Marmalade Love Stories

di Yuki Delleran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Tokyo ***
Capitolo 2: *** Una persona decisamente strana ***
Capitolo 3: *** Sono stanca di fare l'amica ***
Capitolo 4: *** Dentro di me il vuoto ***
Capitolo 5: *** Nessuno lo merita ***
Capitolo 6: *** Posso smettere di essere tuo amico? ***
Capitolo 7: *** La forza di dire addio ***
Capitolo 8: *** L'Infinito ***
Capitolo 9: *** A volte sbagliare numero può essere provvidenziale ***
Capitolo 10: *** Rosa rossa ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Tokyo ***


NOTA:

NOTA:

Questa storia mi è stata ispirata dall’ultima messa in onda della serie e dalla voglia di fare giustizia per il povero Satoshi, l’autrice è stata molto ingiusta… In originale la trama doveva essere più fedele al manga che all’anime, ma la voglia di inserire altri elementi come i personaggi americani, l’ha resa un po’ un miscuglio, abbiate pazienza…

Un’altra cosa, la questione del nome: Will, Bill, Willy, non ho mai capito bene come si chiamasse in originale. Io l’ho chiamato William (da non confondere con il cugino William della Mediaset alias Tsutomu Rokutanda), spero che questo non crei confusione.

Ultima precisazione: so bene che non è possibile che un osservatorio si trovi nei pressi di una metropoli come Tokyo, ma fate finta che il telescopio sia puntato dalla parte opposta rispetto alla città. Non siate fiscali, è una fanfiction!

 

DISCLAIMER: Tutti i personaggi appartengono a © Wataru Yoshizumi tranne Yuko Matsudaira che è una mia invenzione quindi se vi risulta antipatica siete liberi di prendervela con me.

 

YUKI-CHAN

 

Personaggi principali:

AKIZUKI MEIKO: 24 ANNI, SCRITTRICE

MIWA SATOSHI: 25 ANNI, ARCHITETTO

TSUCHIYA KEI: 23 ANNI, UNIVERSITARIO, PIANISTA

SAKUMA SUZU: 22 ANNI, UNIVERSITARIA, ATTRICE

KITAHARA ANJU: 24 ANNI, VIOLINISTA

MATHESON WILLIAM: 24 ANNI, ASTRONOMO

MATSUDAIRA YUKO: 30 ANNI, INSEGNATE DI MUSICA

 

Comparse:

KOISHIKAWA MIKI: 24 ANNI, INSEGNATE TIROCINANTE DI LETTERE

MATSURA YU: 24 ANNI, ARCHITETTO

NAMURA SHIN’ICHI “NACCHAN”:  31 ANNI, IMPIEGATO

GRANT MICHAEL: 23 ANNI, STUDENTE UNIVERSITARIO

GRANT BRIAN: 24 ANNI, GIOCATORE DI BASKET

SUO GINTA: 24 ANNI, ALLENATORE DI TENNIS

SUZUKI ARIMI: 24 ANNI, AVVOCATO TIROCINANTE

KIJIMA TAKUJI: 31 ANNI, NEGOZIANTE

MIZUTANI AKIRA: 31 ANNI, NEGOZIANTE

MOU RYOKO: 31 ANNI, INSEGNANTE

GOLDING JINNY: 24 ANNI, MODELLA

O’CONNEL DORIS: 24 ANNI

 

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

1

RITORNO A TOKYO

 

La giovane donna attraversò di corsa l’atrio della stazione e si fermò davanti ad un telefono pubblico per riprendere fiato, posando a terra il leggero bagaglio che potava con sé. Si stava comportando da sciocca, sembrava quasi che stesse scappando, ma lui non poteva certo averla seguita fin lì. Se l’avesse fatto, se almeno avesse tentato di farlo, ora lei non avrebbe sentito questo enorme peso. Invece quando l’aveva vista era rimasto immobile. Non aveva detto una parola mentre la guardava afferrare la borsa e uscire precipitosamente. Del resto non poteva aspettarsi niente di diverso, era sempre stata lei a inseguirlo, mai il contrario.

Con le dita ancora leggermente tremanti, sollevò il ricevitore e compose un numero che solo da poco aveva memorizzato. Rispose una voce nota e squillante che per un attimo le riscaldò il cuore.

«Pronto?... Pronto, chi parla?»

«Miki…»

«Meiko! Sei tu? Come stai

Come sempre la sua più cara amica era entusiasta di sentirla. Era forse l’unico contatto che non aveva perso da quando si era trasferita a Hiroshima.

«Ehm… abbastanza bene…» rispose Meiko esitante. Come poteva dirle quello che aveva appena fatto?

«Meno male! Non ci sono problemi, vero? Ci sarai stasera? Alla festa per l’inaugurazione della nuova casa, intendo. Ti aspettiamo tutti! Sai, Ginta e Arimi sono già arrivati. Dicevano di essere troppo curiosi. Anche Kei e Suzu. Però non hanno fatto attenzione e adesso la strada di fronte è zeppa di giornalisti, siamo assediati! Yu ha fatto fatica a uscire per andare all’aeroporto a prendere i suoi amici americani… Ehi, cos’è stato? Era il fischio di un treno? Meiko, sei alla stazione?»

La ragazza quasi non si era resa conto del rumore che aveva interrotto il fiume di parole dell’amica.

«Eh? Ecco… sì… però… ho avuto un contrattempo. Non so se riuscirò ad essere lì per questa sera.»

La voce di Miki suonò subito delusa.

«Cosa? Che peccato, ci tenevo tanto! Niente di grave spero

«No, no, non preoccuparti. Solo… un piccolo inconveniente.»

«Promettimi che la prossima volta che verrai a Tokyo ci vedremo.» disse Miki. «Sono mesi che ci sentiamo solo per telefono.»

«Ma certo. Ora ti saluto. Scusami ma ti devo proprio lasciare. A presto.»

Meiko riappese la cornetta pentendosi istantaneamente delle bugie raccontate all’amica. In realtà si trovava a poche fermate di metropolitana dalla nuova casa dove lei e Yu si erano stabiliti e quella da cui stava chiamando era la stazione di Tokyo. La stessa stazione dove, in quella che ormai le sembrava un’altra vita, aveva tentato di impedire all’uomo che amava di lasciarla e dalla quale era a sua volta partita per riconquistarlo. Frammenti di dolorosi ricordi passati si sovrapposero a quelli più recenti spingendola sull’orlo delle lacrime.

No, non avrebbe mai potuto andare da Miki. La casa sarebbe stata piena di risate e di allegria, gli amici si sarebbero riuniti e lei non solo non era dell’umore giusto per festeggiare, ma avrebbe rovinato l’atmosfera anche agli altri. Non poteva andare nemmeno dai suoi genitori, l’idea di sorbirsi una predica o un litigio la disgustava. Al momento e con i pochi soldi che aveva con sé, l’unica alternativa possibile era passare la notte all’hotel della stazione. L’indomani avrebbe deciso cosa fare del resto della sua vita.

 

La mezzanotte era passata da un pezzo ma Meiko non riusciva in nessun modo a prendere sonno. Il pensiero dell’espressione colpevole di Ryoko e di quella rassegnata di Shin’ichi la tormentavano. Possibile che fosse stata così cieca? Così concentrata sui suoi problemi da non vedere… Sì, era possibile, in fondo erano mesi che l’editore le stava col fiato sul collo pregandola di scrivere qualcosa di nuovo. La sua immaginazione sembrava svanita. Prosciugata da una vita che si faceva giorno dopo giorno più monotona e a cui aveva finito per diventare insofferente.

Quando riaccese la luce rinunciando definitivamente all’idea di dormire, la sveglia sul comodino segnava le cinque del mattino. Ad uno sguardo più attento di quello che aveva dato la sera prima, la stanza si rivelò fredda e spoglia. Completamente anonima. Era tornata a Tokyo dopo quattro anni di assenza per questo? Improvvisamente venne presa dalla necessità di vedere una faccia amica e senza fermarsi a riflettere si alzò, si vestì e lasciò la stanza. Fortunatamente la metropolitana era già in funzione e meravigliosamente deserta. Si vedevano solo sporadici operai dall’aria stanca che rientravano dal turno di notte e impiegati altrettanto sciupati che si recavano su un posto di lavoro troppo lontano. Quella vista trasmise alla giovane un senso di tristezza e squallore. Quelle persone erano davvero soddisfatte della vita che conducevano? E lei? Appariva squallida come loro? Scacciò quel pensiero poco costruttivo e tentò di godersi il tragitto in tutta tranquillità. Era raro riuscire a conquistarsi un posto a sedere su quella linea e Meiko si ripropose di prenderla di nuovo a quell’orario insolito.

Quando uscì di nuovo per strada la città si stava svegliano e le auto si erano fatte più numerose, anche se tutto sembrava ancora avvolto dalla nebbia rassicurante del sonno. Era piacevole crogiolarsi in quell’illusione, anche se sapeva che di lì a poco Tokyo sarebbe tornata ad essere la metropoli caotica e chiassosa che era sempre stata.

Il posto che stava cercando si trovava poco distante e lo rintracciò senza difficoltà. Svoltando un angolo le si aprì davanti agli occhi la vista del quartiere residenziale ancora silenzioso. Era una zona graziosa, con molto verde lungo le strade e vi si respirava un’atmosfera familiare. Si fermò davanti a una villetta con un piccolo giardino dall’aspetto molto curato. Sulla targhetta sopra la cassetta della posta si poteva leggere “KOISHIKAWA E MATSURA”. Era molto diversa dalla villa bifamigliare su cui Meiko aveva visto quella stessa targhetta anni addietro, ma decisamente più adatta ad una giovane coppia non ancora sposata. Allungò la mano verso il campanello e si bloccò a mezz’aria lanciando un’occhiata all’orologio. Non segnava ancora le sei. Presentarsi a casa di qualcuno a quell’ora era poco meno di un atto criminale.

Sospirando sulla propria impulsività, Meiko si voltò per andarsene quando la porta della villetta si spalancò per lasciar uscire tre figure dall’aria assonnata. Due erano indubbiamente Miki e Yu, la terza era un giovane uomo dai capelli neri. Portava una camicia spiegazzata e parzialmente infilata in un paio di jeans sbiaditi. Nel complesso aveva un aspetto piuttosto trasandato. Dopo una serie di saluti, lo sconosciuto si voltò per raggiungere il cancello e fu allora che Meiko si trovò a fissare due profondi occhi blu.

«A… Akizuki?» balbettò il ragazzo strofinandosi gli occhi per accertarsi che non si trattasse di un’allucinazione.

«Cosa? Miwa?» fece Meiko quasi più stupita di lui.

Non ebbe il tempo di dire altro che si trovò stretta nell’abbraccio di Miki, che aveva superato di slancio l’amico per saltarle al collo.

«Meiko! Allora sei venuta! Sono così felice di vederti!» esclamò la ragazza. «Hai l’aria stanca, hai viaggiato tutta la notte? Non era necessario che te la prendessi tanto, i guasti non sono colpa di nessuno.»

«Guasti?» fece Meiko confusa.

«Ai treni. E’ per questo che ieri hai detto di non poter venire, vero? L’inconveniente di cui mi parlavi.»

La ragazza capì l’equivoco in cui era caduta l’amica ma annuì ugualmente poiché le consentiva di non dare le spiegazioni necessarie sulla sua presenza lì in quel momento.

«Vorrei tanto farti entrare a riposare,» continuò Miki. «ma purtroppo non abbiamo più un posto libero. La stanza degli ospiti è occupata da Anju e Suzu, Michael e Brian si sono addormentati sul divano, e Willy e Kei hanno occupato entrambe le poltrone. Nel mio letto sta dormendo Arimi…»

«… e nel mio quel matto di Gintadisse Yu sopraggiungendo. «Se non si sveglierà tra poco farà tardi al lavoro.»

«Non c’è pericolo.» disse Miki facendogli l’occhiolino. «Sia io che Ginta abbiamo preso un giorno di ferie. Comunque il problema resta. Non se ne parla di lasciar andare via Meiko dopo che è venuta fin qui.»

«Bhè, la casa di Satoshi è grande…» suggerì Yu.

«Cosa?! No, no, non preoccupatevi! Ho preso una stanza all’hotel della stazione.»

Meiko si era sentita arrossire senza una ragione a quell’eventualità. Quando spostò lo sguardo sul giovane rivide il sorriso affascinate del rappresentante degli studenti dei tempi delle scuole superiori. Non si era mai resa conto che le fosse mancato.

«Non esiste che tu vada in uno squallido albergo quando casa mia è a due passi. Forza, seguimi.» disse Satoshi passandole un braccio attorno alle spalle e trascinandosela dietro verso un’auto parcheggiata all’angolo.

A metà strada si voltò di nuovo.

«A proposito, buon riposo, Miki. Quanto a te, Yu, ci vediamo allo studio tra due ore. Ti voglio impeccabile come al solito!» esclamò.

Yu rispose con una smorfia reprimendo uno sbadiglio.

«Che seccatura quando il tuo migliore amico è anche il tuo socio…»

Quando salirono in macchina, un’elegante decappottabile argentata, Meiko si rivolse di nuovo a Satoshi.

«Ora puoi pure portarmi alla stazione. So che hai accettato di ospitarmi solo per non far sentire in colpa Miki, ma non devi darti pensiero. Ho davvero preso una stanza in albergo.»

Il ragazzo la fissò stupito.

«E casa mia è davvero qui vicino. Dopo quattro anni che non ti vedo, cosa ti fa pensare che ti lascerò scappare così?»

All’espressione scandalizzata di Meiko, si affrettò ad aggiungere: «Oh, lo so che sei una donna sposata. Ti assicuro che non ho nessun fine diverso dall’ospitalità amichevole. Ho solo una gran voglia di ricordare i bei tempi andati in tua compagnia, Akizuki… anzi, scusami, dovrei dire Namura.»

La ragazza abbassò gli occhi e si limitò a rispondere: «Va bene Akizuki.»

 

Quando l’auto si fermò di fronte a una villetta dalla forma insolita, Meiko spalancò gli occhi. Era grande quasi il doppio di quella di Miki e Yu e dipinta di un pallido colore celeste. Davanti all’ingresso si stendeva un piccolo giardino con cespugli di rose ai lati e un giovane ciliegio in un angolo.

«Che bella casa!» esclamò Meiko. «Complimenti!»

«Davvero ti piace? Mi fa molto piacere.» rispose Satoshi orgoglioso. «E’ una mia creatura. L’ho progettata insieme a mio padre durante l’ultimo anno di liceo e una volta costruita è diventata un po’ il simbolo dello studio Miwa & Matsura’.»

«Uno studio tutto vostro? Ricordo che Miki mi aveva accennato qualcosa. E’ fantastico!»

«Già. Inizialmente lavoravamo entrambi con mio padre, poi abbiamo deciso di staccarci e aprire uno studio indipendente. E’ stato un colpo di testa e per il momento siamo ancora agli inizi, ma l’attività è abbastanza avviata da permettere a me di mantenete questo gioiellino e a Yu di iniziare la convivenza.»
Satoshi guidò l’ospite all’interno e le mostrò le stanze fino all’accogliente camera degli ospiti. La carta da parati celeste e i mobili di legno chiaro la davano un aspetto quasi infantile e Meiko si trovò a sorridere. Satoshi aprì le imposte e la luce filtrò attraverso le tende candide rendendola ancora più graziosa.

«Accomodati e fai come se fossi a casa tua. Ti assicuro che non è una frase fatta quindi mettiti pure comoda.» disse.

«Ma non sarà un disturbo per…» Meiko esitò. «… la tua fidanzata?»

«Questa casa è mia e solo mia. L’unica donna che ha il permesso di entrarci è mia madre e anche lei viene molto di rado, quindi basta scrupoli, ok

Davanti al suo sorriso accattivante Meiko si sentì quasi in colpa.

«Cosa sto facendo? Se continuo così non sarò migliore di lui…»

«Purtroppo tra poco devo andare in ufficio, quindi vado a farmi un doccia. Mi dispiace di lasciarti sola ma non posso farne a meno.» continuò. «Se vuoi preparati un tè o qualcosa da mangiare trovi tutto in cucina, nella credenza di fronte ai fornelli.»

Detto questo si allontanò nel corridoio sotto lo sguardo di Meiko brontolando: «Se Miki e Yu si azzardano ad organizzare di nuovo una festa in un giorno lavorativo, è la volta buona che li pianto in asso…»

Quando Satoshi uscì dal bagno, la casa era silenziosa. Troppo silenziosa, si disse colpito da un’idea improvvisa.

«Non se ne sarà andata?»

Armeggiando con la cravatta nel tentativo di fare un nodo decente, prese a girare tutte le stanze e infine scoprì che Meiko si era addormentata sul letto della camera degli ospiti. I lunghi capelli ramati si erano sparsi sul cuscino finendole anche sul viso e quando Satoshi le si accostò per allontanarli notò che aveva le guance bagnate di lacrime. Mentre indugiava con le dita sulla pelle umida, Meiko afferrò la sua mano nel sonno.

«Shin-chan… perché…» mormorò.

A quelle parole l’espressione del ragazzo si oscurò. Si liberò delicatamente dalla stretta e uscì.

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 2
*** Una persona decisamente strana ***


2

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

2

UNA PERSONA DECISAMENTE STRANA

 

Il tavolo della colazione quella mattina era piuttosto affollato. Miki si era data da fare per preparare qualcosa il più commestibile possibile, ma nessuno sembrava farci caso. Michael e Brian stavano bisticciando su quale volo prendere per rientrare, Kei, seduto di fronte a loro, mescolava con aria assonnata il suo caffè, mentre William sembrava più interessato ad una rivista di astronomia che stava sfogliando. Quanto a Yu, correva avanti e indietro da almeno dieci minuti nel tentativo di uscire in orario e con tutti i capi di vestiario al posto giusto, maledicendo sé stesso, Satoshi e la sveglia che non aveva suonato. Gli altri amici dormivano ancora beatamente nelle stanze.

«… E accidenti anche a Ginta!» esclamò ad un tratto Yu. «Se non fosse che disturberei Arimi, andrei di là e lo sveglierei con un calcio!»

Tutti si voltarono verso di lui e vedendo la sua espressione scocciata scoppiarono a ridere.

«Non essere cattivo, Yulo sgridò Miki. «Avresti potuto chiedere a Satoshi di chiudere lo studio per oggi.»

«Fatica sprecata. Se dopo la predica che mi ha fatto osa arrivare in ritardo, se la vedrà con me!»

Il discorso venne interrotto da una musichetta tintinnante che ricordava il tema di Star Wars e William si alzò afferrando il cellulare dimenticato sul tavolo del salotto.

«Pronto?... Certo che mi ricordo di lei e della sua proposta… Come? Ehm… Sì…»

Continuando a parlare si diresse verso la veranda per non disturbare la colazione, ma la sua voce giungeva comunque in cucina. Tutti si zittirono di colpo allungando le orecchie il più possibile, tranne Kei che continuava imperterrito a mescolare il proprio caffè.

«Si tratterebbe solo di un paio di mesi?... No, dovrei solo avvertire il mio capo e organizzarmi… Già, problemi di alloggio…»

L’espressione di Yu passò dallo stupito al rassegnato mentre Michael ammiccava commentando sottovoce: «Qualcosa mi dice che torneremo da soli.»

Quando William tornò in cucina si rivolse a Yu con aria di scusa.

«Ho un favore da chiederti…»

Il ragazzo non attese la domanda e indicò una porta chiusa.

«La camera degli ospiti è tutta tua, però dovrai contribuire al bilancio.»

Quando Yu fu uscito, il giovane astronomo si affrettò a spiegare tutto alla padrona di casa che lo fissava confusa.

«Ricordi? Ieri, dopo essere arrivati, Yu ha portato Michael e Brian a fare un giro in città, io invece mi sono recato in un osservatorio appena fuori Tokyo. Lì ho conosciuto il direttore che in passato ha lavorato con il mio capo a New York, e mi ha proposto una sorta di scambio culturale. Io mi fermerò qui un paio di mesi e lui manderà in America alcuni tirocinanti giapponesi. Spero che questo non ti crei problemi. In questo caso potrei stare in albergo…»

«Tutt’altro!» esclamò Miki sorridendo. «Sei un amico di Yu, ti ospiteremo volentieri.»

Michael e Brian si scambiarono un’occhiata.

«Jinny non sarà affatto contenta.» commentò il fratello maggiore.

«Invece di preoccuparti di loro faresti meglio a pensare alla povera Doris, te ne sei andato di nuovo senza avvisarla. Sono sicuro che al nostro ritorno ti aspetta una bella ramanzina.» rispose il più giovane. «Comunque hai ragione, mi chiedo cosa stia succedendo tra quei due.»

Kei finalmente alzò gli occhi dalla tazza e si rivolse a Miki.

«Ti ringrazio per l’ospitalità e la bella festa. Purtroppo ora devo andare, mi aspetta il direttore del teatro per il prossimo concerto. Quando Suzu si sveglia puoi dirle che la chiamerò nel pomeriggio?»

Detto questo si congedò gentilmente e uscì.

Uno dopo l’altro tutti gli amici si svegliarono e si diressero chi a casa, chi al lavoro verso una nuova giornata fitta di impegni.

 

Kei Tsuchiya uscì dal teatro sospirando e slacciandosi il primo bottone della camicia. Il caldo era soffocante in quell’inizio di estate e all’interno era ancora peggio. C’erano volute ore permettersi d’accordo con il direttore sul suo prossimo concerto. Le luci, i fondali, le atmosfere… A Kei non importava niente di tutto questo. Lui l’atmosfera la creava solo con la sua musica, non aveva bisogno di nient’altro e nemmeno gli spettatori. Che fosse il suo manager a occuparsi di quei dettagli tecnici. Peccato che questa volta avesse avuto un impegno urgente e per non perdere l’appuntamento Kei fosse stato costretto a presentarsi di persona, nonostante la notte in bianco appena trascorsa. Seccante. A rendere tutto ancora più lungo e noioso ci si era messa una strana tipa che aveva interrotto più volte il suo colloquio sostenendo per chissà quale motivo di avere diritto a un carnet di biglietti scontati. Il direttore l’aveva tenuta a bada a stento e terminato di chiarire i dettagli con Kei l’aveva trascinata nel suo ufficio. Quando il ragazzo se ne era andato era ancora lì.

Stava ancora rimuginando tra sé quando una voce sconosciuta chiamò il suo nome.

«Signor Tsuchiya! Aspetti per favore!»

Kei si voltò aspettandosi la solita fan a caccia del solito autografo, ma si trovò di fronte la donna del teatro. Era davvero bizzarra. Aveva lunghi capelli scuri raccolti alla bell’e meglio con una molletta di legno colorato da cui sfuggivano diversi ciuffi. Anche i suoi vestiti erano strani, sembravano di cotone grezzo tinto a mano. Su una spalla portava una borsa ricamata con motivi floreali in oro e diversi colori. Quando alzò la testa dopo averlo raggiunto, Kei si trovò a fissare due occhi azzurrissimi. Nel complesso non si poteva dire che passasse inosservata.

«Per fortuna sono riuscita a raggiungerla!» esclamò. «Volevo scusarmi con lei per aver disturbato il suo colloquio.»

«Nessun problema.» rispose Kei freddamente.

«Mi permetta di offrile un caffè per farmi perdonare.»

«Non è necessario.»

Kei si chiedeva cosa volesse quella donna. Visto l’orario e la noia che gli aveva dato avrebbe dovuto come minimo offrirgli il pranzo.

«Insisto.»

Così, senza neanche saperne il motivo, Kei si trovò seduto in un caffè insieme a lei, davanti a due tazze fumenti e a un panino che aveva ordinato per placare la fame che iniziava a farsi sentire.

«Mi chiamo Matsudaira Yuko e faccio l’insegnate di musica.» si presentò la donna con un sorriso dolce. «La prossima settimana accompagnerò i miei studenti ad una rappresentazione ma i biglietti fornitici dal teatro non erano scontati. Siccome si tratta di una materia secondaria, i genitori dei ragazzi non sono disposti a sborsare tutti quei soldi, così sono stata costretta a venire a chiarire il disguido. Mi scuso ancora per il disagio che le ho causato.»

«Non si deve preoccupare.» disse Kei. «Trovo piuttosto ingiusta la reazione dei genitori dei suoi studenti. Io ritengo che la musica sia un grande arricchimento per lo spirito e che quindi non abbia prezzo.»

«Detta da una persona che può permettersi di affittare un teatro, questa affermazione perde di valore.»

Spiazzato da quelle parole, Kei si rese conto di aver fatto una gaffe e arrossì.

«Le chiedo scusa, non era mia intenzione essere presuntuoso.»

«Si figuri.»

Rimasero in silenzio per diversi minuti sorseggiando i loro caffè, durante i quali Kei sentì accrescere il proprio disagio, poi Yuko parlò di nuovo.

«Sa, ero davvero curiosa di conoscerla. Una mia collega, una tirocinante che ha da poco iniziato a lavorare nel nostro istituto, mi ha parlato spesso di lei. Dice di conoscerla bene e che è una persona squisita.» disse. «Così mi sono incuriosita e sono venuta a un paio di suoi concerti. Se devo essere sincera non mi aspettavo molto, ma ho dovuto ricredermi. Lei ha un talento davvero straordinario.»

Kei non sapeva più come comportarsi. Certo, era abituato a sentirsi lodare, adulare addirittura, ma la schietta sincerità con cui Yuko l’aveva criticato e poi apprezzato era una novità.

«La ringrazio.» si limitò a rispondere. «Posso sapere in quale istituto insegna?»

«Alla scuola elementare Haruno. La collega che mi ha parlato di lei si chiama Koishikawa, davvero la conosce?»

Per poco Kei non scoppiò a ridere.

«Miki, c’era da aspettarselo!» esclamò. «Credo che sia l’unica che possa definirmi una persona squisita. Certo che la conosco, attualmente è una delle mie più care amiche, ci conosciamo dai tempi del liceo.»

Yuko guardò l’orologio e si alzò interrompendo la conversazione.

«Mi piacerebbe molto rimanere a parlare con lei, ma purtroppo si è fatto tardi.» disse appoggiando sul tavolo i soldi del conto. «Mi ha fatto davvero piacere conoscerla e spero di vederla ancora, magari al suo prossimo concerto.»

Detto questo uscì di corsa dal bar prima che Kei potesse offrirsi a sua volta di pagare.

Yuko Matsudaira. Una persona decisamente strana, ma che in un certo senso lo incuriosiva. Anche a lui sarebbe piaciuto rivederla.

 

Era sera quando Satoshi rientrò esausto dall’ufficio. Mai come in quella giornata erano capitati allo studio clienti insoddisfatti di questo o di quel progetto. Yu aveva tentato di tenerli a bada il più possibile e si era anche offerto pazientemente di ridisegnare alcune parti difettose, ma questo non aveva impedito al ragazzo di sentirsi frustrato. Forse era vero che capitavano giornate in cui tutto andava male. Rientrando sperava di poter fare una certa chiacchierata con Meiko che progettava da tutto il giorno, ma quando vide nell’ingresso un noto paio di scarpe di vernice rosse, dovette ricredersi. I guai non erano ancora finiti.

«Suzu!» esclamò entrando in soggiorno dove le due ragazze sedevano al tavolo. «Quante volte devo ripeterti di avvertire prima di venire a casa mia?»

«Bentornato, cugino!» rispose la ragazza bionda con un sorriso solare. «Quando Miki mi ha detto che Meiko era in città e si trovava a casa tua, non ho potuto fare a meno di precipitarmi qui!»

«Non sgridarla, Miwaintervenne Meiko all’altro capo del tavolo. «Mi ha fatto piacere avere compagnia e poi è stata tanto gentile da accompagnarmi a prendere le mie cose in albergo. Abbiamo fatto la spesa e preparato la cena. Spero ti piaccia.»

«Non dovevi disturbarti.» rispose Satoshi, ma i suoi occhi dicevano chiaramente che gli faceva molto piacere. «A proposito, Suzu, chiama Tsuchiya. Era preoccupato perché avevi il cellulare spento e ha telefonato a me in studio. Temeva che fossi caduta preda di qualche paparazzo.»

Suzu assunse un’espressione seccata.

«Allora ogni tanto si ricorda che esisto! Naturalmente vengo sempre dopo il suo pianoforte e Kitahara Anju. Dubito che lo chiamerò, che soffra un po’ anche lui!»

«Smettila con questa storia e non fare la bambina!» la rimproverò Satoshi. «Anzi, per favore, vai a casa. Sono stanco e non ho voglia di ascoltare le tue beghe amorose con il novello Beethoven.»

La ragazza si alzò con aria irritata e si diresse verso l’ingresso.

«Ospitale come sempre, cugino.» disse. «Meiko, sono stata molto felice di vederti. Ti fermerai qualche giorno, vero? Allora ci vedremo ancora.»

Detto questo uscì e si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.

Satoshi sospirò.

«Il ciclone è passato.»

Quando si accorse del silenzio prolungato che regnava dall’altro capo del tavolo, alzò la testa perplesso. Meiko era rimasta immobile al suo posto, con la testa china.

«Mi dispiace.» mormorò. «Sono stata troppo invadente, non volevo darti fastidio. Ho addirittura preparato la cena senza chiederti il permesso…»

Satoshi si alzò, fece il giro del tavolo e si fermò davanti a lei appoggiandole le mani sulle spalle.

«Ascoltami bene. Non c’è niente che tu possa fare che possa darmi fastidio, chiaro?» Sorrise. «Rientrare dall’ufficio e trovare una splendida ragazza che ha preparato la cena per me è il massimo!»

Ritrovato il sorriso, Meiko si apprestò a portare in tavola i piatti che aveva cucinato mentre Satoshi chiacchierava degli avvenimenti della giornata. Forse era troppo presto per il discorso che si era prefissato. Meglio aspettare un altro po’.

«A proposito, c’è una novità.» disse ad un certo punto. «Ti ricordi William Matheson, l’amico astronomo di Yu? Ha trovato un ingaggio all’osservatorio appena fuori Tokyo e si fermerà in Giappone per un paio di mesi.»

«Oh, bene! E’una bella notizia. Mi sembra andasse molto d’accordo con Matsura

«Già, avresti dovuto vedere la sua faccia mentre me lo raccontava. Yu è entusiasta di averlo per casa proprio adesso che hanno iniziato la convivenza. Miki invece sembra davvero felice di ospitarlo, non è il tipo da farsi di questi problemi.»

Meiko sorrise.

«Hai ragione. Spesso è capitato che mi chiedesse di fermarmi a dormire senza preavviso. Lei è fatta così, è sempre disponibile con tutti. A proposito di questo, dovrei chiederti un grosso favore, Miwa.»

Satoshi alzò gli occhi dal piatto e nonostante l’espressione leggera, il suo sguardo si fece serio.

«Se per te non è un problema vorrei potermi fermare qui per qualche tempo.»

Il ragazzo la fissò dritto negli occhi, leggendovi una muta preghiera.

«Nessun problema.» rispose. «Questo pollo al curry è delizioso.»

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 3
*** Sono stanca di fare l'amica ***


3

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

3

SONO STANCA DI FARE L’AMICA

 

Kijima Takuji camminava avanti e indietro spazzando il locale e tenendo il telefono tra l’orecchio e la spalla destra.

«Poi cos’è successo?» stava dicendo. «Capisco… No, non è decisamente una situazione facile. Come?... No, qui non è venuta. Permetti una domanda, Akira lo sa?... Bhè, dovrete parlarne prima o poi, no? Ryoko, tesoro, non piangere. Sapevi anche tu che sarebbe finita così, anzi forse era proprio quello che volevi.»

In quel momento un giovane biondo entrò al Junk Jungle e si appoggiò al bancone.

«Perdonami, ti devo lasciare. Ho un cliente.» disse Kijima. «Sì, mi farò vivo. A presto.»

Riattaccò e si rivolse al nuovo venuto.

«Buonasera, cosa posso… Ma guarda chi si vede! Yu!»

Il ragazzo lo salutò sorridendo.

«Ti trovo in forma come sempre, capo.» esclamò. «Passavo di qui e ho pensato di entrare a farti un saluto, spero di non essere arrivato in un brutto momento.»

«No, non ti preoccupare. Ryoko aveva solo bisogno di sfogarsi un po’, e poi è in ansia per Meiko. E’ proprio un bel guaio. Certo, non sta a me giudicare, ma forse questo era l’unico modo per risolvere la situazione. Comunque credevo Nacchan un tipo più serio…»

Yu rimase a fissarlo annuendo, pur non avendo la più pallida idea di cosa stesse dicendo.

«Probabilmente se fosse successo a me, anch’io me ne sarei andato di casa.» continuò imperterrito Kijima. «Una bella delusione se pensi a quello che hanno dovuto passare per stare insieme, e soprattutto che oltre a Meiko è coinvolto anche Akira. Insomma, è stato un comportamento irresponsabile, anche se non sta a me giudicare.»

Da quel discorso all’apparenza sconclusionato, Yu riuscì a capire che doveva essere successo qualcosa di grave.

«Aspetta un po’, capo. Vuoi dire che Meiko se ne è andata di casa perché… E io l’ho mandata a stare da Satoshi!»

Si passò una mano tra i capelli.

«Bella mossa davvero! Sono io quello che ha combinato un guaio. Quando lo verrà a sapere Miki sarà un disastro.»

Kijima posò la scopa e prese a preparare il caffè.

«Vuoi farmi credere che non ne sapevi niente? Ma smettila! Scommetto che Miki è stata la prima a cui Meiko ha raccontato tutto.»

«Invece no ed è proprio questo il problema. Che ne dici di spiegarmi bene la situazione?»

«Veramente non sarebbero affari miei ma… d’accordo, solo per evitarti situazioni imbarazzanti.»

 

Quella sera William uscì di casa piuttosto presto. Avrebbe  trascorso la notte all’osservatorio ma aveva ancora tempo prima dell’orario stabilito. Mentre faceva il giro dell’isolato per raggiungere l’auto che aveva noleggiato, vide una graziosa ragazza dai capelli corti andargli incontro sorridendo.

«Buonasera, Willy.»

«Ciao, Anju! Se cerchi Yu o Miki sono in casa, ma ci sono anche Michael e Brian quindi non ti assicuro nessuna tranquillità.» rispose il giovane.

«Veramente volevo vedere te. Hai tempo per parlare un po’?»

William annuì e la invitò a salire in macchina con lui.

«Sono in anticipo per il lavoro, andiamo a fare un giro.»

Si allontanarono velocemente dal quartiere residenziale e ben presto si trovarono a costeggiare la spiaggia.

«Il tramonto dalla baia di Tokyo è uno spettacolo meraviglioso.» commentò Anju. «Forse quello che mi è mancato di più quando ero a New York.»

«Già. Molto romantico.» rispose William e il suo tono suonò più amaro di quanto avesse voluto.

La ragazza se ne accorse ma non disse niente fino a quando non furono seduti fianco a fianco sulla sabbia. La brezza leggera scompigliava loro i capelli e i riflessi rossi e dorati del sole sull’acqua creavano uno spettacolo suggestivo.

«La verità è che ero preoccupata per te.» mormorò la ragazza.

William inizialmente apparve stupito poi le sue labbra si incresparono in un sorriso triste.

«Tu… sei una persona sensibile.»

Anju rimase in silenzio temendo di essere troppo invadente chiedendo cosa lo preoccupasse. Il ragazzo che aveva conosciuto in America durante il soggiorno di Yu aveva i suoi momenti di silenziosa riflessione ma non era mai stato così cupo. La persona che aveva davanti ora invece la sconcertava.

«Non farti problemi.» disse William interpretando la sua espressione. «Se vuoi sapere qualcosa chiedi pure liberamente.»

La ragazza si chiese com’era possibile che ci fosse ancora quella strana “empatia” tra loro. Erano passati anni da quei giorni trascorsi insieme a New York e alla villa di Long Island eppure la loro vicinanza emotiva permaneva. In un certo senso era rassicurante.

«Dimmi solo se posso aiutarti in qualche modo. Mi fa male vederti così. E’ successo qualcosa con Jinny?» chiese infine tentando di ignorare la titubanza e il disagio. La mancanza della giovane compagna del ragazzo alla festa era stata un enigma per tutti, ma nessuno si era azzardato a fare domande, nemmeno Yu.

«Qualcosa…» mormorò William abbassando la testa. «No… non è successo niente… non succede niente da mesi. Da quando ha intrapreso la carriera da modella non ci vediamo praticamente più e quelle rare volte che succede litighiamo come due bambini.»

«Ricordo che questo suo lato infantile era una delle cose che apprezzavi di più.» obiettò Anju.

«A tutto c’è un limite.» ribatté William. «E’ cambiata e sono cambiato anch’io. Lei vive di giorno sotto i riflettori e io di notte sotto le stelle. Non ci conosciamo più. Non ho nemmeno avuto la possibilità di informarla della festa, la sua manager mi ha riattaccato il telefono in faccia.»

Anju abbassò gli occhi.

«Mi dispiace tanto.»

Sentimenti contrastanti si agitavano dentro di lei: era addolorata dal fatto che William soffrisse, ma non poteva negare una sorta di soddisfazione. Fin da quando le aveva confessato di essere in realtà innamorato di Jinny, nonostante avesse mostrato di appoggiarlo, Anju non aveva potuto reprimere una sensazione di sconfitta. L’ennesima sconfitta.

«Basta, sono stanca di piangere per un ragazzo innamorato di un’altra. Sono stanca di fare l’amica…»

«Basta, sono stanco di pensarci.» disse William sorprendendola di nuovo. «Vieni con me all’osservatorio? Ti mostrerò uno spettacolo fantastico.»

Si alzarono lasciandosi la spiaggia alle spalle e per quella sera in discorso non venne più toccato.

 

Yuko Matsudaira non era mai arrivata in ritardo sul lavoro. Mai tranne quella mattina. Le 8:30 erano passate solamente da pochi minuti e stava attraversando di corsa il corridoio che portava dalla segreteria alle aule quando vide la direttrice dell’istituto venirle incontro con espressione severa. Yuko si immobilizzò come una ragazzina colta sul fatto a fare qualcosa di sconveniente. Era in ritardo e stava correndo in un luogo dove era vietato: in effetti le cose sconvenienti erano due e la ramanzina sarebbe stata meritata. La sua espressione cambiò dal preoccupato allo stupito quando notò che la donna più anziana reggeva tra le mani un grosso mazzo di fiori. Garofani rosa e rose canine avvolti in un sottile tulle dorato.

«Matsudaira,» l’apostrofò la direttrice sistemandosi gli occhiali sul naso con piglio severo. «questo non è un ufficio postale. Faccia in modo di fornire ai suoi ammiratori l’indirizzo della sua abitazione. Non voglio che si ripetano episodi del genere!»

Così dicendo le allungò a Yuko il mazzo di fiori e una busta piuttosto voluminosa e si allontanò nella direzione opposta. La giovane donna rimase ferma all’imbocco del corridoio fissando entrambe le cose con aria perplessa. Non esisteva nessuno, nessuno tra tutti i suoi conoscenti, che non sapesse il suo indirizzo di casa e che quindi fosse costretto a mandarle doni a scuola. Era imbarazzante. Nessuno tranne forse… Un’idea la colpì e la spinse a rigirare la busta in cerca del mittente. Niente. L’intestazione diceva solo: “ALLA CORTESE ATTENZIONE DELLA SIGNORINA MATSUDAIRA YUKO, C/O ISTITUTO ELEMENTARE S. HARUNO”. Seguiva l’indirizzo della scuola scritto con una calligrafia veloce e pulita, leggermente inclinata verso destra. Nessun indizio su chi potesse averla spedita. Questo contribuiva ad alimentare le sue speranze almeno quanto le assurde fantasie che la sera prima l’avevano tenuta sveglia, causando l’attuale ritardo. Tutto questo era ancora più imbarazzante. Era una donna adulta e si stava comportando come un’adolescente impacciata, un comportamento che, oltre a non essere da lei, le trasmetteva uno strano senso di disagio. Le sue considerazioni vennero interrotte da una sonora pacca sulla schiena che per poco non le fece sfuggire i fiori di mano.

«Sogni ad occhi aperti, senpai?» esclamò una voce allegra.

Yuko si voltò e si trovò davanti una ragazza dai lunghi capelli castano-rossicci e dal sorriso vivace.

«Buongiorno, Koishikawa! In ritardo anche tu?»

«Già, come al solito. La direttrice mi ha dato una strigliata.» rispose Miki. «Che fiori stupendi! Hai un ammiratore?»

«No, non credo.» rispose Yuko sentendosi arrossire senza motivo. «Si tratterà di un errore, oppure…»

Vedendola scuotere la testa Miki le posò una mano sul braccio.

«Sono solo fiori, non angosciarti. Se ti preoccupa possiamo aprire il biglietto insieme a pranzo.» si offrì.

«Non è necessario.» rispose Yuko. «E poi non riuscirei ad aspettare così tanto…»

Aprì la busta con le dita che tremavano leggermente e mentre estraeva un cartoncino elegantemente bordato d’oro, un pacchetto di fogli cadde ai suoi piedi. Miki lo raccolse e fece per porgerglielo quando il suo sguardo cadde sulle raffinate lettere d’argento stampate sulla carta blu notte.

“LA MUSICA DELLA NOTTE – TSUCHIYA KEI & KITAHARA ANJU IN CONCERTO”

La ragazza trattenne a stento un’esclamazione di sorpresa, ma Yuko non sembrava essersi accorta di niente. Continuava a fissare il cartoncino con gli occhi spalancati e quando li alzò su Miki fu solo per dire: «Sostituiscimi a lezione, io devo andare!»

La giovane tirocinante rimase ad osservarla mentre attraversava l’atrio, di nuovo di corsa, chiedendosi come avrebbe potuto lei, un’insegnate di lettere, improvvisare una lezione di musica.

Quando Yuko raggiunse il teatro non aveva quasi più fiato e il velo che avvolgeva i fiori si era irrimediabilmente sgualcito. Ora che si trovava lì non aveva idea di cosa fare. La sua testa si era completamente svuotata e l’impulso che l’aveva spinta ad abbandonare il lavoro, svanito. Si sentiva una sciocca. Fissò di nuovo il biglietto.

“Per dimostrarle che la musica non ha davvero prezzo.

Sarebbe un onore avere ospiti lei e i suoi studenti al prossimo concerto.

Con la speranza di rivederla presto

 

Tsuchiya Kei

 

Le allego il mio numero di telefono. Nel caso avesse di nuovo problemi con la validità dei biglietti non esiti a chiamarmi.”

Nella busta si trovava un carnet di ingressi gratuiti. Yuko aveva perso la testa ed era corsa fin lì.

«Perchési trovò a chiedersi. «Non era necessario. Bastava una telefonata per ringraziarlo… La verità e che…»

Improvvisamente si rese conto che in realtà desiderava rivedere Kei il più presto possibile. Erano questi i pensieri che l’avevano tenuta sveglia e che l’avevano spinta a correre a perdifiato fin lì.

«Yuko, sei impazzita?» si rimproverò. «E’ un bambino! Ci saranno almeno…sei o sette anni di differenza!»

Nonostante questo qualcosa l’aveva colpita. Qualcosa che andava al di là del suo talento musicale e delle sensazioni che sapeva trasmettere. Il suo sguardo saccente, la sua ingenua arroganza, il sorriso spontaneo che era nato mentre parlavano di Miki, avevano qualcosa si tenero che la attraeva irresistibilmente. Facendosi coraggio varcò la soglia del teatro. Se fosse rimasta ancora un minuto sul marciapiede avrebbe cominciato a pensare di stare rischiando il posto di lavoro per niente e si sarebbe infuriata. Evidentemente nella sala erano in corso le prove e una musica celestiale si diffondeva nell’aria. Il “Chiaro di Luna” di Beethoven.

«E’ lui…» pensò Yuko chiudendo gli occhi e piegando leggermente il capo per ascoltare meglio. La sua mente visualizzò le dita agili che scivolavano sulla tastiera, gli occhi abbassati, l’espressione assorta. Poteva vederlo davanti a sé, affascinante come non l’aveva mai immaginato.

«Posso aiutarla?»

Una voce femminile la strappò da quelle fantasie e aprendo gli occhi Yuko vide che una ragazza bionda le si era avvicinata. Era molto bella e vestiva in modo impeccabile. Doveva averla già vista da qualche parte ma non riusciva a mettere a fuoco dove.

«Ehm… sì. Se è possibile vorrei parlare con il signor Tsuchiya.» rispose vergognandosi dei pensieri di un attimo prima.

La ragazza adocchiò il mazzo di fiori e la busta.

«Un’ammiratrice immagino.» disse. «Mi dispiace, ma in questo momento è molto occupato. Se vuole può lasciare a me, farò in modo che riceva tutto. A proposito, sono Sakuma Suzu, la sua fidanzata.»

Yuko non strinse la mano che le veniva tesa, non alzò nemmeno gli occhi sull’espressione di ostentata possessività della ragazza. Si limitò a voltarsi e a lasciare il teatro.

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 4
*** Dentro di me il vuoto ***


4

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

4

DENTRO DI ME IL VUOTO

 

L’aveva evitata di nuovo. Aveva passato la giornata fuori casa girando la città da sola e quando Miki le aveva telefonato per invitarla a cena, aveva accampato la scusa degli impegni e della stanchezza per declinare l’offerta. Si sarebbe fermata a casa di Satoshi per qualche giorno e avrebbero potuto vedersi più avanti, le aveva detto. Miki era parsa delusa ma non aveva fatto domande e Meiko si era sentita ancora più in colpa che se le avesse raccontato una bugia colossale. Prima o poi avrebbe dovuto parlare con lei ma non aveva il coraggio di farlo. Ogni volta che pensava di essere nello spirito giusto, le tornava in mente tutto quello che l’amica aveva fatto per lei appoggiandola e incoraggiandola nei suoi problemi. Sapeva che sarebbe stata una grossa delusione venire a conoscenza della sua attuale situazione.

Sentì la chiave girare nella serratura e sobbalzò. Per un attimo l’abituale sorriso aleggiò sulle sue labbra, ma in un istante scomparve consapevole della propria inutilità e inadeguatezza.

«Sono a casa.» disse Satoshi mentre lei usciva dalla cucina andandogli incontro.

«Bentornato.»

Era così strano trovarsi in una casa estranea e accogliere in quel modo una persona diversa da sua marito. Meiko si rese conto delle lacrime che le bagnavano le guance solo quando lo sguardo di Satoshi posato su di lei si fece allarmato.

«Akizuki, cosa succede?» chiese preoccupato.

«Nulla, non è nulla. Solo un po’ di commozione.»

Sapeva benissimo che la farsa non sarebbe durata a lungo e l’espressione di Satoshi era molto eloquente. La prese per un braccio e la condusse in salotto ignorando la cena pronta in cucina.

«Allora, quando hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo?» esordì con un tono che voleva essere alterato ma risultò solo preoccupato. «Non sono uno stupido, ho capito che la tua non è una semplice visita di cortesia, e siccome ti sto ospitando in casa mia vorrei almeno conoscerne il motivo.»

Era giunto il momento della resa dei conti. Non poteva più scappare e non voleva nemmeno farlo. Aveva un bisogno disperato di sfogarsi, di parlare con qualcuno.

«Shin-chan…» mormorò e appena pronunciò quel nome le lacrime ripresero a scorrere. «Perdonami, Miwa, io…»

I singhiozzi si fecero incontrollabili e Satoshi non poté più resistere all’impulso di abbracciarla.

«Come faccio? Come posso non stringerti vedendoti così vulnerabile e disperata davanti a me?»

Meiko non oppose la minima resistenza e si appoggiò a lui. Era tanto, troppo tempo che nessuno la abbracciava in quel modo. Satoshi non disse niente e lasciò che la ragazza si calmasse e decidesse da sola i tempi e i modi in cui metterlo al corrente della situazione. Quando esaurì le sue lacrime, finalmente Meiko riprese a parlare, anche se le costava una grande fatica.

«Le cose tra me e Shin-chan non andavano bene già da un po’. Lui… passava la maggior parte del tempo in ufficio e spesso partiva in viaggio d’affari. Io restavo a casa da sola e col tempo ho cominciato a rendermi conto che quel tipo di vita mi soffocava. Paradossalmente era peggio di quando vivevo a Tokyo con i miei. Ogni volta mi ripromettevo di parlargliene, ma lui non aveva mai tempo… Ogni giorno mi sembrava di sprofondare sempre di più nella monotonia e nella ripetitività. L’editore mi dava il tormento nella speranza che scrivessi un nuovo romanzo ma io…»

«Non hai più scritto niente?!» la interruppe Satoshi sconvolto. In un certo senso la Meiko-scrittrice era una sua creatura e trovava inaccettabile quell’ipotesi.

La ragazza scosse la testa.

«No. Non riesco ad esprimere niente… forse perché non c’è più niente dentro di me…»

«Questo non è possibile!»

Meiko alzò una mano per interromperlo e proseguì il racconto.

«Solo l’altro giorno ho scoperto il motivo dei suoi frequenti viaggi a Tokyo. Sono rientrata e l’ho trovato… con la signorina Ryoko… loro… stavano…»

«Namura e la signorina Ryoko?» si indignò Satoshi.

«Non so da quanto tempo durasse la loro relazione. In quel momento non ho capito più niente, ho preso la borsa e sono uscita di corsa. Shin-chan non ha nemmeno tentato di fermarmi… di spiegarmi… Forse aspettava solo l’occasione per liberarsi di me… non lo so… Sono andata alla stazione e ho preso lo shinkansen. Ero davvero fuori di me. Quando mi sono ripresa sufficienza per capire cosa stavo facendo, mancava poco alla stazione di Tokyo. Così adesso sai perché sono qui e perché non riuscirò più a scrivere una riga.»

Il giovane ribolliva di rabbia ma tentò di mostrarsi il più calmo possibile mentre diceva: «Mi dispiace davvero tanto…»

Era furibondo. Il primo istinto era stato quello di correre a Hiroshima a prendere a pugni quello scemo di Namura. Di nuovo. Possibile che non si fosse reso conto di quanto Meiko stesse soffrendo? No, probabilmente era già assorbito dalla sua nuova fiamma. Ce ne aveva messo di tempo per accorgersi di provare qualcosa per Ryoko, soprattutto dopo i sacrifici fatti da entrambi per poter stare insieme. Spregevole. Era l’unico termine che la sua mente gli suggeriva. L’unica cosa che lo tratteneva lì in quel momento erano i grandi occhi tristi della ragazza di fronte a lui. Occhi che sembravano non credere più in nulla.

Inaspettatamente Meiko riprese a parlare.

«Forse si è trattato di un caso o di un colpo di fortuna riuscire a scrivere ‘La desolata città d’inverno’.» disse con voce spenta. «La mia immaginazione è come evaporata… prosciugata… non sono più in grado di scrivere nulla. Forse non lo sono mai stata…»

«Ora basta!»

Satoshi era fuori di sé. Come aveva potuto quell’idiota di Namura farle questo? Aveva perso completamente fiducia in sé stessa e la colpa era solo sua!

«Adesso ascoltami.» continuò. «Uno scrittore mediocre può dire di aver avuto fortuna riuscendo a completare il suo primo libro, ma quando riceve un riconoscimento prestigioso come il premio Asahi, non si può più parlare di fortuna né di mediocrità!»

«Lo so, ma in quel periodo io scrivevo per tenere la mente occupata nel disperato tentativo di dimenticare Shin-chan e anche questo tentativo alla fine mi ha ricondotta da lui. Ora che l’ho perso definitivamente dentro di me c’è solo il vuoto. Non ho più niente…»

I singhiozzi ripresero a scuoterla e Meiko si vergognò di mostrarsi a Satoshi in quello stato.

«Lo vedi che non è vero?» disse lui con voce più dolce. «Se dentro di te non ci fosse niente, non soffriresti in questo modo. Se la scrittura è già stata una volta una valvola di sfogo, perché non potrebbe esserlo di nuovo? Non è necessario partire con delle grandi aspettative o pretendere troppo da te stessa. Basta provare.»

La ragazza sorrise debolmente. La presenza di Satoshi era un toccasana che la faceva sentire capita e protetta e lei gliene era grata per questo.

 

Lontano dai rumori e dalle luci della città, la notte era silenziosa e piena di stelle. I grilli frinivano dolcemente nell’ombra, nascosti alla vista dei due ragazzi sdraiati nell’erba.

«E’ meraviglioso, ti ringrazio tanto.» sospirò Anju.

«Di cosa?» rispose William al suo fianco. «La notte è un fenomeno naturale, io mi sono limitato a invitarti a trascorrerla in un luogo diverso. Comunque hai ragione, è meraviglioso.»

Entrambi rimasero in silenzio rapiti dallo spettacolo dell’immensità del cielo che si spalancava davanti ai loro occhi.

«E’ questa l’armonia che spero di riuscire a infondere alla mia musica nel prossimo concerto.» mormorò Anju.

«La Musica della Notte. Già, Miki me ne ha parlato. Sono sicuro che sarai bravissima come sempre. Ti accompagnerà Tsuchiya, vero? Dicono che sia un gran professionista.»

«E’ vero, Kei è straordinario. Ha un talento eccezionale e suonare con lui è un’esperienza fantastica. Ogni volta mi stupisco dell’intensità delle emozioni che sa trasmettere.»

La ragazza era entusiasta e William, senza spiegarsene il motivo, se ne risentì.

«Quindi ti trovi molto bene con lui.» disse.

«Certo, è un grande artista.»

Quella risposta semplice fece sentire William uno sciocco. Anju non era quel tipo di ragazza, era ovvio che pensasse a Kei solamente in termini artistici.

«Mi farebbe molto piacere se venissi a sentirci.» continuò lei apparentemente ignara del suo turbamento. «Posso farti avere un invito omaggio come quelli che ho dato a Yu e Miki, se vuoi. Pensa, Kei ne ha chiesto un carnet da venti. Mi chiedo chi voglia invitare, non aveva mai fatto una cosa del genere prima.»

William si alzò sui gomiti e si sporse verso di lei.

«Verrò.» disse. «Verrò senz’altro. Sentirti suonare è ogni volta un’esperienza unica nel suo genere e non intendo lasciarmi sfuggire l’occasione.»

Anju sorrise nell’oscurità.

«Mi fai davvero felice.»

L’atmosfera suggestiva, il tono dolce della ragazza e la semplice intimità che si era ristabilita tra loro fin da subito, resero William più audace. Si avvicinò maggiormente a lei e accostò il viso al suo.

Anju si rese conto del gesto e involontariamente il suo cuore prese a battere più velocemente. Anche se a livello razionale sapeva che avrebbe dovuto rifiutarlo, il suo corpo non ne voleva sapere di muoversi. Si limitò a chiudere gli occhi e ad attendere trepidante.

«Will! Insomma, hai finito di perdere tempo?» tuonò una voce.

Una porta si aprì nell’edificio circolare alle loro spalle e una lama di luce violò le ombre che li circondavano. Colto in fallo dal suo datore di lavoro, il ragazzo si voltò verso di lui e verso l’osservatori con aria colpevole.

L’uomo ridacchiò.

«Forza, sbrigati. Altre ragazze richiedono la tua presenza: sua altezza l’Orsa Maggiore e la principessa Andromeda.»

A William non restò altro da fare se non porgere le sue scuse imbarazzate ad Anju e tornare al lavoro. Quella sera però né la principessa Andromeda né nessun’altra fanciulla ‘cosmica’ riuscì ad occupare i suoi pensieri.

 

La discussione si era protratta fin troppo per i suoi gusti. Aveva deciso di invitare Suzu a casa sua per compensare il poco tempo trascorso insieme in quel periodo, ma subito dopo cena lei aveva iniziato a lamentarsi dicendo come al solito che si sentiva trascurata e messa in secondo piano rispetto alle prove del concerto, ad Anju, alle sue fan e a miriadi di altre cose. Kei era davvero esasperato.

«Non mi risulta che tu abbia mai rinunciato ad un servizio fotografico, a una ripresa o a un’intervista per uscire con me!» sbottò infine.

«Sono un’attrice! E’ il mio lavoro!» protestò Suzu.

«E io sono un musicista! Questo è il mio lavoro quindi falla finita una volta per tutte con questa assurda gelosia!»

«A tutto c’è un limite! D’accordo le fan, ma che anche le vecchie ti portino mazzi di fiori e bigliettini d’amore mi sembra esagerato, non trovi?»

Kei rimase leggermente spiazzato. Sapeva che la sua musica era apprezzata anche da persone mature, ma da loro non aveva mai ricevuto altro che i più banali complimenti.

«Cosa intendi esattamente per ‘vecchie’?»  chiese.

«Una donna che è venuta questa mattina in teatro con un mazzo di fiori e una busta per te. Un tipo strano, stava imbambolata con gli occhi chiusi in mezzo all’atrio. Quando le ho detto che ero la tua fidanzata, è scappata via senza lasciarmi niente.»

Un sospetto iniziò a farsi strada dentro Kei unito ad una strana ansia.

«Non si è presentata?» chiese.

«Se stessi a chiedere il nome a tutte le tue ammiratrici non me la caverei più…»

Suzu non capiva e lui iniziava a perdere la pazienza.

«Che fiori aveva con sé?»

«Kei, non lo so! Non ci ho fatto caso! E’ così importante?» protestò la ragazza.

«Sì, e poi sono sicuro che te lo ricordi benissimo! Avanti, parla!»

Suzu sembrò rassegnarsi, anche se seccata da quello strano interesse.

«D’accordo, d’accordo, erano rose canine e garofani… rosa. Va bene? Avvolti in un tulle oro. Serve altro?»

Kei non sembrò cogliere il tono sarcastico.

«Era Yuko…» mormorò tra sé.

«Yuko? Chi è questa Yuko?» fece Suzu ripartendo alla carica. «Una giornalista? O un’altra musicista? In tal caso forse avrei fatto meglio a dire che la tua fidanzata era Kitahara. Dopotutto la conosci molto meglio di quanto conosci me! Scommetto che sai anche dove si trova in questo momento!»

«Vuoi fare silenzio? Il fatto che Anju sia uscita con Will ora non c’entra niente.» rispose Kei soprapensiero senza aver ascoltato neanche la metà del discorso.

Suzu era sconvolta.

«Lo sai davvero…»

«Che cosa?» fece Kei tornando momentaneamente sulla Terra, poi senza aspettare la risposta della ragazza riprese: «Era Yuko! Ti rendi conto del guaio che hai combinato?»

Suzu lo squadrò con aria truce.

«No, non me ne rendo conto!» esclamò balzando in piedi. «E passerà molto tempo prima che voglia di nuovo rendermi conto di qualcosa che ti riguarda! Addio!»

Così dicendo se ne andò sbattendo la porta e facendo tintinnare i bicchieri nella cristalliera accanto ad essa.

A Kei quell’uscita teatrale passò quasi inosservata. In quel momento nella sua testa c’era spazio solo per Yuko. Le aveva mandato i fiori e i biglietti omaggio per l’intera classe con la sola speranza di rivederla e ora Suzu aveva rovinato tutto. Chissà cos’aveva pensato Yuko quando si era trovata davanti la sua cosiddetta fidanzata? L’avrà sicuramente considerato un donnaiolo che ci provava con lei pur essendo già impegnato.

«E non è così?» si disse. «No, accidenti, non è così! Voglio solo rivederla, non mi interessa quali sembrino le mie intenzioni dall’esterno!»

Mentre formulava quel pensiero Kei si rendeva conto di essere totalmente irrazionale e di non avere nessun reale motivo per desiderare di incontrare di nuovo quella donna, ma al momento il fatto gli sembrava irrilevante. Doveva trovare una scusa qualunque per vederla e chiarire l’equivoco creato da Suzu. Il concerto sarebbe stato solo la settimana successiva, troppo lontano considerando che non aveva nemmeno la certezza che sarebbe venuta. Senza pensarci due volte prese a sfogliare un opuscolo acquistato di recente per occasioni come quella, poi afferrò la cornetta e compose il numero del fiorista prima di rendersi conto dell’orario impossibile.

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 5
*** Nessuno lo merita ***


5

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

5

NESSUNO LO MERITA

 

La giornata non era iniziata nel migliore dei modi. Appena messo piede in ufficio, Satoshi aveva ricevuto una telefonata da Suzu che si era messa ad elencargli quale orribile, insopportabile e perfida persona fosse Kei con una dovizia di particolari tale che dopo cinque minuti il ragazzo aveva perso il filo del discorso. Non che non gli dispiacesse per la cugina, ma la sua attenzione era calamitata da un’altra parte e dubitava di riuscire a concentrarsi persino sul lavoro.

Yu si presentò in studio con un leggero ritardo e una strana espressione sul viso che Satoshi riconobbe come foriera di novità.

«Sputa il rospo!» esclamò. «Voglio sapere il motivo del tuo ritardo e di quella faccia.»

«Che despota, in fondo si tratta solo di pochi minuti!» lo prese in giro Yu. «In quanto al motivo suppongo tu lo sappia meglio di me. Meiko si è presentata a casa nostra questa mattina per parlare con Miki. I casi sono due: o le racconterà di Nacchan, o si lamenterà di qualcosa di sconveniente che le hai fatto.»

La risata di Satoshi si spense all’improvviso quando realizzò le parole dell’amico.

«Come lo sai?»

«E’ sfuggito inavvertitamente al capo Kijima dopo una telefonata della signorina Ryoko. Se lo sai anche tu e non sei corso a rompere il naso a Nacchan significa che sei maturato.»

«L’apparenza inganna, amico mio.» sentenziò Satoshi rivolgendosi poi alla giovane donna apparsa sulla porta dell’ufficio. «Quali sono gli impegni di oggi, signorina?»

La segretaria sorrise e prese ad elencare gli appuntamenti in programma. Quando erano al di fuori dell’orario di lavoro si rivolgeva a lei in modo meno formale, dopotutto si trattava della figlia di un amico di suo padre nonché l’unica ad accettare quel lavoro a uno stipendio da fame. Fortunatamente era di famiglia benestante e quindi non costretta a tirare la fine del mese con i miseri quattro soldi che potevano permettersi di offrirle.

Ascoltando distrattamente le parole della ragazza, Satoshi scoprì che la maggior parte degli appuntamenti era per Yu, ma a lui sarebbe capitata la grana di un pretenzioso imprenditore che trovava divertente investire in giovani talenti e studi emergenti. Sapeva che se fosse riuscito a gestire la situazione, quella avrebbe potuto essere la loro carta vincente. Sperava solo di riuscire a fare abbastanza forza su sé stesso da ascoltare quello che l’uomo diceva.

«Meiko… Sono in ansia e non so perché… Cosa sto aspettando? Meiko… tornerai, vero?»

 

L’atmosfera sembrava congelata nel piccolo salotto luminoso. Meiko aveva detto tutto. Finalmente era riuscita ad alleggerire il suo cuore come neanche con Satoshi aveva fatto. Ora aspettava a testa bassa come se quello che doveva giungere dall’amica fosse un giudizio inappellabile. Miki non aveva detto una parola per tutto il racconto e sbirciando la sua espressione Meiko temette un rifiuto nei suoi confronti come quando le aveva taciuto la sua storia con Namura. Miki invece allungò una mano e la posò su quelle dell’amica strette in grembo.

«Scusami.» disse. «Ero talmente presa dalle mie faccende personali come il trasloco e la convivenza da non rendermi conto di cosa stavi passando. Sono stata insensibile, mi dispiace tanto.»

Meiko sentì che stava di nuovo per mettersi a piangere. Da quando aveva la lacrima così facile? Non si era aspettata quella reazione da parte dell’amica e il fatto di non sentirsi condannata l’aveva fatta sentire improvvisamente più leggera. Si stava rilassando quando le parole di Miki la fecero irrigidire di nuovo.

«Secondo me dovreste riprovarci.»

«No!» fu la secca risposta che le uscì prima che riuscisse a pensare a qualcosa di più diplomatico.

«Perché? Stavate così bene dopo tutti i sacrifici che avete dovuto fare. Nemmeno la lontananza era riuscita a distruggere il vostro amore e ora vuoi permettere a questo incidente di farlo?»

Meiko era senza parole.

«Incidente? Vorrei vedere come reagiresti tu al mio posto!» esclamò perdendo la calma. «Non mi sembravi di questo avviso quando credevi che Matsura avesse una storia con Jinny, o più recentemente, il mese scorso, quando eri convinta che nascondesse una tresca con Midori, la segretaria di Miwa. E voi non siete neppure sposati!»

Miki arrossì per la vergogna mentre Meiko continuava: «Lui mi ha tradita, Miki, ha tradito la mia fiducia, ma ancora prima di questo è riuscito a trasformare la mia vita nell’opposto esatto di quello che desideravo. Tutto questo senza che me ne rendessi conto. Ora che ho aperto gli occhi perché dovrei perseverare nell’errore?»

«Perché lo ami?» azzardò Miki timorosa.

«Non più. Quel sentimento, se ancora ce n’era traccia, è morto definitivamente quel giorno.»

Sapeva bene che stava disorientando l’amica ma quella dimostrazione di fermezza faceva bene soprattutto a lei stessa.

Miki reagì esattamente come si aspettava.

«Ne sei proprio sicura?» disse infatti. «Mi sembra tutto così strano. Insomma, siete Meiko e Nacchan! A scuola tutti avevamo la certezza che vi sareste ritrovati per stare insieme per sempre.»

La ragazza sorrise amaramente.

«A quanto pare all’epoca ero l’unica a non essere sicura di niente, e le cose non sono cambiate.»

«Almeno pensaci. Pensaci bene!» la pregò Miki. «Cosa vorresti fare?»

«Ora come ora parlare il prima possibile con Arimi.»

«Arimi?»

«Già. Fa tirocinio presso lo studio di un avvocato divorzista, vero?»

 

Quella mattina apparire determinata era sembrato facile. Le sue ultime parole avevano sconvolto Miki anche se erano parse una frase ad effetto non voluta, e sperava che per questo la ragazza non la prendesse meno sul serio. Dopo il riferimento all’avvocato, Miki l’aveva congedata in tutta fretta adducendo come scusa il fatto di dover correre a scuola a preparare le lezioni pomeridiane. Il fatto che volesse evitare un’ulteriore discussione significava che aveva bisogno di riflettere e a lei non era rimasto altro da fare che incrociare le dita e andarsene.

Ora però, mentre tornava verso la casa di Satoshi, Meiko iniziava a sentire tutto il peso di quella decisione. Non si sentiva poi così sicura come aveva voluto far credere. Forse Miki poteva pensare che il suo atteggiamento fosse eccessivo, che quella di Shin’ichi fosse una semplice scappatella, ma lei sapeva che non era così. I suoi viaggi di lavoro a Tokyo si erano fatti più assidui già da almeno sei mesi e se pensava che non si era accorta di niente o, nella sua ingenuità, si era rifiutata di accorgersene, si sentiva ancora peggio.

«Sono stata davvero stupida…»

Mentre recriminava su sé stessa tentando di non sfogare la propria rabbia e frustrazione sulla prima cosa che le capitava a tiro, era giunta al cancello della villetta celeste e alzando gli occhi vide una figura seduta in attesa sul basso muretto di cinta.

«Suzu! Cosa ci fai qui?» esclamò riconoscendola e allarmandosi alla vista della sua espressione.

Doveva aver pianto.

«Meiko… Scusa, immagino che tu abbia di meglio da fare che ascoltare le sciocchezze di una ragazzina capricciosa come me, ma…» Suzu sospirò trattenendo un singhiozzo. «… Ho proprio bisogno di parlare con qualcuno.»

Sempre più preoccupata, Meiko la fece entrare chiedendole intanto se era successo qualcosa di grave.

«Bhè, dipende dai punti di vista. Ho telefonato a Satoshi prima, ma lui sembrava avere altro per la testa e credo non abbia ascoltato una parola.»

Meiko si sentì quasi in colpa sospettando che quelaltro per la testa’ fossero lei e i suoi problemi.

«Sono stanca, non credo di resistere ancora a lungo.» continuò Suzu accomodandosi sul divano. «Il fatto che lui sia sempre preso da mille cose non è di nessun aiuto.»

«Stai parlando di Tsuchiya?»

Suzu annuì.

«Siamo entrambi persone molto impegnate, ma io sono sempre riuscita a trovare il tempo per lui e per gli amici. Insomma, riesco ad avere una vita discreta oltre che un lavoro soddisfacente. Essere famosi è pesante. Io lo so. Lui lo sa. Siamo sempre riusciti a conciliare le due cose ma da diversi mesi a questa parte non è più così. E’ come se la sua vita privata gli fosse sfuggita di mano o peggio, come se non gliene importasse più nulla. Non esiste altro al di fuori delle prove, dei concerti, delle sue composizioni… Ovviamente tutto questo in compagnia di Kitahara. Lo so, lo so che tra loro non c’è niente… o almeno credo… insomma non so nemmeno io se crederci o no! E adesso è saltata fuori questa Yuko! Chi diavolo è? Da dove arriva? Perché porta fiori al mio fidanzato e lui va in crisi per non averla incontrata?»

Meiko aveva assistito in silenzio alla sfuriata rendendosi conto di essere la persona meno indicata a darle consigli in quell’ambito.

«Ti capisco…» si limitò a dire. «Più di quanto pensi, credimi. Se posso esprimere un parere, penso che quando un rapporto va in crisi, significa che è tempo di decisioni.»

Si rendeva conto di parlare soprattutto a sé stessa, ma continuò: «E’ importante capire quali sono le nostre priorità per poter decidere per il meglio e siccome Tsuchiya non sembra essersi reso conto del problema, spetta a te.»

Suzu la fissava con i grandi occhi spalancati. L’espressione infuriata era scomparsa lasciandola innaturalmente pallida.

«Secondo te dovrei lasciarlo?»

 

Quando William rientrò era già ora di cena. Miki lo fermò con un’esclamazione prima che sparisse in cima alle scale.

«Questa sera a cena saremo solo tu, io e Yu, c’è qualcosa di particolare che vuoi mangiare?» chiese.

Il ragazzo le rivolse un sorriso di scusa passandosi una mano tra i capelli con aria imbarazzata.

«Non mi fermerò a mangiare, mi dispiace

«Oh, vai al ristorante di sushi con Michael e Brian?»

«Ehm… veramente ho appena il tempo per farmi una doccia e correre al lavoro. Mi farò un panino all’osservatorio. Scusami.»

A Yu, seduto in salotto, non sfuggì quella breve conversazione. Era da poco rientrato dallo studio dopo una giornata fitta di appuntamenti, per non parlare di quell’imprenditore che aveva voluto conoscere anche lui annoiandolo a morte, ed era esausto, ma doveva farsi coraggio e trovare la forza di fare un discorsetto a William.

Quando non sentì più lo scorrere dell’acqua della doccia, salì al piano di sopra e bussò alla porta della camera degli ospiti. Trovò l’amico in accappatoio che si strofinava energicamente i capelli con un asciugamano.

«Ti dovrei parlare, Will.» esordì. «Se non ti dispiace ti do un passaggio fino all’osservatorio.»

«Niente di grave, spero.» disse il ragazzo annuendo con espressione stupita.

«Spero proprio di no. Ti aspetto di sotto.»

Così dicendo Yu chiuse la porta e tornò al piano inferiore dove Miki lo aspettava in soggiorno.

«Questa sera ceneremo soli soletti.» disse sorridendo maliziosamente.

Le guance della ragazza si colorarono leggermente e gli occhi brillarono mentre rispondeva: «E’ la prima volta da quando ci siamo trasferiti qui. Bisogna festeggiare.»

Si avvicinò a lui girandogli attorno e gli posò un bacio sulle labbra.

«Il resto dopo cena…» sussurrò.

«Ammesso che io sopravviva alla tua cucina.» commentò Yu con una smorfia.

Miki si voltò di scatto lanciandogli un’occhiata fulminante.

«Insomma, Yu!»

Il finto battibecco venne interrotto dall’ingresso di William completamente vestito e pronto per uscire.

«Possiamo andare.»

Mentre l’auto sfrecciava attraverso le vie di Tokyo che andavano svuotandosi, tra i due giovani era calato uno strano silenzio che li faceva sentire entrambi a disagio. Yu si decise a spezzarlo quando erano già a metà strada.

«In questi giorni passi molto tempo fuori.» disse. «Non ti vediamo praticamente mai. Il lavoro all’osservatorio dev’essere duro…»

William si riscosse dal torpore in cui era scivolato.

«Un po’ sì, ma è la mia passione quindi non mi pesa.» rispose con un sorriso.

«La mancanza di sonno però sì. Miki mi ha detto che dormi solo qualche ora la mattina e nel pomeriggio esci di nuovo. Ogni volta torni appena in tempo per correre al lavoro e a volte non torni neanche. Sicuro che la tua unica passione siano le stelle?»

William rimase leggermente spiazzato da quelle parole ma finalmente capì dove l’amico voleva andare a parare.

«Esistono diversi tipi di stelle mentre di padre, Yu, me ne basta uno.»

«Quella che ti sto facendo non è una predica fine a sé stessa… oddio, in realtà non è nemmeno una predica, sarei la persona meno indicata per farla. Insomma, sei mio amico, è ovvio che mi preoccupi per la tua salute, ma confido nel fatto che tu conosca i tuoi limiti. Il motivo di questa specie di discorso senza né capo né coda è un altro.»

Era imbarazzante, si disse Yu. In fondo chi era lui per parlare in quel modo? Nessuno aveva chiesto il suo aiuto o lo aveva eletto suo difensore. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere e stare zitto.

«Il motivo si chiama Anju, vero?»

A questo punto non poteva più tornare indietro.

«Andiamo, Will, sii onesto con te stesso. Tu tieni a Jinny. Le poche volte che ti vedo stai con l’occhio incollato al cellulare e scommetto che quella che aspetti è una sua chiamata. Non è il caso di creare illusioni né a te stesso né tantomeno ad Anju, non lo meritate. Nessuno di voi lo merita.»

William abbassò gli occhi rendendosi conto che la sua espressione stava diventando colpevole contro la sua volontà.

«Hai ragione.» disse mentre Yu parcheggiava di fronte alla forma scura dell’osservatorio. «Nessuno lo merita.»

 

Inizialmente la mattinata si era pregustata piacevole. Per una delle rare volte nella sua vita non era in ritardo e lei e Yu erano riusciti ad uscire di casa e a fare un pezzo di strada insieme. La città non era ancora immersa nel caos dell’ora di punta e l’aria era piacevolmente frizzante, ben diversa dalla cappa afosa che l’avrebbe gravata ad estate inoltrata. A colazione era riuscita a non bruciare i toast e il caffè era zuccherato al punto giusto. Tutto era andato a meraviglia… fino a quel momento. Yuko Matsudaira le si fece incontro tenendo uno strano cartoccio argenteo tra le mani con espressione tesa.

«Koishikawa, ho assolutamente bisogno di un consiglio.» disse non appena la vide.

«Stai bene, senpai? Sei pallida.» si preoccupò la giovane.

La donna le rivolse uno sguardo tutt’altro che rassicurante mentre le mostrava l’involto, che si rivelò essere una piantina di viole del pensiero, e un biglietto che recitava semplicemente:

“Mi permetta di porgerle le mie scuse di persona. Se accetta di vedermi la aspetto al bar di fronte alla scuola.

Tsuchiya Kei”

Miki spostò gli occhi dal cartoncino azzurro al viso dell’amica. Era davvero sconcertante che Kei si comportasse così. Mancava più di un quarto d’ora all’inizio delle lezioni quindi decise di assecondare il discorso.

«Se non sono troppo indiscreta, posso sapere cosa ti ha fatto Kei per doversi scusare?» chiese.

Yuko scosse la testa.

«Non ne ho idea. In realtà sono io quella che si dovrebbe scusare. Mi sono comportata come una ragazzina sciocca e sono stata molto maleducata con la sua fidanzata…»

Miki iniziava a capire. Probabilmente Yuko aveva incontrato Suzu e quest’ultima aveva ostentato come al solito i suoi diritti su Kei. Notando il colorito rosato delle guance della collega più anziana, giunse anche a un’altra conclusione.

«Senpai… non è che ti piace Kei?»

Yuko arrossì ancora di più e si affrettò a negare.

«Andiamo, cosa stai dicendo, Koishikawa? Tsuchiya è un ragazzino, è troppo giovane per me, senza contare che ha già una fidanzata molto carina! Inoltre mi manda i fiori a scuola facendo infuriare la direttrice!»

«Stai negando con troppo accanimento per essere convincente.» le fece notare Miki.

Yuko rimase in silenzio rigirandosi tra le mani il vaso con la piantina mentre mille pensieri si affollavano nella sua mente. Poi finalmente riuscì a dare voce a quello che era diventato un chiodo fisso da quando le avevano messo in mano l’involto.

«Koishikawa, tu lo conosci il linguaggio dei fiori?»

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 6
*** Posso smettere di essere tuo amico? ***


6

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

6

POSSO SMETTERE DI ESSERE TUO AMICO?

 

Garofano rosa: sensazione.

Rosa canina: piacere e dolore.

Viola del pensiero: sei sempre nei miei pensieri.

Era troppo persino per essere una coincidenza.

Yuko chiuse il registro con un colpo secco facendo sussultare l’intera classe.

«Per domani esercitatevi con il flauto e non dimenticate di far firmare l’autorizzazione per l’uscita al concerto.»

Detto questo si alzò e lasciò l’aula ignorando i venti bambini che si inchinavano per salutarla. Fuori era ancora chiaro ma dalle vetrate del corridoio che portava alla sala professori iniziava a filtrare la luce rosata del tramonto. Davanti allo schedario dei compiti in classe, in un angolo appartato della stanza, le si avvicinò Miki.

«Andrai da lui, senpai?» chiese la ragazza.

Yuko tentennò stropicciando inconsciamente i fogli che doveva riporre.

«Tsuchiya ha già una fidanzata, nonostante questo vuole incontrarmi e mi manda fiori e regali sul posto di lavoro. Non è un atteggiamento corretto.»

«Kei è un bravo ragazzo, te l’assicuro. Non è il tipo da ingannare gli altri… non più, almeno… ehm…» incespicò Miki ripensando alla brutta vicenda passata a causa delle falsità raccontate dal ragazzo ai danni suoi e di Yu. «Comunque si tratta di acqua passata e anche la storia della fidanzata è più una fissazione di Suzu che altro.»

L’espressione di Yuko era tutt’altro che convinta.

«Insomma, non ho mai detto che mi piace, no?» ribadì. «La differenza di età è decisamente troppa e poi, fissazione o no, non me la sento di ferire quella ragazza.»

«Senpai, un the o un caffè non hanno mai ferito nessuno.» disse Miki incoraggiante. «Se hai voglia di vederlo anche solo perché trovi piacevole la sua compagnia o la sua competenza professionale, non hai bisogno di giustificazioni. Vai e divertiti.»

Yuko arrossì riprendendo a maltrattare i malcapitati compiti in classe finché Miki glieli tolse di mano.

«Vado solo perché sono curiosa di sapere di cosa si deve scusare.» disse. E lasciò la stanza a passo veloce.

Non vide Miki che sorrideva tra sé.

 

Non era mai stata in quel locale nonostante vi passasse davanti ogni giorno da anni. Le ampie vetrate lo rendevano molto luminoso e l’arredamento color panna gli dava un aspetto particolarmente curato ed raffinato. A quell’ora diversi tavoli erano occupati e la cassiera al banco la accolse con un sorriso nonostante l’aria stanca. Yuko dovette guardarsi attorno prima di trovarlo, poi lo vide seduto accanto alla vetrina, lo sguardo stranamente triste rivolto alla tazza di caffè ancora piena davanti a lui. Abituata al suo aspetto elegante durante i concerti, quasi stentò a riconoscerlo con la lunga frangia sugli occhi e l’abbigliamento sportivo più consono alla sua età.

«Perché quell’espressione affranta?» si chiese prima di avvicinarsi rendendosi conto di essere preoccupata.

Mosse un passo verso di lui.

«Signor Tsuchiya…»

Kei alzò la testa di scatto e il suo viso si illuminò.

«Yuko!... Volevo dire… signorina Matsudaira!» esclamò mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso affascinante. «Temevo non sarebbe più venuta. Ero in ansia…»

«Quindi quello sguardo triste era a causa mia? Era in ansia? Per quale motivo?»

«Bhè, avevo paura che non volesse più vedermi. Sa, per il disguido dell’altro giorno in teatro.»

«Sono corsa da lui come una ragazzina innamorata, ho incontrato la sua fidanzata e lui lo chiama ‘disguido’? Sinceramente non vedo di cosa si debba scusare.» disse Yuko, ma probabilmente la sua voce era sembrata più fredda di quanto volesse perché l’espressione di Kei si fece supplice.

«La prego, si sieda. Mi permetta di offrirle qualcosa.»

L’aria da cucciolo sperduto che aveva mentre le porgeva la carta delle ordinazioni la intenerì e la indusse ad accomodarsi.

«The? Caffè?»

«Un tè freddo alla liquirizia. Grazie.»

Mentre la cameriera si appuntava l’ordine, Yuko si trovò a chiedersi in che situazione si stesse cacciando. Quello stava cominciando ad assomigliare pericolosamente ad un appuntamento. Se avesse detto che la cosa le dispiaceva sarebbe stata una bugiarda spudorata, ma la situazione era comunque troppo confusa per essere piacevole.

«Signor Tsuchiya…»

«Kei, ti prego. E io posso chiamarti Yuko?»

«Va bene, a patto che tu mi spieghi quali sono le tue intenzioni.»

Un’espressione di totale stupore accolse le sue parole.

«Cosa vuoi dire? Io non ho nessuna intenzione. Se ti riferisci a Suzu non ti devi preoccupare.»

«Invece mi preoccupo eccome! Non è normale incontrare un’altra donna all’insaputa della propria fidanzata e comunque io sono un’adulta. Non so che idee ti sia fatto ma non sono una ragazzina adatta alla tua età.»

Era stata involontariamente brusca nonostante l’unica cosa che sperasse fosse di non essersi illusa e quindi sentirsi una stupida.

Kei appariva mortificato e lei si sentì quasi in colpa per quel necessario chiarimento.

«Ti chiedo scusa. Sono stato invadente ed egoista. Ti ho anche mandato dei fiori senza pensare che sicuramente hai già un fidanzato o magari addirittura un marito. Mi hai colpito molto e volevo conoscerti meglio. L’età non ha importanza e Suzu è la mia fidanzata solo nella sua testa. Comunque a questo punto non ha più nessuna rilevanza. Ti chiedo ancora scusa.»

Detto questo si alzò per saldare il conto. Era già alle sue spalle quando Yuko rispose.

«Va bene.»

Kei si voltò di scatto e la sua espressione era, se possibile, ancora più sbalordita di prima.

«Come, prego?»

«Ho detto che va bene. Io ti ho colpito, a me piace la tua musica. Vederci ogni tanto senza impegno non farà del male a nessuno. E comunque io non sono fidanzata… né sposata!»

 

La ragazza sedeva al tavolo della cucina fissando senza vederla la decorazione della tovaglia e ignorando il ribollire della salsa nel pentolino alle sue spalle. In un angolo remoto dei suoi pensieri era consapevole che se non l’avesse tolta dal fuoco presto sarebbe bruciata, ma la cosa le importava relativamente. La parte conscia della sua mente era completamente occupata dal colloquio avuto quel pomeriggio con Arimi. L’idea di parlare con Shin’ichi solo tramite avvocato la turbava non poco, sperava in una soluzione più pacifica come la separazione consensuale, ma non era disposta a rivedere la propria posizione. Le parole di Miki continuavano a frullarle in testa: com’erano arrivati a quel punto? Separarsi, addirittura divorziare, dopo tutto quello che avevano fatto per vivere la loro storia alla luce del sole contrastando il volere delle rispettive famiglie. Quando era arrivata a non sopportare la vita da casalinga con lui? Quando Shin’ichi aveva iniziato a preferire Ryoko a lei? E la colpa era davvero attribuibile ad uno solo di loro?

Lo squillo del suo cellulare abbandonato nella borsa a lato del tavolo la fece sobbalzare e riprendere bruscamente. Erano cinque giorni che restava muto e quando lesse il nome sul display le ci volle un minuto buono per decidersi a rispondere.

«Pronto, Meiko? Sono io.»

 

Quando Satoshi girò la chiave nella serratura la prima cosa che accolse il suo ritorno a casa fu un acre odore di bruciato. Lanciando un’occhiata allarmata tutt’intorno per verificare che l’edificio fosse ancora integro, si precipitò verso la cucina dove la salsa aveva ormai smesso di bollire per trasformarsi in carbone. Il ragazzo afferrò il pentolino infilandolo subito sotto il getto d’acqua fredda e sprigionando un fumo ancora più irrespirabile. Tossendo e maledicendo quella pessima trovata, spalancò la finestra chiedendosi che fine avesse fatto la sua nuova coinquilina. Mentre attraversava il corridoio per raggiungere la finestra sul lato opposto, notò la porta della camera degli ospiti socchiusa e la voce di Meiko giungere dall’interno.

«Sto bene, non preoccuparti…» stava dicendo. «No. No, non ne hai motivo.»

«Sta parlando al telefono.» dedusse Satoshi non riuscendo a impedirsi di ascoltare.

«Da un amico. Non voglio che tu venga qui!» continuò la ragazza alzando la voce. «Non insistere, Shin!»

Sentendo quel nome Satoshi si irrigidì sul posto mentre un brivido gelido gli correva lungo la schiena. Seguì un momento di silenzio poi quelli che sembravano singhiozzi soffocati.

«Smettila… ti prego, smettila, Shin.»

Meiko stava piangendo.

«Non cercarmi più.»

Satoshi si rese conto di essersi mosso quando la sua mano era già posata sulla maniglia. Cosa gli era saltato in mente? Non poteva certo irrompere in camera di Meiko in quel modo, sarebbe equivalso ad ammettere che aveva origliato la sua conversazione con il marito. E quindi? Cosa ci sarebbe stato di male? Meiko aveva parlato con suo marito dopo cinque giorni di totale silenzio. Era una cosa positiva. Perché sentiva quella strana irritazione montare dentro di lui? La sua mente seguiva percorsi bizzarri. E perché Meiko aveva quell’atteggiamento quasi… furtivo? Cosa temeva? Mentre ritornava verso la cucina una parola pronunciata dalla ragazza rimbalzò tra i suoi pensieri mettendosi prepotentemente in evidenza.

Da un amico.

Amico.

Era stato dunque quello a infastidirlo tanto oltre al fatto che Namura si fosse rifatto vivo?

«Spero tu stia scherzando, caro il mio subconscio!» si rimproverò. «Sono passati anni da quando potevi permetterti di provare sentimenti del genere! Sono suo amico, è la pura e semplice verità e dovrei essere felice di questo.»

Meiko tornò in cucina poco dopo. Aveva l’aria abbattuta e gli occhi leggermente arrossati.

«Oh, Miwa, sei tornato!» esclamò non appena lo vide. Il suo sguardo corse dai fornelli al lavandino. «Oh, no, la salsa è bruciata! Mi dispiace! Ti preparo subito qualcos’altro!»

Si affannò nel frigorifero senza fare il minimo accenno alla conversazione avuta poco prima. Mentre la osservava tagliare le verdure per l’insalata, con quell’espressione assorta, le labbra di Satoshi si mossero da sole.

«Posso smettere di essere tuo amico?»

Meiko si bloccò con il coltello a mezz’aria, un’espressione sgomenta negli occhi spalancati.

«Cosa

 

Aveva cenato fuori di nuovo. E in un posto che non riusciva nemmeno a classificare. Michael e Brian si stavano dando alla pazza gioia sperimentando tutti i ristoranti più raffinati che servivano specialità nazionali, mentre lui in quei giorni non aveva visto nemmeno l’ombra di sushi o sashimi. Solamente strani panini in altrettanto strani fast food. Un Mc Donald’s è un Mc Donald’s in tutto il mondo, no? Evidentemente no perché i sandwich giapponesi avevano un sapore al quale non riusciva ad abituarsi. Al contrario Anju, seduta di fronte a lui sgranocchiava con gusto le sue patatine e ne sembrava oltremodo soddisfatta.

«Non trovi sia fantastico?» disse la ragazza. «Quando mi trovavo in America non aveva spesso la possibilità di magiare in un fast food e qui in Giappone i miei preferiscono la cucina tradizionale. Uscire con un amico è un’ottima scusa per gustare qualcosa di più saporito!»

«Almeno fosse davvero saporito!» sospirò tra sé William sorridendole.

Dopo aver ordinato il caffè uscirono nell’aria ancora calda della sera. Iniziava ad imbrunire e le luci delle insegne si accendevano progressivamente dando alle vie della città un aspetto suggestivo. In macchina, lungo la strada che conduceva all’osservatorio, il tono di voce della ragazza si fece meno spensierato.

«Sai, Willy? Il tempo in tua compagnia passa sempre più velocemente… e piacevolmente…»

Colpito da quelle parole, William ricordò appena in tempo di scalare la marcia prima di affrontare una curva. Un attimo dopo sentì la mano sottile di Anju posarsi sulla sua, ancora sopra la leva del cambio.

«Sarebbe bello se tu… potessi rimanere sempre qui.»

William iniziava a sentirsi confuso. Da una parte avrebbe voluto dirle che sarebbe bastata una sua parola e non sarebbe partito mai più, ma dall’altra capiva perfettamente di non poterle dare quella certezza. C’erano troppe cose in sospeso. Alcune non dipendevano da lui, altre invece sì ma non le aveva ancora chiare. La prima su tutte si chiamava Jinny ed evocava in lui pensieri contrastanti di nostalgia e fastidio.

«Piacerebbe anche a me.» si limitò a rispondere.

Giunti nel parcheggio dell’osservatorio, William le aprì galantemente la portiera allungando la mano per aiutarla a scendere dall’auto. Lei gliela strinse e la tenne stretta anche mentre si incamminavano verso la costruzione a cupola che era diventata un po’ il loro rifugio, il teatro dello strano sentimento che in quei giorni stava prendendo forma. Camminando con lo sguardo rivolto al cielo non ancora completamente scuro, Anju inciampò nel bordo dell’aiuola che costeggiava il vialetto e si sbilanciò in avanti. Sarebbe sicuramente finita a terra nell’erba se William non l’avesse afferrata al volo all’ultimo momento. Quando alzò lo sguardo, il ragazzo si trovò a fissarla negli occhi e si accorse di averla stretta tra le braccia. Il suo corpo era sempre stato così sottile? I suoi occhi erano sempre stati così dolci?

«Anju…»

Lei gli posò un dito sulle labbra.

«Non dire niente.»

Fattasi stranamente audace, si alzò sulle punte dei piedi e gli posò un bacio sulle labbra.

Inconsciamente William accentuò la stretta e ricambiò il bacio con un trasporto che non pensava di poter provare e che fece arrossire la ragazza.

«Le giapponesi sono così timide. Che carina!» pensò mentre le accarezzava il collo.

L’atmosfera si stava decisamente riscaldando e stavano dimenticando il luogo in cui si trovavano. Di questo passo non solo sarebbe arrivato tardi al lavoro, ma avrebbe anche potuto fare a meno di andarci causa licenziamento in tronco e multa per atti osceni in luogo pubblico. Lui, William Matheson, atti osceni. Al solo pensarci gli veniva da ridere. Doveva darsi una regolata, non era preparato al fatto che si sarebbe lasciato trasportare tanto.

Il tema di Star Wars che squillò nitido nella tasca dei suoi pantaloni lo riportò alla realtà con un sussulto. Afferrò il telefonino allontanandosi a malincuore da Anju.

«Se è Yu lo insulto.»

L’espressione perplessa che si dipinse sul suo volto quando lesse il nome sul display preoccupò la ragazza.

«Chi è?»

«Doris… Pronto, sono Will.»

La voce che proveniva dall’altro capo dell’oceano era parecchio tesa e alle sue parole William sbiancò sentendosi gelare.

«E’… è grave?» riuscì a balbettare. «Ho capito, torniamo col primo volo!»

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 7
*** La forza di dire addio ***


7

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

                                                                                            

7

LA FORZA DI DIRE ADDIO

 

«Era da parecchio tempo che pensavo di farti questo discorso ma ho sempre rimandato perché speravo che la situazione si sarebbe aggiustata da sola. Purtroppo non è successo e siamo arrivati a un punto di non ritorno. Capisco che la tua vita sia molto impegnata con i concerti e l’università da finire, e anche la mia lo è. Ciò non toglie che mi senta trascurata, la tua attenzione è rivolta a tutto tranne che a me. Sì, è vero, sono gelosa. Di Kitahara Anju, di questa Yuko, persino del tuo pianoforte. Sono stanca di sentirmi costantemente in ansia e nervosa, per questo penso sia meglio finirla. Ho ripensato a quella proposta di ingaggio negli Stati Uniti che mi è giunta il mese scorso e ho deciso di accettare. Adesso ti prego di non fare quella faccia da cucciolo smarrito, non ho detto che ti odio e poi starò via solo qualche mese. Al mio ritorno forse, dico forse, avremo la possibilità di riparlarne. Dopotutto mettiti nei miei panni: lavorare in America è il sogno di qualunque attrice e poi…»

Lo squillo del telefono interruppe l’interminabile monologo e Suzu si allontanò dallo specchio. La prova andava discretamente bene, forse avrebbe dovuto essere solo un filo più succinta.

«Pronto, sono Sakuma.»

«Ho prenotato il volo per Los Angeles, Suzu!» trillò la voce della sua manager. «La produzione è entusiasta della tua decisione e non vedono l’ora di averti con loro. Prepara le valige, partiamo dopodomani.»

«Dopodomani? Così presto?» pensò Suzu sentendosi invadere da uno strano senso di smarrimento. «Speravo di avere più tempo per salutare tutti… Kei… Ti ringrazio, Mariko, sei stata molto gentile.»

«Va tutto bene, Suzu?» si preoccupò la donna dall’altro capo del filo. «Non mi sembri molto entusiasta. E’ un’ottima occasione, lo sai.»

«Sì, lo so, Mariko. Mi ha solo preso un po’ alla sprovvista il fatto di dover partire così presto.»

«Li abbiamo fatti aspettare un mese solo per dare una risposta, è ovvio che ora vogliano affrettare i tempi. Non preoccuparti, sono sicura che te la caverai benissimo!»

«Grazie. Pensi che domani riuscirò ad avere un po’ di tempo libero? Sai, vorrei salutare… i miei amici.»

E il signor Kei. Va bene, Suzu, farò il possibile. Buona serata.»

Dopo aver riappeso il telefono, la ragazza si lasciò cadere sul divano in preda allo sconforto. Quando aveva deciso di lasciare Kei si era sentita forte e in grado di seguire la sua strada da sola. Quella di partire le era sembrata la soluzione migliore per rendere il loro distacco più indolore. Sarebbe stata lontana e molto impegnata, non avrebbe avuto il tempo di pensare a Kei. Ora però che il suo progetto si era realizzato sentiva pesarle addosso tutto quello che avrebbe significato un intero oceano tra di loro e le mancava il coraggio di mettere la parola ‘fine’ alla loro storia. Forse avrebbero potuto tenersi in contatto.

«Certo, intanto lui avrà tutto il tempo di spassarsela con quella Yuko mentre io sono dall’altra parte del mondo.» si disse amaramente. «No, devo trovare la forza di parlargli, se non altro per mantenere un minimo di dignità.»

Guardò l’orologio. Sarebbe stato lì tra poco, lo aveva invitato apposta. Non poteva farsi trovare così depressa o non sarebbe stata convincente, e un’attrice non poteva permettersi di non essere convincente.

«Dovrò dare fondo a tutta la mia abilità professionale, o capirà che ora come ora vorrei solo abbraccialo e piangere.»

Il campanello squillò un paio di volte strappandola da quelle riflessioni inconcludenti.

«E’ in anticipo!» pensò balzando in piedi e lisciando automaticamente le pieghe del morbido copridivano color panna.

Prima di aprire la porta si soffermò un attimo davanti allo specchio dell’ingresso per sistemarsi i lunghi capelli biondi. Nonostante tutti i buoni propositi non riusciva a fare a ameno di apparire in perfetto ordine davanti a lui.

«Ok, ci siamo. Forza, Suzu, puoi farcela!»

Spalancò la porta e se lo trovò davanti sorridente.

«Buonasera.» la salutò Kei.

Suzu si rese conto che la sua respirazione aveva qualche problema ad essere regolare.

«Devo stare calma!»

Kei quella sera era vestito in modo sportivo con un paio di jeans stinti e una maglietta verde mare bordata di blu. La frangia gli ricadeva sulla fronte in ciuffi leggermente spettinati. Sembrava che fosse uscito di corsa. Suzu ricordava di averlo definito insignificante quando lo aveva conosciuto e di trovarlo affascinante solo quando suonava. Ora la sua opinione si era completamente capovolta. Il Kei-concertista, quello che non si curava di lei, le era diventato quasi insopportabile. Il suo ragazzo era quello che si trovava davanti a lei in quel momento con aria preoccupata e che a lei non era mai sembrato così bello.

«Forse sarà l’ultima volta che potrò vederlo così…»

«Va tutto bene?» chiese Kei. «Di solito non mi chiedi di vederci dopo cena.»

«Era l’unico momento libero che avevo e no, non va tutto bene.»

Gli occhi verdi del ragazzo si incupirono leggermente.

«Quegli occhi… Non fissarmi così o finirò per scoppiare a piangere.»

Suzu approfittò del fatto di guidarlo in salotto per voltargli le spalle il tempo sufficiente per riprendersi. Quando si furono accomodati entrambi prese coraggio e cominciò a recitare il discorso che si era preparata.

«Era da parecchio tempo che pensavo di farti questo discorso ma ho sempre rimandato perché speravo che la situazione si sarebbe aggiustata da sola. Purtroppo non è successo e…”

«Aspetta, aspetta, fammi capire.» la interruppe Kei. «Mi stai lasciando?»

«No… cioè… siamo molto impegnati e i concerti, l’università… l’America…»

I pensieri nella mente di Suzu si aggrovigliarono in una matassa confusa impossibile da districare e le lacrime presero a scorrere sulle guance senza controllo.

«Sì, ti sto lasciando!» singhiozzò.

L’espressione di Kei non mutò minimamente.

«Ho capito.» si limitò a rispondere. «Solo una domanda: hai deciso di accettare l’ingaggio a Los Angeles?»

Suzu annuì.

«Penso che tu abbia fatto bene.»

Così dicendo si alzò dal divano avviandosi verso l’ingresso.

«Immagino che non abbia altro da dirmi. Avrai da fare ora. Ti lascio tranquilla.»

Senza pensarci Suzu si alzò a sua volta e lo afferrò per un braccio.

«Aspetta! Per favore… possiamo vederci domani?»

Finalmente un sorriso sciolse l’aria impassibile che Kei aveva assunto.

«D’accordo.»

Dopo che il ragazzo fu uscito, Suzu tornò in salotto e si accoccolò sul copridivano ancora caldo e spiegazzato dove lui era stato seduto, lasciando finalmente libero sfogo alle lacrime.

 

Quella notte non c’era verso di riuscire ad addormentarsi. Le parole pronunciate da Satoshi  continuavano a tornarle in mente. Dopo quella frase non si erano detti più nulla e lei si era chiusa in camera il prima possibile. Nonostante stentasse ad ammetterlo era rimasta discretamente sconvolta. La considerava dunque una persona pessima al punto da non meritare nemmeno la sua amicizia? Per quale motivo?

Meiko si rigirò avvolgendosi nelle lenzuola, a disagio. Ormai era chiaro che non avrebbe chiuso occhio.

Forse l’idea che Satoshi si era fatto di lei era dovuta al fatto che si fosse installata in casa sua da quasi una settimana e non accennasse a trovare una sistemazione alternativa. Era possibile? Ne dubitava. Oppure poteva essere che avesse sentito la sua conversazione con Shin’ichi e dopo tutti i suoi discorsi giudicarla una debole che non sapeva farsi valere. Questo era più plausibile ed esattamente come cinque anni prima l’idea di averlo deluso le pesava più di quanto immaginasse. Restava comunque il fatto che non potesse approfittare ulteriormente dell’ospitalità di una persona che la disprezzava. Prima se ne fosse andata e meglio sarebbe stato per tutti. Rinunciando definitivamente all’idea di dormire, si alzò e iniziò a preparare la sua borsa. Poi scrisse velocemente un biglietto di commiato e uscì nella notte scintillante di luci artificiali.

 

“Ti chiedo scusa per il disturbo arrecato finora, sono stata davvero imperdonabile. Non dovrai più preoccuparti di me. Grazie di tutto. Davvero.

Meiko

p.s. Lascio le chiavi che mi hai dato sotto lo zerbino.”

Satoshi strappò il foglio in uno scatto di rabbia.

«Quella stupida!» esclamò a voce alta. «Ha frainteso tutto!»

No, si disse lasciandosi cadere su una sedia della cucina dove quella mattina nessuno aveva preparato la colazione, il vero stupido era lui. Non avrebbe dovuto dirle una frase del genere. Era ovvio che Meiko se ne risentisse e l’ultima cosa che voleva era che lei se ne andasse. Ora era troppo tardi per uscire a cercarla, avrebbe dovuto essere in ufficio tra mezz’ora ed era anche sicuro di fare tardi, ma se Yu aveva saputo qualcosa da Miki non ci sarebbe stata promessa o bocca cucita che avrebbe retto.

 

La tentazione di andare da Miki era stata forte ma questa volta, al contrario del giorno del suo arrivo a Tokyo, l’orario impossibile la dissuase. Si diresse invece all’hotel della stazione dove passò il resto della notte con una penna in mano davanti a un foglio bianco, addormentandosi all’alba dopo essere riuscita finalmente dopo anni a tradurre le proprie emozioni in parole. Al risveglio, verso mezzogiorno, il suo umore era leggermente migliorato e sentiva di poterne parlare con più tranquillità. Si avviò quindi verso la scuola elementare Haruno nella speranza che l’amica le concedesse il tempo della sua pausa pranzo per sfogarsi.

 

Miki stava uscendo dalla scuola per andare a pranzo con Yuko quando vide Meiko andarle incontro attraverso il cortile. Si avvicinò all’amica sorridendo, felice di riuscire finalmente a vederla. Era preoccupata per la sua decisione di parlare con Arimi ma ancora non sapeva gli esiti del colloquio.

«Meiko! Che piacere vederti!» esclamò quando le fu vicino. «Sei venuta a trovarmi?»

«In un certo senso…» rispose la ragazza tentennando. «Hai tempo? Sei in compagnia…»

«Lei è la mia senpai Yuko Matsudaira.» la presentò Miki. «Senpai, questa è la mia amica Meiko Akizuki.»

Yuko tese la mano sorridendo.

«Akizuki? Ricordo questo nome. Sei per caso quella studentessa che anni fa ha vinto il premio letterario Asahi suscitando tanto scalpore?»

«Già, ma attualmente la scrittura non rientra tra le mie occupazioni.»

L’espressione di Meiko esprimeva quanto questo le dispiacesse e Yuko se ne accorse subito.

«Un vero peccato.» commentò. «‘La desolata città d’inverno’ era un inizio promettente.»

Per allontanare la conversazione da un terreno minato, Miki si intromise trascinando entrambe le amiche verso il bar di fronte alla scuola.

«Non stiamo qui in piedi. Forza, andiamo a mangiare insieme! A proposito, Meiko, sai che la senpai Yuko è la nuova fiamma di Kei?»

Quel pettegolezzo risvegliò suo malgrado la curiosità di Meiko.

«Kei? Intendi Tsuchiya? Ma non stava con Suzu?»

«Infatti è così.» si schermì Yuko arrossendo. «La nostra è solo una conoscenza superficiale.»

«Non si mandano mazzi di fiori dai significati particolari alle semplici conoscenti.» ridacchiò Miki. «E poi ti ha dato appuntamento proprio in questo bar. Devi ancora raccontarmi com’è andata.»

Vista la piega imbarazzante che stava prendendo il discorso, Yuko pensò bene di defilarsi adducendo come scusa il fatto di aver dimenticato qualcosa in classe e lasciando a bocca asciutta le due amiche affamate di pettegolezzi.

Seduta nel bar, con la completa attenzione di Miki, Meiko le raccontò quello che era successo la sera prima, della telefonata di Shin’ichi e delle parole di Satoshi.

«Da quando ti sta così a cuore l’opinione che ha Satoshi di te?» chiese Miki addentando un tramezzino.

Già, da quando? A ben pensarci da sempre. Anche quando era partita per Hiroshima seguendo Shin’ichi la cosa che le era pesata di più non era stata andare contro le direttive della sua famiglia ma aver deluso lui. Paradossale.

«Il fatto è che lui è sempre così gentile…»

Miki annuì.

«Quindi tutto quello che sai dirmi dopo che Nacchan ti ha telefonato preoccupato è che ti dispiace per Satoshi?»

«Lo so che sembra assurdo ma la momento è proprio così.»

Perplessa dalle reazioni dell’amica, Miki finì di mangiare e si avviò verso l’uscita.

«Perché questa sera non vieni a cena da noi?» propose. «Stare in compagnia ti aiuterà a distrarti e a risollevare il morale.»

«Direi che è una buona id…»

Meiko si bloccò in mezzo alla strada e Miki le andò a sbattere contro.

«Ehi, che ti prende?»

Seguendo lo sguardo della ragazza lo vide fisso su una coppia che passeggiava sul marciapiede opposto. Un giovane dall’aria distinta in giacca e cravatta e una ragazza dai capelli rossi in tailleur. Lei gli stava letteralmente appesa al braccio e sorrideva amabilmente.

«Quello non è Satoshi?» fece Miki. «E lei… Ah, è Midori! La segretaria!»

Spostò gli occhi sul viso dell’amica e al posto dell’espressione stupita che si era aspettata vide che era impallidita.

«Santo cielo, sono una stupida.» la sentì dire.

Miki rimase ferma accanto a lei incerta se chiederle spiegazioni o chiamare Satoshi e Midori per salutarli.

«A quanto pare le tue supposizioni su una storia tra la bella segretaria e l’affascinante architetto erano fondate. Hai solo sbagliato socio.»

Il tono di Meiko era amaro e Miki non ebbe dubbi sul fatto che questa volta fosse stata lei a rimanere delusa.

«Se voleva che me ne andassi da casa sua bastava dirlo. Altro che ‘l’unica donna che ha il permesso di entrarci è mia madre’!»

Miki non credeva alle sue orecchie. Quello sembrava in tutto e per tutto un attacco di gelosia.

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 8
*** L'Infinito ***


8

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

8

L’INFINITO

 

«Mi dispiace, signore, ma è inutile che continui a telefonare. Non si sono liberati posti. E’ già stato fortunato a trovare un biglietto per il volo di domani considerando che è un giorno festivo.» disse la voce pacata dell’impiegata.

«Al diavolo!» esclamò William scagliando con rabbia il cellulare sul letto.

Alle sue spalle Michael e Brian lo osservavano preoccupati.

«Dovresti calmarti o finirai per avere una crisi di nervi.» consigliò il fratello maggiore.

«Come faccio a calmarmi?!» gli si rivoltò contro William. «La mia ragazza ha avuto un incidente e non solo non sono con lei e non so come sta, ma non posso nemmeno raggiungerla! Ho già una crisi di nervi!»

I due ragazzi uscirono dalla stanza rassegnati a lasciarlo sfogare. Fargli notare che prendendo il volo del giorno dopo sarebbe rientrato con loro, in quel momento non sembrava una buona idea. Accomodandosi sulla veranda insieme al fratello, Brian estrasse a sua volta il telefono cellulare dalla tasca dei pantaloni e compose il numero di Doris. Lei era l’unica da cui avrebbero avuto notizie fresche che potevano tranquillizzare William.

«Pronto…?» rispose la voce impastata della ragazza.

«Tesoro, sono io!»

«Brian? Tesoro un corno!» strillò Doris salendo di tono al punto da farsi sentire anche da Michael. «Lo sai che ore sono? Le sei del mattino! Mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo fosse successo qualcosa a Jinny!»

«Proprio a proposito di questo…» tentò di intervenire Brian ma Doris continuò imperterrita: «E’ quasi una settimana che non ti fai vivo! Come osi chiamare adesso e farmi spaventare in questo modo dopo che te ne sei andato senza neanche fare finta di avvisarmi?! A proposito, come sta Yu?»

Colto alla sprovvista da quella domanda nel bel mezzo di una scenata, Brian ci mise un attimo a rispondere.

«Eh? Bhè… bene. Lui e Miki stanno bene. Will però non altrettanto. Rientriamo tutti e tre con il volo di domani pomeriggio. Doris, sinceramente, come sta Jinny? Cos’è successo esattamente?»

La sentì tentennare come se fosse indecisa su cosa rispondere, poi finalmente parlò.

«Jinny era arrabbiata con Willy perché, come qualcun altro di mia conoscenza, non l’aveva contatta prima di partire. Sai com’è fatta. Ha deciso per ripicca di partecipare a una di quelle feste zeppe di attori e modelli e mi ha chiesto di accompagnarla.»

Brian represse un moto di gelosia verso quegli ‘attori e modelli’ appena nominati e si impose di non pensare a simili sciocchezze in un momento come quello.

«Ovviamente sono andata con lei per tenerla d’occhio come sempre, e questa volta ho fatto davvero bene.» continuò Doris. «Stavamo rientrando, era mattina presto e avevamo bevuto un po’ tutti. Ho visto l’auto su cui viaggiava sbandare e andare a sbattere contro il muro di cinta di un palazzo. Probabilmente il ragazzo alla guida aveva avuto un colpo di sonno. Io mi trovavo sull’auto che li seguiva e abbiamo chiamato subito un’ambulanza. Sono così preoccupata, Brian! I medici hanno detto che ha battuto la testa e non si è ancora ripresa. Ti prego, tornate presto! Non ce la faccio da sola!»

Brian si rese conto che la ragazza stava per piangere e prese a rassicurarla alzandosi e lasciando solo Michael nella veranda.

«Saremo lì per le otto del mattino. Coraggio…» lo sentì dire il fratello minore e rimase ad osservarlo parlottare a bassa voce camminando su e giù per il giardino.

Quell’incidente era davvero l’ultima cosa che ci voleva per concludere una breve e piacevole vacanza, si disse sospirando. In quel momento sentì qualcuno scendere a precipizio le scale e si trovò davanti William con un’espressione stravolta.

«Allora?»

Michael lo guardò interrogativo.

«Allora cosa?»
«Non sono uno stupido! Brian sta parlando al telefono, voglio sapere se ci sono delle novità!»

Brian salvò il fratello da una probabile aggressione tornando verso di loro simulando quanta più calma gli era possibile.

«No, niente di nuovo.» disse. «Però tu faresti meglio a darti una calmata. Pensi di essere d’aiuto a qualcuno in questo stato?»

William si zittì all’istante: era un’esperienza decisamente nuova essere sgridato da un tipo allegro e impulsivo come Brian.

«Prima ha telefonato Miki per dire che stasera avrà ospiti a cena.» continuò il ragazzo. «Noi non saremmo certo di compagnia e anzi, date le circostanze, le rovineremmo la serata quindi andremo a mangiare fuori. Tutti.» Rimarcò l’ultima parola con un gesto deciso che non ammetteva repliche.

«Ti vanno gli okonomiyaki, Mikey?»

Il fratello minore annuì non osando replicare niente di diverso.

«Quante a te, Will, forse hai scordato di avere una faccenda in sospeso da sistemare prima di partire e non mi riferisco al lavoro. Ora vai e chiamala!»

William abbassò gli occhi sentendosi improvvisamente in colpa, sciocco, insensibile e una miriade di altre sensazioni negative. Mentre il cielo si rannuvolava minacciando un acquazzone, rientrò di corsa.

 

Era stata una giornata meravigliosa, come non ne trascorreva da anni. Kei era stato gentilissimo, al punto che si era quasi illusa che gliene importasse ancora qualcosa prima di rendersi conto che quello era il comportamento che avrebbe tenuto con una cara amica d’infanzia. Verso sera il temporale li sorprese per le vie del centro e i due ragazzi si ripararono sotto la tenda da sole di un bar.

«Accidenti, che peccato!» commentò Kei. «Se non fosse stato per questo avrei potuto dire di averti regalato l’appuntamento perfetto!»

Suzu sorrise passandosi le dita tra i lunghi capelli bagnati.

«E’ stato comunque tutto perfetto. Il più bel dono d’addio che abbia mai ricevuto.»

Rimase in silenzio appoggiata a lui godendo semplicemente della sua vicinanza finché il rumore della saracinesca del locale che si abbassava li fece sobbalzare entrambi. Non potevano più rimanere lì e la pioggia non accennava a smettere.

«E’ un guaio.» disse la ragazza. «E non abbiamo nemmeno un ombrello.»

In quel momento si sentì ricadere qualcosa di caldo sulla testa e sulle spalle. Alzando gli occhi si accorse che Kei le aveva messo addosso la sua camicia rimanendo con una leggera maglietta di cotone.

«Aspetta, io…» tentò di protestare ma il ragazzo la interruppe.

«Ti aspetta un lavoro importante, non puoi rischiare di ammalarti.»

«Nemmeno tu puoi ammalarti! Il concerto…»

Appena pronunciate quelle parole Suzu si rese conto che non sarebbe stata presente a quell’evento tanto atteso, e la sua espressione si fece triste.

«Non potrò vederti suonare. Mi dispiace.» mormorò.

«Poco male.» sdrammatizzò Kei. «Sbaglio o ultimamente non potevi sopportare di vedermi nemmeno vicino a un pianoforte?»

«Sì, ma…»

«Non prendertela. Non sarà niente di eccezionale.» continuò sminuendo brutalmente il lavoro che decine di persone stavano portando avanti da quasi un mese. «Ora andiamo. Si sta facendo tardi.»

Sentendosi improvvisamente sopraffatta dalla tristezza, Suzu si aggrappò al suo braccio. Non voleva lasciarlo, le sembrava ancora così presto.

«Vieni da me?»

Kei si liberò delicatamente.

«No. Avrai da fare.»

«Ma… la camicia… parto domattina, non potrò ridartela.»

«Non importa. Tienila pure, o buttala se non ti serve.»

Suzu strinse tra le dita la morbida stoffa celeste. Profumava di fresco. Profumava di lui.

«Sai che non lo farei mai.»

Lo abbracciò di slancio stringendolo a sé più che poteva. Alzò su di lui gli occhi umidi di pianto e lo baciò.

«Ti amo. Non dimenticartelo.»

Kei la lasciò fare e quando finalmente si staccò da lui i suoi occhi verdi esprimevano solo una grande tristezza.

«Mi dispiace.» disse semplicemente, poi uscì sotto la pioggia scrosciante lasciandola sola con il suo dolore.

 

Miki fece strada all’amica nell’ingresso di casa. Mentre la faceva accomodare in salotto incrociò Yu che scendeva dal piano superiore.

«Oh, Miki, per fortuna sei tornata!» esclamò il ragazzo. «Per la cena c’è…»

Vedendo Meiko alle sue spalle si bloccò, poi sorrise forzatamente.

«Meiko, benvenuta. Mangiate fuori? No? Miki, ti posso parlare?»

Così dicendo, senza aspettare la risposta della ragazza, la afferrò per un braccio e la trascinò in cucina.

«Cosa ti è saltato in mente di invitare Meiko senza avvisarmi?» esclamò minaccioso.

«Yu, che modi sono?» lo sgridò Miki. «Tu inviti Satoshi un giorno sì e l’altro pure. Per una volta che sono io a invitare un’amica! La volevo consolare, Satoshi si è comportato proprio male con lei.»

«Satoshi è di sopra!» la interruppe Yu sottolineando il concetto con un gesto eloquente della mano. «Ti posso assicurare che non le ha fatto nessuna cattiveria, anzi!»

Miki prese ad agitarsi.

«Comunque non possiamo farli cenare insieme. Meiko non lo vuole incontrare, non dopo averlo visto con Midori!... A quanto pare non si è accontentata di te…»

«Prego?» fece Yu strabuzzando gli occhi.

«Eh? No, niente… ehm… non farci caso!» si affrettò ad assicurare Miki accorgendosi di aver parlato troppo. «Comunque potevi dirmelo che si vedeva con lei.»

«Midori? La nostra segretaria? Che storia è questa?» fece Yu dubbioso. «Io invece penso che sia un’ottima occasione perché si parlino e chiariscano l’equivoco. Perché è di questo che si tratta. Stamattina, dopo aver scoperto che se ne era andata, Satoshi era davvero depresso. In realtà lui è ancora…»

Le parole di Yu vennero interrotte da un’esclamazione sorpresa proveniente dal corridoio. I due ragazzi uscirono dalla cucina e trovarono Meiko e Satoshi che si fissavano con aria sbigottita.

Il ragazzo ridacchiò dissimulando il disagio.

«Anche tu qui? Che coincidenza.»

Meiko non proferì parola ma si limitò ad un’occhiata risentita poi volse gli occhi blu verso Miki.

«Ceniamo fuori?»

«No.» rispose Yu  al posto della confusa fidanzata. «Abbiamo bisogno di un po’ di tempo per preparare. Perché ne frattempo non ci aspettate in camera? Will e gli altri sono fuori.»

«Ma…» tentò di protestare Meiko lanciando uno sguardo smarrito all’amica.

«Yu…» fece Miki per venirle in soccorso.

«Andate-di-sopra!» ripeté Yu perentorio e detto questo riportò Miki in cucina mentre i due salivano le scale senza guardarsi.

«Fidati.» le assicurò. «E’ per il meglio.»

 

La carta da parati color champagne cosparsa di fiori lucidi del medesimo colore rifletteva la scarsa luce che le tende scostate lasciavano filtrare dalla finestra. Nell’angolo opposto Meiko riconobbe il mobile a specchiera di Miki proveniente dalla vecchia casa su cui facevano bella mostra di sé i pupazzi dei kappa, cari ricordi di un periodo piuttosto turbolento della sua vita, e alcune fotografie che la ritraevano sorridente insieme a Yu e agli amici. Sulla parete di fronte al letto matrimoniale, uno scaffale di legno chiaro ricolmo di libri di architettura sottolineava come quella fosse una stanza chiaramente condivisa. La ragazza si diresse alla finestra tenendo lo sguardo ostinatamente rivolto verso il giardino.

«Non vuoi nemmeno guardarmi?» disse Satoshi accomodandosi sulla sedia imbottita di rosa della specchiera. «Se è per quello che ti ho detto…»

«Potevi essere sincero!» esclamò Meiko voltandosi di scatto.

«Lo sono stato. Ti ho detto quello che pensavo.»

«Non mi risulta che tu mi abbia chiesto di andarmene per lasciarti più libertà con quella rossa!»

«Perché non era quello che volevo.» rispose Satoshi senza capire. «Scusa, di quale rossa stai parlando?»

«La tua… segretaria.»

Il tono di Meiko era sprezzante e Satoshi comprese l’equivoco.

«Hai frainteso.»

«Certo, come no? E lei ti stava attaccata perché siete molto amici. Senti, non fartene un problema. Tornerò dai miei, li sopporterò. Troverò il modo di farlo. Almeno finché non troverò un appartamento.»

Satoshi si alzò dalla sedia e le si avvicinò sorridendo maliziosamente.

«Hai scritto in fronte ‘sono gelosa’.»

Meiko arrossì suo malgrado.

«Smettila di dire scemenze!» scattò innervosita.

L’espressione di Satoshi si fece di colpo seria. I suoi occhi blu erano talmente profondi che sembravano poterle leggere nell’anima.

«No, tu smettila di dire scemenze. Ma non hai ancora capito?»

«Ho capito fin troppo! Adesso lasciami in pace!»

Detto questo fece per afferrare la maniglia della porta e uscire, quando Satoshi la trattenne per un braccio.

«Non pensare che ti lasci scappare.»

Meiko tentò di liberarsi ma lui non accennò a lasciare la presa, anzi la costrinse a voltarsi in modo da poterla guardare negli occhi.

«Adesso ascolta mi bene. Sì, è vero, Midori è una mia amica. E’ figlia di un caro amico di mio padre, è ovvio che andiamo d’accordo e il fatto che lavori allo studio fa più comodo a noi che a lei. E’ vero anche che c’è stato un periodo in cui ho tentato di innamorarmi di lei, ma non ci sono riuscito e proprio ultimamente è successo qualcosa che ha dato il colpo di grazia ai miei sforzi.»

Meiko scosse la testa.

«Hai tentato? Cosa significa? Non capisco.»

«Invece tu dovresti capire meglio di chiunque altro cosa significhi stare con una persona per dimenticarne un’altra. Ho tentato in tutti i modi di mettermi il cuore in pace dicendomi che era passato troppo tempo, che ormai non c’era più niente da fare e che mi stavo solo facendo del male, ma è stato inutile. Akizuki… Meiko… io sono ancora innamorato di te.»

A quella rivelazione la ragazza sentì la testa girare e le ginocchia piegarsi. Innamorato di lei? Perché? E cosa significavano le lacrime che avevano iniziato a scorrerle sulle guance? Non era dolore, tristezza o pena. Era… sollievo?

 

L’ironia del destino vuole che

io sia ancora qui a pensare a te

Nella mia mente flash ripetuti

attimi vissuti con te.

E’ passato tanto tempo ma

tutto è talmente nitido

così chiaro e limpido

sembra ieri.

 

Ieri avrei voluto leggere i tuoi pensieri

scrutarne ogni piccolo particolare

evitare di sbagliare

diventare ogni volta l’uomo ideale.

Ma quel giorno che mai mi scorderò

mi hai detto non so più se ti amo o no

domani partirò, sarà più facile dimenticare

dimenticare…

 

E adesso che farai?

Risposi io non so.

Quel tuo sguardo poi lo interpretai come un addio.

Senza chiedere perché

da te mi allontanai

ma ignoravo che in fondo non sarebbe mai finita.

 

Teso, ero a pezzi ma un sorriso in superficie

nascondeva i segni di ogni cicatrice.

Nessun dettaglio che nel rivederti potesse svelare quanto c’ero stato male.

Quattro anni scivolati in fretta e tu

mi piaci come sempre forse anche di più

L’ho detto so che è un controsenso ma

l’amore non è razionalità

non lo si può capire ed ore a parlare

poi abbiam fatto l’amore, è stato come morire

prima di partire, potrò mai dimenticare?

Dimenticare?

 

L’infinito sai cos’è?

L’irraggiungibile fine o meta che

rincorrerai per tutta la tua vita.

Ma adesso che farai?

Adesso io non so.

Infiniti noi.

So solo che non potrà mai finire.

Mai ovunque tu sarai, ovunque io sarò

non smetteremo mai

se questo è amore, è amore infinito.

 

INFINITO…

 

“L’Infinito” © Biagio Antonacci

 

CONTINUA…

 

 

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Capitolo 9
*** A volte sbagliare numero può essere provvidenziale ***


Marmalade Love Stories

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

9

A VOLTE SBAGLIARE NUMERO PUO’ ESSERE PROVVIDENZIALE

 

Una sottile bruma mattutina, residuo del recente temporale, avvolgeva l’aeroporto di Narita quando il taxi si fermò davanti all’ingresso principale e il ragazzo scese trafelato. Era molto raro che non sentisse la sveglia e con tutte le occasioni che aveva avuto, proprio quella mattina doveva succedere? Pagò velocemente la corsa ed entrò nell’atrio. Nonostante l’orario la gente non mancava e sembravano tutti molto indaffarati. Alzò gli occhi verso il tabellone delle partenze e si sentì girare la testa.

«Così imparo a non fare colazione! Ho bisogno di un caffè, ma sono terribilmente in ritardo!»

Si diresse verso la sala d’attesa del volo che gli interessava pregando di essere ancora in tempo e stringendo tra le mani il sacchetto dorato e il fiore avvolto nel tulle rosa che portava con sé. Poi la vide. Era seduta in un angolo della sala vicino all’ampia vetrata e ascoltava con aria annoiata l’interminabile chiacchiericcio della donna accanto a lei. Quando quest’ultima si accorse della sua presenza fece un cenno alla ragazza che si voltò nella sua direzione spalancando gli occhi.

«Kei! Cosa ci fai qui?»

«Bel modo di accogliere un amico che si è trascinato fuori dal letto a quest’orario indecente apposta per venire a salutarti.» brontolò il ragazzo.

Suzu si alzò e lo prese per un braccio allontanandolo dalla manager.

«Un amico… bhè, comunque è venuto… Ti senti bene?» chiese. «Sei pallido.»

«Non ho fatto colazione per la fretta. Non preoccuparti, mangerò più tardi.» disse Kei anche se iniziava a dubitare che quelli fossero semplicemente i sintomi dello stomaco vuoto. Aveva freddo e si sentiva la testa leggermente confusa.

«Sono venuto perché ci tenevo ad augurarti buon viaggio e a darti questi.» continuò porgendole il fiore e il sacchetto.

«Una pervinca.» mormorò Suzu. «Significa dolce ricordo.»

«Proprio così. Sei stata tu a insegnarmi il linguaggio dei fiori. Quello invece è un piccolo pensiero. Se pensi che sia fuori luogo o ingiusta da parte mia sei libera di farne quello che vuoi.»

Suzu estrasse dal sacchetto una scatolina ricoperta di velluto blu con eleganti bordi dorati e la aprì delicatamente. All’interno trovò una sottile catenina d’oro alla quale era appesa una piccola chiave di violino tempestata di brillantini.

«Sei matto! Ti sarà costata un sacco di soldi!» esclamò Suzu tentando di avere una reazione diversa dallo scoppiare miseramente in lacrime.

«Di questo non ti devi preoccupare. Suzu, per favore, adesso non piangere.» la pregò Kei vedendo gli occhi della ragazza farsi lucidi.

In quel momento annunciarono il volo per Los Angeles. Suzu ignorò la voce dell’altoparlante e continuò a rivolgersi a Kei.

«E’ bellissima e per niente fuori luogo. Mi permetterà di avere qualcosa che mi ricorda di te… anche se dubito che potrei mai dimenticarti. La porterò sempre, ti ringrazio tanto.»

La voce di Mariko la interruppe.

«Suzu, è ora di andare.»

La ragazza non si voltò nemmeno a guardarla e accennò a riprendere a parlare. Kei alzò una mano per interromperla.

«La tua manager ha ragione, non vorrai perdere il volo?»

«Veramente io… »

«Forza, non è il momento di farsi prendere dall’ansia. Vai e conquista l’America!»

Davanti a quel sorriso luminoso Suzu non resistè alla tentazione di abbracciarlo.

«Ti voglio bene.» sussurrò poi si staccò da lui e si avviò verso l’imbarco senza voltarsi.

 

Dopo il decollo dell’aereo e dopo averlo visto sparire nel cielo che schiariva, Kei si lasciò cadere su una delle poltroncine della sala d’aspetto sospirando. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato ma constatò che non era così. La consapevolezza di aver fatto soffrire Suzu più di quanto pensasse gli impediva di assaporare la sua nuova libertà. Inoltre la testa aveva cominciato a fargli male apparentemente senza ragione.

«Devo mangiare qualcosa.» si disse alzandosi con convinzione, ma venne preso da un violento capogiro e quando si riprese si accorse di essere ricaduto scompostamente sul sedile. «Accidenti, questa non è semplice fame. Ieri sera non avrei dovuto restare in canottiera e con i capelli bagnanti a chiacchierare col manager… Di questo passo non sarò nemmeno in grado di prendere un taxi…»

Stare in piedi gli dava fitte alla testa, capogiri e senso di nausea quindi rimase seduto mentre armeggiava con il cellulare nel tentativo di richiamare dalla memoria il numero dell’unico amico che gli veniva in mente dotato di auto e patente. Yu Matsura.

Rispose una voce femminile assonnata.

«Dev’essere Miki…» si disse il ragazzo. «Ciao. Mi dispiace disturbarvi a quest’ora, ma potresti chiedere a Yu se può venire a prendermi a Narita? Non credo di riuscire a prendere un taxi…»

Un tintinnio risuonò acuto nel suo orecchio e il telefono rimase muto impedendogli di sentire la risposta che stava per giungere.

«Accidenti, la batteria!» esclamò Kei seccato.

A questo punto l’unica cosa che poteva davvero fare era aspettare e sperare che Yu arrivasse presto.

Era passata poco più di mezz’ora e si stava per appisolare sulla poltroncina, quando il tocco di una mano sulla spalla lo fece sobbalzare.

«Cosa ti è successo?»

Al suono di quella voce, Kei si voltò di scatto e a causa di quel movimento improvviso la vista gli si sfuocò.

«Yuko…?»

Una mano si posò sulla sua fronte.

«Scotti! Devi avere la febbre alta! Coraggio, andiamo.»

La donna lo sollevò quasi di peso guidandolo attraverso il grande atrio dell’aeroporto. Lo fece salire in macchina e partì verso la città.

 

Era primo pomeriggio quando i tre ragazzi varcarono la soglia dello stesso aeroporto diretti all’area dei voli internazionali. L’atmosfera era piuttosto cupa e le persone che li avevano accompagnati quasi non osavano augurare loro buon viaggio.

Anju si avvicinò timidamente a William. Occhioni dolci, labbra che sembravano fatte apposta per essere baciate…

«Faccio schifo. La mia ragazza ha avuto un incidente e io riesco ancora a pensare queste cose… Scusami, Anju, sono davvero una persona pessima.»

La ragazza non si scompose minimamente a quelle parole.

«Non scusarti, non è stata solo colpa tua. In un certo senso sapevo che sarebbe finita di nuovo così.»

Quanta tristezza in quelle semplici parole. Un rimpianto che lui provò l’impulso di consolare abbracciandola. Si trattenne appena in tempo. Lui non era Yu, l’amico d’infanzia di cui era perdutamente innamorata e che le aveva preferito un’altra.

«Già, ma sono Will che l’ha illusa cinque anni fa e adesso ed entrambe le volte l’ha abbandonata. Non so cosa sia peggio…»

La chiamata del volo per New York lo distrasse e nella sua testa ci fu spazio solo per il pensiero di Jinny.

Michael e Brian salutarono calorosamente Yu e Miki che li avevano accompagnati promettendo notizie al più presto. William si concesse un rapido abbraccio ad Anju poi si rivolse agli amici che lo avevano ospitato.

«Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me. Tornerò appena possibile per sistemare i problemi in sospeso con il lavoro all’osservatorio.» volse lo sguardo verso la ragazza. «Miki, sei stata una padrona di casa fantastica, fin troppo paziente.» poi strinse la mano a Yu strizzandogli l’occhio. «Sarà una perfetta mogliettina!»

Mentre Miki arrossiva, si accostò di più all’amico.

«Avevi ragione su tutto.» mormorò. «Abbi cura di lei.»

Yu annuì e poco dopo i tre amici si allontanarono. Ora li avrebbe di nuovo divisi un oceano.

 

Meiko sospirò e posò la penna sul foglio per metà coperto di una scrittura fitta e minuta. Aveva trascorso tutta la serata e gran parte della notte seduta al tavolo della sua stanza d’albergo e quello che aveva ricavato ora le stava davanti in tutta la sua quasi intollerabile realtà. Finalmente era riuscita a mettere nero su bianco la verità dei suoi sentimenti, smettendo di mentire a sé stessa, e per quanto ora le sembrasse inammissibile era sicura che sarebbe riuscita ad accettarla. Quello di cui l’aveva accusata Satoshi era vero: era gelosa. La sua dichiarazione, inaspettata dopo così tanto tempo e dopo le vicende che li avevano separati l’aveva resa… felice. Era felice che Satoshi fosse ancora innamorato di lei, felice che la persona che sapeva spronarla a dare sempre il meglio di sé e con cui nulla era mai scontato avesse continuato a pensare a lei per tutto quel tempo. Si sentiva mostruosamente egoista e felice. Sapeva che ora sarebbe stato tutto molto più complesso e non era ancora certa di quello che voleva. Le sarebbe occorso del tempo per capire sé stessa e la reale motivazione del negare con tanta ostinazione un sentimento che mai come ora le era parso chiaro. Tempo per sciogliersi dai precedenti legami. Tempo per trovare il coraggio di crearne di nuovi. Lui glielo avrebbe concesso? Sarebbe stato disposto ad aspettarla ancora? Non poteva saperlo. L’unica cosa che poteva assicurargli era che questa volta non sarebbe stato da solo.

Alzandosi con aria risoluta infilò in una busta il foglio su cui aveva scritto tutti i suoi pensieri, poi lanciò un’occhiata all’orologio della stanza. Segnava le 8:30 del mattino. Molto bene, a quell’ora gli uffici avrebbero dovuto essere aperti. Prese il telefono che si trovava sul comodino a lato del letto e compose un numero dalla sua agendina.

«Buongiorno.» esordì. «Vorrei parlare con l’assistente dell’avvocato Tanemura, la signorina Suzuki Arimi. Mi chiamo Akizuki.»

Dopo alcuni secondi la voce squillante di Arimi giunse dall’altro capo del filo.

Meiko sorrise.

«Arimi, avrei un favore da chiederti…»

Terminata la telefonata riprese in mano la penna e la busta, scrivendo la destinazione e indirizzandola al Sig. Miwa Satoshi della Prefettura di Kanagawa, Tokyo. Soddisfatta di sé per essere riuscita a compiere due grandi passi in una sola volta, si preparò velocemente e lasciò la stanza diretta al più vicino ufficio postale.

 

La busta raggiunse la sua destinazione la mattina successiva. Satoshi la trovò incastrata nella cassetta della posta davanti alla sua villetta celeste. Quando lesse il mittente quasi non credette ai propri occhi e si riprecipitò in casa ignorando la fretta che aveva avuto fino a pochi istanti prima. Si accomodò  su una delle poltrone del salotto e la aprì con le dita che tremavano leggermente. I suoi occhi scorsero velocemente il foglio che conteneva prima che riuscisse a impedirglielo poi, traendo un profondo respiro, riprese a leggere dall’inizio imponendosi almeno una parvenza di calma.

Non si trattava di una lettera e non era nemmeno direttamente indirizzata a lui. Poteva assomigliare a una pagina di diario. Quel foglio era un concentrato delle emozioni di Meiko, la ragazza aveva riversato in quelle righe tutta sé stessa, i suoi turbamenti, le sue paure, le sue speranze. Un passaggio in particolare lo colpì: “Lui è la mia fonte di ispirazione. Per quanto sia egoista, irrazionale e ingiusto da parte mia, l’unica cosa che desidero davvero è potergli stare vicina. Solo con lui ho l’impressione di poter essere pienamente me stessa, sa tirare fuori il meglio e il peggio di me e di questo gli sono profondamente grata. Satoshi seppe senza ombra di dubbio che quelle parole si riferivano a lui stesso e una gioia incredula proruppe in lui mentre esclamava a voce alta: «Egoista? Egoista?! Sciocca che non sei altro, io ti amo!» e scoppiava a ridere da solo. Sapeva di comportarsi in modo insensato, dopotutto Meiko non aveva scritto di essere innamorata di lui, anzi era stata molto chiara sul fatto di aver bisogno di tempo prima di creare nuovi legami, ma solo il fatto che lei desiderasse la sua vicinanza gli provocava un’ondata di felicità pura. Prima che si alzasse e prendesse a saltellare per la stanza però la sua euforia venne interrotta dallo squillo del telefono e dalla voce di un irritato Yu che dallo studio si aspettava una giustificazione più che valida per la sua mezz’ora e più di ritardo.

 

Fu un risveglio dolce, avvolto da lenzuola fresche e da una luce morbida che filtrava attraverso leggere tende colorate. Ancora intontito e confuso dalla nebbia del sonno, Kei si chiese da quando nel suo appartamento si trovavano tende del genere. Davano all’ambiente un’atmosfera accogliente che non ricordava.

Sentendo dei passi sommessi avvicinarsi, voltò piano la testa e scoprì di non trovarsi affatto nel suo appartamento. Yuko, che avanzava verso di lui reggendo un vassoio, si accorse che era sveglio e si inginocchiò accanto al letto.

«Ben svegliato, bell’addormentato.» sussurrò. «Come ti sento oggi?»

«Meglio.» riuscì a rispondere Kei.

Ora che era un po’ più sveglio ricordava cos’era successo. All’aeroporto aveva tentato di chiamare Yu, ma per errore aveva selezionato il numero di Yuko, immediatamente successivo. Così lei era corsa a prenderlo e scoprendo che aveva una febbre non indifferente, lo aveva portato a casa propria e messo a letto. Tutta la giornata e quella successiva le aveva passate nel dormiveglia, svegliandosi solo per bere qualcosa di simile a the e vedendo sempre Yuko accanto a lui. Ora finalmente si sentiva più lucido anche se non esattamente in forze.

«Mi dispiace arrecarti tanto disturbo.» disse. «Non volevo…»

«Alt, non dire altro!» esclamò Yuko. «A volte anche sbagliare numero può essere provvidenziale, e poi come resistere alla tua vocina che chiedeva aiuto al telefono?»

Yuko rise e Kei arrossì fingendo di sistemare le lenzuola per dissimulare l’imbarazzo. La donna gli porse la tazza che si trovava sul vassoio aiutandolo a mettersi seduto. Appena si alzò, Kei fu preso da un leggero capogiro che lo costrinse a riappoggiarsi al cuscino.

«E’ normale che ti senta debole, non hai niente nello stomaco.» sentenziò Yuko. «Bevi questo mentre ti preparo un po’ di riso.»

Kei prese la tazza scrutando dubbioso il liquido bluastro che vi era contenuto.

«Stai tentando di avvelenarmi con la scusa che non mi posso ribellare?» chiese alla donna che stava lasciando la stanza.

Yuko si voltò con espressione ironica.

«Chissà…» rispose. «Non è detto che quella sia una semplice tisana alla malva. Potrei avervi aggiunto qualche piccolo ingrediente segreto per, diciamo così, indurti a rimanere qui…»

Detto questo gli strizzò l’occhio e uscì diretta in cucina. Kei rimase immobile per un attimo e quando realizzò l’esatto significato di quelle parole, arrossì di nuovo.

Sorseggiando la tisana probabilmente addolcita da un cucchiaio di miele, il ragazzo si rese conto che la situazione gli stava sfuggendo di mano, anzi gli era sfuggita di mano già da un pezzo. Si sentiva sciocco ad arrossire in quel modo come un ragazzino alla sua prima cotta, a sentirsi a disagio eppure a desiderare così intensamente la vicinanza di lei. Prima d’ora gli era successa una cosa simile solo con Miki e lei lo aveva rifiutato. Quanto a Suzu,era stata sempre la prima a cercarlo e mai viceversa. Era la prima volta che una ragazza… una donna… gli “dava corda” in quel modo. Si sentiva sciocco, d’accordo, ma per niente intenzionato ad allontanare quelle sensazioni. Lei gli piaceva davvero molto e se, come sembrava, il sentimento iniziava ad essere reciproco, non sarebbe stato certo lui a tirarsi indietro. Mentre appoggiava la tazza sul comodino, si trovò a chiedersi che giorno fosse esattamente. Se erano passati due giorni da quella mattina all’aeroporto allora doveva essere… martedì.

«Yuko!» esclamò alzandosi di scatto.

La testa gli girò di nuovo costringendolo ad appoggiarsi allo stipite della porta che dava sulla cucina.

«Cosa fai in piedi? Torna subito a letto!» lo sgridò la giovane donna voltandosi verso di lui con espressione preoccupata. «La febbre non è ancora scesa del tutto.»

«Non sei andata a scuola!» esclamò Kei. «I tuoi allievi ti staranno aspettando e assentarti così dal lavoro potrebbe crearti dei problemi.»

«E’ questo che ti preoccupa?» disse Yuko sorridendo suo malgrado. «Stai tranquillo, ho telefonato alla direttrice domenica sera per chiederle un paio di giorni di ferie visto che dovevo curare una persona che si era presa l’influenza.»

Kei sospirò, voltandosi per tornare in camera.

«Una persona? Non era necessario, davvero. Le hai mentito inventando un fratello o un cugino?»

Yuko lo fulminò con lo sguardo indignata.

«Non sono abituata ad inventarmi dei parenti per giustificare le mie azioni!» esclamò. «Le ho detto semplicemente che il mio ragazzo si è sentito male e non volevo lasciarlo solo!»

Kei si bloccò e sgranò gli occhi incredulo balbettando: «Il… il tuo… ragazzo…?»

Questa volta fu il turno di Yuko arrossire.

«Bhè, definirti semplicemente un amico sarebbe alquanto riduttivo, non trovi?» disse guardando altrove. «E mi sembra un po’ presto per la parola ‘fidanzato’.»

Accorgendosi che Kei non si muoveva e non le rispondeva, Yuko riportò lo sguardo su di lui. Era immobile e volgeva le spalle alla cucina. Un silenzio imbarazzante era sceso tra loro e dovette fare uno sforzo per spezzarlo.

«Spero che questo non crei problemi a te.»

«Stai scherzando?!» esclamò Kei girandosi di scatto.

Il movimento brusco lo fece barcollare e Yuko fu lesta a sostenerlo e a riaccompagnarlo a letto.

«Adesso stai buono qui un altro po’. Il concerto è tra due giorni e devi assolutamente arrivarci in forma, capito

Così dicendo si chinò a posargli un bacio sulla punta del naso e se ne andò sorridendo lasciando un Kei a dir poco sconvolto per la piega inaspettata che aveva preso la situazione. 

 

CONTINUA…

 

 

 

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Capitolo 10
*** Rosa rossa ***


Marmalade Love Stories

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

10

ROSA ROSSA

 

La serata si preannunciava limpida e fresca, molto più piacevole delle precedenti che iniziavano ad essere afose. Quando Miki e Yu lasciarono la villetta diretti a teatro, il cielo stellato appariva come un manto di velluto trapuntato di gemme tanto limpide che nemmeno le luci artificiali riuscivano ad offuscarle. La Luna era solo una pallida falce solitaria in un angolo del cielo.

«Un’atmosfera perfetta per il tema del concerto.» sospirò la ragazza con sguardo sognante.

«Già. Mi chiedo per qual motivo dovremmo sprecare una serata così chiusi in teatro…» rispose Yu.

«Yu! Insomma! Anju e Kei ci hanno invitato e ci resterebbero malissimo se non andassimo e poi io ci tenevo tanto a sentirli suonare insieme! Non possiamo assolutamente permetterci di…»

«Miki… Miki! Stavo scherzando! Non mi perderei questo concerto per niente al mondo!» si affrettò a rassicurarla Yu interrompendo le sue proteste.

Quando giunsero davanti all’ingresso principale del teatro non si stupirono di trovarlo molto affollato, ma grazie agli inviti spediti loro dagli amici non furono costretti a fare la coda e poterono raggiungere facilmente i posti prenotati nelle prime file.

«Mi piacerebbe andare ad augurare buona fortuna a Kei, ma forse non è il caso…» disse Miki dubbiosa.

«Secondo me lo innervosiresti più del dovuto e poi se qualcosa andasse storto darebbe la colpa a te.»

«Ma che simpatico, Yu, davvero simpatico.» rispose la ragazza battendo le mani sarcastica. «Guarda che tanto so benissimo che vorresti andare da Anju. Anzi, penso proprio che dovresti farlo, almeno per riferirle della e-mail di Will. Tu, al contrario di me, sai davvero tranquillizzare le persone quindi forse le farebbe bene oltre che piacere.»

Yu annuì sorridendo ed entrambi si alzarono per raggiungere i camerini. Il concerto sarebbe iniziato solo mezz’ora dopo quindi avevano tutto il tempo di un saluto, anche grazie ai pass saggiamente allegati ai biglietti.

Yu bussò discretamente alla porta del camerino che portava l’etichetta provvisoria “KITAHARA” mentre Miki svoltava l’angolo alla ricerca di quello di Tsuchiya. Una voce sottile rispose dall’interno dandogli il permesso di entrare. La giovane, vestita di tutto punto e praticamente pronta ad andare in scena, se ne stava rannicchiata su uno sgabello in un angolo della stanza e Yu vedendola così pallida si preoccupò.

«Stai poco bene, An? Cosa ti succede?»

Anju alzò lentamente la testa e sorrise anche se le sue labbra tremavano leggermente.

«Oh, Yu… Sono solo un po’ nervosa. Ho già suonato con Kei, non è la prima volta, quindi non dovrei trovarmi in questo stato pietoso, però questa volta ho davvero paura di non farcela. Come se mi mancasse un appoggio fondamentale…»

Yu capì subito il reale significato di quelle parole.

«Abbi cura di lei, eh? Will, sei uno stupido!»

Facendosi più vicino circondò con un braccio le spalle esili della ragazza.

«Noi tutti siamo qui e ti sosteniamo. E anche chi è lontano, credimi.»

«Chi è lontano?»

«Già. Ho ricevuto una e-mail di Will questa mattina che mi raccomandava di venire a incoraggiarti da parte sua e mi ha anche chiesto di spedirgli al più presto la copia del DVD con le riprese del concerto.»

Il sorriso di Anju si rilassò un poco.

«Davvero ti ha detto così? Allora dovrò ringraziarlo per la sua premura. Ti ha… scritto altro? Jinny come sta?»

«Ha parlato solo del viaggio che non ha avuto problemi e del fatto che Jinny si è ripresa e sembra stia bene. La stanno ancora tenendo sotto osservazione.»

«Meno male, sono davvero contenta per lei!» esclamò Anju, ma notando la tristezza dietro il suo sguardo limpido, Yu si guardò bene dal farle il resoconto della riconciliazione dei due ragazzi e dei loro progetti futuri a cui Will aveva accennato. Evitò anche di mostrarle la foto che il ragazzo aveva allegato alla e-mail. Ritraeva lui, Brian, Michael e Doris attorno a una Jinny ancora seduta sul letto d’ospedale e leggermente pallida ma che mostrava un sorriso tenero e spontaneo che lo stesso Yu aveva visto di rado. Will la circondava con le braccia e la teneva appoggiata a sé. Yu era felice che le cose si fossero aggiustate tra i due amici, ma non per questo intendeva turbare ulteriormente Anju. Ora lei aveva solo bisogno di calma e della possibilità di rilassarsi e concentrarsi. Gettò un’occhiata all’orologio.

«Sarà meglio che tu vada.» disse Anju. «Non manca molto all’inizio e tra poco arriverà la mia manager. Se ti trova qui mi farà una scenata.»

«Sicura di star bene?» tentò un’ultima volta Yu.

«Non preoccuparti, troverò il modo di infondere questa mia malinconia nelle corde del violino. Vedrai, sarà un concerto memorabile!»

Lo salutò abbracciandolo.

«Grazie di essere venuto, davvero. Ora vai, Miki ti starà aspettando.»

 

Quando Yu tornò al proprio posto nel salone del teatro, trovò Miki seduta rigida e paonazza.

«Hai la faccia tutta rossa, cosa ti è successo?» chiese perplesso.

«A me? Niente! E’ solo che…»

«Avanti, sputa il rospo! Non sei il tipo da saper mantenere un segreto.»

Miki fece una linguaccia ma non seppe resistere allo sguardo indagatore del suo ragazzo.

«Bhè, sono andata a salutare Kei, solo che nel suo camerino c’era già una persona. La senpai Yuko.»

«Allora? Mi avevi detto che le aveva regalato dei biglietti, sarà andata a ringraziarlo.»

«Un ringraziamento molto caloroso, visto che si stavano baciando!»

Se Miki si aspettava una reazione di sconvolgimento da Yu rimase delusa. Mantenendo la solita calma, il giovane mostrò solo una lieve sorpresa.

«Che la storia con Suzu andava male si sapeva e tu eri la prima a incoraggiare una relazione tra la tua senpai e Tsuchiya quindi perché ti sorprendi? Dovresti esserne felice.»

«Hai ragione, però… non ho mai pensato seriamente all’evolversi di questa storia. Pensavo fosse solo una cotta passeggera e che la senpai gli avrebbe dato corda per poco. Senza contare che hanno sette anni di differenza.»

Yu non si scompose.

«Non vedo il problema. Se loro sono felici nessuno ha il diritto di intromettersi. Lasciali vivere questa storia in pace, è così bello quando si è appena innamorati…»

Miki sorrise.

«Oh, io non li ostacolerò di certo! Comunque sappi che è molto bello anche quando si è innamorati da tempo…»

Strinse la mano di Yu tra le sue e il giovane ricambiò accarezzandole una guancia dolcemente.

 

L’esterno del teatro era ancora affollato ma la gente si stava diradando velocemente man mano che i posti in sala venivano assegnati. Appoggiato a una colonna a fianco dell’ingresso, Satoshi rigirava tra le dita l’invito, sicuro che il suo posto sarebbe stato comunque riservato. Doveva aspettarla. Lei sarebbe venuta, si ripeteva. Era certo che sarebbe venuta.

Mancavano poco più di dieci minuti all’inizio quando un taxi si fermò davanti al teatro e la vide scendere avvolta da un abito di morbido e vaporoso tulle celeste, i capelli raccolti dietro il capo. Deliziosa. Satoshi le corse incontro mentre il cuore accelerava i battiti.

Quando lo vide arrivare Meiko sembrò stupita, ma subito dopo gli sorrise. Un sorriso dolce che ebbe il potere di fugare la sua indecisione.

«Sono davvero felice di vederti!» esclamò. «Io…»

Non appena posò lo sguardo sul viso della ragazza, si interruppe bruscamente. I suoi capelli. Non si trattava affatto di un’acconciatura. Scendevano liberi in morbidi riccioli ma solo fino a metà del collo. La chioma fluente che la caratterizzava era scomparsa.

«Cosa…? Ti sei tagliata i capelli?»

Meiko annuì.

«Sono stati giorni di grandi decisioni. Mi sembrava un buon modo di dimostrare a me stessa l’intenzione di dare un taglio al passato. Come mi stanno?» chiese accarezzando le corte ciocche con un dito.

Satoshi si azzardò a posare una mano sulla sua testa sfiorandole le dita.

«Benissimo. Sei sempre meravigliosa.»

Liberando la mano, Meiko prese frugare nella borsetta finché non trovò una busta, poi la rigirò tra le dita quasi incerta su cosa farne prima di porgerla al ragazzo.

«E’ per me?» chiese Satoshi.

Che fosse un’altra specie di lettera?

«Non proprio…»

Satoshi la aprì e ci mise un attimo a realizzare quello che stava leggendo. I mittenti erano gli avvocati Tanemura e Suzuki e la signora Akizuki Meiko. Il destinatario il signor Namura Shin’ichi. L’oggetto… RICHIESTA DI DIVORZIO.

A Satoshi mancò il respiro.

«Tu…»

Meiko non disse niente. Si limitò a prenderlo per mano e ad incamminarsi con lui verso l’entrata del teatro.

 

Quando le luci si abbassarono e il sipario si alzò, il pubblico si ritrovò circondato dalla notte estiva. I morbidi tendaggi di velluto blu, così come le pareti e il soffitto scintillavano di gemme che riflettevano le luci tenui dei faretti puntati sul palco. Anju e Kei, immersi in quell’atmosfera eterea diedero vita a un’esecuzione commovente nella sua bellezza. Il pianoforte era un accompagnamento discreto e soave, mentre il violino sembrava piangere tanto era struggente la melodia che sprigionava.

Yu circondò le spalle di Miki con un braccio e la ragazza si appoggiò a lui.

Mentre Kei iniziava l’esecuzione del “Notturno” di Chopin, Meiko lasciò scivolare le dita Tra quelle di Satoshi. L’atmosfera magica rese il ragazzo intraprendente e avvicinandosi a lei la baciò leggermente sulle labbra. Meiko non lo rifiutò e questo provocò in lui una tale euforia che avrebbe voluto gridarlo a tutto il teatro.

Le note scivolarono dolcemente nel “Chiaro di Luna” di Beethoven.

Yuko chiuse gli occhi cullata dalla melodia, estraniandosi completamente da tutto ciò che la circondava, allievi compresi che cominciarono a sbadigliare annoiati. Lei non se ne accorse minimamente, persa com’era nell’immagine di Kei seduto al pianoforte… l’espressione concentrata… gli occhi verde smeraldo dall’aria assorta… sentiva tutti gli scrupoli e i dubbi provati fino a quel momento dissolversi attorno a lei come se non fossero mai esistiti. Kei. Solo lui era importante adesso. Lui e le emozioni che sapeva regalarle.

Le ultime note vibrarono nell’aria spegnendosi gradualmente e Yuko venne strappata dal momento di estasi dallo scroscio di applausi che rimbombò nella grande sala. Quando alzò gli occhi verso il palco appena sopra di lei, vide Kei portare una mano all’occhiello della giacca e il bocciolo di una rosa rossa le piovve in grembo.

Una rosa rossa: il vero amore.

 

 

Fine

 

NOTA:

Finita! Non ci posso credere, ce l’ho fatta! E’ la fanfiction più lunga che abbia scritto fin adesso e mi sono impantanata diverse volte (immagino si notino i punti morti…). A lungo andare la storia ha preso una piega completamente diversa da come l’avevo progettata all’inizio e invece di essere completamente incentrata su Meiko e Satoshi ha finito per diventare un minestrone di tutti i personaggi secondari. Non posso farci niente, ho sempre adorato Kei quindi non ho potuto fare a meno di dargli un sacco di spazio! A questo punto aspetto i vostri commenti spero non malevoli…

 

SPECIAL TANKS:

A Hikari Yuka per la pazienza e i consigli (sopra a tutti il mitico “se non sai come far succedere una cosa non farla”).

A VampiraSix per la lettura delle bozze in anteprima e i suggerimenti quando mi “impantanavo”.

A Sara Uzumaki per i commenti sempre troppo carini.

A Nei nella speranza che apprezzi la seconda parte.

Ultimo ma non per importanza a peppy che nonstante non ce la facesse più ha continuato imperterrito e diligente il suo lavoro.

 

Saluti a tutti!

 

YUKI-CHAN

 

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