Film da Richard

di RedJoanna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Qualcuno Piace Castle ***
Capitolo 2: *** Pretty Detective ***
Capitolo 3: *** Le Vacanze Romane di Castle e Beckett ***
Capitolo 4: *** Il Nuovo Titanic ***
Capitolo 5: *** Intermezzo ***
Capitolo 6: *** Red Mill ***



Capitolo 1
*** A Qualcuno Piace Castle ***


Sproloqui dell'autrice: ecco a voi la mia prima fanfiction! L'ho postata dopo Paura del Buio, che invece ho scritto molto più tardi, perché avevo un progetto in testa che ho intenzione di realizzare: creare una raccolta di One-Shots ispirate a vari film, scritta in tandem con la mia amica Lily! Cominciamo!

 

 A QUALCUNO PIACE CASTLE
(A Qualcuno Piace Caldo)


-Ma perché non mi dici dove stai andando?-.
-Perché vorresti venire anche tu-.
-E qual è il problema?-.
Beckett si girò verso Castle e sollevò un sopracciglio. Con quegli occhietti azzurri imploranti sembrava un bambino che pregava sua madre di portarlo al Luna Park. Solo che lei non era sua madre e NON DOVEVA andare al Luna Park.
-TU sei il problema-.
Beckett entrò nell'ufficio della omicidi, seguita da Castle, che piagnucolò:
-Ryan, Esposito! Avete sentito cosa mi ha detto? Che sono un problema!!!-.
Ryan ed Esposito si alzarono dalle loro poltrone e, quasi avessero preparato un complotto con Castle contro Beckett, gli si riunirono intorno, facendogli pat-pat sulla spalla.
-Povero Castle! Beckett, perché sei così dura con lui?-.
Beckett roteò gli occhi e poi, stufa di quei giochi da bambini, cominciò:
-E va bene, Castle. Vuoi davvero sapere dove devo andare?-.
-Sì, per favore- rispose lui, accomodandosi su una sedia e sporgendosi sulla scrivania, verso la detective, mentre Ryan ed Esposito tornavano alle loro mansioni.
-In un locale... per... lesbiche- scandì Beckett.
Castle spalancò tanto d'occhi e si portò una mano alla bocca. Poi mormorò, avvicinandosi ancora di più a Beckett:
-Scusami... non vorrei essere indiscreto, ma... mr FBI? Come mai ti sei fidanzata sei hai altri... orientamenti in quel senso? Certo, io potre farti cambiar...-.
-CASTLE! E' per un'indagine!-.
Castle sospirò.
-Fiuuuuu, meno male...-.
-Allora, vuoi ancora venire con me?-.
-Certo!-.
Questa volta fu Beckett ad assumere un'espressione scioccata.
-Castle, non so se hai capito... io devo osservare Sheila, i suoi spostamenti... tutte le prove sulla scena del crimine portano a lei...-.
-E quindi?-.
-Lei frequenta un locale per lesbiche dove è severamente proibito l'ACCESSO AGLI UOMINI!-.
-Ma tu, cara detective Beckett, dimentichi che io sono Rick Castle!- sorrise lui, avvicinandosi alla detective. Beckett si alzò sbuffando:
-No, tu sei un idiota. E questo è un po' difficile per me dimenticarlo-.
Lo scrittore osservò la detective. Si muoveva delicata, con un'ombra di malinconia sugli occhi, e gli sembrava bellissima. Sentì le guance andarli a fuoco e il cuore battere all'impazzata. Quasi non si accorse che dalla bocca gli era uscito un:
-Sarei disposto a tutto pur di rimanere sempre con te-.
Beckett sollevò lo sguardo e fissò i suoi occhi verdi in quelli azzurri di Castle. Sollevò un angolo della bocca in un ghigno e gli si avvicinò.
-Allora sei proprio deciso a venire. In realtà, un modo per farti entrare c'è...-.
-Sono tutt'orecchi-.
Beckett si alzò sulle punte dei piedi e gli sussurrò all'orecchio:
-Travestirti... da... donna-.
Quando tornò a guardare lo scrittore, lui stava cambiando colore ad una velocità stratosferica. Prima bianco, poi rosso, poi ancora bianco... impallidiva e arrossiva in un turbinio di pensieri.
Beckett gli aveva DAVVERO sussurrato qualcosa all'orecchio?
Avrebbe dovuto DAVVERO travestirsi da donna?
Beh, ormai aveva detto che l'avrebbe seguita. E Rick Castle non si rimangia mai la parola data.

-Eccoti qua, sei perfetta... Erika-.
-Erika?!? Ma è un nome da femmina!-.
-Mica posso chiamarti Rick! Già non è che tu ricordi poi tanto una... ragazza! Ragazzi, voi che ne dite?-. Ryan ed Esposito si sistemarono dietro le spalle di Beckett e scoppiarono in una sonorissima risata.
-Che avete da ridere voi?-.
Castle si alzò con l'intento di gridare qualcosa a quei due, ma, dimentico di avere delle scarpe tacco 12 ai piedi, scivolò. Impulsivamente strinse le mani intorno alle braccia di Beckett, che gli avvolse la schiena fasciata da una camicia di lino nero. Castle alzò lo sguardo. Potevano sentire l'uno il respiro dell'altra sul proprio viso. Le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza.
-Castle? Tutto bene?-.
La voce di Ryan riportò Beckett alla ragione. Fece un passo indietro, imbarazzata, mentre lo scrittore cercava l'equilibrio perduto mulinando le braccia nell'aria.
-Sì, sì. Certo. Ma voi- chiese, rivolto a Beckett -voi come caspita fate su questi tacchi dalla mattina alla sera? E con questo schifo sulla faccia!-. Lo scrittore si passò una mano sulle labbra che piegò in una smorfia di disgusto che strappò un risolino da ragazzina alla prima cotta a Beckett.
-Possiamo andare?- chiese Castle, avviandosi verso l'uscita dell'ufficio. Beckett lo seguì, ma Esposito la richiamò.
-Beckett?-.
-Sì?-.
-A qualcuno piace Castle- rispose il detective facendo l'occhiolino alla collega, che uscì dalla stanza roteando gli occhi e chiedendosi per quanto tempo potesse ancora nascondere anche a se stessa che Esposito aveva perfettamente ragione...

Beckett aprì la porta del locale. Due ragazze si baciavano addossate ad una parete poco distante. Castle inciampò per l'ennesima volta nei tacchi, ma, ormai abituato, ritrovò subito l'equilibrio. Non poté fare a meno di gettare uno sguardo alla detective. Scivolava disinvolta tra i tavoli, con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra...
-Vedo che sei molto sciolta sui tacchi. Mi piacerebbe che tu li mettessi tutti i giorni- le sussurrò all'orecchio, con uno sguardo allo stesso tempo da ragazzino insolente e da tenero innamorato. Beckett continuò a camminare, dopo aver degnato lo scrittore di un'occhiata fugace, e mormorò:
-Sei consapevole che tutte le frequentatrici di questo locale hanno sul viso la tua stessa espressione, ma la rivolgono a TE?-.
Castle si guardò intorno. Effettivamente, tutte le ragazze lo stavano mangiando con gli occhi, Gli facevano l'occhiolino, o lo salutavano agitando le dita della mano, una per volta, con indicibile malizia. Castle deglutì, improvvisamente pallido. Ma riprese immediatamente colore quando Beckett gli strinse la mano per guidarlo verso un tavolo.
-Erika! Forza, sediamoci lì-.
Castle se lo sentiva: quella serata sarebbe stata magica.

Sheila uscì dal locale, ammanettata. Due poliziotti la spinsero nell'auto. Castle e Beckett osservavano la scena da poco distante, appoggiati alla facciata esterna del locale. La detective osservava Castle di sottecchi, mordicchiandosi il labbro. Anche così conciato le scatenava un batticuore irrefrenabile. Smise di tormentarsi il labbro. Era arrivato il momento della verità. Gli si avvicinò.
-Sai, Erika, se tu fossi un uomo, ti bacierei-.
Castle si girò verso di lei e sorrise, di quel suo sorriso speciale, impertinente e tenerissimo. Le sussurrò all'orecchio:
-Ma io sono un uomo...-.
Lo scrittore portò le sue labbra su quelle della detective e la baciò. Aspettava quel momento dalla prima volta che l'aveva vista. Esattamente come Beckett, che, avvinta nel caldo abbraccio di Castle, non pensava più a niente se non a rimanere stretta all'uomo della sua vita il più possibile, incuranti degli sguardi scandalizzati dei passanti...


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Capitolo 2
*** Pretty Detective ***


*Sproloqui dell'Autrice*: ed eccoci al secondo capitolo di Film da Richard! Premetto che non è assolutamente esaltante (infatti, l'intervento della mitica Lily è stato praticamente minimo ed è lei, di solito, che ha le idee geniali, ma, quando le ho fatto leggere la prima parte, ha detto che le piaceva... ma d'altronde lei va mattissima per quei film in cui si piange dall'inizio alla fine). Come accennavo prima, in questa FF si piange un po'.
Siamo partite dal film Pretty Woman, anche se c'è solo un dettaglio minimo del film. Ho anche messo un pizzico di Cenerentola.
Tutto preso dal punto di vista del nostro adorato Ricky, in questa FF appena un po' OOC: infatti non lo ritroverete come il solito mattacchione, ma come un innamorato pazzo. Ebbeh, perché dopo il bacio di A Qualcuno Piace Castle lui si aspetta qualcosa...

Buona lettura!


 

Pretty Detective
(Pretty Woman e un pizzico di Cenerentola)


 

Sono fuori di me all'idea di rivedere Kate. Sono passati solo due giorni da quel bacio fuori dal locale, un week-end, il peggiore della mia vita. Con quel bacio Kate è diventata parte di me. Non mi sento io senza averla accanto. Sensazione mai provata con Meredith e Gina.
Entro in ufficio, con il solito bicchierone di caffé.
-Ciao, ti ho portato il...-.
Ecco, ora mi salta al collo e mi spupazza di baci.
No.
Ma che fa?
Mi prende il bicchiere dalle mani, se lo scola e me lo rimette dov'era. Delusione.
-Che c'è? Dopo quello che è successo vene...-.
Ups. Ha qualcosa in mano. Un cartoncino, sembrerebbe. Mi porto alle sue spalle, per leggere.
"Il sindaco Bob Peck è lieto di invitare il detective Kate Beckett come rappresentante della Squadra Omicidi del 12° distretto ad una serata danzante in onore dell'intero Corpo di Polizia della città di New York, che si terrà al Metropolitan American Dance Theatre il 7 aprile 2011. E' richiesto l'abito da sera".
Un ballo. Fantastico. Capisco solo adesso cosa doveva aver provato Cenerentola.
-Perché non fai salti di gioia?-.
-Perché la nostra detective non sa ballare!-.
Esposito. Sta ridendo, alla sua scrivania, con Ryan che gli fa eco.
No, aspetta.  Non credo di aver capito. Kate... non sa ballare?
-Esposito, smettila!-.
E' diventata completamente rossa. Dio, quanto è... non mi controllo. Mi avvicino a lei. Chiudo gli occhi. Provo a sfiorare la sua mano. Sento il suo respiro caldo sul mio viso.
E il cigolare della poltroncina con le rotelle. Che si gira dall'altro lato. La mia mano tocca il tavolo, freddo.
Ma cosa..
Ryan ed Esposito mi stanno fissando. Cavolo. Datti un contegno, Rick. Tossicchio e cerco un cestino per buttare il bicchiere del caffé. Poi afferro la mia sedia e mi accomodo accanto alla scrivania di Kate, come sempre. Come se non fosse successo nulla.
Un momento.
-Sul serio non sai ballare?-.
Sospira e si passa una mano tra i capelli. La poggia sul bracciolo della sua poltroncina. E, per un attimo, invidio quel bracciolo perché lui può toccare la mano di Kate e io no. Ora ti sistemo io. A noi due, bracciolo.
-E' solo che...-.
-Sì?-.
-Non ho mai ballato... in un'occasione ufficiale-.
-Quindi non sai ballare-.
-Non ho detto questo-.
-Non proprio. Hai detto che...-.
-Castle! Argomento chiuso!-.
Si alza. Dove va? La seguo, istintivamente.
-Come "argomento chiuso"? Il ballo è fra cinque giorni!-.
-Non ci vado!-.
Cosa?
La supero, mi paro davanti a lei, sbarrandole la strada.
-Hey, non puoi non andarci-.
Mi sento la fata Smemorina. Ma dovrei essere il principe azzurro della situazione, no? Non è una bella cosa, vero?
Mi sta guardando. Braccia conserte e sopracciglio alzato. Attende spiegazioni.
Perché non può non andarci? Eggià, perché... perché è un'occasione importante, perché è stata invitata espressamente dal sindaco, perché...
-Ti insegno io a ballare-.
Aspetta. Rewind, rewind, rewind. Mi sono davvero proposto a lei come maestro di danza?
A giudicare dal suo sguardo derisorio, sì.
Ma possibile che non pensi mai prima di parlare?
-Dai. Dopo quello che è successo venerdì, non puoi dirmi di no-.
Giusto. Ben detto, Rick!
Sfodero il mio sorriso sghembo, tanto per stare sicuri. A quello non resiste.
Hey. Sta sorridendo.
-Stasera alle nove?-.
Non ci credo.
-A casa mia-.
-Bene-.
-Bene-.

 


-Tu fai un passo indietro col piede sinistro e io uno avanti col destro. Andiamo-.
-Papà, che fai? Oh, ciao, Kate!-.
Alexis.
-Ciao, Alex!-.
-Hey, tesoro. Sto insegnando a Kate a ballare- sorrido.
Stringo una mano di Kate e la avvolgo con l'altro braccio. Casqué!
-Castle...-.
-Kate!-.
Ma cosa combino?!
Possibile che io sia così sciocco?
Kate non sa ballare!
Con tutta la forza che ho nelle braccia, la sollevo. Dai, forza!
-Kate! Ti sei fatta male?-.
-No, Alexis, sto bene. Credo che quella che si è fatta male, è l'autostima di tuo padre-.
Ups. Devo avere una faccia da cane bastonato. Povera Kate. Si sarebbe potuta fare molto male. Per colpa della mia insensatezza.
-Papà? Tutto ok?-.
-Eh? Sì, sì-.
Sfodero un sorriso. Dai, in fondo non è successo niente.
-Bene. Allora, Fred, ti lascio alla tua Ginger!-.
Sta uscendo. Hey, ma mica...
-Tesoro!-.
-Sì?-.
-La nonna non è in casa, vero?-.
-Doveva uscire con Chet, non credo che torni prima di mezzanotte-.
-Bene. 'Notte, tesoro-.
-'Notte, papà!-.
Sospiro. Cerchiamo di non assestare troppi colpi al mio ego, che ci tengo molto.
-Oh, quindi dovrai tornare a casa prima di mezzanotte. Una specie di moderna Cenerentola!-.
-Sì, Castle, come no. Possiamo riprendere?-.
-Mh? Sì, certo!-.
Le stringo ancora le mani. Sprigiono energia come non mi è mai successo in tutta la mia vita.
Il calore delle dita di Kate.
Il cuore che mi batte all'impazzata.
-Allora. Tu indietreggi col sinistro, io avanzo col destro-.
-Indietreggio col sinistro...-.
-Brava. E ora il contrario-.
-Mh?-.
-Ora tu avanti col destro e io indietro col sinistro-.
-Avanti col destro-.
-Ahia!-.
-Ups, scusami! Ti ho fatto male?-.
Come puoi avermi fatto male soltando pestandomi un piede, Kate, amore mio?
-No, no, tranquilla-.
-Allora. Avanti col destro-.
-Sì. E ora fai un passo di lato col piede destro-.
-Così?-.
-Sì. Giro-.
-Giro?-.
-Sì, giro. Brava. E di nuovo. Indietro col sinistro, avanti col destro, di lato a destra e giro. Un, due, tre. Un, due tre...-.


-Un, due, tre. Un, due, tre. Brava, fai progressi-.
-Grazie-.
-E ora, casqué-.
E non farla cadere di nuovo.
Perfetto.
Le stringo più forte la mano, le sostegno la schiena magra con il braccio.
Mi piego su di lei.
I capelli mossi sfiorano il pavimento, gli occhi scuri le brillano.
Ma sicuramente non quanto i miei.
Kate, sto per baciarti. Di nuovo.
Non so resistere.
Chiudo gli occhi.
-Castle...-.
-Kate, io ti...-.
-Rick! Cosa fai?-.
Mamma?
Mamma.
MAMMA?!
-Mamma! Io...-.
-Hey, c'è anche Beckett. Ciao, ragazza!-.
-Ehm, ciao, Martha. Ti saluterei come meriti, se tuo figlio si degna di sollevarmi-.
Giusto.
La tiro su.
Che diamine. Sempre al momento più opportuno, vero?
-Come va, Martha?-.
-Bene. E tu... cosa hai combinato per tirare fuori da mio figlio le sue doti di ballerino?-.
Niente. Kate esiste e questo mi fa mostrare automaticamente la parte migliore di me.
Aspetta.
Quando parla delle mie "doti di ballerino", passa sempre a raccontare un aneddoto.
Alquanto imbarazzante.
Non lo farai, mamma, vero?
Non con Kate.
Non sei così crudele e insensibile, vero?
VERO?
-Sai, Kate, cara, perché mio figlio balla così di rado?-.
-No!-.
-Mamma, io...-.
-Devi sapere che, quando aveva dieci anni circa, studiava danza classica...-.
No, no, no.
Richard Alexander Rodgers, preparati a non uscire più di casa.
-...e la sua scuola di danza organizzò un balletto. Nello spiccare un salto...-.
-Mamma...-.
-... ha urtato un'altra bambina che era in scena. Sono caduti entrambi, facendo cadere anche tutto il restante corpo di ballo-.
Bene, mamma, ora sarai contenta di avermi umiliato a vita. Davanti a Kate!
-Castle...-.
Eccola.
Ora chissà quante me ne dirà. Quei pochi punti che avevo con lei li ho persi tutti, in un colpo solo.
Pavimento, inghiottimi.
ORA!
-...sapevo che combinassi guai a ruota, ma non che avessi studiato danza. Come mai poi hai smesso?-.
-Dopo quel disastro non si è mosso più dal letto per una settimana. E fu allora che gli feci assaggiare per la prima volta un calice di quel vino che tira sempre su. No. Forse la prima volta fu quando...-.
-Ehm, credo che sia il caso che vada...-.
No, Kate, no.
Non andare via.
-Va bene, cara. Torna quando vuoi-.
Mamma, perché le apri la porta?
-Castle, ti ringrazio molto-.
-Figurati. Ti accompagno a casa-.
-No, non ce n'è bisogno. 'Notte, Castle-.
-A domani-.
Mamma le chiude la porta alle spalle.
Possibile che sappia solo combinare danni?
Ecco da chi ho preso.
Il vuoto mi attanaglia lo stomaco. Kate è andata via.
Mi dirigo verso il frigorifero.
La panna spray non potrà mai sostituire Kate.
Ma è meglio di niente.


Sono passati cinque giorni.
Le ho portato cinque caffé.
Abbiamo ballato per cinque pomeriggi.
Ho provato a baciarla... non so quante volte.
Tutti tentativi vani.
Ma cosa le è preso?
Una settimana fa ha voluto baciarmi lei, e io non aspettavo che quel momento. Giuro che non riesco a capire.
Forse è stata solo un'illusione.
Sì, mi sono illuso.
Per la prima volta nella mia vita, sono io l'illuso.
Ma ormai sono qui.
Non posso tornare indietro.
Stasera glielo dico.
Le dico tutto.
Tutto quel tumulto che mi si agita dentro quando la vedo.
Se è mai possibile descriverlo.
Sei pronto, Rick?
Devo esserlo.
Premo il pulsante del citofono.
Uno.
Due.
Tre.
-Chi è?-.
Ha una voce bellissima. Anche appena un po' graffiata dal crepitìo del citofono, mi incanta.
-Il principe azzurro!-.
-Castle...- la sento ridacchiare.
Scendi, Kate.
Chissà come sarà vestita.
Ma è talmente bella che starebbe bene anche con un sacco di iuta addosso.
Eccola.
E' radiosa. Non riesco a staccare gli occhi dal suo viso.
Ha i capelli raccolti, delicatamente, senza troppe pretese.
E gli occhi le brillano.
-Castle! Che ci fai qui... vestito così?-.
-Ti ho mai parlato dell'amicizia tra me e il sindaco?-.
Alza il sopracciglio.
Certo che gliene ho parlato, proprio a causa (o grazie, per come la vedo io) della mia amicizia con il sindaco, sono con lei ogni giorno.
-Beh, Cenerentola, non ho un cavallo bianco, dunque la scongiuro di accontentarsi di una limousine. Sempre bianca, però-.
E' a bocca aperta.
Ha le guance arrossate.
E' incredibilmente bella.
Le apro la portiera.
-Prego, Vostra Altezza-.
-Grazie- sorride.
Si siede, con una grazia degna di una ballerina.
Rimango appoggiato alla portiera, a osservarla, a studiare ogni suo singolo movimento.
Si sistema il ciuffo, poi l'orlo del vestito.
Solo ora noto il suo abito. E' verde, senza spalline, con la gonna gonfia e dei dolci ghirigori neri tutt'intorno al corpetto e alla gonna stessa.
Da vera principessa.
-Castle? Tutto ok?-.
Mi sono perso a osservarla. Che figura.
-Sì, sì. Tutto ok-.
Chiudo la portiera e corro fino a quella dal lato opposto. Non voglio perdere un solo istante.
Non stasera.


Il viaggio in macchina è stato molto silenzioso.
Lei non ha aperto bocca, la sentivo a malapena respirare.
E io invece?
Anche io sono stato in silenzio. Ma sentivo un gran rumore, nella mia testa, nel mio stomaco.
Mi sentivo totalmente sconvolto dentro.
Il cuore non mi ha mai battuto più forte.
Fino ad allora.
Adesso va anche più veloce.
Il sindaco ha appena terminato il suo discorso e ha aperto le danze.
Kate non mi ha lasciato un secondo. Non ha nemmeno provato a ballare con qualcun altro.
Stiamo ballando.
Le stringo la mano sinistra e le tengo la schiena con il braccio destro.
Avvicino il mio viso al suo.
-Sei brava-.
-Ho avuto un ottimo maestro-.
Sorride.
Sollevo un braccio e le faccio compiere una giravolta.
Poi la riattiro a me.
Ok.
Glielo dico.
Adesso.
No, non ce la faccio.
Ma glielo devo dire.
Respiro a fondo.
O adesso, o mai più.
-Kate?-.
-Sì?-.
Bene. Abbiamo già fatto un passo avanti. Se l'avessi chiamata Kate solo qualche giorno fa, non avrebbe nemmeno risposto.
-Sono ormai quasi tre anni che lavoriamo insieme. E sono quasi tre anni che ti porto il caffé tutte le mattine, quasi tre anni che assisto ad interrogatori e investigazioni su scene del crimine. Ma non diventerà mai un'abitudine per me. Tu non diventerai mai un'abitudine per me. Kate, io voglio passare il resto della mia vita con te...-.
-Castle...-.
-Io ti amo-.
L'ho detto. Ho le guance infuocate. Il cuore mi batte velocissimo. Mi sento gli occhi bagnati.
E lei? Perché non si è ancora avvicinata a me, perché non mi ha ancora abbracciato, perché non mi ha ancora baciato?
E' sfuggita alla mia presa.
E mi guarda.
Arrabbiata.
Ma... sono lacrime quelle che le scorrono sulle guance?
-Kate, se ho detto qualcosa...-.
-Io... quello che è successo venerdì scorso... è stato un errore. Non si mischia mai il lavoro con i sentimenti-.
-Ma io non sono Soreson, né tantomeno Demming! Kate, aspettami...-.
Sta andando via.
Perché, Kate, perché?
Fischia.
Un taxi si ferma davanti a lei.
Vi sale, senza nemmeno fermarsi a guardarmi mentre urlo il suo nome.
Sbatte la portiera e il taxi riparte, veloce.
Si è passata una mano sotto gli occhi.
Non sta piangendo, vero?
Non per colpa mia.
Io, invece, sì. Sto piangendo.
Come un bambino.
Kate, perché sei andata via?
Io ti amo.


Non ho dormito.
Sul serio.
Se credevo che lo scorso week-end fosse stato il peggiore della mia vita... beh, questo appena trascorso ha subito preso il suo posto.
Non ho dormito venerdì notte, né sabato, né domenica.
Mi sentivo così male che non ho nemmeno provato a farmi di panna spray come al solito.
Non sarebbe servito assolutamente a niente.
Ma oggi sono al distretto.
Non so se avrà voglia di rivedermi, ma non mi interessa.
Le starò vicino come posso. Sempre.
Ho il solito bicchierone di caffé in mano, mi dirigo verso il suo ufficio.
Non c'è.
Se n'è andata davvero?
-Se cerchi Beckett, è di sotto, da Lanie-.
Esposito.
Sorride.
Evidentemente non sa.
Meglio così.
Talvolta meno si sa, meglio è.
Lo dice anche mia madre.
Rientro in ascensore.
Ho di nuovo il cuore a mille.
E ora?
Cosa le dico?
La saluto come sempre, come se nulla fosse successo?
Le porte dell'ascensore si aprono.
Respira, Rick, respira.
Apro piano la porta della stanza delle autopsie.
Sento dei singhiozzi.
Non è Kate, vero?
No.
La donna a cui tremano le spalle è un'altra, più bassa di Kate, con i capelli nerissimi, lunghi.
-Lo amavo così tanto... tanto, tanto, tanto...- continua a ripetere.
Mi avvicino a Kate.
Lanie non c'è.
-Buongiorno- sussurro a Kate.
Sobbalza.
L'ho spaventata.
E' impallidita.
Prende il bicchierone dalle mie mani e lo porge alla ragazza, che rifiuta con un gesto della mano.
Me lo rimette tra le mani. Lo poso su un tavolo poco distante.
Sull'altro tavolo, invece, quello delle autopsie, c'è un ragazzo. Ha la pelle chiarissima e il solito alone violaceo intorno agli occhi. Le labbra contratte, le palpebre abbassate.
E' il fidanzato della ragazza.
Provo invidia per lui: la ragazza lo amava o lo ama tuttora, da morire.
Ma mi freno. Lui non c'è più, ora.
Ma rimango colpito dall'amore che ancora la sua ragazza gli porta.
-Io lo amavo... così tanto... avevo una tale paura di perderlo...-.
Anche io ho paura di perdere...
Mi manca il respiro.
L'aria si riempie di un intenso profumo di ciliegie.
Qualcosa di caldo e morbido preme sulle mie labbra.
Aspetta.
Sto sognando.
Kate... mi sta baciando?
Se è un sogno, che nessuno mi svegli.
La abbraccio, forte, e ricambio il suo bacio.
Si stacca da me, poco, per sussurrarmi all'orecchio:
-Anch'io ho troppa paura di perderti...-.
Non riesco a farla finire di parlare.
Annullo ancora la distanza tra di noi.
Ma lei indietreggia.
Deve dirmi qualcosa.
-Richard... ti amo-.
-Anche io. Non sai quanto-.
E la stringo, forte.
Recuperiamo ogni istante perso in questi tre anni, ogni istante in cui io ho aspettato lei e lei ha aspettato me.
Non ci lasceremo mai.
Ti amo, mia pretty detective.
Solo questo conta ora.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Le Vacanze Romane di Castle e Beckett ***


 *Sproloqui dell'Autrice*: allora, vi preannuncio che non mi convince moltissimo, ma che la prossima shot sarà moooolto più corta e anche decisamente più intensa!

Ah, dedico questa shot ad Angol: buon compleanno!
Perché proprio questa shot? Il titolo dice tutto!

Un'altra dedica: il primo paragrafo di questa shot è dedicato a Giò e Nico: perché anche loro, come Kate, possano ritrovare quel sorriso che li contraddistingue dopo tante lacrime.

Buona lettura!
 

LE VACANZE ROMANE DI CASTLE E BECKETT
(Vacanze Romane)


 

  -Ma non è solo l'amore che dici di provare per me che conta!-.
-E cos'altro conta, allora?-.
-Castle, ti avevo chiesto espressamente di non indagare più su mia madre. Ti ho già perdonato una volta, non credo che lo farò ancora!-.
Oddio, no, ho la voce troppo incrinata, e il naso mi pizzica.
Sto per mettermi a piangere.
Non qui.
Apro la porta del bagno delle signorine, mi infilo nell'ultima cabina, giro la chiave e poggio la schiena contro la porta.
Mi lascio scivolare, piano, lungo la lastra di plastica, con le mani sul viso.
Scoppio in lacrime.
Ho troppi pensieri per la testa, è tutto in disordine lì dentro. Ci sono tantissime domande che mi vorticano nella mente, e tutte cominciano con la stessa parola.
Perché?
Perché mamma non c'è più?
Perché Castle l'ha saputo?
Perché ha cominciato a indagare?
Perché non rispetta le mie decisioni?
Perché è entrato nella mia vita?
Perché provo sempre forte il desiderio di baciarlo, nonostante tutto?
I fantasmi del mio passato tornano a graffiarmi. La mia vita è stata tutto un via vai di gente, senza mai punti di riferimento abbastanza saldi.
L'unico uomo che mi sia mai stato sul serio accanto è mio padre.
E Castle, ma Castle è un altro conto.
Castle non c'era quando tutto è cominciato.
Ma se ci fosse stato?
Mi sarebbe stato accanto allo stesso modo?
E io gliel'avrei concesso?
Davvero, non so cosa io provi per Castle. Dal primo giorno in cui l'ho visto, per quelle domande, in quel locale, ho sentito uno scombussolamento dentro.
Non ci ho fatto subito caso, la mia vita era sempre stata tanto vuota e monotona che quel piccolo diversivo non poteva che farmi piacere.
Ma da quando ho iniziato a vederlo tutti i giorni, bevendo il caffé che mi portava tutti i giorni, ascoltando le sue teorie astruse tutti i giorni, dandogli consigli su come comportarsi con Alexis tutti i giorni, stando con lui tutti i giorni... ho sentito che la mia vita era davvero cambiata e niente sarebbe più stato come prima.
Quell'uomo così goffo, così tenero, così travolgente, così bello... significa davvero qualcosa per me.
Ma cosa?
Certo, l'ho baciato.
Due volte.
La prima volta, quasi di mia iniziativa, un venerdì di tre mesi fa. Era davvero irresistibile, anche vestito da donna.
Ma poi ho riconosciuto di aver sbagliato.
Ero già stata abbandonata due volte, perché essere ferita ancora?
Quando qualcuno se ne va per sempre dalla tua vita, sei sempre più vulnerabile. Ma, con il passare del tempo, ti costruisci una corazza, uno scudo che ti copre dalle relazioni con tutti gli altri.
E perdi per sempre il sorriso.
La tua vita si impoverisce, diventa sottile, invisibile, e ti sfugge di mano.
Finché non ti arriva uno schiaffo in pieno viso e non capisci che il vero errore lo stai compiendo tu, in quel momento, lasciando andare tutto quello che hai costruito nella tua vita.
E quello schiaffo me l'hanno assestato il cadavere di un ragazzo e la sua fidanzata.
Ho pensato:-E se succedesse a me?-.
Lui era lì.
Non potevo tollerare che se ne andasse per sempre.
E l'ho baciato..
Gli ho detto di amarlo, ed era davvero quello che credevo in quel momento.
Sono passati più o meno due mesi e lui ha continuato a indagare sul conto di mia madre, nonostante, dopo la morte di Coonan, gliel'avessi proibito.
Che testa dura.
Sa benissimo che io non tollero che scavi nel mio passato.
Che non voglio che il dolore ritorni, a distruggermi dentro.
E che non è facile che io perdoni.
Perché perdere un'altra occasione?
Falla finita, Kate. Smettila di piangere, altrimenti le idee non ti si chiariranno mai.
-Kate...-.
Dio!
Ma chi...
No, ma tu guardalo.
Fa capolino dalla cabina accanto alla mia, dall'alto.
Ha una faccia così tenera che è davvero difficile impedirmi di sorridere.
Ma cosa è capace di combinarmi?
Non è il momento di lasciarsi andare, Kate. Assolutamente no.
-Castle, esci di qui-.
-Fammi parlare almeno-.
Sospiro. Sentiamo che ha da dire.
-Senti, Kate, so di avere sbagliato, ma non potevo lasciare che andasse a finire così. Dopo la morte di Coonan, io... non mi sono dato pace. Sapevo che era colpa mia e non potevo tollerare che per colpa mia tu non avessi giustizia. Per questo ho deciso di andare a fondo. Se non vorrai perdonarmi, lo accetterò serenamente. So riconoscere i miei errori, anche se credo di averli commessi in buona fede. Se tu me lo chiederai, sparirò senza battere ciglio. Ma sappi che ti amerò sempre-.
Sono così scossa che ci impiego un po' a mettere insieme le parole pronunciate da Castle e a capirne il senso.
Si sente in colpa.
Ha sbagliato per una buona causa.
Mi ama talmente tanto da essere disposto a uscire dalla mia vita, come prezzo da pagare per il suo sbaglio.
Ma devo pensare.
E non connetto se ho lui vicino.
-Ora vai via-.
Piego il capo.
C'è silenzio per qualche secondo.
-Va bene-.
Lo sento uscire dal bagno.
Bene, ora che sei davvero sola, Kate, cerca una soluzione.
Sei sempre così brava a trovare soluzioni.
Ma ora ne vedo una sola.
-Addio, Castle- mormoro a fior di labbra uscendo dal bagno.

 

 


-Beckett?-.
-Sì?-.
Ryan ha sollevato la testa dalla sua scrivania.
-Si sente la mancanza di Castle. Perché non lo chiami?-.
Deglutisco. E tu, perché non ti fai i fatti tuoi?
Esposito, raggiungendo la mia postazione, gli dà uno schiaffo sulla nuca.
-E' arrivato questo. Per te-.
Mi porge una busta da lettera bianca.
Sopra c'è un'etichetta dattiloscritta con il mio nome e l'indirizzo del distretto, ma la busta sembra sia stata recapitata a mano. Niente francobollo, niente timbro postale.
Lancio uno sguardo ad Esposito. Capisce al volo e va a sedersi.
Sbircio anche la postazione di Ryan. Mi stava fissando, ma, appena ha notato il mio sguardo, ha abbassato il capo sulle sue scartoffie.
Apro la busta e ne estraggo un cartoncino rosso.
Anche il cartoncino contiene qualcosa.
Mi sembra di giocare con le matrioske, come facevo da piccola.
E il mio passato ritorna a punzecchiarmi le pareti dello stomaco.
Prima di rimettermi a piangere, sarà meglio vedere cosa c'è dentro il cartoncino.
Devo osservarlo per qualche minuto per realizzare cosa sia.
E' un biglietto aereo per Roma.
Ma siamo sicuri che sia per me?
Ups. Questo cos'è?
E' un fogliettino scritto al computer.
"Corri a casa, prepara la valigia per tre giorni, afferra il passaporto e precipitati al JFK. Tranquilla, Montgomery sa tutto. Ti aspetto lì".
Kate, rileggi.
Hai letto male.
Ennò, mi sa tanto di aver letto benissimo!
C'è qualcuno che mi chiede di scappare a Roma per tre giorni.
Ma chi?
Non sarà mica...
No. Non può essere.
Quando gli ho detto di andarsene, una settimana fa, non ha opposto resistenza. Ha preso le sue cose, ha salutato tutti ed è andato via.
Mi sfioro la guancia sinistra, dove ha posato un piccolo bacio prima di sparire, nello stesso punto dove l'aveva lasciato quel giorno di ormai un anno e mezzo fa, poco dopo il nostro primo incontro.
Ma quell'ultimo lieve bacio non è stato carico di calore come il primo. Era, invece, un bacio pesante di disperazione, di desiderio represso.
E io in quel momento sapevo di stare distruggendo per sempre quello che rimaneva di me, ma non ho potuto evitarlo.
Troppi fantasmi.
E comunque, è andato via.
Rileggo il testo del biglietto.
"Tranquilla, Montgomery sa tutto".
Bene, il mittente del messaggio l'ha anche scritto.
Montgomery sa tutto.
E' la persona giusta a cui chiedere spiegazioni.
Mi alzo dalla scrivania e mi dirigo a grandi passi verso il suo ufficio.
La porta è aperta.
-Buongiorno, signore-.
-Detective! Hai ricevuto il biglietto?-.
-Sì, e sono qui proprio per avere ulteriori...-.
-Non perda tempo, detective! All'aeroporto scoprirà tutto-.
-Ma, signore...-.
-E' un ordine-.
Sorride.
Beh, se è un ordine, non posso oppormi.
Esco dall'ufficio e torno alla scrivania.
Mi siedo. Devo fare il punto della situazione.
Allora.
Hai ricevuto un biglietto per Roma, la città eterna, quella città che hai sempre sognato di visitare, da quando eri bambina e sfogliavi i libri di fotografia di tuo padre.
Ma è come un appuntamento al buio.
Non sai chi ti abbia mandato il biglietto, chi te l'abbia acquistato e perché.
Il tuo capo ha le risposte alle tue domande, ma non vuole fornirtele.
C'è solo una cosa da fare.
Indubbiamente non è la più saggia, ma buttiamoci, no?
-Ciao, Ryan, ciao, Esposito. Ci vediamo fra tre giorni-.
Getto loro qualche sguardo veloce mentre racimolo le mie cose. E, dai loro occhi, sembra proprio che anche loro sappiano.

 


Sono all'aeroporto. Mi guardo intorno.
Non c'è nessuno di mia conoscenza.
Non c'è nessuno che agita le braccia o che chiama il mio nome.
Sembra che dei rappresentanti di ogni parte del mondo si siano dati appuntamento proprio qui.
Ma chi di loro ha dato appuntamento a me?
Mi avvicino ad uno degli schermi dove scorrono gli orari dei voli.
Roma Fiumicino, terminal 4, gate A7.
Ore 17.29. In orario.
Sbircio l'orario sul cellulare di mio padre.
Sono ancora le 15.10. Il check-in si fa due ore prima della partenza, quindi ho ancora venti minuti per dare un'occhiata intorno.
Sono una detective: devo ragionare, mi dico, mentre passeggio per la sala d'attesa davanti a uno dei banconi del check-in.
Il mittente è stato attento a non far trapelare nemmeno il minimo indizio che potesse portare a lui.
Ha consegnato la busta a mano, ha intestato il biglietto aereo a me e ha scritto tutto al computer.
Quindi, non vuole che io capisca chi lui sia prima di trovarmelo di fronte.
E sia. Tanto, prima o poi, lo incontrerò.


Sono ormai arrivata al gate e non ho ancora incontrato nessuno.
Le poltroncine davanti al banco di controllo dei biglietti sono vuote.
Nessuno.
Comincio a pensare che sia stato solo uno scherzo.
Ma Montgomery sarebbe capace di creare così tanta confusione?
Io non credo.
Montgomery sapeva e non mi ha voluto dire.
Che nervi.
Mi guardo ancora intorno.
Nessuno.
-Attenzione, prego. La signorina Katherine Beckett è pregata di presentarsi al gate 7 del terminal 4-.
La hostess al banco del gate si allontana dal microfono.
Mi avvicino con il trolley dietro.
Le porgo il biglietto.
Ha un sorriso tirato, stanco. Abitudinario.
Sorridere perché si deve.
Che brutta cosa.
-Buon viaggio-.
-Grazie-.
Mi infilo nel cunicolo trasparente che porta all'entrata dell'aereo.
Do una rapida occhiata al biglietto per ricordare il posto assegnatomi.
A27.
-Benvenuta a bordo, signorina-.
-Grazie!-.
Un'altra hostess mi saluta, con lo stesso finto sorriso di quella del banco del gate.
Sollevo il trolley ed entro nell'aereo.
Percorro il corridoio.
E' una settimana che non sorrido.
Che non sorrido sul serio, intendo.
Da quando ho perso quella persona che aveva significato così tanto per me, i miei sorrisi sono diventati come quelli delle hostess, pari pari, spenti, smorti, senza significato.
Come vorrei sorridere spontaneamente per qualcosa che mi fa gioire il cuore.
Ora.
Ecco, AB27.
-Buongiorno, detective-.
Un tuffo al cuore.
Conosco questa voce troppo bene per confonderla con quella di qualcun altro.
Abbasso lo sguardo sul posto B27.
E lì, seduto, proprio davanti a me, con quel paio di occhi azzurri in cui annego ogni volta, con quel sorrisetto di sfida e di tenerezza, c'è lui.
E le labbra mi si curvano irrimediabilmente in un sorriso.


Mi passo le mani sul viso, per scolorire e per riprendere lucidità.
Kate, tu l'hai cacciato via. Gli hai fatto promettere che non si sarebbe più fatto vedere.
"Castle, lo so che non mi ascolti mai, ma, ti prego, ti scongiuro, sparisci per sempre dalla mia vita".
Parole testuali.
Parole tue, Kate.
Sono combattuta tra il rimpianto di non avere portato con me la pistola, per non avere rogne all'imbarco, e tra la voglia pazza di saltargli al collo e non scollarmi più da lui.
No, niente abbracci e niente sparatorie.
Una via di mezzo.
Parlare.
-Castle, ti avevo chiesto di non farti vedere mai più-.
-Ma hai detto tu stessa che non ti ascolto mai!-.
Ha sempre una risposta a tutto?, penso, cercando evitare che il sorriso mi si ridipinga sulle labbra.
Ok, Kate.
Sei una poliziotta. Dimostralo.
-Fuori da questo aereo. O me ne vado io-.
-Signore e signori, benvenuti a bordo. Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza-.
Dannazione.
Il sorriso sulle labbra di Castle diventa ancora più largo mentre fa spallucce.
-Ups!- mormora.
Ringhio.
In trappola.
Mi arrendo, senza troppi rimorsi.
Sollevo il trolley per metterlo nello scomparto.
-No, aspetta. Faccio io. Tu va' a sederti-.
Si è alzato dalla poltroncina e tende la mano.
Vuole la valigia.
Stringo il manico tra le dita.
Voglio vincere questo set, visto che l'altro l'ho già perso.
Non sono una donzella in difficoltà, posso anche mettere un trolley in uno scomparto da sola.
Non ho bisogno di aiuto, del suo aiuto.
Ma che sta facendo?
Avvicina il suo viso al mio.
Le labbra alla mia guancia.
E il cuore è partito in quarta, senza che io inserissi la marcia.
Chiude gli occhi.
No, non voglio baciarlo.
Oddio, sì, certo che voglio baciarlo!
Ma non devo.
Ma voglio!
Ma non devo.
Ma voglio!
Ha le labbra posate sul mio orecchio.
Le dita sulle mie.
Sussurra:
-Lascia fare a me...-.
Respira, Kate, respira.
E cerca di capire cosa ti ha detto.
Prima che abbia potuto pensare alcunché, mi ha sfilato il trolley dalle dita e l'ha sistemato nello scomparto.
Mi lascio cadere sulla poltroncina.
2 a 0 per lui.
Sta tornando a sedersi.
Devo evitare il suo sguardo, non sono ancora pronta ad affrontarlo.
Afferro la cintura e faccio finta di avere difficoltà ad allacciarmela, così perdo tempo.
Click.
Lui ha allacciato la sua.
E sento il suo respiro sul collo.
Le sue braccia intorno alle mie.
Un'occasione ghiotta per essere a contatto con me, quella della cintura.
Che scema.
Click.
Me l'ha allacciata.
Si affretta a liberarmi dal suo tocco.
Sta guardando davanti a sé.
Tace.
E' a disagio, non sa cosa dire.
Allora comincio io, senza nemmeno guardarlo in faccia, stringendomi la borsa al petto.
-Ti ridarò i soldi del viaggio il prima possibile-.
Porta il suo sguardo su di me, lo sento pesare delicatamente sulla guancia destra.
-Ma neanche per sogno!-.
Prima che io possa ribattere, mi sussurra:
-Mi sei mancata, Kate. Solo io so quanto-.


-Kate...-.
-Mh?-.
-Stiamo atterrando-.
Che bello svegliarsi con la sua voce, dolce e profonda, nelle orecchie.
Non ho mai fatto caso a quanto fosse bello il suo timbro.
Hey.
Non credevo di aver messo un cuscino dietro la testa prima di addormentarmi.
Apro gli occhi.
Non è un cuscino.
E' la spalla di Richard.
Dio.
Il mio cuore si è fermato.
E ora riprende a battere, al quintuplo della velocità normale.
Sollevo la testa, piano, controvoglia.
Fosse per me, resterei poggiata alla sua spalla per tutta la vita, e anche di più.
Prima di cadere in tentazione incrociando il suo sguardo, dirigo gli occhi verso il finestrino.
Il sole sta sorgendo su Roma, ancora avvolta in una nube sfumata di pigrizia estiva.
Che bello.
Hey, Kate, ti rendi conto?
Sei a Roma!
Con... Richard Castle.
Quell'uomo che fino a un anno e mezzo fa era solo il tuo scrittore preferito.
E ora...
E ora?
Siamo sicuri che sia ancora solo il tuo scrittore preferito, Kate?
-Signore e signori, buongiorno. Ci stiamo preparando all'atterraggio, dunque vi preghiamo di riportare i sedili in posizione eretta e di allacciare le cinture. Grazie-.
Afferro la cintura di sicurezza e la allaccio.
Evitiamo il bis del decollo.
E mi chiedo, perché devo essere così dura con lui?
Questi pensieri mi fanno venire i complessi.
E perché non dovrei esserlo dato che non rispetta le mie decisioni?, ribatto a me stessa.
-Kate?-.
-Dimmi-.
Riporto automaticamente lo sguardo su di lui.
Dio, che occhi.
Cerco di concentrarmi più su quello che ha da dire che su quello che lui è.
Cioé l'uomo più affascinante e dolce che io abbia mai incontrato.
Falla finita, Kate!
-Sai che parli nel sonno?-.
Che cosa?
-Come... come sarebbe a dire che parlo nel sonno?-.
-Che, mentre sei in uno stato di trance dovuto al...-.
-Castle-.
-Sì?-.
-Piantala. Ho detto... qualcosa?-.
La paura mi attanaglia lo stomaco.
Cosa posso aver detto?
-Si dice che, quando una persona è ubriaca o dorme, dica la verità-.
-E...?-.
-E mi piace molto crederlo, dopo quello che hai detto mentre dormivi-.
Sorride. Con l'angolo destro delle labbra più in alto dell'altro, un sopracciglio sollevato.
Ho detto qualcosa che deve avergli fatto piacere.
E, di conseguenza, a me non dovrebbe fare così tanto piacere.
Oddio, no.
-Castle. Che. Cosa. Ho. Detto-.
-Hey, se dici così, vuol dire che hai qualcosa da nascondere-.
Che impertinente.
Sa sempre come rigirare la frittata.
Nervi!


Kate.
Questa è Roma.
E tu sei qui.
Non ci posso credere.
Sono sul balcone di una lussuosissima camera d'albergo da cui vedo il Colosseo.
Castle... ha davvero fatto tutto questo per me?
Ma perché?
Io l'ho cacciato via, gli ho detto di sparire.
E lui, non solo ha trasgredito ad un mio ordine (tanto per cambiare), ma mi ha anche trascinato qui!
Perché?
Mi giro.
Sta finendo di sistemare le sue cose nell'armadio.
Rabbrividisco nello scorgere un solo letto nella stanza.
Matrimoniale.
Ma cosa gli è saltato in testa?
Torno a guardare la città davanti a me, ammirandone tutti i palazzi, tutte le finestre, tutte le mattonelle
Cerco di impedirmi di pensare.
-Stai tranquilla, io dormirò sul divano-.
Sobbalzo.
Mi ha spaventata.
Questo vizio di arrivarmi alle spalle!
Quindi... era solo per fare stare me più comoda?
Mi sento in dovere di oppormi.
"Non preoccuparti, Rick, possiamo condividere il letto".
Kate! Ma ti ha dato di volta il cervello?
-Non preoccuparti, Castle, posso dormire io sul divano-.
-Neanche per idea-.
Si appoggia cone le braccia conserte all'inferriata del balcone.
Osserva il mondo davanti a sé.
Seguo il suo sguardo.
Roma è talmente bella...
Sorrido.
E quel sorriso si allarga, diventando una risata di gioia, come quella di una bambina felice.
Rido, dopo non so quanto tempo.
-Sei contenta?-.
Mi sta guardando.
Sorride, con tenerezza.
-E come potrei non esserlo? Sono a Roma con...-.
Kate! Chi va con lo zoppo impara a zoppicare?
-Con?-.
-Eh?-.
-Niente-.
Fiuuu.
E la prossima volta conta fino a dieci prima di parlare.
E poi non parlare!
Continua a sorridere.
Anche lui sembra felice.
-Grazie...-.
Dillo.
Dì il suo nome.
-...Castle-.
Non ce l'ho fatta.
-Per te, questo e altro-.
Si avvicina al mio viso.
Ora mi bacia.
E io ricambio.
Sì, certo che ricambio.
E poi lo chiamerò sempre Rick.
Chiudo gli occhi.
Le sue labbra calde mi sfiorano... la fronte.
Vi si poggiano, delicate.
E poi... se ne vanno.
Riapro gli occhi.
E' tornato in camera.
Sorrido, disegnando piccoli cerchi con le dita sull'inferriata.
E, senza rendermene conto, quei cerchi diventano cuori.


Siamo stati a San Pietro, ai Musei Vaticani e a Castel Sant'Angelo oggi.
Ma ero troppo concentrata sull'opera d'arte che mi portava a braccetto per pensare a quelle che mi circondavano.
Nel fast-food dove abbiamo pranzato, ha fatto sfoggio di un italiano perfetto.
Gliel'ha insegnato Martha, ha detto.
Tornando in albergo, ci fermiamo alla Fontana di Trevi.
E' affollata da turisti di tutte le parti del mondo. di spalle, intendi a lanciarsi una moneta alle spalle o a fotografare la leggendaria Fontana.
Apro la mia tracolla ed estraggo dieci centesimi dalla tasca interna.
Mi avvio verso la Fontana.
Ecco, lì c'è un piccolo spazio, tra un omino giapponese e un donnone probabilmente tedesco.
Mi siedo sul bordo.
Chiudo gli occhi mentre stringo la moneta tra le mani.
Spero di tornare a Roma di nuovo.
Lo spero tanto.
Magari da sola, senza distrazioni.
Ma da sola, non sarebbe stato la stessa cosa.
Tanto per cominciare, se non fosse stato per lui, non ci sarei mai venuta qui.
E poi...
Allora, Kate, chiarisciti le idee.
Castle ti piace, sì o no?
Plop.
Apro gli occhi e mi giro.
Eccolo là, che sorride, accanto a me.
-Cosa aspetti a lanciare la moneta? Non vuoi tornare a Roma?-.
-Io? Certo-certo che sì!-.
Solo se ci sarai ancora tu con me, però.
Tiro la moneta alle mie spalle.
Plop.
Si alza e mi offre al braccio.
Accetto volentieri e mi poggio a lui con delicatezza.
Mi fa sentire così bene.
Mi fa sentire amata.
In fondo, me l'ha detto, no?
Lui mi ama.
Lui.
Mi.
Ama.
Sarà questo il motivo per cui ha fatto questa follia?
Beh, sempre che mi ami ancora, dopo quello che è successo.
Sono stata troppo dura con lui.
E mi dispiace davvero molto.
Ma questo non deve saperlo con certezza.


Nuovo giorno.
Il secondo giorno qui a Roma.
Ieri notte, Castle ha fatto il bravo.
Effetivamente l'ho avvertito che avrei dormito con la pistola sotto il cuscino.
Dopo avergli proposto di lasciarmi dormire sul divano per cedergli il letto, ma invano.
Come è anche vero che la pistola non l'avevo portata con me, ma questo lui non poteva saperlo.
Fatto sta che non si è mosso dal suo posto.
Meno male.
Ancora non capisco come mai abbia preso una camera per due, invece che due singole.
Oggi siamo stati al circo Massimo e al Colosseo.
Io sempre stretta al suo braccio.
Con una tachicardia perenne.
Il sole sta tramontando, stiamo per tornare in albergo.
Ma prima, una fermata alla Bocca della Verità.
C'è una leggenda collegata, ma non me la ricordo.
E non mi va di fare la figura della sciocca ignorante davanti a lui.
-C'è una storia riguardo alla Bocca della Verità. Morde la mano di chi mente. Quindi, ora io ti porrò una domanda...-.
-Castle. Non ci provare-.
Capito l'antifona. Farà una di quelle domande a trabocchetto.
Ma tanto la Bocca non morde sul serio.
Vero?
Ma tanto poi...
-Tanto poi potrai vendicarti, detective-.
Ci tiene molto a fare questo gioco.
E allora giochiamo.
-Va bene, Castle. Sentiamo-.
Finge di pensarci su.
Ma tanto sapeva cosa chiedermi anche prima di partire.
-Allora. Detective Kate Beckett, sei innamorata in questo momento?-.
Beh, dai, pensavo peggio.
Allora, Kate, sei innamorata?
No.
Sì.
No.
Sì.
Beh, forse questa domanda.
Castle mi... intriga. Mi piace.
Ma sono davvero innamorata, nonostante tutto?
Forse sì.
-No-.
Avvicino la mano alla Bocca, con la massima cautela.
E se mordesse sul serio?
Non dovrei solo sopportare la ferita alla mano, ma anche quella nel mio orgoglio.
Castle saprebbe.
A meno che già non sappia.
Che cosa avevo detto nel sonno?
Punto gli occhi in quelli di Castle.
Sorride, con un sopracciglio sollevato.
Infilo i polpastrelli nella Bocca.
Non voglio vedere, non voglio...
Estraggo la mano di scatto.
Mi lascio scappare un sospiro.
Salva.
Richard ride.
Ha una risata bellissima, spontanea, cristallina, chiara, contagiosa.
Di solito.
Ma questa qui, di divertimento, ha solo una lieve punta.
Suona come malinconica, quasi forzata.
L'ho ferito.
Ancora.
-Ok, detective- riprende, dopo aver deglutito -Ora tocca a te-.
Bene.
Pensa, Kate, pensa.
Qualcosa di abbastanza cattivo.
Qualcosa che metta a tacere le domande che ti assalgono quando pensi a lui.
-Richard Castle... quando finirai i tuoi libri, continueremo a sentirci?-.
-Certo che sì!- risponde.
E sembra sincero.
Infila con spavalderia la mano nella Bocca.
La estrae.
E urla.
E urlo anch'io.
Non ha più la mano.
Mio Dio.
-Ahahahahahahahahah!-.
Ride.
Con brio e sincerità, stavolta.
E la mano gli rispunta dalla manica.
Perfettamente intatta.
Oh, me l'ha fatta!
Che bambino!
Come ho fatto a cascarci?
Semplice.
Non ci sono cascata.
Quell'urlo dovuto al fatto che non vedere la mano di Rick al suo posto, voleva dire che avesse mentito.
E che, terminata la saga di Nikki Heat, mi avrebbe abbandonata.
Ma, in fondo, è solo una leggenda.
E' frutto dell'immaginazione di qualcuno.
Invece, quello che sto vivendo ora non è frutto della mia immaginazione.
Vero?


Ultimo giorno a Roma.
Rick è distrutto.
Non è abituato a dormire su un divano.
Si aggira con gli occhi chiusi, stiracchiandosi, per la stanza e mi tocca avvertirlo ogni volta che si avvicina pericolosamente ad una parete.
Così, ho proposto di rifare le valigie.
Seduta sul trolley in un disperato tentativo di chiuderlo (chissà perché, durante le vacanze, i vestiti lievitano), già provo rimpianto per la vacanza che sta finendo.
Una parte di me, lo so, rimarrà qui, a Roma.
Tutto merito suo.
Gli lancio uno sguardo.
Che tenero.
Si è addormentato come un bambino, raggomitolato sul letto, dove si era momentaneamente sdraiato.
Tiro la zip del trolley cercando di fare il minor rumore possibile per non svegliarlo.
Esco dalla stanza, di soppiatto.
Non l'ho mai fatto io per lui, ma muoio dalla voglia di farlo.


Rientro nella camera.
In punta di piedi.
Mi avvicino al letto.
Sta ancora dormendo profondamente, nella stessa identica posizione in cui l'ho lasciato.
Poggio il bicchierone di carta sul comodino, accanto alla sua testa.
Gli scosto con due dita una ciocca di capelli che gli copre una tempia.
Mi piego su di lui, cercando di regolarizzare il respiro.
Kate, ma che stai facendo?
E lasciami fare, per una volta!
Trattengo il respiro.
Sento il suono del cuore che mi palpita, irrefrenabile.
Poso le labbra sulla sua tempia.
Piano, con delicatezza.
Aspiro un po' del suo profumo e mi risollevo.
Si sta muovendo.
L'ho svegliato.
Kate, adesso sparisci!
Mi muovo veloce e felpata verso l'altro lato della stanza e faccio finta di armeggiare con il trolley.
-Kate?- mi chiama, con la voce impastata dal sonno.
Lo sento aspirare l'aria.
Profumata di caffé macchiato con una montagna di panna su.
Solleva la testa dal cuscino.
Sposto lo sguardo su di lui.
Sorride.
Ha capito.
Ed è contento di aver capito.
Ricambio il sorriso.
Rimaniamo a guadarci sorridenti, in silenzio, come due ragazzini che scoprono nuove emozioni.
La temperatura delle guance si fa troppo alta.
Distolgo gli occhi.
Lo sento sorseggiare piano il caffé.
-Kate?-.
-Sì?-.
Lo guardo.
Mi porto una mano alla bocca in un tentativo mal riuscito di mascherare una risata.
Ha il naso totalmente sporco di panna. E anche le labbra sono nello stesso stato.
-Puoi venire un secondo, per favore?-.
-Eccomi-.
Mi avvio verso il letto.
Mi sorride, con le labbra bianche.
-Non è che hai preso un tovagliolo?-.
Dio, vero.
Mi è totalmente uscito di mente.
-No, mi dispiace-.
-Non preoccuparti. Vuoi assaggiare un po' di panna?-.
-Oh... sì, grazie-.
Mi siedo sul letto e mi avvicino a lui.
Il cuore mi batte fortissimo.
Mi sento una ragazzina alla prima cotta.
Mi guardo intorno, aspetto che lui mi porga il bicchiere.
Ma non lo fa.
Dov'è la panna?
Che cosa sta facendo?
Mi si sta avvicinando.
Mi sta sistemando, piano, una ciocca di capelli dietro un orecchio, accarezzandomi la guancia.
Cerco di guardarlo negli occhi.
Normalmente mi verrebbe da ridere: quell'espressione concentrata che ha sul viso non si coniuga bene con tutta quella panna sul naso e sulla bocca.
Ma mi sta accarezzando!
Mi ha preso il viso tra le mani.
E lo avvicina al suo.
Ci siamo.
Chiudo gli occhi, mentre il cuore è ormai totalmente irrefrenabile.
Probabilmente morirò prima ancora che le sue labbra tocchino le mie.
E invece no.
Lo sento, quel calore sulle labbra che mi riscalda ancora di più tutto il corpo.
Sento in bocca il sapore della panna.
E prendo l'iniziativa.
Interrompo il bacio a stampo per uno più passionale.
Le sue mani scivolano lungo la mia schiena, stringendomi in un abbraccio forte e caldo, protettivo.
Per la prima volta, mi sto lasciando andare.
Rick mi solleva dal letto, mi sostiene con le sue braccia.
Si poggia alla parete.
Tick.


You and me we're meant to be
Walking free in harmony
One fine day we' ll fly away
Don' t you know that Rome wasn' t built in a day...


Da dove viene questa musica?
Ci stacchiamo.
La radio dietro il letto.
Rick, poggiandosi alla parete, l'ha accesa.
Restiamo qualche secondo a fissare, muti, la radio.
Non ho mai sentito questa canzone prima, ma mi piace.


In this day and age it's so easy to stress
'Cause people are strange and you can never second guess
In order to love child we got to be strong
I'm caught in the crossfire why can't we get along

'Cause you and me we're meant to be
Walking free in harmony
One fine day we' ll fly away
Don' t you know that Rome wasn' t built in a day...


Il respiro mi viene di nuovo a mancare.
Il calore mi avvolge di nuovo.
Ho di nuovo il sapore della panna tra le labbra.
Il cuore continua a galoppare senza lasciarmi un attimo di tregua.
E non riesco a pensare lucidamente.
Richard mi sta baciando.
E io ho finalmente capito con certezza quello che provo per lui.
Io lo amo.
Solo questo conta, no?

 

 I'm having a daydream, we're getting somewhere
I'm kissing your lips and running fingers through your hair
I'm as nervous as you 'bout making it right
Though we know we were wrong, we can' t give up the fight
Oh no

'Cause you and me we're meant to be
Walking free in harmony
One fine day we' ll run away
Don' t you know that Rome wasn' t built in a day...



Ecco qui il link della canzone, così potete ascoltarla anche voi: http://www.youtube.com/watch?v=7FmognvrztU&feature=related
Ecco qui il link dela canzone, così potete asxolE 

 
 

 

 

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Capitolo 4
*** Il Nuovo Titanic ***


*Sproloqui dell'Autrice*: ed eccoci al terzultimo capitolo di Film da Richard! Questa volta, sono piuttosto soddisfatta di come mi è venuto... anche se non eccessivamente. Non ho preso quasi per niente spunto dal film a cui è molto, ma molto, ma molto lontanamente ispirato il capitolo.
Ringrazio Lily per i preziosissimi suggerimenti.

Tenetevi forte, questo è un capitolo, come preannunciato... shock!
Buona lettura^^




IL NUOVO TITANIC
(Titanic)


-'Notte, Rick-.
Mi ci devo ancora abituare.
Ha cominciato a chiamarmi Rick da poco tempo.
Un po' mi manca quel suo modo di pronunciare il mio cognome con una punta di irritazione e una di tenerezza.
Ma essere chiamato per nome da lei... dà un'emozione incredibile.
Totalmente nuova.
Le stampo un piccolo bacio sulle labbra.
-A domani, amore-.
Con un cenno della mano, saluto Ryan ed Esposito.
Il capitano è già andato via.
Mi fermo sulla soglia dell'ufficio.
Ad osservarla.
Detesto lasciarla da sola, di notte, al distretto.
Certo, ci sono Esposito e Ryan con lei, ma... non è la stessa cosa.
-Tutto ok?-.
"Non mi va di lasciarti mentre io torno a casa, tutto qui".
Apro bocca per dare voce al mio pensiero.
Ma lei mi precede.
-Sarai stanco. Possiamo farcela anche da soli. Non ricominciare, torna a casa-.
Sospiro.
Sia fatta la sua volontà.
-Va bene. A domani-.
-Salutami Alexis e Martha-.
-Certo!-.
Mi dirigo verso l'ascensore, con la giacca poggiata sul braccio.
Premo il pulsante di chiamata.
Mi giro ancora verso di lei.
Ha notato che la sto guardando.
Solleva lo sguardo dalle sue scartoffie.
Rotea gli occhi, ma sorride.
Agita una mano nella mia direzione.
Ricambio.
Devo avere uno sguardo da perfetto pesce lesso.
Non c'è niente da fare, quella donna mi ha fatto totalmente perdere la testa.
Il rumore delle porte dell'ascensore che si aprono mi fanno sussultare.
Spavento.
Che figura.
Le lancio un'ultima occhiata.
Sta ridendo, in quel suo modo così dolce da non risultare mai offensivo.
Mentre entro in ascensore e premo il pulsante con il numero 0, penso ancora a lei.
Ormai è il mio pensiero fisso, sempre e comunque.
Ogni dettaglio di lei cattura la mia attenzione, anche il più semplice.
La ciocca di capelli un po' più ribelle.
Un particolare gioco di luce nelle iridi.
La camicia che le sta un po' stretta.
Le porte dell'ascensore si aprono.
Un'altra giornata con lei è finita.
E non vedo l'ora che ne cominci un'altra.


-Buongiorno, ragazzi!-.
-Hey, fratello!-.
-Ciao, Castle!-.
Ryan ed Esposito mi vengono incontro mentre entro in ufficio.
Feed the birds.
-Dov'è Kate?-.
Esposito mi indica con il pollice la lavagna.
E lei vi è seduta davanti, su un tavolo.
Mi dà le spalle, ma noto che stringe il pennarello tra le mani.
Tipico segno di nervosismo.
Non riesce a venire a capo di qualcosa.
Mi avvicino a lei.
E voi, farfalle, smettetela di... sfarfallare o vi caccio dal mio stomaco!
Quanto è bella, anche con i muscoli del viso così tesi.
Una piccola increspatura le graffia l'attaccatura del naso.
Stringe gli occhi, come a cercare di vedere qualcosa scritto così in piccolo da non poterlo scorgere normalmente.
-Qualcosa non va?- le chiedo, porgendole il bicchiere di caffé macchiato.
-Hey, Rick. Non ti ho sentito arrivare-.
Si alza dal tavolo.
Mi passa un braccio intorno al collo e mi attira a sé.
Mi posa un piccolo bacio sulle labbra.
Le guance mi si surriscaldano.
Lascia scivolare via il braccio, posa il pennarello sul tavolo, insieme al bicchiere di caffé che ha preso dalle mie mani e ritorna a fissare la lavagna, con insistenza.
-Non mi hai risposto-.
Mi guarda negli occhi, per cercare di ricordare la domanda che le avevo posto.
Sostiene il mio sguardo.
Ora ci riesce.
Non ha più niente da nascondere.
-Non... non ci riesco. Non riesco proprio a capire-.
Mi siedo sul tavolo, e lei mi imita.
-Il corpo di Tracy è stato ritrovato sul ponte principale della nave, nessuno si è accorto del fatto che fosse improvvisamente scomparsa dal ricevimento che si teneva nel salone, non si sa ancora com'è morta. L'unica persona ad avere un movente era l'ex, il medico di bordo, anche lui alla festa di inaugurazione del Nuovo Titanic, ma, finché non capiamo come Tracy sia morta, non si può accusato di niente-.
-Beckett?-.
-Sì?-.
Esposito si avvicina, con il cellulare in mano.
-Ha appena chiamato Lanie. Ci sono novità sulle cause della morte-.
-Bene. E' già qualcosa-.
Kate si alza dal tavolo e si avvia verso l'uscita dell'ufficio.
Non la seguo.
Cammino al suo fianco.
Le prendo la mano.
Mi guarda.
Sorride.
-Sono molto felice di poterlo fare senza ricevere una tirata d'orecchio in senso letterale in cambio- le sussurro.
Ride.
Quanto amo la sua risata.
-Beckett, posso venire anch'io?- urla Esposito, per farsi sentire.
Lei solleva il braccio, tende un dito verso l'alto e lo scuote.
-No-no!- risponde, cantilenando.
Chiama l'ascensore.
Le porte si aprono.
Mi lascia la mano e lascia scivolare il braccio intorno ai miei fianchi.
Mi stringe forte.
Faccio lo stesso.
Entriamo in ascensore.
Si solleva sulle punte, avvicinandosi al mio viso, mentre le porte dell'ascensore si chiudono nascondendoci da sguardi indiscreti.


-Hey, Lanie, che novità?- esordisce, con quella sua voce squillante ma mai fastidiosa, entrando in obitorio.
-Dovrei chiederlo io a te, sorella- risponde Lanie, accennando con la testa alle nostre mani.
Kate arrossisce, ma non riesco a lasciarle la mano.
E, d'altronde, dal suo sguardo capisco che non vuole nemmeno che io lo faccia.
-Vogliamo parlare di te ed Esposito?- ribatte, con aria maliziosa.
Lanie è stata punta nel vivo.
Riporta lo sguardo sul cadavere, una ragazza piuttosto carina, fasciata in un abito da sera rosso, e cambia discorso, evitando accuratamente lo sguardo di Kate.
-Allora, la nostra Tracy Thompson è morta per shock anafilattico-.
-Causato da cosa?- chiedo.
E sento anche un'altra voce, un'altra bellissima voce, che lo chiede con me.
Incateniamo i nostri sguardi.
Provo fortissimo il desiderio di baciarla, con il cuore che ha improvvisamente accellerato il battito.
Ma non possiamo.
Non è il momento.
-Io dovrei ancora sapere che cosa avete combinato a Roma, il mese scorso-.
-Shock anafilattico causato da cosa?- ripete Kate, eludendo la domanda di Lanie.
Lanie riporta, con occhio malizioso, lo sguardo sulla ragazza sdraiata sul tavolo dell'obitorio, con gli occhi chiusi.
-Stando alle dichiarazioni rilasciate dalla madre, Tracy era allergica all'uva e a tutti i suoi derivati. Ma ho trovato tracce consistenti di vino misto ad antistaminico nel suo intestino. Un mix letale per lei, che poteva averlo facilmente scambiato per un semplice cocktail-.
-Quindi, può essere stato solo qualcuno che conosceva i suoi problemi di salute...- comincia Kate.
-...e qualcuno che ha a disposizione antistaminico a volontà. L'ex di Tracy non è un medico?-.
La guardo negli occhi.
Ha degli occhi magnifici.
Gliel'ho anche detto, poco dopo il nostro primo incontro.
Mio Dio, sembra passata un'eternità da quel giorno.
Quel giorno in cui la mia vita è cambiata totalmente, perché ho conosciuto lei.
Mi piaceva moltissimo.
La desideravo.
E, con il tempo, me ne sono profondamente innamorato.
Posso dire di non essere mai stato sul serio innamorato in tutta la mia vita.
Prima di conoscerla.
-Ragazzi, non vorrei interrompere questo dolcissimo momento, ma credo che voi abbiate un mandato di arresto da far emettere-.
Giusto.
Distolgo lo sguardo da quell'angelo che mi è davanti, a malincuore.
-Grazie, Lanie-.
Kate si avvia verso l'uscita dell'obitorio, e io le sono accanto, sempre con la mia mano stretta nella sua.
-Hey, ragazza!-.
Kate si gira verso Lanie.
Mi perdo in ogni suo singolo dettaglio.
Il riflesso della luce sui suoi capelli.
L'angolo delle labbra dolcemente sollevato in un sorriso cordiale.
E sento il calore della sua mano nella mia.
La stringo più forte.
-Stasera andiamo a cena insieme, al cinese sotto casa tua. E mi racconterai tutto!-.
-Va bene- risponde lei, con il sorriso che le si allarga ancora di più.
Usciamo dall'obitorio, mano nella mano.
-Davvero le racconterai tutto?-.
Si ferma.
Cerca di interpretare il mio sguardo per capire cosa avessi voluto dire.
Già: cosa volevo dire?
-Certo che sì!-.
-Ogni singolo dettaglio?-.
Riprendiamo a camminare.
Sorrisetto malizioso sulle sue labbra.
-Beh, potrei avere un'improvvisa amnesia...-.
Il suo sorriso si riflette sulla mia bocca.
Le poso un bacio sulla fronte.
Quanto la amo.
Non potrei mai accettare che dimenticasse tutto sul serio.


Esco dall'auto, parcheggiata vicino al molo.
Kate mi guarda strano.
-Che c'è? Ora che sono il tuo ragazzo è seriamente inutile che tu mi raccomandi di restare in auto-.
Il suo ragazzo.
Io sono il ragazzo di Kate.
Che meraviglia.
-E' sempre stato inutile- risponde lei, sorridendo.
Ci avviamo verso il molo.
L'enorme nave da crociera si para davanti a noi.
Il Nuovo Titanic.
Si vede che il nome "Titanic" porta una sfiga incredibile.
Avvicino la mia mano a quella di Kate, con l'intento di stringergliela.
-Hey. Non qui. Stiamo per arrestare una persona-.
Si sottrae.
Delusione.
Sento come se il cuore un po' mi si sciogliesse.
Ma guardo il suo viso.
Sorride, bella come in un sogno.
Le poso un piccolo bacio sulle labbra.
-Stai attenta, amore mio-.
-Tanto ci sarai sempre tu a salvarmi, no?-.
Le sorrido.
-Certo. Io sarò sempre con te, qualsiasi cosa accada. Ti amo-.
-Anch'io, Richard-.
Un altro piccolo bacio.
Sfuggente.
Frettoloso.
Passi sul pontile.
Dirigiamo lo sguardo verso il rumore.
E' lui.
Roy Harmon.
L'ex fidanzato di Tracy.
Quel bastardo.
-Polizia di New York...-.
Kate non fa in tempo a finire di urlare.
Roy sta scappando.
Viene verso di noi, ma è ovvio che ha l'intento di superarci.
Si avvicina, di corsa.
Ma che cosa fa?
No!
Non toccarla!
-Richard!-.
-Kaaaate!-.
Kate!
L'ha spinta in acqua.
La mia Kate.
E ora sta scappando.
-Richard...-.
Non posso pensare ad inseguirlo.
Mi tolgo la giacca e la lancio di lato.
Ho il cuore in gola.
Non vedo più Kate.
No, Kate, non puoi andartene.
Non puoi lasciarmi.
Non ora che ci siamo appena ritrovati.
Una lacrima fredda mi scivola lungo la guancia.
Mi piego.
Prendo lo slancio.
Respiro.
E sono in acqua.
Metto la testa sotto.
Non si vede niente, porca miseria!
Ma dov'è?
Dov'è l'amore della mia vita?
Mi manca l'aria.
Nuoto, veloce, in superficie.
Respira, Rick, respira.
Ma fai in fretta.
Non hai una frazione di secondo da perdere.
Testa sott'acqua.
Nuoto verso il fondo.
Le scarpe mi appensantiscono.
Faccio forza nelle braccia.
Kate.
Dove sei?
Non posso sopportare che tu non ci sia più.
E poi, l'hai detto tu stessa, ci sarò sempre io a salvarti, no?
Qualcosa mi sfiora.
Sembra a tratti ruvido e viscido.
Duro e morbido.
Cerco di aguzzare la vista.
E' lei.
E' Kate.
Il mio cuore salta una pulsazione.
Non si dibatte.
Ha gli occhi chiusi.
Non lotta più.
La afferro e la stringo a me con un braccio.
Con l'altro mi faccio strada verso la superficie.
Tiro fuori la testa dall'acqua.
Riprendi fiato, Rick, ma nel frattempo nuota.
Veloce.
Non puoi perdere Kate solo perché hai pensato a respirare.
Darei la vita per lei.
Mi aggrappo al pontile.
Faccio leva sul polso e cerco di posare Kate sulle lastre di cemento.
Esco dall'acqua.
Mi inginocchio accanto a lei.
E' pallida.
Troppo pallida.
Le poso una mano sul petto.
Perché il cuore le batte così piano?
Massaggio cardiaco.
E in fretta.
-Kate? Kate, rispondimi! Sono io, sono Richard! Non mi lasciare... non mi lasciare, ti prego!-.
Perché, perché non mi rispondi, amore mio?
Mi piego sul suo viso.
Le pinzo il naso tra le dita e, con l'altra mano, cerco di aprirmi un varco tra le sue labbra.
Ormai il mio cuore rallenta e accellera sconsideratamente.
Ma non è il mio cuore la cosa più importante adesso.
Respirazione bocca a bocca.
Forza.
Uno.
Due.
Tre.
Riprendo fiato.
Uno.
Due.
Tre.
Riprendo fiato.
Uno.
Due.
Tre.
Niente.
Non riprende conoscienza.
Sollevo il viso.
Le mie lacrime stanno rigando le sue guance.
Bianche.
Senza staccare lo sguardo da lei, afferro la giacca.
Estraggo il cellulare.
911.
-Emergenza medica, mi dica-.
-La prego, la mia ragazza sta male-.
-Mi dica, che cos'ha?-.
-Stava annegando, mi sono tuffato e l'ho portata sulla terraferma, ma non respira, non riesco ad aiutarla, vi prego, aiuto!-.
-Ma lei sta bene?-.
-Lei chi?-.
-Lei, lei che mi sta parlando!-.
-No che non sto bene!-.
-Che cosa si sente?-.
-Allora lei non ha capito! La mia ragazza sta male, io sto male perché lei sta male, dovete correre, subito!-.
-Ok. Dove siete?-.
-Al porto, non so di preciso dove-.
-Qualche punto di riferimento?-.
-Siamo esattamente dov'è ormeggiato il Nuovo Titanic, ma, vi prego, fate presto!-.
-Continui i tentativi di rianimazione, sta arrivando un'ambulanza-.
Tu tu tu tu tu.
Getto il cellulare sulla giacca.
Kate.
Non impallidire ancora.
Ti prego.
Svegliati.
Apri quegli occhi magnifici, dimmi che uccido la tua pazienza, dimmi che mi ami, dimmi qualcosa.
Kate.
Kate!
Non lasciarmi!
Kate!


Si è svegliata da qualche minuto.
Non so descrivere la mia felicità quando ho visto quegli occhi scuri, così dolci, riaprirsi.
Anche se c'è una parete a dividerci.
Il medico ha detto che, prima della visita di controllo, non può entrare nessuno nella stanza.
Suo padre sta arrivando.
Dio, come sono contento che stia bene!
Quasi mi metto a saltellare per il corridoio.
Hey, signore sulla sedia a rotelle, la mia ragazza sta bene!
E lei, signora con la flebo, ha visto? La mia ragazza sta bene!
L'amore della mia vita sta bene.
Una lacrima di gioia mi scivola lungo la guancia.
Il medico sta uscendo dalla sua stanza.
Mi passo una mano sul viso, per cancellare quella lacrima.
Cerco di attirare la sua attenzione agitando la mano.
Tutto è bianco in quella stanza.
La sua camicia da notte, il suo letto, le pareti, le tende, i macchinari.
La sua pelle.
Ma non mi vede.
Hey, Kate?
Sono qui!
Sono io!
Kate?
Kate?
-Mi scusi?-.
-Sì?-.
Mi giro verso il medico.
E' un ometto canuto, dal viso giallognolo.
Quell'espressione tirata e pessimista ce l'hanno tutti i medici?
-Lei è il...?-.
-Il fidanzato-.
Io sono il fidanzato.
Sono il fidanzato.
Mi si gonfia il cuore a dirlo.
-Mh. Beh, la signorina Beckett è stata senza ossigeno troppo a lungo, c'è solo il 5% di probabilità che tutto torni come prima e comunque solo a seguito di un forte trauma. In ogni caso, il f...-.
Senza ossigeno troppo a lungo.
Il 5% di probabilità.
Che tutto ritorni come prima.
Il mio cuore si ferma.
Non riesco a dare un senso a quello che ora mi sembra un ammasso di suoni.
-Come... come sarebbe a dire, scusi? Che cosa le è successo?-.
Il medico mi guarda, con compassione di routine.
-La signorina Beckett ha un'amnesia totale. Non ricorda più nulla di quello che le è accaduto prima dell'annegamento-.




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Capitolo 5
*** Intermezzo ***


*Sproloqui del'Autrice*: ed eccoci qua con il penultimo capitolo di Film da Richard! Non è granché, è solo un brevissimo capitolo di passaggio tra quello che è successo prima e quello che succederà dopo. Vi consiglio, prima di mettervi a leggere questo capitolo, che non è tratto da nessun film, di andare a rivedervi con attenzione la fine de Il Nuovo Titanic perché ho modificato una cosa per rendere più plausibile quello che accade qui. Non avevo nemmeno in programma di pubblicare prima di metà marzo, ma, stando a casa influenzata da sabato sera, dato che non hanno ancora messo in giro la puntata di ieri sera di Castle, ho scritto e ho postato. Ok, io ho finito di sproloquiare. Spero vi piaccia (a me non piace, tanto per cambiare xD).


 

intermezzo


-Chi dimentica il proprio passato è costretto a riviverlo-.

L'hanno detto in un episodio di un telefilm ambientato in un ospedale.
L'ho visto in TV, ieri sera.
Sempre qui, nella stanza bianca dove sono in degenza.
Detesto l'ospedale.
E poi, che ci sto a fare?
L'ho anche detto al medico: io sto bene, è inutile che io rimanga qui.
Ma il medico ha risposto che io non sto bene.
Perché non ricordo quello che ho vissuto prima di finire qui.
Non ci ho mai riflettuto, ma, effettivamente, non so come mi chiamo.
Il medico mi chiama "signorina Beckett" e quell'uomo che è sempre accanto a me, invece, mi chiama sempre "Kate".
Già, quell'uomo.
Lo guardo.
Sta dormendo, piegato sul mio letto.
E' stanco.
Non mi ha lasciata un secondo.
Invece l'altro signore è andato via.
Quello che ha detto di essere mio padre.
Potrebbe anche essere vero, ma temo che non lo saprò mai con certezza.
"Mio padre" è stato qui solo un giorno, poi mi ha abbracciata, mi ha baciata sulla fronte e mi ha affidata all'altro uomo, quello che ora dorme.
Ed è andato via.
Non sento la sua mancanza, era la prima volta che vedevo mio padre.
O almeno, credo lo fosse.
Non lo so, non ci capisco più niente.
Ritorno a guardarlo.
Non so chi sia per me.
Non credo un parente, sennò mio padre me l'avrebbe fatto capire.
E non è mio marito, non porto la fede e medici e infermiere mi chiamano "signorina".
Anche se, a dire il vero, mi piace molto e, se mi chiedesse di sposarlo, non credo ci penserei troppo.
E' ironico.
Dolce, molto dolce.
E anche incredibilmente bello.
Ha dei fantastici occhi azzurri.
Ci annego dentro ogni volta.
Ma quegli occhi sarebbero davvero bellissimi se non fossero così... spenti.
Sono quasi infossati, come se lui avesse pianto a lungo.
E non hanno lucentezza.
Ma rimane sempre l'uomo più bello che io abbia mai visto.
Non che ne abbia visti tanti: solo mio padre.
Affondo le dita tra i capelli dell'uomo che dorme.
Gli accarezzo piano il capo, con dolcezza.
Sento un brivido percorrermi la schiena e il cuore accellerare il battito.
Lascio scivolare le dita sulla sua guancia.
Continuo ad accarezzarlo, piano.
Non voglio svegliarlo.
Tentativo vano,
Ha aperto gli occhi.
Li richiude.
Mugugna qualcosa.
Poi riapre gli occhi.
Solleva la testa.
-Hey, ciao- mormora, stiracchiandosi.
Sorride.
Con indicibile malinconia.
Non mi ha ancora detto il suo nome.
Ci faccio caso solo ora.
Ha dato per scontato che lo sapessi.
Ma io... non lo so.
-Non mi hai detto il tuo nome- gli faccio notare, in un sussurro.
Non voglio ferirlo.
Fissa il suo sguardo nel mio.
Gli occhi gli luccicano, ma non di gioia.
E' una lacrima quella che gli scivola lungo la guancia?
Allungo un dito e protendo il busto verso di lui.
Freno la caduta della lacrima e gli accarezzo il viso con una nocca.
Non oso immaginare quanto lui stia male.
Deve essere davvero terribile che io non mi ricordi il suo nome.
Riafferra il suo sorriso distrutto, per mormorarmi:
-Richard. Ma molti mi chiamano Rick, quindi puoi farlo anche tu-.
-Come ti chiamavo?-.
Esita.
Come se gli stessi chiedendo di rivelarmi un segreto.
Poi risponde, con voce malferma:
-Castle-.
Lo guardo con aria interrogativa.
-E' il mio cognome-.
Lo chiamavo per cognome? E' solo un collega?
-Eravamo amici?-.
Deglutisce e abbassa lo sguardo.
Silenzio.
Forse ho capito.
Non eravamo amici.
Eravamo molto di più.
Quasi mi metto a piangere anch'io, al solo pensiero.
E' inammissibile.
Come posso aver dimenticato l'uomo a cui ero legata?
Eppure mi è successo.
Mi mordo un labbro, cercando di trattenere le lacrime.
Gli poggio una mano sulla sua guancia.
Sollevo il suo volto verso di me, piano.
Anche lui sta facendo del suo meglio per non scoppiare a piangere come un bambino, qui, davanti a me.
Evita il mio sguardo.
-Mi dispiace- mormoro.
Mi guarda.
Sta per dire qualcosa, ma lo fermo.
Mi avvicino a lui.
Chiudo gli occhi.
Poso le mie labbra sulla sua fronte.
Mi passa un braccio attorno alla schiena e mi stringe a sé.
Cercando di ritrovare quello che ho perso.
Ma non succede niente. Non ho alcun ricordo legato a lui.
Mi sembra di impazzire.
Ahia. La pancia. Mi fa un male cane.
Un bagno.
Cerco di liberarmi velocemente dal suo abbraccio e di scendere dal letto.
-Kate! Va tutto...-.
Inciampo nella flebo. Maledizione.
Non riesco a trattenermi.
Aiuto.
Ho un conato. E un altro.
Chiudo gli occhi.
Sento una mano calda reggermi la fronte.
Delle dita mi tengono indietro i capelli, con dolcezza.
Sento il suo profumo.
Il suo respiro ansioso.
-Rick, scu...-.
Un altro conato mi interrompe. Mi libero di tutto quello che ho mangiato, inginocchiata sul freddo pavimento.
-Cosa succ...-.
Non riesco a vedere più niente.
Non sento più il mio corpo.
-Rick, aiuto- mormoro, prima di chiudere gli occhi e cadere nel vuoto.


Il suo profumo.
Le sue dita calde e leggere.
Il suo respiro profondo e silenzioso.
Apro gli occhi.
-Ben svegliata, Kate! Ero così preoccupato!- mi saluta, con un sorriso.
Ma... sono svenuta?
Certo che gliene sto facendo passare di tutti i colori, povero Rick!
-Ciao! Stai.. stai bene?-.
-Dovrei chiederlo io a te, detective!-.
Detective?
-Sì. Prima che... beh... prima di finire qui, era una detective della Omicidi, qui a New York-.
-Sul serio?-.
-Sì. Ed eri anche piuttosto brava-.
Il suo sorriso si riflette sulle mie labbra.
Non bado molto alle sue parole.
Sono totalmente persa nella contemplazione dei suoi occhi.
Azzurri, come il cielo e il mare.
Mi arricciolo una ciocca di capelli, come una ragazzina alla prima cotta.
Quanto è bello.
E mi viene naturale avvicinarmi a lui, sempre di più, finché i nostri respiri si sfiorano.
Lui sposta lo sguardo sulle mie labbra per un istante, poi lo riconduce nei miei occhi.
Si avvicina, piegando un po' il capo.
Il cuore accellera il battito.
Chiudo gli occhi.
-Buongiorno, signorina Beckett! Ho saputo del suo...-.
Oh.
Che tempismo, dottore!
Mi allontano da Rick, a malincuore.
Anche lui ritorna in posizione eretta sulla sua sedia, con uno sguardo più buio del solito.
-Ho... interrotto qualcosa?-.
Abbiamo interrotto qualcosa?
Un flash.
Un brevissimo flash.
Quella frase... mi ha ricordato qualcosa.
Ma cosa?
-No... no, si figuri- risponde Rick.
-Dicevo, ho saputo del suo malessere ed è del tutto normale nella sua condizione. Questo vuol dire che il bambino sta bene e tutto procede per il meglio-.
Il dottore mi sorride, cordiale.
Mia condizione?
L'amnesia causa di questi problemi?
Aspetta, aspetta.
Ha detto anche... bambino?
Che cosa procede per il meglio?
Lancio uno sguardo a Rick.
Dalla sua espressione a forma di punto interrogativo, sembra che ne sappia quanto me.
Corruga le fronte.
Strabuzza gli occhi.
Forse ha capito qualcosa.
Si gira verso il dottore.
-No!-.
-Non lo sapeva?-.
-No!-.
Lo vedo impallidire e poi arrossire.
Sorride.
E poi si rabbuia.
Sorride.
-Signor Castle, si sente bene?-.
-No. O forse è che mi sento troppo bene- mormora, prima di crollare giù dalla sedia.

 


 

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Capitolo 6
*** Red Mill ***


*Sproloqui dell'Autrice*: Beh, dopo una lunghiiiiiiissima attesa... l'ultimo capitolo è arrivato!
L'ultimo capitolo?!
NOOOOO!
Mi ero affezionata a questa FF... :')
Vi preannuncio però che il 26 aprile comincerò a pubblicare una FF interamente dedicata a Beckett... ;D
Beh, non mi resta che augurarvi buona lettura e ringraziarvi per avermi sempre seguita con affetto!

Special Thanks to Lily...



RED MILL
(Moulin Rouge)


Otto mesi dopo...

-Johanna-.
-Johanna... mi piace! E' carino!-.
Accarezzo il pancione, seduta a quella che era la mia scrivania al distretto.
Rick posa una mano sulla mia e si piega, a posare l'orecchio sulla mia casacca di lana.
-Senti come le batte il cuore...- mormora, sorridendo.
Sorrido anch'io.
Presto sarò mamma.
Mi sento eccitata al solo pensiero.
E so già che Rick sarà un papà perfetto.
E' così dolce, tenero, comprensivo, divertente...
E sa trovare nomi bellissimi.
Johanna.
Chissà come gli è venuto in mente un nome così grazioso!
-Beckett, dovresti tornare a casa. Sarai stanca. Ora sei una donna incinta!-.
Javier Esposito, uno dei miei scagnozzi, si sistema alle mie spalle, appoggiandosi con le braccia allo schienale della mia sedia.
E' un ottimo detective e un amico anche migliore.
Gli mollo un buffetto sul braccio.
-Sono incinta, ma posso ancora svolgere il mio lavoro!-.
Ho cominciato un tirocinio per riprendere il mio posto al distretto.
Il mestiere del detective mi piace immensamente.
Impazzisco soprattutto per i casi più assurdi, quelli più difficili da risolvere.
-Beckett?-.
Mi giro.
Kevin Ryan, il partner irlandese di Esposito, mi indica l'ufficio del capitano.
-Montgomery ti vuole parlare in privato-.
Mi alzo.
Rick si prontende in avanti, con le braccia tese.
Sorrido e scuoto la testa.
-Posso farcela anche da sola-.
Mi dirigo a passi ondeggianti verso la porta chiusa dell'ufficio del capitano.
Busso alla porta.
-Agente Beckett?-.
-Sì-.
-Venga pure avanti-.
Apro la porta e mi infilo nell'ufficio.
Montgomery è una persona seria e comprensiva, un ottimo capo.
Credo che andassimo molto d'accordo.
-Vorrei affidarle un caso da risolvere con la sua squadra, senza la supervisione di nessuno. Credo che ormai sia pronta- mi annuncia.
Un caso tutto mio?
Arrossisco di contentezza.
-La... ringrazio, signore-.
-Non è me che devi ringraziare, ma se stessa. Se lo merita. Sono sicuro che tonerà ad essere la mia migliore detective-.
-Sono... lusingata dalle sue parole-.
-Bene. E ora torni a casa. E' incinta, ha bisogno di riposare-.
Sospiro, roteando gli occhi.
Il capitano mi passa la cartella del caso e mi saluta con un cenno della mano.
Lo ringrazio ancora ed esco dal suo ufficio chiudendomi la porta alle spalle.


-Ragazzi, abbiamo un caso-.
Kate torna dall'ufficio del capo, barcollando sotto il dolce peso della nostra bambina.
Lancia una cartella sulla sua scrivania.
Mi porto alle sue spalle, insieme a Ryan ed Esposito.
-E questa volta dobbiamo risolverlo da soli, senza l'aiuto di Montgomery-.
Le sorrido e le poso un bacio sulla guancia.
-Complimenti, mia detective-.
Ricambia il sorriso e risponde con un bacio sull'angolo sinistro delle mie labbra.
Esposito e Ryan le accarezzano le spalle con delle pacche amichevoli.
Kate sta tornando ad essere Kate.
Piano piano.
Otto mesi fa Ryan ed Esposito, che non si sono dati pace per l'accaduto, sono riusciti ad arrestare Roy Harmon, quel bastardo che l'aveva spinta in acqua.
Passando davanti alla sua cella gli ho lanciato uno sguardo lungo, pieno d'odio.
Avrei quasi desiderato che anche lui, un giorno, potesse provare quello che stavo provando io.
Ma il mio dolore, in quel momento, era così forte da non volerlo augurare a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico.
E sono passato avanti, deciso a non vederlo mai più.
Sei mesi fa Kate ed io ci siamo fidanzati.
Di nuovo.
Quattro mesi fa si è trasferita a casa mia.
Non è stato facile convincerla, ma non potevo mica lasciarla vivere da sola incinta di quattro mesi mentre smaniavo dalla mattina alla sera per stare con lei!
Mia madre e Alexis la adorano, si comportano da amiche, madri e sorelle con lei.
Due mesi fa, ha deciso di tornare al distretto, per diventare di nuovo una detective.
Montgomery l'ha presa sotto la sua ala protettrice e Kate ha iniziato un tirocinio presso di lui.
Ma non si ricorderà mai di noi, di quello che è successo prima.
Del nostro primo bacio, davanti al locale per lesbiche (anche se quello non mi dispiacerebbe che lo dimenticasse, visto che ero conciato in un modo orrido... ma è stato pur sempre il nostro primo bacio!).
Delle mie lezioni di danza.
Di quell'altro bacio, in obitorio.
Del viaggio a Roma.
Del nostro primo incontro, il nostro primo ballo all'American, la nostra lite, le mie scuse, il distretto trasformato in set fotografico, le interviste, Coonan, l'esplosione del suo appartamento, me che le salvavo la vita...
Le sistemo una ciocca ribelle dietro un orecchio e sorride.
Legge ad alta voce tutto quello che dovremmo sapere sul caso e afferra la giacca.
Pronta a partire.
Perché la detective Kate Beckett è tornata.


E' stato ritrovato il cadavere di un uomo, nei pressi di un night club.
Red Mill, si chiama il posto.
E' una riproduzione del Moulin Rouge, anche abbastanza fedele.
La vittima è il Duca, al secolo Arnold Callen, partner della star del locale.
Fatto fuori da una coltellata dritta al cuore.
Entro.
Il club è aperto, anche se sono le dieci del mattino.
Ballerine di can-can e tango, acrobati e partners delle ballerine, spogliarelliste e cantanti, addetti alle pulizie e il direttore sono tutti riuniti al centro dell'immenso salone cosparso di tavolini e sedie.
In lacrime.
Quanto dolore racchiuso in una stanza.
Punto primo: interrogare tutti coloro che hanno assistito al ritrovamento del corpo.
Mi avvicino a Ryan ed Esposito.
-Ad occhio e croce ci saranno una cinquantina di persone qui. Voi due interrogatene venticinque, Rick ed io ci occuperemo degli altri. Cominceremo dal direttore-.
-Ok- risponde Esposito.
Ryan annuisce.
Rick ed io ci avviamo verso quell'uomo distinto, con un paio di baffetti snob sulle labbra quasi invisibili.
-Però lasciateci qualche spogliarellista... o qualche ballerina, almeno- urla loro dietro lui.
Gli mollo una calata sulla nuca, guardandolo male.
Si massaggia il punto colpito, ridendo.
Ci sorridiamo.
Mentre cammino, passo davanti ad una donna bionda.
Porta uno strano costume indosso, bianco con bordi viola, pieno di piume.
Mi sembra di averla già vista da qualche parte...
"E' come il circo, però con gli alcolici! Perché non ci sono mai stato prima?!".
La voce di Rick scivola tra le mie orecchie.
-Hai... detto qualcosa?- gli chiedo.
-No- risponde lui, piegando la testa da un lato.
Eppure, sono sicura di aver sentito la sua voce...

Abbiamo interrogato il direttore e qualche artista del locale.
Tutti amavano Arnold, era un ballerino e cantante stupendo, avrebbe fatto strada.
Nessuno sembrava avere una buona scusa per ucciderlo.
Che pizza.
-La signorina... Abigail McKintosh alias Star Satine?-.
-Abigail?-.
-Richard?-.
Guardo la donna in piedi davanti a noi.
I boccoli rossi, gli occhi azzurri, le labbra carnose, il naso affilato...
E' lei.
-Quanto tempo è passato?-.
-Anni. Troppi-.
Le tendo le braccia e la stringo al mio petto.
Abigail McKintosh.
La prima donna ad aver creduto in me.
Me, che a diciannove anni stavo scrivendo il mio primo libro e non avevo nessuno a cui farlo leggere.
Ma lei, la ragazza che studiava all'Accademia di Arte Drammatica e che abitava vicino a casa mia, si offrì di farlo.
Passava un'ora, ogni pomeriggio, a casa mia, per leggere le mie bozze.
E poi, quell'ora si allungò, fino a riempire tutto il pomeriggio.
Avevamo fame l'uno dell'altra.
E poi, il destino ci separò.
Lei cambiò città.
E io rimasi solo.
In compenso, grazie ai suoi consigli e al suo entusiasmo, sono diventato Richard Edgar Castle, il re del macabro.
Sciolgo l'abbraccio.
-Vi... conoscete?- chiede Kate, con una punta d'imbarazzo.
Poso un braccio sulle spalle del mio amore appena noto quella piccola ruga di gelosia all'attaccatura del naso.
-Sì. Eravamo amici all'epoca del college- spiego.
-Amici?!- strilla stizzosa Abby.
-Amici- ripeto io, calmo.
Abby lascia scivolare lo sguardo su Kate, sul braccio che la stringe a me e sul suo pancione.
Capisce.
-Sì, amici- sussurra annuendo.


Rick non me la racconta giusta.
Lui e quella Abigail non erano solo amici.
Lo vedo, tutti i giorni, con lo sguardo perso dietro i suoi pensieri.
Ogni tanto, gli squilla il telefono, risponde, sorride, mormora "Ciao, Abby" e sparisce.
Non trovo mai il modo di parlarne apertamente con lui.
Forse è solo una fissazione da donna in gravidanza.
Spero che sia così.
Accarezzo la piccola Johanna fissando la lavagna.
Lascio una mano sulla mia pancia, mentre faccio scorrere gli occhi sui nomi, suoi luoghi, sulle ore, sulle foto.
Confronto tutti dati che ho sotto mano.
Tutte le versioni coincidono, tutti erano al loro posto, tutti hanno visto tutti.
Un momento.
Abigail McKintosh giura che, nel lasso di tempo nel quale è stato commesso l'omicidio, si stava preparando per lo spettacolo, nel suo camerino.
Ma la sua truccatrice non c'era.
E lei è stata vista da diversi artisti nel cortile retrostante il locale, dove il corpo è stato ritrovato.
L'alibi di Star Satine non regge.
Afferro il block-notes con gli appunti degli interrogatori.
-"Miss McKintosh sostiene che..." bla bla... "il suo alibi..." che non regge... ecco! "Arnold era molto bravo, riusciva addirittura a farla sfigurare sul palco e tutti se n'erano accorti"-.
Il movente.
Satine stava per lasciare il titolo di Star al Duca.
Meglio farlo fuori, no?
Afferro la giacca e mi dirigo verso l'uscita dell'ufficio.
Lancio uno sguardo alla sedia di Rick.
Lui non c'è.
Ha detto che andava via prima.
Devo arrestare la sua "amica" per omicidio.
Non ne sarà contento.
Ma mi ama e non potrà farmene una colpa.
Sono anche un poliziotto.
E' vero che ha anche amici mafiosi, ma quella donna probabilmente è arrivata a uccidere per indivia.
Perché voleva essere lei la Star.
E non posso lasciare Rick con una donna come lei.

E' notte.
Busso alla porta del locale.
Mi sembra di essere tornato pericolosamente indietro nel tempo.
Ma cosa sto facendo?
-Richard?-.
-Sì, sono io-.
Abby socchiude il portone e mi fa entrare.
Il salone è rischiarato da poche candele.
Tutto ha un'atmosfera così romanticamente gotica.
Ma non fa breccia nel mio cuore, come prima.
Ora il mio cuore è tutto per un'altra donna.
-Richard, è passato molto tempo...-.
Porto lo sguardo su Abby.
Indossa uno di quegli abiti vistosi, di paillettes viola, che le sono sempre piaciuti.
Il viso è deturpato dal trucco eccessivo.
Come ha potuto rovinarsi così?
Lei che voleva diventare un'attrice famosa per il suo talento, lei che voleva calcare i più importanti palcoscenici al mondo... si è ridotta a lavorare in un locale equivoco.
-... ma il mio amore per te, in realtà, non si è mai spento-.
Si solleva sulle punte.
Faccio un passo indietro.
-Abby, io...-.
-Sta' zitto e lasciati andare- mi sussurra, troppo vicina.
Chiude gli occhi.
Sento uno strano calore sulle mie labbra e il suo profumo mi invade.
-Abby, no...-.

La porta del locale è aperta.
Dovrei gridare "Polizia di New York", ma c'è qualcosa che mi ferma.
Ci sono delle voci che parlano sommessamente.
E, ad un tratto, sento la sua, di voce.
Rick.
E' qui.
Perché?
Un lacrima si fa strada prepotente lungo una guancia.
Mi sta tradendo.
Poso una mano sulla pancia, aggrappandomi a Johanna.
Respiro a fondo, cercando di tenere insieme i cocci del mio cuore.
Entro.
E li vedo.
Lei è avvinghiata alla sua camicia.
E si stanno baciando.
Mi gira la testa.
Poggio una mano alla parete e chiudo gli occhi, mentre delle voci risuonano nelle mie orecchie.
"Dove lo vuoi?"
"Sono davvero affascinante, non trovi?"
"Profumi di ciliegie".
"Abbiamo interrotto qualcosa?"
"Kate, io ti amo".
In una sorta di sequenza finale di Nuovo Cinema Paradiso vedo innumerevoli scene di baci montate insieme.
Il bacio davanti al locale per lesbiche.
Quello in obitorio.
Quelli nell'albergo di Roma.
Il nostro primo incontro, le sue lezioni di danza, il primo ballo all'American, la nostra lite, le sue scuse, il distretto trasformato in set fotografico, le interviste, Coonan, l'esplosione del mio appartamento, lui che mi salvava la vita...
Già, la mia vita.
La mia vita, che ora è di nuovo tutta lì, nella mia mente, come se non fosse mai sparita.
Apro gli occhi e scuoto la testa.
Quell'assassina si sta facendo il mio ragazzo.
Ho più di un motivo per arrestarla.
-Polizia di New York- urlo, cercando di avvicinarmi a passo sostenuto, mentre Johanna si ribella.
Johanna.
Mia madre.
Mia madre che non c'è più.
Mi fermo di nuovo, travolta da un'altra ondata di ricordi.
Ma poi getto uno sguardo a Rick, che si stacca brutalmente da Satine, guardandola male.
-Non so cosa tu abbia capito. Io non ti amo- mormora rivolto a lei, con un disprezzo che non gli riconosco.
Ammanetto la Star.
-Abigail McKintosh, la dichiaro in arresto per l'omicidio di Arnold Callen-.
Trascino fuori dal locale Satine, con Rick dietro.
La gelosia mi permette di stringere più forte la presa intorno alle sue braccia pallide.
Ryan ed Esposito mi aspettano.
Javier spinge Satine in macchina, mentre Kevin si mette alla guida.
Che bello ricordare i loro nomi e tutti i momenti trascorsi insieme.
-Kate?-.
Mi giro.
Castle si avvicina a me, con gli occhi spenti, il capo chino.
Si sente in colpa.
-Scusami- mormora.
Gli poso una mano sulla guancia.
-Non devi chiedermi perdono. Io ti amo e tu mi ami. Ed è questo ciò che conta-.
Rick solleva lo sguardo, per puntarlo nel mio.
Piega il capo da un lato, perplesso.
Quella frase gli ricorda qualcosa.
Eccerto, l'ha pronunciata lui stesso.
Sorrido maliziosa.
-Sai, anche travestito da donna non eri affatto male...-.
-Kate...-.
Sorride.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, i suoi splendidi occhi azzurri brillano.
Di gioia.
-Tu... tu ricordi...-.
Non faccio in tempo ad annuire.
Mi ritrovo travolta da un bacio passionale, traboccante amore.
Mi stringo a lui e non vorrei più lasciarlo andare.
Ma Johanna protesta.
Mi piego, con un gemito.
Rick abbandona le mie labbra.
Mi avvinghio alla mia pancia, mentre mi mordo un labbro dal dolore.
-Troppa passione, detective?-.
-Scemo! Ho le contrazioni!-.












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