Esme's story

di Clodie Swan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP. 1 La gamba ingessata ***
Capitolo 2: *** CAP. 2 La proposta ***
Capitolo 3: *** CAP. 3 La fuga ***
Capitolo 4: *** CAP. 4 Il risveglio ***
Capitolo 5: *** CAP. 5. L'amore ***
Capitolo 6: *** CAP. 6. Il matrimonio ***
Capitolo 7: *** CAP. 7. Una famiglia ***



Capitolo 1
*** CAP. 1 La gamba ingessata ***




Quello era il momento della giornata che più amavo: quando mi rifugiavo in un angolo del giardino della mia casa a Columbus, sotto la quercia con un libro in mano. Lì, in quel pomeriggio di una dolcissima estate potevo isolarmi dall'atmosfera pesante che respiravo in casa mia.
Le pressioni dei miei genitori, infatti,  stavano diventando sempre più insopportabili.
"Sarebbe ora che ti sposassi, Esme."
"Ho soltanto sedici anni, mamma."
"E' un'ottima età per sposarsi. Io avevo un anno più di te quando ti ho avuto. Non capisco perché ti ostini così tanto. Hai fatto da poco il tuo ingresso in società ed i buoni partiti non mancano."
"Voglio finire di studiare prima."
"Per fare cosa? Guarda che non resterai giovane per sempre e i migliori giovanotti verranno presi. Hai visto che bel matrimonio ha fatto la figlia degli Evenson? Altro che Università! Pare che suo fratello sia ancora scapolo."
Sospirari al pensiero di quei discorsi con cui mia madre mi riempiva la testa. Anche mio padre era dalla sua parte. Non approvava nemmeno che spendessi tutti quei soldi in libri anzichè in vestiti, trucchi e profumi.
"Cosa pensi di fare nella vita, signorina? Non crederai di poter andare all'Università? E chi dovrebbe pagarla? Cosa credi che nuotiamo nell'oro?"
Decisi di rituffarmi nella lettura del mio libro e di godermi quei pochi attimi di tranquillità. Presto mia madre mi avrebbe chiamato per la cena. Fu allora che sentii un debole miagolio sopra la mia testa.
"Missy!" gridai vedendo la mia gattina intrappolata sul ramo più alto della quercia. "Resisti piccola, sto arrivando." Posai il mio romanzo sul prato e mi accinsi ad arrampicarmi sollevandomi la gonna fino alle ginocchia. Sperai che non mi vedesse nessuno dei vicini. Riuscii a raggiungere il ramo su cui si era aggrappata Missy stringendomela al petto e cercai di scendere usando una mano sola. Fu una pessima idea! Un attimo dopo misi un piede in fallo e persi l'equilibrio. Gettai un grido e nella caduta mi rigirai su di un fianco cercando di proteggere Missy. L'ultima cosa che udii prima di perdere i sensi fu il suo miagolio disperato.

"Esme? Esme?" al suono del mio nome cominciai a riprendere conoscenza. Fui colpita dal timbro morbido e caldo della voce che mi chiamava. Non mi ero mai sentita chiamare con tanta dolcezza prima d'ora. Sembrava la voce di un angelo. Quando aprii gli occhi ne ebbi la conferma. Di fronte a me vi era il volto più bello che potessi mai immaginare. Era un uomo biondo dalla carnagione chiarissima quasi bianca e dagli occhi color oro fuso, che pareva splendere di luce propria. Forse ero morta e quell'angelo splendente mi stava portando in paradiso. "Tutto bene, Esme? Senti dolore?" A quelle parole presi coscienza del mio corpo e mi sentii tutta indolenzita. Tornai nel mondo reale e ricordai la caduta.
"No, sto bene...credo. Dove mi trovo?"
"Sei in ospedale, Esme ed io sono il Dottor Cullen" riprese con quella voce argentata. "Ti ho dovuto ingessare la gamba. Hai riportato una frattura cadendo dall'albero ma non è grave. L'osso dovrebbe rimarginarsi in poche settimane."
Un'infermiera mi aiutò a sollevarmi sui cuscini. Non l'avevo nemmeno notata prima tutta presa da quella visione celestiale.
"Avverta i genitori che si sta riprendendo. Erano molto preoccupati." le disse il Dottor Cullen.
"Si, dottore." rispose la giovane donna con uno sguardo adorante. E chi poteva darle torto?
Mentre il Dottor Cullen cominciava a scrivere su una cartella clinica io lo studiai più attentamente. A giudicare dalla pelle levigata e perfetta doveva essere giovanissimo ma la sua espressione era quella di un uomo maturo ed esperto. Possibile che si fosse laureato in medicina così giovane?
"Per caso sa cosa sia successo alla mia gattina?" chiesi ad un tratto per rompere il silenzio. Che domanda stupida! Mi sentii una vera idiota ma desideravo conversare ancora un pò con lui. Lui mi sorrise abbagliandomi completamente come se il sole fosse entrato nella stanza per me.
"I suoi mi hanno raccontato l'accaduto. La gattina sta bene. E' stata molto coraggiosa, Esme."
"Oh molto stupida" obiettai arrossendo.
"Per un pò, comunque niente arrampicate. Le prescrivo un riposo assoluto. Forse sarà un pò noiso ma è necessario."
"Potrò leggere di più, almeno." osservai consolandomi a quell'idea. Lui annuì con uno sguardo di approvazione.
"I libri sono degli amici fidati. Specie nei momenti di solitudine." Quell'affermazione mi soprese molto. Pur condividendola non potevo credere che quell'uomo bello come un divo del cinema fosse solo. Non portava nemmeno la fede.
I miei entrarono nella stanza abbracciandomi e stringendomi forte. Mio padre si profuse in mille ringraziamenti per il dottore.
"E' soltanto il mio lavoro." si schernì lui "Adesso potete portarla a casa."
Mia madre mi mise una vestaglia portata da casa sulle spalle e mi aiutò ad alzarmi. Mio padre mi passò le stampelle che il Dottor Cullen si era fatto portare dall'infermiera. Cominciai a maneggiarle senza troppa difficoltà, prima di uscire però tesi la mano al mio bellissimo medico per salutarlo. "Grazie di tutto, dottor Cullen. E' stato bello conoscerla." gli dissi in un impeto di coraggio.
Dopo un attimo di esitazione lui mi strinse delicatamente la mano. Era freddissima. Chissà perchè? Forse si era appena lavato le mani o qualcosa del genere.
"Arrivederci signorina Platt, le auguro ogni bene." mi disse usando parole formali ma usando un tono affettuoso. Ne fui felice.
Fu l'ultima volta che udii la sua voce. 
Mentre uscivo con i miei genitori gettai un ultimo sguardo verso di lui.
Ebbi come l'impressione di leggere una profonda tristezza in quegli occhi dorati.

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Capitolo 2
*** CAP. 2 La proposta ***


Durante l'estate la mia vita cominciò a cambiare.
I miei, dopo lo spavento che avevo causato loro con l'incidente, furono molto premurosi e pieni di attenzioni, e non mi parlarono di matrimonio per un bel pò. Dopo aver visto il Dottor Cullen, inoltre, mi sarebbe stato ancora più difficile prendere in considerazione i giovanotti che mi proponevano.
Purtroppo non lo rividi quando andai a togliermi il gesso. Il suo collega mi disse che si era trasferito per motivi familiari. Ne rimasi delusa ma andai avanti con la mia vita e conservai quel volto stupendo insieme ai miei ricordi più preziosi.
Mi diplomai con ottimi voti. Ero felice ed avevo deciso cosa volevo fare nella mia vita: diventare insegnante!
Volevo poter condividere con altri tutto ciò che sapevo, contribuire a formare nuove menti e fare la mia parte per un mondo migliore. Al tempo stesso però, l'idea del matrimonio, mano a mano che crescevo, non mi sembrava così terribile.
Mi sarebbe piaciuto provare l'amore di cui avevo tanto letto ed avere dei bambini miei da crescere, creandomi una famiglia tutta mia. A casa mia i discorsi sul matrimonio si erano fatti meno pressanti ma mia madre aveva assunto altri metodi. Cominciò ad invitare giovani coppie sposate a pranzo facendosi raccontare mille particolari sulla cerimonia e sulla loro nuova vita.
Tra queste venne anche la ex signorina Evenson insieme al marito e a suo cugino Charles.
Charles Evenson era un giovane distinto dai modi garbati, con un buon lavoro ed era ancora scapolo. I miei genitori in breve dedicarono a lui tutte le loro attenzioni.
"E' davvero un peccato che non abbiate ancora preso moglie, signor Evenson" esclamò mia madre mentre serviva il caffè.
"Sto aspettando di trovare la donna giusta."rispose lui con un sorriso. Mentre girava il cucchiaino rivolse uno sguardo abbastanza interessato verso di me. Io abbassai lo sguardo aggiustandomi l'acconciatura. Mio padre lo invitò a fumare un sigaro nel salotto e si trattenne a chiacchierare con lui. Non udii che cosa si dissero ma Charles diventò un ospite abituale in casa nostra.

Fu durante una passeggiata che mi fece la proposta. I miei genitori ed il resto del gruppo ci avevano appositamente lasciato parecchi metri indietro. Charles mi piaceva e trovavo la sua compagnia gradevole ma non ero convinta che una simpatia potesse diventare amore. "Credo che potrei renderti molto felice Esme." mi disse con trasporto. "Perchè non ci pensi su."
Acconsentii e ripresi a camminare appoggiata al suo braccio.
Riflettei a lungo su quella proposta. La mia vita non stava andando come avevo sognato.
Non ero riuscita a diventare un'insegnante ed ero ancora bloccata a casa con la famiglia . Volevo farmi una vita mia in una casa mia. Cominciavo a credere che l'amore romantico, quello che ti toglieva il fiato e che popolava i miei libri non esistesse affatto nella vita reale.
I miei genitori erano stati presentati dai rispettivi familiari che desideravano la loro unione e col tempo avevano imparato a volersi bene formando una famiglia solida.
Pensai che anche per me avrebbe potuto essere così. Sarebbe stata una grande festa ed avrei reso tutti felici. Ed anche io lo sarei stata. Almeno questo era quello che credevo.
 
MP

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Capitolo 3
*** CAP. 3 La fuga ***


"Dov'è la cena?" gridò Charles sbattendo la porta.
"E' quasi pronta, tesoro." gli risposi tremando. Senza neanche guardarmi prese una bottiglia e cominciò a bere prima ancora di mettersi a tavola. Da quando era tornato dalla guerra il suo carattere era peggiorato. Prima riuscivo a sopportare i suoi modi bruschi e il suo tono prepotente ma adesso con i nervi a pezzi e con quella rabbia inesauribile aveva cominciato a mettermi le mani addosso. Cercavo di essere paziente, di aspettare che il tempo guarisse le sue ferite e che potesse tornare ad essere l'uomo buono e gentile che mi aveva chiesto in moglie soltanto tre anni prima. Solo l'alcool riusciva a calmarlo e quando non bastava neanche quello si sfogava su di me. Rabbrividii toccandomi i lividi sul braccio che stavano appena cominciando a svanire. Cercando di mantenere la calma servii la cena ma un forte capogiro mi fece sbandare e rovesciare l'acqua sulla tovaglia. Charles mi diede una sonora sberla che mi fece finire per terra. "Sei una stupida!" mi gridò. Con le lacrime agli occhi finii di portare i piatti in tavola e poi dovetti correre in bagno. Un conato di vomito mi aveva contratto lo stomaco e rimasi per diversi minuti aggrappata al lavandino. Dopo essermi ripresa cominciai a ragionare lucidamente. Avevo la nausea già da qualche giorno e mi accorsi che quel mese avevo anche un forte ritardo. Non mangiavo molto eppure il mio ventre ed i fianchi sembravano più rotondi.
Misi insieme tutti gli elementi.
No.
Non era possibile. Non in quel modo!
Desideravo tanto un bambino ma come avrei fatto a crescerlo in quella casa?
"Esme!" urlò Charlse dal corridoio. "Esci subito o sfondo la porta e ti ammazzo!" Con un brivido giù per la schiena mi portai le mani sul grembo. Dovevo andarmene e portare mio figlio al sicuro.

Una notte mentre Charles dormiva misi le mie cose in valiga ed uscii di soppiatto con il cuore in gola. Mi rilassai soltanto quando l'autobus mi portò alla stazione centrale e scesi a comprare un giornale. Non sapevo dove andare. Mi vergonavo troppo a tornare a casa dai miei ed ammettere il fallimento del mio matrimonio. I miei avrebbero cercato di farmi tornare con mio marito per salvare le apparenze ma io ero decisa a non rivederlo mai più. Almeno non finché ero incinta. Il piccolo adesso aveva la precedenza sopra ogni altra cosa. Potevo farcela da sola. Ero giovane, avevo un diploma, ed ero risoluta a rifarmi una vita. L'occhio mi cadde su un annuncio di lavoro in una cittadina nel Wisconsin, La Crosse, dove cercavano un'insegnante. Mi illuminai: forse potevo provvedere a me stessa e a mio figlio e al tempo stesso realizzare il mio vecchio sogno. Usai i miei risparmi per comprare il biglietto e partii speranzosa versa la mia meta.

Quando mi presentai al colloquio il preside mi guardò perplesso. Non avevo esperienza, ero senza denaro ed avevo il volto pallido ed emaciato. "Io vorrei aiutarla, signora Evenson, ma vede si tratta di una classe difficile. La maggior parte dei bambini ha perso il padre in guerra e sono molto provati per l'accaduto."
Sentivo già una forte tenerezza per loro. "Mi metta alla prova allora. Posso lavorare anche gratis all'inizio se in cambio mi procura vitto e alloggio." Il preside notò i lividi sulla mia faccia e s'impietosì.
Mi trovò un appartamentino vicino alla scuola e mi disse di presentarmi il giorno dopo. Le cose andarono meglio del previsto. I bambini ed io legammo subito e mi appassionai all'insegnamento ancor più di quanto avessi immaginato. In pochi giorni imparai tutti i nomi, cominciai a conoscerli e cercai di essere per loro una seconda mamma pronta ad ascoltare i loro problemi oltre che a interrogare e mettere i voti. Non ebbi più notizie di Charles, nè della mia famiglia e mi stava bene così.
Ero felice tutto sommato della mia nuova vita e non sarei stata sola ancora per molto. 

Mano a mano che il mio ventre cresceva, sognavo il momento in cui avrei stretto tra le braccia un bambino tutto mio.

 

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Capitolo 4
*** CAP. 4 Il risveglio ***


"Abbiamo fatto tutto il possibile, signora. Mi dispiace."
Il dottore continuava a ripetere quelle parole guardandomi impotente e sinceramente addolorato. Io ero in stato di shock. Come era potuto accadere? Il mio bambino, il solo scopo della mia esistenza non c'era più. Era abbastanza comune all'epoca che i neonati morissero dopo il parto. Le scarse condizioni igieniche favorivano infezioni e malattie che colpivano i bambini più deboli. Non vi era nemmeno un'adeguata assistenza psicologica che si occupasse delle madri e così dopo avermi aiutato con le disposizioni del funerale, visto che ormai mi reggevo in piedi, mi dissero che potevo tornarmene a casa.
Ma quale casa? Tutto ciò che avevo era scomparso dentro quella piccola bara bianca e non mi restava niente. Uscii sconvolta dall'ospedale e mi misi a vagare senza una destinazione precisa, sola col mio dolore finchè non arrivai sul ciglio di una scogliera. Tutto ciò che volevo in quel momento era ricongiungermi con mio figlio e liberarmi dal peso di quella sofferenza opprimente. Bastava solo fare un altro passo...

All'inizio c'era il nulla, come volevo io.
Il dolore della caduta mi aveva completamente stordita e immobilizzata.
La mia mente si era come persa e vagava lontano dal mio corpo.
Potevano essere passate ore, giorni, non me ne sarei mai accorta. Non sapevo nemmeno dove mi trovassi.
Ad un tratto una sensazione bruciante cominciò ad avvolgermi come se mi avessero immerso nel fuoco. Ero troppo debole per reagire anche a quella nuova sofferenza e non battei ciglio.Con la scarsa lucidità che mi era rimasta percepii ogni istante in cui le fiamme mi scorrevano nella vene per un tempo che sembrava interminabile.
Non mi importava il dolore.
Tutto ciò che chiedevo era consumarmi e non esistere più.
Ma il fuoco cominciava ad affievolirsi, mi stava lasciando fino a scomparire del tutto. Ed io c'ero ancora.
"Esme" mi sentii chiamare da una voce dolce e inconfondibile.
Erano passati dieci anni ma una voce come quella non si poteva dimenticare. Sembrava un dejavu.
Stavolta però dovevo essere davvero morta e un angelo dalla voce del Dottor Cullen mi stava portando verso il paradiso o forse verso l'inferno. Non mi interessava.

"Si sta per svegliare." disse una voce maschile più giovane ma con lo stesso timbro armonioso. "Carlisle, ma la conosci? Ha riconosciuto la tua voce."
Come faceva a saperlo?
"Sì, Edward. E' stato dieci anni fa, quando vivevo a Columbus. Si era rotta una gamba e gliel'ho ingessata. Mi è rimasta particolarmente impressa."
Era davvero il dottor Cullen! E si ricordava di me. Non riuscii a gioirne a lungo però. Temevo che potesse curarmi e riportarmi in vita ma io non volevo più vivere. Ad un tratto il mio cuore accellerò il battito verticosamente e si fermò. Per sempre, speravo. "Ci siamo."mormorò il dottor Cullen. Ma se ero morta come potevo sentirlo ancora? Ebbi coscienza del mio corpo e aprii gli occhi. La luce non mi ferì la vista come avrebbe dovuto.
"Esme, va tutto bene. Ti ricordi di me? Sono il dottor Cullen." Ammirai distintamente il suo bellissimo volto. Non era cambiato molto. Anzi, non era cambiato di una virgola. Era rimasto identico a com'era dieci anni fa. Com'era possibile?
"Si, mi ricordo." risposi stupendomi subito dopo per il suono della mia voce. Quando mai era stata così squillante e cristallina? Provai ad alzarmi ed in un battito di ciglia mi trovai seduta in un movimento leggerissimo e fluido senza alcun dolore o segno di muscoli intorpiditi. Non avevo nè punti, nè bende su di me. Ero incredibilmente integra. Ma la scogliera  da cui mi ero gettata, non era altissima?
Cercai il volto del Dottor Cullen per chiedergli una spiegazione.
Lui mi prese una mano con delicatezza. "Non avere paura, Esme, non hai niente da temere."
Il suo tocco non era più gelido e mi dava una sensazione gradevole.
"Cosa mi è successo? Io credevo di essere..."
Lui mi guardò comprensivo. "Morta? Beh ci sei andata vicino. In un certo senso ora sei non-morta. Ti ho fatto diventare come me. Sei un vampiro adesso."
Mi ci vollero diversi minuti prima di afferrare il senso delle sue parole. I suoi occhi erano sinceri e sentivo di potermi fidare di lui, eppure sembrava tutto così assurdo...Vampiri?
"Ti ci vorrà un pò di tempo." mi spiegò il ragazzo che il Dottor Cullen aveva chiamato Edward con una punta di amarezza. Quant'era giovane! Doveva avere al massimo diciasette anni ed era bello quanto il dottore. Aveva i capelli ramati e gli stessi occhi dorati.
"Guardami, Esme." mi disse il Dottor Cullen. "Sono lo stesso di dieci anni fa. Io non cambio e non invecchio sono immortale." Il mio istinto mi diceva che era la verità. Io stessa mi sentivo forte, potente come non ero mai stata. Guardai la mia mano. La mia pelle era diventata bianchissima. Il mio cuore non batteva più e non sentivo il bisogno di respirare. Quali altri cambiamenti avevo subito?
"Edward, per favore puoi portare qui lo specchio?" chiese il dottore premurosamente. Il ragazzo scomparve. Non lo vidi nemmeno muoversi. Tornò dopo una frazione di secondo reggendo con assoluta disinvoltura una specchiera massiccia, quasi più grande di lui, senza mostrare il minimo sforzo.
Presi coraggio e mi avvicinai. Non potevo credere ai miei occhi. Ero stata lavata e vestita con una lunga camicia bianca pulita che mi lasciava le braccia nude. I miei capelli castano chiaro avevano acquistato una tonalità luminosa color caramello e mi ricadevano morbidi sulle spalle. Sulla pelle del mio volto, levigata e candida come la porcellana, i miei lineamenti spiccavano dolci e fini come se fossero stati disegnati da un pittore. Ero di una bellezza assolutamente perfetta ed eterea.
C'era solo un piccolo particolare inquietante: i miei occhi erano rossi come il sangue. E la mia gola bruciava in preda ad una sete terribile. Tremai portandomi le mani sul viso. Era tutto vero. Ero una vampira.
"Non voglio essere un mostro!" gridai sconvolta.
"Non accadrà. Puoi scegliere. Ti aiuterò io."mi disse il mio angelo biondo avvicinandosi a me e posandomi le mani sulle spalle. Provai un senso di sicurezza nonostante tutto.
"A proposito." continuò lui. Mi chiamo Carlisle."

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Capitolo 5
*** CAP. 5. L'amore ***


Il periodo che seguì fu piuttosto difficile a causa dei miei nuovi istinti ma i miei due nuovi amici, in particolare Carlisle, fecero tutto il possibile per aiutarmi. Carlisle mi spiegò che avrei potuto nutrirmi di sangue animale senza alcun bisogno di uccidere nessuno. Lui stesso in tanti secoli, non aveva mai assaggiato il sangue umano. Per Edward era stato un pò più difficile, ma grazie anche al suo potere, riusciva a resistere. Come mi spiegarono in seguito, infatti, i vampiri potevano avere delle capacità paranormali o dei doni speciali. Edward aveva quello della telepatia.
Quando uscivamo per la caccia, il giovane faceva da vedetta, cercando di intercettare se c'erano dei pensieri in avvicinamento prima che l'odore di qualche sventurato umano giungesse fino a noi. Prima di uscire di casa, Carlisle si preoccupava di chiudere per bene ogni finestra e ogni imposta e ci raccomandava di non uscire e di non aprire a nessuno. Era una semplice precauzione per proteggerci da noi stessi dal momento che eravamo vampiri ancora molto giovani e non avevamo ancora sviluppato un forte autocontrollo. Passavo il mio tempo a leggere libri della vasta libreria di casa Cullen e li commentavo con Edward.
Ero contenta di aver ripreso il mio passatempo preferito e di condividerlo con una mente brillante come quella del mio giovane amico. Mi disse che si stava preparando per l'ammissione alla facoltà di medicina e che ,non appena il suo autocontrollo verso la sete si fosse rafforzato, avrebbe iniziato a frequentare le lezioni. Lo aiutavo spesso a ripetere con il libro davanti ma Edward poteva leggermi le risposte nella mente e così gli preparai delle verifiche scritte che gli facevo svolgere mentre io mi dedicavo ad altre faccende. Mi divertivo in particolare a pulire e ad arredare la grande e bellissima casa in cui vivevamo.
"Sarei contento se riprendessi gli studi anche tu, Esme." mi disse una sera Carlisle. "Il denaro non è un problema, posso ordinare tutti i libri che ti servono."
"Ma cosa potrei studiare? Mi ci vorrà molto tempo prima di poter avere contatti diretti con le persone?"
"Il tempo non manca." mi fece osservare. "Per la materia da scegliere...credo che dovresti coltivare il tuo senso estetico." Con un cenno mi indicò i mobili della casa che io avevo disposto in un nuovo ordine dando all'abitazione un'aria più armoniosa ed elegante.
"Saremo costretti a trasferirci spesso negli anni. Ci saranno altre case da sistemare." mi disse regalandomi uno dei suoi sorrisi splendenti.
Da quel momento lo studio divenne il mio pensiero fisso oltre alla sete. Quest'ultima era qualcosa di insopportabile all'inizio ma poi cominciò a scemare a farsi sempre meno pressante lasciando di nuovo posto ad altre emozioni. E a nuovi sentimenti.
Me ne resi conto soltanto una notte, durante una battuta di caccia.

Avevo scelto un vestito azzurro con le maniche corte che mi arrivava fin sotto il ginocchio. Era di uno di quei nuovi tessuti detti sintetici e lo trovavo molto comodo. Mi raccolsi i capelli con due pettinini e mi preparai ad uscire.
"Sei bellissima." mi disse Carlisle con una strana emozione nella voce. Edward lo guardava con uno strano sorriso.
"Grazie." risposi sopresa. Non mi sembrava di avere un'aspetto particolarmente diverso dal solito. Non mi ero nemmeno truccata, tanto non ne avevo bisogno.
"Vi dispiace se non vi accompagno?" chiese Edward. "Devo finire una tesina per l'esame di ammissione alla Darthmouth e vorrei finirlo entro domani mattina."
"Ne sei sicuro?" gli chiesi apprensiva.
"Stai tranquilla Esme." mi rispose con un sorriso sghembo. "Posso farcela fino a domani sera. Non ho troppa sete." I suoi occhi erano più scuri ma non erano ancora neri. Carlisle lo salutò esitante e gli poggiò una mano sulla spalla.
"Torneremo presto in ogni caso..."disse Carlisle con un certo imbarazzo.
"Non vi preoccupate per me. Divertitevi, ragazzi."ci ripetè lui scambiandosi uno sguardo con Carlisle.
Li guardai incuriosita ma non me ne curai più di tanto e saltai giù dalla finestra insieme a Carlisle in direzione del bosco.
Ormai cacciare era diventato uno scherzo. Correre era come volare e i miei sensi mi guidavano verso la preda infallibili e letali come sempre. In pochi minuti trovammo quello che cercavamo e potemmo bere a sazietà.
"Ti va di andare fino al ruscello?" proposi a Carlisle ,desiderosa di togliermi il sangue dalla faccia. Non ero ancora capace di cacciare in modo pulito mentre lui, dopo secoli di esperienza alle spalle, addentava le vittime e le prosciugava senza versare una goccia.
"Certo, volentieri." mi disse con un sorriso. Era di ottimo umore come sempre.
Fummo sulla riva in un baleno e mi lavai il viso sciogliendomi i capelli. Carlisle mi osservava pensieroso accarezzando l'acqua con il palmo della mano. Ogni volta che lo guardavo restavo sorpresa per quanto fosse bello. Quella sera poi lo era in modo particolare. Quando mi alzai in piedi il vento portò alle mia narici l'odore del mare. Ci dovevamo essere allontanati parecchio. Qualcosa che non compresi mi spinse in quella direzione.
"Vieni, Carlisle. Facciamo una corsa."
"Sarebbe meglio rientrare, sta per piovere."notò lui.
Io risi. "E allora? Noi non possiamo ammalarci."risposi cominciando a correre.
Lui mi raggiunse con facilità nonostante fossi ancora più veloce di lui grazie alle mie forze da vampira neonata. Risalendo il corso del ruscello in breve arrivammo vicino al mare. Lì vidi un luogo molto familiare : la scogliera da cui mi ero buttata.
Nei miei fumosi ricordi della mia vita da umana rividi me stessa in quel giorno e provai il desiderio di piangere, ma non potevo farlo.
Sentii le mani di Carlisle posarsi gentili sulle mie spalle.
"Il mio bambino..." dissi voltandomi verso di lui.
"Si lo so." mormorò lui rattristandosi."Quando ti trovai all'obitorio ti riconobbi immediatamente e uno dei miei colleghi mi raccontò di te e del bambino. Io ero l'unico a sentire il tuo cuore battere ancora. Approfittai di un momento di distrazione da parte dei colleghi e ti portai via."
Il mio antico dolore si risvegliò travolgendomi e lo sfogai stringendomi forte a Carlisle. Lui mi cinse con le braccia e mi accarezzò i capelli. In quel momento scoppiò a piovere ma me ne accorsi a malapena. Pensavo solo al mio passato che si dissolveva e a tutto l'amore che avrei voluto donare a mio figlio, rimasto inespresso, intrappolato, nel mio cuore ghiacciato.
"Andrà tutto bene, Esme"mi ripeteva lui."Ce la farai. Tu sei più forte di quanto immagini." Mi commossi a quelle parole.
"E' solo che non so più chi sono..." sussurrai mentre la pioggia mi scivolava sulle guance prestandomi le lacrime che non potevo versare.
"Te lo dirò io." mi disse lui con decisione prendendomi il volto tra le mani. Era bellissimo con  i capelli biondi resi più scuri dall'acqua che gli ricadevano lisci sulla fronte. "Sei la ragazza che a sedici anni amava leggere. La ragazza che ha salvato la sua gattina dall'albero. La stessa ragazza che dieci anni fa mi ha guardato con una tale dolcezza quasi da leggermi dentro. Come se fossi di nuovo umano. E non ho mai più potuto dimenticare quello sguardo. Noi vampiri siamo immutabili e duri come la roccia, ma se un piccolo cambiamento s'imprime nella nostra vita la segna per sempre in maniera indelebile. Per me quel cambiamento sei stata tu. E quando ti ho rivista, ti ho voluto tenere con me. Ti ho trasformata per me stesso. Sono stato un grande egoista, perchè... ti amo, Esme."
Ascoltai le parole di carlisle senza respirare mentre una nuova felicità cominciò a diffondersi dentro di me, mentre le nostra labbra si avvicinarono fino a sfiorarsi per la prima volta. "Ti amo anch'io."gli sussurrai prima di baciarlo

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Capitolo 6
*** CAP. 6. Il matrimonio ***


Mi sistemai il velo davanti allo specchio con le mani che mi tremavano.
"Aspetta" mi disse Edward comparendo all'improvviso nella stanza. "Ti aiuto io."
Finì di sistemarmelo ed io sorrisi compiaciuta. Non ero mai stata così felice in vita mia. "Lui come sta?" gli chiesi pensando al mio futuro marito.
Edward fece un sorriso sghembo "Se fosse possibile direi che ha le palpitazioni."
"Già, per lui è la prima volta." osservai divertita. I ricordi del mio primo matrimonio erano sfocati. Ne vedevo immagini confuse come la mia corona di fiori d'arancio, i volti commossi della mia famiglia, mio padre che mi accompagnava all'altare...Quel giorno non ci sarebbe stato nessuno a darmi in sposa, ma ero felice lo stesso.
"Se vuoi ti accompagno io." si offrì Edward. Spesso dimenticavo che poteva leggere la mente. Accettai con gratitudine il suo braccio e lasciai che mi accompagnasse lungo la navata, ad un andatura umana, sulle note della marcia nuziale, mentre Carlisle mi guardava con gli occhi d'orati che brillavano alla luce delle candele.
Avevo accettato la cerimonia in chiesa per rispetto delle convinzioni religiose di Carlisle. Suo padre era un pastore e gli aveva insegnato dei sani valori cristiani che non si erano spenti in lui nemmeno dopo la trasformazione. Ed io ero pronta a condiverli con lui donandogli la felicità che per così a lungo si era negato.
Edward mi lasciò al fianco di Carlisle e ci osservò felice mentre ci scambiavamo i voti. Quando il pastore ci dichiarò marito e moglie mi sentii finalmente completa, libera da ogni fantasma ed incubo del passato. La mia vita per quanto difficile, strana che avesse potuto essere sarebbe stata meravigliosa perchè c'era lui adesso.
Per sempre.
Quando varcammo la soglia di casa quella sera Carlisle mi prese in braccio mentre Edward ci lanciava addosso del riso. Ridevamo felici come una famiglia normale. Corsi velocemente a cambiarmi per il viaggio.
"Mentre saremo via, bada tu alla casa, mi raccomando." diceva Carlisle in tono affettuoso a Edward.
"Certo, certo."rispose lui. Li raggiunsi dopo un secondo con addosso un tailleaur ed un beauty case.
"Studia, mi raccomando. Presto avrai l'esame." gli disse accarezzandogli il volto.
"Vi scriverò per farvi sapere come é andata." promise lui. "Adesso dovete sbrigarvi o perderete il treno."
Carlisle gli diede un lungo abbraccio e poi mi raggiunse sul pianerottolo. "Dove siamo diretti?" gli chiesi incuriosita.
Per un attimo mi abbagliò di nuovo con il suo sorriso. "E' una sorpresa." Fu un viaggio emozionante ed interminabile che ci portò fino alle coste del Brasile. Lì ci aspettava un piccolo panfilo che ci portò al largo. Grazie alla mia vista speciale notai il profilo di una piccola isola all'orizzonte.
"Come si chiama?" chiesi indicandola a Carlisle mentre eravamo abbracciati sul ponte.
"Non le ho mai dato un nome." mi rispose accarezzandomi i capelli.
"Vuoi dire che è tua?" chiesi meravigliata.
"Un premio da parte del presidente George Washington per aver sventato un complotto contro di lui." mi raccontò. Ero a bocca aperta. Non sapevo ancora tante cose della sua storia.
"Ma dovresti darglielo. E' così bella!" esclamai.
"Giusto." osservò guardandomi con adorazione. "Credo che la chiamerò...Isola Esme..."

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Capitolo 7
*** CAP. 7. Una famiglia ***


Questo è l'ultimo capitolo. Grazie per aver seguito questa storia.Spero che leggerete anche le altre mie creazioni.Conto di postarne altre. Bacioni.


Carlisle aveva telegrafato ad Edward informandolo del nostro ritorno, ma quando aprimmo la porta trovammo la casa vuota. Nonostante avessi vissuto le settimane più felici della mia vita in un autentico paradiso terrestre tra le braccia dell'uomo più bello che potessi mai desiderare, ero contenta di tornare alla nostra vita familiare. Fui sorpresa che Edward non fosse venuto ad accoglierci e immaginai che fosse stato trattenuto da qualche commissione. Quel giorno pioveva, forse era uscito. Poi notammo la lettera sul tavolo di mogano del soggiorno appoggiata contro un vaso. Carlisle la prese e cominciò a leggerla.

Mio caro Carlisle,

troverete questa lettera al mio posto quando tornerete dal viaggio di nozze. In questi giorni ho riflettutto a lungo su me stesso ed ho capito che non posso continuare a fare questa vita. Faccio sempre più fatica a controllare i miei istinti e il sangue animale non basta più a calmare la mia sete.
Andare all'Università a questo punto mi sembra irrealizzabile.
Non posso più continuare a vivere così e ho deciso così di andarmene per la mia strada in cerca di uno mio equilibrio. Sono contento almeno di non lasciarti da solo. Esme è una persona meravigliosa e ti renderà molto felice. Era tempo che qualcuno si prendesse cura di te.
Nonostante ciò che sono, ti sono grato per quanto hai fatto per me, per aver mantenuto la promessa a mia madre ed avermi voluto dare una seconda possibilità.
Sei stato un padre, un fratello, un amico fedele e sono contento di averti conosciuto.
Non preoccuparti per me e non sentirti in colpa di nulla. Non è colpa tua.
Perdonami se non ti ho salutato di persona ma odio gli addii.
E poi chi può dirlo...le nostre strade sono talmente lunghe che potrebbero incrociarsi.

Abbraccia Esme per me e dille che mi mancherà. E' stata un'insegnante fantastica.
E non solo per lo studio.

Non vi dimenticherò mai.

Edward


In quel momento maledissi la mia natura perchè non mi permetteva di piangere.
Abbracciai forte Carlisle e nascosi il viso contro il suo collo.
"Edward" gli avevo detto un giorno. "So che hai avuto una madre meravigliosa, e non voglio prenere il suo posto ma concedimi di poterti amare come un figlio e di essere per te come una mamma, oltre che un'amica e una sorella maggiore. Se il mio bambino fosse vissuto e fosse diventato grande mi sarebbe piaciuto che ti somigliasse."
A quanto pare le mie parole erano cadute nel vuoto. Avevo perso anche lui.
"Tornerà vedrai" mi sussurrò Carlisle baciandomi i capelli.

I giorni divennero settimane e le settimane mesi. Carlisle prolungò le sue ferie per non farmi stare sola. Era dura per noi vedere la camera di Edward vuota e il pianoforte chiuso ma quella prova ci unì ancora di più e rafforzò il nostro amore.
Finchè un giorno il vento, attraverso una finestra aperta, ci portò un'odore inconfondibile.
"Edward!" gridai volando giù per le scale. Carlisle mi seguì a ruota.
Edward avanzò lentamente con la testa bassa e poi la sollevò timidamente.
Il suo volto era il ritratto della vergona e del rimorso. I suoi occhi erano rossi come il sangue. Non ce l'avetti con lui neanche per un secondo. Guardai Carlisle e anche sul suo viso lessi il persono.
"Non ti preoccupare, Edward." gli disse. "Ricominceremo insieme."
Edward gli si gettò tra le braccia stringendolo forte e chiuse gli occhi.
"Non ho mai fatto del male a degli innocenti. Ho sempre scelto dei criminali come vittime. Gente malvagia, pericolosa, senza cuore...eppure...anche loro sono esseri umani. Chi ero io per..." S'interruppe con la voce soffocata dall'emozione.
"E' finita, tesoro." gli dissi accarezzandogli la chioma ramata. "Sei a casa."
"Esme." mi disse Edward staccandosi da Carlisle e avvicinandosi a me. "Concedimi di poterti amare come una madre ed essere per te come un figlio, un fratello minore, un amico. Se la mia mamma fosse stata qui, mi avrebbe amato e incoraggiato come hai fatto tu."
Lo strinsi commossa tra le braccia e ancora una volta rimpiansi il fatto di non poter piangere. Avrei voluto farlo tanto in quel momento, ma per la gioia.
"Ho qualcosa per voi." annunciò Edward rianimandosi. "L'avevo preparata già da un pò...ma ho finito di comporla mentalmente sul treno durante il viaggio di ritorno."
Andò a sedersi al pianoforte e sollevò la custodia. "E' ancora accordato."notò compiaciuto.
"Sapevamo che saresti tornato." spiegò Carlisle.
Edward sorrise commosso. "E' un brano ispirato a voi, alla vostra storia." spiegò e cominciò a muovere le dita sui tasti suonando quella che sarebbe diventata la mia melodia preferita. Era splendida, piena di suggestioni e di note dolci.
Pensai che non potevo desiderare nient'altro di più bello. Ma mi sbagliavo.


Il giudice aveva l'aria compiaciuta e piena di ammirazione. "Dottor Cullen. Signora. Non sono molte le giovani coppie che decidono di adottare un adolescente. La vostra scelta è lodevole e generosa. Bene torniamo a noi. Per i poteri che mi sono stati conferiti dallo Stato del Wisconsin, Carlisle ed Esme Cullen adesso potete considerare Edward Anthony Masen come vostro leggittimo figlio. Figliolo, adesso potrai portare il cognome dei tuoi tutori. D'ora in poi sarai Edward Cullen.
Non so ancora chi di noi fosse il più felice quando uscimmo dal tribunale. Sotto il cielo grigio ognuno di noi era il sole dell'altro. "Che bella famiglia!" commentò qualche passante vedendoci. Si, era davvero una bella famiglia quella che la gente osservava e che io stessa potevo vedere riflessa nelle vetrine. Ma soprattutto era la mia.


                                                  FINE

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