Now normally

di thembra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** losing everything ***
Capitolo 2: *** Two years later ***
Capitolo 3: *** Asshole ***
Capitolo 4: *** Tears ***
Capitolo 5: *** no longer here ***
Capitolo 6: *** Three Miles island ***
Capitolo 7: *** Don't run away from me ***
Capitolo 8: *** towards the next target ***
Capitolo 9: *** 3 2 1...on position ***
Capitolo 10: *** Shock ***
Capitolo 11: *** Hurting her ***
Capitolo 12: *** a new possibility... ***
Capitolo 13: *** Back to the old time ***
Capitolo 14: *** An open door ***
Capitolo 15: *** Once she trusted you ***
Capitolo 16: *** The cold, dark city ***
Capitolo 17: *** She's looking 4 you, be patient ***
Capitolo 18: *** I'm Marie. I'm a mutant being ***
Capitolo 19: *** when the soul cries ***
Capitolo 20: *** ...finally... ***
Capitolo 21: *** A light from the past ***
Capitolo 22: *** KA-BOOM ***
Capitolo 23: *** Mutant Nanny ***
Capitolo 24: *** Like hell I keep calm... ***



Capitolo 1
*** losing everything ***


  
 
 
Appoggiata al vetro della sua finestra osservava il cielo nero privo di stelle coperte dalla nebbia.
Cercava di distinguere senza successo i pilastri del cancello in fondo al viale d’entrata sperando di vederlo rientrare da un momento all’altro.
Ma come per le precedenti notti non fu così.
 
Lui andava e veniva senza che nessuno lo vedesse, ci si accorgeva che mancava solo nel nominarlo per chiedergli cosa ne pensasse su un determinato argomento.
Quando la sua voce non dava risposta e la sua figura non era al suo posto, sul divano rosso dove era seduto fino a pochi attimi prima, allora era già troppo tardi.
Nessuno era mai riuscito a vederlo alzarsi e sparire.
Qualcuno con l’udito fine qualche volta riusciva ad avvertire il rombo della sua moto ma anche allora era ormai troppo tardi.
La cosa buffa è che non spariva con regolarità…magari riusciva a fregarli tre sere di fila, e poi per un mese era onnipresente e vegliava su tutti con severa disciplina ricoprendo il suo ruolo di ottimo insegnanti nelle sessioni di allenamento nella Ranger Room, accompagnando chi ne aveva bisogno in città, offrendosi di far da balia ai bambini insonni o il più delle volte si appostava sul divano della hall a guardarsi le sue interminabili partire di Hockey con la sua fedele Molsen in mano.
 
Con la mano cancellò l’alone creato dal suo respiro sul vetro schiudendo gli occhi delusa.
Logan quando c’era si vedeva, era ovvio, ma quando spariva per andare chissà dove la sua presenza era ancora più forte e palpabile, il suo non esserci era un pensiero continuo per chi lo conosceva bene come lei, era una continua preoccupazione, un ansia che gelava il sangue, un attesa che non finiva mai se non quando al mattino, nell’aprire gli occhi avvertiva nello spirito una nuova e tiepida calma interiore e allora sapeva per certo che era tornato, e che se fosse scesa in cucina lo avrebbe trovato appoggiato all’isola del locale intento a sorseggiare il suo sacro caffè mattutino, nero e senza zucchero.
In fondo non c’era nulla per cui stare in ansia, logan aveva sempre dimostrato d’essere in grado di cavarsela in ogni situazione, era grande, un adulto in grado di badare a sé stesso, aveva una mutazione fantastica e due serie di tre artigli di puro adamantino che era sicura tagliassero più dei diamanti, uno scheletro indistruttibile ed un coraggio da leoni eppure…eppure quando spariva lei era sicura che andasse a sfogare ogni sua insicurezza da qualche parte perché a volte, anche gli eroi più indistruttibili si rompevano dentro.
 
Detestava il non potergli essere d’aiuto, l’esser tagliata fuori di punto in bianco dalla sua vita, non potergli più parlare come aveva sempre fatto ma più di tutto detestava sé stessa.
In quei due giorni che era mancata si era concluso il capitolo più importante per la storia odierna del popolo mutante e se da una parte c’era stata la cura, da quell’altra c’era stato il conflitto finale con Magneto, la sua fratellanza di invasati e lei…la fenice, l’inizio di un’apocalittica fine e la fine di Jean Gray, l’adorato oggetto dei sospiri del lupo, fonte di enorme e immeritata invidia per lei ma ragione di vita per lui.
Era andata via per 48 ore e quando era tornata aveva trovato tutto completamente sconvolto, riscritto e…ironia della sorte, mutato.
 
Gli occhi di lui non l’avevano più guardata come in precedenza, sembravano scivolare oltre la sua persona senza vedere che anche senza mutazione era rimasta la stessa identica ragazzina di sempre, sembravano vedere un’estranea distante e fuori posto in un quadro di personalità ben definite e collocate all’interno della cornice.
Era diventata invisibile, superflua e inutile.
 
Un misero saluto era tutto quello che aveva ricevuto da lui e che ogni mattina riceveva da che era tornata all’istituto di Xavier, una svelta occhiata disinteressata ed un ciao quasi sputato dettato da un’antica e ormai inutile promessa.
Aveva deciso di prendere la cura per poter entrare in maggior contatto con le persone che amava sicura della sua scelta per ritrovarsi una volta curata ancora più distante fra loro capendo che aveva abbattuto la barriera della sua pelle fatale ottenendone una più alta, spessa e insormontabile fatta di sguardi silenzi bisbigli e biasimo.
Ora che poteva toccare con le mani e baciare con le labbra aveva perso la capacità di sfiorare l’animo ed il cuore di coloro che adorava.
Rogue aveva vinto.
Marie aveva perso tutto di nuovo.
 
Con gli occhi che bruciavano di lacrime e tormento si allontanò dalla finestra andando a recuperare il suo cappotto verde lasciato sul letto. Lo indossò e chinandosi a prendere tracolla della sua borsa lanciò un’ultima occhiata ad un’altra sconfitta.
La foto che ritraeva lei e Bobby vicini e sorridenti finì rovesciata nel cestino accanto al comodino dal momento che non aveva più alcun significato. Bobby l’aveva lasciata ed ora probabilmente sorrideva sereno in un altro ritratto identico ad eccezione della persona che abbracciava.
 
Trattenne un singhiozzo voltandosi di scatto per oltrepassare la porta della stanza da letto, di sicuro Kitty sarebbe stata una fidanzata migliore di lei, meno insicura, meno paranoica e meno riluttante al suo essere diversa dagli altri.
 
Rogue aveva vinto.
Marie aveva perso tutto più un’altra cosa…di nuovo.
 
Percorse il corridoio, scese le scale e oltrepassò per l’ultima volta la porta d’entrata che per lei non sarebbe mai più stata tale.
Usciva da li e non ci sarebbe mai più tornata.
 
Quel singhiozzo non riuscì a trattenerlo ed esplose nel buio e nel freddo di quella notte senza stelle mentre il rumore dei suoi passi incerti ma costanti che affondavano nella ghiaia del viale scandivano il suo addio definitivo a quel mondo di diversità e discriminazione che lei per prima aveva ripudiato.
Non era più il suo posto e non ci doveva rimanere, ormai non poteva più, aveva perso quel privilegio preferendo quella normalità che a conti fatti in quel momento non aveva nulla da offrirle se non buio freddo e solitudine.
 
Scese una lacrima dai suoi occhi velati che non si preoccupò di asciugare mentre inseriva il codice d’apertura del cancello e lo attraversava, si soffiò il naso e scese lungo la strada dove alcune decine di metri più avanti l’attendeva il taxi che aveva chiamato.
 
“Alla stazione ferroviaria…”
“Subito signorina”
 
Sistemò la borsa al proprio fianco accomodandosi sul sedile posteriore combattendo il desiderio di voltarsi ancora imponendosi di guardare sempre avanti…sempre avanti perché da quel momento in poi non ci sarebbe mai più stato il passato per lei, ma solo il futuro.
 
Quando furono alla fine della discesa e la macchina si immise nella strada cittadina udì il rumore di quella moto che conosceva fin troppo bene superarli in senso contrario deviare su per la collina e le sembrò che il motociclo rallentasse.
Voltandosi vide la sagoma scura della moto illuminata da un lampione  ferma in diagonale sulla strada e riconobbe il fisico di Logan voltato verso di lei.
Lui aveva capito che lei se n’era andata ma anziché voltare la moto e seguirla per fermarla si rimise in sella e proseguì.
 
Fu quello che la uccise mortificandola definitivamente.
E scoppiò a piangere soffocando i singhiozzi in un nuovo fazzoletto pur sapendo che era stata lei a decidere di andarsene e che lui non era affatto tenuto a correrle dietro ma lo stesso, quel suo continuare per la sua strada la ferirono più di ogni altra cosa al mondo.
Anche Logan le aveva infine detto addio.
 
Rogue non aveva affatto vinto e nemmeno Marie, semplicemente avevano entrambe perso tutto…di nuovo.
 
 
 
Piccolo sclero notturno.
Non so ancora se la continuerò, decidete voi!!!
XD
Mi andava di fare la tragica stasera…(la Juve a perso tutto, di nuovo…) X°D
 
Bando alle ciance e alla Juve ditemi che ne pensate ok?
Ciriciaaaaaaaaaaaao!!!
 
TH
 
 
…e come sempre…questa la dedico a tutti voi che seguite ATNMAD se non vi offendete!!!
Ciao!!!
 

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Capitolo 2
*** Two years later ***








 
Schiudendo gli occhi serrò con convinzione la fondina che custodiva la sua pistola facendo risalire entrambe le mani fino a incastrare i lembi del giubbotto e tirar su completamente la zip della cerniera fin sotto al mento.
 
Si accertò di aver messo nelle tasche laterali dei suoi pantaloni il kit di pronto soccorso e la ricetrasmittente prima di raccogliere i lunghi capelli in una coda alta e infilarsi il cappello con la visiera piegata ad angolo che le adombrò il viso fino all'altezza del naso.
Portandosi le mani alla nuca fece scorrere la coda attraverso il foro del cappello, poi dalla tasca del giubbotto sfilò i propri occhiali da sole a goccia indossandoli e per ultimi si infilò i guanti di pelle nera stringendo bene la fibbia ai polsi.
 
 
"Fai tutto in maniera così meccanica e perfetta che sembra quasi che tu ci sia nata in quella divisa..."
"Prima di entrare in polizia svolgevo un lavoro simile a questo..."
"Che genere di lavoro? Non esiste altro corpo simile al nostro Marie, Gli Hawks sono unici..."
 
...lo sono anche gli x-men...
 
Rispose col pensiero a quell'assunzione limitandosi ad emettere un mormorio d’accordo alla sua compagna di team e grande amica da ormai due anni e mezzo.
 
“Che genere di operazione dovremmo svolgere Kim?”
“Solita routine…”
 
Marie alzò gli occhi al cielo; solita routine ovvero solito casino significava sgattaiolare dentro qualche laboratorio di sostanze stupefacenti e devastare tutto cercando di arrestare il maggior numero di narcotrafficanti possibile, cosa invece molto impossibile dal momento che immancabilmente ogni volta i bastardi in questione aprivano fuoco su fuoco e allora si ballava alla grande.
 
“Avremo qualcuno a supportarci almeno?”
“La narcotici è impegnata a decimare il traffico di eroina sulla via di Santo Domingo, ci hanno mandato un gruppo di mercenari a darci man forte.”
“Mercenari? Che cosa diavolo hanno in mente quei disgraziati, e se fossero infiltrati?”
“Hai detto le mie stesse parole di qualche anno fa Mariema sta tranquilla, sono persone a posto, in passato, prima che tu arrivassi abbiamo svolto parecchie missioni insieme e ora che ci penso anni fa hanno aiutato persino il Presidente…”
“Sarà ma non mi fido affatto…”
“Cambierai idea, ora sbrighiamoci o ci lasciano qui…”
 
…..
 
 
Seduta sul retro del furgone ascoltava interessata il piano d’azione annuendo ogni qualvolta veniva interpellata.
Lei e Kim erano state incaricate di agganciare i soggetti più pericolosi mentre i loro colleghi si sarebbero appostati nei punti strategici precedentemente elencati per tenere tutti sotto tiro, semmai ci fosse stato qualche problema sarebbero intervenuti senza problemi essendo ognuno di loro un eccellente cecchino.
 
“Ho capito, ma in questo piano rientriamo solo noi, questi fantomatici rinforzi dove sono?”
“Si faranno vivi loro, ci tengono a fare un’entrata da star….”
 
Marie non capiva…e quando non capiva non si fidava, se poi come in quel caso non si fidava già prima di capire la faccenda era complicata.
Togliendosi il cappello puntò lo sguardo negli occhi del suo superiore, in mano stringeva il passamontagna che avrebbe indossato di lì a poco durante il blitz.
 
“Mi rifiuto di lavorare con gente che non ho mai visto…”
“Agente speciale Hawk8, se non se la sentiva di partecipare avrebbe potuto dirlo prima…”
“Non è questo il punto…”
“E allora si attenga agli ordini e faccia come le è stato detto…”
 
 
Proprio in quell’istante il furgone si fermò ed in un baleno sedici paia di piedi scattarono in piedi per scendere, Marie era rimasta per ultima e venne fermata poco prima di darsi lo slancio dal possente braccio del suo superiore.
 
“Nh?”
“Dimentichi nulla?”
 
Sbiancò di fronte al passamontagna che questi reggeva nel pugno dopo averglielo strappato di mano, che sciocca era stata.
 
“Non capisco la tua diffidenza, dopotutto anche noi agiamo a viso coperto per non farci riconoscere, proprio come fanno loro…”
“Chiedo scusa Signore.”
“Và…”
 
Scese e si infilò il cappuccio inserendolo bene nello scollo del giubbotto per non lasciar visibile nemmeno un lembo della pelle del collo.
 
“Sei partita in quarta eh ‘Rie?”
“Già… ”
 
 
…..
 
L’operazione incominciò e le squadre si diressero ai punti loro assegnati.
Marie e Kim stando bene attente a non farsi beccare dai numerosi guardiani armati riuscirono ad eludere la pericolosa sorveglianza scambiandosi cenni muti certe, semmai le cose fossero andate male,  della protezione dei cecchini appostati in alto.
 
Arrivarono alla zona adibita ad uffici dove nascosti dietro ad enormi scaffali e mobili sgangherati c’erano i tre boss della droga intenti a trattare prezzi e appuntamenti con i possibili acquirenti.
Silenziosa come un gatto Kim estrasse una piccola macchina fotografica scattando foto che sarebbero state prove schiaccianti una volta finita l’operazione.
 
Marie non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto ben curato del signore della droga che speculava sui vizi e sulla vita di persone innocenti.
Quel bastardo era Montes e gli Hawks lo stavano inseguendo da  ancor prima che lei si unisse alla squadra; aveva letto nel dossier che lo riguardava che aveva sulla coscienza centinaia di morti fra cui molti agenti della polizia, padri di famiglia ed amici.
Kim in particolare aveva con quel mostro un conto in sospeso dal momento che aveva ammazzato di botte sua sorella dopo aver scoperto che si era infiltrata della sua banda.
 
 
“ ’Rie?”
 
Il sussurro della sua partner la riportò alla realtà…era ora.
Con uno scatto estrasse dalla fondina la sua pistola facendo irruzione intimando ai presenti di rimanere immobili mentre dietro alle sue spalle, già partivano i primi proiettili dello scontro a fuoco.
 
“Tutti fermi e mani sopra la testa svelti svelti!!!”
 
Presi alla sprovvista due dei tre criminali obbedirono immediatamente mentre il terzo, quello che si credeva più  svelto di lucky luke ebbe la pessima idea di imbracciare l’arma beccandosi  un proiettile alla spalla, cosa che lo calmò per un bel po’, né lei nè Kim però si accorsero del bottone che pigiò Montes.
 
Kim stava ammanettato uno degli altri due mentre Marie si occupò dell’altro.
Rimase perplessa nell’osservare la tranquillità nel viso di Montes, era troppo  calmo e nei suoi occhi c’era troppa sicurezza.
Perse la pazienza.
 
“Che diavolo c’è sotto eh?”
“Sei furba…ma è tardi ormai…”
 
Fulmineo come un gatto questi scattò a destra proprio mentre la parete dietro alle sue spalle andò in frantumi sfondata dalla potenza di un camioncino nero.
Marie fu colpita in pieno e mandata a sbattere contro gli scaffali mentre vedeva  Kim venir trascinata indietro da un’ anomala sferzata di vento.
 
Stordita dall’impatto faticò a rimettersi in piedi riuscendo a trovare l’equilibrio giusto solo grazie al sostegno di una sagoma sbucata al suo fianco improvvisamente.
 
“Hey 8?!”
“Tutto bene…”
 
Tossendo Marie rivolse un cenno  alla sua socia pulendosi le labbra dalla piccola abrasione provocata dall’urto prima di voltarsi al suo fianco per ringraziare l’intruso dell’aiuto.
 
Voltò il viso e rimase raggelata.
 
Quello che la stava guardando con un’aria grave e distaccata era Logan.
Erano dunque gli x-men la squadra che era stata loro affidata come supporto per quell’operazione?
Ad un suo cenno di toccarla indietreggiò istintivamente rischiando di cadere nuovamente all’indietro sul cumulo di mobili e detriti caduti a terra.
 
“Tutto bene ragazzina?”
 
Sconvolta ed incapace di formulare alcuna parola prese a correre nella direzione in cui era scappato il trafficante.
 
“Hawk?”
“Inseguo Montes…giuro che lo prendo stavolta!”
“Non puoi andare sola!”
 
Ma Marie era già lontana.
 
“Vado io con lei, tu occupati di lui…”
 
Indicò con un cenno del capo l’uomo tramortito che giaceva a pochi passi dall’agente.
 
“Aiutala Ro…”
“Ok.”
 
 
Correndo cercava di individuare la sagoma del fuggiasco, ma era notte fonda ed i vicoli di quella periferia erano dedali scuri e intricati.
Notando uno spostamento sospetto imboccò una stradina umida e cupa andando a sbattere contro un corpo solido.
 
“Hey!”
“Tu? Che ci fai qui?”
“Ti salvo la pelle…”
 
Alzando il braccio sollevò il corpo pesto di Montes che sputando sangue e lamenti malediva tutti e tutto in uno sconnesso spagnolo.
 
“…questo qui era bello e pronto a farti la pelle, ma voi dei corpi speciali non dovreste essere addestrati a pensare prima di agire? Se non fosse stato per me saresti carne morta adesso…”
“….”
 
Lo guardava  come fosse stato un’antica reliquia attraverso quelle gemme scure e brillanti che erano i suoi occhi, tutto il resto del suo viso era celato dalla stoffa del passamontagna;  
 
“Che c’è?”
 
Lui odiava essere fissato.
 
“…niente io…grazie…credo…”
“…hai battuto la testa per caso?”
 
 
Di nuovo lui si sporse per toccarla e di nuovo lei indietreggiò.
 
“Che diavolo hai? Non ti voglio far del male!”
“…nh…”
 
In quel momento fu contattata e dandogli le spalle estrasse dalla tasca dei pantaloni la ricetrasmittente.
 
“Qui Hawk8, tutto sistemato…Montes è stato catturato passo…”
“Ottimo lavoro Hawks8!”
“…non l’ho preso io…”
 
Sospirando chiuse la conversazione e fece retro front dirigendosi verso il luogo dello scontro dove i lampeggianti delle auto della polizia illuminavano di blu e rosso le pareti degli edifici.
 
……………..
 
 
 
“Ottimo lavoro…davvero un ottimo lavoro, anche questa volta la vostra collaborazione è risultata determinante ai fini della buona riuscita dell’azione…”
 
Marie, seduta nell’aula del quartier generale degli Hawks assisteva in silenzio alle parole di elogio che il suo superiore stava esprimendo agli x-men.
 
Una volta tornata al capannone era risalita sul furgoncino col quale erano arrivati fino alla sede, rimanendo stupita nel ritrovarli in attesa nella sala conferenze.
C’erano Ororo e Logan che aveva incontrato nell’ufficio al momento dell’arresto mentre ora vedeva anche Bobby e Kitty impeccabili nelle loro divise nere sedere vicini nella fila di sedie accanto alla scrivania tenersi per mano mentre ascoltavano il discorso. Era evidente che fossero ancora insieme.
Sospirando scostò lo sguardo accanto a loro dove  c’era Jubilee che forse un po’ in imbarazzo si ostinava a guardare il pavimento.
Più di una volta aveva beccato Logan fissarla ma si era limitata a deviare l’attenzione su qualcun altro dei suoi ex compagni.
Ex…quanto le faceva male quella parola.
 
“ ’Rie?”
“Nh?”
 
Kim la guardava dubbiosa.
 
“Come mai non ti sei tolta il passamontagna?”
“Non mi va…”
“Non dirmi che sei ancora diffidente perché giuro che rido!”
“Non è questo…shht, ascolta…”
 
Chinando lo sguardo Marie chiede silenziosamente scusa al suo superiore che continuò il discorso schiarendosi la voce.
 
“Dato che ci siamo, vorrei chiedere la vostra collaborazione anche per un'altra operazione…poco fa ci è giunta la segnalazione di un’attività illecita nei pressi di Three Miles Island…sembra che laggiù avvengano strani esperimenti su…”
 
Marie si fece più attenta.
 
“…esseri mutanti.”
 
Non perse lo scatto nei volti degli x-men, ovviamente a parte lei nessuno lì li aveva riconosciuti e non sapevano chi fossero ma il silenzio che ne seguì fu comunque carico di tensione.
Anche se ormai la legge sulla registrazione dei mutanti era caduta nel dimenticatoio e ci si avviava verso una pacifica convivenza a molte persone i mutanti non andavano ancora molto a genio.
 
“Di cosa si tratta?”
 
A parlare era stato Clayton o Hawk2, che da sempre nutriva ostilità verso la loro razza. Ma non era per nulla da biasimare, le era stato raccontato, infatti, che aveva perso suo figlio durante gli scontri ad Alcatraz la notte in cui morì Jean.
 
“Da quel poco che sappiamo degli scienziati poco etici si divertono a sezionare individui mutanti al solo scopo di ricerca…qui abbiamo alcune foto.”
 
Con due click del mouse aprì la cartella allegata al dossier e ciò che tutti videro non fu per nulla simpatico.
Marie sconvolta chinò il capo condividendo l’indignazione generale deviando poi lo sguardo su una persona in particolare.
 
“Mio Dio…è solamente un bambino…”
 
Clayton dall’alto del suo metro e novanta era impallidito d’improvviso.
 
“Purtroppo a quegli scienziati non interessa l’età delle loro, passatemi il termine, cavie, ma la loro mutazione…”
 
“Figli di puttana!!!”
 
Marie udì distintamente il rumore metallico degli artigli di Logan venir sguainati che nemmeno lui se ne rese conto ma per fortuna Ororo che gli era accanto si spostò davanti a lui approfittando del fatto che l’attenzione generale di tutti fosse concentrata sullo schermo.
Eccetto la sua ovviamente; il brillio di quelle tre lame letali le deviò la luce in viso.
Raggelata si rese conto d’esser osservata da Logan; si era accorto che aveva visto.
 
 
“Non si tratta di una missione particolarmente rischiosa dal momento che non n si aspettano un intervento da parte di nessuna autorità poiché ufficialmente quell’isola è un’ ex-centrale nucleare, non hanno nemmeno  un sistema di sicurezza difficile da eludere, ma abbiamo bisogno di volontari determinati e abili nell’infiltrarsi. Hawk8, stavo pensando a te…“
 
Marie sussultò.
 
“Conti su di me Signore.”
“No…”
 
 
Rimase basita dall’intervento di Logan. Come aveva osato discutere gli ordini di un suo superiore?
Allibita attese una sua spiegazione.
 
“Non è in grado di badare a sé stessa, stasera ha fatto un errore dopo l’altro ed ha rischiato persino di rimanere…”
“Sta zitto!”
 
Nemmeno si era resa conto d’aver parlato ritrovandosi improvvisamente in piedi accerchiata dagli sguardi stupiti di tutti i presenti.
Sentiva il suo cuore nel petto farsi sempre più  gelido.
 
“Hawk8…qual è il problema? Mi pare di capire che…”
“Il problema è che non capisco come abbiate potuto permetterle di affrontare una missione così pericolosa…”
“Bada a come parli ragazzino, Hawk8 è una donna con le palle!”
 
Sorrise commossa dal gesto di difesa che Clayton aveva avuto nei suoi confronti, e sbuffò una risata alla reazione di stizza che ebbe Logan nel sentirsi chiamare ragazzino.
Il suo comandante cercando di calmare gli animi riprese la parola.
 
“Non capisco la tua diffidenza…Hawk8 è una delle migliori reclute del nostro corpo, è esperta in combattimenti corpo a corpo possiede ottime conoscenze teoriche e pratiche ed è un asso nello sparare…chi meglio di lei potrebbe…”
“Abbiamo noi la persona giusta…”
 
Logan annuì in direzione di Kitty, Marie sbottò un mormorio sarcastico, chi meglio di una donna capace di passare attraverso i muri poteva svolgere al meglio quella missione?
Pervasa da un’ira improvvisa riprese il controllo sulla situazione, Kitty l’aveva già battuta una volta per quanto riguardava Bobby, non si sarebbe fatta surclassare anche stavolta.
 
“So perfettamente che questa sera non ho agito al meglio e mi sono lasciata trasportare dalle emozioni, e so anche che le capacità di qualcuno di voi possono andare ben oltre i limiti umani…” sorrise nell’apprendere che avevano colto il suo doppio senso. “…ma per quanto riguarda le mie capacità ti posso assicurare che sono perfettamente in grado di badare a me stessa, Logan…dopotutto,”
 
Rise internamente nel godersi l’espressione stupita di lui sentendole pronunciare quel nome.
Respirando profondamente per cercare  il coraggio di fare ma soprattutto sopportare le conseguenze del gesto che stava per compiere si portò una mano alla fronte.
 
“Dopotutto ho imparato dai migliori…”
 
Togliendosi  il passamontagna lasciò che i suoi lunghi capelli bruni le cadessero sciolti sulle spalle, prima di raddrizzare il viso in modo da poterli guardare negli occhi nel momento esatto in cui le sue due ciocche bianche ripresero il loro abituale posto leggermente arruffate al lato del suo viso.
 
Nessuno di loro ebbe il coraggio di aggiungere altro.
Kitty imbarazzatissima scostò lo sguardo mentre Bobby era scattato in piedi incredulo.
Jubes sembrava aver ritrovato parte del suo coraggio e tentò di avvicinarsi a lei.
Ororo nemmeno sembrava respirasse mentre Logan, beh dire che c’era rimasto di merda era dire poco.
 
Godendosi quella sua piccola rivincita uscì dal suo posto dirigendosi all’uscita.
 
“Non mi interessa che vo-, che tu sia d’accordo oppure no, obbedisco solamente agli ordini del mio comandante io e se mi riterrà adatta a questo genere di missione mi dispiace per te, ma dovremo collaborare…”  come ai vecchi tempi
 
Mangiandosi quelle ultime parole premette il pulsante d’apertura della porta.
 
“Sa dove trovarmi signore!”
 
Detto questo uscì.
Clayton eruppe in una fragorosa risata.
 
“Te l’ho detto che è una con le palle, e brava la nostra Marie!”
 
Batté le mani sonoramente seguito dai suoi colleghi mentre uno dopo l’altro anche loro lasciavano l’aula magna.
In tutti quegli anni che X-men e Hawks avevano collaborato la confidenza fra le due parti era stata minima, una volta in missione le parole che si scambiavano erano strettamente legate all’azione in corso e anche al meeting post operazione la distanza si manteneva su un piano di professionalità.
Fino a quel momento, Marie era stata la prima a permettersi di rispondere ad uno di loro.
 
 
…..
 
Una volta che la sala fu svuotata rimasero solo loro ed il comandante.
 
“Non so come facciate a conoscerla ma vi prego di non giudicarla male…Marie è una persona davvero in gamba e se la considero all’altezza di questo compito è perché realmente lo è…”
 
Silenzio.
 
 
Pof!
 
Con uno schiocco la bolla di chewin-gum di Jubes spezzò la quiete scuotendo i presenti.
 
“Quella era Marie! Sta bene cavolo!!! È in ottima forma!”
“…già…”
 
Ororo non sapeva davvero che dire.
 
Quando aveva appreso della partenza di Rogue aveva compreso il bisogni di lei di andarsene, ma aveva creduto che prima o poi sarebbe ritornata, col passare dei mesi però si era resa conto che quel silenzioso addio sarebbe stato definitivo e si era sentita tremendamente in colpa per non esserle stata accanto come avrebbe dovuto.
 
Logan da che se n’era andata era tornato ad essere lo scorbutico insopportabile animale di sempre e non si era dato pace nel cercarla per riportarla indietro.
Sembrava aver capito anche lui dell’immensa perdita che era stato l’allontanamento di Rogue.
 
“Che si fa quindi?”
“Io non lo so Bobby…è stata una cosa talmente improvvisa che…Logan?”
 
Non riuscì a fermarlo e una volta che aveva imboccato l’uscita sparì senza dire una parola a nessuno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Asshole ***


  
 
   
 

Grazie ad Asia87 e Brisaan, a Purpura Puffet e Babbamia.
TH
 
 
  

 
 
 
 
 
 

Ma come diavolo aveva fato a non accorgersi che era lei? Correndo come un matto superava corridoi su corridoi tutti esattamente uguali identici che uno ci si poteva perdere tranquillamente, per sua fortuna però, aveva percorso quei dedali talmente tante volte che oramai li conosceva come le sue tasche.
Sbottando un ruggito tornò a concentrarsi sul suo dubbio principale.
 
Come cazzo aveva fatto a non riconoscerla? L’odore di Marie era impresso nella sua memoria come un marchio sul dorso di un cavallo, in tutti quei mesi che erano stati lontani quel ricordo non si era per niente affievolito e quando ripensava a lei le sue narici respiravano nuovamente quel suo profumo di rosa e bucaneve carico e naturale.
 
Arrivato alla fine del corridoio principale si accostò alla parete per aspettare che l’ascensore ridiscendesse, dannazione, stava accumulando troppo ritardo, se se ne fosse andata non sarebbe più riuscito a localizzarla e lui aveva un disperato bisogno di parlarle in quel momento, poco importava se l’avrebbe rivista all’inizio della prossima missione, lui le doveva parlare ora.
 
“Ma delle cazzo di scale non esistono qui?”
 
Frustrato scagliò un pugno alla parete d’acciaio temperato ringhiando un gemito di dolore strozzato.
Porca vacca a lui e la sua impulsività, sapeva benissimo che i livelli sotterranei del quartier generale degli Hawks erano a prova di bomba, che cazzo gli saltava in mente di…
 
Scattò non appena l’ascensore squillando si aprì e premette il tasto per il piano terra, forse se aveva un poca di fortuna l’avrebbe raggiunta in tempo.
 
 
……………..
 
 
 
“Questa si che è una sorpresa Marie…non sapevo che li conoscessi…”
“Ricordi quando prima ti ho detto che il lavoro che facevo prima non era poi molto diverso da questo?”
 
Kim allargò gli occhi azzurri spalancando la bocca stupita e colpita al contempo.
 
“Eri una di loro?”
“…lo sono stata per circa…venti minuti in tutto credo…”
“Eh?”
 
Kim aveva interrotto il suo ennesimo respiro di eccitata curiosità troncata di brutto da quella strana risposta.
In effetti, la perplessità della sua amica non era fuori luogo perché di fatto, Marie non era mai entrata ufficialmente a far parte del team degli x-men se non per quei fatidici minuti in cui ad Alkali-lake aveva pilotato il Black bird per aiutare i suoi compagni a fuggire dalla centrale in esplosione.
L’epilogo era stato funesto, Jean si era dovuta sacrificare per far partire i motori danneggiati dal suo pessimo atterraggio, e al solo ricordare quell’episodio le si stringevano gola e cuore di un senso di rimorso terribile.
Jean era morta per colpa sua, se la fenice aveva avuto il sopravvento sulla mente della dottoressa…era stata solamente colpa sua.
 
“Da come ti comporti non dev’essere stata una bella esperienza…”
 
Kim era un’agente super esperta e conosceva benissimo il linguaggio del corpo, in quegli istanti in cui Marie aveva indugiato sui ricordi passati lei aveva scrutato ogni sua espressione facciale, le palpebre serrate e tremanti erano un chiaro simbolo di dolore, la bocca morsa e gli scatti del viso indicavano pena.
 
“No…quegli anni assieme a loro sono stati la mia rinascita come persona…” le donò un sorriso sereno “…è che non ero fatta per quel mondo forse, ho deciso di andarmene ed è stato meglio così per tutti…ho trovato te e gli Hawks, ho trovato il mio posto ed il mio senso nella vita….non potrei chiedere di meglio…”
 
Kim avrebbe voluto rinfacciarle la sua abilità nel dedurre le menzogne ma non lo fece, se Marie stava mentendo a sé stessa doveva esserci un motivo più che serio, forzarla ora a ritrattare le sue parole sarebbe stato crudele.
Tempo al tempo si disse e fece la sua domanda successiva.
 
“Quello che hai chiamato Logan…è rimasto imbambolato come un tonno a fissare la porta dopo che te ne sei andata…sai, ho collaborato con lui molte volte dal momento che me lo affidavano come guardaspalle, ma non sono mai riuscita a chiedergli nulla, la sua faccia perennemente incazzata mi ha sempre spaventata…”
“…nh…è sempre stato così credimi…”
“Già…e gli altri invece? Puoi parlarmene?”
 
Ci pensò un po’ su, ma alla fine Marie si convinse che se tralasciava di dire nomi in codice e poteri vari, poteva benissimo parlare di loro a Kim.
 
“Dunque, la donna più grande, quella coi capelli platino è il capo team si può dire…è una persona meravigliosa e comprensiva, Logan è il secondo in comando anche se crede di poter decidere sempre tutto lui, è forte coraggioso , non conosce la paura e se sono viva oggi lo devo unicamente a lui…” pensò brevemente anche a Nightcrawler, ma se le raccontava che era stata salvata da un teleporta a più di 2000 metri d’altezza mentre il Black bird precipitava poteva dire addio ad i suoi buoni propositi di copertura…rise tornando a concentrarsi sulla risposta. “L’altro ragazzo è Bobby…beh lui…”
“…è il tuo ex!”
 
Scattò a guardare Kim, cazzo ci prendeva sempre su queste cose, molte volte, quando guardavano film o telenovela o qualche film romantico era sempre la prima a capire che piega avessero preso le relazioni amorose all’interno del film, anche sul gossip non se la cavava male, ma quel pensiero ora non aveva senso.
 
“…si, ora sta con…”
“Quella con la coda che è sbiancata appena ti ha riconosciuta? Ho visto le loro espressioni colpevoli, se avesse potuto sarebbe sparita sotto terra dall’imbarazzo.”
 
Rise di nuovo, aveva avuto la stessa impressione e il pensiero che avrebbe potuto farlo davvero la fece ridere ancora di più, chissà cosa l’aveva trattenuta dall’usare il suo potere.
 
“Quella dalla fisionomia asiatica mi sembra a posto…”
“Jubilation Lee, la mia mi…” si trattenne dal dirlo, Jubilee era stata una delle prime a voltarle le spalle, probabilmente non lo aveva fatto con cattiveria ma, si era tirata fuori dalla sua vita con un silenzio ed un indifferenza da paura. “…si, è a posto anche lei…”
 
Di nuovo pena e dolore, Kim sospirò e decise di cambiare argomento.
 
“Mi dai uno strappo a casa?”
“Certo, vado a prendere la moto, ti aspetto al solito posto ok?”
“Il tempo di farmi la doccia e arrivo…”
“Se te la facevi mentre parlavamo era meglio!”
“Quando si parla io ascolto! A dopo!”
 
Dicendo ciò, Kim tirò la tela bianca che separava le docce dello spogliatoio femminile mentre Marie, tossendo un sorriso indossò la sua giacchetta in pelle bianca da motociclista afferrando borsa ed occhiali, era notte e non li avrebbe indossati, ma l’indomani le sarebbero stati utili.
 
………………………..
 
 
“Merda!”
 
Uscì di corsa investendo quasi l’addetto alla sorveglianza ma una volta fuori il parcheggio era deserto.
Non avrebbe saputo resistere tutto il tempo che ci voleva per iniziare la nuova missione, lui la doveva trovare subito.
Tentennando pensò se era il caso di chiedere il suo indirizzo a qualcuno dei suoi colleghi, ma sapeva che non ne avrebbe ricavato nulla, dopo il loro scambio di battute al meeting sarebbe risultata una cosa troppo sospetta chiedere di lei.
Sbuffando un sospiro rassegnato s’incamminò verso il luogo dove avevano nascosto il black bird.
 
“Hai da accendere?”
 
Girandosi di colpo la vide. Con le mani incrociate appoggiate al manubrio ed una sigaretta spenta ciondolante dalla bocca, Marie lo stava fissando seduta su una moto da città nera e gialla.
Quell’immagine era da copertina.
Rilassandosi mosse alcuni passi verso di lei che non si mosse minimamente.
 
“…temevo te ne fossi andata…”
“Sto per farlo infatti ma non trovo l’accendino, se entro e Clayton mi vede con la sigaretta in bocca come  minimo mi spacca il culo, so che tu fumi perciò…”
“Chi ti dice che io ti faccia accendere?”
“Perché non dovresti?”
 
Dio, lo stava trattando con un distacco glaciale e crudele, come se fosse chiaro che non gliene doveva importare nulla di quello che faceva lei.
Quel tono gli fece male, molto male;
non gli si era mai rivolta con così tanta sufficienza, non lo aveva mai guardato con così tanta indifferenza, nemmeno quando allo Xavier Institute lui la incrociava e a malapena la salutava.
Rassegnato estrasse dalla tasca della divisa nera un pacchetto di minerva lanciandoglielo.
 
“Grazie.”
“Nh…”
 
La guardò sfregare la cappella del fiammifero sulla striscia ruvida, accenderlo e fare altrettanto con la sigaretta prima di scuotere il bastoncino e gettarlo nella feritoia di un tombino a grate poco distante dalle ruote della moto.
Già, la moto.
Osservò il telaio del bolide dando un calcetto con la punta al copertone della ruta anteriore.
 
“Bel mostro…”
“Un omaggio della ditta…”
 
Spostò le mani che cadevano sul mascherone anteriore rivelando sopra al marchio della casa produttrice lo stemma degli Hawks.
 
“Notevole…”
“Non quanto le moto di Scott, ma si difende bene…”
 
Sbuffò nel vederla spostare lo sguardo verso la porta d’entrata del palazzo come se si attendesse l’arrivo di qualcuno, come se quella conversazione la infastidisse.
 
“Senti Marie…”
“Nh?”
“Mi dispiace per come sono andate le cose…avrei do”
“Anche a me…”
 
Lo interruppe prima che potesse spiegarsi come se davvero non avesse più importanza. Era davvero così?
Strinse i denti  maledicendo qualche essere celeste.
Non si aspettava di certo che gli saltasse addosso lo abbracciasse e lo inondasse di baci e domande ma nemmeno si aspettava d’esser trattato così freddamente, fosse stata incazzata almeno la cosa avrebbe avuto senso, avrebbero discusso, litigato e magari fatto la pace, invece quel suo modo accondiscendente e fottutamente indifferente era in grado di togliergli persino il coraggio di chiederle perdono e chiarire le sue colpe.
Stava mettendo in soggezione lui, Wolverine!
 
Seguì come ipnotizzato la scia di luce rossa del mozzicone che fini nel tombino sentendola parlare nuovamente.
 
“Ma come ho già detto è stato meglio così….non ero più adatta a quel mondo, non era giusto rimanere…”
“Lo pensi veramente?”
“No…ma lo pensavate voi.”
 
Non l’aveva lasciata in sospeso quella frase e ciò significava che non c’era modo di ribattere a quell’asserzione, e poi, che avrebbe potuto dire? Era stato esattamente così, loro avevano sbagliato, loro l’avevano tagliata fuori, loro l’avevano ferita e tradita…loro avevano deciso di fare a meno di lei, lei aveva resistito finché aveva potuto, poi aveva reso le cose più facili e se n’era andata di sua iniziativa, era cresciuta, cambiata e…diavolo quanto era bella!
 
 
“Abbiamo sbagliato lo so, ma gli errori succedono …”
“Lo so…”
 
Quell’accondiscendenza stava iniziando a scocciarlo, perché non si incazzava? Perché non lo riempiva di insulti rinfacciandogli tutto il dolore che gli aveva inferto voltandole le spalle…perché…
 
“Devo andare.”
“Perché te ne sei andata Marie?”
 
Per un attimo, lo sguardo che gli fu rivolto fu pieno d’ira rancore e odio allo stato puro.
Uno sguardo che parlava e rispondeva da solo, sguardo che diceva se era il caso e con che coraggio avesse potuto farle una domanda simile e talmente idiota.
 
Stizzita si sedette correttamente imbracciando il manubrio mentre con una spinta decisa toglieva la moto dal cavalletto avviandola.
 
“Lo sai il perché, stronzo!”
 
Lo superò assordandolo col rombo di quel bolide a due ruote dirigendosi verso l’uscita del parcheggio per far salire la sua collega bionda, quella con la quale aveva già lavorato insieme.
Non la fermò mentre lo superava, avrebbe potuto farlo ma non lo fece.
Lo aveva chiamato stronzo. Sorrise. Le importava ancora.
 
Mordendo un sigaro già fumato a metà si avviò tranquillo al punto di raccolta per incontrare gli altri.
 
…le importava ancora…
 

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Capitolo 4
*** Tears ***


  
 
 
 
“Mi dispiace per come sono andate le cose…”
 
Incazzata come non mai sferrò un calcio al sacco da boxe della palestra sbuffando mentre saltava sul posto cercando di evitare nemici invisibili.
 
“Stronzo!”
 
Sferrò un gancio sinistro stringendo i denti per la rabbia.
 
“Perché te ne sei andata Marie?”
 
“Va al diavolo!”
 
Con una serie di calci e pugni sfogò tutta la sua collera ansimando e maledicendo quel dannato cretino con ogni insulto presente nel suo vocabolario.
 
“Come…cazzo” un pugno “Si è permesso” uno scatto a destra “Di fare la vittima…” un respiro accelerato “Quell’insopportabile”  una sfregata alla fronte per togliere le gocce di sudore “testa di ” sferrò un calcio beccando la sacca col collo pieno del piede gridando per il colpo “CAZZO!”
 
Vide un’ombra enorme avvicinarsi alle sue spalle e si girò di colpo in posizione d’attacco.
 
“Woha! Calma piccola!”
 
Hawks2 fingendosi spaventato dalla sua mossa fece un passo indietro alzando le mani in segno di resa.
 
“Clayton!”
 
Ritrovando subito la sua allegria gli saltò addosso abbracciandolo forte forte.
 
“Grazie per quello che hai fatto ieri! Sei il mio angelo!”
“E tu sudi come un cammello piccola! Scendi su!”
 
Poggiandole le enormi mani ai fianchi la scostò con un'unica mossa rimettendola a terra, Marie rise godendosi la sua pesante carezza sulla testa.
 
La prima volta che lo aveva visto ne era rimasta impaurita all’inverosimile e quando ripensava a quella notte umida d’autunno le veniva da ridere.
 
Si era trovata ad affiancarlo nella sua prima vera missione-prova che avrebbe deciso il suo futuro negli Hawks e le uniche parole che si era vista rivolgere da lui erano stati secchi ordini perentori alternati a critiche sulla sua lentezza ed occhiate gelide da incubo, non un saluto né una presentazione, solo ordini e strigliate.
 
Aveva temuto di combinare un disastro e d’esser sbattuta fuori già dal primo giorno, invece, a missione compiuta s’era vista issare di peso sulla spalla di quel gigante ed esser portata in sala meeting così.
 
“Brava piccola, ottimo lavoro.”
 
Gli occhi le si erano velati di commozione nel  vederlo sorriderle.
 
“Già, non solo non ne hai sbagliata una ma non ti sei fatta spaventare da quel suo brutto muso perennemente incazzato!”
“Sta zitto Kenton…”
“Zitto tu scimmione, fai così tutte le volte, ti stampi in faccia quel broncio terrificante e ti diverti a terrorizzare le povere reclute che ti appioppano…vergognati!”
“Hah, sei solo invidioso perché a te affiancano gli informatici brutti e grassi?”
“Fanculo Clayton!”
“Fanculo tu pezzo di…”
“…significa che?”
 
Titubante aveva interrotto il battibecco fra Hawks2 e Hawks3.
 
“Significa che, d’ora in poi quell’uniforme ti starà incollata da mattina a sera sei giorni su sette intesi?”
 
Lo aveva guardato ridere e poi lei aveva urlato di gioia e ottimismo, di una felicità che non aveva provato per mesi.
Sentiva dentro che quel posto sarebbe diventato la sua nuova casa, e così era stato.
Non aveva mai più avuto alcun rimpianto nel ripensare agli x-men ed aveva ripreso a sorridere.
 
“Sei andata in stand-by?”
 
Scosse la testa.
 
“Scusami, stavo pensando…”
“Nh?”
 
Il modo in cui Clayton sollevava il sopracciglio era identico a quello di Logan.
 
“Mi è tornato in mente il nostro primo incontro…”
“Tsk…pensi troppo al passato piccola…”
“È che mi piace ricordare…”
“Ricorderai anche la tua esclusione dalla missione a Three Miles Island se non ti dai una mossa e vai subito a rapporto dal comandante…”
“Mi ha convocata?”
“Ti aspettavi il contrario forse?”
“Hah! Beccati questa Logan!!!”
 
Clayton scattò indietro all’esultanza dell’isterica ragazzina che aveva imparato ad amare come una figlia temendo di venir colpito dai suoi pugni sferrati al vento, e in quel momento ricordò della loro scena del giorno prima.
 
“A proposito, mi ha stupito molto sapere che conosci quei ragazzi…”
“Nh? Ah, beh una volta ero una di loro…”
“Eri nel corpo d’elite?”
Rise “Si fanno chiamare così?”
 
Si fece seria all’espressione dubbiosa di lui, beh era ovvio che non dicessero in giro d’essere gli x-men, ma si erano scelti un nome un po’ da…
 
 
“Hey!”
“Ah, beh, in un certo senso vivevo con loro, mi sono allenata con loro ma non ero abbastanza…qualificata per quel genere d’elite…”
 
Mimò le virgolette con entrambe le mani spalancando gli occhi per dar maggiore enfasi alle sue parole.
 
“Ti hanno scartata? Quei figli di…”
“No, certo che no me ne sono andata io!”
“Eh?”
“Te l’ho detto, non ero adatta a loro….”
“Stronzate, saresti adatta ad ogni cosa tu, avrebbero dovuto darti una possibilità…”
“Forse”
 
S’intristì ma le passò subito.
 
“Ma se l’avessero fatto ora non sarei qui però.”
“E se non ti spicci qui ci resti in eterno!”
“Volo!”
 
Prese la sua borsa e volò a farsi una doccia.
Quindici minuti dopo, con la coda ancora umida d’acqua bussò alla porta dell’ufficio del comandante.
 
“Entra Hawk8.”
 
Lentamente abbassò la maniglia spingendo la porta che rivelò l’ufficio all’interno del quale erano già presenti Ororo Logan e…Hank?
 
“Buongiorno Signore, Hawk8 a rapporto Signore!”
 
Irrigidendosi mostrò il doveroso saluto militare al suo superiore annuendo poi in direzione degli altri presenti.
Logan la osservò per un istante prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a chi stava dietro la lucida e possente scrivania di mogano.
Ororo le sorrise dolcemente ma lei non riuscì a contraccambiare mentre Hank, senza farsi tanti scrupoli le andò incontro stringendola forte.
 
“Lieto di trovarti in forma Marie!”
“Ciao Hank!”
 
Per lui un sorriso lo trovò d’istinto.
Il comandante, dopo aver assistito a quel breve cambio di effusioni si schiarì la voce riprendendo la parole.
 
“Bene, Hawk8 immaginerai il motivo per il quale sei stata convocata giusto?”
“Signorsì!”
 
Roteando gli occhi le intimò il riposo e solo allora la vide rilassarsi e togliersi il cappello dalla testa.
Louis McLee era nel corpo degli Hawks dacché erano stati formati vent’anni prima e da semplice recluta si era fatto strada fino a sedere dietro la scrivania di quell’ufficio ed era fiero di essere la guida di quel corpo che non aveva mai fallito nessun obiettivo.
Aveva avuto moltissimi poliziotti sotto al suo comando, andava fiero di ognuno di loro e con Marie non era diverso;  lei era in gamba, matura seria e coraggiosa, inoltre aveva conoscenze che andavano ben oltre i titoli di studio che aveva conseguito scritti sul suo curriculum, c’era nel suo sguardo una luce che cambiava d’intensità a seconda del suo umore ed un sangue freddo invidiabile. Quando la vedeva ricordava sempre le ultime parole scritte da Hawk2 in uno dei suoi rari rapporti inerenti proprio alla ragazzina in questione.
 
“Missione compiuta, nessuna perdita. Grazie ad Hawk8.”
 
Se Clayton la riteneva in gamba lo era di certo per questo non aveva minimamente preso in considerazione l’obiezione rimostratagli dal vice del corpo d’elite e l’aveva ammessa nella squadra d’azione.
 
Era stata una sorpresa per lui scoprire che Marie conosceva quelle persone dal momento che  persino lui che era a capo degli Hawks aveva su di loro informazioni ristrette, sapeva che erano affidabili e in gamba ma non era in grado di mettersi in contatto con loro semmai ce ne fosse stata la necessità, non sapeva di che razza di tecnologia potessero disporre e cosa ancora più assurda non concepiva l’utilità di quelle loro assurde tute.
 
Resosi conto del lungo silenzio che aveva imposto perdendosi nelle sue riflessioni si schiarì la voce riprendendo parola.
 
“Siamo qui per delineare una strategia d’attacco, prego Miss Monroe.”
 
Ororo si alzò in piedi e distribuì a ciascuno di loro un dossier contenente informazioni, mappe e obiettivi principali.
 
“Per prima cosa ci preoccuperemo di come arrivare;  evidenziato in rosso c’è il tragitto che compiremo col nostro Jet, non è né pericoloso né scontato, abbiamo rilevato una debole attività radar quindi presumiamo che stiano all’erta…”
“Come farete a giungere sull’isola non visti allora?”
“Attiveremo la modalità stealth e ci procureremo un’ adeguata copertura, non avremo problemi.”
 
Marie bofonchiò qualcosa fra sé attirando l’attenzione di Logan.
Le era stato raccontato che quando erano andati a liberarla dalla macchina di Magneto la nebbia apparsa d’improvviso in cielo era stata opera di Tempesta.
 
“Una volta sopra l’obiettivo le squadre designate si caleranno con delle corde e raggiungeranno le entrate due quattro e sei mentre due di noi si dirigeranno alla sala di controllo per disattivare il sistema di sorveglianza.”
“Bene…chi agirà sul sistema?”
 
Ororo non era sicura di chi avrebbe potuto mandare, i ragazzi del team erano indispensabili alle porte d’accesso, Hank, che fra loro era quello che meglio s’intendeva di tecnologia sarebbe rimasto in volo sopra l’isola ai comandi del Jet e lei voleva a tutti i costi andare alla ricerca dei bambini tenuti prigionieri.
Logan rimaneva fuori e avrebbe coperto le spalle all’uomo affiancato loro dagli Hawks che alla fine e senza tante sorprese si era rivelata essere proprio Rogue.
Ma non era certa di poter lasciar lavorare quei due insieme, Logan non capiva un accidenti di computer e sistemi vari e Rogue…
 
McLee approfittando del silenzio di Monroe prese parola.
 
“Hawk8 ha ottime conoscenze tecniche, andrà lei.”
“Bene!”
 
Marie non si scompose e sfogliò immediatamente la cartella fino a giungere al paragrafo che conteneva le informazioni sul presunto sistema in uso.
 
“Un D002, sistema abbastanza obsoleto ma valido, se le indicazioni non sono errate tutta l’energia è fornita dal reattore 2 ancora funzionante, non dovrebbe essere difficile metterlo fuori uso, basterà che qualcuno tranci i cavi del quadro di controllo ed il mio lavoro sarà semplicissimo, dalla sala comandi disattiverò la batteria di riserva e in dieci minuti sarà tutto risolto…”
“Bene!”
 
McLee sorrise soddisfatto dall’intervento di Marie.
 
“Come saranno suddivise le squadre?”
“Drake e Pryde all’entrata due, Io e Lee saremo alla sei mentre alla quattro ci andranno Poitr e Leblau…tu Ro…ehm Marie andrai con Logan…”
“….”
 
Logan la osservò dritta negli occhi sfidandola a controbattere.
 
“Ottimo piano ‘Ro…chi meglio di lui può tranciare le cose?”
“Marie…”
 
 
Ad entrambi tornò in mente la prima notte all’Istituto quando lui svegliatosi di colpo dall’incubo l’aveva trafitta al petto.
Che stronza era stata a ricordarglielo ma in sua difesa poteva dire che non aveva affatto pensato a quello nel parlare se non quando lo sguardo ferito di lui e la sua voce l’avevano sfiorata.
Lei si riferiva a come aveva tranciato la loro amicizia, la loro unione e la promessa che le aveva fatto sul treno.
Sbuffando si alzò in piedi.
 
“Quando cominciamo?”
“Prima è meglio è, ma non dobbiamo cadere nella trappola della fretta, Hawk8, andrai a fare delle prove tecniche col simulatore informatico da basso da Kenton, la partenza è prefissata per domani sera alle 11.”
“Bene, se non c’è altro…”
 
Il comandante capì al volo che lei aveva bisogno di andarsene da li, tutto ad un tratto l’atmosfera si era fatta densa e grave.
Si girò a guardare l’uomo chiamato Logan, la sua espressione sebbene fosse tornata indifferente nascondeva negli occhi alcune tracce di delusione.
 
“Puoi andare Marie.”
“Signorsì!”
 
Di nuovo il saluto militare ed un muto cenno per loro.
 
 
 
 
Era stata calma nell’entrare, pacifica nel parlare e diplomatica nell’accettare le condizioni della missione.
Tutto era andato benissimo finché non se ne era uscita con quella gran bastardata del trafiggere le cose.
Trafiggere lei aveva inteso quella piccola….sospirò seguendo in silenzio Ororo e Hank fuori dall’ufficio.
Questa volta non l’avrebbe seguita oh no…certo che no, lui la sua parte l’aveva fatta e lei gli aveva sputato sopra.
Discorso chiuso.
 
Infuriato deviò verso l’uscita lasciando a Tempesta e Hank il compito di definire gli ultimi dettagli della missione.
 
Discorso chiuso un cazzo!
 
Lo pensò talmente forte che udì la propria voce incazzata come se avesse parlato sul serio.
 
“Uhm…Logan?”
 
Si appoggiò al muro dell’edificio sovrapponendo il piede sinistro al destro incrociando anche le braccia.
Per un attimo gli venne voglia di accendersi un buon cubano, ma incazzato com’era non lo avrebbe gustato al meglio.
 
Incerta Marie mosse alcuni passi verso di lui che col volto chino si rifiutava di guardarla.
Era offeso, lo capiva benissimo.
 
“Mi dispiace per quello che ho detto, non intendevo… io, alludevo agli artigli…”
 
Rise imbarazzata non ottenendo però da lui alcuna reazione.
Scoraggiata tentennò indecisa se avvicinarsi o meno.
Ancora niente.
 
Sospirando fece retrofronte tornando dentro.
 
“Fa male”
“Nh?”
 
Si girò a mezzo busto, subito.
 
“Finché mi chiami stronzo va bene ma se mi ignori…se mi rinfacci quello che…”
“Ma non mi riferivo a quello! Io…”
 
Voltandosi completamente tornò sui suoi passi arrivandogli di fronte bloccandosi però nel vedere i suoi occhi.
Delusi.
Li aveva visti così solo dopo che era tornato dalla missione ad Alcartaz quando aveva dovuto uccidere Jean e quando era tornata lei…curata.
 
Pensando a quello le tornò in mente il suo comportamento e a quanto l’avesse ferita.
Le venne da essere cattiva.
 
“Quindi solo tu puoi ignorare e rinfacciare giusto?”
 
Lui sembrò riprendersi e cambiò espressione.
 
“Ti ho già detto che mi dispiace Mar-”
“L’ho fatto anche io Logan, quindi tutto a posto?!?”
“TUTTO A POSTO UN CAZZO MARIE!”
 
Si staccò dal muro espirando la rabbia accumulata abbassando il tono della voce.
 
“Tu fai l’accondiscendente per smorzare il discorso e chiuderlo li, dici che va tutto bene ma è chiaro che non è così e, Cristo Marie, non mentire perché so benissimo che ce l’hai con noi, con me ma …”
“Ma cosa? Pensi davvero che bastino due scuse una litigata e il tuo essere così remissivo per sistemare tutto? No, NO e NO!!!”
“…”
“Non me ne frega un corno se ti dispiace, se vuoi chiedermi scusa o cosa diavolo hai in mente! Quei mesi per me sono stati un incubo, un’agonia….prima Bobby, poi Jubilee e alla fine anche tu mi hai voltato le spalle, se me ne sono andata e stato perché non ne potevo più, ho fatto una scelta e ci sono rimasta male ma poi me la sono anche fatta passare!”
 
Si girò annuendo in direzione del quartier generale degli Hawks.
 
“Qui ho trovato il mio posto, un luogo dove vado bene e non mi scartano come un rifiuto quando dico o faccio qualcosa che va contro quello che pensano loro e sai una cosa? Va bene così! ”
 
Una lampadina si accese nei pensieri di Logan, lei lo provocava? Lui avrebbe fatto lo stesso.
 
“Va bene così?”
“SI, VA BENE COSI’! discorso chiuso!”
“…e dimmi….loro lo sanno che eri un mutante?”
 
Lei sbiancò mentre lui sorrise di un ghigno furbo e anche un po’ cattivo.
 
“Pensi che se ora tu entrassi lì dentro  dicessi loro,  hey gente vi ho mai detto che ero un mutante, no? Ma tanto va bene così vero?! Perché tanto voi non mi buttate come un oggetto inutile, mi volete bene, siete miei ami…
 
Si fermò.
Smise di gesticolare ed imitare una bambina sciocca solo quando la prima delle sue lacrime cadde a terra frantumandosi in mille goccioline di dolore.
Smise anche di pensare quando un singhiozzo le scappò dalle labbra in fremito che non ne volevano sapere di rimanere ferme.
Smise di gettarle addosso veleno e dubbi accorgendosi dell’arrivo dell’uomo che lo aveva chiamato ragazzino il giorno prima; arretrò giusto quel tanto che era necessario per schivare un gancio destro che, fattore di guarigione o meno, lo avrebbe steso come minimo mezza giornata.
 
“Se hai finito con le tue cazzate puoi anche andare…”
 
Non obbedì a quel’ordine e Clayton,  non si preoccupò di avanzare oltre.
Posò una mano sulla spalla di Marie e la fece voltare accompagnandola dentro senza nemmeno più voltarsi, neanche quando aggiunse le sue ultime parole.
 
“Se ti becco di nuovo a farla piangere, elite o no giuro che ti scanno!”
 
Poi lo sentì rivolgersi a Marie e cercare di calmarla, lo sentì chiamarla piccola e vide lei appoggiarsi a lui e piangere come non l’aveva vista fare mai.
 
 
 
 
 
Battendo il pugno contro la parete si insultò cento volte contemporaneamente.
 
“Merda!”
“Si Logan…merda!”
 
Non riuscì nemmeno a stupirsi dell’espressione colorita di Ororo, accettò la ramanzina sia da Hank che da lei e a capo chino li seguì alla macchina.
In mente il volto in lacrime di lei.

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Capitolo 5
*** no longer here ***


  
 
 
 
Le porte scorrevoli alle sue spalle si aprirono lasciando che un’improvvisa folata d’aria fresca le carezzasse la schiena.
Era chiusa in quella sala da ore e l’aria si era fatta carica e pesante e….bollente.
Un camice bianco spuntò da dietro le sue spalle quando un volto le si appoggiò quasi alla spalla.
Non si ritrasse ne diede segni di fastidio, sapeva benissimo di chi si trattava.
 
“Stai facendo un ottimo lavoro Marie!”
“Mh…”
 
Annuì distratta mentre con velocità impressionante inseriva codici e istruzioni nel programma che stava utilizzando per creare un worm in grado di annientare il D002 della centrale.
La cosa difficile era che, trattandosi di un sistema vecchio di anni era impensabile di attaccarlo con un virus di livello avanzato, i seppur deboli sistemi di sicurezza lo avrebbero subito riconosciuto e l’allarme sarebbe scattato immediatamente, se invece si costruiva un worm secondo i vecchi criteri la cosa era già più fattibile, certo, bisognava assemblarlo da zero e andare a recuperare se non creare a ex-novo i codici coi quali si programmavano quei sistemi ormai obsoleti e sperare che la simulazione desse i frutti sperati sennò era da delirio e si doveva ricominciare tutto da capo, con nuovi codici nuove idee e… il lavoro diventava stressante snervante e…noioso.
 
“Va a rilassarti un po’, continuo io qui…”
“Grazie ma no, se adesso cedo con che faccia mi presenterei domani sera?”
“Ti ricordo che siamo una squadra qui; d’accordo che tu sarai l’unica che parteciperà  attivamente alla missione, ma io, Clayton Kim e tutti gli altri rimarremo qui a darti una mano come potremo quindi non farti problemi ok?”
“…lo so, è che loro saranno già alla base ad allenarsi, mettere a punto una strategia da fighi  con la quale domani mi faranno sentire un’inetta totale e io…”
“Marie?”
“Io non sono brava quanto loro, non lo sono mai stata e non lo sarò mai, per questo almeno il mio unico e semplicissimo compito lo voglio svolgere da sola per dimostrar loro che posso essere utile che… “
 
Si tolse gli occhiali gettandoli accanto alla tastiera del computer massaggiandosi le tempie rigate dal riflesso dei codici sullo schermo del monitor.
La stanza era in ombra e le lunghe ore di sessione le avevano fatto montare un fastidioso mal di testa.
Kenton girandosi sulla sedia da computer appoggiò un gomito sul bordo del tavolo soffermandosi ad osservarla.
 
“Che puoi, o che potevi esser loro utile?”
“?”
 
Di scatto aprì gli occhi guardandolo imbarazzata, come se fosse stata una bambina beccata a rubare i biscotti appena sfornati o colta sul fatto mentre combinava qualche guaio.
 
“Non preoccuparti, è tutto a posto.”
“Io….”
“Non so come siano andate le cose fra te e quel gruppo di mercenari, ma è normale che se sia rimasta qualche faccenda in sospeso tu abbia tutta questa voglia di sistemare tutto…”
“Fosse così facile però; io li ho delusi per prima, se non avessi cambiato il mio modo di essere non sarebbe accaduto niente, sarei ancora con loro e tutto andrebbe nel verso giusto e…”
“…e tu saresti a posto con te stessa?”
“Eh?”
 
Kenton era famoso alla base per la sua saggezza e comprensione.
Sebbene non fosse per nulla vecchio i suoi modi di fare riuscivano a dare sicurezza a tutti, lì alla base era lo psicologo della compagnia, quello che sapeva ascoltare e consigliare, quello che non ribatteva mai le scelte altrui benché fossero state prese con convinzione ed era quello che più la aiutava a sentirsi a posto con sé stessa; non l’aveva mai giudicata quando all’inizio faceva la ritrosa limitandosi a fornire solo le informazioni essenziali sul proprio conto e non l’aveva mai trattata in maniera diversa dagli altri solo perché era la novellina del gruppo e quella con meno esperienza sul campo.
Sostenendo il suo sguardo sereno negò alla domanda che le era stata fatta prima, abbassando il viso scoraggiata.
 
 “Ti dirò solo una cosa Marie, certe volte è molto meglio perdere una parte del proprio passato per premettere al futuro di delinearsi ed essere pronti ad affrontarlo nel migliore dei modi…”
 
Schiuse gli occhi colpita dal reale significato di quelle parole e già preparata a quelle che ne sarebbero seguite.
Kenton dal canto suo tornò a digitare numeri e serie di codici dalla sua postazione compiaciuto di come Marie avesse incominciato l’opera.
 
“Non conosco affatto la tua situazione, ma se fossi rimasta chi ti assicura che oggi saresti soddisfatta? Stare con loro e reprimere le proprie aspirazioni solo per paura che se fossi stata diversa non ti avessero voluta più, chi desidererebbe mai vivere in questa maniera privata delle proprie ali, dei propri sogni e del diritto di decidere per sé?
Tu non hai sbagliato niente ma lasciandoti andare via sono stati loro a commettere l’errore più grosso di sempre e ora vedendo la donna meravigliosa che sei riuscita a diventare con le tue sole forze se ne rendono finalmente conto perciò basta indugi, basta rimorsi e soprattutto basta voglia di rivincita….tu sei perfetta e domani farai un figurone credimi!”
 
Sorrise sbuffando fuori tutto il nervosismo commossa da tanta considerazione, in meno di due giorni due dei principali membri degli Hawks avevano preso le sue difese e non avevano problemi a palesare ciò che pensavano di lei.
 
“Grazie Ken…”
“Ora sul serio, va a farti una bella dormita, io continuo ancora un paio d’ore poi carico tutto così per domani mattina il worm sarà pronto e lo imposteremo assieme ok?”
“Sei sicuro?”
“Sicuro, d’altronde sono appena arrivato e sono bello fresco e riposato inoltre voglio un po’ di merito sennò alla prima occasione McLee mi caccia in pensione e mette te a capo del settore informatica del corpo accidenti!”
 
Rise assieme a lui alzandosi e dirigendosi all’uscita.
 
“Notte Ken”
“Notte Marie.”
 
 
…….
 
 
Scaricare la piantina della centrale e renderla usufruibile nella Danger Room non si era rivelata per nulla una cosa difficile da fare.
Avevano utilizzato i satelliti della NASA, infiltrandosi nei sistemi del corpo orbitale  grazie alla proverbiale arte di Hank, e una volta ottenuto ciò che volevano avevano caricato le piantine nel programma di simulazione che lo aveva reso tridimensionale e realistico, con corridoi da imboccare scalinate da salire o scendere, tetti da conquistare ed entrate da presidiare.
 
La cosa difficile fu invece concentrarsi sulla propria missione e muoversi all’interno della base con precisione millimetrica.
Si erano infatti allenati con l’handicap di un sistema di allarme super tecnologico composto da telecamere di ultima generazione prive di alcun punto cieco e di dispositivi di rilevamento al laser e di movimento.
 
Inutile dire che quella che aveva avuto meno problemi di tutti era stata Shadow cat.
Bobby se l’era cavata bene anche contro i dispositivi termici sfruttandola propria capacità per abbassare la temperatura corporea ma accidentalmente aveva interrotto il flusso del laser e l’allarme era suonato.
 
Jubilee era stata la prima ed esser stata eliminata poi era stato il turno di Gambit , di Ororo e se non fosse stato per la sua fortuna sfacciata anche lui, Logan sarebbe stato messo da parte dalla simulazione.
 
Per puro caso invece, nello stesso momento in cui lui veniva captato dai sensori termici del sistema di sicurezza, Colosso aveva centrato la visuale della videocamera e il trillo della sirena aveva decretato la squalifica per il russo.
Scendendo dall’ologramma della centrale che si andava polverizzando Logan raggiunse tutti gli x-men con un’espressione per niente soddisfatta in viso.
 
“Ragazzi mi dispiace proprio dirlo ma siamo messi male, manchiamo di concentrazione di coordinazione e siamo talmente distratti che anche se non ci fosse alcun sistema di sicurezza verremo avvistati già dalla partenza…”
“Wow, che bell’incoraggiamento!”
“Non siamo ad una partita di football Yellow-girl e né io né Ororo abbiamo i pompon quindi fai poco la spiritosa e mettiti in testa che questa è una cosa seria oppure rendici le cose più facili e togliti di torno!”
 
Dall’alto della sua super mega botta di culo Logan si permise di far la predica a quelli che avevano fallito ma sapeva che parte di quelle parole erano state dette soprattutto per sé stesso.
Aveva la testa altrove e non riusciva a coordinare bene mente e corpo.
L’immagine di Marie non lo voleva lasciare in pace e lo inseguiva dappertutto come se fosse stata la sua punizione per averla fatta piangere.
In quel momento riuscì a pensare chiaramente quelle parole.
 
L’aveva fatta piangere.
 
Strinse gli occhi cercando di mandar via lo sguardo ferito di lei e delle sue guance rigate da due file di lacrime gemelle.
L’aveva vista piangere solo due volte, la prima sul treno e allora era stata solo una lacrima a rigarle il volto, la seconda al funerale di Scott e Xavier, poi erano stati solo sorrisi, scherzi e sguardi sereni.
 
Poi erano venuti i suoi sguardi incerti che cercavano di schivare il biasimo che lui nascondeva nei propri, la sottile speranza che non voleva abbandonare Marie di vederlo sorriderle ancora, poi c’era stata la disillusione, l’apatia e alla fine nemmeno quei due occhi spenti l’avevano più guardato dal momento che la loro proprietaria se n’era andata.
 
Erano passati due anni, lui la rivedeva e cos’erano le più belle parole che era stato in grado di sputarle addosso?
Sciocche assunzioni e dubbi crudeli e tutto per tentare di alleggerire il fardello delle sue colpe.
Io ho sbagliato, ma stai certa che se si presenterà l’occasione commetteranno anche loro il mio stesso errore.
Farle credere questo era far credere a sé stesso che aveva un’attenuante, una giustificazione un…una piccolissima ragione nell’essersi comportato da coglione.
Non era così però, e lui lo sapeva bene così ora invece che sentirsi sollevato si sentiva una merda di prima categoria.
 
“Logan”
“Nh?”
“Va al tuo posto, ricominciamo la simulazione.”
 
Annuì  arretrando fino ad arrivare nel punto preciso dove sarebbe sorto l tetto lasciando che la simulazione lo trasportasse in alto man mano che il terreno di scontro prendeva forma sotto ai suoi;  chiuse gli occhi ed attese che il sistema caricasse anche l’ologramma di colei che doveva affiancare, non riuscendo a trattenere un sospiro di rassegnato dolore nel vederla comparire accanto a lui.
 
Marie se ne stava perfettamente eretta con lo sguardo deciso puntato davanti a sé oscurato dall’ombra proiettata sul proprio volto dalla visiera del cappello degli Hawks  indossato per  tenerle i capelli alti in una coda che le usciva dalla fessura presente nella stoffa sulla nuca, le due ciocche bianche lasciate libere ad incorniciarle il viso si  muovevano rispondendo ad una brezza virtuale sfiorava solamente lei bella più del vero, perfetta e assolutamente identica a com’era diventata con quel neo che le si era accentuato un poco sotto all’occhio, piccola macchietta di un colore un poco più opaco del colore naturale della pelle dov’era meraviglioso indugiare con lo sguardo.
 
Non aveva una propria voce dal momento che era stata caricata come pedina all’interno della scacchiera del loro allenamento ma possedeva un ordine preciso ovvero quello di seguire ed obbedire solo a lui oltre che dei movimenti da eseguire non appena fossero riusciti a raggiungere il pannello di controllo.
 
Il suo compito invece era di guardarle le spalle, proteggerla da eventuali aggressioni e precederla nel tragitto da percorrere.
 
Guardandola  nella sua silenziosa configurazione non riuscì a trattenersi dallo sfiorarle quella guancia e rimase folgorato dalla reazione di lei.
Un leggero sorriso mentre voltandosi appena chiudeva appena l’occhio sotto al quale passava la sua mano.
Una reazione naturale, semplice ma meravigliosa.
 
“Cristo Santo….Marie”
 
Avrebbe voluto urlarlo invece lo sibilò stringendo quell’allucinazione che però fra le sue braccia aveva una propria consistenza sentendola aderire contro di sé, sentendo persino l’illusione del suo respiro contro il collo.
Chinò il viso e come quella volta in cima alla statua della libertà le posò le labbra contro alla fronte chiudendo gli occhi in attesa di qualcosa che ancora non sapeva.
 
“Perdonami….”
 
 
AVVIO SIMULAZIONE 01002
 
L’incanto svanì e staccandosi iniziò a comportarsi come stabilito muovendosi sul tetto da un comignolo all’altro nascondendosi dietro alle colonne per sfuggire alle telecamere dando istruzioni a Marie aspettandola, proteggendola e approfittando di ogni scusa per toccarla strattonandola per un braccio se era troppo lenta o bloccandola con una mano alla vita se invece avanzava oltre le ombre che erano la loro protezione.
 
Una volta giunti alla sala controllo sfondò la porta dopo aver neutralizzato due sentinelle e la fece entrare sbarrando la porta in modo da poter essere lasciati in pace da eventuali altri soldati.
Le si avvicinò e la guardò compiere quei gesti dettati dal programma mentre man mano che i codici entravano in funzione qualcosa si spegnava fossero state le luci, gli schermi che mostravano il video delle sorveglianze o le sirene stesse.
 
Dall’unico schermo lasciato avviato seguiva attentamente le simulazione delle altre tre squadre, quella di Bobby e Kitty non aveva fatto più alcun errore, Ororo e Jubilee erano arrivate con successo alle prigioni mentre Colosso e Gambit stavano già aiutando i primi prigionieri ad uscire dall’edificio.
 
“Ottimo lavoro”
 
Si concesse quel pensiero prima di tornare a seguire i movimenti di Marie.
La precisione con cui le sue dita toccavano i vecchi tasti del pannello di controllo era millimetrica, ogni suo movimento era perfetto, studiato ad arte, impostato dal programma in maniera impeccabile.
 
All’ultimo click ogni rumore nell’edificio cessò.
 
Abbassando le pupille controllò il timer concesso dal programma di allenamento.
15’e 24’, un ottimo tempo!
 
SIMULAZIONE CONCLUSA CON SUCCESSO
 
La voce femminile del programma avvertì del compimento dell’esercitazione e decretò il conto alla rovescia per la disgregazione dell’area.
10 secondi.
Aveva ancora dieci secondi prima che Marie svanisse da davanti a sé.
 
Non pensò ad altro e scostandosi dal pannello si mosse verso di lei, immobile come un manichino in attesa d’esser sgretolata in mille particelle di nulla.
 
La sfiorò come aveva fatto prima guadagnandosi nuovamente la sua muta attenzione, poi, maledicendosi per l’assurda idea si chinò riuscendo quasi ad arrivare a sfiorarla prima che le sue labbra incominciassero a sfumare via come soffioni allontanati dal vento.
 
Si rimise in piedi indietreggiando furioso.
Cosa diavolo gli era venuto in mente? A cosa cazzo stava pensando perché…non era riuscito a sfiorarla?
Anche se si trattava di un ologramma le sue labbra dovevano esser state dolci calde e morbide, perché cazzo quel sistema aveva cancellato lei per prima anziché le sentinelle o le pareti o il soffitto o…
 
Incazzato e frustrato camminò verso l’uscita ormai divenuta polvere inconsistente fino a raggiungere i cuoi compagni di team.
 
“Ottimo lavoro!”
 
Non si fermò e avanzò superandoli puntando direttamente agli spogliatoi, era inutile dirigersi alla sala monitor, li avrebbe trovato Hank a manovrare il tutto, non lei col suo asciugamano bianco pulito e ben piegato accanto ad una buona e gelida birra e il taccuino degli appunti.
 
Doveva mettersi in testa una volta per tutte che lei non faceva più parte di quella loro realtà.
 
 
 
 
 
Grazie ad Utena76 e asia87 nonchè a tutti voi che leggete!! ^w^

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Capitolo 6
*** Three Miles island ***


  
 
 
 
 
 
Quando alla sera del giorno dopo scesero dal portellone del Black bird la trovarono appoggiata al muro di cinta del campo in cui si erano dati appuntamento.
Logan, che apriva la fila fu il primo a scorgerla a circa una ventina di metri dall’aereo;  era seduta sul muretto appoggiando la spalla alla rete metallica che recintava tutto, una gamba era piegata ed il suo piede era ben poggiato al muro  mentre l’altra stava ben piantata a terra.
In bocca l’ennesima sigaretta con la quale si divertiva a fare le ciambelle di fumo.
A terra, a pochi passi dal suo piede stava una borsa nera e ben tesa, segno che era stata riempita per bene.
 
“È sola?!? ”
 
Ororo rimase delusa, il piano comprendeva solo lei nel team d’accordo, ma almeno qualcuno dei suoi avrebbe potuto accompagnarla no?
 
“Marie?”
“Presente…”
 
Levando il braccio destro  appoggiato al ginocchio piegato, strinse la sigaretta fra pollice ed indice facendola schizzare via nel buio oltre i fori della rete di recinzione.
 
“Nh?”
 
Con uno scatto si allontanò dal muretto, raccolse la tracolla nera e si mise in piedi trovandosi finalmente di fronte il suo ex team.
Li guardò con calma uno per uno indecisa se salutarli singolarmente o no, optando per la seconda opzione levò la mano destra annuendo col viso.
Sorridendo mosse qualche passo verso di loro, odiava fare l’ipocrita ma quella situazione era particolare.
Non se la sentiva ancora di parlare con loro, era troppo strano e poi non le venivano in mente argomenti intelligenti.
 Quando Kenton l’aveva congedata quella mattina era tornata a casa e buttandosi a letto aveva passato ore ed ore a rimuginare su un possibile pretesto di dialogo con i suoi ex compagni ma ogni domanda che le veniva in mente sottintendeva il fatto che se ne fosse andata.
Non voleva fare la figura della patetica ragazzina che rinfacciava loro qualcosa rivangando il passato perciò aveva deciso che avrebbe fatto la disinteressata, li avrebbe salutati con cortesia e una volta  a bordo del bird se ne sarebbe stata tranquilla in un angolo a fingere di lavorare con qualche apparecchio per farseli stare alla larga.
 
“Gli altri?”
“Altri?”
“Voglio dire, non ti hanno accompagnata?”
 
Marie guardò Ororo perplessa, riuscendo col suo silenzio a farla innervosire.
 
“Da qui alla base sono dieci minuti di strada e con la moto ci metto un attimo non ho bisogno della scorta…”
 
Scosse la testa interrompendo la sua risposta incrociando gli occhi di tutti gli altri x-men.
Li conosceva tutti a parte uno che probabilmente era entrato nel team dopo che se n’era andata.
Era abbastanza alto, coi capelli leggermente lunghi e scompigliati e due occhi che avrebbero incantato chiunque dentro quel viso ruvido e ben definito che mostrava un’espressione carismatica.
Doveva essere Leblau  o Lebou ora non ricordava esattamente cosa aveva detto Ororo il giorno prima, e a conti fatti aveva ben poca importanza.
 
Avanzò passando fra Logan ed Ororo nel più totale dei silenzi.
Si sentiva osservata e questo la metteva a disagio.
Cominciava a pentirsi di non aver permesso a Clayton di accompagnarla, ma conoscendolo avrebbe finito con l’azzuffarsi con Logan e lei voleva dimostrare a lui ma soprattutto a sé stessa che era in grado di sopportare la loro compagnia senza sentirsi impacciata cosa che però non le stava riuscendo affatto.
 
Voltandosi si dipinse in viso un’espressione scocciata.
 
“Beh?”
 
Alzò i palmi incitandoli a darsi una mossa.
 
“Va pure avanti Rogue, la strada te la ricordi…”
 
Roteando gli occhi proseguì senza badare alle parole di Logan che nel frattempo si era avviato seguito dagli altri.
Se ci fosse stato Clayton l’avrebbe messo a tacere quel….quel….
Sbuffò salendo sulla rampa del portellone abbassato.
 
Quando questi si chiuse e dopo che tutti si furono accomodati ai loro posti l’aereo decollò nel più totale dei silenzi.
Senza degnare nessuno di ulteriore attenzione Marie aprì la propria borsa estraendo l’auricolare della radiotrasmittente mettendoselo all’orecchio.
Quello era l’unico collegamento che aveva con la base degli Hawks, la sua salvezza, il suo coraggio.
Estrasse un mini computer e accendendolo avviò il programma che aveva creato con Ken, i cavi che avrebbe dovuto collegare al pannello della centrale stavano al sicuro e pronti all’uso in una delle sue tasche dei pantaloni.
 
Il mormorio dei suoi compagni faceva da sottofondo al silenzio che aleggiava a bordo, ogni tanto sentiva Hank dare informazioni sulla loro posizione e il tempo rimanente all’arrivo mentre Ororo ripercorreva il piano assicurandosi che tutti fossero pronti, lei dal canto suo ripassò i punti principali del suo compito mentre distratta osservava il pavimento d’acciaio sul quale poggiavano i suoi piedi.
 
Poi un’ombra occupò la sua visuale costringendola a guardare davanti a sé.
 
“Bonsoir chery, nous n'avons pas encore présenté…mon nom est Remy Lebeau…”
 
Scettica, gli strinse la mano  prima di presentarsi a sua volta.
 
“Je suis Marie, j'ai le plausi Remy….”
 
Lui sorrise sedendosi accanto a lei.
 
“Chiamami Gambit chery…”
“…sempre Marie…”
“Ma prima Logan ti ha chiamato Rogue…”
 
Seguì la direzione in cui Gambit aveva annuito e dove Logan stava seduto.
Non s’era accorto d’esser fissato da lei preso com’era nel parlare con Jubilee e nemmeno volle che se ne accorgesse tornando velocemente a concentrarsi su Remy.
 
“Ora è Marie.”
“Nh…all’Istituto il tuo nome è famoso, ti conoscono tutti persino le nuove reclute…da quando sono tornati l’altra sera dalla missione ed è uscita la novità del tuo ritrovamento a casa non si parla d’altro, sono tutti curiosi e…”
“Heh, si parla più di me adesso di quando ero presente…”
 
La sua risposta lasciò perplesso Remy.
 
 “Non ci badare e dimmi piuttosto, da quanto fai parte degli x-men?”
“Poco meno di un anno…ho rincontrato per caso Logan a Manhattan e mi ha convinto ad unirmi al team…”
“Lo conoscevi già da prima?”
“Si, lui non se lo ricorda, ma l’ultima volta che ci siamo visti eravamo proprio a Three Miles Island, anche allora era un laboratorio clandestino ma credevo che dopo il disastro combinato da  Logan fosse andato tutto distrutto,  evidentemente mi sbagliavo…”
“Lui lo sa questo?”
“Glielo ho detto ma non se lo ricorda, ‘Ro ed Hank credono che potrei essere d’aiuto dal momento che ci sono già stato, per questo mi hanno inserito in squadra…”
 
Annuì sperando che avesse finito ma l’espressione che gli si era dipinta in volto diceva tutt’altro.
 
“…sono contento di poterti conoscere finalmente, sono state dette così tante cose su di te che avevo finito col crederti leggenda…”
“Quando l’oggetto dei discorsi non c’è si finisce sempre con l’esagerare…”
“Non è il tuo caso chery…”
 
Fingendosi seccata scattò a guardare oltre il piccolo finestrino laterale, le nuvole di nebbia che celavano il bird dal mondo non impedivano a lei di vedere le luci della città che stavano sorvolando, Harrisburg forse, la capitale della Pennsylvania, e questo significava che erano praticamente già arrivati, Three Miles Island non poteva essere lontana.
Scrutò un poco più lontano e notò che le luci notturne subivano un taglio netto di buio.
Quello era il fiume Susquehanna, l’isola si trovava li.
 
Un sospiro estraneo al suo le ricordò di non essere sola, tornò a guardare Remy che intanto aveva preso a giocherellare con un mazzo di carte.
Lo squadrò bene, era piuttosto giovane, certo non suo coetaneo ma nemmeno doveva avere la stessa età di Logan, chissà come si erano conosciuti.
 
Sorrise lanciando uno sguardo a Logan che a quanto pare era riuscito a trovare un tassello importante nell’intricato puzzle della sua memoria infranta, ritornare in un luogo del suo passato magari l’avrebbe aiutato a ricordare.
 
Lo schiocco della gomma di Jubilee la fece riprendere dai suoi pensieri, cavolo, si era incantata a guardare Logan e dall’espressione che aveva in viso la cosa non doveva piacergli affatto.
Senza troppa fretta tornò a guardare Gambit.
 
“Ed il tuo potere? Qual è?”
“Speravo me lo chiedessi chery…”
 
Proprio mentre questi stava per estrarre una carta dal proprio mazzo Logan lo richiamò al suo posto.
 
“Finiscila di fare il babbeo cajun! ”
 
Ridendo Remy se ne andò facendole l’occhiolino prima di tornare a sedersi accanto a Jubilee che ancora la guardava curiosa, di cosa poi lo sapeva solo lei.
Non appena la ricompensò con un sopracciglio alzato questa scostò lo sguardo imbarazzata puntandolo a terra provocando in Marie un piccolo moto di soddisfazione.
 
Se la yellow-girl pensava di poterla conquistare così facilmente si sbagliava di grosso, quando aveva smesso di parlarle e di chiamarla per le uscite del giovedì sera lei si era sentita da schifo, esclusa e dimenticata, tradita da quella che fino al mattino di quel giorno maledetto si era professata a pieno titolo la sua migliore amica; strinse gli occhi assaporando nuovamente il veleno della rabbia e dell’umiliazione provati, no, non gliela avrebbe fatta passare liscia, non avrebbe perdonato nessuno di loro.
 
‘rie?
 
Scattò nel proprio sedile spaventata dalla voce che d’improvviso le era squillata in testa.
 
Portandosi il dito indice all’orecchio pigiò il pulsante d’accensione dell’auricolare.
 
“Clay?”
“In carne, muscoli potenza ed ossa…” lo sentì ridere alla sgridata di Kenton che gli diceva di smetterla di fare il cretino “…tutto bene?”
 “A meraviglia…siamo a dieci minuti dall’obiettivo più o meno…”
“Nervosa?”
Sbuffò capendo che la domanda non era inerente alla missione, ma a come si poteva sentire. “No”
“Bene, brava. Se hai bisogno fai un fischio, noi ci siamo tutti qui e ti teniamo d’occhio!”
 
Rise nell’ascoltare i commenti in sottofondo dei suoi compagni di squadra, in particolare quello di Kim le fece piacere.
 
“Di a Kim che lo farò…”
“Ne siamo tutti convinti! Ciao!”
“Passo!”
 
Pigiò nuovamente il bottone di comunicazione spegnendo l’apparecchio, poi notando che gli altri erano già pronti a lanciarsi sganciò le cinture ed estrasse dalla propria borsa il paracadute in dotazione al suo corpo stringendolo bene, poi mise il computer nella tasca grande del gilet ed attese il segnale di Hank.
 
“Tutti pronti ragazzi? Bene, al mio segnale lanciatevi uno ad uno, atterrerete a pochi metri dal perimetro e da li dovrete raggiungere le vostre postazioni, cercate di lanciarvi assieme al vostro compagno in modo da non essere divisi…se avete qualche domanda fatemela ora altrimenti…”
“A posto Hank, apri quel dannato portellone!”
“Ok capo!”
 
Silenziosamente si portò di fianco a Logan preparandosi all’impatto con l’aria esterna non appena il portellone si fosse aperto.
Attese che tutti si lanciassero annuendo poi ad Hank per ricevere il permesso di andare.
Non appena lui glielo accennò lei si buttò.
Con le corde cercò di dare al paracadute la stessa traiettoria presa da Logan ma per via della forte corrente scatenata dalle turbine del bird in allontanamento questo non fu possibile.
Scandagliando velocemente la zona scelse di atterrare vicino all’unità n°2, quella che dopo l’incidente del 1979 era stata praticamente abbandonata.
 
Una volta atterrata guardandosi intorno studiò il tragitto più breve per raggiungere la sua postazione in cima al tetto.
Togliendosi il paracadute si preoccupò di nasconderlo bene dietro ad un cumulo di detriti prima di avviarsi scivolando lungo la facciata della costruzione fino a raggiungere al corpo principale della costruzione.
Guardando in alto riconobbe le sagome di Colosso e di Remy intrufolarsi senza problemi e sfruttò il percorso aperto da loro deviando una volta entrata verso i piani alti anziché giù per le scale che conducevano ai sotterranei.
 
Appena svoltò l’angolo si trovò davanti ad una specie di terrazza oltre la quale si trovava la camera di controllo.
Doveva stare attenta a percorrere quel tratto, c’erano alcune guardie e anche se sicuramente non prestavano la massima attenzione, stavano giocando a carte da quel che poteva capire, l’avrebbero comunque vista mentre attraversava quel tratto completamente illuminato e priva di copertura.
 
Aspettò il momento propizio inspirando prima di darsi lo slancio per correre e quando fu sul punto di scattare anziché avanzare si lasciò cadere a terra sbloccando le ginocchia mentre piegandosi in avanti assicurò il proprio equilibrio ai palmi delle mani e non appena questi toccarono terra alzò la gamba destra sferrando un calcio in aria alle sue spalle.
 
Colpì ciò che era sicura d’aver avvertito e sentì il contatto di un corpo contro la parete dietro la quale era nascosta.
Senza dare il tempo all’aggressore di rimettersi in piedi si voltò e gli si lanciò addosso pronta a bloccargli qualsiasi movimento.
 
Si bloccò d’istinto a pochi centimetri da tre lame.
 
Espirando abbassò lo sguardo trovandosi perforata da due occhi selvaggi.
 
“Tu!?”
“Togliti!”
 
Rilasciò con uno scatto la presa che aveva sul suo colletto togliendosi da addosso a lui controllando oltre le proprie spalle se i due guardiani avevano sentito il rumore del loro scontro.
 
Ancora giocavano. Tutto ok.
 
Si ritrovò girata, gli occhi di lui puntati nei suoi, perforanti e furibondi.
La stretta delle sue mani alle spalle cominciava a farle male.
Immobile sostenne il suo sguardo.
 
“Dove diavolo sei sparita?”
“Ho avuto delle difficoltà con l’atterraggio…il bird ha creato una corrente impossibile da gestire…”
“Mi hai fatto preoccupare dannazione!”
 
Lui preoccupato? Hah!
 
Lo guardò sfoggiando lo sguardo più gelido di cui potesse essere capace cercando di non sentire il calore che le stava nascendo nel cuore a quel pensiero.
Logan, si era preoccupato ed era ancora preoccupato per lei come quella sera che l’aveva lasciata andare quando aveva deciso di partire per prendere la Cura, quando le aveva offerto quel passaggio e le aveva parlato non da padre ma da amico.
 
Non glielo aveva mai detto, ma quel suo gesto le aveva dato ulteriore coraggio per aprire la porta d’uscita ed affrontare la prova più grande della sua vita.
 
Tentennò indietreggiando fino ad appoggiarsi con la schiena al muro che li proteggeva dalla vista nemica mentre lui dal canto suo, in silenzio la fissava aspettando che dicesse qualcosa.
 
Logan si era sempre preoccupato per lei, tranne quando, la sera che se n’era andata, aveva superato il taxi e l’aveva guardata allontanarsi in sella alla sua moto senza nemmeno provare a parlarle.
 
“Marie”
 
Chiuse gli occhi spostando lo sguardo di lato mentre nervosa si mordeva l’interno del labbro.
Quel graffio che il lupo le aveva lasciato nel cuore tuttavia, bruciava ancora.
 
“Andiamo, ho visto Colosso e il nuovo arrivato andare avanti,”
“Marie”
“Probabilmente sia loro che Ororo Jubes Kitty e Bobby saranno giunti a destinazione, manchiamo solo noi e…”
“Marie”
“…il nostro compito è quello più importante…”
 
Fece per avviarsi ma lui la trattenne stringendole il polso.
 
“Ma-”
“Dobbiamo Andare!”
“Smettila di scappare!”
“Non è il momento per”
“Oh, si che lo è…”
 
Strattonò la presa che lui strinse maggiormente.
 
“Lasciami!”
“No!”
“Non lo ripeterò…”
“Allora che farah”
 
Uno schianto e si ritrovò col muso contro il muro.
Marie lo aveva colpito talmente forte che andò a rimbalzare contro il cemento della parete con la guancia opposta a quella colpita.
 
Ruggì un lamento e nella distrazione lasciò la presa.
Non riuscì a fermarla perché si era già avviata di corsa verso l’obiettivo.
 
Sorrise malefico, gliela avrebbe fatta pagare.
Massaggiandosi la guancia graffiata dal contatto aspettò che la sua mutazione agisse richiudendo la piccola abrasione mentre aprendo la bocca roteò la mascella per alleviare il dolore del pugno sull’altra gota.
La seguì mentre in mente gli rimbombavano le parole del gigante.
 
Le erano spuntate eccome le palle a quella piccola impertinente.
 
 
 
 
 
TH
 
Grazie di cuore per le recensioni che mi han lasciato:
 
Utena76
Asia87
Puffet
 
 
…quanto mi gaso….huuu uhh huu!!!
^w^
A presto!!!
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Don't run away from me ***


  
 
 
 
 
 
 
 
Il piano era filato liscio ed avevano raggiunto la cabina di comando senza problemi, lungo il tragitto avevano messo ko le tre guardie che si erano rivelate assolutamente inadatte all’uniforme che vestivano, persino un babbeo avrebbe potuto avere la meglio su di loro.
 
Una volta chiusi dentro avevano stordito gli addetti al controllo e Logan si era messo in contatto con Ororo che assieme alle altre squadre era già in posizione;  due minuti dopo lui aveva tranciato i cavi principali dell’elettricità e Marie era riuscita ad intrufolarsi nel sistema e a disattivare il sistema d’allarme e le chiusure elettriche delle celle e già buona parte dei prigionieri erano stati portati in salvo.
Fortunatamente erano in buona salute, certo avevano freddo erano stremati e denutriti ma non presentavano ferite o alcun segno di evidente contatto con bisturi o aghi, potevano tutti camminare e in poco tempo i sotterranei vennero svuotati dei loro prigionieri.
 
 
Appoggiato al muro poco lontano dalla porta che si erano chiusi alle spalle Logan osservava Marie trafficare con cavi spine e aggeggi strani che non aveva mai visto.
A lei toccava il compito più delicato che consisteva nel manomettere e cancellare definitivamente ogni traccia o documento raccolto in quegli anni di studi deviati.
 
Schiuse gli occhi concentrandosi sul viso di lei che concentrato osservava di continuo lo schermo della plancia di comando per passare poi al piccolo palmare che teneva sulle ginocchia, le sue dita, veloci e precise digitavano comandi e codici che azzeravano file e cartelle eliminandoli per sempre.
 
Non sapeva che portasse gli occhiali e non glieli aveva mai visti addosso ma probabilmente le servivano per evitare di affaticarsi troppo.
Nella penombra vedeva ben poco dei particolari della sua figura, ma i riflessi dello schermo e la luce della pila che teneva appoggiata a terra  creavano un gioco di ombre quasi rilassante.
Quegli occhialini poi, semplici e sottili le davano un’aria matura e ancor più concentrata.
 
Sbuffando si scostò dalla sua postazione di guardia avvicinandosi a lei incantato dal rumore dei tasti schiacciati e dall’armonia con cui le sue dita si muovevano.
Gli passò per la mente il ricordo dell’esercitazione del giorno prima; quella scena era talmente identica a quella simulata dal computer della Danger Room che se non avesse sentito dentro l’adrenalina dell’essere in missione avrebbe creduto di star provando ancora le fasi del piano.
 
Stavolta invece era tutto reale, la Marie che gli stava di fronte era vera e doveva ammettere a sé stesso che si era comportata in maniera eccellente, non aveva commesso alcuno sbaglio.
 
Un lampo di tristezza gli lacerò l’animo.
Cos’era diventata? Perché pur essendole così visino la sentiva distante anni luce? Perche avvertiva attorno a lei un’aura di indifferenza e distacco?
 
“Marie?”
“Ci sono quasi…mi mancano un paio di comandi ed è fatta…”
 
Non era di quello che voleva discutere, la missione era compiuta non c’era dubbio alcuno, quello che voleva ora era di farla alzare e guardarla negli occhi e chiederle se…
 
Un lampeggio gli colorò la tempia di rosso attirando la sua attenzione verso il grande monitor scuro sul quale stava balenando un’icona.
 
“Cos’è?”
 
Marie seguì il suo cenno concentrandosi sull’icona per capire di cosa si trattasse.
Servendosi dei comandi della plancia cliccò la finestra  e la aprì scoprendo che si trattava di una specie di chat.
 
SEGNALE INTERROTTO, CI SONO PROBLEMI??
 
 
Marie si bloccò, sbiancando.
 
“Merda no!”
“?”
“…sono due!”
“Due guardie che si avvicinano?”
“Due laboratori cazzo!”
“Eh?”
“.. sono collegati, l’interruzione dell’elettricità deve aver messo in allarme l’altro centro e…porca puttana!”
“Non capisco…”
 
L’improvviso cambio d’umore di Marie lo mise in allerta, per tutta la sera era stata impeccabile a parte la piccola sfuriata di poco prima, ora invece sembrava…non agitata, ma…preoccupata, colta in contropiede.
Si fermò ad osservare con quanta velocità e sangue freddo stesse cercando la maniera migliore per agire, non si stava facendo sopraffare dalla preoccupazione e questo era un bene…
 
“Ooh!?”
“Nh?”
 
Si riscosse tornando alla realtà, Marie lo stava guardando in attesa che si spicciasse a far qualcosa.
Girò i palmi levandoli a mezz’aria, non aveva idea di cosa gli avesse detto.
 
“Leggi il nome sul cartellino del tizio accanto alla porta…”
“Eh?”
“Sbrigati!!!”
 
Fece come gli aveva detto e si chinò per girare il corpo incosciente dello scienziato.
Backer
 
“C’è scritto Backer qui…”
 
Tremando compose alcune frasi tranquillizzando chiunque si trovasse dall’altra parte della comunicazione.
 
Due secondi dopo la chat lampeggiò nuovamente, riuscì ad avvicinarsi in tempo prima che lei chiudesse la comunicazione riuscendo a leggere ciò che aveva scritto.
 
 
Tutto regolare…Backer si diverte a tormentare i prigionieri, deve aver esagerato…chiudo.
 
LOL…SEMPRE IL SOLITO, DIGLI CHE NE LASCI INTERO QUALCUNO ANCHE PER NOI =)
 
 
“Bastardi…ci scherzano pure sopra…appena vi metto le mani addosso vi faccio vedere io…”
“Marie?”
“Sssssshht! Devo immettere una falsa traccia e capire dove si trovano…questi!”
 
Puntò i palmi verso il monitor riferendosi a coloro che probabilmente tenevano d’occhio tutto.
 
“Merda!!! Avverti Ororo, mettila al corrente della situazione e dille che…”
“Fallo tu, non ci ho capito niente la confonderei e basta…”
 
Si tolse il proprio auricolare che era connesso a quelli degli altri membri del team e pigiò il bottone di chiamata prima di lanciarlo a lei.
Marie intanto era riuscita chissà come a far apparire sul mini schermo del proprio palmare una mappa tridimensionale che indicava un luogo su a nord ma non capì bene dove, le parole erano piccole e chiare e Marie troppo veloce coi comandi, le informazioni schizzavano da uno schermo all’altro come palline di un flipper e gli stavano facendo venire un gran mal di testa.
 
 
“Logan?”
“Sono Marie, senti abbiamo un problema…”
“Ti ascolto…”
“Questo posto…è una specie di magazzino…”
“Eh?”
“C’è almeno un’altra base collegata a questa, siamo stati contattati perché hanno rilevato delle anomalie e chiedevano spiegazioni, sono riuscita a guadagnare tempo e cercando di localizzare il segnale della chat ho trovato una struttura gemella a questa che ospita qualcosa tipo una trentina di soggetti X e non c’è bisogno che ti spieghi a cosa si riferisce quella parola no?”
“…che facciamo?”
“Di ad Hank di andare, tornate a casa e prendetevi cura di quei ragazzi, io cercherò di capire meglio la posizione di quest’altra struttura e poi vi farò dare le coordinate da Logan… ”
“Vuoi che ti mandi li qualcuno?”
“No! C’è già abbastanza casino qui, mi…ci arrangiamo noi, va ora…”
“…Ok, sta attenta!”
 
Senza aggiungere altro rilanciò l’auricolare a Logan tornando a concentrarsi sul problema.
Appena riuscì ad avere una traccia un po’ più precisa levò l’indice al proprio orecchio attivando l’auricolare degli Hawks, fu Clayton a risponderle.
 
“Marie?”
“Clay, siamo nella merda!”
“Dimmi che ti serve Marie!”
“Controlla cosa c’è a nord nell’Ontario alla foce del fiume Attawapiskat, sull’isola che c’è di fronte; qui rilevo qualcosa di strano collegato alla base dove siamo attualmente ma con la mia apparecchiatura non riesco a fare molto…le immagini e le mappe sono imprecise, quasi fossero manipolate e sfasate…”
“Ken! Vieni qua e cerca…”
 
Mentre Clayton ripeteva le sue parole all’esperto di informatica Marie abbandonò tutto a terra.
 
“Andiamo”
“Che? Non fai niente?!?”
“Non adesso! Se distruggo tutto gli altri si accorgeranno del nostro attacco e faranno piazza pulita di tutto, ho fatto in modo che fra circa sedici ore qui si resetti ogni cosa così avremmo il tempo di recarci da loro e annientarli, ma per fare questo devo attendere maggiori informazioni dai miei alla base quindi per ora l’unica cosa da fare è andarcene…”
“E con i prigionieri come la metti?”
“Già a posto, sulla costa ci sono alcune pattuglie in attesa di intervenire che si prenderanno cura di tutto poi lasceranno l’isola in tempo…andiamo…”
“E come ce ne andiamo se siamo a piedi?”
“Il bird non è l’unico mezzo di trasporto Logan, avanti fai due più due…ti ho appena detto che la squadra di supporto  è già in viaggio…”
 
Se la vide venire in contro diretta verso la porta d’uscita e la intercettò prendendole l’avambraccio.
 
“Hey hey ragazzina, modera i termini…”
“…hay!”
 
Le stava facendo male.
 
“Log-”
“Abbassa la cresta con me!”
 
L’avvicinò a sé di colpo ringhiandole in faccia quell’ordine e per un attimo si spaventò…possibile che fosse così incazzato? Lei non gli aveva fatto assolutamente nulla e lo schiaffo di prima se l’era solo meritato accidenti!
Rilasciò un grido esasperato, no, non di nuovo…non ORA!
 
“Dannazione Logan smettila!”
 
Cercò di liberarsi dalla sua presa ma com’era già successo anziché lasciarla lui strinse maggiormente il suo polso.
Sbuffando smise di dimenarsi, contro di lui non aveva possibilità di vittoria, Logan era invincibile e se decideva di mandare tutto a puttane lo avrebbe fatto…
 
“.…”
 
Espirò per cercare di calmarsi alzando il mento per guardarlo negli occhi.
Dio com’erano belli quei suoi occhi di marmo così selvaggi e imperscrutabili così…
Si morse la lingua maledicendosi, non poteva andare in palla per così poco non poteva farsi sopraffare da lui così velocemente non doveva permettergli di avere la meglio sulla sua volontà non….
 
Gli appoggiò una mano sullo sterno premendo per allontanarlo.
Non ci riuscì e per la rabbia lo colpì col dorso del pugno.
 
“Cosa vuoi Logan? Cosa c’è, cosa…”
“Dobbiamo parlare!!”
“Perché? Che altro c’è da dire? Sei snervante basta!”
“Senti…lo so che sei arrabbiata, ne hai tutto il diritto ma non puoi lasciar perdere tutto così, non è giusto!”
“Perché?”
 
Sputò quella risposta sfinita dall’argomento, non ne poteva più.
 
“Perché non voglio lasciarti perdere e non voglio che tu lasci perdere me!”
“Va bene…”
 
Era già pronto ad aggiungere altre mille parole ma la sua risposta lo ammutolì.
Va bene?
 
“Eh?”
“Ok…cancelliamo tutto, dimentichiamo questi ultimi due anni e torniamo ad essere amici…”
“…”
 
Non riuscì a rallegrarsi di quelle parole perché lo sentiva bene che erano vuote e false.
 
“Io ti preparo i rapporti e tu mi lasci bere le tue birre…ti paro il culo con Hank e Ororo quando esci per andare a fotterti la puttana di turno e tutto va bene per quanto…uno, due mesi?”
 
Chiuse gli occhi esasperato ingoiandosi il respiro, conosceva la fine di quel discorso.
 
“…poi che altro…ah si il bucato, c’è anche quello da fare…dunque lavo stiro e rimetto a posto i tuoi vestiti sperando che tu ti accorga di me perché a questo punto avrai già perso interesse nell’insulsa ragazzina ex mutante che girovaga per casa scongiurando tutti di tenerla in considerazione…”
“Marie Basta…”
“…e continua a salutare pur sapendo che non riceverà alcuna risposta, continua a fare qualcosa per cercare di rendersi utile e dimostrare che non è un peso…che non…è…”
 
Si bloccò strozzata da un singhiozzo mordendosi le labbra e guardando in alto, cercando di ricacciare indietro le lacrime di rallentare il respiro di…quand’è che l’aveva lasciata andare? Quando aveva allentato la morsa sul suo braccio che ora stava utilizzando per nascondersi gli occhi? Quando di preciso l’aveva persa?
 
“Marie…”
 
Mosse un passo verso di lei che era arretrata fino ad appoggiarsi ad un bancone in metallo sul quale stavano alcune pile di dossier.
 
“… stai lì non ti…avvicinare…”
 
Non le badò arrivandole di fronte fino ad abbracciarla, i suoi pugni sul petto non lo scalfirono minimamente e proseguì l’azione fino a stringerla forte, finché il suo pianto non fu soffocato nell’incavo del proprio collo.
 
“Ho sbagliato con te Marie e non c’è giorno in cui io mi maledica per quello che ti ho fatto…”
 
Lei piangeva e cercava di respingerlo.
Lui di rimando la stringeva maggiormente.
 
“Ti ho lasciata sola quando più avevi bisogno di me e sebbene te lo avessi promesso, non ti sono per niente stato amico …”
 
Piangeva ancora ma aveva smesso di dibattersi.
Lui prese un nuovo respiro accarezzandole la nuca.
 
“Non so che parole usare per dirti quanto mi dispiace…”
“Nhm…”
“L’altro giorno quando ti ho rivista…quando ti sei tolta il passamontagna ed ho visto che eri tu per la prima volta in due anni e mezzo io ho respirato di nuovo…”
“Sigh”
“Chiamami bastardo, chiamami egoista Marie ma io non ti lascio andare più…non di nuovo non adesso…quindi cerca di collaborare e rendi la cosa il più semplice possibile…non respingermi e non odiarmi se puoi ma dammi un’altra occasione e perdona tutte le stronzate che ti ho detto l’altro giorno, erano dettate dalla gelosia e dalla rabbia…”
“Gelosia?”
“Si…ho visto quanto ti amano ed ero invidioso…parli con quel maciste con lo stesso tono scherzoso che usavi una volta con me e…voglio tornare ad essere io la persona che guardi con così tanta adorazione…”
“Ma io adoro Clayton...quel…”  rise fra le lacrime ed i singhiozzi “…maciste è come un padre per me con te era tutta un’altra cosa…”
“Eh?”
 
Di colpo la sentì irrigidirsi.
 
“Lasciamo perdere…andiamo ora…”
 
Lei fece per allontanarsi, lui la bloccò nella morsa del suo abbraccio.
 
“È tutto ok Logan…non scappo… “
 
Di fronte a quel suo dolcissimo sorrise dimenticò il dubbio delle sue parole e la lasciò, andava bene così per ora…l’aveva acchiappata, l’aveva calmata e pian piano sarebbe tornata ad essere la sua Marie.
 
Udendo dei rumori si scostò voltando leggermente il viso.
 
“Sono arrivati”
 
Marie annuì, aveva visto il pallido riflesso di alcune pile muoversi in lontananza.
 
“Andiamo!”
 
Andarono.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
 
^()^
 
Ohibò!
 
Grazie a Puffet, Asia87 Utena76  Daffodil e Soniacristina1989, siete stramegafantagentilissimeeeeeeeeee!!!
(Per Daffodil e Sonia…presto aggiornerò anche ATNMAD, manca poco alla fine del capitolo che sto scrivendo…non mi tornano alcune cosette ma è a buon punto….mento…devo ancora cominciare a scriverlo ma le idee non mancano, è il tempo che scarseggia…ehh ehh ehh…<.<’’’)
 
A presto!!!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** towards the next target ***


  
 
 
 
Bonk!
 
 
Cazzo se era scema!!!!
Appoggiò i gomiti alla liscia superficie laccata del passamano lasciandosi ondeggiare al ritmo della nave, la fronte pressata al vetro.
Cribbio quanto si sentiva stupida!!!!
Sospirò fra i denti fin quasi a tranciare il filtro aspirando l’ennesima boccata di fumo.
 
“…con te era tutta un’altra cosa…”
 
Cosa diavolo stava pensando? Perché si era lasciata trasportare dalla situazione e perché aveva ceduto se si era ripromessa fin dall’inizio di non voler più avere nulla a che fare con lui?
Frustrata diede un’altra leggera testata alla superficie.
Faceva prima a dirgli chiaramente che c’era stato un tempo in cui era stata stracotta di lui senza girarci tanto attorno invece di…di nuovo colpì il vetro con la fronte beandosi della sensazione gelida che le leniva il bruciore della botta appena data…quanto era scema!
 
Gli scienziati erano stati tratti in arresto e la piccola flotta stava già facendo ritorno alla costa.
Spense la sigaretta gettandola in un bidone chinando il viso per lasciarlo riposare nella conca creata dalle sue braccia piegate sul passamano lanciando un’ultima occhiata al complesso di Three Miles Island dal quale si erano allontanati; fra poco meno di sedici ore ogni dato presente nella memoria del computer della base si sarebbe resettato e se aveva fatto bene l’ultima modifica il bug avrebbe distrutto anche a quella congiunta; non vedeva l’ora di mettersi in marcia e fargliela pagare a quei maledetti bastardi che godevano nel torturare i suoi fratelli.
 
“Hey…”
 
Levò gli occhi inclinando il capo quel tanto che le era necessario per inquadrare la sua presenza riflessa nel vetro.
 
“…hey…”
 
Logan le si avvicinò appoggiandosi con la schiena al cristallo, lo sguardo perso nel vuoto.
 
“Ho parlato col capitano, raggiungeremo la costa fra pochi minuti…”
“Bene…”
 
Tornò a guardare l’oscurità della notte sul fiume.
 
“Una volta a riva che si fa?”
“Tornare è impensabile, Kenton e gli altri sono già alla ricerca di informazioni, mi chiameranno quando avranno anche già studiato un piano d’azione…” rise “Noi ci appoggeremo a quest’unità…”
“….”
 
Lo guardò intuendo che non ci aveva capito niente.
 
“In poche parole, ci faremo dare un mezzo col quale proseguiremo a Nord, e non appena Clay mi dirà cosa ci aspetta contatteremo anche Ororo, ci dirigeremo alla seconda base e faremo tabula rasa…”
 
Guardandolo Marie rimase perplessa di fronte alla sua espressione, era come se Logan la vedesse per la prima volta, o meglio, come se avesse notato  qualcosa di nuovo ora che la studiava meglio.
 
“Che c’è?”
“…sei decisa…”
“Eh?”
 
Che significava?
 
Lui si voltò arrivando a poggiare tutto il peso su di un'unica spalla.
 
“Ogni volta che parlo con te mi rendo conto, mi devo rendere conto di quanto tu sia realmente cambiata…”
“…”
 
Scostò lo sguardo da quello di lui tentando di nascondere l’imbarazzo celandolo dietro una disinteressata occhiata alle acque, sperava solo che lui non si lasciasse andare nuovamente al sentimentalismo, un Logan tutto miele e dolcezza era da indigestione, lo preferiva rude, scorbutico e arrogante, doti che con quella sua aria da duro andavano decisamente meglio abbinate.
 
Logan doveva essere sexy, non dolce.
 
Bloccandosi realizzò il significato di quello che aveva appena pensato.
Ci stava ricascando, più gli stava vicina più si scioglieva e desiderava rimanergli accanto.
Non le era affatto passata.
 
“Come sei entrata negli Hawks?”
 
Quella domanda la distrasse dal rimprovero mentale nel quale si era assorta.
Levando gli occhi su di lui si lasciò scappare un sorriso sospirato, di quelli che sanno di bei ricordi e…
 
“Per caso…”
“Nh?”
 
La guardò inarcando un sopracciglio, gli Hawks erano un corpo speciale indipendente nel quale era estremamente difficile entrare non ci si entrava per
 
“…per caso?”
 
Lei sorrise ancora di un’espressione più aperta ed annuì convinta
 
“Stavo in coda allo sportello di una banca poco fuori da Meridian …”
“Come diavolo sei finita laggiù?”
“Ci sono nata a Meridian, Logan…” Lo guardò ammonendolo per quella domanda, una volta glielo aveva pure detto che era nata laggiù ma probabilmente era stato quando lui aveva già smesso di tenerla in considerazione; chiuse gli occhi cercando di impedirsi di diventare acida, comportamento che saltava fuori sempre ogni volta che parlavano e lei ripensava a come si erano lasciati.
 
“… avevo deciso di tornare a casa per vedere se potevo avere una seconda possibilità e scoprii che i miei genitori non avevano mai pensato al fatto potessi essere un mutante, all’ospedale il caso di David era stato classificato sotto vari nomi: black out elettrico, convulsioni, attacco epilettico … nemmeno i medici erano sicuri … “
“…”
“Io…avevo lavorato come cameriera per un certo periodo ed avevo aperto un conto nella Banca cittadina, così entrai in una sua filiale per vedere se c’era rimasto qualcosa dato che ero rimasta a corto di denaro e scoprii che non solo c’erano una montagna di soldi ma quando mostrai il documento per il prelievo il direttore stesso venne a parlarmi dicendomi che i miei erano impazziti nel cercarmi in tutti quegli anni e che avevano continuato a caricare dei soldi nel mio conto nel caso ne avessi avuto bisogno, che chiamavano ogni giorno per vedere se c’erano stati movimenti perché volevano sapere dove mi trovassi e se stavo bene…”
 
Logan si rese conto d’avere la mandibola contratta dalla rabbia solo quando lei si fermò dal parlare per riprendere fiato, sorrideva commossa dalla prova d’amore dei suoi genitori mentre con una mano leggermente tremante si asciugava le lacrime all’occhio destro ridendo emozionata.
 
“Se fossi entrata solo dieci minuti prima li avrei trovati al telefono col direttore…”
“…”
“Beh, comunque, stavamo parlando, cioè, il direttore mi stava facendo la predica su come li avessi fatti soffrire e preoccupare quando d’improvviso ci fu un’irruzione e due tipi mascherati armati di mitra ci intimarono di buttarci a terra enfatizzando il tutto con scariche di proiettili al soffitto…”
 
La sentiva lontana la voce di lei spezzata ad intervalli irregolari da singulti d’emozione.
Logan non la stava guardando più, l’espressione che ora Marie aveva in volto era troppo intensa, troppo ricca di tristezza e malinconia per poter essere contemplata e lui semplicemente non riusciva a guardarla travolto nel turbine del rimorso nel quale si trovava.
 
“Ci fu il panico più totale e mentre tutti gridavano e piangevano il direttore cercava di portarmi in salvo nel suo ufficio, ma uno dei due lo vide e ci venne incontro puntandoci contro l’arma; fu in quell’istante che mi ricordai chi ero, che  cosa fossi in grado di fare e quello che di buono avevo imparato allo Xavier’s Institute …”
 
Lui si voltò nello stesso istante in cui anche lei scostò lo sguardo, incrociando i suoi occhi di giada splendenti d’orgoglio e soddisfazione.
 
“Tu…?”
“Li sgominai entrambi  e uscimmo tutti che le prime auto della polizia stavano arrivando.
 Cercai di defilarmi fra la folla ma venni acchiappata dal direttore che nel frattempo aveva contattato i miei, mi portò da loro e li riabbracciai finalmente…”
“Ma…”
“Non passò neanche un giorno che venne McLee in persona a casa mia, disse che voleva conoscere di persona la pazza che aveva rischiato di far ammazzare decine di persone agendo di propria iniziativa per sventare quella rapina…mi disse che i due che avevo steso erano ricercati da tempo e mi offrì la possibilità di entrare a far parte del corpo speciale degli Hawks…certo, avrei dovuto frequentare un corso preparatorio e dimostrare d’essere ciò per cui ero d’improvviso diventata famosa ma era convinto che avessi buone possibilità…”
“…una specie di Xavier quindi….sei stata reclutata?
“Nhm…già, quello che avevo imparato stando con voi si è rivelato molto pratico e infondo …”
 
Abbassò il volume donando al tono una nota d’amarezza.
 
“…non è stato poi tutto inutile.”
 
Logan avrebbe voluto sgridarla per quelle sue ultime parole ma non ne aveva più il diritto ormai, tutti loro, comportandosi nella maniera che l’aveva spinta ad andarsene si erano trasformati da amici a…tutto inutile
Sospirò staccandosi dal vetro muovendo qualche passo verso le scale che portavano sul ponte.
 
“Siamo arrivati”
 
In silenzio lo seguì sul ponte e scesero a terra rimanendo a sorvegliare il trasferimento dei prigionieri.
Fu in quel momento che il suo auricolare lampeggiò e la voce di Clayton la chiamò indugiando.
 
“Marie…?”
“Hey Clay…scoperto qualcosa?”
“Nh…le foto dal satellite rilevano movimenti sospetti, abbiamo chiesto supporto ad un’unità di stanza laggiù e sono andati in ricognizione ci hanno mandato foto mappe e quello che stiamo scoprendo non ci piace affatto…”
 
I suoi occhi attenti scivolarono da un dottore ammanettato che stava per salire su un furgoncino della polizia a Logan che in attesa, probabilmente aveva sentito tutto grazie al suo superudito, aspettava la fine del discorso.
 
“Ufficialmente è una clinica dell’associazione ambientalistica che supervisiona il progetto di un’oasi protetta alla foce del fiume Attawapiskat ma in realtà si tratta di quello che pensavi tu…un laboratorio come quello che avete attaccato stanotte… ”
“Diamine!”
“McLee è stato informato e crede che tu debba andare a dare un’occhiata … ”
“Si, come mi devo muovere?”
“Sei sola?”
 
Guardò Logan.
 
“No”
“Bene…dirigiti a Nord-est da dove ti trovi ora, Ken ti ha mandato le coordinate sul tuo palmare, un elicottero ti sta aspettando, gli ordini e tutte le eventuali informazioni sono già state spedite al pilota…”
“Bene…di a Ken di collegarsi al programma che abbiamo creato, c’è un link ad una finestra di chat, assicuratevi che a qualsiasi loro domanda giunga una celere risposta, non devono sospettare che il laboratorio sia stato neutralizzato…”
“Ok…”
“Gli addetti si chiamano Backer e Johnson e sono dei bastardi di prima categoria…”
“Roger…passo…”
“Chiudo…”
“Marie?”
“Si!?”
“….”
“Clay? C’è altro?”
“…Kim vuole che tu tenga gli occhi aperti…”
 
Sorrise annuendo prima di interrompere la comunicazione.
Salutò il comandante dell’unità che li aveva soccorsi richiedendo un mezzo col quale potessero raggiungere la loro prossima meta.
 
Mentre Logan guidava il veloce fuoristrada che avevano avuto in prestito Marie sfogliava il dossier Marie cercando di memorizzare le cose basilari, entrate, sistemi di sicurezza e qualsiasi altra cosa che li avesse potuti aiutare a far irruzione nel laboratorio.
 
“Chiama Ororo, se può ci deve raggiungere…”
“Noi soli non bastiamo?”
 
Lo guardò levando perplessa le sopracciglia.
 
“Non sono wonder woman e tu di certo non sei superman…abbiano notizie certe che i soggetti x siano almeno una decina ma non sappiamo le loro condizioni, è ovvio che ci serva aiuto…”
“I tuoi?”
“Verranno è ovvio, ma più siamo e meglio è…”
“Fai tu…”
 
Sbuffando prese l’auricolare direttamente dal suo orecchio premendo il piccolo tastino nero.
 
“Logan?”
 
Ororo rispose immediatamente.
 
“Marie…”
“Oh…tutto bene?”
“Si…lì?”
“A posto, fortunatamente non sono feriti gravemente, solo sono stati maltrattati e lasciati senza cibo né acqua…se la caveranno, ora che sanno d’essere al sicuro sono già più tranquilli…”
“Bene…”
“Notizie sull’altro centro?”
“Nh…ci stiamo dirigendo li e ti chiamavo giusto per sapere se ci potevate raggiungere…”
“Certo, tutta la squadra?”
“No, pensavo a te, Hank Kitty e Bobby…il dottor McCoy servirà di sicuro stavolta e…se non è di troppo disturbo dovreste dare uno strappo anche ad alcuni dei miei…”
“Va bene…ma se ci sarà Hank…”
 
Ah già…finchè erano gli altri non saltava fuori che il celebre team d’elite era composto da mutanti, ma se con loro veniva anche Hank la cosa sarebbe divenuta palese.
Pensando a quello le tornò in mente che al meeting di due giorni prima lui era stato presente nell’ufficio di McLee…quel dubbio voleva proprio toglierselo.
 
“Ma c’era l’altro giorno…”
“Era presente in qualità di ambasciatore dei diritti mutanti e la sua presenza era giustificata dal momento che la missione prevedeva l’annientamento di un laboratorio clandestino su esseri come noi…”
“Beh, come accade ora…”
“Si, ma l’altra volta siamo arrivati separatamente, lui era già li e abbiamo finto di non conoscerci…”
 
Ah ecco, mistero risolto.
Questo però non cambiava il fatto che un dottore era assolutamente necessario.
 
“Ok ascolta Marie mi inventerò io qualcosa…dove ci troviamo?”
“I miei compagni vi daranno la rotta da seguire…a dopo..”
“Passo.”
 
Spense la comunicazione appoggiandosi al sedile esausta.
 
“Certo che dovete inventarvene una ogni volta per rimanere sotto copertura…”
 
Stavolta fu lui a guardarla perplesso e si sentì quasi sciocca per aver espresso quelle parole.
Lui, con lo sguardo fisso sulla strada statale, buia e poco trafficata che stavano percorrendo ingranò una nuova marcia accelerando ulteriormente.
 
“…allora, che si fa? ”
“Seguiamo il piano, incontreremo glia altri poco lontano dalla foce del fiume e decideremo il da farsi.”
 
Sbuffò lei, l’aveva già detto che era esausta?
 
“Sembri stanca ragazzina, dormi mentre guido ci vorrà ancora un po’ per raggiungere l’elicottero.”
“…”
 
Non ricevendo risposta per alcuni minuti mosse velocemente lo sguardo inquadrandola con la coda dell’occhio.
Sorrise nel vederla sopita resistendo all’impulso di accarezzarle la tempia certo che se l’avesse fatto l’avrebbe svegliata.
 
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
 
 
Ne avrei ancora di cose da aggiungere, ma rischio di non aggiornare più….XD
Godetevi sto capitolo e fatemi un fischio mi raccomando! Voglio sapere che en pensate!
Ps: spero d’essermi salvata in corner dalla svista nell’aver messo Hank in quell’ufficio tre capitoli fa, mi sono resa conto dell’errore solo ora mentre scrivevo la fine.
 
La presenza di un individuo palesemente mutante nel team d’elite avrebbe destato sospetti quindi ho cercato di campare quel discorso dell’ambasciatore per vedere se riuscivo a districarmi dall’ingarbugliamento nel quale mi sono ficcata…e sono sicura che anche ora che sto scrivendo non sto facendo altro che incasinarmi/vi ancora di più, (anche perché, come fa lui a conoscere Marie? Argh, qui ci dovrò pensare su bene in futuro) muahh ahh ahh ahh ha (TH sbatte la testa contro la tastiera)!!! Accetto suggerimenti <.<’’’
Scusatemi!!! XD
 
Grazie ad Utena76, a Soniacristina1989 a Puffet Asia87 e Lyn81…non vi sembrerà, ma leggo con molta felicità le vostre parole!! ^w^
 
Alla prossima!
 

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Capitolo 9
*** 3 2 1...on position ***


 
 
 
 
 
 
 
 
Faceva piuttosto freddo lì.
Tremando si strinse nelle spalle spostandosi quel tanto che le serviva per evitare che le gelide raffiche di vento causate dai motori del Black bird la investissero.
Erano arrivati da poco e l’elicottero che li aveva scortati fino al punto d’incontro si stava già allontanando nel buio della notte.
 
Da lontano poteva vedere lo scintillio delle acque dell’Attawapiskat rilucere dei riflessi lunari interrotto solamente dalle piccole isolette composte dal delta del fiume, era su una di quelle si trovava la base che dovevano attaccare e sebbene non si trovassero  molto lontani dall’obiettivo da quel punto era molto difficile riuscire ad individuarla anche perché  probabilmente era ben mimetizzata; avevano le coordinate esatte dell’ubicazione della struttura ma lo stesso non riuscivano a distinguerla dal buio della notte segno che quei maledetti bastardi si erano dati un gran da fare per mimetizzarla e di conseguenza anche la rete di sicurezza sarebbe stata più difficile da evitare quindi avrebbero dovuto muoversi con cautela.
 
“Tieni!”
 
Sorrise prendendo al volo lo zaino che le venne lanciato da Clayton sicura di trovarci dentro ciò di cui aveva più bisogno.
Svelta sciolse i lacci ed estrasse il morbido e caldissimo maglione nero indossandolo immediatamente godendo fin da subito del tepore che l’indumento donava.
 
“Grazie Clay!”
“Nh”
“Tutto bene?”
 
Clayton scosse la testa colpito al fianco da una gomitata di Kim.
 
“Si, non riesco ancora a credere di averci impiegato così poco, quel jet è qualcosa di spettacolare…”
“Già…”
 
Kim avanzò di un passo.
 
“Dimmi Marie, tutto bene?”
“Si Kim, perché me lo chiedi?”
 
La sua amica gettò una rapida occhiata a Logan che in disparte veniva avvicinato da Ororo Hank Kitty Bobby e…Gambit?
Perplessa Marie corrugò la fronte, perché c’era anche lui?
 
“Si è comportato bene?”
 
Tornò a guardare l’amica sorridendole.
 
“Si…non preoccuparti, non sembrerà, ma so tenere a bada quel…quello li…”
 
Non si era accorta che Logan era stato sul punto di avvicinarsi e porgerle la sua giacca preceduto poi dal gesto di Clayton.
Tornò seria rivolgendosi a Kim.
 
 
“Allora, che avete deciso di fare?”
“Kenton ci ha tracciato il percorso più sicuro da seguire, una volta raggiunta la base io mi occuperò di disinserire l’allarme il tempo necessario a noialtri per entrare dopodiché tornerò qui e vi darò supporto esterno, il bestione mi ha spiegato a grandi linee come utilizzare i terminali di bordo…tu e Clay andrete alla sala comando mentre loro…” annuì in direzione del gruppo d’elite “…loro si occuperanno degli individui tenuti prigionieri…”
“Quanti uomini ci sono all’interno?”
 
Stavolta fu Clayton ad intervenire.
 
“L’unità di spionaggio ci ha comunicato la presenza di sei sentinelle, nulla che io e te non possiamo affrontare, è ai livelli sotterranei che servirà il maggior numero di forza possibile, i prigionieri non sono in condizioni ottimali…Kenton è riuscito a sbirciare alcuni file inerenti a loro e…brutta situazione Marie…”
“Allora Hank ci sarà davvero utile…”
 
Sospirò, sollevata dalla sua decisione di convocare il dottore.
Clay osservandola non poté fare a meno di chiederglielo.
 
“Passi per i tuoi vecchi compagni di team…ma il bestione perdipelo come lo conosci?”
 
Cazzo! Sbarrò gli occhi abbassando il viso per nascondere la sua reazione.
E adesso che si inventava? Deglutì.
Merda!
 
Riuscì infine a dimostrare indifferenza, ma nella sua testa stava scoppiando il finimondo….cosa diavolo si inventava adesso?
Porca puttana era fottuta.
 
 “Hey voi, ci vogliamo muovere o facciamo mattino?”
 
Seppur spaventata dall’improvvisa intromissione, mai come in quell’istante Marie adorò la voce di Logan, probabilmente grazie al suo udito iper sviluppato aveva sentito la domanda di Clay ed era intervenuto per aiutarla, e sorrise lei colpita da quel gesto immediato.
Doveva ricordarsi di ringraziarlo più tardi.
 
Kim sorrise rivolgendosi a Marie.
 
“Andiamo, riferiamo le nostre decisioni e vediamo se il tuo amico trova qualcosa da ridire anche stavolta…”
“Non è mio…”
“Oooh si che lo è…”
“Eh?”
 
Guardò curiosa Clayton, che voleva dire e perché l’aveva interrotta? Perché il suo modo di fare era improvvisamente cambiato? Se non ricordava male a lui Logan stava antipatico dopo che l’aveva fatta piangere il pomeriggio di due giorni prima…ooooh…scosse la testa imponendosi di concentrarsi sulla missione.
 
 
 
…………………
 
A pochi metri dal quadro elettrico il gruppo di incursori stava definendo le ultime cose prima che la missione potesse aver inizio.
 
 
“Marie sarà con te?”
“Per caso è un problema?”
“Potrebbe…”
 
Gli occhi chiari di Clayton si schiusero con aria di sfida per nulla intimoriti dall’insinuazione di Logan.
Marie scocciata guardò prima il mutante, poi il suo collega, ma cosa gli prendeva tutto di colpo?
 
“Ragazzi?”
 
I due la guardarono seccati, lei si irritò.
 
“Fa freddo e le ore che mancano per il de bug  stanno per scadere, che ne direste di muoverci invece di star qui ad alzare la cresta uno con l’altro?”
 
Clay sbottò una risata indietreggiando fino a dove stava lei.
 
“Dillo a lui bimba, non sono io quello che ti ha scambiata per un idrante su cui pisciare…”
“Clayton!!”
“Hey amico continua così e oltre alle guardie dovrai guardarti anche da me…”
“Tremo tutto…”
 
La rivoluzione che successe poi fu una cosa assurda che peggio di così non poteva andare; mentre i due si insultavano a vicenda gonfiando il petto proprio come due galli lei era sicura che se si concentrava e schiudeva appena gli occhi avrebbe potuto  vedere i lampi intercorrere fra i loro sguardi come nelle scene buffe degli anime che un tempo si era divertita a guardare coi bambini all’Istituto.
E  davvero non sapeva se ridere o piangere all’assurdità di quel momento ma cosa più importante, perché nessuno sembrava voler intervenire?
Guardandosi attorno notò Kim intenta a trafficare col suo apparecchio, Kitty e Bobby chiacchierare come se fossero stati al ristorante e neppure su Ororo poteva contare distratta com’era dalle parole di quel cajun…Gambit.
 
“Kim?”
“Nh?”
“Io mi avvio, questi due che facciano quel cazzo che vogliono…”
“Non rimani a vedere come finisce? 5 a 1 che Clay lo stende…”
 
Lei roteò gli occhi esasperata.
 
“Hey ragazzina, guarda che ti ho sentito …” Logan le puntò contro l’artiglio medio.
 
Kim non ebbe problemi a ridergli in faccia e dopo averle strizzato l’occhio tornò a lavorare al suo palmare aggiungendo un’ultima frase con tono disinteressato.
 
“Non fargli troppo male H2!”
 
Lasciò perdere la crisi di follia collettiva facendo un cenno ad Ororo che come lei si era stancata dei due ed assieme al resto del team erano pronti ad entrare in azione appostati in una zona cieca dalla vista delle videocamere, avrebbero scavalcato la recinzione privata della corrente, comportandosi da normali esseri umani, sorrise,  peccato ci fossero Kim e Clay altrimenti avrebbero potuto utilizzare i loro poteri, quello di Kitty soprattutto.
 
Arrivò il cenno di Kim e la missione ebbe finalmente inizio, scattarono tutti tranne Clay e Logan, ancora persi nel loro litigio verbale.
 
“Avete 15 minuti a partire da ora, in bocca al lupo…”
 
Detto questo Kim si alzò da terra e si avviò verso l’aeroplano bloccandosi incuriosita dalle parole dei due.
Ridendo si appoggiò ad un tronco godendosi la scenetta.
 
 
“Ringrazia che siamo in missione ragazzino altrimenti…”
“Chiamami ancora così e vedrai cosa è in grado di farti questo…ragazzino…”
“A proposito di missione…Clay?”
“Che vuoi K!?”
“Vi hanno lasciato qui…”
“Eeeeeeeeeeh?”
“…e per voi i minuti rimasti sono…” osservò l’orologio digitale che portava al polso “…nove! “ Si scostò dalla corteccia muovendosi all’indietro. “H2, vedi di non mandare tutto all’aria o Marie questa non te la perdona mentre riguardo a te elìte…”
 
Logan .
 
“Abbi pazienza, le passerà…”
 
Da infastidito lui divenne pesce lesso.
Kim scoppiò in una risata sguaiata e dopo essersi voltata sparì fra le fronde.
 
 
……
 
 
“Merda!”
 
Non le era stato detto nulla riguardo a quello.
Avvertendo un rumore secco mosse lo sguardo a destra, poi a sinistra e si ritrovò a dover cambiare l’avverbio al plurale.
Non le era stato detto nulla riguardo…quelli.
Alzò lentamente le mani mostrando i palmi.
 
“Buoni…buoooni…”
 
Di fronte a lei tre enormi esemplari di dobermann la scrutavano per nulla amichevoli.
Ringhiando le si avvicinavano circondandola lentamente tenendo la testa bassa e i bianchissimi denti bene in vista.
Era morta.
 
L’attaccarono praticamente nello stesso istante da tre angolazioni differenti.
 
Kai
 
 Guuui
 
 Hiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiih
 
 
Lei ne aveva colpito solo uno, ma a latrare e a terra erano in tre.
 
“Tutto bene?”
“Clay?”
 
Sospirò sollevata andandogli incontro, l’agitazione per lo scampato pericolo già dimenticata.
 
“Grazie ma, che cazzo ti sei messo in testa prima eh? Volevi mandare tutto a… eh?”
 
Si bloccò notando una terza figura di fianco a loro.
 
“Logan?”
 
Togliendosi la mandibola dell’animale ormai stecchito che lo aveva buttato a terra da attorno all’avambraccio Logan grugnì un accenno voltandosi verso di lei.
 
“Che ci fai qui?”
“Ti salvo il culo!”
“Si è perso.” Clay fu veloce e rispose immediatamente dopo di lui, facendolo incazzare.
“Va al diavolo, Clay” sorrise mellifluo pronunciando il suo nome.
“Ti sei perso? Tu?”
 
Ingoiò un singulto di risa sbrigandosi a voltarsi.
 
“Non mi sono perso…”
“Come no…e noi non siamo in missione ma al campo scout…”
“E finiscila cazzo!”
“Hih hih…”
“Claaay…”
 
Il tono di Marie era eloquente.
 
“Ok ok..tregua…vieni con noi, ci sarai d’aiuto…”
 
 
 
 
 
TH
 
 
Muah ahh ahh…il destino (o Th) ha leggermente variato la composizione di una squadra e chissà che ne uscirà…
 
Fra poco ci sarò l’azione gente!!!
Grazie di cuore a chi ha commentato!!!  

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Capitolo 10
*** Shock ***


 




 
Con Logan dalla loro parte mettere Ko le sei sentinelle era stato un gioco da ragazzi.
Il suo udito fine, l’olfatto mega sviluppato e i suoi sensi di lupo avevano localizzato ogni minimo pericolo così, in meno di sette minuti avevano  conquistato l’intero piano dell’edificio.
 
Mentre Logan e Clayton sorvegliavano l’esterno, Marie si era messa al lavoro ed era riuscita ad entrare nel database del laboratorio decisa a fare una copia di ogni file presente in esso, voleva assolutamente scoprire chi fosse dietro a quell’atroce faccenda e scoprire  chi poteva essere così crudele e spietato da rapire piccoli mutanti e sottoporli a tali supplizi.
 
Mordendosi le labbra per la rabbia portò l’attenzione al pannello di controllo disinserendo completamente ogni sistema di sicurezza e controllando sui monitor della sorveglianza che la squadra di Ororo avesse il campo libero.
Fu necessario avvisarli del pericolo solo in due occasioni: quando arrivarono in prossimità della sala comune dove si trovavano il grosso delle sentinelle,  e mentre stavano uscendo quando si erano imbattuti in un piccolo plotone sbucato d’improvviso da dietro un angolo, li avrebbero stesi abbastanza facilmente anche se lei non li avesse avvertiti, il problema però erano i bambini che stanchi deboli e feriti dovevano essere protetti a tutti i costi.
A Marie per poco non era preso un colpo nel vederli spuntare da una specie di porta scorrevole praticamente invisibile, ma per sua fortuna i nuovi arrivati non si erano accorti dell’intrusione e si stavano dirigendo verso la sala comune per prendersi probabilmente una pausa.
Supervisionò l’intera azione guardando con attenzione che non ci fossero altre sorprese ma fortunatamente filò tutto liscio.
 
Circa mezz’ora dopo la squadra di salvataggio era arrivata all’entrata del blocco e a lei non rimase che contattare Kim per avvisarla che era andato tutto bene e che Hank era andato avanti con Ororo per recuperare il Bird, c’erano un paio di ragazzini messi davvero male e gli altri non erano per niente in grado di camminare.
 
Quella scena, vedere i suoi ex compagni radunati all’uscita coi piccoli prigionieri ormai salvi le ricordò la loro fuga da Alkali Lake, la paura e la preoccupazione che aveva provato fino al momento in cui aveva deciso di avviare il jet ed andare incontro ai suoi compagni, decisione che da una parte si era rivelata azzeccata ma dall’altra aveva decretato la fine di uno di loro.
 
Chiuse gli occhi alla memoria del sacrificio di Jean, serrò forte le palpebre nel tentativo di scacciare dalla mente l’eco delle grida disperate di Scott e Logan, chiuse forte gli occhi perché in lei era ancora vivo l’ultimo pensiero che Jean le aveva comunicato.
 
“Sei stata brava…Marie”
 
Quindi Jean aveva sempre saputo il suo nome ma si era ben guardata dal chiamarla così per tutti i tre anni che lei era stata all’Istituto;  non le aveva neanche mai chiesto quale fosse e come tutti l’aveva chiamata semplicemente Rogue ma quella volta, ben conscia che si trattava di un addio aveva fatto un’eccezione e il suono della voce di lei nella sua testa era dolce e sospirato e le faceva venire il batticuore.
 
Era il suono della voce di una mamma.
 
Non c’era stata notte nei mesi successivi in cui non avesse pianto nel sognare quel momento; poi, d’improvviso quelle memorie non l’avevano più tormentata  ed aveva creduto d’esser riuscita a digerire il suo senso di colpa ma se avesse saputo quanto invece si sbagliava non avrebbe mai scelto di prendere la cura.
 
Se avesse saputo che i suoi rimorsi erano cessati perché la fenice si era risvegliata non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di utilizzare i suoi poteri, se avesse saputo che il terribile potere che era la mutazione di Jean aveva ottenebrato la dottoressa avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedire a Logan di uccidere la donna che amava…se solo la notizia della cura fosse stata diffusa con un solo giorno di ritardo tutte le sue priorità sarebbero state diverse ed avrebbe indossato anche lei l’uniforme degli x-men per andare ad Alcatraz e rendersi utile, già, perché sarebbe anche  stata disposta ad assorbire completamente quel demonio di mutazione dentro di sé se questo fosse servito a salvare la vita a Jean.
 
Purtroppo le cose erano andate diversamente; lei aveva smesso di tormentarsi, era uscita la notizia della cura e dopo aver assistito alla scena della fontana fra Kitty e Bobby era scattata la molla della decisione, aveva lasciato tutti ed aveva detto addio alla parte di lei che più detestava e temeva, era sparita nel giorno più importante della storia ed era tornata come se nulla fosse comportandosi come se nulla fosse stato convinta di poter avere tutto ciò che aveva sempre desiderato.
 
Col passare dei giorni invece, pian piano aveva perso tutto quello che aveva avuto.
 
“Marie?”
“Eh!?”
 
Scattò in piedi staccando malamente le spine della sua apparecchiatura.
 
“Tutto bene? Sei pallida…”
“Tutto a posto Clay…stavo solo…”
 
Hawk2 adocchiò lo schermo del pannello reagendo quasi come lei ad eccezione del pallore.
 
“Lo so…è abominevole…ma li abbiamo fermati, chiunque essi siano pagheranno, e se ce ne saranno degli altri, troveremo e fermeremo anche loro…”
 
Marie annuì senza togliere lo sguardo dalle immagini che lente scorrevano sul monitor prima di venir cancellate dal de bug che aveva avviato.
Vedere le sequenze di quegli esperimenti, con le annotazioni su come procedere, le informazioni ottenute e le condizioni di degenza dei piccoli mutanti l’avevano sconvolta nuovamente, prima, persa nei pensieri rivolti a Jean anche se le vedeva non le analizzava mentalmente, ora invece erano un tuffo al cuore dietro l’altro.
Ancor prima che cominciassero a scenderle le prime lacrime Clayton l’avvicinò a sé in un debole abbraccio.
 
“Sii forte…non è ancora finita”  La grande mano di lui le strinse i capelli alla base del collo avvicinandola alla propria spalla, lei annuì inspirando decisa. “ andiamo ora.”
 
Si allontanò dall’uomo ed estrasse il disco contenente la copia di quei file dopodiché lo seguì  oltre la porta dell’ufficio superando Logan a testa bassa.
Lui rimase immobile alcuni istanti osservandola andar via.
 
 
………………
 
 
 
“Gli altri?”
 
Kim si fece di lato prendendo dalle braccia di Bobby una bambina che non poteva avere più di dieci anni vestita di stracci, sporca e piena di lividi.
Si trattenne dall’urlare tutta la sua frustrazione salendo la rampa del jet per posare quella piccola creatura su uno dei lettini che erano stati preparati dal dott. Mc Coy.
 
“Se posso fare qualcosa per rendermi utile non esiti a chiedere…ho buone conoscenze mediche dottor Hank Mc Coy”
 
Il mutante si fermò un istante dal coprire la bambina per guardare negli occhi la compagna di Marie e nelle sue chiare iridi velate di sale lesse compassione tanto dolore e sincera voglia d’aiutare.
Incominciò ad adorare quella ragazzina.
Si voltò verso la parete del bird.
 
“Puoi cominciare col rilevare la pressione cardiaca dei nostri piccoli amici allora, gli strumenti sono in quell’armadio…”
 
Non udì alcuna risposta e credendo che ella non avesse ben capito si rigirò trovando il vuoto.
Subito dopo un fruscio attirò la sua attenzione e girandosi a mezzobusto vide che la ragazzina era già al lavoro ma quello che più lo colpì fu la premura che lei rivolse a quei ragazzini, a come accarezzava le pallide fronti sudate di quei poveretti, a come sorrideva loro parlandogli con tono dolce e protettivo.
 
Sorrise ritrovando un poca di fiducia negli esseri umani tornando ad occuparsi dei suoi pazienti.
 
“Hey gente!”
 
I pesanti e svelti passi di Clayton rimbombarono sulla rampa del jet e pochi istanti dopo la sua imponente figura apparve sulla porta.
 
“Ci sono guai in vista!”
“Che genere di guai Clay?”
“Che è successo Hawk2 ?!?”
 
Clayton scorse con lo sguardo la fila di lettini fra i quali si stava muovendo Kim che nonostante la preoccupazione non aveva smesso di fare…cosa non ne aveva idea, ma fu la moretta ad attirare la sua attenzione. Cosa gli stava chiedendo? Sbottando un grugnito sintetizzò il casino che era successo poco prima.
 
“Del genere che due dei nostri sono stati presi”
“Cosa?”
 
Solo in quell’istante Kim si accorse di come Clay fosse conciato e una volta concluso il suo dovere si fiondò da lui per accertarsi delle sue condizioni.
 
“Che diavolo ti è successo Clay? Marie sta bene?”
“Sto bene è solo un graffio”
“E Marie?”
“Lei e il vostro amico mi preoccupano piuttosto…” lasciò il contatto visivo con Kim puntando gli occhi su Ororo, Kitty Bobby e Gambit.
“E arrivati a questo punto mi preoccupate anche voi…”
 
Scese all’interno del jet un silenzio gelido e ombroso.
 
“Cosa aspettavate a dirci che anche voi siete mutanti?”
 
DOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM
 
 
 
…………………………………..
 
 
A pochi metri dalla riva del lago Ontario un improvviso fruscio spaventò uno stormo di oche sopite che si levarono in volo starnazzando.
Emersero due sagome che tossendo acqua ingoiarono quanta più aria potessero contenere i loro polmoni.
 
“Cazzo!!!!”
Logan, immobile la guardò sconvolto.
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 11
*** Hurting her ***


  
 
 
 
Si voltò a guardarlo furente; gli occhi rossi a causa del prolungato contatto con l’acqua, i capelli fradici appiccicati al collo e al viso ed il respiro affannato dopo la lunga e forzata apnea le donavano, complici con i raggi argentati della luna, un’aria assassina.
E lui rimase immobile, incapace persino di formulare qualsiasi pensiero bloccato com’era nel realizzare quello che era appena successo.
 
 
 
……………….
 
 
 
“Stavamo facendo ritorno dopo esserci assicurati che foste usciti tutti sani e salvi, Marie camminava di fianco a me, il vostro amico davanti e sembrava irrequieto, agitato in allerta.”
 
Clayton, seduto su di un lettino guardava Kim bendargli lo sfregio che aveva sul braccio dopo che il bestione blu glielo aveva ricucito.
Davanti ai suoi occhi scorrevano ancora le immagini di quei neanche 20 minuti di scontro, iniziati d’improvviso e finiti altrettanto velocemente.
 
“Io avevo la mano sulla spalla di Marie per confortarla dal momento che sembrava sconvolta per qualcosa, le condizioni dei piccoli suppongo. Incuriosito dal comportamento di Logan anche io mi sono guardato intorno ma era tutto tranquillo e non notavo nulla di anomalo; era buio dal momento che avevamo staccato la corrente e si vedevano solo le nostre sagome e alcune ombre ma non ho percepito nient’altro; poi di colpo sento Marie spingermi via contro la parete e gridarmi di tornare subito al jet e d’improvviso è scoppiato il finimondo”
“Perché non le hai dato retta? Se fossi venuto saremmo intervenuti anche noi…”
 
Clayton scosse la testa in direzione di Ororo.
 
“Volevo capire che stava succedendo e poi, non sono solito accettare ordini da un mio subordinato.”
“Ed ecco qui quello che ne ottieni…” Kim finì di applicare il cerotto all’estremità della benda in modo che la tenesse incollata al resto della fasciatura.
“Zitta Kim, tu avresti fatto lo stesso…”  Scocciato Clay si riprese l’arto mentre la bionda in tutta risposta levò gli occhi al cielo.
“Che è successo poi?” Ororo doveva sapere.
 
“Sono stati esplosi alcuni colpi, ho visto da dove per via della scintilla ma non potevo capire dove fossero diretti, a sparare erano in quattro e io ne ho fatti fuori tre ma l’ultimo mi ha colpito, probabilmente indossavano degli occhiali agli infrarossi.”
“E tu sei stato capace di farne fuori tre senza…vederli?”
 
Clayton alzò lo sguardo verso il biondino dal viso d’angelo come lo chiamava lui sfidandolo a dubitare della sua versione.
 
“Figo!”
 
Per poco non scoppiò a ridere nel vedere l’espressione del ragazzino infervorarsi mentre guardava esaltato l’amica.
 
“Non sarei negli Hawks se non fossi in grado di difendermi ragazzino, ma il punto non è questo…Marie, lei…Cristo!”
“Clay?”
“Di colpo si sono accese le luci e nel tempo che ci abbiamo messo ad abituarci al cambiamento l’avevano presa. Un affare metallico, gigante e velocissimo l’aveva catturata e io mi son messo a sparare verso quello che lo controllava ma la calotta dell’abitacolo ovviamente doveva essere antiproiettile perché le pallottole schizzavano via. “
 “Una sentinella…” Ororo esalò quella parola parlando più a sé stessa che a loro.
“Una che?” Clayton scattò di colpo in piedi, lui e Kim non sapevano cosa diavolo fossero quegli affari.
“Sono dei dispositivi anti mutanti costruiti in segreto sotto ordine del governo quando Stryker era generale e, insomma…li usano per catturarci o farci fuori…”
“Non l’avrà…” Kim, intuite le parole di Tempesta era già saltata alle sue drammatiche conclusioni.
“No, non è stato veloce abbastanza…sarà perché l’ho distratto e quello si è messo a cecchinarmi o perché semplicemente quello alla guida era un coglione nato, fatto sta che siamo riusciti a salvarla. Il vostro amico gli si è buttato subito contro e l’ho visto venir sbalzato via come fosse stato un moscerino contro il muro,  le vibrazioni dell’impatto le ho sentite sotto ai piedi, e mi trovavo dall’altra parte del piano; giaceva immobile col viso chino ed ero convinto che l’avesse ammazzato…poi le grida di Marie mi han fatto tornare all’attacco, ho cercato di distrarlo sparandogli addosso ma quel bastardo la  usava come scudo sventolandomela davanti e in tutto quel casino lei era in grado solamente di dirmi di andare via e mettermi in salvo…”
 
Clay si portò le mani al viso tremando di rabbia.
 
“Stava letteralmente venendo stritolata da quegli aggeggi meccanici e l’unica cosa alla quale era in grado di pensare era alla mia salvezza….quella sciocca! ”
“Tipico di Marie”
 
Clay cercò la fonte della nuova voce, per la prima volta a parlare fu l’altra ragazzina.
 
“Già…pensa al bene degli altri ancor prima del proprio…”
“E allora spiegatemi come diavolo avete potuto devastarla in quel modo!”
 
Clay saltò come una molla, incazzato come non mai, le parole d’elogio di Viso d’angelo lo avevano davvero scosso, come si permettevano di parlare così dopo che l’avevano dimenticata per anni?.
“Clay!”
 
La mano di Kim lo stava stringendo forte proprio sulla ferita…bastarda!
Sibilando dal dolore si calmò guardandola male.
 
“Non è il momento e non sono affari nostri.”
“Marie è affar nostro Kim…dobbiamo proteggerla.”
“Noi ti aiuteremo.”
 
Il tono con cui Ororo parlò non ammetteva repliche e Clayton, dopo aver sostenuto lo sguardo di lei in silenzio, annuì una sola volta.
 
 
 
 
……………………………
 
 
 
 
 
Non seppe dire quanto ci misero ad arrivare a riva, due minuti prima stavano annaspando in mezzo all’acqua, ora, stremati riprendevano fiato al sicuro sulla riva.
 
A fatica Logan si girò sulla schiena inondandosi dell’aria e del blu di quel cielo notturno.
Sentiva male anche in parti che non sapeva potessero dolere.
Chiudendo gli occhi analizzò quello che era successo nell’ultima mezz’ora mentre il suo petto si alzava e abbassava a ritmo frenetico.
 
Dopo che l’aveva distrutta la maledetta sentinella stava per esplodere e l’unica cosa che era riuscito a pensare prima che essa  detonasse era stato di proteggere Marie così l’aveva raggiunta di corsa e stretta forte in modo che il suo corpo le facesse da scudo ma lei lo aveva scansato con enorme facilità concentrando tutta la sua preoccupazione verso il suo compagno di squadra, quel vecchio pazzo che non aveva voluto darle ascolto e si era prodigato in tutte le maniere per tentare di salvarla.
 
Doveva ammettere però che se erano riusciti a sconfiggere quella macchina infernale il merito era soprattutto suo; seppur braccato, ferito e intontito dalla sorpresa di quell’affare che gli stava dando la caccia e impossibilitato a rispondere al fuoco, quel Clayton in breve tempo aveva trovato il tallone d’Achille della sentinella e con due colpi ben piazzati aveva aperto uno squarcio sotto alla pancia del robot rendendo visibile il groviglio di cavi che connettevano i comandi di quell’affare.
 
C’era riuscito proprio quando lui si stava riprendendo dal colpo subito dopo essere stato scaraventato contro il pilastro portante dell’edificio; fu allora che entrò in gioco e poco prima che Clay fosse sul punto di venir ucciso dalla sentinella lui gli era saltato davanti e sguainando i suoi artigli aveva tranciato alla cieca cavi, lamiere e tutto quello di cui la macchina fosse composta, pilota compreso.
Si era poi voltato per sincerarsi delle condizioni dell’alleato ed aveva sorriso della sua espressione attonita; un gemito di Marie, che era schizzata via con il gancio a cui era imprigionata, monopolizzò ogni suo pensiero e saltò oltre il rottame per aiutarla a rimettersi in piedi dal momento che non riusciva a disincastrarsi bene dalla ganascia e le sue ginocchia non ne volevano sapere di flettersi.
 
Nemmeno il tempo di raggiungerla che un suono continuo e fastidioso aveva incominciato a sibilare, e riuscì solamente a sfiorarle la mano che lei stava già correndo verso Clayton urlandogli di andarsene via.
 
“Sta per esplodere Clay!!! Vai via!!! VIA!!!!!”
 
Ma il suo compagno era a malapena riuscito a mettersi in piedi, non avrebbe mai fatto in tempo a salvarsi e  Marie questo lo doveva aver capito.
 
Un improvviso brivido gli percorse la schiena, identico a quello che aveva provato nel venir manipolato da Magneto, un tremore alla spina dorsale ed una specie di prurito che si estendeva a tutte le ossa…una vibrazione tiepida ma fastidiosa e la consapevolezza di non essere più padrone del proprio corpo.
Possibile che dietro tutto quello ci potesse essere Magneto? Come poteva trovarsi li come…
L’intermittente segnale acustico aveva aumentato d’intensità,  ancora pochi secondi e sarebbe saltato tutto in aria.
Col panico che lo rodeva dentro scattò verso di lei deciso a trascinarla via rimanendo immobilizzato da ciò a cui assistette.
 
Il viso di lei mentre con il braccio teso ed il palmo aperto indirizzava ogni sua briciola di attenzione verso Clayton era contratto in una smorfia di dolore e concentrazione.
Sotto ai suoi piedi il pavimento incominciò a tremare, alcune viti cadute dal soffitto presero a tremare staccandosi dal suolo e il suo scheletro fremeva mentre da entrambe le pareti alle loro spalle cominciarono a staccarsi le stridendo le lamiere di protezione.
Persino i tondini di ferro, utilizzati per rendere solido il solaio spuntarono dal pavimento smuovendo blocchi di cemento come fossero stati radici di mangrovie.
 
L’esplosione avvenne che lui stava ancora guardando Marie; udì il forte boato e il colpo dell’onda d’urto contro il blocco di lamiera con i tonfi dei rottami che cozzavano su di essa ma non avvertì né il calore né il dolore dell’essere investito dalle fiamme.
Cadde sulle ginocchia quando tutta la struttura si incrinò e mentre tutto crollava si ritrovarono entrambi in acqua, Marie fu svelta a risalire ma per lui fu impossibile anche solo tentare di muoversi. La forte corrente lo faceva vorticare, il peso del suo corpo andare a fondo mentre la mancanza d’ossigeno avrebbe fatto il resto.
 
Alzò il viso cercando di distinguere nell’oscurità la sagoma di Marie per potersela imprimere bene nella memoria prima di morire e prese un colpo nel ritrovarsela davanti ad afferrarlo per le spalle.
Probabilmente era risalita a prendere fiato ma il suo tentativo di aiutarlo sarebbe stato inutile, era troppo pesante per lei, sarebbero morti entrambi.
 
Di nuovo fu invaso dalla sgradevole sensazione d’esser manipolato e osservando il viso di Marie la vide buttar fuori di colpo una boccata d’ossigeno dalle labbra schiuse per la fatica, cercò di strattonarla via ma ella non mollava la presa, le gridò allora d’andarsene ma l’unico risultato che ottenne fu quello d’ingoiare acqua ed avere spasmi; spaventato cercò di dimenarsi e pur di mandarla via sguainò persino gli artigli-
 
Ci fu uno scroscio e ancor prima di rendersene conto la sua bocca si spalancò ed i suoi polmoni inspirarono quanta più aria potessero contenere.
Il viso gli si raggelò a contatto con la fresca brezza e delle gocce gli discesero dalla fronte fino al mento. Aprì gli occhi guardandosi intorno. Era buio, erano in superficie.
 
“Cazzo!”
 
Rimase immobile e muto osservandola guardarsi intorno poi nuovamente si sentì sospingere e le onde che gli si abbattevano contro si alternavano ai respiri stanchi e affannati di lei.
Marie lo aveva salvato.
 
 
“Ngh…anh…nhm…”
 
Grazie alla sua capacità di guarigione si riprese molto più in fretta di lei che a pochi metri da lui respirava affannosamente esausta per la nuotata, lo scontro e…
Le si avvicinò strisciandole accanto realizzando poco a poco che assieme all’odore neutro dell’acqua che li bagnava, della terra umida che li circondava e dell’erba che probabilmente cresceva lì attorno c’era un altro odore più pungente che gli pizzicava le narici.
Sangue.
 
“Marie?”
“....” la sua unica risposta furono tre spasmi e il suo respiro stanco.
“Marie tut…”
“…non ti av-” si spostò ulteriormente dall’essere raggiunta gemendo a denti stretti di un agonia che andava oltre il semplice essere esausta.
Preoccupato si levò in piedi coprendo la poca distanza che li separava in un attimo, fregandosene degli stanchi e inutili tentativi di lei di guadagnare le distanze.
Le si inginocchiò vicino notando la sua sagoma semidistesa con il peso del torace che premeva su l gomito destro…il sinistro premeva forte sull’addome all’altezza del fianco destro.
Inconsciamente gli si dilatarono le narici e capì che l’odore di sangue proveniva da lei.
 
“Marie che hai?”
 
Scattò in avanti posandole la mano sul polso per spostargliela trovandosi al contrario sbalzato all’indietro.
Attonito la guardò cercare di rimettersi in piedi gemendo e inveendo contro il mondo intero parole che avrebbero fatto vergognare persino uno scaricatore di porto.
Capì un’altra cosa in quel momento sentendo all’interno del proprio corpo la morsa fastidiosa di un controllo estraneo, e cioè che Magneto non centrava nulla…a manipolare il metallo della base clandestina ed il suo corpo era semplicemente stata Marie.
La Marie che cercava di allontanarsi da lui seppur ferita ed esausta, la Marie che non lo voleva più accanto e la Marie che al contrario di quello che si era ripromesso di fare aveva finito per invertire i loro ruoli diventando salvatrice anziché persona da difendere.
La luce lunare illuminava il lento e traballante incedere di lei.
 
“Ahn!”
“Marie”
 
Rimettendosi in piedi la raggiunse bloccandola nella caduta a cui la debolezza fisica l’aveva condotta; prendendola per le spalle la fece sdraiare e stavolta, nonostante dalla sua espressione si potesse ben notare che ci avesse provato lei non riuscì a mandarlo via.
 
“Che hai?”
“Che ho? Mi chiedi che cos’ho? Dannato coglione! Ecco che cos’ho!!!”
 
Spostò le mani e sotto ai suoi occhi, illuminati quel poco che bastava per essere distinguibili dal tessuto strappato del maglione di lei, si potevano notare tre sfregi paralleli e lineari che le graffiavano il fianco facendolo sanguinare abbondantemente.
 
“Io ti volevo aiutare e tu mi hai…mi hai…mhn…dannato bastardo!”
 
Scoppiò a piangere di un pianto disperato e rabbioso, gli occhi le lacrimavano come fiumi in piena, il respiro era impazzito e le contrazioni che i singhiozzi le causavano al diaframma saettavano vibrando nei tessuti lacerati dei suoi muscoli facendola gridare di agonia.
In tutto questo lui rimase pietrificato.
L’aveva ferita di nuovo, non volendo, non facendo apposta ma….l’aveva ferita di nuovo.
 
“Spostati…”
“…”
“Logan…vai via!”
 
Incapace di reagire lasciò la presa cadendo all’indietro sedendosi. Come aveva potuto farle del male?
Rimase immobile a fissare la terra sotto di sé finché non si sentì chiamare.
 
“Andiamo!”
“…”
“Lagan!!?”
 
Venne issato di peso e si ritrovò a guardarla negli occhi.
Che?
Ma se fino ad un attimo fa Marie stava in terra gravemente ferita come poteva essergli vicina ora?
Non ci capiva più niente.
 
“Sbrigati, dobbiamo trovare gli altri e capire dove diavolo ci troviamo. A occhio e croce siamo sulla riva opposta…”
“Stai…bene?”
“Si. Muoviamoci ora.”
“Marie?”
“Che c’è?”
“Perdonami”
 
Si preparò a ricevere un suo abbraccio come succedeva sempre quando si riappacificavano dopo una litigata, ma anziché stringerla lui si incamminò superandola in silenzio.
Con amarezza si rese conto d’esserci rimasta male.
Sospirando lo seguì.
 
 
 

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Capitolo 12
*** a new possibility... ***


 





Camminare in quelle condizioni non era il massimo.
Si sentiva esausta ed aveva un freddo cane, era fradicia da capo a piedi e l’umidità presente li attorno data dalla condensa che saliva dalle acque del lago la faceva sudare come se si fosse trovata nel deserto, i capelli poi, cribbio, se non stavano al loro posto se li sarebbe strappati cazzo!
 
Distratta non badò al tronco che le sbarrava la strada inciampandoci dentro e finendo a terra come un sacco di patate. Urlò tutta la sua rabbia cercando di non pensare all’acuto dolore del piede leso.
 
“Siediti, sei esausta.”
 
Logan…diamine!
Non lo ascoltò e in meno di due secondi già camminava a passo spedito.
Sbuffando un brontolio lui riprese a seguirla.
 
Dieci minuti dopo scazzato dal suo continuo cadere decise di mettere fine alla sua cocciutaggine arrivandole dietro proprio mentre stava per rialzarsi per premerle sulla spalla la propria mano e farla stare giù.
 
“Lasciami stare!”
“Solo se stai buona.”
“Dobbiamo allontanarci.”
“Dopo”
“Verranno a cercarci dannazione!”
“Non c’è nessuno nei paraggi, abbiamo tempo.”
“Logan!”
 
Indifferente alle sua grida si abbassò arrivandole al livello del viso, le sue mani salde alle spalle di lei la bloccavano a terra.
Sorrise internamente alla rabbia che bolliva in quegli occhi belli come le foreste più selvagge, unici e puri come nessun’altra li possedeva.
 
Avrebbe potuto accarezzarle la guancia con la scusa di scostarle alcune ciocche ribelli dal viso ma si trattenne, era ancora presto per la dolcezza purtroppo.
 
“Ascoltami…sei sfinita e hai bisogno di riprendere le forze, non ti chiedo molto venti minuti al massimo e poi riprendiamo il cammino e se avverto qualcosa di strano partiamo subito ma ora come ora, non ha senso spremersi per niente…”
“…”
“Avanti ragazzina, sai che ho ragione…”
 
La spinta che ella gli usava contro per liberarsi dalla sua presa improvvisamente svanì.
Riuscì a nasconderglielo bene, ma sentirsi chiamare nuovamente così fu brivido per lei.
 
“Brava Marie”  Finalmente gliene aveva data vinta una.
“Rogue…”
“Nh?”
“A quanto pare, sono tornata ad essere Rogue…” rise d’amarezza la sua piccola Marie mentre piano si asciugava una lacrima scesale dall’occhio.
 
“E ti dispiace?…”
 
Lo guardò. Ma che razza di domanda idiota le faceva? Certo che le dispiaceva, aveva mandato tutto a puttane a causa della cura e che cazzo, almeno che essa fosse definitiva diamine.
 
“Mi chiedo se lo fai apposta per farmi arrabbiare o ti viene naturale...”
“Eh?”
“No perché nel caso ti venga d’istinto, complimenti cazzo, se un genio, un asso un…”
“Ma cosa!?”
“Questo! Non ti ricordavo così deficiente! Sei una cosa assolutamente snervante odiosa e….” Nitrì un grido di rabbia fra i denti…meglio smetterla sennò lo pestava.
“Cosa mi hai appena detto?”
“Che sei un deficiente! E pure sordo o finto tonto a questo punto…”
 
Batté il palmo a terra stizzita, ma porc…e si che si era appena detta di star zitta.
Tornando a guardarlo si  morse il labbro nervosa, se lo aveva fatto incazzare, e lo sguardo di lui diceva proprio questo, non se la sarebbe più cavata.
Notò l’ espressione offesa di lui con gli occhi schiusi scintillanti del color del marmo nocciola le sopracciglia corrugate il naso diritto che portava lo sguardo alle sue labbra arruffate….
 
Scoppiò a ridere. A ridere di pura ilarità, di quel tono e quel respiro che ti colgono d’improvviso alla vista di qualcosa di buffo, al pensiero di uno scherzo o al senso di una barzelletta ben raccontata.
Rise chiudendo gli occhi al cielo incantandolo, e ridendo senza saperlo rinunciò a quella sua rabbia che rappresentava l’ultima barriera che suo cuore aveva innalzato per difendersi da lui.
 
Erano tornati Logan e Marie.
 
 
 
………………………………………………………
 
 
 
“Clay…”
 
L’uomo si tolse dal volto l’apparecchiatura con la quale stava tentando di rintracciare Marie.
Gli Hawks erano un corpo militare estremamente all’avanguardia in fatto di tecnologia ed i membri che lo componevano erano in grado di rimanere in contatto o ritrovarsi anche quando le situazioni sembravano catastrofiche.
Non era la prima volta che venivano separati e non era di certo la prima missione che andava in maniera diversa dal previsto per questo erano preparati, per questo, nonostante tutto sia lui che Kim erano tranquilli.
 
“Che c’è?”
“Il tuo GPS…”
 
Fece caso solo in quel momento alla continua vibrazione che si propagava dalla tasca della cinta.
 
“Hawks 2 signore…”
 
Ci fu un attimo di silenzio interrotto da alcuni assensi di Clay, poi ancora silenzio e l’alzarsi dell’uomo che divenuto improvvisamente nervoso aveva preso a camminare lungo il corridoio del bird cercando di incominciare un discorso di spiegazione che prontamente veniva troncato da chi stava dall’altro lato dell’apparecchio.
 
“Le sto dicendo che…”
(……)
“Mi lasci alme-”
 
All’ennesimo sbuffo di Clayton Kim decise di intervenire.
Avvicinandosi al suo collega gli sfilò di mano l’apparecchio spegnendolo improvvisamente.
 
“Kim ma che!? Era McLee cosa cazzo gli dico poi eh?”
“Che voleva?”
“Non ha avuto nostre notizie per troppo tempo, nel casino che è scoppiato non ho avuto modo di contattarlo voleva solo…”
“Rompere i coglioni…”
“Kim!”
“Adesso la nostra priorità è trovare Marie, poi la riportiamo a casa e gli spieghiamo tutto…”
 
Il silenzio che si creò d’improvviso fu molto più che eloquente.
 
“Magari tralasciando la faccenda mutanti, così calmiamo il mastino e sistemiamo le cose d’accordo?”
“Al punto in cui siamo ormai non avrebbe senso richiamarlo, si comporterebbe da moglie offesa…”
“Gli diremo che eravamo in conflitto, sotto tiro vedrai che si calmerà…ora rimettiti questo e trova Marie…”
“Si”
 
Non ci mise molto il vecchio Clay a trovare ciò che interessava loro.
 
………………………………
 
Stavano camminando da venti minuti buoni ormai e procedevano a passo spedito;  quella piccola pausa era giovata molto sia a lui che a Marie. Soprattutto a Marie.
Sorrise osservando le sue spalle ben ritte e tese muoversi seguendo il passo svelto che imponeva alle sue gambe, indugiò sul suo fondoschiena senza accorgersi di star sorridendo.
 
“Da quanto?”
 
Lei si bloccò fissando il vuoto buio dinnanzi a sé, i suoi occhi, dapprima stupiti si schiusero poi nel comprendere che non vi era malizia in quella domanda e voltandosi gli rispose.
 
“Due mesi…”
 “Due mesi fa?”
“…da che me ne andai.”
 
Sospirando e preoccupata di una sua possibile reazione gli voltò le spalle riprendendo la marcia allarmandosi un poco dell’insistente silenzio che si era venuto a creare.
Forse avrebbe fatto meglio a stare zitta, raccontandogli quel dettaglio si era esposta troppo e gli aveva servito su un piatto d’argento la ragione di avercela con lei sull’inutilità della scelta che aveva fatto curandosi.
 
“Perché non sei tornata?”
 
Quelle parole le mozzarono pensieri che sarebbero divenuti cupi e angosciosi, sbuffò un sorriso stizzito e aumentando il passo finse di non aver udito.
 
“Marie?”
“Nh?”
“Mi hai sentito?”
“….”
“Allora?”
 
Prendendo fiato si voltò a mezzo busto.
Non lo guardò in viso preferendo puntare lo spazio buio e confuso dietro di lui.
 
“Non sono una che ritorna sui propri passi Logan…decisi di andarmene e me ne andai…punto.”
“Ma…”
“Se l’avessi fatto cosa sarebbe cambiato?”
“Saresti stata a casa tanto per cominciare, avremmo potuto chiari-”
“Eh no!”
 
Marie scattò voltandosi, completamente scandalizzata da ciò che lui stava per dire.
 
“Chiarire?!” lo guardò con gli occhi spalancati. Offesissima. “ Chiarire cosa? Mi avreste guardata come quella che tornava con la coda fra le  gambe dopo che il suo piano era andato in fumo e poi, con che faccia vi avrei affrontati?  Cosa avrei potuto dire? -ciao sono tornata perché sono di nuovo un mutante, fingiamo che non sia successo niente?-
 
Logan seppur preso in contropiede azzardò un sorriso; conosceva il significato di quel tono di voce…Marie era al limite, stava per scoppiare.
 
“Cazzo Logan eravamo amici…amici! Non conoscenti o che cazzo ne so…colleghi di lavoro che si frequentano per forza di cose, credevo mi voleste bene a prescindere da quello che sarei stata e…che mi avreste capita, sostenuta, incoraggiata… invece…”
 
Si asciugò una lacrima sotto all’occhio destro sfregando la manica umida e sporca di sabbia che le arrossò tutto lo zigomo; Logan notò il tremare isterico delle sue mani, la stanchezza dei suoi occhi e la rassegnazione che c’era nella voce di lei, ma lo stesso era felice…stava ottenendo ciò che voleva, la stava facendo parlare, sfogare…stava vincen-
 
“E comunque ormai il dado era tratto…”
 “Che vuoi dire?”
“A quel punto non eravate voi a non volermi, ma io a non voler più tornare…”
 
Diamine, si stava rimettendo in carreggiata la furbetta, stava cercando di chiudere il discorso e di scappare ma lui non glielo avrebbe permesso.
 
“Eravamo confusi…scossi…arrabbiati…”
“Io invece stavo una meraviglia sai?”
“Non scherzare…”
“Ti pare che lo stia facendo?”
“Marieeee…”
 
 
Chiuse gli occhi,odiava quando la chiamava in quella maniera…con l’ultima lettera del suo nome strascicata ed il tono roco che pareva quasi sussurrato.
 
“Cosa!? Non puoi aspettare che siamo al sicuro prima di voler a tutti i costi parlare di questo? E poi che altro c’è da dire ancora? Voi siete felici….io sono felice, basta ti prego…basta!!!”
 
Non voleva più sentirsi così arrabbiata e piena di rancore…era come se lui si divertisse nel tirar fuori quell’argomento per farla incazzare…perché faceva così?
 
….glielo chiese interrompendo ciò che lui le stava per dire.
 
“Cosa?”
“Hai capito…perché fai così? Che divertimento ci trovi nel tormentarmi?”
“Credi che lo faccia per diletto?” lui scattò in avanti arrivandole di fronte, santo cielo quanto era bella.
“Ma che cazzo di termini usi Logan?”
 
Si ritrovò spiazzato da quella precisazione e non fece altro che guardarla negli occhi, intensamente prima di scivolare sulle sue labbra con uno sguardo talmente inequivocabile che lei si sentì fremere.
 
No…questo no.
 
Indietreggiò lentamente sentendosi tremare, i suoi occhi inchiodati all’espressione di lui;  non poteva farle questo…no…questo no, non era valido, non era leale…non…
 
“Wah…”
 
Come fece ad inciampare non se lo seppe mai spiegare, fatto sta che in due secondi la sua testa stava a terra sulla dura roccia ammantata di sabbia gelida e bagnata.
Per dieci secondi buoni rimase intontita.
 
L’unica cosa positiva di quella rovinosa caduta fu il fatto d’aver messo fine alla discussione almeno per il momento, e forse…ma non ne era certa perché probabilmente la sensazione era dovuta al senso di stordimento che l’aveva avvolta, il fatto d’esser presa in braccio da lui e stretta in quella maniera tanto dolce e salda che immaginava essere il modo in cui i principi portavano le loro dame nella camera da letto la prima notte di nozze.
 
Rise a quel confronto guardando il suo principe improvvisato pensando che di regale quel minimaciste non aveva proprio nulla…o forse, ma qui si tornava alla spiegazione di prima, quella rara bellezza tanto sexy e romantica al contempo…o gli occhi, si, gli occhi decisamente erano quelli di un principe, troppo inusuali per poter appartenere ad un comune uomo troppo scintillanti e pieni di storia per…
 
“-sta?”
“…eh?”
“Hai battuto la testa?”
“Siiiiiiiiiiiii”
“Ti fa male?”
“Nhhh”
 
Rispose stancamente approfittando del momento per appoggiare la tempia contro il collo di lui.
Avvertì il suo profumo ed andò in estasi mugolando un gemito che doveva essere di dolore per avvalorare la sua risposta ma che in verità sapeva di, lo morse alla base del collo assaggiandogli la pelle costringendolo ad un blocco improvviso.
 
“Sai di sudore…”
 
Rise stancamente mescolando ilarità e sofferenza, le onde di dolore le si propagavano dalla nuca avvolgendole le membra, gli occhi…ogni pensiero razionale.
 
Rise accorgendosi a scoppio ritardato di quello che aveva appena fatto notando le tre reazioni principali di lui che per prima cosa  aveva aumentato la stretta alla sua vita e alle ginocchia mentre in un sussulto il cuore gli mancava alcuni battiti.
E per ultimo giù in basso…qualcosa si era risvegliato.
 
Scoppiò a ridere tendendo la schiena per arrivargli di fronte, occhi negli occhi.
 
“Ma sai di buono…”
 
Inspirò il profumo dei suoi capelli sfiorandogli la zona dietro l’orecchio col mento.
 “…decisamente”
 
Lentamente gli tornò di fronte guardandolo  in quegli occhi di lucido marmo sconvolti e in attesa nei quali erano riflessi i suoi, velati dallo stordimento…intorpiditi e vacui.
 
“Però è lo stesso, io non cederò…non mi spezzerai il cuore un'altra volta.”
 
E mentre lui rimaneva immobile cercando di assimilare il significato di quelle parole, lei lo costringeva a lasciare la presa avvalendosi dei poteri di magneto per fargli allargare dita e braccia.
 
Per tutto il resto della nottata, nonostante i suoi continui sforzi per farla rimanere in piedi dal momento che inciampava ogni tre per due ,  non si rivolsero la parola.
 
Al sorgere dell’alba si ricongiunsero alla squadra principale e nonostante sul bird regnasse un aria di gelo assoluto la situazione rimase in stallo.
Per prima cosa infatti Hank decise che bisognava trattare la ferita che Marie aveva alla testa dal momento che era ovvio il suo non star bene così Clayton, per evitare ulteriori e inutili scocciature prese la decisione più giusta e sbagliata che ci fosse da fare.
 
“Portatela con voi…”
“Eh?”
 
Ororo e Kim avevano parlato all’unisono, sconvolte da quell’ordine.
 
“È una di voi, se la portassimo alla nostra infermeria verrebbe subito scoperta e non voglio che le accada nulla, lo stato in cui è ora le impedisce di controllare i suoi poteri, qualunque essi siano e non…”
 
Il miagolio di lei interruppe la sua seria giustificazione, era assurdo per lui vederla in quelle condizioni.
 
“Mi lasci qui Clay? Sono stata cattiva? Disubbidiente…non adat-”
“Porca puttana!”
 
Prendendo a pugni il portellone dell’Hangar scese di corsa intimando a Kim di seguirlo.
 
“Ci faremo venire a prendere…voialtri andate, svelti.”
 
Logan rimasto in disparte fino ad allora prese in mano la situazione precipitandosi a chiudere il portellone ordinando poi ad Ororo di mettere in volo il black bird.
 
Indifferente poi andò a sedersi accanto a Marie che sotto alle cure di Hank rideva e parlava in maniera assurda come se fosse stata ubriaca o strafatta di qualche dose massiccia di che cazzo ne sapeva lui chiedendosi cosa sarebbe successo una volta che la sua commozione cerebrale fosse stata sistemata.
Decise di non pensarci e reclinando il sedile si mise a dormire.
 
 
 
 
  

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Capitolo 13
*** Back to the old time ***


 
 



 
Aprire gli occhi e trovarsi riflessa nel grande specchio attaccato al suo armadio era ormai cosa comune negli ultimi tempi.
Da quando aveva preso la cura qualcosa in lei era morto e qualcos’altro … impazzito.
Non si stava a preoccupare di questo, alla clinica dove era andata per farsi fare iniezione le avevano detto che potevano manifestarsi alcune irregolarità come il mutamento dei suoi bioritmi naturali, dei formicolii alle dita e persino l’insonnia, ma quella non era un problema, sapeva chi l’avrebbe aiutata a dormire.
Una buona chiacchierata con Logan o anche la sua muta vicinanza per lei erano meglio di qualsiasi tisana o sonnifero.
 
Le sue orecchie riuscivano a percepire il soffuso e indistinto rumore di una ben nota voce.
La telecronaca dello speaker delle partite di hockey aveva un accento unico e un entusiasmo travolgente.
Lei lo adorava.
Sorridendo schiuse la porta saltellando verso le scale scendendole a tempo di record rischiando persino di scivolare sul lucido legno cerato dei gradini, la curva che prese a tutta velocità per svoltare l’angolo e andare verso la sala video la mandò a sbattere contro lo scaffale di vetro in cui Tempesta riponeva i suoi oggetti etnici in bella mostra, la sfiorò senza che l’urto li potesse far cadere riprendendo la corsa verso la sala video.
Non vedeva Logan da una decina di giorni, e per vedere lei intendeva chiacchierarci assieme come minimo un paio d’ore, uscire per una partita a biliardo o guardare l’hockey in Tv, non un mezzo saluto detto dalla fretta dei mille impegni di lui.
Quando se n’era andata aveva saputo del casino scoppiato coi mutanti dal disturbato radiogiornale che la radiolina dell’infermiere addetto alle iniezioni aveva divulgato proprio mentre era il suo turno.
 
“Hai fatto una scelta più che saggia ragazza mia…quei mostri non fanno altro che creare guai,uccidere e pretendere…”
 
Lei si vergognò.
Non perché credeva nelle spaventate parole piene d’odio che le erano state rivolte ma per il semplice fatto che pur avendo provato l’irrefrenabile istinto di prenderlo a schiaffi e mandarlo a fanculo quel deficiente, non fece proprio nulla.
Si era limitata ad abbassare il volto mortificata senza nemmeno provare a difendere i suoi amici…la sua famiglia. Vada per lei che realmente poteva uccidere,ma Logan Bobby Tempesta e Jubes….loro non avrebbero mai potuto far del male a nessuno, loro difendevano, erano gli X-men.
 
Quando era tornata il mattino dopo gli scontri ad Alcatraz aveva visto Bobby, cercato di sistemare le cose fra di loro ma alla fine lui l’aveva mollata, Kitty col tempo l’aveva totalmente cancellata dalla lista delle sue amicizie  e Jubilee non le rivolgeva più neanche uno sguardo.
Logan era introvabile, probabilmente troppo indaffarato a far funzionare le cose di giorno e fuori da qualche parte a smaltire la tensione alla sera per trovare il tempo di parlare con lei.
C’era rimasta male, ma capiva.
Comprendeva Bobby, capiva Kitty e già aveva perdonato Jubilee e stava solo aspettando che i suoi amici superassero tutti gli ultimi avvenimenti, non era lontano il giorno in cui sarebbero tornati ad essere il mitico quartetto, ne era sicura.
Si accorse presto che non sarebbe più stato così quando il suo posto fu rimpiazzato da Colosso.
 
La sua unica certezza rimaneva dunque Logan che avrebbe visto da li a poco.
 
“Non sono tuo padre, sono tuo amico”
 
Ah si, e  lo avrebbe ringraziato.
 
Entrò in sala che era al settimo cielo cercandolo e trovandolo immediatamente sul divano che dividevano sempre durante le loro conversazioni notturne.
Lui era li di spalle, seduto malamente coi gomiti appoggiati sulle ginocchia intento a seguire un’azione particolarmente entusiasmante, non si era nemmeno accorto del suo arrivo, non sentiva il suo odore?
Sorrise…la passione per l’hockey era l’unica cosa che distraeva il mitico Wolverine a quanto vedeva.
Gli sgattaiolò vicino sedendosi sul poggia braccia del divano, il suo fianco destro gli sfiorò il braccio sinistro.
Accorgendosi finalmente di lei scattò a guardarla, la bottiglia che reggeva fra le dita delle mani fra le ginocchia scivolò a terra ma in qualche modo rimase in piedi.
 
Nel secondo da che si trovò riflessa in quel suo sguardo il sorriso le svanì dal volto.
Ogni sua intenzione, ogni suo intento di stringerlo ed abbracciarlo morì lì, disperso in quelle due orbite chiare e sconosciute che portavano riflesso dentro l’esser costretti a rimanere in un luogo non gradito.
Li in quella stanza, dentro all’Istituto di Xavier Logan si sentiva in gabbia, intrappolato in un ruolo che non era più suo.
La voce dello speaker che lei adorava scomparve dalla stanza così come ogni altro suono o rumore e pian piano, mentre il sangue smetteva di fluirle nelle vene ed i suoi erratici pensieri formulavano ipotesi e spiegazioni, tesi e antitesi dentro nel profondo una parte dei lei stava incominciando a capire la verità.
 
“H-hey” Sorrise imbarazzata guardandosi intorno incerta.
 
Notò immediatamente il suo allontanarsi.
Finse di non accorgersene sbattendo le palpebre che cominciavano a pruderle.
 
Il silenzio che lui lasciò trascorrere scandiva ad ogni secondo che passava l’aumentare di una distanza, sia fisica che vocale, che lui le stava imponendo.
 
Alzò le spalle allargando gli occhi con un sorriso di labbra serrate.
Non voleva accettare ciò che stava succedendo.
 
“Come va?”
 
Impercettibilmente lui inclinò il viso e quel movimento cambiò totalmente la sua espressione che grazie alla scarsa illuminazione data solamente dallo schermo della tv si adombrò lasciandogli la metà inferiore del viso totalmente oscurata. Solo gli occhi brillavano, bianchi e … le mancò il respiro. Erano indifferenti.
 
“I nostri vincono. Bel primo tempo” raccolse la bottiglia finendo la metà birra rimasta in due sorsi.
 
“Ah…” Guardò  la televisione annuendo una sola volta, c’era il break pubblicitario ora.
 
“…ma non mi riferivo alla partita”
“A no?”
 
Stupita raddrizzò la schiena.
 
“N-no.”
“A che ti riferisci allora?”
“A te.”
“A me?”
 
Rise quella domanda inarcando un sopracciglio, scettico.
Lei seppur intimorita e presa alla sprovvista da quella sua reazione mantenne i nervi saldi.
 
“Non ti vedo da un po’…so cos’è successo e…mi chiedevo se avessi voglia di parlarne, tu ci sei sempre stato per me volevo ricambiare il favore ma … ”
 
Riprese fiato guardando ovunque tranne che in faccia a lui e la cosa pazzesca era che lui la continuava a fissare con quell’espressione d’attesa e capì che stava solamente aspettando che lei gli desse un motivo per esplodere.
Lo fece.
 
“A quanto pare non sei dell’umore giusto per…”
“Dell’umore giusto?” Scattò in piedi dandole le spalle camminando verso la parete, poi quando l’ebbe quasi raggiunta si rigirò riprendendo a parlare.
“ Scott è morto,  Xavier e Jean sono morti Marie!!!
Lei l’ho dovuta uccidere io perché nessun’altro era in grado di farlo così ora ci ritroviamo con una scuola di 150 e passa studenti da coordinare e solo tre professori di cui uno…che sarei io, non ha la benché minima idea di cosa cazzo fare…”
“Lo so cosa è successo…c’ero anc-”
“No!  Ed è proprio questo il punto….”
“Eh?”
“Io non riesco a capire come tu possa avere anche solo potuto pensare seriamente di prendere e lasciare tutto…”
 
Logan si passò la mano sugli occhi increspando la pelle della propria fronte, lei attese che continuasse.
 
“Hai preso e te ne sei andata neanche quattro ore dopo il funerale di Xavier per Dio!! Quell’uomo ti ha accolta in casa sua proteggendoti dal mondo umano! Ti ha dato una casa, la possibilità di farti un istruzione e…”
“Logan basta…”
“E mentre tu eri via qui è successo il finimondo! Mentre tu eri via noi siamo dovuti andare a sconfiggere quell’invasato di Magneto, io Bobby Kitty Colosso Hank e Tempesta…5 contro un esercito ti rendi conto?”
“Credevo mi avessi capita…”
“Il punto è che quando tu sei stata in pericolo noi siamo venuti ad aiutarti Marie! Scott Jean e Tempesta erano con me e neanche ti conoscevano!
 Xavier mi ha permesso di entrare nel team per venirti a prendere e quando noi avevamo bisogno di te, che era Jean ad essere in pericolo tu hai mollato tutto.” Le andò vicino respirando fuori tutta la sua rabbia,inspirando nuova calma e fissandola negli occhi coi suoi che erano pieni di tristezza e delusione.
 
 “ È questo che non capisco.”
 
Non parve fare caso alle lacrime che lei stava versando sconvolta da quelle parole.
Cominciò a rendersi conto lei,che i fugaci saluti che lui le aveva rivolto nelle rare occasioni che si erano incrociati non erano dovuti alla fretta di andare a finire qualche faccenda piuttosto che al suo preciso desiderio di evitarla.
Scostò lo sguardo ingoiando un blocco pesante e gelido come il marmo e si sentì una stupida per non averlo capito prima.
 
“… ma cosa, credevi che potessi fare io? Non so combattere,  non divento di ferro o ghiaccio o trasparente io assorbo il potere Logan!”
 
L’occhiata che lui le rivolse rispose alla sua domanda ancor prima che essa potesse realmente prendere consistenza.
Capì e indietreggiando singhiozzò.
Capì e il cuore le si spezzò.
 
“Mi avresti fatto toccare Jean?”
 
Senza rendersene conto si trovò lontana a lui, dall’altra parte della stanza con le spalle che per metà premevano contro lo stipite della porta; scappare sarebbe stato semplice, bastava voltarsi e uscire e quella discussione sarebbe finita li. Si ritrovò immobile e tremante a fissare i suoi piedi ben piantati a terra.
Negò mentalmente a sé stessa l’idea di poter prendere in considerazione quell’idea, era cresciuta ormai, non sarebbe più scappata.
Non appena rialzò gli occhi per guardarlo la tristezza e la colpa sparirono dal suo cuore.
 
“ Se…se fossi stata lì mi avresti fatto toccare Jean?” la sua voce nascondeva un tono d’accusa che lui colse subito.
“Si! Ci avresti salvati tutti, nessun’altro sarebbe dovuto morire, decine di soldati si sarebbero salvati solamente grazie al tuo dono!”
 
Lei lo guardò sconvolta spalancando la bocca incapace di rispondergli immediatamente.
 
“Tu però hai preferito sbarazzartene … volevi poter baciare il tuo fidanzatino, prenderlo per mano e andarci a letto magari, beh sai cosa ti dico?” due falcate e le fu nuovamente accanto. Le ginocchia di lei tremarono e si piegarono facendola appoggiare maggiormente alla parete.
 
“All’inizio non lo credevo adatto a te ma dopo Alcatraz mi sono reso conto che eri tu a non essere adatta a lui.”
 
E per la seconda volta, pensando a com’erano finite le cose con Bobby, il cuore le si frantumò.
 
“ Bobby  non mi piace e io non devo piacere molto a lui, ma quando c’è stato bisogno lui era pronto giù all’hangar assieme agli altri;  era lì Marie…tu no.”
 
Sbuffando la guardò con disprezzo e rabbia.
 
“Ma la cosa che più mi fa incazzare è che dopo tutto questo hai il coraggio di venirmi a cercare per chiedermi come va? Pazzes-”
 
Lo schiaffeggiò zittendolo.
Gli diede una sberla talmente forte da riuscire a girargli il viso a destra ma si fece più male lei. Aveva dimenticato del suo scheletro d’adamantio.
Lui con folle calma tornò eretto guardandola diritta negli occhi.
In quel momento Marie capì che l’amicizia che c’era stata fra di loro era cessata proprio in quell’istante.
 
“Beh, mi dispiace di non esserci stata … probabilmente hai ragione tu; avessi toccato Jean la sua mutazione sarebbe passata a me e a quel punto sarebbe stato più facile infilzarmi dal momento che si trattava solo di me…”
 
Il suo sguardo di gelida indifferenza mutò immediatamente non appena lui capì cosa stava cercando di dirgli.
 
“Cosa?”
“Hai dimenticato cosa posso fare Logan? Il mio dono non addormenta le persone, ruba gli altri poteri e questi passano a me…sarebbe stato esattamente come a Liberty Island quando Magneto mi toccò la macchina era in azione ed il suo potere incanalato in essa, io non ero in grado di controllarlo, non potevo.
Jean era sotto il controllo di Fenice? Beh lo sarei stata anche io! Ma che importanza vuoi che abbia? Mi avevi già trafitta una volta avevi le misure ormai…”
 
Rise fra le lacrime. Toccandosi il petto con entrambe le mani, mani sulle quali s’infransero a ripetizione le lacrime che oramai non riusciva più a trattenere.
 
“Avresti ucciso me! Tu amavi Jean … avresti salvato lei condannando me.”
 
Avvertì i muscoli di lui irrigidirsi, probabilmente Logan realizzava quel concetto solamente ora.
Lei non ci badò e si allontanò quel poco che le bastava per guardarlo diritto negli occhi.
 
“Bella cosa da fare, davvero... una volta mi avevi fatto una promessa … immagino che ora non conti più.”
 
Trattenendo i singhiozzi si voltò andandosene  e non si fermò nemmeno quando lui la chiamò una, due e tre volte.
Continuò a camminare col volto chino e le spalle basse trascinandosi fino in camera sua, chiudendosi dentro a doppio giro maledicendo tutto e piangendo fino all’alba.
Non andò a scuola per tre giorni e lo evitò come la peste fino a quando una sera non se lo ritrovò in camera seduto sul suo letto a guardare la porta dalla quale era entrata.
 
Indifferente lei era uscita ed era andata in città da sola per passare il tempo rientrando alle tre del mattino; lui era ancora li nella stessa posizione di quando se n’era andata.
Avevano parlato. O  per lo meno lui lo aveva fatto mentre lei in bagno si lavava i denti fingendo di non sentirlo preparandosi per andare a dormire.
Si era infilata sotto le coperte che lui ancora le spiegava qualcosa e gli aveva dato le spalle per tutta l’ora successiva senza rispondere ai suoi tentativi di  chiamarla, senza muoversi di un centimetro fissando imperterrita la scrivania che le stava di fronte spegnendo addirittura la luce pur di farlo andare via.
Lui rimase fino all’alba, inutilmente; poi sospirando l’ennesima e falsa scusa se ne andò e pochi attimi dopo si udì la moto di lui allontanarsi.
 
La sera del giorno dopo lasciò l’Istituto per sempre.
 
 
 
……………………….
 
 
Aprì gli occhi trovandoli umidi di lacrime le cui scie erano scese lungo entrambe le tempie finendo perdute fra i suoi capelli sciolti sul cuscino. Era così che si erano salutati.
Con meccanica freddezza le asciugò da entrambi gli occhi, quella memoria le aveva rinnovato l’odio ed il rancore e si detestava da sola per essere stata così debole da cedere ai suoi sorrise e alle sue parole in meno di una settimana da che lo aveva rivisto.
Velocemente i ricordi delle ultime 24 ore le tornarono in mente e ricordò persino le parole con cui Clay l’aveva affidata a loro nonostante fosse stata rimbambita dalla botta.
Quindi si trovava allo Xavier Institute, probabilmente nei sotterranei dove c’era l’infermeria.
Concentrandosi riuscì a distinguere il rumore dell’elettroencefalogramma e persino a sentire il punto in cui gli elettrodi erano attaccati alla pelle della sua fronte e del petto. Che cosa fantastica erano i poteri di Magneto, reagivano a qualsiasi metallo. Sorridendo mentalmente ampliò il raggio d’azione dei suoi poteri, voleva accertarsi di una cosa.
Il sorriso divenne smorfia nel constatare che le sue supposizioni erano corrette, accanto a lei, a pochi passi dal lettino sul quale riposava c’era un grande campo magnetico che entrava in conflitto con la sua percezione sul metallo, la sua mente riusciva a mostrarle persino la posizione di quelle ossa. Sedute su di una sedia anch’essa di metallo.
Sembrava l’immagine di una grande radiografia.
 
Aprì piano gli occhi. Con lei c’era solo Logan.
Stando attenta a non influenzare lui mosse un piccolo campo magnetico attorno al proprio corpo in modo che la polarità attirasse verso l’alto quella opposta degli elettrodi staccandoli silenziosamente dal proprio corpo.
Lentamente si mise a sedere portandosi una mano alla testa e sentendo al tatto la morbidezza delle bende con le quali Hank doveva averla medicata.
Sorrise pensando a lui, era inutile, lei adorava quella palla di peli blu.
Appoggiò i piedi a terra rabbrividendo al contatto con la fredda superficie del pavimento, si diresse verso la porta e pigiò il bottone d’apertura.
Questa rimase chiusa.
Sbuffò contrariata. Doveva considerarsi prigioniera degli X-men?
 
“Come ti senti?”
 
Scattò leggermente. Si era svegliato.
 
“Bene.”
“Bene?”
“Si. Me ne vado.”
 
Logan rimase in silenzio.
 
“Ti dispiace? ”
 
Voltandosi annuì verso la porta che nonostante i suoi ripetuti tentativi di aprirla rimaneva immobile.
 
“Si…da qui non ti muovi, almeno finchè Hank non dirà che va tutto bene.”
“Va tutto bene, sono sveglia, non sento dolore, riesco a camminare e a parlare correttamente …” diede un colpo a palmo aperto sulla porta.
 
“Aprila”
“Si può fare solo dall’esterno, ho chiesto ad Hank di bloccarla nel caso tu…”
 
Notando il suo sguardo piatto Logan sbuffò abbandonando il tono scherzoso con cui l’aveva approcciata, era evidente che qualcosa non andasse in lei.
 
“Perché vuoi andartene?”
 
Lei nemmeno si degnò di rispondere a quell’assurda domanda.
 
“Marie?”
“Non voglio stare qui”
“La tua stanza al terzo piano è occupata, Tempesta te ne sta preparando una nell’ala….”
“Non hai capito…non voglio stare QUI”
 
Roteò in l’indice indicando tutto l’insieme sorridendo all’espressione di lui quando comprese.
 
“Ah…”
 
Tutto qui? Ah era tutto quello che lui riusciva a dire?
Sbuffò impaziente.
 
“Allora?”
 
Lui fece spallucce e lei perse la pazienza. Voltandosi verso la porta la aprì con un colpo secco forzandola col magnetismo incamminandosi immediatamente.
I richiami di Logan, che solo allora parve ricordarsi di quello che poteva fare, non la convinsero minimamente e quando lui la raggiunse lei stava già entrando in ascensore.
 
“Ma che ti prende?”
“Niente”
“Perché fai così?”
“Perché voglio andarmene.”
 
Guardava il soffitto mentre rispondeva alle sue domane non appena lui finiva di porgergliele usando il tono che era quello di ogni bambino viziato e capriccioso che aveva dalla sua la convinzione di poter fare tutto.
La presa improvvisa di Logan la costrinse a guardarlo.
 
“Non mi toccare!”
 
Un secco movimento del mento e lo mandò a sbattere contro la parete dell’ascensore appiccicandolo come si fa coi magneti su di un frigo.
Questo a lui non piacque.
 
“Marie!”
“Ciao Logan…ringrazia Hank quando lo vedi.”
 
Uscì una volta che le ante si aprirono richiudendo l’elevatore e rimandandolo in basso ridendo ai suoi ruggiti di rabbia, facendo il verso alle sue grida di liberarlo.
 
A testa alta attraversò la hall superando ragazzini che non aveva mai visto e sguardi invece conosciuti.
Jubilee la stava guardando con occhi sconvolti da metà scala, dietro di lei Kitty non accennava a muovere un muscolo.
Bobby sembrò il più coraggioso ma il suo tentativo di approccio fallì miseramente quando ella anziché aspettare che le arrivasse di fronte deviò verso l’uscita senza rivolgergli nient’altro che un’occhiata di sufficienza.
Non se n’era ancora resa conto, o forse non lo voleva ammettere nemmeno con sé stessa, ma li odiava…li odiava tutti.
 
“Rogue!”
 
A quella voce però fu impossibile non rispondere.
Sorrise d’istinto aumentando il passo.
 
“Buongiorno Hank!”
 
Gli andò incontro abbracciandolo forte.
 
“Come ti senti?”
“Benone…e i ragazzini?”
“Oh, staranno benone, alcuni di loro stanno già perlustrando la proprietà, altri aspettano che i loro genitori vengano a riprenderli e i più gravi stanno reagendo benone alle cure…”
“Sarà saggio lasciarli andare via?”
“Oh si, alcuni sono piccoli ed i loro poteri non sono pericolosi o ingestibili, i loro genitori erano preoccupati da morire e sapessi come sono stati sollevati di saperli finalmente salvi…”
“Sono davvero contenta.”
 
Hank annuì.
 
“Vai via?”
“Si,  non ha senso rimanere.”
 
Lui le rivolse un muto assenso comprendendo a pieno ogni significato celato in quelle sue parole.
 
“Riguardati e stammi bene mi raccomando!”
 
Le offrì la mano che lei strinse con affetto.
 
“Certo!”
 
Dopo averlo salutato cominciò a correre verso l’uscita.
 
“Ma come torni a casa?”
 
Lei rise voltandosi a mezzo busto giusto in tempo per vedere uscire in tutta fretta un Logan super incazzato seguito a ruota dai suoi tre vecchi amici, Colosso e un paio di marmocchi che non conosceva.
Logan la stava quasi raggiungendo sbraitando come un selvaggio che l’avrebbe presa a calci se non fosse tornata indietro.
Si fermò dal correre decidendo di fare un po’ di scena, un’uscita in grande stile e sorridendo attese che Logan le arrivasse a pochi passi, aspettò di vedere il suo braccio tendersi verso il proprio per acchiapparla prima di rispondere alla domanda de Hank.
 
“Così!!”
 
Con un agile salto schivò la presa di Logan levandosi in aria ad una decina di metri lasciando tutti spiazzati.
Salutò nuovamente il dottor McCoy che era scoppiato a ridere e finalmente si decise ad allontanarsi.
Non degnò nessun’altro dei presenti di ulteriore attenzione.
Quel posto per lei oramai non significava più nulla.
Un dolce pensiero però lo volle dedicare a Jean, Scott e Xavier e pregò per loro sorvolando il giardino dove c’erano le loro lapidi.
Salutò Tempesta che stava cambiando loro i fiori e proseguì alzandosi un poco per evitare le punte degli alberi del boschetto ad est.
Fu felice di constatare che il cuore batteva regolarmente nel suo petto e non piangeva più, non sanguinava né scricchiolava.
Aveva superato quell’abbandono, era forte adesso.
Era una Hawks ora.
 
Chissà però se i suoi compagni giù alla base l’avrebbero riconosciuta ancora tale.
 
Al limitare del confine della proprietà dell’Istituto atterrò sul ciglio della strada vicino ad una pensilina dei pullman dove fortunatamente ce n’era uno in arrivo.
Attraversò i cespugli sbucando appena in tempo per riuscire a salire sul mezzo.
Essendo a corto di soldi mostrò il suo tesserino da agente al conducente che non fece alcuna obiezione ma ci tenne comunque a precisare che lo avrebbe pagato non appena fosse arrivata alla base.
Non voleva affatto che lui o la vecchietta arcigna che la guardava storto pensassero che era una di quelle che abusavano della divisa.
 
 
…………….
 
 
“L’hai lasciata andare via?”
“Hai visto quello che può fare Logan? Cosa diavolo avrei dovuto fare per trattenerla?”
“Dovevi inventarti qualcosa diamine!”
“Non possiamo tenerla qui contro il suo volere, peggioreremo solamente le cose e tu lo sai…lasciale il tempo di…”
“Ha avuto due anni Hank…non tornerà mai se non facciamo qualcosa…”
“Qualcosa che la spinga a scaraventarci in ascensore?”
“Zitta Jubes, mi ha preso alla sprovvista…”
“Guarda in faccia la realtà e accettala Logan…ci detesta e non ci perdonerà mai.”
“…”
 
Ma lui l’aveva fatta ragionare giusto? Ci aveva parlato, litigato…riso assieme ed era convinto di aver sistemato le cose.
 
“Ho visto come mi ha guardata oggi, se l’altra settimana quando l’abbiamo rivista la sua era fredda indifferenza adesso era odio totale…fidati,la conosco,non ci perdonerà mai.”
 
Non poté fare altro che rimanere a guardare Jubilation Lee e stare in silenzio perché sapeva che la ragazzina aveva più che ragione.
 
 
 
  

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Capitolo 14
*** An open door ***


 
 
 
 
Davanti a lei una porta.
Porta che voleva varcare assolutamente perché conduceva ad un mondo a cui voleva far parte a tutti i costi.
La sede degli Hawks era chiusa al pubblico per la maggior parte del giorno visto che la sua giurisdizione non era “civile” se così si poteva dire ma lei era sicura che il direttore McLee fosse ancora dentro nel suo ufficio intento a timbrare gli ultimi rapporti o a pianificare la prossima missione.
Chissà se sarebbe stata inclusa anche lei.
 
“Marie?”
 
Riconoscendo quella voce si voltò lentamente rimanendo immobile di fronte alle porte bloccate.
Da sotto il lampione dell’uscita di servizio Kenton la stava guardando curioso.
 
“Che fai qui fuori? Le chiavi per entrare le hai.”
“Non volevo entrare…stavo solo…io…”
 
L’uomo le si avvicinò posandole un braccio attorno al collo.
 
“Clay mi ha raccontato, ti credevo in ospedale…”
“Sto bene, non erano ferite degne di particolari attenzioni, posso guarire anche a casa…”
“Kim però è preoccupata, passa al bar a dirle che stai bene. È da ieri sera che tiene il muso a Clay, non gli rivolge nemmeno il saluto…”
“Che esagerata!”
 
In silenzio Ken la guardò da dietro gli occhiali. Sulle labbra un sorriso piatto.
 
“Sono contento di vederti Marie!”
 
Veloce le baciò la tempia e da come si stava comportando lei intuì che né Clayton né Kim gli avevano detto del fatto che era una mutante.
Si sentì mortificata, sollevata, graziata e spaventata allo stesso tempo.
Aveva mentito ai suoi amici e compagni per quasi due anni nascondendo loro la sua vera natura e adesso che tutto era venuto alla luce loro non le avevano voltato le spalle anzi, ancora si preoccupavano.
Temeva però il momento in cui avrebbe dovuto affrontare Clay ma sapeva bene che non poteva rimandare per sempre.
 
“Tu ci vai?”
“Nh?”
 
Sorrise al sopracciglio alzato di lui.
 
“Al bar intendo…ci saranno tutti immagino…”
“Nah, ho appena staccato dopo ben sedici ore passate in sala conferenza  Marie, non reggerei più alcun tipo di luce artificiale, voglio andare a casa e dormire.”
“Capisco…”
“Ci vediamo venerdì?”
 
Lei indugiò. Quel giorno era mercoledì.
 
“Clay ha detto che i tuoi vecchi compagni ti han messo a riposo fino a venerdì… ”
 
Sorrise riprendendo sicurezza.
 
“A venerdì Ken!”
 
Si salutarono e lei rimase ancora un momento ad osservare la facciata della sua sede, era imponente e massiccia quella costruzione, e le aveva dato una sicurezza che nemmeno allo Xavier aveva provato mai.
No si disse…non si sarebbe fatta escludere né avrebbe mollato. Quello era il suo mondo oramai.
 
 
 
……………………
 
 
 
“Altri dieci giri!”
 
Avessero potuto avrebbero protestato fino allo sfinimento ma conoscevano troppo bene Logan e sapevano che non si sarebbe fatto intenerire inoltre, dovevano risparmiare quanto più fiato possibile.
Jubilee arrancava stravolta cercando di mantenere il passo; non voleva assolutamente rimanere indietro, il suo orgoglio le imponeva di essere almeno prima dell’ultimo, che in questo caso era Kitty.
Correva e respirava a ritmo guardando oltre le spalle dei suoi compagni il fisico atletico di Logan mantenere la corsa senza alcun problema, dietro di lui solo Bobby e Piotr sembravano non risentire della stanchezza mentre lei Kitty alcune altre ragazze e due nuovi arrivati facevano di tutto per non irritare ulteriormente un già incazzatissimo Wolverine.
 
E tutto per colpa di Marie.
 
Due anni prima quando lei se n’era andata, Logan si era trasformato in una bestia assassina folle e instabile e li aveva torturati per un mese prima che Ororo ed Hank intervenissero e lo facessero smettere.
O capiva che le sue paturnie se le doveva far passare da solo o lo avrebbero spedito in Antartide a sbollire i suoi cazzo di bollenti spiriti.
Per le due settimane successive non lo avevano più visto, poi era tornato, calmo rilassato diverso e tutto era filato liscio e per due anni fra missioni allenamenti gite e momenti di relax a casa ogni cosa era tornata alla normalità e la loro vita era andata avanti.
Poi quella dannata missione incrociata li aveva portati a incontrare nuovamente lei e tutto era ripiombato nel caos più totale.
Dal giorno dopo al suo incontro era ricominciato l’inferno che era peggiorato da che lei se n’era volata via fregandosene delle conseguenze che avrebbe causato loro.
Possibile che Marie se ne fregasse così altamente?
 
“Hey Lee! Datti una mossa o i tuoi giri diventano venti!”
 
Si era distratta e ora anche Kitty le stava davanti di quasi mezzo giro; maledisse tutto e si bloccò fissandosi le scarpe da ginnastica.
 
“Lee! Muovi quel culo o te lo sfondo a forza di calci!”
 
Il richiamo di Logan la mandò in bestia, perché dovevano pagare loro le conseguenze delle azioni di Marie?
Alzò il viso udendo le imprecazioni che Wolverine le mandava contro mentre si avvicinava.
 
“Vaffanculo Logan! Hai rotto i coglioni!”
 
La costernazione sul volto di lui era fotocopiata sui visi di tutti gli altri; mai nessuno aveva osato rivolgersi a lui con tale arroganza a parte Marie ovviamente, ma lei era sempre scusata essendo la sua pupilla, lei poteva far tutto quello che voleva perché era amica del lupo solitario, perché poverina non poteva toccare nessuno, perché era stata rapita e quasi ammazzata perché…
Si strofinò gli occhi che le prudevano dalla rabbia; non aveva mai odiato Marie al contrario, adorava quella pazza del sud che era finita li per caso o per destino scombussolando la vita a tutti ma in quel momento non voleva più accettare niente di faticoso. Era sfinita e confusa e…piena di rimorso.
Beh, che andassero a fanculo tutti e due.
 
“Vaffanculo!”
 
Nello stupore generale uscì dalla palestra.
Logan non la seguì, si limitò a girarsi, leggere le espressioni dei suoi alunni e capire finalmente che razza di coglione era stato.
 
“Per oggi basta così, domani giornata libera fate quello che vi pare.”
 
Nessuno osò muovere un muscolo.
 
“…andate…”
 
Rimase a metter via gli attrezzi aiutato da Bobby Kitty e Piotr che però non si azzardarono a fiatare.
 
 
………………………
 
 
Da oltre la spessa porta di legno usciva leggermente ovattata la musica country della serata al Tom’s Grill bar, il locale all’angolo che era il loro punto di ritrovo abituale.
Oltre quell’anta era certa si trovassero sia Clayton che Kim, probabilmente seduti a due tavoli diversi dal momento che la biondina stando a quello che le aveva detto Ken era ancora incazzata con il boss.
Clay probabilmente era al tavolo da biliardo da solo.
 
Inspirando spinse le due ante che si aprirono immediatamente mostrandole l’interno semivuoto del bar illuminato debolmente dalle soffuse luci gialle delle vecchie lampade da parete.
La musica le arrivò nitida ed energica risollevandole un poco il morale, una volta dentro si diresse al solito bar dove lei e i suoi compagni si sedevano sempre alla fine della giornata.
Come si aspettava Kim era li, seduta di spalle a chiacchierare con…Clay?
Si bloccò esitando.
Solo ora si rendeva conto che non aveva la benché minima idea di cosa avrebbe potuto dir loro.
Terrorizzata fece per voltarsi ma proprio in quell’istante Clay alzò lo sguardo inquadrandola e pietrificandola sul posto.
Kim subito dopo lo imitò ma a differenza di lui che rimase seduto le andò incontro abbracciandola.
 
“Marie stai bene?”
“..si…io…”
“Sicura? Eri conciata male, avevi ferite ovunque credevo che…”
 
Kim smise di parlare interrotta da un singhiozzo che spezzò il respiro a Marie; stretta nel forte abbraccio della bionda ricambiò con identico trasporto senza però togliere lo sguardo da quello di Clay.
Era lui l’ostacolo più difficile e non era più tanto sicura del suo proposito di poco prima sul non mollare.
Gli occhi cerulei di lui erano glaciali.
 
“Ken ci ha avvisati che saresti passata, Clay è venuto qui al tavolo con me per aspettarti…”
“…”
 
Kim si spostò sorridendo fra le lacrime.
 
“Sei in ritardo scema!”
 
Rise anche lei rilasciando un po’ di tensione lasciandosi trascinare  al tavolo, Kim la costrinse a sedersi accanto ad Hawk1 per poterla guardare negli occhi.
 
“Stai bene?”
“Si”
“Nhm”
 
Sembrò soddisfatto e scostando l’attenzione da lei levò la pinta di birra verso il bancone indicando loro tre. Due secondi dopo stavano muti, ognuno dinnanzi ad una caraffa di ottima birra.
Marie non aveva la minima idea di come comportarsi. Il silenzio che aleggiava fra loro era pesante e assordante e la musica, benché allegra e orecchiabile sembrava non riuscire ad inserirsi in quella loro muta dimensione.
 
“Mi sembrava la scelta migliore da fare.”
“Eh?”
“Lasciarti con loro…per il momento.”
 
Per il momento. Quella precisazione fu la sicurezza che cercava.
 
“Hai fatto bene come sempre…non ero in grado di…”
“Controllarti.”
“Già.”
 
Annuì bevendo il primo sorso di birra.
Kim seduta di fronte a lei non aveva ancora detto nulla.
 
“Agli altri non ho detto niente, spero sarai tu a farlo quanto prima.”
“…”
“Quando sarai pronta Marie!”
 
Stavolta fu Kim a darle la rassicurazione giusta. Clay aveva ragione, doveva essere lei a dire agli altri la verità ma Kim la conosceva e la capiva, le aveva dato tempo.
 
“Ovviamente non abbiamo detto nulla nemmeno riguardo agli altri…nel rapporto abbiamo raccontato una balla piuttosto credibile, te ne ho  mandata una copia via e-mail, studiatela bene prima di andare a rapporto da McLee.”
“Si…grazie…”
“Non ringraziarci, siamo amici Marie, è il minimo che possiamo fa…”
“Dimmi una cosa però…”
 
Le parole di Kim riuscirono a commuoverla in maniera tale che nemmeno il tono serio con cui Clayton l’aveva interrotta la intimorì.
 
“Dimmi…”
“La missione in Messico l’anno scorso…”
 
Oh già…quella missione.
Per poco non si era fatta scoprire ma aveva dovuto per forza ricorrere al magnetismo per proteggere il team dalle scariche di mitra che i signori della droga gli avevano scagliato contro altrimenti sarebbe stato un massacro.
La sua unica fortuna fu il fatto che quasi tutti i suoi compagni erano svenuti a seguito di un’esplosione compreso Clay, che era mezzo stordito.
 
“Ricordo…fu a maggio.”
“Sei stata tu?”
 
A giudicare da quella domanda però non del tutto.
Ricordò quegli attimi in un istante.
Il sibilo delle pallottole che li sfioravano era assordante, le raffiche ripetute e costanti. La loro posizione li vedeva rintanati dietro ciò che rimaneva del muro del laboratorio di sinterizzazione che avevano appena fatto saltare in aria e non avrebbero resistito a lungo, doveva per forza fare qualcosa.
 
“Ci trovavamo nella merda Marie…quella vera. Quel muro non avrebbe retto in eterno, eravamo tutti ko tranne te e anche se ero rimbambito dal colpo dell’esplosione e dalla ferita al fianco ho visto che non avevi neanche uno sfregio, solo qualche chiazza di sangue che sembrava più che altro un residuo…le pallottole poi non ti colpivano eppure i nostri nemici erano cecchini…”
“…”
“Prima di perdere del tutto i sensi ti vidi stringere i denti e puntare la mano verso il mezzo blindato che stava a venti metri da noi proprio come hai fatto l’altro ieri per proteggermi dall’esplosione di quell’aggeggio.”
“Sentinella.”
“Quello che era Kim!”
“Al mio risveglio eravamo tutti sull’aereo di ritorno alla base, tutti vivi, tutti salvi.
Ti ho cercata per chiederti cosa diavolo fosse successo ma poi ti vidi sdraiata sul lettino accanto al mio priva di sensi e piena di lividi e con la gamba crivellata, tanto che mi convinsi d’aver immaginato tutto per questo non ti ho mai domandato quello che ora invece ti ho chiesto…sei stata tu?”
 
Avrebbe potuto negare ma a che sarebbe servito? Chiuse gli occhi annuendo.
 
“…si…”
“Lo sapevo…”
 
Si sporse in avanti arrivando ad appoggiarle una mano sulla sua che tremante stringeva l’occhiello della pinta di birra coprendola interamente.
 
“Tu mi hai salvato la vita e non ti ho mai ringraziata.”
“Clay…”
“Sei una forza della natura Marie!”
 
Fu lui ad abbracciarla stavolta e lei non riuscì più a trattenere le lacrime.
 
“Non siete arrabbiati? Non siete…spaventati?”
“Certo che no…solo presi alla sprovvista, cioè scoprire quello ch e puoi fare così dal niente è stato shockante ma non siamo arrabbiati Marie…non potremmo mai.”
 
Nonostante le parole di Clayton una cosa ancora la terrorizzava, sapeva del rancore che provava verso la specie mutante dal momento che gli scontri ad Alcatraz lo avevano privato di un figlio ed era quello a terrificarla.
 
“Marie, ogni giorno noi combattiamo esseri umani che uccidono e distruggono moltissime vite ma non per questo detesto ogni essere umano che respira e la stessa cosa vale per te. So che sei a conoscenza del mio astio verso i mutanti ma esso era rivolto solamente ad uno di loro e ormai quel bastardo è morto quella  notte ad Alcatraz anche se piuttosto indietro rispetto all’azione, c’ero anche io. La nostra squadra venne inviata più che altro come supporto ai civili rimasti intrappolati sul ponte ma riuscii comunque a vendicare quel bastardo che uccise il mio Tim…io e Kenton lo curammo e poi gli piazzai una pallottola in mezzo alla fronte, punto.”
 
“…avrei dovuto esserci anch’io quella sera …”
“Eh?”
“Si Kim…i miei vecchi compagni…Logan, Hank Ororo Kitty Bobby e Piotr erano presenti e hanno combattuto Magneto e…Jean che era una di noi…”
“Marie?”
“I suoi poteri però erano troppo potenti e la sua mente troppo fragile…ha ucciso il nostro amato Professore, ha ucciso l’uomo che amava sopraffatta dall’essenza della Fenice e poi ha ucciso a decine mutanti e umani, ma lei era buona e…un tempo mi ha salvato la vita…mi ha aiutata a convivere con la mia maledizione;  era forte e sicura per noi, ma indifesa da sé stessa…”
“Marie…”
“Il mio posto era con loro ma ho preferito scappare e andare a prendere la cura, li ho abbandonati e così Logan ha dovuto uccidere Jean, la donna che amava quando magari io…”
“Che avresti potuto fare tu Marie?”
“…qualcosa sicuramente…”
“Qual’era il tuo potere?”
 
Svelta sfilò la mano dal contatto con Clay portandola di fronte agli occhi di Kim.
 
“Se due anni fa mi avreste anche solo sfiorata vi avrei potuto uccidere.”
“…”
“Il mio semplice tocco…un contatto anche più breve di una stretta di mano avrebbe aspirato via dal vostro corpo memoria vita e, se foste stati mutanti…poteri…”
“Alla faccia!”
“Questo era il mio potere Kim ma per me era solo una maledizione.
Dal giorno che si è manifestato non ho più potuto toccare o abbracciare nessuno e per quattro anni fui costretta a vestirmi completamente per evitare anche il minimo incidente per questo quando seppi della cura non esitai, ma così facendo…rovinai tutto.”
“Hai fatto la tua scelta Marie, nessuno ti può biasimare, loro meno che mai.”
“Sono io però che biasimo loro…da che tornai non mi rivolsero più la parola, mi tagliarono fuori completamente. Me ne andai per questo ma non voglio fare la parte della vittima io…”
 
Clayton la interruppe tornando ad avvolgerle la mano in una delle sue.
 
La sera della missione a Three Miles Island  aveva sentito la loro conversazione, aveva sentito il dialogo fra lei e Logan e sebbene fosse stato pieno di domande aveva resistito tacendo a tutti la sua scoperta in attesa di un momento più adatto per chiedere.
Questo, o per meglio dire il pretesto, gli si era ripresentato il giorno dopo ad Attawapiskat quando l’evidenza delle cose era stata inconfutabile.
 
“Non potevi controllarlo quel tocco?”
“No, nonostante le sedute con Xavier e i numerosi tentativi non ci sono mai riuscita ma dopo la cura le cose sono cambiate, quando essa è svanita e il potere è tornato in qualche modo era diverso, potevo decidere se liberarlo o meno come avessi avuto dentro una specie di interruttore, probabilmente grazie perché i poteri di Magneto e Logan interferiscono.”
“Non capisco…”
“È una storia troppo lunga da riassumere ma è successo che sia stata costretta per forza a rubare per un tempo piuttosto prolungato due tipi di poteri, quello di controllare il metallo proprio di Magneto e quello della guarigione che invece è di ”
“Logan…così si spiega il suo essere ancora vivo dopo quel volo assurdo…”
 
Clay rivide la scena dell’impatto di Logan contro il pilone di cemento ad Attawapiskat, ancora non ci credeva.
 
“Si…più di una volta mi ha salvato la vita sfiorandomi e donandomi il suo potere probabilmente è per questo che ora ce l’ho incarnato al mio, stessa cosa per quanto riguarda Magneto.”
“Comunque è complicato da capire…passi per Logan, ma Magneto? Mi sembra di capire che è lui il lupo nero della situazione come mai ci hai avuto a che fare?”
 
Marie abbassò gli occhi. Non sapeva da dove cominciare a spiegare tutto e una parte di lei ancora non era pronta a farlo ma al tempo stesso non voleva che i suoi compagni dubitassero di lei o la temessero.
Kim sembrò capire e la rassicurò.
 
“Oh scusami Marie, come ti ho già detto prima non sei costretta a dire tutto ora…lo farai con calma amica mia…non abbiamo fretta giusto Clay?”
“Giusto, abbiamo tempo…tanto tempo…”
 
Si guardarono comunicando con gli occhi parole e sensazioni che a voce era impossibile esprimere.
Marie era al settimo cielo, loro non l’avrebbero abbandonata mai.
 
“E adesso basta col sentimentalismo, chi perde offre da bere!”
 
Clayton si allontanò dal tavolo e stecca alla mano si appropriò dell’ultimo tavolo da biliardo libero  spaventando un gruppetto di ragazzini che lo avevano adocchiato.
 
 
 
 
 
TH
 
  

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Capitolo 15
*** Once she trusted you ***


 
 
 
I suoi pesanti passi affondavano nel ghiaino del viale lenti ma decisi senza portarlo però da nessuna parte.
Si era trovato spesso a percorrere i sentieri dei giardini sul retro della scuola ma ogni volta con lui c’era Marie che gli raccontava com’erano andate le sue giornate, gli riassumeva l’ultima partita di Hockey che si era perso per via di una missione o semplicemente gli teneva una muta compagnia camminandogli di fianco finchè non arrivavano alla panchina di faggio che c’era in cima alla collinetta, quella da dove si poteva vedere tutta la proprietà…quella dove si sarebbe diretto, ora che i suoi piedi si trovavano di fronte ad un bivio.
Se girava a destra sarebbe arrivato al giardino delle tombe, mentre se proseguiva diritto avrebbe percorso il sentiero parallelo al grande campo verde fino alla panca.
Se girava e andava alle tombe non avrebbe avuto nulla da raccontare ai suoi tre compagni caduti mentre se tirava diritto avrebbe per lo meno passato un’ora in solitaria.
Non c’erano missioni in programma, aveva disdetto gli allenamenti del giorno dopo e la cena era già stata servita il che significava che in quel momento ogni studente si stava organizzando da sé su come passare la serata.
C’era l’obbligo di un’ora di studio subito dopo cena, poi erano liberi di scendere a giocare al piano terra nella palestra interna,  andare in biblioteca o semplicemente guardare un film nell’area audiovisivi. A  tenere d’occhio i piccoli ci avrebbero pensato gli alunni più grandi, lui semplicemente era stremato.
 
 
………………………
 
 
Jubilation Lee per la prima volta da che si trovava allo Xavier’s Institute aveva flippato la cena.
Jubilation Lee non saltava mai nessun pasto. Mai.
 
A Kitty aveva detto che non aveva fame, boiata che non aveva convinto per niente la moretta, a Bobby che doveva ripassare un argomento di matematica particolarmente complicato, scusa che non aveva retto un solo istante dal momento che uno Jubilation Lee non studiava mai e due, Jubilation Lee era un genio in matematica.
Aveva ceduto e alla fine aveva confessato che aveva una paura del diavolo a scendere giù in mensa dove probabilmente Logan le stava tendendo qualche agguato mortale e sebbene fosse ancora incavolata nera era ancor più attaccata alla propria vita e non era del tutto certa di riuscire a mantenere la sua posizione semmai lui l’avesse cercata per un chiarimento.
 
Per questo ora se ne stava li seduta sotto quella quercia rossa dei colori del tramonto ad osservare le fronde verdi del bosco di confine, lo stesso che quel mattino Marie aveva…sorvolato.
Si sentiva come in gabbia.  Allo Xavier’s Institute aveva tutta la libertà che voleva, poteva correre, giocare combattere, usare i suoi poteri andare a cavallo ed essere sé stessa, ma all’infuori di quella proprietà ogni sua certezza crollava e doveva diventare qualcuno che non era, una ragazza normale che altrimenti non sarebbe mai stata accettata dai commessi dei centri commerciali dove andava a fare shopping con Kitty Seyrin e Ororo, dove l’addetto alle casse del supermercato l’avrebbe adocchiata come un mostro anziché trattata con gentile riverenza dove…dove era tutto cattivo.
Fuori dallo Xavier il mondo era crudele.
E Marie era là fuori, con una nuova vita, dei nuovi amici che le volevano bene e non la temevano ora che avevano scoperto la sua vera natura e un futuro pieno d’avventura ad attenderla, una forza d’animo che era infrangibile e…
La rivoleva indietro.
 
La bellissima vista si annebbiò a causa delle lacrime che le avevano già invaso le palpebre.
 
La rivoleva indietro perché le mancava da morire la sua migliore amica e non riusciva più a sopportare l’enorme senso di colpa che si portava dentro.
In silenzio pianse singhiozzando muti respiri che le scuotevano le piccole spalle, lasciò che la sua tristezza in qualche modo defluisse via dal suo corpo e ancora pianse mentre il sole tramontava e irrorava tutto di rosa e d’amaranto alterando persino il colore del cardigan giallo che indossava riducendolo ad una tonalità d’arancio pallido.
 
 
 
………………………………
 
 
A pochi passi da lei, dietro la panchina Logan guardava in silenzio Jubilation Lee che piangeva e capì che non era solo lui che stava facendo i conti con i propri sbagli, l’unico ad aver agito male e soprattutto, non era l’unico per il quale Marie era ancora importante.
 
Le si sedette accanto sfiorandola di proposito dal momento che non si era ancora accorta del suo arrivo rimanendo indifferente al suo grido spaventato, al suo tentativo di nascondere le lacrime.
Lei tirò su col naso voltandosi a guardarlo con quegli occhi dal taglio orientale gonfi di pianto e resi lucidi e ancora più scuri dalle lacrime ancora presenti.
 
“Tanto perché tu lo sappia…non piango per colpa tua…”
“Sarebbe assurdo, e inutile…”
“Eh?”
“Tu mi hai mandato a fanculo, tu hai deciso di andartene, pentirti ora del tuo gesto sarebbe i-”
“Si si ho capito, dimmi cosa devo fare domani, venti…trenta giri in più? 50 flessioni? Due serie da 15 affondi latera…”
“Sto prendendo nota Lee, continua a parlare e ti infliggerai da sola ogni esercizio che domani ti ripeterò…”
 
Jubilation Lee smise subito di parlare e dopo averlo fissato ancora un po’ tornò a guardare il paesaggio,il sole ormai era tramontato e dal oltre le fronde giungevano solo gli ultimi bagliori del giorno morente, fra poco sarebbe stata sera.
 
“Sto ancora pensando a quello che mi hai detto prima…”
 
Lee non accennò a muoversi ma lui capì comunque che aveva la sua attenzione.
 
“Hai ragione tu, lei probabilmente non ci perdonerà  mai tuttavia…”
 
Appoggiò la schiena al legno della panca distendendo le gambe. Diamine ci stava ricascando, stava di nuovo per farsi abbindolare da due occhi scuri e tristi e confusi e spaventati.
Sapeva bene che Lee non era Marie, quelle due non si assomigliavano affatto, non avevano mai avuto nulla in comune e spesso quando Marie declinava i suoi inviti a passare un po’ di tempo insieme a favore dell’asiatica si era chiesto cosa avesse di tanto speciale quella tortura vestita di giallo.
 
“Vaffanculo Logan! Hai rotto i coglioni!”
 
La battuta sempre pronta e un caratterino niente male ecco cosa.
Nonostante quelle due fossero agli antipodi era stato amore a prima vista, si erano piaciute immediatamente e avevano formato una coppia esplosiva alla quale più avanti si era unita anche Kitty che fra le tre era comunque la più timida e pacata.
 
“…tuttavia?”
 
Si riprese dalla sua distrazione voltandosi a guardarla.
 
“Non credo mi arrenderò…forse non riuscirò a riportarla qui a casa con noi ma una cosa la voglio fare…”
“E sarebbe?”
“Le farò ammettere che ci vuole bene perché sono convinto che è ancora così…”
“Ti aiuterò…”
 
La guardò dubbioso alzando un sopracciglio.
 
“…se vuoi…”
 
Sorridendo le diede un colpo di spalla.
 
“Andata…”
 
Rimase perplesso nel contemplare il dolce sorriso che gli mostrò Jubilee, mai, nemmeno una volta le aveva visto in viso un’espressione tanto spontanea e serena.
 
“In fondo sai, credo di capire perché lei ti fosse tanto affezionata Logan…”
“Eh? Chi? ”
“Marie.”
“Ah si? E perché, sentamo?”
“Sei tanto rude burbero e insopportabile a prima vista che mai ci si aspetterebbe tanta dolcezza  e comprensione da parte tua…lei lo ha capito, per questo quando apparivi tu per lei non esisteva nessun’altro, ci piantava in asso e veniva a darti il benvenuto, ti abbracciava senza paura di impensierirti per via della sua mutazione mentre con noi invece stava sempre attenta, diamine, stava a distanza di sicurezza persino da Bobby che era il suo ragazzo ma con te era tutto diverso, di te si fidava veramente….”
“Fa male…”
“Nh?” Jubilee lo guardò perplessa, che lo avesse offeso? Magari si era presa troppa confidenza, in fondo non…
“Sentirti parlare così, al passato intendo…fa male davvero.”
“Oh…” Capiva perfettamente quello che voleva dirle.
“Ora va a riposare, domani sarà una lunga giornata…”
“Come mai?”
 
Logan si sporse in avanti ghignando perfidamente.
 
“Non so quest’idea dei venti…trenta giri in più rispetto agli altri, 50 flessioni e due serie da 15 affondi laterali non mi sembra poi tanto malvagia,  magari gli esercizi metteranno a tacere quella tua infida linguaccia … che te ne pare?”
 
Le concesse uno sguardo fugace ma non appena si voltò lei già non c’era più, girandosi oltre lo schienale della panca la poté vedere correre a più non posso per allontanarsi ed avere così la scusa di non aver sentito nulla.
 
Ridendo tornò ad accomodarsi e si accese un cubano e anche se non riuscì a goderselo appieno continuò ad aspirare boccate di quel dolce veleno.
Tante volte si erano trovati lì in cima, solo loro due; a parlare di tutto e niente con la testa di lei che timidamente gli sfiorava la spalla ed il suo braccio disteso allo schienale a darle un comodo appoggio mentre lei chiacchierava e gli raccontava delle cavolate che avevano fatto lei e Jubes al concerto di quel gruppo rock dal nome assurdo, di quanto avessero gridato, di quanto le piacesse lo Xavier Institute.
 
“Sono felice di essere qui con te Logan…”
 
Glielo diceva sempre un tempo.
Avrebbe fatto in modo che tornasse a dirglielo.
 
“…ma con te era tutto diverso, di te si fidava veramente…”
 
Le parole di Jubilee, nonostante fossero un poco dolorose gli diedero convinzione.
 
 
 
 
……………………
 
“Signore?!”
 
Marie si lasciò andare all’espressione più confusa che avesse mai potuto palesare.
 
“Non sarà per molto, giusto un paio di mesi Hawk8, c’è bisogno di te laggiù.”
“Ma…io non…è certo che sia adatta?”
“Ti avrei chiamata se fosse stato altrimenti? Non essere sciocca e ora va a preparare le tue cose, penserò io ad informare i tuoi compagni.”
 
Rimasta senza parole Marie annuì uscendo a passo spedito dall’ufficio di McLee.
 
“…rie?”
 
Si voltò ancora stordita, Kim la stava guardando curiosa da oltre la sua scrivania.
 
“Tutto bene?”
“Mi manda via Kim…”
“Eh? Chi?”
 
La bionda corrugò la fronte perplessa e dalla porta semiaperta dell’archivio spuntò anche il testone di Clayton.
 
“McLee, mi manda via per due mesi, a Go-”
“Oh ma è tutto a posto Marie, cavolo per un attimo mi hai fatta crepare…”
“Tutto qui? Vado via Kim…”
“Che vuoi che siano due mesi ragazzina?” il tono di Clay fu ancora più disinteressato di quello di Kim.
“Ma non capite? Mi sta allontanando e non capisco il perché…”
“Oh se lo capirai…”
“Ma…”
“Va  prepararti Marie, McLee odia i ritardi, vedrai sarà un’occasione d’oro per te!”
 
Rimase immobile a guardare i suoi compagni congedarla con distacco. Sul serio, tutto qui? Era solo lei a vedere              quell’allontanamento come una punizione per il casino scoppiato ad Attawapiskat o c’era dell’altro?
Si bloccò dal formulare ipotesi assurde tornando a respirare con calma e ragionando bene su una cosa fondamentale, e cioè che Clayton e Kim avevano trasgredito a qualcosa come 30 regole stilando un rapporto scarno e privo di ogni cosa che riconducesse al fatto che sia lei che il corpo d’èlite erano mutanti quindi McLee non poteva sapere niente e perciò quei due mesi erano davvero una missione come un’altra e di conseguenza doveva smetterla di farse le sue classiche pare mentali e filare a casa e fare i bagagli; quei due mesi a Go-
 
“Marie!”
 
Si girò immediatamente trovandosi di fronte Kenton e Joel, il suo assistente giù al laboratorio di informatica.
 
“McLee mi ha informato, quindi quest’anno tocca a te eh? Complimenti, farai un figurone!!!”
 
Lei ancora non capiva cos’era tutto quell’entusiasmo ma stette al gioco annuendo seppur poco convinta.
 
“…ro e mi raccomando passa già in laboratorio prima di partire, ti darò i supporti necessari!”
“Ok…a dopo.”
 
Boh, chi riesce a capirci qualcosa… qui dentro è una gabbia di matti.
Pensando ciò si diresse all’uscita e quindi alla sua moto.
 
Se ne andava.
Alzando gli occhi al cielo si trovò a pensare che probabilmente era meglio così, un periodo di stacco le avrebbe senz’altro fatto bene.
Sorridendo saltò in sella e accendendo la moto partì.
 
 
 
TH
 
 
Muahh ahh ahh…dove andrà Marie per i prossimi due mesi?
<.<’’’ non ve lo dico! Ma spero che la sorpresa vi piaccia.
Ciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaao!!! E grazie mille a chi legge, salva nei preferiti nelle seguite e nelle ricordate ma soprattutto a chi commenta!!!
È importante che io sappia se la storia vi piace o no e poi diciamocelo…mi gaso pure!!
=)
 

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Capitolo 16
*** The cold, dark city ***


Allora, da qui in poi, per i prossimi due o tre capitoli la cosa diventa una cross-over con un altro fumetto.
In realtà ero un  po’ titubante e in principio ho scartato quest’assurda idea che mi è saltata in picchio quando, nel bel mezzo delle pulizie mattutine mentre stavo cercando una specie di stacco dalla storia, mi è venuto questo lampo di genio.
Secondo me non è male, ma capirò se a qualcuno la cosa non andrà a genio, comunque vi chiedo di aver pazienza perché quello che accadrà d’ora in poi non avrà un’importanza troppo incisiva solo, beh dal momento che mi piace un sacco come personaggio ho deciso di fargli fare una comparsata anche se, da quel poco che so non è nemmeno della Marvel…hih hih
… che altro aggiungere…buona lettura, nel caso qualcuno sia giunto a leggere fino a qui!
TH
 
 
 
 
 
 
 
 
Che schifo.
 
Fu la prima cosa che le riuscì di pensare non appena messo piede sul nero e lurido cemento che ricopriva quella via.
 
Nessun’aiuola, nemmeno un albero solo…enormi grattacieli senz’anima né identità, immondizia ovunque, muri imbrattati e gente assurda che girava per le strade della quale a stento riconosceva i lineamenti dal momento che ad illuminare le buie vie notturne di quella squallida città c’erano solo cinque o sei lampioni, gli unici funzionanti di una fila di…venti circa.
 
Che schifo cazzo!
 
“Aaaaaaaaaaaah ”
 
Un grido di donna interruppe il surreale silenzio che aleggiava trafiggendole i sensi come acuto spillo.
Sistemandosi meglio la sacca di tela sulla spalla sinistra prese a correre superando un gruppetto di bulli fingendo di non sentire i loro squallidi commenti rivolti al suo fondoschiena. Sembrava che se ne fregassero delle grida appena udite, sembrava che non facessero caso al fatto che molto probabilmente li vicino c’era un essere umano in difficoltà. Che schifo.
Udendo una supplica che ricalcava il grido di prima deviò per una via laterale stretta e ancora più lurida di quella appena lasciata le cui vicinanze erano sfumate dal tiepido e unto vapore che risaliva dai tombini.
 
Mamma mia che schifo!!!!!
 
Due rapidi salti ed evitò una pozzanghera e finalmente, dopo aver girato l’angolo arrivò sulla scena di quella che sembrava una vera e propria rapina.
 
“Taci puttana o gli taglio la gola.”
 
Le grida della donna furono strozzate dalle sue stesse mani mentre terrorizzata guardava impotente quel vigliacco infame che tenendo il suo bambino ancora neonato per le bretelle della salopette lo scuoteva terrorizzandolo mentre con la mano libera svuotava a terra il contenuto della grande borsa che molto probabilmente le aveva strappato di mano.
Ma doveva aver fatto male i conti dal momento che in essa erano presenti solamente pannolini, vasetti di crema e alcuni giochi colorati alcuni dei quali, cadendo a terra emisero dei ludici suoni simili a versi di animali.
Una specie di trottola in rigida plastica invece si scheggiò cozzando contro lo spigolo del marciapiede per venire poi polverizzata dallo scarpone del rapinatore che furibondo chiese spiegazioni.
 
“Dove sono i soldi eh? Dove sono troia dove so-”
 
L’urlo che emise la donna nel vedere il proprio figlio venir scaraventato a terra fu spezzato a metà dal momento che di colpo tutto si bloccò.
 
Gli occhi lucidi e sgranati di quella madre non avrebbero mai dimenticato l’arrivo di una nera sagoma alle spalle del bandito, il suo metterlo ko con un colpo al collo mentre con una velocità assurda toglievano dalla solida presa del malvivente il fagottino tremante e paonazzo di pianto che parve calmarsi non appena venne a contatto con il morbido maglione di un petto di donna.
 
“Mio Dio Richie!!! Richie…”
 
Sorridendo di pietà Marie allungò le mani restituendo quell’innocente creatura alle cure della propria madre che nonostante le lacrime e lo spavento, ricorrendo all’immensa forza del suo istinto materno, prese a cullarlo e baciarlo ridendo fra i singhiozzi.
 
“Non è ferito signora ma se è preoccupata la posso accompagnare in ospedale…”
“Santo cielo…grazie mille credevo che…Cristo santo, ero scesa due minuti per andare in farmacia e questo  sigh…me lo sono visto morire davanti agli occhi e …non avrei potuto fare nulla per evitarlo …”
 
Un’altra crisi isterica sconvolse la donna e Marie non poté fare a meno di avvicinarsi a lei e stringerla per rassicurarla.
Estraendo il proprio cellulare digitò il numero del comando centrale di polizia.
 
Due minuti dopo una pattuglia arrivò a prelevare il demente ancora a terra svenuto mentre un’unità del pronto soccorso prestò cure e protezione alla giovane madre ancora sotto shock.
 
Schiuse gli occhi nel constatare come i paramedici fossero freddi e distanti nei confronti di quella poverina, che nonostante tutto, nel venir accompagnata in ambulanza trovò la forza di voltarsi verso di lei e sorriderle col sorriso irrorato di pianto e sollievo mentre i medici la strattonavano quasi come il solo fatto d’esser stati disturbati a quell’ora tarda fosse motivo di fastidio.
Il gelo non era solo nel cemento o nell’assenza di verde e illuminazione, il gelo c’era anche nei cuori di quegli uomini.
 
“Tsk…che schifo…”
 
Disgustata estrasse dalle tasche dei propri pantaloni una sigaretta e mentre l’accendeva si voltò avviandosi verso il punto dove stava il suo contatto.
 
“Non posso darti che ragione purtroppo.”
 
Quasi imbarazzata d’esser stata udita da qualcuno si voltò alla propria destra incontrando lo sguardo serio e, strano a dirsi, caldo di un uomo in giacca e cravatta sopra le quali indossava un lungo spolverino beige.
 
“Signorina D’Ancanto?”
 
Presa in contropiede e impossibilitata a rispondere dal momento che fra le labbra teneva la sigaretta annuì lasciando che l’uomo le si avvicinasse ulteriormente.
Cazzo, era la copia sputata di McLee.
 
“L’aspettavo dieci minuti fa nel luogo stabilito, è stata senza dubbio una sorpresa trovarla già in azione nonostante la sua missione cominci domani…”
“Che avrei dovuto fare secondo lei? Lasciare che-”
“No, certo che no naturalmente…sono lieto che almeno lei sia potuta intervenire, probabilmente gli uomini di pattuglia erano troppo impegnati a trangugiare ciambelle o ricevere tangenti per fare il loro lavoro solo…grazie, sul serio.”
 
Sospirando l’uomo  portò lo sguardo oltre le spalle di lei e a Marie sembrò che davanti a quei chiari occhi sbiaditi dallo spessore delle lenti degli occhiali, egli stesse rivedendo gli avvenimenti accaduti.
Imitandola poi, anche lui estrasse un sigaro dalla tasca della propria camicia e mentre maneggiava il fiammifero continuò a parlare.
 
“Speravo che avrei potuto metterla in guardia sulla precaria condizione della mia città ma evidentemente la cattiva fama di queste strade mi ha preceduto…”
 
Sbuffando una boccata di fumo Marie abbandonò la posa statica che aveva assunto sorridendo all’uomo che le stava di fronte, non poteva che trattarsi di…
Distendendo il braccio destro offrì la propria mano all’uomo che sorridendo a sua volta gliela strinse con enfasi e forza.
Sua nonna una volta le aveva detto che da una semplice stretta di mano si potevano capire molte cose sul carattere di una persona, e dalla decisione con cui egli contraccambiò la presa si evinceva che per forza doveva essere uno in gamba.
 
Un’ombra sfilò sopra le loro teste durante quell’atto ma nessuno dei due parve farci molto caso.
Trovando di nuovo la propria voce Marie parlò per prima.
 
“Commissario Gordon, giusto?”
 
 
……………………………………
 
 
 
 
“Che noia…”
 
Appoggiandosi al morbido schienale della sua poltrona da ufficio Kimberly spostò lo sguardo dal monitor del proprio computer alla grande finestra rettangolare che dava sui magazzini della periferia.
Il pallido sole che per metà sbucava da dietro la coltre di nubi dense della pioggia prevista in giornata sembrava malato tanto era fievole la sua luce.
 
“Scommetto che Marie se la starà godendo…”
“Ne dubito…”
“Oh ciao Clay, già al lavoro oggi?”
 
L’orologio attaccato alla parete dell’ufficio segnava le sette meno venti, Clay di solito prima delle nove non si presentava mai.
 
“Marie non c’è, qualcuno dovrà pur svolgere il suo lavoro d’ufficio no?”
“Marie è efficiente, non ha lasciato nulla da finire o fooorse, …aspetta…”
 
Allontanandosi dalla sua postazione Kim raggiunse quella dietro di lei assegnata alla giovane mutante aprendole il cassetto della scrivania e afferrando un plico di scartoffie ordinatamente impilate e tenute legate da una grossa graffetta.
Nel frattempo Clay si tolse il bomber scuro appendendolo all’attaccapanni.
 
“Queste sono le ricevute delle sue spese, credo le faresti un favore se le inserissi nel quadro trimestrale del rimborso quote, il termine scade fra sei giorni e dal momento che starà via due mesi rischia di non riceverlo se non lo consegna i tempo…”
“Dannazione, odio fare il mio di riepilogo figuriamoci quello degli altri…”
“Sii buono dai, ti preparo un buon caffè nel frattempo va bene?”
 
In tutta risposta il comandante della squadra Hawks grugnì un borbottio sedendosi sulla sedia di Marie regolandone l’altezza abbassando la leva fino al minimo, cazzo se era piccola quella ragazzina.
Piccola ma pericolosa.
Mentre quel pensiero gli attraversava la mente lo sguardo gli finì sulla parete di cartongesso che delimitava lo spazio del piccolo ufficio di Marie sorridendo nel vederci appese le mille fotografie che avevano scattato nelle più svariate occasioni.
In una c’era lei, intenta a battere al computer un rapporto forse, era ritratta in un’espressione seria, con degli occhiali da vista sottili e neri, i ciuffi dietro le orecchie e i capelli legati in una sobria coda alta e fissa.
Subito sotto ce n’era un’altra scattata sempre in ufficio di lei e Kim intente a mangiare del take-away, ricordava quella scena dal momento che la foto l’aveva scattata lui, c’aveva messo mezza pausa pranzo per spiegare alla ragazzina come si tenessero le bacchette del cinese nella maniera corretta. Rise ricordando come alla fine Marie si fosse arrangiata infilzando le crocchette. L’espressione soddisfatta che mostrava nel puntare lo spiedino verso l’obiettivo era impagabile. Kim rideva con gli occhi semichiusi colti dallo scatto della macchina, vicino a loro Kenton faceva lo scemo usando le bacchette come antenne mentre McLee, un po’ in disparte rispetto al loro gruppo sorseggiava una dose doppia di caffè d’asporto.
Poi c’era quella che Kim le aveva scattato di nascosto durante le sessioni d’allenamento mattutine, la posa di combattimento della ragazzina era impeccabile, salda e…ricordò che fu proprio quella sua innata capacità nel combattimento corpo a corpo la prima cosa che notò quando la vide per la prima volta al centro addestramento di stanza in Mississippi.
 
McLee l’aveva chiamato apposta fino a laggiù per chiedergli il suo parere in merito all’integrazione di un nuovo membro particolarmente dotato nel gruppo degli Hawks e se in principio lui si era diretto li solo per rispondere al proprio superiore che la squadra era al completo gli era bastato vederla in azione per cambiare immediatamente idea.
A lei non lo aveva mai raccontato, ma il combattimento che le vide fare contro un’altra recluta, più alta e ben messa di lei in fatto di muscoli non l’avrebbe dimenticato mai.
In tre mosse aveva messo ko un cadetto di 90 kg. Tre mosse soltanto.
 
Tornò alla realtà quando la grande tazza colma di caffè che Kim gli aveva preparato entrò nella sua visuale.
Ringraziando la bionda cominciò a sorseggiare l’amaro e nerissimo liquido.
 
Quando il suo sguardo tornò ad indugiare sulla parete alla sua sinistra vide infine quella che a detta di Marie era la foto più bella in assoluto.
 
Si trattava di uno scatto in bianco e nero che immortalava la sua accettazione all’interno del team Hawks nel quale lui teneva in spalla Marie dopo che era terminato l’esame d’ammissione, tutti gli altri membri gli stavano attorno ridendo.
Quel fanatico di un Kenton era riuscito ad estrapolare quel fotogramma dal video della sicurezza, lo aveva migliorato e ingrandito, incorniciato e appoggiato sulla sua scrivania la mattina del primo vero giorno di lavoro della ragazzina.
 
Aveva pianto per mezz’ora dalla contentezza quella mocciosa e non c’era stato verso di farla smettere.
 
“-e ce la farà?”
“Nh?”
 
Kim sorrise sedendosi sul bordo della scrivania distogliendo lo sguardo dalla stessa foto che stava guardando lui.
 
“Marie…ce la farà?”
“Si certo…”
“…mhn…”
 
La bionda annuì guardando la punta delle proprie scarpe sovrapposte ondeggiare a vuoto; non sembrava particolarmente convinta.
 
“Ma secondo te non era un po’ presto per mandarla a Gotham?”
“La stessa cosa me l’ha detta McLee…”
“Eh? Vuoi dire che sei stato tu a …”
 
Sorpresa come non mai Kim rizzò la schiena rivolgendogli uno sguardo perplesso.
 
“Ma perché? Diamine Clay è…troppo presto per quel genere di crimini…”
“Tu l’hai sentita la sua storia l’altra sera al pub no?”
 
Ricordando le parole di Marie Kim abbassò lo sguardo annuendo.
 
“Quella ragazzina ha visto tanta di quella porcheria che in confronto Gotham le sembrerà un parco giochi…”
“…si, ma a McLee che hai detto? Come hai fatto a convincerlo? Non gli avrai detto che è…”
“Scema certo che no…ho fatto notare la sua condotta impeccabile, i suoi risultati il suo impegno la sua tenacia e la passione che mette nel lavoro che fa, e credimi Kim, McLee per primo le ha riconosciuto tali qualità, praticamente ha firmato che stava già chiamando Gordon…”
“In tal caso, non ho nessuna obiezione comandante!”
 
Esibendo il saluto militare la bionda componente del team Hawks scese con uno scatto dalla scrivania tornando alla propria postazione per concludere il suo lavoro mentre Clay cominciò a cercare cifre date e descrizioni in modo da poter compilare quel dannato quadro dei rimborsi trimestrali.
 
Spese viveri,  conto ospedaliero per la visita obbligatoria mensile ….spese viveri…alloggio in un motel per un operazione sotto copertura, noleggio di un auto, ancora spese viveri, noleggio di un burlesque …momento noleggio di un che cosa? Ma che diavolo ci doveva fare con un… bloccò la carta a mezz’aria nel ricordare una missione che aveva come luogo principale d’indagine un night club. Tutto regolare.
Andò avanti una mezz’oretta a compilare il quadro stupendosi della facilità con cui gli riusciva quel compito. Forse era grazie al fatto che tutto nella postazione di Marie fosse tenuto in ordine, quando doveva farsi il proprio calcolo diventava pazzo a riordinare le fatture gli scontrini e gli era capitato più di una volta di trovarsi i riepiloghi dei mesi prima nel bel mezzo delle pagine del libro che si era dimenticato di finire di leggere e che aveva usato come segna pagine.
25 minuti dopo Clayton aveva finito il suo unico compito con successo e senza errori. Mandò in stampa il quadro e spense il monitor del PC riponendo la cartella nella quale aveva disposto le carte nel cassetto dal quale Kim le aveva estratte.
 
Stava per richiudere il cassetto quando l’angolo di una cornice che spuntava da sotto le copie dei rapporti di Marie attirò la sua attenzione.
Senza farsi alcun problema sollevò le carte ed estrasse quella che effettivamente era una cornice al cui interno c’erano…
 
“Il corpo d’èlite?”
 
Kim si voltò.
 
“Hai detto qualcosa?”
“Guarda qua…”
 
Sporgendosi in avanti diede l’oggetto a Kim.
 
“Oh guarda, guarda c’è Marie qui!”
 
Clayton facendo il giro alla scrivania le andò di fianco abbassandosi per vedere meglio e notò che effettivamente, a lato del polpastrello dell’indice di Kim c’era il viso di Marie.
Indossava un’uniforme nera e aderente molto simile a quella che aveva sempre visto indosso al corpo d’èlite
 
“Dev’essere stata scattata prima di una missione, mamma mia erano un mucchio…riconosco Logan, e questa è…Monroe, poi questo è l’ex di Marie la ragazzina mora dell’altra volta e questa dai capelli corti deve essere ehm…doveva essere la sua migliore amica…”
 
C’erano tanti altri visi però, un uomo abbastanza basso rispetto al resto del gruppo che tuttavia aveva un’espressione severa in volto e uno strano visore sugli occhi, una donna molto bella dai capelli rossi e mossi, l’ambasciatore all’ ONU per i diritti mutanti e un tizio su di una sedia a rotelle, gli altri purtroppo non li riconosceva.
 
“E questi? A parte McCoy non mi pare d’averli mai visti…”
“Questo qui dagli strani occhiali io me lo ricordo, una volta mi ha aiutata durante una missione congiunta ma oddio, è stato quattro anni fa, chissà che fine ha fatto…”
“Ora che ripenso alle parole di Marie credo sia quel Scott che è stato ammazzato dalla Fenice, che se non sbaglio dovrebbe essere…questa qui…”
 
Con un tocco deciso l’enorme indice di Clayton picchiettò l’immagine della rossa coprendone il volto e il sereno sorriso.
 
“Sembravano in armonia, guarda che bel sorriso ha Marie…”
 
Kim non poté fare ameno di giungere a quella conclusione, lì in mezzo a tutte quelle persone diverse ma unite dalla stessa specificità la loro cara Marie sembrava sentirsi davvero a casa.
Clay con uno sbuffo si riprese la fotografia rimettendola al suo posto ben nascosta sotto i dossier.
 
“Eppure quegli scemi sono stati capaci di farla sentire indesiderata…”
“Eh?”
 
Risedendosi Clay si osservò le mani che si era intrecciato nel riflettere.
 
“Durante la missione a Three Miles Island udii una conversazione fra Marie e quel Logan…qualcosa che tecnicamente non avrei dovuto sentire ma Marie non aveva spento l’auricolare dopo che l’avevamo contattata per avere un rapporto e, beh, hanno tipo litigato e l’ho sentita parlare del modo in cui l’hanno trattata quando ha preso la cura, degli sguardi, dei bisbigli di biasimo del tradimento…”
“Che bastardi, non lo sapevo, a me ha detto che se n’è andata perché da curata non si sentiva più parte di quel mondo…”
“Loro non ce l’hanno più voluta far sentire e beh, io non so come potrei aver reagito trovandomi nei loro panni ma DIAMINE! Non si abbandona mai un compagno…MAI!”
“Noi non l’avremmo abbandonata Clay, lo dico con certezza perché non l’abbiamo abbandonata ora…sappiamo cosa è in grado di fare ma prima di tutto sappiamo chi è lei, chi è davvero la nostra Marie per questo sono certa che non le avremmo mai voltato le spalle…”
“Già, ma c’è un problema…”
“E sarebbe?”
“Ci ha detto d’aver superato la cosa, se davvero è così, perché tiene una loro foto nel primo cassetto della propria scrivania?”
 
Kim abbassò le palpebre tossendo un mezzo sorriso, quella foto era la conferma di tutto quello che aveva sempre sospettato sin dalla sera di quella doccia dopo la missione che aveva ricongiunto Marie con i mutanti dell’èlite.
 
“È molto semplice Clay…non le è affatto passata.”
 
Annuendo, Clay chiuse il cassetto con un calcio deciso.
Quando sarebbe tornata da Gotham avrebbero dovuto fare una bella chiacchierata loro due e Marie.
 
 
 
……………………
 
 
 
Seduta al posto passeggeri della vecchia auto della polizia Marie guardava annoiata fuori dal finestrino.
 
“99…13…100,101,102 14,15,104…”
 
Sbuffando smise di contare i lampioni accesi e quelli spenti dal momento che da lì in poi quelli che rimanevano erano bui.
 
“Mi rendo conto che non è Staten Island ma…”
“…ama comunque la sua città…è una cosa buona.”
 
Gordon distolse lo sguardo per un secondo lanciandole un’occhiata veloce.
Che strana leva gli aveva mandato quest’anno McLee, non riusciva a decifrarla completamente e la cosa lo metteva a disagio, sembrava dovesse scusarsi per tutto, per l’alto tasso di criminalità, per lo schifo di città che cercava di proteggere e persino per quei maledetti lampioni che non importava quante volte li riparavano ma finivano sempre danneggiati dai vandali o dai ladri di rame.
Un attimo sembrava disposta a chiacchierare, quello successivo diventava muta e pensierosa come se stesse giudicando e valutando, come se…
 
“…andando?”
“Chiedo scusa?”
“Dov’è che stiamo andando?”
“Oh, l’accompagno alla zona residenziale, come da programma sarà ospite del soggetto da proteg…”
“Per quella non doveva svoltare poco fa?”
 
Ricordandosi della meta che dovevano raggiungere Gordon si maledì mentalmente. Distratto com’era dalle sue riflessioni aveva mancato lo svincolo per la zona residenziale e si stava dirigendo a tutto andare nel quartiere dell’ex ospedale.
Il peggiore di tutta Gotham.
 
Immaginatevi voi una macchina della polizia che se ne va in solitaria per le vie più malfamate della città, se alla guida c’era Gordon in persona poi, era un invito al macello.
 
“Dannazione!”
“Non si preoccupi, basta girare laggiù e tornare indietro…”
 
Come accade sempre quando ci si aspetta qualcosa, ad esempio l’uscita del cucù dall’orologio allo scoccare delle ore o al suono del campanello quando sul pianerottolo si odono le voce dei conoscenti, in quel preciso istante Gordon guardò il retrovisore trovandolo invaso da una miriade di moto, macchine semidistrutte ma soprattutto di punk che guidando i loro precari mezzi li stavano poco a poco accerchiando urlando e schiamazzando come se fossero stati ad una parata di carnevale.
 
“Sempre che ci arriviamo laggiù.”
 
Convinto di trovarla preoccupata o quanto meno in cerca di risposte il commissario si voltò per rassicurarla.
L’espressione che le vide in volto mentre trafficava con i lacci della sua sacca da viaggio non la seppe proprio catalogare.
Cos’era, impazienza? Eccitazione, follia?
 
“Reggiti!”
 
Voltandosi nuovamente le vide cercare di uscire dal finestrino mentre al contempo reggeva in spalla la canna di un…no, impossibile…
Ingranando una marcia più veloce guardò velocemente le dimensioni della borsa comparandole con quelle dell’arma che aveva appena estratto.
Come aveva fatto a farci stare un bazooka?! Ma soprattutto, come diavolo aveva fatto quello scricciolo di ragazzina a portare un simile peso sollevando la sacca come se si fosse trattato di una 24 ore?
 
Se fosse uscito incolume da quel disastro avrebbe dovuto fare una chiamata a suo cugino.
 
Il primo colpo avvenne che stava ancora analizzando l’accaduto, per il contraccolpo l’auto sbandò e la fiancata dalla sua parte aderì per una quindicina di metri al guard rail creando scintille ad ogni contatto.
 
Non ci fu bisogno del secondo perché l’armata di pagliacci alle loro spalle fu letteralmente dispersa.
Quanti diavolo ne aveva ammazzati quella pazza e lui cosa diavolo avrebbe raccontato al governatore per giustificare quell’azione?
 
“Stia tranquillo, non ho ucciso nessuno, solamente ho detto loro contro chi si stavano mettendo…”
 
Rilassata come se fosse appena rientrata da una seduta di massaggi si rimise a sedere allacciandosi pure la cintura.
Gordon batté alcune volte le palpebre…e il bazooka?
 
“Svolti a destra.”
“S-si”
 
Guidò in silenzio per i rimanenti 20 minuti.
 
Arrivarono dinnanzi al cancello di un immensa villa dalle pareti grigio-bluastre e una miriade di alte finestre.
Senza dubbio chi possedeva quell’abitazione ne aveva di grana.
 
Marie uscì dall’auto seguendo il commissario lungo i gradini che portavano al portone d’ingresso.
Le grottesche teste di leone che spuntavano dal centro di ogni anta le provocarono un tremito di disagio che le attraversò la schiena.
L’improvviso scatto della serratura la fece sussultare; la porta si aprì che Gordon doveva ancora premere il campanello.
 
“Oh buonasera Commissario, l’aspettavamo venti minuti fa…”
 
Quello che a giudicare dall’impeccabile divisa doveva essere un maggiordomo passò poi a guardare Marie.
 
“Lei dev’essere Ms. D’Acanto, la guardia del corpo del sigorino Wayne giusto?”
“Affermativo, buonasera Signor Alfred.”
 
Ricordandosi il protocollo annuì chinando la testa in segno di saluto. La stretta di mano non era necessaria quando si trattava di un cliente, era troppo confidenziale e lei, in quanto guardia del corpo doveva mantenere i rapporti con lui su di un piano assolutamente professionale.
 
“Entrate prego, il signorino sarà qui a momenti…”
 
Gordon, che stava per varcare la soglia della villa si bloccò immediatamente.
 
“Bruce non è in casa?”
“Oh…no, si;  è al piano di sopra a farsi la doccia.”
 
Il commissario parve rilassarsi e cambiando idea salutò entrambi tornando alla macchina. Marie, alla quale non era sfuggita l’indecisione nel rispondere del maggiordomo, fece lo stesso seguendo poi Alfred all’interno di quell’enorme casa.
Si cominciava già coi sospetti.
Rise fra i denti, quella missione sarebbe stata uno spasso.
 
 
 
 
TH
 
 
…eccomi qua, spero non vi defiliate ora che avete letto questo capitolo.
Ripeto che non sarà particolarmente importante ma, ecco, quest’idea mi frullava in mente da un bel po’ e beh, in base a quello che ho pensato sarà una figata ma ahimè, a voi l’ardua sentenza!!
Intanto grazie, e ciao!!! =) 

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Capitolo 17
*** She's looking 4 you, be patient ***


 
 
 
 
 
Varcare la soglia di quell’imponente villa era come tornare indietro nel tempo a quando per la prima volta, seguendo Ororo e Scott era uscita dall’ascensore di metallo che dall’hangar portava direttamente al piano terra dello Xavier’s Institute.
Tutto le era parso maestoso ed elegante e lei si era sentita tremendamente inadeguata, povera e misera in mezzo a tutto quello sgargiante sfarzo.
Poi erano bastate solo quattro chiacchiere con Charles a farle passare subito quel senso di inferiorità e dopo otto mesi di solitario vagabondaggio aveva nuovamente trovato una casa.
 
“Per di qua Signorina D’Acanto.”
“…oh eccomi…”
 
Scuotendo la testa si concentrò nell’osservare l’enorme salone in cui era giunta al centro del quale partivano delle ampie gradinate che da li salivano fino al primo piano dividendosi in due rami che conducevano rispettivamente a destra e a sinistra compiendo un cerchio che attorniava l’intero perimetro interno della villa, nel punto del primo piano dove le due braccia si rincontravano c’era un ampio soppalco arredato con seggiole e tavolini che davano all’enorme vetrata della facciata principale da cui si poteva vedere l’intero giardino e più in la, le luci irregolari della cupa Gotham.
Il nero e lucente marmo che pavimentava il piano assomigliava a mare ghiacciato e se si guardava le scarpe poteva vedere un'altra lei partire dalle suole e sprofondare in quel nero riflesso.
Compiendo un giro su sé stessa fece una panoramica a 360° rimanendo affascinata dai grandi quadri appesi alle pareti ma soprattutto dalla puntura sottopelle che le scatenò il passar davanti ad un enorme mobilio contenente libri e antichi cimeli.
 
Metallo…tanto metallo da creare un campo magnetico rilevante malgrado quello scaffale fosse stato di legno…
 
“Mi segua Miss D’Acanto.”
 
Aumentando l’andatura affiancò il maggiordomo che nel mentre aveva raggiunto una grande porta di legno rossiccio osando fargli una prima richiesta.
 
“Senta…mi trovo a disagio nell’essere chiamata per cognome…e anche il suffisso signorina…non potrebbe chiamarmi semplicemente Marie?”
“Temo che questo non mi sia possibile signo-”
“Marie…mi chiami solamente Marie la prego! Non sono ricca, non sono nobile e fino a prova contraria sono qui per lavorare esattamente come lei” l’aria impassibile di lui riuscì a metterla in difficoltà “…la prego…”
 
Dopo un millisecondo di silenzio in cui Alfred la scrutò discretamente egli si voltò facendo scattare la pesante maniglia in metallo elaborato per spalancare la porta e farsi da parte.
 
“La sua stanza signorina D’Acanto…”
 
Vibrando internamente di rabbia lei si piantò in faccia il sorriso più falso che possedeva e una volta che varcò la porta di quell’enorme suite che sarebbe stata la sua stanza per i prossimi tre mesi, posò la valigia che si era rifiutata di consegnargli e lo salutò con un sonoro…
 
“Grazie mille…SIGNOR ALFRED!!”
 
Sghignazzando lei chiuse la porta sulla faccia allibita di lui.
A quel gioco si poteva giocare in due.
 
 
Preso in contropiede al confuso Alfred non rimase che fare retro front e tornare di sotto.
A breve il padrone di casa sarebbe rientrato e doveva fargli trovare pronta la cena.
 
“Bel caratterino non trovi?”
“Oh, Signorino Wayne non sapevo foste già di ritorno…”
“Che ci siamo persi Alfred?”
“Nulla signorino Dick, la nostra ospite è appena arrivata e l’ho accompagnata in camera sua.”
 
Sorridendo il nuovo arrivato si allontanò dalla colonna alla quale si era appoggiato affiancando il suo fedele amico.
I suoi due aiutanti dal momento che erano affamati come lupi li precedettero in cucina.
 
“Sono arrivato poco prima di loro, sarei uscito ma mi avete intercettato che stavo per uscire dalla porta segreta, quando si è fermata a guardare le copertine dei libri temevo quasi d’essermi fatto beccare…”
“Miss D’Acanto senza dubbio sa il fatto suo.”
“L’hai detto; credo dovremmo fare tutti un po’ più d’attenzione rispetto alle altre volte.”
 
Sorridendo Bruce lanciò un’ultima occhiata verso la direzione in cui c’era la camera di lei e nel farlo gli ripassò in mente la scena a cui aveva assistito in quel vicolo di Gotham, a come quella ragazzina aveva neutralizzato lo scippatore e protetto il neonato e, cosa ancora più sorprendente, non riusciva a capire come avesse potuto fare quel disastro al quartiere dell’ex ospedale senza uccidere neppure un teppistello.
 
 
 
……
 
“Ci ha sparato contro con un Bazooka ti dico!!!”
“Voleva sterminarci credimi amico! E quello che ha fatto alle nostre bandiere…da non credere!!!”
 
Il cavaliere mascherato aveva storto il naso a quel commento, sentirsi chiamare amico da un bamboccio di neanche vent’anni tutto piercing trucco e chiappe al vento non era stato proprio il massimo, ma il suo computer aveva rilevato un’anomala emissione di energia mentre stava facendo ritorno alla caverna e all’ultimo aveva deviato per andare a controllare.
Una volta sceso dall’auto si era trovato di fronte ad una scena che, non fosse stato per la maschera che indossava lo avrebbe fatto ridere a crepapelle.
Decine di corpi giacevano sparpagliati a terra nelle posizioni più assurde e umilianti.
I mezzi di trasporto della banda dei punk pagliacci erano letteralmente disintegrati, le catene che usavano come armi attorcigliate attorno ai lampioni e le numerose borchie catenelle e spille che adornavano i loro già succinti abiti in pelle stavano agglomerate in una massa informe talmente compatta che sembravano fuse le une alle altre, i buchi che il loro esser strappate via dagli indumenti avevano causato completavano l’avvilente scenetta.
 
Si era avvicinato al primo che aveva visto in sé per chiedergli cosa fosse accaduto ma non era tanto sicuro di poter dar credito alle sue parole, l’odore d’alcol che gli impestava l’alito unito probabilmente a qualche pasticca di troppo dovevano avergli alterato la testa.
 
 
……
 
 
Che silenzio.
Sbuffando una nuvola di fumo Marie salì sulla ringhiera del balcone percorrendone tutta la lunghezza in perfetto equilibrio mentre con la testa rivolta al cielo osservava la rossa luna che dato il colore sembrava minacciarla quella tetra città anziché benedirla con la sua bianca luce.
 
Fermandosi circa a metà percorso inspirò veleno ed espirò fumo.
 
“Eppure sei la stessa luna che splende su Staten Island no? Come mai qui sei così maligna? Possibile che la cattiveria e l’indifferenza di questa città siano giunte lassù fino a te corrompendo il tuo bianco cuore!?”
“…”
“Tsk…ehh heh, ma guarda te, finalmente mi viene da fare la filosofa e non c’è nessuno a godersi le mie perle di poesia…”
 
Ridacchiando con un balzo saltò giù nell’oscuro vuoto che separava il suo piano dal giardino atterrando perfettamente su entrambe le piante dei piedi proprio in mezzo alla piazzetta lastricata che fungeva da passaggio per le auto durante i ricevimenti permettendo alle lussuose limousine di arrivare fino al portone principale per far scendere gli invitati mentre questa poi procedeva e girandosi raggiungeva il parcheggio in fondo al viale.
Curiosa osservò l’alta statua che adornava il centro dello spiazzo. Un gargoyle, ugh ma non potevano metterci una Venere di Milo come facevano tutti quanti? I gargoyle erano…inquietanti diamine.
 
…………
 
 
“Però, ha un buon equilibrio chissà se ha mai praticato ginnastica artistica…”
“Perché una non può essere in grado di stare in equilibrio se non ha prima studiato ginnastica?”
“Non ho detto questo Dick, perché devi sempre capire quello che vuoi tu?”
“Perché tu non sei capace di spiegarti bene forse?”
“Con questo che vorresti dire eh?”
“Che se durante la ronda di stasera invece che parlare a vanvera avessi parlato chiaro non saremmo finiti nei guai e…”
“Oddio si è buttata di sotto!!!”
“Eeeeeeh?”
 
Preoccupata Barbara Gordon scattò in piedi spiaccicandosi contro la vetrata della grande finestra della cucina dalla quale stava spiando i movimenti della loro ospite.
Il vederla atterrare con grazia e semplicità però calmò subito la sua agitazione, voltandosi cercò di calmare gli animi ma si accorse che ad ascoltarla c’erano solo Alfred e Dick.
 
…………
 
Ignara della conversazione che stava avvenendo all’interno delle mura della villa, Marie camminava assorta nei suoi pensieri sul bordo della fontana.
I giochi d’acqua e di luce creavano un effetto quasi ipnotizzante.
 
 
“Non ti ho vista uscire…”
 
Immediatamente si voltò per fronteggiare l’intruso e l’istinto di assumere una posizione di difesa svanì nell’immediato momento in cui gli artici occhi di lui ingabbiarono il suo sguardo.
 
“Sono n-hem saltata giù…” timidamente con un cenno del capo indicò il balcone.
“È senza dubbio un bel salto…”
“Neanche sei metri, sono abituata a molto peggio…”
“Immagino…”
 
Imbarazzata senza saperne il motivo si schiarì la voce. Quello non poteva che essere lui, la sua faccia era identica alla foto presente nel dossier che aveva letto durante il viaggio. Nel ritratto si vedeva benissimo che era un tipo affascinante ma di persona, diamine che pezzo di figo!
Grata all’oscurità del fatto che il rosso imbarazzo che le colorava le guance fosse completamente celato si presentò.
 
“Agente speciale Hawk 8, sono arrivata poco fa Mister Wayne e non abbiamo avuto l’occasione di presentarci…”
“L’onore vorrà dire! Piacere sono Bruce!”
 
Stringendogli la mano non poté fare a meno che rivelargli il suo nome anche se tecnicamente non era tenuta a farlo.
 
“Marie…”
“Posso darti del tu vero?”
“Certo Mist-”
“Ciò include che anche tu puoi fare lo stesso, odio le formalità.”
“Oh, d’accordo allora. Bruce!”
“Bene, ora che ne diresti di rientrare? Fa piuttosto freddo, vorrei presentarti due miei amici, magari davanti ad una tazza di punch bollente.”
“Ok.”
 
Rise d’istinto al suo sorriso e lo seguì.
 
 
…………
 
“Non li vedo più…”
“Ssssht stanno tornando!!!”
“Vorrei farvi presente che spiare le altrui persone non è affatto cosa buona…”
“Tu dici Alfred? Allora come mai fra la mia e quella di Dick c’è anche la tua testa eh?”
 
Barbara sghignazzò al colpo di tosse rilasciato nervosamente dal maggiordomo riprendendo il suo posto a tavola in modo da non essere colta in flagrante dai due in arrivo.
Appena Bruce entrò e con lui la nuova guardia del corpo qualcosa in lei scattò. Quel viso non le era nuovo, aveva già visto il suo volto da qualche parte ma non ricordava dove.
 
“Eccoci qua, loro sono Barbara Gordon, la figlia del commissario che tu hai già avuto occasione di conoscere e lui è Dick Grayson il mio figlioccio.”
 
Si sarebbe aspettata i suoi soci del poker,  due sventole da intrattenimento o che ne sapeva lei, lo zio simpatico e il cugino altrettanto carino, tutto tranne la vista di quei due vispi ragazzini che la stavano guardando curiosi.
 
“Piacere, sono Marie D’Acanto…”
“Lo sappiamo!”
“Eh?”
 
Dick impacciato si morse la lingua ma fu svelto a tirarsi fuori d’impiccio.
 
“Alfred e Bruce ci avevano avvisati del tuo arrivo, è un piacere conoscerti Miss…”
“Solo Marie, odio i convenevoli.”
 
Dicendo ciò lanciò un’allegra occhiata ad Alfred che disinteressato fingeva di pulire un’inesistente macchia dalla lucida anta del frigo d’alluminio.
 
“Allora il tuo compito sarebbe quello di proteggere il nostro Bruce eh?”
“Esatto ah, a tal proposito avrei bisogno di avere la tabella di marcia dei tuoi impegni Bruce in modo da…”
“In bocca al lupo per quella…”
 
Perplessa Marie tornò a guardare il piccoletto.
 
“Come dici?”
“Il mio amico…”  con la voce piena di sarcastico ammonimento Barbara Gordon prese la parola. “…voleva solamente dire che ha così tanti impegni e appuntamenti e fuoriprogramma che spesso e volentieri fa tutto a casaccio e non rispetta nessuna tabella, tutto qui…”
“Oh, capisco, beh non è un problema, dal momento che starò qui potrò averlo sottocontrollo e per quanto riguarda le apparizioni in pubblico basta che me lo facciate sapere una decina di minuti prima se uscite e mi farò trovare pronta.”
“Ah…ok nessun problema ehh hehe.”
 
In quel momento scese un silenzio abbastanza pesante, finite le presentazioni e le chiacchiere inerenti al suo impiego Marie non sapeva più di che parlare così con un sorriso piatto si concentrò nel guardare fuori dalla finestra.
L’arrivo di Alfred e di due tazzine di punch bollente fu provvidenziale. Ai due ragazzini furono invece servite due belle tazze di cioccolata bianca e caramello e rimase piacevolmente colpita nel vedere la complicità con cui i due ragazzini sorseggiavano le loro bevande scambiandosi sguardi d’intesa mentre parlavano a bassa voce di qualcosa.
Ah, forse aveva capito, lei doveva essere la fidanzatina del figlioccio di Bruce per questo si trovava li, non vedeva altra spiegazione altrimenti anche se…
Nel dossier che le avevano consegnato al quartier generale non era menzionato nessun figlioccio ma questo probabilmente era dovuto al fatto che le notizie erano piuttosto datate infatti l’ultimo rapporto, stilato peraltro dalla stessa Kim, parlava di un milionario play boy dal carattere spesso infantile che si prodigava anima e corpo alla rinascita di Gotham con cospicue donazioni ad enti, associazioni e soprattutto ospedali.
Kim, aveva letto nel dossier, era stata mandata a Gotham due anni prima che lei entrasse negli Hawks quindi erano passati 4 anni e mezzo. Nel suo rapporto non erano menzionati nessun figlioccio e nessuna Barbara Gordon, solo Bruce Wayne ed il suo maggiordomo Alfred Pennyworth erano stati nominati e ovviamente il commissario Gordon che era il suo appoggio a Gotham.
 
Improvvisamente i grandi occhi color del caffè di Barbara si bloccarono su di lei come pure quelli neri di Dick e quelli azzurri di Bruce.
 
“Che c’è?”
“Non hai sentito che Bruce ti ha fatto una domanda?”
“Oh, no Barbara, ero assorta nei miei pensieri domando scusa…”
 
Imbarazzata posò la tazzina sul grande tavolo di legno attorno al quale stavano seduti.
 
“Dimmi pure Bruce.”
“Non era nulla di importante, solo ci chiedevamo da dove vieni…”
“Meridian, Mississippi. Sono nata e cresciuta là, poi a 17 anni mi sono trasferita a New York e infine a States Island dove risiedo tutt’ora.”
 
D’improvviso il colpo del palmo di Barbara schiantato sul tavolo spezzò la quiete.
 
“Ecco dove ti ho vista! L’anno scorso ci sono stata con la squadra di ginnastica artistica e c’era una tua foto appesa in bella vista nell’aula magna della palestra di Meridian.”
“Oh,  davvero c’è ancora?”
“Si, quando ho chiesto di chi si trattava mi hanno spiegato che eri l’orgoglio del Meridian Community College, prima ai nazionali di ginnastica artistica per tre anni consecutivi, i primi due frequentavi ancora il secondo e terzo anno alla Lamar high school e l’ultimo eri una matricola del MCC.”
“In effetti l’ho praticata fino al primo anno di college poi ho dovuto lasciar perdere…”
 
Marie non perse l’occhiata di vittoria che la ragazzina aveva lanciato a Dick e il conseguente sbuffo annoiato di lui ma non sembrava una cosa particolarmente rilevante quindi non indagò oltre.
 
“Che peccato però, eri una bomba, perché hai lasciato perdere?”
“Diciamo che i miei interessi sono mutati improvvisamente, un giorno ginnastica, quello dopo pistole e zone di guerra…”
“Oh…”
“Mi è dispiaciuto abbandonare ma mi tengo in esercizio quando posso, tu invece? Sei ad alti livelli no? A Meridian si tiene una tappa dei campionati nazionali, se hai partecipato vuol dire che sei una tosta!”
“Non per vantarmi ma…promessa nella nazionale giovanile per le prossime olimpiadi.”
“Ah però! Beh, se ti va possiamo allenarci un po’ insieme qualche volta…starò qui per i prossimi tre mesi di occasioni ce ne saranno di sicuro.”
“Sarebbe un onore!”
“Affare fatto allora!”
“Mi permetti ancora una domanda?”
“Certo Bruce.”
“Dopo che hai abbandonato il college cosa hai fatto?”
“Ho completato gli studi in un istituto privato appena fuori New York, successivamente sono entrata nel progetto d’addestramento degli Hawks, sono stata promossa a membro effettivo della squadra ed eccomi qua.”
“Devi essere davvero in gamba però.”
“Grazie Dick.”
 
Di nuovo scese il silenzio ma stavolta fu leggero e benvenuto.
Dopo aver bevuto con calma il suo punch, che nel frattempo si era raffreddato, si congedò e salì a dormire.
 
“Non ci posso credere, potrò allenarmi con lei! Chissà quante cose avrà da insegnarmi…yehhah!!”
“Cos’hai da essere così eccitata me lo spieghi? Stai attenta piuttosto a non lasciarti sfuggire dettagli riguardanti le nostre…”
“Stare attenta a non fare quello che fai tu quindi? Oh stai tranquillo Dick, io non sono citrulla, so tenere la bocca chiusa a differenza di te!!”
 
Proprio mentre il povero Dick stava gonfiando guance e petto come un vero galletto l’intervento di Bruce mise tutto a tacere.
 
“Su forza, dobbiamo andare a dormire anche noi, è molto tardi. Barbara fa chiamare un taxi da Alfred e…”
“Posso farlo anche da sola Bruce, ho un cellulare e anche delle dita per comporre numeri sai?”
 
E mentre la giovane ginnasta digitava il numero della compagnia di taxi la neutra voce di Alfred l’avvertiva che aveva già provveduto e che una macchina la stava aspettando fuori in parcheggio già da 20 minuti.
 
“Non vedevi l’ora che me ne andassi eh? Addirittura venti minuti, tsè.”
“Buonanotte signorina Barbara.”
“Notte ‘fred, notte gente!!!”
 
……
 
 
Tranquillità…                     uno sbuffo
Significava pace…                       un altro sbuffo
Che significava niente da fare…                      di nuovo sbuffa
Il che voleva dire niente missioni, niente cooperazioni e…niente lei…        ennesimo sbuffo
 
“Sono felice di essere qui con te Logan…”
 
Come diavolo avrebbe fatto a farle dire quelle parole se non aveva occasione di incrociarla!?
 
Sbuffando per la decimillesima volta Logan si alzò dal divano seccato.
Decine di paia d’occhi lo seguirono piuttosto scocciati.
I suoi continui sospiri a quanto aveva capito stavano rovinando la bellissima atmosfera del film che i ragazzini stavano guardando.
 
“Shala lalla la la il ragazzo è troppo timido, coraggio baciala!”
 
La sirenetta!!? Il suo impeccabile sopracciglio scattò in orbita allibito.
Come diamine avevano fatto a convincerlo a guardare la sirenetta!?
Mangiandosi un paio d’imprecazioni che avrebbero dato gli incubi perpetui ai mocciosi, Logan si affrettò ad uscire dalla sala audiovisivi direzione cucina più precisamente frigo più precisamente birra!
 
Fu grande la delusione nel trovare il suo scomparto privato solitamente traboccante dell’alcolico totalmente vuoto.
 
“’Ro!”
 
Due secondi dopo  Ororo entrò nel suo campo visivo.
 
“Che c’è?”
“Esco a bermi un paio di birre.”
“Ok farò controllare i bambini da Kitty, ci vediamo domani, poche porcherie mi raccomando.”
 
Ridendo Tempesta tornò nel suo studio a finire il riepilogo mensile delle spese coi farfugliamenti di Logan come accompagnamento vocale.
 
Un’ora dopo varcò la soglia di un bar nel quale non era mai stato.
Aveva voglia di cambiare quella sera e l’allegra insegna del Tom’s Grill bar aveva attirato subito la sua attenzione.
La musica era decente, la clientela sembrava gente alla buona e anche lo stile di quel locale gli era assai gradito.
Assi di legno simil grezzo rivestivano le pareti lasciando qua e la qualche chiazza scoperta di muro vivo coi mattoni rossi ben visibili. Le luci al neon si intonavano perfettamente all’ambiente e davano un atmosfera calorosa, i tavoli ricavati da grandi botti sopra le quali erano posizionati degli spessi ovali di larice come superficie erano pieni fino all’inverosimile di panini pinte di birre patatine e recipienti colmi di alette di pollo fritte.
Un’ode al colesterolo in poche parole.
Hah, quel posto gli piaceva!
 
“Per te amico!”
 
Sotto al suo naso, in contemporanea alla voce apparve una pinta di ottima birra appena spillata.
 
“Grazie ma, di solito non accetto birre dagli sconosciuti, in special modo se questi poi sono uomini…”
 
Guardò storto il barista guadagnandosi una risata profonda e una scrollata di spalle.
 
“Allora direi che è tutto a posto, Io non sono una sconosciuta e men che meno un uomo.”
 
Girandosi non appena riconobbe la voce si rilassò sorridendo alla bionda che aveva appena preso posto sullo sgabello accanto.
 
“Logan” lo salutò alzando la pinta.
“Hey, Kim” imitandola cozzò la sua caraffa contro quella di lei.
“Non avrei mai detto che ti saresti ricordato il mio nome.”
“Non sono poi così pessimo, non credere a tutto quello che Marie ti può aver detto…”
 
Lei si fermò dal bere la sua birra fermando il polso a mezz’aria. Sorridendo lo guardò furbetta.
 
“Lei non mai aperto bocca né su di te né sugli altri. Lo dicevo solo perché in tutte le occasioni che abbiamo lavorato assieme prima che Marie entrasse negli Hawks voi elite nemmeno ci rivolgevate la parola a noi comuni mortali…”
 
Le scappò una risatina nel constatare che c’era rimasto di merda.
 
“Fa niente, e comunque sia noi non le abbiamo mai chiesto nulla a parte il fatto che eravamo un po’ curiosi di sapere come mai una nostra recluta conosceva ed era, se così si può dire, in confidenza con i membri dell’elite.”
“E che vi ha detto?”
“Che per un po’ è stata assieme a voi, che non era adatta al vostro mondo e che per questo se ne è andata”
“Ridurre quattro anni a solo <<un po’>>, heh tipico di Marie.”
“…sembra che ci siano parecchie faccende in sospeso fra di voi no?”
“Nh?”
“Voi elite e Marie intendo…”
“Ah…no, non molte in realtà, una forse.”
“O qualche suo multiplo…ma non sono affari miei. Piuttosto dimmi, come mai sei qui? Non ti avevo mai visto nel nostro covo prima o poi.”
“Il vostro covo?”
“Beh, la sede degli Hawks non è molto distante, questa è l’unica via che porta a States e di ritorno a casa dato che il Tom’s è di strada ci fermiamo sempre per una birra e un biliardo, con Marie e gli altri…”
“E stasera sei sola?”
“Kenton se ne è andato mezz’ora fa, Clay è impegnato a Boston con un paio dei nostri e Marie…”
“Marie?”
“Marie è in missione segreta! Ma non dirlo a nessuno è” rise portandosi l’indice alle labbra “un segreto!”
“E dove?”
“Non te lo posso dire.”
“Dov’è Clayton me lo hai detto però…”
“Che motivo avresti per andare da Clayton scusa?”
 
Logan sbiancò, lei ridendo gli puntò contro l’indice.
 
“Hah, beccato!”
“Se è per questo non ho motivo nemmeno di cercare lei…”
“Oh lo immagino, infatti sei qui percheeeeeeeè?”
“Avevo bisogno di un paio di birre…” ci restò male nel vedere che in due sorsi aveva già finito la sua pinta
“ o magari un loro multiplo…”
“Bene perché avevo giusto voglia di un compagno di bevuta, da sola mi annoio e l’amico qui dietro al banco non è alla mia altezza…”
“Scusa tanto se sono qui per lavorare Kim, davvero!”
“Oh andiamo Glenn, non t’arrabbiare!”
 
Ma dal sorriso beffardo presente sul viso barbuto di lui si evinceva chiaramente che stava al gioco.
 
“Queste le offre la casa, gli amici di Marie sono miei amici!”
“Thank’you Glenn!”
“E tu l’accetti Logan? Fa conto che si a da parte di Marie!”
“Grazie amico, facci compagnia.”
“Ma si, una posso concedervela.”
 
 
Due ore dopo la strana coppia era diventata un trio. Un trio secco completo che a malapena sapeva restare in piedi o peggio ancora, camminare per fare il giro al tavolo da biliardo sopra il quale s’era spostata la compagnia.
Verso le tre di notte Logan lasciò Kim e il suo nuovo amico Glenn avvinghiati sopra la verde stoffa del biliardo; non c’aveva messo molto a capire che fra i due c’era qualcosa ma quando il loro amoreggiare aveva decisamente passato il limite della sua già alta soglia di sopportazione li aveva salutati con un cenno e aveva infilato la porta.
Non era riuscito a farsi dire niente di quello che voleva sapere da Kim nonostante ci avesse provato a più riprese approfittando dell’ubriachezza della bionda che tuttavia non si era lasciata fregare e aveva riso ad ogni suo tentativo facendogli anche i complimenti.
 
“Nice Try my fellow, maybe next time!! ”
 
E poi era andata avanti a ridere a oltranza diventando sempre più spudorata con l’uomo che a suo dire a bere non era alla sua altezza.
 
Alzando gli occhi al cielo si mise le mani in tasca concedendosi dopo tanto tempo d’ammirare le stelle.
Non poteva certo negare di non essersi divertito, anzi, allo Xavier’s non c’era nessuno col quale passare serate del genere e le sue sere di bevute era costretto a passarsele sempre in solitaria.
In quel momento si trovò ad invidiare Marie, si era trovata una bella combriccola con cui se la spassava quasi tutte le sere.
 
“Lei non mai aperto bocca né su di te né sugli altri.”
 
Le parole di Kim in qualche modo lo mortificarono. E così non parlava mai di loro eh?
Dimenticati e sostituiti con dei nuovi amici come succedeva coi vestiti quando questi diventavano vecchi o non erano più di moda, miseri stracci da nascondere o eliminare, questo erano diventati loro per Marie…
Maledicendosi mentalmente scosse la testa.
Marie era una che non parlava mai di chi non era presente e, cosa più importante, era una capace di tenere lo stesso paio di jeans per oltre tre anni fregandosene della moda perché uno, a lei della moda non gliene era mai fregato niente e secondo… perché quel paio de jeans glieli aveva regalati lui.
Sbuffando diede un pugno al cemento di un lampione.
 
“Hai fatto bene cazzo! Hai fatto dannatamente bene ragazzina…”
“Hey…”
 
Voltandosi si ritrovò nuovamente faccia  faccia con la bionda, fingere che non fosse successo niente quando era chiaro che lei lo avesse visto sclerare non sarebbe servito.
Schiarendosi la gola buttò li due parole a caso.
 
“Che c’è, Glenn non è alla tua altezza nemmeno in quell’altro senso?”
 
La risata di lei fu allegra e cristallina.
 
“No, volevo solo dirti una cosa…”
“E sarebbe?”
“Lei…Marie intendo…non parla molto di voi perché preferisce tenersi tutto dentro ma soprattutto perché, e credimi quando te lo dico…non vi ha affatto messi da parte.”
“Eh?”
“Io la conosco bene e lo vedo benissimo il lampo di nostalgia che le attraversa gli occhi quando vi vede o siete nominati o… beh, non l’ho mai vista farlo ma immagino che provi un sacco di nostalgia anche quando è sola in ufficio e apre il primo cassetto della sua scrivania per tirare fuori la foto del vostro gruppo che tiene ben nascosta sotto le carte dei vecchi riepiloghi conto spese…”
“La nostra foto?”
“Si…ci siete tutti, tu lei la ragazzina con la coda, quella mi che mi pare si chiami Jubes e Scott e Jean e…”
“L’abbiamo scattata alla fine di una sessione d’addestramento, quando sono stati accettati come membri effettivi degli x-men…”
“Come ti ho detto quella volta alla foce dell’Attawapiskat, non le è passata ma sono convinta che se anche tu la conosci come la conosco io il suo comportamento scontroso e diffidente e…ostile diciamocelo, è dettato dal fatto che ha paura a fidarsi di nuovo di voi…”
“Ha fatto la difficile anche con voi all’inizio?”
“Per niente, siamo entrate subito in sintonia…due giorni che era membro ufficiale e già sbaraccavamo assieme il sabato sera o passavamo le serate una a casa dell’altra; quello che voglio farti capire è che non ha perso la fiducia negli altri, non ha paura a fidarsi delle nuove persone che incontra se queste sono degne della sua attenzione, la sua difficoltà sta nel rischiare nuovamente con coloro con cui ha già fallito una volata…”
“Non è stata lei a fallire, noi abbiamo sbagliato noi le abbiamo…”
 
I palmi alzati di lei lo zittirono.
 
“Non voglio sapere cosa avete fatto o detto o pensato, non sono affari miei questi solo…abbi pazienza…abbiate tanta pazienza con lei, vi sta aspettando e vi sta cercando ma a modo suo, coi suoi tempi e le sue insicurezze, voi non forzatela e non costringetela ad accettare le vostre scuse ormai non ce n’è più bisogno, quella è acqua passata, lasciate che sia lei a scusarsi con voi, poi tornerà. Tutto qui.”
“Ma tu, perché mi dici questo?”
“Perché sono sua amica e voglio che sia serena.”
 
Incapace di pensare o dire altro Logan scostò lo sguardo dagli azzurri occhi di lei posandoli sul cemento del parcheggio cosparso di mozziconi di sigarette e linguette di lattine.
 
“Beh, ora torno dentro o Glenn ci si addormenta sopra quel dannato biliardo…ci vediamo Logan! Passa ancora di qua, mi sono divertita stasera!”
“…contaci bionda!”
 
La risata di lei continuò ben oltre le porte in stile saloon oltre le quali svanì di li a poco.
 
Che strana donna una contraddizione.
Prima gli rivelava parole categoriche facendogli pensare il peggio, poi si prendeva la briga di seguirlo e raccontargli tutto quello che aveva bisogno di sentirsi dire risollevandogli animo morale e speranze.
Sorridendo si diresse alla moto.
 
 
…Che begli amici si era trovata la sua Marie.
 
……………………
 
 
 
Name: Anna Marie D’Acanto
Birthplace:Anderson Regional Medical Center-Meridian Mississippi
Address: 3021 N Hills Meridian (39301) // current residence: 1302 Vermon Blvd States Island NY (10314)
 
Seduto alla scrivania della sua camera da letto Bruce leggeva con attenzione il dossier che si era fatto spedire da Gordon eludendo la sua iniziale perplessità col fatto che voleva essere sicuro di sapere con chi aveva a che fare prima di accogliere estranei in casa sua, gli aveva pure detto che aveva fatto lo stesso gli anni precedenti al suo arrivo come commissario e che il suo predecessore non aveva obiettato.
Non era stato difficile averlo e se doveva essere sincero era piuttosto deluso dalla scarsità di informazioni presenti nel fascicolo, ma hey, era un membro speciale di un corpo speciale, mica potevano sbandierare i suoi dati al vento come niente giusto?
 
Aprendo il suo server speciale entrò con facilità nell’archivio federale di States Island dove gli fu altrettanto semplice entrare nel database dei membri del corpo speciale Hawks.
 
I dati anagrafici erano identici a quelli riportati nel dossier ma trovò molte notizie riguardanti le missioni a cui aveva preso parte rendendosi effettivamente conto di quanto fosse in gamba quella ragazzina.
Notò un’incongruenza temporale però nell’arco compreso fra i suoi 18 e 21 anni.
Stando a ciò che la stessa Marie gli aveva detto poco prima, dopo che aveva abbandonato il MCC si era trasferita in una scuola fuori New York che però non veniva menzionata da nessuna parte.
Incuriosito aprì un browser internet e inserì il suo nome nel motore di ricerca.
Scoprì immediatamente che non si era trasferita in un'altra scuola, bensì era sparita dalla circolazione per ben 4 anni in seguito ad un incidente successo col suo fidanzato.
 

MISSING GIRL ANNA MARIE D’ACANTO
WE WANT YOU BACK, PLEASE COME HOME MARIE
THE MERIDIAN’S MISSING GIRL NOT YET BEEN FOUND
PLEASE HELP US! The desperate call of the parents has not been answered
 
I titoli delle maggiori testate locali si sovrapponevano con notizie e informazioni più o meno eclatanti.
Si andava dal presunto rapimento a fini di estorsione dal momento che la ragazzina proveniva da una ricca famiglia borghese alla fuga per la paura di quello che era accaduto ad una sbandata, al coinvolgimento in qualche setta religiosa…tutte parole che venivano puntualmente smentite dai genitori di lei che non chiedevano altro che riavere indietro la loro bambina.
 
Quattro anni dopo i medesimi giornali riportavano la felice notizia del suo ritorno a casa liquidando il tutto con la spiegazione che se n’era andata per la paura d’esser ritenuta responsabile di quello che era accaduto al suo allora fidanzato Cody Mcgyllan.
 
Andò avanti a cercare ma non trovò nulla che gli potesse essere utile.
Spulciando il database degli Hawks cercò di capire cosa le fosse successo in quei 4 anni di buio ma niente, fu tutto inutile, nei rapporti sfogliati erano riportati gli esiti di svariate missioni alcune delle quali portate avanti con la collaborazione di una squadra a pagamento chiamata elite.
…niente che potesse interessargli.
Uscendo dal database e dal browser spense il computer e si tuffò esausto sotto le coperte.
Erano le 4 e mezza di notte.
Menomale che lui al mattino dormiva fino a tardi.
 
 
 
 
 
Ok, 12 pagine di word, un record per una pigrona cronica come me….
Fatemi sapere gente, mi raccomando!!!
Alla prossima!!!
TH =)
  

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Capitolo 18
*** I'm Marie. I'm a mutant being ***






THUMP
 
Il potente colpo sferrato dal suo pugno venne totalmente assorbito dalla sacca da box che penzolava dalla parete.
Era la quarta volta che Barbara le tirava il bidone. La. Quarta. Volta.
 
“E che cazzo!!!”
 
Se non aveva più voglia di allenarsi con lei bastava che glielo dicesse, mica l’aveva costretta diamine!!!
 
Già non erano molte le serate libere che aveva, se poi le sprecava per aspettare chi non veniva era ovvio che si incazzava.
Offesa diede un ultimo colpo alla sacca dirigendosi poi verso l’angolo del ring dove stava la sua sacca prendendo un asciugamano e una bottiglietta d’acqua. Vide lampeggiare di sfuggita lo schermo del cellulare seminascosto dal suo cambio d’abito e senza nemmeno vedere chi fosse a chiamarla rispose.
 
“Sono Marie, chi parla?”
“Heylà baby!”
“Barbara?”
“Già.”
 
Le venne istintivo chiederle da chi diavolo avesse avuto il suo numero ma la cosa più importante era un’altra.
 
“È la quarta volta!” la voce le uscì come un capriccio di bimba.
“Si lo so scusami, ma sono stata trattenuta…”
“Sono le 11 e mezza di sera Barbara chi è che ti trat- oh…”
“Oh cosa?”
“Forse ho capito…beh fa niente, salutami Dick e passate una buona serata…”
“Come sai che sono con lui?”
“Eh ehh, ho qualche annetto più di te, ma la prossima volta avvertimi così non ti aspet-”
“Hey hey ehy…ma cosa hai capito!!?”
 
Marie rise, poteva sentire benissimo dal suo tono di voce che la piccola Gordon era imbarazzata.
 
“Ci vediamo Babs!!”
 
Riattaccò troncando le sue parole a metà.
Heh, che bello era essere innamorati.
 
Con un nuovo sorriso sulle labbra raccattò le sue cose dirigendosi alle docce; una volta rinfrescata sarebbe uscita a farsi un giretto, non aveva orari né quella sera né la successiva, le dispiaceva non poter passare la serata con Barbara ma a quanto aveva intuito la bella rossa aveva cose più interessanti da fare, la loro abituale pizza del post allenamento avrebbe dovuto aspettare.
 
Una volta fuori, borsa in spalla si diresse verso il centro dove c’erano un paio di bar interessanti, tranquilli e frequentati da gente a posto dal momento che la centrale di polizia era a solo due isolati.
 
Ormai erano passati quasi due mesi e doveva ammettere che a parte l’alto tasso di criminalità quella città non le dispiaceva per niente.
Una come lei, che si sapeva muovere e difendere in caso di necessità non aveva proprio nulla da temere da quei tetri e umidi vicoli, men che meno dalle mini gang di punk che gironzolavano per i sobborghi compiendo atti vandalici anzi, quelli erano i suoi preferiti, si divertiva un sacco a riempirli di calci semmai si ribellavano al suo ordine di ripulire la facciata appena imbrattata da spray o vernici.
Aveva anche rischiato un paio di volte, questo non lo poteva negare ma grazie al suo potere sul magnetismo se l’era sempre cavata.
La prima volta stava con Barbara ed erano state aggredite da un paio di scippatori, subito opo che erano uscite dalla palestra di Gotham dopo una bellissima ed intensa sessione di allenamento; la sua nuova amica aveva dimostrato d’esser la degna figlia di suo padre mettendone uno ko immediatamente mentre lei, per nulla spaventata dalla pistola che questo le aveva puntato contro era ricorsa ad un piccolo campo magnetico per bloccare il tamburo dell’arma.
Un suo misero trucchetto che tuttavia funzionava sempre senza destare alcun sospetto.
 
La seconda volta invece era in compagnia di Bruce e stavano rientrando da un galà di beneficenza quando questi era caduto vittima di un attacco plurimo da parte di un gruppetto di schizzati strafatti di droga e alcool.
Dimostrando d’essere  l’esperta guardia del corpo per il quale era stata assunta, li aveva stesi tutti tranne uno, probabilmente il capo, che le si era avventato contro deciso a pugnalarla allo stomaco.
 
In quel momento lei aveva in mano un cofanetto che conteneva una targa donata dal sindaco a Bruce come ringraziamento per la donazione, ennesima in poche settimane, che stavolta aveva benedetto l’opera dei volontari del canile municipale.
Presa un po’ in contropiede aveva alzato le mani portando il cofanetto all’altezza del suo addome per parare il colpo mentre con un colpo netto di potere era riuscita proprio all’ultimo a spezzare la lama del coltello da cucina che il delinquente le aveva scagliato contro.
La polizia era intervenuta subito arrestando i teppistelli mentre a lei non era rimasto che restituire a Bruce una piuttosto ammaccata scatoletta di velluto.
Quell’episodio era accaduto più o meno alla fine della seconda settimana da che era arrivata e fino a quel giorno era stato l’unico e isolato “attentato” alla vita del ricco rampollo.
Le indagini portate avanti direttamente dal commissario erano finite in poche ore e avevano classificato l’accaduto come un caso isolato.
Era successa anche un’altra cosa interessante però quella sera; la giornalista incaricata del servizio sul galà e immediatamente uscita dalla sala del banchetto per intervistare sia lei che Bruce se n’era uscita con una frase interessante.
 
“Sembra che fra Batman e la sua nuova guardia del corpo lei si possa definire in una vera e propria botte di ferro eh signorino Wayne?”
 
L’imbarazzata risposta di lui non l’aveva nemmeno sentita perché la sua attenzione era stata totalmente catturata da quello strano nome.
Batman? E cosa diavolo era?
Curiosa lo aveva chiesto all’assistente di Gordon, un certo Bullock, tipo piuttosto trasandato e burbero che per nulla incarnava il cliché del perfetto investigatore ma, considerata la città in cui si trovavano…
Comunque, le aveva risposto con una risata di scherno, deridendola per la sua ignoranza spiegandole in seguito che questo Batman non era una cosa, ma un qualcuno.
Qualcuno che, sue testuali parole, si divertiva a svolazzare da un tetto all’altro della città e mandare in prigione la peggior feccia della città.
 
“Un poliziotto quindi?” aveva chiesto lei affascinata.
“No un pagliaccio!” le aveva risposto secco lui “Un pagliaccio vestito di nero che si è autoproclamato protettore della città, ma,” aveva poi continuato dopo aver aspirato un paio di boccate dalla sigaretta che le aveva appena scroccato “… dal momento che mi ha salvato le chiappe in un paio di occasioni devo dire che in fondo in fondo non è poi così male…anche se pagliaccio rimane!” lei aveva riso salutandolo con una pacca sulla spalla tornando da Bruce che nel frattempo era entrato in macchina.
Aveva provato a chiedere a lui ma le sue risposte erano state vaghe, stesso risultato aveva ottenuto da Alfred, che alla guida della Roll Royce  l’aveva liquidata dicendole che doveva concentrarsi sulla guida per non parlare delle battute idiote che Dick le aveva rifilato una volta arrivati a casa.
Aveva sperato in una delucidazione da parte di Barbara che qualcosina in più le aveva saputo dire ma, non avendolo mai incontrato, le sue informazioni erano basate sui fatti riportati dai giornali che come era ben noto tendevano sempre a gonfiare tutto facendo sembrare anche la sciocchezza più banale una cosa eclatante.
 
“Beh, ‘sto tipo che svolazza da un tetto all’altro comunque non me lo voglio proprio perdere…”
 
 
Per le successive tre settimane s’era divertita a sgattaiolare fuori da villa Wayne durante le ore notturne per cercare di riuscire ad incontrarlo.
Una volta avendo udito trillare la sirena del Gotham’s museum of contemporary art vi si era diretta a tutta birra sgommando sulla sua potente moto ma evidentemente era arrivata troppo presto, i maldestri ladri, ben visibili da oltre le vetrate della hall erano ancora in azione così, vedendo che non arrivava nessuno aveva forzato la serratura della porta d’entrata, li aveva raggiunti e usando i cordini di ferro che reggevano il coperchio della teche in vetro tranciati e buttati a terra dai ladri, li aveva usati per legarli ben stretti ad un pilone portante in acciaio che spuntava dal terreno fondendoli bene sul retro in modo che fosse stato loro impossibile fuggire.
Li aveva abbandonati ridendo che loro la stavano sommergendo d’insulti e minacce per salire sul tetto di un piccolo negozio di vestiti e fare un breve appostamento; magari questo Batman sarebbe arrivato. Quasi un’ora più tardi, assonnata ed infreddolita aveva abbandonato il suo proposito d’agguato ed era filata a casa.
Il giornale del giorno dopo aveva riportato la notizia dell’ennesima buona azione dell’eroe  mascherato e lei aveva riso mentre in sala da pranzo stava facendo colazione assieme a Bruce e Dick che sembravano piuttosto perplessi dal suo comportamento.
 
Ci aveva provato un altro paio di volte, finchè una notte, svegliatasi d’improvviso da un incubo di Erik, mentre fissava terrorizzata il buio soffitto della sua stanza con la coda dell’occhio aveva notato uno strano barlume straziare il cielo in diagonale.
Dirigendosi alla finestra aveva scoperto di cosa si trattava.
Un’enorme segnale a forma di pipistrello illuminava l’oscurità della notte e da quel poco che aveva imparato della planimetria della città, proveniva più o meno dai pressi della centrale.
 
In un batter d’occhio fu pronta e dopo aver spalancato le finestre si lasciò andare nel vuoto.
La moto era in garage, avrebbe fatto troppo casino nel prenderla e perso molto tempo, volare sarebbe stata la cosa più semplice e veloce.
La sua curiosità fu ripagata quando, mentre stava sorvolando la tangenziale, dalla galleria che sbucava dal piccolo monte ad est di Gotham, una rombante auto nera e blu uscì dal tunnel bruciando km a nastro.
Poco dietro c’era una moto fucsia.
Per la sorpresa e la contentezza il cuore le si gonfiò in petto, capì immediatamente di chi si trattava.
Woah, che siluri.
Era certa che nemmeno le ultra sofisticate moto di Scott avrebbero saputo reggere il confronto.
Ridendo aumentò la propria velocità temendo di poterli perdere e li raggiunse appena i tempo che loro stavano risalendo a velocità sovrumana l’intera altezza del palazzo da cui proveniva la luce, il commissariato appunto.
Avvertendo sottile e rigida polarità capì che quel numero riusciva loro possibile grazie a dei resistentissimi cordini d’acciaio che sparati da un apposito meccanismo permetteva loro sia di arrampicarsi che, come avrebbe scoperto poi, di “svolazzare” da un tetto all’altro tanto per citare il buon Bullock.
 
 
Ridendosela entrò nel bar che c’era in strada, aperto nonostante l’ora tarda grazie al fatto che essendo attaccato alla centrale di polizia per chiunque sarebbe stato un suicidio tentare di rapinarlo.
Al bancone c’era una ressa e seduti ad un tavolino un po’ in disparte sedevano due poliziotti. Li aveva già visti quando era stata presentata ufficialmente da Gordon il giorno dopo al suo arrivo.
Si avvicinò loro chiedendo informazioni sull’uomo pipistrello, uno di loro guardandola come se le fosse spuntata d’improvviso un’altra testa le diede pure dell’ignorante.
 
“Non sai chi sia Batman?!? Ah, si vede proprio che sei una straniera…”
“Tu che mi sai dire?” ignorando l’arrogante uomo di legge si concentrò sul suo collega, un uomo piuttosto massiccio con una bella luce negli occhi.
“Beh, ci aiuta, ci salva…c’è tanta di quella porcheria in questa città che da sola la polizia non sarebbe mai in grado di fronteggiarla tutta, se poi pensiamo che i primi ad essere feccia sono alcuni di noi beh, il quadro ti è chiaro no?”
“Credo di si…” lanciò un’occhiata al simpaticone di prima che guardando alla propria destra deglutì.
“L’unico di cui ci si può fidare è Gordon, anche Bullock non è male ma qualche bustarella se la piglia pure lui, niente di che per carità, robe che riguardano permessi speciali per il parcheggio o soffiate su retate di poco conto ma l’unico pulito alla fine rimane il commissario…”
“Non dev’essere facile per lui immagino…voglio dire, avere la fogna in casa e dover ripulire anche quella giù in strada...”
“Hai capito perfettamente! Quindi in conclusione credo che sia un bene che per noi ci siano Batman e i suoi…”
“I suoi?”
“Ma si, ogni tanto è spalleggiato da due colleghi, Robin e Batgirl mi pare si chiamino ma non è niente di ufficiale, non sono mai stati fotografati assieme al cavaliere nero e può darsi che siano leggenda inventata dalla stampa per dare più credibilità all’operato del pipistrello.”
“E tu che ne pensi?”
“Beh secondo me esistono, come farebbe altrimenti un uomo solo a vedersela contro tutti gli sgherri del Joker, o di Pinguino o…”
“Mamma mia che nomi…una città molto vivace non c’è che dire…”
“Infatti, ti consiglio quindi di tenere gli occhi bene aperti ragazza mia! Non è un posto sicuro questo nemmeno per persone come te se sole, va a casa finchè il commissariato è ancora aperto, fra pochi minuti chiude e allora la feccia si riverserà per le strade…”
“Tu dici?”
“Faccio questo lavoro da più di vent’anni piccola, so come vanno le cose a Gotham…”
“Quindi secondo te se giro per strada ho qualche possibilità di incontrare questo famoso vigilante mascherato?” tralasciò di proposito il fatto che questi, in quel preciso istante si trovava sul tetto del commissariato, ci fosse stato il coglione da solo non avrebbe esitato a ricambiargli il complimento, ma quell’altro con cui stava parlando ora le piaceva proprio.
“Si, certo credo, ma hey, mi stai ascoltando?”
“Oh non preoccuparti per me, non sembrerà ma so badare a me stessa…”
“Fa come credi ma poi non lamentarti…”
“Ehh ehh…”
 
Avvertì il brivido dello spostamento dei cordini di prima sui quali aveva concentrato un briciolo del suo potere per sapere se e quando i vigilanti si sarebbero mossi; temendo che potessero uscire dal suo breve raggio di percezione salutò il poliziotto uscendo a passi svelti da quel piccolo ma affollatissimo bar.
 
 Il “Va a casa ragazzina stupida” che l’arrogante le rivolse anziché offenderla la fece ridere, ricambiò il saluto con un bel dito medio che ormai era già in strada strizzando l’occhio poi al più anziano che vide scoppiare a ridere all’espressione indignata dal suo giovane collega.
 
Quella sera poteva rischiare, voleva farlo e ci sarebbe sicuramente riuscita ad incontrare questo fantomatico Batman.
 
 
“Oh merda!!”
 
L’esclamazione le uscì spontanea non appena svoltò l’angolo per raggiungere il vicolo da dove avrebbe spiccato il volo.
Di fronte a lei c’erano 50, no ma che diceva 150 brutti ceffi in avvicinamento e altrettanti ne stavano uscendo fuori dall’ombra dei vicoli vicini. Il tintinnio delle catene che si trascinavano appresso era fastidiosissimo, le mazze da baseball chiodate che alcuni tenevano in mano sembravano davvero minacciose ma lei non se ne preoccupò…tutta quella roba era ferro, e quel metallo era fra tutti il più facile per lei da maneggiare, non avrebbe neanche dovuto concentrarsi troppo.
Si trovò a pensare che era proprio vero che a chiamare le pedate arrivavano decine di stivali pronti a darne.
Ridendo cominciò a correre a tutta birra distanziandoli immediatamente. Le grida e le oscenità che questi le urlavano dietro la facevano solo ridere ma la distrassero e il già debole raggio magnetico che era riuscita a creare per tenere sottocontrollo gli spostamenti di Batman era stato annullato quindi ora era tornata al punto di partenza. Diamine!
Ma in che razza di manicomio si era andata a cacciare?
 
Dieci minuti dopo se ne stava accucciata in cima al tetto del municipio a guardare giù quella variopinta marea di formichine che impazzita si prodigava a cercarla.
 
“Non può essere sparita, trovatela!!! Frugate dappertutto quella è la troia che ha fatto arrestare mio fratello!!”
 
Ah, ecco perché ce l’avevano tanto con lei.
Scuotendo la testa si alzò attraversando il tetto per arrivare dall’altra parte dove la situazione, benché simile era meno complicata. Prendendo la rincorsa saltò sul tetto confinante grazie al quale percorse abbastanza strada da potersi allontanare indisturbata dalla confusione giù in piazza.
Cercò di ritrovare le tracce dell’acciaio su cui si era concentrata ma si era allontanata molto dal punto di partenza e poi non era ancora molto pratica in quella tecnica, appoggiandosi ad un palo d’acciaio al quale erano appese alcune parabole si incantò a guardare la città oscura che dall’alto era davvero meravigliosa, le stelle che il cielo si rifiutava di mostrare erano riproposte a terra in decine di fievoli luci, le poche installate che funzionavano a pannelli solari sistemate per evitare i furti di rame che mettevano ko i lampioni tradizionali come le aveva spiegato Bruce.
 
“Cazzarola, mi è andata male anche stavolta, dovevo stargli più attaccata diamine!”
 
Dopo essersi avvicinata al ciglio del tetto si guardò intorno per vedere se la via era libera e quando fu sicura di non essere vista da nessuno tranquillamente camminò in avanti lasciandosi cadere nel vuoto.
 
La sensazione che avvertì nelle budella era la cosa che preferiva, quel senso di vertigine le dava un brivido lungo la schiena che non si sarebbe mai stancata di provare.
Poco prima che i suoi piedi toccassero terra però qualcosa la acchiappò.
Il contraccolpo le fece sbattere testa e spalla contro qualcosa di duro ma fu talmente stupita dall’accaduto che non riuscì a reagire.
Il vuoto nello stomaco tornò ma anziché cadere stavolta stava salendo.
Il brivido di un magnetismo conosciuto le rampicò lungo la schiena.
 
“Ma che diavolo!”
 
Appena i suoi piedi toccarono nuovamente il tetto del palazzo dal quale si era buttata si allontanò istintivamente da quella presa che nel frattempo si era allentata.
Fermando il suo retrocedere si rimise in piedi cercando di capire cosa cazzo fosse successo.
Non appena il suo sguardo mise a fuoco il cuore le mancò di un battito. Ma dai!
 
“Batman?”
“…”
 
Schiuse gli occhi cercando di distinguere bene quella sagoma completamente nera dalla diversa tonalità che aveva l’oscurità della notte.
Ardua impresa.
 
“Parli del diavolo…che ci fai qui?”
“…”
“Hey, capisci la mia lingua?”
“Cosa credevi di fare?”
“Si la capisci; bene io so-”
“Questo non è un gioco, quelli non scherzano…”
 
Quella voce era…fantastica. Era chiaro che lui la stesse rendendo rauca apposta ma le piaceva, le piaceva davvero.
 
In quel momento le nubi grigie che coprivano la luna si scostarono e la luce magenta del satellite irrorò per alcuni minuti la città, insanguinandola.
Finalmente lo poté vedere. Mantello nero, maschera con orecchie appuntite, una specie di corazza a proteggergli il torso e…
Scoppiò a ridere. Non ci credeva, calzamaglie? Erano calzamaglie quelle?
 
“Ha battuto la testa?”
 
Una seconda voce s’intromise e immediatamente un’altra sagoma, più piccola ed esile si accostò al pipistrello. Una ragazzina, Batgirl.
La squadrò, divisa di una tonalità scura, viola, forse fucsia, stemma di pipistrello sul petto e cintura gialla in vita. Le guardò le gambe annuendo, a lei la calzamaglia almeno stava bene.
Rise tornando a guardare lui.
 
“Ero curiosa di vederti, tutto qui.”
 
Lui rimase in silenzio continuando a scrutarla attraverso quegli enormi occhi bianchi socchiusi. Riuscì a toglierle la voglia di scherzare, intimidendola persino ma non glielo diede a vedere.
Vedendo che sia lui che la sua socia, che la guardava curiosa con un sorriso beffardo ma simpatico stampato in viso, si ostinavano a rimanere immobili ma soprattutto in silenzio decise di provare un’ultima tattica.
 
Assumendo la stessa espressione della ragazzina si lanciò all’attacco puntando immediatamente al pipistrello.
 
“Woha, che fai?” le parole della Batgirl le scivolarono addosso mentre a pochi passi da lui sferrò un paio di pugni al petto di lui.
Non si stupì affatto dell’agilità con cui evitò i suoi attacchi ma rimase delusa nel vedere che non contrattaccava.
Provò a colpirlo con un destro alla mascella e due calci bassi. Niente da fare, evitò entrambi.
Era agile, e bravo lui!
Si diede uno slancio aumentando improvvisamente la sua velocità grazie al volo, spintonandolo fino a farlo sbattere con la schiena contro al muro dello sgabuzzino dell’impianto di condizionamento.
 
“Hey, ferma!”
 
Batgirl cercò di intervenire ma il pipistrello con un cenno della testa la fermò; lo vide sorridere e capì che d’ora in avanti l’avrebbe presa un po’ più sul serio.
Fu divertente combattere contro di lui, benché lei non stesse combattendo con intenzioni maligne era comunque un duello e si stava impegnando seriamente divertendosi a schivare le rare controffensive con cui lui le ricambiava gli affondi.
Era bello soprattutto il suo modo di muoversi, elegante ma efficace e l’effetto che creava il suo mantello era fantastico, gli si stringeva attorno se lui saltava quando evitava i suoi calci librandosi in aria quando scattava a destra o sinistra per poi espandersi di colpo se lui si fermava, come una specie di paracadute.
 
“Sei bravo diamine!”
 
Sorridendo abbandonò la posizione di attacco rilassando le spalle.
Lui fece altrettanto ma il suo viso rimase impassibile. Bah, era senza speranze l’amico.
 
“Sul serio, volevo solo conoscerti, ho sentito tanto parlare di te…di voi, ma l’altro dov’è?” li guardò “non siete in tre?”
“…”
 
Tuonò in quell’istante il rintocco del campanile della cattedrale che segnava la mezz’ora.
Guardando l’orologio da polso scoprì che erano le 5:30, tempo di rientrare o Alfred svegliandosi avrebbe potuto notare che mancava, era sempre la prima stanza nella quale andava a bussare dal momento che lei stessa gli aveva chiesto di svegliarla molto presto al mattino.
Sbuffando si sistemò il laccio che le teneva legati i capelli.
 
“Meglio che vada o rischio di brutto.”
 
Un’idea le si era fermata nella mente, ma era ancora troppo presto per metterla in atto nonostante le prudessero le gengive per la voglia che aveva di parlare.
 Se n’era andata scegliendo di scendere per le scale e dopo aver atteso che anche loro si allontanassero, con calma e cautela si era nuovamente librata in volo facendo ritorno nella sua stanza giusto mezz’ora prima che Alfred l’andasse a svegliare.
 
Quello era stato il primo, e fin’ora unico incontro che lei aveva avuto con l’uomo pipistrello.
 
E qui si ritornava al presente. Si era imbambolata appena fuori il bar da dove era iniziato tutto quella sera di circa due settimane prima.
Da allora aveva smesso di uscire la notte, si sentiva soddisfatta e poi aveva del lavoro da fare, non poteva rischiare di stancarsi troppo e lasciarsi distrarre.
 
Entrò dirigendosi al bar per ordinare una birra notando che quella sera stranamente la clientela era pari a zero.
 
“Woah che mortuorio…che è successo Roger?”
“Non lo sai? Stasera c’è una festa in periferia, si esibisce una band straniera, la gente è tutta là…”
“Perché tu no?”
“Sono fedele ai miei vecchi miti io…”  Mentre le spillava la birra annuì alla sua destra dove c’era un vecchio giradischi che diffondeva nella stanza l’intramontabile bravura e talento dei Fab 4.
 
Sorridendo all’espressione d’accordo di lei le consegnò la bevanda appoggiando il calice di birra sopra ad un carinissimo sottobicchiere in pizzo rosa, una cortesia che le rivolgeva sempre dal momento che era l’unica cliente donna che frequentava il suo locale e che quindi meritava d’esser trattata con riguardo dato il coraggio che dimostrava.
 
“Tu invece? Come mai la rossa non è con te?”
“Serata intima presumo!”
 
Vedendo la faccia scioccata del barman si affrettò a rettificare. Parlandoci assieme aveva scoperto che Roger gestiva quel bar da anni e che praticamente da che Gordon era giunto in città per assumere il grado di commissario sia lui che sua figlia, la rossa come scherzosamente la chiamavano tutti, si fermavano da lui tutte le mattine per fare colazione e passare un po’ di tempo insieme.
Sentir parlare di lei in quei termini non doveva essere molto piacevole quindi si spiegò meglio.
 
“Mi ha chiamata per dirmi che degli amici sono arrivati da fuori città e che suo padre l’ha pregata di rimanere…questo intendevo…”
“Mi ha fatto crepare disgraziata!”
 
Rise bevendo alcuni sorsi di birra.
 
“Mi fai compagnia Roger?”
“Ma che!!?”
 
Rimase interdetta nel vedere l’espressione di lui cambiare d’improvviso mentre incredulo guardava oltre le sue spalle.
 
“Che c’è?”
 
Si girò e…rimase sconvolta.
 
Il rombo dell’esplosione sovrastò ogni rumore disintegrando muri, frantumando vetri, contorcendo persino i pannelli d’acciaio che aveva usato lei per proteggere sia Roger che sé stessa dalla deflagrazione.
 
Cosa cazzo era stato?
 
“Roger ci sei? Hey?”
“Cough, coff ma che è stato? Come facciamo ad essere ancora vivi?”
“Non ne ho idea, ma ringrazia i tuoi pannelli, ci hanno salvato il culo…”
 
Felice com’era d’esser sopravvissuto Roger non considerò nemmeno per un momento di come normalmente sarebbe stato impossibile per quelle due pesantissime lastre d’acciaio puro che aveva fatto installare per proteggere le vetrate del locale quando chiudeva la notte trovarsi all’interno del suo locale messe esattamente in modo da creare una barriera fra il bancone e l’esterno del bar.
 
Rimettendosi in piedi Marie, che era saltata oltre il banco colta da riflessi felini si spolverò le ginocchia da residui di polvere e calcinacci.
 
“Mi sa che siamo bloccati!”
“Nah…c’è un uscita sul retro.”
“Non l’ho mai vista.”
“Heh, perché l’ho sempre tenuta nascosta piccola. È una fortuna avere il locale vicino alla polizia, ma la prudenza non è mai troppa…et voilà!!”
 
Con uno spintone spostò una vetrina per le bevande che teneva in fondo al bancone rivelando cosa si trovava dietro e cioè una piccola porta di ferro bianca e arrugginita che mostrava loro l’unica via di salvezza.
La gioia che provò nel sapere che sarebbero usciti senza problemi si dissolse in un istante da che il  fastidioso azionarsi di un martello pneumatico incominciò a martoriare le placche d’alluminio che lei aveva disposto come muro.
 
“Cosa diavolo vogliono?”
“Sono gli sgherri di Tristan Croy, il mese scorso ho testimoniato contro suo figlio e l’ho mandato dentro, probabilmente papà Croy non è molto felice di questo…”
“Non c’è che dire Roger, i coglioni li hai proprio duri…vedendo come funzionano le cose in questa città non ti avrei affatto biasimato se…”
“Mi fossi lasciato corrompere dal denaro?”
“No, dalla paura…”
“Sono stato nei marines figliola, la paura ce l’hanno estirpata via dall’anima già dal primo giorno…”
 
Ciò che le disse in seguito non lo capì, una seconda esplosione deflagrò deformando le lamiere che fortunatamente però ancora reggevano.
 
“Ti ho detto di spingere con quanta più forza hai nelle braccia, dall’altra parte c’è un cassonetto…”
 
Ferro.
 
Sogghignando mandò avanti il proprietario mentre girandosi poté vedere l’uncino del piede di porco col quale gli instancabili criminali stavano cercando di divergere le lamiere.
Stendendo la mano fece in modo che i due metalli si fondessero, il bordo della lamiera era semi smembrato dall’esplosione e il bollo rosso dell’incandescenza provocata dalla fiamma ossidrica che sicuramente stavano utilizzando le resero solamente più facile il lavoro. Chiuse le dita e il liquido metallo si avviluppò contro gli arnesi fondendo pure le suole degli scarponi dei quattro deficienti che erano stati talmente scemi da appoggiarceli sopra.
 
“Spingi!”
 
Compì un gesto con la mano come a voler scacciare un moscerino, con l’aiuto della sua spinta poi finalmente la via fu libera. Dall’altra parte il cassonetto era scivolato via come se si fosse trattato di un foglio di giornale sospinto dal vento.
 
“Tornatene a casa ora ragazzina.” Lo vide correre verso la periferia. Voleva morire per caso? Immediatamente lo seguì.
“No, finchè non ti so al sicuro nella tua…”
“Non posso tornare a casa, sanno dove vivo!”
“Che vuoi fare allora?”
“Mi nasconderò nel ghetto, sparirò per un po’… ”
“Non sapevo che i marine si nascondessero!”
“Bada a come parli ragazzina…tu non sai niente del mon-”
“Tu dici eh? Può darsi, ma in quel poco che so non è compreso lo scappare… ”
 
Si fermò che lui ancora correva, non c’era motivo di scappare, erano già stati accerchiati.
 
“Roger!”
 
Lo chiamò con un urlo tranquillo, lui rallentò.
 
“Torna qui…”
 
Lui fece per muoversi e in quel momento uno scoppio di un colpo in canna lo fece sussultare.
Il proiettile gli sfiorò l’orecchio sollevandogli i lunghi capelli grigi sfuggiti dalla coda bassa che portava alla nuca.
 
“Come diavolo hai fatto a mancarlo idiota! Ti stava a neanche cinque metri!!!”
 
Non ebbero una seconda occasione però dacché Marie estrasse dal giubbotto che indossava una semiautomatica che esplose due perfetti colpi colpendo entrambi i delinquenti alla spalla.
 
Chiudendo gli occhi si concentrò sui movimenti che riusciva ad avvertire nel suo raggio d’azione.
Nella sua mente c’era il vuoto, e in quel vuoto un globo di concentrazione che era puro magnetismo, in quel magnetismo a loro volta c’erano decine di mini campi elettromagnetici e in un attimo seppe distinguere le auto o i palazzi o le cose inanimate dal momento che erano immobili mentre quelli che si muovevano erano i loro probabili nemici.
Più di 40, cazzo! Fosse stata sola non avrebbe avuto problemi ma con un civile da proteggere tutto si faceva più complica…un momento, Roger le aveva detto che era stato nei marine…
 
“Prendila!”
 
Con un colpo secco gli lanciò la sua pistola correndogli in contro, superandolo e fregando il fucile a canne mozze col quale i due bastardi di prima gli volevano spappolare il cranio.
Vedendoli ancora troppo sani li conciò per le feste lasciandoli pesti e sanguinanti a sputare denti e lamenti.
 
Con un colpo netto caricò il fucile e immediatamente sparò un colpo deviandolo in maniera che colpisse un cassonetto dei rifiuti. Esplodendo questo rese incapaci di combattere circa sei uomini.
 
“Guardati a destra, ne arrivano sette…”
“Come lo sai?”
“Magia!”
 
Detto questo scattò a sinistra preparando un bell’agguato al gruppetto di fessi che stavano provando a sorprenderla appena dietro il vicolo.
 
Tranquillamente percorse il suddetto tratto di strada beandosi dell’abbondante presenza di metallo disponibile.
Oltre al muro i bastardi erano pronti con mazze spranghe e proiettili, a lei bastarono due lamiere cadute dal tetto e un paio di funi metalliche per costruire loro una bella gabbia priva di porte.
 
Una raffica di spari la fece tornare indietro, era preoccupata per Roger, non avrebbe dovuto abbandonarlo a sé stes…
Lo vide in piedi accanto a un mucchio di sei sagome esangui. E bravo lui!
Gli tornò vicino dandogli una pacca sulla spalla di complimento, lui ricambiò col sorriso più bello che avesse mai visto sulla faccia di cinquantenne, i suoi occhi resi già sottili da troppa guerra polvere e sofferenza si schiusero maggiormente, al lato degli occhi la sua vecchiaia portata più che bene accentuava l’espressione e le sue labbra… doveva essere stato un gran pezzo di figo da giovane!
 
“Erano anni che non mi divertivo così, ma mi spieghi ti chi cazzo sei?”
“Una guardia del corpo, sono qui per proteggere Bruce Wayne, beh, oggi è il mio giorno libero ma normalmente…”
“Ne ho sentito parlare da Gordon, ma non sapevo fossi tu, beh, sei in gamba ragazzina…”
 
Ting ting
 
Metallo…piccolo, rotondo…mortale.
 
“Corri!”
 
Lo strattono via riuscendo a compiere alcune decine di metri prima che l’esplosione distruggesse quasi per intero la parete contro alla quale s’erano appoggiati per ripararsi dagli attacchi dei superstiti.
Si parò davanti a lui in modo che la bollente onda d’urto non lo potesse ferire, decine di blocchi di cemento e ferro la colpirono alle gambe, alla schiena e uno, per fortuna di piccole dimensioni le ferì la nuca facendola sibilare di dolore.
 
Atterrarono schiantandosi contro il cemento della strada escoriandosi mani braccia e ginocchia.
Immediatamente Roger fu in piedi, Marie invece giaceva priva di sensi a pochi passi da lui, dalla pozza di sangue che si spandeva dalla sua tempia si poteva benissimo capire cosa le fosse successo.
Senza pensarci neanche un secondo le corse vicino e se la caricò in spalla cercando si allontanarsi.
 
“Laggiù! La ragazza è ferita, prendetelo!”
 
“Merda!” E pensare che c’erano andati così vicini che aveva creduto sul serio di potercela fare.
 
In uno zero due furono circondati.
Sbuffando Roger cercò di mirare almeno ad un paio di loro ma bastò un calcio secco al polso per disarmarlo.
Guardando il viso sopito di lei si pentì d’averla lasciata seguirlo, lo aveva saputo fin da principio che le probabilità di salvarsi per lui erano minime ma la luce nei suoi occhi lo aveva convinto a crederci, a sperare.
 
“Che sciocco sono stato…”
“Già, ma l’averlo capito ora non ti salverà la pelle vecchio!!!”
 
Il ripetuto click causato dal caricamenti dei proiettili lo costrinse a chiudere gli occhi, non gli interessava sapere da chi sarebbe giunto il colpo mortale.
Inspirò il suo ultimo respiro da uomo vivo espandendo torso e braccia.
 
“Non è ancora il tuo momento, amico!!!”
 
Quando riaprì gli occhi lo scenario era drasticamente cambiato; la folla riunitasi intorno a loro era distesa a terra priva di sensi, di fronte a lui i tanto osannati protettori della città.
“Tutto bene?”
Scivolò via dalla presa della vigilante indirizzandola alle sue spalle dove il corpo malconcio di lei giaceva.
 
“La ragazzina…è conciata piuttosto male…” Gli sfuggì un lamento che tradì il suo tono di voce. “Temo che non ce la farà…”
Se solo l’avesse lasciata perdere…
 
Batman le fu accanto in un momento e subito gli si strinsero cuore ed occhi nel vedere le condizioni in cui versava quella strana e pazza ragazzina che gli era piombata in casa poco meni di due mesi prima.
Le gambe sembravano fracassate, il torso era crivellato da fori di proiettili e la ferita che aveva alla testa…diamine!
 
“La portiamo in ospedale?”
“Non lo so Robin, potrebbe non sopravviv-”
“MA PORCA…TROIA!!!”
 
La voce tossita ma furente di lei lasciò i presenti di sasso.
Batman, Robin Batgirl e il povero Roger rimasero col sangue gelato ad assistere alla scena di quella donna praticamente spacciata che si rimetteva in piedi…in piedi!
 
“Che male!!! CHE MALE!!! Dove sono quei bastardi, se gli metto le mani addosso io…” girandosi verso di loro in una scatto di rabbia finalmente li notò. “Oh…ciao!” vide anche Roger e gli fece un cenno col capo.
 
Dopo aver urlato una bestemmi che nemmeno lei, che per inciso aveva nella memoria le bestemmie di Logan, avrebbe mai avuto il fegato di ripetere, l’ex marine le si avvicinò tastandole gambe, addome e testa.
 
“Sparite…sono tutte sparite ma come diavolo…?”
“Sparite cosa? Ho sbattuto la testa tutto qui!”
“Ti è esplosa contro una parete diamine! Neanche Superman se la caverebbe con così poco…”
“Si vede che io sono meglio anche di lui…”
“Questo è poco ma sicuro…riesci a camminare?” Batgirl rinfrancata nel vederla sana e salva le si avvicinò offrendole aiuto.
“Si non ti preoccupare, grazie dell’aiuto piuttosto...”
 
Facendosi seria guardò ognuno dei tre eroi.
 
“Vado a casa, occupatevi voi del mio…amico Roger!”
 
Si allontanò barcollando, il fischio dell’onda d’urto dell’esplosione interferiva coi suoi sensi facendola irritare.
Odiava quel sibilo maledetto! Lo odiava!!!
 
In uno scatto d’ira colpì col pugno la parete di cemento.
Cazzo che male!
La mano sana se la portò alla testa cercando si calmare il fastidio che non accennava a passarle.
Non avvertì minimamente il senso di vertigine che le provocò lo star svenendo.
 
“Hey!”
 
Un braccio guantato di nero la sorresse accompagnandola nella caduta finchè non arrivò a sedersi e appoggiare la schiena al muro.
 
“Probabilmente hai una commozione cerebrale…”
“La seconda in neanche tre mesi…sto perdendo colpi, se Logan mi vedesse…”
“Chi è Logan, il tuo ragazzo?”
“No, ma sarebbe potuto esserlo se…”
“Se?”
 
Bruce odiava approfittarsi dei momenti di debolezza altrui,ma quello sembrava davvero l’unico per conoscere qualcosa su di lei così insistette.
 
“…io non fossi stata così idiota da rovinare tutto!!!…hic…”
 
Si pentì d’averla costretta a parlare vedendo le sue lacrime lambirle le palpebre bagnarle occhi guance e portarsi via nel loro scendere residui di sabbia sangue e…un dolore che aveva visto solamente in poche paia d’occhi.
 
“Chiudi gli occhi, respira piano…così…inala questo…” l’odore pungente che le arrivò alle narici era disgustoso e si scostò immediatamente ma fu svelta e salda la presa di lui al petto che la riportò in posizione.
 
“Fidati Marie!”
 
 
 
Venti minuti dopo stavano sul tetto in attesa che i due piccoli aiutanti di lui li raggiungessero.
 
“Come lo sai?”
“…”
 
Non le rispose, ma si voltò a guardarla.
 
“Il mio nome, come lo sai, io non te l’ho mai detto.”
“Ho sentito parlare di te, sei famo-”
“Oh per carità finiscila Bruce! Lo so che sei tu Cristo, l’ho capito subito! Sarò malconcia e cerebralmente ammaccata ma non sono diventata scema!”
“…”
“Bruce?”
“…” le voltò le spalle allontanandosi da lei di un altro passo.
“No ti prego…la difesa del silenzio no…” odiava la difesa del silenzio, la odiava con tutta sé stessa. Per troppo tempo allo Xavier’s l’aveva subita e sopportata sperando che i suoi amici le parlassero, non voleva tornare a provare quel dolore. Col cazzo.
 
Con uno scatto si mise in piedi dirigendosi al limitar del tetto pronta a saltare. Sapeva che lui non l’avrebbe fermata, la conosceva da neanche due mesi non avrebbe corso un rischio tale. Non lo avevano fatto nemmeno Jubilee o Kitty o…ricominciò a piangere, nemmeno Bobby l’aveva fatto e Logan…
 
Si buttò.
Venne bloccata e riportata al sicuro su quel tetto cupo e stridente dove pianse lacrime di un dolore represso troppo a lungo del quale non vedeva l’ora di liberarsi.
Si sentì libera finalmente, libera di essere sé stessa nuovamente, l’unica cosa che stonava era il petto solido contro il quale si stava sfogando, non doveva essere quello di Bruce Wayne ma un altro, avrebbe dovuto essere quello di Logan ma…andava bene così. Aveva trovato un amico.
 
“Chi sei tu?”
 
Le parlò che ancora la stringeva, la mascella di lui nel muoversi premeva contro la sua fronte.
Sorrise, lui si era fidato, l’avrebbe fatto anche lei.
 
“Sono Marie. E sono un mutante.”
 
 
…………………
 
 
 
 
 
Sorrideva con gli occhi nell’oscurità di quella notte.
 
TOM’S GRILL BAR
 
Mai era stata più felice di vedere quell’insegna che in quel momento.
Posando la sacca da viaggio accanto al portaombrelli vuoto spinse le porte entrando nel suo mondo.
 
Davanti a lei, al loro abituale tavolo c’erano Kim, Clay, Ken e John e Luke e McLee e…tutta la sua vita.
Avanzò incrociando lo sguardo di Glenn che immediatamente dimenticò il cliente che stava servendo in quel momento per dirigersi alla spina della birra per riempirle una pinta. Il sorriso con il quale la salutò, l’occhiolino che le strizzò…diamine quanto amava i suoi amici.
Spingendo più in la il culone di Clay prese posto sulla panca. Il suo sguardo di astio profondo mutò nel riconoscerla.
 
“Hey gente, che mi sono persa?”
“MARIE!!!”
 
Il suo nome fu grido di sei voci e orgoglio nei loro occhi, orgoglio che non si incrinò minimamente quando dopo aver chiesto loro un minuto per parlare, confessò cosa fosse veramente liberando il suo cuore dall’ennesimo velo nero che lo opprimeva.
 
Nella sua memoria era troppo fresco il ricordo di quel bacio, di quell’abbraccio di quel sorriso e di altri due abbracci sinceri velati da neri mantelli e corazze e…rise calzamaglie.
 
“Sono Marie, e sono un mutante.” Aveva detto alle espressioni stupite di chi fra loro ancora non lo sapeva.
“Sei Marie, e sei una Hawk!” l’aveva subito corretta McLee soffocandola in un solido abbraccio. “e fanculo tutto il resto!!!” 



TH

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Capitolo 19
*** when the soul cries ***









Dondolando e ridendo arrivò di fronte alla porta di casa sua spiaccicandosi contro l’anta. Era esausta, ubriaca ebbra di felicità commossa e, ubriaca lo aveva già detto?
Sudava come un cammello ed i capelli della frangia, appiccicati alla fronte le facevano il solletico. Sbuffando verso l’alto mandò via il grosso del ciuffo destro mentre con una rapida carezza della mano sistemò i più indomiti fili argentati dietro l’orecchio fermandoli bene con una forcina.
 
Sbuffando una risata appoggiò la fronte contro il fresco legno della porta voltandosi e lasciandosi cadere pesantemente sul pianerottolo, la schiena contro l’anta, le dita della mani intrecciate fra le ginocchia piegate, i piedi ben piantati a terra e gli occhi che lustri di gioiose lacrime osservavano un’immensa luna che sembrava splendere proprio sopra casa sua appositamente per lei.
Gli aloni della sbornia ne sfasavano il contorno e i tre grandi crateri visibili improvvisamente le sembrarono due giganti occhi che si strizzavano ammiccanti e una bocca che deformandosi si schiudeva in un sorriso da anime giapponese.
 
Scoppiò a ridere intensamente scimmiottando la buffa espressione del satellite continuando a farlo anche quando un’ombra raggiungendola, le coprì il viso per metà risalendo con passi pesanti e decisi i tre gradini di legno che portavano al pianerottolo, soffermandosi di fronte a lei giusto quell’attimo che le bastava per farsi riconoscere per proseguire poi e mettersi seduta accanto a lei, schiena contro porta, spalla contro spalla naso verso il cielo.
 
Per tutto il tempo in cui si erano guardati lei aveva continuato a ridergli in faccia la sua vittoria.
 
“Gliel’ho detto…”
“Ho sentito…”
“Si?”
 
Lui non le disse che erano settimane che assediava quel bar in attesa di poterla rivedere né le raccontò del tumulto che gli aveva scombussolato anima e cuore nel saperla così amata da persone tanto in gamba e molto migliori di lui…non disse nulla e per una volta si limitò ad ascoltare.
 
“Anche a Bruce, e a Babi e a Dick. L’ho detto anche a loro e la sai una cosa?”
“?”
 
Aveva incominciato ad incrinarsi la bella voce ubriaca di lei, assumendo una nota d’ira e prepotenza per affievolirsi infine in soffio e rimpianto.
 
“Non mi hanno cacciata, non mi hanno evitata non mi hanno…”
“Marie…”
“…sono partita questo pomeriggio subito dopo pranzo…”
 
Sarebbe stato più corretto dire subito dopo la fine dell’enorme megagalattica festa che Barbara e Dick le avevano organizzato come regalo d’arrivederci, si perché quello di prima non era stato un addio ma un…
 
“Ci rivediamo presto MyMarie!”  con voce allegra ripeté le parole che la rossa e vitale figlia del commissario le aveva sussurrato quando per ultima l’aveva stretta in un soffocante abbraccio che Lei stava già in sella alla sua moto. MyMarie… che bel soprannome le avevano dato i suoi amici di Gotham.
 
“…li ho conosciuti due mesi fa e sai?…Bruce non ha avuto problemi a rincorrermi quando mi sono buttata da quel palazzo…mi ha agguantata e mi ha stretta forte…”  contenta gli mostrò l’avambraccio dove Batman l’aveva acchiappata… “E poi mi ha dato un bacio sulla tempia per farmi smettere di piangere e il suo respiro è stato vento fra i miei capelli…e mi ha sorriso e…”  poggiò un palmo sulla spalla di lui che ancora la sfiorava dandosi lo slancio per levarsi in piedi. Lui rimase immobile contro la porta anche quando lei, grazie al potere di Magneto, fece scattare la serratura ed entrò. Rimase immobile anche quando la voce di lei risuonò nuovamente nell’aria.
 
“…e mi ha detto che a Gotham sarò sempre la benvenuta…”
 
La porta si richiuse contro la sua schiena con un click quasi impercettibile mentre lui rimase immobile a fissare la luna che a differenza di come l’aveva vista Marie a lui sembrò pallido viso di cadavere.
 
Fissandosi le mani ripensò a tutto, fin dal principio…
 
Aveva incontrato Marie in un bar sperduto fra il gelo canadese e dopo quindici anni di buio nebbia rabbia e frustrazione s’era aperto uno spiraglio nella polvere del suo passato.
In un week-end aveva vissuto un’avventura mozzafiato, aveva conosciuto persone simili a lui che lo avevano accolto a braccia aperte senza chiedergli nulla, aveva scoperto dopo più di un decennio il piacere di affezionarsi nuovamente a qualcuno, la sensazione di protezione e sicurezza che dava l’essere amato e considerato l’immensa gioia che provava quando la guardava negli occhi ed in essi vedeva la luce che lui rappresentava per lei, i suoi sorrise che s’accendevano di un qualcosa in più quando lui era presente, la confidenza con cui gli si avvicinava e gli stringeva l’avambraccio se voleva trascinarlo da qualche parte per mostrargli un nuovo negozio aperto in città o qualche bar dov’erano permessi i combattimenti o…
 
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E poi due anni dopo il suo primo rientro dopo il fallimento di ricerca ad Alkali Lake, l’attacco con cui Stryker aveva minato le fondamenta della loro fiducia negli uomini e della loro casa, il rapimento dei ragazzi, una  nuova missione, il coraggio di Marie il sacrificio di Jean l’inizio del suo nuovo tormento la scoperta della cura e l’indecisione della sua piccola protetta, il risveglio della Fenice  parallelo al suo odio verso tutti gli esseri umani e quel qualcosa che s’era incrinato quando dopo il loro leggero scambio di battute nel corridoio della scuola, Marie gli aveva voltato le spalle andandosene dall’Istituto col desiderio di liberarsi della sua maledizione e diventare un essere umano normale per poter vivere una vita normale quando lui aveva avuto in mente ben altra cosa riguardo i suoi poteri.
 
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Sapeva che sarebbe tornata perché fra loro non c’era stato alcun saluto eppure quando l’aveva rivista due settimane dopo cercarlo fra la folla di studenti all’entrata, lui mosso da un sentimento di rancore s’era nascosto dietro ad un pilastro per sfuggire al suo sguardo senza sentirsi per niente un bastardo, ripetendo  l’azione anche la sera dopo che l’aveva udita dal corridoio chiedere ad un ragazzino se per caso lo aveva visto; presto fatto, in un batter d’occhio aveva cambiato la sua destinazione iniziale che era la sala giochi interrata per dirigersi a quella del primo piano che anche se era piena zeppa di marmocchi urlanti era sempre meglio che rimanere solo  con lei in quella che un tempo era stata il loro rifugio.
 
Ingoiò a fatica un globo denso e gelido schiarendosi la voce. Col pollice e l’indice della mano sinistra si stropicciò gli occhi portando via quel misto di acqua e sale che glieli velava.
 
L’aveva guardata da lontano godendo della sua progressiva emarginazione, s’era divertito a sfuggire dai suoi occhi che supplichevoli cercavano in lui l’amico che le aveva giurato d’essere, l’aveva salutata con fretta e falso dispiacere quando non poteva fermarsi ad ascoltare il suo dolore e poi era esploso quando lei lo aveva costretto in un angolo senza via di fuga. Le aveva sputato veleno in faccia senza chiedersi mai come avessero fatto le esili spalle di lei a sopportare tutto senza alcun sostegno esterno, l’aveva schernita e sminuita denudandola delle sue convinzioni e in tutto questo il suo errore era stato quello di credere d’esser nel giusto, d’aver ragione nel detestarla per averli abbandonati proprio quando più avevano bisogno di lei e dei suoi poteri.
Troppo tardi aveva capito il suo sbaglio e a nulla erano più servite le sue parole di scuse, il suo piombarle in camera per cercare di parlarle e fare ammenda e lei…lei era stata cento volte più coraggiosa di lui nel farsi trovare, nel guardarlo e ascoltarlo, nel farlo sentire una nullità mentre col cuore in mano le chiedeva perdono. Lui era scappato, lei no.
Poi quella lontana notte piovosa di due anni prima, quando sulla retta che scendeva dalla collina aveva incrociato il taxi dentro il quale c’era lei non aveva avuto nemmeno il coraggio di seguirla, e si era fermato nel buio della notte a seguire la sua fuga. Era finita, l’aveva lasciata andare…
 
“Avanti, mi prenderò io cura di te…”
 
Due occhi lucidi di pianto, timidi e speranzosi.
 
“Me lo prometti?”
“Si…si, te lo prometto”
 
Aveva piantato nocche e artigli nel cemento gridando d’agonia mentre il rombo del temporale lo zittiva brutalmente e lei si allontanava dalla sua vita per sempre.
Era tornata la polvere a coprire il lampo di vita che era stata la vita all’Istituto assieme a lei.
 
 
 
Da oltre la porta alla quale stava appoggiata con la schiena Marie li udì benissimo i singhiozzi del suo eroe. Nitidi come battiti di cuore. Strazianti come frusta di rovi sul cuore.
 
Non piangere….
 
Schiarendosi debolmente la gola cercò di allontanarsi.
 
Non piangere Logan…
 
Mosse alcuni passi ingoiando un singhiozzo, e poi un altro ed un terzo.
Arrivò all’inizio della rampa di scale che portava al piano superiore e li scoppiò in lacrime lasciandosi cadere sui primi gradini.
La luce della luna illuminava l’interno di casa sua entrando dalla grande finestra priva di tende dell’entrata, la sua ombra inginocchiata a terra era schiacciata sul delicato violetto della carta da parati e i singulti che le scuotevano anima e cuore l’avevano totalmente estraniata dal mondo.
Sarebbe stato sufficiente esalare il suo nome e lui sarebbe corso da lei, ne era sicura, certa…convinta. Ma le mancava il coraggio oltre che il fiato per compiere l’azione. Lasciò che fosse il suo spirito a gridare…e
 
E due braccia la cinsero ghermendole l’addome.
 
 
 

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Capitolo 20
*** ...finally... ***


 
 
 
 
Piangeva come una scolaretta, le braccia di Logan la stringevano fin quasi a soffocarla ed i suoi palmi le fasciavano i fianchi mentre la roca voce di lui, commossa e tremula le bisbigliava all’orecchio di non piangere più; parole queste che sortivano in lei l’effetto opposto perché più lui le sussurrava di smetterla più l’emozione che c’era in lei esplodeva facendola piangere come mai aveva fatto in vita sua.
 
“Ssssssssht”
 
Piangeva Marie perché lo spirito di lui l’aveva sentita e raggiunta, piangeva perché le sue mani addosso erano conforto e sicurezza e piangeva perché sentire il suo petto duro e forte sorreggerle la schiena era realtà; la ruvidità del suo mento contro la guancia per lei era la più dolce delle carezze e poteva sentire il suo cuore battere agitato e le dita delle sua mani enormi tremare contro la pelle delicata dei suoi fianchi che scottavano dove lui la sfiorava.
 
Le lacrime che le velavano gli occhi cadendo sugli avambracci di lui sembravano rintocchi di lancette, la voce gentile di Logan una melodia bassa e costante, i suoi respiri nell’orecchio brivido, la sua vicinanza era magia e quelle mani ruvide e callose stavano facendo meraviglie su di lei.
 
 
“Non piangere…”
 
Pian piano il respiro si calmò e così anche i singhiozzi e i gemiti strozzati. Tirò su col naso asciugandosi le guance irrorate di sale, lui la strinse maggiormente ed espirandole sull’orecchio le donò nuovi brividi.
Rimasero così alcuni istanti, in silenzio e vicini, senza più parlare né piangere e l’unico suono udibile era il loro respirare e il fruscio che le mani di lui provocavano contro il maglione di Marie nello spostarsi su e giù in un lento e sensuale massaggio all’altezza dell’addome e dei fianchi e…
Quando il palmo le si posò su di un seno la sua unica reazione fu un respiro un poco più acuto e netto; quando quel palmo si schiuse e i cinque polpastrelli affondarono in quella morbida rotondità le cedettero cuore e ginocchia.
 
Non aveva più rabbia in corpo né odio né ostilità, nessun emozione ribelle che la spingesse ad essere scontrosa e allontanarlo.
Logan aveva accettato e scontato la sua punizione, sopportato la sua incostanza e anche se si era ostinato a chiederle sempre di più, che fosse fiducia o perdono o attenzione non si era perso d’animo e aveva insistito….anche ora, nel momento in cui gli aveva sbattuto in faccia la solidità del legame coi suoi nuovi compagni lui non si era negato alla sconfitta e si era presentato sul suo portico sedendole vicino in attesa dell’ultimo colpo, quello che avrebbe chiuso i vecchi conti, nella speranza che lei gli concedesse la rivincita…
 
Logan era lì, non era un sogno, sentiva la sua stretta il suo abbraccio la sua presenza e… chiuse gli occhi quando le prese il lobo dolcemente fra le labbra mentre col naso le sfiorava l’angolo dove questi s’univa alla mascella.
 
Si sciolse ulteriormente annullando anche la sua ultima difesa, quella dell’attenzione, della reazione; quella della resistenza.
E lui ne approfittò immediatamente girandola con uno scatto senza perdere tempo a guardarla negli occhi, per quello avrebbe avuto tempo più tardi, si precipitò a ghermirle le labbra in un bacio aggressivo e disperato che lasciò entrambi senza fiato e allora un altro e un altro ancora finchè anche le mani di lei gli si strinsero sulle spalle, per averlo più vicino, perché lo voleva sentire anche lei e perché c’era stato un tempo in cui aveva agognato con tutta la sua anima di poter essere la donna che Wolverine desiderava.
Resistendo alla sua irruenza rispose a quel nuovo bacio inclinando il viso, spalmandosi contro il suo petto risalendo con le mani sulla sua nuca, insinuando le dita fra i suoi capelli, premendo coi polpastrelli e le unghie che seppur corte si piantarono lievemente nel suo scalpo.
 
Un gemito netto e gutturale fu il suo segno d’approvazione poi d’improvviso la mano che le premeva sul fondo schiena scese velocemente lungo la coscia piegandogliela e alzandogliela di scatto mentre con un colpo deciso di reni andava a incastrare il proprio bacino a quello ora perfettamente allineato di lei.
 
“Ngh…”
 
Anche lei gli dimostrò d’aver gradito staccandosi dalle sue labbra appena quel necessario sufficiente per respirare, poi di nuovo si concesse e lui la riprese.
Si ritrovò le spalle contro la finestra, le mani di lui sulle natiche, le cosce strette ai suoi fianchi, la sua erezione schiacciata contro l’inguine e sembrava ribollire tutto là sotto, il punto di contatto, il loro sesso, lo stomaco, persino l’aria che respirava dalla bocca di lui era rovente.
 
“…gan!”
 
Non si era mai sentita così con nessun altro, che fosse questo ciò che si provava quando finalmente l’amore tanto desiderato, sognato perso pianto e mai dimenticato finalmente arrivava?
Logan si allontanò dalle sue labbra per concentrarsi sul nervo che dall’orecchio scendeva fino all’incrocio delle clavicole, lei schiuse gli occhi al soffitto in estasi inarcandosi per essergli più vicina, non bastavano le sue mani a premerla contro di lui….voleva sentirlo di più…di più….di più.
 
 “Logan…”
 
Quante volte sdraiata sul divanetto in camera sua aveva sognato d’esser stretta da lui, d’esser baciata, stuzzicata e posseduta con passione e…. una scarica gelida le scosse la schiena e lei tremando esalò un pesante sospiro allungando il collo per dare a lui maggiore accesso.
Che dolci carezze le donavano le sottili ma forti labbra di lui, e la sua lingua… dove passava sembrava scioglierle la pelle, era qualcosa di unico e di eccitante che non faceva che aumentarle dentro piacere e desiderio.
Era la prima volta che li provava con un uomo vero e non nella fantasia o nei sogni, ma nella realtà.
Era felice.
 
E quando le mani di Logan si insinuarono sotto il maglione afferrando anche il bordo del top nero che indossava sotto per sfilarglieli lei non si oppose, né quando la sua lingua scese oltre le clavicole sulla chiara pelle ora scoperta e urlò senza nemmeno rendersene conto nel sentire la dolce ma ruvida carezza delle sua dita direttamente sul seno destro, dove la sua mano s’era intrufolata scostandole il reggiseno che era diventato di troppo, come tutto il resto dei loro vestiti.
Riappoggiò a terra i piedi perché le cominciavano a dolerle i fianchi visto che doveva far ricorso alle sue forze per rimanergli avvinghiata ora che le mani di Logan erano occupate in posti ben migliori…inspirava a denti stretti ogni volta che i suoi pollici le strofinavano i capezzoli e le sue labbra ovunque esse passassero creavano pura estasi e lei ci si stava perdendo dentro.
 
“Uhmn…”
 
In uno scatto improvviso batté la nuca contro la maniglia della finestra, l’acuto dolore servì solo ad eccitarla di più.
 
“Marie…”
“Nhm…”
“Nhg…dove?”
 
Dove cosa? Dove voleva che le mettesse le mani? Oh, dov’erano ora andava più che bene, erano strumenti divini che la stavano facendo impazzire, una su di un seno, l’altra sulla coscia su e giù che ogni tanto le lambiva l’addome scendendo sul bordo dei suoi cargo militari e poi su dove c’era l’altro seno stuzzicato da lingua denti labbra e fiato….
Nessuna obiezione va benone cos- oh!
 
Un improvviso contatto fra i loro bacini le fece capire cosa realmente intendesse lui.
 
Chiuse gli occhi mordendosi il labbro strofinando la propria guancia a quelle deliziosamente ruvida di lui, le sue mani avevano preso a vagare per conto loro sulla sua schiena, su e giù da tempo e nel ridiscendere le insinuò oltre l’orlo dei suoi jeans sfiorandogli i glutei duri e perfettamente tesi, indice e medio le finirono nelle nette fossette facendolo sussultare.
 
“Marie…do-dove!?”
 
In un attimo i suoi palmi le furono sul sedere, ad avvicinarla al proprio inguine mentre con colpi lenti e decisi frizionava la sua erezione ancora prigioniera dei jeans al sesso rovente di lei.
 
“Oooh…”
 
Velocemente si guardò intorno, camera sua era al piano superiore ed era da scartare perché per salire le scale avrebbero dovuto staccarsi e lei non aveva alcuna intenzione di staccarsi da lui, neanche per quei pochi istanti che le sarebbero valsi il paradiso e poi….no, eliminata, il divano del salotto nemmeno, non perché fosse scomodo o altro ma non era il caso… un fulmine le balenò in mente, e lo sguardo si posò sulla porta semichiusa alle loro spalle.
La camera degli ospiti, pulita fresca e il letto enorme era soffice e aveva cambiato le lenzuola da poco e…
 
“Uhnm…”
“Marie!...”
 
Cavoli quant’era duro!
 
“Dietro di…te…”
 
Lui capì immediatamente e camminando all’indietro la trascinò con sé all’interno della stanza che profumava di fresco ed era in penombra visto che l’argento della luna la rischiarava.
Venne rimessa a terra e quando le mani di lui lasciarono il suo corpo lo guardò confusa mentre lui senza smettere di fissarla diritta negli occhi si toglieva giacca camicia maglietta per scendere poi a sciogliere la fibbia della cintura.
Marie deglutì posando le sue fresche dita tremanti sul dorso delle mani roventi di lui.
Lentamente gliele allontanò prendendo a trafficare con la cintura fino a farla scivolare oltre il gancio, sciolse il bottone dall’asola e fece scendere lentamente la zip, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi che erano mistero e foreste e puro istinto animale.
Quando ebbe finito diede solamente un piccolo aiuto alla discesa dei jeans risalendo poi con tutte e dieci le dita in una carezza di unghie appena accennata fino a che i palmi incontrarono il dislivello del suo petto, li si posarono in un infuocato contatto pelle contro pelle.
 
“Marie….”
 
Esalò il suo nome sporgendosi in avanti per baciarla posandole le mani ai lati del viso, le mani di lei scivolarono oltre le sue braccia cingendogli le scapole, Logan camminò oltre i suoi jeans spingendoli via, con la coda dell’occhio inquadrò il letto e vi si diresse spingendo Marie all’indietro finchè le sue gambe non incontrarono l’ostacolo del mobile.
Ridendo la spinse guardandola cadere all’indietro e sprofondare nel copriletto di raso dentro al soffice piumone; la sua espressione di iniziale stupore si trasformò in un mezzo sorriso imbarazzato.
Aveva gli occhi liquidi di desiderio la sua Marie, velati da lacrime non ancora versate offuscati dalla passione scuri  e densi come le più torbide tonalità dello smeraldo.
Un lieve rossore le imporporava le guance e scendeva lungo il collo per infuocarle il petto che sussultava sconvolto dal suo affannoso respirare.
Aveva una linea perfetta, curve morbide e armoniose fatte apposta per affondarci le dita, pelle chiara e soda braccia lunghe ma ben messe e gambe toniche dalla forza disumana.
 
Rimase immobile ad osservala, come lei anche lui respirava a scatti erratici, e poteva sentirlo nell’aria il profumo dell’eccitazione di lei, pungente e delizioso soprattutto ora che i suoi verdi occhi avevano trovato il coraggio di scendere oltre il suo ombelico per vedere cosa l’attendeva.
 
Si sentì invincibile quando gli occhi di lei fissandogli l’inguine si schiusero roteando all’indietro, chissà che stava immaginando, chinò la testa mostrandogli la gola ancora bollata dalle sue attenzioni di poco prima, le mani stringevano il tessuto violetto che le s’increspò fra le dita.
Avanzò e piegando un ginocchio lo affondò fra le gambe i lei chinandosi verso il suo petto per poterlo assaporare nuovamente prima di….diamine stava impazzendo dal desiderio che aveva di lei…
Dal canto suo Marie provava le medesime sensazioni, sentiva lo stomaco bruciarle e le gambe vibrare e nonostante le attenzioni di Logan la facessero volare voleva di più…
Con una pesante carezza la mano di lui le scivolo poco sotto al collo e in un attimo si vide sollevare contro di lui, il bacino le andò ad appoggiarsi  sulla coscia nuda e tesa di lui e avvertì all’altezza dello stomaco il suo essere premerle contro, duro teso ed eretto e la frizione della sua gamba alla giuntura delle sue….guai a lui se smetteva.
 
“Hmn nhg…”
“Marie ”
 
La sua voce era di fuoco.
E finalmente, finalmente e finalmente si decise e lei gridò affondandogli i denti sul petto quando finalmente sentì la sua mano là sotto, ed il suo dito piegarsi e scivolare, tastare stuzzicare e penetrare.
Urlò un gemito di voce liquida quando per il piacere la schiena le si inarcò d’istinto e trovò un sorriso simile al proprio, fatto di candidi denti e labbra e umida lingua e…si, finalmente  glieli stava sfilando quei dannati pantaloni e lo poteva sentire muoversi meglio senza l’impedimento degli indumenti e adesso le dita in lei erano due e la stavano facendo letteralmente impazzire.
Singhiozzava gemiti e respiri e non sapeva più come muoversi per disperdere quelle vibrazioni d’estasi che la stavano corrodendo…ad ogni contatto il suo interno si stirava e richiudeva espandendo onde di piacere assurdo.
Teneva le dita piantate nelle sue scapole e tremava, tanto era lo sforzo di chiudere le gambe su di lui per non farlo allontanare e i respiri le morivano sul collo, forte e teso e la ruvidità del suo mento sulla pelle era il culmine delle sensazioni.
 
Ma lo stesso, voleva di più.
Voleva liberarsi dell’aspettativa che aveva di lui e provare sulla pelle cosa significava andare a letto con Logan, voleva distruggere l’immagine da fiction dei suoi sogni e incorniciare il reale, voleva sperimentare l’averlo dentro. Adesso.
 
“Logan…Logan…Lo-”
 
Fu un attimo, strattonandole i capelli la costrinse a guardarlo, i suoi occhi avevano un cenno d’ambra nelle iridi che gli incendiavano lo sguardo, aveva la fronte perlata di sudore e le narici dilatate, i capelli gli si erano spettinati ed alcuni ciuffi gli ricadevano sulla fronte, teneva le mascelle serrate e di conseguenza il collo era tirato, quasi gonfio, le spalle tese a sostenerla le braccia forti a cingerla, oltre le clavicole vedeva il proprio seno pressato al petto di lui.
Scivolò via da lei e si portò le dita alle labbra e lei avvampò inspirando il profumo dei sé stessa nelle gocce che le ricoprivano, sussultò quando lui schiuse le labbra e incominciò a succhiarle come quando lo aveva visto fare quel giorno lontano che erano usciti a mangiare insieme e si era insozzato le dita di salsa pulendole con la lingua, una scena che l’aveva sconvolta tanto che si era defilata al bagno cercando nella sua immensa fretta di non dare nell’occhio. Per intere settimane quell’immagine l’aveva perseguitata alimentando le già numerose fantasie che la mente aveva ipotizzato e ora…diavolo, ora lo stava facendo di nuovo, coi suoi umori…
 
“…sei deliziosa…”
 
Quelle parole la riportarono alla realtà, sentì sul labbro inferiore il premere di ruvidi polpastrelli, schiuse le labbra e lui entrò scivolandole lentamente sulla lingua che lei muoveva mentre succhiava il sapore di sé mista alla saliva di lui.
E cribbio se le stava piacendo.
Quando lo sentì uscire si affrettò a chiudergli i denti sulle dita premendo sotto con la punta della lingua aprendo finalmente gli occhi per sostenere il suo sguardo.
 
Un senso di vertigine le ottenebrò le membra e ritrovandosi nuovamente con la schiena sul materasso gridò quando lui, con una netta spinta le entrò dentro scivolando senza trovare alcun ostacolo a fermare la sua avanzata.
 
Da lì in poi incominciò la battaglia vera, ogni sua spinta era per lei grido di piacere, ogni singola frizione, che fosse stata netta e veloce o lenta e disperatamente piacevole era gemito e singulto, l’aria che respirava s’era fatta liquido bollore e dovette ingoiare ogni futuro respiro e imporsi di farlo perché era sicura che se si fosse lasciata andare completamente, reazione involontaria o no, i suoi polmoni avrebbero dimenticato di farlo.
Gridare invece non era un problema, sentiva la gola irritata tanto lo stava facendo e probabilmente stava rendendo sordo Logan da un orecchio che dal canto suo emetteva gemiti rochi e continui ad ogni spinta sussurrando a volte il suo nome, a quanto fosse stretta e umida a quanto la desiderasse…a quanto…
 
“…amo da morire Marie….”
 
Rimase senza parole, perché quello fu l’esatto momento in cui venne, perché anche Logan venne e perché il solletico del suo seme denso e rovente all’interno di lei la commosse, perché non era preparata a sentirsi così e perché era sicura che Logan le stesse dicendo la verità.
 
Lo abbracciò ed insieme attesero che la frenesia che li aveva colti passasse finchè tornarono ad essere Logan e Marie stretti l’uno all’altra sopra le coperte, soddisfatti e felici…finalmente in pace.
 
Passarono muti attimi, l’unico rumore al di fuori dei loro respiri era il lontano ticchettare del pendolo che aveva in salotto, nella stanza regnava il buio silenzio, la luna era passata oltre nel suo ciclo notturno ed ora tutto era sciolto nelle tenebre.
Il cuore di Logan stava battendo lentamente, il fluire del sangue nel suo sistema era rallentato e nonostante fosse ancora in lei non era più così duro anche se lo poteva sentire ancora benissimo dilatare le sue pareti interne laddove riposava.
 
Chiuse gli occhi divertita strozzandosi la risata in bocca. Era eccitante anche così. Anche se non si muoveva lei lo poteva sentire e la cosa le piaceva un sacco, la intorpidiva di euforia e le dava il desiderio di stiracchiare gambe e braccia come per allontanare quei pigri brividi che le ribollivano negli arti.
 
Si morse il labbro smorzando un ghigno perverso, era sotto di Logan, cioè, Logan le stava sopra e la ricopriva quasi completamente schiacciandola fra il suo corpo e il piumone, sentiva i seni schiacciati contro il suo costato le loro gambe avvinghiate i loro bacini uniti, il battere ritmico dei loro cuori, il fondersi del loro respirare…sperava tanto che…desiderava immensamente che anche le loro anime si fossero finalmente trovate sfiorate e infine unite.
 
“A che pensi?”
 
Umidi baci seguirono le sue parole scivolandole sul collo dove riposava la testa di lui, a volte indugiava coi denti graffiandole l’ipersensibile pelle, altre ancora premeva con la lingua nel punto in cui pulsava il cuore e le incendiava il sangue.
 
Lei sospirò felice, cercò di trovare le parole per rispondergli ma si rese conto che nella sua testa c’era il caos più totale che si alternava a silenzio assoluto al suono dei grilli d’estate allo scrosciare delle acque di una sorgente…lei sapeva come si sentiva, solo che non riusciva a spiegarlo a Logan.
 
“Marie?”
 
Fu meraviglioso trovarsi nel suo sguardo. Era buio intorno a loro ma i loro occhi potevano vedersi, in quelli di lui c’erano le sfumature chiare del quarzo, i filamenti ambrati delle sue iridi rilucevano reagendo alla pochissima luce presente, nei suoi che erano più scuri e quasi privi di riflessi Logan poté comunque trovare ciò che gli premeva vedere.
Serenità; e fu sufficiente per lui, finalmente, finalmente….
 
finalmente l’aveva raggiunta.
 
 
 
Lentamente chinò il viso scendendo a baciarla e ad accarezzarle la fronte, le guance la mascella.
 
Finalmente…
 
 
 
TH

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Capitolo 21
*** A light from the past ***


 
 
 
 
 
 

“Dopodomani parto.”
“Uh?”
 
Alzando il mento da appena sotto il seno destro di Marie dove l’aveva appoggiato, Logan puntò i suoi occhi dentro quelli tranquilli di lei.
Come partiva? Ma se si erano appena ritrovati!
Negli occhi di lei s’accese una luce di divertita adorazione; l’espressione afflitta di lui era troppo carina e strozzando una risata sfiorò con la punta del naso la tempia di lui baciandolo col sorriso.
Accorgendosi d’esser trattato da poppante si scostò poggiando il peso del torso sui gomiti guardandola male l’immancabile sopracciglio alzato oltre il suo arco naturale.
 
“Ma se sei tornata neanche due giorni fa!”
“L’hai detto, due giorni fa; mi han dato riposo fino a domattina, nel pomeriggio andrò per un briefing e partirò nella notte quindi caro mio, è meglio che sloggi!”
 
Mettendosi comoda contro il morbido cuscino incrociò le mani dietro alla testa pronta ad accogliere la reazione di lui.
 
“Slo-sloggi?”
“Ti sei piazzato qui dall’altro ieri, non hai lezioni allo Xaviers?”
“No, fortuna vuole che i corsi che seguo siano fuori sede; Ororo ha deciso di portare le due classi in Grecia non torneranno prima di sei giorni …”
“Grecia? Azz, quando c’ero io il massimo era il MOMA cos’è sto upgrade?”
“Crede faccia loro bene e ha ragione, il grado di disciplina è massimo da quando ha introdotto questi viaggi.”
“Lo credo! Ma quindi a scuola chi è rimasto? Vi arrangiate ancora in tre o …”
“Hank rimane visto che non ama dare nell’occhio, io tecnicamente sarei di turno a giorni alterni e in queste occasioni ci da una mano Moira, non mi hanno chiamato quindi presumo che si arrangino.”
“Tutto chiaro.”
 
Soddisfatta della spiegazione chiuse gli occhi riflettendo sulle parole che McLee le aveva rivolto nel pomeriggio quando a sorpresa l’aveva chiamata sul suo cellulare privato.
 
“Mi servi qui domani pomeriggio,  è giusto arrivata una richiesta dal segretario della difesa fatta su misura per te.”
“Se è urgente posso anche …”
“No, il soggetto in questione necessita di tempo per scaricare nervi e rabbia, domani alle quattro nella sala riunioni, saremo io te e Kenton; ci aggiorniamo.”
 
 
Non le era sembrato né agitato né impaziente quindi era tutto regolare, poteva godersi Logan ancora per un giorno.
Palmi roventi le si posarono sul ventre stimolandole i muscoli dell’addome che a quel contatto sussultarono ricordandole quant’era bello essere sfiorata da un uomo.
 
“Non estraniarti …”
 
D’istinto schiuse le labbra ricevendo l’umido e lento bacio di Logan mugolando contenta abbandonando ogni controllo sul proprio corpo lasciandogli fare ciò che voleva. Stava talmente bene e le attenzione che le dava le piacevano così tanto che adesso quasi si pentiva di non aver ceduto prima.
 
“Sei bella da togliere il fiato Marie …”
 
Parole sussurrate a fior di labbra che le fiorivano sul collo e lungo le spalle morendo fra i suoi seni dove incominciavano giochi di denti e lingua mentre poco più sotto entravano in gioco dita e fianchi e così anche quella poca lucidità rimastale andò volentieri a farsi benedire.
I suoi respiri cominciarono così a farsi sempre più pesanti spezzati ogni tanto da qualche gemito soddisfatto o sorpreso o liquido di piacere e allora le sue mani trovavano solido appiglio dietro le sue spalle dove chiare unghie graffiavano pelle tesa e muscoli guizzanti.
 
“Neanche tu sei niente male, Logan.”
 
Lui sbottò una risata ghermendole le gonfie labbra prima di scostarsi per mettersi su di un fianco accanto a lei.
Gli risero gli occhi nel vedere la delusa reazione di lei che con aria annoiata lo fissava aspettandosi qualcos’altro.
 
“Avrei volentieri continuato, ma mi tocca sloggiare
“Scemo!”
 
Si tirò a sedere dandogli un giocoso pugno contro al petto invertendo i ruoli di poco prima.
Sentire la solida consistenza del corpo di Logan era continua eccitazione che non si stancava mai di provare.
Non cambiava nulla se non facevano niente, solamente stare così vicini e contro era … perfetto.
Facendosi seria scese col viso sul suo petto posando la guancia sopra il tiepido sterno.
 
“Sono felice che tu sia qui…”
 
E lo abbracciò dando enfasi alle proprie parole. Il leggero tocco di labbra che ricevette fra i capelli fu risposta sufficiente.
 
“Lo sono anche io credimi…”
 
Il modo in cui lasciò in sospeso la frase le suggeriva che c’era dell'altro.
 
“Ma siamo rintanati qui da ieri notte ed io comincio ad avere anche la fame ‘ufficiale’, e se ce ne andassimo da Tom?”
“Non ho voglia di birra e salsicc-mpfh waahahh che boiata ho appena detto!”
 
Rimettendosi a sedere gli concesse la visuale del più bel seno scosso dalle risate che lui avesse mai visto.
 
“Intendevo, sono più in vena di cibo regolare adesso.”
“Hai già in mente un idea?”
“Mhn mhm, e non serve neanche vestire eleganti, ti piacerà vedrai.”
“Se piace a te non ho dubbi.”
“Allora siamo d’accordo …”
 
Schioccò un sonoro bacio in prossimità del suo sterno prima di sgusciare via dal letto dirigendosi in bagno.
A metà strada si fermò voltandosi timidamente.
 
“Ce l’hai un cambio?”
 
Vedendolo scuotere a ‘no’ la testa sbuffò aprendo un anta dell’armadio appena fuori la stanza riemergendo poi l’attimo necessario per lanciargli una borsa di tela.
Frugando fra gli indumenti, che stranamente rispecchiavano il suo gusto nel vestire Logan sentì montare dentro una strana forma di rabbia.
Reggendo nel pugno la manica di una camicia di flanella troppo somigliante a quella sgualcita che indossava il giorno che si erano incontrati alzò il viso infastidito, cercandola.
 
“E di chi sarebbe ‘sta roba?”
“Di mio padre, almeno le camicie dovrebbero starti mentre i pantaloni mi sa che sono troppo lunghi per t-waargh!”
 
Ridacchiando schivò la cuscinata piegandosi in avanti mentre sghignazzava malefica burlandosi di lui.
 
“È vero quel che dicono sulle ragazzine allora …”
“A cosa ti riferisci?”
“Al fatto che sposano l’uomo che meglio ricorda loro del padre…”
“Ma tu non gli somigli affatto!”
“A no?”
 
Sgranando gli occhi per l’ovvietà le spiegò davanti agli naso una seconda camicia, stavolta in tinta unita, tipica dei cow boy scolorita nei punti giusti ma di ottima fattura.
 
“Lui è più alt- gwaaaah!”
 
Fuggì terro-ridendo  salendo le scale fino ad arrivare in camera sua blindandosi dietro la spessa porta bianca e scolorita. Neanche col fiatone smetteva di ridacchiare.
 
…………………..
 
 
Appoggiato al lucido marmo italiano che ricopriva il lineare bancone, un uomo rifletteva.
Le enormi vetrate gli davano una vista a 360° sul suo mondo che frenetico e rumoroso scorreva fregandosene di lui .
Fra le dita stava in precario equilibrio un largo e basso bicchiere, alcune gocce di bourbon ancora ne sporcavano la lucentezza; gli occhi velati tradivano lo stato in cui egli versava e la bocca serrata in una smorfia atta a trattenere rabbia disgusto o pianto spiegavano il perché  della bottiglia.
 
Era dura affrontare la fine.
Qualunque fosse la forma in cui essa gli si presentava.
E la stronza maledetta sembrava averlo preso in simpatia visto che lo andava a trovare spesso sottoforma di morte, rottura, allontanamento, rappresaglia, tradimento, disillusione, spaccamento … e, cosa assurda, era soprattutto quando tutto filava liscio che la puttana faceva la sua comparsa mandando tutto a rotoli costringendolo a ricominciare da capo e lui non ne aveva più la forza ormai.
 
Erano passati alcuni giorni ma la rabbia dentro ancora ribolliva latente in attesa solamente del pretesto giusto per venir sfogata e trovar liberazione perché non ne poteva più di rimanere confinata dentro ad quel cuore ferito ancora incapace di guarire da solo.
Che robe.
Grande,  grosso invincibile miliardario eppure così tremendamente fragile e solo.
 
Il sonoro bip d’apertura porte non servì ad avvisarlo in tempo.
 
Queste aprendosi permisero ad un’ombra di entrare con passo svelto e mentre sul lussuoso pavimento echeggiavano solidi tacchi dalle sue dita sparirono bicchiere e bottiglia prossima al refill; al loro posto un paio di splendide gambe fasciate da cupi collant che salivano diventando nera gonna candida blusa e altrettanto scura giacchetta.
 
L’enorme quantità di alcool che aveva in circolazione fu l’unica cosa che lo trattenne dal commentare.
Quella o forse fu la bellissima tonalità di due occhi verdi limpidi e fieri capaci di stregare chiunque.
 
“Credo che così possa bastare!”
“…”
“Mi segua, ha bisogno di una sistemata.”
“…”
 
Rimanendo immobile permise al collo solo il movimento necessario per inclinare un poco il viso, gli occhi da pesce lesso era certo fossero chiusi per metà ma lo stesso sperava che quella mossa indolente facesse desistere lo schianto che le avevano propinato dai piani bassi.
Illusi e coglioni, i tempi dello svago da oblio in cui gli era sufficiente trombarsi qualche sventola per dimenticare le tristezze della vita erano passati da anni.
Per superare questa porcata non sarebbero bastate tutte le donne del mondo.
Anche se la sua mente in realtà ne voleva solamente una …
 
“Mi ha sentita Signor S-”
“Lei è licenziata!”
“Ma se neanche sono alle sue dipendeze!”
“Allora vada a scocciare il fortunato che avrà la fortuna d’essere scocciato da lei…”
 
Quel paio di occhi verdi reagendo all’idiozia appena sbrodolata si allargarono per un millisecondo tornando poi seri e fissi sui propri riuscendo quasi a fargli distogliere lo sguardo.
Uno sbuffo emesso da labbra naturali dal colore più roseo che avesse mai visto portò la donna a muoversi abbandonando la rigida postura che aveva appena assunto cercando forse di apparire minacciosa, dimenticando che ad un ubriaco le cose minacciose spesso e volentieri apparivano innocue e patetiche, portando così le mani ai fianchi come facevano le maestre mentre sgridavano i ragazzini o sua madre quando …
 
Scattò all’indietro sbattendo la nuca contro il muro ricordando l’orrido flashback in cui con una crudele e ferrea presta quel maledetto bastardo poneva fine alla vita di sua madre.
L’attacco di panico che ne conseguì fu accolto con neutra indifferenza da quel paio di gemme che per un attimo solamente s’erano limitate a brillare di empatia prima di tornare ad essere selve serene ed imperturbabili.
 
“Si rilassi e cerchi di pensare a qualcosa di bello.”
 
Neanche la voce lesi era incrinata.
 
“Ddddel ti-po?”
“Qualcosa che le dia stabilità, un amico forse?”
 
Solo una volta che ebbe pronunciata la parola ella sembrò vacillare rendendosi forse conto d’aver detto la cazzata del secolo.
James era si l’unico amico che gli era rimasto ma anche ciò che meno rappresentava la parola stabilità in tutto l’universo viste le condizioni in cui versava per colpa sua.
 
“Proviamo con qualcos’altro … una ragazza?”
 
Gli occhi strabuzzanti che le rivolse sortirono l’effetto di far roteare quelli di lei.
 
“Ma insomma, ci sarà pur qualcosa che la tiene ancorato ad un briciolo di lucidità, no?”
“Vavad-vada via!”
“Se c’è una cosa che può star certo io non farò, signore, è proprio abbandonarla, ora venga, si metta a sdraiare e aspettiamo che passi …”
 
Scivolò in un sonno fatto di rumoroso silenzio e grigia luce al suono di quella voce melodica ma triste in qualche modo e fu la prima volta dopo giorni di stress e allerta in cui anche la sua mente cedette concedendosi ad un riposo ristoratore e stranamente pacifico.
 
Sbuffando fuori pena e frustrazione Marie fece scivolare via le dita dalla fronte dell’individuo appena franato sopra al divanetto, vittima del suo tocco letale.
Vederlo incominciare a sussultare con sguardo vitreo mentre soccombeva ai ricordi cui la sua mente traumatizzata lo sottoponeva reagendo a ciò che lei per prima gli aveva suggerito fu troppo e lei era impreparata a questo tipo di situazioni; sicuramente Kim sarebbe stata più adatta a gestire il caso ma sfortuna voleva che fosse dall’altra parte del mondo alle prese con la controparte di tutto quest’immenso casino nel quale McLee l’aveva ficcata.
Al diavolo! Guardandosi intorno cercò di fare mente locale ma era tutto in stand-by, tutto bianco statico e al contempo caotico, non c’era via di scampo non c’era soluzione, era sola e in subbuglio e, ma che cazzo le era preso!? Toccandolo aveva solamente spostato il problema addossandosi tutte le sue ansie ed erano così tante gravi pesanti e crudeli che non ce la faceva a sopportarle.
Incominciò ad avere flash e ricordi non suoi confusi e caotici contemporaneamente a picchi di adrenalina e frustrazione e terrore e rabbia e …
Andò in tilt.
 
Niente paura Marie
 
Si guardò intorno col sangue gelato nelle vene ed una sensazione di rovente terrore. Sparì tutto in un istante, ma quella voce era … quella voce era.
 
“Jean!!?”
 
Portandosi le mani alla bocca cadde senza nemmeno rendersene conto trovando finalmente lucidità grazie all’acuto dolore al fondoschiena.
 
….
 
“JEAN?”
Si, e ti aiuterò…
 
……
 
 
TH
 
 
 
Allora, avete capito qual è la nuova missione di Marie?
Muahh ahh ahh
 
Ci si sente gente!!!

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Capitolo 22
*** KA-BOOM ***


 
 
 
 
 
 
 
 
Sospirando Marie chiuse gli occhi appoggiandosi al confortevole schienale della sedia da scrivania sulla quale sedeva.
Da ore cercava di rintracciare nei meandri della sua coscienza la presenza di Jean senza riuscirci mentre aspettava che il suo protetto si riprendesse.
Aveva così tante cose da chiederle e altrettante da dirle che non sapeva da che parte avrebbe incominciato semmai l’avesse trovata ma non avrebbe demorso l’avrebbe trovata ad ogni costo; ne aveva bisogno perché le mancava da morire, ne aveva bisogno per chiederle come mai fosse presente dentro di lei e … trattenne un singhiozzo … per chiederle perdono di non esserci stata anche se era terrorizzata dalla risposta che lei avrebbe potuto darle.
 
“Il punto è che quando tu sei stata in pericolo noi siamo venuti ad aiutarti Marie! Scott Jean e Tempesta erano con me e neanche ti conoscevano!
 Xavier mi ha permesso di entrare nel team per venirti a prendere e quando noi avevamo bisogno di te, che era Jean ad essere in pericolo tu hai mollato tutto.”

 
Le gelide parole che Logan le aveva sputato in faccia la sera del loro litigio/chiarimento le risuonarono nel cuore e nella mente come campane a lutto e la paura di non esser capita e perdonata divenne densa e quasi palpabile.
 
Niente paura Marie …
J-JEAN?
si, e ti aiuterò…
 
Però era intervenuta per darle pace e coraggio …
Fu istintivo per lei ripensare a come si erano sistemate le cose la mattina precedente grazie alla calda presenza di Jean che spazzò via tutto con la semplicità con cui uno straccio pulisce una macchia di caffè sul tavolo in una sola passata, senza bisogno di risciacquo, boom pulito …
I pensieri, le colpe la rabbia la solitudine la paura e la depressione di Stark erano state così soffocanti e opprimenti che dubitava avesse potuto farcela senza l’intervento di lei.
 
Sbuffando girò la sedia in modo da poter fronteggiare il divano su cui ancora riposava lui dopo il suo tocco; 24 ore … esattamente un giorno di blackout che sembrava, a giudicare da come dormiva pesante, non dover essere interrotto tanto presto … ma da quant’è che non dormiva decentemente quel pazzo?
 
Un impulso di coscienza e fra le memorie di lui ben divise dalle proprie trovò la risposta che cercava.
Doveva a tutti i costi aiutare Rhodes quindi non c’erano pasti né pause né ore di sonno che tenevano, doveva aiutare il suo migliore amico a guarire e poter tornare a camminare e sedare la sua coscienza impazzita dal rimorso, e doveva assolutamente chiedere di lei e sapere come stava e …
Chiudendo gli occhi Marie abbandonò quella bolla di memorie e rimpianti ritornando alla realtà.
Jean non voleva saperne di farsi sentire perciò rinunciò a chiamarla sicura del fatto che semmai fosse stata in difficoltà ella sarebbe entrata in gioco.
Era strano, ma quel pensiero le mise attorno una calma ed una sicurezza che non aveva mai provato, commossa espirò un ringraziamento sincero.
 
“Grazie Jean, grazie di cuore!!”
 
Seguirono minuti di silenzio durante i quali gli unici rumori di sottofondo erano il ronzio dell’impianto dell’aria condizionata e i clacson del caotico traffico cittadino reso quasi piacevole dalla lontananza;  poi il momento passò e Marie riprese a concentrarsi sulla realtà approfittando degli attimi di calma per farsi un‘idea generale della situazione in cui si trovava.
Il suo era un ruolo di paciere oltre che elemento contenitivo riguardo al soggetto Tony Stark, vittima dopo gli ultimi eventi accaduti durante la scissione degli Avengers di numerosi attacchi di panico e ira.
Ammonendola, dopo aver comunque sbottato una risata, alla sua battuta finale riguardo al fatto che si sentiva paragonata ad una panciera, l’aveva congedata informandola che la missione era seria e non erano ammessi sbagli, che se l’aveva scelta era perché, dopo aver saputo del suo completo background, la riteneva la persona più adatta al compito e che era autorizzata a far ricorso alle sue capacità solamente in casi estremi stando ben attenta a non dare nell’occhio.
 
“Non farti beccare dallo S.H.I.E.L.D.”
“S.H.I.E.L.D. signore?”
“Si tratta di un corpo fantasma composto da spie di altissimo livello col compito di vegliare la pace mondiale a cui fa capo Nick Fury e che, nonostante goda della mia stima è anch’esso un burattino nella mani di persone ben più potenti e pericolose dei Chitauri … ”
“Ma siamo dalla stessa parte, no?”
 
Sotto allo sguardo attento di lui s’era auto ammonita per la sciocchezza appena detta. Stare dalla stessa parte non equivaleva ad essere alleati, che idiota! Viveva nel mondo militare da più di due anni, quasi sei se calcolava il suo trascorso allo Xavier’s  quindi conosceva bene la sottile linea che separava interessi ed amicizia nonostante ciò il suo animo pacifico ancora si ostinava a semplificare il tutto portandolo sul piano più basilare che poteva … l’amico del mio amico è anch’esso un amico, no?
Niente di più sbagliato.
Quante volte doveva studiarla quella lezione per apprenderla finalmente?
Sbuffando rilassò appena le spalle facendo intendere al suo superiore che stava già pensandoci da sola a farsi la ramanzina …
… ne aveva di strada da fare …
 
“Loro difendono, non proteggono.”
“C’è differenza, Signore?”
“Un abisso …”
 
L’aveva congedata con una pacca sulla spalla ricordandole l’unica cosa che davvero importava.
 
“Vola basso Falco …”
 
 
Rumori di risveglio interruppero il suo breve flashback e subito alzandosi si diresse al divano giusto in tempo per incrociare lo sguardo senza dubbio ristorato e non più vacuo del suo nuovo protetto in pieno recupero.
 
“Bensvegliato Mr. Stark …”
“Mgrghm non era un allucinazione …” L’espressione delusa che mostrò mentre masticava a vuoto riuscì quasi a farla ridere.
“Temo di no, io e lei staremo insieme fino a quando non sarà in grado di tornare a camminare da solo …”
 
Non sembrava convinto e, dopo averla scrutata in silenzio una decina di secondi tornò all’attacco.
 
“Che in parole semplici sarebbe!? ”
“Tutto il tempo che le ci vorrà per smaltire lo stress degli ultimi avvenimenti, la depressione per la fine della sua relazione ma soprattutto l’incazzatura con Steve Rogers Bucky Barnes Natasha Romanoff e l’allegra combricco- …”
“… ti  manda Fury!”
 
E dicendo ciò alzandosi in piedi incominciò a gesticolare com’era suo solito fare parlando a vanvera senza degnarsi minimamente di sentire le sue ragioni.
 
“Non mi manda Fu-”
“Incredibile assurdo inconcepibile come diavolo gli salta in mente di ….”
“Signor Stark mi stia a senti-”
“Non gli è bastato fregarmi mandandomi la Vedova Nera come assistente dall’ufficio legale adesso ne spunta una nuova, che lingua parli tu, l’Aramaico antico?”
“Aramai-co an? No, io -”
“E il mio sistema di sicurezza … neanche Pepper è mai riuscita a bypassarlo …”
“Beh quello non glielo pos-”
“ -me diavolo hai fatto a superare il mio sistema di sicurezza cambio i codici praticamente ogni secondo è impos- …  JARVIS!! ”
-SI SIGNORE?-
“Come ha fatto ad entrare? Non hai applicato il protocollo spia?”
-OVVIAMENTE SIGNORE MA NON HO AVUTO ALCUN RISCONTRO NEL DATABASE DELLO S.H.I.E.L.D. O DEL-
“Dovevi provare con la CIA ”
-LA CIA O DELL’INTERPOOL DELLA MARINA DELL’AERONAUTICA PERSINO NEL CORPO DEGLI ALPIN-
“Muto …”
 
E se il poveretto aveva ancora qualcosa da dire a nessuno dei due presenti fu dato di sentire grazie al silenzio impostogli da Stark.
Rimanendo seduta Marie attese che il super cervello del suo nuovo protetto elaborasse il tutto sperando con tutta sé stessa che non avesse una ricaduta e le lasciasse finalmente il tempo di spiegarsi.
 
Quando lo aveva toccato, insieme al flusso di pensieri e memorie aveva assorbito anche tutto il dolore e la frustrazione che aveva provato nello scoprire d’esser stato tradito da chi credeva un amico e lei non voleva dargli un’ulteriore mazzata, anche se non erano ancora amici era sicura che lo sarebbero diventati e per questo le premeva partire col piede giusto in modo da non dover rettificare in futuro o dover chiedere perdono di una fiducia spezzata; Tony Stark poteva essere pungente irritante e addirittura sfiancante ma mai un traditore, sentiva di potersi fidare e per il bene suo e della missione era disposta a far saltare immediatamente,  in parte, la sua copertura.
 
“Sono qui per assicurarmi che non possa arrecare danni a cose persone ma soprattutto a sé stesso …”
 
Lui fece per controbattere ma lei levando una mano a mezz’aria gli impose il silenzio, battendolo sul tempo continuando la frase.
 
“ … sono qui per conto di un pezzo grosso questo si, ma non si tratta di Fury ma di una persona buona e capace che sembra capire la differenza fra proteggere e difendere; se sapere il mio profilo l’aiuterà a fidarsi un pochino di più sono pronto a fornirglielo Mr. Stark … sono Anna Marie D’Acanto membro dello squadrone Hawk alle diret- …”
“… dirette dipendenze del colonello Louis McLee …”
 
Marie tacque mentre Tony, leggendo con voce poco incuriosita da un minuscolo schermo riflesso d’improvviso sul proprio avambraccio elencava sia le generalità di McLee che le sue … la velocità di JARVIS era da panico,  non c’erano crittografie o file fantasma in grado di fermarlo e tremò quando un lampo di paura l’attraversò al pensiero che l’AI avesse potuto ricostruire i suoi trascorsi allo Xavier’s e quindi presentare sé stessa ed i ragazzini della scuola come esponenti della razza mutante ad un supereroe in grado di sterminarli tutti col semplice schiocco delle dita.
 
“Non sono qui per causarle danno ma per fornirle tutto l’appoggio del quale avrà bisogno …”
“Oh … qui dice che hai lavorato con Wayne … ”
 
Porca troia come lo sapeva? Era un’informazione super segreta quella anche perché c’erano dei file agli Hawks che lo collegavano al personaggio di -
 
“Hai visto pure lo svitato che si crede un pipistrello?” E osservandola con la sua solita espressione da ebete mimò pure con le mani il gesto dello sbatter d’ali riuscendo a far sembrare ancor più ridicolo il personaggio che stava imitando;  lei colta sul vivo come succedeva sempre quando scherzavano su persone che rispettava rispose prima di collegare il cervello cadendo diritta nella sua trappola.
“Si chiama Batman! E non è uno svitat-”
“Direi che non solo l’hai visto, ma lo conosci anche bene, no? Quanto hai detto che sei stata a Gotham? Oh già non l’hai detto tu, è scritto tutto qui vedi?”
 
E sfiorando con i polpastrelli delle dita lo schermo di luce sul proprio avambraccio lo traspose, con un gesto svelto della mano a dita allargate, esattamente fra loro due in modo che entrambi potessero leggere le informazioni riportate nel dossier Hawk 8.
Sentì la faccia andare a fuoco per la rabbia e l’imbarazzo, diamine era proprio una novellina!
 
“Tre mesi … beh in tre mesi uno può imparare tante cose ma deve essere in gamba e se ti hanno mandato qui da me significa che a discapito dell’ingenuità che sembra caratterizzarti sei molto in gamba quindi deduco sarai riuscita a scoprire la sua identità in quanto … due settimane?”
 
Marie aprì la bocca stizzita per rispondergli che l’aveva sgamato subito ma proprio quando stava per dar aria alle corde vocali si zittì fulminandolo di brutto;  l’avrebbe fregata due volte in due minuti, doveva stare attenta a questo qui.
Tornò a concentrarsi su ciò che l’evanescente ma limpido schermo condensatosi a mezz’aria mostrava, diamine, c’era la sua intera carriera lì dentro e lui gliela stava sventolando sotto al naso neanche venti secondi dopo aver appreso la sua identità.
Tony Stark era strepitoso e troppo in gamba per una sempliciotta come lei. Schiarendosi la gola riportò il discorso su un piano neutro.
 
“Deve tenere una conferenza al MIT nel pomeriggio, le consiglio di prepararsi; ho già confermato tutto, la macchina verrà a prenderci a mezzogiorno preciso … ha tempo per una doccia ed un pasto veloce che le verrà recapitato fra un’ora esatta, ci aggiorniamo a mezzogiorno nella hall.”
“Prenderci?”
“Per essere uno sveglio fatica parecchio a comprendere le cose, le ho detto che staremo insieme per parecchio, si abitui all’idea e andremo d’accordo … ”
“Non sono esattamente famoso per essere un tipo accondiscendente …”
“Nemmeno io Mr. Stark …”
 
Dicendo ciò lo salutò allontanandosi velocemente per concedergli un po’ di tempo per abituarsi.
Forse le sue battute finali erano state un po’ troppo severe ma l’aveva fatta irritare. Si sentiva a disagio ed in inferiorità rispetto a lui e, per essere uno mentalmente instabile era piuttosto spocchioso e sicuro di sé il dritto …
 
Tony aspettò che uscisse prima di passare al gioco vero.
Togliendosi dalla faccia il suo tipico sorrisetto arrogante si fece serio concentrandosi sul viso serio della ragazzina che militava fra le fila di uno dei più seri e rispettabili corpi militari del Paese.
Suo padre ne parlava con profondo rispetto quindi a pelle quella ragazzina gli ispirava fiducia, il problema era solamente che le persone cambiano e con esse gli obiettivi e le priorità; lui stesso ne era la prova, da magnate delle armi era passato a difensore della pace nell’arco di pochi mesi.
Sbuffando si massaggiò le tempie. Era stufo di questi giochetti, stufo di non volersi o potersi fidare di nessuno, sfiancato dal doversi guardare le spalle da solo, sfinito e logorato da tutta la situazione che era scaturita da una semplice divergenza di opinioni e … furente con sé stesso per aver permesso ad un uomo di alienare le sue priorità e manipolarlo col solo scopo di distruggere gli Avengers.
 
Pensieri cupi e rancorosi tornarono a farsi strada nel suo animo, il respiro si fece svelto ed erratico, il cuore pompava odio e sangue unto, gli occhi cominciarono a vedere rosso, i chip nel suo corpo reagendo alla sensazione richiamarono i pezzi della mach interconnessa.
 
 
Dlin
 
L’ascensore fermandosi emise il classico tintinnio e dopo che si aprirono le porte Marie uscì attraversando la hall fino alla porta rotante.
Aveva bisogno di aria e avrebbe approfittato dell’ora e mezza di libertà per schiarirsi le idee, calmarsi e capire come affrontare la situazione; diamine con Bruce era stato tutto così semplice, certo nei panni della controparte dell’ombroso e inflessibile uomo pipistrello lui  era costretto a comportarsi nella maniera opposta e poi era certa che all’inizio l’avesse sottovalutata giocando con lei fingendosi condiscendente e gentile mentre in realtà la credeva innocua pronto persino a difenderla da chi voleva ferire lui. Rise. Negli ultimi giorni prima della sua partenza a carte scoperte e cuor leggero si erano raccontati parecchie cose, dalle reciproche prime impressioni alle aspirazione per il domani e le aveva fatto davvero piacere sapere d’esser riuscita a farsi volere un po’ di bene da lui.
 
Con un cenno del capo dissolse l’immagine di Bruce che sorridente le stringeva la mano prima che venisse sommersa dall’abbraccio di Barbara durante i saluti definitivi.
Era bello ripensare a loro, e sicuramente sarebbe tornata a salutarli, ma per ora la parentesi Gotham doveva considerarsi chiusa.
Distese il braccio per sfiorare il corrimano e spingere la porta uscendo finalmente all’aria aperta giusto in tempo per distendere le braccia alzare gli occhi al cielo ed inspirare forte e … vedere la sagoma di Iron Man sfrecciare via a velocità supersonica fra lo stupore e la meraviglia generale di chi si trovava per strada in quel momento.
 
“Merda!”
 
Il primo impulso fu quello di volargli appresso ma scartò subito quell’opzione, sicuramente Iron man era più veloce di lei e poi avrebbe rivelato le sue capacità e tanti cari saluti al vola basso Falco impartitole da McLee perciò decise di dirigersi alla moto e seguirlo a distanza seguendo il magnetismo della particolare composizione dell’armatura di Stark.
 
“Appena lo raggiungo io lo …”
 
KA-BOOOOOM!!!
 
Ingoiando un paio di imprecazioni delle quali Logan sarebbe stato fiero mise in moto sgasando per le trafficatissime e congestionate vie di New York zigzagando fra i coglioni che s’erano bloccati a naso insù in mezzo alla strada aggirando le decine di tamponamenti da questo derivanti.
 
Non era arrivata neanche da un giorno e già le cose precipitavano.
Ma una missione decente e tranquilla no, eh?
 
 
 
 
TH
 

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Capitolo 23
*** Mutant Nanny ***











Ritirandosi l’armatura permise al suo ospite di uscire e, appena libero Tony Stark cadde sulle ginocchia respirando erratico cercando in ogni modo di calmare il suo cuore impazzito.
Ruggendo l’agonia che lo dilaniava piantò i pugni a terra affondando nel morbido terreno del campo nel quale era atterrato.
Gli occhi serrati riflettevano immagini e memorie talmente dolorose da farlo impazzire.
Doveva stare calmo.
 
Inspira … espira
 
Le immagini dello scontro combattuto coi suoi stessi fratelli gli scotennavano la mente e mentre affondava le dita nella terra rivedeva l’impatto di Rhodes da mille prospettive differenti, senza però riuscire a trovare una maniera per salvarlo; nelle sue orecchie il cigolio di lamiere contorte, il sordo urto con la conseguente immobilità del War Machine erano assordanti nenie che si ripetevano all’infinito.
Se Natasha non lo avesse tradito e avesse fatto il proprio dovere impedendo loro di lasciare l’aeroporto lo scontro sarebbe restato a  terra Rhodes non li avrebbe inseguiti e  … si era pure presentata tutta preoccupata all’ospedale spiegandogli chi fosse il vero nemico e il motivo per cui aveva lasciato scappare Steve e Bucky …  quella dannata, gliene avesse parlato prima sarebbe stato meglio diamine!!  Sapere fin da subito che dietro tutto c’era Zemo sarebbe stato meglio.
 
“Ghhhw Gwah!”
 
Inspira … espira
 
Quel maledetto Sokoviano!!!
Vide rosso ripensando alla faccia da cazzo di quel dannato che era riuscito con una freddezza ed una pazienza incredibili a dividere gli Avengers;.
Quel coglione di Steve poi aveva preferito Bucky Barnes a loro e dopo tutto il casino successo gli aveva pure scritto una cazzo di letterina di scuse per sostenere il suo punto di vista ma fargli sapere che teneva a cuore pure il suo contrastante, e ce se un giorno avesse avuto bisogno del suo aiuto sarebbe bastato digitare l’unico numero presente nel vecchio modello di cellulare e loro sarebbero corsi ad aiutarlo e … se aveva messo in attesa il Segretario di Stato quando questi lo aveva chiamato per intervenire sulla più che probabile evasione degli Avengers imprigionati era stato solamente grazie alle parole del suo più grande amico, Rhodes, che nemmeno da paralitico aveva cambiato idea e a differenza di sé stesso non lo incolpava dell’accaduto dimostrando così di essere un vero soldato, un amico … un esempio e un vero eroe mentre Steve aveva disertato mandando tutto a puttane per poter aver libertà di movimento.
 
La recluta che non accettando l’esonero più e più volte si era arruolata sostenendo di voler essere d’aiuto alla Nazione acconsentendo addirittura a diventare una cavia pur di essere accettato si era infine ribellata ripudiando quelli che erano i suoi doveri per seguire il suo cazzo di istinto che se lo avesse ascoltato quel coglione lo avrebbe aiutato volentieri e sarebbe passato persino sopra al fatto che, controllato dall’Hydra, Bucky avesse ucciso i suoi genitori.
Sarebbero bastate le parole, le solite frecciatine scoccate a fior di denti ed un normalissimo confronto a mettere tutti d’accordo ma Rogers non aveva avuto fiducia in lui e si era rintanato nel suo passato fatto di solitudine e ideali utopici che mal si accostavano al mutamento del tempo.
Un atto del genere nel 1943 poteva dirsi eroico e leggendario, nel 2016 era solamente diserzione.
 
Dividi et impera …
 
Alla fine tutto si riduceva a quello.
Loro, gli Avengers, gli eroi più potenti della Terra in grado di respingere persino gli alieni erano caduti al soffio della vendetta di un solo uomo.
 
Serrando labbra e denti lasciò che solo un sibilo di fiato oltrepassasse la barriera in modo da regolarizzare il respiro stringendo il palmo al cuore.
 
Inspira … es
 
“Mi dispiace Tony ma così non può continuare. Ogni volta che dici basta o rallenti succede immancabilmente qualcosa che ti fa cambiare idea … non possiamo resistere così …”
 
Pepper!
 
Alla fine anche lei si sera stancata …
 
“AL DIAVOLO!!”
 
L’immagine del dolce viso di Pepper rigato dalle lacrime ma ugualmente bello e luminoso fu scintilla che lo fece deflagrare.
 
“Uwaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarg-”
 
 
La terra tremò e le onde d’urto prodotte dai congegni dell’esoscheletro si espansero tutt’attorno scuotendo le fronde degli alberi facendone piegare i tronchi. Piccoli ciottoli furono scaraventati via schizzando ad alta velocità verso la superstrada che passava ad alcuni chilometri ma non causarono alcun danno poiché  evaporarono immediatamente sgretolandosi  al contatto con una barriera color del tramonto venutasi a formare tutt’attorno che, normalmente invisibile diveniva percettibile solamente quando i due elementi di toccavano.
 
A debita distanza e appoggiata al tronco di una forte quercia Marie assistette allo straziante sfogo di Stark indecisa su cosa fare.
Avvicinarsi o meno?
 
In quel momento le sembrava d’esser tornata indietro allo Xavier al tempo dell’indifferenza di tutti e Stark era esattamente come Logan.
Incazzato e ferito fin nel profondo per la perdita di ciò che più caro avesse al mondo.
Schiudendo gli occhi ricordò le coincise righe del dossier che McLee le aveva fornito deglutendo amaramente man mano che una lista di nomi ed eventi determinavano l’allungarsi di una già infinita lista di persone che lo avevano lasciato, deluso, abbandonato … tradito.
 
Già una volta, agendo di sua iniziativa era finita sulla lista nera di Logan, non voleva provare di nuovo l’orrore di ferire e di rimando essere ferita da tale gesto per questo, compattando le molecole di materia volatile ed elettricità presenti nell’aria si era limitata ad osservare, innalzando quella barriera in modo tale da nascondere ai curiosi che l’avevano seguita l’esatta ubicazione di Tony risparmiandogli l’umiliazione d’esser visto sbroccare e al contempo riuscire a contenere il suo eventuale sfogo di potere  proteggendo le vicinanze.
Se rimaneva nell’ombra non avrebbe peggiorato le cose.
 
“Con un cuore come il tuo è impossibile aver nemici, Marie …”
“… Jean?”
“Non devi mai aver paura di un rifiuto né dubitare delle tue buone intenzioni … sei stata scelta per un motivo …”
“Ma io …”
 
Niente, il calore che l’aveva avvolta con il sussurro di Jean era già sfumato via e questo poteva solo significare che la sua mentore si era già allontanata nell’infinito limbo dell’inconscio dove nemmeno Marie, che per inciso era la proprietaria della mente, riusciva ad avere controllo.
 
Sospirando si scansò dal tronco dell’albero muovendo alcuni passi in direzione di Stark che nel frattempo pareva essersi calmato e dopo essersi messo a sedere fissava il cielo immobile come una statua.
I raggi del sole che si riflettevano sull’armatura schizzavano via come stille di luce riflessi in ogni direzione.
A questo punto doveva essersi già accorto di lei.
 
Una volta raggiunto, asciugandosi i palmi freddi  nonostante indossasse dei guanti da guida contro i jeans si accucciò a pochi passi da lui che senza battere ciglio continuava a fissare un punto impreciso della volta.
Spese alcuni momenti ad osservarlo trovandolo, nonostante vestisse la potentissima armatura, tremendamente fragile minuscolo ed indifeso; quanto doveva aver sofferto per avere così tanta tristezza rabbia e rammarico a riflettersi in quelle iridi lucide di pianto.
Mordendosi il labbro scostò lo sguardo quando gli occhi di lui la puntarono d’improvviso facendola sentire a sua volta piccola e misera pulce al cospetto del titano.
Gli occhi coi quali Logan vedeva il mondo erano stati così … e quelli di Bruce pure.
Possibile che tristezza solitudine rabbia e frustrazione fossero naturale conseguenza e unico quanto indesiderato profitto per coloro che spendevano le proprie vite a difendere gli altri?
 
Tutti quelli che conosceva e più ammirava in assoluto portavano nell’anima un bagaglio di agonia e dolore inimmaginabili a partire da Logan, Jean Charles Ororo Hank. Persino Magneto e anche se quest’ultimo non rientrava affatto nelle sue più grandi simpatie era innegabile che il male subito dal giovane Eric e il susseguirsi di agonia sofferenza  paura e persecuzione avessero infine piegato e stravolto il carattere una volta sereno e pacifico di un ragazzo ed in seguito dell’uomo che aveva amato la sua famiglia con tutto il suo cuore concedendo agli esseri umani più di un’occasione trasformandolo nell’acerrimo nemico che per tutti era stato.
 
“Piangi?”
 
La voce di Tony increspò il velo dei suoi pensieri e lei riprendendosi dalla distrazione si sfiorò la guancia trovandola umida.
Che sciocca era. Sbuffando scocciata si lisciò i capelli arruffati rimettendosi in piedi con uno slancio fluido e naturale che sembrò non costarle affatto alcuno sforzo nonostante la posizione nella quale era stata fosse scomoda.
 
“Polvere.
Avevo così fretta di raggiungerla che ho dimenticato di indossare il casco … avrò mangiato almeno cento moscerini!”
 
Osservandola Tony capì immediatamente che si trattava di una balla; sicuramente quella ragazzina era rimasta spaventata dal suo comportamento  ma se voleva fare la spaccona chi era lui per darle contro?
Tornando impassibile esalò un commento più per inerzia che vera volontà.
 
“Carne priva d’ossa … lo diceva sempre mio pa …”
 
Roteando gli occhi all’espressione confusa e al contempo commossa di lei fece per rimettersi in piedi ma i suoi arti non collaborarono tanto che in uno zero due si trovò  nuovamente piegato sulle ginocchia.
 
“Friday che diavolo … ?”
“Armatura disattivata signore, i suoi impulsi cerebrali sono incompatibili con il protocollo guida … dovrà sottoporsi ai test di valutazione per poter sblocca -”
“Chi diavolo è stato a modificare i parametri ”
“… lei signore a seguito degli eventi della firma del trattato di Sokovia …”
“Ah … è vero diamine …”
 
E dandosi una leggera spinta si rimise a sedere piegando le ginocchia appoggiandoci sopra i gomiti per poi alzare lo sguardo su Marie mentre distrattamente si grattava la gola.
 
“….”
“……”
“… beh? ”
 
Sul punto di seccarsi Marie sbottò quell’intercalare, che aveva da fissarla come un pesce lesso adesso?
 
“Sai, sono anni che non mi faccio un giro in mo -”
“Oh no no nonononononono non se ne parla proprio … ”
“Che vuoi che sia? Un paio d’ore e saremmo di ritorno …”
“Peserà 300 chili con quella dannata armatura, arriveremo con gli ammortizzatori a terra schizzando scintille dal culo diamine!”
“Non eri tu quella che diceva che saremmo rimasti insieme finché non sarei riuscito a tornare a camminare da solo?”
 
E di fronte alla faccia da cazzo con cui Tony Stark la impiombò rivolgendole le sue stesse parole Marie non poté che rimanere spiazzata  e basita a fissarlo con la bocca spalancata e gli occhi da pesce lesso anche mentre lo aiutava a rimettersi in piedi sorreggendolo mentre si avvicinavano alla moto.
 
Chi cazzo era quest’uomo? Altro che uno bisognoso di aiuto, un mostro era, ecco cosa!
 
Con l’orgoglio sotto ai piedi e le lacrime agli occhi causate dall’affronto che stava causando al suo gioiellino Marie fece per salire rimanendo basita nel vedere Stark prendere il suo posto mettere in moto e guardarla con un sopracciglio inarcato Logan’s style in attesa che salisse da passeggera.
L’impulso di accartocciare lui, l’armatura e quella sua faccia da cazzo fu talmente forte che la punta di ogni singolo dito incominciò a pruderle pronta a raccogliere ed incanalare il potere necessario a plasmare il metallo.
 
“Senti Marie … giusto?”
 
Non le lasciò il tempo di rispondere e prontamente continuò.
 
“Non ho tutto il giorno quindi a meno che tu non abbia intenzione di fartela a piedi ti consiglio di salire e reggerti forte forte al sottoscritto … intesi?”
“Farmela a … piedi?”
“Preferisci volare forse?”
 
Scattando come una molla fece appena in tempo a salire e stringersi forte forte a lui  prima che il bolide schizzasse via alla velocità della luce.
Quel deficiente l’avrebbe davvero lasciata lì da sola …
 
Serrando le mascelle fino a far scricchiolare i denti cercò di calmarsi sporgendosi oltre le spalle dell’armatura quel poco che bastava per vedere la strada.
Inutile dire che in poco meno di dieci minuti una lunghissima coda congestionava la superstrada nel senso opposto al loro dopotutto … non era cosa da tutti i giorni vedere Iron Man scorrazzare per lo Stato su una fiammante moto metallizzata.
Sperava solo che la loro velocità fosse tale da impedire alle centinaia di smartphone e fotocamere di riprendere il marchio degli Hawks sul telaio e soprattutto la sua faccia.
Già lo sentiva il mega sermone di McLee al prossimo rapporto.
Facendo ricorso al potere di Magneto diede sollievo ai poveri ammortizzatori posteriori aumentando poi la velocità del bolide in modo tale da risultare sulla pellicola solamente indefinita scia.
 
Non si rese conto nel fare ciò che gli occhi di Stark, puntati sul suo viso attraverso lo specchietto retrovisore, notarono eccome che gli occhi di colei che gli stava avvinghiata dietro, divennero chiari e glaciali contemporaneamente all’improvviso aumento della velocità.
 
Gli avevano mandato come Tata … una mutante …
 
Ma che diavolo avevano in mente tutti?
 
 
 
 
TH
 
 
Capitolo quasi introspettivo.
Mi piace.
Fatemi sapere né?
 
Un abbraccio a tutti!!!
 
^w^

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Capitolo 24
*** Like hell I keep calm... ***


 
 
Appoggiato alle sbarre le quali era costretto a reggersi per poter fare fisioterapia Rhodes serrò le mascelle inspirando dalle narici quanta più aria potesse prima di imprimere negli avambracci la forza necessaria a sostenere il proprio corpo mentre contraendo gli addominali preparava arti incapaci di sostenerlo a … imparare a sostenerlo.
In sottofondo la voce dello speaker del canale naturalistico National Geographic spiegava in maniera molto coincisa il rituale di accoppiamento delle falene africane e su come la loro seppur effimera esistenza valesse la pena d’esser vissuta.
Non fu particolarmente frustrante scoprire di non essere ancora in grado di riuscire a rimanere per lo meno in piedi. Aveva imparato ad accettare la sconfitta, a conviverci e rispettarla seppur senza accettarla.
Poteva aver perso il giorno prima e quello precedente ancora come stava perdendo in quel momento e sicuramente avrebbe fatto per i prossimi giorni, mesi anni perfino, ma sapeva che un giorno le ginocchia non avrebbero ceduto come snodi sfibrati soccombendo al minimo carico di peso, era certo che le anche sarebbero tornate di nuovo forti risvegliandosi da quel fastidioso torpore al quale erano costrette in seguito all’incidente.
Scostò il volto a destra puntando con scherno un ammasso di pistoni guaine e fasce, male che andasse c’era sempre l’esoscheletro che Tony aveva progettato apposta per lui, no? Sarebbe potuta andargli molto peggio.
Era indipendente era, ironia della sorte, ancora in piedi lui.
 
“Vuole fare una pausa?”
“Meglio di si oggi non ci sono con la testa …”
 
Appoggiandosi al corpo del suo eccellente fisioterapista Rhodes si lasciò condurre verso la sedia a rotelle che per prassi utilizzava una volta lasciato l’esoscheletro per raggiungere l’area di riabilitazione all’interno dell’Ospedale. Il dubbio che qualcuno potesse fregargli l’armatura non lo sfiorava nemmeno come non sfiorava minimamente qualsiasi furbetto o ipotetico malintenzionato, tutti sapevano quanto i protocolli di difesa protezione e tracciamento dei dispositivi Stark fossero leggendari oltre che inviolabili.
Aiutandolo a sedersi il luminare asiatico si domandò cosa lo disturbasse, in genere il suo paziente mostrava una concentrazione invidiabile investendo ogni fibra del suo essere negli esercizi di fisioterapia. L’avere a disposizione un prototipo bionico che sostituiva in maniera eccellente ed assolutamente non invasiva un paio di gambe non aveva assolutamente corrotto lo spirito del colonnello portandolo a rinunciare con assoluta fermezza all’indennizzo di invalidità che gli sarebbe spettato come conseguenza dell’esser rimasto ferito in combattimento. Ancora si inorgogliva il buon dottore nel ripensare alle parole dette in conferenza stampa dal suo paziente quasi tre mesi prima.
 
“Non sono ancora diventato inutile, date quei soldi ai parenti delle vittime dell’attacco dei Chitauri piuttosto.”
 
Quindi cos’era che quel giorno lo tratteneva dall’impegnarsi?
 
“Cosa la distrae colonnello?”
“Tutto e niente, oggi è una di quelle classiche giornate in cui ti svegli agitato e rimani all’erta tutto il giorno perché ti aspetti, senti che sta per accadere qualcosa e non puoi fare a meno di domandarti cosa potrebbe mai essere e … ”
 
Ridendo il  Dott. Hatachi fu sul punto di replicare quando la sigla d’apertura del notiziario nazionale attirò la sua attenzione.
 
“INTERROMPIAMO IL PROGRAMMA PER UNA NOTIZIA DELL’ULTIM’ORA, POCO FA E’ STATA AVVISTATA L’ARMATURA IRON MAN SFRECCIARE VIA A VELOCITA’ INAUDITA IN DIREZIONE EST SUD- EST; IL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA NON HA ANCORA EMANATO UN BOLLETTINO UFFICIALE MA NON SEMBREREBBE ESSERCI NESSUN ATTACCO IMMINENTE QUINDI INVITIAMO LA POPOLAZIONE A RIMANERE CALMA. NON C’E’ ALCUN PERICOLO.”
 
Sbuffando Rhodes si passò entrambi i palmi sulla faccia. Eccolo qua il motivo.
 
“Pare che il Signor Stark sia di  nuovo in azione …”
“Già ...”
 
Levando gli occhi dalle proprie ginocchia allo schermo appeso in un angolo della grande vetrata che separava la palestra dalla hall dell’ospedale Rhodes cercò di capire cosa altro stesse dicendo il giornalista ma proprio in quel momento attraversò la hall una persona fin troppo conosciuta che vedendo le immagini in un altro schermo presente esternamente bloccò immediatamente l’avanzata.
Partendo a tutta birra salutò il dottor Hatachi rimandando a domani la loro sessione fiondandosi all’esterno alle calcagna di …
 
“Pepper?”
Sobbalzando nel suo magnifico tailleur beige la suddetta Pepper voltandosi immediatamente gli sorrise, deliziata nel trovarsi di fronte il suo caro amico.
 
“Rhodey!! Che piacere!”
 
Avvicinandosi si abbassò abbracciandolo chiedendogli come stesse, come procedesse la fisioterapia o semmai avesse bisogno di qualcosa.
“Va tutto bene Pepper ti ringrazio. Tu piuttosto, che mi racconti? Ci sono novità? Avete chiarito?”
Rabbuiandosi il bel sorriso di lei andò a sparire. Conosceva Rhodey, nonostante non fosse un impiccione non avrebbe mollato tanto facilmente e se con Tony poteva permettersi il lusso di sparire o fare la vaga con il militare quella tattica non avrebbe funzionato anche perché a differenza di Tony, Rhodey sapeva che …
 
“Ho voglia di un caffè.”
“Seguimi, quello della caffetteria fa talmente schifo che in confronto le nostre situazioni parranno rose e fiori …”
 
Ridendo la rossa lo seguì guardandosi bene dall’aiutarlo a spingere la carrozzella.
Il non sono un invalido che lui le aveva rifilato la prima volta che si era proposta di aiutarlo seppur detto con gentilezza aveva sortito il suo effetto.
E mentre le ultime immagini del servizio mostravano il traffico congestionato e decine di video amatoriali del passaggio di Mack 1 il ticchettio dei tacchi di Pepper accompagnava la dipartita dei due.
 
………………………
 
“Quindi in definitiva non è assolutamente contemplato l’arrendersi di fronte ai primi insuccessi quanto imparare da essi, fortificarsi … reagire ed infine riuscire. ”
 
Dietro le quinte del palco del Kresgde Auditorium Marie ascoltava rapita le parole di Stark mentre questi, gesticolando sapientemente enfatizzando le parole, esprimeva il suo pensiero davanti ad una platea totalmente rapita. Non una mosca o un flash interrompevano il flusso di parole del geniale e mitico Avenger che a quanto pareva si era del  tutto ripreso dall’attacco di panico tanto che alla giovane mutante veniva naturale chiedersi se davvero la persona sul palco, e quella tremante di rabbia e agonia di poco più di un’ora prima fossero la medesima persona.
Capendo che il suo intervento stava giungendo al termine, Marie diede un’occhiata all’orologio facendo poi mente locale su come organizzare il loro prossimo spostamento.
Sarebbero andati all’ospedale universitario della University of Massachusetts Medical School dove Tony avrebbe inaugurato la nuova sede del laboratorio di sperimentazione al quale aveva donato macchinari all’avanguardia affiancando al team di sviluppatori e ricercatori personale altamente qualificato.
Avrebbero trascorso lì circa un paio d’ore se s’includeva un breve stop al banchetto organizzato in onore della visita del magnate, in seguito alle 21:00 Tony era invitato a cena da un rappresentante del governo e solo dopo le 22:00 la loro giornata si sarebbe potuta definire conclusa.
Sbuffando internamente Marie spostò il proprio peso da un piede all’altro, vivere costantemente alla mercé di appuntamenti scadenze incontri importanti e comunque schiava del tempo non faceva decisamente per lei; puntò lo sguardo per un istante sulle proprie gambe, era riuscita a cambiarsi ed indossare dei pantaloni che seppur eleganti le consentivano di muoversi o all’occorrenza correre e combattere senza problemi, le scarpette nere laccate che indossava non erano poi particolarmente scomode; serrando i denti provò a distendere le dita prigioniere nelle strette calzature …  niente si rimangiava il non particolarmente, cosa non avrebbe dato per i suoi scarponcini dotazione standard … gonfiando le guance annoiata lasciò scorrere lo sguardo sulla platea, ma quando mancava? La pazienza non era il suo forte, diamine! No, decisamente non era tagliata per quel genere di lavoro, non …sgranò gli occhi riconoscendo nell’infinita massa in ombra il taglio particolarissimo di un cappotto giallo che non poteva appartenere che a …
 
Jubilee?
 
Schiudendo gli occhi fece per sporgersi in avanti per mettere meglio a fuoco quando l’improvviso boato dell’applauso partito spontaneamente in seguito alla conclusione di Tony la fece sobbalzare presa alla sprovvista.
Non ebbe il tempo di rendersi conto di quel che succedeva poiché Tony Stark ridiscendendo i piccoli gradini che dal palco conducevano dietro le quinte si affrettò ad allontanarsi verso l’uscita predisposta per loro lanciandole appena un’occhiata curiosa.
Fulminea Marie tornò a fissare il punto in cui le era sembrato di vedere Jubilation Lee, inutile dire che la marea di presenti oramai in movimento le rese impossibile anche solo provare a cercare di individuarlo. Il disagio che provava nel sapere la sua ex compagna presente aggiunto al rumore assordante dei plausi e delle grida di ragazzine isteriche che cercavano in tutti i modi di salire sul palco contribuirono a renderla particolarmente nervosa.
Riprendendo il controllo delle proprie emozioni Marie si affrettò a raggiungere e superare Stark  deviando il loro cammino dalla parte opposta al percorso d’uscita previsto per la loro ritirata.
 
“Ti sei persa? Guarda che dovevamo svoltare a destra la dietro.”
“Ci sono decine di paparazzi e cronisti appostati dietro le antipanico dell’uscita sud, meglio deviare per la palestra, non c’è nessuno di là.”
“Come lo sai?”
“Ho fatto un giro d’ispezione pochi attimi prima che finisse il discorso.”
 
In realtà le era bastato creare ed espandere un campo magnetico per rendersi conto del massiccio schieramento di mass media pronto ad assalirli una volta usciti. Non erano previste interviste quindi potevano svignarsela allegramente.
 
“Ottimo, non ho proprio voglia di dare spettacolo …”
O dare il bis …
“Che hai detto?”
“Dicevo che serve un pass …”
 
Erano arrivati nei pressi delle porte d’entrata dell’immenso polo sportivo che ovviamente trovarono chiuse accanto alle spesse ante un dispositivo a riconoscimento ammetteva solamente il passaggio ai possessori di una carta specifica.
Per nulla convinto Tony la guardò male sostenendo la sua espressione risoluta giusto il tempo che gli ci volle ad estrarre il proprio device dal taschino del doppiopetto.
 
“Scostati un po’…” portandosi la mano all’auricolare chiamò l’AI “Jarvis …”
“GIA’ FATTO SIGNORE …”
 
Un sibilo precedette lo scatto della serratura e svelta Marie scostò le grandi porte richiudendole una volta che furono entrati.
In quel momento le vibrò il cellulare e velocemente guardò che la stava chiamando, sbuffando la interruppe chiedendo mentalmente scusa a Logan, era stato anche troppo bravo riuscendo a resistere dal chiamarla per oltre tre giorni, dopotutto quando gli aveva consegnato il numero segreto del suo telefono di lavoro lo aveva messo immediatamente al corrente che quel numero era da chiamare il meno possibile. Ti chiamo più tardi, adesso proprio non posso … rimettendosi in tasca l’apparecchio si rivolse a Tony.
 
 “Ho mandato un messaggio all’autista, dovrebbe farsi trovare qui fuori fra pochi minuti.”
“Hm … dov’è che dobbiamo andare poi? ”
 
Spiaccicandosi il palmo sulla faccia la mutante inspirò forte serrando i denti. Glielo aveva detto e ripetuto minimo dieci volte il programma per quel giorno, come mai si divertiva così tanto a esasperarla?
Nella tasca dei pantaloni nuovamente il telefono vibrò, diamine erano impossibili tutti e due. Nuovamente pigiò il tasto di interruzione sperando capisse l’antifona. Avvertì il campo magnetico col quale aveva marcato la loro auto avvicinarsi al parcheggio designato.
 
“Mi segua, Jim è arrivato ora …”
 
…………………
 
Aspirando forte mentre il viso le si contorceva dal disgusto Pepper guardò Rhodes di traverso. Quel caffè era davvero cattivo. Per carità, mica si aspettava l’eccellente qualità della miscela pura arabica che era abituata a bere ma c’era un limite a tutto santo cielo, anche allo far schifo.
Facendo spallucce l’amico portò si alle labbra il suo macchiatone masticando a vuoto un paio di volte una volta ingurgitato.
 
“Te l’ho detto che è pessimo, glielo dicono tutti eppure si ostinano a dare sempre lo stesso caffè …”
“È in assoluto il peggiore che io abbia mai bevuto … ma perché ti ho dato ret- uh?”
 
Tagliando di  netto la conversazione Pepper tornò guardare lo schermo del TV al plasma presente anche nella caffetteria mentre uno spaccato dell’edizione straordinaria del notiziario riprendeva a parlare dell’improvvisa uscita di Iron Man.
Adesso il servizio mostrava Tony Stark circondato da decine di giornalisti mentre saliva i gradini che portavano a … lesse velocemente i sottotitoli, all’Auditorium intitolato a Kresgde.
Notando il suo comportamento anche Rhodes si voltò sbuffando alla spettacolarizzazione di quell’innocua uscita.
 
“Mamma mia che noia, ma non hanno nient’altro su cui concentrarsi i media al giorno d’oggi?”
 
Non ricevendo risposta tornò a seguire il servizio; sapeva che per Pepper l’argomento Iron Man era cosa spinosa e il fatto che l’uomo dentro l’armatura fosse quello che amava non rendeva la pillola più facile da mandar giù.
Lei aveva pazientato e tenuto duro finché aveva potuto, poi, col sopraggiungere di inaspettati cambiamenti e avvenimenti aveva deciso che per loro era meglio stare lontani. Il ruolo di Iron Man attivo nella difesa della Nazione come membro degli Avengers gli richiedeva la massima disponibilità e attenzione e lei, seppur in maniera non voluta era finita col passare in secondo piano.
Rhodes sapeva che Pepper non biasimava Tony per questo, non era una ragazzina ed era orgogliosa di quello che faceva Stark, solo che adesso non si trattava più di loro due e lei aveva capito che se le cose fossero continuate, che se la relazione fosse proseguita lei sarebbe universalmente divenuta il tallone d’Achille dell’uomo invincibile e Tony non avrebbe potuto difenderla sempre.
La scelta di separarsi da lui le era costata lacrime e sacrificio, aveva presentato le dimissioni dal lavoro che aveva svolto con la massima passione e serietà per oltre dieci anni e nonostante le offerte si fossero sprecate Rhodes sapeva che nessun altro luogo per lei sarebbe mai stato importante come quello abbandonato.
Entrò in scena in quell’istante nel servizio alla TV, una brunetta dallo strano ciuffo chiaro che facendosi largo fra la moltitudine di persone, piazzandosi dinnanzi a Tony mise fine alle interviste trascinando di fatto il suo amico su per la gradinata oltre le porte di vetro oscurate che da quel momento in poi obliarono la loro vista agli occhi del mondo. Il reporter, evidentemente in vena di gossip accompagnò la loro dipartita con illazione e supposizioni sulla possibile natura della collaborazione di Tony e della sua nuova segretaria super sexy e autoritaria. Guardando velocemente il viso stupito di Pepper Rhodey diede voce alla sua curiosità.
 
“E quella chi diavolo è?”
 
La tazzina contenente il pessimo caffè abbandonando la molle presa di candide dita, cadde malamente sul proprio piattino rovesciando un poco di liquido sulla superficie cerata del tavolino.
 
“Tutto ok Pepper?”
“…”
“Avanti,  non crederai mica a quello che dice quell’imbecille?”
“Anna Marie?”
 
…………………………………
 
 
Seduti a bordo della lussuosissima auto sportiva presa a noleggio all’ultimo minuto da Tony per potersi comodamente spostare questi scorreva distrattamente le ultime notizie sullo schermo del suo tablet portatile.
Accanto a lui, visibilmente scocciata Marie sbuffò per l’ennesima volta.
 
“Perché quel muso lungo?”
“Giuro che non riuscirò mai a capire come facciate voi uomini d’affari a tenere il ritmo, io sono praticamente morta mentre lei sembra in ottima forma …”
“Abitudine tesoro …”
“Mah, non mi stupisco stia attraversando un tale periodo di … ” Lo guardò e lui ricambiò lo sguardo levando appena un angolo della labbra, col cavolo che diceva quella parola, tsk, schiarendosi la gola continuò la sua frase scegliendo un vocabolo più adatto. “ brutto periodo ecco, sempre in ballo nonostante tutto … sempre all’erta e …” solo.
 
Lasciò morire l’ultima parola fra i propri pensieri girando il viso per guardare fuori dal finestrino. Che traffico assurdo, e si che non era neanche l’ora di pun-
Un picco di energia solleticò il campo magnetico di sicurezza che aveva creato attorno a loro. Proiettili in avvicinamento da …
 
“STIA GIU’!!!!”
 
Piantandogli il palmo sulla testa costrinse Tony ad abbassarsi mentre alcuni colpi sfiorarono l’abitacolo sapientemente deviati dalla protezione magnetica conficcandosi nel cemento o nelle ruote della auto accanto a loro. Sporgendosi in avanti cercò di proteggere anche …
 
“Dannato!”
 
Col ghigno degno del più lurido dei bastardi Jim la schernì pronto a scaricarle nell’addome l’intero caricatore della sua Beretta 93R. Fortuna volle che una macchina li tamponasse proprio in quell’istante distraendo l’autista e Marie fu svelta a bloccare il grilletto col potere del magnetismo per poi dare uno strattone sottraendogli l’arma.
Lo tramortì con rabbia spostandolo al posto del passeggero, ammanettandolo ad una velocità disumana mentre Tony pur guardandosi dall’alzare il capo teneva tutto sottocontrollo.
 
“Friday ho bisogno dell’armatura, adesso!!”
“Richiesta negata, non ha ancora sostenuto gli esami per essere ritenuto idoneo a …”
 
La macchina velocemente scartò all’indietro in un testacoda da manuale sballottandolo per l’abitacolo. Volle dirle di calmarsi ma la trovò talmente intenta alla guida che decise di non disturbarla, se gliel’avevano mandata sapeva sicuramente il fatto suo.
 
“JARVIS!!”
“Non posso farci nulla signore, lei stesso mi ha esulato dall’interferire con la nuova interfaccia Friday.”
“Dannazione … facci uscire da qui almeno … e cerca qualsiasi informazione riesci a trovare su quest’uomo …”
 
Girando il tablet inquadrò il viso sopito dell’autista tramortito prendendogli per sicurezza anche l’impronta del pollice. Dannazione, senza la sua armatura era inutile.
 
“Da che parte?”
 
La voce di Marie lo riscosse dal nascente turbinio dei suoi pensieri riportandolo momentaneamente alla realtà. Una rapida occhiata allo schermo per capire dove si trovassero, una per farsi un’idea del percorso e mezzo millisecondo per decidere le parole furono tutto ciò che gli ci volle per darle la risposta.
 
“Fra 200 m c’è una deviazione improvvisa, cerca di prenderla …”
 
Aumentando vertiginosamente la velocità Marie cercò di allontanarsi dall’ingorgo il più velocemente possibile.
 
“Ci segue qualcuno?”
“Non mi pare, JARVIS?”
“Un drone ad ore 11, esattamente a 50 metri sopra di noi …”
“Bastardi maledetti … Stark prendi il volante …”
 
Pigiando il pulsante per l’apertura del tettuccio panoramico Marie si fece da parte il più che poteva per lasciar venire davanti Tony spiaccicandosi letteralmente contro il coglione che solo adesso sembrava star riprendendosi.
 
“Dannazione non c’è posto …”
 
Fulmineo Tony aprì la portiera facendolo rotolare fuori rimanendo indifferente allo sguardo allibito e furioso che gli lanciò Marie.
 
“So già tutto su di lui, ritrovarlo sarà uno scherzo, preoccupiamoci del drone …”
 
E proprio in quel momento, dopo essersi messo al posto di guida con una sterzata da maestro imboccò l’uscita completamente in contromano mentre Marie beccandosi una stecca al fianco per il contraccolpo cercò in aria il maledettissimo drone.
 
“Dov’è?”
“Ore 11.”
“Non vedo niente!”
 
Poi un piccolo bagliore le diede la posizione, dannazione era mimetico e se non fosse stato per il riflesso … sparò meglio che poté concentrandosi sul minuscolo e quasi introvabile campo magnetico prodotto da quell’affare fatto per la maggior parte di plastica per indirizzarci contro la pallottola che …
 
“Beccato! Alla faccia tuo maledetto trabiccolo!! Ha!!”
 
Godendosi lo spettacolo dell’abbattimento Marie rientrò nell’abitacolo sedendosi al suo posto.
Espirò forte un paio di volte ridendo via il nervosismo per poi voltarsi verso Stark e battergli una manata sulla spalla che fece sbandare di rimando l’auto.
 
“Che diamine …”
 
Intento com’era a schivare le auto,poche per fortuna, che procedevano nel senso giusto Stark la guardò malissimo.
 
“Così siamo pari … hah, visto che non serve avere per forza un’armatura? Sei Stato grande!!!”
 
La guardò incapace di replicare mentre lei, sorridendo soddisfatta mise la sicura alla pistola per poi infilarsela all’interno della giacchetta svolgendo il tutto con una naturalezza invidiabile.
Lasciandosi contagiare dall’entusiasmo di lei Tony sbottò un sorriso decelerando per immettersi in un’uscita e poter così riprendere il giusto senso di marcia verso …
 
“Dov’è che dovevamo andare?”
“Oh ma insomma!!!”
 
 
……………………………………….
 
 
Gli ultimi raggi del pomeriggio stavano tingendo il cielo di indaco irrorando le vetrate dell’ospedale di quel denso colore preludio della notte.
Stringendo l’amica in un leggero abbraccio Rhodes la lasciò infine andare facendo, grazie all’apparecchio che lo teneva in piedi, un passo indietro.
 
“Stammi bene Pep’”
“Anche tu Rhodey, ci vediamo presto!!”
 
Sorridendogli la rossa si voltò per raggiungere l’auto che la stava aspettando.
Aspettò fin quasi che entrasse prima di urlarle un’ultima cosa.
 
“DEVI DIRGLIELO PEEP!!”
 
Indugiando un poco lei gli sorrise. Ma non rispose.
Devi dirglielo, a quel coglione … capirà …
Osservandola sparire in mezzo ad una miriade di auto Rhodey pigiò un bottone.
 
“Friday mandami Iron Patriot per favore …”
“Agli ordini colonnello …”
 
Serrando gli occhi aspettò l’arrivo di War Machine entrandoci dentro quando l’armatura giunse al suo cospetto alcuni minuti più tardi.
Lui e Tony dovevano fare due chiacchiere.
 
……………………………
 
Stravaccato sui divanetti del Tom’s grill Bar Logan fece per pigiare nuovamente il bottone di chiamata trattenendosi nel ricordare l’avvertimento di Marie.
Se non rispondo vorrà dire che ho da fare, ti richiamerò tranquillo…
Ok, ma erano passate quasi quattro ore, quanto cazzo lavorava per non aver mai tempo?
Serrando la mandibola lasciò da parte il cellulare afferrando l’occhiello della pinta appena ordinata bevendone avidamente un paio di sorsi.
Che rottura di coglioni, era annoiato all’inverosimile. Nessuna missione, nessun obbligo alla scuola, tutto il tempo libero del mondo e Marie era chissà dove a fare chissà cosa con chissà chi!
Ringhiando internamente scolò la restante birra ordinandone immediatamente un’altra a Glenn che annuendo obbedì.
Il guardare nella direzione del bancone però lo costrinse a includere nel proprio campo visivo il vecchio televisore appeso alla parete e quindi a vedere oltre che sentire la notizia flash del notiziario delle sette.
 
“PARE CHE L’ARMATURA IRON MAN SIA STATA VISTA SFRECCIARE VIA NEI CIELI DI NEW YORK […] UN ATTACCO INSPIEGATO SUBITO FUORI IL MIT HA POI COINVOLTO L’AUTO SU CUI STARK E LA SUA SEGRETARIA STAVANO VIAGGIANDO CHE HA FATTO PERO’ PERDERE LE LORO TRACCE …”
 
Il servizio che fino ad allora aveva mostrato il primo piano di una una macchina volante umanoide prima, un ingorgo i cui suoni di clacson e motori venivano interrotti da ripetuti spari con la successiva dipartita di una macchina nera, infine rivelò un uomo accerchiato da paparazzi che venne presto raggiunto da …
Schiudendo gli occhi piantò con una manata sul bancone 15 dollari dirigendosi verso l’uscita proprio mentre Glenn lo stava raggiungendo con la nuova pinta in mano.
 
“Per te amico, tieni il resto”
“C-ciao Logan …”
 
Facendo spallucce alla sua dipartita il bar man tornò alla sua postazione scolandosi una buona Molsen in tutta tranquillità.
 
Se non rispondo vorrà dire che ho da fare, ti richiamerò tranquillo …
 
Tranquillo un corno.
 
 
 
 
TH

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