Summer Loving

di Noony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1° settimana - Venerdì ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


SummerLoving







 Summer Loving 

"Sarà gioco o amore chissà? Nelle sere d'estate si fa!"
                                                                                         Cit. da Grease
                                                   "Summer Nights" nella versione italiana "Sere d'Estate"


Prologo
Giovedì. 
-Mi raccomando!- ripeté Giulio per l'ennesima volta. - Ti vengo a prendere a mezzogiorno, che abbiamo il pranzo dai nonni. Sai che ci tengono a salutarti prima che tu parta.- Cecilia fissò il paesaggio sfuggire via alla sua vista, attraverso il finestrino dell'auto.
-Okay, papà.- mormorò con voce atona. L'auto cominciò a rallentare, permettendole di afferrare tutti quei particolari del paesaggio metropolitano che prima non erano altro che pennellate indistinte di grigio, con qualche sbavatura di colore qui e là, apparentemente priva di senso. Sospirò sollevata quando infine si fermò, permettendole di scorgere con chiarezza il grigiore della città che faceva risaltare l'insegna colorata del piccolo bar dove aveva appuntamento con le sue amiche. Scoccò un bacio sulla guancia di suo padre e scese il più velocemente possibile dall'auto. A pochi metri da loro, Claudia l'aspettava, le braccia incrociate al petto, il suo solito sorriso sprezzante sul volto. "Sei in ritardo", sembrava dirle, "come sempre". Non è che Cecilia fosse una ritardataria cronica. Era Claudia che arrivava in anticipo, per il puro gusto di farla sentire inadeguata.
-Pronta per il trasferimento in Burundi? Ah no scusa, è a Cagliari che vai.- disse Claudia con sarcasmo, storcendo il naso e calcando le ultime parole con tono disgustato. - Ma che hai fatto per farti mandare in esilio? Dai, tuo padre ti deve aver beccato con uno! Con Simo, è così! Cioè, può essere solo questo il motivo, se no tuo padre ti avrebbe mandato tipo in Costa Smeralda, non a Cagliari. Non c'è niente lì! Neppure le pecore.- Cecilia evitò di rispondere riempiendosi la bocca con una cucchiaiata di gelato.

In realtà lei ricordava Cagliari come una bella città, anche se i suoi ricordi erano vaghi. Ricordava che suo padre la portava a passeggiare tra le stradine della marina, tanto strette che una sola automobile ci passava a stento. Lui la prendeva sulle spalle mentre qualcuno, non ricordava bene chi, arrancava dietro loro,e suo padre per far loro dispetto quasi correva, facendola sobbalzare come se si trovasse su una giostra. Ricordava i gelati mangiati sotto il sole cocente d'agosto, il mare, e quel costumino tutto fronzoli e fiocchetti che sua madre le aveva comprato per l'occasione, e i complimenti che il padre le faceva quando lo indossava.

Ma Claudia come poteva capire, come poteva riuscire a grattare la superficie e vedere la sua tristezza, a captare il suo bisogno disperato di sincerità e conforto? Lei viveva in un mondo di veline e tronisti, dove se non ti adegui, se non frequenti i posti giusti e la gente giusta non sei nessuno.Non c'era spazio per le amicizie sincere, non c'era spazio per lei in quel mondo. Cecilia aveva desiderato disperatamente farne parte, come se questo avesse potuto cambiarla, cambiare l'immagine che aveva di sé perché fosse adeguata a ciò che gli altri volevano lei fosse. Si era sbagliata. La faceva sentire ancora più diversa, in qualche modo inadeguata.

-Già... Non so che gli prenda...- borbottò avvilita. - Come mai le altre non sono venute?- Chiese poi, cercando di sviare la conversazione verso argomenti meno compromettenti. Se le avesse detto che era stata lei a chiedere a suo padre di lasciarla partire, ma che Cagliari era stato l'unico posto in cui l'avrebbe lasciata andare da sola, perché solo lì sarebbe stata controllata a vista, Claudia avrebbe sottolineato come fosse sempre stata così codarda, e che se fosse stata al posto suo avrebbe fatto quello che voleva, se le andava.

-Non avevano tempo, partono anche loro la prossima settimana, non te lo ricordi?- E come poteva dimenticarsene dopo che avevano organizzato una vera e propria festa d'addio con tanto di regali e lacrime di commozione, come se stessero partendo per la guerra per non far più ritorno? Invece Cecilia poteva pure sparire nel nulla e nessuna di loro se ne sarebbe preoccupata, a dimostrazione che non la ritenevano abbastanza importante. - Loro sì che vanno in dei posti fantastici. Laura va a Sharm, e Mara in Costa Azzurra. E tu dove vai? Tra le pecore! Che schifo!-

Cecilia mise su un sorrisetto di circostanza. Non lo sapeva perché le era amica. Se lo chiedeva ogni giorno e ogni volta le era impossibile trovare una risposta. Non si ricordava per quale motivo l'avesse ritenuta simpatica, perché aveva desiderato entrare a far parte della sua ristretta cerchia di amicizie. Ora capiva perché era tanto ristretta: Claudia era odiosa, stupida e ignorante, ma lei non aveva abbastanza forza per allontanarsene. Come la falena non riesce ad allontanarsi dalla fiamma, attirata e intrappolata dalla sua luce, splendida e letale, evanescente ma capace di segnare la pelle indelebilmente. L'aveva attirata la sua sicurezza, ma con quella la feriva ogni qualvolta poteva, rimarcando sempre con l'evidente intento di farle del male quanto manchevole fosse in ogni cosa facesse.

Cecilia mise giù la coppetta del gelato. Aveva preso una piccola, misera coppetta da un gusto, mentre Claudia una cialda da tre gusti con le immancabili decorazioni di biscotto che probabilmente avrebbe dovuto pagare lei. Buttò un'occhiata all'orologio al suo polso. Le undici. Era passata solo mezz'ora e lei non poteva resistere un minuto di più, doveva andarsene, era questione di sopravvivenza: un altra ora con lei e avrebbe detto addio alle sue facoltà intellettive. - Accidenti, è tardi!- disse con una vocetta nervosa, alzandosi in fretta.- Devo proprio andare, mio padre mi aspetta a casa, lo sai che se tardo un minuto gli prende una sincope.- mentì spudoratamente.

-Sì, sì certo, divertiti nel profondo sud.- le disse l'altra, ridendo con quella sua risatina acuta e frivola che Cecilia detestava. Le sembrava, a volte, che ridesse solo nel tentativo di perforarle un timpano. -... e grazie per il gelato. Non dovevi proprio!-

Come volevasi dimostrare. Come se avesse potuto rifiutarsi.

Quando suo padre la vide tornare, per poco non gli prese davvero una sincope.
-Mi hanno accompagnato i genitori di Clà.- liquidò così la questione, prima che gli venisse una crisi di panico. Cecilia aveva imparato che a volte era preferibile mentirgli, se non altro per la sua salute. - Vado a finire le valigie.- e corse a chiudersi in camera prima che suo padre potesse farle qualche domanda a cui non poteva o non voleva rispondere.
Una volta nella sua stanza sedette sul letto, accanto alla valigia già piena ma ancora aperta. Stava facendo la cosa giusta? Stava scappando da un padre troppo apprensivo e da delle pessime amiche, tutte cose che invece avrebbe dovuto affrontare. Non aveva altri motivi per andare dove stava andando.
Si guardò intorno. Le pareti della sua camera erano rosa pallido e ricoperte di poster di quegli stupidi musical disneyani che facevano impazzire le sue amiche ma che lei trovava detestabili, intrisi com'erano di finto perbenismo all'americana, dove tutti sono perfetti e felici. Il suo letto aveva la testiera in ferro battuto bianco, così come bianco era il resto del mobilio. Tutto era così pieno di ghirigori che non l'aveva sorpresa quando Claudia l'aveva rinominata “la stanza della principessina di papà”.
Si alzò e si avvicinò ad uno dei poster: il bello di turno le sorrideva vacuo e immobile, con la tipica espressione vuota che lascia alle adolescenti la libertà di illudersi che in quegli occhi fissi ci sia un po' d'amore anche per loro, o solo per loro. Ma lei lo sapeva che non era così, che quello non era che un pezzo di carta e che lei quell'attore non l'avrebbe mai incontrato. Non le importava neppure. Sollevò le mani e le posò sul poster, facendo scorrere i polpastrelli sulla carta lucida e liscia fino ai bordi superiori, dove artigliò la carta e...Strap! Un colpo secco e strappò via il poster.
Gli angoli rimasero incollati alla parete, tenuti su dal nastro adesivo che fu quasi liberatorio rimuovere pian piano con un unghia. Altrettanto liberatorio e terapeutico fu vedere nuovamente la parete pulita e libera da quella spazzatura. Uno dopo l'altro, questa fu la sorte che toccò ad ognuno di quei poster. Tutto venne appallottolato e scalciato sotto il letto. "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.", si disse. Fu entusiasmante, il rumore della carta strappata quasi era riuscito a rilassarla. Si stava riprendendo i suoi spazi. Era come svoltare pagina e cominciare a scrivere un nuovo capitolo della sua vita.
Quando tornò a guardarsi intorno i muri di nuovo immacolati le diedero l'impressione che la stanza si fosse fatta più ariosa e luminosa, e fu certa di stare facendo la cosa giusta, per il momento. Sarebbe tornata in un posto dove aveva vissuto dei momenti speciali con suo padre, quando ancora non la soffocava con la sua apprensione, quando sua madre non se n'era ancora andata e loro erano una vera famiglia, dove l'avrebbero accolta (sperava) con sincera gioia. Nessun altro l'avrebbe accudita meglio di come avrebbe fatto Clelia Marongiu, amica di vecchia data di suo padre. La ricordava vagamente, ma le era rimasto impresso il ricordo di lei che la riempiva di dolcetti alle mandorle avvolti in carta colorata. Aveva quindi per istinto un'ottima opinione della donna, anche se questa si basava su un momento tanto lontano nel tempo che probabilmente non aveva senso alcuno credere che l'idea che si era fatta di lei potesse avere fondamento.
L'unica pecca? Lei aveva due figli: uno di diciannove anni e una di diciassette, sua coetanea, con cui, costretta da sua padre, aveva scambiato qualche email. Tale Bianca Marras sembrava un tipino esuberante, fin troppo per i suoi gusti, una di quelle ragazze che non te la manda a dire, ma aveva avuto anche l'impressione fosse, a modo suo, una ragazza a posto, una di quelle di cui ci si può fidare. Odiava essere forzata a socializzare però, e avrebbe dovuto farlo visto che i Marras l'avrebbero ospitata in casa loro per ben cinque settimane. Aveva quindi deciso di essere molto gentile con tutti loro, ma senza aspettarsi nulla e sperando loro non si aspettassero nulla da lei. Che serà serà, insomma.
Suo padre invece credeva le avrebbe fatto bene avere un'amica della sua età che non fosse Claudia o Laura o Mara, e non sembrava essere preoccupato della presenza del ragazzo. Di solito il solo pensiero che un ragazzo potesse interessarsi a lei lo mandava in escandescenze. Di questo Alberto però non si preoccupava affatto. Lui credeva che, siccome avevano giocato insieme quando erano dei bambini, dovessero considerarsi l'un l'altro come fratello e sorella. Lei non si ricordava neppure il suo volto, figurarsi se l'avrebbe potuto considerare come un fratello.
Cecilia diede un'ultima occhiata alla sua stanza, ripulita dalla spazzatura, infilò alcune maglie che suo padre le aveva lasciato, ben piegate e stirate, sul letto e le infilò in valigia. Ormai vi aveva messo tutto il necessario. La chiuse e la tirò giù, posandola sul pavimento. Tornò a sedersi sul letto. Aveva bisogno di occupare il tempo, altrimenti non sarebbe passato mai. Si alzò nuovamente solo per andarsi a sedere alla scrivania. Accese il suo nuovo notebook, regalo di sua madre. Era rosa. Bastava questo particolare a farle comprendere quanto poco sua madre la conoscesse: lei odiava il rosa. Ma non si aspettava nulla di meglio da lei.
Non sapeva cosa fare. Non era mai stata una grande amante della tecnologia, che riteneva una scomoda necessità. Stare davanti ad uno schermo era una perdita di tempo, ma considerando il fatto che ne aveva a iosa quello poteva essere un modo accettabile di occuparlo. Pensò di dare un'ultima controllata al suo account di posta elettronica nella speranza vana di ricevere un'email da Mara o Laura, o meglio nella speranza di scoprire che qualcuno si era ricordato di lei. E un'email c'era, ma non era né di Mara né di Laura: era di Bianca. “Buon viaggio. Soldato!” diceva l'oggetto del messaggio. Le pareva incredibile che una ragazza che quasi non la conosceva le avesse davvero scritto solo per augurarle buon viaggio. In tutto quello che Bianca le scriveva, email lunghissime e piene di faccine sorridenti, c'era qualcosa di autentico. Sembrava sincera e molto ben disposta nei suoi confronti. Quando l'aprì sorrise nel notare lo stile in cui le aveva scritto quella volta.

Soldato, attenti! U_U7
Mancano un giorno e tredici ore all'ora X. Qui è tutto pronto per la missione.
Il campo base è stato allestito, ed è pronto per essere occupato.
Si attende il Suo arrivo.
Alcuni avvenimenti importanti sono accaduti, eccoli riassunti: mamma sclera, non sa dove fare l'uovo, continua a pensare a cosa possa piacerti, e se dividere la camera con me sarà un problema. Urgono misure drastiche ma rassicuranti.
Insomma, siamo tutti in fibrillazione! XD Sarà divertente averti qui! :-)
Mamma mi ripete di continuo che dovrò essere gentile con te (come se non fosse scontato U.U ) e non farle fare brutta figura.
Mi ha raccontato che l'ultima volta che sei venuta in vacanza da noi io giocavo con il fango e tu mi guardavi inorridita... Oh... Improvvisamente capisco perché ha paura di fare una figuraccia! ^_^” Tranquilla, ho smesso di giocare con il fango... Sono passata alla plastilina! XD
Ehm ehm... Comunque... Si aspettano comunicati dal fronte.
Tenente Bianca a rapporto, soldato! U_U7
P.S. Buon viaggio, Cecilia! :-) Ci vediamo domani all'aeroporto.

***

-Ripetimelo un'altra volta: perché non puoi venire alla mia festa domani?- Chiese Giorgia per la terza volta. E ogni volta che lo costringeva a ripetere le sue motivazioni, il suo volto sembrava somigliare sempre più alla maschera di un merdules: deformato dalla rabbia più che dalla fatica, più simile ad un demonio che ad altro, buono solo a far prendere paura. Perché Giorgia era così, buona e cara quando le faceva comodo, ma guai a contraddirla. Era la ragazza più viziata che avesse mai conosciuto. Ad Alberto pareva insopportabile.
-Ancora? Te l'ho detto, ho un impegno con i miei.- replicò sospirante, stanco di doverlo ripetere per l'ennesima volta.
-Certo! Ti aspetti pure che ci creda, quando non mi dici neppure cosa devi fare!- sbuffò la ragazza, incrociando le braccia sotto il seno, sempre ben messo in evidenza da esagerate scollature e probabilmente da dei push-up. Non che ad Alberto dispiacesse quel “panorama”. Ciò che non gli piaceva era il modo in cui Giorgia ostentava le sue belle curve.
-Devo andare in aeroporto a prendere la figlia di un amico di mia madre che, prima che tu me lo chieda, si chiama Cecilia e arriva da Milano. Contenta ora?- disse esasperato, mentre cercava di concentrarsi intensamente sulla guida e la strada davanti a lui, illuminata dai fari dell'auto, per non pensare a quanto lei riuscisse a irritarlo oltre il sopportabile ogni volta che apriva la bocca.
-Ah, certo! Ti pareva! Se non ci fosse stata di mezzo una ragazza non avresti mai mosso il culo da casa! Una continentale del cavolo, poi! E scommetto che è bionda e ha gli occhi azzurri, ovvio! Se non fosse così, ovviamente, non ti scomoderesti di certo. Mi fai schifo e basta, Alby!-
Alberto sbuffò. Le prime avvisaglie di un brutto mal di testa cominciavano a farsi sentire. - Lo faccio perché mi costringe mia madre. Se non lo facessi non mi presterebbe la macchina nuova, e sul vecchio catorcio che i miei mi hanno passato tu non saliresti mai.- aggiunse in tono accusatorio, mentre svoltava l'angolo in una stradina del centro di Cagliari e parcheggiava davanti dal portone della ragazza.
-Si, come no! Fattela comprare la macchina, i tuoi sono ingegneri, mica dei poveracci! Sei... Sei proprio uno stronzo! Sai che ti dico, con te non ci esco più!- si slacciò la cintura di sicurezza con uno scatto furioso, tanto che sembrava volesse strapparla e portarsela via, magari per appenderla al muro della sua camera come trofeo di guerra dato che, per ovvi motivi, non poteva prendere il suo scalpo. Aprì lo sportello con tanta forza da farlo quasi sbattere contro il muro accanto, e Alberto rabbrividì al pensiero che per la rabbia avrebbe potuto pure ammaccare intenzionalmente l'auto nuova dei suoi genitori. La ragazza invece si militò a scendere senza neppure salutare, sbattendo la portiera con tutta la forza di cui era capace, tanto da far vibrare i vetri dei finestrini. Alberto attese che avesse attraversato la porta di casa e l'avesse richiusa alle sue spalle, più per educazione che per sincero riguardo nei suoi confronti. Solo quando finalmente fu lontana dagli occhi (e ancor di più dal cuore) poté rilassarsi. Posò la testa contro il volante e mormorò - Grazie Signore, grazie! Questa ragazza mi fa venire voglia di farmi prete! Ma chi me l'ha fatto fare?- si chiese e subito rispose – Stefano, ecco chi me l'ha fatto fare!- sbotto, maledicendo mentalmente l'amico, fratello di Giorgia, che l'aveva dipinta come una “ragazza dolce e tenerosa”. Sì, Giorgia era dolce... Come una tigre pronta a divorare la sua preda.
Una come lei non l'avrebbe augurata neppure al suo peggior nemico. Era una bella ragazza, ed era stato questo ad attirarlo, più delle immeritate lodi con cui Stefano l'aveva imbottito e rabbonito, come la fiamma attira la falena prima di bruciarne le ali. E come se fosse fiamma era rimasto scottato. Carbonizzato, avrebbe più propriamente detto Alberto.Giorgia era tutto ciò che più detestava: immatura, viziata, arrogante e permalosa, e saccente oltre ogni sopportazione. Erano usciti insieme sporadicamente nell'arco di qualche mese, ma lei dopo il primo appuntamento aveva cominciato a comportarsi come una moglie gelosa. E cosa peggiore, era appiccicosa e possessiva come se Alberto avesse tatuato su una natica "proprietà di Giorgia Perra". Aveva provato a farle capire che non aveva alcun interesse a proseguire quella frequentazione, ma lei faceva finta di non aver afferrato l'antifona. Trovava, invece, sempre il modo di costringerlo a uscire da soli, senza farsi alcuno scrupolo a mentire. Ormai cominciavano a essere tante le volte in cui si sarebbero dovuti vedere con il solito gruppo di amici e che stranamente tutti davano forfait, esattamente come quella sera.
Le sue parole, quindi, suonavano piacevoli, così desiderabili alle sue orecchie. "Speriamo si trovi un altro povero idiota in fretta" si disse mentre ingranava la prima e ripartiva, commiserando il povero diavolo a cui sarebbe toccata in sorte una ragazza come lei.

-Allora, l'hai mollata, quella?- chiese sua madre, ancora prima che si fosse chiuso la porta di casa alle spalle.

-Ciao mamma! Sì tutto bene, grazie per avermi salutato così affettuosamente!- Alberto si affacciò in salotto, dove i suoi genitori, sdraiati su un divano e abbracciati come due fidanzatini, guardavano un documentario alla T.V. Era una delle loro serate tipo: documentario, coccole, una coppa di gelato e poi via a dormire. Da quel che poteva vedere, due coppette in plastica vuote e abbandonate sul tavolino del salotto, avevano già concuso la fase dell' “ingozziamoci di gelato fino a star male”. - Vi avverto... Non voglio altre sorelline in mezzo alle scatole, eh! Mi raccomando, le precauzioni!- Suo padre si limitò a lanciargli un cuscino, senza degnarlo di ulteriore risposta.
-Ma che scemo che sei!- disse invece sua madre, alzando appena il capo dal petto del marito. - Comunque non hai risposto: l'hai mollata sì o no?- Era chiaro che sua madre non aveva preso in simpatia Giorgia. Ma chi avrebbe mai potuto trovarla simpatica?
-No... Ma mi ha mollato lei!- rispose il ragazzo, ridendo. Suo padre scosse il capo e rise con lui, dicendo alla moglie: - Clelia, é uno che si riprende in fretta, meno male!-
-Meglio così! Non dovrai neppure sentirti in colpa! - rispose Clelia. - Sono contenta. Quella là non ti merita proprio.- si preoccupò di sottolineare. Era sua opinione che non esistesse donna al mondo che potesse meritare un ragazzo come il suo Alberto, che era così affettuoso, intelligente, altruista e ancora una lista quasi infinita di pregi che il suo cuore di mamma le faceva credere suo figlio possedesse. Bisogna dire che non erano lodi del tutto immeritate, ma la donna non era disposta ad ammettere che il suo bambino adorato potesse avere anche dei difetti. Ben diversa era l'opinione di suo marito Angelo, che nel loro Alberto vedeva un buon miscuglio di pregi e di difetti che se mantenuti in costante equilibrio l'avrebbero portato lontano, ovunque volesse andare.
Il ragazzo non rispose se non con un sorriso e un rotear degli occhi. Inutile discutere con sua madre, che non si rendeva conto che a diciannove anni non era più il suo bambino. Non avrebbe potuto tenerlo segregato in casa per tutta la vita. Presto, molto presto avrebbe spiccato il volo, doveva solo trovare il momento giusto per parlarle. Ma quel momento sembrava non arrivare mai.
-Va bene, vi lascio soli prima che mi facciate altre domande imbarazzanti. Tu...- puntò l'indice contro suo padre, per poi portarlo a un occhio. - Giù le mani da mia madre, ti tengo d'occhio.- Le sorrise e salì in camera sua.







L'angolo dell'autrice:
Ebbene si, sono tornata con una nuova storia, un poco più leggera di Hopelessly devoted to you, che per ora è in pausa (non vi preoccupate non vi farò aspettare mesi per un capitolo :-) ). Posto il primo capitolo a mò di valutazione, come mio solito, ma in ogni caso man mano che li scriverò pubblicherò anche il resto della storia. Spero vi piaccia, e in caso, vogliate dare uno sguardo anche alle mie altre storie. :-)
Piccole precisazioni: un merdules è una tipica maschera sarda:
Merdules
Mentre con il termime "continentale" noi sardi indichiamo chi vive in continente, ovvero nella penisola italiana. Non è un termine usato con valenza negativa o come dispregiativo, ma semplicemente lo usiamo per differenziare noi isolani da chi abita nella penisola.
Detto questo, se ci sono altri dubbi, chiedete pure.
Un salutone! ^.^








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Capitolo 2
*** 1° settimana - Venerdì ***


SummerLoving







 Summer Loving 

"Sarà gioco o amore chissà? Nelle sere d'estate si fa!"
                                                                                         Cit. da Grease
                                                   "Summer Nights" nella versione italiana "Sere d'Estate"



1° settimana.

Venerdì.

Alberto si appuntò mentalmente di insegnare a sua sorella a tenere la bocca chiusa. Ormai quasi tutti gli amici in comune gli avevano chiesto informazioni sulla continentale, metà di loro intendeva provarci con lei. Si auguro, per il suo bene, che fosse una racchia. Almeno avrebbe vissuto in pace le sue vacanze, senza dover combattere con uno stuolo di spasimanti ormone-dipendenti.

-Quindi domani arriva la continentale eh?- ecco, di nuovo quella domanda! Alberto si voltò di scatto, e fece per dare una rispostaccia, ma la voce gli morì in gola. Cristiano, il suo migliore amico nonché ragazzo di Bianca, prese posto accanto a lui, sedendo sulla sabbia, che era piacevolmente tiepida sotto il loro ombrellone.

-Mi stavi per mandare a quel paese?- chiese ridendo.

-Si!- ammise candidamente Alberto. - Sei tipo la millesima persona che mi fa questa domanda! Sono venuto al mare per rilassarmi e prendere una sana e attraente abbronzatura!- Cristiano rise. Lo trovava esilarante quando fingeva d'essere così vanesio. - Ma poi perché la chiamate tutti così? Ha un nome la povera ragazza!-

-Ah! Tu e l'iperbole! Un binomio inscindibile!- sospirò l'amico, con aria fintamente adorante. - Hai ragione, riformulo la domanda: quindi domani arriva Cecilia?- chiese nuovamente.

-Crì, non so neppure cos'è un iperbole!E non osare sottolineare la mia ignoranza!- rimbeccò l'altro, infilandosi gli occhiali da sole. - Ma grazie per il tatto. Avrei preferito non me l'avessi chiesto anche tu. Non ne posso più!- sospirò annoiato.

-Come sei permaloso! Cecilia penserà che tutti noi sardi siamo permalosi se continuerai a comportarti così!- Alberto si limitò a sogghignare. Si sdraio sul suo asciugamano, girandosi sulla schiena. Cristiano continuò. - é davvero bella come dice Bia?-

-Bianca esagera! é gasatissima per il suo arrivo e neppure se la ricorda! Di lei abbiamo solo una foto, in cui lei e Bianca avevano tipo sei anni. Credo rimarrà molto delusa. Per questo io preferisco non pensarci neppure. Non creo false aspettative, né per me né per gli altri.-

-Bia direbbe che sei arido di cuore, ma non hai tutti i torti!- convenne il ragazzo, lasciandosi scappare un profondo sospiro. - A proposito di delusioni...- la sua voce cominciò a incrinarsi.- Sai, Giorgia ci ha messo al corrente della vostra... rottura.-

Alberto sbuffò di rimando. - Rottura sarà lei... Di scatole però!Non siamo mai stati insieme, non l'ho mai toccata con un dito.- sbottò, tirandosi a sedere. - Scommetto che lei ha detto che l'ho sedotta e abbandonata.- Cristiano non rispose. Gli bastò guardarlo negli occhi perché Alberto capisse. - Mio Dio! é capace di farsi venire una gravidanza isterica pur di vendicarsi...-
-O costringerti a stare con lei.- concluse l'amico per lui. - La devi ignorare. Nessuno ci ha fatto troppo caso, comunque.- scrollò le spalle, voltandosi poi a guardare il mare... O a guardare Bianca seduta sul bagnasciuga, a chiacchierare con la sua amica Sabina. Sicuramente guardava Bianca. - I ragazzi dicono che vuoi tenerti il nuovo arrivo per te.- Alberto non rispose. Posò lo sguardo sulla schiena abbronzata della sua sorellina, cui bikini bianco risaltava ancor di più l' abbronzatura facendola apparire più scusa di quanto non fosse in realtà, invidiando lei e Cristiano per essersi trovati.
Molti ragazzi non avrebbero tollerato un simile affronto: l'adorata sorellina e il migliore amico insieme, da tanti era vissuto come un tradimento. Il ragazzo invece era felice, non avrebbe potuto affidarla a una persona migliore, e poi erano una bella coppia, ben assortita, di quelle in cui l'uno sopperisce alle mancanze dell'altro. Si conoscevano bene l'un l'altro e avevano un feeling incredibile. Forse non si sarebbero amati per sempre, ma non era detto il contrario.
Alberto ultimamente aveva avuto solo delusioni. Le ultime ragazze che aveva avuto la sfortuna di frequentate, inclusa e soprattutto Giorgia, erano delle bambine troppo cresciute: incredibilmente immature e con un quoziente intellettivo inferiore, anzi molto inferiore alla media. Era stufo di quel genere di appuntamenti in cui si annoiava terribilmente e desiderava solo tornarsene a casa.

Qualche volta aveva inventato delle scuse davvero terribili pur di mettere fine allo strazio.

I miei sensi di ragno mi dicono che è successo qualcosa a casa! Mi dispiace, devo andare!” e scuse simili. Quando l'aveva detto ad una ragazza, e lei ci aveva persino creduto, si era chiesto se non avesse un futuro come attore.
Stefano lo tormentava per questo: ad Alberto piacevano le ragazze, quanto piacciono ad ogni diciannovenne, e aveva avuto le sue esperienze, ma non gli bastava che respirassero o che fossero ben predisposte nei suoi confronti. Non cercava una storia d'amore epica ma neppure una sterile storiella da una botta e via. Lo trovava degradante per ambo le parti. Purtroppo ancora non era sicuro di sapere cosa realmente desiderava. Aveva preso una decisione importante: per un po' niente ragazze. Si sarebbe schiarito le idee e finalmente avrebbe posto fine ai drammi e alle scenate di gelosia.

-No, non me la voglio tenere per me.- disse infine. - Io non ho la tua fortuna. Non ho trovato una ragazza che mi abbia conquistato. Il mio destino è quello di essere lo zio scapolo e affascinante.- rise, dando una leggera spallata all'amico. - E non credo di trovare miracolosamente la mia anima gemella in questa Cecilia.-


-Alby, sistemati la camicia! Ma non potevi pettinarti meglio?- Alberto lo considerò un grave insulto, lui che era sempre molto attento al suo aspetto fisico. Aveva indossato una camicia a maniche corte con una fantasia a quadroni, dei jeans scuri, che lo stavano facendo sudare copiosamente, nonostante l'aria condizionata che rinfrescava il terminal dell'aeroporto, ma che facevano la loro figura e le allstar bianche, praticamente un classico. Si riteneva quindi ben vestito per l'occasione. Si sforzò di ignorare le parole di sua madre: la donna era nel panico. L'aereo su cui Cecilia si trovava era in ritardo di quaranta minuti, e Giulio continuava a tartassarla di telefonate. Quell'uomo era decisamente troppo apprensivo per i suoi gusti. Doveva darsi una calmata o gli sarebbe scoppiata un'arteria.
-Okay, capito, sei leggermente nervosa, quindi vado al bar da papà e Bianca...- mormorò, defilandosi prima che sua madre lo costringesse a rimanere insieme a lei, ad assistere a una crisi di nervi molto prossima.

Quando raggiunse i due li trovò seduti ad un tavolino, sorseggiando entrambi un caffè, uno immerso nella lettura di un quotidiano, l'altra con il naso affondato tra le pagine di un romanzetto rosa. Prese una sedia da un tavolo vuoto li accanto e sedette.
-Sei fuggito anche tu?- gli chiese Angelo, ammiccando con aria d'intesa verso la figlia, che però era troppo presa nella lettura per prestar loro attenzione. Alberto annuì mentre si allungava verso la sorella, prendendo la sua tazzina, senza che lei muovesse muscolo.
-Uhm... Buono, sa di caramello!- restituì la tazzina alla legittima proprietaria dopo aver preso un sorso di caffè, quindi si alzò piano e aggirando il tavolino per arrivarle alle spalle lesse con tono inspirato: -“E JeanPaul la spinse sul letto con violenza, prendendola con tutto il suo virile ardore. La sua virilità si ergeva turgida come baluardo del piace...”-
-Alberto, e basta!- esclamò Angelo, mentre sollevava il giornale perché ne coprisse il volto arrossato per l'imbarazzo. Che la sua piccola Bianca potesse anche solo pensare al sesso era per lui fonte di grande imbarazzo.
Bianca sembrò ridestarsi dalla trance in cui era entrata. -Alberto! Smettila di ficcanasare!- lo rimproverò, chiudendo il librucolo di scatto e infilandolo lesta nella borsa. Fece per prendere la sua tazzina. - Ma me l'hai bevuto tutto!- piagnucolò, mostrando al fratello la tazzina di cui rimaneva solo il fondino di zucchero.
-Era buono! Qualsiasi cosa fosse era molto buono! E poi ne ho bevuto un sorso solo!- si giustificò lui, tornando a sedere. - Comunque poi me lo devi prestare quel libro!- Ridacchiò.
-é caffè al ginseng, è buonissimo ed energizzante!- Bianca si affrettò a replicare, con aria da grande intenditrice. Poi gli si accostò piano, con fare guardingo, per sussurrargli: - Comunque... Se ti interessa il genere...- ammiccò furiosamente e con un cenno del capo indicò la sua borsa, appesa allo schienale della seggiola. - La mamma ne ha uno scatolone pieno in soffitta, in caso tu voglia... Documentarti...-
-Mio Dio! Viviamo in una casa peccaminosa, noialtri!- esclamò il ragazzo, portandosi una mano al petto, fingendosi tremendamente scandalizzato.
-Ragazzi, finitela o...- Angelo fece per rimproverare i suoi figli, ma prima che potesse terminare venne interrotto da Clelia che chiamandoli e sbracciandosi dall'ingresso del locale, richiamava la loro attenzione: l'aereo doveva essere finalmente atterrato.

Angelo si voltò e le fece segno di raggiungerli. Probabilmente avevano ancora una ventina di minuti prima che Cecilia li raggiungesse, che senso avrebbe avuto aspettare in piedi come tante belle statuine?


***


L'aereo atterrò con un sobbalzo violento. A Cecilia sembrò stesse rimbalzando per tutta la lunghezza della pista d'atterraggio. Non era proprio il miglior atterraggio della storia, ma era comunque un sollievo atterrare dopo aver sorvolato la costa per mezz'ora, girando in tondo. Non che fosse stato del tutto tempo sprecato: aveva goduto della splendida vista della costa sarda al tramonto. Aveva visto, tra le altre cose, una lunghissima spiaggia ancora tanto affollata che poteva vedere gli ombrelloni uno accanto all'altro, come tanti pois colorati, e le persone che l'affollavano come tante brulicanti formichine.
Un simpatico vecchietto che le sedeva accanto le aveva tenuto compagnia, il Signor Efisio Pinna per l'esattezza, che le aveva raccontato, che le interessasse o no, vita e miracoli dei figli emigrati al nord Italia, dei nipotini e di quanto gli pesasse essere un pensionato dopo aver insegnato disegno tecnico alle medie per una vita intera. Poi, come un vero gentiluomo, l'aveva aiutata a prendere il suo bagaglio a mano dai vani sopra i sedili. A sua volta lei l'aveva aiutato a prendere la sua valigia dal nastro trasportatore, sebbene lui insistesse di essere in grado di farlo da solo.
A Cecilia era sembrato il minimo da farsi per ringraziarlo: il volo, seppure breve, sarebbe stato mortalmente noioso senza le sue chiacchiere. Inoltre ne aveva non solo apprezzato ma anche ammirato la discrezione: le aveva chiesto il suo nome e in cambio le aveva dato il suo, aveva poi chiesto se si recava in Sardegna per le vacanze, e nulla di più di questo.
Una volta usciti dalla zona di ritiro dei bagagli l'uomo la salutò con una delicata stretta di mano e con una raccomandazione, in cui parve infondere tutta la serietà di cui era capace :- Buone vacanze signorina! E stia attenta ai giovanotti sardi, che sono dei mascalzoni!- Cecilia gli augurò a sua volta una buona serata e stranita l'osservò allontanarsi mentre lei si faceva da parte per non intralciare la fiumana di viaggiatori appena arrivati che smaniavano solo di ricongiungersi con i propri cari, di tornare a casa o molto probabilmente di cominciare le tanto agognate vacanze.
Non sapeva dove guardare né chi cercare. Tanta era la gente che affollava la sala d'attesa del terminal che dall'angolo in cui si era rifugiata non riusciva a vedere granché, in ogni caso. Gli altri passeggeri appena atterrati venivano accolti da familiari o amici da cui ricevevano abbracci e baci, e sentì di invidiarli per l'allegria e la felicità che riuscivano a esprimere e comunicarsi l'un l'altro. Lei non poteva certo aspettarsi tali dimostrazioni d'affetto, stava per incontrare dei perfetti sconosciuti, o quasi.
Cercò nuovamente con lo sguardo il suo compagno di viaggio, e lo scorse accanto all'uscita. Salutava qualcuno, ma non riusciva a vedere chi fosse, perché una famigliola in attesa le ostruiva la visuale. Con molta nonchalance si spostò di qualche passo: era curiosa, e d'altronde non aveva altro da fare per ingannare l'attesa. Il Signor Pinna stava in compagnia di un bel ragazzo abbronzato, alto e dalle spalle larghe, a cui dava degli schiaffetti sul volto. Il giovane non solo sembrava gradire quel gesto, come se fosse il massimo dell'affettuosità, ma sembrava trovarlo molto divertente, perché rideva di gusto, e a Cecilia sembrò veramente bello, molto più di qualsiasi ragazzo avesse mai incontrato.
Obbiettivamente: era un ragazzo davvero carino, ma nulla di esaltante, sia chiaro. Era quel tipo di baldo giovine a cui, se ti dovesse passare accanto per la strada, non rifiuteresti di dare un'occhiata... o anche due. Agli occhi di Cecilia però, per qualche motivo astruso e incomprensibile, appariva come un adone.
Aveva i capelli scuri, lasciati piuttosto lunghi così che si poteva notare come fossero mossi e come tendessero ad arricciarsi sulle punte. Non riusciva a vederne il colore degli occhi, un gran peccato. I lineamenti sembravano piuttosto lineari e nessun tratto era marcato eccessivamente: la mascella era squadrata, ma non troppo, la fronte sembrava alta, ma non poteva esserne sicura, mentre intuiva chiaramente dal profilo che il suo naso era ben dritto e delle giuste proporzioni, un perfetto naso greco. Per non parlare dei suoi vestiti che, secondo il gusto della ragazza, erano perfetti e gli calzavano a pennello, soprattutto la camicia che metteva in risalto le belle spalle.
Cecilia si impose di voltarsi immediatamente e arrossì violentemente quando si rese conto di stare fissandolo con più interesse di quanto non dovesse o volesse.
Quello era proprio il tipo di ragazzo su cui Claudia si sarebbe fiondata senza pensarci due volte. Immaginò come sarebbe stato se lei fosse stata come l'amica, se avesse avuto la faccia tosta di andare da lui a presentarsi. La scusa l'aveva, grazie a Efisio Pinna, era il coraggio che latitava. Prima che potesse accorgersi di ciò che stava facendo, tornò a guardarlo, trovando la conferma della sua prima impressione: non c'erano dubbi, era bello da nodo allo stomaco e mani sudaticce.
-Cecilia?- La ragazza si voltò di scatto: una donna accompagnata da un uomo e una ragazza pressapoco della sua età, le si erano avvicinati, ma lei era stata tanto assorta a fissare il bel sconosciuto che non se n'era proprio accorta.
-La Signora Marongiu?- chiese di rimando la ragazza già pronta a tendere una mano alla donna che ora le sorrideva con gran sollievo. Aveva una folta criniera di riccioli neri, gli occhi azzurro cielo dal taglio allungato cui colore risaltava contro la pelle del volto che era splendidamente olivastra e compatta.
-Ah, sei tu per fortuna!Mamma mia quanto sei diventata bella! Scusa, ci aspetti da tanto? Sai, qualcuno...- si voltò a lanciare un'occhiata truce all'uomo appena dietro le sue spalle. -... mi ha trattenuta altrove.- Clelia ignorò la mano che la ragazza aveva teso e abbracciandola le schioccò un bacio su ogni guancia. - Chiamami Clelia, ti prego, non sono così vecchia!- rise poi, mentre indietreggiava per lasciar spazio agli altri membri della famiglia. Apprezzò il modo in cui Angelo le si approcciò. Fu discreto e sensibile all'imbarazzo di Cecilia: le tese una mano, strinse la sua calorosamente e si chinò a darle un bacio su una guancia, per poi ritirarsi celermente. Si fece anche carico dei suoi bagagli, nonostante le proteste della ragazza.
-Ciao Cecilia!- da nessuno di loro però ricevette un saluto caloroso come quello di Bianca. Prima la ragazza le fece un serioso saluto militare, per poi scoppiare a ridere e abbracciarla di slancio. Bianca era una copia in miniatura di sua madre: avevano una fisionomia simile, gli stessi occhi azzurri, e gli stessi capelli riccioluti, anche se quelli della ragazza era d'un bel castano chiaro, schiarito ancor più dal solleone sardo. Cecilia la lasciò fare, troppo imbarazzata per far nulla oltre allo stare ferma e lasciarsi stritolare.
-Finalmente sei qui! I giorni sembravano non passare mai!Vedrai, sarà fantastico, sarà come avere una sorella! Ci divertiremo da pazze, te lo assicuro!- Una cosa bisogna dirla: Bianca era carina quanto loquace. Ed era, in verità, estremamente carina.
-Andiamo truppa!- esclamò poi Clelia, facendo segno ai suoi “soldati” di seguirla verso l'uscita. - Abbiamo ordinato delle pizze per cena, spero ti piaccia la pizza Cecilia!- si rivolse poi alla ragazza, ma senza darle il tempo di rispondere esclamò: - Aspetta!- si fermò di botto e per poco Bianca non le sbattè addosso. - Mi manca un figlio all'appello! Dov'è Alberto?- Chiese a Bianca, che scosse il capo in segno di totale disapprovazione.
-Mamma, te ne sei accorta solo ora? Sono più di dieci minuti che è sparito!- Scrollò le spalle, indifferente alla misteriosa sparizione del fratello maggiore. Clelia sbuffò e borbottò come una locomotiva a vapore, inveendo contro il suo primogenito, per poi mettersi alla ricerca del cellulare nella sua enorme borsa.
Cecilia approfittò del momento di stallo per voltarsi ancora una volta a guardare il bel sconosciuto: era sempre lì, e incredibilmente, sembrava guardare nella loro direzione, anzi sembrava stesse guardando proprio lei.
La ragazza si voltò di scatto imbarazzata. Si era fatta beccare a fissare un ragazzo, che errore da principiante! E fu un errore che ripeté, perché non poté fare a meno di cercarlo ancora, voltandosi stavolta con molta più prudenza e circospezione. Lui continuava a guardarla e lei non sapeva come comportarsi.
Il signor Pinna a quel punto tirò il ragazzo per un orecchio. Il modo in cui il suo volto si contorse in una smorfia di dolore la fece quasi scoppiare a ridere, e per non farsi scoprire a sghignazzare delle sue disgrazie si voltò repentinamente dalla parte opposta e finse un colpo di tosse, coprendosi la bocca con una mano. A quel punto però Bianca le si avvicinò, rivolgendole qualche domanda a proposito del viaggio e stordendola con la sua parlantina, e lei non poté più voltarsi a guardare il ragazzo che tanto aveva attirato la sua attenzione.
-Clelia, sta arrivando.- disse improvvisamente Angelo alla moglie, che smise immediatamente di cercare di contattare il figlio via cellulare per cominciare una ramanzina con i contro fiocchi, seppure il ragazzo non li avesse ancora raggiunti. Qualcuno si voltò in loro direzione, ma i Marras non ci fecero caso. Cecilia non poté che pensare che doveva essere un'abitudine la loro, se anche l'opinione della gente, che li fissava un po' incuriosita e un po' sconvolta, non sembrava contare più granché.
-Oh, finalmente! Albé, mi hai fatto prendere un colpo! Certo che potevi avvertire prima di sparire così!- lo rimproverò, posandosi una mano su un fianco e gesticolando con l'altra, che ancora stringeva il telefono.
-Ma io ho avvertito, siete voi che non mi avete sentito!- sentì rispondere una ridente voce maschile, apparentemente i rimproveri della madre non lo sfioravano neppure.
Quando Bianca si zittì il tempo necessario perché fosse libera di voltarsi e salutare l'ultimo arrivato, restò di stucco. Il suo bel sconosciuto era lì davanti a lei ed era... Alberto Marras in carne, ossa, pelle abbronzata, occhioni turchesi, capelli scuri e gran sorriso sornione.
Quel sorriso, Cecilia l'avrebbe imparato presto, era un tratto distintivo di quasi tutti i componenti della famiglia Marras. Al contrario della madre, che quando sorrideva mostrava la dentatura bianca e dritta con degli incisivi lievemente sproporzionati, Alberto e Bianca avevano ereditato dal padre quell'insolito sorrisetto furbesco, che a Cecilia faceva pensare, per qualche motivo assurdo, ad un felino. Forse se un gatto avesse potuto sorridere, l'avrebbe fatto proprio in quel modo, incurvando gli angoli delle labbra in maniera così inusuale. Era il loro sorriso felino ed era un sorriso interessante, ma non instillava in lei istintiva fiducia.
Stentava a credere di aver fissato per tutto quel tempo proprio lui e al contempo si sentì preda di un imbarazzo e una delusione cocente. Si diede mentalmente dell'ingenua: certo che guardava nella sua direzione, teneva d'occhio la sua famiglia. Per un attimo aveva creduto che lui davvero potesse essere interessato a lei ed era stato un balsamo per il suo orgoglio ferito. La realtà era invece ben diversa e talmente deludente da risultare imbarazzante.
Quello che Cecilia non sapeva era che invece Alberto fissava proprio lei.
Quando si era allontanato dalla sua famiglia per andare a salutare il Signor Pinna, suo ex insegnante di disegno tecnico, non immaginava si sarebbe trovato nella perfetta posizione da cui osservare con calcolata discrezione una bella e pallida biondina che a qualche metro di distanza, circondata da una enorme valigia e un grosso bagaglio a mano, sembrava attendere qualcuno. Era bella come una bambola di porcellana, forse troppo magrolina per i suoi gusti, ma nulla a cui qualche settimana nell'isola non potessero sopperire.
Il vecchio signore aveva cercato di attirare nuovamente l'attenzione del ragazzo, e solo con grande fatica e impiego delle maniere forti era riuscito a riportarne almeno lo sguardo su di sé. I pensieri erano lontani qualche metro, aggrappati al bel visino della bambolina. Sì, era proprio carina, nessun dubbio a proposito.
-Tu non me la racconti giusta, giovanotto! Non si fissano le signorine, quante volte te l'ho ripetuto quando eri un ragazzetto? Devi pensare a sistemarti! Non a fare il cascamorto!-
-Ma come faccio a sistemarmi se non do un occhiata in giro, professore?- aveva risposto il ragazzo, ridendo, che nonostante fossero passati anni dai tempi delle medie, non riusciva a smettere di chiamarlo a quel modo. - Non posso mica sistemarmi con la prima arrivata! Lo diceva sempre anche Lei!-
-Lo sai cosa intendo, scriteriato!- l'uomo gli aveva dato qualche schiaffetto a mò d'ammonimento, cosa che con la mente riportava Alberto ai bei tempi andati, quando il Professor Pinna era il più temuto tra i più temuti docenti della scuola media “Grazia Deledda”, per i suoi modi un po' rudi e la fastidiosa abitudine di pretendere la perfezione dai suoi studenti. In realtà era tutta reputazione. E lui ci teneva, d'altronde aveva impiegato anni per costruirla.
In fondo però, e si premurava che restasse ben nascosto, aveva un cuore tutto di panna. E per Alberto aveva sempre avuto una predilezione, dato il suo carattere vivace e la sua vispa e acuta intelligenza. I suoi voti non erano mai stati eccelsi, ma ritrovarsi a chiacchierare con un dodicenne come lui, era sempre stata fonte di grande soddisfazione. Le sue opinioni erano sempre originali, e le dichiarava con tanto zelo e decisione da essere riuscito più d'una volta a impressionarlo a tal punto dal convincerlo a dargli ragione, nonostante sapessero entrambi avesse torto marcio. Lo adorava, l'aveva sempre adorato e l'avrebbe adorato fino all'ultimo dei suoi giorni, e la cosa era reciproca. Ma nessuno dei due l'avrebbe mai ammesso.
-Lo so, lo so! Ma io sono troppo giovane per sistemarmi, davvero, professore, ma le pare possa sposarmi a diciannove anni? E poi non è colpa mia se ci sono troppe ragazze carine che mi tentano! Guardi, sono una maledizione!- disse scuotendo mestamente il capo e lanciando l'ennesima occhiata alla sua bambolina, prima di prendersi una bella tirata d'orecchi.
-Ma pensa te cosa mi tocca sentire! Figlio mio, dietro ogni grande uomo c'è una grande donna che alza gli occhi al cielo, quindi trovati una brava ragazza, e sposatela prima che si accorga di che razza di farabutto sei!- il vecchietto avrebbe potuto insultarlo con i peggiori epiteti e Alberto non se la sarebbe mai presa a male. Era il suo modo di esprimere il suo affetto, anche se piuttosto strano, così come era strano il suo pressante desiderio di vederlo ammogliato entro il ventesimo anno d'età.
-Ah! Alla fine l'ha visto anche lei “Una settimana da Dio”! Grande!- a quel commento Pinna gli tirò con ancor più forza l'orecchio.
-Ma che... Al manicomio mi manderai!- aveva esclamato l'uomo, mollando la finalmente presa sull'orecchio del povero ragazzo, che pulsava dolorosamente, era arrossato e probabilmente cominciava a gonfiarsi ridicolmente. - Comunque, cosa ci fai qui da solo?- aveva poi chiesto, cambiando repentinamente argomento. Di tanto in tanto Alberto si voltava verso la biondina, e fu immensa la sua sorpresa quando vide sua madre abbracciarla.
Non seppe se ringraziare la sua buona stella, perché avere in giro per casa una bella ragazza è sempre un gran piacere, o dispiacersi per lei, che avrebbe avuto tanti zelanti pretendenti a ronzarle intorno. Alberto escluso. Forse.
-Non sono da solo, i miei sono qui da qualche parte. Siamo venuti a prendere un'amica.- si voltò ancora verso quella che ovviamente era Cecilia. Lei lo guardava. Lui la guardava. Si sentì tronfio come un gallo in un pollaio. Si toccò l'orecchio dolente: e se stesse guardando quello? Riusciva a vederlo fin da lì? Sì era gonfiato tanto? Il Signor Pinna gli tirò l'altro orecchio, per riportarlo alla realtà. O per pareggiare i conti e farlo somigliare a Dumbo.
-Ti ho detto di non fissare le signorine! Non si fa!- il ragazzo si sgonfiò come un palloncino forato. Certamente da quel giorno l'avrebbero chiamato Alberto, l'elefantino volante.
Si sarebbe mai ripreso da quella immane umiliazione? No.
-Comunque, torna da tua madre, prima che si preoccupi, screanzato che non sei altro!- gli diede un ultimo scapellotto a mò di carezza, e lì si erano salutati, con una vigorosa stretta di mano.
Ora, mentre raggiungeva la sua famiglia, continuava ad osservare Cecilia: più le si avvicinava più gli pareva carina.
Questo era un enorme colossale problema, giacché si era ripromesso di rinunciare alle ragazze almeno per un'estate. Si maledì d'aver scelto proprio quella estate.
Quando sua madre lo vide diede inizio a uno dei suoi melodrammi che più che intimorirlo lo divertivano, perché quando sua madre urlava e sbraitava, non era mai realmente arrabbiata. Era del suo silenzio che bisognava avere timore.
Finita l'interminabile ramanzina, o a lui così parve, prese un profondo respiro e gonfiò il petto. Non vedeva l'ora di approcciarsi alla sua bella bambolina, mettere alla prova le sue innate doti da latin lover e conquistarla con un solo affascinante sorriso e un'entrata di tale effetto da rientrare negli annali. Si voltò verso le due ragazze. Bianca aveva già monopolizzato l'attenzione di Cecilia, ma tentò comunque un approccio avvicinandosi a loro, pronto a stendere la giovane con il suo charme.
Le ragazze si voltarono, la biondina arrossì, e lui le sorrise di rimando con fare sicuro, prima di cadere ai suoi piedi. Letteralmente. Lungo disteso sul pavimento dell'aeroporto, per l'esattezza. Era inciampato, apparentemente nei suoi stessi piedi.
Quella sì che era un'entrata in scena che non avrebbero dimenticato presto! Una figuraccia di simili proporzioni é impossibile da dimenticare. Era epica, da guinness dei primati.
Lui era Alberto, l'imbranato volante.









L'angolo dell'autrice:
Eccomi con un altro capitolo di questa storia. Il primo, per l'esattezza.
Sto cercando di infondere tutta la mia ironia in questa storia, che sto cercando di non prendere troppo sul serio, visto che scrivere Hopelessly devoted to you talvolta mi rende piuttosto malinconica, ho deciso di riequilibrare le cose cercando di scrivere qualcosa di allegro che possa riequilibrare il mio karma. U_U
Marypao spero questo capitolo sia di tuo gradimento, e grazie per la recensione e la chiacchierata (Noi ti adoriamo, o cioccolato! U_U). Sì, anche stavolta ho avuto problemi con l'html, ma anche controllandolo manualmente risulta tutto in regola, quindi lettori miei abbiate pazienza, sto combattendo contro NVU, ma non so se ne caverò qualcosa. T_T
 








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