Due bustine ed una tazza di tè verde.

di KairiXDD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fiori di Ciliegio ***
Capitolo 2: *** Al profumo di caramello. ***
Capitolo 3: *** L'altro Mondo. ***
Capitolo 4: *** Il Signor Parco. ***
Capitolo 5: *** Sulla Sponda Opposta. ***
Capitolo 6: *** Nulla è eterno. ***
Capitolo 7: *** E quindi, i ricordi. ***



Capitolo 1
*** Fiori di Ciliegio ***




Kaori se ne stava con i piedi a penzoloni; in mano una tazza di tè. Un vento leggero sfiorava il suo volto, scompigliandole di un po’ i rossicci capelli che le accarezzavano le gote. Se ne stava lì, a contemplare il paesaggio immerso fra i fiori di ciliegio. Lontano si scorgeva l’orizzonte: il Sole, tramontante, rifletteva la sua calda luce sulle asperità  del monte Fuji. Quel vulcano a forma di cono si ergeva maestoso verso il cielo, sembrava quasi sfiorarlo. Anzi, forse lo stava proprio facendo: la notte stava ormai calando; scendeva prima la vetta del monte e poi sopraggiungeva sulla terra ferma, come se quel gran massiccio montuoso potesse essere un oggetto animato, che allungando il suo braccio perennemente coperto di neve, era in grado di acchiappare le stelle e trascinarle verso di sé.

“Sì, la causa del susseguirsi del dì e della notte deve essere proprio il Signor Fuji”

E così Kaori si consolava, perché sapeva che dopo l’alba l’aspettava sempre un nuovo giorno.

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Capitolo 2
*** Al profumo di caramello. ***


Messaggio dall'autrice: Allora, innanzitutto, grazie di cuore a tutte e due per i vostri splendidi commenti! *imbarazzata* Mi dispiace di non essere riuscita a pubblicare prima di oggi il secondo capitolo, ma in questi ultimi mesi la scuola mi ha tenuta molto occupata, e perciò scrivere si è fatto davvero difficile... spero comunque possiate apprezzare lo stesso la storia! Buona lettura!

-Kao-chan, svegliati, è il tuo primo giorno di scuola-
Dei graziosi usignoli cinguettavano fuori dalla finestra. Ma Kaori non ne voleva sapere di alzarsi dal suo caldo e accogliente futon.
“Nemmeno se per colazione ci fosse una bella tazza di tè.” Pensava, precisando.
Sua madre sembrava aver capito quello che voleva dirle.
-Farai tardi a scuola…-
Kaori si rivoltò nelle coperte ed appoggiò il cuscino sopra la sua testa.
-Ancora un minuto, ‘ma…- grugnì.
La mamma sfiorò con la mano l’anta scorrevole. Mosse le labbra, come se stesse cercando di ribattere. Ma conosceva bene sua figlia, era ottusa.
Quindi si limitò a sospirare alzando gli occhi al cielo –forse sperava di poter contare sull’aiuto di qualche buon kami, ma sopra di lei non c’erano che travi di legno, per lo più umidicce, a causa della gelida notte appena passata.
Sentendo sua madre uscire dalla camera, Kaori alzò leggermente il capo e scrutò con occhi vispi il fusuma, quel bianco pannello che separava il suo mondo da quello esterno. Sì, perché era esattamente lì dentro che viveva la sua vita.
Allungò il braccio verso una piccola apertura sul tatami, invisibile agli occhi degli altri, e ne tastò la stuoia. Ancora una rapida occhiata in giro, giusto per essere sicura che nessuno la stesse osservando. Poi estrasse dal pavimento un piccolo diario. Con le gracili mani, prese una penna ed iniziò a scrivere parole d’inchiostro sulle bianche pagine.
Non voleva essere scoperta - aveva paura di essere presa in giro.
A quell’età, conservare ancora un diario? Che cosa infantile!
Eppure era uno dei pochi modi che aveva per sfogarsi: trasformava le sue emozioni in storie - altro motivo per il quale non le avrebbe fatte leggere a nessuno. Lei doveva dimostrarsi una ragazza fredda ed insensibile, non poteva provare alcun sentimento! Già il nome che le avevano dato era imbarazzante. “Profumo”- si addiceva perfettamente ad una ragazza dolce e sensibile. Ma non sarebbe mai voluta apparire così, aveva paura di sentirsi gli occhi della gente puntati addosso, indossare quegli abiti frivoli e vivaci che avrebbero messo in risalto la sua femminilità. Si ricordava ancora di quella volta, quando era alle medie: c’era un ragazzo che le piaceva da morire, e per il giorno di San Valentino gli aveva scritto una poesia, di nascosto. Ma il segreto non durò poi così a lungo: giusto due giorni dopo gran parte della classe era venuta a conoscenza dell’accaduto, perché lei aveva visto il suo amato vantarsi della lettera di fronte agli altri. Poi gli ascoltatori hanno fatto due più due ed avevano capito che il mittente non poteva essere che Kaori, e tutti avevano iniziato a canzonarla. I suoi sentimenti l’avevano resa ridicola; eppure lei pensava di averci messo tutto l’impegno possibile affinché il destinatario recepisse il suo messaggio. Forse ci aveva messo troppa sé stessa? O forse era il suo aspetto ad aver rovinato tutto? –non era poi così carina seppur cercasse di sembrarlo. Forse la femminilità proprio non si addiceva né al suo corpo, né al suo carattere. Così si era tagliata i capelli –un grande cambiamento, per una donna, inizia sempre dalla testa-, aveva rinnovato il suo guardaroba –niente più gonne e vestitini, i jeans sono più comodi-, era diventata un’altra. Una Kaori che non potevano più prendere in giro per via del suo nome, né per il suo modo di apparire e abbigliare.
Sistemò poi il tatami, infilò la penna dentro la cartella e prese sottomano la sua divisa scolastica, scostando le coperte del futon. Un raggio di sole si rifletteva all’interno della stanza per mezzo della grande vetrata che aveva come finestra. Era davvero una stupenda giornata…
Abbassò lo sguardo, e fissò la sua camicia posta sull’avambraccio. Il colletto era adornato da uno splendido fiocco bianco. Ogni ragazza, se avesse visto un completo del genere, avrebbe fatto i balzi di gioia. Beh, tutte tranne Kaori. Lei avrebbe dovuto indossare contro ogni sua volontà la divisa, e, con ogni probabilità, non sarebbe passata inosservata –l’avrebbero nuovamente canzonata come alle medie, pensava. Inclinò il capo e, a testa bassa, si diresse verso la cucina.

Dietro di sé, lasciava la scia di un dolce profumo al caramello.

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Capitolo 3
*** L'altro Mondo. ***


Lo schermo del display rifletteva la luce del sole. Si riusciva a malapena a leggere il titolo della canzone in riproduzione. Sulle note di “Hello/How are you”, –cover dal famoso sito di niconico- camminava dirigendosi verso la metropolitana. Le cuffie, talmente grandi erano, le coprivano quasi il viso; ma lei era sempre stata contraria agli auricolari –diceva che non erano igienici, ma in realtà non aveva mai imparato ad appoggiarli adeguatamente sul padiglione, cosicché ogni volta le cadevano dall’orecchio.

Scese lungo le scale ed attraversò uno stretto portico: ora si trovava sottoterra.

“Eppure qua brulica di gente!”

Anche tenendo il volume alzato al massimo, Kaori riusciva a sentire tutto il casino che c’era là sotto. Era peggio che vivere in centro a Tokyo.
Le insegne dei negozi lampeggiavano, invogliando la gente ad entrarci.

Già a quell’ora del mattino c’era chi faceva compere – era una cosa davvero sorprendente come tutti fossero così frenetici.

E poi, un gruppo di ragazze era addossato ad una parete. Avevano il cellulare sottomano e bisbigliavano fra di loro, ridacchiando di tanto in tanto. Chissà, forse avevano trovato un nuovo scoop sul quale spettegolare.
Vicino a loro c’erano infine altri ragazzi – tutti impegnati in futili attività, chi leggeva fumetti, chi si metteva in mostra cercando di conquistare l’altro sesso, chi copiava i compiti all’ultimo minuto...

Come potevano loro viveresotto?
Come riuscivano a starsene tranquilli, rinchiusi fra quelle mura ristrette?

E poi la metropolitana era ancora più veloce dello Shinkansen.
Come potevano sopportare tutto il rumore che faceva quando si fermava bruscamente alla fermata?

Mentre stava ragionando, le porte davanti a Kaori si aprirono.
Gli altoparlanti ripetevano incessantemente il nome della prossima meta, richiamando l’attenzione degli ascoltatori. C’erano orari precisi, se non venivano rispettati, tutto il sistema andava in tilt –in pratica bisognava essere puntuali, i ritardi non erano permessi.

Persone dallo sguardo di pietra scendevano dal mezzo; altrettante vicine alle porte erano pronte a salirci. Era riluttante all’idea di doversi accalcare fra il resto dei passeggeri, passare lì due ore sperando di trovare un posto dove sedersi; dover sopportare l’idea di stare al chiuso, il panorama non poteva vederlo nemmeno dai finestrini. Così, sospirando, posò il piede oltre la linea gialla e si afferrò alla prima maniglia che trovò: oramai era entrata nell’”altro mondo”, quello in cui era costretta a passare la maggior parte del suo tempo indossando una maledettissima maschera: essere sempre gentili, pazienti ed onesti, mostrarsi rispettosi nei confronti degli altri, come richiedeva l’etica giapponese.

Quella doppia vita che tutti erano costretti a vivere.

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Capitolo 4
*** Il Signor Parco. ***


Kaori tenne per tutto il tragitto lo sguardo basso, il riproduttore musicale in continua riproduzione, badando però a tenerlo ben nascosto da occhi indiscreti. La gente lì dentro era tutta accalcata; più gente scendeva altrettanta ne saliva, mancava aria da respirare, quell’aria pura che ogni giorno avvolgeva Kaori quando si svegliava ed usciva nel suo splendido giardino.
Se qualcuno avesse notato che canzoni stesse ascoltando, l’avrebbero sicuramente categorizzata come una ragazza ignorante dalla gioventù sprecata, o, ancora peggio, l’avrebbero considerata una Otaku accanita – e il suo aspetto gracile e pallido non migliorava di certo la situazione.

Anche se portava la divisa di un liceo prestigioso, Kaori non rinunciava a seguire le sue passioni, seppur queste fossero ritenute dagli adulti quasi “malsane”.
Che male c’era ascoltare il proprio gruppo J-Rock preferito?
Forse non andava bene perché i membri della band si vestivano in modo stravagante e non perfetto ed ordinato come solitamente ci si deve presentare?
E per quale motivo anime e manga erano considerati un “cattivo esempio” per l’intera società?
Perché gli appassionati scambiavano spesso sogno per realtà?
Secondo lei era tutta una esagerazione; insomma, non era detto che chi seguisse certi stili fosse una persona poco di buono; tantomeno chi legge manga non è sempre un maniaco, un sognatore a mente lucida. Tutto dipendeva in realtà dalle “dosi” che si prendevano, dal carattere delle persone.

Chi avrebbe potuto mai dire che nella scuola che avrebbe frequentato ci fossero stati solamente alunni bramosi di sapere, i cosiddetti “secchioni”?
Dato che era un importante e caro istituto, di certo non sarebbero mancati anche i figli di papà – le persone che Kaori riusciva a sopportare di meno.
E se si fosse ritrovata in una classe piena di gente simile?
Già abbastanza timida, Kaori non riusciva proprio ad immaginarsi che il suo primo giorno di scuola sarebbe stato fantastico; così ogni tanto sospirava, fino a che non le sembrò apparire, davanti ai suoi occhi, l’unico elemento positivo dell’intera giornata.

Era scesa dalla metropolitana sovrappensiero, il volume della musica al massimo, canticchiando sottovoce: si era quasi abituata a quel buio, sottoterra, quando si accorse di essersi ritrovata davanti ad un paesaggio molto familiare, un ricordo della sua infanzia: il parco che andava frequentemente a visitare da piccola, in estate, vicino alla casa dei suoi nonni.

Durante quella stagione faceva sempre molto caldo, e lei, che non lo sopportava, preferiva passare il tempo in luoghi freschi. Il parco che si trovava a pochi passi dai nonni era il suo posto preferito, costellato da una fitta vegetazione: ginepri, ginkgo biloba, ciliegi e aceri coprivano tutta la zona.
Al centro del giardino si trovava un piccolo lago, adornato di ninfee, che, a causa del dislivello del suolo, veniva, in certi punti, a creare delle piccole cascate. L’acqua era alimentata non solo grazie alle piogge, ma anche per via di un piccolo torrente che affluiva all’interno del lago e poi si diramava verso il mare.
Ogni giorno, accanto alla riva del corso d’acqua, c’era un piccolo chiosco gestito da un signore anzianotto, che faceva delle granite squisite. Era una persona davvero gentile, perché ogni volta che vedeva la piccola Kaori aggirarsi per il parco, tutta presa dalla meravigliosa natura presente intorno a lei –e si divertiva a giocare a Robinson Crousoe, ad inventare delle storie d’avventura-, quasi si commuoveva e le offriva sempre qualcosa da bere. Tutti e due amavano quel posto per via della sua tranquillità, per la sua perfezione: un parco disperso fra la natura, ma ben curato; un luogo magico ed inaccessibile.
Osservando il parco che si trovava davanti, Kaori riusciva a trovare alcune somiglianze con quello che visitava quando era piccola: il ruscello, lo spazio ampio, gli alberi fitti fitti, la costa che si scorgeva in lontananza. Ad un certo punto, le era sembrato di vedere una piccola capanna con il tetto di paglia; e le era subito venuto in mente il chiosco di granite, ed il Signor Parco; il suo migliore amico.
Chissà dove era ora, chissà cosa faceva; chissà se era passato a miglior vita.

Ma quello che importava a Kaori, ora, era di aver riconosciuto un particolare familiare in quella città del tutto nuova per lei; dove avrebbe dovuto andare a studiare per altri tre anni. Sperava che quel Parco costituisse per lei l’inizio dal quale crearsi una nuova “casa”, una nuova “famiglia”.

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Capitolo 5
*** Sulla Sponda Opposta. ***


Neanche si era avvicinata al cancello che sentiva già una confusione terribile.
Ragazzi e ragazze con la stessa identica divisa –un esercito di robot- aspettava il suono della campanella.
E Kaori non vedeva davvero l’ora che la scuola venisse aperta.

Stare in mezzo a tutta quella gente, in gonna, le procurava ansia e terribile fastidio. Si sentiva osservata –molto probabilmente per le enormi cuffie che teneva in testa, e per peggiorare la situazione Kaori cercava di nascondersi fra di esse, posando lo sguardo a terra. Quelle cuffie erano l’unica cosa che la facevano sentire protetta dai rumori del mondo esterno, pieno di persone uguali e senza cuore che erano pronte a ferirla. Il suo I-Pod, invece, parlava solamente di ciò che Kaori voleva; non l’avrebbe mai lasciata né umiliata.

-Driiin!-
Kaori si tolse le cuffie e venne letteralmente schiacciata dalla folla. Ora le toccava confrontarsi per forza con una nuova realtà ed i nemici che la abitavano.

“Se solo su potesse avere un mecha nel quale nascondersi, tutto sarebbe più semplice…”

Prese le chiavi del suo armadietto e ci pose dentro le scarpe. Infine, si infilò le pantofole distribuite direttamente dalla scuola e seguì gli altri ragazzi verso l’auditorium.
Ora si stava per tenere il discorso del preside e poi quello delle matricole.

-Eh-ehm!

Un leggero colpo di tosse sul microfono attirò l’attenzione degli studenti.

-Benvenuti cari ragazzi e care ragazze! Oggi siamo qui riuniti per partecipare, come è consueto ogni anno, alla cerimonia di benvenuto del Liceo Hichigawa!
Per alcuni alunni sarà un nuovo inizio. Per altri la continuazione del proprio percorso. Per altri ancora invece sarà, ahimé, la fine di questa avventura scolastica. Tutti, prima o poi, saranno costretti a lasciarsi il passato alle spalle e voltarsi verso il futuro. Ma con questo non voglio dire che bisogni dimenticarsi i giorni qui trascorsi: proseguiremo per le nostre strade facendo tesoro delle esperienze che abbiamo passato, manterremo i nostri legami più stretti. E chissà, magari un giorno, potremmo incontrarci tutti di nuovo, come ai bei vecchi tempi; ridere e scherzare assieme al vecchio compagno di banco ed ai prof ormai andati! Ecco, questa scuola sarà per voi un percorso, un rituale di iniziazione verso l’età adulta. Tutti quanti faranno nuove esperienze, tutti noi matureremo assieme ed impareremo a convivere assieme. Il tempo qui sprecato non sarà vano, le amicizie qui strette non si spezzeranno mai. Ogni secondo qui trascorso, ogni persona qui conosciuta, vi aiuteranno a creare la persona che diverrete nel futuro ormai prossimo…

“I soliti discorsi lunghi e noiosi”.

-… blablabla e queste son le regole da rispettare come in ogni scuola, blablabla la scuola offre molte attività e scambi culturali fra Paesi da ogni parte del mondo blablabla è una scuola di prestigio blablabla non fate arrabbiare i professori, siate educati ed obbedite blabla.”

Dovevano essere all’incirca queste le parole pronunciate dal preside, o almeno, questo era ciò che Kaori era riuscita a sentire.

-Ed ora, la parola alle matricole!

Ci fu un breve applauso e sul palco salì una ragazza mingherlina, che portava enormi occhiali da vista.
-E-ehm – arrossì, cercando di abbassare il microfono.
Intervenne un professore che la aiutò.
-Grazie.. –rispose sorridendo quest’ultima.

-Ed ora! – esordì rivolgendosi al pubblico –Eccoci qui, cari liceali, riuniti come ogni anno davanti a questo palco per…

In pratica ripeteva le stesse cose dette dal preside. Una noia assurda. E Kaori non poteva nemmeno a distrarsi, tanto quella urlava non riusciva a sentire i propri pensieri.

Dopo un quarto d’ora abbondante, la ragazza smise di blaterare e lasciò il posto ad un ragazzo alto, dai capelli castano scuri e portamento elegante. Sembrava una persona calma e risoluta, ma come sapeva Kaori, l’apparenza poteva ingannare! –e la ragazza di prima ne era un esempio.

“Dannazione, se solo non avessi sbagliato quella risposta nel test d’ammissione, anche io sarei potuta salire sul palco…”

Kaori era timida, ma da un lato detestava perdere. E voleva far vedere a tutti di che stoffa era fatta.

Il ragazzo abbassò la testa sul leggio ed iniziò il suo discorso.
-Vorrei innanzitutto ringraziare il Preside Hideki Ikeda per la sua calorosa accoglienza in questa magnifica scuola, i professori Misato Hoshina, Kyosuke Ishikawa, Fujio Endo per aver organizzato ammirevolmente l’evento e la mia compagna Aya Kato per il suo interessante discorso.

Kaori sbuffò, iniziando a giocherellare con il suo I-Pod.

-Mi chiamo Takeru Ishimoto…

Il ragazzo alzò la testa e puntò i suoi splendenti occhi verdi verso il pubblico.

-Ho 16 anni e oramai frequento il primo anno di liceo.

“E che pizza…”

Kaori alzò il viso e il suo sguardo incontrò quello del ragazzo. In quel momento, il resto della gente non sembrò esistere per quei due.

-Vengo dalla scuola media Hoshina e da grande mi piacerebbe diventare un’astronauta.

Kaori vedeva in quel tipo un’aura davvero potente e misteriosa. Sembrava quasi che con il suo solo sguardo le stesse scrutando l’anima –e lei non voleva che ciò accadesse, ma non riusciva proprio a distogliere gli occhi da lui.

Poi, Takeru, continuò a parlare come se nulla fosse, lasciando in pace Kaori.

-Auguro a tutti un buon inizio dell’anno.

Nell’auditorium non voleva una mosca, erano tutti concentrati sulla figura del ragazzo.

Perché se il mondo fosse stato diviso in due da un fiume, lui si sarebbe sicuramente trovato nella sponda opposta, a fissare tutti noi esseri umani accalcarci verso la riva per raggiungerlo, senza reagire, circondato da quell’aura dorata inaccessibile e che desideravamo tanto toccare.

Forse Kaori avrebbe dovuto iniziare a credere nella presenza di esseri ultraterreni.
 

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Capitolo 6
*** Nulla è eterno. ***


E nuovamente il vento, il calore del sole, il dolce profumo dei fiori nel parco, sfioravano la pelle di Kaori.
Così era terminato il primo lungo e stancante giorno di scuola.
Gli uccelli all’orizzonte volavano bassi, e, colpiti dai raggi, la loro ombra proiettata sulla superficie del lago, li vedeva sfrecciare, come saette, verso occidente, per poi ritornare ognuno verso il proprio nido.
Nido.
Casa.
L’unico posto tranquillo, in mezzo a tutta quella confusione.
Kaori sospirava, pensando di dover prendere nuovamente la metropolitana; e pensando soprattutto al fatto che quella, d’ora in poi, sarebbe stata la sua routine quotidiana.
Ah, quanto le mancavano le vacanze estive.
Sdraiarsi in tutta tranquillità sul prato, perdere la concezione del tempo, fra il dolce frinire delle cicale e le fusa di Poncho, il suo gatto paffuto, la voce di papà che veniva a portarle il gelato, la mamma che stendeva i panni…
In quel luogo chiuso, Kaori sentiva la mancanza di libertà, di un proprio spazio, dei propri tempi…
Lì stava stretta fra un cumulo di persone, riusciva a malapena a respirare, le fermate si susseguivano ad intervalli di 10 minuti una dall’altra…
Tutto era troppo calcolato, troppo ristretto, anche per una studentessa modello come lei abituata, in fin dei conti, a questi ritmi così stressanti.
-Fermata per Kyoto-ku, Fermata per Kyoto-ku, tutti i passeggeri sono pregati di allontanarsi dalle porte e scendere uno alla volta- la voce squillante all’altoparlante la risvegliò dai suoi pensieri.
Come da istruzioni, scese tranquilla dalla metro e si avviò verso l’uscita, a testa bassa.
Tolse la catena dalla sua bicicletta, appoggiò la borsa nel cestello e si diresse, pedalando, verso casa.
In pochi minuti era già sulla soglia ed apriva il cancello.
-Papà, mamma!- urlava entusiasta –Sono tornata!
Nessuno rispose, così lei si tolse le scarpe ed entrò.
-Mamma!- disse, oltrepassando la cucina ed appoggiando per terra i libri –Mamma, mamma! Sono tornata…
Ma non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che, in lontananza, vide sua madre, seduta sotto il portico, con la testa appoggiata ad un uomo che mai aveva visto prima.
Ed un ragazzino, voltato di spalle, controluce, che però dai tratti, le pareva famigliare.
Abbassò lo sguardo sul kotatsu di fronte a lei.
“Una cartolina da Parigi..?”

“Ehi, Ka-chan, allora, bella, il primo giorno di scuola, come è andato? :)
La mattina mamma mi ha detto che ti ha vista partire tutta triste… :(
Ma dai, io scommetto che avrai già conosciuto un sacco di gente nuova e ti sarai sicuramente divertita un sacco! ;)
D’altronde, credo lo sappia bene pure tu, che sia impossibile vivere per sempre al sicuro, nel calduccio della casa, con mamma e papà…
Per maturare e diventare indipendenti bisogna buttarsi, fare nuove esperienze, affrontare ogni ostacolo con un sorriso, non arrendersi mai…
Altrimenti, non si crescerà mai! E tu, che hai anche deciso di iscriverti in una scuola del genere, dovresti capirlo meglio di me…
So che sei una ragazza ormai forte ed in gamba, e che riuscirai a cavartela in qualsiasi situazione, con o senza l’aiuto, la costante presenza di me e mamma.
Non con questo che noi vogliamo lasciarti sola!
Anzi, noi siamo e saremo per sempre al tuo fianco.
Tu sei nostra figlia e qualsiasi cosa capiti, noi ci saremo sempre per te.
A discapito di tutte le distanze… Nel momento del bisogno ti raggiungeremo.
 
 
… Kao-chan, mi manchi, davvero tanto.
Mi dispiace non essere stato presente in questi ultimi mesi.
E mi dispiace ancora di più non esserti riuscito a salutare, prima di partire per la Francia.
Non pensavo potesse succedere davvero ciò, in cuor mio… Cioè, continuavo a sperare  che, magari allontanandomi per un po’, la situazione potesse migliorare, che la tensione potesse calare, che le distanze ci avrebbero portati a riflettere e a scusarci a vicenda, e che al mio ritorno il clima in famiglia sarebbe ritornato lo stesso di una volta.
Ma purtroppo non è stato così… Non sarà così…
Credo tu stia iniziando a capire dove io stia cercando di andare a parare…
Oggi c’è stata l’ultima telefonata.
Fra me e mamma era finito in realtà tutto da un pezzo,
e… volevamo mettere la parola ‘fine’ anche a questa farsa che portavamo avanti da tempo.
Non l’abbiamo fatto prima perché pensavamo non fosse il momento ideale…
Ma oramai sei già grande.
Io e mamma… presto ci separeremo.
… Ti prego, non disperarti, cerca di capire, e di ricordarti: tutti i litigi, i pianti, le sofferenze… Era impossibile continuare così.
Kaori, finalmente ci siamo decisi di smetterla di ferirti ed illuderti con certe patetiche scene. Abbiamo scelto tutto ciò per il tuo bene.
Perché in fin dei conti, la cosa più bella della nostra vita sei e rimarrai per sempre tu. Sei stato il nostro dono più grande e magnifico che abbiamo mai potuto ricevere.
In tutto ciò, tu sei stata l’unica cosa giusta, l’unico non-errore… Che aveva continuato a tenerci uniti per ancora del tempo…
Ma sai, alla fine abbiamo capito che tutto ciò che stavamo facendo di certo non ti poteva giovare; e a chi poteva giovare una vita cullata da dolci bugie, che col passare del tempo diventavano sempre più grandi, e oramai patetiche, insanabili si accumulavano fino a poterti soffocare? Che esempio ti stavamo dando? Che genitori saremmo stati, nell’insegnarti a fuggire alla realtà, ad ingannare le persone?
Cerca di capirci.
Noi ti vogliamo comunque bene, e non ti lasceremo mai.
Sei il nostro unico tesoro, Kaori.
Ti voglio bene,

Papà.

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Capitolo 7
*** E quindi, i ricordi. ***





Di lui,

mi sono rimaste una foto nella quale mi culla fra le sue braccia, e la vecchia chitarra acustica.
La prima chitarra con la quale mi suonava la ninna nanna, quando ero ancora piccola…
Ha le corde un po’ arrugginite, ma credo si possano cambiare.
… Perché alle corde vecchie posso sostituirne di nuove, mentre il passato non si può aggiustare?
Non ce la faccio più,
papà mi ha detto che sono una persona forte, e che ce la posso fare…
Ma come posso farcela quando, i miei due eroi preferiti, improvvisamente, si comportano così, si allontanano, spariscono a questo modo?
Come posso più orientarmi verso la retta via, se i modelli che io seguivo, quelle persone che io tanto stimavo, improvvisamente spariscono, e si trasformano, in un qualcosa di irriconoscibile?
Posso solo aspettare che venga qualcuno a salvarmi, perché io sola non ce la faccio più.
Questo fiume… porta con sé una valanga di ciottoli.
I ricordi, di me e papà, che piano piano si depositano e corrodono col tempo…
Fa male.
Tanto male.
E posso sfogarmi solo cantando al vento,
strimpellando qualche nota su questa povera chitarra,
nel mezzo di questa riva così pacifica,
avvolta da un eterno silenzio…

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