Viola

di Julietts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** La Sala Del Trono ***
Capitolo 3: *** Le Ragazze Non Portano I Pantaloni ***
Capitolo 4: *** Discorsi ***
Capitolo 5: *** Bugie ***
Capitolo 6: *** Punti di domanda e meccanismi imperfetti ***
Capitolo 7: *** Ferite che bruciano ***
Capitolo 8: *** Qualche mese dopo ***
Capitolo 9: *** La tomba tra gli alberi ***
Capitolo 10: *** La prima volta che vide quel viola ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Breve introduzione a una storia del tutto strana...frutto di una mente complicata, credo XD
invito i lettori a lasciarmi commenti, critiche e più generalmente...pareri su quanto letto
Vi ringrazio tutti
Baci, Julietts <3
 
 


 
 
La penna scriveva, solcava con la punta di metallo la superficie del foglio attraverso tratti pesanti e disordinati. La mano che la impugnava era sporca di sangue e di sudore. E di qualcos’altro, un liquido violaceo dall’odore acre. Le lettere che rimasero impresse nel foglio erano chiare e leggibili anche sotto tutto l’inchiostro che colava dalla punta rotta della penna, nonostante a tratti lettere e segni fossero sbavati o quasi cancellati.
“ Per non dimenticare”.
 

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Capitolo 2
*** La Sala Del Trono ***


La calma apparente di una sala del trono vuota era incredibilmente rilassante.
E Brandy lo sapeva.
Lì, sulla porta di quell’immensa sala che aveva popolato i suoi sogni da bambina, osservava l’immenso stemma della famiglia reale, una colomba con tre scettri tra le zampe, intrecciati da un lungo filo rosso. Voleva avvicinarsi, osservare più da vicino quell’opera da tre milioni di kont, capire i suoi segreti. Perché ne aveva, ne era certa. Da piccola, quando aveva si e no 8 anni, un giorno da quelle parti aveva incontrato la principessa Sophie, seconda figlia del re, che usciva dalla stanza per lei così misteriosa che ora osservava, travolta dai ricordi. Lei le aveva rivolto uno sguardo pieno di ammirazione, e la principessa, che allora aveva 16 anni, aveva sorriso con i suoi denti perfetti. Brandy aveva aperto la bocca per salutarla, ma la ragazza la aveva preceduta:
-Ehi, piccola- le aveva detto dolcemente. Si era avvicinata e le aveva accarezzato i capelli.
-Ciao- era stata solo capace di dire la bambina.
-Che fai da queste parti tutta sola?- chiese Sophie.
-Volevo vedere se la porta della sala del trono era aperta. Volevo dare solo un’occhiata. Non faccio nulla di male, promesso-
La ragazza l’aveva guardata un po’, a metà tra il divertito e lo stupito. Poi aveva detto piano:
-Non mi affezionerei a quella sala, fossi in te, piccola. E ora sto per dirti una cosa che in questo momento probabilmente non capirai, ma penso che da grande ti sarà utile… Troppi segreti in quella stanza, troppe verità nascoste, troppe menzogne. L’oro brilla solo tra quei tendaggi.-
Poi le aveva rivolto un altro sorriso e si era allontanata, immersa nei suoi pensieri.
E Brandy non aveva mai dimenticato quell’incontro. Lo ricordava, lo lasciava lì, nella sua fresca mente di adolescente, finché, come le aveva detto Sophie, non gli fosse servito. Aveva aspettato 10 anni, ma ancora le sue parole erano un mistero per lei. Non importava. Non ora, almeno.
Decise di avvicinarsi ai troni. Erano cinque, tutti finemente decorati e ricoperti da un velluto rosso e morbido. Come nelle favole. La ragazza sentiva i suoi passi incerti sul pavimento, e il suono delle sue ballerine con il tacchetto rendeva meno silenziosa quella sala imponente. Arrivò di fianco ai due troni più grandi, quelli che spettavano al re e alla regina. Sospirò nel toccare la loro superficie, in velluto rosso, morbida, piacevole al tatto, così perfetta. Perfetta come la famiglia reale. Perfetta come quella stanza.
Lei non era perfetta. Aveva un sacco di difetti, caratteriali e fisici e non si avvicinava neppure all’aspetto di ragazza aggraziata e docile che dovrebbe avere una reale.
Infatti lei non lo era.
–Non si nasce mai a caso- credeva lei. E aveva ragione, probabilmente.
Portò di nuovo lo sguardo sullo stemma dei reali. Per un momento le parve che la colomba guardasse lei. Fantasie. Brandy sfiorò le ali di marmo di quell’uccello candido intrappolato nel marmo durante il suo volo. Gli sorrise, seguendo con il dito le sue linee perfette.
-Portami via da qui- le sussurrò senza pensarci.
 

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Capitolo 3
*** Le Ragazze Non Portano I Pantaloni ***


    -Le ragazze non portano i pantaloni. È una cosa assurda. Non normale. Perché mai una ragazza sana di mente dovrebbe portare i pantaloni?  Una fanciulla deve avere l’aspetto di un angelo, non di un uomo. Questo è quello che penso. E ho ragione. Vero?-
-Non so, mio caro amico. Che c’è di male se una ragazza ha voglia di stare più comoda? Quelle belle vesti che sono costrette a portare sembrano davvero ingombranti.-
-Ma è una femmina, e che cavolo!-
Lauren pensò che era meglio non discutere oltre della faccenda. Sapeva che il suo amico Brad era di una testardaggine da far perdere la pazienza a un santo. Non sarebbe servito a niente parlarne ancora. Anche se lui non ci trovava nulla di male nel fatto che una ragazza volesse portare i pantaloni.
Ma questo non lo ripeté più.
I due amici camminavano, tranquilli, nella via principale della città.
Il vento soffiava forte da nord. Era freddo. Terribilmente freddo; mentre il cielo che lo ospitava aveva assunto da qualche ora un colore lattiginoso e neutro, come coperto da una coltre talmente spessa di nubi color crema da non permettere più di riconoscere quel bell’azzurro che lo decorava quella mattina.
La strada era piena di gente che stava tornando a casa. Si prevedeva infatti, da lì a poco, una bufera di neve, forse la più intensa della stagione, e nessuno voleva trovarsi fuori casa in quel momento.
Anche i due amici stavano tornando ognuno nelle proprie abitazioni.
A un certo punto, la pioggia cominciò a cadere, prima a goccioline, poi sempre più fitta.
-Porca miseria, Lauren, qui sta piovendo!!! Fra un po’ comincerà a scendere la neve, e noi saremo spacciati-
-Manca così tanto prima di arrivare a casa?-
-Almeno mezz’ora, forse anche di più-
-E che facciamo, Brad? Dove ci ripariamo? E poi, io devo avvertire la mia famiglia, starà molto in pensiero se non mi vede tornare-
-Già, anche io dovrei chiamare mia madre. Facciamo una cosa: qui vicino c’è una locanda, e probabilmente c’è anche un telefono. Noi ci andiamo, ci compriamo una bevanda calda, telefoniamo a casa e aspettiamo che la bufera sia finita. Poi ce ne torniamo a casa-
-Buona idea, Brad! Ora muoviamoci però, cominciò a congelarmi stando così fermo in mezzo alla pioggia-
Così, i due amici imboccarono una stradina stretta, perpendicolare a quella che stavano percorrendo. Aumentarono un po’ la velocità, arrivando quasi a correre. A un certo punto, l’insegna della Locanda “Hot & Cold Whise”  apparì tra la nebbia che stava lentamente scendendo. Si stagliava lì, nel cielo, come un miraggio tra la pioggia sempre più fitta e l’aria misteriosa di quella antica stradina.
I due ragazzi entrarono piano nel locale, facendo attenzione a non scivolare sul pavimento liscio e freddo. La signora Whise, proprietaria del locale insieme al marito, li vide e li riconobbe subito.
-Brad, Lauren, venite qui! Santo cielo, ma non avete sentito le previsioni del tempo? C’è l’allarme di una bufera di neve, forse la più violenta della stagione! Come mai non siete a casa?-
I due si avvicinarono al bancone.
Lauren cominciò a spiegare della loro visita al palazzo reale per incontrare il principe Steven, senza entrare troppo nei particolari, e poi di come si fossero seduti un po’ nel parco della piazza centrale, perdendo parecchio tempo e infine di come si erano resi conto che non ce l’avrebbero mai fatta a tornare a casa in tempo. Brad si guardava in giro: la locanda era piena. Evidentemente, non erano gli unici ad aver pensato di rifugiarsi lì. Mentre i suoi occhi percorrevano il locale, notò una ragazza seduta al bancone, intenta a sorseggiare una tazza di liquido fumante color miele. Lì per lì, vide soltanto una chioma ondulata di capelli color rame, poi notò un particolare che lo fece irritare. La ragazza portava i pantaloni.
    -Lauren, Lauren!!! Guarda lì!- e indicò la fanciulla.
-Oh, oh…. La nostra amica, suppongo-
-L’unica femmina della città che porta i pantaloni-
-Smettila con questa storia, Brad. Fatti i fatti tuoi.-
Il ragazzo distolse lo sguardo dalla chioma lunga ramata, e disse alla signora Whise:
-Mi scusi, ha un telefono?-
-Sì caro, ne hai bisogno?-
-Ehmm… sì, grazie.-
-Guarda, ora lo sta usando un signore. Quando ha finito c’è questa ragazza- e piegò la testa verso la fanciulla seduta al bancone (Brad sbuffò di irritazione)- e poi potete usarlo voi.-
-Grazie mille- si intromise Lauren –quanto le doviamo?-
-Oh, ragazzi, per voi è gratis. Vi conosco come se fossi vostra zia, la vostra vecchia zia effettivamente.-
I tre risero, e l’aria parve riscaldarsi un po’. Dopo qualche minuto, l’uomo uscì da una stanza  lì accanto e disse alla ragazza:
- Prego, ora il telefono è tutto tuo.-
- Grazie-
La ragazza si alzò e si voltò verso l’uomo… solo allora si accorse della presenza di Brad e Lauren, il primo con un aria di sfida negli occhi, il secondo imbarazzato.
-Buonasera- sbuffò la ragazza
-Buonasera Brandy- sussurrò il ragazzo.
-Brad, se sei venuto qui a rompere, vattene pure eh-
-Oh, ma sentitela! Questa non è casa tua, bella di papà-
-E neanche casa tua, cocco di mamma!-
-È casa mia, effettivamente!- disse la signora Whise, irritata.
-Ha ragione, signora, ma vede… certe persone pensano di possedere tutto il regno solo perché hanno una madre che è la consigliera della famiglia reale- disse piano la ragazza, quasi sibilando.
-Già- intervenne Brad –e altre pensano di essere le principessine dell’universo solo perché il loro paparino è il consigliere dei reali-.
-Calmatevi ora! Brad, sciallati un po’ per favore… e tu, Brandy… beh, non avevi bisogno del telefono?-
Lauren era sempre stato uno che sapeva tenere in mano l’autorità. Come in quel caso.
Brad e Brandy ammutolirono.
La ragazza si avvicinò all’uomo, che le porgeva ancora il telefono, prese in mano l’apparecchio e compose un numero. Poi si chiuse nella stanza lì accanto e fece molta attenzione a sbattere bene la porta.
-Che ragazza impertinente- sbuffò nuovamente Brad –e pensare che mia madre me l’aveva descritta come una “fanciulla dolce e amabile”-
I due si conoscevano praticamente da quando erano nati. O almeno così gli raccontava sua madre, anche se era da parecchio tempo che non si vedevano. I loro genitori (la madre di Brad e i genitori di Brandy) erano i tre Sommi Consiglieri della famiglia reale. Un lavoro prestigiosissimo. Ed erano molto amici, per giunta. La madre ogni tanto tornava a casa e diceva:
-Il caro Peter oggi ha portato qualche foto di sua figlia. Mamma mia, è bella, bella, bella, bella, bella, bella, bella, bella, bellissima, guarda.-
Poi un giorno, qualche settimana prima, si erano rivisti dopo forse 10 o 11 anni. E Brad pensò che sua madre su una cosa aveva ragione: Brandy era bella. Davvero. Ma solo su quello, perché a lui non sembrava né dolce né amabile. Anzi, aveva un carattere a parer suo insopportabile. E portava i pantaloni. Oh, rabbrividiva al solo pensiero. I pantaloni. Una ragazza che porta i pantaloni. Assurdo.
Mentre era assorto in questi pensieri, la porta della stanza si aprì e Brandy finalmente uscì.   
Lauren prese di slancio il telefono che la ragazza gli porgeva e prese per il polso Brad.
-Vieni, avvertiamo i nostri familiari- gli disse.
-Tu entra, io ti raggiungo tra un attimo-
Così, Lauren entrò nella stanzetta, socchiudendo la porta, come per voler ricordare a Brad che era aperta. Ma lui prima doveva fare una cosa importante.
- Emm…Brandy…hai telefonato a casa tua?-
La ragazza lo fissò negli occhi.
- E che ti frega?-
-Potresti degnarmi di una risposta educata, una volta tanto?-
-Non sopporto i ficcanaso-
-E io gli impertinenti. Comunque volevo saperlo perché mia madre ha detto che voleva fare un salto dai tuoi nel pomeriggio. Per bere un tè o qualcosa del genere. Sai per caso se è ancora lì?-
Lo sguardo di Brandy cambiò. Per un attimo il ragazzo scorse nei suoi occhi verdi un barlume di dolcezza, o forse gentilezza.
-Sì. Lo è-
-Beh, grazie per l’informazione. Così evito di chiamare a casa e parlare con la segreteria telefonica.-
-Di niente-
-Sei sincera? O mi stai prendendo in giro come il tuo solito?-
-Sono sincera-
-Strano. Per quel che so di te, tu non sei la tipica persona gentile-
I suoi occhi tornarono opachi, stretti come fessure, irritati o pieni di una sensazione che Brad non sapeva cogliere.
-Tu non sai niente di me-
E con questo Brandy si voltò, fiera, a testa alta, e tornò a sorseggiare il suo bicchiere di quel caldo liquido color miele.
 
 

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Capitolo 4
*** Discorsi ***


I fiocchi di neve cadevano fitti.
Bianchi e puri come sempre.
Brandy era immersa nella sua camomilla calda. Per un attimo, si lasciò cullare dal dolce profumo della bevanda, dal suo calore, dal suo sapore delicato, dal suo colore invitante.
Sentì piano piano distendersi tutti i muscoli, uno per uno. Quelli delle braccia, delle gambe, dei piedi. Una sensazione di tranquillità la invadeva. Completamente. Sentiva ovattati tutti i rumori esterni. La sua mente si rilassava.
Quella era una sua grande capacità. Sapeva estraniarsi completamente, sapeva lasciarsi avvolgere da qualunque cosa. E sapeva sentirsi bene con poco, anche solo con una camomilla normalissima.
Comunque, una nota di fastidio era rimasta nel suo animo. Quel Brad aveva un carattere che lei non sopportava. Forse per la sua impertinenza. Forse per la testardaggine. Forse per la sfrontatezza.
“Effettivamente” pensò Brandy “per tutte le sfaccettature del suo carattere che sono uguali alle mie.”
Scacciò dalla sua mente questo pensiero. Non aveva voglia di comprenderlo, di capirlo un po’ di più. Sarebbe stato come ammettere che non era così orribile come pensava lei. “Mi piace pensare che sia orribile” si disse stupita. Poi sorseggiò nuovamente la camomilla, finché non si rese conto che era finita. Si alzò e portò il bicchiere davanti alla signora Whise, alla cassa. Lì, seduti sul bancone, c’erano Brad e il suo amico…come si chiamava? Ah, sì, Lauren.
-Grazie per la camomilla, signora- disse con la voce più gentile che aveva.
-Di niente, cara. Mi hai già anche pagato. Vuoi qualcos altro?-
-No, no, grazie. Sto tornando a casa.-
-Ma sei impazzita?-schizzò Brad, saltando giù dal tavolo.-Con questa neve!-
-Non ti ho chiesto il tuo parere-sibilò la ragazza.
-Ma ha ragione, cara… fa molto freddo, la visibilità è completamente azzerata dalla neve, le strade sono ghiacciate…il vento soffia fortissimo…è troppo pericoloso. Perché non rimani finchè la tempesta non sarà finita?-
- Non vorrei disturbare. E poi, si dice che terminerà solo a notte inoltrata.-
-Davvero?- spalancò gli occhi Lauren.
-Davvero?-urlò Brad.
-Davvero?-impallidì la signora Whise.
-Davvero!!!-si spazientì Brandy –non ascoltate mai i notiziari, voi?-
-Questa non l’avevo sentita….-si giustificò Lauren.
-A maggior ragione, dunque, tu…- e la signora indicò la ragazza –e anche voi due…- e puntò l’indice verso i due ragazzi –dovreste rimanere qui anche stanotte. Vi terrò tre camere.-
-Grazie- dissero subito insieme i due giovani.
La ragazza per un attimo ci riflettè su, poi si decise e accettò.
Le stanze della locanda erano molto grandi e spaziose, ben arieggiate e riscaldate. Le pareti erano di un giallo caldo, simile all’ocra, e i pavimenti in parquet. C’era una grossa finestra per stanza, con delle pesanti tende blu che nascondevano completamente la visuale sul mondo esterno. Il letto era a baldacchino (come tutti i letti delle locande per bene) e le lenzuola profumavano di pulito.
C’era una piccola stufetta, vicino alla porta,e lì accanto un bagno minuscolo. Non c’erano tavoli, né sedie, solo un piccolo comodino ai piedi del letto.
“Per una notte può andar bene” si accontentò Brandy, quando la signora Whise chiuse la porta lasciandola sola.
Rimase un attimo a osservare la stanza, poi si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto, fissando il soffitto giallo come le pareti.
In quel momento pensò alla sua famiglia, a sua madre, a suo padre, e istintivamente alla madre di Brad. E quindi, inesorabilmente, anche a lui.
“Il ragazzo più fastidioso del mondo” pensò.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta.
-Chi è?-
-Sono Brad-
“Parli del diavolo e spuntano le corna” sorrise lei.
-Se sei venuto per qualche ragione seria, entra. Se no, vattene pure.-
-Ho voglia di parlare con te, come motivo va bene?-
-Per oggi passi, dai-
La ragazza si tirò su, e si sedette a gambe incrociate sul letto, proprio nello stesso momento in cui la porta si apriva ed entrava Brad.
I loro occhi per un istante si incontrarono, e Brandy notò con piacere che il giovane non era nervoso.
-Non mi sembri in collera per la nevicata- gli disse appena chiuse la porta.
-Neanche tu- gli rispose con un sorriso un po’ sghembo.
-Sto urlando dentro- scherzò la ragazza.
Brad la raggiunse e si sedette anche lui sul letto.
-Allora… quale nobile ragione ti porta da me?- chiese lei ironica.
-Bah… non riuscivo a dormire e avevo voglia di parlare con qualcuno, ma Lauren è già da un pezzo nel mondo dei sogni…-
-Ah…quindi io sono la seconda scelta?- disse offesa la ragazza
-No. Ma visto che di solito mi mandi a quel paese, quando ti saluto…-
Risero insieme.
-Beh, di che cosa vuoi chiacchierare?-
-Non so Brandy… a proposito, mi chiedevo da un po’ di tempo…è il tuo vero nome Brandy?-
-No-
-E qual è allora?-
-Non te lo dico-
-Perché?-
-Mi prendi in giro-
-No-
-Sì-
-Giuro-
-Non mi fido-
-Non rido-
-Se senti qual è il mio vero nome, ridi eccome-
-No-
-Sì-
-No-
-Sì-
-Perché vuoi sempre dannatamente avere ragione tu?-
-Perché ho sempre dannatamente ragione io-
-Perché sei così intrattabile?-
-Non si colpisce l’orgoglio femminile, o si resta feriti, capito carino?-
-Oh… ferito? Io? Seh…….-
-Stai attento, se no fra un po’ ti ferisco sul serio. E prometto che ti faccio male.-
Risero ancora.
-Ok, dai, ho capito, cambiamo argomento. Lo sai che dicono che questa nevicata non è  opera della natura?- disse dopo un po’ Brad.
-No, non ho sentito queste voci. E poi non credo a queste cose.-
-Lo immaginavo. Però quello che mi hanno raccontato è davvero interessante. Io ci sono rimasto.-
Brandy sbuffò.
- È così facile impressionarti?-
-No. Se  vuoi, ti racconto la storia.-
-Spara- acconsentì la ragazza. Si mise comoda, spostò il cuscino dalla schiena e se lo mise sotto alla testa. Brad invece incrociò le gambe e curvò la schiena. Poi assunse un modo di fare misterioso e disse:
-Ok. Allora, intanto, ci dobbiamo spostare di qualche secolo. Questa storia risale al tempo in cui era re Frederick II, discendente della stirpe dei Vaslins, lo sai, no? L’attuale famiglia reale, quella che regna tutt’oggi sui popoli del regno. Dunque, lui era un amante della magia, o quella che comunemente viene definita così. Aveva maestri che gli insegnavano a usarla, a capirla, eccetera eccetera.-
-Io non credo nella magia- intervenne Brandy.
-Io non alla magia propriamente detta. Condivido la Tesi di Filone. Magia è l’energia che muove il mondo, non la vedi, però c’è. E non la tocchi, o meglio puoi. Quando riesci a essere così vicino alla natura, al mondo, alle cose che riesci a vederla, a toccarla, beh, allora sai usare la magia.-
-Che belle parole. Filone era uno che ci sapeva fare.-
-Già. Comunque, dicevamo….Frederick era molto affascinato dalle arti magiche. Sul letto di morte, il suo ultimo desiderio fu quello di essere immortale e di diventare un mago. Ma prima che questo desiderio si potesse esaudire… la storia la sai, no? Quella secondo cui, ogni re ha un ultimo desiderio prima di morire e  quello si esaudirà, secondo la benedizione che dura da secoli, no?
Beh, prima che si avverasse, Frederick morì, e quindi il desiderio venne esaudito sulla sua anima, che è ancora qui, in questo mondo, e scatena tempeste, bufere e terremoti per sfogare la sua ira. Non è riuscito a vivere a lungo nel corpo, vivrà a lungo nell’anima. Ma non si è mai pienamente felici. Non si va paradiso, lo si vede soltanto, così dicono.-
-Wow, ho capito. Che roba!-
-Già, lo so.-
I due ragazzi si guardarono un po’, poi entrambi abbassarono lo sguardo. Quando finalmente Brandy si decise a rialzarlo, guardò fuori dalla finestra ed esclamò:
-Ehi, ha smesso di nevicare!!!!! Io me ne torno a casa mia!-
Anche Brad parve essersi svegliato, e disse scioccato:
-Ma è praticamente notte!!!-
-E allora?-
-Ma sei una ragazza!!!-
-E allora?- ripeté offesa – non sono mica scema. Ho diciotto anni, e sono adulta e vaccinata.-
-Bah…. Vaccinata non lo so…. Adulta così e così…..-
-Senti, smettila. Ciao ciao. Non vado a svegliare la signora Whise, domani diglielo tu che me ne sono andata. Saluti!!!!!-
-Ehi, aspetta!!!-
-E che cosa? Me la caverò.-
E con questo Brandy sparì sbattendo dietro di sé la porta e nella stanza scese un silenzio innaturale molto pesante. Il silenzio di chi è rimasto solo. Il silenzio a cui Brad era abituato fin da piccolo.
Il suo silenzio.
 

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Capitolo 5
*** Bugie ***


Camminare nella notte.
Quel freddo che gela il sangue.
Il silenzio che non tranquillizza.
Il senso di angoscia per non poter essere certi di quel che si vede, perché il buio confonde, nasconde, e sorride glorioso della sua opera.
Brandy non aveva paura della notte.
Esile, agile, scattante, era nascosta dalla nebbia che era scesa dopo la nevicata.
I suoi passi erano leggeri e veloci, e le sue ballerine ticchettavano appena sulla strada fatta a ciottoli.
Svoltò a destra dopo pochi metri, intenzionata a tornare a casa. Poi si bloccò. Tornò sui suoi passi, e riprese a percorrere la strada principale.
Non sapeva qual era la sua meta. Non aveva idea del perché si era fermata. Seguiva solo il suo istinto, che le diceva di non pensare e camminare, senza voltarsi mai.
Passo dopo passo, si trovò alla fine della strada. Davanti a lei si ergeva maestoso il palazzo reale, accerchiato dalle mura possenti. Lei non aveva voglia di suonare per farsi aprire, ma sentiva che in quella notte il suo posto era quello. Così, con molta calma, pigiò il piccolo pulsante di servizio e una voce maschile giovane e annoiata le disse:
-Nome e cognome prego-
-Ciao sono Brandy-
-Brandy? E cosa ti porta qui, cara?-
-Niente di che… posso entrare?-
-Ma certo, certo, entra-
La porta si aprì silenziosamente. Vicino alla torretta di controllo c’era un giovane funzionario del re, di cui Brandy non ricordava il nome, ma che conosceva da molto tempo.
-Come stanno i tuoi?- le chiese il ragazzo.
-Bene, bene, grazie. Buona guardia!- e Brandy così si congedò e cominciò a correre verso l’entrata vera e propria del palazzo.
Qui trovò la porta aperta, ovviamente: ringraziò con un cenno il ragazzo dietro di sé e entrò.
L’atrio era silenzioso. Molto silenzioso. L’unica luce proveniva da un corridoio, nell’ala ovest, dove delle guardie sorvegliavano le stanze da letto dei reali.
Lei invece cominciò a salire la rampa di scale a destra, facendo attenzione a non fare alcun rumore.
Giunta in cima, svoltò ancora a destra e percorse un lungo corridoio fino ad arrivare davanti a una grande porta. La porta della sala del trono. Era già la seconda volta che la osservava, quel giorno.
Proseguì sempre dritto e vide una porticina piccola, alta più o meno quanto lei.
Non l’aveva mai notata. Ed era strano, visto che praticamente conosceva quel palazzo quanto casa sua. Poi capì il perché di questo vuoto di memoria: di solito era coperta da uno spesso tendaggio rosso di velluto. Non resistette alla tentazione. Entrò.
Si trovò davanti a una stanza media, molto scura. Alle pareti, c’erano dei quadri che rappresentavano i reali: il primo era di re Astolfo I Real, primo sovrano del regno.
Poi c’era il ritratto di Astolfo II Real, subito dopo quello di Astolfo III Real, l’ultimo erede al trono della stirpe dei Real. Infatti lui non aveva figli maschi, quindi la corona passò alla regina Ariana Real e al marito, Roger Grimaldi. Poi, in successione, c’erano i sei Grimaldi che portarono il regno al suo massimo splendore: Roger Grimaldi II, Pesar Grimaldi, Juny I, Roger II, Peter I e Filippo Grimaldi, l’ultimo re della famiglia, assassinato insieme alla moglie e ai figli. Accanto a lui, nel ritratto c’erano anche la regina Elizabeth e quelli che sarebbero stati gli eredi al trono: Amelia Brenda Grimaldi (la maggiore) e Antuain I (il minore). Tutti e quattro uccisi. La storia la conoscevano tutti: i quattro reali più amati della storia, trucidati in diversi modi: la regina strozzata, il figlio maschio decapitato, il re ucciso con un colpo al cuore. Della figlia non si sapeva niente, il suo corpo era stato portato via e non fu mai più ritrovato. Poi c’erano i ritratti dei Vaslins, la famiglia che regnò subito dopo e che anche in quegli anni era sul trono. C’erano: Frederick I, Frederick II, Frederick III, George I, George II, George III e l’attuale re, George Pietro Josè.
Brandy fissò uno a uno i ritratti, poi, in segno di rispetto, si inginocchiò, abbassando la testa davanti ai padroni passati e presenti del mondo in cui viveva.
 
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A Sophie piaceva pettinarsi i capelli.
Anche se aveva 26 anni, anche se era già in età da marito, anche se era la principessa del regno.
Era notte fonda e lei, con la sua spazzola di legno finemente decorata, si pettinava i lunghi capelli biondi perfettamente lisci.
Guardava la sua immagine nello specchio, e il suo sguardo turchese riflesso le restituiva l’immagine di una ragazza, ormai quasi adulta, che aveva paura. Perché lei ne aveva.
Da molti anni ormai conosceva i segreti della sua famiglia. Erano dei punti interrogativi nella storia, ma per lei erano soltanto verità scomode. Che venivano nascoste come reati.
Il problema è che erano reati. Non si potevano perdonare. Un peccato tirava l’altro, e la rete di errori si tesseva da sola.
La cosa più sbagliata, però, è che nessuno ne era a conoscenza. Loro, agli occhi del popolo, erano una buona casata regnante, senza disonori. E invece ne avevano tanti. Solo lei e suo fratello Steven (il maggiore) ne erano al corrente. Il più piccolo, Carlo, rimaneva nel suo brodo, anche a 20 anni, e pensava sul serio che fossero buoni. Non lo erano. Per niente.
E tutti questi segreti le pesavano sul cuore, e bruciavano come una ferita ancora aperta. Lei non era come la sua famiglia. Lei non era come suo padre. Lei era una ragazza, una donna, coraggiosa e onesta. Soprattutto, forte. Perché lei, sì lei aveva la forza di cambiare le cose. Sapeva che ci sarebbe riuscita. Ma come fare, da cosa cominciare?
La sua mano scorreva ora sui suoi capelli pettinati e ordinati. Il suo cervello correva veloce.
Come avrebbe potuto ribaltare la storia?
Una storia già decisa da persone più potenti di lei, per giunta?
Improvvisamente, la risposta le apparve chiara. Anzi chiarissima.
Doveva raccontare la sua storia a qualcuno. A quel qualcuno che era direttamente interessato a essa, a colei a cui spettava i diritto di essere chiamata principessa. E in un futuro, regina.
A quella ragazza che aveva il diritto di conoscere, e di conoscersi un po’ meglio.
Sophie aprì il secondo cassetto della sua scrivana e prese qualche foglio di carta da lettera e una busta. Poi intinse la penna nell’inchiostro e scrisse sul retro della busta:
Messaggio privato urgente
 Consegnare subito
 Per Brandy figlia di Peter”.
Questa sarebbe stata la sua ultima bugia. Niente più menzogne. Non ne valeva la pena.
Guardò un attimo fuori dalla finestra.
Albeggiava.
 

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Capitolo 6
*** Punti di domanda e meccanismi imperfetti ***


Il sole era già alto nel cielo.
Brandy stava facendo colazione, seduta nella cucina di casa sua.
Era molto stanca, anzi, assonnata.
Era rincasata molto tardi, dopo la visita al castello reale.
Si era infilata nel letto ancora vestita e con le scarpe. Era entrata dalla finestra, per non far svegliare sua madre e suo padre. E si era svegliata che erano le undici. I suoi erano già andati a lavoro. Le avevano lasciato un biglietto, sul tavolo della cucina dove ora lei stava bevendo un succo di frutta.
Ciao amore
Ieri eravamo un po’ preoccupati. Per fortuna ti sei ricordata di chiamarci dalla locanda, se no penso che avremmo azionato la polizia reale per venirti a cercare. Stamattina abbiamo visto che stavi dormendo nel tuo letto e non ti abbiamo voluto svegliare. Poi ci racconterai come sei arrivata a casa e soprattutto quando. Ci vediamo stasera. Mi raccomando, lava la tazza della colazione e vai all’ufficio postale a ritirare la posta (ti toccava l’altro ieri, e te ne sei dimenticata).
Mamma e papà”
Brandy sorrise. I suoi genitori erano fantastici.
E non si sarebbero dovuti preoccupare tanto per la tazza della colazione: non aveva intenzione di mandar giù niente quella mattina. Non aveva fame né voglia di mangiare.
Però di fare una passeggiata aveva voglia. Così, infilò le sue ballerine, uscì di casa e chiuse la porta a chiave. Poi imboccò una stradina e dopo qualche minuto arrivò alla piazza centrale di Balbe, la sua città. C’era molto fermento: essendo sabato, c’era anche il mercato e le bancarelle erano circondate da uno sciame di gente che si spintonava e chiacchierava  animatamente. Lei cercò di fare uno slalom tra i vari gruppi di persone, e riuscì ad arrivare dall’altro lato della piazza, dove c’erano gli uffici pubblici. Entrò nel palazzo della Posta e ritirò le lettere per la sua famiglia, scambiando due parole con uno dei ragazzi agli sportelli.
Poi, tornò a casa, gettò le lettere sul tavolo e si sedette su una sedia. Non sapeva che fare, allora cominciò a smistarle in vari gruppi: le bollette, le lettere per sua madre, le lettere per suo padre e le lettere per lei, che di solito erano cartoline da suoi amici lontani.
Mentre si dedicava a questo passatempo, vide tra le buste una che aveva lo stemma della famiglia reale. Pensò fosse una busta paga per i suoi genitori, però per curiosità girò la busta e vide con sorpresa che era indirizzata a lei, e in più sembrava un messaggio urgente. La aprì con molta curiosità e la lesse.
Brandy,
ti ricordi di quando eri piccola, e i tuoi genitori il sabato ti portavano spesso a palazzo e ti facevano sedere sulla  poltrone dei Sommi Consiglieri e tu giocavi a fare la principessa?
Ti ricordi di quella volta in cui stavi osservando la sala del trono e io ero arrivata e avevamo chiacchierato un po’?
Ti ricordi della semplicità con cui tu imparavi le cose, anche se ti facevano un po’ dispiacere, e di come eri pronta a sorridere al primo segno di positività delle situazioni?
Ti ricordi di tutto questo?
Spero di sì.
 Prova a guardare  fuori dalla finestra in una notte nuvolosa. Tu non vedi nulla, solo un cielo scuro e buio, ma ugualmente bellissimo, anzi stupendo. Però, non ti rendi conto che se solo ci fosse un leggero e insignificante vento, tutte quelle nuvole scomparirebbero e rimarrebbe un cielo blu, trapunto di magnifiche stelle luminose. Ma tu vivi benissimo uguale, anche se il cielo rimanesse scuro. Sei felice lo stesso. Ma vuoi mettere, una notte nuvolosa in confronto alla moltitudine di stelle che illuminano l’infinito? È la stessa cosa? Io non credo. E, se solo tu vorrai, se solo tu avrai la voglia di cambiare, di metterti in discussione…beh, io sarei pronta a essere quell’insignificante vento che, senza merito alcuno, porta la felicità.
Ti prego, pensaci. Vivi una vita bellissima ora, lo so, ma abbi la forza di immaginare la luce delle stelle e non solo il dispiacere di veder volare via le nuvole che ti sembravano così belle…
Se volessi scoprire qualcosa in più su di te, sul tuo passato, sul tuo presente, puoi venire a trovarmi oggi pomeriggio, sabato 15 gennaio, a palazzo reale, alle ore 15:30. Per immaginare insieme il tuo futuro. Che, sono sicura, sarà trapunto di stelle come te, come il cielo che hai nel cuore. Ti prego anche di non dire a nessuno della nostra corrispondenza, né dei nostri incontri (se accetterai). Per favore.
Ti saluto umilmente,
                                       la principessa Sophie Vaslins.”
Brandy rilesse due volte la lettera.
Non ci poteva credere.
A cosa alludeva la principessa?
Cosa la spingeva a rivolgerle una lettera così?
E soprattutto, perché?
La rilesse ancora una volta.
Spostò lo sguardo sull’orologio.
Erano le due e mezza.
Velocemente, si lavò e si cambiò.
Poi, circa mezz’oretta dopo, uscì di casa chiudendo la porta e lasciandosi dietro una scia di profumo dolce e delicato, che lei di solito riservava alle occasioni importanti.
Le strade erano molto affollate. Una volta giunta nella piazza principale, vide che c’erano molte persone intente a disfare le bancarelle. Sorrise alla vista di un’imbranata signora anziana che si stava praticamente sdraiando sulla sua tenda per farla chiudere bene. La ragazza però non si distrasse. Seguì la via principale e, appena la zona occupata dal mercato finì, si ritrovò nella quiete più assoluta. Il silenzio la avvolgeva completamente come un guanto. Il sole mandava raggi color arancia matura che si riflettevano sui suoi capelli ramati facendoli sembrare praticamente rosso fuoco. La sua ombra giocava con quelle degli alberi creando immagini suggestive sulla stradina di ciottoli. Lei avanzava sicura di sé, e quel calore proveniente dal sole, che nel cielo pareva una palla di fuoco accesa, le trasmetteva una certa serenità. Utilizzando la sua grande qualità di estraniarsi dal mondo esterno, Brandy immerse i suoi occhi nella luce, nel  sole, anche se bruciava un po’, e si sentì invadere dal suo colorito arancione. È come se la luce fosse sopra la sua pelle, fosse la sua pelle, e improvvisamente tutto le sembrò più facile. Pian piano abbassò gli occhi e si accorse di essersi fermata in mezzo alla strada e di aver perso un po’ di tempo. Rischiava di arrivare in ritardo. Così cominciò a correre, con il vento che le sfiorava i capelli, e in breve tempo arrivò davanti alle mura del castello reale. Sulla torre, vide sempre il segretario che aveva incontrato la notte prima.
-Ancora qui?- la prese in giro lui dopo aver aperto la porta.
-Sì….e tu? Fai due giorni di seguito la guardia?-
-Così pare….-
-Dai! Ma è sfruttamento!!!- rise la ragazza.
-No…se ti danno mille kont alla giornata-
-Ah però… sei strapagato per chiacchierare con la prima ragazza che passa per strada…-
-Sì.. ma non farlo sapere al re-
Risero insieme. Poi lui la lasciò passare e lei entrò nel castello.
Improvvisamente le venne in mente una cosa: la principessa non le aveva detto esattamente dove l’avrebbe aspettata. Cominciò a riflettere su dove andare, escludendo le camere reali (c’erano troppe guardie a cui dare spiegazioni), lo studio (lì c’erano di certo i suoi genitori e la madre di Brad e lei doveva evitarli tutti e tre) e il giardino (troppo lontano).
E quindi, dove andare? Il suo intuito avanzò una proposta. Lei la escludeva fortemente ma, visto che era la sua unica idea per ora soltanto plausibile…la seguì. Salì la rampa di scale a destra e, arrivata in cima, svoltò ancora a destra e percorse un lungo corridoio fino ad arrivare davanti a una grande, enorme porta. La porta della sala del trono.
Tornò indietro di dieci anni, ripensò alle sue fantasticherie da bambina, alla sua voglia di sedersi sui troni, ai suoi giochi,…
-Dèjà vu?- disse una voce dolcissima alle sue spalle. Brandy si voltò di scatto e la prima cosa che notò furono gli occhi. Azzurri. Perfetti. Poi i capelli. Biondi. Lisci. Squadrò un po’ la ragazza, ormai quasi adulta, davanti a lei : la principessa Sophie era probabilmente la ragazza più bella che lei avesse mai visto.
-Allora, Brandy...sei venuta. Grazie al cielo.-
La ragazza sorrise impacciata.
-Vieni. Entriamo.-
Brandy, come vittima di un incantesimo, con docilità entrò nella sala e la percorse, osservando meravigliata la bellissima ragazza che aveva davanti.
Il suo unico pensiero era: -Wow-. Fu felice che Sophie non sapesse leggere nella mente.
Davvero molto felice.
Arrivarono davanti ai troni. E lì, dietro, lo stemma della famiglia reale, maestoso, più bello che mai.
-Tu ti fidi di me?- chiese a un certo punto la donna.
-Sì. Sei la figlia del re del mio regno, ed io ho fiducia nei miei sovrani-rispose prontamente la ragazza.
-Forse non dovresti-
-E perché?-
-Non ora, Brandy. Io vorrei sapere se tu ti fidi di me come amica. Se ti fidi di me come persona.-
-Io…..credo di sì.-
-Non ne sei sicura però, vero Brandy?-
-Già-
-Ma è normale… come posso pretendere che tu ti fida di me se nemmeno mi conosci bene? Però io ti ho molto a cuore. Vorrei che diventassimo vere amiche. Vorrei che diventassimo quasi sorelle.-
-Davvero?- fu l’unica parola che riuscì a pronunciare Brandy in quel momento. Deglutì un po’ di volte e prese coraggio. Poi chiese: -Ed è per questo che mi hai fatta venire qui, vuoi che diventiamo amiche?-
- Sì. Puoi riassumere tutto così-
Ci fu silenzio. Per quasi dieci minuti. Ma non era un silenzio imbarazzato, o fuori luogo.
Era il silenzio di due persone che pensavano i propri pensieri, non sapendo che la linea era la stessa, l’argomento pure, ma i punti di vista no: da un lato c’era chi si domandava molte cose, dall’altro chi sperava di farcela a dire tutto quello che avrebbe dovuto.
E allora….in quella stanza, tutto questo cosa c’entrava? C’entrava, c’entrava.
Era un cerchio che si chiudeva, un’alchimia dimostrata, una forza superiore.
Era la certezza e l’insicurezza, era il pensiero umano che si riversava sulle soglie dell’infinito, cercando di scorgere la luce della giustizia.
Era la verità che cercava di venire a galla. Ce l’avrebbe fatta?
 
 
 
************************************************
 
 
 
Una donna sospirava.
Guardava il cielo azzurro, troppo azzurro per piacerle. Forse non era più abituata a guardare in faccia il cielo, forse aveva voluto disabituarsene.
Fumava una sigaretta pesante, inspirava la nicotina con furore, quasi volesse provare a assaporarla tutta, quasi come se potesse darle una risposta. Il vento le scompigliò per un attimo i capelli biondo platino, sottili e lucenti, forse un po’ sfibrati. La sua bocca rossa, che pareva infuocata sotto il peso del rossetto laccato, era contratta in una smorfia di irritazione.
Poteva, anzi, doveva trovare una soluzione ai suoi problemi.
Non poteva andare diversamente da come aveva progettato. I suoi occhi azzurri, quasi bianchi, si ridussero a fessure quando lei comprese che sarebbe stato più difficile del previsto riuscire.
Ma ce l’avrebbe fatta.
C’era ancora tempo.
 
 

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Capitolo 7
*** Ferite che bruciano ***


Il telefono di casa squillava con insistenza.
-Brandy, rispondi tu per favore? Io sto lavando i piatti!!!-
urlò Susan.
La ragazza chiuse gli occhi per un attimo. Era serenamente sdraiata sul suo letto, ascoltava musica e si rilassava…perché avrebbe dovuto anche rispondere al telefono? Non poteva farlo sua madre?
‘Ma sta lavando i piatti’ osservò una vocina nella sua testa.
Così, si decise ad alzarsi, chiedendosi perché sua madre avesse costretto suo padre a comprare una lavastoviglie, se tanto le cose le lavava a mano.
A piedi scalzi, raggiunse il telefono in corridoio, alzò la cornetta e pronunciò il solito, annoiato:
-Pronto?-
-Brandy?-
-Kelly, ciao!!!- Kelly Jonhsonn era un’amica di famiglia. Aveva l’età di Brandy, e la ragazza la conosceva fin dalle scuole elementari, quando erano in classe insieme. Avevano poi terminato gli studi in classi diverse, ma erano rimaste in contatto. A dire la verità, Brandy era da un po’ che non la sentiva.
-Allora, che fai di bello?-
-Mi rilasso e rispondo al telefono, tu?-
-Io sto passeggiando nei dintorni di casa tua. Che ne diresti di fare un giro?-
Brandy scrutò un attimo il cielo, pensierosa. Questo era nuvoloso, scuro, sembrava promettere temporali, ma un ombrello poteva di certo bastarle. E poi, il problema non era il tempo. Si era incontrata con Sophie quella mattina, e i suoi genitori non sapevano che non era la prima volta. A dire la verità, lei aveva progettato che loro non scoprissero mai dei suoi incontri con la principessa, ma sfortunatamente, quel mattino, il padre si era sentito male, aveva scoperto di aver preso l’influenza ed era rimasto a casa. Sua madre, per non lasciarlo solo, si era presa anche lei una piccola vacanza.
Brandy era uscita verso le nove, e ovviamente aveva dovuto rispondere a tutte le domande del caso: con chi esci? Cosa fai? Dove vai? Quando torni? Perché? E lei aveva cercato di rispondere il più sinceramente possibile, omettendo semplicemente alcuni particolari, invece di mentire totalmente. Odiava raccontare bugie ai suoi genitori. Così, aveva detto che avrebbe incontrato la principessa Sophie, e che avrebbero chiacchierato un po’, ma sarebbe tornata prima di pranzo. Parzialmente vero, anzi completamente.
Brandy però aveva omesso, per esempio, i contenuti dei loro discorsi. Con la principessa Sophie parlava di molto, di tutto quello che le veniva in mente: della sua  vita, dei suoi incontri, dei suoi pensieri…la donna, invece, le raccontava una storia bellissima, la storia dei Grimaldi, la famiglia reale uccisa totalmente. Era molto affascinante scoprire gli aneddoti, le passioni, i segreti di questa famiglia così famosa. Il problema che non poteva dire questo ai suoi, così preferiva tacere, invece di raccontare stupide bugie. Il problema era: per quel giorno di uscite non ne aveva fatte abbastanza? E se i suoi genitori non volevano? Avrebbero potuto inventare qualche scusa e farle un discorso sul fatto che uno dei pochi giorni in cui erano a casa, lei usciva tutto il tempo. ‘Ok’ disse sempre la solita vocina nella sua testa ‘ma tanto, uscire o stare in casa con le cuffie attaccate alle orecchie, chiusa in camera, cambia molto?’
Scuotendosi un attimo, Brandy si accorse che Kelly era ancora in attesa di una risposta.
-Un attimo, Kelly, lo chiedo ai miei-
La ragazza dall’altro capo della cornetta fece una risatina fredda:
-Oh, sì, fai pure-
-Mamma!!!- gridò Brandy, cercando di farsi sentire dalla madre, probabilmente ancora intenta a lavare i piatti.
-Sì, tesoro?- la voce di Susan le perforò i timpani. Sapeva urlare benissimo, se voleva.
-Posso uscire con Kelly?-
Un momento di silenzio, poi un sì.
-Vengo, Kelly. Ci troviamo alla piazza del mercato?-
-Sì, va benone. Ti aspetto qui-
Brandy chiuse la conversazione telefonica e filò in bagno per prepararsi. Venti minuti dopo, era pronta. Più o meno.
-Mamy, esco!- e si chiuse la porta dietro di sé con un tonfo sordo. Davanti alla porta di casa sua, guardò il cielo. Era scuro, buio, freddo. Rabbrividì e prese l’ombrello sull’uscio, infilandoselo nella borsa grande, nera e spaziosa.
Imboccò la solita stradina stretta e tortuosa e poco dopo, si ritrovò nella piazza centrale di Balbe, anche chiamata la piazza del mercato, proprio perché lì, il sabato, c’era il mercato più grande del regno.
Vide subito Kelly, in piedi vicino all’Ufficio della Posta, che guardava un po’ in tutte le direzioni. Brandy poté notare che dall’ultima volta che l’aveva vista era diventata più alta, snella, e i suoi capelli ricci e scuri più lunghi e cespugliosi.
Era fasciata da uno stretto abitino lungo fin sotto il ginocchio, blu scuro a righe bianche sottili. Portava una borsetta tracolla, blu scura anch’essa, piena di ciondoli che brillavano lievemente, come piccole punte di diamante.
Brandy si avvicinò, e da dietro l’abbracciò.
-Ehy- si lamentò scherzosamente Kelly, che rispose all’abbraccio –Così mi spettini tutta!-
-Non hai bisogno del mio aiuto per spettinarti, sai farlo benissimo da sola- rise l’altra, e ben presto le due ragazze si trovarono in una pozzanghera di lacrime, tanto ridevano.
-Beh, dai allora, come va?- cominciò Kelly, imboccando una strada grande e imponente.
-Tutto bene, non mi lamento granché, ma… tu sì che sei in forma!-
-Oh, sciocchezze…sono solo cresciuta un po’. Piuttosto sei tu che mi sembri sempre più bella, ma anche strana-
-Strana?-
-Sì, Brandy. Insomma…perché ti ostini a metterti i pantaloni?-
-No, anche tu con questa storia!!!- sbuffò la ragazza, irritata.
-Non ti arrabbiare, ti prego. Ma illuminami, piuttosto: perché ti metti i pantaloni, invece di vestiti che potrebbero far risaltare molto di più la tua splendida figura?-
-Grazie per il complimento, e beh, la risposta è semplice.
Uno, perché non sopporto che ancora ci siano pregiudizi su cose così: una ragazza può andare in giro anche in costume, per quello che può interessare agli altri. Non ci sono leggi che mi proibiscono di mettere i pantaloni, e quindi io lo faccio. Due, sono comodi. È vero, il tipico abito è più femminile, ma a me non mi importa un accidente di essere femminile. Tre, perché mi va-
-Ok, posso capire. Ma guardati in torno…sei l’unica!-
-Per ora, forse. Comunque, non penso di essere proprio l’unica: ci sarà sicuramente un’altra ragazza nella città che indossa i pantaloni-
-Ne sei certa? Guardati intorno!-
Brandy lanciò un’occhiata in giro: il viale era pieno di gente, la maggior parte donne, di tutte le età e tutte diverse. Ma una cosa in comune ce l’avevano: erano tutte vestite con dei bei abiti. Lunghi o corti che siano. Colorati o scuri, bianchi o dorati.
-Ok, mi arrendo, sono l’unica, ma non mi importa di esserlo-
-Lo so, lo so. Chiudiamo l’argomento e parliamo di altro. Sai chi ho visto in giro?-
-Chi?-
-Brad e Lauren-
-I due idioti mondiali-
-Saranno anche idioti, ma sono proprio belli-
-Mah, non mi sembrano granché-
-Non ti sembrano granché? Sono tra i ragazzi più belli della città, e a te non sembrano granché!!!???-
-Già, vedo che hai afferrato il concetto. Soprattutto quel Brad, non so, mi sembra uno un po’ superficiale, che se la tira, che sa di essere bello e si vanta per questo-
-Quindi ammetti anche tu che è bello?- disse maliziosa Kelly.
-Dico che non è un granché, ma sì, se devo essere sincera non è brutto, ma la bellezza conta poi così tanto?-
Le due ragazze camminavano, e intanto si inoltravano in un altro vialetto, più stretto e antico. Il cielo era sempre più scuro, quasi nero: pareva notte.
-Mmm, fammici pensare un nanosecondo: sì. La bellezza conta eccome, tantissimo e chi ti dice di no, sta mentendo-
-Che politica orribile. Basta essere belli per piacere, dunque?-
-Benvenuta nel mondo reale, Brandy-
La durezza di quelle parole colpì la ragazza profondamente.
Era vero quello che diceva Kelly? Era così severo il mondo con i ‘brutti’?
-Non mi sembra giusto-
-La vita non è giusta-
Improvvisamente, Brandy fu colpita da un’idea: perché quel ruvido nella voce della sua amica? Perché così tanta amarezza?
Rabbrividì ancora, e lei sperò con tutto il cuore che fosse per il freddo, e non per una specie di presentimento non molto positivo. ‘Ho freddo’ si convinse ‘Ho su solo un paio di jeans e una camicia e ho freddo’.
-Cos’è successo, Kelly- si sforzò di mantenere la voce stabile.
-Niente- ma la risposta era stata data troppo in fretta per essere vera.
-Non mi dire niente. Cosa c’è che non va?- ora c’era vera preoccupazione nella sua voce dolce.
-Sono brutta- disse Kelly, come fosse una verità scontata, ovvia, ma che bruciava da morire.
-Non è vero-
-Mi considerano brutta, però. Non ho un ragazzo, ho diciotto anni e non interesso a nessuno, bella roba-
-E io, allora?-
-Tu, Brandy cara, hai frotte di ragazzi ai tuoi piedi, e non te ne accorgi nemmeno. Sei fortunata, ma sei troppo occupata nei tuoi pensieri puri e profondi per accorgertene. Sei una stupida-
La ragazza non si offese per questo. Capì subito che l’amica stava male, e ce l’aveva con tutti, ma soprattutto, ce l’aveva con se stessa.
-Tu non hai problemi, Brandy. Tu non hai un briciolo di preoccupazione seria. Sempre a prendere le difese del mondo, sempre a interessarti di tutto, a compatire tutto, secondo me invece non tieni a niente. La maschera dietro cui ti nascondi non fa altro che celare cosa sei veramente: una ragazzina immatura, svogliata, che non ha un briciolo di preoccupazione, sempre felice e sorridente, senza però capire un bel niente della vita. Complimenti, continua così-
Brandy l’abbracciò, cercando di consolarla, ma dentro era irritata. Non era vero. Lei di preoccupazioni ne aveva, tante, tantissime, e i superficiali erano gli altri che non se ne accorgevano. Perché lei non fingeva di essere nessuno, era solo se stessa, in un mare di guai e con un sacco di domande in testa. Qualcosa nella sua vita stava cambiando, lo sentiva, ma nessun altro pareva accorgersene.
-Ora fammi un favore: vattene. Vattene e cerca di non incontrarmi più. Continua a vivere nel tuo mondo delle fate, Brandy, non mi mancherai. Tanto, forse, dal tuo mondo fantastico non sei uscita nemmeno una volta, ed ero io a sognare che un giorno avresti aperto davvero gli occhi. Così non è stato, e io non ho intenzione di aspettarti più. Tanto, alla fine, sei tu quella che vince sempre. E lo sai. Per favore, vattene ora-
La ragazza si alzò, con orgoglio, e in pochi secondi fu dall’altra parte della strada, dopo un minuto era già impossibile vederla.
Kelly si asciugò le lacrime, e strinse i denti all’idea dell’ultima immagine che avrebbe ricordato della sua ex amica, quella chioma color rame lunga e leggermente mossa che si allontanava, incurante della sua eleganza e della sua bellezza.
-Ti odio, Brandy. Ti odio perché vorrei essere come te-
 
 
************************************************
 
Il cielo non accennava a schiarirsi. Brandy camminava, senza una vera meta, si muoveva velocemente, e cercava di zittire tutti i suoi pensieri. Perdere un’amica non era bello.
Ma perdere un’amica per stupida invidia era orribile.
-Ma che vada al diavolo- pensò la ragazza, con la voce che infastidita sarebbe stato un eufemismo.
Si fermò poi di botto e guardò il cielo. Il cielo così scuro e nuvoloso, un cielo che sembrava irritato come lei. Immerse il suo sguardo tra le nuvole, e per un secondo si estraniò completamente dal mondo esterno, grazie alla sua fantastica capacità che le era sempre utile. Si sentì invadere dalla malinconia dei colori freddi, da quel gelo che le raffreddava le ossa, i pensieri, i muscoli, i riflessi, le azioni.
Scostò lo sguardo con la stessa rapidità con cui l’aveva posato. Non poteva tranquillizzarsi così facilmente. Non era giusto. Kelly non esisteva più nella sua vita, ma almeno voleva pensarci un po’, solo un altro po’, per poi dimenticarla per sempre.
Anche se in realtà non si dimentica mai veramente. Come non si ricorda mai veramente. È difficile scordarsi delle persone, è difficile conoscerle davvero.
Il mondo vive in quel mezzo, a metà tra l’indifferenza e il sapere, tra la conoscenza e la stupidità, tra tutte quelle caratteristiche umane che non sono proprio opposti, ma che sono facce della stessa moneta. Nessun uomo è completamente cattivo. Come nessun uomo- o donna, si maledisse mentalmente Brandy per star pensando il tipico discordo al maschile- era totalmente buono. Tutti erano una miscela di virtù e difetti, e potevano essere descritti con aggettivi positivi e negativi. Solo che quelli negativi facevano male.
La ragazza riportò alla mente le parole che le aveva rivoltò la ex amica. Stupida, falsa, egoista…parole come queste le frullavano nel cervello a velocità supersonica. ‘Basta’ si disse, finalmente. ‘Ora basta’. Si incamminò verso casa, sparendo nella nebbia che lentamente stava calando sulla città di Balbe, stringendo gli occhi a fessure e scuotendo la testa, lentamente, come a voler scacciare i suoi pensieri dalla sua stessa testa. Ma non ci sarebbe riuscita molto facilmente, perché avrebbe potuto dimenticare con la mente, ma mai col cuore, che sarebbe rimasto forse per sempre legato a quell’inspiegabile amicizia infranta, e che come in ogni causa persa, tentava disperatamente di trovare una soluzione per curare le proprie ferite.
 
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Era pomeriggio, quasi sera.
Sophie Vaslins era intenta a scrivere una lettera al fratello, Steven. Lui era appena partito per un viaggio di controllo nelle leghe dell’esercito est, non lo vedeva forse solo da 24 ore ma già ne sentiva la mancanza. Interruppe un momento il suo lavoro, in quanto Josh, uno dei numerosi servitori personali del padre, era venuta a chiamarla, dicendole, testualmente:
-Signorina, Vostra Grazia, Principessa, Sua Altezza Reale, il suo signor padre vuole vederla-
Sophie sorrise, ricordando le innumerevoli volte in cui aveva esplicitamente chiesto al personale di non darle del lei. La faceva sentire estremamente vecchia e lontana dal suo popolo.
Comunque, questa volta senza obbiettare nulla, si alzò dalla sua scrivania e seguì il domestico, che lo portò nell’ufficio del padre. Passò attraverso i corridoi e si fermò un instante a guardare fuori dalle immense finestre: il cielo era nuvoloso, scuro, e una leggera nebbia avvolgeva le guglie del castello. Sospirando, finì di percorrere il corridoio e aprì un immenso portone di legno di noce, con sopra inciso il simbolo della famiglia reale.
La ragazza entrò e andò a dare un lieve bacio sulla guancia al padre, che la fece accomodare in una poltrona di velluto blu accanto alla sua.
-Sophie, dobbiamo parlare-
-Ok. Parliamo-
-Ti ricordi di Georgia, la contessa di Romanyv?-
-Ehm, dovrei?-
L’uomo rise un attimo:-Beh, tecnicamente sì. Comunque, si sposa tra una settimana-
La piega che prese quel discorso non le piacque per niente.
-Ah, allora, complimenti…auguri e figli maschi. Vuoi che vada al matrimonio? Per me non c’è problema-
-No, al matrimonio ci andrà Carlo per tutti. Non era quello di cui dovevamo parlare-
-E allora di cosa dobbiamo parlare?-
-Di te-
‘Oddio’ pensò Sophie.
-Sai, amore, tu hai ventisei anni, non sei più una ragazzina. Ti devi sposare-
-Lo so. Prima o poi mi sposerò-
-Certo, certo. Ma sarebbe preferibile che tu lo facessi ora. Sai, c’è il figlio di un conte della regione che ha solo due anni più di te, è bello, decentemente intelligente e molto interessato ad avere al suo fianco una graziosa principessa. Potrebbe essere la soluzione giusta per te, Sophie…-
-No-
-Scusa?-
-No, non è la soluzione giusta per me. È la soluzione giusta per te-
-Non fare così. Sei una principessa e hai dei doveri. Basta fare la Bella Addormentata. Svegliati. Mi dispiace Sophie, ma non hai più l’età per giocare. Tu lo sposerai tra un anno esatto-
-Non ci penso proprio-
-Sophie…non fare così. Per favore-
-No, papà. Ora ascoltami tu. Io non mi sposerò se non sarò innamorata. Chiaro?-
-Non va sempre come si spera, nella vita-
-Lo so, ma non voglio passare il resto dei miei giorni accanto a un uomo che non amo-
-Mi dispiace, ma non hai molta scelta. Devi farlo per il tuo popolo-
Sophie emise un piccolo singhiozzo. Incastrata.
-Papà, ti prego…-
-No, Sophie, ora basta giocare. Lo conoscerai tra sette o otto mesi, e dopo ancora qualche tempo vi sposerete nella cappella di famiglia. Vedrai, sarai stupenda in abito da sposa-
-Lo immagino- disse la ragazza, ora improvvisamente seria, distaccata, glaciale.
-Beh, ora è meglio che tu vada. Una bella dormita prima di cena non ha mai fatto male, no?-
-Non cenerò con voi stasera-
Detto questo la principessa si alzò, e si eresse in tutta la sua statura, regale, austera, nobile.
-Ti prego, Sophie, non essere arrabbiata con me. È necessario, lo sai- supplicò il re.
-Lo so. Buonasera- e senza aggiungere una parola, una frase, un saluto, Sophie Vaslins si allontanò, socchiuse la porta di legno e ripercorse i corridoi di casa sua da sola, in silenzio, con la testa alta.
-Pensavo che avrei pianto- si disse, sussurrando impercettibilmente. E in effetti le lacrime le colmavano gli occhi, ma lei non ne fece cadere nemmeno una. Tornò nella sua stanza e con fare deciso si mise uno scialle sulle spalle, raccolse i capelli in un nodo elegante dietro la testa, che fermò con un pezzo di legno finemente intagliato, e sempre con quel passo elegante uscì dal castello e cominciò a percorrere le vie della sua città. Balbe era immersa nella nebbia. Il cielo era scuro. Ma Sophie non aveva più paura. Aveva smesso di avere paura.
Camminava, e vide a un certo punto una chioma ramata che si allontanava dalla via principale. Nella sua vita non aveva mai visto dei capelli così belli, quindi non fece fatica a riconoscere la ragazza a cui appartenevano.
-Brandy!!!- urlò. Nulla.
-Brandy!!!-gridò ancor più forte dopo aver aspettato qualche secondo.
La ragazza si voltò, e la principessa si accorse che i suoi bellissimi occhi verdi erano lucidi. Anche a quella distanza, poté riconoscere l’ombra di un triste sorriso passarle sul volto.
La raggiunse, la abbracciò, poi disse piano: -Nessuna delle due ha avuto una buona giornata, vero?-
-Vero- rispose Brandy, per ora incapace di dire altro.
-Allora, cosa è successo?-
-Ho….ecco, ho…perso un’amica, diciamo. A te?- balbettò la ragazza.
-Ho perso la libertà-
-Cosa?-
-Ti è tornata la capacità di parola, eh!- scherzò Sophie, ma il sorriso che fece non raggiunse il cuore.
-O mio Dio, non dirmi che…- Brandy osava solo immaginare cosa potesse aver causato quella infelicità negli occhi della principessa, che era per lei amica, sorella, consigliera e mentore.
-Sì. Tra un annetto, mese più mese meno, sarò sposata-
-Mi dispiace da morire-
-Beh, sì anche a me-
-Ma tu almeno lo conosci? Ci hai mai parlato?-
-No, ma tra sette o otto mesi non potrò più dire la stessa cosa-
-Mi dispiace-
-Lo so-
-Sophie?-
-Sì?-
-Perché sei qui?-
Finchè la ragazza non lo aveva chiesto, la principessa non lo sapeva. Ma improvvisamente aveva capito il senso di quell’incontro apparentemente casuale.
-Vieni, Brandy, sediamoci su quella panchina. È arrivato il momento di dirti tutta la verità-
 

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Capitolo 8
*** Qualche mese dopo ***


Qualche mese dopo.
 
“Il tempo passa.
Passa per tutto. Per tutti. Inesorabilmente, passa anche per me. Io ti ringrazio molto, Sophie, perché mi hai aperto gli occhi. Ora so chi sono. A cosa vado incontro. Me l’hai fatto capire con dolcezza, con gentilezza, ma la verità graffia. Fa molto male. Sono scappata di casa, lo ammetto. Avevo paura di leggere negli occhi dei miei falsi genitori la preoccupazione, la paura. Io a loro voglio molto bene. So che non mi hanno mentito così, giusto per, avevano un motivo, volevano proteggermi dalla mia morte sicura. Loro erano coscienti che prima o poi il momento di dirci tutta la verità sarebbe arrivato. Forse, inconsciamente, lo sapevo anch’io.
Ma questo, ora, non mi importa più. Perché, vedi, ora ho capito chi sono davvero: Amelia Brenda Grimaldi, l’unica erede rimasta in vita di quella famiglia reale che portò il regno al suo massimo splendore. Non so cosa fare. Non ho voglia di fare un colpo di stato, né quindi di rubare il potere a tuo padre. Anche se poi i suoi antenati furono complici di chi uccise la mia famiglia. Ma, davvero, non mi importerebbe nulla se non ci fosse un piccolo, insignificante particolare: io devo salire sul trono.
Non ti posso dire il motivo, davvero non posso…. Il fatto è che…ho fatto un sogno. Ho scoperto cosa mi succederà. Cosa mi deve succedere. Qual è il mio destino. Potresti pensare che sono stupidaggini. Lo so. Lo penserei anch’io, se non mi fosse capitato quello che mi è capitato. Ti ringrazio ancora con tutto il cuore per avermi aiutata, rincuorata, per avermi fatto comprendere la realtà. La mia realtà.
Ti voglio bene, Sophie.
Un bacio,
                                       Brandy”.
La principessa rilesse la lettera una decina di volte.
Poi, quasi reagendo a un istinto, prese il suo pettine finemente intagliato e cominciò a pettinarsi i lunghi capelli lisci e biondi. Le ciocche le scivolavano tra le dita. La sua testa viaggiava veloce, aveva solamente paura in quel momento. Paura che la ragazza più buona, disinteressata e bella del mondo si mettesse nei guai.
Il suo respiro si fece più ansioso quando aprì un’altra lettera dal fratello Steven, che si trovava nelle regioni a est del regno, per controllare le legioni del suo esercito che proteggevano il confine.
“Ciao Sophie,
ti ho scritto una lettera per darti, mio rammarico, brutte notizie. I miei arcieri sono appena tornati da un’escursione nel vicino regno di Goeshe e purtroppo c’è qualcosa di sospetto al di là di quel regno. Il loro esercito centrale, tornato anch’esso proprio ieri dalle escursioni bimensili, hanno avvistato una informe macchia nera che si avvicina lentamente al confine del loro regno. Sono i soldati di Karmeshe, o così loro pensano. Allora io mi sono affrettato e ho mandato quindici dei miei soldati in vedetta e rinforzi se necessario. Gli ho detto di andare incontro a quella informe massa nera di uomini e chiedere cosa volevano. Il re di Goeshe ha aggiunto altri quindici soldati e sono partiti ieri alle quattro del mattino. Oggi, circa un’ora fa, è arrivato un soldato, coperto di sangue, che ci ha riferito che i soldato sono stati uccisi tutti, meno che lui, dall’armata enorme di Karmeshe. Io mi sono spaventato molto. Gli ho chiesto se aveva un idea di quanti potessero essere i suoi soldati. Lui non era sicuro, ma ha stimato che potessero essere trecento o quattrocento milioni. Io l’ho rassicurato, e l’ho rimandato a casa dalla sua famiglia. Ma io sono seriamente preoccupato. Ho avvertito papà. Lui ha avvertito mamma. Lei è scoppiata a piangere. Sophie, ci sarà una guerra. Enorme. Spaventosa. Non so se ti ricordi l’ultima volta che Karmeshe è sceso in  campo in una guerra: è stata la fine dei Grimaldi. E non so se ti ricordi del nostro segretissimo particolare: noi, i nostri antenati, furono complici. Ma questa volta non lo saremo, Sophie. Ti do la mia parola: non lo saremo. Ma moriremo tutti? Non lo so.
Cercherò di tornare a casa per il 15 aprile, cioè per il compleanno di mamma.
Ora siamo presi tutti nella speranza di trovare un compromesso con quell’enorme esercito. Che poi è il popolo vero e proprio.
Ti saluto, sorella mia, e sappi che ti voglio molto bene.
Un bacio,
                                                      Steven Vaslins”
 
Sophie chiuse gli occhi e provò a tranquillizzarsi. Cercò la luna, nel cielo, o qualsiasi altra luce che potesse darle un minimo conforto. Ma quella era una notte senza stelle.
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** La tomba tra gli alberi ***


Viaggiare da sola non le aveva mai fatto paura. Stava bene con se stessa, non soffriva di solitudine. Camminava nel bosco coprendosi gli occhi leggermente per il fastidio. Il sole stava nascendo proprio in quel momento. Le chiome degli alberi filtravano la luce arancione che illuminava il cielo, forse sereno, forse nuvoloso. Brandy non lo sapeva. Era da ore che camminava in quella scura foresta. Stava perdendo le forze e con esse un po’ di determinazione. Ma non sarebbe tornata sui suoi passi. Lei sapeva che era quello il suo destino, doveva solo creare le condizioni ideali perché si compisse nel modo giusto.  Si faceva strada tra i rami storti, le radici sopra il terreno e le foglie cadute. Cominciava a sentirsi aria di primavera. Così, la ragazza si inoltrò in quella zona del bosco in cui da anni, da secoli probabilmente, non andava più nessuno. Il terreno cominciò a diventare, se possibile, ancora più accidentato. Rimpianse di essere uscita con le sue ballerine. Ma neanche le migliori scarpe da trekking del mondo le avrebbero reso facile percorrere quel sentiero. Riuscì comunque ad arrivare a quelle cinque radure che cercava. Erano tutte adiacenti, e tra loro perpendicolari. Si diresse con sicurezza verso quella centrale, dove, tra i fiori, le foglie cadute, qualche cumulo di neve e quell’intenso odore di rugiada vide una tomba blu. Quel blu le ricordò il mare in tempesta. O il cielo senza stelle. Lesse l’incisione scritta con caratteri semplici ed eleganti ai piedi della tomba:  Alexander Filone. Lei sapeva chi era Filone. Fu uno dei più importanti alchimisti e scienziati nella storia del regno. C’era chi diceva che fosse addirittura un mago e che riuscisse a predire il futuro. Lei nella magia non ci credeva più di tanto. Però la frase chiave della cosiddetta Tesi di Filone la sapeva anche lei : “Magia è l’energia che muove il mondo, non la vedi, però c’è. E non la tocchi, o meglio puoi. Quando riesci a essere così vicino alla natura, al mondo, alle cose che riesci a vederla, a toccarla, beh, allora sai usare la magia”. In realtà poi il testo andava avanti con parole e parole sul senso di quel mondo, su quell’energia che ‘metteva a posto le cose quando Dio non se ne accorgeva in tempo’, e molto altro. Il tutto finiva così: “Io non mi arrabbio, né rimprovero chi non crede nella magia, piuttosto lo biasimo. Il poverino in questione è così cieco, così sordo, così insensibile che non capta quell’energia…ma che colpa ne ha lui? Io ho scritto questa Tesi per aprire gli occhi a tutti quelli che credono nella forza “incancellabile” della scrittura, ma chi crede, chi è destinato a credere, crederà. È un po’ come vivere nel Purgatorio all’infinito: sei contento di non essere all’inferno, ma allo stesso tempo non riuscirai mai a vedere lo splendore del paradiso. La sua luce. Che brilla, intensa, luminosa. Brilla come la magia. Come quell’energia che ancora oggi mi permette di scrivere Tesi che altrimenti non sarebbero esistite”.
Metteva nelle sue opere l’ironia, la forza, lo slancio di un vero sognatore. Ma questo lo sapevano tutti.
Scendendo in profondità, però, nessuno è più capace di dar risposte: chi era davvero? Un genio? Un dannato? Un bugiardo? Un illuminato?
- Era un uomo-si ripeteva Brandy da quando aveva fatto Il Sogno. Quel sogno che le aveva cambiato l’esistenza. Anzi, che ancora doveva cambiarla del tutto.
Guardò ancora in direzione della tomba blu, poi portò lo sguardo vero la superficie laterale del marmo: brillava. Lei stava cercando una cosa minuscola, che doveva portar via da quel luogo. ‘un piccolo portafortuna per una grande impresa’ le aveva detto Filone nel sogno.
Scrutò molto quella superficie, finchè vide, in un angolino, una piccola pietruzza bianca che rifletteva la luce del sole, filtrata dalle foglie e dai rami. La ragazza la raccolse, pensierosa, e la sfiorò: era calda.
-Eccola, finalmente. La Perla Bianca-.
Ora poteva anche andarsene da lì: aveva ciò che voleva. Ma prima, in segno di rispetto, guardando ancora una volta la tomba, abbassò gli occhi e fece il segno della croce. Mentre si allontanava, fu quasi certa di sentire una benedizione sospirata che attraversava le viscere della terra, tutta per lei,  e che la avvolgeva mentre scompariva tra gli alberi.
 

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Capitolo 10
*** La prima volta che vide quel viola ***


Tutto era buio.
Tutto era viola.
Non violetto, non lilla. Proprio viola.
Il suo sangue, che usciva da una ferita proprio sul cuore, era viola.
Le sue mani erano viola, il suo corpo viola.
Tutto in lei le ricordava il colore viola.
Urlò. Il suo grido si trasformò in grosse onde che fluttuarono nell’aria producendo un suono.
Un suono paragonabile solo al colore viola.
Brandy si svegliò urlando. Era tutta sudata. La prima cosa che controllò furono le sue mani: rosa chiare, come sempre. Era stato un incubo. – È stato solo un brutto sogno, un bruttissimo sogno, ma è passato, passato…passato…- si ripeteva.
Ansimava ancora. La cosa che più l’aveva spaventata non era stato il suo sangue, il suo dolore, no…solo quel cupo viola che le raggelava i pensieri, rendendoli solidi. Viola.
Per non pensarci, si alzò e si rimise in cammino.
Si era appisolata su un masso lungo e largo, probabilmente levigato, visto la sua superficie liscia. Ma Brandy non voleva più pensare alla notte trascorsa. Aumentò la velocità dei suoi passi e si decise a raggiungere Fedrih prima di mezzogiorno.
Lì la aspettava Brad, che era andato in colonia proprio da quelle parti e, che con i suoi amici, festeggiava la primavera. L’aveva pregato, supplicato di non dire a sua madre che si incontravano. Lei lo avrebbe detto ai suoi genitori, che l’avrebbero mandata a prendere da qualcuno.
Ed era quello che voleva evitare.
Avrebbe trascorso a Fedrih qualche settimana. Verso la fine di aprile si sarebbe mossa ancora, per tornare nella sua città. Ma non era quella tipo di scansione a cui Brandy  prestava attenzione. Il tempo davanti a lei era scandito dai numeri dei giorni che mancavano perché la Nuova Apocalisse, come la chiamavano i Veggenti, avvenisse. Il bosco era ancora fitto, e non riusciva a scorgere il cielo. Era azzurro? Era nuvoloso? Era nero? Era….viola? no, certo che no. Viola no di certo.
E pensare che il viola, comunque, era il suo colore preferito. Un sogno poteva farle cambiare idea? No, assolutamente no. Il viola rimaneva il colore che più amava.
Le sue ballerine cominciavano a rovinarsi. In città avrebbe dovuto comprarne un altro paio. Sarebbe stato senz’altro molto più intelligente se avesse comprato un paio di scarpe da Trekking, o comunque comode, ma ormai si era abituata a portare delle ballerine e non voleva “abbandonare” questa abitudine. Camminava ormai quasi da un’ora. Aveva voglia di fare un baglio fresco, era molto accaldata. Ma diciamo che era abbastanza improbabile trovare una piscina nel bel mezzo del bosco, no?
Tutti questi pensieri correvano velocissimi in Brandy, e prima che potesse cominciare a svilupparne uno, subito un altro pendeva il suo posto. Tutto questo era abbastanza normale per quella particolare ragazza. La solitudine non la stava facendo impazzire. Non si sentiva abbandonata. Non soffriva la lontananza dai suoi amici,dai suoi genitori. Certo, un po’ le mancavano. Ma c’era qualcosa di più importante a cui lei doveva prestare attenzione. E poi, un suo amico lo avrebbe rivisto. Oddio, amico. Non andava per niente d’accordo con quel Brad. Ci aveva litigato molte più volte di quante ci avesse parlato serenamente. Ma in quel momento, le pareva addirittura gentile. Possibile che, contrariamente a quanto credeva, stesse avvero impazzendo? Insomma, per sembrarle gentile uno come Brad…ce ne voleva, ecco. Però un piccolo favore glielo faceva. E lei non aveva bisogno di molto altro. Ripensò a quella volta che, nella locanda dei signori Whise, avevano chiacchierato, dopo aver litigato come sempre. Sorrise al pensiero.
Avevano parlato del più e del meno, di tutti i discorsi…anche…di magia.
Già, di magia. Ma esisteva, la magia?
Condivideva la tesi di Filone, come già aveva constatato prima, ma da li a crederci davvero….era un passo troppo grande.
Eppure, era bello crederci. Bello credere che potesse esistere una forza più grande degli uomini ma più piccola di Dio.
Poi, ma esisteva davvero Dio? E quel Dio era proprio come  gli uomini se lo immaginano? O era tutto un enorme, disgraziato sbaglio? Erano tutti veramente scemi, oppure c’era da qualche parte qualcuno che le voleva davvero bene?
Ecco, aveva capito dov’era il problema. Si fermò un attimo, si sedette per terra a gambe incrociate e inspirò profondamente l’aria della foresta.
Era umida. Un odore misto a terra e foglie secche. Un buon odore, secondo lei.
Aveva capito qual era il vero motivo per cui non le andava a genio la religione, o la magia.
Non sopportava pensare che ci fosse qualcuno più grande di lei che le voleva bene. Davvero. Perché se esisteva Dio, allora vuol dire che lei era amata da quella buona divinità (era buono Dio secondo la morale, no?). Se esisteva la magia, voleva dire che lei era dentro a dei progetti di cui non capiva il senso, ma di sicuro chi li aveva disegnati ci teneva a lei. Se no l’avrebbe lasciata fuori, no?
Non lo sopportava. Lei non li conosceva, ma loro conoscevano lei. Non era giusto.
Si rialzò e si rimise in cammino.
Lei aveva sempre avuto un modo di ragionare strano.
Da sempre. Però almeno lo ammetteva. Almeno non mentiva a se stessa.
E in fondo, quella che le si era presentata era un’occasione d’oro, che aspettava da anni. Poter mettersi in discussione, davvero, senza un mondo che le stava stretto a rinchiuderla. Aveva bisogno di qualcosa di più grande. Era nata per qualcosa di più grande. E finalmente l’aveva scoperto.
Ma, c’era una domanda che le girava in testa da un po’. Una domanda a cui stava cercando di non rispondere. Una domanda che stava evitando in ogni modo, ma prima poi avrebbe dovuto confrontarsi con essa.
Alla fine di quella missione…sarebbe morta? O sarebbe sopravvissuta?
Nessuno era in grado di dirglielo. Nemmeno Filone, che nel sogno le aveva rivelato cosa avrebbe dovuto fare. Nemmeno lui era stato in grado di rispondere alla domanda: -ma morirò?-
Poteva solo aspettare, e vivere attimo per attimo quello che gli rimaneva da vivere in quel mondo.
 
 

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