anche lui aveva una mamma.

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Capitolo 2
*** Seconda Storia: Axel e La Neve ***


Shining Star



Seconda Storia: Axel e la neve



Il cielo era bianco e nuvoloso in quella fredda giornata di dicembre, forse la più fredda di tutto l'inverno, e all'interno di una casa del famoso quartiere di Amburgo, un bambino sedeva sul pavimento mentre colorava con grande impegno un disegno, borbottando tra sé e cambiando colore ogni due secondi.
Seduto accanto a lui sul divano Tom Kaulitz faceva un po' di zapping in TV e lanciava ogni tanto qualche occhiata alla piccola peste ai suoi piedi per assicurarsi che tutto andasse bene.
Dopo il faticoso mese di novembre, che aveva visto Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Georg Listing e Gustav Shäfer, componenti della famosissima band tedesca Tokio Hotel, in studio per l'incisione del nuovo album, di cui uscita era prevista per i primi di gennaio, al gruppo era stato concesso un meritato mese di riposo sia per festeggiare il Natale, sia per godersi l'assoluta assenza di lavoro prima delle interviste, Photoshoot e live che li avrebbero tenuti impegnati nei primi mesi del nuovo anno.
Tom sbuffò innervosito. Non vi era un solo programma in TV che valesse la pena vedere e trovava molto più interessante e costruttivo osservare suo nipote che disegnava.
Axel aveva solo quattro anni, ma sapeva disegnare e colorare già come un bambino di sei. Inoltre Georg lo aveva preso in disparte da un po' di giorni e pian pianino gli stava insegnando a scrivere.
Il bassista diceva che il bambino aveva tutte le possibilità per imparare grazie al fatto che Axel era stato un bambino precoce sin dalla nascita. Aveva imparato a camminare a nove mesi e a due anni già pronunciava le parole in modo corretto e faceva frasi di senso compiuto.
Imparare a leggere e scrivere a quattro anni doveva essere un gioco da ragazzi per lui.
L'unico problema era che Axel era un bambino estremamente debole e cagionevole di salute, cosa che faceva preoccupare il padre più di ogni altra cosa al mondo.
Tom guardò il piccolo parlare da solo e sorrise trovandolo estremamente buffo. Gesticolava e rideva come se stesse raccontando a qualcuno una barzelletta.
Era proprio la perfetta copia di suo padre.
Non aveva neppure smesso di formulare quel pensiero nella sua mente, quando sentì un movimento impercettibile accanto a lui e voltandosi vide il suo gemello, Bill Kaulitz, rannicchiato sul divano che lo guardava sorridendo.
"Parli dell'alieno e spuntano le antenne! Che significa quello sguardo sorridente?" esclamò ridendo e Bill corrugò la fronte per poi tornare serio e fargli vedere un oggetto rettangolare tra le mani.
"Il nuovo album dei Tokio Hotel!" pronunciò Bill con la sua solita voce squillante.
"E' pronto!" sbottò Tom prendendoglielo dalle mani ed osservandolo con attenzione.
"Me lo ha portato David questa mattina. Fresco di stampa! E' la prima copia uscita dalla casa discografica. Non vedo l'ora che le fan lo ascoltino e di fare le canzoni dal vivo!" sbottò Bill eccitato battendo le mani dall'emozione.
"Bill, godiamoci il riposo! Non affrettare i tempi!" rispose il chitarrista non riuscendo a staccare gli occhi dalla copertina del loro nuovo lavoro, così sudato e faticato, che era quasi un'emozione tenerlo tra le mani.
"Oh, dai, lo sai che sono un sognatore... Axel, vieni da papà che ti deve far vedere una cosa!" Bill si sgretolò dalla sua posizione da fagotto e guardò il figlioletto che, senza farselo ripetere due volte, si era alzato da terra e aveva raggiunto il genitore lasciandosi alle spalle il disegno che aveva colorato fino a poco prima.
"Cosa c'è, papà?" domandò salendo sul divano e sedendosi in mezzo ai due gemelli.
"Guarda, questo è il nuovo album di papà! Quello che per cui abbiamo lavorato tanto!"
Il piccolo guardò l'oggetto che lo zio Tom stringeva tra le mani e assunse un'espressione quasi scioccata in volto.
"Papà, ma è una stella!" gridò il bambino felice, battendo le mani e rubando l'oggetto da quelle dello zio.
"Sì! E cosa c'è scritto sopra alla stella?" domandò Bill avvicinando il suo viso a quello del bambino.
"A-ics-e-elle. AXEL!" sbottò felice e guardò il papà con due occhioni da cucciolo prima di saltargli al collo e baciarlo senza sosta.
Bill lo abbracciò e guardò Tom scoppiare a ridere divertito dalla scena.
"E lo zio non si abbraccia?" esclamò fingendosi offeso.
Axel stampò un ultimo bacio sulle labbra del suo papà, dopo di che si voltò e si precipitò tra le braccia dello zio. Il chitarrista lo afferrò appena in tempo e il piccolino cominciò a giocherellare con le sue trecce, mentre baciava lo zio come precedentemente aveva fatto con il papà.
Dopo essersi staccato anche dalle braccia di Tom, riappoggiò la schiena sul divano e continuò a contemplare il CD che stringeva tra le manine paffutelle.
"Papà, mamma è contenta che l'hai messa in copertina?" pronunciò d'improvviso.
"Certo!" rispose Bill "è per quello che abbiamo messo la stella."
"E anche il mio nome! Si chiama come me!"
"Ovvio!" rispose Tom "tu sei la nostra stella!"
Axel lo guardò sorridendo "No, la stella è solo la mia mamma!" sbottò quasi arrabbiato e Tom scoppiò a ridere seguito da Bill.
"Certo, certo!" esclamarono all'unisono i gemelli "solo la tua mamma!"
"Anche Axel vuole farvi vedere una cosa!" il piccolo scese dal divano e corse a recuperare il disegno che aveva abbandonato per terra.
Bill e Tom si guardarono in volto sorridendo, poi Tom prese di nuovo tra le mani il CD che Axel aveva lasciato sul divano. Era impossibile non fissare quella stella che dominava la copertina. Era come ritrovarsi il volto della sua migliore amica ancora davanti agli occhi e una terribile nostalgia invase il suo cuore.
"Ecco!" esclamò il bambino ritornando tra zio e papà, facendo vedere loro il disegno.
Per essere opera di un bambino di quattro anni era disegnato fin troppo bene e sia Bill che Tom spalancarono la bocca per la meraviglia.
"Lo-lo hai fatto tu, Axel?" pronunciò Bill spiazzato.
"Ovvio, papà!" rispose il bambino un po' offeso.
"Papà intendeva se non ti ha aiutato nessuno a farlo." precisò Tom.
"No, ho fatto tutto da solo! Mi hai visto, zio, sono stato sempre qui. Non vi piace?" il piccolo diventò improvvisamente triste e tirò giù il disegno nascondendolo alla vista dei due gemelli.
"No, amore, è bellissimo! Certo che ci piace! Sei stato bravissimo!" esclamò Bill emozionato sollevando la testolina del figlio e baciandogli affettuosamente la fronte.
"Me lo descrivi?" domandò mentre gli occhi luccicavano leggermente.
Axel sorrise felice e rimostrò il disegno ai gemelli puntando il ditino su una delle figure rappresentate.
"Questo è Axel!" commentò. Era la figura improvvisata di un bambino in braccio a un omino con buffi capelli sparati in aria.
"Chi sa perché, Bill, ho il sospetto che questo sia tu." sbottò Tom osservando il gemello e scoppiando a ridere, constatando che era uguale identico al disegno.
"Sì!" confermò Axel. Bill li guardò storto e tornò ad osservare il disegno. Accanto a lui che teneva in braccio Axel c'era un altro omino con i vestiti più larghi di quanto li avesse naturalmente e con tante linee ondulate che gli partivano dalla testa e ricadevano sulle spalle.
Sembrava la personificazione di Medusa.
"Ah, guarda, e questo ho il sospetto che sia tu, Tomi!" esclamò Bill per ripicca e Tom gli fece la linguaccia.
"Ja, è zio Tomi!" rispose il bambino "e questa è la mamma!" Axel indicò un angolo del foglio dove era disegnata una piccola stella che illuminava la scena. Aveva colorato di giallo tutta la scia che copriva la sua testa e quella di Bill e accanto alla stella aveva scritto: Mamma di Axel.
Una lacrima scivolò furtiva dall'occhio di Bill e finì sul foglio, proprio nel punto in cui era disegnata la stella.
"Papà!"
"Bill!" esclamarono all'unisono zio e nipote e tutte e due alzarono il capo verso il cantante che sorrideva imbarazzato,
"Tutto a posto, sto bene..." mormorò asciugandosi il volto "è un bellissimo disegno, Axel, sono sicuro che piacerà molto anche a Georg e Gustav."
"Davvero? Ci sono anche loro, però non ho ancora finito di colorarli."
"Ok, allora, cosa ne dici di finire?"
"Sì!" Axel scese dal divano e si rimise al lavoro intento a finire di colorare il disegno da regalare al suo papà.
Mentre il piccolo colorava, Tom fissò Bill e gli si avvicinò timidamente.
"Sicuro di stare bene, Bill?" domandò preoccupato.
"Certo, Tomi." sorrise e il moro lo imitò.
"Non vuoi... parlare?" domandò Tom un po' imbarazzato.
"Di cosa?"
"Come di cosa, Bill? Sai benissimo quello che voglio dire. La copertina dell'album l'hai scelta tu e..."
"Tomi, non ho nulla da dire." tagliò corto il gemello.
"Bill, sono passati quattro anni. Non ti sei mai sfogato da quando..."
"Non lo dire!" il moro lo bloccò velocemente e Tom tacque.
"Non lo stavo dicendo..." aggiunse dopo un po'.
"Tomi, sto bene!" lo rassicurò Bill e portò lo sguardo fuori dalla finestra intento a terminare quella conversazione il prima possibile.
"Non ci credo!" sbottò improvvisamente sorpreso.
"Cosa?" domandò Tom.
"Sta nevicando!"
Tom guardò fuori dalla finestra e constatò le parole di Bill con i suoi occhi. Era da una settimana che il meteo prevedeva neve, ma non faceva altro che piovere da più di due giorni.
Axel corse verso di loro e tese le braccia reclamando un abbraccio, per poter guardare anche lui la neve. Sembrava che avesse ricevuto la notizia più bella del mondo.
"La neve! La neve!" gridò mentre Bill lo prendeva in braccio e assieme a Tom si avvicinò alla finestra per osservare meglio.
"Hai visto, Axel? E' già tutto bianco! Ma quando avrà iniziato?" sbittò Bill.
"Non ne ho idea!" rispose il gemello "però sta nevicando davvero molto!"
"Che bello!" gridò Axel di nuovo battendo le mani "posso uscire, papà? Posso uscire?"
"Cosa?" sbottò il genitore sconvolto "Certo che no!"
"Papà. ti prego! Non vedi che c'è la neve!" il piccolo puntò il dito fuori dalla finestra spalancando gli occhi per l'ottusità del padre.
"Certo che la vedo! Ma tu non esci!" tuonò il genitore infuriato e il piccolo si dimenò tra le sue braccia pretendendo di scendere.
"Lasciami! Lasciami!" gridò, mentre il papà lo poggiava a terra velocemente.
"Zio Tomi, mi porti fuori?" esclamò con una vocina triste e coccolosa verso Tom, che non riusciva proprio a dire di no a quel faccino innocente e ingenuo.
Uscire con quel freddo sotto la neve voleva dire bronchite assicurata per due settimane.
"Axel, fai il bravo e obbedisci a papà. La neve non se ne va, appena avrà finito di nevicare e farà meno freddo, potrai uscire."
Axel sbatté un piedino a terra arrabbiato e abbassò il capo.
"No!" gridò "non ti credo! Non mi porterete fuori! Non mi portate mai fuori!"
"Axel, non urlare! Fai il bravo!" Bill cercò di riprenderlo in braccio, ma il bambino si oppose fermamente, sbattendo ancora i piedini a terra e allontanando con forza le braccia del padre.
"Voglio andare fuori! Axel vuole andare fuori!" gridò nuovamente.
"Certe volte odio che questo bambino abbia preso da me!" esclamò Bill verso il gemello e Tom scoppiò a ridere.
"Axel, fai il bravo forza, se no papà si arrabbia e non vuoi che papà si arrabbi, vero?"
"Non mi interessa!" ribatté il piccolo "voglio andare fuori a giocare! Non voglio stare in casa!"
"Giochiamo insieme!" si intromise Bill sorridendo "finiamo di colorare Georg e Gustav, ok?"
"No, non voglio colorare e non voglio giocare insieme a te! Zio, portami fuori, per favore!" Axel si aggrappò alla gamba dello zio e iniziò a tirargli i pantaloni supplicandolo.
Tom guardò il gemello non sapendo cosa fare, ma la faccia di Bill la diceva lunga su quello che doveva rispondere al bambino.
"No, Axel, papà non vuole..." esclamò piano provando un'infinita tristezza davanti al faccino deluso di Axel.
"Cattivo, papà!" gridò quest'ultimo inziando a picchiare il genitore sulle gambe "Non mi vuoi bene! Non mi vuoi bene!"
"Axel!" lo ammonì Tom mentre Bill rimaneva in silenzio con un'espressione indecifrabile sul volto.
Tom lo allontanò da Bill e il bambino corse verso il corridoio entrando in camera del padre arrabbiato e sbattendo la porta.
I due gemelli rimasero in silenzio, poi Bill si voltò e andò a sedersi sul divano accendendo la TV.
"Forse..." iniziò Tom timidamente pensando che il suo gemello fosse stato troppo duro.
"No, Tomi. Lascialo da solo, prima o poi gli passa..." lo interruppe Bill.
"Bill, ma sta piangendo!" continuò Tom. I singhiozzi di Axel si sentivano nonostante la televisione.
"Lo sento anche io, Tomi! Lascialo sfogare..."
"però è vero che non lo porti mai fuori a giocare."
"L'estate lo porto fuori!" ribatté Bill nervoso.
"Sì..." continuò Tom mantenendo la calma "ma durante l'inverno non lo porti mai neanche al parchetto che c'è qui di fronte per giocare con gli altri bambini. E' un bambino solo, forse se..."
"All'asilo gioca con gli altri bambini, ok? Al chiuso e al caldo! Anzi, ho scoperto che gli fanno andare fuori negli ultimi giorni. Ti viene in mente qualcosa?"
Tom chinò il capo non potendo ribattere. Axel aveva avuto raffreddore e tosse in quell'ultimo periodo, seguiti anche dalla febbre che aveva costretto il bambino a rimanere a casa e a letto. Cosa che era risultata impossibile per Axel!
"Devo dire a Samantha di restare in classe con lui quando portano fuori gli altri." continuò Bill chinando il capo. Si sentiva chiaramente la tristezza che provava dal suo tono di voce.
"Ma così gli toglierai l'unico divertimento che ha. Bill è un bambino, ha solo quattro anni!"
"Lo so!" gridò Bill alzandosi ormai innervosito "credi che io mi diverta a sentire mio figlio piangere perché vuole uscire fuori con la neve? Preferisco sentirlo piangere un po' e insultarmi, piuttosto che vederlo a letto malato con la febbre per due settimane!"
Tom sostenne il suo sguardo e non rispose e dopo qualche secondo Bill si sedette sul divano e il fratello lo affiancò afferrando il telecomando.
"Sei un buon padre, Bill." sussurrò e il moro mosse le labbra in un piccolo sorriso.
"E' confortante sentirmelo dire..."

***



Lo squillo del telefono risuonò per il salotto, sovrastando con la squillante voce di Bill Kaulitz, il rumore del televisore.
Tom Kaulitz sbuffò spazientito e diede una gomitata al gemello addormentato accanto a lui, che aprì gli occhi di colpo e scattò a sedere impaurito "Che succede? Axel?" gridò spaventato e Tom alzò gli occhi al cielo.
"Il cellulare!" sbottò "Ti ho detto un sacco di volte di metterlo silenzioso, ma soprattutto di cambiare suoneria!"
"Ma... l'ho messo silenzioso." rispose il gemello strofinandosi un occhio.
"Allora è il cellulare del lavoro..." precisò Tom e stavolta fu Bill a sbuffare sonoramente. Si alzò, si stiracchiò cinque secondi, e poi si diresse verso l'attaccapanni dove prese dalla tasca del giubbotto il cellulare che aveva riservato esclusivamente per il lavoro.
C'era una sola persona che poteva chiamarlo a quell'ora e a quel numero.
"E' David?" domandò Tom notando la faccia afflitta del fratello. Bill rispose con un sospiro e aprì il cellulare scomparendo in cucina per non disturbare il gemello.
Tom lo guardò allontanarsi tristemente e in quel momento odiò David più di ogni altra cosa al mondo. Sapeva che il gemello voleva passare un'intera giornata con suo figlio e come al solito David rompeva le scatole chiamando solo ed esclusivamente lui. Dopo quello che era successo quella mattina, sicuramente Bill aveva pensato a un modo per far pace con Axel e farlo divertire, godendoselo finalmente sveglio e sano e non sempre malaticcio come era abituato a vederlo negli ultimi giorni.
Era uno di quei giorni in cui valeva la pena passare un po' di tempo con tuo figlio e il proprio gemello, dato che Georg e Gustav erano usciti con le rispettive ragazze, nonostante la neve e il freddo, e l'idea di restare chiusi in casa a lavorare non era particolarmente confortante, soprattutto con un bambino arrabbiato di quattro anni chiuso in camera.
Tom sbuffò per l'ennesima volta e guardò fuori dalla finestra. Stava ancora nevicando e il terreno era già ricoperto da un fitto strato di neve, cosa che gli fece pensare che Georg e Gustav non sarebbero tornati a casa quella notte.
Bill spuntò dalla cucina scocciato e buttò il cellulare nella tasca del giubbotto. Il suo volto aveva un'espressione infuriata e non prometteva nulla di buono.
Tom preferì rimanere in silenzio e lo guardò dirigersi in camera. Si alzò e decise di seguirlo e la prima cosa che notò entrando era il corpicino di Axel addormentato sul letto di Bill.
"Che voleva David?" sussurrò.
"Mancano alcune pratiche da sbrigare. Devo andare alla casa discografica..." rispose Bill infastidito.
Axel aprì piano gli occhietti e guardò il papà che si infilava una maglietta pulita.
"Dove vai, papà?" biascicò con un filo di voce e Bill gli mise una mano sulla spalla cullandolo piano.
"Shh, papà non va da nessuna parte... torna a dormire..." sussurrò. Il piccolo sorrise e chiuse di nuovo gli occhi sprofondando in un sonno profondo.
"Se vuoi vado io..." sbottò Tom, passando al gemello la solita fascia di lana che era solito mettersi sempre in testa.
"Grazie..." rispose afferrandola e sistemandosi i capelli "ma dice che ha bisogno solo ed esclusivamente di me!" imitò la voce di David e Tom sorrise.
Appena Bill fu pronto baciò la guancia di Axel e uscì dalla stanza assieme a Tom, socchiudendo la porta alle sue spalle.
"Ti occupi tu di lui? Non mi va di portarlo fuori con questo freddo!"
"Sì, ma come fai a raggiungere David con questo tempo?"
"Andrò piano. Le strade sono abbastanza pulite..." i due gemelli si diressero alla porta e Bill indossò il giubbotto afferrando le chiavi della macchina di Tom dal posacenere.
"Posso prendere la tua? Mi sento più sicuro."
"Certo che puoi! Mi raccomando, Bill, vai piano e avvisami quando arrivi..." sbottò Tom, stranamente agitato.
"Stai tranquillo, non c'è una bufera di neve, non preoccuparti, ok?" rispose Bill di fretta aprendo la porta. Una volata di aria fredda entrò nella stanza e Bill rabbrividì.
"Ti prenderai qualcosa!" sbottò Tom spazientito.
Bill lo guardò sorridendo "Piuttosto tu sta' attento a mio figlio e non farlo uscire. Appena si sveglia deve mangiare, la merenda è in frigo e ricordati di dargli l'antibiotico che..."
"Sì, so dov'è l'antibiotico. Non preoccuparti, starà bene!"
"Ok... lo lascio in buone mani!" esclamò Bill e Tom chinò il capo imbarazzato.
"ok, ora vai!" esclamò e Bill scoppiò a ridere.
"Ciao Tomi, mi raccomando!" ripeté "Sta' attento!"
"Sta' attento anche tu!" gli rispose il gemello e chiuse la porta d'ingresso dirigendosi sul divano. La casa così stranamente silenziosa, a parte per la TV che aveva dimenticato accesa, lo faceva quasi innervosire. Non era abituato a quella tranquillità con le costanti urla di Axel e di Bill in giro per casa, quasi gli veniva la tentazione di svegliare il nipote, ma sapeva esattamente che una volta che la peste avesse aperto gli occhi, lo avrebbe ossessionato di nuovo con la storia di voler uscire a giocare.
Conosceva benissimo le condizioni fisiche di suo nipote e sapeva perfettamente che Bill non voleva che uscisse perché si sarebbe preso come minimo un raffreddore, ma non riusciva a leggere quella triste espressione sul volto di Axel quando guardava dalla finestra gli altri bambini giocare in giardino e lui sempre chiuso in casa ad annoiarsi. Sicuramente il chitarrista avrebbe ceduto e non sarebbe riuscito a dire di no come faceva Bill.
Spense la televisione e sentì degli urletti felici provenire da fuori. Guardò dalla finestra e vide la sua Audi allontanarsi a passo d'uomo sulla strada coperta dalla neve e due bambini dall'altra parte della strada che giocavano a palle di neve con i fratelli più grandi.
Erano i loro vicini di casa che avevano lo strepitoso numero di sei figli, uno per ogni fascio d'età: uno sposato, una fidanzata, una studentessa universitaria, un adolescente e due gemelli di appena cinque anni.
Immaginò Axel correre felice nella neve e un sorriso si disegnò sul suo volto. In strada c'era tutta la famiglia, compresi i due genitori ormai adulti, e tutti ridevano mentre i gemellini si coalizzavano contro il fratello più grande.
Si ricordò delle giornate passate insieme sotto la neve con Bill e volle con tutto sé stesso far provare quella gioia a suo nipote, la stessa che provavano quei due gemellini con mamma e papà.
Purtroppo per Axel però la sua mamma era morta a diciassette anni mettendolo alla luce e il suo papà aveva vent'uno anni e una vita alle spalle rovinata dalla precoce morte della sua ragazza e dalla responsabilità di crescere un figlio da solo. Inoltre il lavoro gli impediva di passare una vera e propria giornata con suo figlio. Lo dimostrava quello che era successo quel giorno.
Però Axel aveva qualcuno che poteva sostituire in parte la figura materna affiancata a quella di Bill.
"Zio Tomi..."
Tom si voltò di scatto, un po' sorpreso di come il suo pensiero si fosse improvvisamente trasformato in una vocina malinconica. Axel era in piedi vicino alla televisione e si strofinava un occhio assonnato mentre con l'altra manina si stringeva il cavallo dei pantaloni.
"Dimmi, tesoro, cos'hai?" esclamò Tom avvicinandosi al bambino.
"Devo fare pipì!"
Tom sorrise e prese il piccolo da sotto le ascelle adagiandolo tra le sue braccia e portandolo in bagno. Axel poggiò la testa sulla spalla dello zio e si strinse forte al suo collo mentre il moro sorrise baciandolo sulla spalla.
Raggiunse il bagno, gli tolse i boxer e lo fece sedere sul gabinetto.
"Zio... dov'è papà?" gli domandò il piccolino con la voce impiastricciata dal sonno, mentre si strofinava gli occhi.
"E' andato a lavoro, amore. Torna presto..." rispose Tom sorridendo e Axel chinò il capo tristemente.
"Ho capito... però è uscito con la neve?" chiese mentre lo zio gli rialzava i pantaloni e tirava l'acqua.
"Sì, ma lui è grande e deve andare a lavoro."
"Ancora?" esclamò sbalordito "io... volevo stare con lui... Axel ha detto delle cose cattive che non voleva dire..." il bambino reclamò un abbraccio e Tom sorrise di nuovo rifugiando il piccolo sulla sua spalla.
"Non preoccuparti, papà sapeva che non le pensavi davvero. Lo sa che gli vuoi bene."
"Anche papà mi vuole bene?" domandò il bambino con voce triste. Erano tornati in sala e Tom si era seduto sul divano massaggiando piano la schiena del nipotino, mentre questo giocherellava con il suo orecchio.
Ora sapeva che cosa provasse Bill quando il bambino massacrava con le sue minuscole ditina il lobo del suo orecchio o addirittura ce le infilava dentro.
"Certo che ti vuole bene. Papà vive per te, lo sai?" Tom sorrise e il bambino portò il volto vicino al suo.
"Anche per te, vero?" domandò con un tono fin troppo curioso.
"Bè..." Tom diventò completamente rosso per l'imbarazzo. Ringraziò nella sua testa che Bill non fosse lì in quel momento.
"Papà vuole tanto bene a zio Tomi..." continuò il piccolo al posto suo "sì e lo dice sempre ad Axel e anche Axel vuole tanto bene a zio Tomi!" il piccolo gli contornò di nuovo il collo e Tom si ritrovò ben presto tra lo stretto abbraccio del nipote. Non c'erano dubbi che quel bambino fosse il degno figlio di Bill Kaulitz e il fatto che gli ricordasse il gemello nell'aspetto e addirittura nel carattere, lo rendeva ancora più speciale agli occhi dello zio.
"Anche io ti voglio bene, Axel..." rispose ancora più rosso.
"Vuoi bene anche al mio papà!" lo corresse Axel "Dillo!"
"S-Sì... certo che voglio bene anche a papà... è il mio gemello..."
Il bambino sorrise e batté le mani felice, poi scese dalla gambe di Tom e cominciò a correre in giro per la sala.
Il pericolo è passato! pensò Tom sollevato.
"Zio Tomi..." pronunciò Axel dopo un po' ritornando verso di lui "perché papà non vuole che io esco? Se tu eri il mio papà mi facevi uscire?"
Tom spalancò gli occhi di colpo constatando che il pericolo non era affatto passato.
"Tesoro, papà non vuole che ti ammali." rispose.
"No, non mi ammalo, giuro!"
"Axel, non posso. Perché non giochiamo insieme a qualcos'altro?" esclamò cominciando a provare un po' di sensi di colpa. Stava privando il nipote dell'unico momento di sfogo della giornata. Non sapeva per quanto avrebbe retto.
"No, Axel non vuole giocare a niente. Solo con la neve!"
"Ma la neve è fredda!" ribatté Tom.
"Ma gli altri bambini ci giocano! Gli altri papà e gli altri zii li portano fuori! Loro non si ammalano!"
"Loro non sono come te!" sbottò Tom.
"Come sono io?" il bambino aveva chinato il capo tristemente e due grossi lacrimoni si erano fatti strada lungo le guancie. Successe nel giro di pochissimi secondi: Axel scoppiò a piangere talmente forte che per poco spaventò Tom, che si era alzato di gran fretta per afferrare il piccolo tra le braccia.
"N-Non piangere, Axel, per favore!" Tom cercò di fare di tutto per farlo smettere, ma il bambino sembrava non averne per nulla intenzione.
Se c'era una cosa che odiava era sentire qualcuno piangere. Indipendentemente dal motivo, quando intravedeva una lacrima scendere timida dagli occhi o sentiva quei singhiozzi irregolari provava una stretta al cuore talmente forte che per poco stava male.
E ciò accadeva con una sola persona e da pochi anni con due.
"Axel, basta!" gridò Tom, ma non c'era nulla che poteva fare per farlo smettere. Una sola cosa, e cioè dargli quello che voleva.
"Ok, va bene! Ti porto fuori, ma ora smettila!" gridò d'improvviso poggiando il piccolo a terra.
Axel smise di piangere e lo guardò sorridendo "Evvia, si va fuori, Axel va fuori a giocare, evviva!"
"Ma che diavolo...?" Tom lo guardò saltellare allegramente, in volto un'espressione soddisfatta e per nulla stranamente felice.
"Non ci credo..." esclamò Tom "Mi ha fregato..."

***



"Cappellino! Sciarpetta! Giubottini! Guantini! Sono pronto!" pronunciò Axel battendo le mani.
Come riuscisse a parlare per Tom era un mistero. Il piccolo Axel sembrava un vero e proprio fagotto vivente.
Era avvolto in due giubbotti, una sciarpa che gli copriva la bocca, il mento e il collo; il capo e i capelli erano coperti interamente da un cappello troppo largo per lui, infatti era uno dei preferiti di Tom, e le manine interamente coperte da due bruttissimi, ma pesantissimi, guanti rossi.
Ai piedi i suoi personalissimi dopo-sci con scritto Axel, che non era per il nome del bambino, ma così si chiamava la marca che li aveva prodotti. Ovviamente era stato Bill ad averglieli comprati.
"Se si ammala così è il colmo!" esclamò Tom mentre sistemava la sciarpina ad Axel e cercava di non scoppiare a ridere davanti al nipotino.
"Axel, riesci a respirare?" chiese poi preso da un terribile dubbio.
"Sì, certo! Andiamo, zio?" pronunciò il piccolo eccitato correndo verso la porta d'ingresso.
"Un momento!" Tom lo afferrò per un braccio, o per meglio dire da una manica del giubbotto, e lo trascinò verso di sé.
Lo guardò attentamente e constatò con i suoi occhi il dubbio di poco prima.
Bè, se aveva la forza di mentire voleva dire che il fiato non gli mancava.
Gli allentò la sciarpa e lo lasciò andare.
"Ho caldo, zio!" pronunciò il bambino sofferente.
"Ora usciamo. Lascia vestire lo zio!" Tom prese un giubbotto, una sciarpa, un cappello e un paio di guanti, e se li infilò di gran fretta dato che Axel continuava a picchiettare con la punta delle dita che uscivano dalle maniche contro la porta. Sembrava uno spaventapasseri che vagava in giro per casa. Questo era dovuto al fatto che per la grandezza dei due giubbotti che indossava era costretto ad andare in giro con le braccia aperte.
Tom scoppiò a ridere vedendo il nipotino che cercava di allungare un braccio per raggiungere la maniglia.
Il problema, infatti, non era l'altezza di quest'ultima, dato che si trovava a cinque centimetri dal suo naso.
"Lascia, tesoro, faccio io!" esclamò Tom ridendo e aprendo la porta d'ingresso. Axel uscì di corsa come un fulmine e dopo cinque secondi era già in strada, con la neve che gli arrivava all'altezza delle ginocchia.
"Zio Tomi, guarda la neve!" fiocchi di neve grandi quanto un ditino di Axel, cadevano sul suo viso o per meglio dire solo sulla parte scoperta che comprendeva solo gli occhi e parte del nasino già rosso.
"Axel, piano aspetta che arrivo." Tom si voltò un attimo e chiuse la porta a chiave alle sue spalle. Se doveva portarlo al parco, doveva chiudere a chiave la casa. Lì dentro c'era tutta la sua vita: le sue chitarre.
"Ehi, Tom!" esclamò la voce di una ragazza vicino a lui e il moro notò una dei sei fratelli che abitavano vicino a loro.
"Ciao Sarah, tutto ok?" esclamò portando tutta la sua attenzione sul fisico della ragazza. Anche avvolta tra il giubbotto e la sciarpa, era estremamente attraente.
"Porti Axel al parco?" esclamò lei con un sorriso. Era una ragazza di una bellezza rara, ma purtroppo per Tom era lei quella fidanzata.
"Già..." rispose Tom "mio fratello lavora."
"E tu fai il baby-sitter..." pronunciò lei ridendo.
"Esatto!" rispose Tom con un pizzico di orgoglio nella voce e un sorriso sornione sul volto.
Sarah voltò il capo e guardò Axel per un attimo.
"Allora, forse ti conviene aiutarlo!" rise la ragazza e Tom voltò lo sguardo verso il punto dove Axel giaceva a pancia in giù nella neve. Muoveva le gambe e le braccia spostando la neve e formando una fossa sempre più profonda.
"...'io... 'omi..."
Tom si precipitò dal nipote con il cuore in gola e lo afferrò per le braccia. Sembrava di star tirando su un giubbotto enorme dalla neve.
"Axel, amore, stai bene? E' tutto ok?" esclamò pulendolo dalla neve in volto e sui vestiti.
"Sì, zio Tomi, tranquillo!" rispose il bambino sputando un po' di neve dalla bocca.
"Ma che diavolo hai fatto?"
"Sono inciampato!" rispose il bambino e mostrò allo zio il dopo-sci slacciato.
"Oh cazzo!" urlò Tom e prese ad allacciarglielo frettolosamente.
"Cazzo!" ripeté Axel felice.
"No, no, no!" sbottò Tom ammonendo il bambino "non devi dire quella brutta parola."
"Ma tu l'hai detta!"
"Ma zio Tomi è grande! Tu sei piccolo ed educato! Se tuo padre scopre quello che sto facendo mi ammazza!"
Tom finì di pulirlo, poi si alzò, salutò Sarah e lo prese per mano per portarlo al parco.
"Sicuro di stare bene?" domandò intimorito durante il tragitto.
"Sì, zio Tomi!" ripeté il bambino scocciato più felice che mai.
Nel corso dell'ora che avevano passato al parco, Tom lo aveva visto così allegro e pieno di vita ed era davvero contento che il bambino fosse uscito e stesse giocando con altri bambini della sua stessa età. Vederlo ridere e parlare con qualcuno che non era lui, Bill, Georg o Gustav era un traguardo e in un certo senso una grande soddisfazione per Tom.
Inoltre mentre il bambino giocava lui si era fermato a parlare con alcuni genitori e poco dopo Sarah era arrivata mano per mano con i due fratellini gemelli.
"Si sta divertendo..." osservò la ragazza guardando Axel giocare con Peter e Ronny.
"Già... sai i tuoi fratelli mi ricordano me e Bill..."
"Davvero? Giocavate con la neve da bambini?"
"Sempre! Facevamo una lotta che durava fino a sera e chi sa perché vincevo sempre io!"
I due scoppiarono a ridere e Axel, dopo poco, gli si avvicinò.
"Guarda, zio Tomi, questo me lo ha regalato Ronny!" il piccolo mostrò allo zio uno di quei giochini che si trovavano nel Kinder sorpresa.
Tom lo prese tra le mani e lo fissò sorridendo "bello..." disse mettendoselo in tasca "ma come fai a sapere chi è uno e chi è l'altro?"
"Me lo hanno detto loro!" rispose il bambino e Sarah sorrise.
"Si scambiano sempre, non so quanto ci sia da fidarsi!"
"Lo facevamo anche io e Bill. Assolutamente normale!" la rassicurò Tom ed entrambi scoppiarono a ridere nuovamente fino a quando i due non vennero improvvisamente interrotti da un piccolo colpo di tosse.
Tom guardò Axel con gli occhi sgranati e il nipotino lo guardò con un'espressione confusa.
"Axel, andiamo dai che è tardi!"
"No!" gridò il bambino "Axel si sta divertendo!"
"Tom, dai, sono solo le 16.30!" pronunciò Sarah.
"Siamo qui da un'ora? Axel, dai non fare i capricci. Papà non sa neanche che ti ho portato fuori, se ti ammali sono nei pasticci! Ciao Sarah!"
Tom prese il bambino in braccio allontanandosi dal parco e fortunatamente il fatto che fosse infagottato gli impediva di divincolarsi tra le braccia dello zio.
Nuovamente scoppiò a piangere, ma quella volta Tom sapeva esattamente che cosa fare.
"Non mi freghi stavolta!" Poggiò il bambino a terra, aprì la porta di casa e lo spinse dentro.
"Guarda cosa ti dà lo zio!"
Axel rispose con un altro colpo di tosse, che fece rizzare i capelli in testa al chitarrista, si diresse in cucina e tornò in salotto poco dopo con una caramella in mano.
"Tieni!"
Axel smise di piangere e dopo l'ennesimo colpo di tosse, prese la caramella in mano felice.
"Danke, zio!" disse scartandola e infilandosela in bocca.
Tom lo spogliò dei giubbotti, sciarpa, cappello, guanti e dopo-sci e, dopo che suo nipote fu tornato un bambino normale, lo adagiò sul divano strofinandogli con le mani le braccine magroline.
"Tutto bene, Axel?" pronunciò per l'ennesima volta.
"Sì, zio!" rispose Axel "lo sai che anche papà quando piango mi dà sempre una caramella?"
"Ah, davvero?" pronunciò sarcastico. Il moro constatò solo in quel momento che sarebbe bastata una caramella anche quando si era messo a piangere la prima volta.
"Sì..." rispose Axel "però quando piange lui la caramella non basta..." il piccolo chinò il capo tristemente cominciando a giocherellare con le dita callose dello zio. Ebbe un altro colpo di tosse e poggiò la testa sul petto di Tom.
"Cosa intendi dire?" esclamò quest'ultimo "Q-Quando papà piange?"
"La sera... prima di andare a dormire..." rispose il bambino con un brivido "io gli do un bacio sulla guancia, ma lui non smette. Allora io lo abbraccio così!" il piccolo contornò il collo di Tom poggiando il capo sulla sua spalla "e lui smette dopo un po'."
Tom rimase immobile, come incosciente, immobilizzato dalla sorpresa di quelle parole.
Il suo gemello piangeva la sera prima di andare a dormire. Come aveva potuto essere stato così stupido e ignorare per così tanto tempo il dolore che Bill doveva provare nonostante fossero passati quattro anni?
"Papà piange perché gli manca la mamma?" domandò Axel in un sussurro.
Il moro lo abbracciò tristemente cercando di consolare e scaldare il bambino che aveva preso a tremare.
"Sì..." rispose "ma tu continua ad abbracciarlo e digli che..." si bloccò di colpo non riuscendo a terminare la frase, mentre il piccolo continuava a tremare ancora più intensamente di prima.
"Ho freddo, zio..." pronunciò e Tom lo abbracciò più stretto, continuando a strofinargli la schiena.
Il corpicino di Axel si afflosciò tra le sue braccia e Tom sussultò spaventato constatando che i suoi occhietti erano diventati rossi e la fronte calda.
Continuava a tossire senza sosta e dopo 30 minuti era già ridotto a uno straccio: le guance rosse, gli occhi lucidi, la fronte bollente e la tosse secca. Questa volta non si era preso solo una banale influenza.
"Quando cazzo arriva Bill!" gridò il chitarrista agitato non sapendo che cosa fare e continuando a fare avanti e indietro con il bambino inerte tra le braccia.
"Non si dice quella parola..." sussurrò Axel.
"Hai ragione, amore, scusa!" Tom lo baciò sulla guancia calda e per un attimo ebbe seriamente paura. Come avrebbe fatto se Bill fosse tornato a casa troppo tardi?
Avrebbe dovuto chiamarlo?
Guardò fuori dalla finestra e vide la neve alta sulle strade, che non faceva intravedere neppure il nero dell'asfalto. Immaginò un Bill preoccupato che cercava di andare veloce con la sua Audi anche sul ghiaccio e scartò immediatamente quel pensiero.
Cosa doveva fare quindi?
"Zio, voglio il mio papà!" sibilò il bambino scoppiando in un pianto silenzioso. Il primo vero pianto di tutta la giornata.
"Adesso arriva..." pronunciò Tom, più a sé stesso che a suo nipote "adesso arriva."

***



Quando Bill Kaulitz aveva aperto la porta di casa alle cinque e mezza del pomeriggio la scena che si era trovato davanti agli occhi non era esattamente una delle migliori.
Il fratello era seduto sul divano e stringeva il piccolo Axel rosso e sudaticcio tra le braccia, che continuava a tossire senza sosta e in quel momento era sembrato dormisse.
"Che diavolo...? Tom!" aveva esclamato Bill avvicinandosi al figlio e al gemello senza neanche togliersi il giubbotto. In quelle ore che aveva passato alla casa discografica non aveva pensato ad altro che tornare a casa e giocare un po' con il suo bambino, ma la vista di suo figlio sudato e malato era stata come una pugnalata dritta al cuore.
"Bill posso spiegarti!" Aveva esclamato Tom dando inizio alla litigata.
"Ti avevo detto di non portarlo fuori!" Bill aveva afferrato Axel tra le braccia e lo aveva portato in cucina seguito dal gemello.
"Lo so, ma si è messo a piangere... lo sai che..."
"Non mi interessa! Cazzo, Tomi, parlo arabo?" Axel aveva aperto piano gli occhi arrossati e aveva guardato il papà felice di rivederlo.
"Papà sei tornato... Non si dice quella parola! Non è colpa dello zio Tomi, è colpa mia. Sono voluto uscire... non litigate!"
"Shh, non stiamo litigando, cucciolo. Adesso papà ti dà la medicina e passa tutto. Come ti senti?"
"Ho la testa tanto pesante e ho tanto freddo!"
Bill aveva messo il termometro sotto l'ascella del figlio continuando a cullarlo e cantandogli una canzone.
"Mi dispiace, Bill" esclamò Tom sedendosi accanto al gemello.
"L'ho coperto bene, te lo giuro!"
"Non è quello il problema!" Bill continuava a tenere gli occhi fissi sul bambino "basta solo che esce fuori! Cosa che ti avevo proibito di fare! Perché non mi hai chiamato?"
"Saresti corso a casa preoccupato! Non volevo che ti accadesse qualcosa con tutta la neve che c'è sulla strada."
Bill era rimasto in silenzio tirando fuori il termometro dall'ascella del figlioletto e prendendo una supposta dallo stipetto.
"Che cosa gli hai dato?"
"Niente ho aspettato che tornassi. A quant'è la febbre?"
"Trentanove..." aveva sussurrato Bill senza neppure guardarlo in faccia e aveva portato il figlio in camera sua scomparendo alla vista del gemello.
Stavolta l'ho fatta grossa!
E se Bill non gli avesse più permesso di curare Axel? Se dopo quell'episodio il gemello avesse perso la fiducia in lui?
Inoltre a quella situazione già di per sé complicata si era aggiunta la notizia che Bill era solito piangere con suo figlio tra le braccia la sera prima di andare a dormire. E c'era una cosa che Tom voleva assolutamente dire a suo fratello. Quella cosa che non aveva avuto il coraggio di dire ad Axel poco prima.
Il moro aveva quindi deciso, dopo la litigata, di sdraiarsi sul divano ed aspettare che Bill sbollisse la rabbia prima di andare a parlargli.
Erano già le 19.30 quando Tom si alzò dal divano, dove aveva dormito neanche dieci minuti, e si diresse in camera del gemello aprendo piano la porta e sbirciando dentro.
Bill era sdraiato sul letto e dava le spalle alla porta. Indossava gli stessi vestiti che si era messo quella mattina e una coperta lo copriva fino alla vita, mentre tremava infreddolito.
"Bill?" pronunciò piano il moro per controllare che non stesse dormendo.
"Tomi..." il cantante si voltò verso di lui facendogli segno di non fare troppo rumore "entra..."
Il gemello non se lo fece ripetere due volte ed entrò in stanza. Fece il giro del letto e trovò Axel, rannicchiato tra le braccia del papà che dormiva, la coperta lo copriva interamente, ma nonostante tutto il piccolo aveva continui brividi di freddo.
"Come sta?" chiese Tom sedendosi sul letto accanto a loro.
"Meglio. La febbre è scesa a trentotto, però continua a tremare e a tossire. Dorme già da un'ora..." rispose il gemello dopo di che starnutì così rumorosamente che il piccolo si mosse tra le sue braccia e poi tornò a dormire.
"Ti sei preso anche tu un raffreddore, eh?" domandò Tom e Bill annuì sorridendo.
"Sì..." rispose il gemello "David mi ha fatto aspettare fuori sotto la neve per mezz'ora!"
Tom sorrise e chinò il capo pensando alle parole giuste da usare per far capire a Bill che una cosa positiva infondo quel giorno c'era stata.
"Volevo dirti una cosa, Bill... in realtà due!" esclamò.
Il gemello alzò lo sguardo verso di lui e Tom continuò a fissare le sue dita, sentendosi gli occhi di Bill puntati addosso.
"Cosa?"
"Oggi ho sbagliato e ti chiedo scusa... non sono riuscito a dirgli di no, quando ha inziato a piangere. Lo sai che io odio vedervi piangere, però non ho mai visto Axel così felice come è stato oggi. Si è divertito un sacco! Sembrava un fagotto, gli ho messo addosso due giubbotti e ti confesso che non so neanche come facesse a respirare!" Tom rise e si bloccò per pochi secondi per poi riprendere a parlare prima che il suo gemello potesse interromperlo.
"Ha giocato con i due gemellini che abitano vicino a noi. Mentre lo osservavo avrei voluto che ci fossi anche tu lì con noi. Avresti dovuto vederlo. Non ha mai riso tanto, ne sono convinto, correva e giocava con la neve come non aveva mai fatto. Poi è venuto da me e mi ha fatto vedere uno di quei giochini che si trovano nel Kinder Sorpresa. Diceva che glielo aveva dato Ronny."
Tom tirò fuori un oggetto dalla tasca e incrociò finalmente gli occhi di Bill che erano coperti da un velo di lacrime.
Era una piccola stella trasparente che si illuminava con la fievole luce che proveniva dalla finestra.
"Deve aver detto qualcosa al bambino. Ho pensato che fosse meglio che l'avessi tu, comunque..." continuò il chitarrista mentre Bill prendeva in mano la piccola stella e una lacrima scendeva dal suo occhio, formando un alone sulle lenzuola.
"Mi...Mi ha chiesto perché è sempre malato poco fa..." pronunciò Bill impassibile senza osservare il gemello e continuando a tenere gli occhi fissi sulla stella.
"Cosa gli hai risposto?" domandò Tom.
"Gli ho raccontato tutto! Gli ho detto la verità. Lo so che ha solo quattro anni, ma non ce la facevo più a tenere tutto nascosto. Faceva troppe domande."rispose Bill posando gli occhi ormai grondanti di lacrime su quelli del gemello.
"Forse ho bisogno di parlare, Tomi..." pronunciò e scoppiò a piangere quasi nello stesso istante.
Tom sentì la familiare stretta al cuore che aveva già sentito anche quel pomeriggio, e si sdraiò proprio di fronte al gemello.
Era arrivato il momento di dirgli la cosa più importante di tutte.
"Vuoi una caramella?" domandò d'improvviso e Bill scoppiò a ridere mescolando le risa al pianto.
"Con Axel funziona, con me no!" rispose ridendo.
Tom si fece coraggio, si sporse in avanti e stampò un bacio sulla fronte del suo gemello. Non aveva trovato il coraggio di dirlo prima ad Axel, ma ora doveva trovare il coraggio di dirlo a Bill.
All'unica persona che era davvero importante nella sua vita, assieme al pargoletto che stringeva tra le braccia.
Posò una mano sulla fronte calda di Axel e guardò la testa bionda del bambino preso dall'imbarazzo.
"Bill... io ci sarò sempre quando avrai bisogno di una spalla su cui piangere, o di qualcuno che ascolti il tuo dolore quando ne hai bisogno... non sarai mai solo..." alzò lo sguardo e lo guardò dritto negli occhi nocciola identici ai suoi "ti basta questo?"

"Sì, Tomi..."

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Capitolo 3
*** Terza Storia: Axel e la Stella Magica (Prima Parte) ***


Shining Star



Axel e la stella magica (Prima Parte)



Le giornate trascorse in quelle prime settimane di dicembre per i quattro ragazzi di Amburgo erano state giornate leggere, prive di lavoro, a parte per un piccolo live in Giappone a metà mese, e all'insegna del divertimento e del rilassamento più assoluto. Il mese era iniziato con un'abbondante nevicata e dopo un iniziale incidente che aveva segnato negativamente l'umore in casa Tokio Hotel, le giornate erano trascorse tranquillamente e il clima casalingo era decisamente migliorato.
I due gemelli Kaulitz erano intenti a guardare un programma televisivo a dir poco interessante, mentre il figlio di quasi quattro anni di Bill, Axel, afflitto da una brutta bronchite, se la rideva felice in mezzo a loro.
Era la vigilia di Natale e il giorno era trascorso senza troppo da fare. Georg e Gustav avevano portato le rispettive ragazze a casa per cenare tutti assieme ed Axel, tra un colpo di tosse e l'altro, si era divertito come un matto a giocare con le due ragazze che avevano, senza ombra di dubbio, l'istinto materno nel sangue. Tanto che Bill aveva immaginato più di una volta che una delle due fosse la sua ragazza.
Dopo la piacevole cena i quattro erano usciti e Bill e Tom rimasti a casa, date le pessime condizioni di Axel, che nonostante tutto era in via di guarigione.
Il programma divertentissimo che stavano vedendo tutti e tre sdraiati sul divano, e che non divertiva solo Axel, era Tom e Jerry.
Il bambino continuava a battere le mani e ridere felice, tanto che Bill lanciava sguardi divertiti a Tom, che rideva anche lui contagiato dall'improvvisa ilarità del nipote.
"Ehi, guarda che malandrino il gatto Tom!" esclamò Bill d'un tratto rivolto verso il figlio "sembra un Tom che conosciamo bene, vero Axel?" Il piccolo scoppiò a ridere ancora più forte.
"E' vero, è vero! Zio Tomi sei come Tom!" urlò felice in risposta, rivolgendo al genitore un grande sorriso e facendo l'occhiolino verso lo zio.
"Ehi, non esageriamo!" Ribatté il chitarrista "io sono decisamente più malandrino di lui!" Precisò.
Axel scoppiò di nuovo a ridere seguito a manetta da suo padre.
"Posso confermare!" Sbottò Bill "da piccoli mi facevi sempre un sacco di scherzi!"
"Ovvio, eri la mia preda preferita!" Rispose Tom facendo l'occhiolino al gemello.
"Certo! Spesso esageravi però!" Bill si voltò verso il fratello piuttosto imbronciato.
"Andiamo, ero un bambino! E poi tu ti mettevi in mezzo anche quando non c'entravi!"
"Ah sì? Il giorno in cui mi facesti credere che Andreas non eisteva ed era solo una mia invenzione? Mi hai fatto credere che fosse il mio amico immaginario per giunta!" Bill alzò un po' la voce ed Axel, che continuava a voltare la testa da un gemello all'altro, scoppiò ancora a ridere sonoramente, calmando le urla del padre.
"E' stato il giorno più bello della mia vita..." sospirò commosso come quando si ricorda un momento estremamente piacevole "se tu avessi visto l'espressione sul tuo volto, mi daresti ragione! Eri così spaventato!" Tom rise e anche il nipote, mentre Bill incrociava le braccia rabbrividendo ancora al ricordo di quel giorno.
"Mamma mi ha sgridato dicendomi che ero diventato pazzo! Per colpa tua non mi ha parlato per due giorni! E Andreas che continuava a parlare come se fosse un fantasma! Mi faceva paura!" e un brivido percorse la sua schiena a quelle parole.
"Ma la tua espressione valeva ogni conseguenza!"
"Il fine non giustifica i mezzi!" Sbottò Bill spazientito.
"Ce l'avrai con me a vita per questa storia?" Domandò Tom ridendo.
"Finché non mi chiederai scusa... non è bello credere che il tuo migliore amico non esista..." rispose Bill imbronciato.
"Te l'ho già detto, Bill, non posso! E' stato lo scherzo meglio riuscito che io abbia mai fatto! Se ti chiedessi scusa... sarebbe come... come.." mosse le mani con enfasi con lo scopo di far ridere ancora di più Axel, che minacciava di farsi la pipì addosso.
"Ok, facciamola finita!" Concluse Bill "o me lo ammazzerai!" I due gemelli scoppiarono a ridere.
"E la mamma?" Sbottò Axel improvvisamente non appena si fu ripreso dall'attacco di risa. Bill e Tom smisero immediatamente di ridere e si voltarono verso di lui sorpresi.
"Che cosa vorresti dire?" Domandò Bill.
"Dov'era la mamma quando zio ti ha fatto credere che zio Andy non esisteva?" Riformulò il piccolo, guardando il padre con un'espressione curiosa.
"Lei..." le labbra di Bill si mossero in un tenue sorriso e Tom lo guardò sorridendo ricordando quel giorno di molti anni prima.
"Era d'accordo con lo zio..." rispose Bill guardando Tom, come se fossero improvvisamente tornati bambini.
"Però mi prese la mano..." continuò Bill afferrando la manina paffutella di Axel "me la strinse forte e mi disse: io sono reale!"
Axel sorrise a quella parole. Era un bambino fin troppo sveglio per la sua età.
"La mamma era dolce." Affermò.
"Sì, lo era molto." Confermò Bill.
"Quanti anni aveva?"
"Circa sei o sette, no Tomi?" Esclamò rivolto al gemello.
Tom annuì; la sua attenzione era completamente rivolta verso il fratello e il nipote, mentre la sua mente viaggiava tra i ricordi.
"Da quanto conoscevi la mamma?" Domandò poi Axel.
"Da quando aveva la tua età. E' stata la mia compagnia di giochi all'asilo, la mia compagna di banco alle elementari e la mia migliore amica alle medie. E poi è diventata..."
"La mia mamma!" concluse Axel interrompendolo con un urletto di gioia e un sorriso orgoglioso. Mamma e papà si conoscevano da un sacco!
"Soprattutto è stata la tua mamma... anche se per pochi secondi..." esclamò Bill sorridendo. Tom guardò il gemello e allungò una mano incontrando timidamente quella di Bill. Ricordava benissimo che il fratello gli aveva raccontato che la ragazza aveva tenuto tra le braccia suo figlio e poi era spirata, esalando l'ultimo respiro con ancora il piccolo Axel stretto al petto, mentre anche lui aveva rischiato di morire tra le braccia della mamma.
Anche Axel imitò il gesto dello zio e tutti e tre sorrisero, mentre nella testa dei due gemelli riaffiorava quel triste ricordo.
Il cartone animato era ormai finito quando Axel riportò la sua attenzione su di esso un po' deluso.
"No, è finito!" esclamò rattristito, tra un violento colpo di tosse e uno starnuto.
"Forza, andiamo a dormire?" Pronunciò il padre allarmato.
"Ma... Axel non ha sonno!" Ribatté il bambino tossendo.
"Axel, cosa ti dice sempre lo zio?" S'intromise Tom.
"Obbedisci a papà!" Rispose il piccolo scocciato e fece un salto dal divano dirigendosi in camera del padre strisciando i piedini stanco e camminando a capo chino.
"Però, non è giusto!" Borbottò "Axel va a letto" e sbadigliò "però non è giusto!" Puntò un ditino verso lo zio e Bill scoppiò a ridere prendendolo in braccio e portandolo in camera.
Gli mise il pigiamino con gli orsetti che adorava a lo infilò a letto rimboccandogli le coperte.
"Buonanotte, piccolo!" Esclamò non appena Axel fu al calduccio nel grande letto, dove dormiva sempre con il suo papà.
"Buonanotte, papà!" il piccolo gli circondò le spalle e lo baciò con energia, per poi lasciarlo andare.
Bill ricambiò il caloroso abbraccio e fece per uscire.
"Papà?" Pronunciò la vocina triste di Axel pochi secondi dopo.
"Che c'è, amore?"
"Dove vai?"
"Sto ancora un po' con lo zio e poi torno a letto. Tu dormi, ok?"
"No..." sussurrò il figlioletto "Axel vuole che stai con lui finché non si addormenta."
Bill sospirò e si avvicinò al lettino. "Va bene!" Esclamò afferrando un libro dalla scrivania, per ingannare l'attesa, e sedendosi sul letto vicino a lui immerso nella lettura.
Axel si voltò da una parte e chiuse gli occhietti. Non erano passati neppure dieci secondi che si voltò dall'altra parte.
Un colpo di tosse.
Bill alzò gli occhi dal libro e guardò il figlioletto provando un po' di tristezza per lui, poi tornò concentrato sulla lettura.
Un altro colpo di tosse. Axel si voltò di nuovo dall'altra parte e un altro colpo di tosse ancora più violento del precedente squarciò il silenzio. Bill alzò di nuovo gli occhi e portò la sua completa attenzione sul figlio, lasciando cadere il libro a terra e abbracciando il bambino sotto le coperte. Axel sembrò aver aspettato quel momento, perché non appena aveva sentito le braccia del papà circondarlo, lo aveva stretto a sua volta e gli aveva dato un bacino umido e caldo sulla guancia.
"Non riesci a dormire?" Pronunciò Bill tornando a fissarlo negli occhi e posandogli un bacino su tutte e due gli occhietti stanchi.
"No..." rispose Axel. Di solito si addormentava in due secondi.
Bill prese a cullarlo piano e cominciò a canticchiare una ninna nanna.
"Ad Axel piace la voce di papà!" Sussurrò il bambino.
"Grazie, amore." Rispose Bill arrossendo.
"Mi racconti una storia?"
Bill lo guardò un po' confuso e stupito. Era la prima volta da quando Axel aveva imparato a parlare che gli chiedeva di raccontargli una storia per addormentarsi e su quel campo lo trovava totalmente impreparato.
Non aveva mai raccontato ad Axel nulla che potesse mai somigliare a una storia, anche perché dalla nascita il bambino era solito addormentarsi senza bisogno di essere cullato. Forse quel giorno, a causa della tosse e della bronchite, il piccolo era disturbato e non riusciva a prendere sonno da solo.
"Ok..." rispose Bill "allora c'era una volta un principino..."
"Come si chiamava?" domandò Axel prontamente.
"Si chiamava... Axel!" Rispose Bill.
"Come me! Che coincidenza!" Esclamò il bambino sorpreso e Bill rise sollevato che il piccolo ci fosse cascato.
"Eh già, guarda un po'..." pronunciò una voce sulla soglia della porta e Bill fulminò il gemello appena comparso con uno sguardo.
"Dunque..." continuò "c'era una volta un principino di nome Axel che era cagionevole di salute e molto, molto malato e così il suo papà..."
"Fammi indovinare..." lo interruppe di nuovo Tom sulla soglia della porta "si chiamava forse - finse di riflettere - Bill!"
"No!" Lo contraddisse il gemello, tra un risolino divertito di Axel "si chiamava William!" Concluse il moro facendogli la linguaccia.
"Cretino..." sussurrò Tom.
"William..." ripeté Axel con meraviglia "Vai, avanti, papà!"
"Dicevo... il principe William, preoccupato per la salute del suo amato figlioletto Axel, consultò un bravo mago di nome Moritz che gli disse: l'unico modo per guarire il piccolo principe dalla malattia che lo affligge è trovare la stella magica che avrà il potere di guarire il principino da tutti i mali e i pensieri tristi."
Gli occhietti di Axel si fecero piccoli, ma incitò il padre a continuare la storia. "Cosa accadde poi?" Domandò.
"Il principe William decise di partire con uno dei più coraggiosi cavalieri del reame, Sir Wolfgang, e il suo fedele servo Thomas, alla ricerca della magica stella che poteva guarire il suo unico erede dalla malattia."
Bill sottolineò le parole con enfasi, ma non appena posò lo sguardo su Axel sorrise e lo baciò sulla guancia. Il bambino si era addormentato già alle parole magica stella e Bill si era alzato dal letto, aveva raccolto il libro che poco prima aveva lasciato cadere a terra e si era diretto alla porta dove il gemello lo guardava corrucciato.
"Finalmente dorme..." esclamò socchiudendo la porta.
"Il servo Thomas?" domandò Tom con un sopracciglio alzato.
"Oh Tomi... la tua espressione! Dovresti vederti! Questo è il giorno più bello della mia vita!"
Bill gli fece l'occhiolino scherzoso e Tom lo guardò ancora più storto.
"Idiota..." esclamò. Il gemello rise e lo seguì in salotto, dove ripresero tranquillamente, nel silenzio più totale, a guardare la televisione.
Tom e Jerry era finito già da un pezzo e a quell'ora davano un film drammatico che era iniziato da qualche minuto. Tom si sdraiò tranquillamente sul divano e poggiò i piedi sulle ginocchia di Bill, senza nemmeno incrociare il suo sguardo.
"Vuoi che canti la ninna nanna anche a te?" sibilò Bill con arroganza e il fratello scoppiò a ridere guardandolo in volto.
"No, grazie..." rispose "mi basta ascoltarti parlare!"
Bill lo fulminò con uno sguardo e poggiò con disinvoltura, ma estremo piacere, le braccia sulle gambe del gemello e cominciò assieme a lui a guardare il film.
La storia era quella di sempre: i due giovani innamorati che non potevano vivere l'uno senza l'altro e che andavano contro tutti e tutto per stare insieme ed ottenere il consenso dei genitori per sposarsi. Una storia trita e ritrita che costrinse Tom ad alzare gli occhi al cielo e guardare il suo gemello.
Dopo la lunga chiacchierata che avevano avuto qualche settimana prima, Bill aveva cominciato a comportarsi molto più maturamente riguardo la sua condizione di padre solo e, a detta di Axel, le sere a piangere abbracciato a suo figlio erano notevolmente diminuite.
Anche in quel momento, di fronte a quel film puramente romantico e visionario, Bill manteneva un'espressione seria e indifferente, come se la storia non lo toccasse minimamente, ma solo Tom poteva sentire il dolore che stava provando.
La sua preoccupazione, ora, era quella di trovare qualcosa da fare per il giorno di Natale, anche se non erano credenti, ma soprattutto per il compleanno di Axel che sarebbe caduto proprio il giorno dopo, il 26 dicembre.
Georg e Gustav avevano organizzato un giorno completamente dedicato alle loro ragazze, cosa che ormai era diventata un'abitudine e neanche sembrava che abitassero sotto lo stesso tetto. Avevano, però, promesso che sarebbero stati presenti assieme a Katirne e Nicole per il compleanno di Axel.
Tom mosse le gambe, giusto per distrarre il gemello dal film e portare la sua completa attenzione su di lui e cambiò canale, già stufo di quel film.
"Senti, cosa vuoi fare per Natale?" domandò, ma già sapeva quale sarebbe stata la risposta di suo fratello. Un chiaro: niente. Totalmente comprensibile, dato che quattro anni prima aveva festeggiato il suo ultimo Natale in una stanza d'ospedale, con altre persone sconosciute, il suo gemello, i suoi migliori amici e la sua ragazza in procinto di partorire. Il giorno dopo stringeva tra le braccia il dono di Natale più bello che avesse mai ricevuto, ma a un prezzo estremamente troppo alto.
"Sono quattro anni che non festeggi il Natale..." si affrettò ad aggiungere Tom vista l'espressione del gemello "Axel dovrebbe divertirsi."
"Axel si divertirà il giorno del suo compleanno..." tagliò corto Bill, lasciando intendere che aveva intenzione di chiudere quella conversazione sul nascere. "Perché hai girato?"
Il moro si sporse dal suo posto ed afferrò il telecomando dalle mani di Tom.
"Lo so, ma non pensi che magari in centro facciano qualcosa? Posso provare a chiedere alla mamma, lei sa sempre tutto!" Tom rise, ma il gemello non lo imitò.
"Non ho intenzione di uscire di casa, Tomi, quindi non chiedere niente né a mamma e né a nessun altro! Non abbiamo mai festeggiato il Natale, non vedo perché dovremmo iniziare proprio ora!"
"Per Axel?" Azzardò Tom spazientito. Come faceva il suo gemello ad essere tanto sciocco? Lo conosceva da una vita intera, persino meglio di sé stesso, ma allo stesso tempo era l'unica persona che a volte non riusciva proprio a capire.
Bill lo guardò per un istante interminabile, come se stesse riflettendo sulle sue parole.
"Festeggeremo il suo compleanno come abbiamo sempre fatto." Rispose semplicemente.
Ed ecco qual'era il problema. Non fare niente per cambiare le cose. Tutti gli anni Bill non organizzava mai nulla di speciale per il compleanno di Axel, ma solo una cena con Simone, Gordon, Gustav, Georg e David. Nell'aria non si respirava per nulla un'atmosfera di gioia e festa e l'unico bambino con cui il figlio aveva piacere di conversare era il figlio undicenne di David, che quell'anno non sarebbe stato presente perché era con la famiglia a Berlino.
Il motivo era chiaro e ora Tom sapeva che il bambino aveva rivelato al padre di sentirsi in colpa per la morte della sua mamma. Anche se Bill ora parlava molto di più con Tom riguardo alla brutta sorte che lo aveva visto protagonista, l'enorme ostacolo dalla morte della sua ragazza il giorno stesso del compleanno di Axel era qualcosa di estremamente duro da superare.
"Forse dovremmo fare qualcosa di un tantino diverso... per lui, per farlo uscire un po'. E anche per te, non credi?" Bill si voltò verso il gemello e lo guardò confuso.
"Che intendi dire?" Domandò.
"Dovresti staccare un po'. Sei un buon padre, Bill, ma ciò ti obbliga a fare doppia fatica. Non vuoi riposarti? Staccare un attimo?"
"Axel non è un lavoro, Tomi!" Sbottò il gemello scaldandosi un po' "sono suo padre! Non posso staccare un po', come dici tu!"
"Lo so, Bill, non volevo dire questo! Ma non esci mai se non per andare a lavoro o durante i tour. Potresti..."
"No!" Fu la risposta secca di Bill "T-Te ne ho già parlato se non mi sbaglio. Non riesco più a uscire come prima dopo domani non è solo il compleanno di Axel e lo sai bene!"
"Ma come fai a incontrare nuove persone se non superi questo problema? Lo devi affrontare, Bill!"
"Non voglio conoscere nuove persone, Tom..." rispose Bill guardando il gemello dritto negli occhi "mi bastate tu ed Axel! Non ho intenzione di avere un'altra storia." Urlò avendo già intuito il pensiero del suo gemello.
"Bill..."
"Per favore, Tomi, non ne parliamo più, ok? Sto così bene in questo periodo! Perché vuoi farmi star male?"
"Ma sei scemo!" Gridò Tom lasciando scivolare le sue gambe da quelle di Bill "come ti salta in mente che io voglia farti..."
"Grazie, Tomi!" Il gemello si avvicinò a lui interrompendolo e gli diede un bacio sulla guancia, cogliendolo alla sprovvista e abbracciandolo.
"Che cosa fai?" Domandò Tom arrossendo, ma ricambiando timidamente l'abbraccio.
"Vado a dormire, ok? Ho promesso ad Axel di tornare subito e non mi sento sicuro a lasciarlo da solo in camera. Ci vediamo, domani, ok? Buonanotte, Tomi."
Così dicendo Bill si alzò dal divano e corse in camera lasciando il suo gemello ancora sbalordito davanti alla TV.
Che diavolo...? Pensò, ma si diede la sua risposta da solo. Suo fratello era estremamente bravo a fuggire di fronte a un problema e dalle cose che non gli piacevano.
Estremamente bravo...
Tom poggiò imbronciato lo sguardo sulla televisione e vide di nuovo il film di poco prima, Evidentemente Bill aveva girato su lì quando si era appropriato del telecomando e stavano discutendo.
La scena rappresentava una ragazza che piangeva di felicità mentre stringeva tra le braccia un bambino appena nato. Forse Tom si era sbagliato. Aveva aperto solo il suo cuore con lui, ma non sembrava minimamente disposto a cambiare le cose.
E ciò gli faceva ancora più male di quella ragazza che, anche solo per finzione, aveva avuto la gioia di abbracciare per la prima volta il suo bambino.
Tom spense la televisione e rimase a riflettere e dopo pochi minuti si addormentò, pensando a un modo per convincere Bill a fare qualcosa di diverso per Natale. Per aiutarlo a far tornare le cose come erano state prima della sua morte e a farlo tornare, finalmente, a vivere.

***



Quando Tom Kaulitz aprì gli occhi, la mattina dopo, si ritrovò sdraiato supino sul divano con il telecomando in una mano e un pacco regalo nell'altra.
Tom tastò quello strano oggetto per qualche secondo, poi sentì improvvisamente una manina che gli accarezzava il braccio e una vocina soffocata che lo chiamava.
"Zio Tomi?" Constatò dal tono di voce scocciato del bambino che era già da parecchi secondi che ripeteva il suo nome.
"Zio Tom! Papà, lo zio non si sveglia!" Mormorò infine e dopo poco sentì la voce familiare del suo gemello che rideva. "Axel, lascia stare lo zio! Torna qui!"
Axel obbedì. Tom sentì la manina che lo stava accarezzando sparire e credendo di stare ancora sognando, si voltò dall'altra parte del divano e strinse il misterioso oggetto, piuttosto morbido, che teneva in mano.
Aprì gli occhi, troppo curioso, e fu improvvisamente sommerso da delle voci confuse che provenivano dalla cucina. Socchiuse gli occhi investiti dalla luce del sole che proveniva dalla finestra e quando li riaprì vide che si trovava supino sul divano nel salotto di casa sua. Come uno sciocco, la sera prima si era addormentato sul divano e non appena la sensazione del sonno iniziò a diminuire sentì di nuovo il fracasso che proveniva dalla cucina. Di chi diavolo erano quelle voci?
Sì alzò assonnato e guardò in giro per il salotto, constatando l'ora tarda e scoprendo, vicino alla televisione, un piccolo albero di Natale e parecchi regali sotto di esso. Lui, dal canto suo, scoprì di stringere tra le mani un pacco grande quanto il suo braccio avvolto in una carta rossa con un bigliettino che diceva: per zio Tomi. E sotto una faccina sorridente. Tom sorrise riconoscendo la calligrafia improvvisata di Axel e si alzò dirigendosi verso la cucina, ancora insospettito da quegli strani eventi.
Non appena varcò la porta d'ingresso otto paia di occhi si soffermarono a guardarlo e Tom si sentì come sotto esame e leggermente spaventato. Quando diavolo erano arrivate tutte quelle persone?
"Tomi!" Fu la voce del suo gemello a svegliarlo completamente e ancora prima che Bill su fu avvicinato a lui, Tom aveva già capito il motivo di quella confusione.
"Buon Natale!" Il moro aprì le braccia e lo strinse forte. Era da quando si era alzato quella mattina che desiderava farlo e non appena lo aveva visto addormentato sul divano, aveva sorriso rimandando quel momento a più tardi. Con il figlio aveva preparato l'albero di Natale e dopo un'ora erano arrivati Georg e Gustav, con Katrine e Nicole per mano, poi sua madre e il suo patrigno accorsi per fare gli auguri ai due gemelli.
"Buon Natale, Bill..." mormorò sfiorando appena le spalle del gemello, poi pian piano fu sballottato da una persona all'altra, augurando un buon Natale a Georg e Gustav, alla madre, che sorrise felice nel vederlo finalmente sveglio, a Gordon e baciando sulla guancia Katrine e Nicole che per l'occasione erano entrambe vestite di rosso.
"Dite un po', vi siete messe d'accordo?" Domandò Tom ridendo.
"No!" Rispose Nicole divertita "ci siamo stupite anche noi!"
Tom rise e poi si sedette sul tavolo con ancora il regalo in mano. Sapeva che aveva dimenticato qualcuno e, guardando il gemello divertito, finse di non ricordare chi fosse.
"Ma chi è che ancora non mi ha fatto gli auguri?" Domandò corrucciando la fronte pensieroso e un bambino comparve all'improvviso ai suoi piedi.
Era vestito con un completino fin troppo familiare e guardandolo di primo impatto sembrava uno dei gemellini Kaulitz all'età di quattro anni.
"Manco io..." sibilò il piccolo battendo un piedino per terra. "Ci sono anch'io, zio!"
Tom si alzò dalla sedia fingendo di non vederlo e si guardò attorno. "Bill, ma dove si è cacciato Axel?" Domandò non riuscendo a trattenere un largo sorriso.
"Chi lo sa..." rispose Bill sorridendo.
"Sono qui, zio! Non mi vedi? Zio? Dormi ancora?" Urlò il bambino sull'orlo di scoppiare a piangere.
Tutti scoppiarono a ridere e Tom non riuscì più a portare avanti quella sceneggiata, così prese il nipotino tra le braccia e lo sollevò in aria felice.
"Eccolo! Buon Natale, Axel!" Esclamò baciandolo sulle labbra "Scusa, non ti aveva riconosciuto. Ti avevo scambiato per Bill da piccolo! Colpa tua, nonna, che gli hai messo questo orribile completino che mettevi a me e a Bill da piccoli il giorno di Natale!" Sbottò verso la madre.
"Te l'avevo detto, mamma, che a Tom non sarebbe piaciuto!" Rise Bill e Simone guardò i suoi due figli imbronciata.
"Oh state zitti, eravate due angioletti! Perfettamente identici! Non sapeva riconoscervi nessuno!"
"Sì!" esclamarono in coro i gemelli "ti piaceva vedere la faccia di zia Lena che non sapeva mai a quale gemello rivolgersi ed evitava di parlare solo con uno di noi!" Continuò Bill mentre Axel giocava con il piercing al labbro dello zio e lo riempiva di baci e nonna Simone faceva un vago gesto con la mano, non nascondendo l'antipatia che provava per la sua sorella maggiore.
"Zio!" Continuò poi Axel scendendo dalle braccia di Tom "questo è il tuo regalo!" Prese il pacco rosso che Tom aveva lasciato sul tavolo per abbracciare il nipote e glielo sventolò davanti agli occhi.
"Me lo hai messo tu tra le mani allora!" Commentò Tom.
"Sì!" Rispose Axel.
"Ha fatto tutto da solo, vero tesoro?" Esclamò Bill, mentre il figlio si affrettava a correre verso di lui reclamando un abbraccio.
"Sì!" Rispose rifugiandosi timidamente tra le braccia del papà.
"L'ha incartato e ti ha scritto il bigliettino!"
Tom guardò il pacchetto e per poco gli dispiacque aprirlo. Anche se era fatto male, chi sa quanto tempo c'era voluto per incartarlo.
Scartò la carta con molta cautela, attento a non strapparla, e una volta che riuscì a vederne il contenuto sorrise felice.
"Un pupazzo!" Esclamò sorridendo.
"Sì!" Gridarono in coro Axel e Bill, che era eccitato quanto suo figlio. "Lo zio versione pupazzo!" gridò Axel contento e guardò lo zio per studiarne ogni sua reazione.
In effetti il pupazzo era proprio identico a lui. Era un leoncino con un cappello della New York in testa, cucito in malo modo, e delle treccine nere che spuntavano ribelli. Sembrava un barbone.
"Grazie, Axel!" Rispose Tom ridendo, immaginandosi mentre cuciva (perché aveva solo quattro anni, ma ne era capace) accanto al padre che lo aiutava preoccupato.
"L'ho fatto anche a papà! Papà, farglielo vedere!" Simone afferrò il pupazzo che Bill aveva scartato poco prima e lo passo al figlio.
"Grazie, mamma!" Bill lo fece vedere a Tom e questo rise. I due leoncini erano identici, tranne per il fatto che quello di Bill aveva i "capelli" sparati in aria. Il piccolo Axel non aveva apportato alcuna modifica a quel pupazzo per renderlo uguale a Bill.
"Belli..." commentò Tom sorridendo "bravo, piccolo!" Tom baciò il nipotino tra le braccia di Bill e il bambino sorrise, felice che il suo regalo fosse piaciuto allo zio.
Ora quello a cui Tom doveva pensare era far uscire Bill di casa quel giorno.
"Mamma, che fanno in centro oggi?" Sbottò quando tutti si furono seduti, qualche minuto più tardi, e Bill era concentrato a sistemare il completino di Axel. Il moro smise improvvisamente di fare quello che stava facendo ed Axel notò che le mani del padre stavano tremando.
Simone parve sorpresa della domanda che gli era appena stata posta e guardò il figlio un po' stupita.
"Bhe ci sono i soliti mercatini di Natale, amore. Io e Gordon ci andremo. Non vi abbiamo detto niente perché..." la frase le morì in bocca e cadde un improvviso silenzio. Nella testa di tutti i presenti balenò un solo nome. Quel nome che era impronunciabile in presenza di Bill.
"N-Non verremo comunque..." sbottò il moro d'improvviso cominciando con mani sempre più tremanti ad abbottonare la giacchetta di Axel.
"Perché no, papà? Axel vuole andare al mercatino con la nonna!" Sbottò il piccolo dopo un po' e Bill lo fisso negli occhi come se avesse detto una parolaccia.
"No, non ci andrai! Fine della storia!" Rispose secco il genitore voltando il capo dove nessuno potesse vedere la sua espressione.
"Axel non ha mai visto i mercatini di Natale, Bill..." sbottò Simone d'improvviso "ce lo porto io. Te lo riporto a casa presto!"
"No, mamma, non ho alcuna intenzione di passare il Natale senza mio figlio! Inoltre non è necessario farlo uscire con questo freddo!"
"Non fare lo stupido!" Rispose Tom alzando la voce "il problema non è Axel! Il problema sei tu!"
Gli occhi di tutti i presenti si posarono su di lui e Tom li ignorò. C'era un solo modo per far ragionare suo fratello ed era quello di fargli affrontare la realtà! Doveva accettare una volta per tutte che lei non c'era più.
"se..." cominciò ignorando gli sguardi della madre che lo intimava a tacere.
"Non pronunciare il suo nome!" Lo ammonì Bill di colpo, mentre una lacrima rigava il suo volto avendo intuito per tempo cosa volesse dire Tom.
Axel alzò il capo verso il padre e poi verso lo zio. Gli piaceva quella strana alchimia che c'era tra loro, quella telepatia che faceva finire uno le frasi dell'altro o che li aiutava a capirsi solo con uno sguardo. Spesso gli sembrava di avere due papà, ma quando erano sul procinto di litigare seriamente lui lo capiva subito e non gli piaceva per nulla. "Non urlare, papà..." commentò il piccolo e Bill chinò il capo verso di lui. Riusciva sempre ad intuire quando qualcosa tra i due gemelli non andava, perché di colpo quella strana alchimia... spariva.
"Se tu vuoi rimanere a casa, non costringere anche Axel!" Tom prese il piccolo per una mano e lo trascinò verso di sé.
"Mamma, quando avete intenzione di andare?" Sbottò verso la madre.
"Nel pomeriggio, ma, Tom, che cosa...?"
"Che diavolo fai? Lascialo andare!" Sbottò Bill arrabbiato cercando di prendere suo figlio per mano, ma Tom glielo impedì. I presenti guardavano i gemelli intimoriti non sapendo che fare.
"Tu, ora, mi ascolti! Non puoi continuare a tenerlo chiuso in casa per sempre! Ha quattro anni, Bill, non c'è niente là fuori che te lo porterà via!"
"Tu non capisci!" Urlò Bill disperato. Il solo pensiero di passare il Natale, anche solo per un'ora, lontano da Axel lo faceva star male e non solo. Litigare con Tom gli faceva ancora più male, perché come al solito gli prendeva un fortissimo dolore allo stomaco ogni volta che qualcosa tra loro non andava bene. "Non sai cosa vuol dire!"
"Lo so benissimo, invece! Sono il tuo gemello, cazzo!" Rispose Tom nervoso sbattendo una mano sul tavolo con violenza, facendo trasalire Axel e gli altri, ma soprattutto Bill.
"Ragazzi, adesso basta!" S'intromise Simone mentre prendeva in braccio Axel che aveva iniziato a piangere. Il piccolo rifugiò il viso tra i capelli della nonna. Simone guardò i suoi due figli con disappunto.
"Vi sembra il caso di litigare davanti a lui? E' Natale un po' di contegno!"
Bill chinò il capo nascondendo le lacrime e Tom lo guardò fisso, stavolta preoccupato.
Certo che capiva! Come poteva non capire quel dolore che suo fratello provava da quattro anni? Il dolore di Bill era il suo dolore! Lui poteva sentire tutto, ogni cosa che non andava in Bill, come se la stesse provando anche lui.
"Mi dispiace..." sussurrò e si sedette mentre in cucina calava il silenzio, interrotto solo dai singhiozzi di Axel.
Bill rimase fermo in piedi ed indietreggiò fino alla porta d'ingresso per poi dileguarsi e correre in camera sua. Si sentì una porta sbattere con violenza e Tom sussultò come se qualcuno gli avesse sbattuto la porta sul naso.
"Non è così che dovevi affrontare l'argomento, Tom." Pronunciò Georg sedendosi accanto a lui.
"Lo so..." rispose Tom apparentemente calmo, ma dentro di lui provava una rabbia contro sé stesso che se avesse potuto, sarebbe tornato indietro e avrebbe cambiato l'approccio con cui si era rivolto al gemello.
"Ho provato a parlargli ieri sera..." continuò "ma non c'è stato verso di farlo ragionare."
"Ha bisogno di tempo." Esclamò Georg.
"Sono passati quattro anni!"
"Allora gliene devi dare di più!" Rispose il bassista.
Tom si portò una mano in volto afflitto e rimase immobile in quella posizione finché non sentì di nuovo quella manina che gli accarezzava con delicatezza il braccio. Era stato proprio quel tocco delicato ad averlo svegliato quella mattina. Si sentì in colpa a pensare che Axel ora stava piangendo per colpa sua.
"Zio Tomi..." esclamò la vocina triste di Axel, mentre Tom lo prendeva in braccio e gli asciugava con la mano le due grosse lacrime che gli avevano solcato il viso.
"Papà è triste per la mamma, vero? Perché lei non è qui con noi, vero?" Domandò guardandolo negli occhi.
"Sì, Axel, un po'." Rispose Tom onestamente. Non aveva segreti per suo nipote e lui doveva capire che cosa stava accadendo.
"Axel non lo ha fatto arrabbiare, vero? Vuole andare al mercatino, ma se papà non vuole voglio restare a casa con lui! Non voglio che papà rimanga solo!" Il piccolo poggiò il capo sul petto di Tom e questi li baciò i capelli delicato.
"No, non rimarrà solo..." rispose "vuoi fare una cosa?" Gli domandò poi sorridendo.
Axel annuì.
"Vai da papà. C'è solo una persona che vorrebbe vedere in questo momento..."
"Sono io?" Sussurrò Axel sorridendo e indicandosi.
"Certo!" Rispose Tom e il piccolo scese dalle sue gambe correndo in camera del padre. Bussò alla porta e attese che Bill rispondesse. La risposta non arrivò ed il piccolo aprì piano la porta entrando nella stanza buia.
"Papà?" Domandò un po' impaurito, ma si fece coraggio e avanzò nell'oscurità. Sentì dei singhiozzi soffocati provenire dal letto e si diresse verso quello, salendo con un po' di fatica e arrivando gattoni accanto al viso del padre.
Come aveva immaginato stava piangendo. Il trucco che si era messo quella mattina appena sveglio era già colato sulle guance.
"Papà, non piangere..." esclamò Axel prendendo il suo fazzoletto dal taschino e asciugandogli il viso.
Bill lo fissò per un secondo e gli sembrò di avere di fronte un ometto già cresciuto. Eppure suo figlio aveva solo quattro anni! Doveva essere proprio disperato in quel momento.
"Sai che cosa ha sognato Axel stanotte, papà?" Domandò con un sussurro il bambino quando si sdraiò accanto a lui.
"Cosa?" Domandò Bill imponendosi di non piangere davanti a suo figlio.
"Il principe William che cercava la stella magica per il suo principino. Eravamo in una foresta brutta e zio Tom era il servo, zio Hagen il mago e zio Klaus il cavaliere che mi proteggeva dagli animali feroci! E' vero, papà! E' stato un sogno bellissimo!" Sbottò il bambino battendo le mani e Bill scoppiò a ridere . Apprezzava il tentativo del bambino di tirargli su il morale.
"L'hai trovata alla fine, la stella magica?" Domandò poi sorridendo. Improvvisamente non aveva più voglia di piangere. Guardando Axel capì che non doveva superare la sua paura solo per sé stesso, ma anche e soprattutto per suo figlio. Era una delle tante responsabilità che aveva acquisito quando era diventato padre di quella meravigliosa creatura.
"No..." rispose Axel dopo un interminabile attimo di silenzio. Sembrava stesse pensando alle parole giuste da usare. "Mi sono svegliato prima..." aggiunse.
Bill lo prese tra le braccia e lo baciò sulla fronte. Non aveva intenzione di rovinarsi il Natale e rovinarlo anche a suo figlio, Lui aveva inventato quella "stella magica" e lui doveva cercarla per far guarire suo figlio. Ma non era solo Axel quello che aveva bisogno di guarire.
Ripensò alle parole di Tom e d'improvviso capì cosa era giusto fare. Affrontare la realtà! Era questo quello che Tom voleva da lui. Ed immediatamente si pentì di aver pronunciato quelle parole verso di lui. Conosceva il dolore di Tom come se fosse il suo ed era una cosa che capitava sin da bambini. Il suo gemello era forse l'unica persona che lo capiva veramente.
"Vuoi andare al mercatino con la nonna?" Sussurrò all'orecchio di Axel.
"Solo se vieni anche tu..." rispose il bambino.
Bill sorrise e di alzò uscendo dalla camera e prendendo il bambino stretto tra le braccia, mentre si dirigeva in cucina. Guardò Tom per un istante e neanche si accorse che gli altri si erano riuniti in salotto, dove aspettavano i gemelli e il piccolino.
Tom trasalì quando lo vide sulla soglia della porta e si alzò impacciato dalla sedia. Come aveva pensato, mandare Axel dal suo gemello aveva funzionato.
"B-Bill..." balbettò nervoso "s-stai bene?"
Bill chinò il capo e poggiò Axel a terra prima di rispondere.
"Quattro anni fa, proprio qui, le avevo promesso di portarla al mercatino di Natale..." esclamò e con determinazione cacciò indietro le lacrime. Tom non aveva mai saputo quel dettaglio o non avrebbe mai cercato di convincere il suo gemello ad andarci.
"Bill... non... non lo sapevo!" Esclamò sorpreso che per la prima volta in tutta la sua vita non sapeva qualcosa che riguardava il suo gemello.
"E' morta esattamente due giorni dopo..." sussurrò Bill ed Axel chinò il capo avendo intuito che il soggetto di quella frase era la sua mamma.
"Bill..."
"Devo mantenere la promessa, no?" Sbottò poi il moro con un sorriso. Il suo volto non irradiava gioia, ma si vedeva lo sforzo immane che cercava di fare per non scoppiare a piangere.
"Se ci porto Axel è come se ci portassi lei... in più... ho bisogno di uscire, vero?"
Tom lo guardò negli occhi e provò un irresistibile voglia di abbracciarlo. Invece si avvicinò a lui e gli diede una pacca sulla spalla.
"Giusto!" Pronunciò "andremo a mangiare fuori, così ti abitui alla confusione e poi andremo al mercatino. Vedrai, Bill, sarà una bella giornata e il nostro ometto di divertirà!"
Tom sorrise e anche Axel mentre guardava il genitore speranzoso in una risposta affermativa e ansioso di passare quella giornata appena descritta da Tom.
"Ok..." rispose Bill.
"Sì!" Urlò Axel felice "vado a dirlo alla nonna!" Sbottò come se avesse letto nel pensiero dei due gemelli. Bill lo guardò allontanarsi e finalmente poté lasciarsi andare. Tom chiuse la porta e lo fece sedere.
"Hai fatto la cosa giusta. Andrà tutto bene!" Lo rassicurò.
"Non è solo oggi. Io... non voglio che arrivi domani, Tomi... non ce la faccio!" Articolò Bill tra i singhiozzi. Era la prima volta che lo diceva.
"Bill, certo che ce la fai! Andrà tutto bene!" Ripeté Tom deciso.
Il gemello alzò lo sguardo e lo guardò con un'espressione triste, ma speranzosa.
"Dove, dove vuoi portarlo?" Domandò leggendo nello sguardo del fratello una strana scintilla.
"Tu fidati di me. Sarà una sorpresa. Ora vai a lavarti la faccia e non preoccuparti, non vi accadrà nulla fin tanto che ci sono io, Bill. Passerete tutti e due una giornata magnifica, sia oggi che domani. Promesso!"
Bill annuì e senza aspettare oltre si precipitò tra le braccia del suo gemello.
Menomale che aveva Tom. Menomale che non era nato da solo vent'uno anni prima. Gli capitava spesso di pensarlo da quando Axel era venuto al mondo.
"Grazie, Tomi..." sussurrò mentre le braccia di Tom, stavolta, lo stringevano forte.

***



Quando, verso mezzogiorno, Georg, Gustav e Gordon si allontanarono da casa con le rispettive donne al seguito, Bill e Tom si stavano preparano per uscire, mentre Axel metteva sotto l'albero i regali della nonna, di Georg, di Gustav e quello che David gli aveva spedito da Berlino.
Il piccolo Axel scartava i suoi regali il giorno dopo Natale, che era il giorno del suo compleanno, ma già in quel momento aveva una sfrenata voglia di aprire un regalo che aveva particolarmente attirato la sua attenzione. Non era molto grande ed era stato spedito da Andreas qualche giorno prima da Parigi, dove si trovava con degli amici per festeggiare il Natale.
"Axel?" Tom lo chiamò dal divano e il bambino si avvicinò a lui a passo svelto. Il moro sembrava tremendamente agitato mentre Axel si dirigeva verso di lui.
"Papà è molto nervoso..." iniziò Tom quando prese il piccolo per un braccio e lo avvicinò a sé "quindi devo aiutarmi a farlo stare tranquillo, ok?"
"Sì, zio." Rispose Axel confuso "ma a me sembra che tu sei più nervoso di lui."
Tom gli scoccò uno sguardo perplesso. "Tu dici?" Chiese preoccupato e Axel scoppiò a ridere.
"Corri a prepararti, non vorrai venire così!" Sbottò poi lo zio lasciando perdere l'argomento.
"A me piace il completino che mi ha regalato la nonna! Era del mio papà!" Rispose il bambino sbattendo un piede a terra e per un attimo Tom ebbe l'impressione di rivivere un episodio della sua infanzia. Rise e cominciò a sistemargli la giacchetta che Axel si era di nuovo slacciato. Sapeva quanto fastidioso potesse diventare dopo un po'. All'improvviso notò, all'interno del completino, quell'inconfondibile macchia d'olio che lui stesso aveva lasciato un Natale di parecchi anni prima.
Chinò il capo e sorrise mentre con la mente tornava a quel giorno.
"E' stato Bill a sporcarmi!" Esclamò il bambino continuando a sgualcire le maniche e i pantaloncini del suo completino e a slacciare uno a uno i bottoncini della giacca.
"Non è vero! Se tu non sei capace a mangiare non è colpa mia!" Ribatté il suo gemellino nello stesso identico completino che a lui invece stava divinamente. I due bambini erano identici: stessi vestiti, stesso taglio di capelli, stessi occhi nocciola e stessa espressione confusa e arrabbiata sul volto, mentre si davano la colpa a vicenda.
"Tu mi hai preso dentro il braccio! Se mamma lo scopre mi sgrida. Mi sono già sporcato di sugo i pantaloni!"
"Non è colpa mia! Non l'ho fatto apposta!"
"Bill, non urlare..." esclamò la voce candida e delicata di una bambina di fronte a loro, che osservava tristemente i due gemelli che litigavano. Aveva un bellissimo vestitino lilla che gli arrivava fino alle ginocchia e dei meravigliosi boccoli dorati raccolti in una mezza coda ornata di un bellissimo nastro dello stesso colore del vestito. Con un gesto delicato della mano prese quella di Bill tra le sue e posò i suoi occhi azzurri su di lui.
Contrariamente a tutti gli altri amichetti della loro età che i due gemelli avevano conosciuto all'asilo, quella bambina era l'unica che riusciva a riconoscerli nonostante fossero identici.
"E' stato Bill!" Commentò di nuovo il piccolo Tom imbronciato guardando con occhi tristi la macchia d'olio sulla sua giacca.
La bambina li guardò con un sorriso e sentì quella loro strana alchimia che accumunava i suoi due amichetti dissolversi improvvisamente. Non voleva vedere i due gemelli litigare, così prese la mano di Tom e la unì tra le sue a quella del gemello.
"Non litigate. Ho un'idea. Cosa ne dite di scambiarvi la giacca? Così la vostra mamma penserà che è stato Bill a sporcarsi di olio e non ti sgriderà come ha già fatto per i pantaloni, Tom."
"Sei un genio!" Gridò Bill contento. Non voleva che il suo gemello venisse sgridato di nuovo ed era più che disposto a prendersi la sgridata al posto suo.
"Io ti sposerò un giorno!" Continuò il bambino e Tom scoppiò a ridere assieme alla bambina dalla comicità di quelle parole.
"Che cosa?" Domandò Bill offeso.
"Sei buffo!" Rispose l'amichetta "io ho solo quattro anni per pensare al matrimonio, ma ci posso pensare!"
Tom scoppiò a ridere ancora più forte e ancora si divertiva quando effettuò lo scambio con la giacca del gemello.

"Zio Tomi?"
La voce di Axel lo riportò al presente e chiuse e riaprì gli occhi ritrovandosi di nuovo ventunenne e suo nipote di fronte agli occhi.
"Stai bene? Sei diventato bianco!" Esclamò il bambino piegando leggermente la testa da un lato e Tom annuì in silenzio e allacciando la giacca di Axel.
"Tieni pure questo..." sentenziò infine e si alzò guardandosi intorno nervoso, come se stesse cercando qualcosa di importante.
"Eccomi, sono pronto!" Sbottò Bill Kaulitz uscendo dalla sua camera e facendo il suo ingresso in salotto. Indossava un paio di jeans aderenti che evidenziavano la magrezza del suo corpo e un giubbottino arancione sopra una maglietta nera a maniche corte. Aveva tirato su i capelli con abbondante lacca e aveva messo un filo quasi invisibile di matita nera intorno agli occhi. Il suo viso era perfettamente identico a quello di Tom, erano uno la copia dell'altro, ma vestiti in due modi completamente diversi. Infatti Tom portava un paio di pantaloni extralarge e una maglietta arancione due taglie più grande .
Axel li guardava stupito, notando la perfetta somiglianza tra i due gemelli, e di nuovo pensò di avere due padri. "Vi siete messi d'accordo?" Domandò indicando la maglietta di Tom e il giubbottino di Bill.
"Ehm... no!" Risposero all'unisono i gemelli con la stessa espressione confusa sul volto.
"Tutto bene, Tomi? Sei pallido!" Bill si avvicinò a Tom un po' preoccupato e questi lo rassicurò con un sorriso non volendo per nessun motivo al mondo raccontare al gemello l'episodio che gli era appena tornato in mente.
"Tutto benissimo!" Rispose con un sorriso "possiamo andare!" Il moro prese il giubbotto di Axel e cominciò a vestirlo mentre Bill si infilava il suo un po' restio.
"Tomi... non credo di riuscire a farlo." Esclamò d'improvviso.
"Non fare lo stupido!" Gli rispose Tom mentre si infilava anche il suo giubbotto "non stiamo facendo niente che non hai già fatto. Si tratta solo di festeggiare il Natale."
"E' proprio questo il problema!" Il gemello stava di nuovo cercando di non affrontare quel grosso ostacolo e Tom lo sapeva benissimo. Perché mentre parlava sentiva il suo dolore e la sua ansia.
"Bill, lo stai facendo per Axel..." mormorò Tom e i due gemelli posarono il capo sul bambino che aveva deciso di non ascoltare la parole del papà e giocava con il cellulare finto che gli aveva regalato Katrine.
"Hai aperto il regalo della zia Katrine!" Sbottarono i due gemelli all'unisono ed Axel nascose l'oggetto dietro alla schiena spaventato. "Non è stato Axel!" Esclamò e Bill e Tom scoppiarono a ridere.
"Allora?" Domandò poi Tom guardando con decisione il suo gemello, che teneva lo sguardo ancora puntato su suo figlio. Nonostante tutto non voleva costringerlo a fare qualcosa che lo avrebbe fatto star male.
"Non so come tu faccia a farmi sembrare le cose sempre migliori di quello che sono." Gli rispose Bill in tono dolce con un lieve sorriso sul volto.
"Me lo chiedo anche io a volte! Dai, andiamo!"
Uscirono di casa con un sole che splendeva alto nel cielo, insolito in quel periodo di dicembre, ma Bill certo non poteva giudicare dato che non usciva di casa da quando avevano fatto il loro primo concerto a Tokyo.
"Tutto a posto?" Gli domandò Tom una volta che furono in cammino mentre entrambi stringevano Axel per mano, che si divertiva sfruttare i gemelli come un'altalena.
"Credo di sì." Rispose Bill guardandosi intorno e osservando la neve che giaceva ancora sui lati della strada. Non era poi così male come si aspettava e l'ansia, ad ogni passo che faceva, sembrava diminuire. Ma nonostante tutto non sentiva l'atmosfera natalizia che caratterizzava le altre persone intorno a lui. Alcuni vicini di casa si dirigevano al mercatino, tra cui Sarah per mano al suo fidanzato e ai due fratellini gemelli, li salutarono calorosamente e Bill fu quasi imbarazzato.
"Portate Axel al mercatino?" Domandò Sarah con un sorriso e i gemelli annuirono contemporaneamente mentre Axel gridava di gioia nel rivedere Peter e Ronny.
"Allora ci incontreremo lì." Nonostante fosse estremamente educata e non volesse farlo intendere, si leggeva chiaramente lo stupore sul suo volto nel vedere i due gemelli e Axel insieme fuori il giorno di Natale.
"Sì!" Rispose Tom, di fronte al silenzio imbarazzato del gemello "prima pranzeremo a quel nuovo ristorante."
Sarah sorrise rivelando che la trovava un'idea fantastica. Presentò loro il suo fidanzato e prima di andare via non mancò di osservarli con estrema attenzione.
"Sapete, non avevo mai notato quanto siete uguali!" Esclamò e, stavolta, entrambi i gemelli chinarono il capo imbarazzati non sapendo che cosa rispondere.
"Buon Natale, ragazzi. Buon Natale, Axel!" Aggiunse la ragazza sorridendo ed Axel si sporse per lasciarle un tenero bacio sulla guancia, così come fece Tom e, un po' più imbarazzato, Bill.
La ragazza di allontanò e i due gemelli rimasero ad osservarli per un po' prima di riprendere a camminare.
"Sei stato muto come un pesce prima!" Osservò Tom "Che ti prende?" Non nascondeva di essere molto preoccupato per il suo gemello e cominciava a pentirsi di averlo portato fuori quella mattina. Per tutto il viaggio verso il ristorante Bill era stato taciturno e l'unico che si era divertito era sembrato essere Axel, che si chinava ogni tanto a raccogliere la neve da terra e lanciarla addosso ai due gemelli.
Avevano trovato un posto vuoto per pura fortuna al ristorante, dato che non avevano avuto il tempo di prenotare, e una volta a tavola e aver avvertito Axel di fare il bravo, Bill osservò il gemello, che gli aveva appena posto la domanda, con un sorriso. "Non ricordavo che fosse così bella..." rispose con un sussurro.
Tom ed Axel scoppiarono a ridere seguiti da Bill. Poi arrivò la cameriera, prese le ordinazioni e li lasciò di nuovo soli. Il posto era carino e anche se tutti li avevano riconosciuti come i gemelli Kaulitz dei Tokio Hotel, nessuno ancora li aveva disturbati per autografi o cose simili.
Il pranzo passò in modo molto piacevole per tutti e tre. Axel si divertì a raccontare allo zio e al papà le sue ultime giornate all'asilo, prima che si ammalasse, e sembrava che quel giorno stesse molto meglio rispetto alla sera prima. La tosse era sparita del tutto.
Raccontò delle due bambine di cui si era "innamorato" e chiedeva allo zio Tom di aiutarlo a scegliere quale sposare tra le due.
Bill guardò il gemello con un'espressione poco rassicurante e Tom preferì accantonare l'argomento e parlarne in privato con il nipote negli anni a venire.
"Provaci e ti ammazzo!" Lo avvertì il gemello come se gli avesse letto nel pensiero e Tom scoppiò a ridere.
La giornata stava trascorrendo nel migliore dei modi e Bill sembrava addirittura divertirsi mentre Axel parlava e finalmente passava un po' di tempo con lo zio e il papà in completa salute. E proprio quando erano già arrivati alla seconda porzione una ragazza si avvicinò al loro tavolo e guardò Bill meravigliata.
"Bill! Non ci posso credere, sei Bill?" Chiese spalancando la bocca per la sorpresa e sia Bill che il suo gemello si voltarono immediatamente verso di lei, credendola l'ennesima fan in cerca di un autografo o una fotografia con loro.
Ma non fu così. La sorpresa fu talmente grande che Bill si alzò dalla sedia per guardarla meglio sotto gli occhi stupiti di Tom che lo guardava confuso.
"Elena!" Esclamò Bill meravigliato e si sporse per abbracciarla e augurarle buon Natale. Erano cinque anni che non la vedeva.
"Mi hai riconosciuta!" Osservò la ragazza mentre ricambiava gli auguri con un abbraccio e un bacio.
"Beh... ma sono anni che non ci vediamo! Come... stai?" Domandò Bill incredulo e si voltò verso Tom sorpreso che lui non l'avesse riconosciuta.
"Bene! Ma tu? Diavolo sei cambiato un sacco! Non ho più avuto notizie di te! Ammetto che non guardo per nulla la televisione e ho sentito il vostro nome alla radio due o tre volte, ma nulla di più. Come sta andando il successo?"
"Benone!" Risposero in coro i gemelli ed Elena, che sembrò aver notato Tom solo in quel momento, si sporse per salutarlo nello stesso modo con cui aveva salutato Bill. Axel era rimasto in silenzio e a capo chino quando la ragazza gli scompigliò i capelli augurandogli buon Natale.
"Che bell'ometto. Vi somiglia molto, davvero! Avete avuto un fratellino, eh?" Esclamò contenta e sia Bill che Tom si guardarono in volto sorridendo.
"A dir la verità... lui è mio figlio Axel." Bill prese il bambino per mano intimandolo ad avvicinarsi. Il piccolo si rifugiò vicino al padre mentre Elena lo guardava un po' incredula e visibilmente stupita da quella rivelazione.
"Tu-Tu hai la mia età, vero?" Pronunciò divertita e Bill rispose affermativamente altrettanto divertito.
"E tu quanti anni hai?" Chiese ad Axel.
"Domani ne faccio quattro..." rispose il bambino timidamente.
Elena sgranò gli occhi sorpresa.
"Non me lo aspettavo, davvero..." confessò "e-e la madre?" Domandò e Bill si incupì subito mentre Tom era sul procinto di rispondere. "E'..."
"La mia mamma è una stella!" Lo interruppe Axel rialzando il capo e nascondendo la timidezza.
Elena sembrò confusa.
"Sua madre non c'è più..." si affrettò ad aggiungere Bill con un sorriso triste.
La ragazza sembrò sconvolta, avendo intuito fin troppo bene l'identità della madre di Axel e rimanendo completamente senza fiato nell'apprendere che era morta.
"No... lei è... quando?" Sembrava che i suoi occhi si fossero riempiti di lacrime.
"Domani sono quattro anni..." sussurrò Bill ed Elena dovette sedersi ancora scossa. Fece un sorriso che non aveva nulla a che vedere con la felicità e guardò Bill dritto negli occhi. "Facevo bene ad essere gelosa di lei, allora? Non ne sapevo nulla... Insomma, sapevo che vi eravate messi insieme, ma... non la sentivo da quel giorno... m-mi dispiace davvero."
Bill le mise una mano sulla spalla comprendendo chiaramente le parole della ragazza. Elena era stata la sua prima ragazza all'età di sedici anni, esattamente qualche mese prima di mettersi assieme a quella che aveva creduto per anni semplicemente la sua migliore amica. Con lei aveva passato momenti stupendi ed era sicuramente stata il suo primo amore, ma fino a quando aveva fatto chiarezza nel suo cuore e aveva capito di amare un'altra persona. Il problema era che questa persona non era solo la sua amica d'infanzia, ma anche la migliore amica di Elena. Le due avevano avuto un brusco distacco quando Bill aveva deciso di lasciarla per mettersi con lei e da allora non si erano più sentite ed Elena aveva capito il motivo di quel silenzio da parte di quella che era stata l'unica vera amica che avesse mai avuto. Era disposta a dimenticare tutto, lo aveva già fatto da tempo anche se non era mai riuscita a contattarla per dirglielo, ora che lei era morta.
Guardò Axel e gli occhi le si riempirono di lacrime, ma le trattenne non volendo mostrarsi così debole di fronte al suo ex ragazzo.
"Stai bene?" Gli domandò Bill preoccupato.
"Sì..." rispose lei "mi ha fatto davvero piacere rivedervi e anche conoscere Axel." Si alzò dalla sedia e guardò il bambino sorridendo mentre questo gli si avvicinava timidamente. "Conoscevi la mia mamma?" Chiese prendendole la mano ed Elena sorrise "certo! Era la mia migliore amica..." rispose ed Axel sembrò illuminarsi a quelle parole.
"Davvero? Papà, hai sentito?" Il piccolo tirò una manica del giubbotto di Bill e questi lo prese in braccio, ma non rispose.
"Io devo andare... il mio ragazzo mi sta aspettando." Pronunciò poi Elena con un sorriso rivolto a tutti e tre, ma si leggeva chiaramente il dolore che stava provando in quel momento.
"Ci possiamo rivedere?" Chiese timidamente. Bill la guardò stupito e si affrettò ad aggiungere "non un appuntamento! E' solo che... vorrei che tu mi raccontassi come è successo, se per te non è un problema."
La ragazza sembrava davvero supplichevole mentre Bill guardava suo fratello preoccupato. Quello, pensò Tom, era un buon modo per affrontare una volta per tutte il dolore che Bill aveva covato per anni dentro di lui.
"Certo." Rispose Bill avendo intuito il pensiero del gemello.
"Questo è il mio numero." Esclamò Elena tirando fuori una penna e un foglio. "Ho cambiato casa, perché ora convivo. Chiamami presto, per favore." Guardò Bill con tanta tristezza che persino a Tom gli si spezzò il cuore.
"Certo." Rispose Bill con un sorriso "buon Natale, Elena." Anche se non sembrava il contesto più giusto per farle gli auguri. Lei aveva appena scoperto che la sua migliore amica era morta.
"Buon Natale!" Esclamò Axel reclamando un bacio ed Elena gli sorrise avvicinandosi a lui e baciandogli una guancia. Era così dolce!
"Grazie, Bill. Ciao Tom, ciao, Axel." E così dicendo se ne andò.
Bill fece scivolare Axel dalle sue braccia, che tornò a sedersi al suo posto, e si risedette anche lui al suo, fino poco prima occupato da Elena.
"Bill, era la tua ex? Stai bene?" Domandò Tom preoccupato mentre Axel giocava con il cibo che gli era appena stato servito dalla cameriera. "papà, voglio parlare con lei, posso?" Chiese poi speranzoso.
"Ne riparliamo! Ora, non giocare con il cibo!" Lo rimproverò Bill e il bambino smise.
"Bill?" Insistette Tom e il gemello lo guardò con occhi lucidi.
"Non credevo che l'avrei rivista. Come faccio a raccontarle tutto?"
"Non sei costretto." Gli rispose Tom "piuttosto, come faceva a non sapere nulla?"
"Non l'ho mai chiamata, ma credevo che lo avesse saputo in qualche modo. Magari non abita più qui. Non saprei. E' cambiata molto, vero?"
"Già." Rispose il gemello con un sorriso. Forse parlare con Elena avrebbe fatto solo del bene a Bill e questo lo sapeva anche lui, nonostante avesse molta paura di farlo.
"Ha capito subito che era lei la mamma di Axel..." aggiunse Bill sorridendo.
"Vi siete lasciati perché tu avevi scelto lei, Bill. E si vedeva che la vostra relazione sarebbe durata."
"Tu dici?" Il moro alzò due occhi lucidi verso di lui, accompagnati da un sorriso orgoglioso. In effetti, lei era sicuramente la donna con cui avrebbe voluto crescere Axel e passare il resto della sua vita.
Tom annuì e non toccarono più l'argomento per il resto della giornata. Una volta terminato il pranzo avevano raggiunto Simone e gli altri al mercatino e tutti erano parsi emozionati nel vedere Bill ed Axel insieme che parlavano e osservavano le bancarelle. Ma Simone aveva notato qualcosa che non andava in su figlio e Tom le aveva raccontato dell'incontro con Elena. Simone era d'accordo con il figlio nel sostenere che un colloquio con lei avrebbe solo giovato a Bill. Ma allora stesso tempo tutti avevano paura che un ricordo così radicale avrebbe aperto quelle vecchie ferite nel cuore di Bill, che Tom aveva in parte rinchiuso con troppa fatica.
Non rimaneva che aspettare e vedere come si sarebbero evolute le cose.
Una volta tornati a casa, i gemelli si richiusero la porta alle spalle e con essa gli avvenimenti di quella giornata.
Bill teneva in braccio Axel addormentato e Tom si sdraiò sul divano stravolto. Dopo il mercatino avevano cenato da loro madre ed Axel aveva passato un po' di tempo con i nonni e per tutto il pomeriggio non aveva fatto altro che parlare di quanto gli piacesse Elena, e poi verso mezzanotte erano tornati a casa.
Bill si sedette sul divano e si appoggiò allo schienale mentre Axel continuava a dormire beato con la testa poggiata sul suo petto.
"Sta bene?" Domandò Tom dopo un po'.
"Sì, niente febbre!" Sorrise Bill. Era quasi un miracolo pronunciare quella parole.
"Beh, Bill..." pronunciò Tom guardando il suo gemello così uguale a lui in ogni dettaglio che ebbe l'impressione di guardarsi allo specchio. "Buon Natale."
"Buon Natale, Tomi."
Tom si alzò dal divano e gli baciò la fronte e poi il capo di Axel che ancora dormiva. Per una frazione di secondo lo invidiò. E non solo perché poteva dormire.
"Mamma... non andare via..." pronunciò il piccolo s'improvviso e i gemelli si guardarono sorpresi.
"BUON NATALE, RAGAZZI!"
La porta d'ingresso si spalancò di colpo, dopo che la voce che aveva esclamato quelle parole ruppe il silenzio e la figura del migliore amico dei gemelli fece il suo ingresso infreddolita.
"Andreas!" Esclamarono in coro i gemelli ed Axel aprì piano gli occhi e guardò il ragazzo appena entrato.
"Zio Andy!" Gridò sorridendo dalle braccia del padre e dirigendosi verso di lui.
"Eccolo il mio nipotino! Vieni dallo zio che ti deve stritolare per bene! Mi sei mancato, campione!" Andreas lo prese in braccio e lo baciò un centinaio di volte sollevandolo in aria, prima di riportare l'attenzione sui gemelli che lo guardavano interrogativi.
"Hai fatto in tempo, allora! Non eri in luna di miele?" Commentò Tom ridendo.
"Fai poco lo spiritoso, Tom Kaulitz, ancora non sono riuscito a conquistare Julia, ma manca davvero poco! Ho lasciato i miei amici a Parigi per essere qui in tempo per il compleanno di Axel! A proposito..." guardò l'orologio. Erano le 12.30. "Auguri, piccolo mio!" E baciò di nuovo Axel sulle labbra mentre il piccolo lo abbracciò stretto. Bill e Tom fecero lo stesso, poi Axel tornò tra le braccia del papà che lo riempì di baci tra le risa divertite del bambino. Poi fecero tutti e quattro silenzio e dopo un po' Axel si addormentò di nuovo.
Bill lo portò a letto e poi tornò in sala. Nessuno dei tre proferì parola. Non c'era bisogno di dire nulla. Nella testa di tutti e tre c'era lo stesso identico pensiero. I tre si diressero in cucina e Tom stappò una bottiglia di spumante riempiendo tre bicchieri e passandone uno al gemello, uno al migliore amico e uno per sé. Era una tradizione ormai da tre anni quella.
"A mia sorella!" Pronunciò Andreas e tutti bevvero con le lacrime agli occhi.

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Capitolo 4
*** Quarta Storia: Axel e la Stella Magica (Seconda Parte) ***


Shining Star



Axel e la Stella Magica (Seconda Parte)



Era il 26 dicembre del 2006 quando Bill Kaulitz, seduto vicino al letto d'ospedale della sua ragazza, le stringeva forte la mano e le parlava cercando di tranquillizzarla. Erano le 9.00 del mattino e i dottori avevano affermato con estrema sicurezza che Tobias sarebbe nato proprio quel giorno. Era solo questione di minuti, oppure ore, e nel caso in cui le acque non si fossero rotte, avrebbero fatto di tutto per farlo nascere prima di sera.
"Come ti senti?" Le bisbigliò Bill all'orecchio baciandole la fronte sudata. Erano passati due giorni da quando era entrata in ospedale e i dolori erano stati davvero forti. E il peggio era che non facevano altro che aumentare.
"Stanca..." rispose la ragazza sorridendo e Bill la baciò dolcemente sulle labbra.
"Sta tranquilla, Toni. Tra poco sarà tutto finito. Tobias sarà presto tra le tue braccia."
Toni sorrise allettata da quel pensiero e poggiò una mano sul suo ventre, dove il bambino riposava. Non vedeva l'ora che nascesse, di stringerlo tra le braccia e cullarlo come aveva sempre fatto con i suoi cuginetti appena nati. Aveva solo diciassette anni, ma in quei nove mesi aveva imparato ad amare più di sé stessa il bambino che portava in grembo e voleva fare di tutto per essere una buona madre. Anche se la cosa la spaventava parecchio era disposta a tutto per avere suo figlio.
Doveva resistere ancora per poco e poi sarebbero tutti tornati a casa con una grande gioia. Non poteva nascondere, però, di avere anche una grande paura.
"Vuoi davvero chiamarlo Tobias?" Domandò con una voce stanca mentre si rigirava nel letto per mettersi comoda e cercava di distrarsi dal pensiero del parto.
"Ne abbiamo già parlato, amore..." rispose Bill "e hai acconsentito!"
"Ma Axel è un nome molto più bello e suona meglio come primo nome. Non sembra il nome di un cane per lo meno!" Toni rise e lo stesse fece Bill.
"Lo metteremo come secondo nome come avevamo deciso... promesso!" Esclamò Bill solennemente.
"Fammi vedere le mani!" Ordinò Toni e Bill obbedì.
Toni fece un sorriso stanco e Bill prese ad accarezzarle piano la fronte.
"Dov'è mio fratello?" Chiese dopo un po' sistemandosi nel letto ancora una volta. La pancia gli dava sempre fastidio quando stava sdraiata per molto tempo.
"Sta arrivando assieme a Tomi... saranno qui tra poco. Hai bisogno di una mano?" Lei gli sorrise e annuì rincuorata e Bill la aiutò a mettersi seduta.
Nonostante le contrazioni fossero ancora molto distanziate tra loro, segno che il bambino non era ancora pronto per nascere, Toni aveva avuto un brutto svenimento alla vigilia di Natale e in ospedale avevano preferito tenerla sotto osservazione. Il giorno di Natale aveva iniziato ad avere le prime contrazioni, ma ancora non era stata portata in sala parto, in quanto non era abbastanza dilatata e le acque non si erano ancora rotte.
"Così va meglio?" Le domandò.
"Sì, grazie, tesoro. Sai a cosa sto pensando?" Gli disse mentre sulle sue labbra affiorava l'ombra di una piccola smorfia. Probabilmente in quel momento stava avendo una contrazione abbastanza forte.
"A cosa?" Domandò Bill prendendole la mano e poggiando l'orecchio sulla pancia della ragazza. Gli piaceva ascoltare il battito del cuore del bambino e sembrava che il gesto rilassasse molto anche Toni, che prese ad accarezzargli i capelli dolcemente.
"Che Andreas e Tom siano molto più nervosi di noi!" Lei rise e Bill la imitò poggiandosi sullo schienale della sedia esausto. Non aveva chiuso occhio quella notte ed era rimasto ad osservare preoccupato Toni che dormiva.
"Lo penso anche io..." rispose ridendo "Tom non fa altro che ossessionarmi. Però gli ha comprato dei completini stupendi!"
"Anche Andreas. Tutte le sere poggia l'orecchio sulla mia pancia come hai fatto tu poco prima. Non vede l'ora che nasca. Pensavo che fosse qualcosa che riguardasse il suo carattere iperprotettivo, ma a quanto pare è tipico dei gemelli!" Toni rise mentre Bill confermava annuendo con vigore. Toni ed Andreas erano gemelli eterozigoti e, anche se non erano gemelli identici, come Bill e Tom, la somiglianza tra loro era molto accentuata e il loro rapporto era molto stretto. Spesso a Toni capitava di pensare che non avrebbe mai potuto crescere e vivere senza di lui. Nonostante a volte fosse una testa calda, riusciva sempre a metterla di buon umore e a farla ridere ed era stata una delle prime persone che era venuto a sapere dei sentimenti che provava per Bill. Il suo gemello l'aveva consolata quando aveva scoperto che il suo migliore amico si era messo insieme alla sua migliore amica, e sostenuta quando aveva iniziato, dubbiosa, una relazione con lui.
Su quel campo Bill e Toni si comprendevano perfettamente, perché entrambi avevano un gemello e tutte e due sapevano che cosa significasse in una storia d'amore. Era una delle tante cose che avevano in comune.
"Sei stanco, Bill?" Domandò poi la ragazza preoccupata notando il suo viso segnato dalla stanchezza.
"No, sto benissimo!" Mentì Bill per rassicurarla "tu dovresti dormire. Hai un aspetto orribile."
"Grazie è davvero carino da parte tua!" Rise Toni e finalmente Bill la vide sorridere per qualche istante. "Ma forse hai ragione. Mi sento molto stanca e anche strana... rimani qui con me, ok? Dì a mio fratello di svegliarmi quando arriva. Ho voglia di vederlo."
"Certo, amore, ora riposa..." Toni lo guardò e gli fece segno di avvicinarsi. Lo baciò sulle labbra e rimase a guardarlo negli occhi per qualche secondo. Aveva la terribile sensazione che quella sarebbe stata l'ultima volta che vedeva il suo volto.
"Bill... se dovesse succedermi qualcosa... tu... promettimi che ti prenderai cura del nostro bambino, va bene?"
"Non dire sciocchezze, Toni!" La rimproverò Bill spaventato solo all'idea "non ti succederà niente, non devi avere paura. Lo cresceremo insieme... chiaro?"
Toni lo fissò e sorrise. Com'era bello quando era preoccupato. "Ok..." rispose passando con un dito il contorno delle sue labbra. "Ti amo, Bill."
"Ti amo anch'io, Toni." Bill le sorrise e lei si addormentò e dopo neanche cinque minuti si sentirono delle risa in lontananza e il moro capì subito a chi appartenevano.
Si alzò per accoglierli alla porta e quando Andreas e Tom furono entrati fece segno loro di abbassare la voce.
"Il tuo gemello dice ti tacere!" Sussurrò Andreas a Tom, che non appena fu entrato in camera, si ritrovò letteralmente le braccia del fratello attorno al collo. Ora che c'era Tom con lui si sentiva molto più calmo e rilassato e lasciò andare tutta la stanchezza di quel giorno.
"Bill che c'è?" Chiese Tom preoccupato "stai bene?"
"Non ho chiuso occhio stanotte." Rispose mentre Andreas si avvicinava ai due gemelli angosciato.
"I medici ti hanno detto qualcosa? Come sta Toni?"
"Sta bene, è solo un po' stanca... ma fa discorsi strani... mi ha chiesto di prendermi cura di Toby se... non voglio neanche pensarlo. Andrà tutto bene, vero ragazzi?"
"Lo sai com'è mia sorella!" Cercò di rassicurarlo Andreas con un sorriso "sta tranquillo, Bill, è troppo ansiosa. Ha chiesto di me?"
"Sì, dice di svegliarla perché vuole stare un po' con te. Hanno detto che il bambino nascerà sicuramente oggi. Sono teso."
"Tra poco sarai padre, stupido! Che c'è da essere tesi?" Scherzò ridendo e sembrò molto più sollevato quando si sedette vicino alla sorella e le prendeva la mano. Lei aprì piano gli occhi e gli sorrise mentre Andreas le accarezzava i capelli. "Come stai, scema?" Lo sentirono sussurrare e Bill rise.
Tom portò il gemello accanto alla finestra massaggiandogli la parte interna del gomito. Lo tranquillizzava sempre in qualche modo.
"Ora calmati, Bill. Andrà tutto bene!" Gli sussurrò Tom e il gemello si staccò da lui sedendosi sulla sedia libera accanto a loro. Tom sapeva fin troppo bene l'ansia che stava provando e non era l'unico. Toni non era mai stata una ragazza fisicamente forte e la gravidanza non era stata per niente facile per lei. Il parto era l'ultimo traguardo da affrontare.
"Ragazzi, chiamate un dottore! Svelti!" Gridò Andreas d'improvviso e i gemelli trasalirono.

***



Bill Kaulitz aprì gli occhi improvvisamente e la prima cosa che vide fu una debole luce provenire dalla porta leggermente aperta della sua camera. Come ti abitudine ogni volta che si svegliava guardò la sveglia sul comodino accanto a lui. Erano le 9.30 del mattino.
Si mise seduto e fece un respiro profondo trovandosi inaspettatamente sudato e con il fiatone.
Axel stava dormendo di fianco a lui tranquillamente e dopo essersi calmato un po', si alzò dal letto e si ritrovò in corridoio per cercare Tom. Non sapeva per quale motivo, ma aveva bisogno di vederlo. Lo trovò in cucina seduto al tavolo assieme ad Andreas che rideva con l'amico mentre facevano colazione. Non appena intravide il suo volto si calmò all'istante e il respiro tornò regolare. Rivolse un sorriso ad entrambi e si sedette accanto a Tom versandosi una tazza di caffè appena fatto.
"Ehi, Bill!" Esclamò Andreas appena lo vide "che faccia! Tutto ok?"
"Sì certo..." rispose meccanicamente. Non si capiva dal suo tono di voce se stava mentendo o era la verità. Quello che provava in quel momento era un mistero anche per il suo gemello.
"Come mai ridavate?" Domandò bevendo un sorso di caffè e cercando di scacciare dalla mente il motivo di quell'agitazione improvvisa di cui certamente Tom e Andreas non si erano accorti.
"Andy mi stava raccontando delle sue uscite con Julia." Rispose Tom e l'amico confermò annuendo con vigore.
"E' mia, Bill!" esclamò e il moro scoppiò a ridere rischiando quasi di strozzarsi, divertito dal suo tono di voce. Era da più di un anno che il suo migliore amico cercava di conquistare quella ragazza, ma ogni volta che era sul punto di farcela sbucava un nuovo amore o lei lo voleva esclusivamente come amico. Ora però sembrava che Julia stesse finalmente cedendo a quel corteggiamento che durava da così tanto tempo.
"Axel dorme?" Domandò poi Andreas bevendo anche lui il suo caffè.
"Sì. Era molto stanco ieri sera. Siamo andati in giro tutto il giorno..."
"... e lui certo non era abituato." Concluse Tom con disinvoltura. Ormai era quasi diventata un'abitudine e un riflesso incondizionato concludere le frasi che iniziava il suo gemello.
"Davvero? Dove siete andati?" Domandò l'amico ai gemelli stupito.
"Al mercatino di Natale con nostra madre e Gordon e poi abbiamo cenato da lei." Rispose Tom sentendosi un pochino orgoglioso di sé stesso. Ora mancava solo quella giornata da trascorrere e con Andreas aveva già pianificato tutto. Dato che Bill era uscito per Natale non sarebbe stato difficile portarlo fuori anche quel giorno.
"Davvero, Bill, tu ed Axel siete usciti?" Domandò il ragazzo stavolta rivolto solo a Bill.
"Sì." Confermò questi "non fare quella faccia sorpresa!" Il moro scoppiò a ridere e lo stesso fecero Tom e Andreas divertiti.
"Piuttosto, Tom, che cosa hai in mente di fare oggi?" Domandò con disinvoltura al gemello.
"E qui ti voglio, Tom Kaulitz!" Sbottò Andreas "Racconta al nostro Bill il piano!"
Bill non seppe se avere paura di fronte al tono dell'amico e lo guardò perplesso "Andy mi fai paura..."
"Lo so me lo dice anche Julia a volte, sai?" I tre scoppiarono a ridere e poi Tom rispose alla domanda del sui gemello. "Abbiamo prenotato in un posto carino. Diciamo che sembra un ristorante esclusivamente per bambini. Ci sono un sacco di giochi e persone competenti che controllano i bambini al posto tuo."
"Ne abbiamo già parlato, Tomi!" Sbottò Bill infuriato.
"Calmati!" Esclamò Andreas "Ora sei tu che fai paura! Abbiamo parlato con i dipendenti e addirittura con con le mamme di altri bambini. Non sai quanti bambini compiono gli anni oggi! Andrà tutto bene, Bill. Staremo con lui durante tutto il pranzo e se vorrà giocare potrai risposarti e non stargli sempre dietro."
"Per me non è un problema stargli dietro! Anzi, soprattutto oggi, ho bisogno di stare con lui." Rispose Bill chinando il capo e così fecero Tom e Andreas, entrambi pensando a Toni. Era proprio verso quell'ora che erano iniziati i problemi quattro anni prima. Si era svolto tutto in tre ore e la loro vita era completamente cambiata.
"Quando saremo lì potrai fare come vorrai, Bill." Concluse Tom con un sorriso "Non sei obbligato a lasciarlo con gli animatori."
"Bene, così va meglio." Rispose il moro sorridendo.
"Sono felice di rivederlo..." esclamò d'un tratto Andreas. Il suo tono di voce e la sua espressione erano notevolmente mutati rispetto a pochi minuti prima. "Mi è mancato davvero tanto."
"Anche lui è contento!" Esclamarono in coro i gemelli poggiandogli contemporaneamente una mano sulla spalla.
"Bill, però quando aprirà il mio regalo non metterti a piangere, ok?" Il moro lo guardò un po' confuso e spostò lo sguardo verso il suo gemello, come per chiedergli spiegazioni. Ma la faccia di Tom faceva intendere che persino lui era all'oscuro di tutto.
"Ok..." rispose ritirando la mano e Andreas l'afferrò subito sorridendogli. "Allora, Tomi mi ha raccontato che avete visto Elena." Esclamò.
"Già!" Esclamò Bill "Non sapeva nulla..."
"Ovvio! Non gli ho detto niente!" Rispose Andreas con un tono ostile.
"Perché?" Gli chiese Tom "Era la sua migliore amica..."
"Quale migliore amica ti abbandona per un motivo così futile? Mia sorella ci ha sofferto troppo e lei aveva ripromesso di non parlarle mai più! Diffida da quella ragazza!"
"Andreas, tu non ragioni obbiettivamente..." lo rimproverò Tom.
"Al diavolo!" Fu la risposta dell'amico "fate come volete, ma io quella non ho alcuna intenzione di rivederla! Perché ne stiamo parlando?"
"Sei tu che l'hai nominata!" Rispose brusco Tom.
"Ok, basta!" Sbottò Bill dopo un po' portando le mani avanti "devo parlarvi di Axel..."
I due tacquero all'istante e guardarono Bill preoccupati.
"L'altro giorno gli ho raccontato una storia e lui l'ha sognata!" Sbottò. Andreas lo guardò quasi arrabbiato. Credeva che non fosse per niente rilevante, ma Tom non la pensava allo stesso modo.
"Quella della stella magica?" Chiese Tom e Bill annuì. Avevano accennato ad Andreas il motivo per cui la copertina del nuovo album rappresentava una stella con il nome di Axel e il ragazzo chinò il capo ancora un po' confuso.
"Mi spiegate?" Tom gli raccontò la storia e poi Bill continuò.
"Non so se era solo un sogno onirico o cos'altro. Però ieri sera, Tom, lo hai sentito anche tu! Forse la stava sognando."
"E' comprensibile, Bill." Rispose Andreas "ora che comincia a capire e tu gli hai raccontato la verità, capiterà più spesso. Ma non devi preoccuparti; è un bambino sveglio. E ha un padre fantastico!"
"E due zii meravigliosi!" Terminò Bill con un sorriso e Tom e Andreas sorrisero un po' imbarazzati per il complimento appena ricevuto.
Non appena finirono la colazione e riordinato la cucina, Axel si svegliò e, assieme agli zii e al papà, aprì i suoi regali di compleanno. Saltò al collo dei due gemelli con un urletto felice non appena scartò un set di pastelli a cera e un quaderno per disegnare. Ultimamente Axel si era appassionato al disegno e non appena fosse diventato più grande, quei pastelli gli sarebbero serviti molto.
Scartò il regalo di David, un triciclo che fece la felicità del bambino; quello di Gustav e Nicole, un'automobile giocattolo con la quale Axel giocò per tutta la mattinata e volutamente lasciato per ultimo quello di Andreas, dato che quello di Georg e Katrine lo aveva già aperto il giorno prima.
Scartò la carta con cautela e il piccolo chiese l'aiuto del suo papà perché il pacchetto era troppo pesante e ben incartato per farcela da solo.
Quando la carta fu sparita completamente gli occhi di Bill si riempirono di lacrime, ma si ricordò le parole dell'amico quella mattina e si trattenne dallo scoppiare a piangere.
Era un portafoto con una bellissima cornice viola con dei fiori finti incollati sopra. Il piccolo lo prese delicatamente dalle mani tremanti del suo papà e lo contemplò in silenzio.
La foto rappresentava Bill che rideva felice mentre guardava e stringeva tra le braccia una ragazza bionda che teneva una mano poggiata delicatamente sul suo vente rigonfio, stretta a quella di Bill. Aveva un viso bellissimo e un sorriso che Axel non aveva mai visto. L'unica donna con cui parlava e che vedeva era la sua maestra all'asilo e la sorella dei due gemellini a cui si era affezionato.
"E' la mia mamma..." pronunciò in un sussurro e non era una domanda.
"Sì..." confermò Andreas "e qui dentro..." indicò al bambino la pancia di Toni "ci sei tu."
"Davvero?" Domandò Axel stupito, mentre una piccola lacrima scendeva timidamente sulla guancia. Tom guardò il suo gemello e vide che anche lui aveva il viso contornato di lacrime. Gli prese la mano e continuò a fissare la foto tra le mani di Axel. Quel contatto fece sentire Bill subito meglio, come se un getto d'acqua fresca lo avesse svegliato da un coma profondo, e si asciugò una lacrima sorridendo.
"Certo..." rispose. Non aveva alcuna intenzione di piangere.
"Ma, ma come facevo a stare in un posto così piccolo?" Il bambino portò la fotografia più vicino agli occhi, come si aspettasse di vedere spuntare il suo viso sotto la pancia della sua mamma.
"Eri molto più piccolo di ora." Rispose Bill e Tom si meravigliò della forza che il gemello stava mostrando in quel momento.
"Ma la mia mamma era felice di portarmi dentro di lei? Mi sentiva?"
"Certo... sai, mamma non abitava con me e zio Tomi, ma con zio Andy... ma quando veniva qui mi faceva sempre poggiare l'orecchio sulla sua pancia e io sentivo i tuoi calci e il tuo cuoricino. La mamma era felice di portarti in grembo, mi diceva sempre che era una gioia che io non avrei mai potuto comprendere nonostante mi sforzassi tanto quando ascoltavo il tuo cuoricino per quei pochi secondi."
"Ma... ma la mamma sapeva che poi Axel l'avrebbe uccisa?" Domandò il bambino stavolta alzando lo sguardo verso Bill e guardandolo molto tristemente.
Andreas si stupì di sentire quelle parole e stava per rispondere che non era vero, immaginando che il suo amico non avrebbe trovato la forza, ma Bill lo batté sul tempo.
"Tu non hai ucciso la mamma." Disse tranquillamente. Aveva sempre immaginato che quel giorno sarebbe arrivato e ne aveva sempre avuto paura, ma ora che tutto si stava svolgendo, e il suo grande incubo si stava avverando, si accorse di essere calmo. Stringeva ancora con forza la mano del suo gemello.
"Lei ti amava intensamente e avrebbe fatto di tutto per te! Persino dare la sua vita per salvarti! Ed è quello che ha fatto. Non è stata colpa tua, Axel. Lei ha fatto una scelta. E ha scelto te." Il cuore di Bill si riempì di nostalgia e tristezza mentre pronunciava quelle parole e molti anni dopo ripensando a quel momento a mente fredda, si rese conto che se la mano di Tom non avesse stretto la sua in quel momento, si sarebbe perso nella disperazione e nel ricordo. Toni aveva scelto la vita di suo figlio e quella scelta aveva cambiato radicalmente la vita di Bill.
"Tu non mi odi allora?" Chiese il piccolo scoppiando a piangere, come se tenesse quella domanda, che era la più importante di tutte, alla fine per paura di saperne la risposta.
Allungò le mani e corse ad abbracciare il suo papà.
"Certo che no, piccolo mio!" Rispose Bill cercando di non cedere proprio in quel momento. "Nessuno ti odia per quello che è successo! Sei la luce del tuo papà, ricordalo sempre." La luce che lo aveva salvato da quello che fu il periodo più buio della sua vita.
Il bambino annuì, baciò la guancia del suo papà e catturò una lacrima tra le minuscole ditina.
"Sempre!" Gridò felice e sia Andreas che Tom, anch'essi commossi, scoppiarono a ridere.
Quel dono era stato forse il più bello che Axel avesse mai ricevuto e non solo quel giorno, ma per il resto della sua vita. Conservò quella foto come l'unico ricordo che aveva di sua madre e l'unica foto dove loro erano insieme nello stesso posto e nello stesso istante. Toni era viva. E il sorriso che portava sul volto mentre accarezzava indirettamente il suo bambino, lo aiutò sempre ad andare avanti nei momenti difficili ed ad essere felice. Ogni volta che la guardava era come se Axel sentisse quel delicato tocco sulla guancia.
Ora sapeva con certezza che la sua stella era veramente esistita e lo aveva messo al mondo a costo della sua stessa vita.
Quella stella aveva un viso. Un viso bellissimo.
"Come si chiamava la mamma?" Chiese come ultimo ma non meno importante dettaglio.
"To- si chiamava..." Bill esitò prima di pronunciare il nome e Tom gli prese nuovamente la mano. Aveva capito che era il suo contatto che gli dava la forza. "Si chiamava Toni." Completò Bill, e il suono del suo nome pronunciato dalla sua voce lo fece rabbrividire. Erano quattro anni che non lo sentiva. Non lo aveva mai pronunciato e aveva impedito a tutti i suoi famigliari, persino ad Andreas, di dillo ad alta voce in sua presenza.
"Toni..." ripeté Axel felice "mi piace..."

***



"E zio Tomi mi ha raccontato che aveva detto a papà che tu non esistevi!" Esclamò Axel mentre lui, Bill, Tom e Andreas erano in macchina diretti verso il ristorante dove Tom e Andreas avevano prenotato per festeggiare il compleanno di Axel.
Tom guidava e Bill era seduto accanto a lui sul sedile anteriore, mentre Andreas e il bambino su quello posteriore. Axel non aveva smesso di parlare da quando erano partiti.
"Oddio, me lo ricordo! E' stato lo scherzo meglio riuscito di tutti i tempi!" Confermò Andreas divertito da quel ricordo e Bill Kaulitz si voltò visibilmente innervosito. Da quando era uscito di casa si sentiva ancora più ansioso del giorno di Natale e forse non gli aveva fatto per nulla bene parlare di Toni con Axel. Non era sicuro di riuscire a superare quella giornata senza un attacco di panico. Mentre si voltava verso Andreas, notò immediatamente la perfetta somiglianza con Toni. Erano gemelli diversi, ma Andreas era la perfetta copia di Toni al maschile. Tutto nel suo volto ricordava la sorella e nella sua mente pensò che era stato proprio in quel esatto momento, alla stessa ora, che Toni era morta quattro anni prima.
Ebbe un sussulto. Ingoiò la saliva e fece fatica a respirare mentre intorno a lui improvvisamente tutto assumeva una tinta nerastra.
"Bill!" Esclamò Tom spaventato distraendosi dalla strada per un attimo.
"Sto bene!" Mormorò il moro rialzando lo sguardo verso l'amico, mentre il mondo riprendeva il suo colore naturale. "Non parliamo più di quella storia, ok?" Rispose ad Andreas come se nulla fosse successo e sia lui che Tom rimasero perplessi dall'accaduto. Forse portare fuori Bill quel giorno non era stata una buona idea.
Non appena arrivarono al ristorante ed ebbero parcheggiato la macchina, il gruppetto scese dall'automobile con Axel comodamente seduto tra le braccia di Andreas, mentre ancora si divertiva a raccontare allo zio gli avvenimenti di quel mese.
Il ristorante era un posto molto accogliente e come avevano detto Tom e Andreas, aveva un sacco di giochi per intrattenere i bambini.
Nonostante organizzasse feste di compleanno per bambini piccoli, molta gente mangiava senza essere accompagnate da piccole pesti. Evidentemente mangiare in un posto pieno di bambini che si divertivano stimolava anche le coppie più sole.
"Buongiorno!" Esclamarono in coro Andreas e Tom alla signorina del bancone e una volta rivelato il cognome, la ragazza gli mostrò il loro tavolo. Era vicino a uno di quegli enormi gommoni gonfiabili pieni di palline colorate.
"Wow! Grazie, zio Tomi. Grazie, zio Andy!" Esclamò Axel superando la signorina e guardando gli altri bambini giocare.
"Sicuro che è un ristorante?" Domandò Bill perplesso "Axel, non correre! Torna qui!"
"Non lo so con certezza!" Sorrise Tom "però è un bel posto, non trovi? Senti..." Tom lo prese per un braccio e lo bloccò arrestandosi di colpo. "Stai bene?" Domandò.
"Sì, non preoccuparti." Rispose Bill evasivo.
"Prima... ho sentito un vuoto allo stomaco mentre guidavo. Non riuscivo a respirare e tu eri pallido. Sei stato assente per parecchi secondi, Bill. Continuavamo a chiamarti, ma tu non rispondevi! Cosa ti è preso?"
Bill lo guardò quasi scioccato nello scoprire che suo fratello aveva provato la stessa sensazione che aveva provato lui. Aveva sentito il suo malessere e si era rispecchiato su di lui, come se lo stesse provando lui stesso. Capitava di rado che sentissero l'uno il dolore dell'altro, ma non così intensamente come era successo in auto poco prima. Dall'ultima volta che i gemelli erano stati male insieme erano passati quattro anni.
"Mi stai dicendo che hai avuto un malore contemporaneamente a me?"
"Non esserne sorpreso, Bill! Siamo gemelli!" Gli ricordò Tom e il moro annuì. Doveva stare più attento d'ora in avanti.
"Non ne sono sorpreso. E' solo che non è mai capitato per malesseri così brevi e leggeri."
"No, ma forse in questo periodo... cioè dopo la nascita di Axel, il nostro legame si è intensificato. Non so come spiegartelo, ma non è questo il punto! Vuoi tornare a casa?"
Bill alzò lo sguardo e sorrise. Sapeva benissimo che Tom sentiva la sua stessa ansia, come se fosse sua, ma Axel aveva il diritto di divertirsi, come lui stesso gli aveva detto il giorno prima.
E ormai si era gettato in acqua e valeva la pena nuotare.
"No..." rispose Bill "sono sicuro che tra poco mi passerà. Non preoccuparti, Tomi..." apprezzava il pensiero di Tom e sfiorò con cautela la mano che gli stringeva il polso per dimostrargli la sua gratitudine e Tom capì.
"Allora, papà, vieni o no?" Li intimò Axel dal tavolo e i due gemelli si diressero verso di lui con un sorriso.
"Ti piace, Axel?" Domandò Bill sistemando il tovagliolo sulle gambe del figlio. Non riusciva a stare fermo dalla contentezza.
"Sì, papà, grazie!" Rispose il bambino "Axel è molto felice!"
"Bene!" Pronunciò Andreas "e la giornata è appena cominciata!"
Quando iniziarono a mangiare Axel si abbuffò come se non avesse mangiato da settimane. Il cibo era buonissimo, così come il vino che servirono a tavola dopo la prima pietanza, e che Axel aveva insistito per assaggiare.
"No, Andreas!" Bill ammonì il suo amico ormai troppo tardi, perché il ragazzo ne aveva già versato un goccino nel bicchiere di Axel e il piccolo lo stava già bevendo, veloce come un felino.
"Sei pazzo?" Gli domandò Bill infuriato.
"Oh andiamo, Bill, non farla troppo lunga per un goccino di vino!" Tom aveva sorriso e Bill lo aveva guardato male. "Se non fossi suo zio ti avrei già mandato via!"
"Ma sono suo zio!" Andreas gli fece l'occhiolino e Bill si sentì ancora più furioso di prima.
"E' buono!" Gridò Axel contento "posso averne ancora?"
"No che non puoi! I bambini piccoli come te non possono bere il vino!" Sbottò Bill afferrando con decisione la bottiglia di vino dalle mani di Andreas.
"Bill, hai bisogno di rilassarti!" Rise Tom e Bill gli scoccò un'occhiata a dir poco terrificante. Dopo quella scena, l'umore di Bill sembrò migliorare e parve che l'ansia che aveva provato quel giorno fosse di colpo diminuita. Vedere Axel che si divertiva e parlava di quanto gli era piaciuto il regalo degli zii e del papà lo rendeva il ragazzo più felice del mondo. Il piccolo aveva insistito affinché si portasse dietro il regalo di zio Andy e infatti in quel momento Toni lo stava fissando con il suo volto sorridente dal centro del tavolo. Faceva uno strano effetto vedere quel volto che fino a pochi anni prima era stato vivo, che gli sorrideva, che baciava, che amava. E ora...
"Non vedo l'ora di usare i pastelli, papà! Mi insegni a colorare?" La voce acuta di Axel lo riportò alla realtà. Aveva appena ingoiato un grosso boccone di riso con le zucchine che era il suo preferito.
"Certo! Però papà non è molto bravo. Zio Andy ci pensi tu?"
"Ma ovvio!" Rispose Andreas sorridente. Il ragazzo si era diplomato al liceo artistico e frequentava l'università per diventare pittore. Era una passione che aveva avuto in comune con la sua gemella sin dalla nascita, ma purtroppo lei non aveva terminato la scuola. Si era ritirata quando aveva scoperto di essere incinta e avrebbe dovuto riprendere se Axel non le portava via troppo tempo e fatica. Ad Andreas piaceva pensare che stava studiano anche per lei. Che erano ancora una volta insieme.
"Gli piace disegnare?" Domandò a bassa voce verso Bill, mentre Axel aveva attaccato bottone con zio Tomi e gli raccontava un altro dei suoi innumerevoli episodi all'asilo.
"Sì è da un po' di tempo che non fa altro che disegnare e colorare. E' un bambino molto sveglio e Georg gli sta insegnando a scrivere."
"So scrivere il mio nome, zio!" Precisò il bambino "e zio Hagen dice che entro due settimane saprò scrivere bene. Però lui non è mai a casa ed è da un po' di tempo che non mi alleno più."
Andreas guardò i gemelli un po' confuso. "Scusate, ma voi che ci state a fare? Bella presenza?"
"Non mi trovo con loro!" Rispose il bambino prima che i gemelli potessero aprir bocca. "Axel vuole Georg e solo lui!"
"Capito?" Aggiunsero Bill e Tom all'unisono e Andreas si arrese. "Ok, ho capito!"
Bill scoppiò a ridere e involontariamente lo sguardo cadde di nuovo sulla foto che ora Axel stava stringendo tra le mani. Fu come tornare indietro nel tempo, essere catapultati con la mente in un altro anno, in quella che sembrava un'altra vita, ma era la sua.
Toni era sudata e faticava davvero mentre gli stringeva la mano più forte che poteva. Stava faticando più del normale e si vedeva e Bill cercava di consolarla accarezzandogli la fronte sudata. Dopo quelli che sembravano interminabili minuti, sentì il pianto debole di un bambino e Toni si appoggio al cuscino baciando la sua mano esausta.
"E' nato..." sussurrò Bill incredulo. Non poteva credere a ciò che stava accadendo. Tutto era finito. Suo figlio era nato.
Il dottore portò il piccolo tra le braccia della sua mamma e lei lo osservò per pochi secondi. Fu l'ultima cosa che vide. Come se fosse troppo stanca allentò la presa sul bambino e si accasciò al letto chiudendo gli occhi.
"Toni, è nostro figlio... Toni?" Bill aveva visto la ragazza immobile mentre il bambino aveva improvvisamente smesso di piangere.
Non riuscì ad immaginare che cosa stesse succedendo. Quello era stato solo l'inizio.

Come se improvvisamente tutta l'ansia che poteva contenere il suo cuore fosse esplosa, intorno a lui ridiventò tutto nero e stavolta sentiva un enorme macigno che gli impediva di respirare. Non era tornato solo con la mente a quel giorno, ma anche il suo corpo ci stava tornando, facendolo sentire esattamente come quattro anni prima. Era la prima volta che gli capitava.
Da quanto l'attacco era forte non aveva neppure notato che Andreas si sporgeva verso di lui per chiedergli se stesse bene.
Durò più a lungo della volta precedente e quando si riprese la sua prima preoccupazione fu Tom.
"State bene?" Esclamò Andreas preoccupato, mentre versava un po' d'acqua nei bicchieri di entrambi i gemelli. Tom annaspava ancora in cerca di ossigeno, mentre Bill beveva.
"Questo legame non mi piace..." sbottò Bill un po' spaventato.
"Mi dite che cosa succede?" Domandò Andreas spazientito. Anche Axel era preoccupato e si rifugiò tra le braccia del padre per assicurarsi che stesse bene.
"Io e Bill sentiamo le stesse cose..." fu l'onesta risposta di Tom ed Andreas rimase alquanto confuso.
"Che intendi dire?" Domandò.
"Intende dire..." proseguì Bill "che quando sto male lui, contemporaneamente sente ciò che mi turba." Spiegò il moro cercando di calmarsi. Stava ancora tremando.
"Sicuro che non vuoi tornare a casa, papà?" Domandò Axel tristemente.
"Certo che no!" Rispose Bill risoluto "per nulla al mondo mi perderei la tua festa! Devi divertirti! Tra poco starò bene."
"Ma forse è la mamma che non vuole che io festeggi il giorno della sua morte." Ribatté il piccolo.
"Non dire sciocchezze!" Lo ammonì Bill con un sorriso dolce "è solo che la mamma vorrebbe essere qui con noi..." ed anche io lo vorrei.
"Anche Axel..." si affrettò ad aggiungere il figlio.
Bill sorrise e lo baciò sulla guancia, facendolo sedere di nuovo al suo posto.
"Axel, rimani con zio Tom, io porto il tuo papà a prendere una boccata d'aria, ok?" Esclamò Andreas alzandosi da tavola e preso per un braccio Bill lo condusse fuori senza troppi convenevoli.
Non appena furono sotto il cielo bianco che minacciava una giornata di neve, si accese una sigaretta e iniziò a fumare nervoso.
"Andy, che hai?" Pronunciò Bill perplesso.
"Sputa il rospo!" Rispose l'amico rilasciando un'abbondante quantità di fumo.
"Che dici? Cosa...?" Balbettò Bill piuttosto confuso dallo strano comportamento di Andreas.
"Ti ha dato fastidio il regalo che ho fatto ad Axel, vero? Io... io volevo solo che vedesse sua madre. Toni ci teneva a questo. Sono sicuro che voleva che lo facessi... e Axel aveva il diritto di vedere sua madre. Lui..."
"Andreas!" Sbottò Bill interrompendolo e posandogli le mani sulle spalle. Non era lui, forse, quello che doveva sputare il rospo. "Calmati..." gli disse dolcemente "è stato il regalo più bello che potessi fargli... mi rammarico solo di non averci pensato io, ma... forse è ancora troppo presto per parlare di lei ad Axel. Forse il massimo che ho potuto fare è stato pronunciare il suo nome questa mattina, ma la foto che Axel ha voluto mettere sul tavolo... è stato troppo."
"Sei il solito stupido..." mormorò Andreas ridendo "queste cose basta dirle, Bill."
Bill lo imitò. "Scusa non so che mi sia preso."
"Non devi scusarti!" Rispose l'amico calpestando la sigaretta con foga "è solo che... nonostante Axel sia identico a te fisicamente, vedo tantissimo di Toni in lui..."
"Lo so..." rispose Bill "come io vedo molto di lei in te..."
Andreas gli rivolse uno sguardo triste. "Mi manca..." sentenziò infine.
Bill non riuscì a capire per quale motivo gli stesse dicendo quelle parole proprio in quel momento. Aveva sempre ammirato Andreas, perché dal giorno in cui Toni era morta non aveva mai mostrato segni di debolezza, come lui aveva fatto molte volte. Era sempre stato fermo e forte nell'affrontare, con maturità, la morte della sua gemella. Invece, in quel momento, la maschera della persona forte che si era costruito addosso in quei quattro anni stava cedendo, rivelando ciò che Andreas portava dentro realmente e Bill ne rimase quasi deluso.
Era stato il suo punto forte in quei quattro anni.
"La casa è vuota senza di lei... e lo sono anch'io."
Alcune lacrime scivolarono sulle guance di Bill che il moro si affrettò ad asciugare con il dorso della mano. Faceva freddo e Andreas non gli aveva neppure dato il tempo di afferrare il giubbotto.
"Perché mi stai dicendo questo?" Domandò cercando di far vedere all'amico che quelle parole lo ferivano.
"Perché non le ho mai dette a nessuno, neppure a mia madre o a mio padre. Quando hanno scoperto della gravidanza e ci hanno cacciati di casa ho smesso di definirli i miei genitori. Non ho nessuno con cui parlare, Bill, e il motivo per cui io e Julia non ci siamo ancora messi insieme è proprio questo. Tu sei l'unica persona che può capirmi. Sai cosa vuol dire avere un gemello e perdere la persona che ami..."
Bill chinò il capo non riuscendo proprio a capire dove Andreas volesse arrivare. Perché gliene ne stava parlando proprio quel giorno? Pochi minuti dopo quel brutto ricordo che gli era tornato alla mente? Perché non poteva vivere cancellando quel dolore dal suo cuore per sempre?
"Come fai, Bill?" La voce dell'amico lo distrasse nuovamente da quei pensieri tristi ed il moro rialzò il capo confuso.
"A fare cosa?" Chiese.
"Ad andare avanti." Cu fu un attimo di silenzio poi Bill rispose alla domanda, mentre un'altra lacrima scivolava sulla sua guancia. Stavolta non perse tempo a nasconderla dal suo viso.
"Axel..." fu la risposta "il suo sorriso, le sue risa. Ride proprio come Toni... ha il suo stesso sorriso. E... Tom. Se non ci fosse stato lui sai benissimo che non sarei qui a parlare con te. Non credo di riuscire a comprendere il tuo dolore, Andreas... per quanto io amassi Toni, non è Tom che è morto quattro anni fa..." pronunciare quella frase gli fece quasi male al cuore e comprese solo in quel momento che se fosse successa una cosa così orribile non avrebbe potuto continuare a vivere come faceva Andreas senza Toni. Non era abbastanza forte da sopportarlo. Axel era il suo unico appoggio, la luce che illuminava l'oscurità del suo cuore, la sola ragione per cui viveva. Insieme a Tom, era tutto per lui. E perdere anche una sola delle parti che formavano quel tutto equivaleva a perdere sé stesso.
"Torniamo dentro, dai, stai tremando!" Esclamò Andreas sospingendolo all'interno del ristorante "inoltre non vorrai perderti il momento più bello della serata."
Bill aggrottò la fronte incuriosito chiedendosi quale fosse. Si sorprese di non essersi neppure accorto del freddo che in quel momento gli era penetrato nelle ossa. Quando tornarono al tavolo trovarono Tom che accarezzava dolcemente i capelli di Axel mentre il bambino gli sorrideva. Le luci si erano spente di colpo e Andreas aveva preso Bill per il braccio e lo aveva affrettato a sedersi al suo posto. La stessa cameriera che li aveva serviti quella sera stava arrivando con una torta tra le mani e quattro candele accese che illuminavo la sala, poste al centro della torta. Quando si avvicinò al loro tavolo, Axel si rifugiò timidamente tra le braccia del suo papà e Bill lo intimò a uscire per vedere la torta e ringraziare la signorina.
"Grazie, signorina..." pronunciò con ancora il viso nascosto tra i capelli di Bill.
La ragazza sorrise e dalla sala risuonò un canto di tanti auguri tutti per Axel. A quanto pareva il fatto che Axel non fosse l'unico bambino che compiva gli anni quel giorno, come gli aveva detto Andreas, era stata una bugia per convincerlo ad uscire.
Quando la luce si fu riaccesa Axel riuscì allo scoperto come se nulla fosse e gridò gioia nel vedere la sua torta preferita sotto il naso.
"Grazie, mamma!" Esclamò Axel prima di addentare la sua torta e Bill rimase quasi scioccato di fronte a quelle parole.
Andreas guardò il bambino e poi il suo sguardo si posò su quello di Bill.
"Era questo che intendevo..." gli disse l'amico e Andreas capì. Tom ed Axel stavano facendo una gara in cui, chiaramente, Axel stava vincendo che consisteva in chi mangiava la torta più in fretta.
"Scusate, ragazzi, devo andare un attimo in bagno." Esclamò a un certo punto Bill alzandosi dalla sedia e sorridendo.
"Tutto bene, Bill?" Tom lo aveva guardato con un'espressione davvero preoccupata, tanto che il gemello gli posò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.
"Tutto perfetto." Esclamò con un sorriso e si allontanò dal tavolo dirigendosi ai servizi, dove si chiuse in un bagno e tirò un respiro profondo. Sapeva che Andreas avrebbe raccontato tutto a Tom, ma c'era qualcosa che lo tormentava già dal giorno di Natale. Un pensiero fisso che non lo aveva lasciato in pace neanche nel sonno. Andreas aveva il sentito il bisogno di sfogarsi con lui dopo tutti quegli anni, forse era arrivato anche per lui il momento di tirare fuori quello che sentiva. Lo aveva già fatto con Tom, ma aveva bisogno di qualcuno che non conosceva i fatti come li conosceva lui.
Prese il cellulare tra le mani tremante e sfogliò la rubrica cercando il numero che aveva intenzione di chiamare. Esitò per qualche istante e premette il pulsante verde.
Il suono del ricevitore in attesa lo rendeva ancora più ansioso, mentre il suo cuore minacciava di esplodere, tanto gli martellava nel petto.
"Pronto?" Rispose una voce femminile dopo una decina di secondi.
"Elena... sono Bill. Possiamo vederci?"

***



Quando il dottore entrò in camera dopo che Tom fu andato a chiamarlo, l'uomo informò i tre ragazzi che il piccolo Tobias sarebbe nato di lì a poche ore. Toni aveva avuto una forte contrazione e Andreas avevo sentito le lenzuola del letto bagnate accorgendosi che si erano rotte le acque. Era giunto il momento. Allarmato aveva intimato i gemelli a chiamare un dottore e Tom si era fiondato fuori dalla stanza, lasciando il suo gemello scosso accanto alla finestra. In quel momento Bill fissava la sua ragazza terrorizzato all'idea che le si fossero rotte le acque. Si avvicinò a Toni e le prese la mano.
"Toni, tesoro, andrà tutto bene..." le baciò la mano e lei lo guardò con due occhi colmi di paura.
"Vieni dentro con me, Bill. Ti prego!" Lo supplicò lei e il moro annuì sorridendo, cercando di nascondere la paura che provava in quel momento.
Quando furono arrivati in sala parto il dottore chiese a Bill se volesse assistere al parto e lui rispose affermativamente, ancora con la mano di Toni stretta tra le sue.
Tom aveva fissato il dottore e suo fratello con due occhi iniettati di paura. Prima di entrare in sala parto, Bill gli rivolse uno sguardo ancora più impaurito del suo e in quella frazione di secondo, Tom provò l'istinto di afferrarlo tra le braccia e trascinarlo via.
Aveva il terribile presentimento che se fosse entrato, Bill non ne sarebbe più uscito come prima.
Guardò Toni di sfuggita e lei gli sorrise, nonostante si vedesse chiaramente che aveva paura. Le ricambiò il sorriso e le mandò un bacio con la mano che la fece arrossire.
D'improvviso sentì una mano che si poggiava tremante sulla sua spalla.
"Andy, calmati! Andrà tutto bene!" Lo rassicurò il rasta cercando di non pensare al gemello chiuso in quella stanza con la sua migliore amica che stava per partorire. Cercò di pensare, invece, al bambino che presto avrebbe stretto tra le braccia e fu quello che disse ad Andreas quando si furono seduti in sala d'attesa per iniziare quella che fu una delle attese più lunghe della loro vita.
Aveva immaginato un sacco di volte il viso di suo nipote, lo aveva persino sognato e in quei nove mesi aveva aspettato con ansia quel giorno. Mancava davvero poco.
Si portò le mani in volto cercando di scacciare i pensieri negativi e si voltò verso Andreas. Il suo migliore amico era seduto nella sua stessa posizione, con un i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani sul volto.
"Dici che somiglierà a me?" Sbottò Tom sorridendo e Andreas rise. "Sei pazzo?" Rispose "se somiglia a te siamo rovinati!"
Tom gli diede una leggera sberla sulla spalla. "Andrà tutto bene, amico!" Esclamò "tra poco andremo alla nursery e vedremo il nostro nipotino."
"Toni sarà esausta. Lei odia faticare e sudare..." rise l'amico.
"E Bill sarà un fascio di nervi!" Controbatté Tom "Avresti mai immaginato che ci saremo trovati ad avere un nipote in comune? Il figlio del mio gemello e della tua gemella?"
Andreas alzò lo sguardo verso di lui con un grande sorriso. "Mi è sempre piaciuto avere delle cose in comune con te. A partire dal fatto che entrambi abbiamo un gemello. Sapevo sin dall'inizio che quei due erano fatti l'uno per l'altro. Ma un figlio! E' stata una cosa inaspettata."
Tom chinò il capo sorridendo ricordando il giorno di nove mesi prima, quando Bill gli aveva rivelato che Toni era incinta.
Sei il primo che lo sa!" Aveva esclamato Bill agitato. Gli tremavano le mani e Tom era stato costretto a farlo sedere e dargli un bicchier d'acqua.
"Mi vuoi dire che succede? Ti comporti in modo strano da un po' di giorni, Bill. Mi preoccupi. Qualcosa non va con Toni?" Doveva ammettere che in un primo momento aveva pensato che Toni l'avesse lasciato.
"Ecco... io e lei... qualche settimana fa... abbiamo... fatto..." Bill balbettava e non riusciva a pronunciare quella magica parola che era la chiave di tutto. Doveva compiere diciassette anni a settembre, eppure la sua vita era radicalmente cambiata dopo averlo fatto. "Cosa?" Aveva insistito Tom.
Bill lo aveva guardato negli occhi e i suoi si erano riempiti di lacrime. Si accorgeva, man mano che il tempo passava che non avrebbe mai potuto mentire al suo gemello. Doveva essere lui il primo a conoscere la verità.
"sesso..." sussurrò Bill e Tom lo aveva guardato con uno sguardo sornione.
"Bene!" Disse visibilmente contento "Bravo, Bill, hai perso la verginità!"
"Tomi, c'è dell'altro..."
Il rasta si era azzittito, stavolta spaventato.
"Bill... non avrai...?"
"Il preservativo si è rotto... ce ne siamo accorti dopo e..."
"Bill... che cosa stai cercando di dire?" Anche Tom aveva iniziato a tremare come il suo gemello e Bill gli aveva passato la sua acqua.
"Toni aspetta un bambino." Aveva esclamato tutto d'un fiato.
Tom aveva sgranato gli occhi sperando di aver capito male. "Bill, che cazzo stai dicendo?"
Bill aveva chinato il capo e non era più riuscito a mostrarsi forte e stabile. Da quando Toni glielo aveva detto non aveva versato una lacrima, ma in quel momento non poteva più trattenersi, non con Tom.
"Oh Tomi, ho paura!" Tom lo aveva preso tra le braccia e Bill era scoppiato a piangere. Le braccia di Tom che lo stringevano era tutto ciò di cui aveva bisogno, l'unico sostegno, l'unico modo per sfogare la sua angoscia.
"Ci sono io, Bill." Aveva mormorato Tom con decisione, ricacciando indietro le lacrime "non sei solo. Ci sono io con te."

Tom sorrise tristemente ricordando quel giorno e Andreas lo notò. "Non vedo l'ora di averlo tra le braccia. E vedere Toni... avrei voluto entrare io al posto di Bill..."
Tom preferì tenere per sé lo strano presentimento che aveva avuto quando Bill era scomparso dietro le porte della sala parto. Andreas era già abbastanza preoccupato.
"La vuoi smettere di preoccuparti?" Sbottò massaggiandogli la parte del gomito. Lo faceva sempre a Bill quando era nervoso o agitato e il più delle volte funzionava. Forse anche in quel momento aveva bisogno di essere rassicurato. Non poté fare a meno di pensare a lui e per un attimo gli mancò il respiro.
"Piuttosto... secondo te Toni lascerà che Bill gli metta quell'orrendo nome?" L'ansia di Tom cominciava a farsi sempre più grande mentre parlava, ma doveva far in modo che né lui né Andreas pensassero al peggio. Anche se quello stupido presentimento continuava a dilaniargli lo stomaco.
"Tuo fratello è talmente testardo che neanche un mulo può competergli! Non voglio avere un nipote con il nome di un cane! Spero che Toni lo convinca a chiamarlo Axel!" Così dicendo i due ragazzi si misero a ridere e passò una buona mezz'ora prima che uno dei due riprendesse la parola.
"Questa attesa mi uccide!" Esclamò Andreas alzandosi dalla sedia e cominciando a fare avanti e indietro innervosito.
"Andy, è passata solo mezz'ora vuoi stare tranquillo?"
"Ma come faccio? Mia sorella è in sala parto e sta per diventare mamma! E nessuno è ancora venuto a dirci nulla! Qualcosa non va, me lo sento!"
"Non dire così!" Lo ammonì Tom costringendolo a sedersi."Andrà tutto bene!"
Lo ripeté altre cinque volte nelle seguenti due ore, ma Andreas non sembrava mai convinto. Continuava a ripetere di avere un brutto presentimento, dando voce in quel modo anche a quelli che erano i pensieri negativi di Tom.
Il rasta era seduto e mangiava un pacchetto di patatine mentre l'amico continuava a tenere il capo tra le mani e i gomiti sulle ginocchia. E fu in quel momento che Tom avvertì una fitta di dolore allo stomaco così forte che fece cadere il pacchetto di patatine a terra e dovette appoggiarsi al braccio dell'amico per non cadere dritto sul pavimento.
"Tom, che ti prende?" Domandò questi preoccupato. L'angoscia di quella lunga attesa di due ore e mezza si intensificò quando Andreas vide l'amico completamente spiazzato dal dolore.
"Tom?" Continuava a urlare, ma Tom ormai non lo sentiva. L'unica cosa che percepiva era un dolore al cuore e allo stomaco, come un grosso macigno che gli impediva di respirare. Era successo qualcosa a Bill, poteva sentire chiaramente il suo dolore, come se lo stesse provando lui stesso, e voleva solo che smettesse.
"Chiamo un medico!" Urlò Andreas disperato. Tom non dava il minimo segnale di capire le sue parole perché il dolore al petto aumentava, così come la sua preoccupazione per Bill.
Passarono diversi minuti, quando finalmente il dolore cessò e lui alzò gli occhi catturando quantità di ossigeno a tempi irregolari. E quando guardò dritto di fronte a sé, trovò il suo gemello che lo fissava.
"Bill!" Esclamò insieme ad Andreas ed entrambi si avvicinarono a lui smaniosi di notizie.
"Che ci fai qui?" Continuò Tom annaspando "dov'è il bambino, come sta Toni?"
"Non lo come sta... non so come sta il bambino... io non... so... nulla!" Riuscì ad articolare, mentre delle lacrime rigavano il suo volto.
"Che cosa intendi dire?" Sbottò Andreas. Ed ecco di nuovo quella terribile angoscia.
"Ha chiuso gli occhi... e il bambino... ha smesso di... non posso... ho paura, Tomi..." Bill si precipitò tra le braccia del gemello prima che questi potesse esclamare qualsiasi cosa e lo serrò stretto a sé guardando fisso di fronte a lui. Portarono Bill a sedere e cercarono di capire meglio come fossero andati i fatti, ma Bill era troppo scosso e non faceva che piangere.
Nessuno dei tre dichiarò di aver mai provato un'ansia così grande come quella che provarono quel giorno. Il medico arrivò dopo quelli che erano sembrati ore, giorni, mesi, anni!
"Mi dispiace..." esclamò ai tre ragazzi terrorizzati di fronte e lui "ci sono state complicazioni durante il parto. Abbiamo fatto nascere il bambino, ma la situazione era grave. La madre era troppo giovane e il bambino troppo grosso."
"Che cosa sta dicendo, dottore?" Era stato Andreas l'unico ad aver avuto il coraggio di parlare.
"Mi dispiace..." rispose il dottore "la madre non che l'ha fatta."
E in quel momento l'intero mondo cadde sulle spalle di Bill come un carico di mattoni, cogliendolo completamente alla sprovvista. E Tom sentiva il suo dolore.
I due gemelli erano rimasti senza fiato e solo Andreas sembrava non avesse ancora capito la drammatica situazione: e cioè che la sua gemella aveva perso la vita.
"Non può essere..." esclamò mentre il medico cercava di tranquillizzarlo. Le lacrime erano scivolate sul suo volto, come animate da vita propria.
Tom prese Bill tra le braccia, prima che questi finisse dritto per terra e il moro scoppiò in un pianto disperato come se l'intero mondo fosse d'improvviso scomparso ed esistessero solo le braccia di Tom in quel momento.
"Come sta il bambino?" Era stato proprio Tom ad aver avuto il coraggio di porre quella domanda. Non seppe mai come fece a parlare, tanto si sentiva la bocca secca. Aveva un fastidioso groppo in gola e la vista annebbiata.
Quella domanda portò un pizzico di speranza, come una fievole luce che si intravede alla fine di una lunga galleria e Bill alzò il capo guardando il dottore, sperando, pregando, supplicando in una buona notizia. Il viso era ancora contornato di lacrime.
"Sta bene, però non ce la sentiamo di definirlo ancora fuori pericolo. Durante il parto è stato senza ossigeno per qualche secondo. Forse occorrerà metterlo in un incubatrice per qualche giorno."
"Posso vederlo?" Esclamò asciugandosi le lacrime "posso vedere mio figlio?"
"Certo! Lo stanno lavando. Mi segua." Il dottore lo accompagnò lungo il corridoio che Bill non ricordò neanche di aver percorso almeno una decina di volte in quei due giorni.
Toni non ce l'aveva fatta. Le parole del medico non avrebbero mai abbandonato i suoi ricordi.
Alla fine del corridoio c'era una stanza ricoperta da una parete di vetro. Attraverso di esso un'infermiera stava lavando un bambino apparentemente addormentato e gli infilava il pannolino. Era grosso, aveva qualche capello biondo ed era il bambino più bello che Bill avesse mai visto.
Bill si avvicinò al vetro e l'infermiera lo notò. Fece una punturina al bambino e poi lo avvicinò anch'essa al vetro per farglielo vedere più da vicino. Ma guardando Bill degli occhi capì che il ragazzo non voleva solo vederlo attraverso una parete di vetro.
Scosse la testa tristemente e una lacrima rigò la guancia di Bill. Lei gli diceva di no, ma sapeva che quel bambino non aveva una madre? Sapeva che era morta mettendolo al mondo e ora tutto ciò che gli rimaneva era lui? Sapeva che era solo?
Il bambino aprì gli occhi, come svegliato da quell'onda di tristezza. Il moro lo fissò immobile, come pietrificato. Sì, era decisamente suo figlio. Gli occhi nocciola erano uguali ai suoi, ma identici a quelli di Toni. I capelli biondi come i suoi boccoli dorati.
Ma di fronte a quel bambino provò un improvviso odio. Lui lo aveva privato della persona che amava ed ora per colpa di quel bambino, Toni non c'era più.
Bill allungò una mano e toccò il vetro che lo separava da suo figlio. il bambino continuava a fissarlo, mentre si divincolava dalle braccia dell'infermiera sconosciuta, come se avesse capito che quello era suo padre e l'unico punto di riferimento che lo avrebbe guidato nel lungo cammino della vita.
Quello era il suo papà e Bill giurò a sé stesso che avesse sorriso riconoscendolo. Suo figlio gli aveva sorriso.
E l'odio sparì all'istante lasciando il posto a un immenso amore, ma anche tanto dolore.
Aveva il suo stesso sorriso.
"Come si chiama?" Domandò l'infermiera dal vetro.
Bill alzò lo sguardo e la guardò.
"Axel..." rispose "come voleva lei..."
Era il 26 dicembre quando Bill Kaulitz perse colei che aveva amato da tutta la vita, ma in cambio aveva avuto un dono preziosissimo che con il tempo aveva imparato ad amare più della sua stessa vita: suo figlio Axel.

***



"All'inizio non è stato facile." Esclamò Bill sedendosi al muretto freddo del parco giochi. Elena era vicino a lui e aveva il viso contornato di lacrime, mentre Tom e Andreas erano occupati a sorvegliare Axel che aveva deciso di salire da solo sulla parte più alta del castello che dominava il parco.
"Papà, guarda!" Esclamò felice e Bill gli sorrise "Sei altissimo, Axel. Ora però scendi dallo scivolo."
Elena guardò il bambino ridendo e poi posò di nuovo l'attenzione su Bill. Al contrario di lei non aveva pianto mentre raccontava, ma si vedeva chiaramente che stava facendo uno sforzo enorme per rimanere lucido. L'aveva chiamata nel bel mezzo del pranzo di Santo Stefano a casa dei suoi suoceri e con una scusa, dopo mangiato, era sgattaiolata via di casa e aveva raggiunto Bill a casa sua. Avevano parlato per tutto il pomeriggio e Bill le aveva raccontato di come fosse morta Toni. Non poteva ancora credere che la sua migliore amica fosse morta mettendo al mondo suo figlio.
"Crescere un bambino da solo è stata dura. Axel è stato in ospedale dieci giorni. Ha rischiato di morire tre volte, tutte e tre a causa di un'insufficienza respiratoria. Soffre di asma, per questo quando sta male sono sempre preoccupato. I giorni che seguirono la sua nascita non sono stati affatto facili. I primi mesi, soprattutto, perché coincidevano con il nostro primo tour in Europa. Avevamo programmato tutto... che Toni sarebbe stata vicino al bambino in quei mesi che sarei stato via... invece..." esitò un istante e poi riprese a parlare "non era per niente facile accettare il fatto che non fosse più con me... e se io sono qui lo devo esclusivamente a mio fratello."
Sia lui che Elena guardarono Tom impegnato ad acchiappare Axel, che stava scappando furtivo, per un braccio e sgridarlo.
"Quante volte ti ho detto di non farlo? Vuoi che allo zio venga un infarto?" Sbraitava mentre Andreas accanto a lui rideva.
"Andreas... mi odia non è così?" Esclamò Elena asciugandosi una lacrima dal viso.
"No..." rispose Bill "ho sempre pensato che lui fosse forte, ma oggi mi sono accorto che ha sempre sofferto più di me, ma non lo ha mai dato a vedere. O forse io non me ne sono accorto perché ero perso nel mio dolore. Credo che vedendoti, gli ritorni in mente quando Toni era viva... e il modo in cui la vostra amicizia è finita."
Elena chinò il capo e cercò con tutta sé stessa di ricacciare indietro le lacrime. "Sono stata una stupida. Ero così presa da te che ho pensato subito che lei ti avesse portato via da me. Mi sono resa conto solo dopo aver rotto i contatti con lei che mi mancava da morire e forse ero stata troppo accecata dalla gelosia. Ero una bambina all'epoca. Quando l'ho ricercata per chiederle scusa, non sono riuscita a contattarla, fino a ieri quando ti ho incontrato. Sono stata una pessima fidanzata."
Bill rise ricordando quei tempi ormai lontani. Sembravano passati una decina d'anni e tutto apparteneva al passato. Ne ridevano come se non fossero stati neppure loro i protagonisti di quelle storie.
"Perché hai detto che non saresti qui senza Tom?" Chiese poi Elena dopo un minuto di silenzio, in cui avevano guardato Axel scappare dalle grinfie dello zio Tom e scavalcare lo scivolo al contrario. Quando Tom lo aveva riacchiappato gli aveva dato una sberla leggera sul culetto e Axel era scoppiato a piangere. Era un bambino estremamente furbo, perché in quel momento era comodamente rannicchiato tra le braccia dello zio Andy.
"Due anni fa ho cercato di togliermi la vita." Mormorò Bill, come se si vergognasse di quelle parole.
"Come?" Domandò Elena sgomenta.
"Ho cercato di ingoiare dei farmaci. In quel periodo non stavo bene, avevo una ciste alle corde vocali. Più volte avevo pensato di farlo, ma come potevo lasciare Axel da solo? Come potevo privarlo anche di un padre? Aveva già perso la madre. Sarei stato egoista nei confronti di mio figlio e del mio gemello. Ma quel giorno non so cosa pensai. Presi una dosa doppia dei farmaci che mi avevano prescritto e due secondi dopo Tom era accanto a me che cercava di farmeli sputare. Mi sono chiesto più volte come facesse a sapere che cosa volevo fare. Il più delle volte mi sono risposto che lui avesse capito sin da subito che non riuscivo più a vivere, perché noi due siamo così. Capiamo con un solo sguardo ciò che pensa l'altro. Non rischiai di morire, comunque, perché riuscì a farmeli vomitare e non chiedermi come! Non lo ricordo, ma ricordo la sfuriata che mi fece! Fu l'unica volta in cui alzò la voce con me e... lo vidi piangere. Fu orribile. Dopo quella volta ripromisi a me stesso che non volevo più rivedere le lacrime sul suo volto."
Elena lo guardò tristemente mentre Bill sorrideva. "Ora sto bene. Per quanto sia dura. Non lascerei mai mio figlio e mio fratello. Sono le persone più importanti della mia vita ora. Oggi sono quattro anni che Toni se n'è andata ed è ora che torni a vivere."
In quel momento Andreas si presentò di fronte ai due giovani e, dopo aver squadrato Elena, si rivolse a Bill. "Tuo figlio si è fatto la pipì addosso."
"Cosa?" Sbottò Bill infuriato "Tomi, quante volte ti ho detto che non lo devi far ridere troppo? Con questo freddo poi!"
Il gemello lo guardò storto. "Non è colpa mia se tuo figlio ha la vescica piccola!" Gridò da lontano.
"Il solito stupido! Scusa, Elena, torno subito!" Mormorò e lei fece un cenno del capo mentre il moro si allontanava e rimaneva sola con Andreas.
"Ti ha raccontato tutto?" Domandò dopo un po' prendendo il posto vuoto lasciato da Bill. La freddezza nella sua voce non eguagliava minimamente il freddo che aleggiava nell'aria causato dalla neve.
"Sì..." rispose un po' intimorita. "Ma non mi ha detto di cosa è morta..."
Andreas chinò il capo. "I dottori ci hanno detto che ha avuto un'insufficienza respiratoria, ma credo che neanche loro sanno con esattezza che cosa sia successo. Bill ha raccontato successivamente che è morta con Axel tra le braccia. Forse lo sforzo è stato troppo... e tu sai che lei non era forte..."
Elena chinò il capo e scoppiò in un pianto silenzioso.
"Lei avrebbe voluto che tu fossi con lei quel giorno..." sbottò Andreas d'improvviso.
Elena lo guardò confusa asciugandosi le lacrime sul viso.
"L'ultima volta che l'ho vista mia sorella mi ha raccontato che le mancavi... e... mi aveva fatto promettere che se le fosse successo qualcosa tu... ti saresti presa cura di Axel... che avresti aiutato Bill. Sono stato egoista e non ho mantenuto la promessa e di questo... me ne rammarico."
Elena stavolta scoppiò in singhiozzi mentre fissava Andreas sbigottita e questi continuò. "Sono sicuro che prima di morire... mia sorella abbia pensato a te. Voleva che fossi tu la madre di suo figlio."
"Perché me lo dici adesso? Perché me lo dici dopo quattro anni?" Riuscì ad articolare. Sentiva una grandissima rabbia nei confronti di Andreas, ma allo stesso tempo gli era grata. Toni non l'aveva odiata per come si era comportata.
"Ti aveva perdonata." Rispose Andreas ignorando la domanda. "Mi dispiace, sono stato uno stupido."
"Come lo sai?" Chiese di nuovo Elena tra i singhiozzi.
"Era la mia gemella." Il ragazzo chinò il capo. "E sapevo che lei voleva davvero che tu diventassi la madre di Axel. Io non... non posso perdonarti per il modo in cui hai lasciato mia sorella." Continuò e di nuovo assunse un tono freddo.
"Non pretendo che tu lo faccia." Rispose Elena.
"Però... voglio mantenere la promessa che feci a Toni quattro anni fa... vuoi conoscere Axel? E' un bambino meraviglioso. Ha molto di Toni... e merita una donna che lo ami come fosse una madre... se non vuoi assumerti questo ruolo, puoi promettermi di provare a conoscerlo?"
Elena alzò il capo davvero stupita da quella proposta. Per tutto il Natale non aveva fatto altro che pensare all'incontro che aveva avuto con Bill ed Axel e voleva conoscere il bambino con tutte le sue forze, anche se la cosa la spaventava un po'.
"Certo..." esclamò infine "ne sarei felice..."
"Bene."
Tom venne loro incontro sfregandosi le mani e guardandoli preoccupato. "Tutto bene?" Esclamò "Bill sta bene?"
"Sì, Tom, Bill sta bene!" Rispose Andreas. "Andiamo in casa che muoio di freddo?"
"Sì! Elena rimani a mangiare a cena? Axel sarà contento di averti con noi stasera!"
"Beh... certo lo sarei anch'io!"
"Ottimo!" Esclamò Tom e così dicendo entrarono in casa infreddoliti.

***



"Papà, devo dirti una cosa..." Axel chinò la testolina bionda e prese a torturarsi le dita, mentre Bill guardava il figlioletto incuriosito. Gli stava mettendo un paio di pantaloni puliti, quando il bambino aveva esclamato quella frase e da come si torturava le dita, sembrava sul punto di fargli un'importante confessione.
"Che cosa, amore? Non ti sei divertito oggi?"
"Sì che mi sono divertito! Anche con Elena! Ma non è quello che voglio dirti. Axel... ti ha detto una bugia ieri mattina..."
Bill sorrise e prese Axel in braccio portandolo in sala. "Davvero?" Domandò sorpreso.
"Sì. Papà non dice mai le bugie ad Axel e ora Axel si sente in colpa." Il piccolo prese di nuovo a torturarsi le dita e Bill gli afferrò le mani paffutelle tra le sue.
"Forse c'è qualcosa che posso fare per non far sentire Axel in colpa..." sussurrò.
Il bambino scosse la testa. "Ricordi quando ti ho detto che avevo sognato il principino Axel?"
"Sì!" Rispose Bill confuso. Non capiva che cosa c'entrasse il sogno con la bugia.
"Ricordi che mi hai chiesto se avevo trovato la Stella Magica?"
"Sì!" Ripeté Bill ancora più confuso.
"Beh, ti ho detto che mi sono svegliato prima, ma in realtà io ho trovato la Stella Magica. Era la mamma."
Bill sgranò gli occhi per la sorpresa e si portò velocemente una mano in volto prima di soffocare un singhiozzo.
"Quando siamo entrati nella foresta e zio Gustav ha ucciso i mostri... la mamma si è avvicinata ad Axel e gli ha sorriso. Era bellissima, vero papà? Ed era uguale alla foto che mi ha regalato zio Andy."
Bill rifletté qualche istante. Ora che ci pensava quando Axel l'aveva sognata non aveva ancora visto la foto di Toni che gli aveva regalato Andreas.
"Hai sognato la mamma?"
"Due volte. Mi sorride e mi dice che mi vuole tanto bene, poi se ne va... ma mi lascia sempre questa..." il bambino corse in camera e tornò poco dopo con un piccolo oggetto in mano.
"Ma è la stella che ti ha regalato Ronny!" Esclamò Bill.
Axel scosse il capo. "E' la Stella Magica, papà."
Bill sorrise e poggiò una mano sulla testa bionda del suo bambino. Come aveva potuto pensare anche per un solo istante, di lasciare Axel da solo in quel mondo così ingiusto? Come avrebbe potuto perdersi quel meraviglioso momento assieme a suo figlio?
Strinse la stella tra le mani e poi la riconsegnò ad Axel. In un certo senso aveva trovato anche lui la sua Stella Magica quel giorno.
"Allora questa è tua! Custodiscila bene, mi raccomando, è preziosa. E' la mamma che ti protegge con la sua luce e il suo immenso amore."
Axel sorrise e asciugò una lacrima del papà, mentre la porta si spalancava di colpo.
"Elena rimane a mangiare da noi!" Sbottò Andreas mentre entrava seguito da Tom ed Elena che chiacchieravano.
"Allora, Axel, prepari la cena o no?" Domandò lo zio fingendosi accigliato.
"Ma... ma..." balbettò Axel "io non so cucinare..."
"Ma come? E' il tuo compleanno o sbaglio?" Esclamò Elena portando il suo viso vicino a quello del bambino.
"No, non sbagli, Elena..." rispose il piccolo scendendo dalle braccia paterne "ma io non so cucinare e ho fame!"
Andreas scoppiò a ridere ed Elena prese il bambino in braccio portandolo in cucina offrendosi di aiutare Axel a cucinare.
"Tutto bene?" Domandò Tom sedendosi accanto a Bill sul divano.
"Sì." Rispose il moro "grazie, Tomi... ancora una volta senza di te, io non sarei qui..."
"Non dirlo neanche!" Tagliò corto Tom imbarazzato e Bill sorrise.
Era fortunato ad avere un gemello come Tom che si prendeva così tanta cura di lui e di suo figlio.
Era fortunato ad avere un amico come Andreas che lo aveva sempre sostenuto.
Ma soprattutto era fortunato ad avere un figlio come Axel che era l'ultimo dono che Toni gli aveva lasciato.
Presto si aggiunsero a cena Georg, Gustav, Katrine, Nicole, Gordon e Simone, e la giornata passò meravigliosamente per il piccolo Axel e il suo papà. Per la prima volta in quattro anni, Bill era di nuovo felice.

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