Hey, hey, I wanna be a rockstar!

di Akuma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1ST TRACK - Follow You Home ***
Capitolo 2: *** 2ND TRACK - Fight for All the Wrong Reasons ***
Capitolo 3: *** 3RD TRACK - Photograph ***
Capitolo 4: *** 4TH TRACK - Animals ***
Capitolo 5: *** 5TH TRACK - Savin’ me ***
Capitolo 6: *** 6TH TRACK - Far Away ***
Capitolo 7: *** 7TH TRACK - Next Contestant ***
Capitolo 8: *** 8TH TRACK - Side of a Bullet ***
Capitolo 9: *** 9TH TRACK - If Everyone Cared ***
Capitolo 10: *** 10TH TRACK - Someone That You're With ***
Capitolo 11: *** 11TH TRACK - Rockstar ***
Capitolo 12: *** The Cast! ***



Capitolo 1
*** 1ST TRACK - Follow You Home ***


WEEEELCOME!

Dunqueee... la mia intenzione era quella di scrivere una intro decente, ma non ne sono mai stata capace e, qualora ne trovaste aprendo le pagine delle mie storie, sappiate che ho impiegato più tempo per mettere giù quelle che non le fict stesse. Sono una galla, eh? xD

Comunque, è per questo che dirò quattro cose in croce, in barba alla buona forma, ma assolutamente attribuendo +100 punti alla spontaneità della sottoscrittissima - io, meh, meeeeee! Yeah, I'm popular! xD

1) Ryoma è qualcosa di spassoso, di assolutamente esilarante, un personaggio appagante da giostrarsi, da muovere. Amo da pazzi la sua spacconeria, la sua figaggine ed il suo totale dipendere da quella indole selvatica che ha, la quale lo porta a cacciarsi inevitabilmente in un mare di casini. In due parole: è un pirla. xD
Errr... no, sono tre parole. Parole comunque intese in senso buono: chiariamoci, sono estremamente intenerita da questo suo essere... pirla...?

2) I titoli dei capitoli non sono altro che le tracce dell’album “All the wrong reasons” dei Nickelback, che si è rovinato a furia di girare nella mia autoradio e che mi ha ovviamente ispirata. Infatti il titolo della fict stessa è una frase dell’ultima canzone “Rockstar”. Ascoltatelo, ascoltatelo! Ne vale sicuramente la penaH! xD


3) Vi ssssfido! Ogni personaggio ha il suo corrispettivo tiro/tecnica/soprannome del manga nascosto nei titoli delle canzoni, film, varie&eventuali sparsi in giro per la fict.
Siete in grado di trovarli tutti? (Muahah, che estroso ingegno, che sublime acume!). Chi ce la fa, vince una settimana da groupie nel camerino del proprio beniamino!

4) Infine, giusto per la cronaca e perché le cose siano chiare: passerei volentieri una notte d'ammore sfrenato con Juan Diaz. Me fa sesso, che ce devo fà! xDD
E con questo chiudo, poiché sì, sono una pervertita e ne vado fiera! xDD

Bon courage a chi tenterà la lettura di questa robba qui sotto! <3

Ovviamente sponsored by: Trasferta Sotto la Coperta INC.



HEY, HEY, I WANNA BE A ROCKSTAR!
 
Su la mano, chi non si è mai chiesto come ci si senta ad essere onnipotenti?
Non onnipotenti come il Padre Eterno, quella è roba superata! No, io parlo dell’illimitata facoltà di disporre di denaro e persone a proprio piacimento, di viaggi, di auto di lusso, di cibo prelibato, di donne mozzafiato.
Andiamo, chi non si è mai posto la questione?
Beh, a tutti coloro che almeno una volta hanno sognato tutto ciò, io posso rispondere senza troppa difficoltà.
E senza arroganza o presunzione, gente, semplicemente perché io sono Ryoma Hino, forse la rockstar più quotata di tutti i tempi dopo Angus Young.
Lui era stato eletto “individuo di bassa statura più importante del mondo”, io mi sono guadagnato il titolo di “persona dai capelli ossigenati più influente del pianeta”.  [1]
Persino Eminem è stato costretto a capitolare al mio cospetto.  
Sono praticamente un mito, quindi fate largo, sarò io a rispondervi!
 
1ST TRACK - Follow You Home
La mia scalata alla vetta del successo avvenne in un lampo.
In barba ai talent show, alle boyband e al didietro che devi necessariamente condividere con il tuo prossimo per farti un nome, a me bastò incidere un singolo per diventare la voce più trasmessa nelle radio.
Un colpo secco, come al casinò. Punti tutto e porti a casa la baracca. Niente statistiche, niente pronostici, niente di niente.
Certo, avevo anch’io la mia bella gavetta alle spalle, una gavetta a cinque stelle, oserei dire. Forse è questo che ho fatto la differenza, dopotutto non capita a tutti di far parte della band di Madonna.
Avrebbe potuto bastarmi ciò che facevo al principio, dopotutto i riflettori su di me e sulla mia chitarra erano puntati sempre al momento giusto, il pubblico sapeva quant’ero bravo, anche se non tutti conoscevano il mio nome. Succede sempre così, ti chiamano “il chitarrista di Madonna”, “il bassista di Blondie”, “il batterista di Britney” - o forse no, visto che quest’ultima va a braccetto con il playback.
Ad ogni modo, sei sempre in secondo o terzo piano, quando la vera star si esibisce. E poco importa se Miss Ciccone ti improvvisa una spaccata tra le gambe o ti si struscia vogliosamente addosso, in quei casi potresti anche essere un semplice palo da lap dance con una Diavoletto in mano e nessuno ci farebbe caso.
Ma io ero bravo davvero, avevo carattere e una voglia matta di essere incoronato re del palco. Fu questa la mia marcia in più, ciò che mi fece comprendere che gli anni di scuola saltati per andare a provare con il mio gruppetto di adolescenti sovversivi erano valsi a qualcosa.
Fatto sta che ben presto stipulai un contratto milionario con una delle case discografiche più stimate d’America.
Nulla era più irresistibile di me, nemmeno il nuovo IPhone. Snopp Dogg mi chiamava fratello, i club più in del Paese mi volevano come ospite d’onore nelle serate più cool ed ero costantemente accompagnato da una schiera di bodyguard che sembravano usciti direttamente da Matrix.
La mia “I wanna flick U” andava di brutto, era in cima alle hit parades, qualcosa di fenomenale. C’è da dire che il testo non era un granché poetico e lo stesso titolo era alquanto ambiguo, dal momento che bastava sostituire una vocale ed eliminare una consonante per ottenere quella parola decisamente... audace, tra l’altro già chiara senza bisogno suggerimenti in stile Ruota della Fortuna.
Comunque.
In breve divenni la star del momento, la mia falsa relazione con Natalie Portman era andata a rotoli e tutti i giornali ne parlavano. Lei, troppo casta e pura, troppo buona e cara per una testa calda come me, aveva deciso di rompere ed addirittura prendersi una pausa dalla vita frenetica di Hollywood.
Io mi ero consolato con una spogliarellista, come vuole la buona tradizione del copione ben scritto, e mi avevano colto in flagrante.
Paparazzi, loro sì che avevano il potere di farti scalare il Monte Olimpo.
Così mi ero fatto fare il mio undicesimo tatuaggio, talmente scandaloso da conferirmi altri diecimila punti a botta sicura nella scala delle superstar più chiacchierate del pianeta. La notizia aveva fatto il giro del mondo così rapidamente che entro un mese circa un migliaio di persone se ne andavano in giro con una sirena impiccata tatuata sulle chiappe.
Ero geniale.
O meglio, geniale era il mio scout, il mio agente, il mio guru. Non per niente lo chiamavano il Genio.
Juan Diaz era il tizio più folle e imprevedibile che vi capiterebbe d’incontrare. Aveva un pacchetto di star che si giocava come fossero scale reali a poker - inutile dire che io ero la sua punta di diamante - ed era in grado di gestire azioni, persone e occasioni con la destrezza di un Maestro Jedi. Un vero regista, insomma.
Diaz mi pianificava la vita pubblica e professionale con la precisione di un serial killer: la maggior parte degli episodi e delle eccentriche pazzie che mi vedevano come protagonista erano opera sua. E non sbagliava mai.
Come quando posai nudo per Calvin Klein, una rivoluzione.
I boxer oggetto della nuova collezione non erano indossati da me come modello, bensì appesi ad un cassetto semiaperto ed io, nel caos della mia stanza di uomo vissuto, mi tendevo ad afferrarli tra le lenzuola stropicciate che mi facevano ancora più virile, sfoggiando quegli irresistibili muscoli pelvici che diventarono rapidamente oggetto della bramosia di milioni di donne, le quali compravano riviste a quintali esclusivamente per sbavare sulla mia pubblicità e incidentavano per strada, rimanendo incantate a guardare i miei cartelloni pubblicitari.
Una scenografia talmente da urlo che David Beckham diventò verde d’invidia. Ragazzi, i calciatori sono degli ingenui.
Insomma, essere una rockstar non ha proprio prezzo.
 
Mancava circa un’ora prima dell’esibizione che avrebbe chiuso il mio tour mondiale, quando Juan fece il suo ingresso nel mio camerino, buttando là l’impermeabile firmato e sistemandosi il completo gessato.
- Allora, Tigre, come andiamo?-
- Genio! Vecchio mio!- gli corsi incontro felice come un bambino, abbracciandolo a suon di pacche sulla schiena - Se mi chiami ancora a quel modo, ti licenzio, parola!-
- Oh, un soprannome vale l’altro, Bomber!- ridacchiò lui, rispondendo attivamente alla mia stretta assassina per poi riassettarsi elegantemente la giacca.
- Ecco, così va meglio.- approvai - Anche se non so cosa voglia dire... va meglio.-
Estraendo il suo fido portasigarette placcato oro dal taschino interno del completo, mi strizzò l’occhio.
- Perché sei come un vero bomber, amico, sempre in prima linea, i tuoi pezzi fanno sempre centro!-rise, atteggiandosi a pugile e colpendomi con un destro.
- Allora mi piace.- annuii. Lusingarmi era un bel modo per ottenere le mie attenzioni.
- Certo che ti piace, ti piace tutto ciò che esce da queste labbra magiche, ti piacerà anche ciò che sto per dirti.-
Le sue risposte mi lasciavano sempre tra l’allettato e il impensierito, dal momento che Diaz possedeva l’innato fascino accattivante del monello mai cresciuto, c’era una luce d’irrazionale vivacità in quei suoi occhi vispi che mi lasciava sempre un po’ stordito: non sapevi mai cosa aspettarti da lui. Inutile dire che le donne le faceva impazzire, grazie a questo suo fare stuzzicante e malizioso. Cadevano letteralmente ai suoi piedi, o meglio nella sua rete, visto che se ne faceva scorpacciate.
Ovviamente non mancava mai di raccontarmi quanto ci aveva dato dentro la sera prima, o durante il viaggio in aereo per raggiungermi in tournée, o durante i weekend mordi e fuggi ad Acapulco, eccetera, eccetera. Ma era talmente divertente che spesso entravamo in competizione e ci ribattevamo le rispettive conquiste come se stessimo comprando all’asta.
In buona sostanza, Juan Diaz era un fenomeno, con lui di certo non correvi il rischio di annoiarti. Di avere un qualche paio di attacchi di cuore, certo, ma d’annoiarti mai.
- Tu e Louis Napoleon. Insieme. Un duetto spaziale!- esordì con l’entusiasmo di un bambino che era appena sceso dalle giostre, poi mi passò un braccio sulle spalle e con l’altra mano si accese la sigaretta, proiettando dinnanzi a me una figurazione da favola - Uno stadio intero tutto per voi, il suo mixer e la tua chitarra, i migliori tecnici e impianti luce e suono, un corpo di ballo scatenato, sarà un sold out garantito!-
Poi soffiò via la prima boccata di fumo e si ravviò i riccioli ribelli, carico d’adrenalina più che mai.
Io rimasi interdetto qualche istante, chiedendomi da quale diavolo di cilindro Diaz pescasse certe collaborazioni, così dal nulla e così estrose.
Napoleon era un talento dell’electro-house, non c’era discoteca che non passasse la sua musica, i suoi dischi uscivano sempre in versione Basic e Deluxe, agli ultimi Grammy aveva fatto piazza pulita ed io stesso avevo impostato come suoneria del cellulare la sua “Shootin’ Cannon”.
Era un tipo eccentrico ed una gran testa calda, una volta era capitato in un albergo di Seoul e aveva ridotto la sua stanza ad una giungla, parola, nemmeno i Gallagher avrebbero potuto fare di meglio.
Rissoso e istintivo, aveva fatto del suo personaggio un status symbol - un po’ come me. Per questo mi piaceva, sapeva distorcere i suoni con la maestria di un pianista, eppure lavorava completamente in digitale. Lo ammiravo, era un grande.
- Allora amico, di’ che avevo ragione, ti piace?-
Io fui certo di fissarlo con quell’espressione ebete che ha Pinocchio quando gli raccontano del Paese dei Balocchi.
- Mi piace?! Diaz, è favoloso!- gli saltai al collo, estasiato.
- Bomber, aspetta a ringraziarmi, non ti ho detto dell’ultima chicca.- con la sua espressione da malandrino, il mio Lucignolo ammiccò di sottecchi - Sarete voi due in persona a scegliere la coreografia.-
Io strabuzzai gli occhi in stile Roger Rabbit, attentando al suo completo gessato con una nuova stretta assassina. Ma era il modo migliore per dimostrargli quanto gli ero grato, dal momento che avevo perso le parole.
Perché? Beh, coreografia significava corpo di ballo e corpo di ballo significava decine e decine di ballerine mezze nude che ti sculettavano davanti senza inibizioni. E dal momento che non si sceglie mai senza toccare con mano, l’idea di fare da giudice mi aveva e acceso i sensi in modo fulmineo.
- Sei un vero Genio, Juan Diaz!-


 
[1] Ebbene sì, questi assurdi riconoscimenti esistono davvero! xD  O meglio, il fighissimo Angus Young è realmente stato eletto “personaggio di bassa statura più importante di tutti i tempi” dalla rivista Maxim nel 2005.

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Capitolo 2
*** 2ND TRACK - Fight for All the Wrong Reasons ***


2ND TRACK - Fight for All the Wrong Reasons
Atterrai a Los Angeles con jet lag da paura.
Mi ci vollero un paio di Long Island per riprendere più o meno una parvenza normale.
Come vuole la tradizione, il telefono squillò proprio nel momento in cui stavo per sprofondare nella mia poltrona preferita di fronte al finestrone con vista sull’oceano.
- Sì.- risposi, alzando gli occhi al cielo e massaggiandomi le tempie.
- Amico, sei tornato?- la voce piacevolmente conosciuta di Ramon Victorino mi persuase dai miei propositi assassini.
- Fratello! Sì, appena due ore fa, e tu? Come butta?- con rinnovata allegria, salutai il mio migliore amico con l’euforia di chi non si vede da mesi. Il che poi era vero.
- Alla grande, allora, com’è andato il tour?- mi chiese lui, in sottofondo il susseguirsi ritmico del passaggio di auto, segno che probabilmente era in taxi.
- Un successo, Diaz l’aveva previsto! Faticoso come sempre, ma ora che è concluso ti posso dire, amico, che non c’è niente di meglio della folla in delirio.-
Adoravo la folla in delirio.
Tutti cantavano canzoni che io avevo composto, ripetevano parole che io avevo concepito, ballavano al ritmo della mia chitarra, compravano il mio merchandising, io ero il loro idolo.
Quando suonavo ero al centro del mondo, in un mix di furiosa adrenalina e travolgente frenesia che dava le vertigini e mi faceva sentire senza limiti e senza freni.
Stringevo in pugno migliaia di persone con il potere di una sola nota: quando il mio plettro, nel silenzio, sfiorava le corde, un boato delirante si levava al cielo. Violento e improvviso, puro delirio.
La gente mi lanciava lettere, fiori, poesie, effetti personali di ogni genere.
Mi capitava di essere bersaglio persino di qualche mutandina.
- Fenomeno!- rise lui, di quella sua risata solare e genuina che stregava - La prossima settimana ho la prima del mio nuovo film, Scott è entusiasta. Tu ci sarai?-
Scott, nel senso di Ridley Scott. Ovviamente.
- Puoi contarci!- annuii convinto come se ce l’avessi di fronte - Quant’è quotato al botteghino?-
Ramon rise di nuovo e mi parve di vederlo scoprire i suoi denti bianchi, così in contrasto con la pelle abbronzata del suo volto, nel quale erano incastonati due occhi smeraldini mozzafiato. Dico davvero, sembrava quasi finto da quant’era bello.
D’accordo, questo commento mi farebbe propendere per l’altra sponda latente di cui non sono un fedele seguace, ma c’era da ammetterlo, il fascino di Victorino risiedeva in queste sue peculiarità.
Non per niente era uno dei volti più famosi di Hollywood. E, già, dei più talentuosi, certo.
Aveva cominciato da giovanissimo, insieme ad una splendida Susan Sarandon, che all’epoca della primissima pellicola aveva impersonato la sua complessatissima madre. La storia era una specie di mattonazzo psicologico, che ammetto non essere ancora riuscito a terminare di vedere - ed ovviamente questo Ramon non lo sapeva, dal momento che mi ero sempre impegnato a lodarne una volta la sceneggiatura, una volta la fotografia, eccetera, eccetera.
E’ più forte di me, se non ci sono sesso o sparatorie, che ci vado a fare al cinema?
Comunque ne avevano parlato così bene da lanciare l’attorino esordiente che era direttamente sulla Walk of Fame. Ora, quindici anni dopo, si ritrovava protagonista di “Black Panther”, il nuovo kolossal di Ridley Scott, in pratica un successo annunciato.
- Non faccio previsioni.- mi rispose il finto modesto - Piuttosto, trovati un’accompagnatrice seria, questa volta.-
- Che dici? Le mie donne sono tutte serie!- fu la mia protesta, una palese panzana.
- Devo ricordarti Kana? Annabella? O Donna e la sua passione smodata per il Gin Tonic? O forse Jodi, che se ne faceva di tutto quel borotalco? E Rebecca, è guarita dalla gonorrea?-  [2]
- Gesù, Ramon! Non erano mica storie serie!- protestai, più per volontà di interrompere la lista infinita che stava snocciolando, che per ribellione vera e propria sui miei gusti in fatto di donne.
- D’accordo, d’accordo. Ma niente spogliarelliste, questa volta.-
- Sì, capitano.- annuii, facendo il segno militare - Cercherò di fare anche il nodo alla cravatta.-
- Ottimo. Ora devo lasciarti, Ryoma. Ci si vede alla prima. E non scappare subito, ti voglio nel dopo serata.-
Un clack di portiera e Ramon era già balzato giù dall’auto.
- Ciao piccolino, fai il bravo bimbo.-
Feci appena in tempo a chiudere la conversazione, che il telefono squillò di nuovo.
- Sì.- risposi all’appello, sospirando.
- Bomber!- l’esclamazione acuta di Juan Diaz peggiorò il mio malessere da jet lag - Allora, tutti pronti?-
- Eh?-
Il mio acume non aveva limiti. Ma ero scusato, dopotutto mi ero appena sparato Londra - Los Angeles senza l’ombra di uno scalo.
- Prooonto?- lo sentii far scattare lo zippo e soffiare via il fumo dalle labbra - Domattina ti voglio bello scattante per l’incontro in sala di registrazione.-
- Domani mattina?!-
Non avevo un attimo di respiro, a quanto pareva.
- Ovvio. Le rockstar non dormono mai, figurati i loro agenti! Quindi fatti una bella dormita, devi essere pronto per l’incontro del secolo. Ho stretto un patto col diavolo pur di organizzarti un duetto con Napoleon, quindi porta le tue chiappe qui con già in vena due o tre buone dosi di caffeina!-
- Qui? Vuol dire che sei già in sala? Ma cosa sei, una specie di cyborg?- protestai - Sei tornato con me da Londa, come diavolo fai a essere così pimpante?!-
- Certo che sono in sala, mi hanno appena confermato l’appuntamento! Hai mai sentito parlare dei vampiri?-
Alzai gli occhi al cielo.
- Oh, andiamo, Diaz!-
- Ti confesso che prediligo le giovani vergini. Sono loro che mi danno la carica con il loro sangue fresco.- fui certo che ammiccò come faceva di solito quando parlava di donne - Hai presente le due hostess che mi hanno sistemato la zona notte?-
- Diaz...- ripetei, ma lui imperterrito doveva per forza fare la sua uscita.
- Ecco, diciamo che non mi hanno sistemato solo quella!- poi scoppiò in una risata esilarata, come se fosse in preda all’effetto di qualche acido.
- Oh, beh, si sarà trattato sicuramente di vergini dal sangue fresco, allora!- mi lasciai trasportare dall’ironia - Ciao, cacciatore, a domani.-
- Ti voglio puntuale, bellezza.-
- Sissignore.-
Se essere una rockstar non aveva prezzo, d’altro canto non ti lasciava neanche un attimo di tregua.
Così, evitando di cedere ai barbiturici, preferii addormentarmi naturalmente e ronfare fino alla mattina dopo. Una ventina di ore filate, che sicuramente avrebbero avuto l’insana conseguenza di rendermi più frastornato che mai e quindi non mi avrebbero di certo aiutato.
Comunque, Juan Diaz mi voleva puntuale. Ed io fui tempestivo come la moglie che si intromette sul più bello tra amante e marito.
Inutile dire che lui era già la, questa volta in un completo di lino color crema che faceva risaltare parecchio la sua carnagione scura.
Accanto a lui c’era un tizio dall’aria fiera e boriosa, il naso all’insù come la cresta di capelli biondi che portava con orgoglio: Louis Napoleon in persona.
- Ecco il nostro chitarrista!- esordì Diaz, facendosi vicino e tendendomi la mano. Gli strinsi il pugno, poi lasciai che si voltasse verso Louis.
- Napo, questo è Ryoma Hino, è un piacere assistere alla nascita di un featuring dalle uova d’oro!- rise, buttando indietro il capo ricciuto.
Quando faceva così sembrava la bambola assassina. Inquietante.
- E’ un piacere conoscerti.-
Gli tesi la mano e ricevetti indietro una stretta decisa ma non invadente. Quel tizio mi piacque subito.
- Lo immaginavo.- fece lui, sul volto quel mezzo scaltro sorriso che avevo visto solo nei cartoni di Lupin.
Allora risposi alla stretta, dando inizio a quella che sarebbe stata una collaborazione coi fiocchi.
In tutti i sensi.



[2] Riuscite ad indovinare da dove arrivano questi nomi? xD Vi sssfido! No, no, facciamo che ve lo dico subito, se no rischio di combinare i miei soliti casini causa troppe note: cooomunque, sono le donne menzionate da Sean Paul nella sua “Get busy”... yeah! Shake that thing!! xD
 

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Capitolo 3
*** 3RD TRACK - Photograph ***


3RD TRACK - Photograph
Non so dire se uscii vivo dal meeting con Diaz, Napoleon e tutti i pezzi da novanta della casa discografica, oppure la fatica del tour e il mal di fuso di cui non mi ero ancora del tutto sbarazzato avevano deciso di giocarmi un brutto scherzo.
Fatto sta che a metà della riunione mi ritrovai a fabbricare areoplanini di carta con la scaletta dei punti all’ordine del giorno e solo quando uno di questi finì in un occhio a Diaz tornai alla realtà.
Fui praticamente fulminato dallo sguardo del direttore, ma quando a mia volta lo ricevetti indietro dritto in fronte, fu Juan a divenire oggetto delle sue occhiate assassine.
Anche lui non sopportava troppo quei vertici: nonostante fosse un professionista indubbio, preferiva mescolare le carte e cominciare a distribuire le fiches, invece di stare a sentire le infinite teorie barbose sul poker.
Napoleon si lasciò andare ad un risolino divertito.
Ottimo, era dei nostri.
Quando fu decretato che io e Louis avremmo dovuto darci sotto con la composizione di un disco mai ascoltato prima, che questo sarebbe uscito a gennaio dell’anno seguente e che ci avrebbe visti impegnati in poche date concentrate di tour, fummo liberi di alzarci e sciogliere l’adunanza sacra.
In definitiva avremmo dovuto metterci al lavoro immediatamente, volevano qualcosa di sensazionale. E noi eravamo abbastanza agguerriti da poterglielo dare.
- Sai che potremmo fare? Un medley.- esordì Napoleon, sgranchendosi le spalle ed infilandosi in bocca un chewingum - Per iniziare, intendo. Un gran cavallo di battaglia per conquistarsi le grazie dei fans più affezionati. Potremmo suonare una specie di mixtape dei successi di entrambi e poi entrare nel vivo del disco. E del concerto.-
Aveva la mia piena approvazione, salvo che mancava di un piccolo accorgimento.
- E su quello realizzare la coreografia. Quella con le ballerine in mutande e tutto il resto.-
Questo accorgimento.
Pensavo in grande.
- La pensi in grande, eh!- rise Louis, annuendo.
E tutti ne erano convinti.
- Già, perché qui qualcuno mi ha promesso che avremmo potuto toccare con mano, non so se mi spiego.-
Diaz sogghignò, sistemandosi com’era solito fare il colletto della camicia.
- D’accordo, d’accordo. Allora voi mettetevi a fare i compiti da bravi scolaretti, alle signorine lasciate che ci pensi io.-
Come sempre, il Genio avrebbe espresso il mio desiderio.
Così, rientrando nella sua lampada magica chiamata Lotus Elise, sfrecciò via a tutta velocità verso l’infinito e oltre.
- Sia chiara una cosa: non voglio supervisori, né coordinatori rompiscatole.- era bene stabilire dei paletti sin dal principio - Questo lavoro dev’essere totalmente farina del nostro sacco. La sottometteremo soltanto alla fine alla casa, non voglio sentire i migliori consigli di nessuno.-
- Tosto, mi piace.- fu la replica che mi arrivò da Louis, accompagnata da un sonoro scoppio di gomma da masticare - Adesso usciamo da qui, ti offro una birra.-
Uscimmo dalla sala riunioni con l’aria di due tizi che stanno per andare a fare la pelle a qualcuno, tanto eravamo motivati.
Ma durò poco, dal momento che dal corridoio principale si delineò subitaneamente un’alta figura dall’aura sofisticata, tanto elegante che sembrava emanare radiazioni lungo tutto l’ingresso.
Fu allora che la faccia di Louis si contorse in una smorfia di sdegno.
- Lui incide qui?-
La questione mi fu posta talmente tra i denti che mi parve che Napoleon stesse masticando le sue stesse gengive, invece della gomma alla frutta.
Io mi sporsi oltre le sue spalle per comprendere chi fosse l’oggetto di tanto risentimento e, invece di incappare in Darth Fener, i miei occhi si posarono sul volto muliebre di El Cid Pierre, che incedeva verso di noi.
Lo seguiva a ruota la sua fida assistente Rosemarie, una tizia dai cortissimi capelli rossi che non stava zitta un attimo e che gli gestiva l’agenda degli appuntamenti, gli ricordava le cose più assurde come fosse una specie di post-it gigante, lo rimproverava se mangiava una verdura bollita in più rispetto al piano previsto dalla dieta, gli spalmava il dentifricio sullo spazzolino ogni mattina, gli allacciava il corsetto e a mio modesto parere gli offriva anche qualche “servizio della casa” nei momenti più bui.
Il jingle di Star Wars nella mia testa non si fermò finché non ci trovammo faccia a faccia.
- A quanto pare.- alzai le spalle e gli risposi, finalmente.
El Cid Pierre: un fenomeno della natura.
Famoso in tutto il mondo per le sue prodezze col violino, era stato capace di inventare un genere del tutto nuovo, un mix tra tradizione ed innovazione, tra classico e moderno: si trattava di suonare il suo elegantissimo strumento al ritmo di una base elettronica, creando così un connubio esplosivo che spopolava sia tra gli amanti dell’old school che in quelli della new generation.
Se per noi si sfilavano gli slip, per lui le donne lanciavano petali di rose al suo passaggio. Alcune sarebbero state addirittura disposte a farsi calpestare dal suo cavallo bianco.
- Ciao Ryoma.- ci salutò alzando una mano con un gesto principesco - Louis! Che ci fai da queste parti?-
- Ci lavoro, io.- rispose immediatamente questo, calcando bene il tono sull’ultima parola.
Oltre ad una strana ed impensata somiglianza tra Napo e Luke Skywalker, notai che la tensione era divenuta palpabile.
Ma Pierre alzò il mento e passò oltre, non badando minimamente all’astiosa replica appena ricevuta e scuotendo il capo biondo con sufficienza.
- Ci vediamo, vi auguro una splendida giornata.-
- Impiccati, principessa.- fu l’augurio di Louis, in tutta risposta.
Il Lato Oscuro della Forza aveva sempre creato qualche problema.

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Capitolo 4
*** 4TH TRACK - Animals ***


 

4TH TRACK - Animals

Mi scolai la settima birra tutta d’un fiato.

La sete era uno dei sette peccati capitali, dopotutto.

O forse era la fame.

No, no, era la gola. Ecco, meglio.

Bah, comunque cominciavo a non capirci più niente, me ne andavo in giro per il locale con un braccio sulle spalle di Napoleon, esponendogli i miei grandi progetti per il nuovo album.

Il che si riassumeva in un flusso di coscienza senza capo né coda, visto lo stato in cui mi trovavo.

- E poi potresti concludere con un bum! Capisci, un bum! Tipo... - il mio cervello diede fondo alle ultime risorse - ...bum!-

Louis poggiò la sua bottiglia e si resse al bancone.

- Non credo di aver afferrato.-

- Bum!-

- Oh.-

Ci guardammo lungamente senza espressione.

I suoi occhi erano intensamente blu.

Che momenti magici.

- Ehi!- un energumeno col codino fece capolino da dietro lo scaffale dei superalcolici.

- Bunnaku!- esplosi in una risata che Cheeta avrebbe trovato decisamente irresistibile - Il mio barista preferito! Da quanto tempo non ci vediamo?-

- Dalla tua ultima birra, amico.- mi rispose questo, stappandomi l’ennesima doppio malto.

- Lui sì che mi coccola!- risposi, mentre il mio gomito si conficcava tra le costole di Napo a furia di tentare cenni d’intesa.

Il mio amabile armadio a doppia anta era il barista numero uno di tutta Los Angeles: serviva dei cocktail da farti perdere la testa ed era di una compagnia esilarante. Il suo locale in stile texano era inoltre una delle migliori mete per chiunque volesse farsi una sana bevuta ed ogni sera organizzava una serata a tema dal successo assicurato.

Per esempio, appuntamento fisso del venerdì era Miss Maglietta Bagnata Vs. Toro Meccanico, uno spettacolo elettrizzante al pari di uno striptease.

Bunnaku ci sapeva fare con gli eventi, indubbiamente.

E, soprattutto, spesso gli facevo visita dopo la chiusura per non incappare in fans deliranti che mi avrebbero sicuramente impedito di gustarmi un drink in santa pace senza essere costretto a portarmi un’infinita scorta al seguito.

- Ehi, ti presento Louis Napoleon, l’altra metà della coppia destinata a produrre il maggiore successo di tutti i tempi! Ehi, ehi, Napo, dove sei?- mi guardai intorno, tentando di distinguere il ciuffo biondo del mio compare tra le sagome sfocate dell’arredo del locale.

- Qui sotto.-

Mi resi conto che non si era mai allontanato da sotto al mio braccio. Che burlone!

- Ah, ma allora c’è da festeggiare! Subito pronti due bei Margarita per i signori delle hit parades!- esclamò Bunnaku, sistemandosi il cappello da cowboy e strizzandoci l’occhio. O almeno mi parve di vederglielo fare.

- Ah, no! Quella è roba da signorine!- protestò Louis, aggrappandosi a sua volta alle mie spalle - Stappami un’altra di quelle, poi servici qualcosa di veramente carico!-

- Oookay, gaucho!- allora il nostro fido barista gli lanciò al volo una doppio malto ed estrasse da sotto il bancone due bicchieri da cocktail oversize - Ma preparati, potrai dire di non avere mai assaggiato un drink tanto carico!-

- Così ti voglio, Louis! Ottima uscita!- mi complimentai a suon di pacche sulla schiena - Allora, dicevo... che potresti concludere con un bum! Un suono tipo quello di “Go, go, Slider”, spaziale!-

Il mio biondissimo compare pietrificò d’un tratto e la sua espressione crepò come un vaso di creta: avevo appena menzionato uno dei successi più celebri di El Cid Pierre, passato in discoteca almeno quanto il suo “Shootin’ Cannon”, il che, visto il cordiale augurio che gli aveva rivolto qualche ora prima, di certo non contribuì a fargli mantenere un’espressione solare.

- Pronto, Napo?- gli passai una mano davanti agli occhi ottenebrati dalla rabbia più nera, prima che si voltasse in stile L’Esorcista verso di me.

- Mi piacerebbe prendere a pugni quel suo muso da primadonna!- sibilò con voce d’oltretomba.

- L’avevo intuito.- alzai un sopracciglio.

- Quel maledetto damerino da due soldi mi è sempre in mezzo ai piedi, lui e quel diavolo di violino! Come se avesse scoperto l’acqua calda! Io dovrei essere ai vertici indiscussi dei dischi electro più venduti, io dovrei essere l’autore dei successi più trasmessi! E invece me lo ritrovo sempre alle calcagna come fosse un piedipiatti! I miei pezzi fanno a gara coi suoi, a pari merito in posizione numero uno! Per quanto mi sprema non riesco a produrre un brano che gli faccia ingoiare la polvere, stupido dandy malriuscito!-

Lo disse talmente tutto d’un fiato che dovetti battergli sulla spalla per ricordargli di respirare.

- Wow, l’alcool ti toglie il filtro, eh!- ridacchiai.

- Può darsi, ma se lo becco per strada, prima lo trituro con una mazza chiodata, poi gli rigo la Chevrolet e dopo gli trombo pure l’assistente!-

Ci voleva un brindisi.

- Salute!- così feci cozzare le due birre.

- E gli frego anche il portafogli!- col pugno alzato stile malvagio dei film demenziali, Napoleon continuò nella sua invettiva - Ah, ah! Lo voglio proprio vedere andare su e giù per le sue trecento banche a farsi rifare le carte di credito, stramaledettissimo capellone!!-

Dal momento che ero brillo al punto da cogliere una parola su cinque, decisi di lasciar correre, preferendo che fosse Bunnaku a porre fine al soliloquio poggiando energicamente sul bancone i due bicchieri oversize ora stracolmi.

- Bevici su, è il Muay-thai della casa. La mia specialità.-

Ovviamente il cocktail più quotato del quartiere, dall’intensa aroma di Cointreau e Benedictine - e qualcos’altro tipo Tequila e Rhum scuro, varianti della casa, appunto, per niente contemplati nella ricetta originale.

Il barman a quattro ante sorrise sornione.

- Allora gaucho, ti sveglierai domattina?-

 

No.

Non si svegliò.

E nemmeno io.

Finimmo addormentati sul mio divano l’uno sopra l’altro come una coppia di alcolizzati di ritorno da un addio al celibato in cui avevamo dato fondo a tutte le virtù rigenerative delle cellule epatiche.

E anche a un altro tipo di virtù di qualche altro tipo di cellule, che però è meglio non specificare.

Comunque, in sostanza, solo quando nel sonno infilai un piede in bocca a Napoleon e questo ruzzolò sul pavimento, riprendemmo coscienza del mondo.

- Dove sono?- Louis si massaggiò la testa, che aveva tenuto per tutta la notte infilata tra bracciolo e seduta, tanto che il suo ciuffo era diventato una cresta punk.

- Dove sei?- gli risposi io, frastornato.

Ma lui mi guardò con gli occhi ridotti a una fessura.

- E tu chi sei?-

- Chi sono io?-

Giuro, non mi ero mai posto quest’interrogativo idealistico.

- Gesù, ma quanto abbiamo bevuto?- si rialzò ciondolante, ancora immerso nel suo mondo parallelo.

A me sinceramente sembrava che ci avessero sparato l’alcool dritto in vena al punto da vedermi già costretto ad abusare di un sovradosaggio di Aspirina.

I miei pensieri aulici furono interrotti dallo squillo del telefono di casa, che mi raggiunse come la deflagrazione un missile terra-aria sul bersaglio.

Mi allungai appena in tempo dal divano per premere il pulsante del viva voce, dal momento che non ce la facevo nemmeno a reggere il ricevitore.

- Amico! Dove accidenti sei?!-

Juan Diaz, l’onnipresente.

La sua voce squillante invase tutti i miei cento metri quadrati di salotto vista oceano.

- Genio, non ho sfregato la tua lampada, torna a cuccia...- buttai là, le mani alle tempie.

Un’orchestra di cornamuse celtiche stava dando il meglio di sé nella mia testa.

Odiavo la musica celtica.

- E io non ho chiamato qui tutte le ballerine dal curriculum “dieci e lode” per un pic nic! Dove diavolo sei?!-

Mi ero dimenticato di questo piccolo particolare.

Com’è volubile l’animo umano!

Scattai improvvisamente in piedi, ma fui colto da un istantaneo capogiro che mi fece capitombolare dritto dritto sui gioielli di famiglia di Napoleon.

L’urlo straziante di dolore per l’attentato alla sua virilità rimbombò per tutto l’attico. Qualcosa di così disperato che neanche Munch avrebbe potuto dipingere.

- Napoleon...?-

Diaz ora era perplesso.

- Ci siamo fatti... -

- Prego?!-

Ancora più perplesso.

- Una birra.- la mia facoltà di elaborare frasi con subordinate era messa decisamente a dura prova, quindi fui costretto a ripetermi per non cadere nell’ambiguità - Ci siamo fatti una birra insieme ieri sera e, beh, siamo collassati, credo... -

- Frena, frena, frena!- Juan decise di non andare oltre - Non voglio sapere altro, datevi una ripulita, possibilmente entrando in doccia uno alla volta, e portate i vostri fondoschiena in sala prove immediatamente!-

Era proprio il caso di darsi una mossa.

Più che altro perché avevo tanto premuto per avere la mia sexy coreografia che ora non potevo certo perdermela.

Così scatenai i cavalli della mia Corvette e a velocità interstellare giungemmo  a destinazione.

Sfrecciammo di corsa nei corridoi della casa discografica, dove El Cid Fener ci salutò amichevolmente con la mano alzata e Napoleon gli rispose con un’alzata di dito, poi spalancammo i portoni della sala prove ed eccoci apparire davanti agli occhi uno spettacolo più terapeutico di un quintale di Aspirine.

 

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Capitolo 5
*** 5TH TRACK - Savin’ me ***


 

5TH TRACK - Savin’ me

Decine di ragazze in hot pants e reggiseno civettavano le une con le altre in un pollaio che volentieri avrei trasformato nel set del più trasgressivo schiuma party di tutti i tempi.

Improvvisamente, del martellante mal di testa da Muay-thai mi restò solo il vago ricordo.

Gli enormi finestroni alla Flashdance permettevano al sole di diffondere i suoi lunghi raggi sui corpi giovani ed allettanti delle ragazze,  pronti a scatenarsi e dare il meglio per la selezione.

Alcune ballerine si erano già accorte della nostra presenza e si erano portate le mani alla bocca, tutte eccitate dal fatto d’essere di fronte a una superstar.

Due, c’era anche Napo.

Diaz, che fino a quel momento aveva flirtato senza ritegno con una mora dai capelli ricci all’angolo del salone, si voltò verso di noi, mostrandoci la sua sfolgorante coda di pavone spalancata.

La sua arma segreta, faceva faville.

- Eccoli qua, si sono fatti attendere!- esordì, elegante come non mai nel suo nuovo completo color sabbia. Aveva lasciato la giacca appoggiata ad una delle sedie del tavolone principale, accaparrandosi il posto che assicurava una completa visuale sull’aia stracolma di gallinelle, le quali si sarebbero esibite di lì a poco a gruppi di cinque.

Dopo l’introduzione di Juan a cui non badai minimamente, mi accomodai con i piedi sul tavolo e le gambe lunghe e distese, pronto a godermi lo spettacolo.

Che non mi deluse affatto.

Sembrava di stare in un reality: di ogni membro del gruppo che ci si presentava, venivano elencati i nomi e le referenze, tutte cose superflue. La parte divertente era valutare le professioniste secondo una scala di abilità.

Era praticamente scontata la presenza di tecnici e coreografi di professione, coloro che poi avrebbero dovuto realmente valutare le esibizioni. Noi eravamo lì per puro gusto personale, nient’altro.

Mi complimentai mentalmente con Diaz, chiedendomi per l’ennesima volta come diavolo avesse fatto ad organizzare una cosa del genere in così poco tempo e con esito tanto positivo.

Probabilmente aveva già tutto calcolato dal principio, ancor prima di raggiungermi a Londra.

O forse era veramente uscito da una lampada magica.

Questo mistero non sono ancora riuscito a risolverlo.

Mi voltai verso di lui, mentre il sesto gruppo si faceva avanti e la commissione ringraziava il precedente. Volevo scambiare qualche battuta cretina delle nostre, scontatamente a sfondo sessuale, invece lo trovai imbambolato con gli occhi a pesce e la bocca semiaperta a fissare le curve di una bionda in seconda fila.

- Ci risiamo.- alzai gli occhi al cielo.

Focalizzai meglio il soggetto a cui il mio manager stava rivolgendo il proprio totale interesse, dimenticandosi forse per quale motivo si trovasse in sala e quale fosse il ruolo che ricopriva.

Il bocconcino in questione non era molto alta, aveva una massa di lunghi capelli platinati che avevo già visto in Pamela Anderson e in un milione di altre bionde hollywoodiane legati in una coda scomposta dietro la nuca e gli occhi dalle screziature azzurre talmente intense ed insolite che non avevo visto nemmeno nei migliori esperimenti pubblicitari di fotoritocco.

Aveva un piercing ad anello al naso e le labbra piene e disegnate dipinte di un rosso acceso: non proprio l’aspetto di una ragazza per bene, ma era bella come una bambola.

- Però.- commentai, ancora incerto su come definirla.

- Mio caro.- Diaz mi posò una mano sulla spalla, senza smettere di fissarla - Ho appena deciso quale sarà la prima che toccherò con mano.-

Io ridacchiai, Louis sbadigliò.

- Napo, ci sei?- gli conferii una gomitata delle mie - Guarda quanto ben di...- 

D’un tratto la frase mi si spezzò in gola.

Da dietro le partecipanti che ancora dovevano dimenare i loro bei fondoschiena a due centimetri dalla nostra tavolata di lupi famelici, due occhi neri mi attirarono come una calamita su un volto bianco, tondo e pulito, dagli spiccati tratti orientali.

Mi sporsi per carpire qualche altro particolare di quella ragazza che mi resi conto mi stava fissando da lunghi istanti. Aveva un nonsoché di misterioso ed esotico, di indecifrabile e ammaliante in quell’espressione incorniciata da una chioma di capelli drittissimi e scuri, così in contrasto con la sua pelle lattea da principessa.

Inutile dire che me la immaginai completamente nuda, nascosta dietro un ombrello di carta giapponese, a danzare come una geisha.

Dopotutto, ero ancora un poeta.

- Anch’io.- risposi al mio agente.

 

Mi svegliai arrotolato come un salame tra le lenzuola di seta nere del mio giaciglio che decine e decine di volte era stato teatro dei miei amplessi più selvaggi con le partner più scatenate.

Ero proprio al culmine dello stereotipo, dal momento che anche quella notte non mi ero risparmiato.

E vai! Un altro touch down da portare a casa.

Avevo abbordato con facilità la geisha del giorno prima, dopo che questa mi aveva convinto al cento per cento con la sua esibizione da ginnasta.

Alla prima spaccata avevo già scommesso su di lei un milione di dollari sul fatto che a letto facesse dei numeri da veri intenditori. E così era stato: su queste cose non avevo mai sbagliato.

Beato ed in pace col mondo, mi rigirai supino, godendomi la vista del sole nascente tra i grattacieli della città degli angeli, finché una voce carezzevole non mi sorprese.

- Buongiorno.-

Saltai su come una molla, convinto fino a quel momento di essere solo in casa, dal momento che mi ero appena svegliato in un letto vuoto e non avevo udito lo scroscio della doccia. E poi di solito c’era un accordo sottinteso tra me e le mie partner: era chiaro che la mattina dopo ognuno doveva andarsene per la sua strada, quindi era praticamente inutile trattenersi a guardare l’altro dormire, farsi le coccole o altre stronzate del genere.

Sei sveglia? Allora leva le tende.

- Ciao...- mugugnai, sfregandomi le palpebre e mettendo a fuoco l’esile figura femminile che davanti a me stava allungando un vassoio con pancake, latte e succo d’arancia.

Oh, no.

- Ti ho preparato la colazione.- i suoi occhi neri mi sorridevano sereni, la bocca sottile era curvata in un’espressione benevola.

Troppo benevola. Morbosamente benevola.

- Oh. Err... grazie.- fu l’unica cosa che riuscii a dire, indietreggiando ancora lungo e disteso sulle punte dei gomiti.

- Figurati!- quella si strinse nelle spalle ed allora notai che era vestita con un semplice abito in cotone bianco, qualcosa a metà strada tra “Mamma mia” e “Tutti insieme appassionatamente”.

Si era portata il cambio?

- Ora devo andare, devo trovare un completo per la prima di “Black Panther”.- buttai là, sgusciando fuori dalle coperte ed infilando la porta del bagno.

- Oh! Se vuoi ti accompagno, sarebbe divertente!-

- No!- mi lasciai sfuggire un urlo di terrore - Cioè, volevo dire, no. Meglio di no, devo passare dal mio agente, prima, mettere giù un sacco di firme, organizzarmi la giornata, sai la solita burocrazia! Ti annoieresti.-

Ma lei, imperterrita come un’amazzone armata di arco e frecce, si fece avanti di qualche deciso passo, decisamente puntandomi.

- Niente affatto!- la chioma corvina ondeggiò vistosamente nello scuotere il capo - So cosa stai pensando: questa è un’esaltata rompiscatole con qualche problema mentale.-

Esatto.

- Ma dai!-

Ma spudoratamente mentii, nonostante fosse più che normale che io pensassi una cosa del genere, dal momento che ero appena stato assalito con un vassoio da breakfast!

- Non ti preoccupare, comunque.- mi rassicurò, agitando il bacino da ballerina - Sono già stata a letto con dei tipi come te. L’ultimo è stato Shingo Aoi, pensa un po’!-

Rabbrividii.

- E questo dovrebbe darti delle credenziali?-

Pregai lo staff Candid Camera di saltare fuori, prima che un raptus omicida prendesse il sopravvento.

- Certo! E’ così che le ragazze fanno strada in questo mondo, non te l’hanno mai detto?-

E invece non si fece vivo nessuno.

Un attimo di silenzio non so se definire imbarazzante, inquietate o del tutto insensato si frappose tra di noi.

Soltanto dopo indefiniti istanti fui in grado di riaprire bocca.

- Devo andare.- ripetei, defilandomi definitivamente.

 

Diaz, seduto al posto di guida, si stiracchiò e ricadde pesantemente sullo schienale della sua coupé, mentre attendevamo lo scattare del verde fermi ad uno degli innumerevoli semafori sul Sunset Blvd.

- Ore piccole?- fu la mia questione.

Il mio agente si portò alle labbra il bicchiere di cartone stracolmo di caffèlatte fumante.

- Ci sto lavorando, amico.- una risposta insolita per Juan Diaz.

- Non ci credo che non ti sei rimorchiato nessuna di quelle assatanate!-

E ci tenevo proprio a commentarlo.

- Ehi, non sono mica una puttana!-

- Insomma.-

- Che vuoi dire?-

- Che tutto fa brodo per te, Juan.-

- Ma dai! Sarei sifilitico a quest’ora.-

- Ah, non lo sei?-

- No, non lo sono.- stranamente il Genio mi rispose con tono piccato - E comunque ripeto, per tua informazione, ho puntato la bambolina bionda. E quando Juan Diaz adocchia una preda, non ci sono palliativi che tengano!-

- E allora perché non te la sei portata a letto?-

Fu una domanda spontanea, senza malizia. Giuro.

- Quanto sei noioso, Ryoma!- tentò di tagliare corto lui, ma visto che continuavo a fissarlo dal sedile passeggero con aria sorniona, si decise a rispondere stando bene attento a non alzare troppo la voce - Aveva... altro da fare.-

- Altro da fare?! Ah ah, ti ha mandato in bianco!-

Per poco non rotolai giù dalla Lotus, esilarato dalla mia brillante deduzione.

- Va bene, va bene, piantala di ridere! Ti ho detto che me ne occupando. A lavoro concluso non mancherò di farti un gran bel rapporto dettagliato. Girerò anche un filmino, così impari a prendermi per i fondelli!-

Il mio scout era tremendamente suscettibile quando si parlava di donne. O, più nello specifico, delle sue prestazioni sessuali e della sua indiscutibile fama di playboy.

- Dimmi di te, piuttosto, ti ho visto uscire dalla sala con una mora dagli occhi a mandorla o sbaglio?- buttò lì, ammiccando e prendendo un altro sorso dal bicchiere di cartone.

Io scossi il capo, ancora percorso dai brividi al solo ricordo della pazza che mi ero ritrovato in camera da letto quella mattina.

- Avrei preferito mille volte la mano amica, puoi giurarci.-

- Gesù, scherzi?-

Non scherzavo affatto, così gli narrai brevemente l’episodio agghiacciante.

- Sono stato paragonato a quell’idiota di Shingo Aoi, ti rendi conto?!- me ne uscii infine, l’ultima delle disgrazie della lista.

Ora. C’era da fare luce su alcuni piccoli particolari.

Partendo dal principio.

Tsubasa Ozora e la sua boyband erano gli idoli delle ragazzine dai dodici anni in su. Erano coloro che avevano avuto il potere di far eclissare i Backstreet Boys e farli cadere in serie B. Al contrario di questi ultimi, erano un gruppo che non si sarebbe sciolto mai e questo rappresentava la loro grande fortuna.

Come in ogni boyband che si rispetti c’era il bravo ragazzo a cui tutte le madri avrebbero dato in sposa le proprie figlie: Tsubasa, per l’appunto. Poi c’era il sofisticato, tale Jun Misugi, il puro e genuino, Taro Misaki, il mostro di simpatia Shingo Aoi ed infine quello un po’ più sanguigno, Hikaru Matsuyama.

I loro balletti causavano più svenimenti da sovreccitamento delle droghe pesanti, erano degli idoli della musica pop.

I Boru wa Boyz avevano conquistato il pubblico grazie alla loro semplicità ed alla capacità di infondere una grande speranza nei desideri, nell’amore, nell’amicizia. Non a caso le loro canzoni erano un tormentone nei licei.

Tutta roba da ragazzine sognatrici.

Ad esempio Tsubasa, il leader, aveva recentemente sposato una sua grandissima fan, una certa Shana, o Sanae... non ricordo. Fatto sta che comunque tutti guardavano a questa favola realizzata come una specie di lume della speranza a cui appigliarsi nei momenti più bui - o semplicemente per continuare a credere che prima o poi il principe azzurro arriva per tutti.

In realtà Shana aveva avuto soltanto una gran botta di fortuna.

E chi crede ancora nelle favole è ora che si dia una svegliata.

Misugi, invece, si era messo con la manager del gruppo e Matsuyama con una sua vecchia compagna di classe.

Nessuno di loro ha mai pensato di farsi un giro con una stripper? Insomma, dai, c’è bisogno di fare il paragone?

Per non parlare di Misaki, cultore dell’arte. Organizzava aste di beneficienza a non finire per smerciare i suoi orridi quadri, visto che nel tempo libero era anche un pittore. Era un modo per sentirsi ancora vicino al suo caro papà, che viveva dall’altra parte del mondo e che lo aveva iniziato alla pittura dai tempi dell’asilo. Che cuore grande.

Il sopraccitato Shingo Aoi, invece, era il caso più disperato: sosteneva che l’arrosto della sua mamma fosse il piatto migliore che avesse mai mangiato.

Bambocci, non c’è altro da aggiungere.

Diaz sputò tutto il caffelatte che stava bevendo, nel tentativo di non morire soffocato dalla sua stessa risata.

Risata che durò circa cinque minuti.

Non esagero. Facemmo in tempo a ripartire ed attraversare tutto il quartiere.

Sembrava il gemello perduto del Joker.

Cominciai a guardarmi l’orologio.

- Ah, tu sì che sei divertente, Bomber!- sghignazzò infine, asciugandosi le lacrime e facendosi aria con la mano.

- Non c’è un cavolo da ridere, idiota!-

- Ne sei sicuro?-

Già, non ne ero molto sicuro.

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Capitolo 6
*** 6TH TRACK - Far Away ***


6TH TRACK - Far Away

La mia accompagnatrice non era proprio nei canoni, ma il divertimento sarebbe stato assicurato.

Dopotutto era stato Victorino stesso a raccomandarsi di cambiare abitudini.

- Ehi, sistemati la camicia, sembra che tu abbia appena preso a pugni qualcuno.-

Napoleon era così carino con me.

- E tu abbassati quel colletto, non sei mica Tony Manero.-

Io non ero da meno.

- Attento, le fanwriters inizieranno a scrivere storie omosex su di voi.-

Ci voltammo con un brutto muso, tutti intenti a prendere a cazzotti chi aveva appena parlato, quando il volto sereno di Victorino ci si palesò davanti.

Strano, non avevo nemmeno riconosciuto la voce del mio migliore amico.

- Lo fanno già su noi due, Ramon.- risposi, salutandolo con un abbraccio - Che diavolo possono inventarsi ancora, un threesome?-

Meglio non dare strani spunti.

Nello stringerlo energicamente come ero solito fare, mi resi conto che doveva essere dimagrito parecchio, dal momento che riuscivo a tratti a tastargli le ossa.

- Ti metti a fare diete da signorina, eh?- buttai là, alzando un sopracciglio con fare canzonatorio.

- E’ la dura vita del sex symbol hollywoodiano, che vuoi farci! Metti su un chilo, - si puntò il dito indice alla tempia e fece fuoco col pollice - e sei morto.-

Scoppiai in una risata che riconobbi immediatamente essere liberatoria.

Non riuscii a riconoscerne il motivo, ma rivedere Ramon dopo così tanto tempo fu un toccasana. Lo stress, le donne, i tira e molla, la fatica, i successi e le delusioni della vita passavano, ma la sua presenza accanto a me si manteneva solida e costante come quella di un colossale idolo di pietra.

Sacro, oserei dire. Autentico.

Realizzai in quell’istante, in posa davanti al gigantesco poster del suo ultimo successo, che senza di lui probabilmente non avrei avuto appigli.

Davanti ai flash dei fotografi, completamente immersi in un altro universo, compresi che io senza di lui sarei stato completamente solo.

La famiglia che avevo era piuttosto disastrata e in un mondo di pescecani come il nostro farsi dei veri amici era roba da X-Files. Era già difficile tra gente comune, figurarsi sotto le luci della ribalta, dove si sgomitava e ci si accoltellava a vicenda pur di ottenere mezzo minuto sotto i riflettori.

Non era l’avere qualcuno a cui raccontare della mia ultima avventura, per quello poteva bastare Diaz, non era nemmeno l’ubriacarsi fino al collasso in uno dei club più in di Los Angeles, cosa che con Napoleon avrei perpetrato a lungo, non era niente di tutto questo a fare la differenza tra Ramon e il resto del mondo.

Perché Ramon era mio fratello.

Qualcuno a cui ero legato col sangue. Qualcuno che anche se ci fossimo perduti, ero sicuro di ritrovare in qualsiasi angolo del mondo.

Era così dal giorno in cui mi passò la palla in una partita di calcio alle elementari. Ed io segnai un gol.

Da allora lui era sempre lì a condurre il gioco, ed io a finalizzarlo. E, attenzione, non ero affatto io l’atleta essenziale, poiché senza di lui non avrei avuto alcuna palla da calciare in rete.

Eravamo insieme dai tempi andati, decidemmo persino di iscriverci allo stesso istituto per giovani talenti e lì ognuno scelse il suo campo, la sua specialità. Così io iniziai la gavetta nel mondo della musica, mentre lui nel teatro e poi nel cinema.

Camminavamo insieme, marciando su un percorso parallelo, spalla contro spalla, da sempre.

Era rimasto con me ed io con lui, nonostante le distanze e gli impegni inderogabili. E la vita che si era fatta giorno dopo giorno sempre più complicata. Lui era con me a sostenermi, a spalleggiarmi, a farmi compagnia. E non c’era volta in cui non mi voltassi indietro e non incontrassi quel piccolo centrocampista improvvisato dagli occhi verdi pronto a passarmi il pallone.

- Ramon, ti presento la mia accompagnatrice.-

Louis gli tese la mano con il suo tipico fare sprezzante.

- Enchanté, tesoro.-

- Drastico cambio di rotta, nh?- commentò Victorino, scoprendo i suoi denti bianchi, stringendogliela.

- Nah, è per pubblicizzare la collaborazione più spaziale di tutti i tempi!- fu la risposta che gli arrivò dal deejay dal ciuffo biondo.

- Ah ah, spaziale dici? Non sentivo questa parola dai tempi del liceo!-

La risata inconfondibile di Ramon fu immortalata da un reporter in prima fila oltre il nastro rosso. Ne sarebbe scaturita una prima pagina da urlo, il giorno dopo. Tutti avrebbero parlato del terzetto d’oro della prima e le donne si sarebbero strappate i capelli dal rimorso per non avervi presenziato.

- Tornerà di moda, amico, comincia a scommetterci.-

Gli rispose categorico Louis, continuando a sorridere ai flash.

Fu un party piacevole e movimentato, finché tra l’ingresso di Robert Downey Jr e Cher non comparve lei.

Mentre stavo per andare a salutare la mia cara amica, Madame LaPierre [3], fui indotto a voltarmi verso il mio ultimo, grande errore: Naoko, la psicotica geisha Naoko che mi ero portato a letto la sera prima.

Fasciata in un elegante tubino nero, si affannava per salutarmi con un sorriso a trentadue denti, avanzando rapidamente al braccio di un tizio che avrei preferito fosse Shingo Aoi, invece di Kojiro “Tha Tiger” Hyuga, il rapper più sovversivo della East Coast.

- Oh, merda.- pietrificai.

- Che c’è?- domandò repentinamente Victorino, voltandosi e realizzando all’istante - Un’altra delle tue bravate?-

- Eh? No... - cercai di buttare là, ma Napoleon mi precedette.

- Si è solo fatto una psicopatica.-

- Grazie, Louis.-

Molto, molto carino come sempre.

Lui si strinse nelle spalle come a dirmi che non aveva mica detto nulla di male se non la verità, mentre l’improbabile coppia guadagnava terreno.

- Ciao, Ryoma!- esordì la ballerina, ravviandosi i lunghi capelli neri - Dato che mi hai detto che avresti presenziato alla prima, ho deciso di farti una bella sorpresa ed aggregarmi al mio fratellone!-

Oramai non credevo più a Candid Camera: ero per forza di cose diventato il protagonista di The Truman Show.

- Hyuga è tuo fratello?- biascicai come un ubriaco.

- Certamente!- fece lei, agitando le lunghe ciglia dipinte - Koji, ti presento Ryoma Hino.-

Gli strinsi la mano con convinzione, aggrottando le sopracciglia nel tentativo di riprendere la mia aria da uomo che non deve chiedere mai - soprattutto sapendo quanto Tha Tiger teneva alla sua piccola, adorata sorellina.

Come un buon rapper che si rispetti, i suoi brani trattavano per la maggior parte di gang, pistole, prostitute, droga e scazzottate. Ma c’era un piccolo particolare che faceva la differenza tra lui e gli altri spara-rime a mitraglia, ovvero il suo smodato amore per la famiglia, in particolar modo per la verginità della sorella minore.

All’oscuro del fatto che questa fosse di pubblico dominio, Hyuga inneggiava continuamente a quanto l’unica cosa pura rimasta nel suo sporco mondo di ghetti e sparatorie fosse quell’angelo di sua sorella Naoko.

Già, quella Naoko.

La Naoko che si faceva strada nel mondo della danza e nelle mutande di noi povere vittime della sua imperante psicosi.

Era brava nel suo mestiere, non c’è che dire. Perlomeno, in quello non dichiarato.

- Gli ho raccontato del provino che ho fatto per entrare nel tuo corpo di ballo!- esclamò, giuliva - Quando ci farete sapere l’esito?-

-  Credo tra qualche settimana, abbiamo esaminato molte professioniste.-

Promemoria: contattare Juan Diaz e dirgli di depennare Naoko Hyuga dalla lista delle candidate.

Kojiro mi lanciò un’occhiata assassina da dietro la lunga frangia ribelle.

Dannazione, aveva intuito qualcosa.

- Mi piacciono i tuoi dischi.- mi disse invece, spiazzandomi.

- Oh.- alzai un sopracciglio.

Era forse un tentativo per avvicinare il nemico e poi tagliargli la gola con più facilità?

- Anche a me piacciono i tuoi.- finii per mentire, per il bene della diplomazia.

Ecco, era in momenti come quelli che avrei voluto che Diaz fosse con me, invece che essere disperso chissà dove nel tentativo di portarsi a letto la bionda che già una volta l’aveva troncato sul nascere.

Mi sarei aspettato un “bene, fa’ in modo che continuino a piacermi”, invece Hyuga non mi minacciò, mi rivolse semplicemente un mezzo sorriso prima di allontanarsi. Non seppi se ritenerlo un bene o un male, dal momento che Naoko si voltò indietro strizzandomi l’occhiolino e mimando con la mano un telefono, inducendomi a controllarmi una tasca e scoprire che ci aveva infilato un bigliettino con il suo numero, accompagnato da una sconcezza tale che credevo solo gli uomini fossero in grado di concepire.

- Gesù, se quello scopre che ti sei portato a letto sua sorella, ti scuoia vivo e ti infila su uno spiedo!-

Napoleon, Master in delicatezza.

- Hey, hey, hey! So trattare coi cannibali.- asserii, più macho di Bruce Willis.

- L’hai fatta grossa questa volta, eh, amico!- Victorino stava già ridendo a crepapelle prima ancora che i due avessero mosso il primo passo verso la sala.

- Come facevo a sapere che quella è sua sorella? Non si somigliano neppure!- stracciai il pezzo di carta e per poco non me lo mangiai.

- Beh, più che del fatto che sia la sorella del rapper... dovresti preoccuparti di chiedere le credenziali delle donne che ti porti a letto, d’ora in poi.-

- Se sapessi quali sono, le sue credenziali!- mi portai una mano alla fronte.

Ci mancava solo che cominciasse a prendermi in giro anche lui, allora sì che le cose potevano dirsi degenerate.

Comunque, dopo quell’episodio mi convinsi fermamente ad eliminare Naoko dalla piazza, non volevo più sentire parlare di lei, né avrei permesso che s’infilasse nuovamente nel mio letto.

Ciò che non sapevo era che non sarebbe stato così facile.

 

 

- Naoko Hyuga, numero quarantacinque.-

- Che?!- strabuzzai gli occhi e una sincope improvvisa si impadronì del mio sistema nervoso - No! Non se ne parla neanche! Quella va rinchiusa!-

Juan Diaz si voltò verso di me con aria interrogativa. Aveva appena nominato colei che mi avrebbe perseguitato fino in capo al mondo, se solo ne avesse avuti i mezzi, e di certo io non potevo permettere che entrasse a far parte della coreografia ufficiale.

- Juan! Diavolo, permetti due parole?!- lo afferrai sottobraccio e lo condussi lontano dal tavolo degli scrutinatori, decisamente contrariato - Senti un po’, ma sei completamente impazzito? Prima ti dico che quella mi perseguita e poi tu la inserisci nel secondo gruppo?!-

- Calmati, amico, fly down.- il mio agente si esibì in un sorriso a trentadue denti in direzione degli osservatori artistici, rivolgendo loro un simpatico cenno di saluto con una mano - Prima di tutto, sta a sentire me: la ragazza è brava, gli scrutatori l’hanno reputata in grado di passare la selezione, che cosa vuoi che faccia, io? Vuoi che vada da loro e gli dica che quell’idiota del mio beniamino, qui, se l’è portata a letto e ora non la vuole più vedere?-

- Sì!-

Non mi pareva poi così difficile.

Diaz alzò gli occhi al cielo, conferendomi un sonoro manrovescio su un braccio.

- Andiamo, lo sanno tutti che quelle ragazze vanno a letto con chiunque!- mi lamentai, sbuffando - Con tutta probabilità anche quei grandi osservatori dello spettacolo laggiù se ne sono fatte tre o quattro!-

Era così che girava il mondo, mi stupivo del fatto che le cose non fossero mai chiare e mi chiedevo per quale cavolo di motivo tutti sapessero, ma facessero finta di niente. Che diavolo d’etichetta dovevamo rispettare? Non era abbastanza palese, la questione?

- Sistemami il nodo della cravatta.- Juan mi riportò alla realtà.

- Che? -

- Sistemami il nodo della cravatta!- ripeté, mentre io mi decisi ad eseguire.

Mi accorsi che gli scrutatori ci stavano guardando con sospetto, per questo Diaz aveva messo in atto una perfetta manovra evasiva.

- Ah, tutto a posto, gente.- esordì, riavvicinandosi al tavolo - La nostra rockstar, qui, soffre un po’ lo stress accumulato recentemente, per cui direi che possiamo andare avanti anche senza di lui, dopotutto si parlerà di dettagli tecnici d’ora in avanti, giusto?-

Poi, senza attendere risposta, mi accompagnò alla porta.

- Fatti un giro, okay? Vai a svagarti un po’, qui ci penso io.- mi batté un colpo amichevole sulla spalla - Mancano ancora due fasi di selezione, fidati di me e non dare di testa o complicare le cose come tuo solito, faremo in modo che il corpo di ballo definitivo non comprenda la tua nevrotica fiamma.-

Con un’occhiata non so se dire riconoscente o d’ammonizione, voltai i tacchi e infilai la porta.

Speravo vivamente che Diaz eliminasse in qualche modo dalla faccia della terra colei che quella stessa mattina mi aveva fatto trovare in caffetteria il peluche di un procione con dei cioccolatini e una lettera che si distanziava notevolmente dallo spirito romantico del regalo.

Avevo dovuto cestinarlo all’istante con uno slam dunk degno di Michael Jordan per evitare di essere beccato in flagrante da qualcuno a sollazzarmi con un procione vibrante in mano.

Maledetta pervertita.

Comunque, schizzai alla velocità della luce fuori dalla sala riunioni diretto verso l’uscita più vicina. Il mio passo fu rallentato soltanto dalla voce di Napoleon, insolitamente stridula.

- E vuoi piantarla di starmi sempre tra i piedi? Ti diverti a stuzzicarmi, saltando fuori ogni volta che metto piede qui dentro? Non mi piaci per niente, El Cid, quindi piantala!-

- Invece tu mi piaci un sacco, Louis.- gli fu risposto da una seconda voce, che riconobbi immediatamente essere quella fine e garbata di Pierre - E’ per questo che lo faccio.-

- ...eh?- mi lasciai sfuggire, che poi fu l’esatto monosillabo che pronunciò Napo, del tutto spiazzato.

Ovviamente non potei non accostarmi alla porta semiaperta e gettare un’occhiata all’interno della saletta, dal momento che se quella testa calda di Louis si fosse proiettato contro il suo acerrimo nemico con un calcio rotante, avrei almeno avuto il tempo materiale per evitare il pestaggio in diretta.

Invece, inaspettatamente, fu Pierre a proiettarsi contro Louis, o meglio, addosso a Louis.

Ed allora i miei dubbi sulla presunta omosessualità di El Cid furono fugati all’istante, mentre Napo veniva sospinto sulla console con la veemenza di una vera e propria aggressione.

Ero pressoché sicuro che il focoso capellone avesse appena firmato la sua condanna a morte, quando Louis - Louis Napoleon, l’omofobo collerico ed intollerante - lo sospinse indietro, facendolo finire contro la porta da cui mi scostai appena in tempo per evitarmi una plastica al naso, e fece scattare la serratura in un’apoteosi di ansimi e palpate.

Ora, sinceramente, non sapevo se essere più sconvolto per loro o per il procione.





[3] Cherylin Sarkisian LaPierre è il vero nome di Cher.

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Capitolo 7
*** 7TH TRACK - Next Contestant ***


 

7TH TRACK - Next Contestant

Ne avevo abbastanza di imbattermi in gente sessualmente disturbata!

Oltretutto quello offertomi da Napo e Pierre non era proprio il tipo di spettacolo per cui avrei comprato un posto in tribuna d’onore!

Per una volta che volevo salvare la pelle ad un amico!

Stavo per appuntarmi mentalmente questa lezione di vita quando, svoltato l’angolo, vidi lei. Appostata al cofano della mia fiammante due posti, la psicosi fatta persona: Naoko Hyuga.

Teneva in mano un tubo di cartone di quelli che si usano per contenere documenti o attestati arrotolati e ci giocherellava in modo abbastanza ambiguo perché mi si accapponasse la pelle.

Maledetta pervertita.

Non avevo un attimo di tregua!

Tornai sui miei passi alla velocità della luce, senza minimamente chiedermi cosa mai contenesse quel rotolo indubbiamente indirizzato a me; scartai piuttosto l’angolo in cerca di salvezza e finii per incrociare la strada della bella copia di Pamela Anderson, oggetto del desiderio di Juan Diaz.

Fu quando udii la voce agghiacciante di Naoko strillare il mio nome che attraversai la strada con un balzo e m’infilai di corsa nella sua auto, facendo scattare tutte le sicure.

- Parti!- le intimai, come in un perfetto film d’azione.

- Hey, ma sei impazzito?!- fu l’ovvia esclamazione di lei.

- Non fare domande e parti!-

Ma io non ero certo disposto a cadere nelle grinfie della mia aguzzina, per cui le afferrai un ginocchio per fare pressione sull’acceleratore e l’auto sgommò via a tutta birra.

Solo quando con un sonoro scapaccione la bionda riuscì a farmi scollare la mano dalle sue grazie, l’andatura dell’auto rientrò nei limiti consentiti.

- Ma che diavolo ti prende?!- mi sbraitò in faccia, accompagnata dalla sonora sferzata del freno a mano.

Io lasciai ricadere il capo all’indietro sul poggiatesta con un gran sospiro: eravamo lontani, pericolo scampato.

- Questione di forza maggiore, un po’ come in Predator. Dovevo fuggire dall’alieno cacciatore.-

In quanto a metafore non mi aveva mai battuto nessuno, per questo i miei testi erano così estrosi.

- Non fa ridere. E soprattutto non ti autorizza a saltare in macchina di una sconosciuta!-

Non aveva tutti i torti. Ma d’altronde nemmeno io.

- Oh, andiamo, sono vittima di stalking selvaggio! E poi non sei una sconosciuta, facevi parte del sesto gruppo durante la prima selezione.-

Diaz me ne aveva parlato fino alla nausea, come potevo non aver focalizzato il suo decolleté da bambola?

- Non so se essere onorata o terrificata dalla tua sensazionale memoria.- commentò piattamente, prendendo a guardarmi come se fossi in pieno trip.

Io sospirai fiaccamente, non avevo certo voglia di intavolare una discussione con una taxista di fortuna.

- Comunque scendi e smamma, devo tornare indietro.- riprese, ravviandosi una ciocca platinata dal viso truccato - Se mi hai fatto tardare alla seconda selezione, ti faccio causa.-

Mi stava trattando come un ragazzetto di quartiere? Stava snobbando me, la star indiscussa del rock internazionale?

- Tesoro, desolato d’essere portatore di una così terribile notizia, ma la data della seconda selezione non è ancora stata fissata.- non volevo certo essere così duro, ma se fosse stato pianificato un secondo provino di ballerine in top e coulottes di certo l’avrei saputo.

Tuttavia ci volle poco perché entrambi realizzassimo che Juan doveva averne combinata un’altra delle sue.

- Diaz!- imprecò la bionda - Che diavolo, mi sta addosso da quando sono arrivata!-

- Perché non ci vai a letto e basta? Che ti costa?- ero sempre stato decisamente incline alla schiettezza.

Lei si voltò verso di me sbattendo le lunghe ciglia dipinte. Probabilmente avrebbe cominciato a gridarmi dietro che le donne non erano oggetti, che non la smollavano come fosse pane bianco, che non dovevo più azzardarmi a dipingerla come una facile, eccetera, eccetera.

- Senza che mi abbia offerto almeno una cena? E’ improbabile.- fu invece la sua replica, alzando gli occhi al retrovisore ed assicurandosi che nessuno stesse puntando il suo paraurti posteriore - Comunque, vorrei tornarmene indietro lo stesso, è praticamente inutile che rimanga da queste parti, visto che mi sono giocata la giornata pensando di dover partecipare all’audizione.-

Non faceva una grinza.

- Come ti chiami?- mi fu spontaneo domandarle, dal momento che il suo fare vivace era paradossalmente così simile a quello di Diaz che non poté non suscitare il mio interesse.

Lei sospirò brevemente e mi guardò come se la mia questione fosse totalmente priva di senso.

- Trish Applegale. E vengo dal Kansas come Dorothy.- fece, alzando un sopracciglio - Mi piacciono le pannocchie, l’odore del fieno e le scarpe di vernice rossa.-

Schiusi le labbra per controbattere, ma fui subitaneamente intercettato.

- Niente battute sulle pannocchie, grazie.-

Mi aveva letto nel pensiero.

- D’accordo, Apple.- risi, stavolta seriamente divertito - Andiamo a farci un giro, ti va? Recuperiamo la giornata che ti sei giocata!-

Non ero mai stato un buon samaritano e d’altro canto Trish era di certo l’ultima persona sulla faccia della terra ad avere bisogno di qualcuno che le tirasse su la giornata, ma mi piaceva. E parecchio anche.

Non poteva fare a meno di piacermi, visto che era la versione al femminile del mio geniale agente.

Trish mi guardò di sottecchi ancora una volta, poi increspò le labbra lucide.

- Non è un altro trucco di Juan, vero?- buttò là, sospettosa.

- Nah, Juan Diaz gioca sempre a volto scoperto, non manderebbe mai avanti qualcuno per lui. E’ questione d’orgoglio.-

Ero anche in grado di elogiare gli amici, davvero, non mi facevo così solidale.

 

Non c’è niente al mondo come Los Angeles, niente.

Niente di più sfavillante, di più vivo, di più spettacolare.

E’ una città assolutamente fantastica, c’è tutto ciò di cui un uomo ha bisogno. Un uomo come me, perlomeno.

Rodeo Drive e le sue boutiques da milioni di dollari, Santa Monica e le sue spiagge bianche, il tratto terminale della Route 66 e i suoi incalcolabili turisti, lusso, stile e sballo a qualsiasi ora del giorno e della notte. E chi si ferma è rigorosamente fuori dalla giostra, non si merita questa meraviglia.

Camminavamo da un pezzo lungo la via costiera, fiancheggiando una spiaggia appartata e frequentata da personalità esclusive - questo per evitare di essere braccato dai fans in delirio, semmai avessimo seguitato a fare gli idioti per le vie del centro.

Già, perché Trish mi aveva appena battuto ad uno di quei videogiochi sparatutto su strada, stabilendo il record del mese. La contadina del Kansas aveva della stoffa nello sconfiggere gli zombie!

Una coppia di ragazze in bikini e rollerblades ci superarono consegnandoci dei volantini pubblicitari e sfoggiando un radioso sorriso nel raccomandarci di non mancare all’inaugurazione del nuovo Club sul Wilshire Boulevard.

Dura la vita delle donne oggetto.

Mi distrassi appena per seguire l’andamento armonico di quei fondoschiena atomici, che quando mi voltai la mia compagna era sparita.

- Apple!- esclamai, scorgendo la sua testa bionda sotto un pergolato dove era stato allestito un punto di ritrovo per gli amanti del bunjee-jumping estremo, con tanto di insegna lampeggiante e video dimostrativo - Che stai facendo?-

- Contratto un salto nel vuoto.- mi strizzò l’occhio e seguitò a parlare col tizio del chiosco.

- Che?!- questa volta fui io a strillare come una ragazzina - Se muori spappolata, Diaz non ci penserà due volte a mollarmi in mezzo a una strada! Finirò in rovina!-

Trish scosse il capo biondo e i suoi capelli accuratamente stirati le scivolarono sulla schiena.

- Basta non dirgli che ero in tua compagnia.- commentò con un’alzata di spalle, indicandomi il monitor che proiettava immagini mozzafiato - E poi ci si lancia nell’oceano, guarda.-

Il tizio dietro al bancone contorse la sua faccia piena di piercing in una smorfia scocciata.

- Allora, amico, hai intenzione di stare qui a discutere tutto il giorno?-

- Taci, razza di lampadario!- lo zittii io, quando minacciavo non avevo eguali.

- Ti tuffi anche tu o hai paura?- aggiunse noncurante Trish, apponendo la firma sul consenso.

Fu quella la frase che mi punse sul vivo, esattamente e scontatamente come da copione.

Di certo non potevo essere da meno di una ballerina platinata del Kansas!

 

Incredibile come una delle esperienze più folli della mia vita mi fosse capitata in un pomeriggio qualunque, in compagnia di una tizia con cui non avevo alcun legame e in un modo assolutamente improbabile.

Di solito sono cose che si desiderano pianificare nei dettagli, accompagnati da un grande amico o un grande amore, perché siano in tutto e per tutto esperienze che rimangano impresse per sempre.

Trish sorseggiava una granita, serena come se fosse appena tornata da una scampagnata, le gambe penzoloni giù dal pontile e gli schiamazzi dei ragazzini sulla spiaggia che ritiravano baracca e burattini in vista della sera a farle da colonna sonora.

Si era dovutamente struccata dopo il tuffo nell’oceano e si era ravviata i capelli in una coda alta sulla nuca, di modo che fossi libero di guardare il suo volto bianco senza ostacoli.

- Wow! Beh, la tua sì che è stata una mattinata pesante.- rise, dopo che ebbi terminato di raccontarle i vari sconvolgimenti dai quali ero stato investito.

- Già.- sospirai, addentando l’ultima succulenta aletta di pollo di cui avevamo fatto scorta al primo fast food utile.

Era stato divertente. Per una volta non ero stato servito e riverito da facce piatte e disinteressate, ma ero stato accolto da una solare ragazzotta cicciottella con un cappellino ridicolo, che mi aveva reso l’uomo più felice del mondo, consegnandomi quel cestello di alette.

- Apple.- ormai adoravo quel soprannome, di cui lei tra l’altro mi lasciava abusare - Non mi hai chiesto niente di me.-

- Avrei dovuto? Tutti sanno praticamente tutto di te.- fu la sua candida risposta, accompagnata da un’alzata di spalle.

Ero così scontato?

- Sono così scontato?-

- No, solo enormemente chiacchierato.-

Trish pareva essere tutt’altro che a disagio di fronte alla rockstar indiscussa numero uno del pianeta - che poi ero io. Mi trattava come ciò che in realtà ero: un tizio appena conosciuto. Forse un po’ scombinato, dal momento che le ero piombato in auto come un terrorista.

Non che lei fosse meno scombinata di me, comunque. Ma era per questo che mi aveva conquistato.

- Come sei finita qui?- decisi di chiederle di lei.

- Con un volo di linea.-

- Non fa ridere.-

- Nh.- lei arricciò il naso - Per farla breve, ho iniziato a ballare anni fa, cercavo disperatamente un hobby. E un modo per debellare la cellulite. Mi sono appassionata, tutto qui, e ho avuto la possibilità di crescere.-

- Ne parli come se non fosse niente di speciale. Stai sostenendo dei provini per entrare nella coreografia di una rockstar! E che rockstar!- risi, dandole un amichevole spintone.

Forse fu fin troppo amichevole, dal momento che Trish si ritrovò rovesciata faccia ingiù sul camminatoio. Sbirciandole sotto i pantaloncini notai che un modo efficace per sconfiggere la cellulite l’aveva trovato eccome.

- Non è niente di speciale, finché non si concretizza.- fu la risposta che mi arrivò, e mi apparve così tristemente disincantata che non seppi cosa aggiungere - Ballare non ti da da mangiare, inoltre non avrò venticinque anni per sempre. Ho fatto a pugni con tutti per riuscire a venire in California e adesso non so nemmeno se ci voglio restare.-

Mi ero sempre chiesto che fine facevano i protagonisti dei film sulla danza o sulle arti, dopo lo scontato happy end fine a sé stesso. Di certo non rimanevano arzilli e felici per sempre. Mi metteva un po’ di tristezza tutto questo.

D’un tratto non ero più l’onnipotente re del palco, ma un ragazzo qualsiasi seduto su un molo qualsiasi che faceva discorsi da grande, ma in realtà non era cresciuto per niente dai tempi della scuola.

E fui investito da una totale folata di libertà che mi diede le vertigini. Io, che credevo di stringere il mondo nelle mie mani.

- Che donna vissuta!- scherzai, tentando di conferirle lo stesso spintone di poco prima. Ma stavolta lei schivò e riuscì a colpirmi di rimando.

- Che stronzo.-

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Capitolo 8
*** 8TH TRACK - Side of a Bullet ***


 

8TH TRACK - Side of a Bullet

La luce abbagliante del mio 72 pollici mi strappò dal tepore del sonno, proiettando dritto sul mio giaciglio da signore del porno il riverbero del notiziario delle sei.

La voce dell’annunciatrice riportava con tono accorato i dettagli dell’ennesima catastrofe naturale, questa volta consumatasi nella notte in un paese del Sud America dalle coordinate che non riuscii a cogliere.

A seguire, assolutamente da non perdere, avrebbero trasmesso le immagini di Angelina Jolie, la quale si era già mossa con tutto il suo camper di viveri e figlioletti per accorrere in aiuto delle sfortunate vittime. Com’era noiosa e scontata, certa gente.

Spensi la sveglia mattutina e mi stiracchiai, rimanendo immerso in un limbo di nulla finché non giunsi in sala di registrazione.

Lavorai tutta la mattinata spalla a spalla con Louis senza riuscire a rivolgergli uno sguardo diretto. Inutile, ogni volta che ci provavo, mi si proiettavano davanti agli occhi gli agghiaccianti fotogrammi di lui e Pierre avvinghiati sulla console.

- Ryoma.-

Quando pronunciò il mio nome, fui certo di non avere più scampo.

- Quindi, se sovrapponi questo suono e distorci quest’altro, io attacco con la chitarra e...-

- Ryoma?-

- Potrei anche attaccare in si bemolle...-

- Hey!-

- Oppure, senti questa, che genialata! Se...-

- Ryoma!-

Inutile, non avevo alcuna via d'uscita.

- Che c’è?- alzai finalmente la testa dallo spartito per specchiarmi negli occhi azzurri di Napoleon e solo allora mi resi conto che erano circondati da una corona piuttosto importante di occhiaie.

- Credo di essermi fatto...-

Non lo lasciai terminare, cadendo vittima dell’ormai celebre triplo senso che ancora non avevo imparato a gestire.

- Oh, diavolo, Napo! Come pensi di poter lavorare in questo stato! Chi te l’ha venduta?!-

Ma Louis scosse appena il capo, prendendo un gran sospiro e rilasciando in un sussurro la confessione che temevo.

- Credo di essermi fatto Pierre.-

- Ah.- cercai di non farmi sfuggire la chitarra di mano - Ah. Volevo dire... oh! Eh? Come? Cosa?-

Ero confuso.

Come potevo simulare sorpresa dopo averli platealmente colti in flagrante?

- Devo dirlo a qualcuno. Dio... sono così... sono così...-

- Sconvolto?- gli suggerii, tentando di dar voce alla sua espressione smarrita.

- Più che sconvolto! Stanotte non ho chiuso occhio!-

Ci atteggiavamo tanto a uomini vissuti sul palco e con la stampa, eravamo personalità pronte a tutto, navigati come non mai e invece... tra noi, tolte le maschere e spalle al muro, scoprivamo di soffrire delle stesse infantili paure.

- Devo parlare con te, non importa come mi giudicherai, ma mi si sono aperti gli occhi.- esclamò, afferrandomi per le braccia - Lo odiavo perché non potevo averlo, è stato così semplice capirlo che... ora che lo so mi sento sul ciglio di un burrone. Non posso credere che sia successo!-

Io mi scostai e mi sfilai la chitarra dalle spalle: era giunto il momento di parlare seriamente.

- Napo.-

Lui alzò il capo che aveva chinato in un moto di sconcerto, svelandomi tacitamente che la spacconeria sulla quale aveva costruito il suo personaggio altro non era che il suo proprio, personale modo di difendersi. Tutti ne abbiamo uno, è qualcosa che ci accomuna, che ci rende fratelli. Anche se siamo fatti di tutt’altra pasta gli uni rispetto agli altri, anche se viviamo agli antipodi del mondo.

Così sperduto, mi parve sincero più che mai.

- Trasforma quest’inquietudine in ebbrezza.-

Erano le parole di una mia canzone, mai state più vere.

Louis si passò una mano tra i capelli biondi e la posò sulle cuffie da deejay che portava attorno al collo.

- Ero così convinto di odiarlo e basta. Ero accecato, non credevo di essere capace di fare una cosa del genere.-

Allora fu il momento di dimostrarmi amico, senza nessun doppio fine o malizia.

- E’ proprio questo il bello.- gli strizzai l’occhio, poggiandogli le mani sulle spalle.

 

Juan Diaz pareva ancor più sbattuto di Napo. Nel senso di giù di corda - sperai che almeno lui non avesse consumato alla faccia mia, anche se ultimamente era la persona più improbabile su cui puntare.

- Bomber!- tuttavia mi accolse nel suo ufficio con il solito sorriso malandrino.

- Hey, Genio, cos’è quell’espressione esaurita?-

La bocca della verità mi faceva un baffo.

- Ah, ho avuto parecchio da lavorare. - mi rispose lui - A proposito, ho avuto modo di parlare con il capo commissione. Abbiamo tagliato fuori Naoko Hyuga con una scusa piuttosto mediocre, non sarà riconvocata.-

Oh, dei del cielo! Era la notizia più conciliante che avessi ricevuto negli ultimi tre giorni!

- Juan! Vieni qui, fatti dare un bacio!-

Talmente conciliante che rischiai di perdere il controllo.

Lui scoppiò in una delle sue tipiche risate lunghe e vivaci, rispondendo alla stretta energica del mio abbraccio ricco di gratitudine.

- Grande e grosso come sei non ti sai liberare da solo di una groupie assatanata!- continuò a sogghignare.

- Assatanata, hai detto bene! Non sottovalutare quest’aggettivo!-

Scemata l’ironia, il mio manager si schiarì la voce e si mosse per aprire il finestrone che dava sulla balconata. L’inebriante aria di mare e cocktail supercarichi ci invase i polmoni: a Los Angeles si folleggiava, questa era la parola d’ordine.

E Juan Diaz si era scelto proprio un bell’ufficio.

- Accidenti, ti ha impegnato tutta la notte!- buttai là di nuovo, appoggiando le mani sulla ringhiera bianca laccata dell’ampio balcone.

- Nah, per questo ci sono voluti dieci minuti.- alzò le spalle, poi aprì la cristalliera ed estrasse due calici di vino.

Io lo attesi mentre stappava la sua bottiglia di rosso preferito, poi mi raggiunse.

- Allora, hai sentito del terremoto?- cominciò, accostando il suo bicchiere al mio per farli tintinnare.

- Qualcosa.- risposi noncurante, dopotutto non avevo mai discusso con Diaz di cose che non fossero lavoro, donne o auto, per cui non immaginavo certo che volesse intavolare un dibattito serio.

A dire il vero, ammetto di non aver mai discusso di cose del genere “calamità naturali” con nessuno.

- Non hanno ancora quantificato quante migliaia di vittime abbia fatto, il numero cresce di ora in ora. I feriti non si contano neppure.-

Sorseggiando il suo vino, dall’alto della sua morbida camicia candida, Juan sembrava parlarmi da un’altra dimensione.

- Ho una proposta per te.- aggiunse poi, rivolgendomi uno sguardo complice.

Era stato in piedi per buona parte della notte con gli agenti delle più grandi star della musica e del cinema per mettere in piedi una delle maggiori missioni umanitarie che fossero mai state organizzate dall’industria di Hollywood.

Il progetto doveva essere lanciato al più presto, dal momento che prima partivi, prima salvavi delle vite. E prima avevi la possibilità di essere lodato dai media.

Il progetto si sarebbe chiamato semplicemente “Hands”, saremmo dovuti partire di lì a cinque giorni e trattenerci nel luogo colpito dalla catastrofe per altri tre, di modo da poter mettere in atto quanto avevamo studiato nel breve lasso di tempo che avremmo avuto a disposizione per prepararci.

Un po’ come dei soldati scelti: volevano noi.

Era così anche per noi stelle dell’Olimpo, una corsa agli armamenti. Chi arrivava per primo si guadagnava un posto in tribuna d’onore per la notorietà.

Falsi filantropi e benefattori annoiati, ecco cos’eravamo.

Era una seccante trasferta - almeno per molti di noi - l’accorrere in aiuto dei più sfortunati. Una sorta di straordinario sottopagato.

Tuttavia, non potevo rifiutare.

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Capitolo 9
*** 9TH TRACK - If Everyone Cared ***


9TH TRACK - If Everyone Cared
- Ti offro una cena! Una di quelle cene che ti ricorderai per tutta la vita, con tanto di Champagne!-
Che promessa da un milione di dollari, Juan Diaz!
- Pensi di comprarmi facendomi bere?-
Ma Trish non era propriamente d’accordo. E glielo disse arricciando il naso con quell’aria da monella che aveva fatto letteralmente perdere la testa al mio magico agente.
Il quale decise di cambiare drasticamente tattica, afferrandola per i fianchi e spingendola contro la parete.
- Adoro il tuo tatuaggio, mi piacerebbe vedere dove finisce... mi piacerebbe sculacciarti...-
In quanto a me, entrai in sala prove nel momento sbagliato.
Di nuovo.
Proprio mentre Diaz, sollevato il vestito a pois di Trish, le percorreva febbrilmente il lato esterno della coscia, lungo le linee di un grosso tatuaggio maori che partiva da una spanna sopra il ginocchio e spariva verso l’anca.
Quella sala prove era diventata peggio di un bordello negli ultimi tempi. Avremmo fatto fior di quattrini, se ci avessimo organizzato dentro un reality.
La bionda si scostò abilmente, sul volto luminoso dipinto lo stesso sorrisetto divertito di poco prima.
- Non dobbiamo per forza finire a letto, possiamo anche solo parlare!- Juan la rincorse nel tentativo di riafferrarle almeno un polso, ma lei gettò indietro il capo come già l’avevo vista fare più di una volta, scoppiando in una risata esilarata.
- Hah! Cos’è questa, l’ultima spiaggia?-
- Sei sadica? Ti piace vedere le persone soffrire?!-
- Ma se mi hai appena palpata alla grande!-
- Ma... eh... andiamo, bambolina, tu sei davvero irresistibile!-
Trish, che non aveva ancora smesso di ridere, si avvicinò di quel poco che bastava per posare un lieve bacio sull’adorabile fossetta della bocca di Juan, che congelò.
- Anche tu.- gli sussurrò, prima di sparire oltre la porta, superandomi.
- Mi piacerebbe sculacciarti? Ottima mossa, Genio.- sghignazzai, togliendomi la giacca e conferendo un’amichevole pacca sulle spalle dell’improvvisato Casanova.
- Taci, tu!-
Ma il fatto che avesse appena fallito per l’ennesima volta aveva compromesso la sua solita giovialità. Il che capitava assai di rado: erano rari gli episodi o le persone capaci di far cambiare umore a Diaz, a maggior ragione se si trattava di una donna - da lui considerata un oggetto sessuale e nient’altro, tanto che al massimo si era risparmiato la receptionist, ma solo perché portava la prima.
 
Incrociai di nuovo l’abitino vintage di Trish proprio quando stavo uscendo dallo studio.
Mi ero portato parecchio avanti con Napo, dal momento che sarei dovuto partire per il fantomatico progetto “Hands” di lì a una manciata di giorni; tra l’altro, aggiornamento in diretta, Louis pareva molto più sereno rispetto a quando mi aveva confessato l’inconfessabile. Probabilmente, ipotizzai, ci aveva preso gusto.
E infondo ero contento per lui.
Raggiunsi Apple mentre anche lei stava lasciando la sala prove; a quanto pareva si era attardata un attimo, dopo la seconda selezione che, a proposito, aveva avuto luogo proprio quel giorno - e stavolta per davvero.
Ne mancava una soltanto per ottenere il corpo di ballo più sexy e mozzafiato dell’ultimo decennio. Mi sfregai le mani al solo pensiero.
- Cos’è quell’aria da invasato?- commentò col suo fare noncurante, riportandomi alla realtà e caricandosi il borsone su una spalla - Ti avverto, ho già ricevuto la mia dose di molestie per oggi.-
- Ti capita spesso?-
Raggiungendola con una breve corsa, mi lasciai andare ad un’allegra risata.
- Di solito si limitano ai complimenti. Più o meno espliciti.- alzò un sopracciglio finissimo - Non mi era mai capitato che qualcuno tentasse di sfilarmi le mutande a cavalcioni di una console.-
Quando avevo pensato che Trish fosse la versione femminile di Diaz, mi sbagliavo di grosso.
Era la sua anima gemella.
Avevano lo stesso modo di esprimersi, di muoversi, di trattarmi, di ridere, persino di parlare di mutande! Erano fuori di testa al punto giusto da mettere in piedi una missione umanitaria in una notte e decidere su due piedi di lanciarsi in bunjee-jumping nell’oceano.
Due così non potevano che finire insieme. Ecco perché Juan era così ostinato: forse si era preso molto più che una semplice cotta per quella che era molto più che una semplice ballerina platinata del Kansas. 
Trish mi aveva risposto con uno strano sguardo negli occhi che faceva presumere solo una cosa.
- Lui... ti piace?- dedussi, sbalordito.
- Lui mi piace da matti.- alzò le spalle bianche con aria disillusa, come se avesse pronunciato le parole da non proferire mai, pena la fine di un bell’incantesimo - E questo mi rende uguale a tutte le altre donne.-
A tutte le altre centinaia di donne, voleva dire, che il nostro Genio si era portato a letto.
- Lui... ti piace davvero?-
Ero decisamente sbalordito.
Come poteva Diaz piacere seriamente a qualcuno? Andiamo, Juan Diaz! Quel marpione senza scrupoli, tutto sommato così simile a me.
Non ottenni risposta, ma rimasi incredibilmente colpito dal suo silenzio.
E per quanto fosse simile a lui, cominciai a chiedermi se Juan la meritasse davvero.
- Apple?-
- Nh?-
- Mi riaccompagni a casa?-
 
Non lo fece.
Dopotutto Naoko non era più stata convocata, quindi non correvo più il rischio di essere violentato in qualche modo perverso.
Ci pensavo qualche giorno dopo, sul volo di linea che ci avrebbe condotti sul luogo della tragedia, dopo un dovuto reportage fotografico che sarebbe servito a divulgare la news bomba del momento.
Mi massaggiavo gli occhi, provati dai numerosi flash e, nell’inforcare gli occhiali da sole, notai il profilo distinto di Victorino qualche sedile più avanti.
Ora, non che avessero organizzato un volo di linea per centocinquanta superstar, eravamo giusto una decina. Numero del quale io non mi ero minimamente interessato fino all’ultimo, dal momento che quando Diaz mi aveva elencato i nomi dei partecipanti, io ero tutto intento a sbirciare nella scollatura della segretaria che mi porgeva il caffè.
Scartai Russel Crowe e mi appressai al mio migliore amico, ammiccando alla hostess di turno che mi veniva incontro come solo io sapevo fare.
- Ramon!- esclamai, cogliendolo alle spalle.
Lui non si scompose, con un gesto gentile sospese la conversazione che stava avendo con Fergie, seduta accanto a lui.
- Avevo scommesso cinquanta dollari che non ti saresti accorto di me finché non fossimo scesi dall’aereo.-
Mordace, Victorino aveva puntato sulla mia scarsa attitudine a badare al prossimo, anche durante le manifestazioni più di rilievo. Probabilmente solo un paio d’altre star ci avevano divisi nei numerosi scatti e dichiarazioni alla stampa prima della partenza ed io non ero stato in grado di individuarlo. Ottimo, avrei dovuto cominciare a farmi delle domande?
- Ciao, bella.- io strizzai l’occhio alla sua affascinate interlocutrice. Era sempre un gran pezzo di donna, non c’era nulla da aggiungere.
- A quanto pare ho perso per poco.- sorrise, assottigliando i suoi occhi enigmatici.
- Ah, andiamo! Lo sai quanto poco mi piacciano queste cose!- sbuffai io, in tutta risposta.
- Hai il tuo bel tornaconto, anche per queste cose. Non fare il misantropo rompiscatole.-
Mi stava rimproverando?
- Stai dicendo che devo responsabilizzarmi, o che devo stare zitto e intascare?- risi, contagiando anche lui.
In quel momento, sotto le luci artificiali della cabina, il volto di Ramon mi parve più emaciato che mai: gli occhi incavati, solcati pesantemente da due occhiaie profonde e la bocca, spalancata in una risata quasi nervosa, mi parve spaventosamente larga rispetto a come la ricordavo.
- Stai bene?- mi lasciai sfuggire, cessando improvvisamente di ridere, a tratti sgomento.
Allora il tempo ghiacciò e passeggeri, equipaggio, nuvole e respiri cristallizzarono. Tutto si tinse di colori esasperati, artefatti e saturi come in una pellicola in technicolor. Restammo vivi solo io e Victorino, il quale si voltò lentamente verso di me e - ne fui certo - mi rivolse uno sguardo di supplica, implorante d’aiuto.
Non era più Ramon, ma qualcuno che non conoscevo.
Non era più il mio compagno di giochi, ma uno straniero proveniente da un altro mondo, smarrito, sperduto. Il volto distorto in un’espressione aliena, irriconoscibile, trasfigurata.
E io persi le parole, disteso su un suolo nebbioso e forestiero con le mani lungo i fianchi, incapace di reagire.
Quando il regista ridiede il via alle riprese, sbattei energicamente le palpebre appannate da quella visione surreale e riacquistai coscienza del mondo.
Un’altra procace hostess mi passò di fianco, ma stavolta non la notai neppure.
- Certo.- mi rispose lui, stranito come se gli avessi appena domandato se per respirare era solito usare il naso o la bocca - Tu, piuttosto, sei preoccupato per qualcosa?-
- N-no, non credo... no.- riuscii a mettere insieme.
Non riuscii spiegarmi il motivo, ma ero scosso.
Era come se d’improvviso il bambino che mi aveva sempre passato la palla per andare in gol fosse inciampato. Caduto. E non si fosse più rialzato.
La cosa peggiore? Che io non me n’ero minimamente accorto ed avevo seguitato a sbraitare in attesa di un pallone che non sarebbe mai arrivato, senza nemmeno avere l’accortezza di voltarmi indietro.
Per questo decisi di congedarmi, simulando un’emicrania, ritornando incupito e confuso al mio posto.
- Noccioline?- fece Russel, porgendomi un pacchetto di arachidi.
 

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Capitolo 10
*** 10TH TRACK - Someone That You're With ***


10TH TRACK - Someone That You're With
Hands” non si rivelò essere il programmino toccata e fuga che mi aspettavo.
Non si trattò affatto una seccante trasferta, né di una messa in scena filantropica: furono i tre giorni più lunghi della mia vita.
Un’atmosfera di arida desolazione m’investì non appena misi il naso fuori dal portellone dell’aereo.
Faceva particolarmente caldo, tuttavia i raggi del sole non erano caldi e vigorosi come in California, ma torridi e crudeli come non mai e non davano vita ad una flora lussureggiante e prospera, bensì misera e monocromatica.
Raggiungemmo in breve tempo l’albergo in cui avremmo dovuto alloggiare: un grazioso cinque stelle del luogo, che più o meno equivaleva ad un due stelle scarso di Los Angeles. In poche parole, a nessun magnate sarebbe saltato in testa di aprire il proprio Hilton in un luogo del genere, per cui non era nulla a cui noi superstar eravamo abituate, anche se, dopotutto, faceva parte del gioco: rifugiarci in un albergo con delle mega suites e tv satellitare nella Jacuzzi di certo non avrebbe granché giovato alla pubblicità progresso.
I nostri agenti erano stati bene attenti a non sgarrare per non dare modo alle malelingue sovversive e no global di spararci addosso raffiche d’insulti sui loro blog fomentatori di manifestazioni moleste, il cui unico risultato era sempre stato quello di sprecare chili e chili di carta per produrre inutili cartelloni dagli slogan contestatori, invece che salvare la foresta dell’Amazzonia.
Ad ogni modo bastò un breve tragitto, sfrecciando tra le strade disastrate della città, e fui scaraventato d’un tratto sul molo in cui gli occhi di Trish mi avevano scandagliato il cervello. La stessa vertiginosa sensazione di vuoto.
Allora mi accorsi quanto eravamo noi quelli fortunati, quanto eravamo realmente sull’Olimpo. E quanto qualche dose di modestia in più non ci avrebbe certo fatto male. Che invece di farci massaggi da centinaia di dollari o di lamentarci perché il nostro sushi non era fresco come appena pescato, avremmo fatto bene a rimanere lì, rimboccarci le maniche e aiutare a scavare sotto le macerie.
Mi sentii tutt’un tratto in colpa per qualcosa che non avevo commesso.
O forse sì, credo si chiami indolenza.
Il vivere nel lusso è un privilegio per pochi e forse chi ci ha fatto dono di tutto ciò ha sbagliato i suoi calcoli, dal momento che noi beneficiari di cotanti vantaggi ci limitavamo a stare in panciolle sul nostro triclinio a mangiare uva e bere vino, imboccati, serviti e riveriti, senza avere la minima considerazione di coloro che da sempre la coltivano e la pestano, quest’uva.
Corpi scheletrici e denutrizione andavano di pari passo, così come campi coltivati a nient’altro che aria e mani che a malapena riescono a reggere una zappa improvvisata, tenuta in piedi con un pezzo di corda muffita.
Durante l’intera permanenza laggiù, ogni individuo che mi rivolgeva lo sguardo non suscitava in me pietà, ma rabbia.
Rabbia, perché viviamo in un mondo sbagliato, nel quale in tre giorni noi sciocche celebrità ci aspettavamo di apportare un massiccio contributo agli sfollati, sebbene in realtà ciò che serviva era molto più che una stupida trovata pubblicitaria per guadagnare punti e click sul sito web di Maxim.
Rabbia, perché al termine del servizio fotografico e del paio d’ore di rito nei luoghi più colpiti dalla tragedia, ce ne tornavamo nel nostro hotel, protetti dalle mura delle nostre stanze a farci un long drink con l’ombrellino.
Il che metteva addosso ancora più squallore.
I più piccoli ci tendevano le braccia con innocente entusiasmo, gli adulti credo ci odiassero. Perché sapevano. Sapevano perfettamente tutto ciò.
E il mondo intero faceva finta di niente, o meglio, dava a vedere di fare del bene, sottolineando invece un abisso incolmabile tra le due realtà.
Che rimanga tra noi: allora, forse, i moderni rivoluzionari non avevano tutti i torti.
 
Il vaso traboccò inaspettatamente.
E non c’entrò nulla la miseria che avevo visto fino ad allora, la distruzione e la sofferenza causate dal terremoto, il dolore delle persone ferite o menomate. La causa fu Ramon.
Successe tutto così in fretta che mi ci vollero dei giorni per riuscire a riprendermi e a rimettere insieme le idee, per riuscire a metabolizzare una visione talmente da incubo.
C’è che puoi passare un weekend in Burundi a sfamare i bambini per far contenti i giornalisti, c’è che possono sbatterti in faccia decine di diapositive di vittime di guerre e genocidi, c’è che puoi essere il testimonial per eccellenza per la ricerca contro una qualsiasi straziante malattia, ma quando è una persona che ami a soffrire, una parte di te, quando è tuo fratello che vedi cosparso di lacrime e vomito, allora non c’è stupida evocazione che tenga.
E non lo dimentichi con una sbronza o un paio di cocktail con l’ombrellino, ti segna e basta.
Te lo porti dentro finché campi, ti si attorciglia alle budella, togliendoti il respiro. Ti uccide.
Erano da poco passate le tre di notte, io generalmente non soffrivo d’insonnia, ma quella sera non ero ancora riuscito a chiudere occhio. Va da sé che ero piuttosto nervoso.
L’unica persona che aveva la capacità di domare ogni mia delirante pulsione era sempre stato Victorino, sin da quando avevamo sette anni.
Di certo non mi sarebbe mai saltato in mente di andare a rompergli le scatole in piena notte, se non avessi udito il suono della tv accesa provenire dalla stanza attigua alla mia. Quando bussai mi venne chiesto chi fossi da una voce che non riconobbi e ci vollero diversi lunghi istanti prima che qualcuno mi aprisse.
- Ah, lascia, lascia! Ryoma è un amico!- esordì Ramon, raggiungendo sulla porta un individuo di cui non ricordo nemmeno più la faccia - Il migliore!-
Mi bastò dare un’occhiata oltre le loro spalle e l’intera mia coscienza sparì, avvolta in una spirale di collera nera come l’occhio di un uragano violento e impietoso.
- Che cazzo state facendo?- furono le ultime parole che uscirono dalla mia bocca con un tono regolare.
- Vieni a farti un giro, bellezza!- m’invitò uno dei presenti, ancora seduto sul divano di pelle nera, tutto intento a pulirsi il naso dalla cocaina che si era appena sniffato.
Sul tavolino in vetro, all’apice di un disgustoso cliché, giacevano quattro strisce di cui ancora i fortunati presenti dovevano godere, insieme a una Black AMEX e a un paio di biglietti da 100 arrotolati. [4]
Se non si fosse trattato di Ramon, mi sarei congedato con un diplomatico “no, grazie”, avrei alzato i tacchi ed avrei lasciato quelle quattro scimmie drogate a godersi il loro speed.
Ciò che mi frenò e che mi indusse ad agire in modo totalmente fuori controllo era proprio il fatto che c’era di mezzo lui.
In un baleno realizzai che la magrezza inverosimile, l’aria emaciata e il suo fare così insolito negli ultimi tempi non erano dati da un lavoro importante che lo aveva impegnato più del normale o da una qualsivoglia ragione sensata, ma dall’essere diventato il PR di successo dei più svariati coca party. E, dal momento che operava anche in trasferta, c’era da inchinarsi allo stacanovismo.
Mi avvicinai a Victorino e lo spinsi indietro con un’aggressività inaudita.
Lui inciampò. Cadde, batté la testa e rimase intontito per qualche istante.
- Che diavolo ti salta in testa?!- intervenne uno degli altri, saltandomi al collo - Sei impazzito?!-
Ora. Precisiamo che sin dai tempi della scuola che faticavo a frequentare la mia stazza aveva sempre scoraggiato le pretese di vittoria di chiunque durante una rissa contro il sottoscritto, figurarsi quanto poco sforzo rappresentò per me l’afferrare uno per uno i gentili ospiti di Ramon, colpirli più o meno brutalmente, minacciarli e sbatterli fuori dalla sua stanza.
- Che cazzo state facendo?!- ripetei, questa volta sbraitando come un demonio - Da quanto va avanti questa storia?!-
Afferrai Victorino per il bavero della camicia blu e lo costrinsi a rialzarsi. Ancora confuso, il mio migliore amico, il mio compagno fraterno, la mia spalla di sempre mi guardò con occhi vuoti. Probabilmente aveva appena dato su, giusto qualche istante prima del mio ingresso.
Dall’craving all’overdose il passo era breve. [5]
- Da quanto?!- ribadii, scuotendolo. Avevo paura che si trattasse ormai di un periodo piuttosto lungo, tutto il tempo necessario per guadagnarsi sgradevoli effetti collaterali come allucinazioni, convulsioni, tachicardia, ipertermia, infarto, paralisi muscolare, blocco respiratorio. Oh. E morte.
Risentito, Ramon mi mostrò i suoi occhi ostili. Per la prima volta in tutta la sua vita.
- Da un tempo che neanche t’immagini!-
La sua esclamazione mi suonò tanto come un rimprovero, un’accusa nemmeno troppo velata, come a dirmi che se non me n’ero mai accorto era colpa mia. Che lui era diventato un tossicomane ed io non ci avevo mai fatto caso, troppo occupato a badare a me e alle mie sciocche avventure saltate fuori da un telefilm demenziale per adolescenti.
Il che forse era vero, ma c’era da dire che avevo troppa stima di lui per farmi anche solo passare per l’anticamera del cervello l’ipotesi che il mio migliore amico abusasse di coca.
Poi Ramon si portò di nuovo una mano alla testa e un’altra al torace, piegandosi in due dal dolore di un crampo improvviso.
Rigettò quasi immediatamente, cadendo sulle ginocchia stremato dagli spasmi e dalle contrazioni. Probabilmente il colpo ricevuto doveva avergli mandato in tilt l’equilibrio fisico già precario. Inoltre, ho dimenticato di citare la nausea tra gli effetti collaterali.
Mentre il mio colossale, sacro idolo di pietra si sgretolava davanti ai miei stessi occhi, io rimasi in piedi a guardarlo sdegnato, distante, infuriato, schifato. Deluso.
Realizzai, immerso in quel silenzio surreale rotto solo dall’ansare nervoso di Ramon, che il vociare che avevo udito sino a qualche istante prima non proveniva dalla tv, ma dagli allegri compagni di sniffata.
Lo tirai su di peso, il battito del cuore accelerato, la fronte bollente e sudata.
- Per cosa?! Per farti schizzare la dopamina in giro per il cervello?! Per fotterti le sinapsi?!- non mi trattenni, non ebbi pietà, lo colpii con un manrovescio talmente forte da farlo capitombolare a terra - Cristo, Ramon, sei andato fuori di testa?!-
Sarò stato anche un rozzo cafone volgare e senza etichetta, che si portava a letto una donna dietro l’altra e a volte anche due insieme, senza volerne più sapere nulla il giorno dopo, che dava del tu ai personaggi più illustri, che al ristorante più chic si spaparanzava tra sedia e tavola, che non lasciava mai la mancia e litigava con tutti, ma certe cose le sapevo bene.
Certi rischi, certi pericoli li conoscevo.
Il nostro mondo è pieno di quella merda, prima o poi tutti la provano. Quello che fa la differenza è non caderci.
Ho sempre odiato obbedire alla più misera regola, io, il re del mondo, figurarsi se mi facevo schiavizzare da una schifosissima droga!
Io l’adrenalina ce l’ho nel sangue, ce l’ho sempre avuta. E non ho mai avuto bisogno di nient’altro.
Per questo motivo vedere Victorino ridotto in quello stato mi rivoltò lo stomaco.
- Per sopravvivere!- esclamò d’un tratto lui, in tutta risposta.
Mi spiazzò, persi le parole.
- Non venirmi a fare la paternale sui danni collaterali al cervello e tutto questo mucchio di stronzate a basso costo!- aggiunse poi, tirando su col naso e sostenendosi la testa con una mano.
Pallido più che mai, mi lanciò un’occhiata inferocita senza darmi il tempo di controbattere.
- Tu non sai nemmeno cosa significhi, una vita come la mia! Tu te ne vai in giro per il mondo a folleggiare con la tua diavolo di chitarra, a farti trecento donne alla volta, osannato e celebrato senza il minimo sforzo! Sei libero, Ryoma!- più lui andava avanti con la sua triste arringa, più io ridimensionavo me stesso - Io invece divento qualcun altro ogni volta che mi viene consegnato un copione, sono stato centinaia di persone, centinaia di storie! Fino a entrare con ogni fibra in ogni singola vita, fino a perdere il controllo! Poi vengo trascinato qui, dove ti sbattono in faccia il dolore degli altri senza chiederti il premesso! Tu hai filtro, ce l’hai? E’ per questo che non riesci a piangere quando vedi un neonato morto?-
Mi colpì talmente a fondo che non fui in grado di sbattere le palpebre per diversi istanti. Le sue parole senza senso, in realtà significavano molto più di un milione dei miei pugni.
- Oggi ho visto una donna tenere tra le braccia il cadavere del marito.- paradossalmente rise, scuotendo il capo bruno - Un’infinità di anni passati insieme, ogni mattina svegliarsi l’uno accanto all’altra a dirsi buongiorno, avranno avuto almeno dieci figli, era l’amore della sua vita. E un attimo per cancellare tutto. Cosa resta dell’amore, in tutto questo? Delle cose in cui credi?!-
Non ci credevo, non potevo. Non ritenevo ammissibile che Victorino soffrisse per queste ragioni.
- Sei impazzito?! E’ per questo che hai così bisogno di strafarti?-
Non era possibile che non mi fossi mai accorto di nulla.
- Sei convinto che tutti siano invincibili come te, vero? Degli eroi, dei campioni!- si rialzò, asciugandosi la bocca - Hah! Guarda un po’ giù dal tuo piedistallo di cartone, non sai quanto sarai sorpreso di trovarci tutti noi!-
Non capivo, non avrei mai capito.
Ero solo accecato dall’ira, la stessa ira che più di una volta avevo rivolto contro me stesso.
Mi maledissi, perché con tutta l’onnipotenza che millantavo di avere, non ero riuscito a salvare il mio migliore amico.
 


 
[4] La Black AMEX è l’American Express Nera in titanio, la cosiddetta “carta di credito per pochi”, ovvero coloro che spendono almeno 250.000 dollari l’anno e sono disposti a pagare un abbonamento annuo di 2.500 dollari (tutte info attendibilissime! xD).
 
[5] Craving - dall' inglese crave = "bramare, desiderare fortemente" - è l’irresistibile bisogno di assumere droga che, se non soddisfatto, può provocare sofferenza psicologica e fisica, ansia, insonnia, aggressività e altri sintomi depressivi (lo disse WikipediaH! xD).

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Capitolo 11
*** 11TH TRACK - Rockstar ***


11TH TRACK - Rockstar
Tolta la maschera col sorriso composto di chi torna da una missione umanitaria, mi concessi un paio di giorni di riposo, durante i quali non risposi nemmeno alle chiamate di Diaz.
Dovevo pensare, starmene un po’ per i fatti miei.
Scoprire il festino a base di coca nella stanza di Ramon era stato a dir poco scioccante. Le sue parole erano state a dir poco scioccanti.
Fui pronto a tornare al lavoro solo quando il mio agente mi venne a prendere direttamente a casa, facendo irruzione nel mio superattico con aria tesa.
Non raccontai mai a nessuno quello che avevo visto, né quello che io e Victorino ci eravamo detti. Ne dedussi quindi che Juan era nervoso per i fatti suoi e che il mio break fosse stato considerato come un qualsiasi weekend di debito riposo.
- Stai smettendo di fumare?- gli domandai, indossando la mia giacca di pelle e al contempo notando un insolito tremore alla sua mano destra.
- L’ho fatto.- mi fu risposto, con uno strano sguardo in stile Jack Nicholson.
- Eh?-
- L’ho fatto.-
Ma finché Diaz si ostinava a parlare tra i denti con sguardo maniacale, di certo non l’avrei capito.
- Fatto cosa?-
- Sesso!- sbraitò, prendendomi per la collottola - Con Trish! Ieri notte!-
Accidenti, meglio del codice Morse.
- Hai presente quel suo tatuaggio? L’ho leccato tutto almeno tre volte! Oh, è stato il sesso più sesso che abbia mai fatto! Voglio fare sesso con lei tutta la vita!-
Ora, le cose erano due: o Apple era particolarmente brava, o Juan era partito per la tangente, totalmente fuori controllo.
- Ti avverto, Genio: prima di tutto finiscila di ripetere la parola sesso, comincia a venirmi la pelle d’oca. Secondo, ti sei bevuto il cervello?-
Se Trish aveva voluto fare la differenza con quelle centinaia di donne che erano venute prima di lei, indubbiamente aveva fatto centro. Mi appuntai di chiederle il suo segreto.
Mi sorbii i deliri di Diaz finché non giungemmo entrambi in studio, dove, invece di venire accolto con fervore dai miei collaboratori, fui assaltato da una figura incappucciata che saltò fuori dalla porta girevole della lussuosa hall.
- Sei pronto a morire, pivello?!-
Placcato sul pavimento, roteai gli occhi e sospirai.
- Toglietemi questo fanatico dai...- poi d’un tratto realizzai - Tu?!-
Il momento che temevo era giunto: in qualche modo Kojiro Hyuga aveva saputo di me e la sua dolce sorellina ed era venuto a farmi la pelle con il suo tirapugni Made in Bronx.
- Oh, Koji!- Naoko, candidamente vestita dell’abito intonso di Giovanna D’Arco, era pronta a sacrificarsi pur di evitare del dolore al suo adorato fratellino.
- Hai osato toccare mia sorella e non le hai nemmeno concesso un ruolo nel tuo corpo di ballo?!- ringhiò Tha Tiger, deciso a sbranarmi.
Credo di aver assunto un’espressione piuttosto incredula nell’afferrarlo di rimando per la collottola: non sapevo se essere stupito o sconcertato dal fatto che per Hyuga fosse più grave che Naoko non fosse stata inserita nel corpo di ballo, più che per il fatto che me l’ero portata a letto.
Qui qualcuno avrebbe dovuto cominciare ad indagare seriamente sulla sanità mentale dell’intera famiglia. Ma qualcuno di veramente bravo. Un genetista, per esempio.
Era veramente troppo, di certo non potevo tergiversare ancora o continuare a fuggire da una storia assurda come quella: venivo da un’esperienza troppo seria e troppo grave per sopportare oltre, per cui mi ci volle inaspettatamente poco per prendere in mano la situazione.
- Svegliati e tira fuori quelle palle!- lo rovesciai, urlandogli addosso con la sua stessa veemenza - Tua sorella è una psicopatica persecutrice, si è fatta persino Shingo Aoi!!-
Naoko si portò una mano alla bocca, in un tentativo disperato di difendersi.
- E’ successo solo tre volte!-
Boom.
E l’atomica venne sganciata.
Kojiro si voltò meccanicamente verso di lei, con la lentezza febbrile di chi è appena stato accoltellato alle spalle.
Con una lama 20. Acciaio inox.
Decisamente una brutta giornata per il nostro rapper.
 
Bunnaku mi servì l’ennesima bomba alcolica, che buttai giù con l’aiuto di un po’ di sale ed una scorza di limone.
Al mio fianco, Napo sorseggiava un cocktail schiumoso con la grazia di un cigno.
- Qualche livido.- risposi alla sua questione di qualche attimo prima.
Da buon amico, si era informato se Tha Tiger avesse infierito su di me, oppure avesse preferito sfogare il suo gatto a nove code sulla sorella, avendola scoperta non più illibata ormai da anni.
- Se non altro ti sei liberato definitivamente di loro.- commentò, per poi voltarsi verso Juan - Diaz, stai di nuovo sbavando.-
Il mio agente era partito.
- Già. Stava diventando una questione piuttosto angosciosa.- feci spallucce, allungandogli un tovagliolo. In realtà tutta la storia di Naoko era passata rapidamente in quarto piano, dopo ciò che era successo con Ramon, del quale tra l’altro non avevo più avuto notizie.
Non credo fosse nemmeno troppo assurdo, dal momento che non ci eravamo più rivolti la parola dopo che avevo lasciato la sua stanza d’albergo con le fiamme negli occhi. Persino sul lungo volo di ritorno avevo espressamente evitato un contatto con lui - non che Victorino mi avesse cercato, d’altronde.
Speravo di poterlo raggiungere a breve, dovunque si trovasse. Direttamente a casa se necessario, non m’importava. L’avevo aggredito, invece di comprenderlo. E se mai nel frattempo fosse successo qualcosa di irreparabile, non me lo sarei mai potuto perdonare.
Ramon era Ramon, non c’era ma che tenesse.
- Siete tutti piuttosto provati, che diavolo vi è successo?- il nostro barista di fiducia si scoprì la fronte dal cappello da cowboy e ci scrutò attentamente.
Louis alzò un sopracciglio e si dondolò sul suo sgabello in pelle, beato come una Pasqua.
- L’unico motivo per cui sono provato io, è che ultimamente non sto fermo un attimo...-
- Ah, risparmiaci le tue sveltine nei camerini, Napo!- lo interruppi con una risata, conferendogli un amichevole spallata.
- Hey, non è mica la mia occupazione principale!- rise lui di rimando, ammiccando verso Juan - Qui quello malato di sesso è un altro.-
Diaz era in pieno delirium tremens.
- Hai presente quando trovi qualcuno con cui hai un’intesa perfetta?! Perfetta, dico! Intesa! Perfetta!- sbottò, afferrando la sua Tequila dalle mani di Bunnaku e buttandola giù d’un fiato. Questo si esibì in una delle sue risate chiassose, buttando indietro il capo e tenendosi la pancia. Neanche Bud Spencer ispirava così tanta simpatia.
- Chiedile se ha una sorella, questa signorina!- riuscì a dire, sghignazzando - Anche due o tre, non mi offendo mica! Sono grande e grosso, io, devo essere nutrito!-
Il mio manager delle stelle gli lanciò un’occhiataccia, come a dire che se provava ancora una volta a pronunciare il nome di Trish invano, l’avrebbe atterrato a colpi di Jujitsu. A quanto pareva nemmeno i tre pastorelli di Fatima erano stati sorpresi da una visione talmente abbagliante da frastornarli a quel modo - e per questo non mi sarei risparmiato di prenderlo in giro nemmeno alla nascita del suo quintogenito.
Mi congedai temporaneamente dall’allegro teatrino, volevo godermi cinque minuti di sano silenzio sul balcone vista spiaggia - gli unici di cui d’altronde potevo godere durante le mie giornate stracolme di impegni. Me l’aveva consigliato Bunnaku diverso tempo addietro, era uno spettacolo di cui anche lui era solito godere e del quale anch’io ben presto ero diventato grande affezionato.
Andava fiero d’averlo in esclusiva davanti al proprio locale.
Due auto superarono in tutta fretta la terrazza, sullo stradone principale che la separava dall’oceano. Los Angeles era stupefacente in qualsiasi momento del giorno, ma al tramonto, quando le ombre rosse calavano sugli edifici e sulle palme degli immensi viali, non godersela era un delitto.
- Ero sicuro di trovarti qui.-
E come in ogni epilogo, la voce che più desideri udire ti raggiunge inevitabilmente.
- Ramon.-
Mi voltai, totalmente colto alla sprovvista.
- Già.-
Il sorriso del mio migliore amico m’investì con la stessa impetuosa violenza dei raggi del sole vermiglio sull’asfalto rovente, sul suo volto le sfaccettature del tramonto creavano un effetto chiaroscurale da mozzare il fiato.
Era bello come un dipinto.
- Come... dove... che ci fai qui?- riuscii a mettere insieme, scuotendo il capo per riavermi da quella che credevo fosse ancora una visione.
- Sono venuto per te, no?-
Più ovvio che mai.
Talmente ovvio che mi sentii in colpa per non essermi mosso per primo, dopotutto era lui quello ad avere bisogno d’aiuto - nonostante ci non fossimo lasciati troppo bene.
- Mi dispiace per averti preso a pugni.- soffiai, memore del manrovescio che gli avevo conferito.
Mi appoggiai alla muratura laccata dell’ingresso, Ramon scosse il capo.
- Non credo nemmeno di ricordarmelo.- rise, sereno - E anche se fosse, ricordo meglio ciò che mi hai detto. Sono venuto a rispondere alla tua domanda.-
La mia aria interrogativa lo indusse a continuare, portandosi verso di me e lasciando che il riverbero della luce creasse attorno alla sua figura un’aura luminosa che disperse i dettagli del suo volto.
- Non so dirti quando è cominciata. So solo dirti che tutti erano più appassionati, più entusiasti di me nel calarsi in un’altra vita, in un altro ruolo. Invece io ero perso, mi trasformavo continuamente, senza tregua, e con l’andare del tempo mi sono reso conto di non riuscire più ad essere in grado di staccarmi dalle decine di maschere che avevo indossato. Per di più, nel frattempo continuavo a cambiare, fino a trovarmi sempre più alla deriva.-
Poetico, ma limpido. Victorino era così.
- Avevo bisogno di un armadio in cui nascondere i miei scheletri. Ce l’avevo, ma non l’ho mai aperto.- un’altra auto sfrecciò veloce tra noi e l’oceano, il bagliore dell’acqua si estinse per una frazione di secondo, tornando poi ad illuminarci più sfavillante che mai - Così mi sono piombati addosso uno dopo l’altro e allora ho cominciato ad abusare dell’unico mezzo utile a farli sparire. Ma sai, tornano sempre, è una spirale senza fine.-
Io scossi il capo, interdetto. Era una di quelle volte in cui il cervello comincia a vagare in lungo e in largo alla ricerca di qualcosa di sensato da dire, ovviamente invano.
Davanti a Ramon, faccia a faccia, occhi negli occhi, mi trovai senza appigli, senza coscienza.
- Io... io non sono molto presente, combino un sacco di casini e a volte non riesco a gestire da solo anche le cose più semplici.- riuscii a dire infine, alzando una mano - Non mi sto giustificando, ma lo sai, mi conosci da quando eravamo alti così.-
Ma lui sorrise, inducendomi a tacere: ciò che stavo dicendo era cosa nota ad entrambi, inutile ribadirla.
- Sei tu il mio armadio, Ryoma.-
Distese le labbra, che allora non mi parvero deformi e mostruose come l’ultima volta, erano semplicemente le labbra di Ramon.
Poi mi appoggiò una mano sulla spalla, bonario, come se mi stesse rivolgendo degli elogi senza voce, che tuttavia non mi facevano sentire meno in imbarazzo. Era come se mai nessuno prima di allora avesse guardato così a fondo dentro di me, pur restando muto, come se nessuno si fosse mai accorto di ciò che in realtà ero. Nemmeno io.
- Non sei tu a non essere stato presente, sono io ad averti escluso.- ammise - Avevo paura del tuo giudizio, che volente o nolente alla fine è arrivato comunque. E io... non so se smetterò per davvero o se rimarrà un tentativo senza troppa convinzione. Ma ho bisogno di te.-
Lo capii solo allora: era venuto a chiedermi aiuto.
Allora tutto fu chiaro. Cristallino come l’oceano che, perenne, restituiva le sue onde alla riva.
La mia capacità di aprirmi e di esprimermi deponendo le armi era poco allenata, scarsa oserei dire. Non l’avevo mai esercitata, forse perché non ce n’era mai stato bisogno o forse perché in realtà era il mio tallone d’Achille. Ed io stavo ben attento a nasconderlo.
Ma in quell’istante intimo, con Ramon, ero tornato improvvisamente piccolo.
I capelli arruffati, un pallone sotto il braccio, le ginocchia coperte di graffi e i calzoncini sporchi di terra.
- Tu sarai sempre tutte le vite che hai interpretato.- socchiusi gli occhi, rispondendo al sorriso - Come io sarò sempre tutte le mie canzoni, anche se non ci apparterranno più.-
Era una promessa: da allora in poi sarei stato presente. Con prepotenza, se necessario.
Mi sarei sdebitato con mio fratello nel miglior modo che conoscevo, l’avrei sorretto, l’avrei sostenuto, affiancato, difeso. Avrei raccolto tutte le sue maschere, le avrei conservate, le avrei riplasmate nel nuovo Ramon.
Non l’avrei mai più lasciato indietro, non l’avrei perso. Per quanto difficile sarebbe stato.
Da allora in avanti sarei stato io a passargli la palla e guardarlo andare in rete.
E sarei stato fiero di lui.
 
Come ci si sente ad essere onnipotenti, mi chiedevate?
Beh, ognuno ha la sua fetta di potere illimitato, se vogliamo. E il suo rovescio della medaglia, buono o cattivo che sia.
Puoi essere una mega rockstar e goderti la tua vita da sballo in barba al rispetto e alle regole più o meno esplicite del buoncostume. A volte anche alle leggi. E poi avere serie difficoltà nel gestire i rapporti interpersonali, quelli veri.
Puoi essere un attore di fama mondiale, avere a disposizione qualsiasi cosa tu desideri, eppure soffrire nel profondo ed avere bisogno in realtà solo di un amico.
E se fossi l’agente numero uno delle superstar, oltre che un playboy di comprovata esperienza? In questo caso il tuo ego smisurato la farebbe da padrone in qualsiasi situazione, salvo poi perdere la testa per la tua imprevista anima gemella e sconvolgere l’intero tuo stile di vita.
Puoi essere una ninfomane con la brama di notorietà e sfruttare il tuo innato talento per arrivare in alto. O nei pantaloni di chi in alto c’è già. E comunque non ricavarci un ragno dal buco - a parte l’ira funesta del tuo protettivo fratello, una volta messi a nudo i tuoi loschi giri.
Che puoi essere un deejay altezzoso e irascibile, con un grande rancore verso il tuo nemico giurato. E poi finirci a letto, con questo acerrimo rivale, per riscoprirti la persona più serena e in pace con il mondo che sia mai esistita. Basta poco, come si dice.
Oppure puoi essere una ballerina senza troppa convinzione e capitarti tra capo e collo una favola con tanto di lieto fine sulla quale non avresti mai puntato un dollaro, che si conclude con un manager follemente innamorato e cinque frugoletti da portare in gita nel Kansas.
O che puoi essere semplicemente un barista e farti grasse risate alle spalle di noialtri e, dopo che tutti i clienti hanno lasciato il tuo locale, goderti il tuo Muay-thai di fine giornata alla luce del tramonto, aprendo una finestra sulle spiagge infinite di Venice Beach.



Fine.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno votataH! E' un onore essere eletta Miss Cazzara 2010...! No, anzi, ormai 2011! xD
Scherzi a parte, grazie alle ragazze di ELF, che hanno avuto il cuore (e il fegato xD) di classificare prima questa storia nel contest ALTERNATIVE TSUBASA.

Allora, siete riuscite a trovare il corrispettivo tiro/tecnica/soprannome di ogni personaggio, nascosto nei titoli delle canzoni, film, varie&eventuali sparsi in giro per la fict? ...no? Allora al prossimo capitolo/fanartina, dove svelerò tutti i particolari! xD
Provateci comunque, è divertente...! (scoprire quanto l'autrice sia bacata, certo...). xD

Seriamente: grazie a tutti i lettori. Siete la mia forza da sempre, perché so di scrivere dei dimenticatidaddddio, ma nonostante questo il vostro apprezzamento mi rende immensamente orgogliosa. Vi voglio bene, davvero. Grazie di spendere il vostro tempo in mia compagnia, vuol dire tanto. <3

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Capitolo 12
*** The Cast! ***


Ultimo, ma non meno importante: il cast della FF epica che ha fatto (s)parlare i giornali di gossip di tutto il mondo! xD
Ryoma "The Rockstar" & Co. in versione chibissima.
...e in più i tanto agognati tiri/tecniche/soprannomi nascosti nella fict finalmente svelati! Chi di voi ha vinto la settimana da groupie nel camerino del suo beniamino? xD





Ecchice qua!
Sono pronta a svelarvi i mitici corrispettivi tiri/tecniche/soprannomi del manga celati nella fict, come vi dicevo (seeeeh, mille anni fa, ma alla fine ce l'ho fatta a raccoglierli e pubblicarli! xD Non sarebbe stato più facile segnarmeli mentre scrivevo? SI! xD Ma Aku è Aku. E questo è tutto dire. xD)

- Ryoma è chiamato Bomber da Juan, ovviamente in relazione al suo soprannome "Bomber Giapponese" - NB. all'inizio lo chiama Tigre, chiaro riferimento a Kojiro, infatti Hino sembra non gradire molto;

- Juan a sua volta è chiamato Genio, senza bisogno di spiegazioni: Genius Diaz ti vogliamo nudo! xD

- Il pezzo di Louis si chiama "Shootin' Cannon", mentre il suo tiro più potente è il Cannon Shot;

- Il nuovo film in cui recita Ramon è "Black Panther" e lui è soprannominato la Pantera Nera;

- Il cavallo di battaglia di Pierre è "Go, go, slider!" - che Napo sembra non gradire xD, mentre il suo tiro più forte è lo Slide Shot;

- La specialità della casa del barista numero uno di Los Angeles Bunnaku è il Muai Thai, perché nel manga era il suo sport preferito prima di passare al calcio;

- Kojiro è "Tha Tiger", senza bisogno d'aggiungere altro;

- I Boru wa Boyz, nemmeno qui c'è bisogno di una spiegazione xD;

Non credevate che fossi così arguta, vero? xD
Beh, dai, allora li avete beccati tutti?? Tutti tutti?? E soprattutto, io ho dimenticato qualcosa?? Boh! xD

Ringrazio Cher, Ridley Scott, Fergie, Russel Crowe e tutti coloro che hanno partecipato a questa meravigliosa avventura.
E' stato un onore.
Vi amoH! :')

 

 

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