Dietro Le Quinte

di Mary_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Testa a Cespuglio e Biondino ***
Capitolo 2: *** Quelli del Doposcuola Punitivo ***
Capitolo 3: *** Giorgio e Dafne ***
Capitolo 4: *** Setta segreta, evviva la Rivoluzione! ***
Capitolo 5: *** Tra le braccia di un Pigmeo Microcefalo ***
Capitolo 6: *** Non voleva che si sentisse sola ***
Capitolo 7: *** Seppie attrici e Opossum tramortiti ***
Capitolo 8: *** Il momento sbagliato per il nome di battesimo ***
Capitolo 9: *** Adolescente frustrato con gli ormoni in subbuglio ***
Capitolo 10: *** Tornando alla normale, ordinaria pazzia ***
Capitolo 11: *** Perchè Gio non è caduto nella fontana? ***
Capitolo 12: *** Pop Corn e lacrime ovunque ***
Capitolo 13: *** E per capirlo gli serviva un autobus ***
Capitolo 14: *** Ode ai Tarallucci, alla Trigonometria e al cugino Galeazzo ***
Capitolo 15: *** La Felpona (la nascita di un mito) non potrà salire sul palco ***
Capitolo 16: *** Piccoli artisti crescono ***
Capitolo 17: *** Carpe Diem ***
Capitolo 18: *** Il ragazzo con la testa altrove e quello che sorride sempre ***
Capitolo 19: *** Quella sera, quel giorno ***
Capitolo 20: *** Quando tra Biondino e Testa a Cespuglio ci si mettono dei gavettoni, una classe e il Signore del Corridoio ***
Capitolo 21: *** Quelle teste di coccio dei ragazzi del Doposcuola Punitivo ***



Capitolo 1
*** Testa a Cespuglio e Biondino ***


 

 

 

 

Un quarto alle due.

Irina si chiese cosa avrebbe fatto in un’altra situazione a un quarto alle due.

Probabilmente avrebbe appena finito di mangiare. Con la pancia piena sarebbe andata a chiudersi in camera sua per poi stravaccarsi sul letto e ignorare la valanga di compiti per il giorno dopo.

Quel giorno no.

E nemmeno i giorni a venire.

Quel giorno lei a un quarto alle due si trovava davanti all’ultima porta a sinistra del terzo piano del liceo sperimentale Michelangelo, pronta a scontare la sua pena.

E lo stesso sarebbe stato nei molti altri giorni a venire.

Con un sospiro si sistemò l’enorme felpa blu che indossava e impugnò la maniglia.

Via il dente, via il dolore…

Diede un’ultima occhiata alla targhetta sulla porta.

Doposcuola Punitivo.

Quelle parole continuavano a farsi beffe di lei.

Distogliendo lo sguardo dalle lettere, che sembravano diventare man mano più grandi, entrò.

Si accorse solo dopo qualche secondo che aveva gli occhi chiusi e che una ragazza con i lunghi capelli castani legati in una coda la fissava sorpresa.

Lo sguardo perplesso della ragazza si incupì quando Irina la salutò, mentre lei ringraziava il cielo che nessun altro avesse notato la sua entrata in scena.

Doveva essere ancora arrabbiata con lei.

Comprensibile visto che si trovava in quella situazione solo per colpa sua.

Nessun insegnante era ancora entrato, eppure c’era un silenzio quasi inquietante nell’aula che aleggiava tra i pochi ragazzi presenti.

Irina si sedette sull’ultimo banco rimasto e prese parte al mutismo generale, fissando le pareti gialle, paradossalmente calde e accoglienti.

Il ragazzo biondo davanti a lei si guardò intorno e, dopo aver realizzato che non sarebbe più arrivato nessuno, emise il primo suono umano del pomeriggio.

-Va bene, voi perché siete dentro?-

La frase ricordava ironicamente una riunione di carcerati.

Il biondo si girò verso di lei.

-Tu, Testa a Cespuglio?-

Irina inarcò un sopracciglio irritata.

-Scusami?-

Lui fissò i suoi capelli ricci e ribelli a mò di spiegazione.

-Questa “Testa a Cespuglio” ha un nome, decisamente più bello di quello che le hai affibiato tu!-

-Sarebbe?-

-E chi ti dice che te lo voglia dire?-

-Si chiama Irina Rainieri.-

La diretta interessata fulminò la ragazza alla sua sinistra e sbuffando si avvicinò alla finestra che dava sul cortile.

-Lo vedi quello?-

Chiese al biondo indicandogli il muro della palestra.

Sulla superficie non più bianca qualcuno aveva realizzato un murales rappresentante una gigantesco sorriso sovrastato dalla scritta “smile”.

-La prof di educazione fisica mi ha beccato l’altra mattina mentre mettevo via le bombolette.-

Spiegò risedendosi al suo posto.

Il ragazzo annuì per poi fissare la compagna imbronciata alla sinistra di Testa a Cespuglio.

-Palo.-

Disse semplicemente lei.

In risposta all’espressione interrogativa che ricevette mugugnò indicando Irina.

-Ho fatto da palo. E prima che tu mi rifili soprannomi assurdi, mi chiamo Francesca. Molinari.-

Aggiunse in fretta.

Irina decise che era giunto il momento di scusarsi per la millesima volta con la sua migliore amica e guardò Francesca con occhi imploranti, ai quali lei rispose con un piccolo sorriso divertito.

Nel frattempo un ragazzo dai capelli castano chiaro rispondeva all’uomo delle domande.

-Hanno scoperto che avevo modificato i miei voti sulle cartelle del computer e sul sito della scuola.-

Dopo che l’ultima ragazza disse che era lì per “niente di speciale” calò il silenzio di prima.

Irina tirò fuori dalla zaino un bloc notes e iniziò a scarabocchiarci sopra.

-Devo dedurre che fai l’indirizzo artistico, Testa a Cespuglio?-

Gli occhi della ragazza si ridussero a due fessure.

-La vuoi piantare di chiamarmi così, biondino?-

-Mmm… non mi piace “biondino”.-

Disse lui con una smorfia.

-Beh, a me non piace “Testa a Cespuglio”!-

Sbottò Irina forse a voce troppo alta.

-Voglio silenzio in quest’aula.-

Esclamò alle loro spalle una voce più matura della loro.

Elena Costanzi era una donna sulla cinquantina convinta che senza la sua presenza di bidella la scuola sarebbe crollata.

-Non sono una professoressa, non faccio ripetizioni né corsi di recupero. Potete fare quello che volete, basta che lo facciate senza troppo rumore.-

 

-“Biondino” non mi piace.-

Ribadì il ragazzo, che si era nuovamente girato.

-Mi chiamo Matteo. Matteo Conti.-

-Per me sarai sempre “biondino” se non abbandonerai il “Testa a Cespuglio”, in casi più fortuiti “Conti”.-

Borbottò lei.

-Non ci hai ancora detto una cosa, Conti.- continuò calcando sul cognome. –Tu perché sei dentro?-

-Ho litigato con l’insegnante di recitazione. Lui mi ha sbattuto fuori.-

Sembrava orgoglioso.

-Non hai perso la parte?-

-Oh, sì. Prima ero protagonista, ora sono una voce fuori campo.-

Il suo sorriso non diminuì nemmeno di un millimetro.

Irina pensò che quel ragazzo avesse seri problemi cerebrali.

 

 

Il liceo sperimentale Michelangelo era diviso in quattro indirizzi: artistico; musicale; lingue e recitazione; sportivo.

Le aule delle classi e dei laboratori si trovavano nei primi due piani.

Al terzo piano, ultima porta a sinistra, stava l’aula del Doposcuola Punitivo, dove quel giorno di Febbraio Irina Rainieri stava rinchiusa a contare le ore che la separavano dal rientro a casa.

La ragazza si guardò intorno annoiata.

Fran dormiva, la testa china sul banco.

Il ragazzo che aveva truccato i suoi voti si era infilato le cuffie dell’i-pod nelle orecchie e fissava con aria assente il cortile deserto fuori dalla finestra.

L’altra ragazza era concentrata sul un mucchio di fogli, i corti capelli neri che le nascondevano il viso.

Sospirò rendendosi conto che l’unico che sembrava disposto a parlare fosse il biondino.

Gli picchiettò sulla spalla con la matita decisa a non intrattenere una conversazione più lunga di dieci minuti, ma desiderosa di trovare risposta alla domanda che le martellava il cervello da quando era entrata.

-Senti, biondo, come mai siamo così pochi qui dentro? Non saremo nemmeno lo zero virgola cinque per cento degli studenti.-

Lui fece una smorfia irritata al nomignolo che sfociò poi in un ghigno.

-Non te ne sei accorta? Qui sono tutti troppo perfetti e diligenti per farsi mettere in castigo. Mirano tutti troppo in alto. E poi ci siamo noi. Se ci pensi non abbiamo fatto niente di esagerato, semplicemente siamo usciti un po’ dagli schemi. Siamo diversi. Noi siamo come dei fuorilegge.-

Irina sorrise suo malgrado.

Le piaceva il termine “fuorilegge”. Aveva un gradevole retrogusto piccante.

-Perché sorridi?-

Lei scrollò le spalle.

-“Fuorilegge”. Mi piace.-

-Sei strana, tu, Testa a Cespuglio-

Lei ignorò il modo in cui l’aveva chiamata e scrollò incurante le spalle.

-Ah, lo so.-

Sì, lei sapeva di essere, o per lo meno di sembrare strana.

Una massa di scuri capelli castani ricci e disordinati tra i quali si distinguevano svariate ciocche bordeaux, perennemente in jeans, accompagnati da felpe enormi ed all star colorate e una matita solitamente appoggiata dietro l’orecchio destro o, come in quel caso, tra le labbra.

Sì, poteva dire di sembrare particolare.

A lei piaceva.

Le piaceva esprimere la sua arte anche esteriormente.

Le piaceva avere un aspetto da… fuorilegge, ecco.

Irina sorrise di nuovo.

Le piaceva quella parola.



 

 

 

 

 

Buongiorno a tutti! 

La qui presente Mary ringrazia i coraggiosi che sono arrivati fino a leggere il suo sclero giornaliero. 

Questa è la prima storia che pubblico in originali. Devo dire che mi trovo molto meglio, mi sento molto più libera e a mio agio a parlare di personaggi che sono miei e non di altri autori. Posso dire di essere già innamorata di tutti loro, e mi auguro che prima o poi si trovino altri ammiratori.

La protagonista principale è sicuramente Irina e i capitoli saranno quasi sempre dal suo punto di vista, ma non sarà solo la sua storia che verrà raccontata. Tutti i ragazzi del Doposcuola Punitivo avranno un loro posto e una loro importanza, dal momento che li adoro già tutti.

Spero davvero che la storia interessi a qualcuno e che quel qualcuno mi faccia sapere il suo parere. 

Bè, gente, che dire ancora... mi auguro di vedere qualcuno quando pubblicherò il prossimo capitolo.

Ciao a tutti! 

Mary

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Capitolo 2
*** Quelli del Doposcuola Punitivo ***





Irina Rainieri fissava il foglio che le era improvvisamente comparso davanti alla faccia.

Davanti è una parola troppo riduttiva.

Irina Rainieri fissava il foglio che le era comparso direttamente sulla faccia.

I caratteri erano troppo vicini ai suoi occhi per poter leggere bene, ma riuscì a scorgere le lettere:

Classe IV A- IV C- IV E indirizzo sportivo

Classe IV A, la classe della sua migliore amica, Francesca Molinari.

Classe IV E, la classe di Luca Grigori.

Il Luca Grigori in questione stava davanti alla ragazza, il foglio ancora in mano, spiaccicato sul volto di Irina.

-Buona giornata anche a te, Luca. Motivo per cui mi hai porto gentilmente questo… coso?-

Il ragazzo la liberò dal pezzo di carta e si guardò intorno.

-Fran non c’è?-

-No, beh, avevamo detto che ci saremmo visti al bar, no? Perché la cerchi?-

Lui indicò quello che aveva in mano.

-Sono le risposte della verifica di algebra che faranno ad entrambe le nostre classi lunedì.-

-Ah, ecco, a proposito di questo… E se mi… mh… servissero le risposte della verifica di storia dell’arte?-

Lui annuì ed estrasse dalla tasca un block notes.

-Per quando?-

Chiese iniziando a scribacchiare il nome della ragazza e la richiesta.

-Martedì, terza ora. Cos’è, sei diventato una celebrità?-

Domandò, notando che il blocco era pieno di nomi di altri studenti.

Lui fece spallucce.

-Sono pagato.-

-Dovrei pagarti?-

Esclamò la ragazza fissandolo con gli occhi sbarrati.

-Direi. Chi lo fa il lavoro sporco qui? Se mi beccano a rovistare tra i loro programmi un’altra volta credi che mi faranno bastare il Doposcuola Punitivo?-

Lei scosse la testa scioccata.

-E se ti offrissi il pranzo di oggi?-

Luca la studiò per un attimo dal suo metro e ottantasette di altezza.

-Andata. Scelgo io quello che prendo però.-

Irina sapeva già che quel giorno Luca avrebbe mangiato più del solito.

Insieme si avviarono al bar dell’istituto, lei osservando con aria truce il bloccetto tra le mani del ragazzo, lui guardando avanti, rimanendo in silenzio.

-Mmh.. Ho pochi soldi oggi…-

Esordì Irina ad alta voce entrata nel bar.

Le labbra di Luca si incresparono in un ghigno.

-Mi spiace sapere che oggi tu mangerai poco.-

Non era un’impressione della ragazza che avesse sottolineato quel “tu” purtroppo.

Irina sospirò e si diresse verso un tavolo dove una ragazza con i capelli neri, corti fino alle spalle, li aspettava fissandoli in silenzio.

Si sedettero accanto a lei, ma nessuno fece in tempo a dire qualcosa, che furono subito interrotti da un'altra voce.

-Sono in ritardo! Lo so, mi spiace, ma la prof di danza mi ha tenuto dentro un’eternità oggi!-

Francesca Molinari si gettò sulla sedia vicino al posto di Irina e sospirò in modo teatrale, per poi gettare un urlo gioioso nel vedere quello che Luca teneva in mano.

Mentre la sua amica studiava il foglio, le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione, Irina lanciò un’occhiataccia al suo vicino.

-A lei quanto fai pagare?-

-A lei niente.-

Fece tranquillo l’altro.

Irina strabuzzò gli occhi sorpresa.

-Niente? Come niente? E scusa, io? Perché io devo pagare? Grigori, non me ne frega niente se preferisci lei a me, i favoritismi al lavoro non si fanno, nemmeno con i clienti. Scommetto che se mi iscrivevo allo sportivo non dovevo pagare il pranzo, vero? Ma ti sembra corretto? Ti sembra che…-

Evitando alla povera ragazza un’autocombustione Luca la interruppe senza scomporsi minimamente.

-A lei non faccio pagare perché mi ha passato le versioni di latino di compito di questa settimana.-

-Testa a Cespuglio, le tue urla disumane si sentivano anche fuori dalla porta.-

Intervenne tranquilla una quinta voce alle sue spalle.

Lei chiuse gli occhi ispirando quanta aria poteva, cercando di calmarsi.

-Non-mi-chiamare-così-sottospecie di biondo!-

Lui le rivolse un’occhiata infastidita per come lo aveva chiamato, ma non le diede retta e si sedette al loro tavolo.

-Ci avete messo un’eternità. Mi stavo annoiando, Sara non vuole ancora dirmi perché è finita al Doposcuola.-

Esclamò passando un braccio intorno alle spalle della ragazza coi capelli neri.

Lei sbuffò e alzò gi occhi al cielo.

-Dio, Teo, ne devi fare una questione di stato? Perché ti importa tanto? Arrenditi e accetta il fatto che non te lo dirò mai.-

Irina, che approvava al cento per cento il commento di Sara, le diede una pacca di conforto sulla spalla e si rivolse con un sorrisetto al biondo.

-Se avessi saputo che ti dava così fastidio nemmeno io ti avrei detto perché ci sono finita.-

Lui ghignò, dando un’occhiata veloce al murales che occupava il muro della palestra.

-Sempre a fare la velenosa, quando so che alla fine mi vuoi bene…-

-Tanto.-

Replicò quella sarcastica.

L’esclamazione di Fran “pizza ai funghi” interruppe il loro battibecco.

Irina avrebbe potuto tranquillamente scommettere su quello che avrebbero preso i suoi compagni di tavolata, nonché compagni di ore al Doposcuola Punitivo.

Sara Donati, indirizzo Lingue e Recitazione, III B, motivo sconosciuto per cui era in punizione, avrebbe preso un panino con prosciutto crudo e insalata e una bottiglietta di acqua naturale.

Luca Grigori, indirizzo Sportivo, IV E, beccato a modificare i suoi voti sul sito della scuola dal suo portatile, un gigantesco pezzo di focaccia ripieno di un miliardo di cose e una lattina di Coca, con grande dispiacere del portafogli della ragazza.

Francesca Molinari, indirizzo Sportivo, IV A, in punizione per aver aiutato Irina nel suo piano, pizza ai funghi e acqua frizzante.

Matteo Conti, indirizzo Lingue e Recitazione, V C, punito per aver litigato con il suo insegnante di teatro, un pezzo di pizza con salame e prosciutto, per poi risparmiare e scroccare dalla lattina di Luca.

Infine c’era lei, Irina Rainieri, indirizzo Artistico, IV B, finita al doposcuola dopo essere stata sorpresa a fare il murales sul muro esterno della palestra, che avrebbe mangiato un misero pacchetto di cracker, direttamente dalla tasca del suo zaino, dal momento che i suoi soldi erano stati interamente spesi per la mastodontica focaccia di Luca.

Inaspettatamente nelle settimane di punizione, che sarebbero andate avanti fino alla fine dell’anno, i ragazzi si erano lentamente avvicinati, prima come rassegnati cospiratori nonchè vittime, per poi diventare amici a tutti gli effetti.

Era strano, ma molta gente a scuola li aveva etichettati come “quelli del Doposcuola Punitivo”, come se fossero una banda, un gruppo a parte, e loro si adeguavano e avevano imparato a conoscersi tra di loro. Tutti.

Anche Sara, che era la più timida e taciturna, anche Luca, che aveva un carattere strano e indecifrabile.

Ognuno conosceva l’altro soprattutto grazie alla parlantina smisurata e alla disinvoltura di Matteo.

Irina spostava lo sguardo sconsolata dai suoi cracker a Luca, che mangiava tranquillamente e senza alcun rimorso, finchè uno sbuffo interruppe i suoi pensieri.

-Dai, prendi, non voglio che muoia di fame.-

Lei guardò con occhi luccicanti prima Matteo, poi la sua pizza e, prima che lui potesse cambiare idea, ne prese un grosso pezzo tutta contenta.

-Grazie.-

Mugugnò prima di masticare lentamente, come se avesse paura di finirla troppo in fretta.

Il rapporto tra lei e il ragazzo la lasciava sempre un po’ basita.

Prima non si sopportavano l’un l’altra e non facevano altro che litigare, poi facevano come se niente fosse e si comportavano in modo civile.

Irina lo interpretava come uno strano modo di vivere la loro cosiddetta amicizia.

 

 ***

 

 

-Non sono una professoressa, non faccio ripetizioni né corsi di recupero.-

Ripetè nel suo ritornello giornaliero Elena Costanzi, incaricata alla sorveglianza del Doposcula.

“Potete fare quello che volete, basta che lo facciate senza troppo rumore.”

Recitò Irina nella sua testa, prevedendo quello che la bidella avrebbe detto.

-Ma d’ora in poi potete scordarvi l’idea di non fare niente qui con me.-

La ragazza alzò la testa dal suo libro sorpresa.

-Scusi, ma non ha sempre detto che potevamo fare tutto quello che volevamo a patto di non fare danni?-

Domandò Fran sorpresa quanto la sua amica.

La Costanzi fece una smorfia.

-Fino a ieri. Stamattina la preside mi ha detto chiaramente che vuole che il Doposcuola sia educativo e quanto meno somigliante ad una punizione.-

-Come se fosse divertente passare i pomeriggi qui a fare la muffa.-

Borbottò Matteo, completamente stravaccato sulla sua sedia.

-Non credere che io non sia d’accordo con te Conti, ma se riceviamo ordini dall’alto dobbiamo eseguirli.-

Sospirò la donna guardandoli uno ad uno.

-Così la vostra amata preside mi ha proposto un’attività da farvi fare. Lei ci tiene a far notare che, sebbene sia diviso in quattro indirizzi, il Michelangelo tenga uniti gli studenti.-

-Bella scoperta. Siamo tutti sotto lo stesso tetto, certo che siamo uniti!-

Irina non poteva che essere d’accordo con Fran.

-Comunque.  Lei vuole che rappresentiate quest’unione utilizzando quello che avete imparato nei vostri indirizzi.-

-Noi cinque.-

-Sì.-

-Del Doposcuola Punitivo.-

-Sì.-

-Come?-

-Con una rappresentazione, una recita.-

Cinque paia di occhi fissavano scettici Elena Costanzi.

-Ragazzi, lo so che sembra assurdo, figuriamoci, devo pure fare la regista, ma non è uno scherzo.-

Irina guardò allarmata Francesca. Sembrava stramaledettamente seria.

-Rifletteteci. Abbiamo qualcuno che si può occupare della scenografia.-

Indicò Fran, che allo sportivo si specializzava in danza.

-Abbiamo almeno due attori.-

Guardò Matteo e Sara.

-E abbiamo anche chi si può occupare della sceneggiatura e dei costumi.-

I suoi occhi si spostarono su Irina.

-Ah, bene, quindi io non devo fare niente.-

La voce compiaciuta di Luca si levò dal silenzio che si era creato.

Il volto della Costanzi si aprì in un sorriso che fece subito sparire quello del ragazzo.

-Tranquillo Grigori, c’è lavoro anche per te. Conosci qualcun altro in quest’aula piuttosto abile coi computer che si potrebbe occupare degli aspetti tecnici?-

Luca si incupì e sprofondò dietro il suo banco.

-Lei è seria, vero?-

Sospirò Matteo, che cominciava a credere davvero a tutta quella storia assurda.

-Come la peste, Conti.-

-Ma è ridicolo! Siamo solo in cinque! Come facciamo a mettere su un’opera teatrale in così pochi?-

-Molinari, lo scopo dell’attività è proprio questo. Se, pochi come siete, riuscite a tirare fuori qualcosa di buono, la preside sarà contenta e non stresserà più.-

-Ma… e la storia, l’ambientazione, i personaggi? Ha presente che siamo solo in due?-

-A quello ha già pensato la romantica mente contorta che occupa il posto dietro la cattedra della presidenza. Voi dovete solo eseguire gli ordini.-

Il silenzio totale calò nella stanza, il sospiro secco e scocciato di Luca fu l’unico suono che si udì.

 

 

 

 

 

 Buon giorno!

Sono già tornata, mi sembra presto, ma il capitolo era già bello pronto da un pezzo e una certa Laura Pevensie insisteva che lo pubblicassi perciò...

Il capitolo è servito principalmente per presentare tutti i personaggi, spero non sia stato troppo noioso, ma è anche servito per introdurre quello che sarà lo sfondo della storia: la tremenda recita ideata da quella mentecatta della preside (sì, mi sta molto simpatica...).

Oh, bè, mi auguro che vi sia piaciuto, il terzo capitolo è già finito, perciò chissà, magari lo pubblico presto... Vediamo.

Intanto ringrazio che ha letto e messo tra le seguite, sono contenta che qualcuno abbia leggiucchiato. Bè, ora devo ringraziare quelle santissime donne che mi hanno recensito.


morgana92:  Non sai quanto sono contenta che tu sia passata e abbia anche recensito! Sono molto fiera di te, sappilo. Mi piacciono molto questi personaggi e mi sento molto più libera, ma tranquilla, sono affezionata anche a Jared e Kim, anche se nei prossimi capitoli loro mi odieranno a morte. Eh già, la piccola Irina se la cava a disegnare! Lei sì che sa fare le rape! (non la pianterò mai di ricordartelo, mi sa). Sono stra di fretta e mi sento in colpa per aver risposto in questo modo breve e indecente, mi spiace! Spero che mi dica cosa pensi del nuovo capitolo e dei personaggi che ho presentato. A presto! :)

laura Pevensie. Bè, sì... l'amour scoppierà, bisogna veder come, e soprattutto quando! ci vorrà moooolto... Zia Laura, sono stra in ritardo e mia sorella mi sta per uccidere, visto che devo uscire con lei, ci sentiamo va bene??? scusami tanto! e grazie davvero per aver recensito, insomma, sei stra gentile!!

 


Bè, che dire, mi farebbe piacere vedere più commenti, ma non pretendo nemmeno troppo, ci vediamo al prossimo capitolo! 

Mary

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Giorgio e Dafne ***


-Ah.-

-Oh.-

-Mh.-

Furono gli unici suoni che uscirono dalle labbra dei cinque ragazzi, seduti intorno al grande tavolo della cucina di casa Conti.

In quel momento i loro pensieri, vagamente omicidi, erano rivolti tutti a Lara Umbri, preside del Michelangelo, che li aveva incastrati senza via di uscita in quella storia.

E che storia.

Sara, ancora con i fogli in mano, diede un’altra occhiata affranta al copione composto dalla donna, recentemente soprannominata con il consenso generale “Umbridge”*, l’attenzione rivolta in particolare alle ultime righe.

-Vogliamo parlare delle ultime battute?- Matteo strappò irritato il copione dalle mani della ragazza e iniziò a leggere.

-“Dafne, tu sei la mia vita ora, il mio sole, il mio fiore, sei l’aria che respiro, il bocciolo della rosa più bella, la rugiada che compare alla mattina, il timido raggio di un tramonto sul mare, sei lo zucchero sulla lingua, la canzone più melodiosa, l’unico motivo per cui un ragazzo come me può voler vivere ora.”-

Si interruppe e li guardò uno ad uno scioccato.

-E’… è… è semplicemente raccapricciante! E un ragazzo della mia età dovrebbe tirar fuori dalla testa una dichiarazione del genere? Quale ragazzo potrebbe mai ricordarsi tutti questi paragoni? Quale ragazzo potrebbe anche solo pensare delle parole del genere?-

Dal canto suo Sara si limitò a borbottare evidentemente irritata

–Dafne. Dafne. Ma che razza di nome è Dafne? È italiano poi?-

Irina guardò gli amici che non si erano ancora espressi.

Luca sembrava pronto a vomitare da un momento all’altro, una smorfia disgustata stampata in faccia, probabilmente per il troppo e altrettanto improbabile zucchero.

Fran aveva gli occhi sgranati, indecisa se ridere o piangere.

Irina invece si chiedeva cosa aveva fatto di male per dover mettere insieme una cosa del genere, e quale tipo di droga prendesse la preside, una donna tra l’altro sulla quarantina, per aver partorito una storia del genere, tipica di una ragazzina di undici anni con gli ormoni scombussolati.

-Io mi rifiuto… mi rifiuto sul serio. Qualsiasi cosa potrebbe essere meglio di questo!-

-Forse potremmo apportare delle modifiche… qualcosa che la possa rendere un po’ più decente, quanto meno guardabile.-

Fran era una ragazza speranzosa e di buoni propositi e idee, ma stavolta tutti dovettero concordare con Matteo quando disse

-La preside non accetterà mai che cambiamo una dichiarazione del genere. È così romantica!-

Esclamò il biondo con una faccia schifata.

-Giuro che domani mi vesto a lutto.-

Borbottò Irina appoggiando la testa sul ripiano del tavolo in un atto di disperazione.

-Magari io e Matteo potremmo provare a parlarle. Potremmo dirle che siamo già molto impegnati con altre parti e che vorremmo tagliare dei pezzi, dichiarazione in primis, per riuscire a studiare tutto.-

Nessuno ebbe niente da ribattere e tutti annuirono, speranzosi che i loro amici riuscissero nell’impresa.

 

 

-Ci vediamo domani, vedrete che ce la faremo! Se Sara si prepara un discorso ben fatto abbiamo qualche possibilità di commuovere la preside.-

Fran uscì dalla porta dell’ingresso trascinandosi dietro Sara, che li salutò con un cenno della mano.

Irina si voltò verso Luca, stravaccato sul divano con aria truce e verso Matteo, che studiava il copione con una smorfia.

-Siete entrambi molto di compagnia devo dire.-

Esordì sarcastica cercando di attirare la loro attenzione.

-Testa a Cespuglio, tu non devi mica salire sul palco e umiliarti davanti a tutta la scuola.-

Borbottò il biondo alzando lo sguardo per un millesimo di secondo dai fogli per poi tornare nel suo stato di disgusto.

-Eddai, Luca, tu non devi fare quasi niente! Io e te tutto sommato siamo i più fortunati!-

Non ci poteva credere. Lei, Irina Rainieri, stava tentando di consolarli. Lei che di solito era la prima da tirare su in situazioni simili.

-Innanzitutto, noi ci finiremo eccome sul palco, siamo delle comparse, ricordi? E la mia dignità andrà comunque al diavolo anche se me ne sto dietro al computer tutto il tempo.-

Non sapendo trovare un modo per ribattere decentemente Irina decise di crogiolarsi nel cattivo umore che aleggiava nella stanza e sbuffando si sedette sul tappeto, rimandendo in silenzio.

Il campanello suonò e interruppe i ragazzi dalle loro riflessioni.

-Devono essere i miei.-

Dissero all’unisono Luca e Irina alzandosi in piedi.

Quando ebbero appurato che erano i genitori del ragazzo lui si avviò verso la porta e prima di aprirla si girò verso di loro.

-A domani.-

Borbottò con tono lugubre, per poi sparire oltre la soglia.

Il silenzio calò di nuovo e Irina fissò Matteo che aveva riinflilato la testa nel copione ed era sprofondato ancora di più nel divano.

Sospirò esasperata e gli si avvicinò cercando di superare la muraglia di fogli che le si era creata davanti.

-Oh, senti, alla fine non è così tremendo.-

Sbottò allungandosi oltre il copione.

Lui non si degnò nemmeno di rispondere e la guardò male.

-Teo, insomma! Ma non sei sempre tu quello che con la sua esasperante ed irritante allegria aiuta Fran a risollevare il morale di questo gruppo di depressi? Cos’è, la parte di Matteo che conosco è rimasta sotterrata da questo mucchio di pezzi di carta?-

Lui la fissò e reagì per un unico motivo.

-E’ uno di quegli strani e rari momenti in cui mi chiami per nome? Però oggi hai esagerato, l’hai pronunciato due volte in una frase e una di queste era addirittura il mio soprannome.-

Disse compiaciuto fissando la ragazza.

A volte succedeva. Quando non avevano un buon motivo per litigare, o erano in strane situazioni di tranquillità pacifica, capitava che nessuno dei due usasse il soprannome odiato dall’altro.

-Certo che ti chiamo per nome! Sei talmente immusonito che non avresti nemmeno voglia di reagire, non avrebbe senso darti fastidio!-

Esclamò Irina con ovvietà.

-Questa è interessante. Quindi tu mi chiami “biondo” o “biondino” solo perché hai voglia di litigare?-

Sembrava che avesse appena fatto la scoperta del secolo.

Irina lo guardò scettica.

-Pensavo che fosse ovvio.-

-Hum… bè, non necessariamente.-

-Ci sarebbero altri motivi?-

-Bè, magari lo fai perché mi odi.-

-Ma per chi mi hai preso? Certo, magari ti trovo, e mi sembra strano di essere l’unica, irritante, noioso, borioso, snervante, fastidioso, assillante…-

-Stringi.- Replicò ridacchiando il ragazzo.

-Il punto è- esordì lei –non sono una figlia dei fiori, ma non mi è ancora capitato di odiare nessuno, nemmeno te in effetti, nonostante tu abbia quella sfilza di difetti, che tra l’altro non avevo nemmeno finito.-

Concluse con tono saggio sedendosi sul divano.

Lui si limitò a guardarla con il sopracciglio inarcato, come se avesse detto qualcosa di assurdo.

-Ti diverti a litigare con me.-

Disse poi, come se avesse registrato solo quel particolare.

Lei ci pensò su.

-Bè, non è che mi renda felice come una pasqua, ma è una specie di passatempo, di hobby. C’è chi colleziona miniature, io litigo con te.-

Disse infine, concordando pienamente con i suoi ragionamenti.

-Un passatempo.-

Il sopracciglio di Matteo si inarcò ancora di più.

-Conti, sei sordo? È quello che ho appena detto!-

Sibilò lei, leggermente irritata o, detto in altri termini, impegnata a portare avanti il suo passatempo.

Il ragazzo scoppiò a ridere.

-Dobbiamo trovarci un hobby normale, Rainieri.-

Irina pensò che non aveva mai sentito il suo nome pronunciato da lui, non quando le si rivolgeva almeno. Forse non era abbastanza musicale. Anche se, cavolo, qualsiasi nome, anche Dafne, era più musicale di Testa a Cespuglio.

-Senti, ma non dovresti essere già a casa?-

Esordì Matteo vedendo che la ragazza, persa nei suoi pensieri, non ribatteva.

Lei guardò l’orologio, poi il cellulare.

-Le sette e mezza? Ma che fine ha fatto quella scapestrata famiglia che mi ritrovo?-

Quasi urlò facendo sobbalzare il ragazzo.

Compose in fretta il numero della madre e aspettò indecisa se essere imbufalita o preoccupata.

-Mamma! Ma che fine avete fatto? Non dovevate venire per le sette?-

-Oh, tesoro, scusami! Ci siamo dimenticati di avverirti! C’è stato un contrattempo e le gare di tuo fratello sono appena ricominciate. Senti, tra un’oretta o due dovremmo essere lì.-

-Un’oretta o due? Ma questi mi sbattono fuori tra nemmeno dieci minuti!-

Irina ignorò l’espressione accigliata di Matteo e continuò.

-Senti, vedo cosa fare, al massimo torno a casa a piedi, ok? Ho le chiavi.-

-Tesoro, il tuo amico abita dall’altra parte della città.-

-Lo so mamma, ti prego non ricordarmelo. Ascolta, ti faccio sapere dopo, ok?-

Riattaccò e si voltò verso Matteo, che la guardava perplesso.

In quel momento odiò con tutta sé stessa la scherma e il dannato giorno in cui suo fratello aveva deciso di praticarla.

-Scusa, mi sembra di ricordare che esiste un mezzo pubblico, che esiste per tutti, che si chiama… com’è che si chiama? Ah, sì! Autobus.-

Irina non considerò nemmeno la frecciatina ironica del ragazzo.

Si limitò a irrigidirsi e sibilare.

-No! Io su un autobus non ci salgo, chiaro? Dovessi farmi tutto il giro della città a piedi.-

-Ma ti sembra una cosa sensata? Tu abiti dall’altra parte della città!-

-Lo so!-

Esclamò nervosa Irina, mordendosi il labbro.

-Aspetterò i miei sul marciapiede.-

-Questa è la tua brillante conclusione? Aspettare sul marciapiede? Sul serio, perché cavolo non fai la cosa più normale del mondo e sali su un autobus?-

Irina lo fulminò.

-Non prendo gli autobus. Non mi piacciono.-

Lui inarcò un sopracciglio scettico.

Irina liquidò il discorso, a disagio.

-No, davvero, non lo prendo l’autobus. Aspetto di sotto.-

-Sì, a congelare. Che cretina che sei Testa a Cespuglio. Chiamo mia mamma per dire che stai a cena, aspetta qui.-

Irina lo osservò allontanarsi verso il telefono nel corridoio, senza fermarlo. Non era così stupida da preferire congelare su un marciapiede sporco piuttosto che mangiare in una casa calda.

Mandò un messaggio a sua mamma per avvertirla e aspettò il ritorno del biondo, mettendosi a gambe incrociate sul divano.

Tolse la matita da dietro l’orecchio e cominciò a mordicchiarla, guardandosi intorno pensierosa.

Matteo rientò nella stanza e la osservò un attimo.

-Sai, mi stupisco che tu non fumi, hai il vizio di mordicchiare quella cosa, come fai a preferirla a una sigaretta?-

-La preferisco alla sigaretta perché almeno non mi riduce i polmoni in prugne secche! Perché, tu fumi?-

Lui fece una smorfia.

-Nah, ci ho provato per un po’, ma non ci riesco. Mi dà fastidio il fumo. E onestamente la cosa mi fa anche un po’ schifo.-

-Comunque grazie. Per l’ospitalità.-

Borbottò la ragazza fissandosi i piedi. Borbottava sempre quando doveva per qualche strano motivo ringraziarlo. Non perché le desse fastidio, andava fatto se ce n’era bisogno. Non voleva però che lui saltasse fuori con le sue battutine sul fatto che lei, Irina Rainieri, ringraziava Matteo Conti. Insomma, non era mica la cattiva della situazione.

-Di niente.-

Si limitò a dire per una volta il ragazzo, stravaccandosi sul divano.

-E’ davvero una cosa patetica.-

Mugugnò alla fine mandando un’occhiataccia al copione che Irina aveva preso in mano.

Lei sospirò e si passò una mano tra i capelli, facendo muovere una marea di ricci.

-Sì, è vero. È tremenda. Però alla fine non possiamo farci niente, no? Voglio dire, secondo me anche se le fate il discorso migliore del mondo quella non cambia idea. Glielo si legge in faccia che vorrebbe una dichiarazione del genere. Da parte mia credo che tirerei qualcosa in testa al malcapitato che osasse dichiararsi a me in questo modo.-

-Ah, puoi stare sicura che io non ti dirò mai una cosa del genere.-

Disse il ragazzo, che fissava ancora con aria truce le pagine.

-Se è per questo tu non mi farai una dichiarazione e basta.-

Ribattè lei saggiamente.

-Bè, questo non si può mai dire. Probabilmente quando ci sposeremo tu vorrai andare in viaggio di nozze in Ingilterra e io in America.-

-Ci sono posti un po’ più originali di questi per un viaggio di nozze.-

-Già, ma l’America mi ispira. Poi avremo due figli, io direi maschio e femmina. Uno si chiamerà Amilcare.-

Aggiunse facendo piegare la bocca della ragazza in una smorfia divertita e allo stesso tempo disgustata.

-Sì, e magari la figlia Dafne! Stammi a sentire, non ti permetterò mai di chiamare i nostri figli con questi nomi campati per aria! Innanzitutto è da me che nasceranno, sarò io che farò tutta la fatica, quindi mi spetta come minimo un buon vantaggio sulla scelta dei nomi. Mi sembra il minimo.-

Irina si rese conto in quel momento che stava pianificando la sua vita coniugale con Matteo Conti.

Ecco tornato uno di quei paranormali momenti, che alla fine non erano nemmeno troppo rari, in cui stavano insieme in modo civile.

Ridacchiò fra sé e sé, mentre Matteo dichiarava che aveva il suo stesso diritto nella scelta.

Che idioti.

 

 

Bè, naturalmente era bionda. Insomma, non sarebbe potuta essere la madre di Matteo se non lo fosse stata.

Questo era stato il primo pensiero che era passato per la testa di Irina nel vedere la donna sulla quarantina che le serviva l’insalata.

Per il resto non sembrava somigliare troppo al figlio.

Innanzitutto la ragazza dubitava che Matteo sapesse cucinare così bene, poi lei era molto più gentile e forse un più silenziosa. Il che stupì Irina, che era convinta che parlasse almeno quanto lui, se non di più. Probabilmente aveva preso dal padre, che quella sera era fuori a una cena di lavoro.

Quello che però era evidente, era che la passione per la recitazione era stata presa da lei.

Aveva recitato in chissà quante opere teatrali, come Romeo e Giulietta, l’unico titolo che la ragazza ricordava, per il semplice fatto che era effettivamente famoso.

-Anche Matteo la rappresenterà quest’anno. Interpreta Romeo, lo sapevi?-

Lei girò di scatto la testa verso Matteo, sorpresa. Che Irina sapesse, quella parte era stata data a qualcun altro, settimane prima, ma evidentemente la madre del biondo ignorava totalmente la cosa.

Lui si irrigidì e infilzò con maggior violenza la polpetta nel suo piatto.

-Irina fa l’artistico, mamma. Non gira molto la notizia lì.-

Borbottò.

Rachele Riva in Conti sorrise intenerita.

-Tu sei troppo modesto, perché non glielo hai detto? È una parte piuttosto importante.-

Modestia. Irina non avrebbe mai dato quella qualità a Matteo, non in quel momento almeno. In realtà era un po’ irritata. Quella donna era così dolce e lui mentiva su una cosa del genere.

-Nah, a Irina non importa niente della recitazione.-

Ghignò il ragazzo, facendo arrossire di imbarazzo la sua vicina.

-No… io… bè, insomma, non è quello. È che ho l’espressività di un pezzo di legno.-

Mormorò nascondendo il viso dietro i ricci.

Rachele scoppiò a ridere.

-Tranquilla cara, se ti può consolare io non so disegnare nemmeno una rapa, mentre tu a quanto ho capito sei molto brava.-

Irina sorrise, ringraziando il cielo che la madre non fosse crudele quanto il figlio.

 

 

Matteo aveva trascinato Irina nella sua stanza appena avevano finito di mangiare, lasciando la povera donna tutta sola a sparecchiare.

-Non le hai detto niente.-

Esclamò fissandola sorpreso.

-No, ma mi è quasi venuto in mente di farlo. Del resto non sono affari miei. Come mai non glielo hai detto?-

Irina non riuscì fare a meno di risultare un po’ tagliente e lui spostò lo sguardo imbarazzato.

-Io odio le tragedie. Insomma, mi deprimono e mi annoiano a morte, preferisco le commedie. Ma mia mamma le adora; “Giulietta e Romeo”, poi. Non volevo mollarla così, deludendola, allora ho litigato col professore per farmi togliere la parte. Almeno non sembra che sia una mia scelta.-

Irina lo fissò accigliata.

-Sei un idiota.-

Il biondo sospirò e si sedette sul letto.

-Sì, grazie, lo so.-

-Sei un idiota nel senso positivo e negativo.-

Aggiunse lei, sorridendo leggermente e sedendoglisi accanto.

-Non ho ancora capito se mi stai insultando o no.-

Ribattè fissandola perplesso.

-Certo che ti insulto! Ma solo per una cosa. Insomma, posso capire il fatto che tu non abbia voluto interpretare Romeo, anche perché la storia di due tizi che alla fine si suicidano, vittime della sfiga più nera non è mai piaciuta molto neanche a me. Però, insomma, avresti dovuto dirlo a tua mamma, senza fare quella cosa contorta del litigio col prof. Tanto prima o poi al Doposcuola Punitivo ci finivi sicuramente per qualche altro motivo. E poi, insomma, non credi che dovresti dirglielo che non hai la parte? Ho visto i suoi occhi che sprizzavano orgoglio da ogni parte…-

Lui la fissò un attimo per poi spostare lo sguardo su pavimento.

-Sì, sono proprio un idiota.-

-Mai stata così d’accordo, però alla fine puoi rimediare. Puoi sempre dire a tua mamma la verità e sentirti la coscienza un po’ più a posto.-

Lui annuì sorridendo lievemente.

Irina sorrise a sua volta e gli pigiò sulla testa il cappuccio della felpa, ridacchiando.

-Per me resti sempre e comunque un idiota, però.-

 

 

-Non mi hai ancora detto perché non sali sugli autobus.-

Disse Matteo fissando il lampione davanti a loro.

Lei si sedette sul marciapiede, leggermente in imbarazzo.

-E’ che gli autobus mi fanno paura.-

Matteo la fissò, invitandola a spiegarsi e lei sbuffò, imbarazzata.

-Quando avevo cinque anni non sono riuscita a scendere dall’autobus con mia mamma e ci sono rimasta sopra per quattro fermate. Ero terrorizzata. Ero sicura che i miei genitori fossero tornati a casa e che sarei dovuta finire in un orfanotrofio. Ero una bambina un po’ scema in realtà, perché sono rimasta paralizzata dalla paura e non ho chiesto aiuto a nessuno. Alla fine è salita un’amica di mia mamma che mi ha riconosciuto e mi ha riportato a casa. E fu così che la piccola Iria Rainieri non finì all’ orafanotrofio. Tra l’altro non ce ne sono nemmeno più in Italia.-

Aggiunse terminato il racconto e ridendo della sua tragica idea infantile.

Il ragazzo ridacchiò guardandola di sottecchi.

-Soltanto tu potevi rimanere bloccata su un autobus. Che demente.-

Cos’altro avrebbe potuto dire Matteo Conti? Irina si sarebbe preoccupata se avesse detto qualcosa di incoraggiante e comprensivo; probabilmente sarebbe scappata, convinta di avere davanti un’altra persona. Quindi non si arrabbiò e si limitò a mormorare un  “Già.” metre si alzava dopo aver visto la macchina dei suoi che veniva verso di loro.

-Quindi quando faremo le gite di famiglia devo dire ai bambini che è meglio non prendere l’autobus?-

Chiese il biondo mentre lei apriva la portiera.

Irina gliela chiuse in faccia e, un secondo prima che l’auto ripartisse, abbassò il finestrino.

-Chiederei il divorzio se non lo facessi, biondino.-

E fu una delle pochissime volte che, dopo essere  stato apostrofato in quel modo, Matteo sorrise.

 







Eh, basta, li amo troppo questi due... 

Sono tornata dopo solo una settimana! Per me è una specie di record, non ci metto così poco tempo di solito. Ma il capitolo era già lì, bello pronto da giorni e così... eccolo qua.

* Per chi non la conosca la Umbridge è la tiranna vestita di rosa che prende il posto di preside in Harry Potter 5. Sì, mi sono fissata con Harry Potter ultimamente. Mi è stato detto che alla fine citarla non era così male, visto che alla fine Harry Potter è molto conosciuto e mettere un elemento del genere poteva rendere la situazione un po' attuale. Comunque non so quanto userò il soprannome, vedremo.

Il capitolo è un po' lungo, ma non volevo dividerlo in due parti, si sarebbe rovinato. 

Non ho niente contro il nome Dafne, in realtà non lo trovo nemmeno così brutto, ma è il primo nome un po' particolare che mi è venuto in mente, e metterne uno più assurdo sarebbe stato troppo. Ormai nella mia testa la protagonista si chiama Dafne, non ci posso fare niente.  Ai cari ragazzi del Doposcuola non piace molto, ma i gusti sono gusti.

La storia comincia a venire un po' a galla, bisogna solo vedere come se la caveranno i nostri paladini Matteo e Sara con la preside.


Devo ringraziare le persone, ribadisco che sono delle sante, che mi hanno recensito.


Eyla Owen: Bè, il capitolo per te non è una sorpresa, lo avevi già letto. Grazie per avermi fatto notare gli errori grammaticali. Che vergogna, sei anche più giovane della sottoscritta. Luca lo amo anch'io. Ardua scelta tra lui e Matteo, ma mi sa che mi prenderei comunque Luca. Vedrai che cosa ho in serbo per lui... Uh, grazie, sono contenta di avere la "grinta da originali", so che questo capitolo ti piace di meno, ma a me devo dire che non dispiace, il che è strano, di solito mi fanno schifo tutti. Per quanto riguarda gli orfanotrofi... Anche se ho già scritto i primi capitoli li voglio modificare, e poi devo prima occuparmi delle due fic che scrivo adesso, sennò impazzisco. Ma arriverà anche l'altra originali, prima o poi.


morgana92:  Bè, tu sei una santa donna, perchè sei tanto cara da venire a recensire pure qui, perciò non mi importa se hai istinti malefici, io ti ritengo santa beata lo stesso...  Ora si vedrà come si comporteranno i cari ragazzi. Intento la trama della recita comincia un po' a mostrarsi, vedremo in seguito com'è del tutto. Hem... Jared e Kim mi odieranno perchè... non te lo dico! Abbi pazienza, sto scrivendo il capitolo, ma è un po' difficile e devo avere l'umore giusto (cioè depresso) per tirare fuori qualcosa di decente. Comunque mi sa davvero che mi odierete tutti. Sono davvero crudele. Bè, spero di riuscire a postare presto anche When I look into your eyes, così vedo se mi odii pure tu.


Cohava:  Ciao! Grazie davvero di avermi recensito. Mi è spuntato una specie di gigantesco sorriso sulla faccia nel vedere che si era aggiunta una recensitrice. "L'idea è originale"... Grazie! Sul serio, mi auguravo con tutta me stessa di non scrivere una cosa banale, spero di non deluderti. Ebbene sì, la storia è romantica, non so se lo hai notato. Mi sono divertita troppo a mettere insieme tutti gli aggettivi più diabetici che mi venivano in mente. I murales a me piacciono da morire, ma dipende da come sono fatti e da dove sono fatti. Irina parlerà del suo murales, al quale è stranamente affezionata. Tranquilla, lei di qualità ne ha. E' un po' scorbutica, ma molto legata alle sue amiche e credo che farebbe di tutto per loro. E poi a me ispira tenerezza. Tra l'altro non odia Matteo, come dice lei stessa, lo considera suo amico. Spero che si cominci a capire che non è il solito rapporto amore-odio in cui i due si odiano e poi alla fine si innamorano. No, sono già amici, anche se si punzecchiano spesso. Bè, mi auguro che Irina ti piaccia comunque. Ah, e tranquilla, mi accontento assolutamente dei complimenti, figuriamoci!


_laura17_: Come mai Fran ti sta antipatica? Dimmelo, sono curiosa. E sì, pure io lo amo Luca. Tanto! Ho pubblicato, contenta? Goditi il capitolo, mi hai fatto dannare per pubblicarlo!



Ci vediamo alla prossima, grazie ancora a tutti!

Mary

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Capitolo 4
*** Setta segreta, evviva la Rivoluzione! ***


 

 


-Va bene… quindi se sostituisco questo alla x ottengo…-

-Il risultato, esatto.-

Il ragazzo biondo alzò lo sguardo dal suo foglio e guardò la sua vicina.

-Perciò ora possiamo anche mollare lì la matematica e fare altro, ragazza?-

-No, direi di no. Del resto abbiamo la necessità di affrontare anche gli argomenti successivi, se vuoi essere sufficientemente preparato per la futura prova scritta. La matematica non è un opinione, Giorgio, è una materia a cui è necessario appassionarsi, sentirsi vicini. Lo riesci a comprendere, o sei troppo ottuso?-

-No, baby, io nella matematica non ci sto dentro, non ci sto. Punto.-

All’ultima frase Irina alzò gli occhi al cielo e cercò di concentrarsi su altro per non ascoltare più una parola di quello che Matteo e Sara dicevano.

Calcò con forza la matita, risoluta a cercare di sentire soltando il suono della punta che strusciava contro il foglio.

“Ci sto dentro”. Irina si chiese con che tipo di adolescenti parlasse la sua preside per poter pensare che un ragazzo della loro età si esprimesse in quel modo.

Era il classico stereotipo del ragazzo esageratamente figo che non capiva niente di matematica. L’ultrafigo in questione, Giorgio, interpretato dall’esimio Matteo Conti, doveva andare a ripetizioni da una ragazza appassionata della suddetta materia, Dafne, ovvero Sara Donati, naturalmente timida, naturalmente carina -ma che non metteva in evidenza le sue caratteristiche fisiche perché convinta che fossero meno importanti dello studio- ed ovviamente colta.

E, dulcis in fundo, sorpresa delle sorprese?

Ovviamente i due ragazzi finivano per conoscersi meglio e innamorarsi e vivere felici e contenti, travolti da un amore imperituro.

La storia, se era vista con occhio ottimista non era neanche male, ma Giorgio era un idiota, che non sapeva imbroccarne una nemmeno mentre parlava delle cose più normali, e diceva cose come “non ci sto dentro”, mentre Dafne parlava come un dizionario stampato nel 1300, e ci si stupiva che a quel punto non parlasse latino.

Irina continuò a tracciare il bozzetto dell’abito di Dafne per il ballo della scuola. E come poteva mancare il famigerato ballo della scuola, sipario di numerose scene d’amore, che alla fine si concludono sempre in modo catastrofico?

-Iiiiiriiii…?-

La ragazza non spostò gli occhi dal suo lavoro, si limitò a dire solo

-Gio?-

La matita le scivolò dalle mani, e lei fu costretta a girarsi verso il ragazzo.

Giovanni Santani, indirizzo Artistico, IV B, aveva bisogno che lei lo ascoltasse attentamente e non che si distraesse disegnando.

-Hey!-

Si lamentò lei, cercando di riprendersi la matita.

-Ah, ascoltami un secondo, tu!-

Giovanni sventolava la matita di Irina a destra e sinistra, mentre lei si allungava per cercare di prenderla, maledicendolo per avere le braccia così maledettamente più lunghe delle sue.

-Eddai, Gio! Cosa vuoi?-

-Ti ricordi quando ieri a lezione ti ho suggerito la soluzione del logaritmo?-

-Sì, e allora?-

Lui fece spallucce.

-Avevi detto che mi dovevi un favore, ora hai la tua occasione, piccoletta.-

-Gio, ti farei un favore anche se non mi avessi suggerito ieri, non sono così cattiva. Avanti, cosa ti serve?-

Lui sorrise soddisfatto.

-Considerato il fatto che io mi sto spaccando la schiena per preparare lo sfondo, ed è da un’ora che trasporto travi, ho deciso che a te darò l’onore più grande per noi scenografi.-

Lei inarcò un sopracciglio, in attesa di scoprire quale lavoro Giovanni voleva scaricarle addosso.

 

Irina pescò dalla tasca dello zaino l’i-pod, pronta ad accenderlo appena uscita dalla scuola.

Giovanni, quel caro ragazzo, le aveva affibiato l’incarico di andare a comprare la pittura per gli sfondi.

La ragazza ragionò un attimo sulla scarsa cavalleria del suo compagno di banco, che non aveva messo in conto che avrebbe dovuto farsi i chilometri per raggiungere il negozio più vicino, e che si sarebbe dovuta portare tutte le buste da sola, morendo di fatica.

Giovanni Santani era un compagno di classe di Irina, nuova recluta del Doposcuola Punitivo dopo che la loro coordinatrice di classe aveva scoperto che per tutto il quadrimestre aveva falsificato le firme dei genitori sulle verifiche andate male, parecchie in effetti, e sulle note di dimenticanza. Ovviamente al momento dei colloqui era venuto tutto a galla, e Giovanni si era trovato a far parte del “cast” almeno per un mesetto.

Irina sbuffò. Era passato un mese da quando si erano trovati tra le mani il copione ed erano ancora in alto mare per il semplice fatto che la roba che la preside “Umbridge” aveva avuto il coraggio di comporre era un vero disastro.

In quell’esatto istante le caddero delle goccioline  d’acqua fredda addosso che la fecero rabbrividire.

Goccioline d’acqua fredda?

Per colpa di quale strano fenomeno poteva mettersi a piovere all’interno dell’edificio scolastico?

Il fenomeno in questione si chiamava Matteo Conti, che in quel momento incombeva su Irina, facendo colare dai capelli addosso alla ragazza un miliardo di gocce d’acqua.

-Ah, ecco. Cominciavo a darti per dispersa! Lo sai che quando pensi ai fatti tuoi ci vogliono secoli per riportarti sulla terra?-

-Cosa… Conti, si può sapere cosa cavolo hai fatto ai capelli?-

Lui alzò gli occhi verso i capelli biondi appiccicati alla fronte e ci passò la mano dentro, schizzando ancora di più la ragazza, che si ritrasse.

-Ah, sì… niente, ho ficcato la testa sotto l’acqua fredda, avevo bisogno di calmarmi un attimo. È che dover recitare quella roba almeno per due ore consecutive… ti manda un po’ fuori di testa. Del resto cosa vuoi saperne tu, Testa a Cespuglio, della grande arte della recitazione?-

Ghignò alla fine guardandola mentre lei si strofinava i capelli inumiditi.

Irina sbuffò irritata. Era passato più di un mese e lui la chiamava ancora in quel modo. Era anche vero che probabilmente le sarebbe sembrato fin troppo strano sentirsi chiamare da lui in modo diverso.

-Dove vai?-

Il biondo la guardò incuriosito mentre lei lo scostava e si avviava lungo il corridoio.

-A comprare la vernice per gli sfondi. Se non torno presto non datemi per dispersa, ci metterò parecchio.-

La sua camminata fu accompagnata dal silenzio finchè non arrivò alle scale.

-Vengo con te, i miei nervi non resisterebbero comunque ad un’altra prova.-

Lei gli diede una fugace occhiata sorpresa, ma non disse niente e si ricacciò l’i pod in tasca, sicura che il ragazzo non glielo avrebbe fatto ascoltare, vuoi per dispetto, vuoi perché avrebbe sicuramente sentito il desiderio impellente di parlare.

 

-Dove vai? Hey, dobbiamo andare dalla parte opposta, genio!-

-Scusa, ma hai presente dov’è il negozio più vicino?-

Irina incrociò le braccia, aggrottando le sopracciglia.

-Parecchio lontano, e non arriveremo mai se allunghiamo la strada come stai per fare tu.-

Matteo sospirò e la guardò paziente.

-Testa a Cespuglio, tu sai dove porta questa via?-

Irina cercò di fare mente locale.

Allora… la panetteria, la cartoleria, a destra il fruttivendolo,a sinistra la pasticceria, non si era mai accorta che vicino a scuola ci fossero tutti quei negozi di alimentari,alla fine, prima di girare l’angolo, la fermata degli autobus, girando…

La ragazza inorridì. La fermata degli autobus.

Il suo sguardo terrorizzato incontrò quello tranquillo di Matteo.

-Non prenderemo un… autobus.-

L’ultima parola le uscì come se l’avesse sputata. Si irrigidì sul posto, decisa a non muoversi di un passo.

-Eddai, Rainieri, ci mettiamo un’eternità se ce la facciamo tutta a piedi.-

-Nessuno ti ha chiesto di venire!-

-Su, piantala di fare la bambina! Sai cosa sei? Sei una codarda!-

Lei non si scompose minimamente.

-Esatto! Sono una codarda! Ho paura degli autobus, ok? Non ho nessuna fatica ad ammetterlo!-

Matteo si incupì, probabilmente pensava di averla vinta giocando la carta dell’orgoglio femminile… Povero illuso.

Irina era ben decisa a non salire su uno di quei cosi per nessuna ragione al mondo. Povera illusa.

 

-Ok, è davvero una pessima idea! Torniamo indietro va bene? Matteo! Matteo, dai, per favore!-

-Sai che è interessante? Quando sei terrorizzata mi chiami per nome.-

-Cosa centra ora? Dai, Conti, ti scongiuro, non puoi odiarmi fino a questo punto!-

Matteo cercò di tenerla ferma, mentre lei si divincolava sempre di più. Eh, no, non aveva fatto la fatica di portarla lì di peso per niente. Cavolo, era piccola, ma si batteva bene, Irina. Si era attaccata ad ogni lampione che avevano incrociato e si era dimenata come una furia. A Matteo venne da ridere nel ripensare alla scena, ma cercò di tornare serio per sfruttare l’ultima possibilità che gli era rimasta: farla ragionare.

-Ok, Testa a Cespuglio, stai calma un secondo e piantala di agitarti.-

Irina si fermò, ma gli sferrò un ultimo pugno sulla spalla che gli fece chiedere perché diavolo stava lì a cercare di convincerla. Bè, era una questione di principio ormai.

-Ahi! Ok, me lo sono meritato, ma adesso ascoltami un attimo. Allora, quante altre volte sei salita su un autobus dopo allora?-

Irina sgranò gli occhi.

-Sei pazzo? Nessuna! Ma ti sembra? Non ci sono più salita su quei cosi!-

Esclamò scioccata.

Matteo sorrise lievemente.

-Ecco. Allora come  fai a sapere che sarà brutto come l’ultima volta? Eddai, Rainieri, sei al quarto anno di liceo, sei grandicella ormai, non puoi farti influenzare dai pensieri di una bambina di cinque anni.-

Irina aprì la bocca, ma non disse niente.

Matteo cominciò a sentire una piccola premessa di vittoria.

Questo, signori, si chiama esitare. Ha esitato! In pratica ce l’ho in pugno!

Allentò leggermente la presa dalle spalle della ragazza, quasi sicuro che non sarebbe scappata.

-Ecco, visto? Non sai nemmeno tu cosa dire!- proprio non riuscì a non avere una nota di trionfo nella voce –Quindi non perdi proprio niente a provare. Dai, ti prometto che se non ce la fai scendiamo alla prima fermata.-

La ragazza non fece nemmeno in tempo a rispondere. L’autobus si fermò davanti a loro in quel momento e Matteo colse l’occasione per spingercela sopra. Il ragazzo si posizionò vicino alla macchinetta per timbrare i biglietti, trascinandosi Irina accanto.

Lei, dal canto suo, gli afferrò subito il braccio rimanendo poi ferma, rigida e con gli occhi concentrati e fissi in un punto.

Probabilmente stava cercando di non pensare a dov’era. Stava sicuramente cercando con tutte le sue forze di non pensare che era su un autobus, l’orrore della sua vita, a fare un viaggio di almeno un quarto d’ora, abbarbicata al braccio di Matteo Conti.

Un momento. Abbarbicata?

Matteo la guardò di nuovo. Osservò prima la massa di capelli scuri, striati di bordeaux, per poi spostare lo sguardo sul resto del corpo, praticamente appiccicato al suo.

Sgranò gli occhi mentre realizzava la situazione.

Le braccia di Irina erano avvolte in una stretta micidiale attorno al suo, il corpo della ragazza era incollato al suo fianco.

Di conseguenza Irina Rainieri era avvinghiata a Matteo Conti.

Deglutì, leggermente imbarazzato e allo stesso tempo divertito. Probabilmente se glielo avessero detto quella mattina non ci avrebbe creduto.

Non aveva quasi mai nemmeno sfiorato Irina prima di quel momento, non troppo a lungo almeno, e lei adesso, l’inavvicinabile ragazza riccia, gli stava addosso di suo spontanea volontà.

Il terrore vinceva ogni cosa, a quanto pareva.

Per un secondo si chiese se la cosa gli dava fastidio, ma quando l’autobus curvò bruscamente e la ragazza si strinse a lui ancora di più, pensò che no, non era affatto male.

 

Ok, non era male, doveva ammetterlo almeno a sé stessa. In fondo non stava morendo, a meno che l’autobus non si schiantasse improvvisamente contro un albero, e non c’era nessuno che la guardava con occhi cattivi. Nessuna delle cose che l’avevano spaventata quando era piccola, insomma. Dannato Conti, aveva ragione, forse si era sempre lasciata un po’ condizionare dai suoi pensieri di bambina.

Mentre si rendeva conto del fatto che stava stritolando il braccio del biondo si chiese per caso se gli stesse bloccando la circolazione. Poi considerò che non era una cosa di cui preoccuparsi, soprattutto quando ci fu una curva improvvisa e dovette aggrapparglisi ancora di più.

-E’ la prima fermata, vuoi scendere?-

Era il momento di riacquistare un po’ dell’orgoglio che prima aveva sotterrato con tanto impegno.

-Anche no! Ci sono salita e ci resto.-

Gracchiò con voce roca.

Dannazione Irina, datti un po’ di contegno.

-Sicura?-

Ecco, appunto. Non sei stata nemmeno un po’ convincente.

Matteo scosse un po’ il braccio e Irina lo tirò ancora di più verso di sé, facendolo ridere.

-Se stai bene, perché non mi lasci andare?-

Irina lo fulminò con lo sguardo.

-L’idea è stata tua, adesso ti adatti.-

Ribattè senza mollargli il braccio.

Sperò che il biondo non notasse che non aveva risposto alla domanda. Del resto non avrebbe nemmeno saputo rispondere, considerato che la scusa del terrore non era molto valida, ora che la paura era un po’ diminuita. Un po’.

-Respira a fondo.-

-Eh?-

-Prova a respirare a fondo.- disse semplicemente guardandola –Ti aiuta a calmarti.-

-Sono calma.-

Borbottò. Tuttavia per sicurezza fece un gran respiro, facendo ridere Matteo e strappando un sorriso anche a lei.

 

Non appena Irina toccò l’asfalto con il piede tirò un sospiro più di soddisfazione che di sollievo.

-Ecco, non è stato così difficile, no?-

Esclamò un sorridente Matteo al suo fianco. Lei lo guardò male.

-Non è la frase giusta da dire in momenti come questi.-

E’ sempre tremendamente fastidioso sentirsi dire frasi come “te l’avevo detto” quando si ha appena scoperto di aver avuto torto.

La ragazza si accorse solo in quel momento che il biondo fissava le sue mani, ancora strette intorno al suo braccio.

Mollò di scatto la presa, arrossendo lievemente e gli fece cenno di seguirla mentre si incamminava verso il negozio.

Lui la seguì ridacchiando e massaggiandosi il braccio, dove probabilmente aveva qualche livido.

 

Il viaggio di ritorno fu meno traumatico.

Irina si limitò a stritolare la mano sinistra del biondo, che continuava a chiedersi se sarebbe mai tornata come prima.

Quando ormai Matteo stava perdendo la sensibilità delle dita scesero, e stavolta Irina si premurò di anullare all’istante ogni contatto fisico.

-Oh, bè, credo che dovremmo lavorarci ancora sopra, ma come prima volta dopo anni di terrore non è andata male.-

Esclamò lui massaggiandosi i polpastrelli e facendosi scappare un gemito. La riccia lo guardò scettica.

-Quanto la fai lunga, nemmeno ti avessi spaccato le ossa. Ma che razza di uomo sei?-

-Un attore. Fare il melodrammatico è il mio lavoro, baby, ci sto dentro.-

Fece una smorfia disgustato –Vedi come mi calo nel personaggio?-

-Non ce ne sarà più bisogno.-

Fran, che aveva appena pronunciato quella frase sibillina, li aspettava sulle scale dell’ingresso, seduta a gambe incrociate.

In risposta ai loro sguardi interrogativi si avviò verso il teatro, dove lavoravano, seguita dai ragazzi che si trascinavano dietro i sacchetti di pittura.

 

-Dichiaro aperta la prima riunione dei Ribelli del Michelangelo.-

Disse in tono lugubre e solenne Giovanni, che fu subito centrato da una gomitata di Luca.

-Non si era detto che dovevamo restare seri?-

Borbottò quest’ultimo, per poi tornare a stravaccarsi sulla poltrona che c’era sul palco.

-E’ facile per te, Grigori.-

Rispose Giovanni, che prese posto vicino alla sedia di Sara.

-Il punto è- intervene Fran, mentre tirava uno scappellotto a Luca, che aveva appoggiato i piedi sulla sua sedia –che questa recita fa schifo.-

Matteo la guardò scettico.

-Brillante deduzione. Sai, non me ne ero accorto mentre interpretavo il personaggio più idiota della storia del teatro.-

Sara lo interruppe prima che potesse partire a fare un monologo su quanto odiava il suo ruolo.

-Appunto per questo vogliamo modificare il “lavoro” della preside. Insomma, non dico che dobbiamo inventarci una storia totalmente diversa, ma possiamo provare a migliorare questa. In fondo non è che ci voglia un grande sforzo.-

Irina aggrottò le sopracciglia.

-E pensate che ce lo permetterà? Cioè, ha già rifiutato un mese fa.-

-Testa a Cespuglio, attiva la modalità ON del tuo cervello, se esiste. La preside non lo verrà a sapere.-

Intervenne Matteo che aveva una strana luce negli occhi.

-Speriamo che la Costanzi non dica niente, certo, ci ha dato completa autonomia, ma è pur sempre la regista.-

Giovanni continuava a mantenere il suo tono esageratamente lugubre; Irina non potè fare a meno di pensare che si stesse divertendo un mondo.

-Nah, anche la Costanzi pensa che sia tutto un disastro. Ci ringrazierà, del resto tra lei e la preside non corre buon sangue.-

Ci fu un attimo di silenzio, in cui si guardarono tutti negli occhi, poi si strinsero improvvisamente in cerchio, facendo strusciare rumorosamente le sedie.

A Irina sembrava davvero di essere in una setta segreta.

Ad ogni modo non si era mai divertita così tanto ad una delle loro riunioni.

-Ok. Punto numero uno. Migliorare i personaggi. Luca Grigori, scribano tecnologico, prenda appunti, prego.-

Luca tirò fuori il suo portatile e cominciò a far passare le dita sui tasti ad una velocità impressionante.

-Punto numero due. Migliorare i dialoghi. Assolutamente.-

-Punto numero tre. Togliere le comparse.-

Borbottò Irina, che non aveva nessuna voglia di comparire sul palco.

-Luca, non provare a segnarla questa.-

Si intromise Matteo, con grande disappunto della ragazza e di Luca, che era d’accordo con lei, essendo a sua volta una sfortunata comparsa.

Lo “scrivano tecnologico” si limitò a borbottare –E con questo direi che sto lavorando fin troppo.- guadagnandosi un’occhiataccia da Sara, che probabilmente era irritata dalla sua scarsa forza di volontà.

Irina li osservò, mentre sentiva una strana ondata di complicità che aleggiava in mezzo al cerchio che formavano, mentre ognuno aggiungeva qualche modifica o miglioria.

Massì, dopotutto quali catastrofiche conseguenze avebbero potuto esserci?

Al Doposcuola Punitivo ci erano già finiti.

 








*Angolo di Mary

Lo so sono scontata. La cosa dell'autobus era abbastanza ovvia, ma del resto ci stava bene, e mi ero già immaginata tutta la scena, non potevo non metterla. E poi che capitolo sarebbe stato sennò? Quasi inesistente!

La paura di Irina potrebbe essere considerata esagerata, ma credo che alla fine ci stia, visto che da piccola è stata così traumatizzata, aveva solo cinque anni in fondo.

Dovevo pubblicare il capitolo oggi, perchè oggi è il giorno delle fobie. A Irina è capitata quella degli autobus e a me quella degli aghi. Oggi Irina è dovuta salire su un autobus, e io ho dovuto fare l'antitetanica. Lo so, non ve ne frega niente, ma mentre ero chiusa nella striminzita saletta d'attesa di quella sala di torture, totalmente nel panico, ho pensato che era il giorno giusto per pubblicare il capitolo sulla paura di Irina. E poi quando mia sorella è partita a farmi un discorso sul fatto che non dovevo lasciarmi influenzare dal terrore che avevo da piccola delle vaccinazioni, ho deciso di auto-copiarmi. 

 In ogni caso sono ancora viva! 

Ecco qui si comincia la rivoluzione. Nel prossimo capitolo rivedremo la storia un po' ristrutturata dai nostri registi Sara e Matteo, che rifaranno il copione. Mi piace la complicità leggermente diabolica che c'è nel gruppo, sa davvero di setta satanica...

Facciamo un applauso alla nostra new entry, Giovanni Santani! Relativamente nuovo, nel progetto iniziale non c'era, ma insomma, il Michelangelo non contiene solo santi, era un po' inverosimile che rimanessero sempre loro cinque. Personalmente mi piace, è simpatico, piuttosto idiota, ma in quel che si dice senso positivo. 

Per finire, credo abbiate notato il piccolo attimo narrato più dal punto di vista di Matteo. Che dire, mi sentivo un po' stretta a starmene esclusivamente nella testa di Irina, così ho fatto un salto in quella bionda di Conti. Del resto è stato più bello analizzare gli effetti dello stritolamento di Irina sull'autobus in questo modo.


Per le risposte alle recensioni questa volta non saranno scritte a fine capitolo, ma inviate con metodo di EFP

A presto,  la vostra autrice con la fobia degli aghi,

Mary

 

 

PS: Mi scuso per i probabili errori di battitura o grammaticali, in caso ci siano ditemelo per favore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Tra le braccia di un Pigmeo Microcefalo ***



 

Canc.

Canc.

Canc.

Canc.

Dopo diversi canc apportati alla versione della preside, Matteo fece scrocchiare le dita e guardò un punto indefinito con aria ispirata.

Dopo qualche minuto in cui il ragazzo rimaneva nella stessa posizione, Sara lo guardò, leggermente preoccupata.

-Teo, ti senti bene? Lo sai, vero, che il computer non si mette a scrivere da solo?-

Il biondo si riscosse all’improvviso. Distolse lo sguardo da un punto indefinito e le si rivolse leggermente imbarazzato.

-Oh! No! No, lo so che devo schiacciare i tasti… stavo solo…-

Fissando senza interruzione il punto del teatro dove la Rainieri disegna.

-Cercando le cose giuste da scrivere, ecco.-

Disse invece, ignorando la vocina impertinente e assolutamente veritiera che aveva parlato nel suo cervello.

Fissare la Rainieri. Lui. Tsè.

Sara guardò dubbiosa prima lui e poi il computer.

-Ah… ok. Bè, non rimane molto, no? Abbiamo modificato tutti i dialoghi della scena dell’incontro, le lezioni di matematica, il ballo… Restano la parte del litigio e la riappacificazione.-

Il ragazzo annuì, di nuovo attento, rimunginando su tutte le modifiche che avevano apportato.

Nella nuova versione al loro primo incontro Giorgio non esordiva in nessuno “Yo, come butta?” e Dafne non rispondeva “Come butta? Quale bizzarro metodo di linguaggio utilizzi per rivolgerti alle persone?”. No, semplicemente si salutavano come persone civili e iniziavano la loro lezione, scoprendo nello scorrere delle ore che erano uno l’opposto dell’altra, sempre senza alcuna anomalia o frase strana. Un contesto più o meno normale, insomma.

Le lezioni continuavano allo stesso modo, con il progressivo conoscersi dei personaggi che, nonostante non facessero altro che litigare, man mano cominciavano a fidarsi l’uno dell’altra.

Infine la scena più importante di tutte. Il ballo.

Tralasciando il fatto che i balli principeschi, dove i ragazzi invitano le ragazze, esistono solo nei film americani, i due ci andavano separatamente, per poi trovarsi.

Qui il nostro caro Giorgio, per puro orgoglio maschile, pur di non fare una figuraccia davanti agli amici, dimostrando di essere amico della sfigata di turno, passava la serata a prendere in giro la povera Dafne.

-Ok, allora, io in teoria qui ti urlo dietro: “Ti esecro!”  e poi me ne vado indignata.-

I due si scambiarono due sguardi confusi.

-Cosa cavolo vuol dire “esecro”?-

Esordì alla fine lui.

-Ho cercato sul vocabolario. Sembra che voglia dire “ti odio”… Quindi tanto vale cambiarlo così. Ecco, ora me ne vado via indignata dopo averti tirato uno schiaffo.-

Matteo annuì e poi fece una smorfia.

-Resta la parte della dichiarazione. Mi rifiuto di impararmi a memoria tutti quei paragoni, quindi che facciamo?-

Sara lo guardò un attimo e poi sospirò.

-Non ne ho idea. Tu cosa diresti a una ragazza per dichiararti?-

Matteo ci pensò su.

Si immaginò il momento in cui stava per fare una dichiarazione e, con suo grande imbarazzo, si immaginò mentre parlava a Irina Rainieri. Canc canc canc canc canc… Elimina scena! Elimina scena!

Arrossì di colpo lanciando un’occhiata all’ignara ragazza riccia che continuava a disegnare tranquilla su un blocco, non molto distante da Giovanni, che parlava allegramente con lei.

No, zero. Una dichiarazione alla Rainieri. Lui. Tsè.

-Hem.. non saprei…-

Sara lo guardò scettica.

-Matteo, tu di ragazze ne hai avute, nemmeno poche, a quanto ne so. A loro cosa hai detto?-

Ci pensò un attimo.

-In realtà non ricordo… se non sbaglio si sono sempre fatte avanti loro.-

La ragazza davanti a lui borbottò qualcosa come “che cavaliere”, per poi chiudere di scatto il portatile e dire

-Ok, intanto portiamo questa alla Costanzi, alla dichiarazione penseremo un’altra volta.-

Matteo non rispose. Fissava il computer davanti a lei con gli occhi sgranati. Poi si guardò in torno, e alla fine tornò a parlare con Sara.

-Ma sei impazzita? Sai che cosa ti faceva Luca se ti vedeva? Chiudere con quella violenza il suo portatile! Ti avrebbe ucciso!-

Lei sbuffò irritata.

-Un giorno di questi glielo tiro in testa, il suo amato portatile. Non fa altro che lamentarsi, borbottare e fare la metà del lavoro che facciamo noi.-

 

 

Gli sembrava di essere prematuramente agli esami.

Lì, appoggiato al muro davanti all’ufficio della Costanzi, ovvero l’aula del Doposcuola Punitivo, ad aspettare di sapere il verdetto.

Probabilmente però, avrebbe avuto più paura il giorno del suo orale.

Guardò Sara al suo fianco, che si mordicchiava assente il labbro inferiore. Sembrava tremendamente piccola e indifesa. Anzi era tremendamente piccola e indifesa.

Mille volte si era chiesto se lui e i loro amici avrebbero dovuto difenderla da qualcuno. Le ragazze così timide sono sempre oggetto di prese ingiro, sia dai ragazzi che dalle ragazze.

Così si era immaginato una sorta di squadra di protezione nei confronti della piccola Sara composta dai ragazzi del Doposcuola.

 Praticamente subito aveva capito che non ce n’era minimamente bisogno. Sara, nonostante fosse molto timida e insicura, nella sua classe come nel corso di recitazione, era rispettata.

Rispettata.

Questo perché, se normalmente poteva sembrare  piccola e indifesa, sul palco, e ovunque recitasse, dimostrava un’energia e una grinta spaventose.

L’ultima cosa che Matteo si sarebbe aspettato era che quella ragazzina di due anni più piccola di lui avesse tutto quel talento.

E grazie a quel talento nessuno si permetteva di prenderla in giro, perché la rispettavano.  

La rispettavano.

Il biondo si sentiva una specie di padre orgolioso quando, guardando quella piccoletta, lo pensava.

-Conti, Donati, entrate un secondo, prego.-

La voce della Costanzi attirò la sua attenzione, e lui tornò a paragonare la situazione al suo futuro esame orale.

 

-Dove avete preso tutta quella roba?-

-Al bar! A proposito, Giovanni, amico, grazie!-

Giovanni fissò Matteo, leggermente inquietato.

-Grazie… di che?-

-Oh, bè, io e Sara avevamo dimenticato i portafogli e così abbiamo preso il tuo. Sai, è davvero poco saggio lasciare i soldi ai quattro venti, lì sulla sedia. Se qualcuno li rubasse?-

Giovanni quasi si strozzò con le patatine, ma si riprese in tempo per inseguire Matteo avanti e indietro per il teatro.

Quando, sfortunatamente per il biondo, fu placcato dal ragazzo, Matteo si ritrovò ad ammirare le facce interrogative dei loro compagni direttamente dal pavimento.

-E come mai avete svaligiato Gio per svuotare il bar?-

Domandò Irina perplessa, metre addentava una caramella gommosa.

-Mffffghfggfffff…-

-Cosa?-

-Gio, dai! Leva il ginocchio dalla testa di Matteo, voglio sapere il motivo!-

Esclamò Fran cercando di salvare Matteo dalla morte certa.

Il biondo riprese a respirare, con il disappunto di Giovanni.

-Volevamo festeggiare. La Costanzi ha approvato il nostro copione.-

Mugugnò, il viso ancora troppo vicino al pavimento.

Per la sorpresa Giovanni si spostò, schiacciando ancora di più la schiena del ragazzo, che gemette di dolore.

-Sul serio?-

-Hey, avevate dubbi? Ho un’ars oratoria da paura io, era ovvio che l’avrei convinta!-

-Se solo tu avessi detto qualcosa.-

Lo interruppe Sara, smontandolo completamente.

Meno di un secondo e Matteo fu liberato da Giovanni e poi sommerso insieme a Sara dalle domande degli altri.

 

Matteo guardò di nuovo la Rainieri che sorrideva mentre Fran le mostrava qualche passo che avrebbe usato per la coreografia, e sentì uno strano formicolio al corpo.

Spostò gli occhi nervoso su Giovanni che si contendeva l’ultima caramella con Luca.

Li odiava gli autobus lui.

Li odiava perché da quando Irina gli si era appiccicata addosso su uno di quei maledetti cosi aveva una gran voglia di ripetere la scena.

Aveva davvero una gran voglia di sentirsela ancora addosso, vicina e a contatto con lui.

Bè, ma maledizione, lei era Irina Rainieri, evitava sempre di toccarlo, come se avesse la peste. Insomma, lui la peste non ce l’aveva, e non era nemmeno brutto, cavolo, che schifo poteva esserci ad abbracciarlo?

Aveva una gran voglia di abbracciare Irina Rainieri.

Conseguenze? Probabilmente gli avrebbe mutilato le braccia.

Mentre considerava seriamente l’idea di andare lì a suo rischio e pericolo ad abbracciarla come se niente fosse, davanti a tutti, inspiegabilmente, e facendo una figura davvero, ma davvero del cavolo, Luca gli si avvicinò, masticando la caramella sottratta a Giovanni.

Povero Giovanni, non gliene andava bene una quel giorno.

-Hey, senti Conti… il mio portatile... l’avete trattato bene, vero?-

Il biondo si trattenne dal ridergli in faccia, mentre Sara, seduta lì vicino, sbuffava.

-Tranquillo, l’abbiamo trattato benissimo,certo a parte quando…-

Si interruppe, vedendo Sara irrigidirsi.

-A parte quando…?-

Matteo si chiese se fosse più micidiale lo sguardo assassino di Luca, o quello di Sara. Ma quando il ragazzo davanti a lui si avvicinò minaccioso -accidenti a quei centimetri d’altezza che aveva in più- decise di continuare la frase.

-Oh, bè, a parte quando Sara l’ha chiuso con… diciamo poca delicatezza.-

Finì, non osando guardare la ragazza, cosa che invece Luca fece subito.

-Cosa? Lo sai che la chiusura è una delle parti più delicate?-

Lei sbuffò ancora, seriamente irritata, e Matteo desiderò di essere lontano almeno di qualche metro da loro, a fare altro.

Magari ad abbracciare la Rainieri.

-Insomma, Luca, non è che quel computer è tutto…-

-Non è tutto? Io mi smazzo di lavoro su quel coso…-

Matteo Conti pensò che quella era una frase decisamente sbagliata nel contesto sbagliato.

Raramente aveva visto Sara seriamente arrabbiata, una, due volte forse. Se dimostrava grinta recitando, altrettanta forza ci metteva quando era davvero, davvero arrabbiata.

E Sara Donati era davvero, davvero arrabbiata della mancanza di impegno di Luca Grigori, che lavorava sempre la metà degli altri, quando lei doveva preparare almeno due opere teatrali in pochi mesi.

Matteo desiderò sul serio essere da un’altra parte -anche ad abbracciare Giovanni, se necessario- quando Sara aprì la bocca.

-Ti smazzi di cosa? Di lavoro? E da quando in qua questa parola fa parte del tuo vocabolario? Noi facciamo il doppio di quello che fai tu ogni santo giorno, e tu ti lamenti pure! Ti azzardi a lamentarti! Ma ti sei guardato intorno? Non è che ci siete solo tu e quel dannatissimo computer!-

Luca la fissava con gli occhi leggermente sgranati, evidentemente lui non aveva mai visto Sara arrabbiata, e a quel punto Matteo decise davvero di andarsene.

 

Irina aveva sentito Sara urlare. Urlare. Sara non urlava quasi mai, a parte quando era veramente arrabbiata. Si chiese cosa doveva aver fatto di male quel malcapitato di Luca per doversi subire la sua ira.

-Mi dispiace davvero tanto per quel ragazzo, ma se Sara è così incavolata deve esserci un motivo valido.-

Osservò Fran al suo fianco, mentre scendevano le scale dell’ingresso.

-Sicura che non vuoi un passaggio, Iri? Non disturbi, sul serio. Mamma vuole che venga a cena, dice che le dai più soddisfazione di noi quando cucina le tagliatelle.-

Irina aveva una passione smodata per le tagliatelle. Impazziva quando erano unite ai funghi tra l’altro.

Ma questa volta dovette rifiutare, nonostante il suo stomaco protestasse.

-No, non posso, devo finire i bozzetti del vestito di Sara, e stasera si festeggia la vittoria di Simone alle gare di scherma.-

-Ah, bè, allora non ti rubo al tuo amato fratellino salutamelo e fagli i complimenti da parte mia, sono sicura che tu non gliene hai fatti abbastanza.-

-Sarò esageratamente gentile con mio fratello quando tu lo sarai con la tua.-

Fu l’ultima risposta che la riccia riuscì a dare prima che Fran si infilasse in macchina.

 

Sospirò squadrando il disegno che aveva fatto. Dannata la sua bassa autostima, tutto quello che faceva le sembrava un obbrobrio.

Rassegnata cominciò a raccattare le sue cose.

-Testa a Cespuglioooo….-

Lei, suo malgrado, sorrise.

-Biondo?-

Disse voltandosi verso Matteo, dietro di lei.

-Bè, oggi non mi hai insultato nemmeno un po’, ero venuto per la mia razione giornaliera.-

Irina alzò gli occhi al cielo.

-Cretino. Ti basta?-

Lui fece una smorfia.

-Considerato ieri sera per salutarmi mi hai dato del “pigmeo microcefalo”, direi di no.-

-Conti, sono a corto di idee stasera, tra l’altro non stai facendo niente per essere insultato. È una strana giornata, eh?-

Matteo le passò un braccio intorno alle spalle, sospirando.

-Questa è la giornata della gloria mia e della cara Donati, Rainieri.-

Lei sgranò gli occhi e si divincolò dalla presa.

-Hey! Che cavolo fai?-

Matteo la guardò con un’espressione ovvia.

-Ti do fastidio, no?-

-Vedo. Potresti piantarla?-

-No, mi diverto. Ti arrabbi molto se faccio così?-

Nemmeno un decimo di secondo e Irina si trovò tra le braccia di Matteo.

Matteo Conti la stava abbracciando. Per darle fastidio.

Che fastidio.

La ragazza si irrigidì dalla testa ai piedi.

-Sì, mi arrabbio, Conti, ora che l’hai testato potresti mollarmi?-

-Nah, mi sto divertendo, te l’ho detto.-

-Bè, io no.-

-Questo perché non guardi i lati positivi della cosa, Rainieri.-

-I lati positivi.- ripetè lei sibilando. – E quali sarebbero, di grazia?-

-Bè, ti sto abbracciando!-

Rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

-Ah, giusto… Hai ragione. Devo ringraziarti?-

-Sarebbe il minimo, sì.- Ribattè tranquillo, non mollando la presa.

-Conti, sei pregato di lasciarmi.-

Matteo sbuffò.

-Su, prova a cercare i lati positivi. Ti do dieci secondi.-

-E poi mi lasci andare?-

-E poi ti lascio andare.-

Irina sbuffò e, facendo la sbagliatissima e idiotissima scelta di assecondarlo, cominciò a contare i secondi.

Uno.

Rimase rigida, con i pugni stretti, maledicendo quel deficiente.

Due.

“Ok, adesso ci provo, mi tranquillizzo e cerco i lati positivi. Come no”

Tre.

Matteo la strinse un po’ di più contro di sé, mandandola nel panico.

Quattro.

La felpa di Conti era morbida. O era lui? No, “morbido” non è un aggettivo che si può dare ad un ragazzo.

Cinque.

Le braccia di Conti non erano morbide, però erano comode. Possono le braccia essere definite “comode”? Bè, le sue lo erano perciò sì, le braccia possono essere definite “comode”.

Sei.

Irina sciolse leggermente la stretta di ferro in cui teneva i pugni.

Sette.

In fondo non era niente di cui allarmarsi, era come quando gli aveva stritolato il braccio sull’autobus. Solo che stavolta era lui che stritolava lei.

Otto.

Irina provò a guardare in alto per vedere se il ragazzo aveva addosso un ghigno malefico, ma non osò alzare troppo la testa.

Nove.

Abbassò la testa a la appoggiò contro la spalla del ragazzo. Solo ed esclusivamente perché era davvero scomodo starsene con la testa rigida in quella maniera.

Dieci!

Ecco! Finito!

La ragazza aggrottò le sopracciglia notando che nessuno dei due si era mosso. Lui non l’aveva lasciata e lei non si era divincolata.

Provò a fare le conclusioni della situazione.

Era da sola, in mezzo al teatro, abbracciata a Matteo Conti, o meglio, abbracciata da Matteo Conti.

Orribile.

E la cosa peggiore era che non era affatto male.

Matteo era comodo e non stava nemmeno facendo battutine irritanti e fuori luogo. Se ne stava lì, zitto. Che miracolo.

-Matteo?-

-Mh?-

-Dieci secondi sono passati, potresti lasciarmi ora?-

Che domanda del cavolo, davvero, non si stava male così. Ma se non l’avesse posta non sarebbe stata Irina Rainieri. A volte odiava essere Irina Rainieri.

-E se non lo facessi?-

-Ti tirerei un pugno.-

-Dove?-

-Avrei un’idea, non credo ti piacerebbe, ma possiamo sempre provare. Certo, il ginocchio sarebbe più funzionale in questo caso.-

Disse lei minacciosa.

A quel punto Matteo fu costretto a lasciarla.

-Fai paura a volte, Testa a Cespuglio.-

-Piantala di chiamarmi così, sottospecie di decerebrato.-

Matteo sorrise.

-Oh, finalmente. Ecco, ora posso anche ritenermi soddisfatto. Hai insulti peggiori o posso andare a casa?-

Irina lo guardò basita. Quel ragazzo aveva qualcosa che non andava al cervello. Decisamente. Sennò non se ne sarebbe uscito con una frase del genere.

-No, ho finito, puoi sparire dalla mia vista se vuoi.-

Rispose, ancora stranita.

Lui annuì e uscì dal teatro, facendole un cenno di saluto.

Sicuramente aveva qualche grave problema. Non le aveva nemmeno chiesto se aveva trovato i lati positivi. E per fortuna, chissà che imbarazzo dover ammettere che in effetti ne aveva trovati.




*Angolo di Mary


Buongiorno a tutti!

Sono un po' di fretta, quindi dico le cose fondamentali e poi vi saluto.

Allora, non odiatemi, in effetti questo capitolo è un po' un mattone. E' un po' lunghetto e non avvengono cose troppo interessanti, ma insomma, mi è uscito così e proprio non mi veniva diverso. Prendetevela con il mio cervello indipendente e limitato.

Bene, la rivoluzione sta portando ai suoi frutti, la storia è stata un po' svelata, grazie ai nostri registi Matteo e Sara. Il personaggio di Sara è stato un po' approfondito, prima di lei non avevo detto gran chè, col tempo tutti i personaggi avranno il loro giusto spazietto. Mi piace pensare a Sara come la piccoletta che però quando ce n'è bisogno tira fuori la grinta giusta. Diciamo che è piuttosto chiusa, ma ha i suoi mezzi per esprimersi, ovvero la recitazione, e come abbiamo visto, per farsi rispettare. La piccola Sara!

Non prendete Matteo come il super figo di turno. E' un ragazzo carino, ma niente di esagerato. 

Il caro Conti è più sveglio di quello che pensassi.  Bè, per lo meno lo è più di Irina, che dopo più di un mese che si conoscono, ha ancora la mascherina da notte sugli occhi. Matteo invece non è totalmente indifferente alla cara Rainieri, oddio, non è certo innamorato perso, ce ne vorrà, ma almeno si è accorto di essere un po' attratto da lei. Quella testa di cavolo di Irina invece è ancora più lenta e lo capisce passo dopo passo...

Ammetto che la parte finale del capitolo mi piace abbastanza... benedetti ragazzi, sono lenti, ma li adoro.

Il prossimo capitolo probabilmente sarà uno stacco dai nostri protagonisti. Sarà un po' più lungo e sarà tutto raccontato da un altro ragazzo/a del Doposcuola Punitivo. Potete provare a indovinare chi.

Le risposte alle recensioni forse questa volta non saranno immediate, e ci metterò un po' a scriverle, ma arriveranno con il metodo EFP.

Vi saluto, che sono davvero, davvero di fretta

Mary

P.S. Probabilmente la mia migliore amica non leggerà mai questa roba, ma la frase "ti esecro" la dedico a lei, visto che siamo molto colte e una volta scoperta quella parola casualmente sul vocabolario cerchiamo sempre di usarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Non voleva che si sentisse sola ***



 

Luca Grigori guardava in cagnesco la ragazza davanti a lui, che a sua volta lo fissava decisa.

-Odio dovertelo dire, Luca, ma Sara ha ragione. Fai la metà del nostro lavoro il più delle volte. Quindi forza e coraggio, sfrutta il tuo metro e ottantasette e sali a controllare le luci del palco.-

Luca Grigori continuava a fissare in cagnesco Francesca Molinari.

-Fran, non devo arrampicarmi. Là in fondo c’è il pannello elettrico.-

Lei sorrise.

-Ecco, lo vedi? Sei già pieno di iniziativa! Buon lavoro, Grigori, ci vediamo domani.-

Esclamò la ragazza dandogli una pacca sul braccio e voltandogli le spalle uscendo dal teatro.

Luca la fissò mentre usciva, per poi spostare lo sguardo sul pannello elettrico. Lo aprì e si trovò davanti una miriade di levette di accensione. Ne premette una a caso e sul palco si accese una luce verde. Ghignò soddisfatto e richiuse il pannello. Bè, se almeno una luce funzionava, di sicuro anche le altre. Non serviva a niente affaticarsi per controllarle.

Con una scrollata di spalle afferrò lo zaino e, sentendolo incredibilmente leggero, si diede del cretino.

Lui, che tanto osannava il suo adorato portatile, lo aveva dimenticato nell’ufficio della Costanzi, a cui aveva fatto vedere le didascalie degli sfondi.

Rabbrividì pensando che il suo computer era stato per un’ora da solo con Elena Costanzi.

 

Col respiro irregolare per tutte le scale che aveva salito, Luca si ritrovò davanti all’aula del Doposcuola Punitivo.

Prima di aprire la porta sobbalzò, sentendo un rumore dall’interno. Poi si diede di nuovo del cretino.

Insomma, il peggio che avrebbe potuto trovare era la Costanzi, seduta nella penombra a fissarlo minacciosa.

Ma quando entrò nella stanza non trovò affatto la Costanzi.

Sara era seduta su un banco, il volto tra le mani, le spalle che tremavano.

Sentendolo entrare scostò di scatto le mani dagli occhi, pieni di lacrime.

-L-Luca! C-cosa… vai via, per favore!-

Luca se ne stava lì, impalato sulla soglia, incapace di muoversi. Si irrigidì ulteriormente quando per parlare Sara spostò completamente le mani dal viso, rivelando il sangue che le colava dal labbro inferiore, tremendamente gonfio.

La fissò paralizzato e incredulo.

Sara sanguinava, Sara era ferita. Sara così delicata. Gli era sempre sembrato talmente scontato che nessuno la toccasse per farle del male. Ma qualcuno doveva per forza averle fatto del male.

-Cosa hai…-

Riuscì ad articolare, ancora immobile davanti alla porta.

Lei prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, cercando di fermare i singulti che la scuotevano.

-Grigori, il tuo portatile è lì. Prendilo e vai pure a casa.-

Il ragazzo guardò la mano che gli indicava il computer. Tremava.

I suoi occhi continuavano a spostarsi rapidi da quelli di lei al sangue sul suo viso.

Si avvicinò lentamente, non sapendo cosa fare.

Si fermò di nuovo, a qualche passo da lei, quando vide che dai suoi occhi continuavano a scendere le lacrime.

Allora fece la cosa che gli sembrò più adatta. Si avvicinò ancora di più e le passò un braccio attorno alla vita, tirandola verso il suo petto.

La ragazza all’inizio si irrigidì, ma poi cedette e scoppiò a piangere, stringendosi con più forza a lui.

Luca si sentiva inutile. Non sapeva cosa fare, se non stare lì a stringerla, ascoltandola piangere contro la sua felpa.

Quando i singhiozzi diminuirono leggermente le porse un fazzoletto per asciugarsi le lacrime e soffiarsi il naso.

Poi le passò un dito sul labbro inferiore, sporcandoselo di sangue. Sara si ritrasse.

-Ti fa male?- Che domanda idiota. Certo che la faceva male.

Lei annuì leggermente.

-E’ rotto. Che hai fatto?-

Sara non rispose, si limitò a fissare un punto sul pavimento.

Dannazione, così non lo aiutava per niente.

-Ok… senti, ti riaccompagno a casa, va bene?-

-No! Io… no, non vado a casa. Non… Sto qui, ok?-

Luca inarcò un sopracciglio.

-Certo, ovvio, e io ti lascio qui ridotta così.-

Ribattè sarcastico. La guardò un attimo, mentre lei abbassava ancora gli occhi. Sospirò e la fece scendere dal banco, dopo aver preso il portatile.

-Dai, vieni.-

Lei si fermò.

-Luca, sul serio, non vado a casa. Non… No, non ci vado.-

Luca la fissò paziente.

-Poi se vuoi mi spiegherai perché. Comunque non puoi stare qui. Alle otto chiudono la scuola e sono le sette e mezza. Quindi se proprio non vuoi andare a casa tua andiamo a casa mia.-

Sara sgranò gli occhi.

-Cosa?-

-Ti giuro che io e mio fratello non siamo maniaci pericolosi e non ti faremo niente di male. Però, davvero, non ti mollo qui.-

 

 

 

-Tieni, mettici il ghiaccio.-

Sara prese il sacchetto di ghiaccio e lo appoggiò sul labbro ancora orribilmente gonfio, ma ripulito dal sangue.

Luca la osservò mentre si guardava intorno e ringraziò che lui e suo fratello non erano tipi esageratamente disordinati.

Continuarono a stare in sienzio finchè lui non disse –Hai fame?-

Sara nemmeno rispose, fissava assente il divano su cui era seduta con un’espressione indecifrabile.

-Hem… Sara?-

-Scusa? Ah! No, grazie.-

Lui annuì e rimase lì impalato davanti a lei, senza staccare gli occhi dal suo labbro gonfio.

-Mi ha picchiato.-

Mormorò alla fine lei.

Luca le si sedette accanto, continuando a guardarla.

-Chi?-

 Lei aprì la bocca, ma si interruppe ancora prima di parlare.

-Se non vuoi dirlo non fa niente.-

Che bugiardo. Era preoccupato e voleva sapere chi le aveva fatto del male.

-No, non è quello! È che non voglio annoiarti. Insomma… Non è che sia un racconto divertente.-

-Sì, l’aveva capito… Però non credo che mi annoierò.-

Sara annuì.

-Sai fino a che ora sto al Doposcuola Punitivo?-

-Bè, non esci alle sei come noi?-

Lei fece segno di no con la testa.

-Devo dire che sei un ottimo osservatore, Grigori, non sono mai uscita con voi. Mia mamma mi viene a prendere alle sette. Comunque, non è questo l’importante, cioè, c’entra in parte. Mia mamma mi viene a prendere alle sette perché a quell’ora finisce di lavorare. Non si è mai fidata lasciarmi a casa da sola…-

Luca alzò un sopraccigio. A diciassette anni non la lasciavano a casa da sola?

-E sarebbe per questo che sei finita al Doposcuola? Matteo rimarrebbe davvero deluso, si era fatto mille storie a sfondo horror sul tuo conto.-

Sara sorrise lievemente.

-Sì, immagino che ci rimarrebbe male.-

Rimasero per un po’ in silenzio e Luca si chiese se Sara se la sentisse di continuare.

Fu probabilmente per il fatto che d’istinto le si avvicinò che lei si riscosse e continuò a parlare.

-I miei quest’estate si sono separati. Mia mamma mi ha detto che ha lasciato papà perché con lei negli ultimi tempi aveva degli attacchi d’ira, dei momenti in cui diventava violento. Ha detto che era compulsivo e che io non me n’ero mai accorta perché ero sempre a scuola e spesso lui al lavoro. Io ovviamente non ci ho mai creduto. Comunque mi ha costretto a restare a scuola mentre lei lavorava, perché secondo lei mio padre poteva venire a cercarmi e rischiare di farmi del male. Assurdo, no?-

Luca guardò ancora una volta la sua bocca e pensò che forse non era così assurdo.

-Però aveva ragione, sai? Oggi mia mamma mi ha permesso di stare a casa perché non mi sentivo molto bene. Verso sera, penso verso le sei e mezza, papà ha suonato al campanello e mi ha chiesto di entrare. Ovviamente gli ho aperto. Ero sempre stata dalla sua parte e pensavo che la mamma lo avesse lasciato perché non lo amava più.-

Sara prese un respiro, la voce leggermente incrinata.

-Mi ha chiesto se volevo andare a vivere con lui, se volevo più bene a lui che alla mamma, ma io… insomma, non potevo dirgli di sì così, su due piedi. Dovevo pensarci un po’…-

Si interruppe e il ragazzo vide che le lacrime le avevano velato di nuovo gli occhi.

Per tutta la durata del raccconto non lo aveva nemmeno guardato; si chiese se si ricordava che era lì, seduto accanto a lei.

-Io gli ho detto di no, e lui si è arrabbiato. Mi ha… Mi ha picchiato…-

Fece una pausa, cercando di respirare regolarmente.

-Poi se ne andato. Così, d’improvviso. È uscito da casa nostra e mi ha lasciato lì. Avevo paura che tornasse, così sono andata a scuola… E’ il primo posto che mi è venuto in mente.-

Una lacrima le rigò il volto, ma appena se ne accorse l’asciugò, arrossendo.

Magari si vergognava a piangere davanti a lui ancora una volta. Che cosa stupida. Sconvolta com’era aveva tutto il diritto di piangere quanto voleva.

-Puoi piangere, se vuoi.-

Sara sussultò, sorpresa da quella frase. Come biasimarla, nemmeno lui si capacitava di averlo detto ad alta voce.

Ma non stette molto a riflettere su quello che aveva detto o pensato quando si ritrovò a stringerla di nuovo, mentre lei singhiozzava silenziosamente contro la sua spalla.

 

L’aveva sentita mentre al telefono diceva con tono sereno alla madre che era tutto ok, ma che un’amica l’aveva invitata a dormire a casa sua, e che il mattino dopo sarebbe passata a casa per prendere le cose di scuola e di aspettarla, perché doveva parlarle di una cosa.

Non aveva potuto non pensare che fosse davvero una grande attrice. Se ne era accorto naturalmente mentre lei provava insieme a Matteo, ma questa era la prova migliore che aveva dato. Era riuscita a risultare allegra mentre i suoi occhi erano ancora rossi per le lacrime che avavano appena smesso di scendere.

Dopo qualche debole rifiuto si era decisa ad accettare. Del resto dove credeva di andare a dormire, se in casa sua non voleva metterci piede?

Sperava soltanto che il suo caro fratello, Alberto, non se ne uscisse con supposizioni idiote. Sapeva che era una speranza vana.

Ringraziò che almeno sarebbe stato fuori fino a tardi e che i loro genitori non ci fossero. Il padre infatti era medico e aveva portato con sé la moglie ad un convegno a Londra.

-Oddio, mi dispiace! Guarda come ti ho ridotto la felpa!-

Esclamò Sara dopo aver riattaccato il telefono e aver notato che la felpa del ragazzo era era tutta stropicciata e macchiata di sangue e lacrime.

Luca alzò gli occhi al cielo.

-Sara, di tutti i problemi che dovresti farti questo è proprio l’ultimo.-

Lei abbassò gli occhi, imbarazzata.

-No, sul serio, la metto in lavatrice e torna come prima. Non vorrai metterti sulla coscienza la mia felpa, vero?-

-No…-

-Ecco. Nessun problema quindi.-

Disse sedendosi vicino a lei.

 

Fino a qualche giorno prima credeva che Sara Donati lo odiasse, dal momento che gli aveva urlato in faccia davanti a tutti per parecchi minuti, cosa che, a detta di Matteo, era molto rara.

Fino a qualche giorno prima non avrebbe mai creduto che avrebbe passato la serata a parlare con Sara Donati per cercare di distrarla, mentre le cingeva le spalle con un braccio.

-Ok, quindi tu impersoni questa… com’è che si chiama?-

-Ermia, Luca, davvero non hai mai sentito parlare di “Sogno di una notte di mezza estate”?-

Chiese lei con un lieve sospiro.

-Certo che ne ho sentito parlare! Ma, se permetti, avevo quattro anni, non mi ricordo niente. Ho questa foto però.-

Suo fratello lo avrebbe ucciso, quella era una delle “foto della vergogna”, ovvero quelle che facevano parte del gruppo da non far vedere a nessuno all’infuori della famiglia.

Però, magari, poteva far spuntare un sorriso a Sara.

E in effetti Sara sorrise. Lievemente, certo, ma sorrise.

-Oddio, e quello accanti sei tu? Prima o dopo aver scoperto i computer?-

-Prima.-

-Ah, ecco spiegato lo sguardo più sveglio.-

Luca non rispose.

Chissà, forse aveva davvero uno sguardo più sveglio. Da piccolo era molto più socievole e allegro, adesso dipendeva dai momenti. Se ne aveva voglia, allora ok.

Si può dire che Luca viveva secondo i suoi schemi.

Non era timido, perché quando si trattava di dover dire la sua lo faceva, eccome, ma era Luca Grigori. Punto. Principalmente quello che succedeva succedeva e basta secondo lui, e lui reagiva come gli andava, o come doveva.

In quel momento succedeva che Sara stesse male e Luca voleva -e in qualche modo doveva- riuscire a farla stare meglio.

-Luca? Guarda che scherzavo. Non è che non hai… uno sguardo intelligente adesso.-

Lui non le rispose, gli era appena venuto in mente che doveva dirle una cosa piuttosto importante. Almeno per lui lo era.

-Sara?-

-Dimmi.-

-Sai, penso che… da domani magari lavoro un po’ di più al Doposcuola, ok?-

-Ok.-

Non poteva vedere la sua espressione perché la sua testa era appoggiata contro la sua spalla, sotto il suo mento, però gli sarebbe piaciuto sapere cosa pensava in quel momento. Di lui soprattutto.

-Luca?-

-Mh?-

-Grazie.-

Luca annuì, e strinse un po’ più forte il braccio intorno alle sue spalle.

Guardò l’orologio sul cassettone. Già le dieci?

Dopo una giornata come la sua al posto di Sara sarebbe già crollato addormentato.

Infatti passò qualche minuto di silenzio e poi sentì il peso sulla sua spalla aumentare. Ascoltò il respiro regolare della ragazza. Si era addormentata.

Prese delicatamente la foto che ancora stringeva tra le mani. Alberto si sarebbe vendicato, probabilmente facendole vedere una foto in cui lui faceva il bagnetto, la prossima volta che sarebbe venuta.

Ci sarebbe stata una prossima volta?

A Luca non sarebbe dispiaciuto, certo, magari in una circostanza diversa.

Probabilmente però, se quel giorno non le fosse successo niente, loro avrebbero continuato a guardarsi storto dopo il loro litigio.

Sara Donati. La piccola, timida, Sara Donati.

Non avrebbe mai pensato che si dovesse portare addosso un peso del genere, delicata com’era.

Probabilmente Matteo, dopo tutte le supposizioni assurde che aveva fatto, ci sarebbe rimasto male scoprendo la verità.

Matteo Conti.

Luca aveva notato che era molto amico di Sara.

Chissà, magari se ci fosse stato Matteo al suo posto in quel momento lei si sarebbe sentita meglio, e non avrebbe dovuto mentire alla madre dicendole che avrebbe passato la notte da un’amica, invece che da un conoscente.

Perché fino a quel momento erano stati più conoscenti che amici.

Però Luca non voleva essere un semplice conoscente.

Sara era fragile e stava male. Lui voleva alleviare il dolore, e voleva che quel compito spettasse a lui, non a Matteo.

Si staccò da lei per farla sdraiare a lasciarla dormire in pace.

Sara emise un gemito e strinse maggiormente la presa sulla sua felpa.

Forse non voleva stare sola, non ancora.

Ecco un’altra cosa. Non voleva che Sara fosse sola. E voleva prendersi ancora il compito che accertarsi che non si sentisse tale.

Senza lasciarla la fece sdraiare, sperando di non svegliarla, e le si stese accanto, cercando di far stare tutto quel metro e ottantasette nel divano.

Le passò un braccio attorno alla vita, tirandola un po’ verso il suo petto.

Non voleva che si sentisse sola.

“Sto qui solo per un po’…”

Pensò prima di addormentarsi.

 

 

Luca si svegliò e fece una smorfia di dolore nel muovere il collo.

Dormire sul divano. Che idea cretina. Era tutto accartocciato e gli faceva male ogni parte del corpo.

Guardò Sara, che dormiva ancora, accanto a lui. Probabilmente lo avrebbe odiato, quando si sarebbe svegliata e accorta di avere la schiena fatta a pezzi da un inutile mobile.

A quel punto avrebbe fatto meglio a portarla a letto la sera prima.

Ok, suonava veramente male.

Si alzò, cercando di non svegliarla, e andò in cucina.

Il suo stomaco ruggì a conferma del fatto che moriva di fame.

La sera prima non aveva cenato. Del resto se n’era totalmente dimenticato.

-E allora… hai passato una buona nottata?-

Luca sobbalzò così forte che quasi si rovesciò addosso tutto il latte.

-Dio, Al! Ma ti sembra, spuntare così dal nulla?-

Esclamò guardando scioccato il fratello.

-E a te, sembra? Cacchio, Luca, che ci fa quella nel nostro salotto? Nemmeno io me le porto così, senza ritegno, a casa!-

Luca diventò paonazzo.

-Cosa… ma che…-

-Quando hai finito di balbettare gradirei una risposta.-

-Lei non… Sara è una mia amica.-

Il fratello inarcò un sopracciglio, con evidente sarcasmo.

-Certo, ogni amico che si rispetti finisce a dormire sul divano avvinghiato alla suddetta amica.-

-Non ero avvinghiato!-

-Questo lascialo giudicare a chi è stato spettatore della scena.-

Luca respirò profondamente, cercando di far tornare normale il colore della sua faccia.

Riassumendo: suo fratello era lì davanti a lui e credeva che la sera prima lui e Sara avessero fatto sesso.

Cavolo, la sera prima non gli era nemmeno passato per la testa di pensare a Sara in quel modo. Magari in un altro momento avrebbe potuto, ma in una situazione come quella, diamine, proprio no!

-No. Ok. Non è successo proprio nulla. Lei ha avuto qualche problema con il padre e non se la sentiva di tornare a casa, così l’ho portata qui. Fine della storia. Non diventerai zio, se è quello che ti stai chiedendo.-

La faccia sospettosa e seria di Alberto si aprì in un sorriso rilassato.

-Ma che cavaliere, e bravo il mio fratellino! Cos’è, una tattica sottile per fare breccia nel cuore della donzella? Vabbè, allora se non devo fare le mie felicitazioni a nessuno me ne torno a dormire, non so se lo sai, ma sono solo le sei.-

Esclamò dandogli una pacca sulla spalla.

Luca lo fissò sconcertato mentre gli voltava le spalle e usciva dalla cucina.

Ma che… ok, promemoria per Luca Grigori. Ricordarsi degli  improvvisi sbalzi d’umore di Alberto Grigori.

 

 


Sara fece un grande respiro, mentre appoggiava la mano sulla maniglia della porta.

Detestava dover fingere che andasse tutto bene, quando in realtà aveva solo voglia di urlare e di tirare pugni a qualsiasi cosa.

Certo, non era mai stata troppo violenta, ma anche Sara Donati poteva permettersi di esserlo, considerata la mattina che aveva passato.

Luca l’aveva riaccompagnata a casa, dove aveva passato le ore in cui sarebbe dovuta andare a scuola a parlare con sua mamma. L’unica cosa positiva di tutto questo era il rapporto che si era andato a ricostruire con lei. Dopo quell’estate non parlavano molto, visto che la ragazza era arrabbiata con lei.

Adesso però, sapeva che aveva sempre avuto ragione, anche se era stato difficile ammetterlo davanti a lei.

Sapeva di averla sconvolta quella mattina, quando le aveva raccontato tutto. Era scoppiata a piangere quando la figlia le aveva fatto vedere il labbro gonfio.

Erano stati giorni di lacrime quelli.

Sara si passò una mano davanti agli occhi.

Bè, per un po’, basta piangere. Doveva sorridere e distrarsi.

Per questo aveva deciso di venire almeno alle ore del Doposcuola Punitivo.

Era parecchio strano da dire, in effetti. Quali ragazzi sani di mente saltano scuola, ma hanno voglia di andare alle ore pomeridiane di punizione? Quelli del liceo Michelangelo.

Le comparve sul volto un sorriso sincero mentre pensava che almeno con uno di loro non avrebbe dovuto fingere.

-Hey! Guarda, la Donati! Come mai arrivi solo ora?-

Matteo le venne incontro sorridente.

-Ciao, Teo. Non stavo molto bene stamattina, ma tranquillo, non ti lascio da solo sul palco. Che scena dobbiamo provare adesso?-

-Quella del litigio dopo il ballo. Tu mi insulti in ogni modo possibile e mi tiri uno schiaffo.-

Bè, quantomeno si sarebbe potuta sfogare un po’.

Cercò con gli occhi Luca oltre la spalla di Matteo e lo trovò mentre aiutava Giovanni a spostare una trave dal palco.

Sorrise ancora di più. Aveva mantenuto la promessa.

-Sara! Hey, che hai fatto alla bocca?-

Ecco, qui bisognava improvvisare. Non aveva pensato a nessuna scusa, così optò per una delle più banali.

-Oh, niente, sono andata a sbattere contro un mobile ieri sera.-

Fran e Irina sorrisero divertite, ignorando che avesse appena mentito.

-Per fortuna sei arrivata. Il biondo qui diventava assillante, voleva che una di noi, una a caso ovviamente, ti sostituisse.-

Disse Irina lanciando una strana occhiata a Matteo.

-Un giorno riuscirò a convincerti, Testa a Cespuglio.-

Ribattè lui passandole un braccio intorno alle spalle.

Irina si divincolò arrossendo e se ne andò borbottando qualcosa che somigliava a un “continua a sognare, Conti.”

Sara fece per seguire Matteo sul palco, ma fu bloccata dalla mano che le aveva afferrato il braccio.

-Mmh… magari dopo ci mettiamo altro ghiaccio.-

Mormorò più a sé stesso Luca mentre fissava il suo labbro inferiore.

-A che ora torni a casa oggi?-

-Alle sette, come sempre. Viene mamma a prendermi.-

Luca annuì e le strinse ancora un po’ il braccio prima di lasciarlo e allontanarsi con un cenno di saluto.

Lo fissò per un po’ mentre raggiungeva Giovanni.

Era strano Luca.

 

 

Sara osservò di malavoglia il quaderno di matematica davanti a lei.

Si guardò intorno, in cerca di vie d’uscota. Non poteva tornare in teatro, perché la Costanzi ormai doveva averlo chiuso, e chissà in che classe poteva essere a fare pulizia; non poteva chiedere alla stessa Costanzi di fare una chiacchierata, perché nemmeno lei era così idiota. Niente da fare. Erano solo lei, la classe del Doposcuola, e quei dannati compiti.

Sbuffando prese la biro, facendo uso di tutta la sua forza di volontà, e cominciò a scrivere il primo roblema. Geometria analitica. Che tortura.

-Ecco, tieni.-

Una bustina di ghiaccio atterò sul suo banco.

La ragazza guardò stupita Luca, che si era seduto al banco accanto al suo.

-Che fai?-

-Hai detto che finisci alle sette, no?-

-Sì.-

Luca scrollò le spalle e tirò fuori il portatile dallo zaino.

-Ecco. Ti faccio compagnia.-

Sara lo guardò mentre apriva e accendeva il computer e sorrise.

Era strano Luca, ma non le dispiaceva affatto.

 

 

 

 

 

*Angolo di Mary

Che dire, buongiorno a tutti!

Che cavolo ci faccio io, con un capitolo del genere? Insomma, non c'entra un emerito cavolo con quei cari ragazzi, una dalla testa cespugliosa, l'altro dalla testa bionda, di cui parlo di solito.

E' vero, in effetti non c'entra un emerito cavolo.

Più o meno in realtà, perchè io nel primo capitolo avevo scritto che non era solo la storia di Irina a Matteo. Quindi, nonostante siano loro i protagonisti indiscussi, mi piace aprire delle finestre anche sugli altri ragazzi del Doposcuola. E devo dire che ho aperto una porta finestra con questo capitolo, mi è venuto enorme, spero non siate crollati a metà.

Ebbene, cosa dire... Ci ho messo l'anima, sul serio. Ce l'avevo in testa quasi da subito, più o meno quando ho fatto omettere a Sara il motivo per cui si ritrova invischiata nel Doposcuola. E lei e Luca li adoro indiscutibilmente, mi esalto sempre parecchio a scrivere di loro. 

Il capitolo è comunque un extra della storia, e ce ne saranno sicuramente altri, dedicati ad altri personaggi, che spero apprezzerete, come del resto spero abbiate apprezzato questi due. 

Lo ammetto, mi ci sono dannata sopra, cercando di non renderlo troppo smielato, deprimente, banale, noioso sopratutto, o che so io... spero di esserci riuscita.

Basta, non so davvero in che altro modo assillarvi, quindi chiudo qui, dicendovi che il prossimo capitolo tornerà ad essere normale, ovvero con i soliti due deficienti non ancora innamorati che adoro.

Ci vediamo non so quando, prima o poi,

 

Mary (la ragazza che ha una passione fin troppo smodata per i personaggi di sfondo)

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Capitolo 7
*** Seppie attrici e Opossum tramortiti ***


 

 


Irina Rainieri non era quella che si può definire una ragazza particolarmente paziente. Tuttavia era una buona amica, quindi stava ascoltando tollerante la crisi isterica di Francesca Molinari.

-Ma ti rendi conto? Quasi due mesi di lavoro per niente! Per niente! Cioè, io mi uccido di lavoro e poi arriva ‘sto qui che mi manda all’aria tutto! Io impazzisco!-

Secondo Irina Fran era già pazza, ma non era il caso di farglielo notare.

-Fran… hem… perché non ne parli con la Costanzi?-

Provò a calmarla, non azzardandosi però ad avvicinarsi.

-L’ho fatto! E sai cosa mi ha detto?-

-Hem… no, cosa ha detto?-

-Che mi sarei dovuta arrangiare, ecco cos’ha detto! Io la strozzo la Costanzi, e pure quella sottospecie di strimpellatore di carillon di Poli!-

La povera sottospecie di strimpellatore di carillon era Marco Poli, altro acquisto del Doposcuola Punitivo.

Quando era arrivato Irina aveva pensato due cose.

Primo: era incredibile quanti ragazzi stessero finendo nel loro gruppo.

Secondo: quel Marco Poli era davvero innegabilmente carino.

Questo veramente lo aveva notato tutta la popolazione femminile del Doposcuola, in realtà composta solo da lei, Sara e Fran.

Se quest’ultima aveva notato quel particolare, se ne era però dimenticata subito, quando le avevano detto quale sarebbe stato il ruolo nel Doposcuola del ragazzo.

Marco veniva dall’indirizzo Musicale e suonava il piano, rigorosamente musica classica.

E quale compito avrebbe avuto uno studente del Musicale in una recita? Sicuramente non avrebbe dovuto spodestare Matteo nel ruolo di Giorgio, no, si sarebbe occupato chiaramente della colonna sonora, sulla quale Fran avrebbe dovuto montare una coreografia.

-Iri, io cosa cavolo faccio? Mica la so ballare la danza classica!-

Esclamò con voce stridula la ragazza.

Fran studiava danza moderna, sulla quale fino a quel momento aveva impostato la coreografia della recita. Danza classica era obbligatoria solo all’ultimo anno, per impararne almeno le basi, e a lei non era mai passato per la testa di fare i corsi aggiuntivi, visto che il genere di musica non le piaceva molto.

Irina la guardò senza sapere cosa dire.

In effetti non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare Fran, se non cercare di eliminare Marco Poli dalla faccia della terra, o per lo meno dal Michelangelo.

-No, ok…non mi arrendo, Iri. Adesso vado a cercare Flavia e mi faccio dare qualche lezione di base.-

Mormorò in modo quasi maniacale la ragazza davanti a lei, mentre già cercava con gli occhi la sua compagna di classe.

Irina sorrise lievemente guardando la luce di determinazione che si era accesa negli occhi della sua migliore amica.

-Ora scusa, ma vado a cercarla, dobbiamo assolutamente iniziare oggi pomeriggio.-

Irina la guardò mentre attraversava il corridoio dell’Artistico alla ricerca della povera Flavia, che avrebbe dovuto passare il sabato pomeriggio a dare ripetizioni di danza classica.

Si avviò anche lei, decisa a passare il sabato pomeriggio e sera a dormire, in barba a qualsiasi impegno.

La notte prima l’aveva passata a finire il disegno in prospettiva per la professoressa di arte ed era andata a letto alle quattro, aiutata da litri di caffè.

-C’è puzza di artistico in questo corridoio.-

Disse all’improvviso una voce al suo fianco, facendole alzare gli occhi al cielo.

-Hai presente in che corridoio siamo, vero? Ecco, ora rifletti sulla tua affermazione idiota.-

-Testa a Cespuglio, posso dirti che sembri leggermente irritabile oggi?-

-Quando mai non lo sono con te nei paraggi?-

Matteo ci penso su per un po’.

-Sì, in effetti sei irritabile spesso, non so perché. Però oggi lo sei più del solito.-

-Signore, dammi la forza…-

Sospirò la ragazza, continuando a proiettare nella mente il suo bel letto comodo.

Un secondo dopo si ritrovò tra le braccia di Matteo Conti.

Come, di nuovo? Ma cos’era, una mania?

Stavolta come le era successo?

Semplicemente Irina aveva chiuso gli occhi mentre già si immaginava di essere stesa sul materasso ed era andata a sbattere contro un tizio di quinta. L’urto l’aveva fatta rimbalzare all’indietro, facendola prendere al volo dal biondo.

Irina sapeva che avrebbe dovuto ringraziarlo per aver impedito la sua morte, ma questo avrebbe portato alla distruzione totale della sua dignità.

-Eh, se non ci fossi io…-

Mormorò il ragazzo senza mollarla.

-Non sarei perennemente sull’orlo di una crisi di nervi.-

Bofonchiò lei imponendosi di non arrossire e di staccarsi immediatamente.

-Io ti ho salvato da un macabro calpestamento e non mi ringrazi nemmeno?-

Eslamò lui con un’espressione inorridita. Che attore.

Forza Irina, non è troppo difficile, fallo e basta.

-Grazie Conti.-

Sibilò la ragazza guardando l’espressione soddisfatta che compariva sul volto del biondo.

-Sei in debito con me.-

Da soddisfatto il sorriso si era trasformato in un ghigno.

-E’ quello che temevo.-

Mormorò lei afflitta.

-Ti concedo di pagare il tuo debito oggi pomeriggio stesso.-

-Che gioia.-

Soffiò Irina, sentendo la testa che iniziava a pulsare.

Oh, quanto avrebbe voluto dormire anche lì, stesa sul pavimento del corridoio.

 


Matteo Conti sapeva essere davvero, davvero insistente.

E Irina Rainieri aveva troppo sonno e mal di testa per potersi opporre con tutte le sue forze.

Così cedette, non subito ovviamente, ma cedette.

-Spiegami solo perchè proprio io. Perché non Sara o Fran?-

-Perché Sara è stata sequestrata da Luca e Fran mi ha travolto in piena crisi isterica, facendomi capire che se volevo restare vivo non dovevo rivolgermi a lei.-

Rispose con tranquillità Matteo mentre la trascinava verso il teatro.

-Conti, lo sai che non sono capace.-

Si lamentò Irina entrando.

-E’ perché non hai mai provato. Senti, scelgo delle scene in cui parlo di più io, va bene?-

Lei per tutta risposta sbuffò.

-Dai, Rainieri, per favore! Ho assolutamente bisogno di qualcuno con cui provare le battute e, ad essere sincero, non credo che riuscire a concentrarmi molto se davanti a me ci fossero Giovanni o Marco vestiti da donne.-

Irina provò ad immaginarsi Giovanni con indosso il vestito del ballo di Sara e si lasciò scappare un risolino.

Poi guardò Matteo che la fissava in attesa di una risposta.

-Ammettilo, lo stai facendo solo per prendermi in giro perché recito come una seppia.-

Matteo sorrise.

-In realtà non ho mai visto recitare una seppia, quindi non posso giudicare. Però ho davvero bisogno di aiuto, io e Sara siamo un po’ indietro con le prove, visto che abbiamo cambiato le battute.-

Irina sospirò e si guardò intorno.

Anche il sabato, l’unico giorno che avevano libero, si trovava nel teatro. Da sola con Matteo Conti tra l’altro, ma questo era un dettaglio assolutamente trascurabile.

-Su, muoviamoci, prima che me ne penta.-

Il biondo la guardò esultante e le infilò in mano il copione.

-Vai alla scena del ballo.-

Irina fece scorrere le pagine mentre saliva sul palco.

-Qui va bene?-

Matteo annuì, con lo sguardo più concentrato e serio che gli avesse mai visto addosso.

Poi, come se niente fosse, l’attirò verso di sé, cingendole la vita con un braccio.

-Hey! Che cavolo fai?-

Esclamò Irina con una voce acuta che non le apparteneva.

-Siamo ad un ballo, no? Dobbiamo ballare. Ho scelto una scena dove praticamente parlo solo io, tu non dici quasi niente.-

Disse lui con serietà, ma senza riuscire a nascondere una nota di divertimento nella voce.

Lo stava facendo apposta. Si stava impegnando per metterla in imbarazzo.

Accidenti, quanto lo odiava.

-Sai ballare?-

Gli chiese in tono di sfida.

-No, veramente no. E tu?-

-Io sono l’amica che disegna, Fran quella che balla. È un compromesso intelligente. Quindi no, nemmeno io so ballare.-

Non aveva mai provato. Probabilmente quello sarebbe stato il suo primo ballo, e lo avrebbe fatto con Matteo Conti.

Non è strano il mondo?

-Oh, bè, vorrà dire che ci arrangeremo.-

Cominciarono a dondolare sul posto, leggermente impacciati.

Irina fece un sospiro.

Maledizione alle braccia toppo comode di Matteo che la stavano stringendo. In quel momento era davvero tentata di appoggiare la testa contro la sua spalla e chiudere gli occhi, cercando di eliminare il mal di testa.

Le conseguenze però sarebbero state due: si sarebbe molto probabilmente addormentata, oppure Matteo avrebbe ghignato come un idiota e l’avrebbe presa in giro, naturalmente compiaciuto da un comportamento del genere da parte della ragazza.

Irina perciò si limitò a rilassarsi un po’di più tra le braccia del ragazzo, sperando che lui non se ne accorgesse.

-Secondo me siamo ridicoli.-

Ridacchiò dopo un po’.

-Probabilmente sì, ma tanto non c’è nessuno a guardarci, no?-

Irina arrossì, senza nemmeno sapere bene perché. Forse perché era da sola su un palco abbracciata a Matteo Conti. Non faceva che ripeterselo, eppure non lo trovava fastidioso come aveva pensato. Anzi.

-Allora, pronta? Ciack, di gira!-

Disse ad un certo punto il ragazzo, spezzando il silenzio che si era creato.

-Bè. Wow, Dafne, sei davvero bella stasera. Di solito non sei così carina, anzi!-

Irina inarcò un sopracciglio.

-Wow, che tatto il tizio.-

Matteo sbuffò.

-Non deve piacerti per forza, lo so anch’io che è un cretino, ma la mia battuta è questa. Leggi la tua, dai.-

Irina sospirò e, dopo qualche movimento contorto, riuscì a posizionare il copione tra di loro.

-Grazie per il complimento, Giorgio, se era un complimento ovviamente.-

Lesse la ragazza con voce neutra.

Oddio, che pena, perfino un sasso ibernato ci avrebbe messo più sentimento di lei.

Matteo ridacchiò lievemente.

-Secondo me anche una seppia può fare di meglio.-

-E’ questo quello che dice Giorgio?-

Sbuffò lei borbottando seccata.

-Ah, non so, credo che Giorgio sarebbe d’accordo con me.-

-Conti, datti una mossa e fai il serio, o me ne vado.-

Sibilò lei imbarazzata.

-Sai una cosa? Ormai è da un po’ che ci conosciamo, no? In questi mesi ho imparato a capirti e… insomma, mi piaci, Dafne.-

Irina arrossì e si diede dell’idiota. Fino a qualche nanosecondo prima credeva che Matteo stesse parlando con lei, non che stesse recitando la sua parte.

Insomma, non era colpa sua se lui di colpo era partito in quarta a recitare di nuovo senza nemmeno avvertirla.

Si chiese cosa sarebbe successo se lui alla fine avesse detto “Mi piaci, Irina”.

No, ok, adesso cosa cavolo andava a pensare? Ed in quale universo, di grazia, sarebbe mai accaduto? In quale universo lei avrebbe voluto che accadesse? Bè, non in questo, giusto?

Giusto. Eppure in quel “giusto” c’era uno strano sapore amaro, come di limonata senza zucchero.

Limonata senza zucchero.

Lei era la limonata, doveva ammettere che a volte era un po’ acida, aspra.

E Matteo cos’era, lo zucchero?

La ragazza fece una smorfia.

Nah, Matteo non poteva essere comparato allo zucchero, sapeva di paragone gay, e lui non era gay, a quanto ne sapeva.

Dio, che discorsi dementi che stava facendo.

Meglio concentrarsi sul copione.

Provò a capire cosa stava dicendo Matteo, e capì che era a metà del suo sproloquio sulle nuove strane sensazioni che provava.

-….insomma, adesso che ti conosco meglio ti vedo sotto un’altra luce, una luce che mi fa capire quanto tu sia speciale.-

Irina lo guardò un attimo, senza badare al copione.

-Nessun ragazzo al mondo tirerebbe fuori un discorso del genere.-

Osservò scettica.

-Lo so, ma non potevamo togliere troppo romanticismo, sai, non vorremmo essere espulsi.-

La ragazza fece spallucce e guardò il copione.

Ancora una volta non doveva dire niente. Ottimo.

La cosa strana era che non doveva dire niente nemmeno Matteo.

Allora cos’avrebbero fatto, sarebbero rimasti a guardarsi negli occhi, lasciandosi travolgere dalla magia dell’amore? Bleah.

Diede un’altra occhiata ai fogli davanti a lei e si sentì gelare.

Sgranò gli occhi, rimandendo pietrificata, mentre quella semplice parola le si insinuava nel cervello.

Guardò Matteo, allarmata e nervosa.

-Ok, fine della scena, giusto?-

-No, non è finita, c’è ancora un pezzo, non vedi?-

Rispose lui con tranquillità indicandole quella parola.

Non poteva dirlo seriamente.

Continuava a fissare impietrita le lettere.

-Testa a Cespuglio? Ci sei?-

-Non ho nessuna intenzione di recitare questa parte, Conti.-

-Perché?-

Che odio, faceva pure il finto ingenuo. Non lo sapeva che se continuava così sarebbe andato incontro al suicidio?

-Non hai letto cosa c’è scritto?-

Matteo annuì, sempre con una stramaledettissima calma.

-Biondo, non so se per te la cosa sia evidente, ma a e sembra chiaro che non ci sarà nessun bacio.-

L’espressione di Matteo non cambiò di una virgola.

-E perchè, scusa?-

-Come perché? Io non ho nessuna intenzione di baciarti!-

Sbottò Irina con una voce vagamente stridula.

Matteo scrollò le spalle.

-Sara non si fa nessun problema, voglio dire, io e lei ci dovremo baciare un milione di volte.-

-Ecco! Tu e Sara! Ti sembro Sara, Conti?-

La voce di Irina si alzò di un’ottava. La tranquillità di Matteo non l’aiutava per niente.

-Eddai, Rainieri, non è niente!-

-Per te forse, ma io non me ne vado in giro a baciare persone a caso.-

-A parte il fatto che io non sono una persona a caso, è solo una recita!-

-Di cui teoricamente io non devo fare parte. Ora, se non ti dispiace, passiamo alla scena dopo.-

Matteò la fissò per un po’ senza accennare a girare la pagina del copione.

-Secondo me tu non hai mai baciato nessuno. O sbaglio?-

Disse ad un certo punto con un sorrisetto.

Irina si sentì avvampare e dovette lottare con tutto il suo autocontrollo per non tirare un pugno al ragazzo davanti a lei.

Era vero, non aveva mai baciato un ragazzo, e allora? Non era mica colpa sua se non ne aveva mai avuto uno, non del tutto almeno. Per quanto non aver mai avuto una storia d’amore non la toccasse troppo, il non aver mai baciato nessuno alla sua età era un po’ imbarazzante.

-E se anche fosse? A maggior ragione non voglio mica che il primo a baciarmi sia tu.-

Sibilò cercando di essere il più velenosa possibile. Mai colpire l’orgoglio di una donna. Mai colpire l’orgoglio di Irina Rainieri.

-Ah, certo. Ovvio, no? Io no, ma scommetto che Marco invece lo baceresti!-

Irina sgranò leggermente gli occhi sorpresa.

-Ma cosa c’entra Marco?-

-Ieri hai detto a Fran che è carino!-

-Sì, e allora?-

-Allora come minimo lui lo baceresti!-

Irina si accorse che avevano alzato entrambi la voce.

-Bè, sai che ti dico? Forse lui sì!-

Non le importava se era una bugia, lo aveva detto e basta. Matteo con il suo comportamento idiota la stava facendo davvero arrabbiare.

-Ecco, visto? Si può sapere cos’hai contro di me? Alla fine sono sempre io quello che tratti male!-

-Ma se sei tu che mi rompi l’anima ogni santo giorno!-

Ora stavano davvero gridando.

Irina si rese conto che non avevano mai litigato veramente. I loro soliti battibecchi non avevano niente di serio, non quanto quello che stavano facendo in quel momento.

Se quello voleva dire litigare veramente, bè, non le piaceva per niente.

-Allora facciamo che da oggi non ti do più fastidio, ok?-

-Ok!-

Urlò ancora più forte la ragazza.

Si accorse che la stava ancora stringendo e si divincolò.

Lanciandogli un’ultima occhiataccia afferrò lo zaino e si diresse verso la porta del teatro.

-Sei proprio un idiota, Conti.-

La testa le faceva davvero, davvero male.

 

 

-Secondo me se montiamo il tavolo durante la pausa ci stiamo con i tempi.-

-Mh.-

-Invece credo che dovremmo sistemare un po’ l’ambientazione del ballo.-

-Mh.-

Credi che starebbero bene come decorazioni degli opossum tramortiti attaccati alle pareti?-

-Mh.-

Giovanni guardò la sua compagna di banco preoccupato e allo stesso tempo esasperato.

-Irina, mi stai ascoltando?-

-Mh? Ah, sì, certo… parlavi di opossum e del ballo, no? Hey, aspetta un attimo, cosa centrano gli opossum?-

Giovanni alzò gli occhi al cielo.

-Non credi che la Fase Iri-Pensiero stia durando un po’ più del normale?-

Irina era in Fase Iri-Pensiero da almeno due giorni ormai, e anche chi era abituato a vederla nel suo stato di trance sapeva che al terzo giorno doveva cominciare a preoccuparsi.

Irina andava spesso in Fase Iri-Pensiero, tutte le volte che che si estraniava nei suoi pensieri e nelle sue congetture, e succedeva davvero parecchie volte.

In quei giorni la Fase era dovuta ai pensieri neri di rabbia che occupavano la testa della ragazza.

La causa, ovviamente, era quel deficiente di Matteo Conti.

Il giorno dopo il litigio Irina aveva avuto tutto il tempo di rifletterci, chiusa in casa,  infilata sotto le coperte, con la testa che le martellava per la febbre.

La conclusione a cui era giunta era che avevano litigato per un motivo più idiota del solito.

Eppure, se di norma dimenticavano in fretta le loro discussioni, scatenati da cause più sensate dell’ultima, quella volta per qualche strano motivo continuavano imperterriti nella loro ostilità.

Forse perché di solito chi faceva il primo passo verso la riconciliazione era Matteo, mentre nel giorno in cui era tornata a scuola lui non le aveva nemmeno rivolto la parola e aveva continuato a lanciarle occhiate truci, incoraggiandola ancora di più a non scordare l’accaduto.

Santo cielo, non era colpa sua, era quel biondo deficiente che aveva voluto baciarla a tutti i costi. Come poi dal bacio fossero finiti col parlare del fatto che lei lo trattava male e lui le dava fastidio, ancora non lo aveva capito.

Fatto sta che Conti si era arrabbiato davvero.

Per un motivo così cretino!

Irina si accorse di essere caduta di nuovo nella Fase e si affrettò a rispondere al suo vicino di banco.

-La Fase Iri-Pensiero non ha scadenze specifiche, posso restarci quanto voglio.-

Borbottò irritata.

Maledì di nuovo Matteo. Non voleva trattare male Giovanni solo perché era arrabbiata con lui.

-Iri, mi vuoi dire cosa è successo? È da due giorni che tu e Matteo vi guardate come se voleste uccidervi a vicenda.-

Giovanni aveva lo spirito di osservazione di Sherlock Holmes e la curiosità di una comare di paese.

-Gio, noi ci guardiamo sempre male.-

-Sì, ma non seriamente. Adesso sembra che abbiate davvero litigato.-

Maledizione, ma era l’unica che non si era mai accorta di non aver mai veramente litigato con Matteo?

Forse sì.

-Dai, Gio, cosa vuoi che sia successo? Niente di che, davvero…-

Un’obiezione troppo debole per uno come Giovanni Santani, ma il ragazzo dovette farsi passare la curiosità, perché la porta della classe si aprì, interrompendo lui e la professoressa di letteratura.

-Professoressa Valenti, posso rubarle un attimo la Rainieri? Sembra che la preside voglia fare due chiacchiere con lei.-

Irina si alzò sorpresa sotto gli sguardi dei suoi compagni e seguì la Costanzi fuori dall’aula.

-Che ho fatto?-

-E’ la domanda che vi ponete sempre voi ragazzi. Come fai ad essere sicura di aver fatto qualcosa, Rainieri?-

Irina fece spallucce.

Di sicuro la preside non l’aveva chiamata per fare una partita a scacchi.

 

-Passeggiavo stamattina, signorina Rainieri, per il nostro cortile...-

Iniziò la preside passeggiando nel verde del suo ufficio.

Lara Umbri era una vera appassionata di piante, di giardinaggio, di fiori, di tuberi, di frutta, di qualsiasi cosa che potesse essere considerata un vegetale.

“Sono nata tra le mele, io!” era solita esclamare riferendosi al paese in Trentino Alto Adige in cui era cresciuta.

L’unico suo problema era che il suo amore per le piante non era ricambiato dalle dirette interessate.

Ogni povera vittima coltivata e accudita dalla donna moriva dopo una settimana al massimo, così la Umbri si era dovuta arrangiare.

Ecco perché Irina era seduta tra un mucchio di piante di plastica che circondavano lei, la preside, e la scrivania che le stava davanti.

-… e sono passata davanti alla palestra. Ti ricordi dov’è?-

Che razza di domanda era?

Irina andava in quella palestra almeno due volte a settimana per le lezione di educazoine fisica, ovvio che se lo ricordava.

Annuì per farla continuare.

-Molto bene. Ti ricordi anche cosa hai fatto su quella parete?-

Come poteva dimenticarsi del suo murales?

Evidentemente la preside la prendeva per scema.

Annuì di nuovo, leggermente scocciata.

-Ecco. Come ben sai non mi è mai piaciuto molto il tuo lavoro, per questo ho mandato te e la signorina Molinari al Doposcuola Punitivo.-

Continuò con un sorriso smagliante.

Quando il nemico sorride…

-Non mi è mai piaciuto affatto, lo trovo irrispettoso, capisci?-

…bisogna cominciare la ritirata.

-Ecco perché quando il tuo compagno, il signor Conti, mi ha suggerito di fartelo cancellare l’ho trovata subito un’ottima idea.-

E mentre Irina preparava la sua ritirata si rese conto di avere già perso.

Rimase immobile sulla sedia, rigida come un palo, circondata dal nemico e dalle sue piante.

 

 




*Angolo di Mary

Siete pregati di tenere lontana qualsiasi arma che potrebbe danneggiarmi, grazie.

Ebbene, quante cose da dire di questo capitolo.

Innanzitutto è miracolosamente arrivato, è già qualcosa. Poi è stra lungo. Infine, vi posso assicurare che la parte del litigio è stato un vero martirio, quindi spero davvero di averlo reso bene.

Comunque, ed è un altro miracolo della giornata, sono piuttosto soddisfatta, pensavo di fare peggio, quindi tanto meglio.

Ora forse odiate Matteo. Il che è comprensibile, dopo quello che ha combinato a teatro e quello che ha detto la preside (a proposito della preside. Vi è sembrata abbastanza odiosa? Perchè io già la odio con tutta me stessa.). Bè, mettiamola così. Matteo è stato sicuramente un idiota, ma non in tutto e per tutto. Ora la smetto di fare spoiler perchè Matteo qui vicino mi sta lanciando di quelle occhiatacce per quello che che gli ho fatto fare, e non vuole che sappiate in anticipo altro sul suo conto.

Sì, sono sadica con i miei personaggi, credo che stiano organizzando una rivolta da qualche parte nella mia testa.

Ultima cosa e poi vi lascio: Fate un applauso all'altra new entry, Marco Poli! Ok, è vero, in questo capitolo (e anche nel prossimo in realtà) è un po' inutile, ma poi lo metterò un po' più in rilievo. Intanto salutatelo che è un caro ragazzo simpatico, anche se mi fa andare in bestia Fran.

Ecco, questo spazio autrice è più demenziale del solito quindi vado a nascondermi, dicendovi che il prossimo capitolo, essendo già scritto almeno su carta, arriverà presto.

Ci vediamo presto quindi,

Mary, autrice che è sadica con quei poveri martiri dei suoi personaggi.

P.S. mi scuso per i possibilissimi errori grammaticali, fatemeli notare se li vedete, per favore.

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Capitolo 8
*** Il momento sbagliato per il nome di battesimo ***




Irina si chiese quando sarebbe esplosa.

Di solito quando era davvero arrabbiata rimaneva a rimuginare cupa sul motivo finchè non arrivava una parola, una frase o un gesto che la faceva esplodere.

In quel momento Irina era davvero, davvero arrabbiata e, peggio ancora, delusa.

“Ecco perché quando il tuo compagno, il signor Conti, mi ha suggerito di fartelo cancellare l’ho trovata subito un’ottima idea.”

Matteo Conti aveva suggerito di far cancellare a lei il suo murales.

Sì, sotto uno spessissimo strato di rabbia c’era una grandissima delusione.

-Iri, alla fine perchè la preside ti ha chiamato nel suo ufficio?-

L’innocente domanda di Giovanni le fece cadere addosso gli sguardi curiosi di tutti i componenti del Doposcuola Punitivo.

Grandioso.

Tutti gli sguardi. Ma proprio tutti. Anche il suo sguardo. E lui  non si doveva permettere di fissarla in quel modo, dopo che non l’aveva fatto per ben due giorni, con gli occhi curiosi, fintamente ingenui, dato che era la causa di tutto, e lo sapeva benissimo.

Era quello sguardo il cenno che diede un preannuncio di esplosione.

Irina rispose alla domanda, la voce che già tremava dalla rabbia, difficile da controllare.

-Sono andata dalla preside perché un idiota le ha consigliato di cancellare il mio murales.-

Disse misurando parola per parola.

-Cancellare? Chi…-

Ma Irina non stava più dando retta a Giovanni. Guardava dritto negli occhi Matteo, che in quel momento aveva un’espressione che non sapeva decifrare.

-Sai una cosa? Sei proprio uno stronzo, Matteo.-

Così dicendo lo oltrepassò, afferrò un secchio di pittura bianca, ed uscì dal teatro, seguita dal silenzio che vi si era creato.

 

Irina fece un respiro profondo e guardò la mano che reggeva il pennello già intinto nella pittura.

Oh, accidenti.

Non poteva credere che proprio lei avrebbe dovuto cancellare il suo murales.

Guardando ancora una volta quel gigantesco “Smile” che le stava davanti però, pensò che, in effetti, forse se qualcuno doveva proprio eliminarlo, quel qualcuno doveva essere lei.

Non avrebbe sopportato che a farlo fosse la preside o peggio, Matteo.

Dannazione a quel cretino di Matteo Conti.

L’ultima cosa cosa che si sarebbe aspettata da lui era un colpo del genere.

Nonostante non fosse una grande opera d’arte, Irina era affezionata al suo murales. L’aveva fatto perché secondo lei in quella scuola non si sorrideva abbastanza, ed il muro bianco su cui era stato realizzato rappresentava la monotonia su cui voleva mettere un po’ di colore.

Insomma, quella era una rappresentazione del suo pensiero, un modo in cui lei era riuscita ad esprimersi, e proprio Matteo aveva fatto in modo che venisse eliminato.

Non sapeva cosa si era sempre aspettata dal suo rapporto col ragazzo. Non andavano quasi mai d’accordo, ma chissà per quale motivo Irina era sempre stata convinta che fossero amici.

Bè, quella era la dimostrazione del fatto che probabilmente si sbagliava.

Quasi ad averlo nominato ad alta voce, Matteo comparve alle sua spalle.

Irina appena se ne accorse chiuse gli occhi, cercando di calmarsi.

Le sembrava di non essere propriamente esplosa prima.

-Irina.-

La ragazza sussultò.

Non si era mai, mai, rivolto a lei usando il suo nome e sceglieva quel momento per farlo? Che idea cretina, sul serio, proprio un’idea del cavolo.

-Senti, mi spiegheresti cosa ho fatto?-

Ecco, quello era veramente il momento adatto per esplodere. E Irina esplose.

Si girò di scatto verso di lui, trovandoselo a  qualche centimetro di distanza.

-Cosa hai fatto? Cosa hai fatto? Mah, non saprei, da dove comincio? Hai preteso di baciarmi senza nessun motivo logico, poi ti sei arrabbiato perché io ho giustamente rifiutato di farlo. Poi ancora non mi hai rivolto la parola per due giorni sempre per questo motivo idiota. Alla fine sei andato a dire alla preside che sarebbe stato carino farmi cancellare il mio murales, così, per puro divertimento e ripicca!-

Matteo all’ultima affermazione sgranò gli occhi e aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a interrompere la ragazza, che continuava ad urlare.

-Bè, a questo punto ,lasciamelo ripetere, sei proprio un dannatissimo stronzo, e anche un idiota ad arrabbiarti tanto per una cosa del genere!-

Irina gesticolava talmente forte che stava schizzando tutti e due di pittura con il pennello zuppo che teneva in mano.

Per Matteo fu naturale sporgersi in avanti e bloccare con una mano il polso di Irina, e con l’altra la sua spalla.

Lei s’irrigidì immediatamente.

-Lasciami.-

Sibilò astiosa.

-Stavi schizzando quella roba da tutte le parti.-

Mormorò lui senza mollarla.

-Ti ho detto di mollarmi.-

-Ok, senti Irina, se mi lasciassi parlar…-

-Smettila! Piantala di chiamarmi per nome! Dopo che non l’hai fatto per mesi non cominciare proprio adesso! E lasciami andare!-

Esclamò strattonando il suo polso senza però riuscire a liberarsi.

-Smettila di dimenarti. Senti, io…-

La sua maledettissima calma le dava proprio i nervi, non riusciva a capire come facesse a stare tranquillo in quel momento, e ad essere insopportabilmente esuberante in ogni altro istante.

-Irina…-

Il suo nome pronunciato ancora una volta da lui ed un altro tentativo a vuoto di liberarsi dalla sua stretta la fecero agire d’istinto.

Lo schiaffo arrivò sulla guancia di Matteo all’improvviso, facendolo bloccare di colpo.

Irina riuscì a divincolarsi, ancora incredula di aver davvero schiaffeggiato Matteo Conti.

Eppure la guancia rossa del ragazzo ed il suo sguardo sospreso ne erano la prova.

-Ora, visto che per colpa tua non posso muovermi di qui finchè non avrò finito, fammi il piacere du andartene tu.-

Riuscì ad articolare la ragazza.

-Stai piangendo.-

Sussurrò lui.

Irina si accorse di avere la vista offuscata da una fastidiosa patina di lacrime. Lacrime di rabbia e di paura. Rabbia perché Matteo l’aveva ferita e delusa, paura perché non si sarebbe mai aspettata che sarebbero giunti a questo punto.

Si toccò allarmata le guance, constatando sollevata di non averle bagnate. Per ora quelle stupide lacrime erano rimaste al loro posto, rendendole solo gli occhi un po’ lucidi.

-Conti, vai via.-

Matteo aprì la bocca, ma non disse niente. Per una volta nella sua vita probabilmente non aveva idea di cosa dire.

La ragazza, stanca di vederselo davanti, gli voltò le spalle, invitandolo con quel gesto ancora una volta a lasciarla in pace.

Quando il ragazzo si richiuse la porta del teatro alle spalle, Irina

Intinse nuovamente il pennello e con un’espressione concentrata tracciò la prima linea bianca.

Smile.

Ironico, no? Lei non stava affatto sorridendo.

 




*Angolo di Mary


Buonasera! Hey, bè, non è tardi per aggiornare, si può dire che per una volta nella mia vita sono riuscita a pubblicare ad una velocità decente... in fondo lo avevo promesso, dovere mio.

Aiuto, che capitolo deprimente che è questo, è diverso dai soliti demenziali cosi che tiro fuori di solito, ma insomma, ci voleva. In realtà è anche uno sputo di capitolo, è cortissimo! Vabbè, facciamo che compensa quello precedente, che invece era lungo.

Tutto sommato non mi dispiace troppo questo capitolo, a parte la scena dello schiaffo, che mi risulta un orrido clichè. Però alla fine non riuscivo a non immaginarmelo, e ho pensato che per Irina possa essere del tutto normale, voglio dire, non va in giro ad abbattere la gente con un carro armato, ma non è nemmeno una personcina pacata e tranquilla, e lì aveva proprio perso le staffe.

Quindi mi sa che dovrete tenervi il mio clichè.

Ho pensato di pubblicare oggi perchè oggi è giorno di libertà, signore e signori. Oggi sono iniziate le vacanze di Pasqua! La scuola mi lascerà in pace per una settimana e io prometto (e chi mi dice che vi importi qualcosa?) che passerò quasi ogni santo giorno con una biro in mano a scribacchiare quello che mi si è ammucchiato nel cervello in questi giorni di scuola, poco produttivi per i miei piccoli ragazzi da me maltrattati.

Vi auguro buona Pasqua, non credo che riuscirò ad aggiornare domenica per farvi gli auguri, godetevi le vacanze!

Mary

P.S. Oggi ho scoperto che si scrive "rimuginare" e non "rimuNginare", come ho sempre pensato che si dicesse. I traumi della vita. Grazie Sweetophelia, per avermi illuminato. Sono un'ignorante.

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Capitolo 9
*** Adolescente frustrato con gli ormoni in subbuglio ***


 

 

 

Matteo Conti era un idiota.

Matteo Conti sapeva di essere un idiota.

Alla fine tutti sono un po’ idioti al mondo, no?

Solo che quella volta lui era stato davvero molto idiota.

Però ne era consapevole, ed era già qualcosa.

Matteo imboccò la via che portava a scuola, sbadigliando.

Idiota e pure addormentato. Di questo passo non sarebbe mai riuscito ad attuare il suo piano.

Il biondo si bloccò all’improvviso, dopo aver oltrepassato una panchina, poi si voltò perplesso.

Su quella panchina stava seduto Marco Poli.

Ci si poteva porre una domanda assolutamente lecita, a quel punto.

Che diavolo ci faceva Marco Poli seduto su una panchina alle nove meno un quarto del mattino, invece che essere davanti a un banco?

Nel caso di Matteo si poteva rispondere che lui era giustificato, perché la sua professoressa di latino era malata e la sua classe entrava un’ora dopo. Ma Marco che scusa aveva?

-Cosa… da dove sbuchi tu?-

Domandò dopo un attimo di silenzio.

Marco lo salutò con un cenno del capo.

-Sto decidendo se bruciare scuola o no, oggi.-

Rispose tranquillamente.

Matteo inarcò un sopracciglio.

-Ah.-

-E tu?-

-Profe di latino malata. Entriamo un’ora dopo. Hai deciso se bruciare o no?-

-Mh… non saprei. Tu cosa mi consigli?-

Matteo si chiese se per Marco fosse normale parlare di saltare scuola come lo era parlare del tempo.

-Boh. Io ci andrei, considerato che tra un mese abbiamo gli esami.-

Marco annuì assorto.

-Sì, hai ragione. Magari stamattina è meglio andarci.-

Convenne alla fine con tranquillità.

Matteo gli battè una mano sulla spalla con fare comprensivo.

-Quale scusa ti sembra migliore per il ritardo di un’ora? Essersi sentito male o aver perso l’autobus?-

-Che insegnante hai adesso?-

-Matematica, la Ferrucci.-

-Allora dille che ti sei sentito male stanotte e che hai fatto un grande sforzo per venire. È una che si muove sempre a compassione la Ferrucci.-

Marco annuì di nuovo sospirando, ormai rassegnato all’idea di dover andare a lezione.

Matteo non sapeva dire se fosse più strano lui o Luca. Certo, era una bella gara, ma aveva ancora tempo per decidere a chi assegnare la medaglia d’oro della stranezza.

Per fortuna però che non era un tipo timido e spaurito, perché in un periodo del genere non se la sarebbe cavata molto bene nel gruppetto del Doposcuola Punitivo, di cui ormai faceva parte.

Dopo la litigata di due giorni prima tra lui e Irina la tensione tra i ragazzi era palpabile.

Fran e Giovanni si erano subito schierati dalla parte della ragazza, essendo suoi amici da più tempo, e Sara lo fissava sempre contrariata, irritata dal suo comportamento e dispiaciuta per Irina.

Gli unici che non erano cambiati di una virgola erano proprio Marco e Luca.

Il primo perché probabilmente non se la sentiva di giudicare, non essendo affari suoi, il secondo perché per lui avevano importanza solo il suo computer e, come Matteo sospettava, Sara.

Quindi Matteo si era inevitabilmente avvicinato a Marco, che gli piaceva per la sua schiettezza, per un’incredibile irrispettosità delle regole, se queste si mettevano tra lui e il suo piano, e per la sua calma, che poteva nascondere sia un lato bonario sia uno diabolico.

-E il piano?-

Chiese il moro dopo un attimo di silenzio.

-Va in atto oggi.-

-Sarò presente al tuo funerale. Come suonatore di organo, magari.-

-Sono davvero così spacciato?-

Marco lo guardò eloquentemente.

-Ripetimi i dettagli del tuo piano, per favore.-

Matteo ci pensò su per un attimo e poi disse:

-Farmi perdonare.-

Per tutta risposta Marco si guardò la maglia.

-Perfetto, sono già vestito a lutto.-

Disse indicando la maglietta nera.

-Che simpatico.-

Commentò con una sua smorfia il biondo.

-Secondo te se le chiedo di incontrarci davanti al muro della palestra viene?-

L’amico alzò gli occhi al cielo.

-Oggi a casa hai dimenticato cervello e tatto, a quanto pare. Sarà difficile fare un funerale, se Irina disperde il tuo corpo per il Michelangelo.-

-Perché, scusa?-

-Ma ti sembra una cosa intelligente, darle appuntamento davanti alla parete su cui ha dovuto cancellare il suo murales per colpa tua? Ammesso che sia davvero colpa tua, certo.-

Concluse lanciandogli un’occhiata fugace.

-Saprai cos’è successo dopo che l’avrò spiegato ad Irina.-

Non aveva detto niente né a Marco, né a nessuno altro. Voleva che la prima a sapere come erano andate le cose fosse Irina. Gli sembrava una cosa giusta nei suoi confronti.

Marco scrollò le spalle e diede un’occhiata all’orologio.

-Sono abbastanza pallido?-

-Tu sei sempre pallido, Biancaneve.-

Replicò l’altro beffardo.

-Tanto meglio, così farò più pena alla Ferrucci.-

Commentò lui dirigendosi verso la scuola.

 

-Questo argomento probabilmente vi sarà chiesto agli esami, quindi fate attenzione.-

Matteo guardò scettico Massimiliano Petrarca, professore di fisica –si era sempre chiesto se avesse scelto di insegnare una materia scentifica per pura ribellione al suo cognome-.

Ormai gli insegnanti usavano sempre la scusa degli esami per farli stare più attenti. Era convinto che fossero perlopiù degli illusi.

Infilò la mano in tasca ed estrasse il cellulare.

-Che fai, una partita a “Brik Breaker”?-

Chiese Aldo Visconti, suo vicino di banco, con gli occhi che brillavano alla prospettiva di distrarsi dall’ora di fisica.

-No, Visco, devo scrivere un messaggio. Giuro che dopo ti faccio fare una partita. Se tu mi fai giocare al “Music Quiz” del tuo Ipod.-

Aldo annuì complice e decise di non seguire comunque la lezione, girandosi per parlare con Marina Di Filippo, il suo ultimo, nonché impossibile, tentativo di conquista. Impossibile perché quest’ultima era già persa per Marco Poli, presentatole un giorno da Matteo. Non è piccolo il mondo?

Matteo guardò incerto la tastiera, dove aveva scritto di getto: “Vieni davanti alla palestra prima di pranzo, Testa a Cespuglio. Dobbiamo parlare.”

Pensò che quel giorno avrebbe davvero rischiato la pelle.

Forse però preferiva essere picchiato a sangue da Irina, piuttosto che essere ignorato con tutta quella freddezza da lei, come era successo il giorno prima.

Il gelo che gli riservava Irina era mille volte peggio di quando si era infiammata e gli aveva dato uno schiaffo. Senza pensarci si passò una mano sulla guancia. Irina Rainieri lo aveva schiaffeggiato. Se ci pensava sentiva ancora un lieve pizzicorio sulla pelle.

Sapeva di essersi meritato quello schiaffo, almeno in parte, ma voleva rimediare. Ci avrebbe provato, perlomeno.

-Teo? Hai finito?-

Lo interruppe un Aldo Visconti piuttosto infastidito dalla mancanza di attenzione di Marina, che voleva seguire la spiegazione. Quella ragazza studiava troppo, lo aveva sempre detto lui.

-Sì, aspetta un attimo, Visco.-

“O la va, o la spacca.” Pensò nell’inviare il messaggio, per poi dare il cellulare ad Aldo e cominciare a rispondere alla prima domanda del “Music Quiz”.

 

Giovanni guardava la vicina di banco di sottecchi, senza ascoltare una parola di quanto diceva che Alessia Misio, professoressa di storia dell’arte. Poveri insegnanti del Michelangelo, quel giorno non li considerava nessuno.

Il ragazzo non poteva fare a meno di notare che spesso lo sguardo dell’amica si soffermava sul muro bianco della palestra, ben visibile dalla loro classe.

Ad un tratto Irina sobbalzò, distogliendo lo sguardo dalla finestra.

-Che c’è?-

-Mi vibra la tasca.-

Rispose lei estraendovi il cellulare per poi aprire la casella dei messaggi in arrivo.

Giovanni la guardò mentre le mani della ragazza si chiudevano in una morsa ferrea intorno al telefono.

-Iri, così lo distruggi. Cosa c’è scritto?-

Per tutta risposta lei glielo porse.

Giovanni sgranò gli occhi. Non sapeva che Matteo desiderasse una morte così violenta, era ancora tanto giovane.

-Hem… che farai?-

Irina lo guardò, confusa e allo stesso tempo irritata.

-Non lo so. Mi sa che decido al momento.-

 

Ma Irina non ebbe tempo di decidere al momento.

Matteo, pensando che forse non sarebbe venuta, era già appostato fuori dall’ingresso dell’indirizzo Artistico, pronto a prenderla al volo.

Ecco perché Irina di sentì afferrare per il polso e trascinare in cortile mentre metteva il piede destro fuori dalla porta.

-Hey, Gio! come va? Ci vediamo dopo a pranzo, io e Irina dobbiamo fare due chiacchiere.-

Giovanni lo fissò torvo e perplesso allo stesso tempo, per poi avviarsi verso il bar dove mangiavano di solito, sperando che almeno uno dei suoi amici sapesse cosa succedeva.

 

Mentre trascinava una stranamente silenziosa Irina verso la palestra, Matteo pensò che forse quella era stata l’ultima volta che aveva visto Giovanni. Chissà se Irina gli avrebbe concesso come ultimo desiderio quello di vedere un’ultima volta i suoi amici, prima di ucciderlo. Doveva anche restituire l’Ipod a Visco.

-Ti ha mai detto nessuno che hai il tatto di un tricheco obeso?-

-Sì. Marco stamattina e Sara l’altro giorno, quando le ho pestato il piede.-

-Le voci della verità.-

Irina era sorprendentemente calma, e questo lo mandava ancora di più nel panico. Non era normale, cavolo!

Si fermarono davanti alla palestra e Irina lo guardò cupa, incrociando le braccia.

Matteo deglutì nervoso e sorpreso di avere ancora tutti gli arti attaccati al corpo.

-Hem.. allora… ciao.-

Disse dopo un po’.

Irina inarcò un sopracciglio.

-Ciao. Ne hai per molto, Conti? Ho fame. Mi piacerebbe sapere perché cavolo mi hai portato proprio qui, consapevole che non ne uscirai vivo.-

Disse tagliente.

Matteo deglutì di nuovo.

-E’ che… Irin-Testa a Cespuglio- si corresse vedendola assottigliare lo sguardo.- Vorrei mettere in chiaro alcune cose su.. su come mi hai trattato ieri.-

Irina sgranò gli occhi e aprì la bocca, probabilmente pronta a picchiarlo e a sbraitargli contro. Alla fine, però, non fece nessuna delle due cose. Si tolse lo zaino e si appoggiò al muro, con la fronte aggrottata.

-Quindi?-

Matteo decise di andare con ordine.

Forse prima era il caso di parlare di ciò che l’aveva ferita di più, e per cui non aveva effettivamente la colpa totale.

Nel frattempo la ragazza si era seduta per terra e lo guardava truce, sempre però con una strana disposizione ad ascoltarlo. Forse quel giorno non ci sarebbe stato nessun funerale.

-Posso sapere cosa ti ha detto la preside?-

Irina fece una smorfia.

-Mi ha detto che le avevi gentilmente consigliato di farmi cancellare il mio murales.-

Matteo si irrigidì. Gli vennero in mente tanti di quei simpatici epiteti rivolti alla loro amata preside, che sarebbero bastati a farlo espellere se li avesse sentiti la diretta interessata.

-No, non è vero!-

-No?-

Chiese Irina, lasciando spazio allo stupore sul suo viso, mostrandosi un po’ meno corrucciata di prima.

-No!-

Ripetè il biondo con veemenza.

-Ascolta, non è che le ho detto di farti cancellare il tuo murales! Cioè… non proprio, ecco. Senti, l’altro giorno stavo facendo ginnastica e il profe mi ha mandato in classe a prendere il registro. Quando sono tornato mi sono trovato davanti la preside che usciva dalla palestra. Quando mi ha visto mi ha fermato per sapere come andavano le prove per la sua recita. Dopo un po’ ha cominciato a lamentarsi della nostra condotta, di come ci siamo comportati male e di quanto spera che abbiamo imparato la lezione. Poi ha guardato il tuo murales ed è partita a fare mille lamentele su quanto fosse irrispettoso e poco raffinato…-

Matteo guardava Irina, che era arrossita e probabilmente stava rivolgendo alla preside gli stessi epiteti che prima aveva pensato lui.

-E niente, io mi sono un po’… rotto e me ne sono uscito con una frase tipo: “Oh, bè, se proprio non le piace lo faccia cancellare!”-

La ragazza sgranò gli occhi e Matteo fece istintivamente un passo indietro.

-Ma non è stata colpa mia! Cioè, sì, ma non credevo nemmeno che mi avesse sentito, o che mi avesse dato retta! L’ho detto senza pensarci, mi aveva esasperato! Insomma, non volevo davvero che te lo facesse cancellare, lo sai che mi piaceva, e poi non ho nemmeno detto che avresti dovuto cancellarlo tu!-

Esclamò tutto d’un fiato, parlando con tale velocità da attaccare tutte le parole.

Il ragazzo prese fiato, di cui si era privato poco prima, quando parlando si era scordato di respirare.

-Mi dispiace…-

Disse alla fine.

Irina lo fissava con gli occhi ancora sgranati e le guance colorate di rosso. Poi sospirò, allo stesso tempo irritata e in imbarazzo.

-Conti, maledizione, quando imparerai a pensare prima di parlare?-

Disse squotendo la testa e prendendosela tra le mani, facendole affondare nei ricci.

-Mi dispiace…-

Ripetè lui, augurandosi di sembrare sincero. E lo era, sul serio.

-Pensavo che lo avessi fatto per vendicarti.-

Disse lei dopo un po’.

-Per vendicarmi?-

-Sì, bè per… per quello che è successo qualche giorno fa.-

Spiegò Irina arrossendo, ma tornando all’aria contrariata nel ripensare all’episodio e al conseguente comportamento di Matteo.

-Mh, sì, giusto. Credo che sia un’altra cosa di cui dovremmo parlare.-

-Direi.-

-Posso sedermi o mi spezzi le ossa?-

Irina alzò di nuovo gli occhi su di lui.

-Perché credete tutti che sia una violenta?-

-Perché lo sei.-

Non riuscì a trattenersi il biondo, dandosi mentalmente dell’idiota, perché dare della violenta a Irina non era certo il modo migliore per farsi perdonare.

-Non è vero, io… oh, siediti, dai!-

Sbottò la riccia, indicando il pavimento accanto a lei.

-Dunque…-

Cominciò il ragazzo una volta sedutosi.

In effetti Matteo non sapeva nemmeno da dove iniziare. Non aveva molte scusanti per il suo comportamento. Semplicemente era da un po’ che voleva passare un po’ più di tempo con lei –dal giorno dell’autobus maledetto, per essere precisi.- così quel giorno le aveva chiesto di recitare con lui. Poi la cosa era degenerata, doveva ammetterlo. Non si aspettava certo che si sarebbe conclusa con un litigio così grande. Si diede di nuovo dell’idiota.

Si schiarì la voce e riprovò.

-Qualche giorno fa… bè sì, insomma, ti ho chiesto di recitare con me.-

-Sì. Sì, me lo ricordo.-

Rispose lei un po’ sarcastica.

-Però non mi ero mica spettato che sarebbe finita così.-

-Non è colpa mia.-

Si lasciò sfuggire la ragazza, ma Matteo sapeva che aveva ragione.

-No. No, lo so che è colpa mia. È che io…-

E’ che io quando mi sei finita così vicina da poterti baciare avevo una gran voglia di farlo.

No, se avesse detto così lei sarebbe scappata urlando che un maniaco aveva cercato di approfittarsi di lei. Solo che era più o meno così che lui si era sentito quando aveva visto la prospettiva di poterla baciare.

Oh, cavolo, era diventato un maniaco e non se ne era nemmeno accorto.

-Per quella cosa del bacio… mi dispiace di averti preso in giro e aver preteso che mi baciassi. Non so cosa mi è preso. Quando ho avuto la possibilità di farlo… diciamo che ho pensato che non sarebbe stato male provare a baciarti. Insomma, volevo baciarti, da quel che ho capito, e mi ha dato un po’ fastidio che tu non volessi. Bè, non è un gran che essere rifiutati…-

Mentre cercava di esprimere a parole i suoi pensieri, già abbastanza confusi nella sua mente, non si era accorto che Irina aveva perso del tutto l’espressione arrabbiata, e che il suo volto diventava ad ogni sua parola più rosso.

-Insomma, lo so che ho sbagliato, ma… non potresti lasciar correre? Probabilmente avevo gli ormoni un po’ in subbuglio.-

Concluse impacciato facendole sgranare gli occhi.

-Cioè, se ho capito bene in quel momento rappresentavo lo sfogo di un adolescente frustrato con gli… ormoni in subbuglio?-

Domandò ormai color bordeaux.

Matteo voltò di scatto la testa, diventando quasi più rosso di lei.

-Cosa? No! Oddio, no! Io… non sono un adolescente frustrato!-

Cominciò a farfugliare, ignorato da Irina che faceva i suoi ragionamenti, nella voce quella che sembrava una nota di divertimento.

-Quindi, come noi donne una volta al mese abbiamo i nostri problemi, voi avete periodi con gli “ormoni in subbuglio”. Mi sembra equo.-

-Oh, fantastico! Ma che… tu sei fuori di testa!-

Farneticava sempre più imbarazzato, provocando in Irina il principio di una risata.

-No, ok, non sono venuto qui per sentirmi dire ‘ste cose. Sono venuto qui, guardando in faccia la morte- ignorò le sopracciglia inarcate di Irina a questa frase. –per fare pace con te!-

Lei ridiventò seria, ma Matteo notò che sembrava più triste che arrabbiata. Il che era anche peggio.

-Conti, se ci tenevi così tanto a fare pace con me, perché cavolo mi hai evitato e trattato male per due giorni?-

Chiese guardando la matita che teneva dietro l’orecchio.

Lui sospirò.

-Bè, io mi sono accorto di essere stato un idiota abbastanza presto in realtà, credo la sera stessa… ho addirittura sognato che dovevo baciare Giovanni, ma lui si rifiutava e cercava di farmi baciare un pesce.-

Irina fece uno strano sbuffo, probabilmente per nascondere la risata che il sogno le aveva suscitato.

-Perciò avevo pensato di scusarmi la mattina di lunedì. Però tu non sei venuta a scuola e io ho pensato che l’avessi fatto per evitarmi perché eri arrabbiata con me, quindi mi sono arrabbiato a mia volta.-

-Ero malata. Sabato il mal di testa mi stava uccidendo, poi mi è venuta le febbre e sono stata a rinchiusa in stanza per tutta la domenica e il lunedì.-

-Ah.-

Fu la risposta imbarazzata e colpevole di Matteo.

-Sono un imbecille, mi sa.-

-Sa anche a me.-

-Scusa.-

Ci fu un attimo di silenzio, poi Irina sospirò.

-Ok.-

Matteo si voltò verso di lei, speranzoso.

-Ok?-

-Ok.-

Confermò lei con un accenno di sorriso.

-Aspetta, guarda…-

Disse lui cominciando a frugare nello zaino sotto lo sguardo curioso della ragazza.

Estrasse delle bombolette spray, porgendogliele una dopo l’altra.

-Ho pensato che se ti andava potevamo fare un altro murales. Diverso, o uguale a quello di prima, come vuoi.-

Questa volta Irina sorrise apertamente, annuendo.

-Ok.-

 

-Sono vivo.-

Concluse Matteo, accendendosi di soddisfazione.

-Tutte queste idee dei miei istinti omicidi…-

Borbottò lei, guardandolo poi sorridente.

-Posso raccontare a Giovanni del sogno con lui e il pesce?-

-No! Penserà che sono interessato a lui!-

Esclamò inorridito.

-Bè, Giovanni non è così brutto…-

Matteo fece una smorfia.

-Ecco, prima Marco, poi Giovanni. Ora mi verrai a dire che sei follemente innamorata di Luca.-

-Tecnicamente neanche lui è un cesso, ha pure il fisico dell’atleta, visto che è specializzato in basket a scuola. Quindi alla fine voi ragazzi del Doposcuola siete tutti abbastanza carini.-

Concluse arrossendo leggermente mordicchiando la matita.

-Tutti?-

-Tutti.-

-Anche io?

Domandò trionfante il biondo. Lei arrossì.

-Anche tu, sì, Conti…-

-Ah!-

Esclamò lui con un gesto di vittoria, facendole alzare gli occhi al cielo.

-Irina Rainieri è follemente innamorata di me!-

-Cretino…-

Borbottò dandogli un pugno sulla spalla.

-Posso farti due domande?-

-Dimmi.-

-Domanda numero uno.- cominciò.

-Com’è possibile che tu abbia accettato subito di ascoltare le mie ragioni? Pensavo di doverti rincorrere per il Michelangelo.-

-Te lo dico, ma tu non ti arrabbiare, ok?-

-Ok…- rispose un po’ incerto.

-Avevamo fatto una scommessa io e Marco. Lui ha scommesso che non avrei resistito ad ascoltarti e ti avrei ucciso subito, io il contrario. Mi deve un pranzo.-

Aggiunse poi trionfante.

Matteo non sapeva se considerare Marco il miglior amico di sempre perché lo aveva aiutato a farsi perdonare, o se odiarlo perché aveva scommesso a suo sfavore.

-Quindi… la prossima volta che succede una cosa del genere mi devo ricordare che sei nel tuo “periodo degli ormoni in subbuglio”, giusto?-

-Io.. ah, lascia perdere, diciamo così, che è più facile.-

Si arrese nuovamente imbarazzato.

-Numero due.-

-Come?-

-La domanda numero due. Qual è?-

-Ah, sì, giusto. Posso chiamarti per nome?-

-Che domanda è?-

-Non ti ho mai chiamata per nome. Posso farlo?-

-Direi che sarebbe anche ora! Pensavo che odiassi il mio nome!-

-No! No, è un bel nome, ma pensavo di non avere il permesso.-

Lei lo guardò incredula.

-Bè sì, certo che hai il permesso, scemo! Non dovevi nemmeno chiederlo!-

-Ah… ok…-

Irina sorrise di nuovo e Matteo pensò che davanti a lui non aveva mai sorriso così tanto. Gli piaceva, però, che lo facesse, e che lui fosse la causa di quel sorriso.

-Teo, davvero possiamo fare un altro murales?-

-Certo.-

Il sorriso di Irina si aprì ancora di più.

-Posso farti vedere lo schizzo di qualche idea che mi è venuta?-

-Di già?-

Lei annuì energicamente.

-Mi sono venute mentre parlavamo di voi ragazzi del Doposcuola.-

-Vuoi disegnare le nostre facce sul muro della palestra? Non è male come idea.-

-No, scemo. Adesso ti faccio vedere.-

-Irina tirò fuori il blocco da disegno dallo zaino e tolse la matita da dietro l’orecchio, per poi avvicinarglisi e appoggiare il blocco sulle loro ginocchia, iniziando a disegnare.

Sentendo i loro corpi a contatto Matteo ringraziò che non avesse fatto battute sugli ormoni. Percepì una morsa all’altezza dello stomaco, per niente spiacevole, quando Irina si appoggiò alle sue gambe per disegnare meglio e sorrise sereno.

-Comunque Luca non ha esattamente il fisico dell’atleta. A me sembra un po’ gracilino.-

Irina gli diede una spallata.

-Invidioso.-

 

Il sopracitato Luca Grigori si aggirava guardingo per il cortile del Michelangelo.

Aveva sempre detto di avere una sfortuna micidiale, e quella ne era la prova definitiva.

Rabbrividì. Chissà se sarebbe mai tornato indietro per raccontare quello che avrebbe visto.

Quando Giovanni si era presentato al bar dicendo che Matteo aveva trascinato via Irina il gelo era calato sui ragazzi.

Matteo e Irina. Da soli. Dopo quello che era successo. Non sarebbero sopravvissuti in due a una cosa del genere.

Tutti temevano più per la vita di Matteo naturalmente; Irina era così arrabbiata in quei giorni.

Quando era passato un po’ di tempo e la preoccupazione –e la curiosità- era alle stelle Giovanni aveva proposto che qualcuno andasse in avanscoperta.

Così avevano stabilito che chi avrebbe pescato lo stuzzicadenti più corto sarebbe andato a sfidare la morte.

Luca fissò rabbioso il suo stuzzicadenti, che teneva ancora tra le mani. Era più corto di mezzo millimetro di quello di Giovanni.

E gli era toccato andare naturalmente.

-Luca! Hey, Luca!-

Il ragazzo si irrigidì e si voltò verso la voce che lo aveva chiamato. La voce di Matteo Conti.

E Matteo Conti se ne stava pacificamente seduto accanto a Irina Rainieri. Vivo e vegeto. C’era qualcosa che non andava.

-Parlavamo giusto di te!-

Esclamò il biondo alzandosi e raggiungendolo. Poi gli prese un braccio e lo sollevò, rivolgendosi ad Irina.

-Visto? È magrolino! Non mi sembra affatto niente di che!-

 -Tutta invidia la tua, Conti. Tutta invidia.-

Oddio. Erano impazziti. Cioè, più del solito.

Però sembravano stare bene entrambi. Luca non vedeva tracce di battaglia, quindi decise di battere la ritirata e andare a riferire agli altri quello che aveva visto e sentito.

 

Sara lo vide entrare e spalancò gli occhi azzurri.

-Sei vivo.-

Luca annuì solennemente.

-Veni, vidi, vicit.-

-Casomai è “veni, vidi, vici”.-

Lo corresse Marco.

Al diavolo, Luca e il latino non sarebbero mai andati d’accordo.

-Allora, li hai visti?- Chiese Fran agitata.

Luca annuì.

-Sono vivi tutti e due?-

Luca annuì di nuovo e rubò a Giovanni il pezzo di pizza che aveva tra le mani. Doveva ancora vendicarsi del fatto che il suo stuzzicadenti era più corto di mezzo millimetro del suo.

-Hey!- Protestò quest’ultimo, per poi chiedere –Nessuno spargimento di sangue? Matteo ha tutti gli arti al posto giusto?-

Luca annuì un’altra volta, poi si rivolse a Marco.

-Prima che me ne andassi Irina mi ha detto di dirti che le devi un pranzo.-

Marco sorrise, nonostante fosse la prima scommessa che perdeva in vita sua.

-Quindi adesso è tutto a posto?- Chiese Sara.

-Boh, immagino di sì. Non sembravano arrabbiati, erano anche seduti vicini.-

-Vicini?-

-Mh.-

Confermò lui con la bocca piena.

-Quella sarebbe la mia pizza.-

Mugugnò invece Giovanni.

Fran lasciò cadere la testa sul tavolo del bar, sospirando sollevata.

-Questo vuol dire che tutto tornerà alla normalità. Bè, per quanto fossero normali prima.-

-Voglio proprio vedere con che faccia tosta si presenteranno quei due.-

-Io scommetto che faranno finta di niente.-

Disse Marco guardando Giovanni.

-Io non scommetto niente, grazie. Mi hai quasi prosciugato il portafogli ieri a furia di scommesse, e questo troglodita mi ha fregato il pranzo.-

Rispose lui, fulminando Luca, che continuò incurante a parlare con Sara, per nulla toccato dai sensi di colpa.

Marco guardò i due che parlavano, poi Giovanni che borbottava qualcosa a proposito del suo buco nello stomaco e infine Fran, che aveva ancora la testa poggiata sul tavolo.

-Fran?- La chiamò, sperando che fosse di umore abbastanza buono da non trucidarlo.

Lei sollevò la testa e lo guardò, una nota di dispetto negli occhi.

-Mh?-

-Io non ti piaccio molto, eh?-

La ragazza sgranò gli occhi, probabilmente colpita dalla sua schiettezza.

-No, non troppo in effetti. Ma solo perché hai mandato all’aria mesi di lavoro.-

Lui sospirò.

-Io non ho mandato all’aria un bel niente.-

-Come no? Io non la so fare una coreografia su musica classica, avevo già preparato altre canzoni, di ben altro genere.-

-Ma chi ti ha detto che io suono solo musica classica, scusa?-

Fran spalancò gli occchi e lo guardò interdetta.

-Cioè, tu… se volessi potresti provare ad arrangiare per il piano le canzoni che avevo preparato?-

-Direi proprio di sì. In realtà avevo già cominciato con qualcuna…-

-Tu… e perché diavolo non me lo hai detto prima?-

-Perché volevo vedere se ci arrivavi da sola.-

-Io… oh, vabbè, lasciamo perdere. Dopo proviamo qualcosa, ok?- Sospirò la ragazza, girandosi poi verso Giovanni, che non aveva ancora smesso di lamentarsi.

-Gio! Piantala di lagnarti! Prendi e comprati tutte le pizze che vuoi!-

Esclamò schiaffandogli davanti venti euro.

Giovanni le sorrise con gli occhi che brillavano, poi si catapultò al bancone del bar.

Guardandolo Fran pensò che Irina e Matteo non erano gli unici pazzi del gruppo del Doposcuola.

Lei era un’allegra schizofrenica iperattiva, Luca era un ameba, Sara una finta timida interessata a un ameba, Marco… bè, non si poteva definire normale nemmeno lui.

Se nel Doposcuola Punitivo fosse entrato qualcuno di normale, probabilmente sarebbe scappato subito e avrebbe cambiato scuola.

-Credo ti abbia preso alla lettera.-

Fran guardò perplessa Marco, che aveva parlato, e poi inorridita Giovanni, che stava svaligiando il bar con i suoi soldi.

-GIOVANNI!-

 


 

 

 



*Angolo di Mary

Odio maggio. Lo odio. E' un mese di torture.

Lo so, sono in ritardo mostruoso, mi dispiace un sacco!

Però, davvero, la scuola non mi dà tregua, l'altro giorno sono stata interrogata per tre ore di fila in tre materie diverse, fate voi.

Quindi il capitolo era tutto pronto in testa da secoli, ansioso di essere scritto e io non avevo mai tempo per farlo. Per miracolo ce l'ho fatta, alleluja!

Sì, amo Matteo.

Sì, amo anche Luca.

Sì, adesso che l'ho descritto e presentato meglio amo anche Marco.

No, non ho dimenticato Giovanni, infatti amo anche lui!

Eeeecco, qua, ora sono tutti felici e contenti, i due idioti si sono chiariti e nessuno dei due è morto. Luca è tornato incolume dagli altri e loro hanno dato tutti insieme prova della loro demenzialità.  Quanto li amo, sono tutti esageratamente idioti. 

Mi è piaciuto da matti scrivere l'ultima parte del capitolo, mi mancavano gli altri ragazzi del Doposcuola.

Non so, ho reso Marco uno scommettitore senza nemmeno averci mai pensato. Ma mi piace questa cosa, quindi...

Giovanni poveraccio, lo rendo sempre una povera vittima, gli rubano sempre qualcosa o simili, ma gli vogliono tutti bene.

Che dire, grazie davvero a chi recensisce, a chi legge, segue e mette tra i preferiti. Aumentate ad ogni capitolo e io mi metto sempre a gongolare.

Il prossimo capitolo avrà una doppia trama, diciamo. Nel senso che i protagonisti di una trama saranno Matteo e Irina, e contemporaneamente i protagonisti di un'altra saranno altri ragazzi del Doposcuola. 

Basta, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è un po' lunghetto, ma dovevo dire tutte quelle cose e farmi perdonare per l'attesa.

Non credo che aggiornerò tanto presto, mi sa, la fine della scuola (almeno secondo me) è ancora lontana, così come la generosità dei miei professori.

Mary

 

P.S. E' probabilissimo che ci siano un mucchio di errori. Scusate, ma ero di fretta. Mi sembra di averli corretti tutti, o quasi adesso. .

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Capitolo 10
*** Tornando alla normale, ordinaria pazzia ***


 

Questo capitolo è dedicato in parte a morgana92, che recensisce sempre e che sta facendo la maturità. Spero che quando leggerai questo capitolo potrai tirare un po' il fiato, intanto tanti auguri!





No.

No.

No no no no…

Non potevano essere già le sette di mattina.

Eppure la sveglia continuava a suonare.

Matteo afferrò il cellulare e lo lanciò da qualche parte della stanza, consapevole che tanto non si sarebbe rotto.

Quello che si ruppe fu invece lo specchio che centrò in pieno.

Fantastico. Sette anni di sfortuna.

Il biondo cacciò la testa sotto il cuscino mugugnando.

Silenzio finalmente.

Respirò profondamente con gli occhi chiusi, pronto a riaddormentarsi.

Biiiip biiiip biiiip…

Aprì gli occhi di scatto.

No. Non di nuovo.

Imprecando molto elegantemente rotolò fuori dal letto e strisciò per la stanza, alla ricerca del cellulare.

Quando lo trovò tra i vetri dello specchio, si accorse che il cellulare non stava squillando per la sveglia, ma per una chiamata. Prima di rispondere notò anche che sul display l’ora segnata era le quattro e un quarto. Di notte.

-‘Onto?-

Rispose biascicando mezzo addormentato.

-Dove cavolo sei?-

-Hem… a casa?-

Riuscì ad articolare, anche se la risposta che avrebbe voluto dare era: “Sul pavimento di camera mia sdraiato sui cocci del mio specchio.” Il sonno però non gli permetteva di formulare una frase tanto lunga.

-Te ne sei dimenticato, eh?-

Disse la voce dal telefono.

-No, no, affatto! Aspetta… di cosa stai parlando? E poi, chi sei, scusa?-

Dal telefono uscì un sospiro.

-Conti, chi diavolo vuoi che sia?-

-Non lo so… mmmh… un indizio?-

Era davvero troppo addormentato per capire con chi stava parlando e che la conversazione sfiorava livelli di demenzialità assurdi.

-Sono Irina, Matteo, cavolo! E tu dovresti essere qui da un quarto d’ora!-

-Qui dove, scusa?-

-A scuola, genio. Ti ricordi cosa abbiamo deciso ieri, biondo?-

Matteo rimase per un po’ in silenzio, sforzandosi di pensare.

Poi nel suo cervello un campanello d’allarme tremendamente assordante suonò.

-Ah! Oh, cavolo! Arrivo subito!-

Urlò chiudendo la chiamata e gettandosi alla ricerca di zaino e vestiti.

 

Mentre correva notò la figura di Irina che lo aspettava a braccia conserte davanti al cancello.

Il giorno prima avevano deciso finalmente di andare a fare il nuovo murales e questo ovviamente richiedeva l’essere a scuola ad un’ora indecente.

-Finalmente! Ho già preparato tutto.-

Lo accolse lei mostrando un sacchetto di plastica che teneva nella mano destra.

-Che faccia sveglia.-

Aggiunse guardandolo.

-Sai com’è, sono le quattro e tre quarti del mattino.-

Rispose lui guardando con orrore l’orologio.

-Appunto! Siamo in ritardo.-

Esclamò lei cominciando a frugare nelle tasche.

Matteo si chiese come facesse ad essere così sveglia e attiva a quell’ora. Probabilmente il giorno prima era andata a letto alle sei, o aveva bevuto dieci litri di caffè.

Lui invece non aveva fatto nessuna delle due cose e stava morendo di sonno.

 

Irina notò lo sguardo perso e addormentato dell’amico e gli passò un termos.

-Caffè forte. Se non ti sveglia questo, vorrà dire che recupererai il sonno durante le ore di lezione.-

Il biondo afferrò il termos e se lo scolò tutto.

Irina, dopo aver svuotato le tasche dal miliardo di oggetti che contenevano, estrasse finalmente un mazzo di chiavi, con cui aprì il cancello sotto lo sguardo stupito di Matteo.

-Hey! E quelle dove le hai prese?-

-Me le ha date Petrarca.-

Matteo sgranò gli occhi.

-Il profe di fisica?-

-No. Elia Petrarca, il figlio. Fa l’artistico.  Gli ho dato la metà dei miei risparmi, gli ho fatto qualche compito, e lui mi ha regalato queste.-

Disse mostrando trionfante le chiavi.

-Piuttosto carino, tra l’altro. Più piccolo di un anno, però.-

Aggiunse poi, solo per vedere la reazione di Matteo.

Lui borbottò qualcosa che somigliava a “moccioso” o “marmocchio”.

Irina sorrise lievemente, senza sapere nemmeno bene perché.

Arrivarono davanti al muro della palestra e lei si fermò, emozionata.

Pensò alle parole che le aveva detto Matteo il giorno in cui si erano conosciuti.

“Noi siamo come dei fuorilegge.”

Guardò di nuovo la parete bianca.

Oh, lo erano eccome.

 

-Hey, niente male. Niente male davvero! Testa a Cespugio, sei un piccolo talento!-

-Ti ho dato il permesso di chiamarmi per nome e tu continui a chiamarmi “Testa a Cespuglio”.-

Borbottò lei, leggermente arrossita per il complimento.

-Eh, sono abitudini di gioventù.-

Commentò Matteo, come se fosse un matusalemme vissuto nei secoli dei secoli.

-Sto morendo di sonno.-

Aggiunse sbadigliando.

Irina guardò l’orologio.

-Sono quasi le sette. È meglio andare via; se la preside mi becca un’altra volta mi espelle direttamente.-

-Perché, credi di salvarti comunque? Sarai la prima persona a cui penserà nel vedere la palestra.-

Irina scrollò le spalle noncurante.

-Questo non mi preoccupa. Vieni, c’è un bar vicino che apre tra poco. La colazione è d’obbligo, assistente biondo.-

Matteo fece una faccia offesa.

-Assistente? Ma che assistente e assistente, io sono stato fondamentale!-

-Hai fatto da palo e mi hai passato le bombolette. Sei un assistente.-

 

-Però devo ammettere che sei stato un palo migliore di Fran; non siamo stati beccati.-

Disse quando si sedettero al tavolino del bar, davanti a due colossali tazze di caffè.

Matteo gonfiò il petto orgoglioso, come se avesse riicevuto chissà quale complimento. Lei ridacchiò leggermente, poi osservò curiosa la sua mano.

-Che hai fatto lì?-

Lui seguì il suo sguardo, perplesso, e notò un taglio vicino al pollice.

-Oh. Devo essermelo fatto prima, strisciando tra i vetri dello specchio… lascia stare, è una lunga storia. La mia vita è avventurosa.-

Irina nascose una risata nella tazza di caffè.

 

-Hai un aspetto orribile, che ti è successo?-

Sara salutò così Matteo, che li aspettava seduto sul muretto della scuola insieme ad Irina.

-Ciao Sara, ti amo anch’io. Vuoi sposarmi?-

A Fran non sfuggì la strana occhiata che Luca rifilò al biondo. Si concentrò poi su Irina, che aveva una faccia tra l’addormentato e l’eccitato. Conosceva la seconda espressione, e aveva paura a chiederle cosa l’aveva provocata. Andava fatto, però, quindi prese coraggio e si rivolse a lei.

-Iri, c’è qualcosa che devi dirci?-

Irina le rivolse un grande sorriso.

-Ho fatto una cosa.-

Matteo annuì consapevolmente.

-Immagino che ti abbia coinvolto.-

-Sì. È pazza.-

Disse lui, improvvisandosi vittima.

Irina gli rifilò un pungo sul braccio.

-E’ stata una tua idea!-

-Ahi! Ecco, ora che si pone l’argomento, alzi la mano chi pensa che Irina sia violenta!-

Irina mise subito le braccia dietro la schiena con aria innocente.

-Nessuno di loro lo pensa. Vero, ragazzi?-

-Bè…- fu il commento brillante di Sara.

-Mh…- fu quello altrettanto brillante di Fran.

-Se dico quello che penso, poi tu mi picchi.- rispose invece Luca, confermando così la teoria di Matteo.

-Gio! Marco!-

Irina andò incontro ai due ragazzi appena arrivati.

-Pensate che io sia violenta?-

Chiese con aria minacciosa.

Marco tossì spostando lo sguardo altrove, Giovanni la guardò e disse con cautela.

-Cosa vuoi che ti risponda?-

Matteo si posizionò alle spalle di Irina.

-Accetta la realtà, Rainieri, i tuoi amici hanno paura di te e della tua sete di massacro.-

-Io non ho sete di massacro verso tutti i miei amici.-

Rispose lei guardandolo eloquentemente.

La prima campanella interruppe la conversazione a sfondo demenziale che stavano intrattendendo. Solo la seconda in giornata.

-Tornando a quello che dicevamo prima. Cos’hai fatto, Iri?-

Irina tornò a sorridere.

-Vedrai.-

Fran sospirò rassegnata.

-Odio quando fai la sibillina con me.-

-Ogni tanto deve succedere. Santani, a rapporto! Dobbiamo andare in classe, stai per essere interrogato in biologia!-

Giovanni impallidì.

-Lo so, non hai studiato. Credo di, hem… aver dimenticato di ricordarti che è riiniziato il giro di interrogazioni. Ma non temere! C’è l’ora di italiano in cui puoi studiare!-

Lo rassicurò con tono solenne, per poi avviarsi verso la porta dell’indirizzo Artistico, facendo loro un cenno di saluto.

Giovanni la seguì mestamente.

-Quando è così di buon umore fa paura.-

Commentò Marco guardandola allontanarsi.

Fran annuì, chiedendosi cosa avesse combinato per essere così spaventosamente allegra.

 

-Tu non sei totalmente normale!-

-Sbagliato. Siete tu e i tuoi amici che non siete normali.-

Fran si trattenne a stento dal tirare uno schiaffo a sua sorella.

-Ok, non so quale sia la concezione tua e dei tuoi amici di “normalità”, ma la mia presenza nel vostro corridoio perfetto pieno di gente perfetta non intaccherà la tua fedina penale.-

Sibilò assottigliando lo sguardo.

Teresa Molinari si guardò intorno per un attimo, poi tornò a guardare il libro che aveva dimenticato a casa e che la sorella maggiore le aveva portato.

-Sì, bene. Grazie per il libro, contenta? Adesso puoi andare? Se ti vedono Lorenzo e Giorgia mi fanno una predica assurda, sai cosa ne pensano di te e quegli altri.-

Fran pensò che quel giorno probabilmente non sarebbe stata solo Irina la ragazza violenta del gruppo.

-“Quegli altri” sarebbero i miei amici, giusto? Quelli del Doposcuola Punitivo.-

-Non siete un grande esempio, non trovi?-

-Ah, giusto, perché in questa scuola dobbiamo essere tutti perfetti come voi.-

-Non siamo perfetti, abbiamo semplicemente obiettivi seri.-

-Per quanto mi riguarda tu, Lorenzo, Giorgia e i vostri obiettivi seri potete andarvene a quel paese.-

Ringhiò incamminandosi per il corridoio dell’indirizzo Musicale.

Era stanca di dover sempre tirare fuori quel discorso con sua sorella. Ogni giorno era un continuo.

Lei e la sua stupida fissazione della perfezione in quella scuola di alto livello. Lei e la sua stupida fissazione di non dover sfigurare in quell’ambiente. Lei e la sua stupida fissazione per quei suoi stupidi amici che le impedivano di avere un rapporto civile con lei.

Ma che andassero tutti al diavolo!

Passò davanti all’ultima aula del corridoio, al cui stipite era appoggiato Marco Poli, che stava parlando con una biondina sorridente.

-Hey, che ci fai qui?-

Lei lo salutò con un rapido cenno.

-Faccio consegne a domicilio dell’ultima ora.-

All’espressione interrogativa di lui rispose con un: “lascia perdere.”

-Se vai al bar dagli altri vengo con te.-

Disse lui prendendo lo zaino.

Prima di andarsene si girò verso la biondina, che sorrise e disse.

-Quindi ci vediamo domani, a meno che non passi da te stasera.-

Poi si corresse subito, dandosi una manata in fronte.

-Dimenticavo, oggi è mercoledì. Niente, allora ci vediamo domani. Non ti dimenticare gli spartiti nuovi.-

-Non dimentico mai niente che abbia a che fare con la musica.-Rispose lui solennemente.

-Anche questo è vero. A domani, Schroe.-

Lui la salutò e si avviò con Fran verso luscita.

-Chi è, la tua ragazza?-

Chiese lei curiosa, ma allo stesso tempo scettica. Non ce lo vedeva Marco con una ragazza. Le sue compagne di classe avrebbero detto che era troppo carino e che era sprecato per avere una ragazza. Lei semplicemente aveva capito in quelle settimane che l’unico amore della sua vita era il suo piano.

Lui infatti rispose.

-No. È mia cugina di secondo grado, Monica Moretti.-

Fran sapeva che era maleducato mostrare troppa curiosità, ma sapeva anche che con Marco non si doveva preoccupare, visto che la superava in sfacciataggine. Così non si vergongò di chiedere: -Come mai ti chiama… com’era… Schroe?-

Marco sorrise.

-E’ collegato alle nostre fissazioni. Rispettivamente la mia per il piano e la sua per i Peanuts. Lei dice che somiglio a Shroeder, che è sempre incollato al suo piano.-

Fran annuì.

-Ha senso in effetti. E, se posso chiedere, cosa c’è di tanto importante il mercoledì?-

Come minimo era il giorno in cui si trovava con la sua ragazza. Sperò di no, avrebbe distrutto tutte le sue teorie.

Marco sorrise di nuovo.

-Oh, niente di che… cioè, è il giorno in cui mi dedico in tutto e per tutto al pianoforte.-

-Non lo fai già ogni giorno, scusa?-

-Sì, ma con delle pause, per esempio per studiare. Il mercoledì invece non faccio altro.-

In quel momento più che mai Fran era sicura che Marco potesse amare solo e soltanto il suo pianoforte.

 

-Non ci posso credere.-

-Immagino.-

-L’hai fatto davvero.-

-Lo abbiamo fatto davvero. Matteo mi ha aiutato.-

-Wow.-

-Mh.-

-E’ fantastico!-

-Grazie.-

Sorrise Irina guardando di nuovo dalla finestra della loro classe. Piaceva anche a lei il nuovo murales. Forse anche più di quello vecchio, ma non lo avrebbe mai ammesso.

-La preside ti ucciderà.-

-Non ha le prove che sia stata io.-

-Sì, però…-

-Professoressa Valenti, posso rubarle un attimo la Rainieri?-

-Wow. Dejavou.-

Bisbigliò Irina, rendendosi conto che stava ripetendo la stessa scena di qualche settimana prima.

La professoressa Valenti doveva pensarla allo stesso modo, perché prima guardò la Costanzi, poi guardò Irina con aria perplessa. Poi con un cenno della mano le fece segno di uscire dalla classe.

Irina sorrise a Giovanni, che la guardava poco convinto.

Non era preoccupata. La preside non aveva prove contro di lei, e in caso di domande avrebbe potuto mentire. Sarebbero state bugie motivate e a fin di bene, dopotutto.

Il dejavou finì non appena Irina uscì dalla classe e si ritrovò davanti Matteo Conti.

Invece che rivolgersi a lui, però, chiese alla Costanzi: -E lui cosa ci fa qui?-

Lei scrollò le spalle indifferente.

-Alla preside servirà un testimone oculare delle tue malefatte. Non so, Rainieri, perché dovete sempre fare domande a cui non si sa rispondere?-

Irina fece spallucce, abituata ormai alle risposte della bidella, e si affiancò  Matteo.

Nemmeno lui sembrava preoccupato, solo un po’ sorpreso di essere stato chiamato a sua volta.

Tutta via quando la guardò esibì un sorriso divertito che ne ricevette in risposta uno complice da parte della ragazza.

La Costanzi aprì la porta della presidenza e i due si prepararono ad affrontare la foresta amazzonica che li separava dalla cattedra.

-Vedo che non hai imparato niente in questi mesi, signorina Rainieri.-

Irina optò per sembrare confusa e fare la finta tonta, ben consapevole che l’attore Conti, seduto accanto a lei, avrebbe saputo fare di meglio.

-Perché? I miei voti non…-

Cominciò per essere subito interrotta dalla preside.

-Non sto parlando dei voti, avanti!-

Esclamò spazientita.

Irina cercò meglio che poteva di simulare un’espressione sorpresa.

-Io veramente…-

-Signorina Rainieri, vuoi farmi credere che non hai fatto tu quel… coso sulla parete della palestra?-

Disse indicando il murales, che dava bella mostra di sé visto anche dalla finestra della presidenza. Irina lo guardò un attimo, poi si girò verso la preside.

-No.-

Disse semplicemente. Con la coda dell’occhio vide Matteo, ancora seduto vicino a una gigantesca pianta con foglie abnormi e palesemente di plastica, che si mordeva il labbro per non ridere. Cercò di non farsi contagiare e di restare seria. Visto che però Conti sembrava divertirsi così tanto, perché non metterlo in mezzo?

-Scusi la domanda, ma Conti perché è qui con me?-

La preside la guardò dubbiosa per un istante, poi osservò Matteo.

-Ho chiamato qui il signorino Conti perché era in qualche modo coinvolto nella precedente storia che ti riguardava. Mi assicuri invece che questa non ti riguarda?-

-Sinceramente non penso che sarebbe saggio da parte mia fare una cosa del genere dopo che sono già stata punita per lo stesso motivo. Posso dire di aver imparato la lezione. Probabilmente qualcun altro avrà avuto la mia stessa idea.-

Disse sentendosi la persona più bugiarda del pianeta. Non aveva mai mentito così spudoratamente. Non si sentiva in colpa ovviamente, anzi, ci stava prendendo gusto.

-Io lo trovo bello, preside.-

Irina si voltò di scatto verso Matteo.

-Voglio dire, mi sembra che caratterizzi molto bene la nostra scuola. Io le suggerisco di tenerlo, se vuole dare un esempio di unità tra indirizzi. Visto che è l’ideale della nostra recita potrebbe farci da pubblicità.-

Concluse. Irina sorrise grata, non vista da lui, nascosta da un cactus gigante interposto tra le loro sedie.

Non sapeva se Matteo cercasse ancora di farsi perdonare, o fosse sincero, ad ogni modo non ebbe più dubbi che, in uno strano modo, certo, fossero amici.

Congedati da una confusa e non troppo convinta Lara Umbri, i due si diressero verso le loro classi e, prima di separarsi, quando furono abbastanza lontani dalla porta della presidenza, si guardarono per un attimo, poi scoppiarono a ridere.

 

-Non ci credo.-

-Sì, è più o meno quello che ha detto prima Giovanni.-

-Iri, sei il mio idolo.-

-Hey! Un po’ di allori anche all’assistente!-

Si intromise tra Fran e Irina un Matteo bisognoso di attenzioni.

-Aha! Allora ammetti di essere stato solo un assistente!-

Matteo si stampò una mano sulla bocca, accorgendosi dell’errore.

-E’ stupendo Iri, è un’idea geniale!-

Irina sorrise a Sara.

-Devo ammettere che quella è merito di Conti. Parlavamo del fatto che tutti i ragazzi del Doposcuola sono carini, visto che lui è attratto da Giovanni.-

Disse tranquillamente.

Giovanni allontanò rumorosamente la sua sedia da quella di Matteo con un’espressione orripilata e il biondo lasciò cadere violentemente la testa sul tavolo.

Irina continuò, probabilmente decisa ad umiliarlo fino in fondo.

-Sì, Gio, ma visto che tu chiaramente non ricambi decidi di fargli avere una relazione con un pesce.-

Matteo si voltò disperato verso Giovanni.

-Non ascoltarla. Ha respirato troppo il vapore delle bombolette e il suo cervello è rimasto intossicato. È solo uno stupido sogno che ho fatto.-

Giovanni lo guardò per un attimo, poi gli poggiò una mano sulla spalla.

-Teo, ascolta. Se hai dei problemi, dei traumi psicologici, dovresti parlarne con noi. Comunque mi dispiace, ma sono felicemente fidanzato, non posso donare a te il mio cuore.-

Forse fu per le parole che Giovanni pronunciò con una serietà incredibile; forse fu per il colore rosso acceso che assunse la faccia di Matteo, che poi si riugiò sotto al tavolo. Fatto sta che tutta la tavolata scoppiò definitivamente a ridere. Anche Luca si lasciò andare addirittura in un ghigno, che sembrava più perfido che divertito.

-Ma dicevi sul serio? Sei davvero felicemente fidanzato?-

A quel punto Luca pensò che la cosa stesse degenerando e che tutti i presenti avessero fumato qualcosa di tremendamente potente prima di pranzo. Perché Sara Donati non poteva aver fatto una domanda con un tono così malizioso. La guardò stranito, per poi sorridere leggermente.

-Cosa cosa? Giovanni Santani è felicemente impegnato e non ce l’ha mai detto?-

Matteo riemerse dal tavolo, chiaramente desideroso di passare il testimone dell’uomo sfottuto a Giovanni.

Giovanni sospirò teatralmente.

-Credevi che con la mia bellezza sovraumana non fossi riuscito ad ottenere una fanciulla? Ci vuole poco tempo per me!-

Matteo sentì al suo fianco Irina borbottare: “Seh, poco tempo. I secoli dei secoli ci hai messo.”

-Ma questa è tutta un’altra storia.-

Si intromise Fran.

-Io sono curiosa di sapere cosa c’entra l’aspetto dei ragazzi col murales.-

Irina fece spallucce.

-Non molto in realtà. Però mi ha fatto venire in mente che siamo tutti di indirizzi diversi e andiamo d’accordo lo stesso.-

-Ora si dà al sentimentalismo. Mi fate paura oggi. Siete sicuri di non essere fatti e strafatti?

Luca li guardava scioccato.

-Fuggirò con il mio portatile. Addio, gentaglia.-

Esclamò alzandosi e tentando una fuga strategica, per poi essere placcato da Matteo che urlava: -No, non andartene! Ho mentito, amo te, non Giovanni! Lui non vale niente!-

Mentre Giovanni valutava se sentirsi offeso, Luca scartò Matteo e uscì dal bar.

Marco fissò prima Matteo, poi il resto della tavolata.

-Credo che scapperò con lui. Ma tranquillo, Teo, lo convincerò a tornare da te.-

Dileguatosi anche lui piombò il silenzio nel bar. Il barista era probabilmente scappato.

-Se ne vanno in due e il divertimento finisce.-

Esclamò Matteo.

Te l’ho detto, è perché siamo uniti.-

Disse Irina.

-Chi sei tu e cosa ne hai fatto di Irina Rainieri! Esci da questo corpo, fai tornare L’Irina senza sentimenti!-

Lei gli diede un pugno e il discorso cadde di nuovo sul suo essere violenta.

 

Fran si sedette ansante sullo sgabello del pianoforte, accanto a Marco.

-Andava bene. Grazie a Dio era l’ultima canzone.-

Guardò gli spartiti davanti a sé, curiosa.

-Le hai arrangiate tu le canzoni per il piano? Pensavo che avresti, non so, cercato gli spartiti su internet.-

Lui scrollò le spalle.

-E dove sarebbe stato tutto il divertimento, scusa?-

Fran sorrise, pesando a quanto doveva impegnarsi senza nemmeno cercare agevolazioni.

-Ti piace molto suonare.-

Constatò, nonostante fosse una cosa ovvia.

Lui annuì, poi la guardò.

-Voglio provare una cosa.-

Disse prendendo lo spartito dell’ultima canzone.

Era l‘unica che la preside aveva preteso. “My heart will go on” di Celine Dion. Ovviamente. A volte si chiedeva se la mente della preside fosse posseduta da un’adolescente romantica fino allo svenevole e lacrimosa. E amante del clichè.

Con qella canzone come sottofondo Giorgio e Dafne si sarebbero scambiati promesse d’amore, poi un bacio, infine la scena si sarebbe spostata su Fran. Woow.

-Ok, adesso la risuono. Tu ascolta e basta, senza pensare ai passi che devi fare. Ascoltala e basta ok? Poi mi dici cosa ne pensi.-

Fran annuì perplessa.

All’inizio le venne istintivo muoversi leggermente, piccoli movimenti con cui ripassava i passi che doveva fare.

Perché per lei la musica era quello.

Uno sfondo alla danza, la sua vera passione, quello che a lei riusciva meglio.

-Ferma.-

Mormorò Marco al suo fianco.

Fran lo guardò e cercò di capire cosa invece fosse la musica per lui.

Lo capì dalla sua espressione allo stesso tempo concentrata e serena, dalle sue mani che scivolavano rapide ed esperte sui tasti, dagli occhi neri fissi sulla tastiera, come persi in un altro mondo.

Ne rimase ammirata. Rimase rapita da quanto e cosa significasse per lui suonare.

Le labbra le si aprirono in un sorriso involontario.

In un attimo di incoerenza pensò che le sue compagne sarebbero svenute, perchè Marco in quel momento sembrava più bello. Che poi, insomma, loro quando lo avevano notato? Visto che frequetavano due indirizzi diversi lei non si era mai accorta di lui. Chissà, forse avevano una specie di radar captatore di uomini ultra fighi e lo avevano diffuso per la scuola.

Le ultime note la riscossero dai suoi pensieri. Tra i due calò il silenzio.

Fran lo spezzò premendo il dito su un tasto del pianoforte facendo risuonare quell’unica nota per l’alula di musica.

Marco sorrise leggermente, come lei.

-Questa è l’unica cosa che so fare.-

Mormorò lei cominciando a suonare lentamente “Fra Martino”.

Marco ridacchiò. –Un piccolo talento.-

Fra rise a sua volta.

Le piaceva stare lì, seduta accanto a lui davanti a un pianoforte, in silenzio.

Bè, le piaceva anche parlare con lui naturalmente; lei non era molto brava a stare zitta a lungo termine.

Sovrappensiero Marco cominciò a sonare “Fra Martino”.

Le venne da ridere e si girò verso di lui,trovandolo inaspettatamente vicino.

 

-Detto così sembra quasi che voi siate i miei genitori.-

Borbottò Giovanni guardando Irina e Luca.

-Bè, ma gliela devi presentare. Io e Fran già la conosciamo, ma loro non hanno mai visto la tua bella.-

Luca annuì distrattamente, gli occhi incollati allo schermo del computer.

-Oook, facciamo così. Sabato sera usciamo e porto anche lei. Così le presento la mia famiglia allargata.-

-Quindi io chi sarei, mamma Irina?-

-Nah, come mia mamma io ci vedo Sara.-

Disse indicando la ragazza che parlava sul palco con Matteo.

-Poi suo marito sarà ovviamente Luca, quindi il mio paparino.-

Continuò ignorando la reazione del neo-padre, che per poco non fece cadere il portatile per terra.

-E poi ci sarete voi due. Nonna Irina e nonno Matteo.-

-Non esiste che io sposi Matteo Conti!-

-Sì, hai ragione, nemmeno io ti ci vedo con lui. Facciamo che vi siete sposati in un momento di follia giovanile e adesso siete divorziati.-

Irina annuì pensierosa.

-E Marco e Fran?-

-Loro saranno gli zii. Appena tornano dall’aula di musica li avviso di quale meraviglioso nipote abbiano.-

 

Non ci poteva credere, stava baciando Marco Poli.

Il primo pensiero che le passò per la testa fu che le sue compagne  probabilmente le avrebbero strappato i capelli uno ad uno per l’invidia, e questo la fece sorridere contro le labbra del ragazzo.

Il secondo pensiero fu: “Come cavolo è successo?”

Probabilmente la prima ad avvicinarsi era stata lei, ma poi lui aveva ricambiato, quindi la colpa andava ad entrambi.

Che poi doveva per forza essere colpa di qualcuno?

Cavolo, stava baciando Marco Poli e si faceva tutte quelle paturnie. Tra l’altro lui non baciava affatto male, ma questo lei se l’era aspettato.

Fu quando si staccarono che calò il panico, perché lei non aveva la minima idea di cosa fare.

Entrambi guardavano in direzioni opposte.

Marco iniziò a raggruppare gli spartiti, mentre lei si allacciava la scarpa.

-Scendiamo in teatro? Qui abbiamo finito, no?-

Domandò lui abbastanza tranquillamente.

Lei scrollò le spalle.

-Sì, ok.-

Mentre uscivano e si chiudevano la porta dell’aula alle spalle, Fran capì che stavano facendo lo stesso su quello che era appena successo.

Sperava solo che il rapporto di amicizia che stavano formando non andasse a quel paese, ma si rassicurò poco dopo, quando notò che entrambi si comportavano con la solita naturalezza.

 

Irina apoggiò la testa al banco, osservando le pareti gialle che la circondavano.

Come tutti  giorni alle quattro del pomeriggio avevano lasciato il teatro e le prove per restare nell’aula fino alle sei.

In quel momento, mentre Marco e Fran studiavano, Giovanni dava prova della sua serietà  parlando con Luca e Sara come se fossero i suoi genitori.

Irina aveva contato almeno cinque momenti demenziali in quella giornata; stavano battendo un record.

Si rese conto che mancava uno dei più importanti elementi demenziali a completare il quadretto.

Che fine aveva fatto Conti?

Con la scusa di aver dimenticato di sotto l’astuccio scese in teatro a cercare il suo assistente.

Lo trovò sul divano, con suo grande divertimento e sorpresa, addormentato.

Lo guardò dormire rilassato e sorrise lievemente sentendosi un po’ in colpa per averlo buttato giù dal letto così presto quella mattina.

Matteo non era brutto, glielo aveva detto lei stessa. Lo trovava carino, anche se certo non quanto Marco.

Le piaceva il suo naso, piuttosto lungo, e i suoi capelli corti e biondi, sempre da lei chiamati in causa. Le piacevano anche i suoi occhi azzurri, che però in quel momento erano chiusi.

Si riscosse da quei pensieri arrossendo un poco e rendendosi conto che ultimamente arrossiva un po’ troppe volte, solitamente proprio a causa di quello stupido biondo addormentato.

Un po’ le dispiaceva svegliarlo, ma se la Costanzi li avesse trovati li avrebbe usati come stracci per pulire il pavimento.

Alzò la mano destra e bussò sulla testa del ragazzo.

Lui mugolò, strizzando gli occhi infastidito.

-Teo? Teo, svegliati.-

Dille lei continuando a picchiettare sulla sua testa.

-Mh.. ahi! Ma tu la gente la svegli fracassandole il cranio di solito?-

Esclamò aprendo gli occhi.

-No. È un metodo che uso solo per te.-

-Quale onore… -

Mugugnò passandosi una mano sugli occhi.

-Muoio di sonno!-

Si lamentò, stiracchiandosi sul divano.

-Lo so, ma dobbiamo andare in classe…-

-Testa a Cespuglio, per favore, no…-

Piagnucolò facendole alzare gli occhi al cielo.

-Quanto sei maturo.-

-Dai, stiamo qui ancora un attimino…-

Disse facendole un po’ di spazio sul divano.

-E va bene.-

Borbottò lei sedendosi.

Calò il silenzio, un silenzio che fortunatamente però non era pesante.

-Allora… una giornata emozionante quella di oggi.-

E ovviamente quel silenzio fu rotto da Matteo.

-Già.-

-Sai, non sapevo che sapessi mentire così bene. L’ultima volta che hai recitato avevi l’espressività di… com’era? Ah, sì, di una seppia.-

-Ma infatti quando si tratta di recitare sono un disastro, quando si tratta di mentire e salvarmi la pelle riesco a cavarmela.-

-Ah, e comunque… grazie per quello che hai detto alla preside.-

Aggiunse più a bassa voce, le guance colorate leggermente di rosso. E che rottura! Sempre ad arrossire! Stupido Conti!

Matteo sorrise, stupito da quel ringraziamento.

-Dovere, Rainieri, sono un bravo cittadino, io. E poi mi piace davvero il nuovo murales.-

-Sfido, l’hai scelto insieme a me!-

-Sono anche un bravo assistente.-

Disse lui soddisfatto e orgoglioso.

-Fissato.-

Fu la risposta divertita della riccia.

-Scorbutica.-

-Infantile.-

-Testa cespugliosa.-

-Biondastro.-

-Irina.-

-Matteo.-

Irina ridacchiò.

-Gli ultimi due sono sicuramente gli insulti peggiori.-

-Sicuramente. Immaginati qualcuno che dice: “ Sei un’Irina!”. Tremendo. Io non sopravviverei all’insulto.-

Irina gli diede un pugno sul petto.

-Ahia! Ecco, lo vedi che…-

-Sei tu che mi rendi violenta, Conti! È tutta colpa tua!-

-Come sempre.-

Rispose lui allungandosi a tirarle un riccio bordeaux.

-Già. Come sempre.-

Confermò lei.

Del resto era colpa sua anche il fatto che fosse arrossita di nuovo.

 




*Angolo di Mary

E' tardissimo, gente, dovrei essere dormire. 

Ok, è finita la scuola. Libertà!

Il nuovo capitolo è un malloppo, me ne rendo conto. E' un mattone vero e proprio. Però non me la sentivo di dividerlo in due parti, così ho sperato nella vostra perseveranza. Spero che non ci sia qualcuno che è scrollato addormentato a metà strada. Mi rendo conto che ci sono molti pezzi poco importanti e per niente indispensabili, ma ho deciso di lasciarli per favi conoscere meglio i personaggi e il rapporto che c'è tra di loro.

Ho un casino di cose da dire, facciamo che vado per punti.

1) No, non saprete per parecchio tempo cosa rappresenta il murales. E' una cosa che verrà svelata al momento opportuno. Sono sadica.

2)Sì, Irina e Matteo diventano sempre più teneri. Ma mai smielati, spero.

3) Fran e Marco sono due idioti, e forse sono anche più lenti dei due protagonisti veri e propri. Quindi abbiate pazienza con loro.

4) Ammetto che mi sono un po' autocelebrata con la comparsa di Monica. Non perchè io sia bionda, ma perchè sono fissata con i Peanuts. Per chi non sappia cosa sono per essere chiari sono Snoopy e i suoi amici. Ecco, io li AMO e ho pensato di ficcarceli dentro.

5)Mi sono divertita da matti a scrivere dei momenti demenziali tra i ragazzi, li adoro, punto e basta.

Ok, basta ho finito le cose da dire, credo, oppure mi sono dimenticata qualcosa. 

In ogni caso ringrazio i martiri che recensiscono, chi segui, chi preferisce e chi ricorda. E chi legge solo, ovvio. Grazie mille.

Scappo e vi auguro bone vacanze, e buona notte se leggete ora.

Mary

 

P.S. Come sempre chiedo scusa per gli eventuali errori di battitura, me ne scappano sempre...

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Capitolo 11
*** Perchè Gio non è caduto nella fontana? ***



 


-Ah! Dannazione, razza di pigmeo decerebrato!-

Imprecò Irina massaggiandosi l’occhio dolorante. Il pigmeo decerebrato in questione entrò nella sua stanza con tranquillità.

-Mamma vuole che prima di andare tu dia una mano in cucina.-

Irina, che si era quasi conficcata la matita da trucco nell’occhio a causa dello spavento provocato dall’arrivo improvviso del fratello, si voltò a guardarlo in cagnesco.

-Simo, non puoi aiutarla tu?-

-Ma la mamma lo ha chiesto a te!-

Esclamò lui con un’espressione innocente. Simone Rainieri era il classico diavolo con il visino da angelo, un clichè insomma. La parte diabolica si mostrava naturalmente in presenza della sorella che, del resto, non gli avrebbe voluto così bene in caso contrario. Ma questo non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.

-Va bene, tra poco scendo.-

Borbottò dando un’ultima occhiata indecisa al letto, dove erano stese due felpe.

Alla fine acchiappò a caso una gigantesca felpa che infilò sopra la maglietta e i leggins.

Saltellò verso la cucina cercando contemporaneamente di infilarsi ai piedi le Converse, cosa scientificamente impossibile.

-Irina Rainieri IV B a rapporto, signore balena!-

Annunciò entrando nella stanza.

-Questa signora balena porta nel ventre il dono della vita. Tu invece nello stomaco hai solo il pane e nutella della merenda.-

Irina si inchinò in segno di rispetto e andò a prendere i piatti nell’armadietto per poi mettersi ad apparecchiare.

-Ma che eleganza stasera.-

Commentò sua madre ironica guardandola.

-Mamma, se avessi voluto vestirmi più sportiva avrei messo i jeans, no? Invece ho messo i leggins. Logico.-

Eloisa Pisani in Rainieri guardò scettica l’enorme felpa bianca che arrivava quasi alle ginocchia della figlia.

-Se lo dici tu. Ti voglio a casa non più tardi delle undici e mezza. Con chi hai detto che esci?-

-Con i soliti. Martina, Fran, Gio e quelli del Doposcuola.-

Rispose uscendo dalla cucina e avviandosi  verso la porta. I suoi genitori avevano preso relativamente bene l’idea del Doposcuola Punitivo, e in ogni caso ormai non ci pensavano più.

-A dopo!-

Gridò prima di volatilizzarsi e correre per strada, consapevole di essere in ritardo.

 

-M… ace… ardo…-

-Eh?-

-Ha detto :” Mi dispiace per il ritardo.”-

-E tu come fai a saperlo?-

Chiese Matteo perplesso a Fran.

-A furia di vederla arrivare in ritardo ho imparato a capire l‘ansantese.-

-L’ansantese?-

-Sì, perché quando è in ritardo arriva di corsa tutta ansante.-

-Voi due avete una mente troppo contorta per me.-

Fu il commento pacato di Luca.

-La piantate di parlare come se non ci fossi?-

Sbottò Irina, che aveva finalmente recuperato l’uso della parola.

-Comunque mi ha chiamato Gio, che ha detto che arriveranno un po’ in ritardo perché sono stati bloccati a casa da sua mamma.-

-E se prendessimo un autobus e andassimo a prenderli?-

Propose Sara. Gli occhi di Fran scattarono verso il volto impallidito di Irina, conoscendo la sua fobia.

-Mh… non so… l’autobus è…-

Cercò di venire in aiuto all’amica.

-Perché no? E’ una bella idea!-

Esclamò Matteo ghignando e guardando Irina con aria di sfida. Lei ebbe una gran voglia di centrargli quel faccino compiaciuto con un pugno. Poi pensò che il modo migliore per cancellare il suo ghigno fosse accettare la sfida.

Si diresse verso la fermata dell’autobus dicendo :- Giusto! Non è una cattiva idea! Quando passa il prossimo autobus?-

Tutta la baldanza sparì quando mise il piede sul primo gradino d’entrata dell’autobus.

Appena entrò in quel malefico aggeggio le sembrò di star per morire di claustrofobia.

Mentre Fran, Luca e Sara si sedevano sugli unici posti liberi Irina si arpionò al primo palo che aveva trovato e non si mosse più di lì.

Le sembrò di passare i cinque minuti più brutti della sua vita.

Respirava male e sentiva un caldo pazzesco, in più le persone intorno a lei sembrava andassero man mano stringendosi intorno a lei.

Si detestava. Ma perché diavolo aveva accettato quell’idiotissima sfida?

Una gomitata le centrò in pieno lo stomaco.

Prima ancora di vedere la faccia del proprietario del gomito vide la sua mano tesa verso di lei.

Alzò lo sguardo e incontrò quello divertito di Matteo.

-Stritola pure quanto vuoi.-

Disse sorridendo.

Irina non se lo fece ripetere due volte e afferrò la sua mano, probabilmente spezzandogli a metà le falangi, tranquillizzandosi.

Si sentiva molto meglio se aveva la possibilità di stritolare il braccio o la mano di Matteo.

Riprese a respirare normalmente quando le sembrò che l’aria fosse tornata. Sussultò quando sentì la mano del ragazzo stringere un po’ la sua, tranquillizzandola di più.

Poi avvenne il miracolo.

Le labbra di Marco si mossero e lui disse :”Questa è la nostra fermata.”

A Irina sembrò che si fosse illuminato l’autobus di una luce più accogliente.

Saltellò giù come se il pavimento scottasse e prese una bella boccata d’aria.

Mentre gli altri scendevano notò sorridendo lievemente che Matteo si stava massaggiando la mano con una smorfia di dolore.

 

Irina conosceva già Martina Nova, la ragazza di Giovanni.

Era una sua compagna di classe e amica e, cosa più importante, si divertiva con lei a bistrattare –naturalmente bonariamente- il suo ragazzo.

In quel momento stava appunto smontando tutte le arie che Giovanni si era dato.

-Quindi non è vero che sei caduta subito ai suoi piedi!-

-Subito? Gio ci ha messo un anno intero a conquistarla!-

Si aggiunse allegramente Irina, mentre Giovanni invece di volersi sotterrare sorrideva ancora di più.

-Però alla fine ce l’ho fatta! Marti ha ceduto alla mia non trascurabile buona dose di fascino.-

Esclamò passando un braccio intorno alle spalle della ragazza.

-No, in realtà ho ceduto perché mi facevi più pena che altro.-

Disse lei con estrema serietà, stringendosi però contro di lui.

-Gio, la tua ragazza mi sta simpatica. Ti tratta esattamente come faccio io.  E poi è coraggiosa, bisogna concederglielo, a stare con uno come te.-

Disse Matteo dimostrando così tutto l’affetto che provava per Giovanni.

-Dici così, ma intanto io ho la ragazza, mentre nessuno vuole te, povero, inutile, Matteo Conti.-

Matteo per tutta risposta sorrise ancora di più e si avvicinò a Irina.

-Ma come, non lo sapevi? Io e la Rainieri qui presente abbiamo ormai coronato il nostro sogno d’amore!-

Esclamò circondandole la vita con un braccio. Irina si ritrasse e gli rifilò un pugno in pieno stomaco.

-Ma che, sei scemo? Questi poi ci credono veramente! Bleah!-

Matteo si girò di scatto verso Martina.

-Tu! Non credi che Irina sia violenta?-

Irina alzò gli occhi al cielo.

-Ancora con questa storia? Marti, non lo credi, vero?-

Martina la guardò incerta per un attimo. Si morse il labbro, poi disse.

-Be’, con me non lo sei mai, ma…-

Matteo alzò un pugno in segno di vittoria.

Irina alzò un pugno per colpirlo sulla spalla.

 

Luca fissava sconvolto Sara.

-Questo non sta accadendo veramente. Come hai fatto?-

Diede voce ai suoi pensieri Giovanni. Sara fissava compiaciuta il suo piatto di pizza.

-Mi ha battuto!-

Esclamò Giovanni, guardando Martina al suo fianco. Lei gli battè una mano sulla spalla per consolarlo.

-Mi hai battuto!-

Giovanni tornò a rivolgersi a Sara.

-Dieci euro, prego.-

Fu la sua risposta.

-Ma io non li ho!-

Matteo rise beffardo.

-Se non hai i soldi, perché cavolo hai scommesso?-

-Che ne so, ero sicuro di vincere!-

Dopo aver mangiato una pizza a testa, Giovanni e Sara ne avevano ordinata un’altra, ancora affamati. Poi a Giovanni era venuta l’insana idea di scommettere su chi ne avrebbe mangiata di più, evidentemente sicuro della vittoria. Il suo sorriso vittorioso si era spento quando Sara si era tranquillamente mangiata cinque fette di fila, lasciandone a lui tre.

-Sarina bella… e se tu mi facessi uno sconto… o se passassi oltre?-

Disse Giovanni con voce mielosa.

-Oh, certo, stai tranquillo Gio, non mi aspetto mica che tu adesso faccia saltar fuori dal nulla dieci euro.-

Giovanni esibì un sorriso mastodontico.

-Ovviamente mi ripagherai presto, però. Tipo dopodomani, a pranzo.-

Il sorriso di Giovanni si congelò e lui sbattè la testa contro il tavolo.

 

-Non puoi avere ancora fame!-

Esclamò Giovanni orripilato quando Sara espresse imbarazzata il desiderio di prendere un gelato.

-Sono la più piccola, devo crescere.-

Si giustificò lei.

Fran cominciò a borbottare qualcosa sul fatto che non era umano mangiare così tanto e non ingrassare.

Alla fine Sara assicurò che potevano anche andare avanti e che lei si sarebbe sbrigata. Si fece dare i soldi per il gelato da un afflitto Giovanni ed entrò in gelateria.

-Sono davvero sconvolto dalla capienza del tuo stomaco.-

Disse una voce alle sue spalle.

-E tu che ci fai qui?-

Chiese sorpresa a Luca. Lui per tutta risposta scrollò le spalle. Sare sorrise arrossendo.

Mentre Sara ordinava, Luca guardò fuori dalla porta di vetro per vedere cosa combinassero i loro amici. Irina scappava da Giovanni intorno alla fontana. Conoscendo Giovanni prima o poi ci sarebbe caduto dentro.

Perso nella contemplazione dell’insanità mentale dei suoi amici Luca non si era accorto di quanto tempo ci stesse mettendo Sara a ordinare un normale cono.

E in effetti il cono lo aveva preso. Restava solo da chiedersi chi fosse il tipo con cui stava parlando. Andando per esclusione non era Marco, né Matteo, né Giovanni. Lo guardò. Non aveva la faccia simpatica, per niente. Guardò Sara, che era tutta rossa in volto.

No, non gli era proprio simpatico quel tipo.

Ascoltò quello che blaterava, curioso e inferocito.

-Credo che parleremo della recita per tutto il tempo. Ah, a proposito di questo, dovresti portare la parte dell’ultima scena del copione lunedì, il profe vuole fare qualche modifica.-

-Di nuovo?-

Rispose Sara esasperata.

-Già. Hei, allora ci vediamo lunedì, a meno che dopo non ci incrociamo, giusto? Quindi era per questo che stasera non hai…-

Luca diede un’ultima occhiata fuori dalla porta e si intromise nella discussione.

-Hei, Sara, credo che Giovanni stia annegando nella fontana, dovremmo proprio andare.-

Mentì afferrandole la mano e trascinandola verso l’uscita.

-Ah, sì, arrivo. Ci vediamo, Luca.-

Per un secondo lui non capì perché lo stesse salutando, poi quando il tizio rispose, capì che anche lui si chiamava Luca e lo prese ancora più in antipatia, perché non lo poteva criticare per avere un brutto nome.

Quando furono usciti Luca non sentì il bisogno di lasciare andare la ragazza, quindi continuò a tenerla per mano mentre raggiungevano gli altri, l’espressione sul viso ancora parecchio truce.

 

-Ma non sei caduto dalla fontana!-

Esclamò Sara quando vide che Giovanni era asciutto.

-No… Avrei dovuto?-

Replicò il ragazzo confuso.

-Bè… sì!-

Disse lei guardando Luca, che a sua volta guardava il cielo con aria non curante.

Giovanni aprì la bocca, ma non seppe cosa replicare.

Ora ne era certo. I suoi amici non gli volevano veramente bene, e non avevano nemmeno stima per lui. Tutti pensavano che potesse creare qualunque catastrofe intorno a lui. Tutti a parte… guardò Martina, che rideva per l’espressione che aveva assunto. No, proprio tutti-tutti.

Se ne uscì con uno dei suoi soliti sospiri teatrali. Altro che Matteo Conti. Era lui il vero attore del gruppo.

-Mi maltrattate tutti! Non avete rispetto per un povero vecchio!-

-Ma che vecchio e vecchio! Sia Marco che Matteo hanno un anno in più di te.-

Lo smontò come da copione Irina.

-Insomma, sempre a pensare ai dettagli voi. Io non parlo più, ecco.-

Brontolò incrociando le braccia.

-Signore, che bambino che sei!-

Disse Martina sorridendo. Con la coda dell’occhio notò Irina che spingeva malamente Matteo e si portava via anche gli altri per lasciarli un po’ soli.

-Bè, ma se fossi serio e ameba come Luca sarei noioso.-

Disse convinto.

-Non è un ameba! E’ che parla tipo un sediciesimo di quello che parli tu.-

-Sempre dettagli.-

-Sai, mi fanno sentire meglio, comunque. Non credevo che ti trattassero peggio di come ti tratto io. Ora mi sento meno in colpa.-

Ammise appoggiandosi alla sua spalla.

-Allora ammetti che mi trattate male! E che ti senti in colpa!-

Esclamò lui trionfante.

-Bè, ma quello è il nostro modo di dimostrarti affetto.-

-Allora vuol dire che mi adorate tutti.-

-Io penso di sì. Irina soprattutto.-

Ridacchiò pensando a quanto lo bistrattasse e a quanto gli fosse affezionata.

-Bè, quello dev’essere una cosa che riguarda solo me. Perché Irina tratta ancora peggio Matteo e secondo questa logica vorrebbe dire che lo ama alla follia, e questo è impossibile.-

Martina annuì pensierosa, guardando verso Irina, che stava parlando col biondo appollaiata su una panchina.

Giovanni le passò un braccio intorno alle spalle e lei tornò a guardarlo.

-Mi piacciono, però. Tutti simpatici, fanno morir dal ridere. Poi Marco è davvero figo.-

Giovanni tossì rumorosamente e rafforzò la presa intorno alle sue spalle. Martina rise e lo abbracciò.

 

-Non ho ancora capito perché ce ne siamo andati.-

Disse perplesso Matteo. Irina si schiaffò una mano sulla fronte.

-Che il tuo unico e solitario neurone sia benedetto, Conti.- Sospirò. –Insomma, era per lasciare quei due un po’ da soli.-

Matteo guardò Giovanni e Martina, poi Irina.

-Aaaaaah!- Disse alla fine.

Irina lo guardò, indecisa se mettersi a sbattere ripetutamente la testa contro la panchina che avevano raggiunto.

Si guardò intorno e notò che qualcosa non quadrava.

-Dove sono finiti Fran e Marco?-

-Sono entrati nel negozio di dischi dall’altra parte della piazza.-

Disse Luca, con la voce che somigliava di più a un ringhio. Irina si voltò e seguì lo sguardo del ragazzo, che era fisso nel punto dove Sara parlava con due ragazzi e una ragazza. Sembrava che volesse strangolare uno dei ragazzi con la sola forza del pensiero.

Poi lo sguardo di Irina si posò su Matteo, che si era tranquillamente seduto sulla panchina.

-Oh no! Mi hanno lasciato tutti da sola con te! Infami che non sono altro!-

-Non siamo soli. C’è anche Luca.-

Irina e Matteo guardarono il ragazzo che se ne stava impalato a qualche metro di distanza.

-Ah, bè…- Sospirò Matteo.

Irina andò ad appollaiarsi sulla schienale della panchina.

Matteo la squadrò da capo a piedi. Si chiese se mai l’avrebbe vista senza quelle sue enormi felpe. Del resto erano talmente caratteristiche di Irina che non riusciva a immaginarsela con altro addosso. Spostò lo sguardo velocemente quando Irina lo incrociò.

-Che cosa guardi?-

-Niente. Notavo la tua eleganza.-

Irina sbuffò.

-Pure tu. Anche mia mamma lo ha detto.-

-Voce della verità.-

-Bah. La gravidanza le dà alla testa. Prima le piacevano le mie felpone.-

-Tua madre è incinta?-

Domandò Matteo, rendendosi conto di quanto poco sapesse di Irina al di fuori della scuola. Questo pensiero gli fece corrugare la fronte, ma cercò di nasconderlo e di ascoltarla.

-Sì. Non manca molto ormai. E’ all’ottavo mese. Probabilmente la chiameremo Sibilla o Erminia.-

Matteo sgranò gli occhi.

-Cosa? Non ho capito bene… Hai detto Erminia o Sibilla?-

Irina annuì seria.

-Sono nomi…- Matteo cercò di essere delicato, per una volta nella sua vita. –Assurdi!- ma non ci riuscì.

-Che vuoi farci. Nella famiglia di mia madre la tradizione vuole che le femmine abbiano nomi strani e i maschi comuni.-

-Ah. E tua mamma come si chiama?-

-Eloisa. Lei ha proposto il nome Sibilla. Io preferisco Erminia, ma non credo che gli altri accetteranno, a loro non piace.-

Matteo scrollò le spalle. Lui probabilmente non avrebbe chiamato sua figlia né Sibilla né Erminia.

-Questo non mi è chiaro. Non avevamo deciso che avremmo chiamato nostra figlia Dafne?-

Irina lo guardò perplessa per un po’, poi quando capì che si riferiva a un loro discorso di mesi prima, lo colpì sulla spalla.

-Che idiota. Cosa c’entra adesso?- Disse sorridendo.

Calò il silenzio tra i due.

-A che stai pensando?-

Chiese Irina dopo un po’.

-Al momento sto pensando che domani dovrò chiudermi in camera a studiare filosofia per tutto il giorno.-

-Ah, è vero! Quest’anno tu e Marco fate la maturità.-

-Eeeh, già. Che bello.-

Disse lui ironico. Al momento non era preoccupato, ma sapeva che nelle ultime settimane sarebbe stato preso dal panico. Marco invece in un modo o nell’altro se la sarebbe cavata senza nemmeno una crisi isterica.

-E cosa fai dopo?-

Chiese Irina interessata. In effetti non avevano mai parlato di questo.

-Oh. Pensavo di andare all’università di lettere di Milano. Deciderò meglio quest’estate dopo gli esami.-

Irina sgranò gli occhi.

-Milano? Non è vicinissima. Insomma, saranno un’oretta e mezza di treno.-

-Sì, infatti pensavo di trasferirmi. Cioè, dev’essere forte cambiare città. I miei zii hanno un appartamento in più sopra il loro. Pensavo di andare a stare lì, magari con uno dei miei compagni.- 

-Ah.-

Disse Irina.

Non se lo aspettava proprio. Era sempre stata convinta che Matteo sarebbe stato sempre con loro a fare il demente con Giovanni, a romperle le scatole ininterrottamente.

Non aveva pensato che probabilmente finita la scuola e il Doposcuola Punitivo si sarebbero visti di meno.

Certo, pensare che a questo punto forse non si sarebbero mai visti faceva davvero uno strano effetto.

-Ti sei incantata? Testa a Cespuglio, ci sei?-

Irina si riscosse dai suoi pensieri arrossendo.

Annuì rimanendo in silenzio. Aveva l’impressione che se avesse aperto la bocca avrebbe detto qualcosa di acido, e non le sembrava il caso di litigare.

A impedirle di esprimere il suo nervosismo fu l’arrivo di Sara, che si presentò con una faccia mortificata.

Luca rimase rigido come un palo, mentre Matteo le chiedeva chi fossero quelli con cui aveva parlato.

-Tre miei compagni di classe.-

Rispose con una smorfia.

-Sono gli altri tre protagonisti della rappresentazione di fine anno. Praticamente stasera li ho bidonati. Volevano trovarsi per parlare della recita.-

Sara scosse la testa con una faccia ancora più infelice.

-Ovviamente ho pregato tutta la sera di non incontrarli, e invece me li sono trovati davanti due volte!-

Nel sentirla lamentarsi, al suo fianco Luca si rilassò e perse la rigidità di prima.

 

-Mmmmh…-

-Se non apprezzi questi non capisci niente.-

Fran continuò ad esibire un’espressione perplessa.

-Senza di loro non potresti ascoltare nessuna delle canzoni che balli. Sono uno dei gruppi che hanno fatto la storia della musica.-

Continuò deciso Marco.

-Va bene, ne prendo uno.-

Acconsentì alla fine Fran, prendendo un CD dei Beatles.

-Aspetta, prendi questo.-

La corresse lui mostrandole l’album “Help!”.

-Affare fatto.-

Accettò lei dirigendosi verso la cassa.

Mentre pagava guardò di sottecchi Marco. Proprio non capiva in che razza di situazione si fossero cacciati, ma finchè non pensava all’aula di musica e al bacio andava tutto bene. Non era difficile essere sua amica e trovarsi bene con lui, bastava non metterci in mezzo l’attrazione.

Annuendo tra sé e sé per quel ragionamento, si avviò con lui fuori dal negozio.

 

-Abbiamo perso Barbie e Ken!-

Esclamò Matteo quando vide arrivare Marco e Fran.

-Barbie e Ken sarebbero Martina e Giovanni?-

Domandò lei perplessa.

-Sì, Barbie e Ken, Hansel e Gretel, Shrek e Fiona, come preferite voi.-

-Riccioli d’oro, guarda che siamo dietro di te.-

Gli fece notare un appena arrivato Giovanni.

-Non ti perdonerò mai per avermi dato dello Shrek.-

Disse serio mentre Matteo sghignazzava.

-Ma qule Shrek? Tu sei Fiona!-

 

-Ti accompagno.-

-Non è il caso, davvero.-

-Se te lo sto offrendo vuol dire che per me è il caso.-

-Ma io…-

-Perfetto. Ti accompagno. Ci vediamo lunedì.-

Si rivolse agli altri Luca tirandosi dietro Sara, che aveva le guance color mattone.

Irina e Matteo rimasero a guardarli in silenzio.

-Bè, direi che è la serata della galanteria. Gio ha rapito Martina, Marco ha accompagnato Fran, Luca si è portato via a forza Sara… vuoi che ti accompagni?-

Irina arrossì un po’ all’offerta.

-No. No, grazie, preferisco chiamare mio papà.-

Disse sentendosi ancora un po’ nervosa nei suoi confronti.

-Dai, nessuno ci riconoscerà, la nostra reputazione sarà al sicuro.-

-No, davvero, Conti…-

-Una volta tanto che cerco di essere gentile…-

-Insomma, Matteo, non voglio che mi accompagni!-

Sbottò Irina, pentendosi quasi subito di quello che aveva detto e soprattutto di come lo aveva detto.

Matteo la fissò accigliato.

-Si può sapere cosa ti prende?-

-Non mi prende un bel niente.-

Non le prendeva niente, accidenti. Solo che ci era rimasta male per quella faccenda del trasferirsi. Insomma, lo vedeva un po’ come un tradimento verso lei e gli altri. Poi le dispiaceva il fatto che magari non si sarebbero più visti e…

-Irina?-

-Cosa?-

-Ti sei incantata di nuovo.-

-Oh. Sì.-

-Allora, che ti prende?-

-Niente, davvero… sono solo un po’ stanca.-

-Ah, ok… Quindi proprio non vuoi che ti accompagni?-

-No, no… Poi tu abiti dall’altra parte della città rispetto a casa mia. Adesso chiamo mio padre. Tu prendi l’autobus?-

L’ultima parola la disse con un accenno di disgusto.

-Magari vado a piedi. Casa mia è vicina.-

Rimasero in silenzio per un po’, lui sembrava un po’ deluso.

-Vuoi che ti faccia compagnia mentre aspetti?-

Bè, era sempre compito di Matteo spezzare i silenzi.

-Ok, se vuoi.-

Matteo andò a sedersi sulla panchina dove erano stati prima.

Quando Irina riattaccò il telefono dopo aver parlato con suo padre rimase per un attimo a fissare da dietro il ragazzo.

Poi con un sospiro andò a sedersi accanto a lui.

 

 

 

 

 

*Angolo di Mary

Buonasera, popolo!

Aaaah, che sollievo! Non ne potevo più di tenere in chiavetta il capitolo senza poterlo pubblicare, ma la scuola (è appena iniziata e mi sembra che siano già passati mesi. Mi sento vecchia.) mi ha aggredito subito e, soprattutto negli ultimi giorni, il computer l'ho visto praticamente col binocolo.

In compenso quest'estate sono riuscita a scrivere parecchio, e sono piuttosto avanti con i capitoli, quindi, scuola permettendo, dovrei riuscire a pubblicare con una certa frequenza. (Oh, fa' che la scuola permetta!). Poi se vi interessa saperlo, vi posso dire che la storia raggiungerà sicuramente circa venticinque capitoli, se non mi viene in mente altro da aggiungere, quindi c'è ancora parecchio da leggere.

Ok, in questo capitolo, come in quello precedete, ho voluto occuparmi un po' dei miei pargoli a 360 gradi.

Da questo abbiamo potuto notare che

a)Matteo e Irina sono i soliti idioti ritardati e Matteo ha avuto una pessima idea.

b)Luca è geloso come solo lui può esserlo.

c)Fran e Marco sono forse incasinati più degli idioti sopracitati.

d) (uh, quanti punti) Eccovi presentata Martina, la coraggiosa ragazza di Giovanni.

La per così dire new entry Martina e il suo cavaliere Giovanni sono presenti anche nella one-shot appena pubblicata Piove sul Bagnato, che parla di come Giovanni, dopo un milione e uno tentativi assurdi di conquista riesce a ottenere finalmente il cuore della sua esasperata fanciulla. Se siete interessati a loro e non ne avete abbastanza sapete quindi dove trovarli.

Buono, vi lascio con la speranza di tornare presto col capitolo dodici, che è solo da copiare a computer

A presto

Mary, la scrittrice prigioniera del liceo

P.S. Chiedo perdono per gli eventuali errori di scrittura.

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Capitolo 12
*** Pop Corn e lacrime ovunque ***


 

 

 

 

-Li hai fatti esplodere!-

Matteo guardava disperato il microonde della sua cucina.

-Hai creato un’esplosione atomica!-

-Non esageriamo…-

-Mia madre mi ucciderà, hai incenerito metà angolo cottura!-

-Ok, questo è davvero esagerare.-

-Morirò.-

-No, se dirò che è colpa mia.-

-Mia mamma ucciderà prima te e poi me per averti permesso di causare questo scempio!-

-Vorrà dire che andremo in Paradiso insieme.-

-Insomma, cosa sta succedendo di là?-

Urlò la voce di Fran dal soggiorno.

-Giovanni ha fatto esplodere i pop corn!-

Gridò Matteo.

-Non pensavo che ci volesse così poco tempo!-

Cercò di giustificarsi lui.

-Non si può guardare un film senza pop corn.-

Fu la pacata risposta di Irina, sempre proveniente dall’altra stanza.

-Adesso ne facciamo altri. Gio, fammi il favore di allontanarti dal microonde.-

Giovanni assunse un’aria colpevole e andò a rintanarsi nell’angolo opposto della cucina, urtando col gomito una bottiglia di vetro e afferrandola in tempo prima che si sfracellasse al suolo.

Matteo lo guardò ancora più orripilato di prima.

 

Irina credette che la sua anca potesse spezzarsi in due.

Giovanni, con tutto il suo dolce peso, si era buttato tra lei e Fran, sedendocisi praticamente sopra.

Mentre Fran urlava “Soffoco!”, Irina cominciò a sgomitare per liberarsi.

Alla fine sul divano stavano schiacciati l’uno contro l’altro Sara, Fran, Giovanni, Irina e Matteo, che si era appena seduto vicino alla riccia con una gigantesca ciotola piena di pop corn.

Luca se ne stava spaparanzato sul tappeto, la schiena appoggiata al divano. Marco si era invece sistemato sulla poltrona, con grande dispiacere di Matteo, che si era già prenotato quel posto.

Quindi, per la serie “Come i ragazzi del Doposcuola Punitivo passano il tempo fuori da scuola”, i ragazzi sopracitati si erano trovati a casa Conti per farsi una maratona dei film di Star Wars.

Dopo una lunga discussione su quale delle due serie fosse migliore avevano deciso di guardare di fila i tre film di quella vecchia.

Poco dopo Matteo e Giovanni stavano già recitando davanti alla tv: “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…” per poi arrivare qualche ora dopo a urlare :”No! Io sono tuo padre!”

Irina chiuse gli occhi per un attimo. Ancora qualche oretta di film, poi la cena, poi sarebbe stata libera di andare a casa a dormire.

Le ore notturne in cui si era portata avanti per il giorno dopo cominciavano a farsi sentire, e trovava molto allettante l’idea di addormentarsi su quel divano.

Se solo Matteo avesse smesso di cantare a squarciagola la colonna sonora di inizio film…

 

Matteo sprofondò ancora di più nel divano, rimandendo praticamente sdraiato, appoggiando i piedi sul tavolino davanti a lui.

Guardò in cagnesco Marco. Schifoso ladro di poltrone!

Marco in risposta al suo sguardo emise un sospiro soddisfatto e si sitemò meglio sulla poltrona.

Matteo stava per ribattere qualcosa di velenoso, ma fu bloccato da un tocco sulla sua spalla. Con sua somma sorpresa e imbarazzo osservò la testa riccia di Irina appoggiarsi lentamente prima sulla sua spalla e poi sul suo petto.

Prima ancora di pensare che fosse totalmente impazzita si accorse che si era addormentata.

Cercò allora di concentrarsi sul film, ma non era per niente facile con Irina così appiccicata.

Il biondo arrossì fino alla radice dei capelli quando la ragazza si mosse e gli si avvicinò ancora di più allungando un braccio e passandoglielo intorno alla vita, ancora totalmente immersa nel mondo dei sogni.

Con un certo bisogno di aria, Matteo sperò che il film finisse in fretta.

Come quando erano finiti sull’autobus e quando l’aveva abbracciata, la sensazione di avere Irina così vicina non era così tremenda. Con i ricci che gli solleticavano il collo, sentiva uno strano desiderio di passarci una mano. Più che altro era curioso di vedere di quanti centimentri sarebbe sprofondata.

Gli sarebbe piaciuto rilassarsi e ragionare sul fatto che quella situazione non era affatto spiacevole, ma era preso dall’imbarazzo e dal panico nel caso qualcuno li avesse notati. Cosa molto probabile visto che c’erano altre cinque persone nella stanza, tre delle quali sedute su quello stesso divano.

E quando si sarebbe svegliata, poi?

Non osava immaginarlo. Tutte le ire del cielo si sarebbero scatenate su di lui. Sarebbe stata tutta colpa sua, ne era certo. Chissà se gli avrebbe dato del profittatore?

Guardò allarmato Giovanni, che era il più vicino, ma con suo grande sollievo, lui era troppo preso dallo scontro tra Darth Vader e Luke Skywalker per notare alcunchè.

Continuò per tutta la durata del film a sperare che Irina si spostasse e allo stesso tempo che gli altri sloggiassero e li lasciassero lì.

Vide sparire ogni sua speranza quando sullo schermo comparvero i titoli di coda e Irina non si era mossa di un centimetro. Si era, anzi, incollata ancora di più.

Giovanni si stiracchiò e si voltò verso di loro, pronto a dire qualcosa, ma le parole gli morirono in gola per lo stupore quando li guardò.

-Aiutami...-

Disse piano Matteo.

-Come faccio a togliermela di dosso?-

Domandò terrorizzato mentre altre quattro paia di occhi lo fissavano sorpresi e sconcertati.

-Quando si sveglierà sarà una furia.-

Mormorò Fran allarmata.

-Oh, bè, è stato un piacere conoscerti.-

Fu il commento tranquillo di Luca, che si alzò dirigendosi in cucina.

-Teo… ti aiuterei, davvero. Ma non vedo come fare uscendone vivo…-

Disse Marco cominciando a seguire Luca. Quel ragazzo quel giorno stava perdendo molti punti.

-Gio… Gio, non puoi lasciarmi solo, ti prego…-

Tentò Matteo debolmente, vedendo con la coda dell’occhio Fran e Sara che si alzavano.

Giovanni gli diede una comprensiva pacca sulla spalla, guardandolo dispiaciuto.

-Buona fortuna, amico.-

-Traditore!-

Sibilò il biondo quando anche lui fu sparito in cucina.

Capì che il suo desiderio di poco prima che gli altri sparissero e lo lasciassero così era davvero stupido.

Era pietrificato dal terrore di dover subire l’imbarazzo di Irina e la sua conseguente rabbia una volta svegliata.

Ora che nessuno poteva notarlo guardò per un attimo Irina, pensando che non l’aveva mai vista così calma.

Alzò gli occhi al cielo guardando di nuovo il braccio della ragazza che lo circondava. Insomma, per chi lo aveva preso? Per un orsacchiotto?

Cercò di mettersi a sedere, provocando un mugolio nella ragazza che lo paralizzò.

-Hem… Testa a Cespuglio?-

La chiamò dopo aver fatto un respiro profondo.

-Mmmmh…-

Fu l’unico segno di vita dato da lei.

-Testa a Cespuglio, svegliati.-

Disse più deciso, cercando di non sorridere divertito. Non era esattamente il caso di ridere, quando dal suo atteggiamento dipendeva la sua vita.

Irina strizzò gli occhi e arricciò il naso, mugolando. Poi aprì gli occhi confusa, incrociando i suoi.

-Hem… ciao.-

Disse il biondo impacciato.

Irina, ancora intontita, cercò di tirarsi su puntellandosi con il gomito e centrando con esso proprio lo stomaco del ragazzo.

Matteo si sollevò di scatto per il dolore, facendo rotolare la ragazza giù dal divano, seguita dalla ciotola quasi vuota di pop corn.

L’esclamazione che lei lanciò quando toccò terra e quella che ne conseguì quando la ciotola le cozzò sulla testa segnalarono al ragazzo che ormai era completamente sveglia.

-Ma che… Conti, ti sembra il modo di svegliare la gente? Buttarla giù dal divano riempendole la testa di schifezze? Io ti… ti… guarda qua!-

Cominciò a imprecare tastandosi la testa piena di pop corn.

Matteo la guardava con gli occhi sbarrati mentre lei si sedeva sul pavimento esclamando: “Che schifo! Me li ero lavati ieri, accidenti!”

All’ennesimo verso frustrato le si avvicinò.

-A-aspetta, ti do una mano…-

Era una scena ben strana. Lei seduta per terra e lui che le toglieva pop corn dai capelli.

Matteo sperò che quell’incidente le avesse fatto dimenticare dove avesse dormito per tutta la durata dell’ultimo film.

-E che cavolo… Non potevi mangiarteli tutti i pop corn? Dovevi lasciarne per forza alcuni…-

Si stava lamentando Irina.

-E io che li avevo tenuti da parte per te.-

Gli occhi castani di Irina lo guardarono sorpresi.

-Davvero?-

-No, lo ammetto, non mi ci stavano più.-

L’occhiataccia che ricevette gli fece ricordare che a volte doveva tenere la bocca chiusa.

-Proprio galante, biondino. Ce ne sono ancora?-

Domandò indicandosi i capelli.

-Abbassa la testa.-

Le ordinò, maldicendola per avere tutti quei capelli.

-Hai troppi capelli tu.-

Espresse il suo pensiero liberando un pop corn da un ricciolo sulla nuca.

-Scommetto che spulciare dei capelli lisci sarebbe più facile.-

-Hei! Non sono mica una scimmia io! E se lo vuoi sapere, sto malissimo con i capelli lisci, sembro un istrice piastrato.-

Matteo provò a proiettare l’immagine nella sua testa.

-Immagino.-

Commentò ghignando.

Le spostò una massa enorme di capelli per essere certo di aver eliminato tutti i pop corn, notando che, nonostante fossero un groviglio indefinito di nodi e ricci, erano piuttosto soffici.

-Conti, non sono nemmeno un barboncino. Hai finito?-

-Sì, sì…-

Borbottò lui imbarazzato.

-Bene.-

Irina si alzò in piedi, ergendosi nel suo scarso metro e sessanta di altezza.

-Allora, immagino che gli altri siano di là.-

Matteo annuì.

-Nessuna traccia di cibo su di me?-

Il ragazzo negò col capo.

-E… hem… qualcuno si è accorto che mi sono… addormentata?-

Matteo capì da come era arrossita che non parlava dell’aver dormito, quanto del modo e del luogo in cui l’avesse fatto.

-Sì, tutti.-

Ammise lui depresso.

Lei annuì.

-Mh. Perfetto.-

Borbottò guardandolo per un attimo per poi dirigersi a passo spedito verso la cucina.

 

-E’ un’opera d’arte, non osare negarlo.-

-Non è un’opera d’arte! Sembra opera di un uomo delle caverne! E non mi rende per niente giustizia!-

Si inalberò Giovanni guardando il tovagliolo di carta su cui Marco aveva disegnato una faccina triste stilizzata con qualche capello che doveva rappresentare Giovanni. Vicino alla faccina regnava la scritta “Gio è senza soldi”.

Tutto questo perché Giovanni aveva perso un’altra scommesa con Marco.

Marco aveva scommesso che Matteo sarebbe tornato incolume, Giovanni si aspettava invece che Irina gli avrebbe assestato almeno un pugno.

-Proprio oggi dovevi essere meno violenta…-

Sibilò il ragazzo contro la riccia, che alzò gli occhi al cielo.

-Iri, hai qualcosa tra i capelli.-

Disse Fran, notando un pop corn superstite.

Irina arrossì e si affrettò a toglierlo, fulminando con lo sguardo Matteo.

Lui di conseguenza si tuffò con impegno sulla sua pizza.

-Mamma, non ti sento bene. Cos’hai detto?-

Sara stava cercando di parlare al telefono con sua madre senza avere molto successo.

-Cosa? Giovanni, stai fermo un attimo! Non ho capito, mamma.-

Sara rimase in silenzio, rigida, per abbastanza tempo da allarmare Luca che, al fianco di Irina, non le staccava gli occhi di dosso.

-Ah.-

Fu tutto quello che disse alla fine. Lentamente si alzò dal suo posto, dirigendosi verso il salotto.

-Non lo so, io… sì, glielo chiedo…-

Mormorò con la voce più tremolante, allontanandosi verso un corridoio.

Irina guardava perplessa la porta, come Matteo e Fran. Giovanni e Marco ancora litigavano.

Luca si alzò con un movimento secco e uscì in fretta dalla cucina.

 

-Oh, bè, del resto mi annoiavo, andava tutto troppo bene. Ci voleva una sana catastrofe che rovinasse tutto.-

Mormorò Sara, la voce rotta e le labbra che ancora tremavano sotto gli occhi bagnati di lacrime.

Si raggomitolò ancora di più sul pavimento del bagno, troppo freddo.

Luca le si avvicinò e le passò un braccio intorno alle spalle.

-Credo che ci sia un tizio che abbia detto qualcosa tipo: “Se qualcosa può andare peggio, lo farà.” All’incirca è così.-

-Sì, è la legge di Murphy, credo. Bè, è piuttosto azzeccata.-

Rispose lei sfregando una mano sulla guancia. Luca le porse di nuovo il fazzoletto.

-Giovanni ti mangerà tutta la pizza.-

Disse Sara, insensatamente. Sentiva solo il bisogno di distrarsi.

Luca scrollò le spalle.

-Che ci provi. E’ al salame piccante, scommetto che non la regge.-

Sara fece una risatina tremula, che portò il ragazzo a strigerla un po’ di più.

-Senti… mia mamma mi ha chiesto se qualcuno poteva accompagnarmi a casa…-

Comincò lei arrossendo vistosamente.

-Nessun problema.-

Rispose subito Luca, aiutandola a rialzarsi.

Sara si guardò allo specchio sopra il lavandino.

-Sono un disastro.-

Commentò guardando gli occhi rossi e gonfi e i capelli disordinati.

Luca sbuffò.

-Perché voi donne vi preoccupate sempre di questo?-

-Perché siamo donne.-

-Sono contento di essere un uomo.-

Commentò prendendola per il polso e portandola fuori dal bagno.

 

Tic. Tac. Tic. Tac.

L’orologio della cunica scandiva i secondi che passavano. Accidenti, com’era rumoroso quell’orologio. O forse era il silenzio a renderlo rumoroso.

-Ma dove sono finiti quei due?-

Domandò Fran curiosa e perplessa.

-La domanda giusta è: “Cosa stanno facendo?”-

La corresse Giovanni.

-Qualcuque cosa stiano facendo spero si ricordino che è il mio bagno, quello.-

Borbottò Matteo.

-Deficiente.-

Disse Irina dandogli una gomitata.

-Ecco! Ma non potevi picchiarlo prima?-

Esclamò scocciato Giovanni.

In quel momento comparve in tutta la sua non trascurabile altezza Luca, tenendo Sara nascosta dietro la schiena.

-Ehi, scusate, ma credo che per noi sia il caso di andare.-

Esordì tranquillo.

-Cosa? Non avete nemmeno finito la pizza!-

-Cos’è, avete iniziato qualcosa in quel bagno che volete continuare altrove?-

Se ne uscì infelicemente Giovanni sghignazzando.

L’occhiata che gli lanciò Luca lo convinse a farsi piccolo piccolo e a nascondersi dietro a Irina, che lo guardò malissimo.

-Sara deve essere subito a casa.-

Disse Luca con un tono che non ammetteva repliche e che convinse gli altri a non fare domande e a lasciarli uscire dalla cucina.

Irina sgranò gli occhi quando Sara li salutò, notando i sintomi palesi del pianto.

Guardando Fran, che aveva la  fronte aggrottata, capì che si stava facendo le stesse domande.

Quando la porta d’ingresso si chiuse e Matteo tornò in cucina, l’unico rumore che si sentiva era di nuovo il ticchettio dell’orologio, ancora più pesante di prima.

-Che razza di battuta infelice, Gio.-

Disse alla fine Irina a bassa voce con tono di rimprovero. Giovanni scrollò le spalle, ma concordò con lei, imbarazzato.

-Bè, spero che non crederanno di non darci spiegazioni.-

Disse Matteo nervoso, palesemente preoccupato per Sara.

-Ma la loro pizza chi la finisce?-

Fu la domanda di Giovanni, seguita dal tonfo sordo del pugno di Irina sulla sua schiena e dalla sua voce arrabbiata.

-Ma che ti prende stasera, deficiente?-

-E’ il mio modo di scaricare la tensione!-

Cercò di spiegare dolorante Giovanni.

 

A Luca sembrava che un esercito si fosse schierato contro di lui.

I suoi amici erano tutti seduti dalla parte opposta del tavolo ed esigevano spiegazioni.

Sara, che quel giorno era rimasta a casa, gli aveva permesso di parlare con loro, ma al momento non aveva proprio voglia di fare un racconto così lungo.

Oh, bè, probabilmente la voglia non gli sarebbe mai venuta, tanto valeva levarsi il peso.

Restò in silenzio ancora un po’ per godersi le facce ansiose dei ragazzi.

-Luca, hai intenzione di vederci invecchiare in questo bar?-

Esclamò Fran spazientita.

Luca, vistasi rovinare l’atmosfera del momento, raccontò pacatamente  quello che era successo due mesi prima tra Sara e suo padre, omettendo ovviamente particolari come il fatto che avevano dormito insieme sul divano di casa sua.

Quando l’indignazione raggiunse il culmine, Luca si preparò a raccontare quello che era successo il giorno prima.

-Poi ieri sera la madre di Sara l’ha chiamata durante la cena per dirle che suo padre era stato arrestato. Credo che abbia scatenato una rissa in un bar, e quando è arrivata la polizia abbia insultato e picchiato un agente. Bè, Sara non era molto contenta.-

Concluse ricordando di quando la sera prima aveva trovato Sara che piangeva nel bagno di casa Conti.

-Bè, ci credo. Non pensavo che Sara stesse al Doposcuola per questo.-

Disse Matteo. Luca non l’aveva mai visto così serio. Avrebbe dovuto segnare quel giorno sul calendario.

 

Irina corse dietro a Matteo, che non aveva detto una parola da quando Luca aveva finito di raccontare.

La cosa aveva un che di straordinario, perché di solito Matteo non stava zitto un attimo.

Ma questa volta il suo silenzio era stato condiviso anche da Giovanni. Irina non aveva mai pranzato in modo così silenzioso con i ragazzi del Doposcuola. Del resto, lo sapeva, avevano tutti gli stessi pensieri chiassosi nella testa.

Il momento di serietà, che sapeva che si sarebbe protratto per tutto il pomeriggio, però le aveva fatto venire in mente una cosa di cui doveva assolutamente parlare al biondo.

-Teo! Fermati un secondo!-

Lo bloccò distanziandolo dagli altri. Matteo si fermò, guardandola perplesso.

-Ti devo chiedere una cosa…-

Disse cercando le parole giuste per non sembrare invadente, cosa che al momento effettivamente era.

Quando l’espressione di Matteo le fece capire che era stata zitta per troppo tempo, si riscosse.

-Ieri sera mi chiedevo… Hai parlato con tua mamma del fatto che non sei il protagonista della recita della tua classe?-

Le sopracciglia inarcate di Matteo le resero chiaro che il suo concetto di “non essere invadente” aveva bisogno di revisioni.

Matteo si dondolò sui talloni imbarazzato.

-Non proprio…-

-Non proprio nel senso che glielo hai accennato o nel senso che non ne hai proprio parlato?-

Domandò incalzante mordendosi il labbro inferiore.

-Non proprio nel senso che non ne ho parlato. Ma perché ti interessa tanto?-

Esclamò lui nervoso.

Irina arrossì e strinse le labbra in una linea retta.

-No, così… non so. Niente… scusa, fai finta di niente, biondo.-

Si girò e si avviò verso gli altri maledicendosi. Che figura da idiota. Doveva starsene zitta e tenersi le sue paturnie mentali per sé.

Stava decisamente facendo troppe figuracce con Matteo. La sera prima, soprattutto.

Arrossì di colpo e sentì il desiderio di colpirsi in testa con un martello molto pesante.

Cosa cavolo le era venuto in mente di addormentarsi proprio addosso a Conti?

Lo strano pensiero che non era stato male fu interrotto da Matteo, che l’aveva raggiunta.

-Ehi! Ehi, aspetta!-

Irina si voltò, nervosa.

-Magari stasera provo a parlargliene. Dici che sarebbe meglio?-

Domandò incerto.

Irina sorrise.

-Sì. Sì, sarebbe meglio.-

Concordò seguendolo verso il teatro.





*Angolo di Mary

Buon giorno, popolo!

Non credevo di aggiornare tanto presto, ma la scuola ( incredibile dictu ) me lo ha permesso.

Questo capitolo è metà importante e metà di passaggio.

E' importante per quello che è successo a Sara, che probabilmente adesso si sente odiata dalla sottoscritta per tutto quello che le faccio passare.

Il prossimo capitolo invece sarà interamente importante, probabilmente uno dei più importanti, tanto per creare un po' di suspence.

Mi sono dimenticata tutto quello che volevo dire, a parte che vi ringrazio per le recensioni e le persone che seguono e mettono tra le preferite.

Al prossimo (l'ho già detto che sarà importante?) capitolo,

Mary

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Capitolo 13
*** E per capirlo gli serviva un autobus ***


 

 

 

 


Irina appoggiò la testa al banco con una smorfia.

Non ce la poteva fare, era inutile. Non capiva proprio come mai la matematica fosse stata inventata se nessuno riusciva a capirla.

Trigonometria… Già il nome presentava la materia come qualcosa di incomprensibile.

Al suo fianco Giovanni stava affrontando un problema a detta sua più grave e non riusciva proprio a lasciarla stare.

-No, magari questo non le piace. Insomma, Iri, cosa posso regalarle? Cosa si regala a una ragazza per il suo compleanno?-

Le chiese il ragazzo, visibilmente disperato.

Irina lo guardò seccata.

-Vedi, se tu mi avessi regalato qualcosa al mio compleanno lo sapresti!-

-Figurati, tu non saresti comunque un buon esempio.-

Ribattè lui guardando di sottecchi Martina che, seduta nel banco dietro, era totalmente ignara della conversazione.

-Queste sono le esatte parole per ottenere il mio aiuto, Gio. E, cavolo, stai tranquillo! Il compleanno di Marti è tra almeno un mese!-

-Lo so! Appunto!-

Irina tornò a guardare la lavagna ancora più disperata.

 

-Ti prometto che quando ci avvicineremo al suo compleanno ti accompagnerò a comprarle un regalo. Ma oggi è sabato. Ti prego, fammi andare a casa, ho una fame tremenda!-

-Va bene, va bene.-

Le concesse Giovanni.

-E grazie!-

Irina fece un cenno vago nella sua direzione e si avviò verso il cancello.

In quel momento il suo unico desiderio era mangiare. Si vedeva già a casa, seduta a tavola, davanti a un piatto di tagliatelle…

-Irina? Irina, giusto?-

Irina si voltò e si trovò davanti Rachele Riva in Conti, ovvero la madre di Matteo. La guardò incuriosita.

-Sì. Irina Rainieri, signora.-

-Rainieri, ecco. Dov’è mio figlio?-

Irina la guardò ancora più sorpresa.

-Non saprei… Non l’abbiamo visto oggi, pensavamo fosse malato.-

Che motivo avrebbe avuto di evitarli? Anche poco prima, quando si erano trovati all’ingresso Matteo non si era visto.

La madre di Matteo la guardava spaventata.

-Non è venuto a scuola?-

Irina la fissava confusa e leggermente allarmata.

-Cosa…-

-Abbiamo litigato ieri sera, ma… non può essere scappato…-

Irina sgranò gli occhi mentre la donna continuava a farfugliare parole come: “Impossibile… ero venuta qui per risolvere, non…”

-Scusa, vado a parlare con la preside…-

Irina annuì senza guardarla nemmeno.

Aveva sempre saputo che Matteo Conti era stupido, ma non pensava lo fosse così tanto.

Cosa cavolo aveva combinato quel deficiente?

Guardò con apprensione sua madre che camminava in fretta nel cortile.

Aggrottando la fronte uscì a passo spedito dal cancello del Michelangelo.

 

Per un’altra volta nella sua vita Matteo Conti si sentiva un vero idiota.

Si chiese se Marco non si sentisse allo stesso modo quando saltava scuola. Probabilmente no; Marco aveva un modo di pensare tutto diverso.

Del resto quella non era la cosa peggiore che aveva fatto.

Scosse la testa frustrato e fissò l’albero davanti alla panchina su cui era seduto.

-Eccoti qua! Idiota!-

Il suono, o meglio lo strillo, di una voce conosciuta lo fece voltare.

Irina corse verso di lui e si fermò davanti alla panchina, ansante.

-Ma… sei… cretino? Cosa ti è… saltato in mente?-

Esclamò respirando a fatica.

Matteo ancora troppo sorpreso per dire qualcosa si limitò a fissarla. Questo fu abbastanza per convincere Irina a parlare ancora, gesticolando animatamente.

-Insomma, Conti! Io esco di scuola dopo ore in cui Gio mi stressa perché cerca di fare un regalo e mi trovo davanti tua mamma che mi dice che sei sparito! E lo so che non sono affari miei, va bene? Ma…-

Matteo la guardò confuso.

-Cosa cerca di fare Gio?-

Irina lo guardò scioccata.

-Gio non c’entra niente adesso! Si può sapere che ti è passato per la testa?-

Matteo aprì la bocca per parlare poi la richiuse.

Aveva paura che Irina lo avrebbe schiaffeggiato, senza avere torto, tra l’altro.

-Teo?-

Irina lo guardava preoccupata.

Non l’aveva mai vista preoccupata per lui, era strano che ora lo fosse.

Sospirò.

-Sono un idiota, Testa a Cespuglio.-

-Non potrei essere più d’accordo. Ma potresti dirmi perché, questa volta?-

Matteo si passò una mano tra i capelli.

 

-Ho fatto un casino. Ho fatto come hai detto, e ieri era ho parlato a mia mamma della recita.-

Scosse la testa e la guardò. Era ancora in piedi di fronte a lui, con le mani sui fianchi.

-Non puoi sederti? Mi metti in ansia così!-

Irina lo guardò sorpresa e poi annuì. Si sedette accanto a lui, abbracciandosi le gambe. Alzò gli occhi su di lui, invitandolo a continuare.

Matteo sospirò di nuovo, sconfitto. Avrebbe proprio dovuto raccontarle tutto, a giudicare dalla sua espressione concentrata.

Quindi raccontò di quando aveva detto a sua madre di essere relegato a voce fuori campo dopo aver perso la parte di Romeo per colpa di uno stupido litigio studiato; del fatto che lei si era infuriata e lo aveva riproverato di non aver preso sul serio l’impegno della recitazione, di aver compromesso i suoi esami e il suo futuro. Le disse che poi erano passati a litigare veramente, e a quel punto avevano esagerato entrambi.

-Tipo, non so, hai presente quando abbiamo litigato davvero?-

Irina annuì corrugando la fronte.

-Ecco, più o meno così. Ho detto un sacco di cose idiote e bastarde di cui mi sono già pentito. Sono stato proprio pessimo. Certo, lei non è stata da meno.-

Aggiunse amaramente.

-E’ che se c’è una cosa che non riesce a capire è quello che penso io della recitazione. Per carità, recitare mi piace un sacco, sennò non avrei scelto quest’indirizzo, ma non così tanto da dover coinvolgere la mia vita. Io nel mio futuro non mi vedo mica come un attore, come invece mia mamma. Ma questo a lei non entra in testa.-

-Teo, non vorrei mai mettermi dalla parte di un adulto, ma tu le hai mai parlato di questo? Perché sennò è un po’ dura che lei ci sia arrivata da sola.-

Matteo la guardò a bocca spalancata.

-Bè, io… no, in effetti, però…-

-Mica può leggerti nel pensiero! Probabilmente credeva che tu fossi come lei. Mettiamola così: sia madre che figlio hanno sbagliato.-

Matteo a continuava a guardare in silenzio.

-Probabilmente hai ragione…-

-Capita anche a me, a volte. A tutti. Anche a Gio, ma succede una volta in un’era.-

Matteo ridacchiò, sentendosi in debito con quella ragazza dalla testa cespugliosa.

-Posso farti una domanda, Teo?-

-Dimmi.-

-Questa cavolata di saltare scuola… tu non hai intenzione di scappare di casa, vero? Cioè, non sapresti dove andare, quindi… Certo, se vuoi posso offrirti un soggiorno nella cuccia del mio ex cane, ma sarei presa dai sensi di colpa verso tua madre e…-

-Oh, zitta un momento! Non sono scappato di casa! Semplicemente non avevo proprio voglia di andare a scuola, quindi ho saltato le lezioni.-

Cercò di dirlo con un tono di non curanza alla Marco Poli, risultando però solo miseramente colpevole.

-Ah, ok. Sarà il caso di dirlo alla sigora Conti prima o poi, perché secondo me sta ancora rivoltando il Michelangelo per cercarti. La preside sarà totalmente fuori di testa.-

Aggiunse con una certa soddisfazione. Matteo invece sbiancò.

-Quella mi sospende. Cosa ho fatto? Perché cose del genere non sono mai capitate a Marco?-

-Bè, non direi che a Marco non è successo niente del genere. Insomma, a furia di saltare scuola è finito al Doposcuola Punitivo. E poi tranquillo, potresti inventarti che eri malato e che tua mamma non lo sapeva perché era partita presto con tuo padre per il lavoro… No, così i tuoi genitori ci farebbero la figura dei cretini poco informati.-

Irina assunse un’aria pensierosa.

-Oh, bè, ci penserai più tardi.-

-Verrò sospeso.-

Commentò lui lugubre.

-Ma no, figuriamoci! Un po’ di ottimismo, biondino!-

-Detto da te suona strano, sai?-

-Non è che sono una tipa depressa che non vede i lati positivi della vita!-

-Ti vedevo più come una che ce l‘ha con il mondo intero, in effetti.-

Irina incrociò le braccia stizzita.

-Sei proprio un bell’ingrato. Ti ho cercato per mezza città e tu mi ricompensi in questo modo?-

-Hai girato mezza città? E in che modo, di grazia?-

-Con l’autobus, cavolo! E’ stato orribile. Non avevo idea di dov’eri ed ero appiedata fuori da scuola. Non c’erano molte alternative. Per fortuna che hai avuto la banale idea di rintanarti vicino a casa tua, non avrei retto altri viaggi.-

Matteo non sentì minimamente l’offesa rivolta alla sua fantasia. Non riusciva a far altro se non fissarla con gli occhi e la bocca spalancati.

-Tu… Tu sei salita da sola su un autobus?-

Irina rispose con una smorfia a metà tra l’orgolio e il disgusto.

-Così pare.-

-Per venire a cercarmi?-

-No, per fare una scampagnata! Ma certo che sì, scemo! Ero preoccupata!-

Ammise lei in imbarazzo.

L’espressione del ragazzo non cambiò minimamente. Doveva sembrarle un idiota. Poco male, le dava sempre quell’impressione.

Irina Rainieri era salita su un autobus per venire a cercarlo. Per venire a cercare lui, Matteo Conti.

Sapeva che aveva il terrore degli autobus, eppure lei ci era salita tutta da sola per venire a cercarlo. Per lui.

Faceva ancora un po’ fatica a capire il concetto.

Una cosa però l’aveva capita, mentre fissava ancora il suo volto rotondo e leggermente lentigginoso.

Si era innamorato come un idiota di Irina Rainieri.

Era proprio un idiota, sì. Facevano bene a dirglielo almeno una volta al giorno.

Come aveva fatto a non accorgersene prima? Avrebbe dovuto capirlo a cominciare da quando aveva voluto baciarla in teatro. Gli era servito un autobus per capirlo.

Senza nemmeno pensarci si avvicinò al suo viso con lo stesso desiderio di qualche mese prima.

Irina si ritrasse sgranando gli occhi e arrossendo.

Questo bastò a Matteo per darsi di nuovo dell’idiota. Quel giorno stava cercando di battere un record, a quanto pareva.

Si allontanò, sorridendo non curante, cercando di far finta di niente.

-E com’è stato?-

-Cosa?-

Chiese Irina, ancora scombussolata.

-Il viaggio in autobus.-

-Orrendo, te l’ho detto!-

Esclamò lei rianimandosi.

-A un certo punto pensavo che qualcuno avrebbe dovuto raccogliermi e portarmi al pronto soccorso.-

-Povera Testa a Cespuglio, che brutta esperienza.-

Cercò di prenderla in giro lui, quando in realtà avrebbe solo voluto baciarla.

Spostò lo sguardo altrove, cercando di riordinare le idee.

-Gli altri sanno che cosa è successo?-

-Bè, no. Pensano che tu sia malato, credo. Non mi è venuto in mente di avvertirli.-

-Sarà un disastro. Fran diventerà più nevrotica del solito, Giovanni ne farà una tragedia, Marco mi darà del dilettante.-

-E’ probabile. In compenso Luca e Sara non ti diranno niente. Lei sarà troppo preoccupata, a lui semplicemente non importerà.-

-E tu mi picchierai.-

-In effetti oggi non l’ho ancora fatto.  Mi era passato di mente.-

Prima ancora che Matteo potesse ribattere gli arrivò uno schiaffo sulla nuca.

-Così impari a fare cavolate, biondo.-

La ragazza si alzò dalla panchina con energia.

-Allora? Non pensi sia il caso di tornare a casa? Credo che a mamma Conti stia venendo un collasso e che voi due abbiate bisogno di una chiacchierata.-

Matteo provò a immaginare la scena a casa sua: sua madre che piangeva disperata e cercava di spiegare cosa era successo a suo marito, che non capiva una parola.

Avrebbe dovuto vedersela anche con lui, dopo. Non sapeva di chi doveva aver più paura.

Si incamminò con Irina verso l’uscita del parco di malavoglia.

-E tu come torni a casa? Ancora con l’autobus?-

-Sei pazzo? Neanche morta! Ne ho già abbastanza così. Vado a piedi.-

-Ma casa tua è dall’altra parte della città!-

-Non farmici pensare, ti prego.-

Matteo guardò la sua smorfia rassegnata.

-Ti accompagno.-

Lei arrossì un po’.

-No, no… Tu adesso devi filare a casa e recuperare un rapporto familiare felice... Io mi faccio una bella passeggiata. E ora andiamo, che a casa mi aspettano una mamma incinta preoccupata e un piatto freddo di tagliatelle.-

-Non hai ancora mangiato?-

Il brontolio del suo stomaco rispose al suo posto.

-Da quel che puoi notare.-

Ammise in imbarazzo.

-Ci vediamo a scuola, Conti. Fammi sapere se sei sopravvissuto alla riconciliazione con mamma e papà.-

Irina lo salutò con un sorriso e si voltò sospirando trascinandosi lo zaino, pronta ad affrontare mezza città.

Matteo si incamminò verso casa sua, dopo aver sbirciato un’altra volta nella direzione della ragazza.

Bè, quel giorno aveva scoperto due cose: era innamorato di Testa a Cespuglio.

Ed era innamorato degli autobus.



 

 


*Angolo di Mary

La massima del giorno è: l'influenza porta noia e la noia porta nuovi capitoli.

Quindi tossendo e soffiandomi il naso ogni due per tre mi sono messa davanti al computer per pubblicare.

E' avvenuto il miracolo, gente!

Se ne è accorto! Matteo Conti si è svegliato fuori!

Chi credeva che se ne sarebbe accorta prima Irina?

Poveretta, è più lenta di quello che pensavamo.

Per lei ci vorrà ancora un po', ma almeno uno dei due si è svegliato fuori.

L'unica cosa che non mi piace di questo capitolo è che non ci sono gli altri ragazzi, ma rimedierò col prossimo capitolo.

Vi ringrazio molto perchè letture e seguite continuano ad aumentare e la cosa mi fa molto contenta. Vedete solo di non regredire, eh.

Spero che il capitolo non sia troppo melenso per quanto riguardano i pensieri del biondatro.

Al prossimo capitolo, l'ultimo già bell'e che pronto, haimè. Per gli altri temo che si dovrà aspettare ancora un po'.

Mary, l'autrice raffreddata.

 

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Capitolo 14
*** Ode ai Tarallucci, alla Trigonometria e al cugino Galeazzo ***


 

 

Ode ai Tarallucci, alla Trigonometria e al cugino Galeazzo

 

Luca Grigori adorava i Tarallucci. Erano proprio buoni.

Quindi senza nessuna esitazione premette il tasto 11 della macchinetta del corridoio al terzo piano del Michelangelo.

Guardò Sara di sottecchi, convinto a chiarire una cosa che decisamente non gli andava a genio di cui si era discusso durante le ore del Doposcuola Punitivo dedicate allo spettacolo.

 

Sara ascoltò il rumore dei Tarallucci che cadevano nel contenitore e inarcò le sopracciglia quando Luca non li raccolse nemmeno. Non capiva cosa gli prendesse quel giorno.

Parlava ancora meno del solito ed era più pensieroso e corrucciato. Ovviamente Giovanni e Matteo non avevano potuto fare a meno di prenderlo in giro per questo.

-E allora…-

Cominciò Luca, ancora appoggiato alla macchinetta.

-Alla fine avete deciso di fare la scena in cui tu e Conti vi baciate.-

Sara lo guardò, sorpresa dall’argomento della conversazione e dal fatto che avesse appena chiamato Matteo “Conti”.

-Sì, bè, la preside ci avrebbe espulso se non avessimo deciso di farla. L’ha detto addirittura la Costanzi.-

-Non pensavo che a te andasse bene.-

Sara non prese la frase come un’accusa, ma da un certo punto di vista suonava come tale.

-Non è un problema. Insomma, è sempre Teo, e poi ormai ci sono abituata.-

-Abituata?-

Questa volta la voce del ragazzo sotto la solita patina di indifferenza suonò un po’ strozzata.

-Bè, sì. Quest’anno alle prove ho dovuto baciare Luca diverse volte.-

-Luca?-

-Sì, quello che abbiamo incontrato in gelateria. Luca Genziana.-

-Ah.-

Fu l’unico commento che uscì dalla bocca di Luca.

-E se tu dovessi baciare me?-

Sara sgranò gli occhi e li alzò verso di lui. Era sempre appoggiato alla macchinetta e il suo volto esprimeva la sua solita dannatissima pacatezza. Le aveva chiesto di baciarlo come se le avesse chiesto di prendergli i Tarallucci. Che tra l’altro erano ancora nel contenitore della macchinetta.

Forse si era sognata tutto, aveva capito male e in realtà lui le aveva chiesto davvero i Tarallucci.

Meglio accertarsene.

-Cosa?- Chiese quindi con intelligenza.

-Sì, insomma… se tu non dovessi baciare Tizio o Conti… se dovessi baciare me. Lo faresti?-

Sara, troppo sorpresa e scombussolata per dire o pensare alcunchè si ritrovò ad annuire impercettibilmente.

-Va bene.-

Disse solo lui prima di chinarsi e baciarla.

Parecchie cose passarono per la mente di Sara Donati quando realizzò di essere davvero nel corridoio del terzo piano  del Michelangelo schiacciata tra la macchinetta delle merendine e Luca, che la stava baciando.

La prima cosa che pensò fu che doveva piantarla di pensare tanto e concentrarsi sul fatto che stava finalmente baciando Luca Grigori.

Poi obbedì ai suoi ordini e smise di pensare.

A proprosito, qual era il suo nome? Bah, roba di poca importanza.

Quando Luca si staccò da lei Sara ebbe modo di ricordarsi perlomeno che il suo nome iniziava con la lettera S e di pensare che baciare un Luca Grigori era mille volte meglio che baciare un Luca Genziana qualunque o, senza nulla togliere all’amico, un Matteo Conti.

-Quindi…-

Cominciò Luca con la voce leggermente roca.

A interrompere il suo discorso e ad attirarsi tutte le minacce mentali di vendetta e omicidio di Sara fu Giovanni, che irruppe nel corridoio proprio in quel momento, trovandoci i suoi amici incollati a una macchinetta e con un’aria parecchio sconvolta.

-Gente, la Costanzi esige la vostra presenza. Mi ha mandato a dirvi, testuali parole, che “se proprio volete fare un festino privato dovete aspettare la fine del Doposcuola Punitivo”.-

L’occhiata che rifilò ai due rivelò che pensava che la Costanzi avesse fatto centro.

Luca fu il primo a dire qualcosa.

-Dovevo prendere i Tarallucci.-

-E stavi chiedendo gentilmente a Sara di spostarsi. Del resto è proprio lì davanti.-

Rispose l’altro con un ghigno che partiva da un orecchio e arrivava all’altro.

Sara arrossì ancora di più e piantò gli occhi sul pavimento, incapace di guardare entrambi.

 

I tre rientrarono nell’aula, tutti con espressioni diverse.

Giovanni sembrava che stesse per morire soffocato nel tentativo di non ridere apertamente.

Luca aveva una studiata e normale aria indifferente riguardo al mondo, ma appena i suoi occhi incontravano la figura di Giovanni esprimevano odio puro.

Sara dava l’idea di star cercando disperatamente una pala e un piccone per potersi sotterrare e morire di vergogna in santa pace.

-Che mi sono persa?-

Domandò Fran guardandoli incuriosita.

-Niente di che, Luca e Sara hanno avuto qualche problema tecnico a prendere i Tarallucci.-

Rispose allegramente Giovanni andandosi a sedere al suo posto.

Luca si guardò intorno alla ricerca di una qualsiasi arma abbastanza letale da sistemare quell’idiota.

Fran scrollò le spalle e tornò a guardare le dita di Marco che si muovevano sul banco come su di una tastiera. Chissà cosa stava fingendo di suonare.

Magari ‘My heart will go on’.” Le suggerì una vocina fastidiosamente simile a quella di sua sorella Teresa.

Fran arrossì al pensiero e si voltò di scatto verso Irina, che stava prendendo a testate il libro di trigonometria.

-Non penso che sia il modo giusto per farti entrare le cose in testa.-

Irina la guardò con ferocia e disperazione.

-Fran! Non capisco! Non-ci-capisco-niente! Voglio buttarmi giù dalla finestra! Uccidimi, ti prego, o lo farà questo libro!-

Esclamò guardando il libro spaventata.

-Testa a Cespuglio, hai bisogno di qualcosa che ti calmi. Una buona dose di morfina ad esempio. Tu saresti bella tranquilla e noi avremmo un po’ di silenzio.-

Disse Matteo girandosi dal suo posto.

-Zitto tu! Non puoi capire come mi sento!-

-In effetti no. Non ho mai avuto problemi con trigonometria.-

-No?-

Domandò Irina, sorpresa. Buffo, era convinta che nessun essere esistente sulla faccia della Terra fosse in grado di capire trigonometria. A parte la professoressa, ovvio, anche se a volte la sfiorava il dubbio che nemmeno lei sapesse quello che stava spiegando.

-Vuoi una mano?-

Domandò Matteo, incredibilmente gentile.

-Conti! Stai seduto composto e girati!-

-Ma devo spiegare la materia a Rainieri, profe, mi rendo utile alla comunità.-

Spiegò con ingenuità studiata il ragazzo alla Costanzi, che era già meno rigida al sentirsi dare della professoressa.

-Fa’ quello che vuoi, ma stai composto.-

Disse seccamente. Matteo alzò gli occhi al cielo.

-Fran, facciamo cambio di posto? Devo essere utile alla comunità e aiutare questa povera invalida.-

Fran si alzò dalla sua sedia dicenso solo: “Santo martire.” E andò a sedersi al posto del biondo vicino a Marco.

-Non ho detto che accettavo il tuo aiuto!-

Esclamò Irina mentre il ragazzo le si sedeva accanto.

-Sei disperata, accetteresti anche l’aiuto della Umbridge.-

-Che ne sai che non ti considero peggio della preside?-

Matteo si portò melodrammaticamente una mano al cuore.

-Mi odii a tal punto, Rainieri?-

Irina lo fissò per un momento, poi aprì di nuovo il libro.

-Non ti odio, deficiente, lo sai. Allora, mi aiuti o no?-

-Ogni tuo desiderio è un ordine!-

Rispose l’altro sorridendo ancora più apertamente per quello che lei aveva detto.

 

Fran appoggiò la testa al banco e chiuse gli occhi, concentrandosi sul ticchettio delle dita di Marco sulla superficie di legno.

-Sonno?-

La voce del ragazzo le arrivò alle orecchie facendola sussultare.

-Un po’. Ma a scuola ho quasi sempre sonno.-

Era vero. Molte ore del Doposcuola le aveva passate a dormire. Questo perché starsene seduta davanti a un banco senza far nulla per tutto il tempo le metteva sempre addosso un certo torpore.

Marco ridacchiò e chiuse il libro che, nonostante gli esami imminenti, aveva ignorato fin dall’inizio.

-Non studi troppo poco per uno che ha gli esami tra poco meno di un mese?-

Marco scrollò le spalle.

-Probabile. Ma non mi preoccupa. Alla fine riesco sempre a cavarmela.-

-Beato te. Cosa sei, una specie di ragazzo prodigio?-

Stavolta lui rise apertamente.

-No, ho solo buona memoria.-

-Beato te lo stesso. Teo dice che salti anche alcune lezioni.-

Marco guardò alle sue spalle verso il biondo, che stava cercando di spiegare a un’Irina dotata di uno sguardo particolarmente vacuo, con un’espressione che Fran non seppe se giudicare infastidita o semplicemente curiosa.

-Sì, è vero. Ma solo quelle che ritengo meno importanti e che non mi sembra che rappresentino la mia priorità maggiore.-

-Immagino che la tua vera proprità sia il piano.-

Lui sorrise e annuì.

-Quindi cosa fai quando salti scuola?-

Fran si rendeva conto di essere un po’ invadente, soprattutto con lui, ma non poteva fare a meno di comportarsi così.

Marco la incuriosiva e, con sua somma desolazione, la attraeva. Per sua fortuna lui non si infastidiva mai per la sua invadenza. O perlomeno non lo dava a vedere.

-Di solito vado a suonare in un locale a Milano. Là almeno sono sicuro che nessuno mi può trovare, eccetto forse mio cugino, che suona lì, ma che tanto non fa mai la spia. Così prendo il treno e vado a impegnare il mio tempo in un modo migliore.-

Fran probabilmente avrebbe dovuto dirgli che non era esattamente un comportamento corretto e comportarsi da amica preoccupata come avrebbe fatto per esempio se una confessione del genere fosse venuta da Irina, ma non lo fece.

Non voleva essere lei a tarpargli le ali, perché si vedeva quanto questo lo entusiasmasse e quanto il piano lo appassionasse. Insomma, probabilmente anche i muri maleodoranti dello spogliatoio femminile della palestra ormai sapevano quanto talento avesse.

E non perché la musica arrivasse anche lì, ma perché le ragazze parlavano spesso di quanto Marco fosse bravo, bello, etc etc…

-La musica dev’essere una cosa di famiglia.-

Disse alla fine, ricordando che sua cugina, Monica, era in classe con lui al Musicale e suonava il violino.

-Sì, abbastanza. Mio padre è sassofonista e mia zia suona l’arpa. Per non parlare di tutti i cugini di secondo grado. Uno di loro, Galeazzo, è esperto mondiale in tamburi Bodhar.-

-In cosa?-

-Tamburo di Bodhar. E’ uno strumento scozzese.-

Lei scrollò le spalle divertita e riappoggiò la testa sul banco, mentre Marco riprese a tamburellare con le dita.

Fran ripensò a quando erano usciti tutti insieme per conoscere Martina e di quando poi Marco l’aveva accompagnata a casa.

Pensò anche a quando, senza stare troppo a pensarci, si erano baciati di nuovo poco prima di arrivare a casa della ragazza, e di quanto si era sentita strana, ma anche contenta, tra le sue braccia, e sollevata, ma anche delusa, quando entrambi avevano di nuovo fatto finta di niente il giorno dopo.

-Un giorno vengo a Milano a sentirti.-

Disse senza alzare la testa.

Potè sentire distintamente le dita di Marco che si bloccavano, poi il ticchettio ricominciò.

 

Non stava capendo niente. Non era colpa di Matteo, per una volta.

Lui ce la stava mettendo tutta per renderle comprensibile almeno una pagina dl libro. Il problema era che lei non era compatibile con la materia, e mai lo sarebbe stata. Poi, doveva ammetterlo, non stava più ascoltando una parola.

All’inizio ci aveva provato, veramente, poi, notando che era tutto inutile, ci aveva rinunciato.

Il punto era che, trovandosi così vicina a Matteo Conti, le era impossibile non pensare a quello che era successo qualche giorno prima.

Era stata una giornata strana, in cui lei aveva notato come fosse combiato il loro rapporto senza che lei ne sapesse il motivo.

Poi Matteo era stato sospeso per due giorni e quando era ricomparso a scuola tutto era tornato più o meno come prima.

Ma c’era una cosa che proprio non le usciva di testa.

A un certo punto, preso da chissà cosa, Matteo era stato sul punto di baciarla.

Bè, non era idiota, se n’era accorta anche lei, ma proprio non riusciva a capacitarsene. Cosa gli era preso? Era stato un altro momento da “adolescente frustrato con gli ormoni in subbuglio”?

Probabilmente sì. Era stata una giornata strana per lui. A questi pensieri le labbra le si incresparono in un sorrisetto che non passò inosservato al biondo.

-Non hai capito una parola, vero?-

-No, mi spiace.-

-Non mi stavi nemmeno seguendo.-

Disse lui, un po’ offeso.

-Ci rinuncio, non capisco proprio. Ti libero dal tuo incarico di maestro, Conti.-

-Mi sa che non fa per me. Oppure sei tu che sei una pessima allieva.-

-Sicuramente è colpa tua!-

-Già. Sicuramente.-

Concordò lui sorridendo beffardo.

 

Luca Grigori benedì uno a uno i suoi amici quando li vide uscire dall’aula insieme alla Costanzi, lasciando come sempre da soli lui e Sara.

Quando la porta si richiuse si girò verso la ragazza, seduta sul suo banco.

La raggiunse, impaziente.

-Genziana è un cognome idiota.-

Esordì, facendola ridere.

-Hai lasciato i Tarallucci nella macchinetta.-

Disse lei.

-Già. Avevo altro per la testa.-

Rispose avvicinandolesi di più.

-Quindi…-

Ricominciò da dove Giovanni li aveva interrotti prima, a pochi centimetri dal suo viso.

Irina entrò come una furia proprio in quel momento.

-Ho dimenticato…-

-Cosa?!?-

Ringhiò Luca frustrato.

Irina li fissava con gli occhi spalancati, rossa come non mai.

-L’astuccio.-

Pigolò imbarazzata.

-Ma lo prendo subito, lo prendo.-

Esclamò afferrandolo dal suo banco.

-Ecco. Scusate. A domani. Scusate.-

Farfugliò ormai color mattone uscendo in fretta dall’aula.

Luca sospirò.

-Ci manca solo che entri Matteo a vedere cosa stiamo facendo,  seguito dalla Costanzi, che ci punirà per compiere atti a suo parere osceni nell’ambiente scolastico. Mi immagino già cosa diranno Fran, Gio e Teo.-

Fece una smorfia e prese a imitare le loro voci ansiose alla perfezione.

-Allora? Allora? State insieme adesso?-

-E tu cosa risponderai?-

Chiese Sara, diventando seria. Si erano baciati, ma non era sicura al cento per cento che volesse dire qualcosa.

-Risponderò di sì. Giusto?-

Aggiunse guardandola incerto.

Sara sorrise sollevata.

-Sì. Giusto.-

-Bene.-

Luca sorrise di uno dei suoi rari sorrisi che le piacevano tanto e le circondò la vita con le braccia.

-Posso baciarti davanti a Genziana?-

Sara si sforzò di non ridere.

-Perché?-

-Tanto per fargli capire quale Luca preferisci. E credo di dover far capire questo anche a Conti.-

Ed ecco che ricominciava con “Conti”. A quanto pareva Luca chiamava per cognome i ragazzi di cui era geloso.

Sara sorrise e appoggiò la testa alla spalla di Luca.

-Domani Irina non riuscirà nemmeno a guardarci in faccia, poverina. Si starà uccidendo di imbrarazzo.-

-Oh, bè, si sfogherà su Conti. Lo tratterà peggio del solito.-

Luca non sembrava tanto dispiaciuto all’idea.

Sara rise, ricordandosi che era da un pezzo che non sorrideva così tanto. Buffo che fosse merito di Luca, che non era il tipo da sorridere ventiquattr’ore su ventiquattro.

Si ricordava di aver pensato già prima che Luca era strano.

Ma a lei non dispiaceva affatto.

 



*Angolo di Mary

Wheilà, gente!

Imploro perdono in ginocchio per questo ritardo di aggiornamento, ma il quarto anno di liceo è un suicidio. Lo odio, dovrebbe essere saltato a piè pari.

Questi capitoli sono pieni di gente realizzata! Matteo Conti nello scorso ha scoperto che è perso da un'era per Testa a Cespuglio e in questo capitolo Luca e Sara riescono addirittura a mettersi insieme! Sempre che duri, certo.

Scherzavo, scherzavo, ho deciso che a loro non romperò praticamente mai le scatole, mi bastano gli altri.

Non trovate anche voi che Fran e Marco siano degli idioti patentati? Santo Cielo, sono peggio di quegli altri due... Bah, che gente.

Ah, non pensate che io odi il povero Luca Genziana, in realtà è solo un povero ragazzo che uso per far imbestialire Grigori.

Il prossimo capitolo (musica a effetto) sarà lo scenario della prima parte dell'evento tanto atteso da... bè, dal primo capitolo, direi. Ebbene sì, è giunto il momento di cominciare 'sta benedetta recita,o finiremo col dimenticarci di lei!

Questo capitolo è un omaggio ai Tarallucci, che sono la salvezza del mio stomaco quando a ricreazione mi accorgo di aver dimenticato la merenda, al marchese Galeazzo di Torrealta, protagonista del mitico film Totò Diabolicus, e... basta, credo.

P.S. Ho deciso che da adesso metterò i titoli ai capitoli, è squallido mettere solo il numero. Datemi il tempo e tutti i capitoli saranno titolati. (Probabilmente insensati come quello di questo capitolo)

Mary

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Capitolo 15
*** La Felpona (la nascita di un mito) non potrà salire sul palco ***


            

 

 

La felpona (la nascita di un mito) non potrà salire sul palco

 

 

 


Il giorno in cui Matteo Conti conobbe Luca Grigori non aveva certo pensato che prima o poi ne avrebbe avuto paura.

Eppure in quel momento il suo sguardo omicida gli metteva addosso una certa inquietudine.

-Conti! Non ho tutta la giornata! Sali su quel palco e datti una mossa!-

Berciò la Costanzi.

Matteo deglutì, guardò Sara che lo aspettava tranquilla sul palco, poi la Costanzi che lo guardava spazientita, infine Luca, che gli fece cenno di salire con sguardo truce.

Un ulteriore sbuffo della Costanzi lo convinse a raggiungere la ragazza dicendo –Dafne! Che… che cosa ci fai qui?-

-Volevo parlarti.-

Rispose Sara-Dafne, gli occhi azzurri che esprimevano alla perfezione tutto il rancore desiderato dalla preside. Non era colpa di Matteo se Giorgio era un vero idiota.

-Anche io.-

Esclamò Matteo-Giorgio avvicinandolesi.

Seguì un lungo discorso un po’ troppo sentimentale per i gusti del biondo, in cui Giorgio si scusò per essersi comportato come un bastardo davanti ai suoi amici altrettanto bastardi.

Sara ascoltò lo sproloquio di Matteo con un’espressione seria che quando il ragazzo chiuse la bocca sfociò in un sorrisetto timido.

-So che è una pazzia, ma non posso non perdonarti, Giorgio. Temo di essermi innamorata di te.-

Oh, che commozione!

Matteo sorrise speranzoso.

-Prometto che non lo farò mai più, Dafne!-

Sì, come no.

-Non so come e quando è successo, ma anch’io mi sono innamorato di te.-

-Si dice “sia successo”. Il congiuntivo non è stato inventato per essere dimenticato, Giorgio.-

Dopo il romantico commento di Dafne, Giorgio nel copione le si avvicinava e la baciava con passione. Questa era una scena decisamente poco gradita a Luca, e il motivo per cui sembrava voler strozzare Matteo.

Il biondo gli lanciò uno sguardo mentre si avvicinava a Sara.

L’ormai dichiarato ragazzo di quest’ultima si limitò a sbuffare e a scandire con le labbra: “Niente lingua.”

 

Per tutti i mesi passati, Elena Costanzi era entrata pochissime volte nel teatro dove i ragazzi facevano le prove dalle due alle quattro del pomeriggio. Di solito rimaneva ad aspettarli in classe per poi uscire alle sei con loro, pronta a fare le pulizie nella scuola fino alle otto.

La vita di Elena Costanzi era già quindi di persè piuttosto emozionante, eppure quel giorno fu costretta a movimentarla ancora di più.

Essendo infatti il giorno della prova generale di “Amore Matematico” (quello era il titolo che alla fine la preside aveva scelto per la recita, nauseando lei e i ragazzi), era obbligata a vedere almeno per una volta come se la cavavano quei sette scapestrati che seguiva.

Doveva ammettere a sé stessa che erano riusciti a metter su qualcosa di minimamente decente, per quanto potesse esserlo quella roba ideata dalla loro preside.

Poteva ammetterlo a sé stessa, ma non lo avrebbe mai fatto ad alta voce. Immaginava già il sorriso mastodontico di Conti e i commenti idioti di Santani.

Quindi quando i ragazzi la guardarono, curiosi di sapere cosa ne pensasse, si limitò ad abbaiare –Bè? Che avete da guardare? Continuate! La prima è stasera, non avete più il tempo per fare i fannulloni!-

 

Matteo alzò gli occhi al cielo e si stravaccò tra Fran e Irina sul divano al centro del palco.

-Non ammetterà mai che abbiamo fatto un buon lavoro.-

-Certo che no! E’ la Costanzi, non ha mica il cuore di farlo.-

Esclamò Fran allungando le gambe su una sedia davanti a loro.

-Io credo che più che non avere cuore, abbia troppo orgoglio. Il che posso capirlo. Al suo posto probabilmente nemmeno io ci farei i complimenti.-

S’intromise Irina.

-Visto? Siete simili. Entrambe scorbutiche, entrambe orgogliose, entrambe senza cuore.-

Infierì placidamente Matteo.

Irina scattò in piedi con gli occhi che lanciavano lampi.

Fran sospirò e guardò esasperata Irina che si allontanava dal divano stizzita e si avviava verso la parte opposta del palco per aiutare Giovanni a preparare lo sfondo della prima scena.

-Perché fai sempre così?-

Chiese al biondo guardandolo con rimprovero.

-Non so. E’ divertente.-

-Non credo che lei si diverta, Teo.-

Matteo sbuffò e guardò verso la riccia, che aveva già recuperato il sorriso mentre ascoltava Giovanni raccontarle qualcosa di probabilmente idiota.

Si odiò profondamente per essere caduto così in basso, ma non potè fare a meno di chiedersi: “Perché non sono Giovanni Santani?”.

 

 

La bambina si rannicchiò ancora di più contro il sasso e rabbrividì. La sua espressione imbronciata si fece ancora più marcata.

Accidenti, stava morendo di freddo. “Accidenti” era la parola preferita del mese, le piaceva moltissimo pronunciarla.

-Accidenti.-

Mugugnò infatti, rabbrividendo un’altra volta.

-Ehi, piccoletta! Che fai tutta sola?-

La bambina alzò gli occhi verso la voce che l’aveva distratta dal suo momento di cattivo umore. Piccoletta a chi? Aveva già sei anni! Quel tipo doveva portare un po’ di rispetto!

-Mi chiamo Irina.-

Il ragazzo si inginocchiò vicino a lei nell’erba.

-Giacomo. Sei la figlia dei Rainieri?-

Irina annuì.

-Ho sei anni.-

Disse per darsi un po’ più di importanza.

Giacomo rise.

-Io diciassette. Hai la stessa età della mia sorellina. La conosci? Perché non giocate un po’ insieme?-

Irina conosceva Francesca Molinari, di vista, almeno, e non le stava per niente simpatica.

Era la figlia degli amici dei suoi genitori; le due famiglie facevano sempre passeggiate in montagna insieme quando erano in vacanza, proprio come quel giorno.

Tra Fancesca e Irina era una continua e non dichiarata guerra a chi veniva coccolata di più, visto che avevano la stessa età e le stesse esigenze.

Per principio Irina non aveva mai rivolto la parola ai fratelli Molinari, e si era ripromessa di imporre questa regola anche al suo fratellino, non appena avrebbe imparato a parlare.

-Non ho voglia di giocare.-

Borbottò raggomitolandosi ancora di più.

-Come mai?-

-Ho freddo!-

Si lamentò lei, potendo finalmente esprimere quel suo cruccio a qualcuno. Giacomo sorrise. Lei non ci trovava niente da ridere.

-Non hai una felpa?-

-No che non ce l’ho. L’ho dimenticata.-

Era ovvio, no? Se avesse avuto lì una felpa l’avrebbe messa. Maschi.

A quel punto Giacomo fece una cosa strana. Si sfilò la felpa e gliela porse.

-Dai, metti questa.-

Irina fissò la felpa enorme del ragazzo, poi, quando una folata di vento la investì, la afferrò e se la infilò col suo aiuto. Ci navigava dentro, ovviamente.

Giacomo rise e lei lo guardò, un po’ offesa.

-Ti sta un po’ larga, eh? Tienila, piccoletta, me la ridarai a fine gita.-

Lei lo guardò allontanarsi e andare a parlare con una bimba con i capelli castani raccolti in una coda di cavallo. Le disse qualcosa all’orecchio, lei annuì e le si avvicinò trotterellando.

Quando Francesca Molinari fu davanti a Irina Rainieri rimasero a scrutarsi per un po’.

-Hai la felpa di mio fratello.-

Disse alla fine Francesa.

-Lo so.-

-Ti sta grande.-

Irina si abbracciò la vita.

-A me piace.-

Sibilò astiosa.

Francesca sorrise.

-Anche a me. E’ la mia preferita delle sue.-

Irina sostituì la smorfia minacciosa in un’espressione sorpresa.

-Oh.-

-Sì. Mio fratello è il maschio più buono della terra, vero?-

-Io credevo che i papà erano gli unici maschi buoni.-

-Anche. Però con loro anche Giaco.-

Irina guardò il grande sorriso di Fran . C’era un buco enorme al posto dei denti davanti.

-Hai una finestra enorme in bocca.-

Disse. Il sorriso della bambina si allargò ancora di più.

-Sì. Li ho persi ieri!-

-Io non ho perso ancora i denti.-

Ammise Irina, sentendosi improvvisamente una bambina sfortunata.

-No?-

Domandò Francesca, sgranando gli occhi. Irina prese a invidiare ancora di più quel buco.

-Ma cadranno prestissimo!-

Esclamò con orgloglio.

-Sì! E me lo devi dire quando succede!-

 

Il giorno in cui a Irina cadde il primo dente da latte, la bambina non si preoccupò nemmeno di andarsi a sciacquare la bocca dal sangue. Corse al telefono e chiamò Francesca per darle la buona notizia.

Lei la invitò a casa sua a festeggiare, dove passarono il tempo a giocare e  a rimirare il dentino perduto che Irina si era portata dietro come un grande tesoro.

 

 

Dodici anni dopo la situazione non era cambiata molto.

Irina Rainieri era seduta sul letto di Francesca ed entrambe fissavano l’armadio di quest’ultima.

-Hai solo felpe enormi nel tuo armadio…-

Borbottava Fran.

-A me piacciono le mie felpone.-

Avevano cominciato a piacerle a partire dai sei anni, naturalmente.

-Lo so, lo so. Ma non puoi mettere quelle, stasera, no?-

-Per questo mi serve che mi presti qualcosa.-

Fran guardò dubbiosa il suo armadio spalancato.

-Mi chiedo se non avessi fatto meglio a chiedere a Sara… Lei  è più curata di noi.-

-E più magra.-

-Vorresti dire che sono grassa?-

-Certo che no, vorrebbe dire ammettere che lo sono anch’io. Però lei è effettivamente più magra di noi.-

-Maledetta.-

-Su… ci sarà qualcosa che…-

-Che ne dici di questa?-

Fran riesumò da una pila di roba una camicetta bianca e gliela porse.

Andava bene. Dovevano essere piuttosto formali (“Né troppo pinguini, né troppo sciatti!” era stata la raccomandazione della Costanzi.), eccetto gli attori, che avevano i costumi di scena, quindi infilata in quella camicetta e nei suoi jeans neri sarebbe stata più che accettabile.

 

-Posso entrare o siete impresentabili?-

-Entreresti anche se lo fossimo, Giaco.-

-Giammai, resto sempre un gentiluomo.-

Dopo dodici anni nemmeno Giacomo Molinari era cambiato più di tanto.

Irina aveva avuto un’infatuazione per lui per moltissimi anni, si può dire che fosse la sua prima cotta.

Sapendo che era più grande di lei di undici anni però non aveva mai preso la cosa veramente sul serio, e quando al suo secondo anno di medie lui si era sposato era riuscita a farsene una ragione senza vedere l’evento come una tragedia.

C’è un detto che dice: “Gli opposti si attraggono.”

Per Giacomo Molinari ed Elisabetta Ferrino quel detto non valeva. Erano probabilmente le due persone più buone al mondo, anche se non in modo estremo. Nemmeno a loro sarebbe saltato in mente di definire simpatica la preside del Michelangelo, per essere chiari.

Matrimonio o no, per Irina Giacomo era sempre stato come un fratello maggiore; aveva insistito tantissimo affinchè fosse suo padrino alla cresima. Da quel giorno lui la chiamava spesso “figlioccia.”

-Fran, figlioccia, qua fuori c’è la vostra amica. La faccio entrare o la metto in sala d’attesa?-

Irina rise.

-Falla entrare, Giaco, dobbiamo andare insieme a scuola. Sei in anticipo. Credevo che ti avremmo visto solo al teatro del Michelangelo.-

-Elisa voleva sapere come vi sentivate e mi ha mandato in avanscoperta. Deve aspettare che i gemelli si sveglino.-

-Come stanno i due flagelli?-

Chiese la zia. Zia Fran. La faceva sempre sentire vecchia quel nomignolo.

-Oggi hanno rotto un vaso a testa. Ancora qualche anno e ci distruggeranno la casa.-

Irina si era spesso chiesta da dove venisse la vena distruttiva dei gemelli, Samuele e Danilo, con i genitori che si ritrovavano.

-Oh, bè. Vi lascio ai vostri affari. Teresa ha bisogno di aiuto in algebra.-

-Viene alla recita?-

Chiese Fran, diventando seria.

-Deve, no? E’ obbligatorio per tutti gli studenti.-

S’intromise Sara, facendo capolino dalla porta.

Giacomo per tutta risposta strizzò l’occhio alla sorella e uscì dalla sua camera.

Sara lo guardò andarsene ammirata.

-Lo so, fa quell’effetto.-

Commentò Irina, che sapeva che i modi gentili e bonari di Giacomo affascinavano sempre.

-Ma non t’illudere. Ha moglie e figli.-

Fran, per non sentire commenti di apprezzamento su suo fratello sprofondò con la faccia nel cuscino.

 

-Oh, andiamo, non sei agitata nemmeno un po’?-

-Bè, un pochino magari, certo. Ma sono tranquilla Teo, davvero. Tu sei agitato?-

Matteo guardò Sara, sorpreso dalla sua calma.

-No, certo che no.-

Disse con tono d’indifferenza.

Irina alzò gli occhi al cielo. Probabilmente il biondo era cento volte più emozionato di Sara.

Da lei effettivamente si erano aspettati almeno un attacco di panico, invece la ragazza se ne stava tranquillamente seduta a farsi truccare da lei.

Fran, in un angolo del palco, provava i vari passi con un’espressione nervosa.

Irina si sentiva piuttosto tranquilla, così come Giovanni e Luca, che non dovevano esibirsi molto, se non nel ruolo di comparse.

Irina non aveva idea di come si sentisse Marco, ma poteva immaginare che non fosse minimamente preoccupato di dover suonare da solo.

-Ragazzi, comincia ad arrivare qualcuno.-

Disse Luca, appena entrato nel teatro.

-Abbiamo ancora tempo, però. Prima la Umbridge deve riunire tutti gli studenti. Ci metterà un secolo.-

Aggiunse notando lo sguardo nervoso di Matteo.

Irina sospirò e agguantò una pila di libri da mettere sul tavolo dove Dafne e Giorgio avrebbero studiato.

Si guardò intorno un po’ spaesata e poi si voltò verso Giovanni.

-Gio, dov’è il tavolo?-

-Il tavolo?-

-Il tavolo, Gio! Metà delle scene richiedono il tavolo!-

-Il tavolo marrone, quadrato, un po’ basso?-

-Sì, quello!-

-Ops! L’ho lasciato di là. Torno subito!-

 

-Che cosa stiamo aspettando?-

Esclamò la Costanzi, vedendo ormai la calca di studenti che entrava in teatro e che il palco non era ancora pronto.

-Che Santani arrivi con il tavolo, profe.-

-Il tavolo? Come diavolo si fa a perdere un tavolo?-

Irina scrollò le spalle. Dopotutto si poteva perdere un tavolo, se si era Giovanni Santani.

-Permesso… scusate… oh! Scusa, non l’ho fatto apposta! Fate passare… ehi, Lo! Ciao, come va?-

Irina si voltò e vide Giovanni che cercava di farsi strada tra i ragazzi accalcati, facendo cozzare uno spigolo del tavolo che teneva sollevato contro la testa di un malcapitato e cercando allo stesso tempo di salutare un loro compagno di classe, Lorenzo Mobili.

Sospirò e si precipitò nella folla.

-Ciao, Lorenzo. Gio!  Datti una mossa, la Costanzi sta pensando di fare un tappeto con la tua pelle!-

Lorenzo la guardò, non capendo se dicesse sul serio o se scherzasse.

-Sembra terrificante.-

-Lo è.-

Concordò Irina afferrando un lato del tavolo e trascinando via Giovanni.

-Il tavolo! Santani, dove diamine era?-

Ruggì la Costanzi.

-Oh, l’avevo lasciato fuori.-

-Fuori? Perché era fuori?-

Giovanni ci pensò un po’ su.

-Mah, non mi ricordo. Forse l’avevo dimenticato lì e basta.-

Concluse allegramente.

Irina lo guardò con le sopracciglia inarcate.

-Tu… oh, lasciamo stare e andiamo dagli altri.-

Quando i due portarono il tavolo sul palco Sara e Matteo tirarono un sospiro di sollievo insieme alla Costanzi, che non aveva per niente voglia di sentire le lamentele della preside, che là fuori stava cercando di riunire la mandria di ragazzi, più qualche genitore.

Elena Costanzi li guardò uno a uno con sguardo minaccioso.

-Non fatemi fare brutta figura, chiaro? Forza, che prima o poi questa maledetta serata finirà.-

Si sarebbe potuto scrivere un libro su Elena Costanzi, bidella del Michelangelo. Si sarebbe intitolato “Can che abbaia non sempre morde.” In quel libro avrebbero sicuramente spiegato che quella frase era il suo modo per incoraggiarli.

Naturalmente non tutti ci arrivarono, ma poco importava.

-Voi due! Fatemi vedere se avete tutto!-

Ordinò Irina a Matteo e Sara, osservando attentamente i costumi di scena.

Fissò a lungo Matteo con la fronte aggrottata, poi sobbalzò.

-Le catene! Le ho dimenticate nello spogliatoio! Tu! Vieni con me! Abbiamo poco tempo.-

Scattò verso la porta trascinandosi dietro Matteo e lasciando Sara a contemplare sconsolata i vestiti che indossava, prestatile da sua nonna.

 

-Rainieri! Irina!-

Irina si bloccò in mezzo al cortile e si girò verso Elia Petrarca, che correva verso di lei.

-Petrarca! Rapido, che siamo di fretta!-

Elia la raggiunse, nervoso. Matteo intanto li guardava perplesso un po’ più distante.

-Irina, la preside non mi lascia in pace. Continua a chiedermi se sono stato io. Pensa che visto che sono il figlio di un professore abbia preso le chiavi del cancello. Cosa che, tra parentesi, è pure vera. E ieri è stata pure nelle classi del secondo anno. Che facciamo?-

Irina strinse le labbra tanto la farle diventare una linea sottilissima. A quanto pareva la preside non si era rassegnata a cercare l’autore del nuovo murales.

-Non ti preoccupare, mi… mi inventerò qualcosa. Non la sopporto, non può continuare a tallonarci!-

Elia la guardò ansioso.

-Ci conto, eh? Ma non cacciarti nei casini.-

Irina si strinse nelle spalle.

-Non è un problema. E poi io sono già al Doposcuola Punitivo, che altro potrà farmi? Ora scusami, ma siamo di fretta. Goditi lo spettacolo, eh.-

Elia la guardò allontanarsi poco convinto, poi tornò dai suoi amici.

 

-Chi era quello?-

Chiese Matteo, seduto sulla panca dello spogliatoio della palestra.

-Chi? Uh, Elia Petrarca.-

Rispose Irina frugando in un armadio di metallo.

Matteo inarcò le sopracciglia.

-Chi? Quello che secondo te è carino che ti ha dato le chiavi del cancello quando abbiamo fatto il murales? A me non sembra granchè.-

-Non sta a te giudicare, no?-

Matteo si limitò a mugugnare infastidito.

-Ah, e scusa per oggi pomeriggio.-

-Oggi pomeriggio?-

Chiese Irina senza smettere di cercare.

-Sì, quando ti ho fatto arrabbiare.-

Irina si bloccò pensierosa. Poi ricominciò a frugare nell’armadio.

-Ah, sì. Me ne ero dimenticata.-

Il bello di litigare con Matteo era che ormai ci era così abituata da non darci molto peso e sbollire più in fretta.

 -Ah! Eccole qua! Mettile, presto! Tra poco la preside farà il discorso.-

Matteo afferrò la collana a catena con il pendaglio a dollaro e cominciò ad armeggiare con la catena che fungeva da cintura.

-Sei nervoso?-

Matteo si fermò.

-No. Certo che no, figurati. Perché me lo chiedi?-

Disse con tranquillità ricominciando a litigare con la catena.

Irina lo guardò. Era piuttosto ridicolo, con quel cappellino al rovescio, la felpa enorme verde acceso e i pantaloni il cui cavallo arrivava al ginocchio. Quelle catene, poi…

-Mah, non so. E’ che hai la faccia bianca come un lenzuolo. Ah, e sei rigido come un palo. Ma ci credo, se dici che sei tranquillo.-

Matteo la guardò male mentre uscivano dallo spogliatoio.

-Ah, sei insopportabile.-

-Ma scusa, ho appena detto che ti credo!-

-Facendo benissimo intendere che non è vero.-

-Come dici tu.-

-Oh, insomma, va bene! Un po’ nervoso lo sono!-

Irina gli diede una pacca sulla spalla per mostrargli solidarietà.

-Forza e coraggio, Conti. Come ha detto la Costanzi, prima o poi questa maledetta serata finirà.-

-Non ho voglia di fare la figura dell’idiota davanti a tutti interpretando Giorgio.-

-Ma smettila!-

Esclamò Irina tirandogli un pugno sulla spalla.

Poi fece una cosa parecchio strana e parecchio inaspettata.

Dopo il pugno (nemmeno tanto leggero, tra l’altro) la sua mano scese sul braccio di Matteo e si strinse sulla stoffa della sua felpa.

Irina lo tirò forte per la manica e lo baciò sulla guancia dopo aver borbottato :”Forza, Biondo che ce la fai.”

-E muoviti! Tra poco inizia , datti una mossa!-

Sbraitò poi camminandogli davanti, decisamente rossa in viso.

Matteo non seppe cosa rispondere, semplicemente troppo sconvolto da quello che era successo.

 

-Non ha ancora finito?-

-E’ da mezz’ora che parla, ormai ho smesso di ascoltare quello che dice.-

-Se voleva la parte di Dafne bastava dirlo. Gliela cedevo volentieri.-

-Ma così avrei dovuto baciare la preside!-

-A sapere che ci metteva tanto non mi sarei fatta tutte quelle rampe di scale di corsa.-

La preside era salita sul palco scenico mezz’ora prima e ancora stava parlando ai genitori e ai ragazzi.

Sembrava trovarsi perfettamente a suo agio illuminata dai riflettori, e a quanto pareva non aveva proprio intenzione di cedere il posto ai ragazzi del Doposcuola.

Ormai nemmeno la studentessa più zelante, ovvero Anita Marconi, compagna di classe di Luca, riusciva a prestarle attenzione.

-Mi stavo chiedendo…cosa c’entrano i crediti scolastici con “Amore Matematico”?-

-Perché, sta parlando di crediti, adesso?-

-A quanto pare.-

-Ma và, i crediti erano prima. Ora sta parlando del water intasato al piano del Musicale.-

-Prima o poi non saprà più cosa dire.-

Incredibilmente quel momento giunse.

-… Ma temo di aver occupato la scena troppo a lungo.-

Sì, proprio così.

-Quindi, senza altro indugio, sono fiera di presentarvi i nostri ragazzi in… “Amore Matematico”!-

Partirono gli applausi, che risvegliarono molti dal torpore creatosi.

Irina potè notare che almeno tre quarti dei ragazzi in prima fila avevano una smorfia disgustata per via del titolo.

Luca cominciò ad armeggiare con il computer e con il pannello elettrico.

Le luci si spensero.

Sara fece un breve sospiro e, dopo aver ricevuto un lieve sorriso incoraggiante da Luca, andò a sedersi al tavolo ancora nascosto dal sipario.

Marco la seguì poco dopo e si sedette al piano.

Fran cominciò a far tamburellare le dita sul pannello elettrico in preda a un tic nervoso.

Irina pensò bene di scaricare la tensione tirando un pugno a Matteo.

-Ahi! Che ho fatto?-

Sussurrò la voce di Giovanni quando il pugno di Irina lo centrò sulla schiena.

-Ops! Miravo a Teo. E’ buio, non vedo niente, Gio!-

-Un po’ più a destra.-

Mugugnò il ragazzo.

-Più a destra di me, possibilmente.-

Aggiunse cauto Luca.

-Grazie, ne avevo proprio bisogno.-

Fu il commento sarcastico di Matteo quando finalmente Irina lo trovò e gli tirò uno scappellotto.

-Dovere, Conti. Sono una brava cittadina.-

-Fate un po’ di silenzio, voi due! Inizia!-

 

Quando la prima nota del piano risuonò, dietro le quinte calò il silenzio.

Salvo un leggero mugolio levatosi da Luca, vittima di un altro pugno emozionato di Irina.

-Oh, scusa! Miravo…-

-…a Teo, lo so.-

 

 

 

 

 

 

*Angolo di Mary

Immagino che ormai Irina si sia proprio appioppata l’etichetta di “Violenta”. Non so più che fare con questa ragazza, ma direi che in questo capitolo c’è stato un progresso.

Ditelo, vi ha annoiato molto la parte del ricordo?

Non so, mi era venuta in mente quella scena, e mi piaceva l’idea di come Irina e Fran sono diventate amiche. E di come Irina si sia innamorata delle felpone, ovvio.

E Giacomo? Che dire del fratellone quasi trent’enne? Io personalmente lo adoro, adoro sua moglie, anche se in effetti non è che sia comparsa granchè, e amo i suoi figli.

Non dimenticatevi di Samuele e Danilo, i due irriducibili gemelli, torneranno e saranno piuttosto importanti.

Ebbene, eccoci qua.

La recita, alleluja. Alzi la mano chi si ricordava della sua esistenza. Nessuno? Lo immaginavo.

Pazienza, rimediamo con questi capitoli.

Questa era la prima parte, e sì, non è successo molto, ma il prossimo capitolo sarà un po’ più denso.

Che dire, ancora?

Grazie mille a tutta la gente che aumenta tra i lettori silenziosi, tra chi segue, preferisce e ricorda.
Ah, bè, e ovviamente un grazie speciale a chi recensisce. Quanto vi adoro??

Al prossimo capitolo (che è ancora da scrivere e non so quando sarà pubblicato), gente.

Mary

 

P.S. Mi sono accorta di aver fatto moltissimi errori di battitura nello scorso capitolo, mi dispiace tantissimo. Li ho corretti tutti, credo. Spero non ce ne siano in questo.

 

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Capitolo 16
*** Piccoli artisti crescono ***


 

Piccoli artisti crescono

 

Questo capitolo è dedicato a Eyla Owen (dai, tanto lo so che te l'aspettavi.)

Perchè è il suo compleanno lunedì e io non so ancora cosa regalarle, quindi intanto le regalo il capitolo.

Tutto tuo, Eyla!

E buon compleanno.


Non era mai stata molto romantica, Rebecca. Ecco perché si stava annoiando a morte.

Sbuffò e guardò Luca Genziana, seduto accanto a lei. Lui sembrava piuttosto interessato, invece.

-Luca?-

-Mh?-

-Sei un ragazzo, giusto?-

Luca si voltò a guardarla, stranito.

-Sì, credo proprio di sì. Perché me lo chiedi?-

-Se sei un ragazzo, perché ti piace questa roba e non ti stai annoiando?-

-Oh, è pur sempre teatro, no? E poi Sara è davvero brava, dobbiamo sostenerla, in quanto compagni di classe.-

Rebecca sbuffò di nuovo.

Sì, lo sapeva che Sara era molto brava, che aveva davvero talento e tutta quella sfilza di complimenti che Luca le rifilava sempre.

Sapeva anche che Luca non ne era innamorato, lo conosceva ormai.

Però dava più attenzioni a Sara che a lei. Luca guardava le persone in base al loro talento sul palco scenico, forse.

Bè, lei lo sapeva ormai di avere meno talento di Sara, però era anche più interessata a Luca di lei, accidenti.

Per la terza volta sbuffò e tornò a guardare il palco.

Non era una ragazza romantica, Rebecca, però era una ragazza allegra.

Era contenta che Sara se la cavasse là sopra, nonostante Luca la ammirasse tanto, in fondo se lo meritava.

Si chiese se non avesse paura. Lei era sempre tremendamente nervosa quando saliva sul palco.

 

Sara era nel suo ambiente, era tranquilla, rilassata. E si stava divertendo.

La cosa più bella di recitare era proprio questa: la miscela di divertimento e di familiarità che si creava sul palco.

Certo, si sentiva emozionata, era umana anche lei.

Specialmente all’inizio aveva rischiato di scoppiare a ridere in faccia a Matteo, che era entrato in scena ingobbito da un poderoso pugno di Irina.

La ragazza aveva uno strano modo di incoraggiare la gente.

-Giorgio, andiamo, almeno due diviso uno lo saprai fare, no?-
-Non saprei… Zero?-

Risata compassionevole dal pubblico pietoso.

Sara-Dafne sospirò e cominciò a spiegare a Matteo come mai due diviso uno non avrebbe mai potuto risultare zero.

 

-In questo spettacolo Conti fa proprio la figura del deficiente!-

Scoppiò a ridere Aldo Visconti, altrimenti detto “Visco”.

Marina, seduta al suo fianco, lo guardò severamente.

-Sarebbe carino se tu non glielo facessi notare, comunque.-

-Stai scherzando? Lo sfotterò a vita! Non gli hanno mai dato una parte più scema! E io ho partecipato con lui anche alle recite dell’asilo, eh.-

-Aldo, sei un cavernicolo.-

-Lo sai, sei l’unica persona al mondo che mi chiama per nome, eccetto i miei genitori.-

-“Visco” è un soprannome orribile.-

Il ragazzo si strinse nelle spalle.

Matteo aveva appena trattato male la tizia con i capelli neri, e in quel momento sulla scena era calata una musica triste e struggente. Bleah.

Guardò il ragazzo seduto davanti al pianoforte e fece una smorfia.

-Ma come fa a piacerti quel tizio?-

A Marina brillavano gli occhi solo al vederlo, quel Poli. Che nervi.

-La domanda è :” Può lui non piacere?”-

-Bè, sì. A me per esempio non piace. Cos’ha lui che io non ho?-

Sbottò lui guardandola amareggiato. Guarda un po’ se doveva essere ignorato per colpa di uno stupido pianista da strapazzo.

-Praticamente tutto, Aldo.-

Ribattè Marina senza pietà. Lo guardò incassare il colpo come al solito. Sorrise, un po’ intenerita.

-Del resto, a me non sono mai piaciute le cose troppo perfette.-

Lui la guardò sopreso, ma Marina sapeva che come al solito non aveva capito niente.

Sospirò e lo interruppe ancora prima che potesse dire qualcosa.

-Ehi, guarda, Matteo è tornato in scena.-

 

-Ho deciso di perdonarti, Giorgio. In cambio mi dovrai recitare una poesia che abbiamo studiato. Anche solo un verso.-

Che razza di compromesso. Giorgio in piena lezione le aveva dato della secchiona insopportabile e lei lo perdonava in cambio di una poesia?

-Ok. Hum…-

Cominciò esitante nei panni del suo deficiente personaggio.

-Allora… :”Cos’è un bacio?...”-

Poi s’interruppe. Giorgio non ricordava come continuava la poesia.

Il silenzio per la verità si prolungò più del dovuto, perché Matteo si era distratto di nuovo notando che Irina, nel lato più estremo del palco stava strisciando per non farsi notare mentre cercava di recuperare un grosso rotolo di scotch caduto sul palco scenico.

Quella stessa Irina Rainieri che stava strisciando come un verme sul pavimento, un’ora prima lo aveva baciato. D’accordo, era stato un innoquo bacio sulla guancia, ma stiamo parlando di Irina Rainieri!

Che lui provasse qualcosa per quella là era piuttosto assodato, quindi che fare ora?

Chissà, forse prendendo il coraggio a due mani… Ma forse Irina gli avrebbe riso in faccia. O lo avrebbe colpito.

Erano entrambe brutte previsioni.

-Hem… Giorgio?-

Sara lo guardava, perlplessa, chiedendosi se si fosse per caso scordato la battuta.

-Come continua la poesia?-

Continuò, improvvisando.

-Oh, hem… non mi ricordo. Cos’è un bacio?-

-“E’ un apostrofo roseo…”-

Continuò lei vedendo che si era ripreso.

-Ecco, questa non l’ho capita. Come fa un apostrofo a essere rosa?-

 

Monica guardava poco convinta la scena.

Insomma, chi diavolo aveva inventato la scena e i personaggi?

Giorgio era il ragazzo più stupido esistente sulla faccia della terra!

Sbuffò e sprofondò ancora di più nella sedia, desiderando di essere ovunque eccetto che nel teatro del Michelangelo, costretta a seguire quella recita campata per aria e a sentire i commenti delle ragazze su suo cugino.

-Oddio, Marco Poli non è carino da morire?-

-Vorrei essere quel pianoforte!-

-E’ proprio figo. Non è occupato, vero?-

-No.- interruzione data da un sospiro estasiato. –Ha proprio il fascino del ragazzo misterioso.-

Monica avrebbe voluto vomitare lì, davanti a tutti, ma cercò di trattenersi, pur mantenendo un’espressione disgustata.

Cercò di concentrarsi su Marco, -come le altre ragazze, ma ovviamente con un obiettivo diverso –nonostante sapesse che non avrebbe sbagliato una nota.

Nei pomeriggi passati a casa sua lo aveva sentito esercitarsi in tutti i pezzi da suonare quella sera, ormai li conosceva a memoria, e sapeva che Marco li avrebbe eseguiti in maniera impeccabile. Come sempre, del resto.

Monica inarcò un sopracciglio, estremamente sorpresa, quando si accorse del leggero errore commesso da Marco. Un piccolo cambiamento di tempo, una nota sbagliata.

Poi sorrise, furbesca. Che diavolo era successo al suo impeccabile cugino da farlo sbagliare?

 

Marco imprecò sotto voce.

Aveva sbagliato pochissime volte a un’esibizione nella sua carriera di pianista e lo faceva ora, durante la loro sudata recita?

Si concentrò sullo spartito e cercò di guardare solo le note che gli scorrevano davanti agli occhi.

Sicuramente nessuno si era accorto del suo errore, da quanto era minimo, eccetto forse sua cugina Monica.

Lanciò una breve occhiata a Fran e si scusò mentalmente con il piano per essersi distratto a causa di quella dannata ragazza.

Ma se avesse smesso di guardarla sarebbe stato sicuramente più concentrato, quindi tornò a guardare con decisione lo spartito cercando di ignorare la ragazza che ballava sul palco.

Sperò con tutte le sue forze che Monica non gli facesse domande al riguardo, sarebbe stato piuttosto imbarazzante rispondere.

 

-Non penso che avrei scelto di ballare questa canzone, non ti pare, Flavia? Non credo che Francesca riesca a cogliere il ritmo.-

Commentò un’altezzosa Clara Avianelli al suo fianco.

Flavia sospirò esasperata.

-No, a me sembra che se la cavi, Clara. È brava, non credi?-

-Forse ci vorrebbe un po’ più di grazia. Francesca non fa il corso aggiuntivo di danza classica, vero?-

-No.- Replicò stancamente Flavia. –Le ho dato qualche lezione io.-

-Oh. Non si direbbe.-

Flavia fece un respiro profondo e affondò le unghie nel cappotto che teneva sulle ginocchia.

Sei una persona tranquilla, Flavia, non perdere il controllo. Non puoi tirare un pugno a una compagna durante la recita, finiresti al Doposcuola Punitivo, e tu non vuoi questo, vero?

No, Fran le aveva raccontato di quanto avessero sgobbato per la recita, e lei non ci teneva ad avere impegni in più.

Guardò Fran mentre eseguiva un passo che lei stessa le aveva insegnato e sorrise orgogliosa.

-Oh, Clara, che vuoi farci, c’è chi ha talento e chi no.-

E poteva interpretarla come le pareva.

 

-Grande, Fran, non sei inciampata nemmeno una volta. Non che ne dubitassi, eh. L’unica che credeva di sbagliare sei tu.-

Aggiunse Irina mentre Fran sorrideva e si passava una mano sulla fronte sudata.

-Vedrai, le mie compagne di classe avranno sicuramente qualcosa da ridire.-

-Questo è certo. Sono un branco di cretine. –

A parte Flavia e qualche altro compagno la classe di Fran non era delle migliori, in effetti.

-Facciamo ora un minuto di pausa per far riposare questi piccoli artisti. Speriamo che vi siate goduti il primo tempo.-

-“Piccoli artisti?”-

Ripetè Irina schifata.

Fran ridacchiò e addocchiò Marco in fondo al palco che riordinava gli spartiti.

Fece un passo verso di lui, imponendosi di fare in fretta. Aveva promesso a sé stessa che sarebbe stata decisa in questa cosa.

Avete presente quando finalmente vi siete decisi a fare qualcosa d’importante e probabilmente immensamente imbarazzante?

Se sì, saprete che almeno un pochino agitati ci si sente.

Fran ormai gli era così vicino che non poteva certo più tirarsi indietro.

-Hem… Marco?-

Marco si girò di scatto e, per ragioni note solo a lui, arrossì nel vederla.

-Sì, scusa, lo so, ho sbagliato a un certo punto, ma non ti ha creato problemi, giusto?-

-Oh. No, non volevo dirti questo. In realtà non me n’ero nemmeno accorta. Quello che volevo dirti è che...-

E avete presente quando venite interrotti mentre finalmente state per dire la sopracitata cosa importante?

Ecco, qui abbiamo un esempio pratico di tutto ciò.

Fran stava ancora dicendo:

- Insomma, secondo me quest…-, quando Giovanni esclamò:

-Ragazzi, la preside sta parlando con la Costanzi! Woho, eccola che arriva! Allarme Umbridge! Allarme Umbridge!-

Più che spaventato in realtà sembrava solo elettrizzato dalla faccenda. Fatto sta che Fran ormai aveva capito che quello non era certo il momento più appropriato per risolvere la cosa, quindi con un:- Facciamo un’altra volta, ok?- si allontanò da Marco, non sapendo se sentirsi sollevata o disperata.

 

La preside aveva fatto il suo ingresso trionfale e li aveva chiamati tutti in adunata, guardandoli un a uno severamente.

-Ragazzi miei, sono rimasta un po’ sorpresa nel vedere il mio copione così cambiato. Nessuno mi aveva avvertito e io sono rimasta un po’ spiazzata, lo capite?-

Riecco che sembrava parlare a dei bambini invece che a dei liceali.

-Tuttavia, non voglio lamentarmi. Il pubblico non sembra sgradire l’opera, anche se è molto meno poetica di prima. Persino quel romanticone del rettore è venuto a complimentarsi con me per la trovata.-

Annunciò sorridendo deliziata, mentre i ragazzi sembravano nauseati.

-Però voglio darvi un avvertimento, ragazzi miei. Non è stato molto educato quello che avete fatto e non mi è piaciuto molto. Io voglio andare d’accordo con voi, sapete? Quindi d’ora in avanti, niente segreti. Ci siamo capiti?-

Domandò sorridendo ancora di più.

Loro si limitarono a mugugnare e ad annuire.

 

-Come, tutto qui? Io mi aspettavo almeno che sputasse fuoco, o che ci sospendesse!-

-Avresti preferito?-

Domandò Sara scettica.

-Io sì. E’ stata più zuccherosa del solito e falsa anche di più. Si vedeva che non le piaceva per niente come l’abbiamo riadattata. Sì, bè, in effetti fa schifo lo stesso, però ha più successo di quanto ne avrebbe avuto la sua. Le fa solo comodo non modificarla e accaparrarsi i mieriti.-

Commentò Luca con una smorfia.

Irina sembrava essere sprofondata nella Fase Iri-Pensiero e fissava assorta il pavimento, le sopracciglia aggrottate.

Matteo aveva cominciato a cantare :”Crudelia Demon.. Crudelia Demon…” accompagnato al piano da Marco e Fran assisteva alla scena ridendo.

Inutile dire che si stavano divertendo molto di più dietro le quinte piuttosto che sul palco scenico.

 

Martina emise un gemito quando il sipario si aprì di nuovo e le luci si spensero.

-Ecco che ricomincia.-

Disse con tono lugubre.

-Credevo che tu fossi una tipa romantica.-

Commentò divertito Lorenzo Mobili.

-Romantica sì, ma non diabetica.-

Lorenzo ridacchiò, ma fu subito interrotto da una massa di capelli rossi che si era abbattuta sulla sua faccia.

Costanza Rossini, seduta al posto accanto al suo, stava cercando di irretire qualcuno distante di qualche posto, scuotendo come una leggiadra forsennata la sua lunga chioma e frustando inevitabilmente il suo sventurato compagno.

Martina si voltò verso di lei mentre Lorenzo sputacchiava schifato.

-Zoccola.-

Commentò soltanto, prima di voltarsi di nuovo verso il palco chiedendosi cosa stessero combinando Giovanni e Irina.

 

In quell’esatto momento Giovanni Santani si stava contorcendo dal dolore dopo essersi chiuso il dito nella porta dei camerini.

Mentre Irina faceva gesti agitati cercando di non ridere, Luca lo aveva agguantato e gli aveva tappato la bocca con la mano per evitare che le sue imprecazioni invadessero il teatro.

-Sei una calamita attira guai.-

Sibilò dopo averlo lasciato andare.

-Non è che io mi diverta, sai.-

Rispose Giovanni scuotendo il dito rosso.

-Zitti voi due, non sento cosa dicono.-

Sussurrò Irina sovrastandoli.

-Non ti facevo così interessata ad “Amore Matematico.”-

-Non è quello, Luca. È che se Conti sbaglia qualcosa poi posso rinfacciarglielo.-

-Ah, ecco, questo ha molto più senso.-

 

-Hai attivato di nuovo la Fase Iri-Pensiero?-

Chiese Giovanni dopo qualche minuto, avvicinandosi a Irina.

-Sì, sono in Fase stasera.-

-Come mai?-

-Non so, così. Secondo te cosa c’è di peggio del Doposcuola Punitivo?-

Aggiunse poi la ragazza.

-Non saprei. La sospensione, credo. Perché, cos’hai fatto?-

Domandò sospettoso. Aveva come l’impressione che questa volta la Fase avrebbe portato guai.

-Niente!-

Rispose lei in fretta tornando a guardare la recita.

-C’entra qualcosa Matteo? Ti prego, non dirmi che avete litigato come l’altra volta. Non voglio essere scelto come cavia per venirvi a spiare mentre fate pace.-

Irina lo guardò sinceramente stupita.

-Matteo non c’entra niente. Perché dovrebbe? Oh, non dirgli che pensi così tanto a lui, ha già le manie di grandezza senza che qualcuno lo aiuti.-

Giovanni le lanciò un’occhiataccia.

-Non so, ho pensato che aveste potuto litigare quando vi siete allontanati prima dello spettacolo.-

Irina arrossì.

-Oh, quello. No, no, è tutto a posto. Non è successo niente di chè con l’imbecille. Uh, non è il momento di cambiare ambientazione?-

Giovanni tornò a guardare il palco e si accorse che la scena era cambiata.

Imprecando si lanciò tra gli oggetti di scena.

 

Il tizio biondo stava cercando di farsi perdonare da Sara, la ragazza di Luca, scusandosi per essersi comportato male al ballo della scuola.

Francesco Mariotti si mosse nel suo posto per sentire quello che dicevano le sue compagne.

-Oh, ma non sono carini?-

-Secondo voi stanno insieme? Il biondino e la moretta, intendo.-

-Secondo me sì. Insomma, si vede che sono molto presi, e poi stanno così bene insieme.-

-Oh, com’è romantico! Innamorati nella vita reale e sulla scena!-

Francesco provò a immaginarsi la faccia di Luca se avesse sentito quei commenti.

No, non sarebbe stato molto contento.

 

-Si dice “sia successo”. Il congiuntivo non è stato inventato per essere dimenticato, Giorgio.-

Stava dicendo in quel momento Sara.

Luca piantò gli occhi sullo schermo del portatile, ostinato a non guardare niente di quella scena.

Non bastava che quei due si baciassero, no, il bacio doveva anche essere ragionevolmente lungo.

Naturalmente questa cosa non gli dava per niente fastidio. Nossignori. Figurarsi. Tsè.

Poi gli venne in mente che se non avesse visto niente non avrebbe potuto constatare se Conti si comportava bene, quindi tornò a guardare.

-Sei masochista. Se sei geloso marcio, perché continui a guardare?-

Intervenne Giovanni.

-Perché se Conti fa qualcosa di sbagliato lo posso picchiare.-

Irina annuì con approvazione.

-E non sono geloso marcio.-

Aggiunse guadagnandosi un’occhiata scettica da entrambi.

-Oh, Giorgio.-

E con l’esclamazione estasiata di Dafne calò il sipario.

 

-Ora chiamiamo i nostri ragazzi a godersi l’applauso. Venite, ragazzi miei!-

Qualcosa nel tono della preside faceva capire che era più lei a godersi l’applauso di tutti loro.

Irina, nonostante non riuscisse a sopportare il comportamento della “Umbridge”, non potè fare a meno di sorridere, sebbene nervosamente, quando si ritrovò sul palco con gli altri.

Insomma, dopo la fatica che avevano fatto, almeno un applauso sentiva di meritarselo.

Mentre la Costanzi accettava riluttante un mazzo di fiori in quanto regista, la preside continuò a parlare rivolta a loro.

-Sarebbe davvero bello se uno di voi ragazzi ci dicesse cosa ha rappresentato per voi quest’esperienza, non vi pare? Avanti, chi di voi vuole farci un bel discorso?-

Trillò tutta felice.

Normalmente in una siuazione come quella, Irina avrebbe cercato ogni scusa plausibile per non parlare e avrebbe rifilato il discorso a Matteo.

In quel momento, però, le si era accesa una lampadina.

Lei aveva qualcosa da dire, ci aveva pensato tutta la sera. C’era forse un momento migliore di quello per farlo?

Sì, in effetti probabilmente c’era. Ma non era sicura che in un’altra occasione avrebbe ancora avuto il coraggio di farlo.

Alzò esitante la mano, attirando l’attenzione della preside e trovandosi addosso gli occhi sbalorditi di tutti i suoi amici.

-Uh… se nessuno ha niente da dire posso farlo io. Il discorso, intendo.-

-Oh, ma certo! Su, presentati agli studenti, signorina!-

Irina cercò di non inarcare il sopracciglio e si presentò, nonostante sapesse che, eccetto i suoi compagni, nessuno si sarebbe ricordato il suo nome uscito da quel teatro.

-Oh, certo, sì… Sono Irina Rainieri… frequento l’indirizzo Artistico.-

Gli studenti applaudirono.

Le sembrava di essere a una seduta del gruppo Alcolisti Anonimi.

-Ebbene, signorina Rainieri, cosa ci racconti di quest’esperienza?-

Irina strinse tra le mani sudate il microfono, consapevole che probabilmente si sarebbe pentita presto di quello che stava per dire.

 

Carpe Diem, aveva detto qualcuno.

Bè, la sua professoressa di latino sarebbe stata orgogliosa di sapere che ascoltava qualcosa a lezione.









*Angolo di Mary

Ebbene sì, esisto ancora.

Nessuno mi ha rapito, nessuno mi ha ucciso, nessun branco di rinoceronti mi ha investito (?)...

Sono viva!

Ok, ora che è assodato passo a salutarvi. Ciao!

Ok, lo so che non posto da almeno due mesi (due!) e che questo capitolo è un mattone ed è pure brutto, ma cercate di portare pazienza, e se proprio avete sete di vendetta, trasportatela sui miei professori carnefici, la colpa è tutta loro.

E so di avervi ucciso con tutti quei personaggi in più, ma non mi aspetto che ve li ricordiate, tranquilli.

Ammetto che ho un debole per i personaggi secondari e supplementari (Va bene, amo Marina e Visco), ma poi loro mi servivano per introdurre quelli principali.

Ho pensato che fosse il modo giusto per farvi notare le impressioni degli spettatori contrapposte a quelle dei protagonisti. Un contrasto Ragazzi del Michelangelo-Ragazzi del Doposcuola Punitivo. Che poi è lo scopo della storia intera.

Questo capitolo è venuto più corto di quello che avevo progettato, perchè all'ultimo minuti ho preferito finirlo così.

E' un capitolo da una parte di passaggio e da una parte no. Nel senso che anticipa i fatti realmente importanti del prossimo capitolo (sì, ne succederanno delle belle.) e allo stesso tempo lo considero importante, perchè è proprio il centro della storia intera.

E non preoccupatevi delle cose lasciate in sospeso. Prima o poi si risolveranno gradualmente.

Come sempre non mi fido (e faccio bene) di me, e SO che ho fatto errori di battitura. Fatemeli notare, per favore.

Mary

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Capitolo 17
*** Carpe Diem ***


 

Carpe Diem


Alla Mich, perché anche

se non lo sapeva mi ha

fatto sorridere quando ne avevo

bisogno, e perchè ha ascoltato le

mie fastidiose lagne l’altra sera.

Perché ci siamo conosciute grazie

alle nostre storie e, se mi permetti, Mich,

conoscere te e Zabini è stato un vero piacere.

(Come sono sentimentale.)

 

 

Ok, se n’era un po’ pentita, in effetti.

Gli occhi assottigliati della preside le fecero capire che la sua non era stata una grande idea.

-Grazie per il discorso, signorina Rainieri.-

Esclamò poi sorridendo e unendosi all’applauso generale.

-Ora andate a cambiarvi, ragazzi. Chiedo al gentile pubblico ancora un momento affinchè io possa ringraziarlo per la sua presenza.-

Irina non ebbe nemmeno il tempo di vedere le facce disperate degli spettatori o quelle sconvolte dei suoi amici; appena mise il piede destro oltre il palco fu subito trascinata, piuttosto violentemente, tra l’altro, dietro uno dei tendoni laterali.

-Ma ti ha dato di volta il cervello?-

Sibilò Matteo arrabbiato, scuotendola per le spalle.

-Insomma, ho solo detto la verità!-

Esclamò lei riferendosi ovviamente al suo discorso.

 

Le mani erano così sudate che aveva paura che il microfono scivolasse via come una saponetta bagnata. Come scena sarebbe stata piuttosto patetica.

-Ok, eh…dunque, bè, come esperienza senz’altro ci ha insegnato a collaborare…-

Sembrava un discorso da aspirante miss Italia, per mille dannatissimi cavoli.

-… e abbiamo capito come mettere insieme le nostre capacità. Noi veniamo quasi tutti da indirizzi diversi e abbiamo unito ciò che abbiamo imparato.-

Ecco, questo era più o meno il punto dove voleva arrivare. Che il santo protettore degli studenti scavezzacollo e autolesionisti la proteggesse!

-Il murales sul muro della palestra rappresenta questo, in un certo senso. Se avete presente come è fatto, i vari oggetti rappresentano gli indirizzi, il fatto che sono disegnati tutti sovrapposti rappresenta l’unità. La maschera è il simbolo di Lingue e Recitazione, il pennello e la matita dell’Artistico, poi ci sono le scarpe da ginnastica dello Sportivo e lo spartito del Musicale. Insomma, è un po’ il simbolo di quello che abbiamo fatto in questi mesi.-

Concluse ritornando a respirare e rifilando subito in mano alla preside il microfono.

Ecco, si era immolata per le leggi della coscienza umana.

Leggendo l’“Antigone” sembrava una figata.

Guardando l’effetto del suo discorso sulla preside sembrava proprio una fregatura.

 

-La verità? Sì, proprio una buona idea!-

Esclamò lui con la voce più strozzata.
-Sì, un’idea geniale, davvero! Perché hai fatto quel discorso? Adesso la preside ha capito che hai fatto tu quel dannato murales. Che bisogno c’era, me lo spieghi?-

Parlava talmente velocemente che a volte si mangiava le parole.

-Oh, insomma, io sono già al Dop…-

-Ma cosa dici? Altro che Doposcuola Punitivo, quella ti espelle!-

Irina sgranò gli occhi; si era aspettata al massimo la sospensione.

-Non può…- tentò di dire.

-Certo che può!- la interruppe subito Matteo. -Andiamo, l’abbiamo bellamente presa in giro dicendo che il murales non l’avevi fatto tu e l’abbiamo pure convinta a non cancellarlo. Sarà fuori di testa!-

-Tu non c’entri niente, non può farti nulla.-

Lui scosse la testa come se fosse un dettaglio poco importante.

-Spero almeno che tu l’abbia fatto per un motivo sensato.-

-Non so se è sensato. Ma la preside stava rompendo a ogni singolo studente dell’Artistico con questa storia, me l’ha detto Elia. Almeno l’ho fatta finita, no?-

-E dovevi proprio farlo davanti a tutti?-

Irina boccheggiò per un momento.

-Bè… no.-

-E allora perché l’hai fatto davanti a tutti?-

Ripetè lui, sembrando leggermente isterico.

-Perché… insomma, hai presente il detto “carpe diem?”-

-Fa la filosofa, adesso!-

-Nel senso che mi è venuto in mente di dirlo in quel momento. Avevo paura che un’altra volta non sarei riuscita a farlo, quindi…-

Disse, cominciando a ingarbugliarsi, agitata.

-Ok, tu sei… tu…-

-Dove accidenti è la Rainieri? La preside vuole parlare con lei!-

Berciò la Costanzi oltre il tendone.

Matteo serrò la mascella facendole segno di uscire.

Lei lo fulminò con lo sguardo, seccata e per niente incoraggiata dal suo comportamento.

 

“Forse non hai pensato alle conseguenze della tua azione, signorina Rainieri, ma ne parleremo domani, in presidenza. Adesso voglio parlare con i tuoi genitori.”

Questo era quello che in soldoni aveva detto la preside, il tutto accompagnato da un’occhiata acida.

Irina sbuffò e continuò a fissare il soffitto della sua stanza, dove era stata relegata dai suoi genitori.

Sapeva di meritarselo, in realtà, ma non aveva tempo di colpevolizzarsi. L’idea di essere espulsa le occupava troppo la testa.

Ok, era un’idiota, ma non voleva essere espulsa, accidenti.

Aveva dato troppa considerazione al fatto di essere già al Doposcuola Punitivo, come se fosse una sorta di protezione.

Lo squillo proveniente dal cellulare la distrasse e sbuffando lo afferrò, mettendosi a sedere sul letto.

 

Una chiamata persa alle 21:53 da: Marco fa il faigo (il nome in rubrica l’aveva modificato Giovanni).

Una chiamata persa alle 21:58 da: Marco fa il faigo.

Una chiamta persa alle 21:59 da: Sara.

Una chiamata persa alle 22:00 da Marco fa il faigo.

Una chiamata persa alle 22:10 da: Marco fa il faigo.

Sì, erano amici, ma non si aspettava una tale costanza da Marco Poli.

Perplessa, andò alla lista dei messaggi ricevuti.

Marco fa il faigo. 22:12

Ho finito i soldi e Marco mi ha prestato il cell. Che ti ha detto la Umbridge? Fran.

Marco fa il faigo. 22:15

Iri, dai, rispondi, siamo preoccupati.

Marco fa il faigo. 22:17

Io lo sono, soprattutto. (preoccupata)

Marco fa il faigo. 22:20

Rispondi, disgraziata!

Lucameba. (Altro nome modificato da Giovanni.) 22:21 

Rispondi a Fran, Irina, sta avendo una crisi isterica, credo.

Marco fa il faigo. 22:24

Rispondi a Fran, mi sta finendo i soldi.

Contidiota. (Nome inventato da lei, questa volta.) 23:00

T.a.C (=Testa a Cespuglio), mi auguro che tu abbia risposto a Fran, era fuori di testa, prima. Complimenti, sei riuscita a far preoccupare tutti, pure Luca aveva l’occhio un po’ più sveglio.

 

Era l’ultimo messaggio che le era arrivato.

Strinse le labbra, offesa. Tutti erano preoccupati tranne lo stupido biondo, evidentemente. Lui aveva ancora voglia di farle la ramanzina.

Lei era addirittura arrivata a pensare che in un certo senso avrebbe apprezzato quel suo sbattere la verità in faccia alla preside. A quanto pareva si sbagliava.

Con un rantolo frustrato agguantò il cuscino e se lo schiaffò in faccia, meditando seriamente di soffocarsi con le sue stesse mani.

 

Aveva una gran voglia di tirare in pugno al muretto su cui era seduta. Dove erano finiti quei disgraziati?

Ogni santa mattina si trovavano al muretto prima che suonasse la campana, perché Irina era l’unica deficiente presente?

Forse erano arrabbiati con lei perché temevano di finire nei guai a causa sua. Ma se così fosse stato, perché la sera prima l’avevano sommersa di messaggi e chiamate? È vero, non aveva risposto, ma era una reazione prevedibile.

Quando capì che non sarebbe arrivato nessuno Irina si alzò producendo una sorta di ringhio e si avviò verso la parte della scuola che ospitava l’indirizzo Artistico.

 

Se prima aveva avuto voglia di tirare un pugno al muretto adesso sentiva di avere la forza di sgretolarlo completamente.

No, lei non era violenta, per niente, però era arrabbiata col mondo, con la preside, con i suoi amici e con se stessa.

Per completare l’opera Giovanni era arrivato con cinque minuti di ritardo e, trovato il suo solito posto accanto a lei occupato da Ernesto Smeriglione, si era andato a sedere in ultima fila.

Quando finalmente era arrivata la ricreazione Giovanni si era defilato lasciandola nelle grinfie di Ernie (l’unico soprannome che erano riusciti a dargli in quattro anni di scuola.), che voleva copiare i suoi appunti –presi male, per giunta- di fisica.

Martina era sparita poco dopo e Irina era rimasta senza un minimo di appoggio in previsione del colloquio con la preside all’ultima ora.

Se Irina avesse dovuto di nuovo scegliere di cogliere l’attimo in quel momento si sarebbe buttata dalla finestra.

 

-Siediti, signorina Rainieri.-

Irina controllò istintivamente che alla sedia posizionata davanti alla cattedra non fossero stati applicati strumenti di tortura.

-Parliamo del tuo discorso di ieri sera.-

Esordì la preside quando Irina si fu seduta.

-Parecchio tempo fa mi avevi assicurato- calcò molto sull’ultima parola –che il disastro sul muro della palestra non era opera tua… eppure mi è sembrato di capire il contrario, o sbaglio?-

Irina fece per parlare, ma fu subito interrotta.

-Non sbaglio, ho proprio capito bene. Il che sta a significare, però, che tu parecchio tempo fa mi hai mentito, signorina Rainieri. Questa è mancanza di rispetto a un docente, te ne rendi conto, almeno?-

Irina non potè far altro che annuire. Certo che se ne rendeva conto, maledizione.

-Non volevo mancarle di rispetto, mi rendo conto di aver sbagliato a non avvertirla in tempo.-

Sapeva che una frase del genere non avrebbe mai potuto tirarla fuori da quella situazione spinosa (in tutti i sensi, perché una delle tante rose di plastica sparse per l’ufficio della preside si era impigliata nella manica della sua felpa e ogni movimento comportava l’essere punta).

In fondo, però, non avrebbe potuto dire altro.

La preside esalò un piccolo sospiro piuttosto irritante.

-In conseguenza alle tue azioni avevo pensato di espellerti…- Oh, santissimo protettore di ragazze disperate con rose di plastica conficcate nel braccio, vieni in mio aiuto! -… ma mi rendo conto che forse sarebbe eccessivo.-

Irina allentò leggermente la presa delle mani sudate sulla sedia.

-Sono giunta anche alla conclusione che una sospensione non sia il modo adeguato per punirti, non è così che impareresti a portare rispetto.-

Irina era troppo stupita e non riuscì a trattenersi dal sussurrare un –Davvero?-

-Preferisci che cambi idea?- Rispose acida la preside.

-No, no.-

-Ho quindi deciso di appesantirti la pena del Doposcuola Punitivo. Invece di andare a casa alle sei come i tuoi compagni starai qui fino alle sette e mezza di sera. Farai lavori socialmente utili per un’ora e mezza aiutando la signora Costanzi e gli altri bidelli a pulire le aule.-

La prima cosa che Irina pensò fu: ci sono bidelli uomini in questa scuola?

La seconda: pulire circondata da inquietanti bidelle ringhianti?

La terza: come cavolo farò a studiare se torno a casa alle sette e mezza?

I tre pensieri sono qui riportati in ordine di importanza, ovviamente.

Era anche vero che adesso che non dovevano più preparare lo spettacolo avevano tutto il pomeriggio per studiare.

Ad ogni modo non era proprio il caso di lamentarsi, visto che aveva quasi rischiato di essere espulsa.

-Sei sorpresa dalla fortuna che ti è capitata, signorina Rainieri?-

Sì, assolutamente. Ma non poteva certo dirlo, rischiando di ricadere dalla padella alla brace.

La fatica di rispondere le fu risparmiata dalla preside che, incapace di stare zitta, parlò di nuovo.

-Prima che tu vada in classe, potresti avere interesse di vedere questo.-

Disse porgendole quelli che sembravano dei normalissimi fogli di quaderno. Irina li prese, incuriosita e perplessa.

Almeno tre facciate e mezza di quei fogli erano ricoperti di scritte disordinate, che poi riconobbe essere svariate firme.

Guardò interrogativa la preside. Eh, bè?

-Durante la quarta ora si è precipitato qui il signor Conti con una richiesta di assemblea, in quanto rappresentante di classe. Ma mi ha anche mostrato i fogli che hai in mano. A quanto ho capito sono state raccolte le firme di studenti che sono favorevoli al tuo murales.- Il sorriso che fece sembrava più una smorfia di disgusto.

Irina guardò meglio i fogli e notò che le prime firme erano quelle dei ragazzi del Doposcuola Punitivo. Il primo a firmare era stato Luca, il secondo Matteo, e a giudicare dalla sbavatura sulla “i” di “Conti”, Giovanni gli aveva strappato di mano la penna per firmare a sua volta. La quarta era stata Fran, ed era piuttosto di fretta, considerato quanto aveva scritto male. Seguiva la firma un po’più ordinata di Sara e lo sgorbio seguente doveva essere quella di Marco.

-Questi fogli e queste, chiamiamole così, “dichiarazioni di sostegno” non hanno influito sulla mia decisione di non espellerti o sospenderti, signorina Rainieri, voglio metterlo in chiaro.-

Tanto per smorzare l’entusiasmo, eh.

-Però ho deciso di non far cancellare il tuo lavoro. Innanzitutto perché ho imparato che potrebbe esserne fatto un altro, in secondo luogo perché se piace tanto agli studenti potrebbe essere un buon simbolo di unità tra indirizzi.-

Ci fu una pausa di silenzio in cui Irina si guardò intorno nervosa, cercando ancora di liberarsi dalle rose di plastica.

-E’ tutto, direi. Puoi andare. Da oggi sarai costretta a restare a scuola fino alle sette e mezza, ricordatelo.-

Sorrise melliflua prima che Irina sparisse del tutto oltre la porta.

 

Uscita dalla presidenza Irina si prese qualche minuto per pensare, rifugiandosi in bagno.

Ancora non ci credeva. Tutte quelle firme per aiutarla. Sapeva che la maggior parte delle persone che avevano firmato nemmeno la conoscevano, e che probabilmente avevano l’avevano fatto senza nemmeno sapere a cosa servisse, ma del resto a lei importava più che altro delle prime sei firme.

Quei cretini dei suoi amici non l’avevano evitata, allora.

Quei cretini dei suoi amici avevano passato la mattina a raccogliere firme in giro per la scuola solo per aiutarla.

Quei cretini dei suoi amici erano decisamente i migliori del mondo, diamine!

 

-Ma io le spacco la faccia!-

-Dai, Fran, calmati.-

-Calmarmi? Non risponde ai messaggi e alle chiamate, noi ci facciamo in quattro per la sua sopravvivenza e lei fa finta di niente!-

-Non sto facendo finta di niente!-

Esclamò Irina osservando la fetta di pizza con cui Fran la indicava accusatoria.

-Non dici niente, potresti anche essere espulsa senza che noi lo sappiamo.-

-Non è che non dico niente, volevo aspettare che aveste tutti qualcosa da mangiare, così non potevate interrompermi.-

-Che razza di ragionamento.-
Disse Luca con la bocca piena.

-Zitto e mangia.-

-Non sono stata espulsa, comunque.- Aggiunse dopo un attimo di silenzio. –e nemmeno sospesa.-

Matteo si rilassò un po’ e cominciò a sbocconcellare il suo pezzo di pizza.

-La preside ha deciso che entrambe le cose sarebbero state esagerate, quindi per punizione mi ha prolungato il Doposcuola. Dovrò fare lavori socialmente utili con i bidelli per un’ora e mezza.-

Annunciò lugubre.

-Ci sono bidelli uomini in questa scuola?-

Si stupì Fran.

-E’ esattamente la stessa cosa che ho pensato io quando la Umbridge me l’ha detto!-

-E dove si nascondono? Non ne ho mai visto uno!-

-Forse si vergognano.-

-E fanno bene. Non è un lavoro esattamente virile, poco ma sicuro.-

Gli altri le guardavano abbastanza sconcertati da quello scambio di battute. Ma era il caso di parlare degli esemplari maschi di bidelli che c’erano nella loro scuola in un momento come quello?

-Già, ma a parte questo… Te la sei cavata così?-

Cercò di riportare l’ordine Marco.

-Uh… Sì. Direi proprio di sì.-

-Se non è una botta di…-

Matteo fu interrotto da Luca che chiedeva –E i fogli?-

-Quali fogli?-

Domandò Irina con noncuranza.

-Non… non ti ha fatto vedere nessun foglio?-

-No.- Rispose lei, sentendosi immensamente infame.

Era troppo bello però veder boccheggiare i ragazzi, convinti che il loro sforzo fosse andato a vuoto.

Ma il gioco è bello quando dura poco, così Irina spiegò con nonchalance che in effetti la preside le aveva mostrato certe firme a sfavore della sua espulsione e della cancellazione del suo murales.

Dopo essersi sorbita una grande e meritata quantità di insulti dai suoi amici Irina arrossì e farfugliò un “Grazie, comunque”,  facendo un piccolo sorriso.

-E’ stato piuttosto folle e assurdo, ma molto cameratesco, direi.-

Continuò sperando di riuscire a far capire in quel modo impacciato quanto fosse loro grata.

-E’ stata un’idea di Luca.- Disse Sara, guardando il suo ragazzo sorridendo mentre lui concentrava tutta la sua attenzione sulle briciole nel suo piatto, probabilmente –incredibile, ma vero- un po’ imbarazzato.

-Mfì.- S’intromise Giovanni masticando il suo panino e sputacchiando.

Lo sguardo schifato di Irina si rivolse a Luca.

-Davvero?-

Si era aspettata che la mente fosse stata Fran, o magari Gio o Matteo, non l’impassibile  e svogliato Luca Grigori.

Lui annuì tranquillo.

-Sono l’unico del gruppo che riesce a pensare nelle situazioni di panico, evidentemente.-

-Sì, in effetti la cosa ha senso. Grazie, tra parentesi.-

Ripetè, veramente riconoscente.

-Già, ma quelli più carichi erano Teo e Fran. Teo ha quasi malmenato un primino, faceva paura.-

Il diretto interessato, che stava parlando incredibilmente poco, borbottò -Non è colpa mia, quel tipo ha il nome più lungo d’Italia. Come si fa a chiamare qualcuno Piergiangiovannimaria?-

Irina si allungò a tirargli uno scappellotto, senza averne effettivamente motivo, lui si lamentò della sua violenza e l’atmosfera tornò a essere la solita che aleggiava sempre tra i ragazzi del Doposcuola Punitivo.

 

 

 

Matteo lasciò crollare la testa sulla scrivania, i neuroni che razzolavano esausti per il suo cervello.

Tra Doposcuola e casa aveva studiato come un forsennato quel giorno. Dannati esami, erano sempre più vicini.

E gli mancava ancora la decisione di un monologo a scelta per la tesina, ma quella l’avrebbe lasciata per un altro momento.

Prese svogliato il telefono che squillava e senza nemmeno guardare chi lo stava chiamando lo portò all’orecchio.

-Pronto?-

-SONO SORELLA!-

Esclamò, anzi, strillò una voce di rimando.

-Un momento… che?-

-Sono sorella, Teo!-

-E chi saresti?-

-Testa a Cespuglio! Coè, Irina!-

Troppo sorpreso dalla telefonata per far caso al fatto che si era chiamata Testa a Cespuglio da sola, Matteo rispose -Ah. E dove sarebbe la novità? Si chiama Simone, credo.-

-Chi?-

-Come chi? Tuo fratello, no? Non hai appena detto che sei sorella?-

Le conversazioni telefoniche che aveva con Irina Rainieri non sarebbero mai state normali.

-Sì, sì, sono sorella, ma di una sorellina! Sibilla! Eh!-

Matteo ci mise un po’ per metabolizzare le parole sconnesse della ragazza, poi esclamò -Sibilla? No, un momento, aspetta. E’ nata? E’ nata Sibilla? Quando?-

-Parecchie ore fa, ormai, ma papà si è scordato di chiamarmi. Agitazione post-parto. Neanche fosse stato lui a partorire.-

Sbuffò lei.

-Ho un favore da chiederti.-

Esordì prima che lui potesse risponderle.

-Dimmi.-

-Sono ancora a scuola. In realtà dovrei stare qui ancora mezz’ora, ma la Costanzi mi ha dato il via libera. E’ che dovrei andare in ospedale… in autobus…-

Fece una pausa, imbarazzata.

-E mi chiedevo… ti andrebbe di accompagnarmi?-

 

Matteo, appoggiato al muro del corridoio dell’ospedale, si massaggiò un’altra volta il braccio, cercando di far tornare alla forma originaria la manica della maglia, che Irina aveva reso una massa informe di grinze dopo avergli torturato il braccio sull’autobus.

Irina era entrata a trovare sua mamma e la nuova sorellina e lui l’aveva aspettata fuori, nonostante lei l’avesse invitato a seguirla.

Non voleva rovinare il quadretto familiare, e poi il fratello l’aveva guardato come se fosse un intruso appestatore pronto a contaminare la sua famiglia, soprattutto sua sorella.

-Vuoi vedere? Adesso la mettono insieme agli altri bambini per il riposino.-

Lo chiamò una sorridente Irina appena apparsa nel corridoio.

 

-Ma ha pochi capelli!-

Esclamò sorpreso il biondo osservando la piccola Sibilla Rainieri da oltre il vetro.

-E certo che ha pochi capelli, che ti aspettavi? Non hai mai visto un neonato, Conti?-

-Sì, ma… Insomma, è tua sorella, mi aspettavo che avesse già un cespuglio in testa!-

Irina rise, notando che sembrava veramente convinto di quello che aveva appena detto.

-Ero anch’io così, non stupirti troppo. Diventerà come tutti in famiglia, vedrai.-

In effetti, a parte la madre, che non aveva sangue Rainieri, il resto della famiglia possedeva le migliori zazzere ricciolute d’Italia.

-Mh. Non piaccio molto a tuo fratello, credo.-

-No, è che è qui da ore e si annoia a morte.-

-Oppure recita la classica parte del fratello geloso.-

Disse lui con finta indifferenza, sperando di insinuare qualcosa nella testa cespugliosa della ragazza.

-Perché secondo te… crede che tu… che tu e io…? Che idea!-

Esclamò lei in un tono così convinto che gli fece venire voglia di pugnalare la sua autostima con una mannaia.

 

-Grazie per avermi accompagnato, eh.-

Disse dopo qualche minuto di silenzio.

-Stavo pensando… insomma, credevo che l’avresti chiesto a Fran, non è più una cosa da lei? Perché hai chiesto a me di accompagnarti?-

-Che razza di domanda. Non c’è un motivo. Sei il primo che mi è venuto in mente, non… sì, immagino che non salirei su un autobus senza di te. Senza la possibilità di distruggerti il braccio, ovviamente.-

-Una volta ci sei salita da sola.-
-Che centra, era un’emergenza, quella.-

Lui fece un sorriso enorme che la fece arrossire leggermente.

Rimasero in silenzio ancora per un po’.

-Allora, ci sono davvero bidelli uomini a scuola?-

Domandò Matteo. Sempre quest’abitudine di rompere i silenzi. Logorroico biondo.

-Uno. Si chiama Torquato. E’piuttosto burbero e abbastanza pazzo. Parecchio pazzo. Non è esattamente il bel tipo che ci immaginavamo io e Fran. Oh, poi c’è Ramona. Lei sembra ancora più uomo di Torquato.-

Aggiunse rabbrividendo e lasciandolo schifato.

-Grazie ancora, davvero.-

-Che vuoi che sia. Un giorno anche tu imparerai a prendere un autobus nei limiti della decenza.-

-No, non intendevo quello. Cioè, sì, anche. Ma grazie anche per quello che hai fatto stamattina. Forse malmenare  un primino è più una cosa da me o da Luca, ma l’ho apprezzato, ecco.-

Che cosa romantica, eh? Matteo Conti ha quasi malmenato uno sconosciuto per Irina Rainieri.
Irina scosse la testa. Che razza di pensiero.

Borbottò qualcos’altro, un po’ in difficoltà a doversi chiarire.

-Piergiangiovannimaria. Bah. Non è che se fosse stato un maschio si sarebbe chiamato Piergiangiovannimaria Rainieri, vero?-

Disse lui per alleggerire la tensione.

Irina sorrise e realizzò qualcosa, mentre gli tirava una gomitata nelle costole.

Matteo era importante.

Giovanni e Fran lo erano a loro volta, erano i suoi migliori amici, però Matteo lo era in modo diverso, era un misto di importanza e… qualcosa.

Guardò la sua nuova sorellina nella culla.

Pensò al fatto che Matteo si aspettava che avesse già i capelli come i suoi e ridacchiò.

Matteo era importante. Un po’ cretino, ma importante.

 

 

 

*Angolo di Mary

 Buonasera, gente!

Ok, sono in un ritardo mostruoso, mi rendo conto che è da tre mesi che non pubblico, e l'unica scusante che ho è l'oppressione della scuola su di me, povera ragazza al quarto anno di liceo classico. Chiedo venia.

Dunque. Vi aspettavate che fosse questo che Irina voleva dire nel discorso? O pensavate fosse una dichiarazione romantica a Conti? *Irina tira un coppino a Mary, indignata.*

E' vero, è poco sveglia, ma vi informo che nei prossimi due capitoli succederà qualcosa di piuttosto (parecchio) importante che cambierà le cose.

Questo capitolo è venuto fuori a fatica, non perchè non sapevo cosa scrivere, ma perchè avevo troppo poco tempo.

Cosa ne pensate del murales? In realtà è piuttosto semplice, ma non volevo che fosse niente di esagerato, anche perchè doveva essere fattibile in un'oretta o due in clandestinità.

Ad ogni modo ho fatto un disegno per darvi un'idea di come me lo immagino io. Lo trovate su DeviantArt qui: http://marybleis.deviantart.com/#/d4v5zou  Il murales è ovviamente quello al centro, poi ho aggiunto il titolo della fic e le presentazioni dei ragazzi del Doposcuola Punitivo.

Sempre per la serie disegni di Mary, ce n'è qualcuno piuttosto demenziale riguardante Dietro le Quinte, ovviamente.

Questo riguarda strettamente questo capitolo: http://marybleis.deviantart.com/#/d4v60xt

Mentre questo è più che altro un fumetto idiota che penso farò per ogni personaggio (non potevo non concedere a Gio l’onore di essere il primo, avrebbe stressato.): http://MaryBleis.deviantart.com/art/The-con-Mary-Giovanni-294213162

Visto che oggi sono evidentemente in vena di pubblicizzare vi faccio presente un blog di recensioni agli inizi portato avanti da me e altre ragazze su EFP (Yvaine0, marypao e Flamel_).  Lo trovate qui:  http://trauncapitoloelaltro.blogspot.it/  e se avete voglia di dargli un po' di vita proponendo recensioni o dandoci un'occhiata, liberi, in caso contrario potete ignorarlo senza che nessuna di noi si butti da un palazzo.

In ultimo, vi presento Torquato, che è niente meno che un omaggio a Torquato Tasso, che penso proprio che inquadrerò meglio, perché sono già pazza di lui. No, non posso dire lo stesso di Ramona.

Vi saluto, gente, sperando che la scuola mi permetta di aggiornare presto.
E Buona Pasqua in anticipo!

 Vi chiedo per favore di segnalarmi i possibilissimi errori di battitura, perchè, nonostante abbia letto dieci volte il testo, so che ce ne sono.

Mary

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Capitolo 18
*** Il ragazzo con la testa altrove e quello che sorride sempre ***


 

 

 

Il ragazzo con la testa altrove e quello che sorride sempre

 

 

 


Marco osservò il volto di Giovanni diventare sempre più blu.

-Lascialo andare, Luca, o te lo ritroverai sulla coscienza.- osservò pacatamente.

-Ma quale coscienza…-

Borbottò Giovanni, quando Luca levò la mano dalla sua bocca.

-Non stavi zitto un attimo, Gio, Luca ci ha solo fatto un favore.-

Osservò tranquilla Irina, strappando un ciuffetto d’erba.

Erano tutti riuniti nel giardino pubblico in centro a godersi la libertà del sabato pomeriggio.

Mancava poco al compleanno di Martina e Giovanni stava sciorinando una lunga lista delle cose che avrebbe potuto regalare alla sua amata.

-Ti ho già detto che ti darò una mano. Credi davvero che questi qui ti possano aiutare?-

Continuò la riccia indicando Matteo, Luca e Marco.

-Grazie tante.-

Esclamò com’era prevedibile Matteo, e Marco si preparò a uno dei loro soliti battibecchi.

Era colpito tutte le volte dalla loro abilità a litigare. Non capiva mai quanto facessero sul serio, ma di certo si impegnavano.

A dire la verità lui si perdeva sempre la metà delle loro discussioni, preso com’era ad avere la testa da un’altra parte.

In quel momento, infatti, non aveva capito come i due fossero arrivati a parlare della punizione supplementare della ragazza.

-…io e Torquato siamo rimasti tutto il tempo in corridoio a pulire. Non è male, se lo conosci meglio, solo molto scorbutico. Sicuramente è molto più simpatico delle altre bidelle.- Irina si appoggiò alla schiena di Fran, seduta accanto a lei. –Scopare però fa venire un mal di schiena pazzesco.- Sospirò.

-Questa frase suona davvero equivoca.-

Marco voltò la testa di scatto verso Sara, come tutto il resto del gruppo. Se fosse stato Giovanni a dire una cosa del genere nessuno si sarebbe tanto stupito, ma la piccola Sara!

-Si può sapere come possano venire da te queste uscite?-

Domandò Matteo sconvolto, mentre Luca rischiava di morire a colpi di tosse per non ridere.

Sara, arrossendo, si strinse nelle spalle.

-Ho una doppia vita.- Rispose semplicemente dando qualche pacca sulla schiena del suo ragazzo, che continuava a tossire.

Sara era una continua sorpresa, sembrava timida e silenziosa, poi li stupiva sempre.

Marco avrebbe voluto essere come Luca a volte, essere capace di osservare meglio la gente. Luca era così pragmatico che probabilmente aveva anche un catalogo cerebrale in cui li aveva tutti classificati.

Marco doveva avere una cartella personale immaginaria che recitava: “pianista fissato con la testa per aria”.

Descrizione corretta, peraltro.

Oh.

Ecco, si era perso un altro pezzo di discorso.

A giudicare da come Irina era inviperita e da come Matteo borbottava erano giunti alla conclusione di una discussione piuttosto accesa. Come da copione, insomma.

-Teo!-

Marco si girò verso il punto da cui veniva la voce che aveva chiamato Matteo. Una ragazza dalla pelle molto scura si avvicinava alla loro panchina.

Il sopracitato biondo, dal canto suo, si alzò con uno sguardo interrogativo, mentre lei li salutava con un sorriso prima di rivolgersi a lui.

-Teo, posso parlarti un attimo?-

-Arrivi dritta dalla Base?-

Chiese lui sorridendo eccitato come un Giovanni Santani davanti al regalo perfetto per la sua ragazza.

Lei sbuffò divertita.

-Dalla Base, sì. Dai, vieni per un secondo.-

-Ai suoi ordini!-

Esclamò lui saltellandole attorno. A volte tra lui e Giovanni era una bella gara a chi risultava più ridicolo.

Irina continuava a guardare malissimo Matteo, non perdendolo di vista mentre si allontanava con la ragazza.

Probabilmente era ancora sotto l’effetto dell’arrabbiatura. Chi riusciva a interpretare l’umore della ragazza era bravo.

Marco notò lo sguardo incuriosito di Fran rivolto verso i due che parlavano concitatamente tra di loro.

-E’ Maria Teresa Zaglio, Lingue & Recitazione, V C, compagna di Matteo.-

Disse, sapendo che avrebbe risposto alla sua muta domanda. Se non altro era in grado di stare attento a una persona. Magra consolazione, considerato il punto a cui erano arrivati lui e Fran, ovvero su un binario morto, ormai.

Fran si voltò a guardarlo, arrossendo leggermente. Prima ancora che potesse dire qualcosa fu interrotta da Giovanni.

-Ci sta provando con Teo?-

-Non credo, no.-

-Allora Teo ci sta provando con lei?-

-Bè…-

-HA!- Esclamò Irina di colpo. I ragazzi la guardarono sorpresi.

-Bè, che c’è? È che trovo che non abbia possibilità, ecco tutto.- Si giustificò tornando a guardare Matteo e Maria Teresa con gli occhi assottigliati e l’aria seccata.

Di nuovo: chi la capiva era bravo.

-Non so se ci vuole davvero provare con lei, è la sua ex.-

Si intromise Sara.

-E tu come lo sai?- Domanò Luca incupendosi per il fatto che Sara fosse al corrente dei dettagli della vita sentimentale di Matteo.

Sara scrollò le spalle.

-Teo è uno che parla tanto.-

Marco annuì.

-Sì, lo sapevo anche io. Per me non ci sta provando. E poi non è molto attraente mentre saltella in quel modo, penso lo sappia anche lui.-

Aggiunse riferendosi al modo in cui si era allontanato con lei.

-Scommetto che ci prova.- Disse Gio.

-Scommessa accettata.- Rispose lui non un sorriso. Gio tentennò un po’, poi allungò la mano. –Un euro.-

-Ti vuoi rovinare.- Fu la replica del moro, che gli strinse la mano.

-Oggi sì, sennò non mi bastano i soldi per il regalo. Oh, a proposito, pensavo di…-

Luca tornò di scatto a tappare la bocca di Giovanni.

 

-Ci hai provato con lei?-

Assaltato da Giovanni, Matteo guardò perplesso Marco, che scrollò le spalle divertito.

-No, Gio, dovevo?-

-No?!?-

-No! Perchè?-

Marco fu colpito in testa da una moneta volante.

-La tua amebosità mi è costata un euro, Conti.-

-Credevo di essere io l’ameba.-

-E’ bello che tu abbia imparato a convivere con l’idea, Luca.-

-Avete scommesso su di me?-

-A Gio piace perdere.- replicò Marco cercando il suo euro nell’erba.

-Poteva provarci! Lei è anche davvero… Ahia! Che ti prende?-

Giovanni guardò stralunato Irina, che lo aveva colpito alla testa con lo zaino.

-Bè, hai la ragazza, no? Martina ti ucciderebbe se ti sentisse fare commenti di apprezzamento su quella tipa.-

-Ma scusa, si può avere la ragazza e considerare carine le altre, mica vado a chiedere alla tipa di sposarmi. Giusto, Luca?-

-Cosa c’entro io, adesso?-

-Bè, tu hai la ragazza, quindi puoi condividere la mia teoria, che ne dici?-

Luca borbottò qualcosa di indefinito che suonava come :”Non mettermi in mezzo o te la stacco io la testa.”

-Cosa ne pensi della tipa?- Tornò all’attacco Giovanni.

-La “tipa” ha anche un nome!- Si intromise Matteo.

-Giusto. Cose ne pensi di Maria Teresa? Si chiama così, giusto?- Aggiunse rivolto a Matteo, che annuì sospirando esasperato.

Luca, sempre più a disagio, fece la saggia scelta di togliere il braccio dalle spalle di Sara, che lo guardava incuriosita. E anche un po’ intimidatoria, a dirla tutta.

Viene sempre il momento in cui un uomo deve riflettere.

Marco sapevo che a quel punto per Luca si apriva un bivio.

Poteva:

a)Dire la verità, esprimendo in termini gentili e cavallereschi quanto fosse carina Maria Teresa.

b) Mentire, dicendo che era orribile, uno scorfano, una vera e propria ciofeca. (*)

In entrambi i casi avrebbe fatto una brutta fine.

Nel caso a) le ragazze sarebbero insorte dandogli dell’ingiusto traditore.

Nel caso b) le ragazze sarebbero insorte dicendo che mentiva solo per non far arrabbiare Sara.

Le ragazze sono esseri malvagi e incomprensibili.

Luca, con molta dignità, però, decise di trovare un caso c) e di bofonchiare imbarazzato che quelle erano scemenze e che non si sarebbe prestato agli esperimenti di Giovanni.

-Comunque, cosa voleva da te?-

Domandò Irina a Matteo, togliendo l’attenzione generale dalla precedente questione e salvando Luca da una sicura protesta di Giovanni.

-Non possono essere affari miei?-

-No.-

-Non sapevo di aver firmato un contratto che mi impone di rendere pubblici i miei affari privati, quando sono entrato nel Doposcuola Punitivo.-

-Corpo di mille balene, giovanotto, qui ci si dice tutto!- esclamò Giovanni agitando il pugno a mezz’aria.

-“Corpo di mille balene”?-

-“Giovanotto”?-

-Volevo solo esprimermi in modo originale.-

-Se non sei originale tu, Gio…- sospirò Marco passandosi stancamente una mano sugli occhi. Quel giorno era particolarmente originale, probabilmente sempre a causa del regalo.

-Davvero mi trovi originale?- Rispose l’altro in falsetto avvicinandosi a lui per dargli un bacio. Irina, che quel giorno vestiva le spoglie di liberatrice, lo salvò bloccando con un braccio un Giovanni con evidenti dubbi riguardo alla sua sessualità.

-Allora, che cosa voleva?- tornò a chiedere a Matteo.

-Quanta insistenza, Testa a Cespuglio. Cosa sei, gelosa?-

Irina arrossì, ma sorrise angelicamente.

-Proprio così. Ho dubbi sessuali come Gio, e trovo che lei sia davvero carina. Non vorrei che me la rubassi, Biondino.-

Fran le battè il cinque ridendo. Matteo alzò gli occhi al cielo e si decise a rispondere a quel gruppo di comari di paese.

-Non ci stavo provando con lei, dovevamo parlare di un affare… Ma siete proprio pettegoli!- esclamò notando le occhiate di qualcuno dei suoi amici. Da leggersi: Fran e Giovanni. –Quest’affare riguarda due nostri amici che si piacciono e che sono troppo idioti per mettersi insieme! (**) Esa mi stava solo aggiornando sulla situazione.-

Fran lo guardò tutta sorridente.

-E dai a noi delle comari di paese?-

-Ehi, io non sono una comare, voglio solo essere sicuro che Visco non mi vada fuori di testa, è già abbastanza stupido!-

Marco conosceva più o meno il Visco di cui parlava Matteo, che glielo aveva presentato parecchio tempo prima. Aveva tuttavia l’impressione di non stare per niente simpatico al ragazzo, che tutte le volte che lo vedeva grugniva e borbottava.

-Bè, gente, se avete finito di farmi il terzo grado, ora io e Marco dobbiamo proprio andare.-

-Di già? Cosa avete da fare?- domandò Fran interrompendo la sua discussione con Giovanni riguardo alla possibilità di regalare un tostapane a Martina.

-Il giovanotto qui presente ha bisogno di aiuto in fisica e matematica, con tutti i buchi che ha. Anche in astronomia, forse.- aggiunse guardando interrogativamente Marco.

-Tutto ciò che ho con la Ferrucci.- Sospirò lui un po’ sconsolato.

-Perché la Ferrucci?-

-E’ quella con cui ho perso più lezioni a furia di saltare scuola. Lei si impietosisce per niente.-

-Ma tu hai bisogno di ripetizioni?- domandò Fran sgranando gli occhi.

-Vero, pensavo che tu fossi una specie di genio.- Aggiunse Irina, stupita a sua volta.

-Ehi, non ho mai detto di essere un genio!-

-Hai detto che te la cavi sempre.-

Marco scosse le spalle, imbarazzato.

-Bè, è vero, ma “cavarsela” significa andare avanti a sei e voti simili, mica prendo chissà che voti fantastici.-

A Marco era sempre importato poco della scuola, per quanto sapesse quanto fosse controproducente. Pensandola in questo modo si accontentava di prendere il minimo sulla sufficienza e di avere qualche buco, pur di potersi dedicare di più al piano.

Cascando dalle nuvole all’ultimo minuto come suo solito, però, si era reso conto che per passare gli esami era proprio il caso di tappare quei buchi, e aveva deciso di rivolgersi a Matteo che, contrariamente a quello che si sarebbe detto, era davvero piuttosto bravo.

Era rimasto un po’ spiazzato dal fatto che i suoi amici lo considerassero un genio quando, soprattutto in famiglia,veniva sempre rimproverato per avere la testa altrove ed essere un “sognatore”.

Matteo era l’unico che evidentemente sapeva che non era perfetto o cose simili.

Il biondo, soprattutto, si era anche accorto che, quando parlava con lui, Marco registrava la metà delle cose che diceva. Allo stesso modo, si era reso conto che, invece, non si perdeva mai una parola di quelo che diceva Fran.

La sopracitata fanciulla osservava perplessa Marco, che si sentiva un po’ a disagio.

-Tu guarda, io ero convinto che tu fossi una specie di geniaccio circondato da ammiratori.- intervenne Giovanni, facendogli schiaffare una mano sulla fronte.

-Sì, e magari ti aspettavi pure che fosse sommerso dalle ragazze della sua classe.- lo prese in giro Matteo, dando una pacca sulla spalla a Marco.

-Perché, non è così?- domandò Irina mentre Giovanni, chiaramente esaltato da queste confessioni sussurrava :”Marco Poli: vita e misteri.”

Questo se non altro sorprendeva di meno Marco. Sapeva che negli altri indirizzi si era fatto la fama del bello e impossibile. Questa era un’altra prova del fatto che tra indirizzi non c’era comunicazione, perché se ci fosse stata avrebbero saputo che… -Marco non è molto amato dalle ragazze del Musicale.-

Marco non capiva se Matteo stava cercando di distruggere la sua autostima, sorvolando sul fatto che quello che diceva era la pura verità.

-Oh-oh, quanti altri segreti ci tieni, Marcuccio?-

-Ti hanno mai detto che sei pettegolo,Gio?-

-Anche poco fa, sì.-

-Dai, Gio, non tartassarlo, non vedi che non vuole parlarne?-

Matteo, ti amo, sei il mio migliore amico.

-Te li dice zio Matteo i segreti di Marcuccio!-

Matteo, ti odio, sei una persona orribile.

Luca sospirò esasperato.

-Siete davvero peggio di due suocere.-

 

Marco fu risparmiato da Matteo solo quando il biondo ebbe finito di parlare delle due ragazze che il povero ragazzo aveva avuto.

Entrambe alla fine lo avevano lasciato dopo poco proprio perché non era mai riuscito a essere attento, o semplicemente a starle a sentire abbastanza a lungo.

A quanto pareva le poverette si erano sfogate nel luogo di massima divulgazione di notizie in ambiente scolastico -il bagno delle ragazze- sulle tristi relazioni, facendo sapere a più di mezzo indirizzo Musicale che come fidanzato era decisamente pessimo, e che non valeva davvero la pena di corrergli dietro. (Bè, abbiamo trasposto la versione più delicata, naturalmente, le frasi delle sventurate erano sicuramente più colorite ed enfatiche.)

Tutto questo aveva suscitato il divertimento di sua cugina Monica, così come quello dei suoi amici.

-Oh, bè, è bello vedere che anche tu hai dei difetti.- disse irina sorridendo sorniona.

Marco sorrise a sua volta scuotendo la testa, notando però le occhiate che Fran gli lanciava e non sapendo come interpretarle.

Guardò Sara, che si era di nuovo appoggiata a Luca e teneva la testa sulla sua spalla e provò un moto d’invidia per quei due.

 

-Amici, mi duole lasciarvi, ma io e la riccia donzella dobbiamo appropinquarci verso il negozio dove scoverò il presente per la mia dama.- Saltò su Giovanni afferrando per un braccio Irina.

-Tu devi aver fumato qualcosa di parecchio forte, messere.- disse la “riccia donzella” chinandosi per prendere lo zaino e salutando tutti con un cenno della mano.

-Buona fortuna, riccia donzella, nessuno di noi vorrebbe essere al tuo posto.- osservò pacatamente Luca, che aveva notato -difficile non farlo- lo stato di fibrillazione di Giovanni.

Irina si avviò mestamente verso Giovanni, che camminava spedito davanti a lei.

-Ah, non ascoltare quelle male lingue, Iri, scommetto che ci metteremo meno di quello che pensano.- protestò il ragazzo girandosi verso di lei e iniziando a camminare all’indietro in prossimità del semaforo.

-Cammina nel verso giusto, idiota, rischi di finire sotto una…-

 

Marco sentì prima l’urlo di Irina, poi lo schianto, e i due suoni si mescolarono nel suo cervello, facendogli fischiare le orecchie.

Recepiva le cose a sprazzi, stordito, non si rendeva nemmeno conto dei suoi movimenti.

Vedeva la macchina troppo vicina a Giovanni e a Irina.

Vedeva Luca, che parlava al cellulare con gli occhi sgranati.

Vedeva il sangue.

Vedeva Matteo, che si era buttato accanto a Irina e cercava in ogni modo di farla alzare, mentre lei continuava a raggomitolarsi per terra, facendo sì che entrambi si sporcassero sempre di più di sangue.

Sangue che però non era di nessuno dei due.

L’immagine di Giovanni che non sorrideva lo colpiva quanto la vista di tutto il suo sangue.

L’idea che non avrebbe più sorriso, però, lo terrorizzava ancora di più.

 

 


 (*) Che io sappia "ciofeca" viene dal dialetto bresciano, non credo sia usata atrove. Ad ogni modo è un sinonimo di "brutta". Ma decisamente suona meglio.

 

(**) I due amici di Matteo ed Esa sono Marina e Visco, citati nel capitolo sedici, a cui molto probabilmente dedicherò una mini-long conclusa questa.

 

 

*Angolo di Mary

Ha-hem...

Bene, chiunque sia ancora qui a leggere dopo il mio mostruoso ritardo è pregato di non lanciare niente di contundente alla sottoscritta.

Andando con ordine: mi scuso per l'ennesima volta per il ritardo (ho paura a controllare da quanti mesi non aggiorno), ma la fine della scuola è stata davvero dura, e con una materia a rischio ho avuto davvero poco tempo per scrivere.

In secondo luogo questo capitolo non si voleva proprio scrivere. Non avrei mai immaginato che scrivere un intero capitolo dal puto di vista di Marco sarebbe stato così difficile. D'altro canto avevo proprio voglia di presentarvelo come si deve, all'alba del diciottesimo capitolo, quindi eccolo qui: Marco Poli in tutto il suo non-splendore. Perchè ero un po' stufa che sembrasse troppo perfetto e Gary Stuesco, quindi finalmente sono arrivata a dare un'idea un po' più chiara di come è veramente Marco. Eccolo qui, prendere o lasciare.

Sigh, questo capitolo non mi piace per niente, ma a furia di riscriverlo veniva sempre uguale.

Per la conclusione: i pensieri di Marco sono parecchio confusi, ecco perchè ci sono ripetizioni, soprattutto riguardo al sangue, e perchè sono leggermente sconnessi e frammentari. Verrà tutto chiarito nel prossimo capitolo, del resto.

Questo capitolo è molto corto, me ne rendo conto, ma il prossimo sarà bello lungo e sostanzioso, portate pazienza, ora che ci sono le vacanze dovrei riuscire a pubblicare in tempi decenti. Almeno, lo spero.

Ed eccoci qua, avevo in mente questo capitolo da secoli ed è uscito fuori, finalmente, anche se a fatica.

Alla prossima,

Mary, l'autrice che ringrazia per tutte le persone che seguono, preferiscono e commentano, e che è consapevolmente una maestra degli errori di battitura.

 

 

 

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Capitolo 19
*** Quella sera, quel giorno ***


 

 

 

 

 

Quella sera, quel giorno

 

 

 

 

 

 


Quindici… sedici… diciassette…venti… no,  aveva perso il conto un’altra volta.

Era arrivato a diciassette, quindi ora dovevano essere a ventiquattro… venticinque… ventisei… ventinove… no, si era distratto di nuovo.

Matteo scosse la testa. Inutile, non riusciva a stare concentrato, la mente era vuota, i pensieri tinti di nero.

Guardò ancora Marco, che faceva  su e giù meccanicamente per il corridoio dell’ospedale, e provò di nuovo a contarne i passi per concentrarsi. Niente da fare, perdeva subito il conto.

Li avevano stipati lì, in un corridoio, mentre cercavano di salvare il loro amico e di evitare che… insomma, di evitarlo.

Nel pensare una cosa del genere a Matteo venne un conato. Respirò profondamente e si guardò intorno, cercando di distrarsi. Come se non ci avesse già provato.

Sara e Luca erano un po’ più lontano, in disparte. Lei parlava sottovoce al ragazzo, che la guardava fisso.

Marco non la smetteva di camminare a grandi passi davanti a lui, continuando a togliere e infilare le mani in tasca.

Fran era andata in bagno e non si vedeva da un po’, ma tutti sapevano che voleva stare un po’ da sola. Questo naturalmente non impediva a Marco di continuare a dirigersi senza nemmeno pensarci nella direzione dei bagni.

Irina aveva ricominciato a tremare. Rendendosene conto Matteo la strinse un po’ di più. Da quando era riuscito a tirarla su da terra Irina non si era più staccata da lui. Nemmeno quando l’avevano caricata sull’ambulanza per controllare che non fosse ferita o sotto shock l’aveva lasciato andare. Come se fossero stati su un autobus, insomma.

Non erano su un autobus, però, erano su un’ambulanza e con loro c’era Giovanni, coperto di sangue e in chissà quale condizione.

Quando la ragazza era stata sottoposta ai controlli e si era parlato di metterla un po’ a letto in attesa che si riprendesse, lei aveva esclamato un :”Col cavolo!”, rivelandosi alla fin fine in buone condizioni, eccetto per un brutto taglio alla mano.

Gli altri ragazzi del Doposcuola Punitivo li avevano raggiunti dopo, in quel corridoio.

Doversi prendere cura di Irina era un sollievo per lui, gli permetteva di concentrarsi su qualcosa e non lasciarsi perdere nei suoi pensieri.

Giovanni.

Sangue.

Auto.

E se non ce la faceva?

Se li immaginava tutti vestiti di nero al cimitero.

E se non ce la faceva?

Se non ce la faceva veramente?

E se li lasciava soli?

Il Doposcuola Punitivo senza di lui avrebbe fatto schifo.

Irina avrebbe sorriso di meno.

Irina sarebbe stata più sola.

L’appello senza il nome di Giovanni Santani.

Martina come avrebbe fatto?

Loro come avrebbero fatto?

Il Doposcuola come avrebbe fatto?

La mano di Irina si strinse contro la sua maglia e lui si riscosse. Sospirò esausto, ringraziando mentalmete la ragazza per averlo riportato in quel corridoio ancora una volta. Appoggiò il mento contro la testa di Irina, che smise di tremare e fece un sospiro che sembrava richiedere tutta l’aria del mondo.

 

Dicono tutti che le persone buone muoiono per prime.

Funziona anche, a volte. Ti viene sempre da pensare che sia una vera e propria ingiustizia.

Giovanni Santani era sempre stato molto buono. Idiota, sì, ma Matteo lo considerava una delle persone più buone che avesse mai conosciuto.
Le persone buone muoiono per prime.

Dicono anche che c’è sempre l’eccezione alla regola.

Matteo si sentì levare dal cuore un peso grande come un macigno quando gli dissero che Giovanni Santani era quell’eccezione.

 

Quella sera fu strana per tutti.

Quella sera nessuno si salutò veramente, solo cenni, sorrisi stanchi, stravolti.

Quella sera Marco la passò a casa di Matteo. Rinunciarono in partenza ad aprire i libri di matematica e fisica, rimandando lo studio a un altro giorno. Parlarono di tutto, di qualsiasi cosa, ma nessuno dei due accennò a ciò che era successo quel pomeriggio. Non parlarono delle ore che avevano passato fino a poco prima. Tanto entrambi sapevano a cosa pensava l’altro.

 

Quella sera Luca telefonò a Sara e parlarono per chissà quanto tempo, uno steso sul letto, l’altra seduta sul tappeto di camera sua.

Luca non era bravo con le parole e non disse niente al riguardo, ma sperò con tutto se stesso che Sara capisse quanto era stato importante per lui che quel pomeriggio lei gli fosse stata accanto.

 

Quella sera Fran rimase chiusa in camera fino a tardi. Dopo cena sua sorella entrò dalla finestra con un pacchetto di biscotti sotto braccio e si sedette sul letto accanto a lei.

Non parlarono molto, ma a Fran bastò sapere che Teresa era lì per lei. Le bastò sapere che sua sorella c’era anche se ogni giorno avevano problemi e il loro rapporto sembrava essersi spezzato.

 

Quella sera Irina si accucciò con la schiena appoggiata all’armadio e fissò per tutto il tempo lo stesso punto con gli occhi sbarrati, toccandosi di tanto in tanto la mano destra, fasciata dalle garze.

Restò in quella posizione scomoda per non dormire, e quella notte non chiuse occhio.

 

Quella sera Martina si buttò sotto la doccia esausta, gli occhi rossi e il respiro spezzato.

Aveva passato un pomeriggio che era sembrato eterno, e ora voleva soltanto che arrivasse il giorno dopo per poter tornare a casa, nella sua città.

Sua nonna, che abitava in Sicilia, era morta l’altro giorno ed erano tutti dovuti scendere per il funerale.

La prima chiamata di Fran era arrivata durante la cerimonia e non aveva risposto, la seconda quando era al cimitero, e il mondo le era crollato addosso. Martina era tornata subito in chiesa e ci era rimasta per quasi tutto il pomeriggio, a pregare che non le togliessero anche quell’idiota del suo ragazzo.

 

-Serve un piano d’attacco.-

-Un piano d’entrata.-

-Un piano.-

-Sì, ragazzi, il concetto è chiaro, grazie.-

Sara provò ad accennare a un sorriso e si rivolse di nuovo alla donna.

-Non potremmo…-

-No.-

-Ma se noi…-

-No.-

-Ma noi vogliamo solo…-

-No!-

L’infermiera si erse nella sua imponente statura e li sovrastò tutti.

-Il mio paziente ha bisogno di riposare. Sei ospiti in stanza in una volta sola? E’ inaudito!-

-Sì, ma noi…-

-Ho detto di no!-

E sbattè la porta in faccia ai ragazzi. Facce che tra l’altro sembravano davvero distrutte. Irina, soprattutto, con le occhiaie e i capelli –se possibile- più arruffati del solito, aveva l’aria di chi ha passato una notte in bianco.

Dalla stanza si sentirono delle voci ovattate. Tutti drizzarono le orecchie quando sentirono quella di Giovanni. Irina si appiccicò alla porta.

-Ma sono i miei amici!-

-E sono sei!-

-Guardi che entreranno lo stesso, se li conosco bene.-

-Dovranno passare sul mio cadavere!-

-Ce n’è una che potrebbe farlo.- Irina annuì tra sé, combattiva.

I sei si erano tutti incollati alla porta per seguire lo scambio di battute e quando questa si aprì di scatto sobbalzarono, colti in fallo.

-Faccia come vuole, ma che poi non si lamentino con me!-

Strepitò l’infermiera uscendo come una furia e lasciando la porta aperta.

I ragazzi si guardarono per un secondo, poi si gettarono tutti nella stanza.

Giovanni era lì, e stava ancora borbottando -Che caratteraccio, se le dico che sto bene…-

Prima ancora che qualcuno potesse dire qualcosa Irina esplose in un :”IDIOTA!” che attirò l’attenzione del malato e degli altri.

-Ti avevo detto di non camminare al contrario, pezzo di deficiente! E mi sei finito sotto un’auto, brutto…- Matteo cercò di placare la ragazza, ma lei gli rifilò un’occhiata tale da farlo indietreggiare.

-Non picchiarlo, almeno.- Tentò debolmente.

-No, non posso, è un ammasso di tubicini, flebo e bende, questo qui.- sbuffò lei sedendosi su una sedia accanto al letto e incrociando le braccia. Si vedeva, però, che lottava per non sorridere apertamente.

-Bè… Ta-daaa! – esclamò Giovanni allargando il braccio sinistro, dal momento che il destro era ingessato.

Luca chiuse gli occhi e sospirò.

-Esattamente cosa ti è rimasto di intero?-

-Hummm… bè… ho tre costole incrinate, un braccio rotto, un ginocchio lussato, abrasioni su tutto il lato destro della faccia e il bacino rotto.- elencò lui tranquillamente.

Sara lo guardava accigliata. –E lo dici così?-

-Come dovrei dirlo?-

-La caduta non ti ha aggiustato il cervello, eh?- osservò Luca esasperato, ma con la voce arrochita dal sollievo di vedere sempre il solito Giovanni, nonostante tutto.

-Nei fumetti succede sempre. Con una botta in testa ritorna sempre la memoria o si cambia personalità.- replicò irragionevolmente l’altro.

-Il braccio destro? Ma allora non puoi disegnare!- esclamò Irina sconvolta.

-Lo so, ci ho pensato anche io!-

La ragazza alzò la mano destra, mostrando la fasciatura.  –Idem per me. Niente disegno per un po’ .- disse, mesta.

-Dovremmo prendere degli scrivani personali. Io prendo Luca.-

-Perché io? Sicuramente riesci a disegnare meglio di me col gesso, te lo assicuro.-

Ormai la tensione si stava man mano sciogliendo, facendo cadere i discorsi nella demenzialità più totale, come lo potevano dimostrare le risate un po’ isteriche che li coinvolgevano a turno.

-Martina era in aereoporto poco fa, dovrebbe arrivare.- disse Fran, notando che Giovanni continuava a guardarsi intorno.

Proprio in quel momento Martina entrò come una furia nella camera.

-Tu… tu… idiota!- esclamò con una faccia sconvolta quando lo vide tutto rilassato e sorridente.

Irina, a cui la scena era vagamente familiare, spinse tutti fuori e chiuse delicatamente la porta.

 

-Marti…-

-Non hai idea… ero così… tu, deficiente! Ed ero chiusa in quello stupido paesino siciliano senza poter far niente e io… io…- A quel punto Martina non ce la fece più e scoppiò direttamente a piangere.

-Marti, senti…-

-No no no… scusa, scusa, sto bene… sto benone.- balbettò lei strofinandosi gli occhi. Giovanni le fece cenno di sedersi sulla sedia vicino al letto. Lei obbedì, silenziosa. Lui allungò il braccio sano e Martina prese la sua mano, con un altro singhiozzo.

-Ho avuto una paura tremenda che… che tu… mi sono spaventata.- mormorò guardandolo con gli occhi arrossati. Lui le fece l’occhiolino –il che comportò una conseguente smorfia di dolore-.

-Secondo te ti mollo così dopo tutta la fatica che ho fatto per conquistarti?-

Martina fece una risata lacrimosa. –Sei uno scemo, davvero.- replicò alzondosi per dargli un bacio sulla fronte. Ancora non le sembrava vero di poterlo fare.

 

I ragazzi del Doposcuola Punitivo camminavano silenziosamente nel corridoio, ognuno perso nei propri pensieri.

Al momento di salutarsi Sara si accorse che mancava Irina, sparita improvvisamente.

-E’ andata in bagno. Vuole stare sola, è un’abitudine che abbiamo preso tutt’e due.- Rispose Fran con aria stanca.

-Ho dimenticato sulla panchina del corridio il cellulare. Vado a prenderlo. Ci vediamo domani, ragazzi.- borbottò dopo un po’ Matteo, avviandosi verso le scale nascondendo meglio in tasca il cellulare.

Irina era effettivamente in bagno.

Matteo, che non si era fatto riguardo a entrare nel bagno delle donne, la trovò seduta sul pavimento che singhiozzava.

-S-sei una donna, tu?- gli chiese quando lo vide impalato sulla soglia.

Matteo Conti era sempre stato terribile a consolare, ma avendo fatto pratica in quei due giorni proprio con la riccia le si avvicinò.

-Forza, Testa a Cespuglio, vieni qua.- disse tirandola su e abbracciandola. Lei lo lasciò fare e continuò a piangere, abbracciandolo a sua volta.

-Cosa c’è, stavolta? È andato tutto bene quel che finisce bene, tutti vivono felici e contenti, no? Un po’ ammaccati, forse.-

-Sì, infatti, ma… cioè, io sono proprio stupida.- borbottò lei in risposta. Lui le tirò un riccio.

-E quindi? Dov’è la novità?-

-Dai, sono seria.-

-Scusa. Faccio il serio anch’io, prometto.-

-Non credo sia nel tuo DNA.-

-Non mi aiuti.-

-Scusa.-

-Allora, come mai sei stupida?-

Irina tirò su col naso e si staccò leggermente.

-E’ che, insomma, ieri ero completamente nel panico e non riuscivo nemmeno a pensare… sono crollata solo adesso, come una cretina patentata e…- scoppiò di nuovo a piangere e Matteo la strinse ancora.

-E poi non riesco a togliermi dalla testa che ho mancato tanto così di finire sotto quell’auto… e mi sono fatta solo uno stupido taglio, mentre quello là per poco non si accoppava… e poteva succedere anche a me… e mi sono presa un colpo, ecco! Come una stupida! E stanotte non ho chiuso occhio perché avevo paura di sognare… sono stupida.- borbottò affondando il viso nella spalla del biondo per nascondere quanto fosse arrossita.

-Non sei stupida, Testa a Cespugio. E non sei nemmeno invincibile. È normale che tu ti senta così. Sei umana anche tu, sai? E se ti può consolare io ho fatto soltanto incubi stanotte.-

Lei annuì leggermente. –Grazie. Cioè, mi spiace che tu abbia dormito male, però grazie.-

-Oh, non c’è di che. Consolo la gente a pagamento, è il mio mestiere.-

-Te lo scordi che ti do i soldi.-

-Mi farò pagare in natur… ahia!- Irina gli pestò forte un piede, ma non lo lasciò andare.

Stava bene quando Matteo l’abbracciava. Si rese conto che quello che le mancava la sera prima era che lui le stesse accanto e l’aiutasse ad allontanare un po’ il panico, che invece aveva preso il sopravvento.

Quanta sdolcinatezza. C’era qualcosa che non quadrava.

Poi capì. Probabilmente in quel momento un fascio di luce bianca doveva essersi proiettato sull’ospedale, con uno sfondo di voci bianche.

Si chiese se ci si potesse davvero innamorare di un ragazzo così fastidioso, insopportabile e idiota come Matteo Conti.

Poi lui le diede una leggera pacca sulla schiena e disse :-Ehi, Testa a Cespuglio, facciamo così. Adesso ti riaccompagno dentro, interrompiamo i due colombi, e gliene dici quattro a quello là, ok?- e Irina pensò che ci si poteva innamorare eccome di Matteo Conti. Si era innamorata di Matteo Conti, quindi. Porca vacca.

-Non picchiarlo, però, veramente, sembrava piuttosto malconcio.-

Irina sbuffò un risata e si staccò da lui.

-Tu sei…- cercò di riassumere quello che le passava per la testa. –Io… mi sarei preoccupata allo stesso modo se fosse successo a te. E ti avrei insultato alla stessa maniera, se non di più.-

Matteo sorrise, consapevole che questo per Irina valeva almeno come un “ti voglio bene”.

-Ma non montarti la testa, biondo.-

-Non sia mai, sua Altezza Ricciuta.-

-E questa come ti è venuta?-

In quel momento entrò una donna sulla sessantina. Matteo, ricordando solo allora di essere nel bagno delle donne, guardò allarmato la sua espressione indignata.

-Signora, non è come sembra.-







*Angolo di Mary

Santo Cielo. Ce l'ho fatta. Aspettavo di scrivere questi due capitoli da un anno, direi. E ci ho pensato veramente a lungo. L'estate scorsa mi ero decisa a uccidere Giovanni, ci è mancato veramente poco. Non prendetemi per sadica, ma mi piaceva come idea. Poi durante l'anno ho progettato tante cose per lui senza nemmeno rendermene conto. Il suo futuro mi piaceva talmente tanto e mi ero così affezionata a lui che non ce l'ho proprio fatta a fargli tirare le cuoia. Alla fine ha vinto lui.

Mi sono accontentata di lasciare un po' l'idea che potesse morire, ma alla fine Giovanni Santani rimane tra noi.  Diamine, è micidiale come i personaggi si impongano sugli autori, a volte.

Questo capitolo l'avevo progettato più lungo, o meglio lo era nella mia testa, ma è uscito così, e tutto sommato mi piace abbastanza, soprattutto la parte della sera, in cui ho voluto dare un po' di spazio proprio a tutti.

Non temete, non mi sono dimenticata di Fran, la sua situazione con Marco e sua sorella e i suoi pensieri saranno chiariti, prima o poi.

Ma che dire di Irina, che FINALMENTE ha capito? Non ci speravo più nemmeno io, lo ammetto. ^^ Però mi sono divertita tanto a scrivere quella scena, non sono molto fatta per il fluff, e quei due sono un po' anti-romantici, ma mi piacciono tanto.

Il discorso che ho fatto nell'Angolo del capitolo scorso sui pensieri confusi di Marco vale anche per Matteo. E' scioccato, e fa pensieri messi un po' a ramengo, a casaccio. Allo stesso modo ho voluto rendere veloce la scena di tutti loro con Giovanni e il fatto che sia demenziale è perchè quando la tensione si scioglie si è un po' storditi e non si riesce a mettere in ordine i pensieri, quindi dopo una cosa del genere tutti loro vivono la scena in modo un po' surreale.


Grazie veramente a voi che crescete, sono anche arrivata a 109 recensioni, e la cosa mi sciocca ancora. Ringrazio tanto Ginny_99 ed Ellie 97 che si sono prese la briga di leggere d'un fiato tutta la storia e hanno recensito quasi tutti i capitoli. Io vi adoro, ragazze. *_*

E un grazie va anche alle mie cugine. Anna (su, vedi che alla fine ti cito?), che mi ha supportato e sopportato mentre straparlavo delle regole di un ospedale e mi ha dato consigli sensati sulle procedure e i tempi, e Lucia, con cui ho fatto anche la prova della caduta di Gio per decidere cosa diamine si doveva rompere e cosa no. Immaginatemi mentre fingo di cozzare contro un auto invisibile e cado al rallentatore sul pavimento. Sì, è una scena un po' imbarazzante.

Detto ciò, mi ritiro per un po', la montagna chiama, ma non potevo dileguarmi prima di farci sapere cosa succede al povero Santani.

Alla prossima,

Mary, l'autrice che pubblica a orari un po' improbabili. 

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Capitolo 20
*** Quando tra Biondino e Testa a Cespuglio ci si mettono dei gavettoni, una classe e il Signore del Corridoio ***


Ed è giusto dedicare questo capitolo a tutte quelle sante persone che mi hanno sopportato e aspettato.

E mi riferisco a Paola, mia sorella, che si è sorbita le mie varie paturnie, così come Lucia e Anna, che

hanno fatto lo stesso. Poi lo dedico a Mich, naturalmente, e a Daffy, perchè forse non lo sanno,

ma davvero a volte mi tiro su di morale grazie a loro e a ciò che scrivono. E infine lo dedico anche a Ellie e Miriam, che mi

hanno spronato a pubblicare (rimproverandomi, anche, e giustamente), quindi il capitolo è qui anche per merito loro.

Grazie a tutte, davvero.

 

 

 

Quando tra Biondino e Testa a Cespuglio ci si mettono dei gavettoni, una classe e il Signore del Corridoio

 

 

 

 

Avete mai provato a insegnare a un ottantaseienne come usare un computer?

Luca Grigori sì. Stava provando quest’ebrezza giusto due settimane dopo l’incidente di Giovanni. Il ragazzo aveva cambiato camera, e aveva acquistato un affascinante coinquilino.

Osvaldo Miniera era uno scorbutico e brontolone vecchio signore che si era rotto una gamba cadendo dalle scale e ora era recluso lì con lui.

Essendo impossibile ignorare la sua borbottante presenza, per il bene del giovane malato i suoi amici passavano un po’ di tempo a turno con quello vecchio, intrattendendolo quando la signora Miniera non lo veniva a trovare.

Luca stava appunto provando a introdurlo nel mondo della tecnologia, con scarsi risultati.

-Giovanotto, non pensare di prendermi in giro. Non esiste che io faccia cose strane come pigiare i tasti di quest’affare per cercare sul tuo Internet tutto quello che trovo sul giornale della parrocchia!- stava dicendo l’anziano signore quando Irina entrò nella stanza.

-‘Giorno signor Osvaldo. Ehi, lo sa che mio padre si chiama Osvaldo come lei?-

Il signor Osvaldo la guardò truce. –Non vedo come questo possa interessarmi.-

Irina scrollò le spalle. –Ha ragione anche lei.-

Irina era quella che riusciva ad andare più d’accordo con lui. Entrambi scorbutici, potevano capirsi e non offendersi alle rispettive frecciate che si lanciavano.

-Ti ho portato un regalo, compare!- disse poi la riccia rivolgendosi a Giovanni.

-Spero che sia la mia ragazza, non la vedo da un pezzo.- replicò lui imbronciato.

-Martina viene dopo, doveva ancora finire di studiare per l’interrogazione di recupero di fisica. E a proposito di fisica… ecco qua! Esercizi freschi freschi di giornata!-

-E sarebbe questo il regalo?-

-Questo e una notizia: ebbene sì, la gita di fine anno è dopodomani. Le previsioni sono cambiate ed è definitivo.-

-No!-

-Sì.-

-No!-

-Sì.- s’intromise Luca. –Non capisco perché te la prendi tanto, non ci potresti andare nemmeno l’ultima settimana di scuola, ridotto come sei.-

-Sempre delicato.- piagnucolò Giovanni.

-Almeno quanto tu sei melodrammatico.- fu la risposta pacata dell’altro.

La gita di fine anno consisteva nell’intrepida traversata della città per arrivare al parco più grande e piazzarci tutti gli studenti in modo che si illudessero di essere già in vacanza, nonostante mancasse ancora una settimana alla fine della scuola. In quel locus amoenus (*) i ragazzi potevano sbizzarrirsi in ogni genere di rito da fine scuola, con grande indulgenza dei professori-sentinella.

Per Giovanni Santani, che preparava i gavettoni già con settimane di anticipo, perdere un evento del genere era una vera e propria disgrazia.

-Avevo già fantasticato su tutti i bei momenti in cui avrei bombardato Iri…- frignava lo sventurato infermo, esasperano gli altri due.

-Parla pure come se non fossi davanti a te, Santani.-

-Tu non mi vuoi bene!-

-Ma cosa…-

-Non mi vuoi bene, mi porti solo i compiti di fisica, lo fai per torturarmi, lo so!-

-Mi hai scoperto.-

-HA! Tu quoque!-

Luca sospirò e abbandonò il signor Osvaldo nel momento di suo maggior diletto: una filippica contro la sguaiata gioventù moderna.

Il ragazzo afferrò un cuscino e lo ficcò in faccia a Giovanni, che stava elencando tutte le persone che ormai non lo amavano più, e che era arrivato giust’appunto a lui.

-Ecco! Oh, Luca, non mi ami nemmeno tu! Credevo fossimo amici, ma evidentemente mi sbagliavo!-

-Esatto. Vengo qui tutti i santi giorni solo perché sto facendo un corso accelerato per il martirio.-

Luca era effettivamente in quella camera anche più spesso degli stessi genitori di Giovanni. Sembrava che avesse preso come impegno personale l’accertarsi che Giovanni non combinasse niente di catastrofico e nocivo per sé, cosa probabile anche se era intrappolato in un letto d’ospedale.

La situazione era positiva per entrambi: Giovanni, sempre tendente al vittimismo, non si deprimeva troppo e aveva sempre qualcuno con cui lamentarsi, Luca dal canto suo stava meno chiuso in casa e meno appiccicato al computer.

Solo una persona era poco contenta di questa convivenza. Martina era arrivata a supplicare Sara di portarsi via Luca per poterla lasciare sola con il suo ragazzo.

“Stare soli“ era poi un concetto relativo. Il signor Osvaldo non perdeva occasione per rimproverarli a ogni minima effusione. Un momento in cui approfittare poteva essere quando il signor Osvaldo dormiva, con il piccolo inghippo che l’uomo non dormiva mai di giorno. L’altro momento di libertà scattava quando la moglie, la signora Osvaldo, come la chiamavano loro, veniva a fargli visita. Se non altro a quel punto l’attenzione del marito era rivolta a lei, nonostante i continui borbottii scontrosi che la povera donna si doveva sorbire.

-Non capite, è amore.- disse sottovoce Irina, sentendo Giovanni commentare perplesso l’idilliaco rapporto tra i due coniugi.

-Boh, tu sei l’unica a capirlo perché sei come lui. Credi che se fossi innamorata saresti comunque scorbutica?-

Irina pensò al suo contegno con Matteo da quando, due settimane prima, aveva scoperto di essere innamorata di lui. Non era cambiato niente, continuavano a litigare come prima, anche se lei si sentiva più imbarazzata.

-Sì, direi di sì. Ma non vedo perché dovremmo preoccuparci di questo, dal momento che non lo sono.-  aggiunse, per sicurezza. Ci mancava solo che quella comare di paese del suo migliore amico si mettesse in testa di farle da agenzia matrimoniale per conquistare Matteo. Già, conquistare Matteo. La cosa le dava ancora dei problemi, visto che non aveva idea di come fare, ma preferiva rimandare le paturnie varie, era ancora tutto nuovo e scioccante.  Innamorata di Matteo Conti, roba da matti.

Luca si alzò sbuffando e infilò –con estrema cautela, naturalmente- il portatile nello zaino.

-Io direi di andare, tra poco viene la tua dolce metà e io sono stufo di fare il terzo incomodo.- brontolò.

-E lei si è stufata che tu lo faccia. Anche se, se vogliamo essere precisi, tu sei un quarto incomodo.- disse riferendosi ovviamente all’anziano signore che lo guardava truce. –Ti ho sentito, sai, ragazzo? Non credere che mi piaccia stare rinchiuso in questo letto.-

Luca sospirò e aprì la porta. –Ci vediamo domani. Cerca di non esasperare anche i muri mentre non ci siamo.-

-Aha, spiritoso.- Per tutta risposta l’altro scrollò le spalle e uscì in corridoio.

-Vado con lui, Gio. Salutami Martina, e non fate cose sconce davanti al signor Osvaldo, va bene?-

-Non potremmo nemmeno se volessimo. Come vedi ho gli arti un po’ impediti e potrebbe risultare complicato…-

-Va bene, va bene, il concetto è chiaro! Alla prossima, signor Osvaldo, si riguardi.-

Dopo che il diretto interessato grugnì un saluto, Irina chiuse la porta e raggiunse Luca in fondo al corridoio.

-Come torni a casa?-

-Autobus.-

-Oh, bè, passo davanti alla fermata per andare a casa mia. Vengo con te.-

 

Irina diede un calcio a una vecchia lattina, sovrappensiero. Poi, ripensandoci, andò a riprenderla per buttarla. Luca la guardava di sottecchi.

-Ti serve qualche verifica in anticipo per gli ultimi giorni? Pensavo vi avessero caricato parecchio.-

-Fino alla settimana scorsa sì, ma adesso mi rimane solo il recupero di fisica. Ma non fa niente, tanto devo studiare con Martina, e lei è troppo onesta per aiutarsi sapendo in anticipo le domande.-

Luca scrollò le spalle. Scrollava sempre le spalle quando era troppo pigro per dare una risposta articolata. Ovvero praticamente sempre.

-Come ti senti?- domandò alla fine, con lo sguardo sempre fisso sulla strada.

-Per la verifica? Non preoccupatissima, ho ancora un paio di giorni, e ormai ho scampato gli esami a settembre con l’interrogazione di venerdì.-

Arrivarono alla fermata; Luca si stravaccò molto elegantemente sulla panchina in attesa dell’autobus. Irina rimase in piedi con le mani in tasca.

-Non intendevo la verifica. Mi riferivo all’incidente di due settimane fa.  Te la sei vista brutta anche tu, no?-

-Oh.- Irina guardò sorpresa Luca, che invece osservava interessato la cartoleria dall’altro lato della strada.

-Oh, no, è tutto ok adesso. Insomma, sono rimasta sottosopra per un paio di giorni, ma va meglio ora.- riprese sedendosi accanto a lui.

-Quando ci ripenso mi vengono ancora i brividi.- Ammise il ragazzo aggrottando le sopracciglia.

-Già. A volte mi vengono gli incubi. Una notte ho sognato che Giovanni mi tirava sotto l’auto con lui, un’altra che ero al suo posto per terra… robe simili.-

-Tragico.- Commentò l’altro con una smorfia.

-Un po’.- Faceva fatica a parlarne, ma non l’aveva ancora fatto con nessuno, e si rendeva conto solo in quel momento di quanto sollievo le desse. Grazie, Luca.

-Se avessi bisogno di qualcosa…- borbottò l’amico tornando ad rimirare la cartoleria.

Lei sorrise, a sua volta un po’ a disagio. –Grazie. E non credo di averti mai ringraziato veramente per la tua idea delle firme. Per il murales, intendo.-

Luca scrollò le spalle, come sempre. – Non fa niente. Io e te non siamo un granchè con le parole.-

Probabilmente fu per questo che non dissero altro finchè l’autobus di Luca non arrivò. Si salutarono con un cenno e ognuno andò per la sua strada.

Quel Luca Grigori era proprio bizzarro, così come tutti gli altri del Doposcuola Punitivo, dopotutto. Inoltre, Irina non aveva mai avuto con lui una conversazione tanto lunga.

 

Lunedì mattina una testa bionda fece capolino alla porta della IV B del corridoio dell'indirizzo Artistico. Martina andò incontro all'intruso, sorpresa.

-Ciao. Che ci fai qui?-

-Cercavo Testa a Cespuglio, ho un messaggio da recapitare.- esclamò Matteo Conti gioviale guardandosi attorno. La sua espressione cambiò considerevolmente quando individuò in fondo alla classe Irina Rainieri.

Perchè Irina Rinieri era seduta su un banco abbracciata a un individuo che aveva le braccia grosse il doppio delle sue e contro cui non avrebbe avuto la minima chance in caso di un duello per il cuore della fanciulla?

Martina seguì il suo sguardo e ridacchiò per la sua faccia, che doveva essere leggermente demoralizzata.

-Ehi, Iri! Ti cercano!- gridò in direzione dell’interessata, che sbucò da dietro la spalla dell’energumeno.

Sgranò gli occhi nel vederlo, sorpresa, e arrossì leggermente. Aha, colta con le mani nel sacco!

 -Un secondo!- esclamò, e tornò a nascondersi dietro l’enorme massa muscolare del tizio.

Mh. Era piuttosto grosso. Accidenti.

-Ecco qua, Carletto, soddisfatto?- Irina diede una pacca alla grossa spalla del gorilla e saltò giù dal banco.

Carlo Pisquani, ripetente del quarto anno, era stato soprannominato “Carletto” per la sua mole considerevole, e ora esibiva sul braccio e sul collo un dragone nero. Per riuscire a realizzarlo Irina aveva dovuto appollaiarsi sul banco e dalla postazione di Matteo sembrava effettivamente che si stessero abbracciando.

Carletto agguantò la compagna per le spalle e la stritolò per bene, tutto contento per il nuovo tatuaggio. Matteo potè sentire lo scricchiolio delle ossa di Irina. Quest’ultima raggiunse barcollante l’amico e gli rivolse un’occhiata interrogativa.

-Buon giorno, piccola esploratrice! Pronta per la gita?- Irina fece spallucce. –Ti serve qualcosa, Giovane Marmotta?-

-Luca ha chiesto se possiamo pranzare insieme, noi del Doposcuola Punitivo. Non è strano che l’abbia proposto lui? Il nostro Luca Grigori si ammorbidisce!-

Irina sorrise. Le piaceva la prospettiva di passare un po’ di tempo anche con loro e non solo con la sua classe.

-Certo, così ci troviamo anche per decidere quando andare a trovare Gio all’ospedale.-

-Giusto. Allora contiamo anche su di te.- E segnò su un foglietto il suo nome.

-Siamo in sei, a che ti serve la lista?-

-Rendeva il tutto più professionale.-

-Logico. A dopo, Conti.-

-A dopo, Rainieri.-

 

Matteo guardava impressionato il panino di Marco, che vantava la bellezza di cinque strati, di cui uno contenente una cotoletta intera.

-Svelami il tuo segreto, ti prego. Com’è possibile che tu non sia obeso, se davvero mangi cose del genere?-

-Bè, tecnicamente non è mio. L’ho vinto a un mio compagno di classe. Solo che è talmente grosso che non so come morderlo.-

-Ti do una mano io.- L’offerta di Matteo chiaramente non era una dimostrazione di amicizia, ma un semplice moto d’invidia causato dalle dimensioni del suo triste panino al prosciutto.

Irina masticava la sua pizza e li osservava.

-Si sente la mancanza di Gio. Sembriamo tutti meno scemi.-

-Giovanni è l’essenza della nostra stupidità.- commentò Luca addentando il suo panino.

-Credo che ne sarebbe fiero.-

-Sì, è il genere di cose che lo renderebbe orgoglioso.-

-Fare il cretino da solo non è divertente.- si lamentò Matteo, appoggiando la testa alla spalla di Marco e cominciando a piagnucolare. L’altro lo guardò basito e vagamente inquietato. Fran si allungò per dargli delle pacche sulla schiena.

-Riuscite a pensarci? L’anno prossimo non saremo più al Doposcuola Punitivo.- esclamò.

-Bè, non è detto. Magari Luca ammazza Genziana e viene rinchiuso per un altro anno.- intervenne Irina.

-E’ possibile.- commentò il direto interessato, che trovava Luca Genziana ogni giorno più fastidioso, quando si appiccicava a Sara.

-Non ce ne sarà bisogno.- Sara, che fino a quel momento non aveva spiccicato parola, se ne stava rannicchiata sul prato, con la testa tra le braccia.

-Non ti senti bene?- Luca le si avvicinò, giusto per controllare che non fosse in fin di vita, ma la ragazza lo fulminò con lo sguardo. –Stai lontano da me, uomo.- sibilò, facendolo congelare sul posto.

Guardò in cagnesco Matteo e Marco, che la guardavano allibiti.

-Oggi ce l’ho con i maschi.-

Fran la guardò dispiaciuta e comprensiva. –Primo giorno di ciclo?- Sara annuì tetra. –Sto malissimo. Non ho dormito, ho mal di pancia, mal di testa, mal di schiena. Voglio morire.- Rantolò tornando a raggomitolarsi. Fran, in quanto essere umano femmina potè sedersi accanto a lei e accarezzarle la schiena per confortarla.

Luca ebbe il buon senso di andarsi a sedere al posto di Fran, accanto a Irina.

-Saggia decisione.- lo accolse quest’ultima. –Non temere, tra due o tre giorni dovrebbe tornare come prima, almeno per quanto riguarda il carattere.-

-Quante storie…- borbottò Matteo, ancora sorpreso.

-Tu, maschio, non puoi capire. Vorrei vedere te in quel periodo del mese, biondino.-

Matteo stava per ribattere qualcos’altro, ma incontrò gli occhi severi –da leggersi “assassini”- di Sara, e preferì tacere.

 

Sara stava effettivamente male. Fran stava rovistando nello zaino da una decina di minuti alla ricerca della scatola di antidolorifico.

-Ma insomma, maledette pastiglie, dove cavolo vi ho messo, accidenti a me…- era il continuo borbottio che proveniva dalle sue parti.

Alla fine si schiaffò la mano sulla fronte e sbuffò.

Fran gesticolava sempre ed era molto espressiva; era questo che a volte la faceva sembrare un po’ pazza.

Ad ogni modo il suo problema era un altro. Si era ricordata di aver lasciato a sua sorella le pastiglie, il che voleva dire andare a recuperarle.

Questo era proprio ciò che Fran voleva evitare, detestava incontrare i compagni di classe di sua sorella. In particolare i suoi amici, Lorenzo e Giorgia, due snob con la puzza sotto il naso e con la fissa di essere perfetti. Quei due non facevano mai niente per nascondere il loro disprezzo per Fran e per i suoi amici o per qualsiasi altra persona che facesse qualcosa di minimamente diverso dalla media, facendo vergognare Teresa e arrabbiare Fran.

Quello che la faceva più imbestialire era che l’unica orribile colpa da lei commessa era quella di far parte del Doposcuola Punitivo. Come se lei e gli altri avessero commesso chissà quali crimini.

Fran era convinta che se sua sorella fosse stata in una classe meno… elitaria, tutti questi problemi non ci sarebbero stati.

Camminava alla ricerca del Trio della Perfezione con Irina a fianco, che era venuta per supporto. Marco le aveva raggiunte quando la situazione aveva iniziato a degenerare: ovvero quando Matteo aveva iniziato a sbuffare per la noia ogni due secondi e Luca, seccato, gli aveva ficcato in testa lo zaino.

Alla fine trovarono il gruppetto alle prese con una sventurata compagna di classe che, a quanto pareva, esibiva un colore di capelli troppo trasgressivo.

-Credi davvero che ti prenderanno sul serio come violinista se li tieni di quel colore? Pensaci bene, Linda, sembri più un’artista di strada piuttosto che una concertista.-

Linda sbuffò e si passò una mano tra i capelli blu scuro. –Ti comporti davvero da altruista, Giorgia, ma con la lingua biforcuta che ti ritrovi non sei molto credibile. In ogni caso se un’orchestra mi giudica per il colore di capelli e non per come suono il violino, allora non vale nemmeno la pena di entrarci.-

Ecco, perché sua sorella non era diventata amica di questa Linda, invece che prendersi le mele bacate della classe?

Il sorriso di Irina fece capire a Fran che la pensava come lei.

Lorenzo, uno spilungone magro magro, che ancora non aveva distribuito in giro la sua dose di simpatia, squadrò lei, Marco e Irina e poi diede un colpetto a Teresa, che se ne stava più in disparte.

La ragazza notando sua sorella e i suoi discutibili amici arrossì di colpo e la guardò infastidita.

-Cosa vuoi?- domandò brusca accompagnata dallo sbuffo seccato di Giorgia.

-Cavolo, Terry, stai attenta, rischi di commuovermi a ricoprirmi di affetto in questo modo.- replicò sarcastica la sorella.

Giorgia bisbigliò qualcosa all’orecchio di Lorenzo, che ridacchiò. Irina lo guardò come se volesse staccargli la testa con una mazza da baseball e Teresa strinse le labbra, nervosa.

Che belle, le riunioni di famiglia.           

 

-Mie!- esclamò Sara gioiosamente quando vide arrivare Fran con le pastiglie.

Fran gliele diede subito, consapevole che per lei rappresentavano la salvezza.

-Fai paura, lo sai, sì? Sembri pazza.- intervenne Matteo allucinato. Sara per tutta risposta lo guardò male e gli voltò le spalle.

-E tu cos’hai, Fran, mestruata pure tu?- domandò allora il biondo notando la faccia scura dell’amica.

-No, incontro ravvicinato con le guardie del corpo di mia sorella. Lascia perdere.- sospirò all’espressione perplessa dell’altro.

-La ragazza con i capelli blu è sua amica, però.- intervenne Marco. –Le vedo parlare in corridoio, ogni tanto.-

-Quando non ci sono i due Signori Perfettini, immagino.- commentò Fran amaramente. –Senza di loro Teresa è abbastanza umana, davvero.- disse come per scusarsi del comportamento di sua sorella.

-Sì, lo so. E’ tra quelli del Musicale che hanno firmato la petizione per Irina, sai?-

-Sul serio?- Sia Fran sia Irina lo guardarono sbalordite. Sapevano cosa pensava Teresa del Doposcuola Punitivo e dei suoi membri, almeno a giudicare da come li guardava sempre, e non erano certo pensieri carini.

Fran non si stupiva che sua sorella, orgogliosa com’era, avesse omesso quell’episodio, ma si sentiva più leggera.

-Si vede che non è male come sembra.-

Fran sorrise riconoscente a Marco. –No, non lo è.-

 

Un urlo belluino, simile a quello di un dugongo inferocito, echeggiò nell’aria, seguito dal tremore del terreno ai passi della bestia in avvicinamento.

-Carletto! No!-

Troppo tardi. Irina fu completamente investita dal getto d’acqua. Bagnata fradicia, come se fosse stata investita da uno Tsounami, si voltò allibita nella direzione di Carletto, che se la rideva tutto felice, brandendo un altro fatale gavettone.

-HA! INGRATO CHE NON SEI ALTRO!- Agguantò la bottiglia d’acqua di Matteo e si lanciò all’inseguimento.

Martina, che li aveva raggiunti dopo una folle corsa per cercare di fermare Carletto, si fermò a osservare, ancora col fiatone, la scena dell’enorme mole di Carletto che scappava dalla piccola Irina.

Matteo se ne stava seduto corrucciato. –E’ la mia bottiglia, quella…- borbottava irritato.

-Potrebbe tornare indietro, se Carletto non se la mangia.-

-Chi? La bottiglia o Irina?-

-Tutt’e due, considerando quant’è grosso.- ridacchiò la ragazza divertita. Matteo fece una smorfia.

-Ad ogni modo, se potesse, ci sarebbe Gio al suo posto. Progetta l’attacco di gavettoni dall’inizio dell’anno, e la sua preda preferita è Irina.-

Gio sapeva bene che se teneva alla sua vita e ad avere una pacifica e duratura relazione con lei non doveva sfiorarla nemmeno con una goccia d’acqua.

Martina odiava bagnarsi. Odiava l’effetto che la pioggia aveva sui suoi capelli, odiava quando i vestiti bagnati le si appiccicavano alla pelle, non le piaceva nemmeno nuotare. Affinchè non sorgano dubbi strani assicuriamo che si lavava. Solo non amava le doccie straordinarie.

Per questo motivo Irina veniva designata ogni anno come vittima, cosa che in realtà la divertiva.

Ciò nonostante quell’anno aveva pensato di evitare la doccia, data la mancanza di Giovanni, ma per sua sfortuna il suo compagno di banco aveva mandato un sicario.

Matteo guardava assorto Irina che veniva ancora una volta investita da un considerevole getto d’acqua e tentava la ritirata verso la fontana, alla ricerca di materia prima per rispondere all’attacco.

Martina scoppiò a ridere quando il gavettone di Irina centrò, per puro caso, ovviamente, la chioma fluente e ormai fradicia di un’imbestialita Costanza Rossini. Costanza cominciò a sbraitare contro la riccia, col risultato di attirare l’attenzione di quei trogloditi dei loro compagni, che le si gettarono addosso sommergendo lei e i suoi vestiti firmati.

-Ecco, questa è una scena che non dimenticherò mai.-

Matteo guardò la Rossini che ormai annegava nei suoi abiti fradici. –Ce l’hai con lei?-

-Tutte le ragazze della scuola ce l’hanno con lei. Il suo problema è che ci prova con ogni essere maschile in grado di respirare, che sia occupato o no.- Si ricordava ancora di quando si era incollata a Giovanni l’anno prima, facendola imbestialire anche se ancora non stavano insieme.  Era a quel punto che si era resa conto che forse Giovanni Santani non le stava così antipatico.

-Sai… mi sono chiesto spesso… non sei mai gelosa del rapporto che c’è tra Gio e Irina? Insomma, sono sempre insieme, no?- le domandò Matteo dopo un minuto di silenzio.

-Gelosa di Gio e Irina? Sinceramente non mi è mai passato per la testa. È sempre stato evidente che sono solo amici, e mi fido di entrambi più che di me stessa. No, proprio non ce li vedo insieme. Come ti è venuto in mente?-

Matteo fece spallucce e tornò a guardare la disfatta della Rossini. Sembrava che uno stuolo di rivali si fosse unito ai ragazzi della IV B per sopprimerla. Faceva quasi pena.

Sembravano spettatori di uno spettacolo teatrale, seduti lì tranquilli a godersi la scena.

Dietro di loro Sara era tornata ad accovacciarsi dolorante, Luca si teneva a debita distanza da lei e discuteva con Fran a proposito del professore di latino –è in effetti più corretto dire che Fran parlava e lui ascoltava- e Marco si era appoggiato all’albero e non dava più segni di vita.

Martina diede un’occhiata a Matteo, che quel giorno era evidentemente di cattivo umore.

-Non vorrei farmi i fatti tuoi, Matteo, ma… non sarà a te che dà fastidio che Gio e Irina siano sempre insieme?-

Matteo sgranò gli occhi così tanto che la ragazza temette di vederli cascare dalle orbite. Lui si guardò alle spalle e, assicuratosi che nessun altro stesse seguendo il discorso, rispose con ostentata tranquillità. –A me non dà fastidio… dovrebbe?-

-No che non dovrebbe! Insomma, non c’è proprio niente di cui essere gelosi. Scusa se te lo chiedo, ma a te piace Irina, no?-

-No! Sì? Perché me lo chiedi?-

-Bè, ce lo chiedevamo tutti in classe, in realtà. Alcuni pensavano che voi steste insieme, ma Irina me l’avrebbe detto.-

Gli occhi di Matteo diventavano sempre più grandi e tondi a ogni parola che pronunciava, il che cominciava a inquietarla. Chissà, magari lei e i suoi compagni avevano preso un granchio, come diceva Giovanni, eppure sembrava evidente a tutti che quei due si piacevano.

Gli unici a non considerare minimamente l’ipotesi erano, per chissà quale motivo, proprio i ragazzi del Doposcuola Punitivo.

 

Matteo trovava la situazione vagamente assurda, ma soprattutto spiacevole.

L’unico a cui aveva detto cosa provava per Irina Rainieri era Aldo Visconti, il suo vicino di banco, e lo aveva fatto sotto costrizione. Sapere che un’intera classe faceva progetti su di lui e Testa a Cespuglio era davvero spiazzante.

-Bè, ma… questo è… assurdo, dai, come vi è ventuo in mente?-

-A volte vi comportate come marito e moglie, non ve ne accorgete? Ma se dici che è assurdo…-

-Assurdo.-

-Non così tanto, però.-

-No?-

-No.-

-Magari… non del tutto assurdo?-

-Decisamente non assurdo. Ma non c’è niente di male. Voglio dire, non commettete un reato se state insieme.-

-Non stiamo insieme!-

-Bè, allora dovreste darvi una mossa. O meglio, tu dovresti darti una mossa; Irina non è molto acuta in queste situazioni.-

-Me n’ero accorto, sì.-

-Forza e coraggio. E scusa se ti ho estorto queste informazioni, non andrò a raccontarle in classe, ovviamente. Il fatto è che eravamo convinti che fosse tutto già risolto.-

-Forse siete troppo avanti.- rispose Matteo, tornando a guardare con aria stralunata il campo di battaglia, che si stava lentamente svuotando. Cercò il cadavere della Rossini tra le macerie, ma la trovò più distante, intenta a cercare una presa per il phon in pieno parco. Non sembrava una ragazza molto brillante, in effetti.

-Ah, e comunque non starei a preoccuparmi neanche di Carletto. Non sono ancora entrata nella testa di Iri, e lei non si confida mai riguardo ad argomenti del genere, ma sono quasi sicura che al momento non sia interessata a lui.-

Proprio in quel momento Carletto afferrò Irina per la felpa e le rovesciò nel colletto il contenuto di una bottiglia intera. Qualsiasi cosa prima la ragazza pensasse di lui, ormai Carletto non era più un problema.

Anzi, a giudicare dalla faccia di Irina, presto sarebbe scomparso dalla faccia della terra.

 

Ogni movimento di Irina comportava uno spruzzo d’acqua dalle scarpe e mille goccioline che si disperdevano generosamente sui suoi poveri amici. Da come forse avrete capito, insomma, era bagnata fradicia.

La ragazza si strinse corrucciata nella felpa, emmettendo svariati “ciff” e “ciaff”.

-L-la prossima v-v-volta userò la testa di Carletto c-come pallone per la p-partita di calcio tra p-p-professori e alunni. Voglio vedere p-poi se r-ride.- borbottava come una pentola di fagioli, tremando dal freddo.

Secondo la legge di Murphy, infatti, proprio in quel momento si era messo a soffiare il vento, cosa che poteva risultare piacevole per chi non sopportava già il caldo di giugno, ma terribile per chi era zuppo come una spugna di acqua fredda.

-Hai freddo?- chiese laconico Luca, dimostrando tutto il suo acume.
Irina non rispose nemmeno e continuò a tremare nella sua enorme felpa ormai inservibile.

-Vuoi la mia?- domandò Matteo dopo un po’.

-C-come?-

-La mia felpa, dico. A me non serve.- disse indicando la sua felpa abbandonata sulla testa di Marco, che cercava di dormire appoggiato all’albero.

Irina guardò Matteo come se fosse persona più meravigliosa al mondo. Avete presente gli occhi sbrilluccicosi degli anime giapponesi?

-Ehi!- si lamnetò Marco quando Matteo gli levò dalla faccia la felpa per darla a Irina.

-Questioni di forza maggiore.- replicò passandola alla bagnata forza maggiore, che l’afferrò tutta contenta e tremante e zampettò altrove per cambiarsi. Martina lanciò un’occhiata eloquente a Matteo. Stava sicuramente pensando alla storia del sembrare marito e moglie, e il ragazzo si affrettò a ignorarla, voltandosi per dare uno scappellotto a Marco, che ancora cercava di dormire.

-Teo! Ma che ti prende oggi, hai il ciclo anche tu?- protestò lui seccato. Un ringhio basso proveniente dalla parte di Sara zittì il moro. Fran si affrettò a calmare l’amica.

Luca aveva ragione. Erano un branco di squilibrati anche senza Giovanni Santani, ma era comunque tutto diverso quando l’essenza della loro stupidità non era tra loro.

Come direbbe il buon vecchio Socras, la stupidità senza la sua essenza è come il pane senza la marmellata. (**)

-Non so che cos’amare di più della giornata: la gita o il fatto che non c’è il Doposcuola.- Fran scese dall’autobus con un salto e guardò soddisfatta il Michelangelo. Irina sospirò. –Non per me. Fino alle sette sono qui a pulire. Accidenti, cosa diavolo ci sarà da pulire se noi studenti abbiamo passato la giornata fuori?-

-La polvere, per esempio. Non fare la lavativa e datti una mossa, ragazzina.-

Irina sobbalzò e si girò di scatto verso Torquato, il bidello. –Ma che diamine… devi… sempre apparire all’improvviso?- soffiò con il cuore ancora in gola per lo spavento. Torquato era un asso nell’apparire dal nulla senza preavviso e far venire infarti alla gente.

-Saluta le amiche e datti una mossa, o ti toccherà lavare i pavimenti della mensa con Ramona.-  Con l’orrida prospettiva di passare la sera in compagnia di Ramona e dei pavimenti appiccicosi della mensa Irina sobbalzò un’altra volta.

-No! No, grazie, Ramona può fare a meno di me. Verrò con te, Torquato, non sia mai che affatichi la tua vecchia schiena a spazzare tutto da solo.- Salutò velocemente Fran e seguì Torquato oltre il cancello della scuola, mentre quest’ultimo ancora borbottava :”Vecchia schiena un corno…”

Torquato era a conti fatti la compagnia migliore che potesse avere in quelle sere. Era un po’ burbero, e soprattutto folle, ma era molto meglio delle altre bidelle. In particolare Irina si teneva alla larga da Ramona, poco portata per l’igiene –il che spiegava perché i pavimenti della mensa rimanessero appiccicosi- e da Lara, invece troppo portata per la pulizia. Ricordava ancora di quando aveva costretto lei e Torquato a girare per i corridoi con le pattine. Roba da matti.

 

-Ragazzo, dovresti essere a casa. Che diavolo ti porta a scuola fuori orario? Già questo mi basta per capire che non hai le rotelle a posto…-

-Ma se lei mi lasciasse spiegare…-

-Via dal mio corridoio, biondo.-

Biondo? Irina si affacciò incuriosita dalla porta della classe dove aveva appena finito di pulire e trovò niente meno che Matteo Conti alle prese con il suo poco socievole compare di pulizie.

-Torquato, che stai facendo? E piantala con questa storia del “tuo” corridoio. Che orgoglio può esserci a essere il Signore del Corridoio?-

L’uomo guardò Irina in cagnesco. –E’ tuo questo?-

-Cosa?-

-E’ tuo questo tizio?-

-Sì, è mio… cioè, lo conosco.-

Torquato sbuffò e se ne tornò a pulire borbottando.

-Ma che diavolo di problemi ha?- sbottò Matteo guardandolo male. Sembrava che fosse profondamente offeso dal fatto di essere appena stato trattato come una cosa.

 

Il prode cavalier Matteo Conti aveva cercato una scusa qualsiasi per andare a parlare con madamigella Irina Rainieri e chiarire una volta per tutte quello che provava per lei.

Questa faccenda dell’intera IV B che sospettava e congetturava riguardo a loro due lo infastidiva parecchio.

Così aveva optato per raggiungere la ragazza nella classe dove stava lavorando con la scusa di dover riprendere la felpa che le aveva prestato. Non era un gran pretesto, considerato che Irina avrebbe potuto tranquillamente restituirgliela il giorno dopo, ma una volta che si era deciso era meglio sfruttare la sua sicurezza e darsi una mossa.

Matteo Conti aveva proprio coraggio da vendere.

Irina era andata a cambiarsi in bagno e lui era lì ad aspettarla, teso come la corda di un violino.

Se maledì per non essersi preparato un discorso. Aveva pensato che improvvisare sarebbe stata la cosa migliore, ma ora la riteneva un’idea balorda. Non aveva la minima idea di cosa dire e, agitato com’era, era capace di parlare per più di mezz’ora senza mai arrivare al punto.

Ora ne era certo, sarebbe partito col parlare del tempo, fino ad arrivare al buco nell’ozono, ma di sentimenti nemmeno una parola.

Proprio mentre cercava di rimettere in ordine i suoi pensieri da adolescente frustrato con gli ormoni in subbuglio, Irina ricomparì con la sua felpa, facendolo girare di scatto.

-Ecco qua. Ti senti bene?-

-Benone. Perché?- domandò nervoso prendendo la felpa che lei gli porgeva.

-Hai la faccia verdognola, quasi.- Ah, ecco, molto attraente. Niente seduce più di un sano colorito verdognolo da ansia da prestazione.

Matteo continuava a stropicciarsi la felpa tra le mani, che gli sudavano terribilmente, altra cosa estremamente seducente.

-…Conti? Non stai bene?-

-No! Cioè, molto bene, niente di che. Tu come stai? Mi ascolteresti un secondo?- disse tutto di fila senza mai respirare, in preda al panico. Accidenti, faceva proprio pena. C’era un piccolo Giovanni Santani sulla sua spalla che si divertiva un mondo e sghignazzava senza ritegno per il modo in cui si stava umiliando. Sull’altra spalla stava appollaiato un piccolo Marco Poli che esortava il pubblico a scommettere sull’esito della sua triste avventura.

-Sì, certo, dimmi. Sicuro di non volere un bicchier d’acqua?-

-Niente acqua, sto bene. Solo, sta’ zitta, ok? Per favore.- aggiunse, rendendosi conto di non essere stato molto cortese. E non era bene.

Irina si sedette sul banco, incuriosita e perplessa. Matteo si schiarì la gola con fare molto concentrato, per darsi un certo tono.

-Il fatto è che… noi non facciamo che litigare, e lo so bene che sembra strano, ma io lo trovo divertente, anche se sembra sempre che tu voglia staccarmi la testa. Cosa che non escludo farai una volta o l’altra, visto quanto sei violenta. Insomma, probabilmente non si direbbe, visto che tu mi dai sempre contro e m’insulti ogni giorno, ma…-

Assicuriamo i gentili lettori che Matteo, dopo quella sbrodolata di “ma” e “però”, che voleva essere un incipit ben fatto, aveva l’obiettivo di porre un “ma” fondamentale: il “ma non m’importa dei vari problemi e difetti e bla bla bla” che avebbe risolto ogni cosa e portato a un lieto fine. Purtroppo Matteo si era scordato di non essere Giorgio e di non avere un copione che parlasse per lui, e per ora riusciva a cavarsela a tirare fuori solo i difetti e i problemi. Così va la vita quando non è scritta da qualcun altro.

La povera Irina a ogni sua parola diventava sempre più rossa e si sentiva sempre più mortificata, tanto che a un certo punto saltò giù dal banco e di avviò offesa verso la porta.

-Accidenti, Conti, se sei venuto solo per insultarmi puoi continuare il discorso con Torquato.-

Matteo l’afferrò per il polso, allarmato dalla sua –giustificata, peraltro- reazione.

-No, no, aspetta! Quello che cerco di dire, e di cui tu non ti sei ancora accorta, è che mi sono innamorato di te, ritardata che non sei altro!-

Suonò più come un’accusa, che come una dichiarazione, e Matteo avrebbe preferito ballare il valzer con Torquato piuttosto che essere lì, ma ormai il danno era fatto, quindi tanto valeva andare avanti.

“La distruzione di Matteo Conti-Irina Rainieri, la vendetta”. 

La ragazza lo fissava con gli occhi sgranati e non diceva niente. Matteo tossicchiò e cercò di spiegarsi meglio. La sua consolazione era che peggio di così non poteva andare.

-Va bene, ricomincio. Non volevo insultarti. Cioè, quello lo faccio sempre, e direi che adesso non è indispensabile. Bè, è proprio come ho detto. Mi sono innamorato di te, Rainieri, e sembra che sia maledettamente evidente, perché se ne sono accorti tutti i tuoi compagni di classe! Quindi il problema dev’essere tuo, Testa a Cespuglio, come hai fatto a non rendertene conto?- sbottò alla fine, sudando freddo. Qualcosa gli diceva che non aveva fatto una bella impressione nemmeno con il secondo tentativo. Era quel che si dice un ragazzo sagace.

Irina era ancora in evidente difficoltà, indecisa se prendere a pugni il ragazzo o baciarlo. Le veniva più facile prenderlo a pugni, in realtà, dal momento che aveva più esperienza in questo campo, ma per prima cosa decise di rispondere alla sua domanda.

-Bè, io… non me n’ero accorta, no! E non me ne sono accorta perché… perché… tu ti eri forse accorto che ero innamorata di te?-

-No, onestamente. Aspetta, tu…? Davvero?-

-Ma certo!-

-Eri o sei?-

-Tutt’e due, direi.-

-Oh! Bene.-

-Quella di prima cos’era, una dichiarazione?-

-Voleva esserlo, sì. In effetti avrei dovuto lavorarci su un po’ di più.-

-Poteva andare bene la seconda parte. Se ritiri il “ritardata”.-

-Ma quello è vero. Non ti sei accorta di niente!-

-Bè, allora tu sei un… pessimo dichiaratore, ecco!-

Leggendo tra le righe si potrebbe notare l’euforia che aveva preso entrambi, ben nascosta dagli insulti che si rivolgevano. Erano così su di giri che non riuscivano nemmeno a litigare come si deve.

-Non è vero! Sta’ a sentire, me n’è appena venuta in mente una fantastica.- Matteo gonfiò pomposamente il petto e cominciò a declamare una replica della vecchia dichiarazione di Giorgio: “Irina, tu sei la mia vita ora, il mio sole, il mio fiore, sei l’aria che respiro, il bocciolo della rosa più bella, la rugiada che compare alla mattina, il timido raggio di un tramonto sul mare, sei lo zucchero sulla lingua, la canzone più melodiosa, l’unico motivo per cui un ragazzo come me può voler viver…” Irina scoppiò a ridere e gli tappò la bocca con una mano, dicendo tra le risate: -Che estro poetico! Ora dovrai chiedere i titoli d’autore alla preside. Sbaglio o mesi fa ti avevo detto che il malcapitato che mi avrebbe fatto una dichiarazione del genere sarebbe finito male. E ancora non riesco a credere che quel malcapitato sia tu.-

 “Da parte mia credo che tirerei qualcosa in testa al malcapitato che osasse dichiararsi a me in questo modo.”

 “Ah, puoi stare sicura che io non ti dirò mai una cosa del genere.”

Non era buffo? Mesi prima la pensavano a questo modo e ora erano lì; Matteo si era dichiarato e Irina non gli aveva tirato niente in testa.

Chi l’avrebbe mai detto? A quanto pare, tutti eccetto i diretti interessati e gli altri componenti del Doposcuola Punitivo.

 

-Scherzi a parte, ti va bene che quel malcapitato sia io?-

Irina sorrise imbarazzata. –Non ne sceglierei un altro.-

Matteo sorrise a sua volta, e fu sollevato che la ragazza, che aveva abbassato lo sguardo, non potesse vedere la sua espressione ebete.

-Sai, ho già provato due volte a baciarti e non mi è mai andata molto bene. Se ci provo adesso cosa succede?-

-Tu provaci e vediamo.-

 

Ma non successe niente.

Non appena Matteo si avvicinò alla ragazza, dal corridoio sbucò Torquato, che urlò a pieni polmoni: -Tempo scaduto! Fuori di qui, ragazzo, se ci tieni ad avere classi e bagni puliti!-

Matteo, vedendolo spuntare all’improvviso, fece un salto di due metri, andando a sbattere contro il banco dietro di lui. Naturalmente lo spigolo si conficcò nel suo fianco. Irina, che aveva già fatto esperienza delle entrate a sorpresa del bidello, si limitò a battersi una mano sulla fronte, profondamente frustrata.

Sotto lo sguardo severo e indagatore del suo assillante custode accompagnò fuori il biondo, in un silenzio imbarazzato.

-Lo odio.- mormorò a denti stretti lui quando arrivarono alla scalinata in fondo al corridoio.

-Lo so. Si diverte alle mie spalle.- borbottò lei mortificata. Guardarono indietro e non videro nessuno. Via libera.

-Bè…- mormorò Matteo avvicinandosi una seconda volta al viso della ragazza.

-RAINIERI! I pavimenti non si lavano da soli! Forza!-

Matteo, a pochi centimetri dalle labbra di Irina, espirò profondamente e si allontanò del tutto, borbottando scocciato: -Va bene, mi arrendo. Vai a lavare i pavimenti.-

Lei ridacchiò, ancora rossa, e lo salutò con un cenno della mano. –A domani.-

-Abbiamo ancora una faccenda in sospeso, Rainieri, non ci sarà sempre il bidello a salvarti. Con questo sono a quattro tentativi mancati, non fa bene al mio orgoglio maschile.-

SPLAT!

Uno straccio bagnato atterrò tra di loro, schizzandoli di acqua saponata. Indovinare la mano nemica non fu difficile.

-Ho capito!- sbottò Matteo in direzione di Torquato.

Non la si faceva al Signore del Corridoio.

 

 

 

 

(*) Il locus amoenus è un luogo idilliaco.

(**) Socras è un personaggio del cartone di altissimo livello della Kinder Ferrero "I Roteò". 

 

 *Angolo di Mary

Coff coff.

No, fermi tutti, niente oggetti contundenti contro l'autrice! *Viene centrata in pieno da un computer* Me lo meritavo, è vero.

Chiedo scusa in tutte le lingue che conosco (due) per il mio ritardo. Sono veramente dispiaciuta, ma l'ultimo anno di scuola si è fatto sentire, accompagnato da un simpaticissimo blocco che mi ha impedito di scrivere in modo decente durante l'estate. Lo so, sono una disgraziata.

Ma procediamo con ordine. *Schiva un altro computer*

Innanzitutto ci tenevo a introdurre l'amicizia consolidata tra Luca e Giovanni. Perchè anche Luca ha un cuore, signori, solo che lo mostra solo nei momenti di maggior sconforto. E dicendo questo mi riferisco anche a lui e Irina. E' stato strano scrivere quella parte, perchè quei due si relazionano poco, ma è una delle mie preferite.

La cara dolce Sara: non è tutta farina del mio sacco la sua felice situazione. Per carità, le mestruazioni sono la storia più vecchia del mondo, ma le ho messe in questo capitolo non perchè mi stiano simpatiche (ci mancherebbe anche), ma per omaggiare una storia che mi ha divertito immensamente e che reputo veramente meritevole di essere letta, ovvero "Ogni ventotto giorni", di Yvaine0. Lo so, ho commesso emulatio e spero che Mich non me ne vorrà per questo, il mio intento era quello di farle un omaggio, perchè quella storia... boh. La trovo un piccolo gioiellino dell'humor.

Ecco perchè ora cliccherete sul link e la andrete a leggere. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1299119&i=1)

Fran e Marco: cari, vecchi ragazzi, ancora non ho finito con loro, naturalmente. Ad ogni modo ecco un po' spiegata la relazione tra Fran e sua sorella. Non molto idilliaca in effetti, ma non voletegliene, io voglio un gran bene a Teresa.

E ultimi, ma non per importanza: Matteo e Irina. 
Ebbene sì. E' successo. Ve lo aspettavate?
Lo so, non sono per niente romantici, ma per due come loro non ho saputo fare diversamente. Scrivere la scena della dichiarazione è stato un parto assurdo, ma alla fine sono sicura che le cose siano andate così. Sono pur sempre Matteo e Irina, dopotutto.

Molto bene, cosa sto dimenticando ancora? Ah, sì. Torquato. Vi proibisco di non amarlo. Omaggio a Torquato Tasso, come ho già detto, è una persona degna di rispetto. 

Vi chiedo ancora scusa per il tempo che ci ho messo, spero che la mole del capitolo possa almeno un po' compensare il tempo.

Grazie mille di avere ancora la pazienza di seguire, davvero. 

Mary 

P.S. Come sempre chiedo di farmi notare i sicuramente presenti errori di battitura. Grazie.

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Capitolo 21
*** Quelle teste di coccio dei ragazzi del Doposcuola Punitivo ***


 

 

Quelle teste di coccio dei ragazzi del Doposcuola Punitivo

 

 


-Pronto?-           

-Ohi.-

-Ehi, Testa a Cespuglio. Ci siamo visti appena tre ore fa. Cos’è, sentivi la mia mancanza?-

-Ti piacerebbe.-

-Cosa? Che mostrassi affetto? Sarebbe interessante, in effetti.-

-Ora non pretendere troppo. Ho sentito Fran, prima. Chiedeva se domani riuscivamo ad andare tutti a trovare Gio all’ospedale. Sai com’è fatto, vuole una “riunione di famiglia”.-

-Ah, la grande famiglia felice del Doposcuola Punitivo. Per me va bene, ma tu non finisci di stare a scuola alle sette di sera?-

Matteo potè sentire chiaramente il rumore della mano di Irina che si batteva sulla fronte.

-Giusto! E Luca e Sara finiscono alle sei!-

-Oh, bè, io, Fran e Marco possiamo aspettarvi all’ospedale. Sarà una visita un po’ tarda, tutto qui.-

Irina sospirò, un po’ delusa dall’evidente breve durata della loro rimpatriata.

-Okay, allora ci vediamo là. A domani, Conti.-

-Conterò le ore!-

-Idiota.-

 

L’orgoglio è una gran brutta bestia. Irina avrebbe voluto mettere da parte il suo e dire chiaramente a Luca e Sara che proprio non aveva voglia di prendere un autobus per raggiungere gli altri all’ospedale. Il suo dannato orgoglio le aveva impedito però di ammettere che quei mostri di metallo la terrorizzavano, e ora che si trovava dentro uno di loro era troppo tardi. Era chiusa nello stomaco del nemico.

Decise che avrebbe preso la patente al più presto per porre fine a questo genere di sofferenze.

Il viaggio in autobus era stata solo la cornice di una giornata che non era andata esattamente secondo le sue aspettative.

Durante la mattina aveva provato a scervellarsi su come annunciare la lieta novella che riguardava lei e Conti ai loro amici, ma non le era venuto in mente niente. Inutile dire che quello scansafatiche del suo ragazzo (chiamarlo così richiedeva un certo sforzo) non aveva nemmeno provato a pensarci, liquidando il tutto con un :”improvviseremo”.

Inoltre i due ragazzi nel corso del doposcuola avevano cercato di ritagliarsi un minuto di tempo per stare soli, ma ogni tentativo era miseramente fallito grazie alle tragiche interruzioni dei loro ignari amici. Alla fine si erano rassegnati a lasciare tutto al caso, anche se Matteo si lagnava in continazione di non essere ancora riuscito a baciarla, e del fatto che il suo orgoglio maschile ne risentiva. Che troglodita. Anche se, a onor del vero, la cosa iniziava a seccare la stessa Irina.

 

“Terra! Beneamata terra!” pensò sollevata quando uscì da quella macchina infernale. L’unico lato positivo di un viaggio in autobus era che non era mai stata tanto felice di incontrare Giovanni Santani.

 

-Volti amici! Entrate, compari! Finalmente qualcuno che rischiari la mia giornata!- il malconcio Giovanni era più teatrale del solito quel giorno, a quanto pareva. Evidentemente fino a un attimo prima si stava annoiando a morte.

La signora Santani, che stava piegando una maglia del figlio,  borbottò infastidita –Che figlio ingrato! È così che ripaghi la compagnia della tua cara vecchia mamma?-

Il responsabile allargò le braccia in segno di protesta, atto che comportò un gemito di dolore.  –Oh, andiamo, mamma! Lo sai che sono il tuo figlio devoto, ma permettimi di desiderare una compagnia un po’ più varia.- Questa si limitò a sospirare e a riporre la maglietta in fondo al letto.

-Sei tutto solo? Credevo che Conti, Marco e Fran fossero già arrivati.- osservò perplessa Irina, afferrando un pezzo di pane dal vassoio sul tavolo e iniziando a sbocconcellarlo.

-Quello sarebbe il mio spuntino serale. Comunque Fran mi ha chiamato e mi ha detto che hanno perso l’autobus. Sarà colpa di Marco, è jellato.-

-Parla quello ficcato in un letto di ospedale.- intervenne pacatamente Luca.

La madre di Giovanni si stava preparando a uscire, carica di buste e sacchetti pieni di chissà cosa, probabilmente libri che sperava che il figlio leggesse nel periodo di convalescenza. Arrivata alla soglia esitò, poi si rivolse al ragazzo. –Tesoro, domani mattina tuo padre pensava di passare… per le nove, penso, più tardi non può perché ha il lavoro.-

-Lascia perdere, starò dormendo. Che vada pure a lavorare, non c’è problema.- la interruppe lui. La donna sospirò, lanciandogli un’occhiata stanca.  –Giovanni…-

-Mamma, digli che non si disturbi, non ho bisogno di chiacchierare con qualcuno, so già farlo benissimo da solo.-

-Su questo non avevo dubbi.- gli rispose squotendo la testa. –Ci vediamo domani, finisci di mangiare. Ragazzi, buona serata.-

-Aspetti, signora, le diamo una mano con le borse!-  Sara le venne incontro, dopo aver scambiato un’occhiata con Luca, e si portò dietro Irina, lasciando i due ragazzi soli nella stanza.

 

Giovanni si guardava intorno fischiettando un motivetto e ignorando bellamente la presenza dell’amico. Conosceva Luca, e sapeva che stava per fargli una ramanzina coi fiocchi, che lui non aveva minimamente voglia di ascoltare. Accidenti a Sara e Irina, che l’avevano abbandonato con lui!

-Gio, devi darci un taglio.- Visto?

Giovanni interruppe il fischiettio. –Come, ora non si può nemmeno più fischiettare?- Occhiata truce in risposta.

-Hai capito cosa intendo. Esattamente cosa pensi di ottenere andando contro a tuo padre, di grazia? Bene sicuramente non ti fa. Non sei geneticamente in grado di litigare con qualcuno, quindi perché ti sforzi tanto?-

Eccoci qui, Luca Grigori si era appena trasformato in un dettatore di sermoni.

Questo litigio con suo padre era cominciato già mesi prima, e nonostante in genere Giovanni fosse davvero incapace di mantenere un malumore, questa volta ci stava riuscendo con successo. Con l’ovvio risultato di starci male.

Il ragazzo somigliava poco a suo padre, a volte così serio e rigoroso. L’unica cosa che avevano in comune era il loro terribile senso dell’umorismo.

Arnaldo Santani faceva l’ingegnere, il lavoro, a parere del figlio, “più palloso dell’universo”. Inutile dire che il desiderio che Giovanni studiasse ingegneria era fortemente contrastato da quest’ultimo, che era fermamente deciso a iscriversi all’accademia di disegno. La storia più vecchia del mondo, insomma: il genitore vuole una cosa per il figlio, il figlio ne vuole un’altra. Che fosse banale o meno, la situazione era pesante lo stesso.

-Senti, decerebrato, non pensi che sarebbe il caso di parlarne, invece che trincerarti qui in ospedale?-

-Ho provato a parlarne! E non sono decerebrato! Il punto non è solo che non voglio diventare un noioso ingegnere, c’è anche il fatto che fare l’accademia e lasciar perdere l’università non è un’idea che gli va a genio.-

Luca rimase in silenzio per un po’, lasciando sbollire l’amico, poi scrollò le spalle e continuò il discorso. –Hai ancora un anno per fargli cambiare idea, no? Non è che deve fare subito i salti di gioia. Se sei veramente deciso a fare l’accademia…- -Certo che lo sono!- -…allora non credo che ti fermerà. Però devi piantarla di fare il cretino, o penserà che non fai sul serio. I genitori ragionano così.-

Giovanni gli lanciò un’occhiata incerta, poi sbuffò scontento. –Odio dovermi mostrare serio.-

-Lo so. Ma non puoi sembrare un idiota ventiquattr’ore su ventiquattro, sennò la gente pensa che lo sei davvero.-

-Non lo sono davvero?-

-No, spiacente. Ma so che t’impegni tanto.-

-Mi hai scoperto.- sospirò teatralmente Giovanni.

-Allora da oggi in poi sarai meno coglione?-

-Sì, sì.-

-Perfetto. Così anche la Nova la pianterà di stressarmi.-

-Martina è preoccupata?-

-Come tutte le ragazze. Mi ha chiesto di farti ragionare.- bofonchiò l’altro.

-Perché senza il suo intervento non mi avresti fatto la predica, vero?- domandò Giovanni con un sorriso scettico, mentre Luca cominciava a trovare seriamente interessante la fantasia delle tende della camera. Il ragazzo si limitò a non rispondere all’insinuazione. Era nella sua natura preoccuparsi per gli altri, ma era estremamente imbarazzante per lui darlo a vedere. Di questo Giovanni si era accorto, e cercava di non prenderlo in giro, anche se spesso la tentazione di chiamarlo Luca-Core-d’Oro era davvero forte.

 

Irina e Sara stavano aspettando all’entrata dell’ospedale i tre dispersi. Irina si chiese se ormai la chiacchierata esistenziale tra Luca e Gio stesse volgendo al termine.

-Penso proprio di sì. Luca non è di molte parole, avrà preferito chiudere in fretta la faccenda.- rispose Sara con un sorrisetto.

-E’ così chiacchierone anche quando siete soli? – domandò l’altra, sperando di non imbarazzare l’amica. Ma Sara ormai aveva fatto allenamento con le domande imbarazzanti di Matteo, e rispose con tutta tranquillità. –Diciamo che se la cava meglio a fatti che a parole.-

Irina ridacchiò. –Non si direbbe.- ammise, facendo ridere anche lei. –No, in effetti no.-

 

-Non mi era mai capitato di perdere un autobus e bucare con il successivo nello stesso giorno. Abbiamo creato un ingorgo pazzesco in pieno centro, è stato allucinante.- sospirò Marco raggiungendo le due ragazze.

-Giovanni ha già dato la colpa a te, dice che sei jellato.-

-Ha parlato quello che si è fatto investire.-

-Luca ha detto più o meno la stessa cosa.-

Fran, che sembrava estremamente sollevata di ritrovarsi in compagnia di Sara e Irina, si avviò verso l’entrata. –Non facciamolo aspettare troppo, allora, ho l’impressione che stia già dando di matto.-

Irina salutò Matteo dandogli un pugno sulla spalla. –E’ andata così male la serata?- domandò osservando la cera della sua migliore amica.

-No, a parte il viaggio in autobus. Siamo stati dei veri gentiluomini. Però ti devo dire una cosa al riguardo. Ciao anche a te, eh.- aggiunse massaggiandosi la spalla.

-Riguardo all’autobus?-

-No, riguardo a Fran. Dopo, comunque. Ti accompagno a casa.-

-Okay. Non è che hai pensato a come dire a questa banda di scalmanati la lieta novella?-

-Quale lieta novella?- Irina gli diede un altro pugno.

-Scherzavo. Quanto sei permalosa! Comunque no, non ci ho ancora pensato, in effetti.-

-Perfetto.- Irina fece una smorfia. Cominciava ad agitarsi. Non aveva idea di come gli altri avrebbero preso la cosa, visto che nessuno sembrava aver mai preso in considerazione l’idea che i due si piacessero, nemmeno Fran, che di solito aveva occhio per queste cose, e che in più la conosceva come le sue tasche.

-Sono sicuro che improvvisando ce la caveremo alla grande.-

 

Avete presente quei bei momenti in cui vi sentite addosso gli occhi di tutti e non avete idea di come proseguire il discorso che avete appena iniziato? Irina aveva solo pronunciato la frase :”Ehi, c’è una cosa che vi dovremmo dire” e si era già impallata. Parlare davanti a tutta la scuola sul palco del teatro era stato niente al confronto. Okay, stava esagerando, ma del resto non le stava nemmeno arrivando nessun aiuto.

Matteo, Mr. Improvvisando-ce-la-caveremo aveva per il momento sbolognato a lei tutta la fatica. Dopo avrebbero fatto i conti.

Fare i conti con Conti! Haha!

No, non era il momento di fare spirito.

Tutti i ragazzi del Doposcuola Punitivo la fissavano incuriositi. Tutti tranne l’inutile Matteo Conti, che era intento a giocherellare con il suo portachiavi.

-Quindi?- domandò Giovanni spazientito, dopo un po’ di borbottii inconcludenti della ragazza.

-…indovinate?- fece lei, nervosa.

-Avete litigato ancora?-

-Avete rubato di nuovo il portafogli a Gio?-

-Come sarebbe “di nuovo”? Mi avete fregato il portafogli?-

-E’ stato tanto tempo fa. E’ pieno di tessere interessanti. Come mai hai la carta di alta fedeltà dell’“Asilo dei Pony”? –

-Affari miei!-

-Avete stipulato un trattato di pace?-

-Ecco, più o meno. Bè, noi… Conti, dillo tu! Non eri bravo a improvvisare?-

-Aspettiamo un bambino.- intervenne il biondo ironicamente. Da come si erano ingigantite le cose sembrava proprio che stessero cercando di annunciare una cosa del genere. Mossa sbagliata la sua, però.

–COSA?!?- esclamarono tutti, infatti.

-CONTI!- Irina lanciò in testa a Matteo il suo astuccio, che aveva tenuto in mano fino a quel momento a mo’ di antistress.

-Non sono incinta!- sbottò ancora più imbarazzata. Mordicchiò nervosamente la matita che aveva in mano, rischiando di staccarla a morsi. –Ovviamente no! Ci siamo messi insieme! Io e Conti, ecco. Ma solo quello!- disse alla fine, consapevole che una dichiarazione secca, priva di una dovuta preparazione psicologica non avrebbe sortito nessun effetto sui suoi amici.

Il silenzio calò sulla stanza di ospedale, rotto solo da Matteo che diceva –Mi hai fatto male…- rivolto a Irina, mentre si massaggiava la testa.

 

-Non ho capito… è uno scherzo?- domandò a quel punto Giovanni.

Come pensava. Inculcare l’idea nei loro cervelli sarebbe stato davvero difficile.

-No che non è uno scherzo!-

-E’ una scommessa?-

-Nemmeno! Scusate, stavate per credere che fossi incinta e non credete a questo?- protestò offesa.

-Bè, quello poteva essere un errore dettato, che so, dall’alcol,  questo invece richiede che tu sia consenziente.-

-Grigori, sei un maledetto cinico.-

Matteo guardava il ragazzo scandalizzato. –Ehi! Che razza di opinione hai di me, tu?-

Luca scrollò le spalle, come suo solito. –Non vi scaldate tanto, volevo solo essere realista.-

Questo discorso aveva però almeno reinserito Matteo nella discussione. Chissà quale miracolo aveva aspettato per ritrovare la sua solita parlantina.

-Oh, dai, davvero non ci crede nessuno? Perché?-

-Perché litigate sempre.-

-Vi scannate a vicenda ogni giorno.-

-Non siete mai d’accordo su niente.-

-Hum… possono essere validi argomenti, in effetti.- ammise lui.

Irina si mise le mani nei capelli esasperata. Sapeva che sarebbe stato difficile, ma fino a quel punto…

Poi le venne un’idea. Un po’ estrema, forse, ma se non funzionava quella…

Attraversò il letto di Giovanni, scavalcò le gambe di Luca, aggirò la sedia di Fran e arrivò a quella di Matteo, che stava ancora parlando.

Lo afferrò per il colletto della maglia, rischiando di farlo cadere, si chinò su di lui e lo baciò.

 

Fu un breve sfioramento di labbra, piuttosto goffo e impacciato, a dir la verità, ma Irina riuscì nel suo intento. Sulla stanza per la seconda volta calò un silenzio di tomba.

Quando si staccarono guardò imbarazzata come non mai le facce sconvolte dei loro amici e bofonchiò –Convinti ora? Non fatemelo rifare, per favore, è già imbarazzante una volta sola.-

Matteo la guardava ancora con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, per niente di aiuto.

 

-Secondo me ancora non ci credono. Mi sembravano poco convinti. Onestamente, però, non saprei proprio cos’altro fare per convincerli.- osservò Irina mentre si allontanavano dal gruppetto di amici, che li osservava ancora poco convinto.

-Giovanni soprattutto mi sembrava parecchio perplesso, penso che dovrò riparlarne con lui.-

-Dopotutto non si può pretendere troppo dalla sua intelligenza.- concordò il ragazzo, che camminava accanto a lei.

Erano ormai quasi le nove di sera, ma il cielo era ancora chiaro, dato che erano i primi di giugno. Tutto preannunciava l’arrivo dell’estate e, come Matteo non faceva che ricordarsi, l’arrivo degli esami di maturità.

-Sicura che non vuoi prendere l’autobus?-

-Sicura. Mi basta una volta, e oggi è stato orrendo.-

-Solo perché non avevi il mio braccio da massacrare.-

-Proprio così. Comunque anche se adesso il tuo braccio c’è preferisco andare a piedi.-

-Anch’io, oggi basta autobus, non vorrei che il prossimo esplodesse, invece che limitarsi a bucare.-

Continuarono a camminare, rimanendo in silenzio. Irina era un po’ imbarazzata, non sapeva come comportarsi, anche se Matteo sembrava a suo agio. Poi le venne in mente il discorso che avevano iniziato prima di andare da Giovanni e si rivolse di nuovo al ragazzo. –Ehi, cosa mi dovevi dire di Fran?-

-Oh, giusto. E’ che ho notato che si comporta in modo più strano del solito quando è in compagnia del nostro buon vecchio Marco. E viceversa, naturalmente. Non so se te n’eri accorta.-

-In effetti no.-

-Certo che no, hai l’intuito di un bradipo.- Matteo si prese il suo meritato e giornaliero scappellotto.

-Ahio. Comunque li osservo da un po’…-

-Impiccione.-

-…li osservo da un po’ e credo che i nostri migliori amici abbiano omesso di confidarci qualcosa.-

-Probabilmente perché sei un pettegolo.-

-Zitta, non interrompere le mie elucubrazioni. Dicevo, li osservo da un po’ e c’è qualcosa che non va. Insomma, prima Fran ce l’aveva con lui perché pensava che dover adattare la sua coreografia al piano le avrebbe complicato la vita. Tipico comportamento lunatico di voi donne, se me lo concedi.- Un altro scappellotto dimostrò che non glielo concedeva. –Poi, quando il problema-piano è stato risolto andavano d’amore e d’accordo. Poi hanno ricominciato a comportarsi in modo strano, ma andavano d’accordo comunque. Infine dalla fine della recita quasi non si parlano più, o se lo fanno c’è comunque tensione. Me ne sono accorto oggi, quando eravamo noi tre soli. Ho parlato quasi tutto il tempo io, loro non hanno praticamente aperto bocca.-

-Questo non è poi così strano, Signor Parlantina Facile. Quindi secondo te c’è qualcosa tra Fran e Marco?- domandò dubbiosa, perché in effetti lei non si era accorta di niente. Era anche vero che in queste faccende non aveva affatto competenza. Nemmeno riguardo a Sara e Luca si era accorta di niente, nonostante le molteplici allusioni di Giovanni, finchè non era andata a sbattere il naso contro l’evidenza interrompendo i due un pomeriggio.

Matteo annuì alla sua domanda. –Qualcosa? Eccome. Io la chiamo tensione sessuale.-

-Scemo. Conoscendo Fran ci sarà anche qualcosa di più.-

-Già, anche conoscendo Marco. Sono sicuro che nasconde un’anima profondamente smielata. Anzi oserei dire che quello più intrippato in questa faccenda è lui.-

Irina alzò le spalle. –Mah, non so. Con tutte le paranoie che si fa normalmente Fran non escludo che anche lei sia parecchio “intrippata”, come dici tu.-

-Però è un po’ inquietante, sai, Conti?- aggiuunse dopo un attimo di silenzio.

-Che cosa?-

-Che tu abbia l’intuito femminile e io no.-

-Non è intuito femminile, è sagacia virile!-

-Ma certo, virile comare di paese. A proposito, sei stato molto cavalleresco, prima, affibiandomi tutta la fatica dell’annuncio.-

Matteo si grattò la nuca imbarazzato, consapevole di essere stato di poco aiuto, se non d’impaccio. –Forse non sono così bravo a improvvisare come credevo.- ammise –Però te la sei cavata bene, alla fine. Certo, sei ricorsa a metodi poco ortodossi, ma efficaci.- E le rivolse un ghigno che la fece arrossire non poco.

-Non sapevo come fare, a parole quelli là non si sarebbero mai convinti!- si giustificò estremamente imbarazzata.

Matteo ridacchiò, peggiorando la situazione della ragazza. –Hai ragione. Però non si può dire che manchi di sorprese, Rainieri.-

Irina non sapeva più da che parte guardare, finchè Matteo non la fermò in mezzo al marciapiede e la baciò come di deve.

 

 

 

 

*Angolo di Mary

Ehilà. Seriamente, c'era qualcuno che si ricordava ancora di questa storia, a parte me? ^^"
Se sì, allora chiedo scusa per il ritardo, davvero.

Ma, gente, mentre Marco e Matteo la devono ancora affrontare, per me la maturità è passata e la storia sta volgendo al termine, ormai. Direi che mancano tre o quattro capitoli, poi il Doposcuola Punitivo sarà archiviato. 

La cosa mi mette nostalgia, ma vabbè. 

Mi spiace che questo capitolo sia un po' corto, ma del resto non riuscivo a immaginarlo diverso, quindi alla fine ho deciso di non allungarlo.

La scena dell'annuncio era nella mia testa da un'eternità, l'ho modificata milioni di volte e alla fine eccola qua. E' stato un parto, ma ce l'abbiamo fatta.

Chiedo ancora scusa per i miei tempi da bradipo in letargo, e grazie a chi continua a seguire e sopportare lo stesso. :)


Mary


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