S-C-U-O-L-A

di Julietts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Settembre ***
Capitolo 3: *** Ottobre ***
Capitolo 4: *** Novembre ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Nell’ antichità, quando le foglie cominciavano ad avvicinarsi alle sfumature giallo-dorate e un venticello fresco muoveva le chiome degli alberi, i bambini appartenenti alle famiglie più ricche e fortunate compravano dai mercanti delle tavolette con alcuni gessi e si avviavano verso delle strutture che vennero definite ‘scuola’.
Quello fu l’inizio dei guai.
A distanza di anni, di secoli, di millenni, le cose non sono poi tanto cambiate.
Quando le famiglie tornano dalle vacanze con ancora in mente i ricordi agrodolci di una splendida estate e lo smog torna ad impossessarsi dei polmoni della gente di città, i ragazzi di tutta Italia comprano qualche zaino stropicciato e possibilmente sporco con dei libri che si impegnano a rovinare immediatamente e si avviano verso degli edifici tristissimi definiti ‘scuola’.
La scuola è un’istituzione che in Italia sarebbe davvero da rivedere.
Questo lo penso in duplice veste sia di cittadina italiana sia di studentessa, annoiata cronica, che ha delle idee su come potrebbero andare le cose. Di sicuro, peggio di così no. Ma questo livello bassissimo infondo mi induce coraggio: non potrò immaginarmi la scuola peggio di come è già, dunque…qual è il problema??!?

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Capitolo 2
*** Settembre ***


Un raggio di sole filtra attraverso le tende. Apro un occhio. Lo richiudo subito. Cattiva idea.
Dopo poco sento ancora un rumore che mi mette una specie di tarlo nell’orecchio, che mi costringe ad aprire questa volta l’altro occhio e dirigerlo verso la sveglia. Sette e un quarto.
Cazzo.
Sono costretta ad aprire tutti e due gli occhi in fretta e a buttarmi giù dal letto trascinando con me il lenzuolo e il cuscino. Sento ancora la luce alle mie spalle quando cerco disperatamente le mie ciabatte sotto il letto, dimenticata totalmente di quei bellissimi raggi di sole. Alla fine rinuncio a infilarmi le pantofole e mi dirigo come uno zombie (uno zombie molto di fretta, a dirla tutta) in bagno, dove mi lavo la faccia con l’acqua gelida. Mi guardo allo specchio e faccio una smorfia di disgusto: la mia immagine non è esattamente pronta a presentarsi in pubblico. Traffico nei cassetti per trovare le mie dannate lenti a contatto che mi permetteranno di vedere un po’ più in là del mio naso. Ecco, trovate. Le apro velocemente e ne prendo una in mano. Mi cade.
Al diavolo.
Ne apro un’altra, e la avvicino all’occhio. La metto. Sbatto le palpebre. Mi dà molto fastidio. Alias: l’ho messa dal verso sbagliato, benissimo. Decido di fregarmene e ne apro un’altra. Me la infilo nell’occhio in meno di due secondi. Anche questa è storta. Due su due. È la mia mattina fortunata.
Ora mi vedo con più chiarezza allo specchio: non solo non sono presentabile, sono propriamente un mostro.
Corro, cercando di non sbattere contro tutti i muri, verso camera mia. Apro l’armadio e prendo una maglietta bianca e un paio di jeans. Infilo il tutto e torno velocemente in bagno. Lancio un’altra occhiata all’orologio. Sette e trentacinque. Malissimo,
Cerco nella trousse un fondotinta che possa coprirmi le occhiaie e l’acne che ha deciso di torturarmi proprio questa mattina. Stendo un velo deciso e mi sento già meglio. Poi, decido che è l’ora di litigare con il pettine.
Prendo quello di ferro, che uso solo nelle occasioni drastiche, e comincio a spazzolarmi con forza i capelli. Sono ancora abbastanza lisci, grazie al cielo, ma sono tutti elettrizzati. Ci vuole una passata di piastra o tra mezz’ora saranno nuovamente ricci e ribelli come ieri sera. E, effettivamente, come ogni giorno che non li piastro.
Mentre attacco l’aggeggio alla corrente e aspetto che si surriscaldi, scappo in cucina e mi prendo al volo una brioche. La trangugio in cinque secondi e torno di corsa in bagno. È tardi, tardissimo.
-Sei pronta?- l’urlo di mia madre non fa che accrescere sempre di più la mia ansia.
-Tra un attimo…tu comincia a scendere e accendere la macchina, io arrivo tra due minuti-
La piastra comincia a fumare. Merda, l’ho lasciata scaldare troppo. La prendo in mano e mi scotto di brutto: ovviamente. Cominciò a piastrarmi i capelli, con destrezza: grazie al cielo al meno questo riesco a farlo bene.
Poi, in un lampo, prendo le scarpe più vicine che riesco ad afferrare e le metto. Acchiappo lo zaino e mi butto fuori dalla porta, e via in macchina, dove mi aspetta mia madre con pronto uno dei suoi discorsi sul fatto che, come quasi tutte le mattine, sono in ritardo.
Sulla via Emilia trovo un traffico pazzesco, e sbuffò irritata. Ci mancava solo questa.
Guardo fuori dal finestrino: c’è il sole, che mi urla ‘ehi, fa ancora caldo, è ancora estate’, e invece no, per me l’estate è finita. Lancio un imprecazione silenziosa verso quella bellissima e limpidissima giornata di inizio settembre e vedo in lontananza quell’edificio che popola ogni mio singolo incubo. Faccio fermare mia madre e comincio a correre, stile maratona di New York, verso il cancello. Attraverso in due secondi il vialetto e mi fiondo in corridoio. Una rapida occhiata all’orologio: cinque secondi e mezzo e suona.
Quattro.
Mi fiondo in classe.
Tre.
Cerco di raggiungere il mio banco in terza fila.
Due.
Lancio lo zaino tra la sedia e il tavolo.
Uno.
Driiiiiiiiin.
-Buongiorno ragazzi-
-Buongiorno prof-
-Allora…il mio registro?-
-E’ in 2C-
-Colombo, me lo vai a prendere, per favore?-
Ma certo prof, non aspettavo altro.
-Ehi, lo sai che hai un’aria irritata e stressata stamattina, cara? Tutto ok?-
-Certo prof-
Certo che è tutto ok. Perché mai dovrei essere stanca o stressata?

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Capitolo 3
*** Ottobre ***


Storia alla prima ora ammazza. No, ammazza sul serio.
Sei lì, da 55 minuti, a sentire un professore (che sicuramente parla con passione e sentimento, neanche a dirsi!) che ti spiega cose di cui, diciamocelo, non ti frega un emerito cazzo. Perché sì, ammetto che del malcontento dei contadini verso Garibaldi quando non concesse la riforma agraria non mi potrebbe importare di meno. Il tempo si dilata a dismisura, e tu non ce la fai, non puoi farcela a stare attenta e guardi con odio profondo chi continua a fare stupide domande. Ma taciti, per Dio! Non ce la puoi fare. Proprio non puoi. Vorresti solo sbattere la testa contro il muro recitando parolacce in inglese.
E quando il prof, alla fine, se ne va, ben cinque minuti dopo il suono della campanella, ti senti rinascere. Sei stanca, sfinita, e quasi ti viene voglia di prendere lo zaino e andare a casa. Dai, non mancherà poi tanto...questo pensiero ti rincuora, almeno finchè non guardi l’orologio e scopri che, merda, siamo ancora alla prima ora.

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Capitolo 4
*** Novembre ***


Verifica di tecnica. Da lì a cinque minuti.
Appresa questa triste notizia dal compagno di banco che te l’aveva detto al telefono chissà quanto tempo prima (e tu non l’avevi segnato, perché convinta di avere una buona memoria), cominci a pregare Dio, la Madonna, Gesù, lo Spirito Santo e tutti i Beati e Santi che conosci, in ordine alfabetico. Poi passi a recitare il Padre Nostro, l’Ave Maria, e i Salmi in ordine sparso, a partire da quelli che pregano il Signore di concedergli la Grazia della conoscenza e della sapienza.
Infine, entra la prof con i suoi capelli ricci e cespugliosi e gli occhialetti sottili, e cominci con le parolacce, partendo da vaffanculo fino ad arrivare ai porca troia, passando per i merda e i puttana.
Quando infine, ci mette un’ora e un quarto a parlare di altro, tu pensi, oh, l’ho scampata, il sole ricomincia a splendere, per poi scomparire del tutto quando dà una sbirciata all’orologio e poi ti dice: -Oh, guardate, è tardi...beh, pazienza, la farete in quaranta minuti!-
Cosa? Ma si è rincitrullita tutto di un colpo?!?
Io ho bisogno della mia oretta per fare una tavola. E quaranta minuti non sono un’ora, prof, non so se gliel’hanno insegnato nella scuola per diventare bastardi.
Comincio a sudare freddo. Prendo un foglio bianco. Lo sporco con le mie fottutissime mani che ero sicura di aver pulito bene. Prendo la squadra. E questa si sposta quasi da sola. Non me ne va bene una. Matita. La punta è inesistente. Temperino lasciato a casa. Sto per crollare sotto i colpi di un attacco nervoso fulminante. Sospiro. E faccio questa benedetta tavola.
Beh, alla fine la consegno, non completa, ed esco con i miei compagni sfortunati come e più di me dall’aula, tutti con un muso sottoterra e le bocche che mormorano bestemmie in italiano, inglese, spagnolo e qualcuno anche in turco e rumeno. 

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